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Un problema a differenti dimensioni

• le porzioni storiche di alcune importanti città d’arte, anche capoluogo di città metropolitane1, come ad esempio Venezia, Genova, Torino, Firenze, Roma, Napoli, Bari,

Palermo (AA.VV. 2007) ; • le aree centrali delle medie e piccole città italiane (Trigilia 2016) ; • gli innumerevoli paesi (o borghi) disseminati nelle differenti province italiane (Arminio 2013) ; • i centri medio piccoli: di eccellenza patrimoniale, a forte e progressiva specializzazione turistica come San Gimignano in Toscana o Alberobello in Puglia (Ribaudo, Figini 2017) o in stadi di differente abbandono, come il noto esempio di Craco in Basilicata. È indubbio che i centri storici, nel senso ampio di questo termine, in Italia abbiano funzionato come matrice di un insediamento di estrema vitalità e resilienza che ha assunto forme straordinariamente articolate: continuamente in evoluzione nella composizione edilizia, negli usi, nell’articolazione sociale, nel senso stesso attribuito allo spazio pubblico, oscillando tra estremi di museificazione e demolizione.

Un problema a differenti dimensioni Una trattazione sintetica di un tema così complesso come i centri storici deve necessariamente individuare alcune dimensioni prioritarie, che a nostro parere sono le seguenti. La prima dimensione è quella che indichiamo come strutturale (cfr. il capitolo Il progetto patrimoniale in questo volume): i centri storici posseggono, anche in virtù della loro lunga durata e in relazione alla incredibile varietà delle loro localizzazioni e forme, un ruolo cardinale nel determinare e documentare le forme insediative del nostro Paese. Nodi di sistemi territoriali stratificati, tappe di percorsi spesso millenari, componenti di strutture gerarchiche di centri urbani consolidate e a più riprese riconfigurate, i centri storici hanno costituito, al netto di rare eccezioni come le company towns, o altri centri di fondazione relativamente recente (Pennacchi 2010), l’armatura urbana sulla quale la nostra nazione è cresciuta. Essi punteggiano un territorio geograficamente complesso e differenziato (IGM 2004), anche funzionalmente articolato, con grandi soluzioni di continuità come le catene montuose. I centri storici (con la rete stradale e i ponti, le regimazioni idrauliche e le sistemazioni colturali del territorio rurale) sono le principali tracce materiali di una storia insediativa millenaria. Indissolubilmente legati al territorio di ap-

1 La “città metropolitana” è uno degli enti locali territoriali presenti nella Costituzione italiana, all’articolo 114, dopo la riforma del 2001 (legge costituzionale 3/2001). La legge 56 del 7 aprile 2014 recante “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni” ne disciplina l’istituzione in sostituzione alle province come ente di area vasta, nelle regioni a statuto ordinario.

partenenza, posseggono una estensione delle reti di relazione funzionale e simbolica estremamente lunga. Questo radicamento territoriale esprime un ruolo strutturale negli assetti paesaggistici (Marson 2016), dunque anche da un punto di vista testimoniale e culturale (Sestini 1963). Centri di differenti dimensioni strutturano luoghi abitati da popolazioni insediate con tradizioni diverse e mobili, la cui raffinata sapienza ha realizzato paesaggi di incredibile valore estetico e simbolico (Clementi et al. 1996; Turri 1998a, Dematteis 1999, Lanzani 2003). La seconda dimensione emerge alla scala propria del progetto urbano che ci obbliga a considerare la qualità morfologica dei centri storici nella loro vertiginosa varietà, nel rapporto con gli ambienti specifici nei territori di riferimento. Organismi urbani individui specificamente funzionali alle diverse società insediate, che hanno esaltato la razionalità di usi delle risorse locali, che sono stati specchio e strumento di ordinamenti sociali ed economici fortemente articolati e gerarchizzati, macchine urbane di una grande sofisticazione. Ciascun centro è così soluzione spaziale unica a dei problemi specifici e locali, infinito catalogo di luoghi immaginati, realizzati, vissuti e modificati. Da essi possiamo ricavare testimonianze autorevoli di una sapienza eccelsa collettivamente trasmessa, a volte temporalmente definita ed elaborata da autori specifici. Anche qui ci viene in soccorso una letteratura ricchissima, come ad esempio la vasta produzione del Touring Club Italiano (TCI 1915), spesso esito di studi e ricerche svolte in occasione di ipotesi di intervento sui tessuti storici stessi (Iacomoni, Abbate 2014). La terza dimensione è quella riferita all’architettura: si dischiude nei centri storici, in situazioni così differenti, uno scrigno favoloso, costituito dalle singole architetture costitutive dei tessuti urbani storici: edifici o parti di edifici che si succedono in epoche molto differenti restituendo l’immagine della trasformazione e della innovazione. Si tratta di architetture monumentali o modeste, sia autoriali che anonime, a loro volta inscindibili dalle modalità realizzative di uno spazio pubblico variamente articolato. Le tecniche costruttive, l’uso magistrale dei materiali edilizi locali, la capacità di uso incrementale e nobile dei materiali architettonici del passato, ci consegnano elementi di una incredibile varietà e qualità (Sanna, Atzeni 2009). Queste tre dimensioni (strutturale, del progetto urbano, dell’architettura), nella loro interrelazione e sempre considerando la società che attraverso tali dimensioni si esprime, rendono evidente la irrinunciabilità di un ragionamento specifico sui centri storici, che tentiamo di ridurre ad alcune parole-chiave che introducono le seguenti domande: • tutela: come garantire la conservazione delle qualità morfologiche e degli elementi urbanistici e architettonici strutturanti e connotanti i centri storici?

• modificazione: quale grado di modificazione accettare nel corpo dei tessuti storici? In quale modello evolutivo devono essere inseriti i nuovi frammenti architettonici dei tessuti di lunga durata, o quale ruolo dovrebbero avere le rovine in un progetto urbano e architettonico? • insegnamento: come imparare dai centri storici, dalla loro dimostrata efficacia energetica e ambientale, dalla loro raffinatissima capacità conquistata nel tempo lungo, di garantire la convivenza civile e la mixitè sociale? • disseminazione: come riversare utilmente lo studio dei principi di razionalità insediativa che i centri storici incarnano nel retrofitting dei tessuti urbani ad essi esterni ma ad essi interrelati, distribuiti ad esempio nelle aree metropolitane di reciproca afferenza? • integrazione: come re-includere i centri storici in un metabolismo urbano divenuto complesso, pervasivo e diffuso?

Una specificità italiana: la bellezza del passato

Quella dei centri storici in Italia è dunque una vicenda complessa, stratificata e articolata nei termini di specifiche razionalità insediative calibrate sulla natura dei singoli luoghi (Gisotti G. 2016); l’evoluzione delle forme urbane (Rossi 1966) inquadrate in un’armatura territoriale nazionale, fa emergere il valore positivo della concentrazione e della densità, intese anche come brodo di coltura di innovazione, civiltà e socialità. Nella loro evoluzione, i centri urbani hanno sempre o quasi realizzato la formula “costruire sul costruito”: l’aumento della popolazione urbana che ha iniziato ad essere consistente a partire dalla prima rivoluzione industriale e poi impetuosa nel secondo dopoguerra (Benevolo 1963), si è riversato sui centri esistenti. Demolizioni e sostituzioni, densificazioni, aggiunte, addizioni, estensioni, sono state comuni nella costruzione della forma urbana moderna europea e italiana, ottenuta ampliando la città esistente. Se i primi piani-manifesto razionalisti (ad esempio quello di Amsterdam del 1936, cfr. Astengo 1952) costruivano una città più grande a partire da quella esistente, già i primi strumenti urbanistici dell’Italia unita assumevano gli stessi comportamenti (Boriani, Rossari 1992). Mantenere alcune continuità infrastrutturali, funzionali, paesaggistiche ha occupato la grande attenzione degli urbanisti moderni, che hanno operato spesso fuori le mura (letteralmente) dei centri esistenti, urbanizzando terreni periurbani tradizionalmente lasciati liberi per esigenze difensive o alimentari. Tali interventi furono generalmente attenti a seguire una direzione di espansione naturale che si diramava dal centro, lungo direttrici già tracciate sovente da secoli, prediligendo sempre più spesso la pianura. Il termine “centro” prende ad indicare una centralità non solo geografica ma metaforica:

l’area allo stesso tempo più complessa e più organica, più comunemente frequentata, anche quando non collocata esattamente nel centro geometrico dell’urbanizzazione crescente, come ad esempio nei centri storici di crinale o sommitali (città alta) – che si svilupparono con il boom edilizio a valle o nelle pianure più vicine (città bassa) - o nei centri interni spesso in posizione elevata che gemmarono sulla costa le varie “marine”. Le città crescono e il loro centro diviene gradualmente oggetto di studio in sé, con i suoi malesseri ma anche con le sue virtù. “Conoscenze ed esperienze degli ingegneri si trasformano in urbanistica, ben prima che le culture architettoniche riescano a ritagliarsi un ruolo nella teoria e nella pratica. […] Sono piuttosto l’arte e la letteratura, accompagnate dalle scienze umane vecchie e nuove (dalla storia alla sociologia), a indirizzare gli studiosi o i dilettanti di architettura verso una riflessione sistematica sulla città esistente come stratificazioni di valori provenienti dal passato, patrimonio condiviso da cittadini e popoli rimessi talvolta in discussione dalla modernità” (Cutolo, Pace 2016, p. 23). Nell’impetuosa crescita dell’urbanizzazione, il centro storico, il luogo di maggiore continuità insediativa, custodisce in sé l’incontro tra passato e presente “tra antico e moderno, ovvero tra cuore e periferia del sistema. Nel corso dell’età contemporanea, tuttavia, a mano a mano che la parte nuova della città va consolidandosi tutt’attorno, la parte antica quasi in ogni sua parte, sembra acquistare anche un’altra qualità che, in passato, non sempre è data per scontata quando si è trattato di questioni urbane: la bellezza” (Cutolo, Pace 2016, p. 22). Al centro della città europea viene riconosciuto sempre più un carattere di bellezza, al di là del suo stato di conservazione. Sin dalle riflessioni di Camillo Sitte su Vienna (Lamberti 2004) è chiaro che il tema della bellezza appassionerà e interesserà molti addetti ai lavori e intellettuali per tutto il XIX e XX secolo, e ancora oggi pare irrisolta. Già all’inizio della sua storia, la cultura urbana europea pare avere difficoltà nel confronto con la città esistente, con i valori che essa veicola, incluso il concetto di bellezza: lo sviluppo della città contemporanea è infatti sostenuto con altri argomenti, come il raggiungimento della giustizia, della razionalità, dell’efficienza, al limite del decoro. La bellezza diviene invece un campo minato per le riflessioni disciplinari sulla città (Colarossi, Latini 2008) sia per il rischio sempre presente di semplificare eccessivamente i fenomeni urbani, ad esempio assegnando un carattere di intenzionalità artistica ai processi di realizzazione dei centri storici (Romano 2008), sia per la difficile trattazione scientifica della dimensione estetica.

I centri storici nel dibattito disciplinare italiano

In una ricognizione dei contributi dell’urbanistica italiana alla comunità internazionale (Di Biagi, Gabellini 1992; Balducci, Gaeta 2015) il tema dei centri storici è imprescindibile per

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