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Tensioni e mutazioni

42 del 22 gennaio 2004, meglio noto come Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio – si apre una nuova stagione di pianificazione paesaggistica, e un periodo di rinnovato, necessario, interesse anche sui centri storici (cfr. il capitolo Il progetto di paesaggio, in questo volume). Da allora l’assetto dei centri storici, “aree di accumulazione di valore”, è ancora una delle questioni più dibattute dalla disciplina urbanistica (Albrecht, Magrin 2015) e specialmente la cultura urbanistica progressista individua sempre più nella lotta allo spreco edilizio delle periferie italiane un punto chiave, con i centri storici e le loro qualità presi a termine di paragone costante.

Tensioni e mutazioni Il valore della prossimità fisica cambia radicalmente nell’organizzazione umana: se aveva mantenuto nei secoli compatto l’insediamento, l’affievolirsi di quello specifico attrito della distanza (Gillespie, William 1988) determinato dalla globalizzazione ha consentito il graduale distendersi dell’urbanizzazione, in un progressivo complessificarsi delle reti di relazioni urbane e territoriali ben oltre gli ambiti regionali e nazionali. Il cambiamento delle forme di organizzazione spaziale ha inevitabilmente coinvolto l’assetto e il significato dei centri storici, sottoposti a dinamiche specifiche che ne hanno fatto anche un luogo di intensa sperimentazione sociale e che si possono forse descrivere seguendo alcune tensioni tra loro interrelate: una tensione che ne esalta la loro natura di oggetto da conservare, di area da perimetrare ed isolare (riduzione); un allontanamento dal tempo storico, dal corpo della città contemporanea (separazione); una tendenza alla semplificazione e banalizzazione (specializzazione). È tentando di tenere a mente l’inevitabile integrazione di queste tre tensioni che si può cogliere l’interesse sperimentale dei centri storici, che hanno costituito per molti studiosi un campo di ricerca e innovazione privilegiato. Riferirsi all’ampio termine di riduzione trattando dei centri storici è utile per cogliere l’interrelazione tra aspetti percettivi, culturali e fisici: riduzione “a una condizione diversa, mediante trasformazione sostanziale, che può anche comportare (ma non necessariamente) una diminuzione, una sottrazione”6. I centri storici sono ridotti ad areale: se ne indica la necessità di perimetrazione dal Decreto 1444 del 1968; sono stati fatti oggetto da allora di una graduale omogeneizzazione riduttiva, a partire dell’individuazione di una data temporale di soglia, assegnando valori patrimoniali standardizzati e istituendo forme di regolazione precostituite a livello ministeriale (Raitano 2020). Si è anche verificata

6 Voce “riduzione” del Dizionario online Treccani, https://www.treccani.it/vocabolario/riduzione/ consultato il 20 luglio 2021.

una progressiva e inarrestabile riduzione di popolamento, una graduale contrazione percentuale rispetto al resto dell’urbanizzazione, una diminuzione del numero e tipo delle attività svolte nel suo perimetro. La decrescita della popolazione residente nei centri storici è un dato chiaro: UNESCO esprime spesso preoccupazioni per la preservazione e per la riproduzione del tessuto sociale dei centri storici densi (Tworek 2018), con le crescenti specializzazioni che determinano una crescita delle presenze temporanee a dispetto degli abitanti stabili. Ad una riduzione numerica di popolazione si aggiunge un tipo di riduzione simbolica: la cultura del progetto ha, nel tempo, distillato strumenti ad hoc per affrontare l’intervento trasformativo che agisca su un contesto o organismo edilizio esistente ritenuto di valore. I centri storici rientrano pressoché tutti in questa categoria patrimoniale, che si è andata definendo nel tempo, tra evoluzione culturale (Choay 1992) e armamentario legislativo (Videtta 2012). A proposito di questa specifica riduzione colpisce la disturbante dualità che si è venuta a creare tra conservatori e progettisti: una opposizione con una qualche utilità dialettica che, almeno dall’elaborazione di Gustavo Giovannoni (1931) si è portata fino ai nostri giorni, sottolineando una specifica debolezza e una dubbia legittimazione pubblica delle discipline del progetto7 (Secchi 1997; Gregotti 2008; Magnaghi 2010). Riduzione è dunque anche tendenza alla tutela non rivolta alla innovazione nella continuità (cioè a permettere cambiamenti riflettuti, coerenti ed incrementali nel quadro di una generale flessibilità necessaria a consentire ad esempio un abitare adeguato), ma concezione immobilista poco fiduciosa (se non timorosa) nelle capacità progettuali delle discipline preposte e distante dalle percezioni delle società locali: la museificazione, l’abbandono e la rovinizzazione divengono possibili esiti di un immobilismo troppo prudente anche per tentare una continuità evolutiva a bassa intensità, necessaria per evitare nel lungo termine fenomeni di irrigidimento eccessivo che nuoce alla stessa possibilità di potersi riconoscere nell’ambiente di vita urbano, di poterne decifrare il senso. Una conseguenza della divergenza progressiva tra centri storici e città contemporanea è l’applicazione della logica della zonizzazione (Mancuso 1978) al perimetro dei centri storici, e della persistente abitudine pianificatoria a separare per allontanare funzioni suppostamente incompatibili, che ha come esito la perimetrazione dei nuclei storici ai fini della tutela e la

7 “Se da un lato può apparire perfino pleonastica la considerazione per cui tradizione e innovazione rappresentano gli elementi di un binomio il cui senso si precisa proprio nel rispecchiamento reciproco dei due termini, molte sono state e sono a tutt’oggi le obbiezioni sollevate nei confronti di questa ipotesi. Vi è infatti da un lato un fronte della ‘conservazione’ che, negando ogni processo di innovazione, nega di fatto il principio stesso della durata, della permanenza; di contro esiste ancora un forte pregiudizio ideologico nei confronti di un concetto, come quello di tradizione, che presenta un indiscusso legame con la memoria ed i suoi luoghi. Largo credito ha infatti ancora oggi, una concezione ‘romantica’ che concepisce un processo creativo, come quello progettuale, sostanzialmente penalizzato da qualunque tipo di regola, di ‘condizionamento’, compresa la relazione con ciò che lo precede”. (Viscione 2007, pp. 45-46).

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