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Dal tutto alle parti
marginali del mezzogiorno e non solo, come alcuni contesti montani e insulari (Arminio 2013).
Dal tutto alle parti Nel quadro di queste forti tensioni alla trasformazione generalizzata del territorio italiano, alcuni studiosi hanno saputo cogliere prima di altri i segni che “le condizioni sono cambiate” (Secchi 1984), e hanno tentato di meglio definire la natura delle trasformazioni (Dematteis 1985). Una riflessione importante sull’evoluzione della disciplina, che dimostra una impressionante lucidità di pensiero anche rispetto alle tensioni delineate sopra (tensioni tra piano e progetto, tra isotopia e contesto locale, tra struttura insediativa storica e diffusione urbana, tra architettura e urbanistica) è svolta in un noto articolo di Bernardo Secchi nel quale l’autore utilizza la felice dizione di “progetto di suolo” (Secchi 1986). La posizione di Secchi ben restituisce la ricchezza del dibattito coevo nel campo dell’architettura, rappresentato pienamente dalla elaborazione mai appagata di Vittorio Gregotti sulla “modificazione” (Pippione 2017), termine che è una frequente citazione di Gregotti stesso, sulle pagine della Casabella da lui diretta in quegli anni, del titolo di un noto romanzo di Michel Butor (La Modification, 1957), capostipite del nouveu roman degli anni ’50 (Gregotti 2011). Bernardo Secchi mette sul tavolo alcune importanti questioni: una tra queste è quella indicativa del cambiamento progressivo, al finire degli anni ’70 del XX secolo, dei modi nei quali gli urbanisti agiscono e producono i loro testi, specialmente i loro disegni. Per Secchi in quegli anni “il disegno degli urbanisti, il loro modo di rappresentare cartograficamente il progetto, è cambiato: in una sorta di ritorno alle origini, ne è straordinariamente aumentato il carattere iconico e metaforico, diminuito quello codificato. Il segno cerca di intrattenere con l’oggetto un rapporto di somiglianza e di allusione, di farsi traccia, sintomo e presagio di ciò che nel disegno non può essere riferito, ma cionondimeno si vuole sia presente nell’immaginario della città e del territorio possibile” (Secchi 1986, p. 129). Ancora Secchi avverte di come occorra “ragionare per ‘parti’: parti di città e di territorio. Il riconoscimento entro il territorio di parti, cioè di differenze e di specificità, corrisponde al momento nel quale il nostro sguardo comincia ad essere attivo: a separare dallo sfondo oggetti rilevanti che riconosce e nomina come diversi” (ibidem, p. 133). Questo ragionar per parti implica che ogni porzione di città “soprattutto se osservata nella costituzione del suolo urbano, è fortemente identificata non solo dalla geometria dei suoi tracciati, dalla dimensione delle suddivisioni, dalla gerarchia monumentale e dalle regole di organizzazione spaziale, ma soprattutto dalla articolazione dei differenti spazi collettivi e pri-