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Prospettive: progetto del suolo, progetto dello spazio urbano

Così le realizzazioni della città neoliberista, sviluppata eminentemente per accordi, varianti, progetti d’area (Berdini et al. 2016), hanno trascurato le qualità di quel progetto di suolo sopra definito, si sono poste in un’ottica quasi monumentale e celebrativa del mercato (Mazza 2015), in questo addivenendo a risultati comparabili ai progetti dell’autocelebrazione totalitaria delle dittature fasciste o dei regimi del comunismo reale (Canetti 1987). Sono molti i progetti contemporanei che richiamano un positivismo razionalista associato a un individualismo che esclude i gruppi sociali dal discorso e che, in mancanza di una visione collettiva, assumono un carattere quasi reazionario: una deriva, questa, che fu intravista e contrastata a suo tempo da figure di grande levatura come De Carlo (Di Biagi, Gabellini 1992). Parliamo ad esempio di un certo ecologismo funzionalista riemergente che, in virtù di alcune interessanti caratteristiche edilizie, pretende di affermare progetti di trasformazione ecologici di matrice tecnicistica, semplificando il discorso della riconversione ecologica degli insediamenti a un’azione superficiale di maquillage arboreo (bosco orbitante, forestazione urbana) senza sfiorare le cause profonde del malessere urbano, che abbisognano per essere risolte di ben altro spessore di riferimenti e azioni. Simbolo di questa tendenza al marketing semplificante è l’edificio milanese del “bosco verticale” di Stefano Boeri.

Prospettive: progetto del suolo, progetto dello spazio urbano Oltre l’episodicità di edifici-manifesto, in generale le eco-town o gli eco-quartieri sono una formula efficace che deve essere colta per affermare l’importanza di ragionare su di un concetto più ampio di sostenibilità: non solo legata alle prestazioni energetiche degli edifici, ma tensione continua che si manifesta fin dall’attenta considerazione degli elementi naturali entro le forme dell’urbano (Codisposti 2018) e della relazione di queste con gli elementi naturali esterni ad esse, dei quali deve essere esaltata la funzione di fornitura di ecosystem services (Rovai et al. 2013). La smart city è senz’altro una fertile metafora per indicare, tra le altre cose, l’importanza di lavorare alle reti intelligenti, all’internet delle cose e dunque anche degli edifici, all’intelligenza distribuita, all’economia circolare (Ratti 2014). Occorre tuttavia integrare questi aspetti particolari e parziali, e forse conformati ad una concezione neo-razionalista, inglobando nel progetto urbano il territorio di afferenza (cfr. il capitolo Il progetto della bioregione urbana, in questo volume), includendo il tempo con le sue incertezze come elemento di progetto, assumendo nella via alla resilienza l’importanza del coinvolgimento delle comunità abitanti e delle reti di prossimità, e non trascurando dimensioni strutturali irrinunciabili per la disciplina, come il contrasto alla povertà, la ricerca della giustizia urbana, la tensione alla bellezza (Talia 2018).

Sono questi dei presupposti necessari: ma, come sottolinea Pier Carlo Palermo, così l’urbanistica “se non è nata, è diventata ‘arte dei presupposti’. Infatti, detta norme, disegna visioni, traccia schemi progettuali (sempre più labili peraltro). Cioè definisce premesse e condizioni per le azioni effettive di gestione/trasformazione del territorio che altri attori dovranno poi sviluppare, nei tempi e modi debiti. Ma le esigenze e i tempi della società contemporanea spingono in una direzione diversa. La rilevanza sociale di un’istituzione e di una disciplina si misura sempre più sulla sua capacità di azione effettiva. È in grado l’urbanistica di dare nuovi contributi direttamente operativi, legittimi ed efficaci, alle trasformazioni urbane? Cioè è possibile delineare un passaggio effettivo dalla cura dei presupposti all’azione che incide direttamente sulle pratiche reali? Ritengo questa sfida decisiva per le sorti future della disciplina” (Palermo 2019, p. 3). Ci sembra qui che portare l’attenzione all’assetto fisico degli specifici contesti (all’impronta al suolo del loro sviluppo tridimensionale, al disegno delle superfici tra le cose) sia un’occasione per indagarne genesi e problemi riferendoli alle dimensioni storiche e socio-economiche specifiche (Secchi, Ingallina 2006; Secchi, Grillet-Aubert 2009; Secchi, Viganò 2012); sia una presa di coscienza di come occorra tornare a recuperare nel progetto quella sapienza ambientale (nella sua sostenibilità e resilienza), contestuale (nel rapporto con il sito e il territorio) e multiscalare (nella capacità di incidere a più scale nell’ambito di uno stesso orizzonte progettuale) che caratterizza le posizioni apparentemente distanti da quelle di Secchi di intellettuali, urbanisti e architetti di formazione, come ad esempio Alberto Magnaghi (Fantini 2001; Magnaghi 2004 e 2007). Avendo attenzione alle tre dimensioni delineate sopra, il progetto di suolo diviene il collante che consente di riconoscere la relazione tra le cose: “nel progetto di suolo parti e progetto non stanno per sé, sono collocati entro una trama di senso” (Bianchetti 2013, pp. 394-395). L’attenzione alle dinamiche di formazione dello spazio urbano e ai suoi esiti nel corpo delle città italiane interroga dunque direttamente la natura del progetto urbanistico (Secchi 1997): esso si applica a un ventaglio ampio di dimensioni e campi. Si occupa della riqualificazione e rigenerazione fisica di ambiti urbani degradati anche dal punto di vista economico e sociale, e si incardina a volte su meccanismi perequativi (di redistribuzione delle risorse) e sul miglioramento delle condizioni di accessibilità e mobilità. Si concretizza attraverso una oculata localizzazione e mixitè delle diverse attività funzionali a tutte le scale di intervento, e introduce meccanismi di relazione, sia spaziali che economici, tra gli spazi pubblici e gli spazi privati, da questi ultimi esigendo un maggiore contributo all’innalzamento della qualità generale. Anche il patrimonio di segni incrementalmente depositato al suolo (suolo inteso come palinsesto, cfr. il capitolo Il progetto patrimoniale, in questo volume) suggerisce

possibili direzioni di progetto spaziale che a loro volta producono nuove interpretazioni e percezioni: la qualità del disegno dello spazio pubblico deriva dalla capacità di interpretare fisicamente le esigenze della cittadinanza. Sistemi di segni, collocazione degli arredi, materiali delle pavimentazioni, soluzioni di continuità tra quote e superfici, rapporto tra superfici orizzontali e quinte verticali, uso dei materiali verdi e naturali, mettono al centro del progetto i corpi delle persone (Paba 2010), in un nuovo umanesimo pragmatico che deve essere più attento agli spazi di vita, generando disegno urbano “dal particolare al generale”.

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