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La personalità del territorio
“collocarsi” del primo all’interno del secondo attraverso l’insediamento – può rimandare a quel principio di coevoluzione che stabilisce una soglia di equilibrio tra cultura e natura3. Il “giusto antropocentrismo” che orienta lo sguardo critico del poeta evoca quel “curare l’ambiente dell’uomo” (Magnaghi 2000, p. 58) che distingue la visione territorialista da quella ecologista tout court. In conclusione – osserva Zanzotto – una società sufficientemente matura e consapevole delle regole del territorio è in grado, quando vi si insedia, di potenziare l’espressività della sua “figura”: nell’approccio patrimoniale, le “figure territoriali” (Carta 2011a) rappresentano proprio quelle strutture, generate dall’interazione storica tra uomo e ambiente naturale, dotate di un’implicita coerenza con i caratteri del luogo. La lettura di suggestioni e analogie potrebbe proseguire, esplorando ulteriormente questo e altri testi di Zanzotto. Ma il punto sul quale ci vogliamo soffermare per introdurre l’approccio territorialista e patrimoniale, sollecitato appunto dalla lettura di queste righe, è la centralità della diade uomo/ambiente (o cultura/natura) come generatrice di luogo. Partiamo dunque da questo assunto di fondo per tracciare i lineamenti di un approccio analitico-interpretativo e progettuale sviluppatosi nel corso di circa trent’anni, a partire dalla riflessione teorica e dalle prime ricerche-azioni avviate da Alberto Magnaghi e portate avanti soprattutto dalla scuola fiorentina4 (Poli 2010). Nei paragrafi seguenti ne proponiamo una sintesi.
La personalità del territorio Alla base dell’approccio territorialista e patrimoniale vi è l’idea del territorio come prodotto storico di processi di interazione positiva tra uomo e ambiente definiti, soprattutto nei primi scritti di Magnaghi (Magnaghi 1995) e della scuola fiorentina, con il termine di territorializzazione (Raffestin 1984; Turco 1988)5 e successivamente con quello di coevoluzione (Magnaghi 2001, p. 18). È questa interazione che, dopo una lunga serie di prove reciprocamente adattative, ha dato vita alle strutture territoriali, alcune delle quali permangono relativamente invariate in ragione di una loro particolare “resistenza” alle
3 Zanzotto definirà, in un altro suo scritto, “biologale” questo punto di vista secondo il quale – come ha osservato Niccolò Scaffai – “il paesaggio, la natura contribuiscono a formare le creature che li abitano, ricevendone in cambio un arricchimento spirituale che va oltre il piano biologico” (Scaffai 2016, p. 30). 4 Il primo luogo attorno al quale si sono addensate queste esperienze è stato il Laboratorio per la Progettazione Ecologica degli Insediamenti (LAPEI) dell’Università di Firenze, al quale si sono collegate negli anni seguenti le Unità di Ricerca “Progetto Bioregione Urbana” (Probiur) e “Projects on Environment, Cities and Territories in the South” (ProjECTS) (Paloscia, Tarsi 2012) e, dal 2011, la Società dei Territorialisti/e. 5 Ricordiamo la definizione che Turco dà della territorializzazione come di “un grande processo, in virtù del quale lo spazio incorpora valore antropologico; quest’ultimo non si aggiunge alle proprietà fisiche ma le assorbe, le rimodella e le mette in circolo in forme e funzioni variamente culturalizzate” (Turco 1988, p. 76).
trasformazioni della storia. Questo grado di permanenza, per molti secoli del tutto indipendente da una qualsivoglia volontà di preservazione dettata dal valore testimoniale (affermatasi solo di recente), si deve invece alla “sapienza ambientale” (Antrop 2005) propria delle strutture territoriali: è il caso di certe configurazioni in cui l’insediamento è quasi invariabilmente collocato sui supporti geomorfologici più stabili e sicuri6; o dell’organizzazione del reticolo idraulico di piane bonificate come quella fiorentina, dove l’orditura della maglia agraria impressa dalla centuriazione romana ha consentito per secoli un corretto smaltimento delle acque superficiali e una buona connettività antropica7. La struttura profonda del territorio – definita anche ossatura, scheletro, telaio, trama (Baldeschi 2002; Di Pietro 2004; Poli 2011), palinsesto (Corboz 1985) nelle riflessioni teoriche e nelle pratiche di piano a queste connesse – è dunque esito di una razionalità metastorica. Non è difficile riconoscere, in questa interpretazione che lega così saldamente aspetti fisiografici e agire antropico, gli echi di molte e diverse tradizioni di studi. Vediamo quali. La prima è quella del filone dell’urbanistica che Francoise Choay (Choay 1965) ha definito “umanista” con una risonanza particolarmente forte delle figure di Lewis Mumford e soprattutto di Patrick Geddes. “Gli insediamenti umani, dal piccolo al grande, sono inizialmente determinati dall’ambiente naturale; e anche se si espandono poi in villaggi e città sempre più grandi, conservano però profondamente, anche se oscuramente, gran parte del loro inziale carattere regionale”, scriveva Geddes (Geddes 1970, pp. 261-2); un carattere “locale” – così seguita Geddes a chiamarlo con lieve slittamento semantico – che può essere compreso appieno solo “se si ‘sente’ attivamente la vita del luogo nei suoi elementi essenziali e caratteristici. Ogni luogo, infatti, ha una sua personalità vera, fatta di elementi unici, una personalità che può essere da troppo tempo dormiente, ma che è compito dell’urbanista, del pianificatore in quanto artista, risvegliare” (ibidem, pp. 355-6). Magnaghi riprenderà ampiamente nei suoi scritti l’idea del territorio come “soggetto vivente ad alta complessità” (a partire da Magnaghi 2000) recuperando un’interpretazione del luogo insediato come organismo vivente che Geddes, ma prima ancora Marcel Poëte nel 1908 come ricordava Giovanni Astengo (Astengo 1966), aveva chiaramente codificato e che, da quel momento in poi, verrà a più riprese sviluppata nella riflessione disciplinare8 .
6 È il caso delle colline plioceniche della Toscana centro-settentrionale, in cui gli insediamenti di colle sono posti di norma lungo la linea di crinale corrispondente all’affioramento di coltri di macigno, formazione ben più resistente e affidabile (Pardi 2001). Per una rassegna ampia e documentata di princìpi insediativi correlati agli aspetti geo-morfologici si veda Gisotti G. 2016. 7 Ragioni per cui questa trama strutturante, a tratti inghiottita da temporanei re-impaludamenti o fasi di abbandono, è riemersa ed è stata recuperata da civilizzazioni successive, che ne hanno riconosciuto la funzionalità. 8 Sempre nella voce “Urbanistica”, con riferimento al contesto italiano Astengo ricollega la tradizione di pensiero organica sul territorio e sulla città alla figura di Luigi Piccinato, del quale riporta la seguente affermazione, tratta da un passo del 1938 sull’Enciclopedia Italiana: “L’urbanistica in generale guarda all’evoluzione della città nella sua totalità, poiché la città si può considerare come un essere vivente in continua trasformazione”.