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Patrimonio territoriale, invarianti strutturali, regole progettuali
Una seconda tradizione di studi che ha influenzato il pensiero territorialista è quella della geografia umana francese che ha i suoi esponenti principali in Elisée Reclus e Paul Vidal de la Blache. Proprio Vidal de la Blache scrive, nell’introduzione al Tableau de la géographie de la France nel 1903: “La storia di un popolo è inseparabile dalla contrada che esso abita”. Più tardi, nei Principes de géographie humaine, specificherà questa postura insistendo sulla “sovranità” dei caratteri fisiografici, in particolare di quelli geologici, nel definire la “personalità” di una regione. Se la tradizione di studi vidaliana è ben presente e riconoscibile nel posizionamento territorialista, in misura analoga lo è quella della geografia storica francese svolta a partire dagli anni ‘30 da Marc Bloch e dalla sua scuola, e più tardi da Fernand Braudel (Scazzosi 2011). Una corrente che, in ambito italiano, ha ricadute quanto mai significative nell’opera di Lucio Gambi: “Quando diciamo territorio, evochiamo non uno spazio qualunque – scrive Gambi – ma uno spazio definito e determinato da caratteristiche, o per meglio dire da un sistema di rapporti che unificano queste caratteristiche” (Gambi, 1986, p. 103). Il terzo filone di studi che possiamo enucleare come particolarmente influente sull’approccio territorialista/patrimoniale è quello di Saverio Muratori e della sua scuola, sia con riferimento alla nozione di tipo territoriale (Caniggia, Maffei 1979), che al ruolo della storia nel definire la matrice insediativa di un luogo. Scrive Muratori nel 1967 a proposito dell’impronta permanente che le configurazioni storiche lasciano sul territorio, in quanto esito di un avvenuto accordo tra insediamento antropico e ambiente naturale: “Resta tuttavia ad ogni regione un’impronta indelebile, tipica del momento storico della sua colonizzazione civile e in particolare della sua urbanizzazione. La Toscana è rimasta più che romana etrusca, anche se le sue città sono state in più casi abbandonate; […] l’impronta permanente dell’età costitutiva resta determinante nel carattere di un individuo ambiente durante il suo successivo e anche molto vario sviluppo; questo è un fenomeno che giustifica in senso concreto l’impressione di individualità di un ambiente urbano e territoriale come di ogni società individuata […]. Si tratta dello spirito di fase che informa attraverso il primo impianto tutti gli sviluppi futuri, anche quelli appartenenti a movimenti ciclici opposti” (Muratori 1967, pp. 528-531). Vediamo ora come questa “impronta indelebile” possa essere interpretata come dispositivo progettuale.
Patrimonio territoriale, invarianti strutturali, regole progettuali Il ruolo della storia nell’interpretazione territorialista è, come si vede dalla rapida esplorazione delle sue matrici disciplinari, un tema fondativo: lo “usable past” di Lewis Mumford (Paba 2010, p. 7), la “storia operante” di Saverio Muratori ma anche, a titolo
diverso, gli altri autori che abbiamo richiamato, esprimono una centralità della storia come flusso dal quale estrarre princìpi per un corretto accordo tra uomo e ambiente. Nel solco di questa interpretazione progettuale della storia va collocato il concetto di patrimonio territoriale: un “deposito” di sedimenti materiali e immateriali prodotti dai processi di coevoluzione tra uomo e ambiente9, resistenti alle modificazioni in ragione della loro efficienza e sostenibilità intrinseca10; o, secondo una recente formulazione normativa, “l’insieme delle strutture di lunga durata prodotte dalla coevoluzione fra ambiente naturale e insediamenti umani, di cui è riconosciuto il valore per le generazioni presenti e future”11. Un esempio tipico di componente del patrimonio territoriale sono le sistemazioni idraulico-agrarie di versante tradizionali (Baldeschi 2000): costituite da muretti a secco e terrazzamenti, svolgono un ruolo multifunzionale nel territorio rurale consentendo di mettere a coltura terreni con pendenze anche elevate, sostenendo i suoli e preservandoli dai processi erosivi, regolando il deflusso delle acque superficiali, strutturando il paesaggio da un punto di vista estetico-percettivo, migliorando (in alcuni casi) la qualità del prodotto agricolo in ragione del calore rilasciato sulla pianta dalle pietre scaldate dal sole. Uno dei problemi principali sollevati da questo approccio è come accordare le istanze della trasformazione e del cambiamento con quelle della preservazione del territorio. Tale questione riveste un’importanza fondamentale e ha dato luogo a un dibattito ampio e corale, ruotato per lo più attorno al concetto di “invariante strutturale”, impiegato per la prima volta come dispositivo analitico e progettuale nel piano paesistico dell’Emila Romagna (Bottino 1987, p. 51) e in seguito in numerosi piani urbanistici e territoriali specialmente in ambito toscano, in conformità con il dettato normativo delle leggi regionali sul governo del territorio dal 1995 in poi (Maggio 2014; Baldeschi 2016). La chiave di volta della riflessione
9 In questo senso il concetto di patrimonio territoriale trova consonanza con quello di “patrimonio culturale immateriale”, definito come “le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità” (Unesco 2003, art. 2, c. 1). Il concetto stesso di “patrimonio culturale” è stato definito, nella cosiddetta Convezione di Faro, come comprensivo di “tutti gli aspetti dell’ambiente che sono il risultato dell’interazione nel corso del tempo fra le popolazioni e i luoghi” (Consiglio d’Europa 2005, art. 2, lett. b). 10 La letteratura sul patrimonio territoriale è molto vasta. Alberto Magnaghi, ripartendo dalle sue prime riflessioni sul tema (Magnaghi 2000, pp. 77-89), ha recentemente fornito una definizione di questo concetto tra le prime voci del suo “dizionario territorialista” (Magnaghi 2021, p. 46), sottolineando in seguito il carattere dinamico, “frattale e incrementale” del patrimonio territoriale (ibidem, p. 115). Tra le voci che hanno maggiormente contribuito al dibattitto sul patrimonio in seno alla scuola territorialista, ci limitiamo a citare Paba 2008, Dematteis 2010, Gambino 2010, Poli 2015. Nel 2013 il patrimonio territoriale è stato inserito nel “Lessico del XXI secolo” dell’Enciclopedia Treccani e definito come “insieme di elementi territoriali materiali e immateriali riconosciuto da una collettività storicamente definita come risorsa per la propria riproduzione sociale”. 11 Legge regionale toscana 65/2014, “Norme per il governo del territorio”, art. 3. La definizione è presente anche nelle “Schede d’ambito” del Piano paesaggistico della Regione Toscana http://www.regione.toscana.it/-/piano-di-indirizzo-territoriale-con-valenza-di-piano-paesaggistico.