DICEMBRE 2011
N. 0
CHE ORA È?
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DIECI e VENTICINQUE di Sara Spartà Dicembre 2011
Ore: 10.25, ora si parte da qui! Le mute lancette di quest’orologio bruscamente bloccate cristallizzano un'unica ora, un'unica data, un unico tempo, in un unico posto: Stazione di Bologna 2 Agosto 1980. Non più ticchettii colorati e regolari, non più partenze scandite né ritorni attesi, non più chiacchiere stridenti e sospiri impazienti in quella sala d’aspetto di piena estate. Nulla, solo un boato. Un boato che squarcia il Paese intero, che fa tremare l’aria, squassa le dimore, sconquassa gli animi, distrugge vite. È questo che segna quell’ora. Una pagina strappata assieme a molte altre di questo grande libro che si chiama: Italia. “Una cosa straziante” commenterà il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, la voce strozzata, stroncata come la vita di quelle ottantacinque vittime, protagoniste casuali e forzate del più atroce atto terroristico del dopoguerra. Il più grave, certo, ma pur sempre uno dei molti, dei troppi che hanno macchiato questo paese. Brandelli di corpi e cenere mista a polvere e sangue disegnano la nuova geografia dei posti e delle città. Piazze, stazioni, autostrade, quartieri interi rievocano immagini, volti, storie. Commemorano e rammentano, nelle vesti di estremismi politici, della mafia o del terrorismo, la gratuità del male per mano di uomini contro altri uomini, a malgrado degli uomini stessi. Celebrano il dolore e le lacrime degli italiani, quelli che hanno fatto l’Italia e che continuano a farla: lavoratori, madri, anziani, giovani, bambini. Onorano la dignità delle mani che hanno scavato tra le macerie, che hanno prestato soccorso, che hanno seppellito, che hanno abbracciato, che hanno consolato. Questi ultimi sono volti senza nome e senza storia che rendono vivo il senso della Costituzione, con lo stesso spirito e la stessa tempra dei loro padri, sessanta anni fa.
DIECIeVENTICINQUE è un simbolo, è un orologio interrotto che ha voglia di essere ripreso, rinnovato, rivitalizzato da giovani, da idee, da movimenti, da parole. È il simbolo di una storia, che come molte è di tutti. Che ci unisce e che da nord a sud ci rende fratelli, con la voglia di trasformare in sprone le sconfitte, e in voli le cadute. Dando valore a ciò che si è, perseguendo obiettivi che permettano ancora di parlare di morale e di etica. “Ottenere con tutte le iniziative possibili la giustizia dovuta” reso addirittura scopo statutario … che Paese meraviglioso è il nostro! Controverso e problematico, ma guardatelo dal basso, guardiamoci quali “miserabili” di questa società, guardate alla luce e alla dignità che accompagna le nostre azioni ogni giorno, al rispetto per l’altro, al saluto e al sorriso dato. Ci accorgeremo di quanto queste non siano tanto le sfumature del nostro vivere quanto i colori veri, vividi, e fermi di questa Italia. Paese offeso, umiliato, maltrattato, stuprato da gente corrotta e senza umanità, politici che hanno reso la nostra terra prostituta alle pretese d’oltreoceano, dirigenti che l’hanno sventrata, svuotata, distrutta. Pertini diceva che il miglior modo per pensare ai morti fosse quello di pensare ai vivi. Beh questo è il secondo anno consecutivo nel quale nessun rappresentante delle Istituzioni si è presentato a Bologna per commemorare i morti, dubito che stiano pensando ai vivi. È per questo che si rischia di perdere “il senso dello Stato”, come diceva qualcuno, perché “c’è uno Stato che fa senso”, in questo momento è assente. È proprio in questa assenza, che deve essere colmata, che noi siamo i nuovi umiliati, offesi, indignati, noi che dobbiamo avere e prendere voce; noi a ritagliarci uno spazio in cui poter raccontare, parlare, proporre, discutere e contare, in maniera dinamica e fresca. Questa è una fase delicata della nostra Italia, una fase in cui lo strapotere ha fatto perdere la voglia, la speranza, la fiducia e fa sentire come “gabbiani ipotetici” . Serve recuperare “lo slancio per poter essere più di sé stessi, come due persone in una: da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza ad una razza che vuole veramente spiccare il volo per cambiare veramente la vita”. Agguantare ciò che ci è dovuto, non far rattrappire il sogno, non essere “due miserie in un corpo solo”.
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C’ERA UNA VOLTA IL PCI di Beniamino Piscopo Dicembre 2011
Parlare con un vecchio militante di sinistra è un po’ come parlare con un vecchio tifoso del Napoli. Se il primo vi racconterà di Berlinguer, delle amministrative del 76 o dell’autunno caldo, il secondo inizierà a descrivervi il gol di Maradona alla Juve su punizione, quel primo mitologico scudetto dell’87 o magari del napoletano Ciro Ferrara che regala a Napoli la sua prima coppa europea. Entrambi hanno in comune quello stesso sorriso amaro, quella luce malinconica negli occhi che si ha quando si vive di ricordi, quando si ha la nostalgica consapevolezza di desiderare un passato che non ritornerà. Oggi Il Napoli lotta per i vertici della serie A, e il centrosinistra nonostante se stesso, ha buone probabilità di vincere le prossime elezioni. Ma vedere il Napoli di Maradona o votare il Pci di Berlinguer, era tutta un’altra storia, una storia fatta di passione e d’amore, nel senso più letterale del termine. A Bologna dall’8 al 23 Ottobre, nella biblioteca Salaborsa, è stata allestita una mostra per ricordare i novant’anni dalla fondazione del Partito comunista italiano. È un esibizione discreta, sobria, in un piccolo interrato della biblioteca. Uno stile lontano anni luce dalle fanfare e dalle oceaniche bandiere rosse che accompagnavano gli eventi legati al Pci, qui a Bologna. Eppure c’è un che di magnetico in questa piccola mostra che si avverte appena vi si mette piede. Avvolti da un silenzio religioso, quella passione, passa da
concetto astratto a qualcosa di percepibile. La respiri, la senti scorrere lungo la schiena mentre lo sguardo iperstimolato, schizza imbizzarrito da una parte all’altra, ansioso di catturare ogni minimo dettaglio. Come quando si è bambini in un museo di dinosauri, l’immaginazione lavora frenetica, inizia a farsi domande, a provare nostalgia per situazioni mai vissute. Sono nato l’anno esatto in cui le basi, sulle quali questo mondo si reggeva, sono crollate. Due anni dopo il Pci si è sciolto. La storia aveva decretato il fallimento del comunismo, prenderne atto era doveroso. Si può invece discutere sui modi in cui si sviluppò la svolta del 91. Ciò che fece percepire la nuova classe dirigente ex Pci\Pds, fu la fastidiosa impressione che si cercasse di cancellare in fretta e grossolanamente la propria identità, come un latitante che tenta una plastica facciale per non essere riconosciuto. E ciò che forse ha fatto più male ai milioni di orfani del più grande partito comunista d’occidente, non fu lo strappo in se, quanto il veder considerata una colpa ciò che si era stati con orgoglio per decenni. Ma la storia del Partito comunista italiano va oltre il comunismo, è una storia fatta di resistenza, Repubblica, Costituzione, uguaglianza, giustizia, dignità. Va difesa come una delle pagine politiche più belle e preziose del nostro Paese, cosi come fu dolorosa quanto inevitabile la svolta della Bolognina. È quello che oggi fa questa mostra, nessun revisionismo. Soltanto il tentativo di rendere giustizia a un passato ingiustamente calpestato. Un occhiata in Salaborsa vengono a darla in parecchi, tanti ragazzi e ovviamente gli anziani, questa mostra è soprattutto per loro. Passeggiano lentamente tra i padiglioni, ripensando ai tempi in cui si chiamavano compagni, per loro il Pci era una famiglia, una certezza. Mi ricordano mio nonno, un artigiano in pensione con la quinta elementare. Lui era allo stadio San Paolo ad esultare, quando il Napoli vinse il suo primo scudetto contro la Fiorentina. Esattamente tre anni prima, partecipava commosso ai funerali di Berlinguer, in piazza San Giovanni. Una volta gli chiesi, confuso dai noiosi discorsi che ascoltavo in tv, quale fosse la differenza tra destra e sinistra. La sua risposta mi sorprese, fu una risposta da quinta elementare, una risposta da bambino, di quelle tanto ovvie quanto straordinarie. La destra è io, la sinistra è noi. - Pag. 02
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VOCE A CHI NON NE HA, QUASI MAI
Intervista a Martina Fabbri, studentessa coinvolta negli scontri del 12 ottobre a Bologna di Novella Roosania Dicembre 2011
Cosa è successo il 12 Ottobre? Il 12 Ottobre si è cercato di organizzare una manifestazione in tutta Italia, non solo a Bologna, per esprimere in modo chiaro la contrarietà di una parte nutrita della popolazione alle soluzioni imposte per uscire dalla crisi. L'idea era quella di trovarsi davanti alla sede locale di Banckitalia per rimandare al mittente la lettera che Trichet e Draghi avevano scritto al premier Silvio Berlusconi, sulla falsa riga del comunicato a sua volta mandato in Europa qualche settimana fa. Le proposte indicate erano: privatizzazioni, liberalizzazioni, svendita del patrimonio pubblico, maggiore concorrenza fra le imprese, libertà di licenziamenti e così via. Il concentramento era previsto in Piazza Cavour alle 11. Chi ha partecipato alla manifestazione? La composizione della piazza era varia: molti studenti di vari collettivi e non solo. L'incontro è stato organizzato da alcune realtà del movimento bolognese riuscendo comunque ad attirare molte altre persone. All'arrivo erano già presenti i poliziotti? Si, davanti all'ingresso della Banca, con il cancello chiuso, c'era un contingente di carabinieri e polizia. Ai lati della piazza, lungo via Farini e presso via XII giugno, altre forze dell'ordine in un numero davvero eccessivo per un assedio simbolico. Qual era l'obiettivo? Solo entrare per consegnare la lettera al Direttore! Ma nessun dialogo è stato possibile, ovviamente. Non c'è stata alcuna disponibilità all'ascolto. Le uniche risposte sono state le cariche fin troppo violente delle
forze dell'ordine. I primi a partire sono stati i reparti posti davanti al cancello della banca, sotto i portici, che ha respinto i manifestanti sulla strada. Poi, da un lato, si è mossa un'altra carica presente in via XII giugno che ha colpito i gruppi laterali. Un gesto totalmente inutile: davanti al cancello si erano già dispersi tutti. Tu dov'eri? Io non mi trovavo davanti ma proprio sul lato. La dinamica della seconda carica è stata identica: prima hanno respinto chi si trovava davanti al cancello spostandosi, poi, sui lati dove è arrivato un reparto di poliziotti in corsa. È qui che sono stata colpita. Come mai non sei scappata? Non c'è stato tempo? Non mi sono accorta che erano arrivati: c'erano delle persone davanti a me. Ho visto un'ombra scura e ho capito che le cariche erano molto vicine ma oramai non avevo più nessuno davanti. Ho cercato di girarmi per indietreggiare ma in quel momento mi è arrivato il colpo in faccia. Ho toccato la bocca con le mani e ho visto del sangue sopra. Sono stata spinta indietro così da uscire dagli scontri. La polizia continuava imperterrita a picchiare la gente avanti a me. I soccorsi sono stati immediati? Assolutamente. Mi hanno portato subito del ghiaccio e dell'acqua. Bevendo ho sputato dei pezzi di incisivi che avevo in bocca e molto sangue. Qualcuno ha chiamato un'ambulanza che dopo poco è arrivata. Io non avevo capito i danni esatti che il colpo mi aveva procurato ma la gente intorno a me aveva espressioni eloquenti. In ambulanza i sanitari mi hanno fatto attendere un po' sostenendo che dovesse salire un agente. Io, il mio ragazzo e molti altri compagni abbiamo cercato di spiegare che non era proprio il caso visto quello che mi era appena successo. Addirittura una signora, estranea ai fatti, si è messa ad urlare contro i sanitari affinché si sbrigassero data la gravità della situazione. Il referto medico attesta un livido alla spalla, il labbro spaccato in più punti e la perdita dei 4 incisivi inferiori, di cui solo uno recuperabile. Ovviamente hai provveduto a fare denuncia per l'accaduto. Si, ho depositato in questi giorni la querela. La procura di Bologna ha aperto un'indagine d'ufficio viste le lesioni gravissime e permanenti che ho riportato. - Pag. 03
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Ci sono stati dei precedenti a Bologna? Si ed è questa la cosa incredibile. Il VII reparto mobile della polizia si è distinto altre volte per violenze contro le ragazze durante le manifestazioni. Sarebbe giusto che le forze dell'ordine avessero un numero identificativo sulla divisa. Siamo uno dei pochi paesi europei a non averlo. Le violenze gratuite sarebbero, così, imputate ai reali responsabili che non rimarrebbero sempre impuniti.
Continuerai a manifestare? Quello che mi è successo non fermerà le mie idee, la mia voglia di partecipare e di mettermi in gioco. Se smettessi di fare quello in cui credo farei solo un favore a chi mi ha aggredito, pensando magari di insegnarmi che è meglio restare a casa.
È giustificabile l'uso della violenza per mantenere l'ordine pubblico? Non credo che esistano provvedimenti estremi per mantenere l'ordine. Quello che mi è successo non ha giustificazioni: colpire una persona inerme che cerca di scappare è violenza ma colpirla in faccia è un crimine. Che danni hai riportato? Ho ferite alla bocca, 4 incisivi caduti e minimo 6 mesi di cure dentistiche che prevedono riabilitazione e la ricostruzione impianto-protesica. Per un totale? Circa 8 mila euro di spese. Cosa hai pensato il 15 Ottobre davanti alle immagini di piazza San Giovanni assediata dalle violenze? A Roma non c'ero vista la mia condizione fisica ma credo che l'intervento delle forze dell'ordine sia stato fuori luogo. Nella piazza era confluite molte persone: lanciare “defender” e camionette contro la folla inerme è un'assurdità. Per tutto quello successo prima, in via Cavour e via Labicana, il punto non è distinguere fra violenti e non violenti. Credo sia piuttosto importante riflettere sulle pratiche: quando sono condivise aiutano i movimenti ma quando non lo sono possono anche distruggerli. Bruciare un auto non ha nessun contenuto politico, senza contare che chi ha portato avanti queste azioni ha messo in pericolo la gente che partecipava al corteo. E questo è terribile. La manifestazione del 15 doveva servire come presa di parola della collettività. Doveva unire migliaia di persone sotto un unico grido e permettere il confronto di società diverse. Questo non è stato possibile per colpa di pochi, troppo pochi per bloccare un corteo di 200.000 persone. in alto a sinistra: scontri a Bologna davanti la sede di Banca Italia - a destra: immagini relative alle manifestazioni degli Indignados a Roma e nel mondo. - Pag. 04
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IL CALVARIO DELLA CRISI ECONOMICA MONDIALE
Le diverse stazioni della crisi e il dialogo indispensabile per uscirne di Enzo Fragapane Dicembre 2011
Il nostro è il tempo della crisi generalizzata. Una crisi, i cui segni accomunano Europa e Stati Uniti, che a diversi livelli colpisce l’Europa e in questa parte del globo, l’area mediterranea. Bisogna cercare ragioni plausibili delle sfumature in contesti diversi, legati da analoghi destini e simili manifestazioni di protesta sociale e culturale. In un ipotetico viaggio che parte da Roma nel dicembre 2010 e si conclude a Roma nell’ottobre 2011, possiamo tracciare diverse stazioni del calvario della crisi. 1° stazione: Madrid, a maggio nasce il movimento “Indignados” che presto si diffonde in Europa e a fine estate varca l’Oceano fino ad arrivare alle proteste di Wall Street. 2° stazione: Londra, quartiere di Tottenham, l’uccisione di Mark Duggan, durante un inseguimento della Polizia, è il casus belli che vede bruciare le notti di mezza estate inglesi, trasformando l’opera di Shakespere da sogno in incubo. 3° e 4° stazione: nell’area mediterranea scioperi, cortei, e manifestazioni di esasperazione si sono verificate ad Atene e Roma meno di un mese fa.
L’attenzione politico-mediatica a Londra, Roma, Atene, si è focalizzata su vetrine, auto, molotov, transenne, manganelli. Poco si è parlato delle voci dei manifestanti di Madrid e New York. Farlo avrebbe significato interrogarsi sugli aspetti della crisi: disoccupazione, assenza di progetti di sviluppo, tagli a istruzione e ricerca, tagli a pensioni e sussidi di disoccupazione. Anche i tagli hanno una spiegazione razionale: nel dopoguerra, gli stati hanno imboccato la strada della spesa pubblica come motore della ripresa, in applicazione delle politiche economiche di stampo keynesiano. Scelta che, nei paesi in cui il ritorno sociale della politica di spesa è stata depotenziata da clientelismo, corruzione, e criminalità organizzata, ha generato la situazione di sperequazione cui si cerca ora di rimediare con una politica economica di rigore, per evitare la bancarotta. Unica via d’uscita per la politica pare modulata su tagli e applicazione sistematica della “teoria dell’etichettamento sociale”. Le istituzioni, fuori tempo massimo nella legislazione contro le speculazioni finanziarie e la corruzione, hanno necessità di spostare l’attenzione sulla minoranza dei Bleck Bloc per depistare le vere ragioni della crisi economica. Posto che la violenza va stigmatizzata, il potere legittimo dovrebbe interrogarsi sulle ragioni del disagio dei giovani, pacifici e violenti. Tocca alla politica ascoltare le ragioni dell’indignazione per attuare opportune soluzioni.
Qualche anno fa, lo storico francese Le Goff spiegava così la rivolta violenta nelle banlieu parigine: “L’ostilità dei giovani è rivolta anzitutto contro la polizia, poi contro il governo, infine contro l’insieme della società. È per questo che, sia pure in modo inconsapevole, scatenano il loro odio contro uno dei simboli del successo nella nostra società: l’automobile. L’atto simbolico della rivolta è incendiare le In ognuna delle tappe del nostro viaggio, è balzato agli macchine”. occhi della ragione come il linguaggio del day after, abbia avuto come vocaboli imprescindibili: “violenti”, “facce Dunque la violenza come strumento di rivendicazione d’angeli”, “figli di papà”, “criminali”. Vocaboli utilizzati dalla per portare al vaglio dell’opinione pubblica un disagio politica e dai mass media per catalogare, incasellare, celato. Il primo immancabile passo deve essere il dialogo imbrigliare, le manifestazioni di disagio sociale di una tra cittadini e istituzioni e non il linguaggio della divisione generazione. sociale. - Pag. 05
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PROFESSIONE: GIOVANI di Marialaura Amoruso Dicembre 2011
Lo scorso 13 Ottobre, a Bologna si è tenuto il seminario dal titolo “L’inclusione attiva dei giovani”, organizzato dall’Istituzione per l’inclusione sociale e comunitaria “don Paolo Serra Zanetti” del Comune di Bologna. Il capoluogo emiliano fa parte di EUROCITIES-NLAO, una rete dinamica di nove città europee - Birmingham, Brno, Copenhagen, Cracovia, Lille-Roubaix, Rotterdam, Sofia e Stoccolma ognuna delle quali ha istituito un Osservatorio a cura della Autorità Locale (LAO) all'interno della propria amministrazione, svolgere attività di ricerca in merito all'attuazione delle strategie di inclusione attiva a livello locale. Dal seminario sono emersi i dati relativi al tasso di disoccupazione giovanile in Italia: nella fascia 15-24 anni si è passati dal 25,4% nel 2009, al 27,8% del 2010, fino ad un ultimo 29,3% registrato lo scorso Settembre. Nella provincia di Bologna nel 2010 il dato registrato per le donne corrisponde a un 30,9%, per gli uomini 27,8%. Come già avvenuto nel Regno Unito, anche l’Italia è interessata dalla crescita dei “neets” ("Not in Education, Employment or Training"), giovani che al momento non studiano e non lavorano e che nella fascia 15-18 anni, costituiscono orma il 10%. Altrettanto preoccupante è il dato che concerne la dispersione scolastica: a Bologna il 17% dei ragazzi registra un fallimento nel passaggio dal
1° al 2° anno nei licei, mentre il 18% degli iscritti agli Istituti Professionali sembra destinato all’abbandono del proprio percorso formativo. PROFESSIONE: GIOVANI! E’ per questo che le città come quella “felsinea” si trovano nella situazione di affrontare delle vere e proprie sfide per mettere in campo attività che favoriscano l’inclusione attiva dei giovani. Cosa si può fare in un quadro così delineato? Si potrebbe iniziare prendendo in considerazione quelle che in Europa costituiscono già esempi di buone pratiche con l’attuazione di politiche preventive. Nel caso dell’abbandono scolastico, per esempio a Rotterdam, Roubaix e Stoccolma, è prevista la figura dell’intermediario che interviene tra genitori, studente e insegnanti quando si verificano allarmi che precedono l’abbandono del percorso di studio, al fine di recuperare il percorso formativo dello studente. Un’altra strada potrebbe essere quella di favorire l’imprenditoria giovanile, prevedendo l’educazione all’imprenditorialità quando i giovani sono ancora a scuola, come già avviene a Stoccolma. Per tutti coloro che stanno affrontando il proprio percorso di maturità in questo periodo storico, occorre continuare a lottare studiando, migliorando le proprie competenze per affinare le proprie professionalità, perchè se è confermata la teoria di Fromm per cui l’individuo si riconosce adulto quando è in grado di accettare di impegnarsi nei compiti che la società gli riconosce e gli conferisce, risponderanno di essere già ben avviati nel processo verso il “diventare adulti”.
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LA FESTA DELL’ARTE È NELLE STRADE!
Dalla Francia in tutta Europa il motto è: riprendiamoci l’arte, riprendiamoci le città! di Marialessia Ferrara Dicembre 2011
Artisti di tutta Italia siete invitati a partecipare a “La Fête de l’art dans ta rue” (festa dell’arte nella tua strada), un’iniziativa promossa dall’artista francese Sébastien Russo, che si svolge in tutte le strade d’Europa a partire dal 28 ottobre fino al 12 febbraio 2012.
patrimonio artistico-culturale che viene concepito come appannaggio di una élite (il giovane francese si riferisce al proprio paese ma la questione può facilmente essere estesa anche al nostro). Così Sébastien, denunciando l’accaduto, ci ricorda qualcosa che troppo spesso dimentichiamo: il patrimonio culturale, di cui il museo è garante, appartiene a tutti noi. L’iniziativa parte con una pagina su Facebook, in cui gli artisti sono invitati ad esporre le proprie opere per le strade, ma inaspettatamente si ottengono risultati sorprendenti: nasce Crearte Land, un collettivo di artisti (sito internet http://crearte-land.jimdo.com/) con una più strutturata organizzazione, che in Francia è già divenuta capillare in ogni regione radunando più di 70 artisti. L’obiettivo che il collettivo si pone è quello di combattere, attraverso l’arte, ogni forma di discriminazione, nonché quello di promuovere il contatto tra artisti al fine di creare una rete di sostegno tra i vari membri. Tale obiettivo sarà portato avanti attraverso l’organizzazione di mostre che riuniscano sia artisti privi di handicap che disabili (sia tale disabilità di tipo sensoriale, intellettuale, motoria o mentale), mostrando al pubblico che la creazione artistica può cancellare tutte le differenze fisiche, intellettuali o mentali! Chiunque voglia unirsi al collettivo deve semplicemente registrarsi sul sito internet, dal quale si può anche scaricare il regolamento della manifestazione, redatto dai membri.
L’evento, dunque, non si pone come un’appropriazione “violenta” dello spazio pubblico: “La Fête de l’art dans ta rue” diventa un pretesto per rendere le città più belle e sentirle nostre ma soprattutto è un invito a riappropriarci L'idea nasce dalla rabbia. Sébastien Russo non riesce, di ciò che ci appartiene. a causa del suo handicap, a visitare la mostra di Arold Jacobs, allestita al secondo e terzo piano del museo di Tours in Francia, sprovvisto di un percorso per disabili. La rabbia si trasforma in una riflessione che tocca almeno due aspetti: il primo, più prettamente sociale, riguarda lo stato delle nostre città in materia di accessibilità per disabili; il secondo riguarda lo stato “disastroso” del a sinistra: locandina “La Fête de l’art dans ta rue” - in alto: Mimi le clown. - Pag. 07
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Stazione Bologna Centrale
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