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Beni confiscati, capiamoci qualcosa di Salvo Ognibene
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Una vita scomoda: Pio La Torre di Giulia Silvestri
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La mafia restituisce il maltolto di Peppe Rizzo, presidio Libera Unibo
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Intervista a Silvia Rigo e Giulia di Girolamo della “Rete No Name - Antimafia in movimento� di Giovanni Frascella
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Io riattivo il lavoro di Valeria Grimaldi
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Un Master sui beni confiscati intitolato a Pio La Torre di Salvo Ognibene
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Beni confiscati, capiamoci qualcosa
di Salvo Ognibene “Occorre spezzare il legame esistente tra il bene posseduto ed i gruppi mafiosi, intaccandone il potere economico e marcando il confine tra l’economia legale e quella illegale”. A dirlo era Pio La Torre, lo stesso che propose la confisca dei beni ai mafiosi. Diventò legge il 13 settembre del 1982, quattro mesi dopo il suo omicidio.
sequestro a carico di un mafioso, di norma, nomina un amministratore giudiziario che, cura i beni per tutto il processo sino alla sentenza, che può essere, di revoca del sequestro e quindi di restituzione dei beni al mafioso, o di confisca definitiva. E’ stata la Legge Rognoni-La Torre, nel 1982, a introdurre la norma che prevede la confisca dei beni frutto dell'illecita accumulazione di ricchezze provenienti dalle attività criminali mafiose. Ci sono voluti quattordici anni ed una legge di iniziativa popolare per destinare, o meglio restituire, questi beni alla società. Questo è avvenuto con la Legge 109/96 dopo che l’associazione Libera raccolse un milione di firme.
Cos’è un bene confiscato? Quanto ci costa custodirlo? Quanto rendono i beni Il terzo passo legislativo importante è sequestrati alle mafie? stato nel 2010 con l’istituzione dell'Agenzia Nazionale per Un soggetto condannato per mafia, dopo l'amministrazione e la destinazione dei una misura di prevenzione patrimoniale, beni sequestrati e confiscati alla dal sequestro sino alla confisca, viene criminalità organizzata, con sede privato dei beni mobili ed immobili principale a Reggio Calabria e con a accumulati illecitamente. Lo stato dopo capo un Prefetto. Il suo compito è quello aver emesso un provvedimento di di centralizzare la gestione dei beni
confiscati alla mafia e di verificare che i soggetti che sono risultati assegnatari dei beni, provvedano al loro utilizzo conformemente alle finalità per le quali si è proceduto alla destinazione, pena la revoca della stessa. Peccato che però quest’Agenzia non sia stata dotata sufficientemente di personale e di fondi e per questo ha già rischiato la chiusura. Adesso cerchiamo di capire qual è lo stato di salute dei 13.000 beni confiscati in Italia e intanto sfatiamo un mito, i beni confiscati possono essere venduti, anche se a particolari condizioni. Circa l’ 80% degli immobili presenta gravami tra cui i crediti garantiti da ipoteca che di fatto bloccano la destinazione per uso sociale del bene confiscato. Dal sequestro all'assegnazione possono passare anche 12 anni. Dal sequestro, alla confisca definitiva, invece, passano dai 5 ai 9 anni a causa dei lunghi tempi dei processi. Durante la fase processuale, chi paga i mutui accesi dai mafiosi? Di norma nessuno e così, con il tempo, crescono gli interessi di mora per il mancato pagamento delle rate e quando,
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a sentenza passata in giudicato, il bene entra tra le proprietà dello Stato, questo ne diventa debitore nei confronti della banca e quindi deve risolvere il mutuo, pagando.
messaggio incredibile soprattutto alle nuove generazioni “le mafie possono essere sconfitte e con i loro ingiusti tesori lo Stato produce ricchezza, da lavoro”.
Altra questione da affrontare è che buona Nel 2013 però è ancora utopia. parte degli immobili sequestrati e poi confiscati non vengono assegnati per problemi di natura Cosa bisognerebbe fare: giuridico-amministrativa, altri vengono abbandonati al loro stato di degrado, altri Istituire strumenti di finanza ancora vengono comunque utilizzati dagli agevolata e di incentivazione fiscale, stessi mafiosi o dalle loro famiglie. introdurre facilitazioni contributive per il mantenimento dei dipendenti, prevedere Per quanto riguarda le aziende (quasi un welfare per ricollocare i lavoratori in 2000), invece, queste hanno spesso vita caso di chiusura dell'attività breve, soprattutto quelle commerciali che quasi sempre sono destinate a fallire Abrogare la disciplina dovute anche al fatto che il mafioso può dell’autofinanziamento, creare un fondo dirottare la clientela. Senza la tutela dei per la gestione dei beni, utilizzare il boss molte ditte non sono più competitive, contante sequestrato e reinvestirlo negli vanno fuori mercato. Arriva lo Stato e le immobili e nelle aziende imprese affogano nei debiti. Accelerare la destinazione dei beni È il fallimento italiano della vera lotta alle gravati da ipoteca con una procedura più mafie. Oltre ad un danno economico, la semplice gestione fallimentare dei beni confiscati, comporta un danno sociale e d’immagine Stipulare dei “patti” con le banche, per quello stesso Stato che giustamente si smettere di pagare gli interessi sui mutui è impossessato di quei beni. Il tesoro vale relativi ad immobili confiscati ai mafiosi quasi 2 miliardi di euro ma non si riesce a farlo fruttare. Per colpire veramente al Formare dei veri e propri “mancuore i patrimoni mafiosi però ager”, amministratori giudiziari compebisognerebbe colpire il riciclaggio ma la tenti che siano in grado di fare il loro nostra normativa è indietro anni luce. Una mestiere fino in fondo e di programmare corretta gestione dei beni confiscati alle piani a medio e a lungo termine per le mafie darebbe fiducia e nuova linfa aziende confiscate all’anima di questo paese, darebbe un
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Creare una vera e propria “anagrafe” dei beni confiscati, monitorare costantemente i beni, segnalare le emergenze ed intervenire tempestivamente Approvare la legge d'iniziativa popolare “Io riattivo il lavoro” che ha lanciato la Cgil - per la tutela di tutti i dipendenti delle aziende sotto confisca e per garantire loro gli stessi diritti di tutti gli altri lavoratori dei settori in crisi. Queste proposte non basteranno ma sarebbe già un buon inizio.
"Omicidi come quello di Pio la Torre sono fondamentalmente da ritenere di natura mafiosa, ma al contempo sono delitti che trascendono le finalità tipiche di un'organizzazione criminale, anche se del calibro di Cosa Nostra. Qui si parla di omicidi politici, di omicidi, cioè, in cui si è realizzata una singolare convergenza di interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica: fatti che non possono non presupporre tutto un retroterra di segreti ed inquietanti collegamenti".
tra le forze dell'ordine che spararono sui braccianti, e i contadini che in risposta lanciarono sassi sui poliziotti; La Torre fu accusato di aver colpito un tenente con un bastone. Era innocente, ma rimase in
dall'indignazione dei cittadini, adottò questa scomoda legge. La legge Rognoni-La Torre entrò in vigore il 13 settembre di quello stesso anno.
Così Giovanni Falcone vedeva l'omicidio di La Torre. Ma Pio La Torre chi era?
Una vita scomoda: Pio La Torre carcere per un anno e mezzo, prima che la Nasce l'art. 416 bis. verità venisse a galla. Nasce giuridicamente per la prima volta l'associazione di tipo mafioso, ne sono Uscito dal carcere ricoprì vari ruoli tra la descritte le caratteristiche comuni agli camera confederale del lavoro e la regione ambienti in cui tutte le mafie operano: la siciliana, poi arrivò il periodo da forza di intimidazione, e la condizione di parlamentare a Roma. assoggettamento e di omertà che da questa derivano. di Giulia Silvestri Qui, Pio La Torre, continuò la sua lotta Chi viene condannato, quindi riconosciuto Spesso di lui si conosce solo la proposta, per i contadini siciliani, con la poi legge, che lo ha condannato a morte. partecipazione alla Commissione bilancio come mafioso, subisce la confisca dei e programmazione agricoltura e foreste, e beni che sono serviti per commettere il Tra gli anni '40 e gli anni '50 lottò per a quella per l'esercizio dei poteri di reato e di quei beni che ne sono il risultato l'applicazione dei decreti Gullo, che controllo sulla programmazione e o che sono il reimpiego degli introiti garantivano ai braccianti più diritti e più sull'attuazione degli interventi ordinari e illeciti. terre da coltivare, e che non venivano straordinari nel Mezzogiorno. riconosciuti dai proprietari terrieri La legge prevede anche il divieto di siciliani. Fu, prima, funzionario della In seguito fece parte della Commissione subappalto o di cottimo di opere Federterra, poi responsabile giovanile riguardanti la pubblica amministrazione, della Cgil e in seguito responsabile della antimafia, luogo in cui combatté la sua più grande battaglia. Collaborando con senza autorizzazione della stessa: divieto commissione giovanile del Pci. Cesare Terranova redasse la relazione di voluto a causa delle infiltrazioni mafiose negli appalti, una delle attività più Erano gli anni di Placido Rizzotto, rapito minoranza della Commissione, che redditizie delle mafie. e ucciso, e di Epifanio Li Puma, anch'egli spiegava i legami tra Cosa Nostra e uomini politici. assassinato: gli anni in cui i soprusi dei Grazie alla sua esperienza, accresciutasi Pio La Torre aveva avuto una grande latifondisti non erano più accettati in tra sindacati e politica, La Torre propose, intuizione, perché aveva vissuto il silenzio. Poco dopo anche Salvatore insieme a Virginio Rognoni, la punibilità cambiamento della mafia siciliana di Carnevale, che si batteva per gli stessi del fenomeno mafioso e la confisca dei quegli anni, aveva imparato a conoscerla diritti, fu ammazzato. beni per i condannati a quello stesso reato. combattendola prima dal basso, faccia a faccia, e solo dopo all'interno delle Erano gli anni delle reazioni dei L'innovazione che questa proposta di istituzioni. contadini, che guidati dai sindacalisti occupavano le terre non coltivate. Pio La legge avrebbe portato, colpì il cuore della criminalità organizzata di quegli anni, Un'intuizione, la sua, il cui testimone è Torre, nel frattempo, era diventato tanto che il 30 Aprile del 1982, dei killer stato raccolto da Libera, che con la membro del Consiglio federale del Pci, che diede il via all'occupazione delle terre uccisero Pio La Torre e Rosario Di Salvo, raccolta di un milione di firme ha portato col quale stava andando alla sede del Pci. in Parlamento, nel 1995, una proposta di stesse. Fu solo dopo l'omicidio di Carlo Alberto legge in cui si chiedeva il passo dalla Chiesa ed Emanuela Setti Carraro, successivo alla confisca dei beni ai Durante una di queste operazioni, a avvenuta i primi giorni di settembre, che mafiosi: il loro riutilizzo sociale, la loro Bisacquino, i contadini, e con loro La il Parlamento, spinto dalle proteste e restituzione alla società. Torre, furono arrestati: ci fu uno scontro
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La mafia restituisce il maltolto di Peppe Rizzo presidio Libera Unibo
Terra presta la propria esperienza su tutto il territorio nazionale. Ultima per nascita ma non per importanza “La roba non è di chi la fa, ma di chi la “Terre Joniche”, la cooperativa che dal sa fare…. Bene e per Tutti” 31 gennaio scorso ha cominciato la propria attività a Isola Capo Rizzuto e per Per riuscire a comprendere il forte valore la quale il mondo associativo di Libera economico ma in larga parte simbolico all’interno del contesto emiliano dei beni confiscati ai mafiosi riesce romagnolo si sta spendendo per un particolarmente facile citare il triste sostegno tanto economico quanto solidale archetipo di Mazzarò nella novella scritta rispetto alla costituzione di nuove realtà da Giovanni Verga più di un secolo fa. Ecco quindi che restituire il maltolto vuol spesso osteggiate dagli stessi contesti La roba, le ricchezze spesso dissimulate dire declinare sempre di più l’idea che “U sociali in cui nascono, facili a negli sfarzi dei mafiosi li ritroviamo in travagghiu è travagghiu” ovvero “Il commuoversi nei momenti tragici della tutta la loro estensione a simboleggiare un lavoro è lavoro, non si rifiuta” e che storia del nostro del nostro Paese, ma potere che esiste e che appartiene “a chi lo quindi costituire delle cooperative sociali molto meno disposti a Muoversi nel vero sa fare”. in quelle lande del Mezzogiorno, proprio senso della parola. Dovendo aspettare le morti di Pio La sui terreni un tempo di proprietà dei Da qui l’esempio di cooperative forti di Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa, solo mafiosi, determina una differenza un Impegno che va molto al di là della dall’82 siamo riusciti a vedere confiscati i sostanziale soprattutto in tempi di crisi, semplice attività economico-produttiva. beni delle mafie frutto di attività illecite. rispetto alla possibilità di vedere Nate attraverso un bando pubblico di Un esteso patrimonio di “roba” nel senso riconosciuto un lavoro vero, tutelato, volta in volta indetto dalle più verghiano del termine, spesso impenetrabile alle infiltrazioni mafiose amministrazioni comunali del luogo di abbandonato se non ancora in mano a chi laddove la sopraffazione e il malessere concerto con le prefetture infatti, queste il controllo del territorio non l’ha mai hanno soverchiato le sorti di intere attività si trasformano durante l’estate perso negli anni. generazioni. diventando veri e propri campi di lavoro e “E allora non basta confiscare. La mafia formazione per tutti i volontari che restituisca il maltolto”. E’ un monito che Il cambiamento che nei territori si è scelgono di sporcarsi le mani e lavorare riecheggia e integra una legislazione andato via via determinando nel tempo ha insieme, sotto il sole cocente d’agosto in antimafia insufficiente e d’emergenza, fatto sì che la presenza di tali cooperative quei luoghi che un tempo considerato mai di prevenzione. Da qui lo spirito che aderenti al progetto di garanzia e tutela ormai lontano appartenevano ai boss e che anima la legge 109/96 sul riutilizzo promosso da Libera abbia invertito la adesso profumano di bellezza e libertà, di sociale dei beni confiscati promossa da tendenza. A testimonianza di ciò in prima un saper fare che ha raccolto la sfida un’iniziativa legislativa popolare a cura di linea sul fronte dell’antimafia sociale lanciata da Mazzarò e che ha vinto Libera. operano le nove cooperative a cui Libera “facendo bene”, stavolta per tutti.
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Un’esigenza forte che richiama la collettività a riappropriarsi di quei beni e a frustrare quella barbara considerazione che il territorio ha della mafia, spesso coincidente non solo con quel concetto di “famiglia” a cui la cinematografia ci ha abituati, ma più incisivamente di matrigna, di ufficio di collocamento, di uno stato-mafia alternativo allo Stato, quello vero.
Intervista a
Silvia Rigo e Giulia Di Girolamo
della “Rete No Name - Antimafia in movimento” ed esiste solo quando spara: nulla di più sbagliato e il nostro territorio ne è la dimostrazione. La mafia si è fatta imprenditrice, vanta un giro d' affari milionario e raramente ormai imbraccia le armi, ma non per questo è meno letale. Negli ultimi anni si è assistito ad una proliferazione delle di Giovanni Frascella attività economiche fruttuose delle stesse impressionante: proliferazione che Chi è "Rete No Name" e di cosa si inevitabilmente ha contribuito a mettere occupa? in ginocchio l' economia pulita di uno stato intero. "Rete No Name - Antimafia in Non è facile riassumere in poche parole movimento" nasce circa 5 anni fa da un quello che cerchiamo di fare. gruppo di ragazzi, studenti fuori sede, lavoratori e non solo, provenienti da tutta Essenzialmente e molto semplicemente Italia, con formazioni diverse, con diverse cerchiamo di creare consapevolezza; lo esperienze e vissuti pregressi, che un po’ facciamo parlando con i ragazzi, entrando nel mondo scolastico, tentando di far per caso un po’ per sfida, decisero di appassionare chiunque abbia voglia di mettere insieme le forze per unirsi in un interessarsi ad un fenomeno che per la sua progetto comune. L'intento è dimostrare pregnanza non può e non deve essere agli altri e a se stessi che, anche in un paese come il nostro, credere in qualcosa, prerogativa dei solo addetti ai lavori, ma deve riguardare chiunque voglia lottare in un cambiamento, è ancora possibile per poter un domani dire con fierezza di anzi necessario. Questa l' essenza della essere cittadino di un' Italia forse un po' nostra associazione e il comune più libera dalle mafie. denominatore di tutte le nostre attività. L' antimafia, quella in cui noi vogliamo Di mafia, di mafie, soprattutto in zone credere, non è quella ricordata solo in come quella di Bologna, si parla troppo determinate occasioni, non è quella di poco, la percezione del fenomeno è facciata, ma è quella fatta di piccole scelte ancora parziale e spesso falsata. Con l' esperienza, parlando con nostri coetanei e quotidiane. non, ci siamo resi conto di quanto sia Voi avete fatto uno studio sui beni ancora fortissima l'associazione mentale per la quale la mafia fa paura, è pericolosa confiscati, cosa ne è emerso?
Nel 2011 abbiamo affrontato l’argomento "Beni confiscati a Bologna" ed è emerso un quadro abbastanza complesso. Solo in città infatti, si contano 9 immobili e 13 aziende confiscate tutte a Giovanni Costa, palermitano che negli anni 90 decise di spostare i suoi interessi economici a Bologna con la costituzione di varie società, soprattutto di costruzioni. Che ne pensate della vendita di beni? Ad oggi possono essere venduti anche se, a determinate condizioni, si era parlato di venderli con più facilità provocando delle forti reazioni… La vendita dei beni confiscati presenta delle problematiche oggettive, prima tra tutte quella del pericolo che questi beni possano essere ricomprati dai vecchi proprietari attraverso dei prestanome, una pratica già molto diffusa, creando così un circolo vizioso che renderebbe ancora più difficile l’identificazione di tali soggetti. Come ha già anticipato Giulia, questo è uno dei rischi maggiori: con il decreto semplificazioni il Governo ha istituito la possibilità per i giovani imprenditori di richiedere la gestione dei beni confiscati per utilizzarli per finalità turistiche. L' intento è sicuramente valido e meritevole, ma non sufficiente. E’ una scelta interessante, in primo luogo perché risponde ad una filosofia di utilizzo dei beni confiscati in parte innovativa e
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condivisibile: quanto viene tolto alle mafie non solo serve a depauperarle della loro forza e del potere economico, ma può e deve rappresentare un’occasione di sviluppo, infatti alla perdita per le organizzazioni criminali può corrispondere un aumento di produttività per l’economia sana ed un’occasione per quei cittadini onesti, per le cui attività imprenditoriali la presenza delle mafie ha rappresentato un insormontabile ostacolo. Non basta però reinserire nel circuito legale determinati beni, ma è fondamentale offrire anche strumenti ad hoc affinché vengano svolti concreti controlli su chi poi gestirà gli stessi, proprio per evitare di restituire "legalmente" i beni che con tanta fatica sono stati confiscati alle associazioni criminali. Altra problematica di grande rilievo in materia riguarda la gestione degli stessi. La normativa antimafia italiana è sulla carta molto buona ( spesso in tal senso facciamo anche scuola in ambito europeo), ma pecca poi quando la stessa
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deve essere portata a livello applicativo. Facciamo un esempio pratico inerente alla confisca di aziende: capita molto spesso di trovarsi di fronte ad attività che in mano ai boss mafiosi vantano un fatturato annuo di milioni e milioni di euro, mentre una volta che la gestione passa nelle mani statali risulta quasi inevitabile il fallimento. La ragione di ciò è facilmente intuibile: inserita all'interno del circuito legale la gestione dell'azienda deve giustamente sottostare ad alcune regole pregnanti e molto più rigide prima invece eluse e a quel punto i costi si triplicano, i dipendenti devono essere messi in regola, devono essere rispettate le normative sulla concorrenza del mercato. Inoltre non sono da sottovalutare il potere e l'influenza che il nome stesso di una famiglia mafiosa a capo di una attività economica possono sortire: venuto meno, improvvisamente, spariscono i fornitori, si dimezzano i compratori e via dicendo. Sarebbe dunque auspicabile un intervento in tal senso che renda la normativa in oggetto oltre che giusta anche concretamente efficace e non a caso da anni gli addetti ai lavori
invocano la creazione di figure altamente specializzate e preparate per la gestione dei beni in grado di trovare soluzioni alle frequenti situazioni problematiche che si creano in questi casi. Tutto ciò per ribadire che non basta sottrarre i beni ai clan se poi non si offrono gli strumenti concreti per gestirli correttamente. In caso contrario si corre il rischio che di far passare un messaggio deleterio oltre che profondamente sbagliato e cioè che la gestione mafiosa funziona, frutta e offre possibilità di lavoro, mentre lo stato non riesce a fare altrettanto 112 beni confiscati in E-r ad oggi, il 10% rispetto alla Lombardia… La situazione in Emilia-Romagna è sicuramente molto diversa da quella lombarda, regione dove la ‘ndrangheta oramai la fa da padrona in tutti gli strati della vita sociale. L’Emilia-Romagna è da sempre una terra appetitosa per la criminalità organizzata, ma in questo caso è più preciso parlare di mafie e non di mafia.
Il punto di partenza era stato avviato, nel lontano 1996, con la legge, sempre di iniziativa popolare, portata avanti da Don Luigi Ciotti, la n.109 (Disposizioni in materia di gestione e destinazione di beni sequestrati o confiscati). Ma da quel momento in poi, nonostante le numerose sollecitazioni e proposte dal basso, non si è riusciti a creare un sistema efficiente, anzi molti passi sono stati fatti nella direzione opposta. Le proposte inserite nel progetto vanno: dall'istituzione, presso l'Agenzia Nazionale, di un ufficio per le attività produttive e relazioni sindacali con l'obiettivo di sostegno alle aziende sequestrate e confiscate, soprattutto per quanto riguarda il livello occupazionale; alla costituzione della banca dati nazionale delle aziende confiscate e sequestrate per un miglior monitoraggio e tutela della posizione sul mercato; la tutela dei lavoratori vittime del sistema mafiosi, con un reddito garantito e il reinserimento nel mondo del lavoro; convenzioni con le pubbliche amministrazioni e sgravi fiscali (tutto il materiale formativo può essere trovate sul sito ufficiale dell'iniziativa www.ioriattivoillavoro.it).
IO RIATTIVO IL LAVORO ad andare avanti: punti a sfavore dello stato sociale, e tacche sempre più numerose per l'economia criminale (la più grande holding del nostro paese, con un fatturato di 170 miliardi all'anno). di Valeria Grimaldi La parola chiave è una: lavoro. Questa la proposta lanciata dalla Cigl e sostenuta da Libera, Arci, Avviso Pubblico, Sos Impresa e altre associazioni: la legge di iniziativa popolare "Io riattivo il lavoro: misure per favorire l'emersione alla legalità delle aziende sequestrate e confiscate dalla criminalità organizzata". La mafia, si sa, in periodi di crisi economica e occupazionale è la prima a rafforzarsi. Dalla disoccupazione giovanile, alle imprese che non riescono
Abbiamo un bacino di ricchezza sottoutilizzato e mal gestito: i beni confiscati. Secondo dati aggiornati a novembre 2012 (dati ANBSC), le aziende confiscate in via definitiva nel nostro Paese sono 1636: quelle sequestrate potrebbero essere dieci volte di più. Aumentate le confisce del 65% negli ultimi 5 anni, le regioni maggiormente colpite sono la Sicilia (37%), la Campania (20%), la Lombardia (12%), a dimostrazione del fatto che la criminalità organizzata si è insediata, ormai da decenni, anche nel settentrione del nostro paese. Il 90% delle aziende confiscate fallisce per l'inadeguatezza dell'attuale legislazione vigente.
E' necessario, affinchè lo strumento democratico sia pienamente efficace, come stabilito dall'art.71 della nostra Carta Costituzionale, che siano raggiunte 50.000 firme di sottoscrizione: il passo successivo, spiegano i promotori, sarà la presentazione e sollecitazione in Parlamento alle attuali forze politiche affinchè questa domanda trovi risposte concrete, e non sia abbandonata in un qualche cassetto polveroso, come troppo spesso siamo stati abituati in questi anni. "Alla prepotenza mafiosa, bisogna contrapporre un'alternativa fatta di dignità, lavoro e sviluppo. Le aziende sequestrate e confiscate possono diventare un modello per la lotta alla mafia, divenendo presidi di lavoro legale e dignitoso attraverso un impegno concreto di tutti gli attori coinvolti, istituzionali e non. Le aziende confiscate alle mafie sono un bene di tutti".
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Un Master sui beni confiscati intitolato a Pio La Torre insieme ad alcuni studenti hanno realizzato due dossier sulle mafie in Emilia-Romagna. Scaricali qui
confisca dei beni ai mafiosi come uno tra gli strumenti più efficaci di contrasto alla criminalità organizzata. Il 30 aprile 1982, Pio La Torre viene ucciso da Cosa Nostra, ma per Oggi in Emilia Romagna dei 110 beni l’emanazione della legge n. 646/1982, confiscati negli ultimi sedici anni, solo 55 cosiddetta “Rognoni-La Torre”, si di Salvo Ognibene sono stati destinati e assegnati. dovranno attendere ancora quattro mesi ed un’altra morte, quella di Carlo Alberto dalla Chiesa, Prefetto di Palermo. A completare il percorso ci penseranno la legge n. 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati, il 7 marzo 1996, voluta fortemente dall’associazione Libera e l’istituzione dell’Agenzia nazionale In Italia esiste un patrimonio che rischia Si tratta di un tesoro confiscato alle mafie (istituita con d.l. 4/2010), che si occupa l’abbandono: ville, aziende, case e terreni che non viene riutilizzato per problemi dell’amministrazione e destinazione dei edificabili. Sono quei beni confiscati alle burocratici o per mancanza di risorse e di beni sequestrati e confiscati alle mafie. mafie e condannati al degrado dalla competenze adeguate. burocrazia. Il Master è rivolto soprattutto a Il Master in oggetto si propone di formare professionisti che vogliano rivestire il Bologna, profondo sud, dove fino a pochi professionalità in grado di gestire un bene ruolo di amministratori giudiziari di beni anni fa la mafia “non esisteva”: è proprio o un’azienda dal momento della custodia e/o aziende confiscati alla criminalità qui che si è dato vita al primo Master a quello della confisca, per poi divenire organizzata, funzionari e/o dipendenti di Universitario annuale in gestione e oggetto di una richiesta di assegnazione a Enti Locali. riutilizzo di beni e aziende confiscati alle fini sociali e ritornare a produrre una mafie, intitolato a Pio La Torre. ricchezza “sana”, diversamente da come Il Master, che si concluderà a luglio, è accadeva quando era di proprietà delle iniziato lo scorso 23 novembre ed ha visto S’inserisce in quel percorso portato avanti mafie. salire in cattedra, alla prima lezione, oltre in questi anni dalla Prof.ssa Stefania che la Prof.ssa Stefania Pellegrini, anche Pellegrini, docente di Mafie e Antimafia e Al Deputato siciliano, Pio La Torre, si il Procuratore aggiunto di Reggio direttrice del Master, e dalla sua cattedra. deve la proposta di una legge che ha Calabria Nicola Gratteri ed il Dott. Negli ultimi due anni ha dato vita ad un introdotto il reato di associazione a Antonio Nicaso. Come si dice, chi ben laboratorio di giornalismo, coordinato da delinquere di tipo mafioso all’interno del comincia è a metà dell’opera. Gaetano Alessi (Premio Fava 2011) che nostro codice penale ed ha indicato la Qui per saperne di più
Per formare dei giovani professionisti in grado di gestire i beni e le aziende confiscate alla mafia.
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Stazione Bologna Centrale
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