GENNAIO 2012
N. 1
CHE ORA È?
www.diecieventicinque.it
www.diecieventicinque.it
Pag. 2
EDITORIALE di Beniamino Piscopo
Pag. 3 - 4
MARIO GELARDI: tra teatro, letteratura e impegno civile Intervista a cura di Alessandro Gallo
Pag. 5 - 6
Italia I love you, but you freak me out di Diego Ottaviano
Pag. 7 - 8
Intervista a CLAUDIO LOLLI di Beniamino Piscopo
La redazione redazione@diecieventicinque.it http://www.diecieventicinque.it/
- Pag. 01
www.diecieventicinque.it
Three imaginary boys. di Beniamino Piscopo Gennaio 2012
Erano giorni sciatti di Settembre, quelli dei corsi appena iniziati e degli esami ancora lontani. Quelli che usi per fare programmi, tirare le somme, ssarsi mete e obbiettivi poi puntualmente scazzati. O magari no, perché in quei giorni di Settembre, tre ragazzi un obbiettivo oltre a ssarlo, tra un “cosi” e un “tanto per”, vuoi vedere che l’hanno pure realizzato. Già, sembra proprio cosi, tutto vero, siamo in rete, siamo in orbita, niente scherzi, siamo un missile. Decollati! Go! “ Dieci e Venticinque” risponde presente, con quattromila visualizzazioni sul sito, a sole due settimane dalla nostra presenza in rete. Insomma, stiamo iniziando a conoscervi, e ovviamente voi a conoscere noi. E vogliamo ancora crescere e migliorare, con inchieste, interviste, fumetti addirittura. Il bilancio è positivo, eccome se lo è. Questo è il secondo editoriale mensile di “ Dieci e Venticinque”, signi ca che esistiamo e che stiamo andando avanti. Fondamentale è stato Salvatore Naso, nel realizzare un sito e ciente e ad arrangiarlo con un vestito che andasse al di la delle nostre migliori fantasie. Per non parlare dei tanti ragazzi in gamba che scrivono con noi, o del contributo prezioso, fatto di tempo, sproni e consigli, di Riccardo Orioles. A lui, che per noi è più di un esempio, va un ringraziamento speciale. Sembra incredibile se ripenso a soli tre mesi fa, quando l’idea di un giornale on-line accarezzava, ancora inde nita, le nostre meningi. Tutto è partito da Salvo, che, come un mulinello, centrifuga nella sua energia cinetica, tutto e tutti. Lui è stato il primo a crederci, da stacanovista qual è, s’è preso la briga di cercare le persone giuste e mettere su una squadra. A quel punto, vedendo “l’idea” inde nita, man mano prendere una forma, tutti abbiamo fatto incetta di entusiasmo, perché ti senti davvero coinvolto in qualcosa, solo quando inizi a crederci no in fondo.
Rosario Gennaro
mestiere, a chiedere consiglio e benedizione. Adesso siamo un giornale, siamo una band. Come i Cure, anche loro all’inizio erano solo in tre. E il loro primo album si chiamava infatti“ Three imaginary boys”. Era un album non troppo costruito, essenziale in e etti, con suoni ancora legati al punk, ma che lasciava già intravedere tutto l’immenso potenziale del gruppo. Al giornale, mi capita di pensarci la notte, mentre aspetto che venga il sonno. Mi capita di pensare non tanto alle cose ancora da fare, quanto a quelle già fatte. Penso che tre ragazzi immaginari sono diventati un giornale. E allora mi vengono in mente i versi che chiudono il primo album dei Cure, con la track che da il nome all’intero disco. “ All the night time leaves me\ Three imaginary boys \ Sing in my sleep sweet child….”
Eravamo in tre all’inizio, in quei giorni di Settembre. Io, Salvo e Novella, che ci ruzzolavamo per una Bologna ancora stordita dall’afa, e che iniziava ad essere invasa dalle prime ondate di studenti fuorisede. Ci recavamo ai campanelli delle rme importanti, degli esperti del - Pag. 02
www.diecieventicinque.it paese è una chance ma anche una difficoltà enorme proprio perchè quando si racconta ciò che è vicino è più complicato rispetto a quando lo si guarda da lontano però è anche molto affascinante trovare delle possibilità e dei modi che il teatro ti dà e utilizzare anche le peculiarità del teatro e in questo si differenzia dal teatro di narrazione che vuole essere più essenziale.Il teatro di impegno civile utilizza e vuole utilizzare tutte le peculiarità del teatro: scenografia, testo, drammaturgia, musica o almeno è il modo in cui io penso di farlo e come cerco di farlo. Il tuo rapporto con la scrittura di Roberto Saviano sia per quanto riguarda Gomorra sia per quanto riguarda Santos? Io dico sempre che la scrittura di Roberto per me è come un paio di occhiali, io guardavo la realtà della mia città, ne avevo un'opinione, poi ho conosciuto Roberto che mi ha dato un paio di occhiali e mi ha fatto definire un po' meglio le cose: capire quello che apparentemente non si vedeva e che solo chi studia veramente quello che accade può capire, non un semplice autore teatrale come me quindi mi ha aperto delle possibilità pazzesche di conoscenza, Intervista a cura di Alessandro Gallo anche di idee e continui stimoli che per tanti mesi e anni Gennaio 2012 ci siamo dati uno con l'altro con lunghissime telefonate, Mario Gelardi, classe 1968, autore e regista che si affaccia lunghissime passeggiate, erano cose fondamentali che in questo momento mi manca moltissimo, poter vivere la sul panorama del teatro d’impegno civile. città insieme a lui, scambiarci le nostre opinioni su tutto. Premio Enriquez per il teatro di impegno civile. Autore e registra della trasposizione teatrale di Gomorra. E' una specie di terreno fertile su cui io sono riuscito a lavorare attraverso le cose che m’interessavano di più, attraverso il teatro. Roberto dice sempre che prima di conoscere me aveva visto due spettacoli nel senso che io l'ho trascinato molto a teatro e ho voluto che lui si avvicinasse a questo mondoche fino a quel momento a lui era estraneo. Gomorra (Marco Ghidelli)
MARIO GELARDI: tra teatro, letteratura e impegno civile
vv nn
La genesi di Gomorra spettacolo, com'è andata avanti, com'è nata? Gomorra è nata quasi dal primo incontro nel senso che quando ci siamo conosciuto abbiamo pensato che per conoscerci meglio ognuno doveva dare all'altro quello che scrivevamo e leggendo vari articoli e vari racconti suoi, gli dissi che pesavo che si doveva fare uno spettacolo. Lui era abbastanza titubante perchè pensava che non fosse materia per farne teatro, ad un certo punto io gli ho lanciato alcune idee e lui mi chiese “come lo chiamiamo?” poi mi disse “io forse scrivo un libro lo voglio chiamare Gomorra” allora dissi per praticità chiamiamo anche lo spettacolo Gomorra. Dal quel momento uscì il libro dopo 8-9 mesi. E’ nato con grande casualità ma soprattutto senza poter ipotizzare in nessun modo quello che sarebbe accaduto, quello che racconto spesso è che si prevedeva una vendita di 5000 copie.
Che cosa è il teatro civile e cosa vuol dire fare il teatro civile oggi? Essenzialmente il tetro civile è un teatro che si prende delle responsabilità, la prima è quella di guardarsi intorno, di tenere gli occhi aperti e osservare ciò che accade nel tempo presente, tempo che viviamo, la vera quotidianità ma anche il vero contemporaneo cioè quello che accade contemporaneamente alla vita che viviamo noi. Si prende delle responsabilità perchè secondo me non deve essere di cronaca né di narrazione, deve essere civile cioè deve avere delle tesi, delle opinioni, deve portare avanti delle storie deve differenziarsi dalla cronaca e dalla Dopo Gomorra la tua collaborazione con Saviano narrazione che sono altra cosa. Negli ultimi dieci anni, è ancora viva e lo spettacolo SANTOS ne è la la possibilità di raccontare quello che accade nel nostro testimonianza. Qual'è stata la genesi di quest’ultimo - Pag. 03
www.diecieventicinque.it “Gomorra” Foto di Marco Ghidelli
teatro insieme senza per forza fare un'altra storia di crimine e di camorra, ovviamente il crimine e la città c'entra, entra dappertutto in questa storia però parte da un altro spunto che è il gioco del pallone, del calcio, libero e ribelle giocato per strada e poi ci interessava raccontare anche un fenomeno, che fino a qualche anno fa era un po' nascosta ma adesso sta diventando sempre di maggiore interesse che è l'interesse della criminalità nel calcio professionistico a livelli bassi e a livelli alti, quindi due temi ab abbastanza diversi rispetto a quelli analizzati in Gomorra per andare anche un po' oltre, cosa che pensiamo di fare ancora, pensiamo di fare una terza tappa di questo percorso.
profondamente diversa da quella che io vivevo a Napoli e mi chiedevo in che modo gli altri da fuori che potranno capire se neanche io che ci vivo non riesco a decifrarla? E da lì in poi è nato un altro lavoro.Poi io cerco di fare una grande indagine sul dolore umano e di raccontarlo, mi interessa raccontare quando arriva una tragedia in una situazione, in una famiglia, in una comunità, come quella comunità reagisce e cercare un punto di vista alternativo a quello che normalmente appare o viene subito galla, cercare un aspettato a cui nessuno ha mai pensato. Io mi faccio delle domande che vanno sempre un po' aldilà di quelle che normalmente potrebbe fare un giornalista, uno scrittore.
Percorrendo la tua attività teatrale, vediamo che ci sono dei temi a cui sei legato, la lotta contro la camorra, il calcio, la lotta contro l’esistenza violentata, abusata, tradita. Sono temi a te cari e che caratterizzano il tuo teatro quindi le tue scelte drammaturgiche e registiche? Io parto da altri presupposti, che sono essenzialmente di che sentimenti mi voglio occupare, di quali aspetti umani mi voglio occupare e poi li applico su delle storie.Il calcio mi interessa perché lo trovo una mitizzazione della realtà continua, giornaliera, quotidiana, quindi mi interessa per questo, perchè fa perdere il senno alle persone più brillanti e più apparentemente concrete della nostra società. Quando si parla di calcio nessuno capisce più niente, quindi mi diverte, da non appassionato di calcio, lo guardo da fuori e utilizzo poi il calcio in maniera metaforica, la battaglia, la guerra, gli uni contro gli altri. Poi devo dire che c'è un sentimento: l'attestazione della verità di prendersi delle responsabilità che io ho deciso di applicare alle tematiche di camorra, soprattutto di raccontare una realtà che non era quella che mi davano i giornali, non era quella che mi dava la televisione che era
Che cosa è il teatro? Non ne ho la minima idea, nel senso che per quello che mi riguarda è il modo che ho trovato per esprimermi dopo averci provato in tutti i modi con l'arte, con il disegno, con la pittura, con la narrativa, con il cinema, con la scultura alla fine, finalmente, ho trovato il modo che è più vicino alla mia natura almeno per ora credo che per ora è il teatro poi bho può darsi anche che tra 3 anni divento un sommozzatore, non lo so!
“Gomorra” Foto di Marco Ghidelli
- Pag. 04
www.diecieventicinque.it
DALL’EUROPA ITALIA I LOVE YOU, BUT YOU FREAK ME OUT di Diego Ottaviano
Carmine La Valle
paura nel cuore. Nulla è cambiato, ma tutto è così diverso. Erasmus, l’occasione per iniziare la ricerca di un nuovo ‘io’. Un occasione importante per milioni di studenti, che si gettano in una nuova società dalla bandiera diversa. Spesso Spagna, a volte Francia od Inghilterra, e chissà, se sei fortunato, ti capita di finire in Olanda, come capitò al sottoscritto nell’ormai lontano 2008. Per la precisione fu Amsterdam, furono mulini, furono coffe shop, furono turisti, furono tulipani... per la precisione fu un sogno, un sogno vissuto di petto, solitudine e tanto eccitamento. Vissi tutto pienamente, quando la carta d’identità cantava
Gennaio 2012
“Viaggiare partire viaggiare viaggiare partire viaggiare partire viaggiare partire partire viaggiare viaggiare partire partire viaggiare non fermarsi mai chilometri che sotto il culo passano e allontanano i guai..” inizia così Marco Polo di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti. Il sogno di molti, il sogno di chi vorrebbe riempire una valigia di sogni con destinazione estero. Sognare un aereo, colorarlo di immagini, suoni, voci, gente, lingue. Leggere una guida turistica spogliarne le pagine, desiderare il profumo di una nuova realtà, di una diversa cultura, di un camminare distante. Partire per un viaggio lontano, magari un viaggio di un anno, forse due... Andarsene dopo una serata di addii, bicchieri di vino rosso e osteria. Scherzare con il proprio credo e infilare nella tasca abbracci, qualche in bocca al lupo e molte pacche sulla spalla. Congedarsi conoscendo una data, quella del ritorno. Allontanarsi per studio lasciando casa. Salutare gli amici per un futuro migliore. Rompere forse con la ragazza con la paura nel cuore. Lasciare, ma con la consapevolezza di un ritorno ‘fittizio’ nella casa di sempre, tra gli stessi amici e forse senza più - Pag. 05
www.diecieventicinque.it
il numero 27 come sinonimo della voce età. Poca l’esperienza della parlata non italiana. Il mio bagaglio culturale era ricco d’Italia, di mafie, di Napoli, di Bologna, di Verona. Conoscevo il cinema doppiato. Conoscevo la splendida voce di Ferruccio Amendola come quella di Robert de Niro. Credevo in un sistema fatto di italianismi e pasta alle 4 del mattino, tra amici e racconti di vacanze. Non conoscevo il mondo al di fuori dello Stivale, al di fuori dei treni in constante ritardo, della burocrazia impazzita, paralizzata e schiavizzata dalle poltrone del ‘Non mi dimetto’. Io ‘stupido’ di una laurea triennale DAMS cinema di Bologna, pensavo di conoscere il mondo, pensavo di esser Dotto. Io Diego Ottaviano, credevo di esser un dottore in cinema, critica ed arte. Ottenuto un documento di laurea, quasi anonimo, quasi inutile, ero certo di aver conquistato sapere, finché il 18 Agosto 2008 un aereo, Bergamo-Amsterdam, della compagnia Transavia uccise in gola Mameli, il tricolore e la notte del 9 Luglio 2006. Ricordo i primi giorni. Dove agosto faceva già rima con autunno che aveva iniziato a gridare sotto forma di vento, pioggia e sciarpe colorate. L’autunno svestiva la città delle foglie che iniziavano a lievitare sulle stradine rosse, rigorosamente ciclabili e quasi sorelle delle strade gialle di Oz. L’inglese non era la mia forza. Il dialogo, la risata italiana, le barzellette ed i momenti di gloria sposati nei portici bolognesi, divennero idoli in momenti di solitudine. Conoscere la gente era facile, ed innamorarsi lo era ancora di più. Tutto sembrava più bello di casa, ma solo fin a quando il ritmo di cappuccino e cornetto iniziarono a mancare. Erasmus, che esperienza fantastica. Un modo per conoscer te stesso, un modo per conoscere che il Nepal non è solo quello di Everest e Buddismo. Un atto di coraggio per capire che la Cina non è poi tanto vicina come orchestrava un certo Bellocchio. Un modo per scoprire che Ungheria, Bulgaria e Romania sono tutto fuorché paesi che chiedono l’elemosina al semaforo, come un infelice Maroni invece vorrebbe. L’Erasmus fu un pianoforte di musiche da discoteca, da borrell all’olandese, di beerpong all’americana, di ratatouille e champagne con amici francesi. L’Erasmus fu, ed è ancora nelle mie memorie, un capitolo di voci e pensieri dalle lingue e dalle educazioni gentilmente e romanticamente
distinte. Fu la via per scoprire che ci si può innamorare di una donna che di MotherFucker e sigarette ne fa quasi una religione senza chiesa. L’Erasmus per me fu un capolavoro di Macchiavelli scritto all’estero, dove sociologismi e stereotipi muoiono al suono di una battuta irlandese di un professore che vive per imparare. Erasmus, che ‘volgarmente’ è un programma di mobilità per gli studi all’estero per studenti europei, fu la mia chiave di violino verso il mondo. Fu il passaporto per la conoscenza di me stesso e per la conoscenza dell’amore che provo verso il Bel Paese. Grazie ad una borsa di studio fui in grado di imparare una nuova lingua. Imparai ad ascoltare la gente e non la televisione. Il cinema che avevo studiato sotto l’ombra di un “Divorzio all’Italiana” prese finalmente voce. Un cin cin si trasformò prima in Cheers, poi in Prost, Saude, Gezuar ed ancora Santé o Saùde. Fu un anno bellissimo che mi aprì le porte verso una vita diversa, dove il piatto del giorno non ha il sapore della pizza della domenica, ma quello di entusiasmi e graffiti da cortile davanti ad un barbecue sotto un cielo innamorato della neve. Parlare con Melaniè, o Sean, oppure con Quiao. Ascoltare nomi originali, eleganti ed indifesi dalla pronuncia vigliacca di chi il vangelo lo conosceva per Matteo, Luca o Giovanni. Chiamare l’attenzione di un professore per gridare il nome di Michelangelo, che in quella sede era invece Michealangel. Leggere Gramsci in inglese e finalmente capirne l’essenza egemonica. Trascinarsi le mani agli occhi davanti ad una foto-sequenza di ‘paradiso’ per una lezione su Tornatore. Innamorarsi. Questo è il significato di un Erasmus. Innamorarsi di ciò che ‘casa’ offriva, ma che ora è lontano. Innamorarsi di una parola, ‘ciao’. Decidere che De André diventi il suono delle tue giornate tra biciclette e bellissime donne dai capelli angelici. Divertirsi respirando l’entusiasmo di un’avventura che altro non è che un rollercaster (montagne russe) di amori e passioni per la propria terra. Ed io che italiano lo sono di cuore e di mente, decisi di lasciarla perché come direbbero gli LCD SOUNDSYSTEM, Italia I love you, butyoufreaking me out. Oggi è ancora Olanda, come fu nel 2008. Un Erasmus di un anno divenne poi, il mio sistema di vita: “partire, viaggiare, viaggiare partire non fermarsi mai, chilometri che sotto il culo passano e allontanano i guai”.
- Pag. 01
www.diecieventicinque.it
Intervista a
CLAUDIO LOLLI di Beniamino Piscopo Gennaio 2012
perché non ci ho pensato io? “La storia siamo noi” di De Gregori. Oggi la musica cantautorale è diventata ormai un genere di nicchia. Conosce cantautori come Dente e Brunori SAS? Secondo lei sono dei validi eredi della sua generazione? No, non li conosco. Come ho già detto, ascolto poco la musica contemporanea. La sua canzone più famosa, “Borghesia” l’ha scritta nei primi anni settanta, eppure sembra essere più attuale oggi che allora. Forse perché a differenza della solita canzone politica questa è una canzone sociologica. Cioè, non parla della borghesia intesa come classe sociale antagonista ma della cultura borghese. Ed è a causa di questa cultura, che da venti anni non siamo nemmeno un paese civile normale come lo eravamo quando l’ha scritta, ma siamo qualcosa di molto peggio. Davvero oggi l’Italia, non si sa “se fa più pena, schifo o malinconia.” Hai praticamente già detto tutto tu. E il fatto che questa canzone sia cosi attuale, mi dispiace veramente molto. Adesso quando la faccio dal vivo, al verso “il vento un giorno ti spazzerà via” aggiungo la parola “forse”. Arrivato a una certa età, non credo molto in grandi cambiamenti, ma non si sa mai.
Un cliché tipico della musica d’autore è che si tratta di “ poesia” più o meno bella, accompagnata da un arrangiamento semplice e nemmeno poi cosi fondamentale. Lei è uno di quelli che invece cura la parte melodica delle sue canzoni. Anzi era molto “prog” se mi fa passare il termine. Come nasce una canzone di Claudio Lolli? Trova un giro di accordi che le piace e su di quello ci costruisce un testo, op-pure vengono prima le parole e poi la musica fa da contor-no? È vero, per me la ricerca della complessità melodica della canzone ha grande importanza, e l’aggettivo prog me lo tengo volentieri. Riguardo la costruzione della canzone, non c’è una regola, per me almeno. È un gioco a incastro. Ti viene una bella strofa e la tieni, ti viene una bella musica e fai lo stesso. La fortuna sta quando ti accorgi che le due Un’altra canzone senza tempo è “Vent’anni”. Cosa ne pensa dei giovani di oggi? cose possono combaciare. Mi fai piangere. Io ho un figlio di vent’anni, ancora Che musica ascolta? Le piace la musica di oggi? Qualche indeciso sul da farsi. È un’età molto difficile, non sai cosa preferenza in particolare? diventerai e se diventerai qualcosa o qualcuno. Oggi poi, La musica di oggi l’ascolto poco. Ascolto molta musica l’insicurezza giovanile è diventata quasi patologica. classica e il rock della mia generazione. Lei oggi va a votare? C’è qualcuno da cui si sente Oltre a lei, in Italia abbiamo avuto De Andrè, Rino rappresentato? Gaetano, De Gregori, Paolo Conte, Battiato…secondo Vendola mi piace, ha più attrattiva di Bersani che pure è lei, chi è stato il più grande? una persona che stimo. Con Nichi senti la ragione e anche Battiato è avanguardia, un’artista davvero pregevole, il cuore. anche se a volte troppo post moderno. Rino Gaetano Poi è anche un poeta. era bravissimo e mi fa piacere vedere come oggi venga C’è chi dice che con l’arte non si mangia. Che cos’è per riscoperto e rivalutato. Ma il più grande è stato De Andrè, il migliore a intercettare lei la musica? Crede ancora nel potere pedagogico della sentimenti e inquietudini di una generazione e a saperli canzone? Sarò controcorrente ma in effetti è vero, con la cultura non raccontare in musica. si mangia. Una canzone di un suo collega che avrebbe voluto Ma questo non ne svilisce di certo il valore. scrivere lei? Che quando l’ha ascoltata ha detto: - Pag. 07
www.diecieventicinque.it
Credo molto nel potere “ didattico” della canzone. In qualche modo, se produci qualcosa che fa nascere un dubbio, una riflessione, hai già svolto una funzione pedagogica. Poi perché il parlare di impegno non può essere artisticamente bello? Impegno e bellezza possono perfettamente legarsi.
Foto di Novella Rosania
Una cosa che mi ha sempre colpito di lei, è che nonostante il successo, ha continuato a insegnare lettere, come mai? Premettendo che, come ho detto prima, con l’arte non si mangia, eccetto rare eccezioni, il lavoro di insegnante l’ho sempre amato. Ho avuto classi bellissime, con le quali è nato un legame prezioso. Avevo un modo di insegnare particolare, cercavo di tirare fuori da ogni ragazzo il suo talento, come una sorta di maieutica socratica.
Volevo fare un disco molto bolognese, legato alle personalità interessanti che offriva questa città. Cosi gli dissi “ Andrè, mi fai la copertina?” e lui fu subito di-sponibile. Era un personaggio, un tipo tanto originale quanto geniale. Un giorno è venuto a casa mia, e d’un tratto ha cominciato a parlare di un nazista con l’orecchino. Io lo guardavo spiazzato, senza capirci un cazzo. Mi stava descrivendo la copertina dell’album.
Oggi emergere nella musica è più difficile che nella sua epo-ca? Negli anni 70 c’erano le radio libere, oggi che consigli da a un ragazzo che vuole provarci? Oggi c’è una maggiore facilità da un punto di vista tecnico: un gruppo di ragazzi può con 1000 euro, incidere un disco di qualità. Il problema è semmai, arrivare. Ai miei tempi c’erano le radio libere, i circoli politici, molti più canali di comunicazione. Ora la carriera artistica porta spesso a un vicolo cieco. Trovo ad esempio sbagliato che una vetrina come il “ premio Tenco” quest’anno sia stata assegnata a Ligabue, un artista già affermato e di successo. Dovrebbero invece dare visibilità ai giovani di talento.
Che farà da grande Claudio Lolli? Questa è una domanda stronza. Sono stato già grande: ora che non insegno più, ho un solo lavoro invece di due. Ho tempo per leggere, scrivere, occuparmi di musica e di qualche data. Sto scrivendo un libro, non so neanche se pubblicarlo.
Molti ragazzi, anche di talento cercano visibilità attraverso i reality. Crede che i talent show, siano davvero in grado di valorizzarli? No, e sono programmi che non ho mai seguito. Mi fanno tristezza, non creano artisti ma fenomeni “effimeri”, mode che poi passano. Ai giovani dico di andare in giro a suonare. Magari non si avranno grandi vetrine, ma è il modo migliore per crescere artisticamente e maturare.
Ha qualche rimpianto? No, sto meglio ora di quando ho scritto “Vent’anni”. La mia carriera è stata ricca di soddisfazioni. Ho avuto ottimi riscontri sia di pubblico che di critica. Sono sereno, consapevole di aver fatto della musica onesta e qualche canzone davvero bella. Non ho rimpianti, perché dovrei? Curiosità. Perché Luigi Nono è un coglione? (risata) Nella canzone “ Anna di Francia” descrivo un momento in cui i protagonisti sono all’osteria e “Luigi Nono è un coglione” è uno dei commenti che si sentono in quella cagnara. Ma non è un pensiero mio, ci mancherebbe.
Guarda la tv? Qualcosa in particolare? La tv generalmente non mi piace e la guardo poco: calcio, i Simpson e se capita, qualche film. La copertina di “Antipatici antipodi” è stata disegnata da Andrea Pazienza, com’è nata questa collaborazione? Andrea in quegli anni era ancora a Bologna. Siamo diventati amici, frequentando gli stessi locali. - Pag. 08
www.diecieventicinque.it
Stazione Bologna Centrale
Chiunque voglia interagire con la nostra redazione, inviare materiale proprio oppure per qualsiasi tipo di segnalazione, anche anonima, è possibile utilizzare l’indirizzo e-mail segnalato sotto. Un saluto particolare va a Salvatore Naso per la realizzazione del sito, ad Ida Maria Mancini per la grafica e a quanti ci hanno dato una mano in queste settimane.
VOGLIAMO RINGRAZIARTI
Esatto! Proprio te che ci stai leggendo. Grazie per il tuo tempo, grazie anche se non ti siamo piaciuti, se quello che hai letto ti è sembrato tutto sbagliato. Grazie per aver dato un senso a quello che facciamo. La redazione redazione@diecieventicinque.it
http://www.diecieventicinque.it/ percorso formativo.
- Pag. 08