"Ho visto bombe di Stato scoppiare nelle piazze e anarchici distratti cadere giù dalle finestre"
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Cos'è questo golpe? Io so di Pier Paolo Pasolini Piazza Fontana: dopo 44 anni l'unica colpevole è la bomba. di Giulia Silvestri PIAZZA FONTANA: IL RICORDO. di Irene Astorri Il processo infinito di Valeria Grimaldi Il caso Pinelli: 44 anni di misteri e complotti di Antonio Cormaci Il caso Calabresi di Danilo Palmeri Elenco delle vittime del 12 dicembre 1969 Romanzo di una strage di Beniamino Piscopo Lettera Dendena Matteo
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1968
Corriere della Sera,14 novembre 1974
Cos'è questo golpe? Io so di Pier Paolo Pasolini Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum". Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile. Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974. Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi. Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi. A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale. Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi. Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi. Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi. Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi. Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia. All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici. Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere. Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano. È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche. Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro. Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo. La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività. Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere. Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere. Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore. Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto. L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento. Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire. Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana. E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista. Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi. Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.
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PIAZZA FONTANA: DOPO 44 ANNI L'UNICA COLPEVOLE È LA BOMBA.
necessario venne procurato da un gruppo di estrema destra. Le informazioni su ciò che le Brigate Rosse scoprirono sono parziali, perché negli anni seguenti alla loro scoperta furono perse, e forse distrutte erroneamente, dopo essere passate attraverso varie procure e tribunali. Un'altra volta, dati fondamentali per scoprire la verità su una delle tante stragi avvenute nel nostro Paese, vennero misteriosamente persi o distrutti.
ex appartenente a Ordine Nuovo. Parlò di un'alleanza tra le istituzioni e Ordine Nuovo. Il Servizio di Sicurezza, attraverso infiltrati in gruppi terroristi e sovversivi, raccoglieva informazioni che venivano mandate all'Ufficio Affari Generali di di Giulia Silvestri Roma: questi dati venivano filtrati (e a volte modificati) prima di arrivare alle "Nessuno è Stato": è il titolo del libro di procure e agli uffici periferici; fu proprio Fortunato Zinni, uno dei sopravvissuti alla nella sede milanese di questo Ufficio che strage di Piazza Fontana. Il 12 dicembre venne decisa a tavolino la colpevolezza 1969 la bomba uccise 17 persone. degli anarchici, in merito a Piazza Esatto, la bomba; non le persone che Fontana. lasciarono quell'ordigno all'interno della Vinciguerra rivelò che le stragi, iniziate il Banca Nazionale dell'Agricoltura, perché 12 dicembre, avrebbero fatto parte di un i processi non hanno restituito nessun tentato colpo di stato. L'obiettivo era colpevole, ma depistaggi e omissioni da quello di far ricadere la colpa sull'estrema parte dello Stato, e non solo. sinistra e dichiarare, dopo la Ecco perché "Nessuno è Stato" è anche manfestazione del 14 dicembre 1969 una frase che racchiude l'assenza e le dell'MSI (poi non colpe delle istituzioni, nella strage che tenutasi), alla quale fece da apripista alla strategia della avrebbero tensione. partecipato militanti di estrema destra e Rispetto a questa tragedia ognuno ha la che avrebbe sua verità. provocato disastri e Esiste la verità giudiziaria, che portò incidenti, lo stato all'assoluzione da parte della Cassazione d'emergenza. penale, di tutti gli imputati del primo processo. Il secondo processo, con altri Persino le Brigate imputati, si concluse con la loro Rosse, hanno la loro assoluzione per insufficienza di prove; la verità. Le BR sentenza della Corte d'assise d'appello, svolsero varie però, riconobbe colpevoli i neofascisti inchieste sulle stragi Franco Freda e Giovanni Venutra, vicini a di quegli anni e Ordine Nuovo, anche se non più giunsero a processabili perché assolti in via conclusioni diverse definitiva precedentemente. da quelle portate in Colpevoli, ma non punibili: la verità tribunale: l'attentato giudiziaria ha fallito e complice di questo fu organizzato dagli fallimento fu lo Stato. anarchici, che "Nessuno è Stato", dunque, per una volevano effettuare magistratura claudicante a causa dei vari un atto dimostrativo depistaggi perpetrati da più parti, a ma si confusero piazzare l'ordigno alle 16:37 di quel sull'orario di Venerdì pomeriggio. chiusura della Banca; l'esplosivo e Esiste la verità di Vincenzo Vinciguerra, il materiale
Anche questa strage porta con sé più vittime di quelle ufficiali, perché ci sono persone che sono morte in circostanze poco chiare, persone che sono state uccise, persone che non hanno avuto giustizia. Tra queste ultime ci sono i sopravvissuti: oltre ai morti ammazzati dalla bomba e ai loro familiari, ci sono coloro che erano all'interno della Banca alle 16:37 di quel giorno e che oggi sono ancora qui, con quella ferita ancora aperta e che nessuno ha saputo sanare.
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È soprattutto per loro che oggi ricordiamo ancora Piazza Fontata e continuiamo a chiedere qual è la verità su quel giorno: vogliamo sapere chi ha piazzato quella bomba, oggi unica colpevole certificata, e perché.
PIAZZA FONTANA: IL RICORDO. La memoria della strage, confronto fra due generazioni di Irene Astorri <Il 12 dicembre 1969 era una giornata particolarmente nebbiosa, cupa. All’epoca Milano era ancora riscaldata con il carbone, perciò il grigiore era molto più evidente rispetto ad oggi.> Così inizia il racconto di Franco B, un signore milanese che il giorno della strage aveva quattordici anni. <Quel giorno ero in Piazza del Duomo, vicino a Piazza Fontana. Mi ero recato lì con un amico per comprare dei dischi. Il botto, il rumore dell’esplosione è arrivato all’improvviso, potentissimo. Nei dintorni ha tremato un po’ tutto. È stato impressionante. Poi ho sentito le sirene della polizia. Inutile dire che ero spaventato, nessuno sapeva e capiva cosa stesse succedendo, intorno c’era solo il caos. A differenza di altre persone che si diressero verso la fonte del rumore, io tornai a casa. Ma questo non mi impedì nei giorni successivi di vivere nella paura. Tutta Milano rimase sconvolta dall’evento. Il datore di lavoro di mio padre chiuse la fabbrica il giorno dopo per far partecipare tutti ai funerali.> L’esplosione avvenuta fu solo la prima della giornata: oltre alla bomba scoppiata nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura (in cui rimasero uccise diciassette persone e ferite ottantotto) ne venne rinvenuta una seconda (inesplosa) sempre a Milano, presso la Banca Commerciale Italiana; nello stesso giorno a Roma ne esplosero altre tre. Cinque attentati terroristici avvenuti in meno di un’ora nelle due maggiori città italiane. La Strage di Piazza Fontana fu il primo attentato, di centoquaranta, che dette inizio alla cosiddetta “Strategia della tensione”. Un periodo cupo che copre gli anni tra il 1968 e il 1974. <Io per la Strage di Piazza Fontana utilizzerei il termine Strage di Stato.> Dice Davide L, studente di storia alla Statale di Milano e militante di “Sempre
in Lotta”. <È stata una strage compiuta da un gruppo di neofascisti. Chi li manovrava? A chi faceva comodo quella strage? La mia risposta è: lo Stato italiano, nella persona di quegli elementi interni al sistema che depistarono le indagini. In quel periodo in Italia c’era il “sessantotto”, un movimento che chiedeva un cambiamento radicale. Allora lo Stato ha usato provocatori fascisti per creare tensione nel Paese e convincere il popolo che solo le Istituzioni borghesi potevano garantire una vita tranquilla.> Inizialmente furono fermate un’ottantina di persone che gravitavano attorno ad elementi estremisti, ma in seguito le indagini si concentrarono su un gruppo di anarchici, tra cui spiccano i nomi di Pinelli e Valpreda. Tre giorni dopo la Strage, Pinelli precipita misteriosamente dal quarto piano della questura di Milano dove era interrogato. In un primo momento la Questura affermò che il suicidio fosse la dimostrazione del suo coinvolgimento, ma già le prime indagini sottolinearono diverse incongruenze. <Pinelli fu un capro espiatorio. Era un ferroviere di Milano, ma anche un leader anarchico in vista nel movimento. Venne arrestato insieme a Valpreda e, guarda un po', cadde dalla finestra della Questura di Milano, davanti ai poliziotti che lo interrogavano. Non credo possa essersi suicidato, gli agenti glielo avrebbero impedito. La definizione fu quella di 'malore attivo': Pinelli si sarebbe sentito male, arrancando fino alla finestra, e perdendo i sensi sarebbe caduto. Non ci credo.> È l’opinione di Davide. Valpreda venne arrestato il giorno dopo la morte di Pinelli, essendo stato riconosciuto da un tassista che testimoniò di averlo scaricato il pomeriggio del 12 dicembre con una grossa valigia vicino a
Piazza Fontana. Anche in questo caso però la testimonianza, in seguito ad indagini più approfondite, risultò alquanto fallace. <Ho conosciuto personalmente Valpreda una decina d’anni dopo la strage. Ha sempre avuto difficoltà a parlare della cosa e non mi sento di biasimarlo. Ma anche quel poco che ha detto, mi fa pensare che non fosse minimamente coinvolto nella vicenda.> Aggiunge Franco. Nel corso degli anni diversi processi e indagini furono portati avanti, ma senza mai giungere ad una condanna definitiva per la Strage. <Con la Strage di Piazza Fontana è iniziata la Strategia della Tensione, un modo violento per cercare di bloccare i moti di protesta dell’epoca. Quando ero ragazzo, pensavo che i colpevoli fossero gruppi appartenenti all’estrema destra. Adesso credo solo fossero persone senza scrupoli che seguivano un progetto ad ampio respiro volto ad ottenere un determinato scopo. All’epoca c’erano diverse tensioni sociali, c’erano “sin troppi” scioperi. Di sicuro molti dei disordini sono rientrati.> Continua a ricordare Franco. Al giorno d’oggi a Milano si volgono due manifestazioni annuali collegate alla Strage: una il dodici dicembre, in ricordo della stessa e l’altra il quindici, per commemorare Pinelli. <La manifestazione commemorativa fatta ogni anno dagli antifascisti di Milano, alla quale molte strutture politiche e sindacali partecipano, è stata una delle prime a cui ho partecipato, dove ho capito quale può essere la forza di migliaia di studenti e lavoratori che marciano uniti verso un obiettivo, che ci deve essere, se no la manifestazione si trasforma in un’occasione celebrativa di routine, vuota di contenuti. È in queste occasioni che bisogna spiegare cos'è il fascismo e che ruolo ha nella società. Per me alla verità sulla Strage ci siamo già arrivati, anche senza una sentenza della magistratura, ma credo sia necessario discutere di questi avvenimenti per comprenderne le cause.> Conclude il discorso Davide. Le due manifestazioni, a quarantaquattro anni di distanza, sono ancora molto sentite e partecipate dai Milanesi, dai familiari delle vittime e da tutti coloro che sperano di riuscire a recuperare la verità. Due manifestazioni dove ad imporsi devono continuare ad essere la passione civile, la memoria e la coscienza collettiva, affinché la vera verità riesca a prevalere.
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Il processo infinito adesso parte del circolo XXII Marzo a Roma. Valpreda viene arrestato il 15 dicembre, e interrogato dal giudice Vittorio Occorsio (ucciso dal movimento neofascista Ordine Nuovo il 10 luglio 1976). Valpreda ha un alibi non ritenuto di Valeria Grimaldi attendibile. Inoltre, un tassista di Milano lo riconosce come la persona che ha Il processo per la Strage di Piazza accompagnato fino alla Banca di Piazza Fontana (o per meglio dire i processi, Fontana proprio il pomeriggio del 12 visto che se si tengono in conto tutti i dicembre, proprio pochi minuti prima gradi di ogni giudizio, furono nove in dell'esplosione. Da questo momento in totale i processi celebrati per la bomba poi, Valpreda verrà riconosciuto, alla Banca dell'Agricoltura del 12 soprattutto a livello mediatico, come la dicembre 1969), viene riconosciuto come persona che ha materialmente messo la il più lungo procedimento giudiziario bomba sotto il tavolo al centro della della nostra storia; e come molti di quelli rotonda della Banca dell'Agricoltura; riguardanti i fatti della c.d. "strategia della almeno fino a quando non viene assolto tensione", dopo 44 anni è rimasta con formula piena nel 1985. impunita a livello giudiziario. Non si La seconda pista di indagine è quella di conoscono i mandanti, non si conosce chi stampo neofascista: alla questura di ha materialmente costruito e piazzato la Padova arriva un testimone, il professor bomba all'interno della banca, in quel Guido Lorenzon. Egli racconta al suo pomeriggio pre-natalizio. In realtà la avvocato delle dichiarazioni fatte da un storiografia oggi accerta con assoluta certo Giovanni Ventura, suo amico certezza che la strage di Piazza Fontana fu d'annata, piccolo editore di Treviso, una strage di matrice nera, condotta da appartenente ad un gruppo di estrema movimenti legati all'estrema destra; e chi destra con aspirazioni neo-naziste, che si addirittura la inquadra nel più grande diverte a fabbricare bombe, e che gli disegno della c.d. "guerra non ortodossa", avrebbe parlato dell'attentato a Piazza quel progetto che vedeva coinvolti pezzi Fontana. Il sostituto procuratore Pietro dei servizi segreti, movimenti eversivi di Calogero interroga Lorenzon, e apre destra e pezzi di una certa politica, per un'inchiesta, dove vengono coinvolti altri contrastare l'avanzata comunista nel due soggetti, facenti parte dello stesso nostro Paese attraverso il collasso totale gruppo di Ventura: Franco Freda, dell'ordine e delle leggi democratiche. avvocato di Padova, e Massimiliano Fachini. Il gruppo si chiama Ordine Quando scoppia la bomba, il primo Nuovo. pensiero da parte di molti è stato: sarà scoppiata una caldaia. Ma già dalle prime Per incompetenza territoriale, le indagini ore dopo la tragedia si intuisce come sulla strage vengono trasferite da Roma a quell'esplosione devastante e quella Milano: ad occuparsene sono il giudice ferocia portavano ad altre dinamiche. In istruttore Gerardo D'Ambrosio, e i realtà, già dal tardo pomeriggio di quello sostituti procuratori Luigi Rocco stesso venerdì 12 dicembre 1969, la Frasconario ed Emilio Alessandrini polizia conosce i colpevoli: gli anarchici, (anche lui ucciso il 29 gennaio 1979 dal o comunque frange dell'estremismo di movimento di estrema sinistra Prima sinistra. E' questa la prima pista di Linea). Tramite una serie di incroci e indagine effettuata, la pista anarchica; in intercettazioni sui telefoni dei tre particolare un circolo anachico viene estremisti, i pm milanesi scoprono che subito preso di mira dagli agenti: il Freda aveva ordinato, tre mesi prima della circolo Ponte della Ghisolfa, lo stesso strage, in un negozio di Bologna, 50 timer dell'anarchico Giuseppe Pinelli. Ma è ad corrispondenti esattamente ad un un altro soggetto che si rivolgono le frammento ritrovato sul luogo della attenzioni delle forze dell'ordine: Pietro strage. Inolte, risalgono all'unico negozio Valpreda, ex frequentatore della Ghisolfa, che ha venduto, lo stesso giorno, cinque
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borse Mosbach & Gruber (le stesse utilizzate per le cinque bombe esplose tutte nel pomeriggio del 12 dicembre, due a Milano e tre a Roma). Il negozio si trova a Padova. Il 13 ottobre 1972, la Corte di Cassazione dichiara che, per motivi di ordine pubblico e legittimo sospetto, il processo su Piazza Fontana deve svolgersi in un'altra località. Il processo si apre nel gennaio 1977 davanti alla Corte d'Assise di Catanzaro: 32 imputati, tra cui Freda e Valpreda; gli uomini del SID (Servizio informazioni Difesa), generale Gianadelio Maletti, il capitano La Bruna e il maresciallo Tanzilli, accusati di depistaggio; altri personaggi ambigui legati ai servizi, come il giornalista Guido Giannettini. Vengono rinviati anche Pietro Valpreda e gli anarchici del circolo XXII marzo. Vengono chiamati a testimoniare anche uomini policiti: Giulio Andreotti, Mariano Rumor e Mario Tanassi, tutti ex presidenti del consiglio o ministri della difesa. Il 23 febbraio 1979 viene emanata la sentenza di primo grado: condannati all'ergastolo Freda, Ventura e Giannettini; 4 anni e 2 mesi per il generale Maletti e il capitano La Bruna, un anno al maresciallo Tanzilli per falsa testimonianza; vengono rinviati al Tribunale dei Ministri Andreotti, Rumor e Tanassi per il segreto di stato opposto ai magistrati milanesi sul caso Giannettini; Valpreda viene assolto. Freda e Ventura non sono presenti alla lettura della sentenza: sono riusciti ad evadere dai domiciliari e a rifiguarsi uno in Costa Rica, l'altro in Argentina; vengono ritrovati e riportati in Italia poco dopo. Il 20 marzo 1981, viene emanata la sentenza d'appello: assoluzione per insufficienza di prove per praticamente tutti gli imputati del processo. Il 10 giugno 1982, la Corte di Cassazione annulla la sentenza di appello e dispone per un nuovo procedimento tutti gli imputati, tranne Guido Giannettini che viene completamente scagionato dalle accuse. Gli atti del processo cambiano nuovamente destinazione: tutte le carte vengono trasferite a Bari, per il nuovo processo d'appello. La sentenza di primo grado è del 1° agosto 1985: viene confermata l'assoluzione per Freda e
Ventura; viene dichiarata l'assoluzione con formula piena per Valpreda e Tanzilli, mentre viene confermata per La Bruna e Maletti. La sentenza viene definitivamente confermata dalla Corte di Cassazione nel 1987. Vengono celebrati altri due procedimenti a Catanzaro, a carico di Stefano Delle Chiaie (ideatore del movimento Avanguardia Nazionale) e per Massimiliano Fachini di Ordine Nuovo, coinvolti a vario titolo nella strage: verranno assolti per non aver commesso il fatto.
Un ultimo filone processuale è stato archiviato lo scorso 30 settembre da parte parte della Procura di Milano: procedimento a carico di ignoti riaperto sulla base di nuovi elementi, e che in particolare tentava di avallare la tesi della "doppia bomba" utilizzata nella strage. Pinelli e il commissario Calabresi; le "esfiltrazioni" condotte dai nostri servizi segreti; anarchici in contatto con capi dei movimenti dell'estrema destra. Sono tante le storie che si intrecciano su
Piazza Fontana: storie che ancora non hanno trovato una verità, un filo conduttore, una motivazione per tutto quel sangue, quell'orrore. Una bomba così non si era mai vista. In quella Milano, in quel 1969 italiano di grandi scontri e manifestazioni, sollevazioni popolari, ma anche di coesione sociale ed evoluzione culturale. Un'atmosfera di cambiamento stroncata da Piazza Fontana, da quella bomba, la prima delle tante altre che segneranno, per oltre un quindicennio, l'intera storia del nostro Paese.
A 18 anni dalla bomba, i processi si chiudono con un nulla di fatto. Non sono stati gli anarchici, non sono stati i neofasciti. L'intera indagine svolta fino ad allora sembra essere arrivata ad un vicolo cieco. Se non fosse che nel corso degli anni, alcuni esponenti dell'estrema destra, coinvolti per altri attentati della strategia della tensione, decidono di collaborare con la giustizia e rivelano alcuni elementi nuovi per la strage del 12 dicembre. Martino Siciliano, Franco Digilio, Delfo Zorzi, tutti appartenenti ad Ordine Nuovo. L'ottavo processo si apre a Milano nel 2000: imputati sono Zorzi, Carlo Maria Maggi (anche lui di ON), e Giancarlo Rognoni (appartenente ad un gruppo legato a ON). Ricompaiono molti protagonisti dei processi precedenti: Freda, Ventura, Maletti. Il 1° gennaio 2001, la Corte d'Assise di Milano condanna all'ergastolo Zorzi, Maggi e Rognoni: ma il 2 marzo 2004, la Corte d'appello assolve gli imputati per non aver commesso il fatto; sentenza che verrà confermata in Cassazione il 3 maggio 2005, e che condannerà al pagamento delle spese processuali le parti civili, compresi i familiari delle vittime della strage.
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IL CASO PINELLI: 44 ANNI DI MISTERI E COMPLOTTI di Antonio Cormaci
che si è sommato alle altre due bombe esplose a Roma lo stesso giorno, una A 44 anni dall’accaduto, in un freddo davanti l’Altare della patria e l’altra dicembre del 1969, ancora si sommano davanti il Museo del Risorgimento, cade teorie su teorie, complotti su complotti, anche Giuseppe Pinelli, al tempo indagato per capire, far capire, una volta per tutte, poiché membro del “Circolo anarchico cosa sia successo il 15 dicembre del 1969. Ponte della Ghisolfa”, sito proprio a Si parla della morte misteriosa, ancora Milano e poiché considerato, avvolta dal mistero, di Giuseppe Pinelli, erroneamente, già autore di altri attentati un anarchico, forse l’anarchico per poi considerati di matrice fascista. Ma eccellenza della storia italiana,capitato nel l’interrogatorio dura a lungo, più del
turbolento incedere dei fatti successivi alla strage di Piazza Fontana, del 12 dicembre 1969. Era l’autunno caldo, l’era dei “capelloni”. Come tutti sappiamo, il 12 dicembre del 1979, alle 16.37, una bomba esplode alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, a Milano. L’attentato, attribuito oggi ad alcuni militanti di estrema destra, ha cagionato 11 vittime ed 88 feriti, attestandosi come il più sanguinoso attentato terroristico della storia italiana dopo la strage di Bologna, dell’agosto 1980. Nel vortice delle indagini post attentato,
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previsto, ben tre giorni, concludendosi con quello che, ad oggi, viene considerato uno degli eventi più misteriosi della storia del nostro Paese: la morte di Pinelli che precipita giù dal quarto piano della Questura di Milano, morendo sul colpo. L’inchiesta che ne deriva, coordinata dal procuratore Gerardo D’Ambrosio, termina con una dubbiosa conclusione, che qualifica la morte di Pinelli come derivata da un malore, e che la tesi dell’omicidio è priva di alcuna consistenza, dimenticando però che il fermo di Pinelli era privo di fondamenti legali, essendo andato oltre il limite di legge di 2 giorni, per il quale al
terzo giorno Pinelli si sarebbe dovuto trovare in libertà o in carcere, ma non in Questura. Le indagini, peraltro, hanno anche escluso la presenza in stanza del commissario Calabresi, che dopo i fatti di piazza Fontana aveva preso di mira Pinelli come primo autore della strage, ed hanno considerato la morte dello stesso come suicidio, dovuto alla consapevolezza di non avere un alibi valido – che però risultò esser vero – e d’esser lui l’autore. Nella conferenza stampa convocata poco dopo la morte di Pinelli, il Questore Marcello Guida, parla di un “balzo felino ed improvviso del Pinelli verso la finestra che, dato il caldo, era stata lasciata socchiusa”. Ma questi sono i fatti “ufficiali”, fatti che, nel 1971, avevano addirittura portato ad una archiviazione del caso, riaperto da una denuncia della vedova Pinelli nello stesso anno e che si concluse nel 1975, con una sentenza che dichiarò come suicidio la morte di Pinelli e che, con una gaffe storica, si trovò in palese contrasto, tra le altre cose, con una dichiarazione di un testimone, Paolo Vallutti, presente al momento della morte di Pinelli e che dichiarò, sotto giuramento, che il commissario Calabresi era presente nella stanza. La sentenza, invece, nega categoricamente la sua presenza. Queste piccole fratture nella ricostruzione dei fatti, lasciano più sospetti che altro: una prima motivazione, forse troppo debole scientificamente ma sempre avallata da chi Pinelli lo conosceva, è di carattere psicologico; la pulsione verso il suicidio mai infatti poteva coincidere con il suo carattere. Egli, inoltre, non si sarebbe mai suicidato nemmeno di fronte l’ipotesi di ergastolo, ipotesi comunque da
centro d’equilibrio del Pinelli, facendo rovinosamente cadere dalla finestra, lasciata aperta. La vicenda Pinelli e soprattutto la vicenda Piazza Fontana, fu oggetto, successivamente, di una controinchiesta delle Brigate Rosse, inviata nel 1974 tramite VHS alla procura di Catanzaro; gli ambienti in questione consideravano deboli e prive di fondamento le motivazioni escludere data la totale inconsistenza di schiacciante di due elementi, ossia che addotte dagli organismi giudiziari e prove contro di lui. quando Pinelli cadde dalla finestra era già pertanto decisero di inviare, segretamente, Altri ancora hanno considerato il finto morto, o comunque non cosciente, e che questo materiale video, rimasto nascosto suicidio di Pinelli come una scenata nessuno si impegnò per impedire il folle per molto tempo e scoperto dai ROS solo orchestrata per provare la sua gesto, elemento contrastato dalla qualche anno dopo, nel 1980 e che, nel colpevolezza, come mezzo per trovare un dichiarazione di un poliziotto in stanza 1992. venne distrutto poiché ritenuto capro espiatorio per la strage di piazza che affermò d’avere in mano una scarpa insignificante. Secondo alcuni analisti Fontana. Lo stesso Pietro Vatilutti, del ferroviere, afferrata nel tentativo di della vicenda, la cassetta avrebbe anarchico ed amico di Pinelli, fermato bloccarlo. contenuto elementi scottanti che dalla polizia anche lui in quei giorni, Le autopsie, tuttavia, non rilevarono alcun avrebbero provato significative affermò che dalla finestra della stanza non colpo mortale attestato prima della caduta, responsabilità dello Stato in alcune delle vide passare nessuno nei minuti come gli ambienti di “Lotta Continua” più buie pagine della storia italiana. Di antecedenti al gesto di Pinelli, segno che sostenevano, ma attestarono la causa del questa cassetta, ovviamente, nessuno ha comunque dalla stanza, quella notte, decesso come malore attivo che spostò il notizia. nessuno si era allontanato; ciò contrasta fortemente con le dichiarazioni delle forze dell’ordine, e dalla risultanze di D’Ambrosio nel 1975, che dichiararono il Commissario Calabresi lontano dalla stanza. Altre incongruenze sono state rilevate sulle modalità della morte del ferroviere: numero uno, la disposizione dei mobili della stanza avrebbe decisamente impedito un “balzo felino”, così come è stato definito, del Pinelli. Inoltre, al momento della caduta – in verticale, e quindi non cagionata da un lancio, come le forze dell’ordine hanno dichiarato – non venne sentito nessun urlo; al momento della caduta rovinosa al suolo, il Pinelli indossava ancora le sue scarpe e non v’è stato alcun tentativo di protezione al volto: ciò è prova
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IL CASO CALABRESI di Danilo Palmeri La strage della Banca dell’Agricoltura, con i suoi sedici morti, segna uno spartiacque nella vita italiana. Una cosa sembra chiara: se quel 12 dicembre del 1969 non ci fosse stata Piazza Fontana, non avremmo avuto il commissario Calabresi e oggi, forse, parleremmo di un’altra Italia. La storia è andata diversamente. Infatti, poche ore dopo la strage, a Milano, vengono arrestati ottantaquattro anarchici, tra questi, Giuseppe Pinelli, animatore del circolo Ponte di Ghisolfa.Come racconta Mario Calabresi, figlio del Commissario, nel libro Spingendo la notte più in là - Storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo, Pinelli e Calabresi si conoscevano. Il 15 Dicembre 1969, negli uffici della Questura di Milano, Giuseppe Pinelli, dopo tre giorni di interrogatori muore, precipitando dalla finestra dell’ufficio del commissario Calabresi. A questo punto le cose, s’è possibile, si complicano. Pinelli si è suicidato, o è stato buttato dalla finestra? Nel momento in cui è precipitato, nella stanza dell’interrogatorio erano presenti quattro sottoufficiali di polizia e un ufficiale dei carabinieri. Calabresi non era in stanza. Anche se, ad onor di cronaca, l’anarchico Pasquale <<Lello>> Valitutti, che si trovava nella stanza vicina, ha sempre affermato che Calabresi si trovava con Pinelli quando cadde. L’inchiesta, conclusa nel 1975, escluse l’ipotesi
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dell’omicidio. Da quella domanda non chiarita, montano supposizioni e accuse. Il commissario Calabresi diventa il capro espiatorio della vicenda. Se gli anni che seguirono al sessantotto sono ricordati da Guccini come gli anni di miti cantati e di contestazioni, per De Andrè saranno gli anni del siete coinvolti anche se credete di essere assolti. Ma i toni non sempre sono pacifici e , in quel periodo, si ricordano anche i <<pagherete caro, pagherete tutto>>. Il clima sociale nel paese stava degenerando. Calabresi veniva etichettato come <<il Commissario finestra>>, cioè il responsabile della morte di Pinelli. In quegli anni Lotta Continua conduceva
contro di lui una forsennata campagna. Forse, già allora, il <<proletariato>> aveva emesso la sua sentenza: Calabresi colpevole. E fu così che il 17 maggio 1972, il vice capo della squadra politica della Questura di Milano, Il commissario Luigi Calabresi, venne ucciso davanti la sua abitazione. Due colpi di pistola. Precisi e letali. Come ottimamente ricostruito da Enzo Biagi <<Lotta Continua>> commenta le revolverate al commissario: << Gli sfruttati riconoscono in quell’atto la propria volontà di giustizia>>. Il delitto Calabresi resterà un mistero fino al 1988, poi il pentito Leonardo Marino confessa: ha fatto parte del commando che ha ucciso il commissario. Come spesso accade in Italia l’iter giudiziario è infinito. Il 24 gennaio 2000 il processo di revisione presso la Corte d’Appello di Venezia ha confermato le condanne: ventidue anni a Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani i mandanti, ventidue anni a Ovidio Bompressi esecutore materiale del delitto, undici a Leonardo Marino autista del commando. Per quest’ultimo nel 1995 il reato è stato prescritto. Ad Adriano Sofri, è stata concessa la sospensione della pena. Ovidio Bompressi ha ottenuto, nel 2006, la grazia dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Pietrostefani è, ad oggi, latitante.
ELENCO DELLE VITTIME DEL 12 DICEMBRE 1969 Giovanni Arnoldi (1927 – 1969 , Commerciante) Giulio China (1912 – 1969, Commerciante) Eugenio Corsini (1898 - 1969) Pietro Dendena (1924 – 1969, Commerciante) Carlo Gaiani (1912 – 1969, Perito Agrario) Calogero Galatioto (1898 - 1969) Carlo Garavaglia (1902 – 1969) Paolo Gerli (1892 – 1969, Imprenditore) Luigi Meloni (1912 – 1969, Commerciante) Vittorio Mocchi (1936 – 1969, Imprenditore agricolo) Gerolamo Papetti (1890 – 1969, Imprenditore agricolo) Mario Pasi (1912 - 1969) Carlo Perego (1895 – 1969, Pensionato) Oreste Sangalli (1920 -1969, Imprenditore agricolo) Angelo Scaglia (1908 – 1969, Imprenditore agricolo) Carlo Silvia (1898 – 1969, Rappresentante di commercio) Attilio Valè (1917 – 1969, Imprenditore agricolo)
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Romanzo di una strage
di Beniamino Piscopo Marco Tullio Giordana con Romanzo di una strage è tornato al cinema che sa fare meglio, quello d'inchiesta storicamente collocato. Stavolta a essere raccontata con piglio giornalistico ma foscamente noir, è l'ora in cui l'Italia fu trascinata negli anni di piombo, la strage di piazza Fontana a Milano del 1969. Il film che prende il titolo da un noto articolo di Pasolini comparso proprio nei giorni di piazza Fontana sul corriere della sera, racconta e intreccia le storie del commissario Calabresi, l'anarchico Pinelli, il fascista Valpreda, cercando di offrire più che un film, una verità storica, una certezza che nessun processo ha mai saputo dare, su Piazza Fontana come su altri misteri italiani. Un film che fa dell'asciuttezza la propria cifra stilistica, un timbro che trascina sia i tempi narrativi, più che altro da cronaca di prima pagina, sia le ottime interpretazioni ( Favino, Mastrandea, Tirabassi). Vi si adegua anche la regia con una fotografia nera e angosciosa, a fare da monito e campana degli imminenti anni di piombo, e forse, a fare da omaggio al noir americano, da quello di Haward Huges a Chinatown, con un improbabile eppure perfetto Mastrandea in quel ruolo che fu di Bogart e di Nicholson, quello dello sbirro condannato a scoprire una verità che a nessuno potrà raccontare. Scelta vincente dunque, quella di raccontare piazza Fontana
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come un noir, perché di noir ne è in fondo piena la storia italiana. Piazza Fontana ne inaugurò la stagione, e il primo a improvvisarsi sbirro alla Bogart, fu Pasolini con il suo “ io so ma non ho le prove.” Sentimento che nel film è cucito sulla pelle di molti personaggi, tra cui appunto quello di Mastrandea. Trascorsi quarant'anni da quei fatti, il film di
Giordana non è solo un bel film, rigoroso e curato, ma riesce a riportare a galla qualcosa, dei resti, frammenti di risposte, nel mare di menzogne che circonda l'Italia. E bisogna fare presto, metterli a riparo, prima che quei resti si inabissino ancora. Io so, diceva Pasolini, grazie al film di Giordana sapremo tutti, e anche stavolta ci sembrerà di non avere le prove.
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Stazione Bologna Centrale
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