Numero 21 gennaio 2014 (Un uomo)

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Lo spirito di un giornale (ultimo intervento da direttore de Il Giornale del Sud) di Giuseppe Fava Giornalismo? E' vivo e abita qui di Ester Castano I Siciliani, perché? 1983

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I Siciliani perché? 1984

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Allonsafan parte seconda

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I Siciliani, perché? Dicembre 2011

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I Siciliani, trent’anni (più due) di libertà di Salvo Ognibene L'anima della Sicilia di Riccardo Orioles L'uomo dei Siciliani di Giancarla Codrignani L’opera di Pippo Fava vive ancora: la Fondazione Fava. di Antonio Cormaci Giuseppe Fava. Verso il cinema. di Giuseppe Spina Passione di Michele di Valeria Grimaldi Quando parliamo di mafia di Giuseppe Fava Un Uomo

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Ultima intervista

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La redazione: redazione@diecieventicinque.it http://www.diecieventicinque.it/

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LO SPIRITO DI UN GIORNALE

(ultimo intervento da direttore de Il Giornale del Sud) 11 ottobre 1981 Nell’ultimo intervento da direttore de Il Giornale del Sud, una risposta ad una missiva che inaugurava la rubrica delle lettere al direttore, Pippo Fava illustra le radici, i punti fondamentali sui quali si deve costruire un Giornale. Lo spirito di un Giornale in poche parole. Il giorno dopo questa replica Fava verrà licenziato. Da qui nasceranno “I Siciliani” 11 ottobre 1981 LO SPIRITO DI UN GIORNALE Giornale del Sud, 11 ottobre 1981 Caro direttore, Siamo tre catanesi, per l’esattezza un magistrato, un medico e un avvocato. Diciamo anche che siamo giovani e che ci lega un’antica consuetudine di studio e di sport. Insomma, nonostante ci è rimasto il gusto intatto di discutere, anzi di affrontarci e confrontarci su tutti i temi. Per ulteriore precisione, diciamo di appartenere a tre concetti politici diversi il che, senza mai ferire l’amicizia, rende i nostri incontri particolarmente combattuti. Poi alla fine, esauriti tutti gli argomenti possibili, naturalmente ognuno fermo sulla sua opinione, decidiamo di andare a cena insieme (di solito questi scontri avvengono nel tardo pomeriggio di sabato). Un’ultima precisazione: siamo tutti e tre sposati e nessuna delle rispettive mogli a d’accordo con il marito. Men che meno in politica. Ebbene ci è accaduto per ben tre volte, nell’ultimo anno, di litigare accanitamente sul Giornale del Sud. Non era tanto un contrasto sullo stile tecnico del giornale, cioè sulle capacità culturali e professionali dei giornalisti che vi lavorano, (e che noi immaginiamo quasi tutti molto giovani, forse per questo talvolta ingenui e comunque sempre molto combattivi), quanto sui contenuto, meglio sul significato politico del Giornale del Sud. Su un punto siamo stati tutti e tre d’accordo (ed eccezionalmente): il Giornale del Sud, è un foglio con una personalità precisa. Noi vogliamo qui riferire le nostre opinioni su questo

significato politico. Vorremmo che fosse lei a definirlo, nel modo più semplice. Noi riteniamo che un cittadino abbia il diritto di conoscere sempre l’identità politica di quello che legge, e un ha giornale dunque il dovere di dichiararla. *** Egregi amici. voi avete tre idee politiche diverse, e mi piace immaginare che siate un democristiano, un socialista e un comunista cioè che copriate sostanzialmente l’arco politico che conta oggi in Italia. lo sono un socialista senza mai tessera (l’ho scritto altre volte) e perciò ferocemente critico nei confronti di tutti gli errori socialisti, continuamente pieno di passione e speranze, e continuamente deluso nei miei sogni civili. Ma evidentemente la vostra richiesta non riguardava il mio ideale politico (che è comunque un fatto gelosamente personale) e nemmeno la posizione politica del giornale, che è stata chiara e trasparente fin dal primo numero, quanto quello che voi chiamate il significato e io più esattamente vorrei definire lo spirito politico del Giornale del Sud. Una identità nella quale non gioca più la politica intesa nel senso grossolano del termine, ma il concetto di politica come criterio morale della vita sociale. Da questa prospettiva io posso serenamente e subito affermare che lo spirito politico di questo giornale è la verità. Onestamente la verità. Sempre la verità. Cioè la capacità di informare la pubblica opinione su tu/lo quello che accade, i problemi. i misfatti, le speranze, i crimini, le violenze, i progetti, le corruzioni. I fatti e i personaggi. E non soltanto quelli che hanno vita ufficiale e

che arrivano al giornale con le loro gambe, i comunicati, i discorsi, gli ordini del giorno. poiché spesso sono truccati o camuffati per ingannare il cittadino, ma tutti gli infiniti fatti e personali che animano la vita della società siciliana, e quasi sempre restano nel buio, intanati. nascosti, interrati. Io sostengo che la vera notizia non è quella che il giornalista apprende, ma quella che egli pazientemente riesce a scoprire. Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili. pretende il funzionamento dei servizi sociali. tiene continuamente alrerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. Persone uccise in sparatorie che si sarebbero potute evitare se la pubblica verità avesse ricacciato indietro i criminali: ragazzi stroncati da overdose di droga che non sarebbe mai arrivata nelle loro mani se la pubblica verità avesse denunciato l’infame mercato, ammalati che non sarebbero periti se la pubblica verità avesse reso più tempestivo il loro ricovero. Un giornalista incapace - per vigliaccheria o calcolo - della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze. le sopraffazioni. le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento! Ecco lo spirito politico del Giornale del Sud è questo! La verità! Dove c’è verità, si può realizzare giustizia e difendere la libertà! Se l’Europa degli anni trenta-quaranta non avesse avuto paura di affrontare Hitler fin dalla prima sfida di violenza, non ci. sarebbe stata la strage della seconda guerra mondiale, decine di milioni di uomini non sarebbero caduti per riconquistare una libertà che altri, prima di loro, avevano ceduto per vigliaccheria. E’ una regola morale che si applica alla vita dei popoli e a quella degli individui. A coloro che stavano intanati, senza il coraggio di impedire la sopraffazione e la. Violenza, qualcuno disse: “Il giorno in cui toccherà a voi non riuscirete più a fuggire, nè la vostra voce sarà così alta che qualcuno possa venire a salvarvi!”.

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Giornalismo? E' vivo e abita qui

Prima era campagna, poi ci furono gli scavi, infine è arrivato il cemento. Tutti vedono, i pendolari se la raccontano incuriositi: chissà quali innovazioni, quali benefici porterà l'esposizione universale?

Ma Valerio vede di più. Le immagini scorrono veloci, come diapositive si imprimono nella memoria fotografica del di Ester Castano ragazzo. Torna a casa, scrive ciò che vede. www.stampoantimafioso.it Sa che quel cemento è cibo della “Il giornalismo è morto!”. Ah, sì? E allora perché non provate a vedere il nostro ‘ndrangheta, sa che i subappalti sono i giornalismo, quello dei giovani, quello che viene da Giuseppe Fava? Ma forse siete figli minori e prediletti delle cosche. Grazie ai Siciliani la notizia arriva alla troppo pigri per farlo... redazione di Telejato a Partinico, risale lo stivale toccando i raccoglitori d’arance di “Il giornalismo è morto”: è la frase che organizzazioni criminali straniere, sono Rosarno, passa fra le accademie ripetutamente sento pronunciare nei piani fenomeni umani e come tali hanno un universitarie di Bologna e le pagine di alti della professione. No futuro, no inizio e una fine. Diecieventicinque. A Modica c’è un speranza. Le case editrici non investono, gruppo di amici: qualcuno studia le redazioni si svuotano. “Cambia Lo disse Falcone prima della orrifica all’università, qualcuno lavora. Tutti mestiere che è meglio, va!”. strage di Capaci, lo ripetono scassano i cabbasisi ai politici locali: quotidianamente Norma da Roma, Salvo fanno nomi e cognomi, pubblicano i loro Provo una grande tristezza nel sentir da Bologna, Giorgio da Torino, Pietro da volti sulla copertina del loro giornale. pronunciare queste frasi. Segno dei tempi, Modica, Sara dalla Spagna e Antonio da sì: il mestiere di scrivere è in crisi, fra Messina. Modica è una città bellissima, la luce l’effettivo impoverimento del mercato e rischiara le facciate bianche dei palazzi di reality show che spiattellano in prima Se lo ripete Valerio passando ogni giorno pietra, la gradinata della chiesa invita il serata racconti e storie alla ricerca dell’x col treno lungo la linea ferroviaria di Rho passante a fermarsi, sedersi, contemplare factor letterario. Ma anche, e soprattutto, che da Milano centro porta in provincia: i l’esistente. Da quando quel gruppo segno di disattenzione. vagoni fluttuano veloci sui binari, fuori d’amici ha fondato il giornale il Da due anni, cari miei, l’eccellenza del dai finestrini i cantieri di Expo 2015. Clandestino Modica è ancora più bella. E giornalismo antimafioso si è fatto rivista: più libera. E più ci chiamiamo I Siciliani Giovani, gli informata. Da quando scritti di Pippo Fava sono il nostro Il Clandestino fa testamento e i luoghi in cui viviamo (tutta parte della rete de I Italia e oltre) il territorio d’azione. Occhi Siciliani anche il e penna, o meglio occhi e tastiera, le resto d’Italia – quella nostre armi pacifiche e taglienti. rete consapevole e Qui è in corso una rivoluzione attenta – conosce ciò intergenerazionale, capace di unire nord e che accade in sud, lo studente fricchettone che quell’angolo di all’università studia sociologia della trinacria: criminalità organizzata e il magistrato il Muos, i reati antimafia prossimo alla pensione. ambientali, le vittime Da una parte la freschezza e di estorsioni mafiose, l’aggiornamento continuo, dall’altra il desiderio di vita l’esperienza e un esempio costante. Un degli immigrati. giornalismo giovane sulle orme di Pippo Prima delle grandi Fava, una rete da Milano a Catania, televisioni, prima dei passando per Bologna, Napoli, Palermo. quotidiani nazionali. Una rete di redazioni e associazioni, ciascuna impegnata a smascherare, Questi sono i denunciare e combattere sistemi corrotti e Siciliani, questo collusioni del proprio territorio. Come un siamo. Da Nord a esercito di scribacchini curiosi, Sud. Chi non ci vede determinati e spiritosi, pronto a è perché non ci ha combattere. E pronto anche a vincere. voluti vedere, chi non Perché i Siciliani Giovani sono ci legge e si lamenta consapevoli che la mafia, in tutte le sue è colpevole di miopia accezioni, cosa nostra ‘ndrangheta e di scarsa percezione camorra sacra corona unita e dei tempi.

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I Siciliani, perché? (1983) I Siciliani vengono avanti nel grande spazio della informazione e della cultura, nel momento preciso in cui il problema del Meridione è diventato finalmente, anzi storicamente, il problema dell'intera Nazione. Lo spaventoso lampo di violenza, che una dopo l'altra, ha reciso la vita di uomini (Mattarella, Costa, Pio La Torre, Dalla Chiesa) al vertice della società, ha drammaticamente rappresentato e spiegato la dimensione della mafia e della sua immane potenza. Ma questo lampo ha svelato una verità più alta e tragica: la mafia è dovunque, in tutta la società italiana, a Palermo e Catania, come a Milano, Napoli o Roma, annidata in tutte le strutture come un inguaribile cancro, per cui l'ordine di uccidere Dalla Chiesa può essere partito da un piccolo bunker mafioso di Catania, o da una delle imperscrutabili stanze politiche della capitale. E dietro la mafia, quel lampo sanguinoso ha fatto intravedere altri problemi immensi che per decenni sono stati considerati soltanto tragedie meridionali, cioè, secolari, inamovibili, distaccate dal corpo vivo della Nazione e di cui semmai il Paese pagava il prezzo di una convivenza, e che invece appartengono drammaticamente a tutti gli italiani, costretti a sopportarne il danno, spesso il dolore, talvolta la disperazione. Il mortale inquinamento del territorio di Priolo, per cui migliaia di esseri umani sono stati condannati a vivere, otto, dieci anni di meno di quanto non potrebbero se vivessero altrove; la base dei missili atomici a Comiso, contro la quale, a cinquemila, sei mila chilometri di distanza, sono perfettamente puntate altre testate nucleari: entro i primi tre o quattro minuti dallo scoppio di un conflitto, mezza Sicilia e due milioni di esseri umani sparirebbero nella folgore atomica; la ferocia dilagante della camorra che, subalterna e alleata della mafia, sta putrefacendo per sempre la grande anima napoletana; l’emigrazione meridionale al Nord, che dapprima è stata soprattutto speculazione del grande capitale sulla povertà, ignoranza, disponibilità di centinaia di migliaia di infelici, ed ora nei giorni della grande recessione s'è trasformata in una grande piaga sanguinosa che assedia le grandi città settentrionali: questi problemi che la

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Nazione conosceva e che però si rifiutò di riconoscere come suoi, sono apparsi nel lampo tragico di questi ultimi mesi. Tutto quello che accade a Milano, Roma, Venezia, Torino, nel bene e nel male, appartiene anche ai meridionali, ai siciliani. Quello che accade nel Meridione e in Sicilia, il bene e il male, la paura, il dolore, la povertà, la violenza, la bellezza, la cultura, la speranza, i sogni, appartiene a tutta la Nazione.

I Siciliani giornale di inchieste in tutti i campi della società: politica, attualità, sport, spettacolo, costume, arte, vuole essere appunto il documento critico di una realtà meridionale che profondamente, nel bene e nel male, appartiene a tutti gli italiani. Un giornale che ogni mese sarà anche un libro da custodire. Libro della storia che noi viviamo. Scritto giorno per giorno.


I Siciliani, perché? (1984) Ci scusiamo coi lettori per i tre giorni di ritardo di questo numero de “I Siciliani”. Non ci scusiamo invece per l’apparente incongruità del suo contenuto. Una parte di esso è costituito dal materiale già impaginato prima del 5 gennaio e rappresenta la “normale amministrazione” della rivista: che dovevamo, comunque, al lettore. Il rimanente, legato a ben differenti condizioni ma a una eguale professionalità, non vuol essere una commemorazione né un appello ma semplicemente un promemoria di alcuni problemi della società italiana e - sullo sfondo - del contributo di un gruppo di uomini alla soluzione di almeno uno di essi. Da alcuni mesi a questa parte, il gruppo de “I Siciliani” è impegnato nel difficile compito di realizzare il salto di qualità da piccola e combattiva rivista a centro motore di una serie articolata di iniziative editoriali periodiche e librarie, che, con pari determinazione ma con ben diversa forza, contribuiscano al rinnovamento culturale dell’Isola e alla sua liberazione della mafia. È un programma nato oltre due anni fa, che sorge dalla intelligenza e dalla passione di un uomo degno di questo nome, che non conta su apporti che non siano documentabili e cristallini, e che va avanti, nella sostanza, come era stato previsto: soltanto, con un prezzo molto alto da pagare. Delle prossime scadenze di questo programma informeremo quanto prima i lettori. Ma fin d’ora sappiamo che esso cade in uno dei momenti decisivi della storia della Sicilia. Apparentemente invincibile, l’oppressione mostra le prime crepe; apparentemente slegate, molte coscienze si formano, e s'intravede una luce. Non c’interessa qui di rispondere a chi ammonisce che la mafia non esiste, a chi minaccia impaurite vendette. C’interessa rispondere al nostro compito, che è quello di dare una voce udibile e fedele alla Sicilia onesta. Che è molto più forte, e profonda, di quanto non si creda: nessuno la potrà fermare, quando saprà di se stessa. *** Un’onda grande di solidarietà ha attraversato, in questi giorni, la Sicilia. Essa si è espressa in cento episodi diversissimi fra loro. C’è stato chi, con

venti copie recuperate alla meglio e un megafono, ha organizzato - subito - una diffusione militante; che ha raccolto subito - le cinquecento, le mille, le duemila povere impagabili lire dei compagni di scuola o di lavoro: impegni di lavoro, sottoscrizioni spontanee, militanza; poche e misurate parole, ma moltissimi fatti; così il popolo siciliano ha onorato - «essendo utile a sé; e avendolo dunque compreso» - un uomo. C’è stata una famigliola, una coppia, che è venuta ad offrirsi (senza una parola di cordoglio, e non chiamata) per la correzione delle bozze. C’era un bambino con loro, un siciliano di sette o otto anni, aveva il viso emozionato e deciso, ed era il terzo

correttore. Di tutti questi episodi, nessuno è stato inutile, nessuno sarà dimenticato. Ma ora bisogna andare avanti, in modo decido e organizzato; abbiamo ben risposto all’emer - genza, ma ora bisogna programmare. Per quanto riguarda il nostro settore, abbiamo le idee ben chiare. Non vogliamo piangere, vogliamo fare. Non chiederemo ai siciliani una generica solidarietà, ma l’adempimento di precisi ed articolati compiti nel quadro della comune battaglia; e già fra breve cominceremo ad indicarne i primi, e a contare - con fiducia - sulla forza di tutti. Sappiamo di poterlo fare. I Siciliani (gennaio 1984)

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Allonsafan parte seconda Durante i suoi quattro anni di presenza in edicola I Siciliani potè contare su un gruppo di collaboratori piuttosto ampio e complessivamente omogeneo. Per alcuni di loro - Dalla Chiesa, Galasso e altri l’intervento sul giornale faceva parte di una più complessiva solidarietà e militanza antimafiosa. Per I Siciliani, quelle firme e quei contributi non furono mai semplicemente un mero contributo giornalistico: era importante, in quegli anni di fondazione, creare una sponda politica e culturale per rilanciare la sfida dell’antimafia. Fare il giornale - sia pure un buon giornale - non sarebbe bastato. I Siciliani uscirono dunque dall’ambito strettamente giornalistico per dar vita a esperienze organizzative (l’Associazione I Siciliani, Siciliani/giovani, ecc) che contribuirono in maniera non marginale al movimento civile che andò via via formandosi negli anni 80. Rispetto ad allora, la società civile è cresciuta, in Sicilia e nel resto d’Italia. Lo scontro fra le due culture – la rassegnazione e la ribellione, la prudenza e l’indignazione - s’è trasformato in una battaglia di democrazia, non più di semplice sopravvivenza: una battaglia che non è più solo palermitana e catanese, ma rappresenta un punto di riferimento vincente per l’intera nazione. Una ragione in più per comprendere che, oggi come allora, non basta fare un buon giornale: occorre fare un giornale di forti contenuti, di idee rigorose, di solida cultura, di denuncia e di progetto. Un giornale che sia uno strumento di comprensione e di discussione, di fantasia e di coerenza, negli anni difficili - ma non disperati - che il Paese va ad affrontare. Servono collaboratori, per tutto ciò. Non la firma patinata, ma l’impegno reale, il contributo di idee e di cultura di tutto un’arco di energie intellettuali. Fra il 1982 e il 1986, hanno collaborato, fra gli altri, a I Siciliani Corrado Stajano, Giampaolo Pansa, Giambattista Scidà, Pino Arlacchi, Nando Dalla Chiesa, Alfredo Galasso, Giuseppe D’Urso, Sergio Turone, “Lombard”, Aurelio Grimaldi, Gianni Allegra, Vincenzo Consolo, Goffredo Fofi, Guido Neppi Modona, Franco Cazzola, Stefano Rodotà, Ennio Pintacuda, Michele Pantaleone: sono nomi – certamente disponibili anche per

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la prossima fase del giornale - che suggeriscono già una precisa geografia intellettuale e civile. Carlo Palermo, Marco Risi, Michele Santoro, Stefano Benni, Erri De Luca, Stenio Solinas, Luca Rossi, Claudio Fracassi, Maurizio De Luca sono altri nomi che noi contiamo di poter unire ai precedenti. Sostenuti, gli uni e gli altri, dal solido impegno di una redazione di giovani, formati negli anni de I Siciliani e dai “vecchi” de I Siciliani. La diffusione de I Siciliani fu, a suo tempo, un piccolo

agile ripartizione dei compiti e dei processi produttivi e decisionali. I testi e le immagini di questo progetto grafico sono puramente indicativi. Il progetto stesso è ancora in fase iniziale, e va considerato poco più che un bozzone da elaborare ulteriormente. Le dimensioni previste (per il foglio al vivo)sono di centimetri 35 per 100. La foliazione prevista per i primi numeri è di otto pagine. Il progetto prevede una successiva espansione a dodici e poi a sedici pagine. Non è previsto, in linea di massima, l'uso del colore. L'impaginazione elettronica è stata effettuata in ambiente Macintosh, (hardware MacII Fx, software Quark X-Press 3.1 ita). I testi sono stati composti su Mac (Microsoft Word 5.0) ma è prevista la possibilità di importare testi da ambiente MsDos. Le font utilizzate sono: Franklin Gothic Heavy per i titoli e i capilettera; Edison Book per i testi; Edison Demi Bold per i neretti nei testi. Lo standard per i testi è: Edison Book corpo 9 interlinea 9. Nella fase iniziale, il giornale prevede due servizi da due pagine, basati ognuno su un pezzo principale e diversi pezzi minori gravitanti attorno ad esso. Gli amici che vogliono collaborare ai primi numeri di questa nuova serie dei Siciliani possono già farci pervenire i loro materiali, o le relative proposte: le caratteristiche tecniche di testi e immagini possono successo di mercato: il mensile, nel 1983, essere facilmente estrapolate dal presente partì con una diffusione media di 20mila progetto. Come sempre, l'impresa dei copie e un venduto che si attestava sulle Siciliani prevede non soltanto un settore 15.500, di cui 3.500 a Catania, 9.000 nel propriamente giornalistico, ma anche resto della Sicilia, circa cinquecento a delle strutture organizzative e "di Roma e altrettante a Milano. Nel 1985 la movimento".: a ciascuno di questi ambiti diffusione passò a 28mila, con un venduto è necessario il contributo di ciascuno di di circa 23.000-23.500: di cui 4.200 a noi. Lo stesso finanziamento del giornale, Catania, circa 12mila nel resto della dopo la fase iniziale che verrà coperta Sicilia, 800 a Roma e 1200 a Milano. mediante sottoscrizione interna, avrà Il primo numero di questa nuova serie bisogno di forme organizzative adeguate; riprende in qualche modo il settimanale anche qui, le idee e il contributo dei nostri del 1986, attualizzato nelle dimensioni e amici e "militanti" saranno l'elemento nella grafica ma con lo stesso impianto di portante della nostra impresa. Enlist: fondo. Composizione e impaginazione Siciliani want you. E ancora una volta, vengono effettuate con sistemi Macintosh "en un lugar de la Mancha", qualcosa si – grazie anche alla collaborazione della mette in moto. Vecchi e giovani amici, " cooperativa Zelig di Roma - e su una rete professionisti dell'antimafia" e ragazzi di di Macintosh viaggeranno anche i dati, i scuola, siciliani di Sicilia e "siciliani" di pezzi e le gabbie base del giornale. Una Torino o Trento: il "partito di Falcone e redazione diffusa: tre quattro sedi dei ragazzini" è ancora qui. Bambulé! collegate via modem (Palermo, Catania, Claudio Fava, Michele Gambino, Roma, forse Milano) ed una veloce ed Riccardo Orioles - 15 Febbraio 93


I Siciliani, perché? (Dicembre 2011) Ogni volta che frenava non riuscivi a tenere l’equilibrio. Così, ogni fermata era un livido. E guardando fuori dal finestrino, invece, erano solo sorrisi, cartelloni, musica, persone. Era l’aprile del 2006, eravamo quelli del “Ritaexpress” e viaggiavamo di notte, in mille, sullo stesso treno, attraversando l’Italia per cambiare la Sicilia. Tornavamo per votare Rita Borsellino alla presidenza della Regione Siciliana. Non eravamo organizzati da nessuno ma ci sostennero in tanti. A Perugia fu Libera, a Trento l’Arci, a Firenze i sindacati. Non troverete articoli della stampa ufficiale che raccontino il momento in cui abbiamo rischiato di cambiare la Sicilia, i siciliani, il nostro futuro. Ma noi li abbiamo visti lì, l’ultima volta, una buona parte de “I Siciliani”. In quel viaggio senza precedenti, scanzonato e libero. Utopico quanto bastava per dire al potente di turno, che non c’erano intoccabili. Concreto quanto bastava per infastidire tutti gli altri Vicerè di Sicilia e infine solare perché la lotta di liberazione non è affare per musi lunghi ma per sorrisi larghi. Anche se si finisce per perdere, come accadde per noi in quella primavera anticipata. E li abbiamo incontrati ancora, in piazza a Bari, alcuni anni dopo “I Siciliani” (giovani) mentre agitavano bandiere colorate contro le mafie. Li abbiamo visti nei quartieri di Catania, lavorare ogni giorno a San Cristoforo come a Librino. Ma li abbiamo sentiti parlare di mafia, anche a Milano, nelle strade che portano al tribunale dove si sta svolgendo il primo processo alla ‘ndrangheta in Lombardia. A Termini Imerese, dove accanto al comunicato degli operai, in questi giorni, c’è quello degli studenti siciliani e a Barcellona Pozzo Di Gotto a spalare il fango dentro la città. Nessuno si senta offeso, nessuno si senta escluso se continuiamo ad esserci, con rispetto e memoria. Ma siamo ciclici. Siamo anche “giovani”, con le spalle posizionate davanti alla rete ma intenzionati a consumare le scarpe per raccontare questo Paese. E abbiamo ancora qualcuno che continua a credere in questa storia: che è un movimento, un ricordo privato per molti, un patrimonio di storia per tanti altri. Buona lettura a voi “Siciliani” di ogni luogo e battaglia: da Milano a Berlino, da Catania a Parigi. I Siciliani giovani (di Norma Ferrara)

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I Siciliani, trent’anni (più due) di libertà di Salvo Ognibene Metti un Direttore che non è mai cambiato, gli amici, i colleghi di una vita, l’amata Sicilia e un’Italia ancora da fare. I giovani di prima, ora cresciuti, e quelli di dopo: noi. Metti Riccardo che c’è e quasi quasi si nasconde dopo aver chiuso il palinsesto. E poi Giovanni con il Gapa, che si, in un certo senso, è qualcosa di simile ad una brigata partigiana. Un’allegra banda di giornalisti e “scassaminchia” sparsi per l’Italia che credono fortemente nell’Articolo 21 della Costituzione, macchiati di quello Stampoantimafioso che respira di libertà, movimento, verità. Tutti Clandestini (con permesso di soggiorno) sparpagliati nel paese con l’Antimafia nel cuore. Figli di una stessa Mamma, fatta di satira e verità, conosciuta ai tempi de iCordai.Uomini e donne d’altri tempi, uniti da un forte senso di giustizia e dello Stato che li rende uguali e fratelli, da Palermo ad Aosta. Qualcuno come Giancarlo è stato al sud, qualcuno invece viene Da Sud, e altri, come Giulio, sono nati in quella Lombardia che puzza di mafia e omertà, e che da poco si è risvegliata con un Comune sciolto per infiltrazioni ‘ndranghetiste. Lì, i ragazzi di Nando hanno dato vita ad un’enciclopedia, Wikimafia. Come nelle Agorà dove si da voce a chi ha qualcosa da dire. Una Generazione (zero) mai stanca, che corre, lotta. Anche La Domenica. Una Liberainformazione per una pubblica verità, fatta di inchieste e Reportage, che da il volatore di Marsala passano in quella città dove le lancette della stazione sono rimaste ferme, bloccate, alle Dieci e Venticinque a causa di una bomba mai chiarita. Anche oggi, nell’era del Citizen journalism, con la Periferica per i lettori che è cambiata e si è adattata ai tempi. Ma questa come direbbe quell’uomo con i baffi di Telejato, è un’altra storia. E’ il Direttore che tiene il filo di questa rete, come il racconto (‘u cuntu in dialetto

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donne d’altri tempi, uniti da un forte senso di giustizia e dello Stato che li rende uguali e fratelli, da Palermo ad Aosta. Qualcuno come Giancarlo è stato al sud, qualcuno invece viene Da Sud, e altri, come Giulio, sono nati in quella Lombardia che puzza di mafia e omertà, e che da poco si è risvegliata con un Comune sciolto per infiltrazioni ‘ndranghetiste. Lì, i ragazzi di Nando hanno dato vita ad un’enciclopedia, Wikimafia. Come nelle Agorà dove si da voce a chi ha qualcosa da dire. Una Generazione (zero) mai stanca, che corre, lotta. Anche La Domenica. Una Liberainformazione per una pubblica verità, fatta di inchieste e Reportage, che da il volatore di Marsala passano in quella città dove le lancette della stazione sono rimaste ferme, bloccate, alle Dieci e Venticinque a causa di una bomba mai chiarita. Anche oggi, nell’era del Citizen journalism, con la Periferica per i lettori che è cambiata e si è adattata ai tempi. Ma questa come direbbe quell’uomo con i baffi di Telejato, è un’altra storia. E’ il Direttore che tiene il filo di questa rete, come il racconto (‘u cuntu in dialetto siciliano) di una storia molto più lunga di questi trent’anni che ci dividono. Una storia che torna a Catania, ogni 5 gennaio, dove si ferma, per poi ripartire e creare coscienza, come sempre.

Venticinque a causa di una bomba mai chiarita. Anche oggi, nell’era del Citizen journalism, con la Periferica per i lettori che è cambiata e si è adattata ai tempi. Ma questa come direbbe quell’uomo con i baffi di Telejato, è un’altra storia. E’ il Direttore che tiene il filo di questa rete, come il racconto (‘u cuntu in dialetto siciliano) di una storia molto più lunga di questi trent’anni che ci dividono. Una storia che torna a Catania, ogni 5 gennaio, dove si ferma, per poi ripartire e creare coscienza, come sempre.


“A che serve vivere...” L'anima della Sicilia “Questi giornalisti, questi giudici, questi sindacalisti ammazzati, sono l'anima dura della nostra Isola, ciò che ci fa dire con forza: Sono siciliano” di Riccardo Orioles

tuo teatro. Io non sono orgoglioso della nostra Cinque gennaio. Perché la Sicilia è bellissima letteratura "ufficiale": lo sono "vecchia"? Socialmente, voglio dire. invece dei nostri cantastorie, dei nostri Troppo piccola per autogestirsi, troppo poeti di strada, dei nostri giornalisti; grande per essere mantenuta con la forza, quelli "minori" e rimossi, anche stavolta. per duemila anni è stata regolarmente Ne abbiamo perso una decina, uccisi "invasa" e altrettanto regolarmente perché scrivevano contro i potenti; questa affidata alla classe dirigente di prima: decina di uomini, coi nostri cento latifondisti romani, feudatari spagnoli, sindacalisti e compagni e giudici notabili borbonici o "uomini di rispetto". assassinati, sono l'anima dura della nostra Cosa Nostra dialogava ufficialmente col Isola, ciò che ci fa dire con forza "sono governo italiano. Gestissero la Sicilia a siciliano". modo loro. In cambio, ordine e disciplina * * * e - quando richiesto - appoggio al governo Giuseppe Fava, figlio di maestri di scuola, "alto". Perciò classi dirigenti obsolete nipote di contadini, giornalista, fondatore (serbate artificialmente al potere) e dei Siciliani, scrittore, fu uno di costoro. I società duramente divisa in due: viddani e padroni di Catania lo uccisero il 5 gennaio baronia, coppole e cappeddi. Questa del 1984, mentre usciva dal teatro in cui, Sicilia dura tuttora. E questo marca, fra poche settimane prima, aveva l'altro, i suoi intellettuali. rappresentato un durissimo atto d'accusa In nessun'altra regione si scrive bene contro il regime mafioso cittadino. Lo come in Sicilia. Tomasi, Bufalino, Verga, uccisero tranquillamente, sapendo che Pirandello, Sciascia - la lingua italiana, nessuno avrebbe reagito e che dopo un già elegante di suo, qui tocca i vertici paio di giorni di chiacchiere tutto sarebbe della raffinatezza. E in nessun'altra terra i tornato come prima. Non fu così. grandi scrittori, alla fine della loro Qualcosa si risvegliò nella città, e uscì carriera, ripiegano così fiocamente su se fuori al sole. stessi; sovente, con esiti reazionari e di Io sono stato molti anni a Catania, e ho destra. Pirandello s'iscrisse al fascio. visto molte cose. Ho visto morti Sciascia combattè l'antimafia. Verga ammazzati e giudici venduti. Ho visto elogiò Bava Beccaris. Come mai? E' che giornalisti prostituti, politici miserabili, e nessun altro uomo al mondo come il quanto più laido e osceno si possa siciliano è costretto a scegliere senza immaginare. Ma se tu mi chiedessi, ora, mediazioni. Qui non si può barare. La cos'è Catania, risponderei: ho visto due povertà, la violenza, il mondo vecchi contadini, marito e moglie, davanti ferocemente diviso ti gridano ogni alla loro casa con la lava dell'Etna a momento "da che parte stai?". Alla fine cinquanta metri. Smontavano il cancello, devi rispondere, e la risposta ti marchia. tranquillamente, perché sarebbe servito al Qui, la libertà la ritrovi fra gli scrittori momento di ricostruire. Questa era la "minori"; messi da parte cioè; quelli che Catania a cui s'era rivolto Giuseppe Fava. muoiono all'alba, da giacobini E questa Catania, incolta e qualunquista, impenitenti, su una forca alla Marina; facile da imbrogliare, politicamente rozza, oppure per un colpo di pistola, in una aveva tuttavia in sè qualcosa di bello e serata qualunque, mentre stai uscendo dal antico.

Venivo a Catania - per "fare il giornalista" e dunque, a modo mio, per "sistemarmi" da un decennio di militanza a tempo pieno nel movimento. Un "rivoluzionario professionale", insomma: corretto, sofisticato e presuntuoso, con tanto di puzza al naso e destinato, probabilmente, a un posto nella sinistra perbene e poi nel regime. Dei giovani di Catania, avevo un'opinione molto precisa: qualunquisti e paesani. Ma quando il Direttore morì e la Città fu chiamata, come in tempo di Resistenza, a scegliere fra occupanti e patrioti, si vide quanta civiltà e quanto coraggio vi fossero in questi giovani "comuni". Noialtri redattori - ragazzi spaventati, in realtà, con una bandiera molto più grande di noi - decidemmo, più per affetto che per coscienza, di continuare. E il giorno dopo ci presentammo in redazione, per riaprire la sede. Ma fuori dai Siciliani, timidi ma risoluti, c'era un piccolo capannello di ragazzi. "Chi siete?". "Siamo la Fgci di Battiati. Siamo qui per distribuire il giornale". Noi non sapevamo ancora se avremmo avuto il coraggio di farlo, il giornale. Ma loro avevano già quello di distribuirlo. *** Quei tre anni durissimi, l'ottantaquattro l'ottantacinque e l'ottantasei, furono gli anni dei ragazzi catanesi. Non l'entusiasmo delle manifestazioni (ci furono anche quelle, le più grandi mai viste a Catania) ma l'impegno concreto e operativo, giorno dopo giorno, per almeno - trentasei mesi. I Siciliani - con scritto sotto: fondatore Giuseppe Fava - e SicilianiGiovani sono stati i miei giornali, e anche qualcosa di più, l'elemento centrale della mia, delle nostre, della nostra vita. E mi è difficile scriverne di più; non ora, non in questo giorno. Dirò soltanto che a Catania, in Sicilia, in Italia, di nuovo come in tempi di garibaldini o di partigiani, cresceva palpitando e lottando qualcosa di veramente nuovo. Non dirò, per non offendere quelli di noi che erano di altre idee (c'era persino un fascista), come mi verrebbe naturale, che stava nascendo una sinistra. O forse sì: ma sinistra nel senso antico del termine, allonsanfan e compagni. Una bella sinistra; la sinistra, quella davvero espressa profondamente dal Paese. "La meglio gioventù" per me fu questa. *** Vent'anni sono una vita; t'insegnano, fra le altre cose, una difensiva autoironia. Così, ora chiudo in fretta. Farò dei nomi - non posso farli tutti: e dunque, questi sono qui

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solo in rappresentanza di tutti. Il più giovane, e la più anziana; il primo è Fabio D'Urso, "Fabiolino"; e davvero aveva solo tredici anni quando suo padre lo portò, il sette gennaio, alla sede dei Siciliani. Il signor D'Urso era stato, molti anni prima, giovane giornalista con Giuseppe Fava; poi uno era andato avanti, e l'altro aveva scelto un mestiere normale. Ed ora eccolo qui, a presentare suo figlio, che certo si sarebbe fatto onore. La signora Roccuzzo era la madre di uno di noi; si parlava, la mattina presto, di cosa sarebbe potuto succedere ancora. Per suo figlio, la rassicuravo, il pericolo era relativamente minore; l'avremmo sistemato fuori Sicilia al più presto. "Aspetta - disse lei - se c'è da rischiare dovete rischiare tutti insieme, anche lui". *** Questi erano i Siciliani. Nessuno di loro ha mai avuto il minimo riconoscimento da partigiani quali erano, da garibaldini per le cose grandi e eroiche che, ciascuno di loro al suo momento, seppero tirar fuori da sè stessi in quel tempo di guerra. C'è la signora, amica del Direttore, che due giorni dopo la sua morte si presenta ai Siciliani e abbandona la carriera universitaria per venire ad amministrare il giornale - lo fece per dieci anni di seguito, perdendovi ogni avere ma garantendone finchè possibile l'uscita. C'è il compagno che per quattro anni fornì notizie dall'interno del nemico, rischiando a ogni momento non la morte, ma una morte con torture. Ci sono i liceali dello Spedalieri, uno ora organizza scuole internet in Italia e un'altra è volontaria a Città del Messico. C'è il vecchio giudice, il prete, l'ingegnere - il nostro Cln, i capi del movimento civile. Ci sono quei ragazzini che alla manifestazione antimafia portarono i loro coetanei tossici, convinti uno per uno nelle piazzette della droga; a un tratto, in mezzo agli slogan contro Santapaola e i Cavalieri, uno di loro impallidisce per una crisi e fa per cadere: ed ecco tutti gli altri ragazzi, quelli che in un'altra società sarebbero stati i "normali", far capannello attorno a lui, aiutandolo e nascondendolo e continuando a sfilare. C'erano loro, e altri esseri umani attorno a loro, e altri ancora più in là, a Catania, a Palermo, in Sicilia, e poi - man mano che quella pianta germogliò, con altri nomi - a Roma, a Milano, a Napoli, dappertutto. C'ero anch'io, e credo che a quest'ora sappiate che il mio tratto peggiore è la superbia. Eppure, pensando a quello, che fu il tempo più nobile della mia vita, non

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ne provo affatto. "Uno dei Siciliani". Un compagno. Che cosa si potrebbe essere di più? Davvero vale la pena, di fronte a cose come queste, di perder tempo a mettere puntini sulle i? No. Noi siamo quelli di Giuseppe Fava. Ognuno può dirlo, e ognuno ne risponde - a se stesso a modo suo. Il resto, non ha importanza. Non ha importanza nemmeno, dopo vent'anni di bavaglio "nemico", cominciare a sentirsi addosso anche il bavaglio "politicamente corretto". A Catania, da tre anni in qua, non si fa altro che cercar di dividere il Monumento a Giuseppe Fava (lodevole intellettuale siciliano) dal rozzo giacobinismo dei Siciliani, specie di alcuni. Perciò, fra le altre cose, non ci fanno parlare. Ma che importa? Fra noi e i Cavalieri, abbiamo vinto noi. Loro sono scomparsi, noi siamo ancora qui: poveri, ma ci siamo. Catania irredimibile e rozza? Ma c'è pure una Catania che può vincere, una Catania a maggioranza popolare: noi ci siamo arrivati vicinissimi, abbiamo dimostrato che si può fare. E altri no. Catania del monopolio, Catania in mano a Ciancio? Ma c'è anche una Catania dei liberi giornali: basta avere il coraggio di farli. Noi l'abbiamo avuto, e tuttora ci tentiamo. Altri no. *** "Non si può chiedere a tutti di fare il lupo solitario", disse una volta Giuseppe Fava, ed è una frase bellissima, romantica e spavalda al tempo stesso. I lupi solitari, tuttavia, hanno un senso solo se da qualche parte c'è un branco. Magari in quel momento distratto, ma però vivo, con le sue storie "ordinarie" di lupi e lupacchiotti, impegnati nella loro quotidiana sopravvivenza materiale e morale. Molto spesso divisi, qualche volta (troppo di rado...) uniti, essi sanno comunque, o quanto meno intuiscono, di essere un branco e non un gregge qualunque; una razza a parte. Questo è tutto ciò che può fare per loro uno come me, ricordargli chi sono e cosa possono fare. Il resto, se lo devono ritrovare e reinventare da sè, se no non funziona. Così è sempre stato nei branchi, da che mondo è mondo. *** Di Giuseppe Fava si parlerà nelle letterature ufficiali - come fu per Stendhal - fra qualche cinquantina di anni. Non è facile, per l'accademia italiana, distinguere fra cocacola e vino: poiché la critica è astemia, e vino se ne passa poco; quando per caso ne trova, giù col "sicilianismo" e con la "civile tensione",

che è un modo per cercare di mettere quella roba aspra e forte in bottiglie di plastica e già conosciute. Fava e Tomasi di Lampedusa sono comunque i massimi scrittori siciliani, e fra i massimi italiani, del dopoguerra. In più, Fava era uno scrittore amico. Parla dei contadini siciliani (La Violenza), degli operai emigranti (Passione di Michele, il suo capolavoro), della dignità del resistere (La Ragazza di Luglio), dell'atrocità del potere (L'Ultima Violenza). Ne parla popolarmente, in lingua densa e forte, dove la maestria dell'artista ottiene il premio più difficile - la semplicità. I suoi personaggi più sentiti sono donne e questa, in una letteratura misogina come la nostra, è anche una bella cosa. Di tutte le creature che vivono nei suoi libri, nessuna è monolitica, nessuna priva di sfaccettature umane; il vecchio avvocato mafioso conserva - persino lui una sua inquietudine, un suo dolore. Eppure Fava non "parla d'altro" mai, non è mai arcadico; tutti i suoi personaggi stanno in una loro precisa metà di mondo, o quella dei potenti o quella degli oppressi. Perché - giornalista, scrittore, fondatore dei Siciliani e quant'altro - egli era prima di tutto un rivoluzionario. Nel senso vero, vissuto, ottocentesco, della parola. Per questo, incontratolo una volta, non lo si abbandona mai più. *** Così è stato per me. Vent'anni. Eppure non pesano affatto, non come nostalgia. Nè si riesce a non sorridere, pensando a una persona viva come lui. E' morto semplicemente, facendo quel che doveva, da soldato. Non credo che gli sia stato difficile. E' molto più difficile vivere, nel senso pieno e profondo in cui viveva lui. La vita che passa fra le persone care e gli amici, da uno all'altro, da un cerchio all'altro, da una generazione all'altra. La vita che te lo fa riconoscere in persone lontanissime, che non l'hanno mai conosciuto. La vita che si trasforma lentamente in cose umane da fare, in chiari pensieri e affetti, in militanza disciplinata e anarchica non più per un partito o una patria, ma per gli esseri umani in quanto tali. La vita che ti fa sorridere, ripensandolo, quando sei solo. "Ma insomma, si può sapere che cos'è lei, politicamente?" gli chiesi una volta, da quel fighetto "di sinistra" che ero. "Io? Io sono tolstoiano..." sorrise lui, e ci ho messo vent'anni prima di decidere se parlava sul serio o mi pigliava per il culo. 5 gennaio 2004


L'uomo dei Siciliani Un giornalista vero

E' il 1982, l'inizio della denuncia sul potere dei "quattro cavalieri dell'Apocalisse", che erano "cavalieri del lavoro" della Repubblica italiana, Francesco Finocchiaro, Gaetano Graci, Carmelo Costanzo e Mario Rendo. E' anche l'anno dei delitti eccellenti: vengono uccisi Pio La Torre e Carlo di Giancarla Codrignani Alberto Dalla Chiesa. Anche Enzo Biagi ripeterà, come Pippo, che ai funerali Il 5 gennaio 2014 fanno trent'anni da quei alla delinquenza organizzata fa comodo distato gli assassini stavano sul palco cinque colpi alla nuca che a Catania che oltre alle tracce di cocaina in aria delle autorità. uccisero Giuseppe Fava mentre andava a viaggi la presunzione di innocenza che Fava nell'articolo "I mafiosi stanno in prendere all'asilo la nipotina. La mafia intanto lascia fare. Parlamento" constata: "Mi rendo conto non poteva tollerare l'esistenza di questo Soprattutto chi è giovane - e, quindi, che c'è un'enorme confusione sul siciliano coraggioso, questo democratico autorizzato a sapere meno cose - deve fare problema della mafia. I mafiosi stanno in sincero che non era nemmeno un i conti con gli appalti della sua Parlamento, i mafiosi a volte sono "comunista". Ma che era un vero amministrazione e con il pizzo pagato dai ministri, i mafiosi sono banchieri, i giornalista, scomodo perché suoi commercianti. mafiosi sono quelli che in questo professionalmente rigoroso. Aveva detto Pippo Fava si era a un certo punto momento sono ai vertici della nazione. lui stesso che "in una società democratica stancato di vivere a Catania ed era andato Non si può definire mafioso il piccolo e libera, quale dovrebbe essere quella a Roma: un intellettuale come lui, a cui delinquente che arriva e ti impone la italiana, il giornalismo rappresenta la piaceva scrivere di teatro, sceneggiature, taglia sulla tua piccola attività forza essenziale della società. Un romanzi da cui venivano tratti film commerciale, questa è roba da piccola giornalismo fatto di verità impedisce importanti faceva volentieri il gionalista criminalità, che credo abiti in tutte le città molte corruzioni, frena la violenza della per l'Espresso, il Corriere della sera, il italiane, in tutte le città europee. Il criminalità, accelera le opere pubbliche Tempo.... Torna a Catania perché gli fenomeno della mafia è molto più tragico indispensabili, pretende il funzionamento offrono l'opportunità di dirigere il ed importante"… dei servizi sociali, tiene continuamente Giornale del Sud e la passione Non meraviglia che gli abbiano chiuso la allerta le forze dell'ordine, sollecita la professionale gli fa sottovalutare che la bocca. Meraviglia che trent'anni dopo costante attenzione della giustizia, impone "nuova cordata" - in cui entrerà presto abbiamo davanti gli stessi problemi, ai politici il buon governo" (11 ottobre Gaetano Graci - non era l'opportunità che anche se resi più ambigui e complessi 1981). sembrava. Naturalmente dopo pochi mesi dalle nuove dinamiche dei poteri. Almeno Solo che - vale per tutti i tempi e tutti i la redazione salta con il licenziamento del noi, non "commemoriamo", per piacere. paesi - l'informazione è un diritto che suo direttore; il quale fa della sua dignità Pippo Fava si è già affidato ai "Siciliani molti vorrebbero dimenticare, perché di "siciliano che sa" tutt'uno con la Giovani". Ragazzi, andiamo avanti. mette in difficoltà chi viene a conoscenza passione professionale: vende i suoi beni, Facciamo del giornalismo vero, anche se della verità; mentre la gente preferisce crea una cooperativa e fonda "I Siciliani". sembra perfino più difficile di trent'anni fa. non sapere oppure sapere e non far nulla perché non vuole fastidi, salvo poi "manifestare" quando chi ci aveva avvertito in tempo è stato fatto fuori. Ci emozioniamo solo quando leggiamo gli elenchi dei giornalisti uccisi su Reporters sans frontières e impariamo che nella classifica mondiale 2012 sulla libertà di informazione l'Italia sta al 57° posto, dietro Burkina Faso e Papua Nuova Guinea. Scrivo dal Norditalia, dove le mafie (nella mia regione la 'ndrangheta, fatto salvo che i magistrati ci fanno sapere della penetrazione anche della mafia nigeriana e cinese) controllano il territorio ed è difficile credere che davvero ci si meravigli se è finito sotto scorta Giovanni Tizian, un giornalista che fa correttamente il suo mestiere. Chi uccide non è solo la criminalità di quelli che Fava distingueva in "uccisori, pensatori e politici", ma l'indifferenza di chi non vuole sapere. Ormai siamo consapevolmente complici:

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L’opera di Pippo Fava vive ancora: la Fondazione Fava. “A che serve essere vivi, se non si ha il coraggio di lottare?”, è una delle massime di un uomo che della lotta ha fatto la sua filosofia di vita, non di una lotta meramente connotata dalla violenza, ma di una lotta rivestita d’inchiostro, di speranza, di passione per la legalità e la struggente scia di bellezza che si porta dietro. Quell’uomo era Pippo Fava, un uomo che alle aule di tribunale, sebbene laureato in Giurisprudenza, preferì il profumo della stampa, dell’informazione, accompagnata dalla sua straordinaria vocazione letteraria, artistica e poetica. Solo per fare alcuni esempi, la sua opera “La violenza”, che nel 1970 gli fece guadagnare il premio letterario IDI, ispirò il grande regista Florestano Vancini per uno dei suoi film di maggiore successo “Violenza Quinto Potere”, acclamato da pubblico e critica nel 1975. Tra oli su tela, libri e poesie, ecco Pippo, non solo un giornalista ma un amante sfrenato della propria terra, tanto che nel 1982 costituisce, dopo anni di esperienza giornalistica – anche sportiva – nella propria terra, insieme alla parte della redazione del Giornale del Sud che ne aveva condiviso le scelte di fondo, una nuova testata, I Siciliani, un titolo dedicato alla gente che amava. Le inchieste sempre più svisceranti un malcostume dilagante in Sicilia, l’urlo di guerra alla mafia ed all’illegalità, hanno fatto sì che una delle tante voci di speranza della Sicilia, e forse dell’Italia, venisse stroncata dal solito piombo di chi non sa come difendersi, da chi l’ascia di guerra non ha intenzione di seppellirla. Era il 5 gennaio 1984. Ma cosa rimane oggi di Pippo Fava? Di sicuro l’audacia, il ricordo di un uomo che non tardò a definire il suo concetto etico di giornalismo, inteso come mezzo “fatto di verità”, che “ impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, sollecita la costante attuazione della giustizia, impone ai politici il buon governo.”; un uomo che responsabilizzò la sua attività giornalistica, affermando con chiarezza che “se un giornale non è capace di questo

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si fa carico di vite umane. “ Rimane questo, ma rimangono anche le istituzioni, i semi gettati da chi Pippo lo ha seguito, ammirato, diffuso. Una di queste testimonianze che ricordano ogni giorno Pippo Fava e che ne cuciono la memoria sulle coscienze dei cittadini è la Fondazione Giuseppe Fava, una realtà ben radicata nel territorio dal 2002, anno della sua fondazione. Qualificata come persona giuridica senza scopo di lucro, la Fondazione Giuseppe Fava è portatrice di una vera e propria missione di divulgazione, di diffusione culturale dell’opera di Pippo Fava e del suo esempio di impegno e dedizione. In particolare, la Fondazione si occupa di gestire un vero e proprio database con tutte le opere e gli scritti di Pippo Fava, articoli di giornale, inchieste, poesie, testi teatrali ecc Quale altro modo per ricordare la sua figura, se non rendere accessibile a tutti il suo materiale, la sua idea che prese forma sulla carta? Ma non solo! La Fondazione ha il privilegio di entrare nelle scuole, di raccogliere le istanze di una comunità che deve necessariamente puntare sui giovani. La diffusione della cultura antimafia parte dagli ambienti scolastici, una delle principali prerogative della Fondazione non solo in Sicilia, ma anche in Calabria, in particolar modo a Vibo Valentia e Lamezia Terme - per arrivare ad altri ambienti di aggregazione giovanile, al fine di stimolarli a raccontare la Sicilia che vorrebbero, le proprie aspirazioni, i propri sogni, un po’ come i sogni descritti

dalla penna di Pippo. Parlare di una propria idea di società, di un proprio progetto, muovere una critica, andare oltre l’aridità del menefreghismo contemporaneo, può essere il giusto imput per una ristrutturazione culturale della società, da tempo abbrutita da un certo tipo d’informazione conformista. Scriveva Pippo Fava nel 1983: “In questa società comanda soprattutto chi ha la possibilità di convincere. Convincere a fare le cose: acquistare un'auto invece di un'altra, un vestito, un cibo, un profumo, fumare o non fumare, votare per un partito, comperare e leggere quei libri. Comanda soprattutto chi ha la capacita' di convincere le persone ad avere quei tali pensieri sul mondo e quelle tali idee sulla vita. In questa società il padrone è colui il quale ha nelle mani i mass media, chi possiede o può utilizzare gli strumenti dell'informazione, la televisione, la radio, i giornali, poiché tu racconti una cosa e cinquantamila, cinquecentomila o cinque milioni di persone ti ascoltano, e alla fine tu avrai cominciato a modificare i pensieri di costoro, e così modificando i pensieri della gente, giorno dopo giorno, mese dopo mese, tu vai creando la pubblica opinione la quale rimugina, si commuove, s'incazza, si ribella, modifica se stessa e fatalmente modifica la società entro la quale vive. Nel meglio o nel peggio.” Siamo sicuri che Pippo Fava prima e al Fondazione adesso ci convincano, ogni giorno . È un messaggio univoco che attraverso il racconto e la condivisione degli scritti e delle opere di Pippo Fava dà il via ad una rivoluzione interiore che deve necessariamente espandersi verso l’anima di tutti i cittadini di questa splendida nazione, ispirandola a bellezza, legalità, trasparenza.


Giuseppe Fava. Verso il cinema. di Giuseppe Spina (cineasta e direttore di Nomadica circuito per il cinema autonomo) Nel leggere i romanzi e il teatro di Fava l'interesse – e lo sguardo - per il cinema si avverte già dai primi scritti. Segni evidenti e continui di note, particolari e didascalie che esprimono un rapporto con il frammento narrativo e scenico sempre in tensione. Studiando queste opere e leggendo i numerosi articoli sul cinema che si moltiplicano negli anni di attività, ma anche i pezzi richiesti in quanto direttore del quotidiano “Giornale del Sud” prima e del mensile “I Siciliani” poi, si comprende bene non solo il suo interesse di cinefilo, ma la stretta relazione che ha avuto con questo mezzo, con il suo valore culturale - più o meno instupidito dal vuoto “spettacolo” - con la profondità a cui può giungere l'espressione cinematografica. L'attività intellettuale di Giuseppe Fava è un universo nel quale ci si perde ritrovando sempre delle ancore riconoscibili, attraverso le quali vedere il mondo, o il suo sguardo sul mondo e sull'uomo. La sua attività giornalistica è infatti intrisa di narrazione e di strutture narrative, di immagini, di dettagli impressionanti – nel senso che si imprimono nella nostra anima. Mi viene in mente il titolo che Fava suggerisce per un articolo del 1980 ad Antonio Roccuzzo, “L'orchestrina cominciò a suonare gelosia”.. nel bel mezzo di quella festa in strada, interrotta da una sparatoria, non c'era nessuna orchestrina e non si suonava certo Gelosia.. ma cosa c'è di meglio, e direi di più felliniano e allucinatamente insanguinato? E' cinema. E' solo un piccolo esempio della capacità creativa di Fava e di come si può manifestare in ogni angolo delle sue molteplici attività e relazioni. Prima che vi uccidano - romanzo del 1967 ma pubblicato da Bompiani solo dieci anni dopo, possiede già pienamente questo linguaggio e qualcuno ha fatto notare (nella seconda di copertina dell'edizione citata) la relazione con alcuni tratti tipici dei “kolossal cinematografici”, tanto per l'epopea che vi si racconta quanto per la quantità di personaggi che si muovono tra le storie. Ma Fava spoglia questa dimensione dal divismo e dall'esagerazione romantica a cui la mente subito corre [Per seguire la retrospettiva: www.nomadica.eu]

quando si parla di kolossal: non ci sono eroi, le scene di povertà, di violenza, di potere sono spesso dure e crude, i primi piani lucidi e atroci, e solo un racconto minuzioso (o una sequenza ben costruita) è in grado di generarli. Riprendo le parole di Florestano Vancini che, sotto la spinta di Dino De Laurentiis, lavorò per una trasposizione cinematografica del testo teatrale La Violenza del 1970, per il film La violenza: Quinto potere (1972): “non fu accolto bene dalla critica. Probabilmente a causa del fatto che era un film privo di un eroe. I film di mafia che funzionavano all'epoca, quelli di Damiani o di Petri per intenderci, avevano sempre una risoluzione... c'è sempre una figura emergente. Nel mio film invece questa figura non c'è. Tanti personaggi e nessun eroe: nessuno è protagonista” (in Florestano Vancini. Intervista a un maestro del cinema di Valeria Napolitano). Questa dimensione di “equilibrio” tra i personaggi, è già propria del testo teatrale. É una dimensione che si ripresenta spesso nelle opere di Fava: la moltiplicazione dei personaggi centrali che rappresentano di volta in volta parti differenti di società, e parlano, agiscono e urlano in nome di esse. Ma nel sempre sterile cinema italiano questa dimensione è lontana dall'essere riconosciuta, Fava è troppo libero, troppo lontano dal sistema cinematografico. Nonostante ciò Fava ha collaborato con registi di spessore: con Vancini per il già citato La violenza: quinto potere, con Zampa per Gente di rispetto. L'esperienza più importante è certo quella con Werner Schroeter, cineasta del “nuovo cinema tedesco”, per Palermo oder Wolfsburg. Orso d'oro a Berlino, capolavoro mai distribuito in Italia, dalla cui sceneggiatura Fava ricaverà “Passione di Michele” (1980), per molti il suo romanzo migliore: a conferma di quanto qui si vuole dimostrare è una sceneggiatura a diventare il romanzo di punta dell'opera di Giuseppe Fava. Nello stesso periodo, tra il 1979 e il 1980, una collaborazione con la nascente Terza Rete siciliana della RAI, porta alla produzione della serie televisiva “Siciliani” - un misto tra documentario, film d'inchiesta, teatro filmato – girata in 16 mm, che verrà trasmessa sulla rete nazionale un'unica volta nel 1980 (e oggi riproposta da Nomadica in un omaggio itinerante nelle sale italiane e di nuovo in Tv, con una collaborazione col FuoriOrario di Ghezzi&Co). La Rai affida la regia al giovane Vittorio Sindoni e quest'ultimo

chiama Riz Ortolani – già famosissimo compositore - per la colonna sonora. Il viaggio di Fava e Sindoni lungo l'isola dura circa un mese, mentre la sceneggiatura viene praticamente scritta in una settimana, essendo il risultato di trent'anni di lavoro e analisi: a Fava basta spezzare, riallacciare, incastrare i pezzi in questo grande quadro post-moderno di cui conosce ormai le venature più sottili, i solchi più profondi, poetici, terribili. Riprende alcune sue opere teatrali, scene tratte dai romanzi, stralci di articoli (la maggior parte ripubblicati nelle raccolte “Processo alla Sicilia” e “I Siciliani”) affronta per la terza volta un lungo viaggio nel cuore della Sicilia per raccontarne “gli aspetti più agghiaccianti”. “Vogliamo proporre al resto degli italiani un'immagine dei siciliani diversa da quella stereotipata che si sono fatti ancor prima dell'unità d'Italia”, dichiarano Fava e Sindoni. Il risultato sono 6 film dalle caratteristiche e dai punti di analisi variegati: la lucida sintesi storica dalla vecchia alla nuova mafia (Da Villalba a Palermo. Cronache di mafia), lo scandalo dei terremotati della Valle del Belice (L'occasione mancata), la miseria in cui i bambini vengono fatti emigranti (La rivoluzione mancata), i “paesi buoni” senza criminalità ma “morti” (La conversazione mai interrotta), la devastazione delle industrie e la beffa delle miniere (Opere Buffe), l'emigrazione forzata (Gaetano Falsaperla, emigrante). Al cambiare dei temi cambiano i registri narrativi, il linguaggio che si dà è a volte freddo e serrato altre triste e malinconico, altre ancora divertito e sarcastico. La regia di Sindoni è semplice, si limita a seguire l'intrecciarsi dei testi, mentre la voce-off, dello stesso Fava, è a tratti onnisciente e ne amplifica la presenza fisica. Fava intervista, sta dietro la camera, entra in relazione con i personaggi, recita. Dopo questa esperienza inizia a dedicarsi direttamente alla regia cinematografica, per una serie, già meno televisiva, dal titolo Effetto luna sulla Sicilia ellenica. Tre film (del quarto ci perviene la sceneggiatura) disastrosi da un punto di vista tecnico, ma Fava è finalmente svincolato dai linguaggi degli altri registi con cui ha collaborato e si sente libero di sperimentare: Il tempo, la bellezza, il silenzio è una poesia per immagini che vede protagonisti Tiresia e Saffo, in Clowns del teatro antico ovvero il Miles siciliano riadatta Plauto, in Anonimo Siciliano riadatta la sua unica regia teatrale, Foemina Ridens, lasciandocela impressionata su pellicola. È il 1982, appena l'inizio.

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PASSIONE DI MICHELE di Valeria Grimaldi "Io incontrai un maestro elementare, che mi dette una spiegazione perfetta di quella che era Palma di Montechiaro: dice << Amico mio, lei viene qua per cercare di capire se noi abbiamo industrie, quali sono i nostri programmi sociali, quale sarà il nostro avvenire. Noi siamo ricchi, e lei non se ne rende conto: noi abbiamo la merce prima, la materia prima più importante che esista sulla faccia della terra. Abbiamo questi!>> e mi indicò una ciurma di bambini che giocavano nella piazza, bellissimi. Disse << Molti ne muoiono, ma ne nascono molto di più, e allora noi li alleviamo, metà di questi restano analfabeti, il 30% diventano delinquenti, sparano, ammazzano, finiscono in galera, oppure muoiono di revolverate o di coltellate; altri continuano a crescere, e a 18 anni noi li vendiamo sulla faccia della terra.>>" (Giuseppe Fava, Violenza e mafia, i giovani e la scuola contro, dicembre 1983) Michele Calafiore vive a Palma di Montechiaro: nato e cresciuto lì, in quel paesino di 15000 abitanti protetto dalle montagne e con vista sul mare. Ha 18 anni, è pronto a prendere un treno che in un viaggio infinito, con vagoni pieni di uomini, donne e bambini alla ricerca di lavoro e fortuna in terre lontane, lo porterà in Germania, a Wolsfburg precisamente: sarà lì che prenderà posto in fabbrica a lavorare, per mandare i soldi necessari a suo padre per comprare finalmente il terreno che gli spetta. "Ma io ci lavoro da vent'anni con la mia famiglia, all'acqua e al vento! Io ho più diritto" esclama il sig. Turi Calafiore quando l'avvocato Bellolampo, proprietario del terreno, alza il prezzo della vendita dopo gli innumerevoli sacrifici della famiglia per arrivare alla cifra pattuita; quasi una forma di strozzinaggio velato, al quale Fava risponde in maniera efficace e rapida con la voce di Turuzzo, il piccolo maschio della famiglia (e i bambini si sa, dicono le cose più semplici, buona parte delle volte anche le più vere.) "Ma perché la terra non è nostra?" "Perché noi siamo contadini e se vogliamo la terra dobbiamo pagarla." "Papà, ma tu all'avvocato Bellolampo, perché gli dici baciamolemani?" Il resto della famiglia Calafiore è composto da mamma Agata, la sorella Rosalia e la piccola Caterina. Alla partenza di Michele c'erano tutti: tra lacrime di donna e orgoglio di uomini, un arrivederci, forse un addio. Michele non

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aveva mai conosciuto l'amore per qualcuno, e sente dentro di sè questo vuoto insieme al grande amore per la propria terra, nel momento in cui sta per lasciarla. Le luci di Wolsfburg si fanno sempre più vicine, è ormai sera, si vede poco e niente... "Pensava: laggiù nel buio forse c'è ancora il mare, anche quella ragazza dal balcone a quest'ora dorme, il maestro dice che ha i peli più delicati di un canarino, io però non so nemmeno come si chiama..." I ritmi incessanti della fabbrica, la conoscenza dei colleghi, alcuni conterranei e altri provenienti da mondi sconosciuti; personaggi pittoreschi che nel loro piccolo insegnano qualcosa a Michele, forse senza che lui se ne accorga. E poi Gabrielle, quell'amore mai provato che arriva all'improvviso e superando le barriere linguistiche si incontra in un abbraccio che lascia fuori dalla porta il freddo dell'inverno. Ma il gelo entra di soppiatto e alla fine esplode: la paura, la violenza, la giustizia, una fine che non è fine. E tutto ritorna lì, dove tutto era cominciato: la terra a tre punte, il mare di fronte alla montagna. "Ah, se ci fosse Michele!"

Quando parliamo di mafia Giuseppe Fava - giugno 2013 “Noi stiamo contro la mafia, parliamo contro la mafia, facciamo i dibattiti, concludiamo con un applauso e ce ne andiamo a casa contenti…” “Quando parliamo di mafia, dobbiamo pensare che oggi influisce nella distribuzione della ricchezza, nella salute delle persone, nella condizione di vita, nell’evoluzione della scuola, nella gestione delle banche, nello scoppio della guerra, o nel ripristino della pace, nel mediterraneo e nel mondo. La mafia è una bestia con la quale dovrete combattere per il resto della vostra vita, una bestia che potrà condizionare il destino vostro e quello dei vostri figli; tutto quello che vi accadrà nella vita, dipenderà da come voi sarete capaci di stare con la mafia o di lottare contro la mafia. Amici, questa è un’illusione che vi debbo togliere; noi stiamo contro la mafia, parliamo contro la mafia, facciamo i dibattiti, concludiamo con un applauso e ce ne andiamo a casa contenti. Ma poi domani, voi, per avere un posto di lavoro, una raccomandazione, per avere qualsiasi cosa, voi voterete per un politico mafioso e diventerete non solo schiavi, ma complici della mafia. Viviamo in un sistema mafioso, nel quale tutti siamo complici. E la scuola questo dovrebbe fare, dovrebbe spiegare alla gente che cosa sta accadendo, dovrebbe spiegare come la mafia gestisce queste cifre enormi di capitali. Queste masse enormi di capitali devono essere riciclati, e allora c’è questo proliferare di banche in Sicilia, in Italia, in Svizzera. Vi siete mai chiesti perché in Sicilia dobbiamo avere più banche che in Lombardia, quando la nostra economia è infinitamente più povera di quella lombarda? Perché in Sicilia c’è il denaro mafioso che bisogna riciclare. Le porte delle banche andrebbero sfondate! La mafia è il padrone. In questa società ci sono i padroni che sono quasi sempre mafiosi, non tutti mafiosi, ma spesso partecipano col potere mafioso e ne usufruiscono, e poi c’è l’infinità degli esseri umani, dei cittadini, i quali sono il popolo. La mafia comanda e voi servite; un rapporto tra servi e padroni”. Da un’assemblea a Palazzolo Acreide, 20 dicembre 1983 malgradotuttoblog.blogspot.it/2013/04/video-giuseppe-fava-violenza-e-mafia-i.html


L’articolo della rivista "I Siciliani" in cui la redazione saluta il proprio direttore Giuseppe Fava, appena ucciso dalla mafia catanese.

Un uomo da "I Siciliani", gennaio 1984 Pippo Fava ha scritto un sacco di libri, e cose di teatro anche. Però Pippo Fava non è mica uno importante. Per esempio, arriva una centoventiquattro scassata, dalla centoventiquattro esce uno con la faccia da saraceno e un'Esportazione che gli pende da un angolo della bocca e ride e quello è Pippo Fava. Bene, un giorno a Pippo Fava gli dicono di fare un giornale, è una faccenda strana affidare un giornale a Fava che, dice la gente perbene, è uno che non si sa mai che scherzi ti combina: comunque il giornale c'è, si chiama il Giornale del Sud e subito Pippo Fava lo riempie di ragazzi senza molta carriera ma in compenso mezzi matti come lui. «Tu, come ti chiami?». «Così e cosà». «E cosa vorresti fare?». «Mah, politica estera...». «Ok, cronaca nera». La cronaca, al Giornale del Sud, la si fa all'avventura. Non si conosce nessuno, si parte proprio da zero. Ci sono storie divertenti, tipo quella del povero emarginato napoletano che arriva in redazione e tutti fanno i pezzi commoventi sul povero emarginato e poi arriva Lizzio dalla questura per un paio di stupri... Si chiude alle tre di notte; non si "buca" una notizia. Con grande stupore, i catanesi apprendono che a Catania c'è una cosa che si chiama mafia. E che Catania è divenuta un centro del traffico di droga. Dopo qualche mese, un attentato: un chilo di tritolo. Ma si va avanti. La faccenda dura un anno. Poi succedono tre cose. La prima è che gli americani decidono che la Sicilia va bene per coltivarci missili. E questo a Fava non va bene, e lo scrive. La seconda che a Milano acchiappano un grosso mafioso, Ferlito, parente di un assessore e uomo di molto rispetto; e anche qua, Fava si comporta piuttosto come dire - maleducatamente.

La terza è che nella proprietà del giornale arrivano amici nuovi, uno dei quali è... - ok, avvocato, niente nomi ... un importante imprenditore catanese coinvolto nel caso Sindona e un altro un importante politico catanese coinvolto nell'assessorato all'agricoltura. Telegramma all'illustrissimo dottor Fava: «Comunichiamo con rincrescimento a vossignoria illustrissima che il giornale ora ha un altro direttore». I matti, i ragazzi della redazione vogliamo dire, occupano il giornale. L'occupazione dura una settimana, durante la quale gli occupanti ricevono la solidarietà di alcuni tipografi, di una telefonista, di un guardiano notturno e di un ragazzino dell'Ansa (a pensarci, anche un giornalista ha telefonato, allora). Poi arriva il sindacato e, molto ragionevolmente, l'occupazione finisce. Senza Fava finisce anche, e alla svelta, il Giornale del Sud (perché non-leggere le stesse notizie su un giornale nuovo, se puoi già non-leggerle su quello vecchio?). Ma Fava nel frattempo non s'è stato con le mani in mano. Ha raccolto una decina dei "suoi" matti: «Si fa un giornale». Come, quando e se si farà non lo sa nessuno. Ma intanto si mette su una bella redazione, con le sue brave "lettera ventidue" scassate. Chi è disposto a investire qualche centinaio di milioni su due "lettera ventidue" scassate, dieci matti fra i venti e i venticinque anni e uno di sessanta? Ovviamente, nessuno. D'altra parte dopo l'esperienza del GdS Fava e i suoi, a sentir parlare di padroni, si mettono a bestemmiare. Allora si mette su una bella cooperativa «Radar!». «E che vuol dire?». «Suona bene!» - si disegna un bellissimo stemmino per la cooperativa e si firmano alcune tonnellate di cambiali. Due mesi dopo arrivano due bellissime Roland di seconda mano, offset bicolori settanta/cento, e Fava se le cova con lo sguardo che se invece di essere due offset fossero due turiste svedesi lo

denuncerebbero per stupro. A fine novembre, Pippo Fava arriva in redazione, schiaccia l'Esportazione nel portacenere e fa: «Ragazzi, si fa il giornale». «Quando?» «Con quali soldi?» «Io faccio il pezzo sulla Procura!» «Come lo chiamiamo?» «Io ho un'idea per il pezzo di colore» «Ma i soldi...». La vigilia di Natale, le Roland sputano una cosa rettangolare con scritto su «I Siciliani». Anno uno, numero uno, i cavalieri di Catania e la mafia, la donna e l'amore nel sud. Un tipografo porta il pupo in redazione. «Be', potrebbe anche andare» fa uno dei redattori con nonchalance, e subito dopo si mette a ballare. Il giornale arriva in edicola alle nove di mattina. A mezzogiorno non ce n'è più (a piazza della Guardia, dicono, due fanno a cazzotti per l'ultima copia: ma onestamente non ne abbiamo le prove). Si brinda nei bicchieri di plastica, e si prepara il numero due; nel cassetto i mazzi di cambiali sembrano meno minacciosi. Ed è passato un anno. La mafia, a Catania, c'è o non c'è? «Ma no... al massimo un po' di delinquenza...» (il signor Prefetto). «Cristo se c'è! E sbrigatevi a fare qualcosa che qui finisce peggio di Napoli» (I Siciliani). E quel signore, come si chiama quel signore là? «Noto pregiudicato...» (la stampa per bene). «Santapaola Benedetto, detto Nitto, MAFIOSO!» (I Siciliani). E i missili, dite un po', vi dispiace se lascio un paio di missili nel sottoscala? «Ma prego, si figuri, come fosse a casa sua!». «Ahò! Ca quali méssili e méssili! I cutiddati a' casa vostra, si vvi l'aviti a ddàri!» E i cavalieri, vediamo un po'; anzi, i Cavalieri? «Ecco dunque cioè nella misura in cui ma però... AIUTO diffamano Catania!» «I cavalieri catanesi alla conquista di Palermo con la tolleranza della mafia. Firmato Dalla Chiesa. Noi stiamo con Dalla Chiesa». Ed è passato un anno. C'è un ragazzino, a Montepò, che ancora non sa bene se andrà a fare il suo primo scippo o no. C'è una vecchia, in via della

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Concordia, che è rimasta fuori dall'ospedale perché non c'era posto. C'è una tizia, a viale Regione Siciliana, che costa ventimila lire ed ha quattordici anni. C'è un manovale, alla zona industriale, che ci ha rimesso una mano e dicono che la colpa è sua. C'è uno sbirro, in viale Giafaar, che ha una bambina a casa ma va di pattuglia lo stesso. C'è una bambina, da qualche parte allo Zen, che forse

diventerà una puttana e forse una donna felice. E c'è un'altra bambina, in un cortile pieno di sole, e ora Pippo Fava prende in braccio la bambina e la bambina ride. «Nonno, nonno, ora faccio l'attrice». «Qualche volta mi devi spiegare chi ce lo fa fare, perdìo. Tanto, lo sai come finisce una volta o l'altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e quello ti aspetta

sotto casa... Beh, te lo prendi un caffé? E l'occhiello, vedi che dieci righe per un occhiello a una colonna sono troppe». Forse mezzo milione, forse di più: il tizio, con l'altro tizio e quello che doveva dare il segnale, era là ad aspettare e ha alzato la 7,65 e ha sparato. Professionale. Certo, in una villa di Catania, s'è brindato, quella notte. Forse ha avuto il tempo di guardarlo negli occhi. Non pensiamo spaventato. Forse, impietosito. Sapendo benissimo che il tizio pagato uscito forse da un miserabile quartiere, uno di quelli che lui non era riuscito a salvare sparava anche contro se stesso, contro la propria eventuale speranza. Forse ha pensato che un giorno o l'altro quelli che venivano dopo di lui ci sarebbero riusciti a farli smettere di sparare, a... Ma forse non gliene hanno dato il tempo. *** E questo è tutto. Ok, ringraziamo tutti quanti, grazie di cuore a tutti. Adesso dobbiamo ricominciare a lavorare, c'è ancora un sacco di lavoro da fare per i prossimi dieci anni. Mica possiamo tirarci indietro con la scusa che è morto uno di noi. Se qualcuno vuole dare una mano ok, è il benvenuto, altrimenti facciamo da soli, tanto per cambiare. Va bene così, direttore? Elena Brancati, Cettina Centamore, Santo Cultrera, Claudio Fava, Agrippino Gagliano, Miki Gambino, Giovanni Iozzia, Rosario Lanza, Nanni Maione, Riccardo Orioles, Nello Pappalardo, Tiziana Pizzo, Giovanna Quasimodo, Antonio Roccuzzo, Fabio Tracuzzi, Lillo Venezia.

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I mafiosi sono in ben altri luoghi e in ben altre assemblee. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Se non si chiarisce questo equivoco di fondo…, cioè non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale. Questa è roba da piccola criminalità che credo faccia parte ormai, abiti in tutte le città italiane, in tutte le città europee. Il problema della mafia è molto più tragico e più importante, è un problema di vertice della gestione della nazione ed è un problema che rischia di portare alla rovina, al decadimento culturale definitivo l’Italia.

ULTIMA INTERVISTA (dall’ultima intervista di Giuseppe Fava, a Film Dossier di Enzo Biagi del 28 dicembre 1983) Il 28 dicembre 1983 rilascia la sua ultima intervista a Enzo Biagi nella trasmissione Filmstory, trasmessa su Rai Uno, sette giorni prima del suo assassinio. Parole di Pippo Fava: ''I mafiosi stanno in Parlamento, sono a volte ministri, sono banchieri...'' Giuseppe Fava, detto Pippo, è stato uno scrittore, giornalista e drammaturgo siciliano, oltre che saggista e sceneggiatore. Fu direttore responsabile del Giornale del Sud e fondatore de I Siciliani, primo vero giornale antimafia in Sicilia, e fu innanzi tutto un ''giornalista di razzà', di quelli di cui oggi si sente sempre più la mancanza. Pippo Fava fu ucciso nel gennaio del 1984 dal clan catanese dei Santapaola, ed è stato considerato il primo intellettuale ucciso da Cosa nostra. L'intervista di Enzo Biagi è tratta dal programma di Rete4 "Filmstory" trasmesso il 28 dicembre 1983, una settimana prima che Pippo Fava venisse ammazzato. *** L'INTERVISTA DI ENZO BIAGI A GIUSEPPE FAVA LA TRASCRIZIONE DELL'INTERVISTA Biagi: Giuseppe Fava, giornalista, scrittore catanese, autore di romanzi e di opere per il teatro. Fava, per i suoi racconti a cosa si è ispirato?

in ben altri luoghi e in ben altre assemblee. I mafiosi stanno in Parlamento, sono a volte ministri, sono banchieri, sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Bisogna chiarire questo equivoco di Fava: alle mie esperienze giornalistiche. fondo: non si può definire mafioso il Io ti chiedo scusa ma sono esterrefatto di piccolo delinquente che ti impone la fronte alle dichiarazioni del regista taglia sulla tua piccola attività svizzero. Mi rendo conto che c'è commerciale... quella è piccola un'enorme confusione sul problema criminalità che credo esista in tutte le della mafia. Questo signore ha avuto a città italiane e europee. Il problema della che fare con quelli che dalle nostre parti mafia è molto più tragico e importante, è sono chiamati ''scassapagliarè'. un problema di vertici della nazione che Delinquenti da tre soldi come se ne rischia di portare alla rovina, al http://www.diecieventicinque.it/2012/12/2 trovano su tutta la terra. I mafiosi sono decadimento culturale definitivo l'Italia. 8/pippo-fava-ultima-intervista

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Copertina: Flavio Romualdo Garofano Sito web realizzato da Carlo Tamburelli Impaginazione e grafica: Ida Maria Mancini

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