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Francesco Saverio Dalba

Sui canarini parlanti

di FRANCESCOSAVERIODALBA, foto AUTORIVARI

[5.] I canarini parlanti Ecco dunque il passo dei volume del Russ, che mi stupì in maniera inattesa. Molti ricordano l’11 settembre 2001 (quel giorno, ad esempio, trovai i resti ossificati di un soldato della prima guerra mondiale in una buca sulla Forcella di Valmaggiore e vidi per la prima volta un Francolino di monte, posato su un albero), parimenti l’impressione che mi destò il passo del Russ è tale da riportarmi a sua volta all’esatto momento in cui lo lessi: “In molti casi il canarino ha imparato a parlare” (p. 5). In un paragrafo del manuale di Zoologia di R. Wehner e W. Gehringer, dedicato all’ontogenesi del comportamento, viene riportato uno studio sullo sviluppo canoro delle vedove africane che parassitano la prole dei bengalini, mostrando uno sviluppo canoro simile a quello dei loro ospiti (p. 407) “Durante una fase di imprinting i giovani maschi delle vedove apprendono l’intero repertorio canoro dei loro genitori ospiti che in tal caso è estraneo a quello della loro specie”; mentre conclusa la fase sensibile non fanno proprio il canto di altre specie di bengalini. (Questo sembra vero anche per le gazze, che dopo un certo periodo non imparano parole nuove). Gli autori poi concludono: “In alcune specie di uccelli, tuttavia, la flessibilità dello sviluppo canoro si conserva per un tempo maggiore: ad esempio nei canarini compare una nuova fase sensibile all’inizio di ogni periodo riproduttivo”. Sull’apprendimento di nuovi canti da parte dei canarini si è scritto molto su questa rivista; anni fa venne pubblicato anche un interessante articolo avente ad oggetto alcuni dischi o dei veri e propri organetti per insegnare le melodie ai ciuffolotti ed a i canarini (il Russ, in nota alla stessa p. 5, riferisce addirittura di ciuffo-

Seconda parte

lotti parlanti), per altro verso i canarini cosiddetti da canto non vanno tenuti con altri uccelli, pena l’errato apprendimento. In Francia vi era un organetto, chiamato serinette,progettato per insegnare alcune melodie ai canarini, e nell’epoca degli automi -che è quella dei Lumi –vennero prodotti in particolare due automata che rappresentavano dei canarini. Il primo era composto da un uccellino e serinette: quando lo strumento iniziava a suonare, il canarino meccanico imitava maldestramente la melodia, migliorandosi alla seconda esecuzione, per divenire preciso nella terza. L’altro automa fu costruito da Jacques de Vaucanson, famoso per la sua “anatra dige-

Serinette od organetto per Fringillidi ritrice”: un robot meccanico che ingeriva dei semi e li espelleva dopo averli apparentemente digeriti (in realtà vi erano al suo interno due scomparti: nel primo finivano i semi ingoiati, nel secondo era contenuto l’apparente seme digerito); oltre a quest’anatra costruì proprio un canarino parlante. Ma sono esistiti dei veri canarini parlanti? Nella citata edizione inglese del volume di Russ (The speaking parrots) l’autore è, giustamente, molto più cauto; alla pagina 247, nel capitolo dedicato alle cocorite parlanti, scrive: “Storie di canarini dotati del dono della parola, sono state pubblicate da molto tempo, ma sono state generalmente recepite con incredulità, nonostante provenissero da fonti degne di fede”. Quali sono dunque queste fonti? La principale è una lettera, intitolata: “Note on a Talking Canary, adressed to Dr. Gray, V.P.Z.S., By S. Leigh Sotheby”; note su un canarino parlante, indirizzate al dottor Gray, vice presidente della Zoological Society, di S. Leigh Sotheby, del 26 marzo 1858. Essa è pubblicata dallo stesso Gray nell’autorevolissimo giornale della Zoological Society: Proceedings of the Zoological Society of London, p. 26, 1858, pp. 231 e seguente. Il mittente, signor Sotheby, è il fondatore della casa d’aste Sotheby’s. In precedenza egli aveva interloquito con Gray verbalmente, riferendogli di un canarino parlante e, con la lettera, tornava sul tema, riportando “tutte le informazioni che aveva ottenuto in merito, dalla signora dal quale era stato cresciuto ed educato”. I genitori dell’animale avevano svezzato molti pulli, ma tre anni prima solo una delle quattro uova si era dischiusa, il piccolo era stato abbandonato e la madre aveva iniziato a costruire un nido sopra

il pulcino. Il canarino venne salvato, posto in un asciugamano vicino al fuoco e quindi allevato a mano da una domestica. Tenuto disgiunto da altri conspecifici, prese familiarità solo con chi lo accudiva ed iniziò a cantare alcune note di carattere completamente differente da quelle ordinarie, proprie dei canarini. La domestica che lo aveva in cura gli parlava costantemente e dopo tre mesi lo intese dire distintamente “Kissie, Kissie”. “Questo proseguì e, di volta in volta, il piccolo uccellino ripeteva altre parole; adesso, per ore, ad eccezione del periodo della muta, ci stupisce cambiando repertorio (ringing the changes)” dicendo con voce chiara come quella di un umano: “Dear sweet Titchie (il suo nome), Kiss Minnie, Kiss me the dear Minnie”, nonché la frase “Titchie wee, gee, gee, gee, Tichie Titchie”, in verità priva di senso compiuto. Piace qui notare che alcuni uccelli, nella lingua inglese, hanno dei nomi comuni che ricalcano il loro verso. Uno di questi è il whip-poor-will, ossia il succiacapre Antrostomus vociferus. Debbo dire, per esperienza personale, che effettivamente il verso di un succiacapre potrebbe avere sulle prime un che di umano. La mia abitazione si trova a poca distanza da un piccolo cimitero; una sera dell’anno 2016 stavo conversando telefonicamente con l’amico Giovanni Nisticò, di Genova, mentre mi trovavo in giardino; all’improvviso udii un suono sinistro, che pareva la voce di un fanciullo o comunque un lamento umano. Pure se completamente animato dalla razionalità, interruppi tuttavia la conversazione con Nisticò, percorso da una sorta di sacro terrore, prima di capire che il verso era quello di un Caprimulgide (che non a caso viene ritenuto, dai nativi nord-americani, uno psicopompo). Sempre in inglese vi è il Pewee (Contopus, un tirannide americano) il Pipit (Anthus, un motacillide), ed il Chickadee (Poecile, un paride), in italiano c’è il cuculo, animale che è in grado di dire cucù,

La c.d. anatra digeritricedi Vaucanson senza tuttavia che gli vengano attribuite capacità imitative della voce umana, anzi è un caso in cui l’umano ha appreso una ‘parola’ dagli uccelli. Dunque stupisce poco che un canarino dica Titchie, parola che, al di là dei problemi legati alla trascrizione di un suono, somiglia ad una sua normale emissione vocale. Il signor Sotheby non avrebbe mancato di registrare il nome della domestica che aveva allevato il canarino, se fosse stato Minnie, ma l’articolo non vi fa cenno. Quindi anche il nome Minnie appare piuttosto una interpretazione di una emissione sonora ordinaria. Un simile fenomeno, ben noto al CICAP, è la c.d. psicofonia, la sottospecie uditiva della apofenia: il desiderio di sentire una voce, ad esempio in una emissione elettronica o nel silenzio di una telefonata muta, fa sì che un suono neutro venga interpretato come voce o messaggio sensati. Da qui le voci dell’aldilà captate da radio non sintonizzate o i cosiddetti “cosmonauti perduti” postulatamente sentiti dai radioamatori italiani negli anni ‘60. Se è stato dato credito a fenomeni tanto fantasiosi, è più che plausibile che si sia creduto che un canarino dicesse “wee, gee, gee”. Io stesso ho sperimentato più volte qualcosa di analogo. Nei primi anni ‘90 ero spesso in treno o -peggio ancora – in autobus di linea in partenza dall’Italia verso destinazioni remote dell’ex Unione Sovietica. In questi estenuanti viaggi, prima di addormentarmi, i discorsi in polacco o ungherese degli altri viaggiatori acquisivano improvvisamente un senso compiuto; in una sorta di allucinazione ipnagogica frasi allora incomprensibili venivano automaticamente rese in italiano dalla mente, che attribuiva loro un precario significato nella mia lingua madre; salvo destarmi immediatamente quando mi rendevo conto dell’impossibilità della vicenda. Nelle ‘ore’ di continuo parlare del canarino, riferite da Sotheby, probabilmente si innescava un fenomeno simile. Tornando al testo, Sotheby compie una digressione: “Ho dimostrato che il celebre Melantone apponeva la sua firma in non meno di sessanta modi differenti, nel modo di unire le parole Philippus e Melanchton (vedi la tavola di facsimile nel mio libro, una copia del quale si trova al

British Museum), non sarà dunque sorpreso del modo straordinario in cui questo piccolo caro uccellino muti le varie parole che ha appreso”. Sotheby cita qui un suo opuscolo, dedicato alla grafia di Filippo Melantone, con un’appendice sulle firme di Martin Lutero e, con una pindarica analogia, tende a paragonare la varietà di firme che Melantone aveva adottato alla mutevolezza della pronuncia del canarino. È invece noto che gli uccelli parlanti appartenenti ai Passeriformi difficilmente si discostano da quanto appreso: gli storni, ad esempio, pronunciano le parole sempre allo stesso modo, ciò a differenza dei pappagalli che amano variare quanto conoscono. Una Pyrrhura molinae, che a casa è sempre commensale con noi umani, presenziando a tutti i pasti, ha nome “Anguilla elettrica”. Dopo un mese ripeteva correttamente il suo nome, ma poi ha iniziato ad apportarvi delle variazioni, ora spesso dice “elektrik” e “nguilla”. Più di un decennio fa la mia compianta Amazona farinosa di nome Loreto, aveva modificato il suo nome in Loreto-to-to-to. Se -per assurdo – un canarino imparasse a dire il proprio nome, difficilmente lo declinerebbe in molteplici varianti; è invece ben più probabile che la varietà nell’elocuzione sia dovuta all’orecchio o alla mente di chi ascolta un verso ordinario e gli attribuisce, di volta in volta, significato. Il resto dell’articolo è invece più credibile: il canarino imitava delle note “del carattere di un usignolo, mescolandole talora al suono del fischietto usato in casa per chiamare il cane. Canta molto chiaramente la prima battuta dell’inno “Dio Salvi la Regina”. Nel 2011, sul giornale Gazeta po-Ukrainskji, è stato pubblicato un articolo (1) dal titolo “Canarino fischia l’inno sovietico”, dove si dà conto di una mostra di uccelli organizzata presso la Casa della Natura di Kiev; un espositore, il signor Mykola Protsko, all’epoca settantenne, riferiva di avere a casa propria cento canarini, “tutti conoscono fino a quindici melodie. Fischiano costantemente l’inno dell’Unione Sovietica ed il segnale della stazione radio ‘Promin’”. Poi il signor Protsko estraeva di tasca una pipa lunga quanto un indice, donatagli da un amico ormai vent’anni prima, specificando: "questo è lo strumento col quale insegno le melodie ai canarini." In Russia l’educazione musicale dei canarini data ad oltre trecento anni or sono, ai tempi di Pietro il Grande. Quando non c’era la radio ed era costoso assumere musicisti, nei luoghi pubblici, taverne e ristoranti il canarino era l’unico musicista (così riferisce Roman Skibenvsy, presidente del Russian Canary Support Fund) e ricorda che prima della Rivoluzione del ‘17 i canarini russi cantavano l’inno “Dio salvi lo Zar” (sulle identiche note di God Save the Queen, quantomeno tra il 1815 ed il 1833), per fare poco dopo il salto della quaglia e passare all’inno bolscevico. Nell’anno 2007, nel villaggio di Polotnyany Zavod, presso il palazzo Goncharov, udii cantare un canarino di razza “orpheus” e a distanza di tanti anni lo ritengo ancora come il più bel canto che abbia mai udito provenire da un canarino. Tornando ai canarini ‘parlanti’ Sotheby conclude riportando un precedente, aneddotico, di altro canarino parlante:

In Russia l’educazione musicale dei canarini data ad oltre trecento anni or sono, ai tempi di Pietro il Grande

“Il nostro amico, signor Waterhouse Hawkins, che ha udito il canarino, mi riferisce che circa vent’anni fa un canarino che pronunciava alcune parole fu esibito in Regent Street. Si tratta dell’unico altro caso, credo, noto al pubblico”. Il ricordo del signor Watherhouse è corretto: nel 1839 a Regent Street era stato esposto un canarino ‘parlante’. Un coevo articolo dello Spectatorne tratta e, ai giorni nostri, circolano ancora alcuni manifestini che pubblicizzavano l’evento (caso vuole che siano spesso all’asta proprio da Sotheby’s). In uno di questi dal titolo “Il canarino vivo parlante (Londra)” c’è una nota in calce, a matita, che ci informa del fatto che “cinquecento sterline furono offerte per questo miracolo parlante – ma vennero rifiutate – il canarino morì poco tempo dopo”. L’animale era esposto nella Cosmorama Room (stesso palcoscenico dove era stata esibita Elizabeth Armitage, del peso allora straordinario di 445 libbre, ossia oltre duecento chilogrammi; ma anche The Singing Mouse, il topo canterino ed il più piccolo cavallo del mondo: di 28 inches al garrese, ossia 71 centimetri. Quest'ultimo freak è forse anche credibile, perché di recente un pony delle Shetland misurava proprio 28 inches, senza essere un Eohippus), un locale ove si potevano consumare dei pasti e vedere le più varie bizzarrie. Anche all’epoca venne sollevato il dubbio che il topo canterino non fosse altro che uno spettacolo di ventriloquismo e, probabilmente, lo stesso può dirsi per il canarino parlante. Lo Spectatorriferisce: “Nel bel mezzo di un canto si può sentire pronunciare le parole “Sweet pretty little Dicky” – “Pretty Queen” – “Dicky dear” ed altri nomignoli che gli sono conferiti dalla sua padrona: fa anche un’imitazione di una campanella che suona e dice “Mary”. Ci vuole poco per incoraggiarlo a parlare e la presenza di estranei aumenta la sua loquacità. Durante la nostra breve visita l’alato era assai prodigo sia nel cantare sia nel parlare. L’unica particolarità è che la piccola creatura, che ci appariva assai vivace ed in un certo qual modo intelligente, aveva una gola gonfia, con le piume arruffate per via della costante azione dei muscoli della laringe. Viene riferito che la propensione alla parola sarebbe stata sviluppata in autonomia all’età di sei mesi e maturata con una pratica spontanea, alimentata solo dall’incitamento con la frequente ripetizione dei suoni: il canarino ora ha tre anni, fu tolto presto dal nido ed allevato a mano: divenne subito domestico e veniva lasciato libero in un soggiorno, per essere messo in gabbia solo di notte”. La politica del localeCosmorama Room era quella di esagerare fenomeni naturali, spesso non del tutto fasulli, quali “Il maiale dotto” o “Il serpente marino”; il primo era un maiale bene addomesticato che, come il cavallo Clever Hans appariva compiere calcoli matematici, mentre in realtà rispondeva a segnali dell’addestratore, il secondo era un pesce nastro, Regalecus glesne. Vi erano poi falsi veri e propri, come il già citato topo canterino o le pulci industriose del

signor Bertolotti. Il canarino parlante si situa a cavallo di queste due categorie: falsa la sua capacità di parola, per il resto poteva essere un uccellino particolarmente canoro, forse assistito da unapadrona ventriloqua. Solitamente questi canarini morivano poco tempo dopo la loro scoperta, quello di Regent Street si spense proprio nell’autunno del 1839, come viene annotato anche dall’autore del volumetto divulgativo British Birdspubblicato a Londra nel 1840. Lo aveva sentito personalmente parlare ed aveva anche chiesto ai suoi espositori se avessero mai tentato di insegnarli nuove parole, ma questi risposero negativamente, poiché temevano che potesse dimenticare anche quelle che conosceva. Anche a lui venne raccontata la vicenda delle 500,00- sterline offerte e rifiutate. Questa è una tecnica commerciale, molti anni fa a Reggio Emilia c’era un Fringillide mutato, il venditore mi raccontò che uno svizzero gli aveva offerto 3.000 euro, ma lui aveva preferito tenerselo; in una mostra successiva mi propinò la stessa storia, che pertanto mi parve non meritevole di particolare credito. Risalendo ancora indietro nel tempo, si rinviene una testimonianza di canarino parlante negli Annals of Natural History, vol. I, 1838. Si tratta di un giornale di massima serietà, col comitato direttivo composto tra gli altri da sir W. Jardine (eponimo del pappagallo che molti, erroneamente, chiamano con pronuncia francese) P.J. Selby e da W.J. Hooker direttore dei giardini di Kew. Forse è proprio da questa fonte che al Cosmorama trassero ispirazione, anche se non mancavano di fantasia propria. A p. 238 sono riportate alcune brevi notizie, nella rubrica Miscellaneous. Solitamente le noticine recano la sottoscrizione del redattore, ma quella che qui interessa è adespota. Si intitola “Canarino parlante”: “L’attenzione di alcuni dei nostri amici è stata recentemente indirizzata a ciò che, per quanto ne sappiamo, è un fatto nuovo, un canarino ha letteralmente acquisito il potere di articolare parole. L’animale è di proprietà della signora Hardy, residente al n. 28, Piccadilly. Le fu portato quando era ancora un nidiaceo. Questa docile piccola creatura ha certamente imparato ad imitare con sorprendente successo alcune frasi che gli sono state spesso indirizzate, e possiede una facoltà che non si è mai sospettato potesse essere presente nella famiglia alla quale appartiene”. Questa lettera ha anche una risposta, nel settimo ed ultimo volume della stessa rivista: 1841, p. 523: “Canarino parlante. Nella notizia a p. 238 del primo volume degli Annali, venne detto che la facoltà di parola nei canarini non era mai stata registrata prima. Nondimeno un fatto simile venne raccontato da Madame Roland, nelle interessanti memorie della sua vita. Parlando di una buona suora, sorella Sant’Agata, che era stata molto gentile con lei nella scuola del convento, raccontava: ‘Mi aveva portato con sé qualche volta nella sua celletta, ove aveva un magnifico canarino, domestico,che si lasciava carezzare ed al quale aveva insegnato a parlare’”. Si tratta delle memorie di Marie-Jeanne de la Platière, rivoluzionaria francese, vissuta tra il 1754 ed il 1793; il

Anche tutta una altra serie di racconti sono basati solo su esperienze soggettive, mai di prima mano, da parte di signore molto giovani o molto anziane e sole

passo è particolarmente vago, non viene neppure detto se la Roland avesse mai sentito realmente il canarino nell’atto di parlare. Il passaggio si trova alla p. 63 delle sue Memorie particolari, ove il canarino è menzionato un’unica volta; per quanto poco più avanti l’autrice ricordi che la suora le aveva dato una seconda chiave della cella, per potervi entrare quando lei era assente, cosa che faceva regolarmente, per potere leggere i libri che vi conservava. Un ricordo di infanzia, connotato da grande vaghezza e poco documentato non può certo costituire una prova bastevole di una facoltà tanto particolare in un canarino. Come quello della Roland, anche tutta un’altra serie di racconti sono basati solo su esperienze soggettive, mai di prima mano, da parte di signore molto giovani o molto anziane e sole, animate con ogni probabilità da un wishful thingking. Nel 1882, sulla rivistaKnowledge, 27 ottobre, p. 363,si parla di un altro canarino parlante, il corrispondente scrive: “Conoscevo una vecchia governante alcuni anni fa, ormai morta, che aveva un canarino belga, al quale era solita parlare costantemente, come una madre fa col proprio bambino, per poi scoprire che l’uccellino dopo molti vani sforzi, riusciva a ripetere varie parole quali ‘sweet pet’, ‘pretty dear’ o frasi simili”. È una storia riferita, che comunque coinvolge una persona anziana e probabilmente sola, che aveva un animale da compagnia; inoltre le ‘parole’ sono singolarmente simili alle ordinarie vocalizzazioni del canarino. È ben più interessante il racconto successivo dello stesso corrispondente, contenuto nella stessa nota: una gazza nell’inverno del 1880 stava in una gabbia all’esterno, con del pane, ossa ed avanzi come alimento. La gazza aveva notato che dei passeri nei dintorni erano affamati, così poneva il pane sul bordo esterno della gabbia e poi balzava dal posatoio per predare i passeri attraverso le sbarre. Anche le orche utilizzano una tecnica simile per cacciare gli uccelli che si avvicinano alle esche alimentari che esse stesse pongono in vista. In Bird World del 1906, a p. 60 viene riferita un notizia dell’Evening Dispatch di Edimburgo, città in cui la signora Helen A. Grant aveva un canarino parlante. Diceva “Kevie boy” (ove kevie stava per clever) “whiskers” e “Where’s a wee boy?”; poiché, a suo dire, non era il primo canarino ‘parlante’ l’autore critica lo scetticismo degli amici della signora, che avevano preso poco sul serio la comunicazione delle abilità dell’uccellino. Nel 1931 fa la sua comparsa l’epigono dei canarini parlatori, questa volta a Sumas, nello stato di Washington. Ne riferisce T. W. Winson (un canadese di Huntignton) sul volume 12, n. 2 (maggio 1931) di The Murrelet, pubblicato dalla Society for Northwestern Vertebrate Biology, alle pagine 58 e seguente. La signora Taylor aveva un canarino parlante, un maschio di poco più di un anno, buon cantatore con una siringe ben sviluppata, che si gonfiava vistosamente durante le esibizioni canore. L’animale sapeva dire: “Sing Birdie Sing”, “Hurry up.

Sing”, “Hurry up Rex”, “Now Sing” e “Rex”. Rex era il nome del ragazzo che lo aveva allevato, che gli portava da mangiare e gli aveva insegnato a parlare. Il canarino parlava impazientemente, sino a quando non veniva ricompensato col cibo. Poi l’autore aggiunge che altri suoi vocalizzi erano privi di significato, come accade anche con quelli dei pappagalli. La sua voce aveva una tessitura da soprano e non era rauca come quella dei pappagalli, “ma della stessa altezza del suo canto naturale”. Era anche stato attestato all’autore che il canarino aveva un fratello ed una sorella parlanti, ma capaci di profferire solo parole singole, come “Peggy” e “Sing”, non intere frasi. Non temeva i visitatori, anzi parlava o cantava più forte quando gli si avvicinavano, quando il giovane Rex cantava a sua volta o se la macchina da cucire era in funzione. Per quanto T.W. Winson fosse il vicepresidente della società della biologia dei vertebrati del Nordest e per quanto abbia fornito molteplici contributi alla rivista della società, in questo caso non chiarisce se quanto narrato gli sia stato riferito (come peraltro lascerebbe intendere l’espressione “it is stated” che si incontra nel racconto) o se lo avesse appurato in prima persona. Ma anche qui, in questa ultima apparizione di un canarino parlante, le ‘frasi’ sono simili ai normali gorgheggi che questi uccelli emettono e non vi è alcuna prova, se non il racconto aneddotico, ad asseverare una capacità così inconsueta. Si dice che quanto più grande è l’affermazione, tanto più solido dovrebbe essere l’impianto probatorio. L’aneddotica, per quanto cumulativa, non costituisce prova probante: si prenda l’esempio delle esperienze di pre-morte, prive di scientifica consistenza e basate unicamente sulla sedimentazione di esperienze soggettive, non verificabili. Quindi, in conclusione, i canarini parlanti non esistono. Un po’ come la Pizia di Plutarco ha smesso di fare oracoli in versi, dopo il 1931 i canarini sono tornati a cantare soltanto. Il mio amico Tullio Frisinghelli, uno dei più stimati allevatori in Italia, come pure Giovanni Canali, ai quali ho chiesto una eventuale smentita al mio scetticismo, mi hanno risposto di non avere mai sentito parlare di canarini parlanti. Per avere una dimostrazione di come si possa essere indotti ad attribuire significato a suoni inarticolati, è bastevole visionare il filmato del gatto “parlante” che dice “Oh long Johson, oh long John, oh Don Piano” e così via (si cerchi “Oh Don Piano, talking cat”): senza sottotitoli è un gatto che vocalizza come qualsiasi felino di una certa età, ma sottotitolato sembra proprio che dica le parole senza senso di cui sopra, formando una frase della durata di quasi mezzo minuto.

Nota

(1)"L’articolo è stato scritto nel dicembre 2021, prima del profilarsi degli eventuali eventi bellici"

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