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La Quaglia nella pittura tra il XV e il XVII secolo

Considerazioni introduttive e presentazione di alcune opere

di IVANOMORTARUOLO, foto da Internet, AUTORIVARI

Se si volge lo guardo alle opere pittoriche realizzate su tela o tavola tra il XV e il XVII secolo, ci si accorge che solo in rari casi la quaglia veniva riprodotta… e spesso con ruoli accessori e di “contorno”, mentre altri volatili, come ad esempio il cardellino, in vario modo susci ta - rono gli interessi di un buon numero di pittori. Non conosco il motivo di questa, per così dire, “defezione arti sti - ca” e, pertanto, sono costretto ad avventurarmi nell’impervio terreno delle ipotesi. La spiegazione di tale fenomeno potrebbe preliminarmente ricercarsi nel fatto che il piccolo galliforme, per le sue peculiarità morfologiche e cromatiche, non possiede particolari attrattive dal punto di vita estetico, e inoltre la sua carne, pur essendo sapida, in passato non era ritenuta di spiccato pregio e rarità. Per quanto attiene al primo aspetto, va rilevato che il Rinascimento (e il periodo successivo) si caratterizza anche per i numerosi viaggi oltre i confini europei e per la scoperta di terre lontane: eventi questi che favorirono l‘importazione di oggetti, piante e a ni - mali sconosciuti. Questa re al tà potenziò la già crescente e consolidata attenzione per le novità. Fu così che studiosi, aristocratici,

In rari casi la quaglia veniva riprodotta… e spesso con ruoli accessori e di “contorno”

Pisanello: “Madonna della quaglia”. Tempera e oro su tavola, cm 54 x 32. Museo di Castelvecchio, Verona. Fonte iconografica: Wikipedia, foto: Paolo Villa ricchi borghesi e anche esponenti del clero, intrapresero la collezione di oggetti rari, di riproduzioni artistiche di flora e fauna, di animali vivi ed imbalsamati, di piante coltivate in ap positi orti oppure conservate essiccate (tali rac col - te botaniche venivano chiamate in passato “orti secchi” e successivamente “erbari”), ecc. Una particolare testimonianza di tale “moda” ci viene offerta anche dalle cosiddette “stanze delle meraviglie”, caratterizzate da nutrite raccolte di peculiari e/o raffinate espressioni dell’operato umano (artificialia)e di oggetti provenienti dal mondo della Natura (naturalia) ( 1 ). Fu così che pure alcuni esponenti della dinastia medicea (segnatamente il Granduca di Toscana Francesco I de’ Medici, 1541- 1587, e Anna Maria Luisa de’ Medici,1667-1743, figlia di Cosimo III) furono coinvolti in tali raccolte, anche se costituite prevalentemente da artificialia. I Medici subirono altresì il fascino degli animali (soprattutto eso - tici), i quali vennero ospitati in capaci serragli ed eleganti voliere. Non sorprende, quindi, se vari artisti di corte furono incaricati di ritrarli. Alla luce di quanto esposto si comprende come la quaglia, es - sen do fin troppo comune e con

Cardellino, particolare dell’opera “Madonna della quaglia”

Quaglia, particolare dell’opera “Madonna della quaglia” una livrea caratterizzata da uno spento cromatismo, non avesse molte chances attrattive se la si paragonava ai numerosi, inconsueti e variopinti uccelli esotici (e il medesimo risultato si otteneva anche dal confronto con alcuni policromi, accat tivanti volatili nostrani). Rivolgendo ora uno sguardo alla qua - glia come fonte alimentare, va osser - vato che le sue carni hanno co stan - temente appagato le aspet ta tive dei buongustai, dall’antica Grecia fino ai nostri giorni. Si rende però necessa ria una precisazione che attiene a credenze del passato. Plinio e altri veteres auctores, infatti, riferiscono che vi era una certa diffidenza a consumare tali uc - cel li, poiché si riteneva che fossero affetti da epilessia e che le carni po - tessero risultare tossiche a causa della loro abitudine a cibarsi anche di germogli e semi di piante velenose (in particolar modo la cicuta). È opinione abbastanza diffusa fra gli esperti di cucina che gli uccelli più gustosi al palato siano la beccaccia, la coturnice, la pernice e la starna. Quindi alla quaglia verrebbe attribuito un posto di secondo ordine in un’ipotetica hit-paradegastronomica, ma ciò nonostante ben figurava sulle tavole di per

P. Porpora: “Rose, quaglie, rane e cavaliere d’Italia”. Olio su tela, cm 74x 99. Museo del Louvre Parigi. Fonte iconografica: Bocchi e Bocchi, 2005

sonaggi appartenenti alle aristocrazie e alte borghesie europee. Una peculiare testimonianza ci viene fornita dalla celebrazione, in data 8 giugno 1466, delle nozze fra la sorella di Lorenzo il Magnifico, Nannina, e Giovanni Rucellai. Infatti, in occasione del terzo giorno di festeggiamenti (martedì), tra i vari arrosti, furono offerti anche quelli di quaglia. Tuttavia, se sul fronte estetico e culinario il nostro galliforme appariva “deficitario”, dal punto di vista simbolico poteva vantare un repertorio di tutto rispetto, in quanto gli venivano attribuiti peculiari significati di natura cristo logica e, inoltre, costituiva l’em - blema della concordia coniugale (soprattutto nel Medioevo). Il Signore, infatti, con le quaglie sfama gli Israeliti in fuga dall’Egitto e diretti verso la terra promessa (Esodo 16, 13). Questo episodio ha così contribuito ad attribuire ai pennuti il significato di cibo eucaristico e, conseguentemente, di sacrificio di Cristo per la salvezza degli uomini. Quest’ultimo aspetto è stato rafforzato dalla credenza (rivelatasi realistica e che gli etologi definiscono “esibizione di distrazione”) secondo la quale la femmina della quaglia, all’avvicinarsi di un predatore, si allontana dal nido fingendosi ferita: siffatto comportamento in genere mette al sicu ro i propri figli, ma talvolta può richiedere il tributo della vita del ge - neroso genitore. La quaglia, dunque, poteva ritenersi la metafora del Redentore. Ciò posto, se si realizza un’ipotetica comparazione con il corredo simbolico che faceva capo al cardellino, emerge che le attribuzioni al galliforme potevano ritenersi molto simili. Ma paradossalmente i due pennuti ebbero diversi, opposti destini dal punto di vista iconografico. Invero, all’umile quaglia venne offerto pochissimo spazio nelle rappresentazioni pittoriche devozionali, mentre il gaio passeriforme colonizzava, seppur con discrezione, le opere di una nutritissima schiera di artisti (ne sono stati individuati 254 di cui 214 italiani). Tuttavia, in una tavola le due specie convivono e sembrano rafforzarne la portata simbolica. Mi riferisco al

dipinto chiamato “La Madonna della quaglia”, attribuito ad Antonio Pisano detto il Pisanello (c.1395- 1455) e datato intorno al 1420. Nel quadro, realizzato su tavola con tempera e oro, sono collocati due cardellini a fianco della Madonna e il Bambino (uno per lato). Questi uccelli rimandano, nella tradizione cristiana, all’anima salvata dal gesto e dalla parola di Cristo, alla Passione e anche allo stesso Redentore. La quaglia, invece, è posta in basso, in primo piano e a contatto con il manto virginale. I volatili vengono così a formare una sorta di triangolo che, a mio giudizio, amplifica e potenzia il messaggio cristologico. I due personaggi sacri e i tre pennuti poggiano su un prato fiorito chiamato hortus conclusus (tradotto letteralmente “orto chiuso, recintato”), che nell’iconografia del tempo assume il significato di purezza della Vergine Maria: caratteristica questa che Pisanello rafforza proponendo anche delle rose le quali, data la loro rilevanza sim - bo lica, rappresentano la Vergine stessa e la sua mancanza di peccato. Maria è raffigurata seduta sul prato (utilizzando un cuscino) e non su di un trono, come la sua condizione di madre di Cristo le avrebbe permesso, ma ciò non è casuale. Questa peculiarità, infatti, corrisponde a un modello pittorico definito “Madonna dell’umiltà”, secondo il quale lo stare a contatto con la terra rimandava a tale sentimento e comportamento. Non a caso la parola umiltà trae origine dal latino humus= terra, e da ciò umiltà= proveniente dalla terra. Nella Vergine sono altresì particolarmente significative l’espressione del volto e la testa piegata in avanti, che ne definiscono maggiormente il suo stato d’animo nel momento in cui i due angeli sovrastanti la incoronano. Azzarderei, a questo punto, l’ipotesi che anche la quaglia, con il suo carico simbolico, posta ai piedi della Madonna e colta in una postura apparentemente “dimessa”, potrebbe aver contribuito a completare l’alone di umiltà che il pittore, in vario modo, ha voluto ben evidenziare e rafforzare nella sua opera. Questo quadro presenta caratteristiche di indubbio pregio e ricercatezza, però, anche ad una letturaprima facie, manifesta degli errori grossolani come, ad esempio, le lunghissime mani di Maria e la contorta mano destra di Gesù. Pertanto, l’opera viene considerata l’espressione iniziale di un percorso che successivamente porterà Pi - sanello a maturare una non comune abilità in eterogenee attività arti sti - che, caratterizzandosi per l’eleganza e la cura dei particolari. Di rilevante importanza sono anche le sue rappresentazioni naturalistiche realizzate ad vivum, anticipando così un orientamento artistico, detto “naturalismo”, che vedrà in Leonardo da Vinci (1452- 1519), Durer (1471-1528), Arcimboldo (1526-1593) e Caravaggio (1571-1610) fra i maggiori esponenti. La seconda opera che propongo è un olio su tela, dal titolo “Rose, quaglie, rane e cavaliere d’Italia”, realizzato dal napoletano Paolo Porpora (1617- 1673), il quale ben presto s’impose come fiorante (costituiva il nome di coloro che allora erano specializzati nella rappresentazione dei fiori, non a caso veniva chiamato “Paoluccio delli Fiori”) e come pittore di sottoboschi. Quest’ultimo orientamento, com’è noto, costituisce un genere pittorico affermatosi nell’ambito delle nature morte, nel quale lo scenario è poco luminoso, talvolta quasi oscuro, e affollato da insetti, rettili, anfibi, uccelli, fiori, funghi e piante, dove spesso si consumano atti predatori o si creano situazioni di conflitto fra animali. In questo singolare microcosmo, pertanto, si rappresenta anche la lotta per la sopravvivenza e l’allusione al perenne conflitto fra il bene e il male appare evidente. Porpora, trasferitosi negli anni Quaranta a Roma, ebbe occasione di conoscere e apprezzare gli olandesi Otto Marseus van Schrieck detto Ottone Marcellis (1619 ca. -1678) e Matthias Withoos detto Calzetta Bianca (1627- 1703), entrambi attivi nell’Urbe per qualche anno e unanimemente considerati esponenti di spicco di tale genere pittorico. Indubbiamente il nostro fu molto influenzato dai prefati due artisti, ma seppe esprimere una certa autonomia narrativa e stilistica caratterizzata

Cavaliere d’Italia, particolare dell’opera “Rose, quaglie, rane e cavaliere d’Italia”

dalla scarsa e talvolta inesistente attenzione ai richiami simbolici e dalle attenuate espressioni aggressive di alcuni animali. Inoltre, dimostrò un’ottima capacità mimetica nel ritrarre organismi vegetali e animali, dedicò particolare attenzione sia per l’ottenimento di una resa cromatica e lumini-

Quaglia, particolare dell’opera “Rose, quaglie, rane e cavaliere d’Italia”

F. de Hamilton: “Attrezzatura per la caccia agli uccelli”. Olio su tela, cm150,5 x 125,9. Jagdschloss Grunewald, Berlino. Fonte iconografica: Grimm, 1992

stica, sia nella scelta dell’impianto compositivo. Rivolgendo ora lo sguardo al quadro in esame, inizialmente l’immagine del cavaliere d’Italia colonizza l’atten - zione, in quanto collocata in primo piano e sviluppata su buona parte del lato destro della tela. Il volatile è elegante, fiero e impettito, caratteristiche que ste rese ancor più vivide dal bianco di gran parte della livrea e dalle lunghe zampe rosse, in palese contrasto con lo scuro dello sfondo. La zampa destra è ritratta, forse fissata nel momento in cui sta per muovere un passo. L’insie me è di grande valenza artistica, ma se si guarda con gli occhi di un ornitofilo, ap parirà po - co verosimile, perché la postu ra del corpo è decisamente al lungata rispetto al reale. Probabilmente l’artista ha potuto osservare un soggetto in pelle o da poco ucciso, in grado di offrire soltanto indicazioni fenotipiche ma certamente non etologiche. Sono altresì incline a ritenere, in base a ricerche effettuare in passato, che questo quadro abbia il merito di proporre per la prima volta il cavaliere d’Italia nelle nature morte realizzate nel periodo preso in esame. Suggestiva è la rappresentazione della civetta la cui cromia del corpo, soprattutto la testa, sembra dissolversi nello sfondo, ma i suoi occhi, per converso, sono luminosi e penetranti. Le quaglie sono tre, disposte lungo un immaginario asse diagonale che dal lato sinistro si sviluppa verso il centro della tela. Il primo soggetto, a mio giudizio, presenta caratteristiche di peculiare originalità, anche se può non risultare ben chiaro cosa lo spinga a piegarsi sul lato sinistro con la testa alzata e le ali allargate (quella destra s’intravede). Forse la spiegazione va ricercata nell’insolita morfologia della zampa sinistra che presenta evidenti segni patologici: le dita sono, infatti, tutte ritorte e in apparenza doloranti, costringendo l’animale a piegarsi e poggiare sull’altra zampa. Tuttavia, non si può escludere che l’autore abbia semplicemente raffigurato il volatile in una cosiddetta “esibizione di distrazione”, la quale, come accennato in precedenza, viene attivata in una situazione di pericolo (forse scaturita dalla cupa presenza, nella tela, del rapace notturno). Non so quale delle due ipotesi potrebbe ritenersi più attendibile, di certo il volatile sembra comunque vivere sensazioni non piacevoli: di dolore nella prima interpretazione e di paura nella seconda. Al contrario, le altre due quaglie, di - sposte in verso opposto, sono colte in differenti posture di osservazione e sembrano apparentemente tranquille. Una delle due rane ha catturato una farfalla, però l’immagine, anche in questo caso, non rievoca il senso di aggressività e di lotta spesso rappresentati dai suddetti due pittori olandesi, perché l’anfibio appare immobile con l’espressione sorniona e compiaciuta, mentre il dramma vissuto dall’insetto è appena accennato, quasi inesistente. Tuttavia, ad una farfalla morta se ne contrappone un’altra viva, ben al si - curo nella parte alta della tela. Tra gli elementi vegetali presenti nella scena, le rose meritano una particolare menzione poiché sono ben eviden - ziate nella loro consistenza tattile e, con il delicato e luminescente cromatismo, rischiarano l’atmosfera e nel contempo ne esaltano i contrasti. Apprezzabili appaiono anche le rela - tive foglie in procinto di seccarsi, di

caravaggesca memoria. Buona è inol - tre la resa luministica offerta dai sassi dello specchio d’acqua, dalle lamelle del fungo e anche dalla rugiada sulle piante. Questa è dunque un’opera molto interessate e non a caso ha trovato ospitalità in uno dei musei più prestigiosi del mondo: il Louvre. Il terzo quadro è un cosiddetto trompe-l’oeil (letteramente “inganna l’occhio”), un genere pittorico inserito nell’alveo delle nature morte, la cui peculiarità consiste sostanzialmente nella fedele riproduzione degli oggetti e nella particolare attenzione per le prospettive e le luci, tali da trarre in inganno l’osservatore. L’opera è stata realizzata su tela da Frans de Hamilton tra il 1665 e il 1670. Purtroppo di que - sto artista si hanno poche e spesso frammentarie notizie. Anche il suo nome appare “incerto” poiché su alcuni documenti è indicato come Franz o Francis. Di certo viaggiò molto per lavoro, prevalentemente in località dell’area germanica. Viene segnalato attivo nel 1640 a Bruxelles e nel 1697 ad Augusta (Germania), inoltre fu pittore presso la corte di Baviera dal 1683 al 1689. Il de Hamilton dipinse prevalentemente scene di natura morta ispirandosi ad ambienti di sottobosco e a soggetti attinenti alla caccia. Il dipinto che propongo è intitolato “Attrezzatura per la caccia agli uccelli”, che “proba - bilmente fu eseguito su com mis sione del principe elettore Federico Guglielmo, alla corte di Brandeburgo. Vi è raffigurata l’attrezzatura per la caccia agli uccelli: il sacchetto di lino, la spada con decorazioni in argento, il corno da caccia, lo schioppo, il corno per la polvere da sparo, la gabbia per l’uccello da richiamo e un carniere con lo stemma di Brandeburgo e le iniziali del padre del principe elettore, tutto raffigurato in grandezza naturale” (Grimm, 1992). Ai preziosi e raffinati manufatti per l’attività venatoria, sembra contrapporsi la modesta gabbietta conte nen - te uno sventurato maschio di quaglia destinato a fare da richiamo. Tuttavia, è l’umile uccello, raffigurato mentre osserva incuriosito un ipotetico spettatore, che dà vita a un contesto immobile, inanimato e muto. Credo che l’artista, oltre ad aver ben evidenziato lo status sociale del destinatario dell’opera, non intendesse proporre un particolare messaggio, anche se la tela, come accennato, potrebbe of - frirci qualche spunto di riflessione. La raffigurazione, per le sue pecu liarità, s’inserisce in un filone di trompe-l’oeil che si sviluppò partico larmente in Olanda e che circoscriveva la propria attenzione agli oggetti per la caccia,

NOTE

(1 ) Il quantitativo degli oggetti facenti parte delle collezioni più importanti era davvero notevole.

Per averne un’idea riporto un brevissimo brano di una lettera scritta nel settembre 1577 a Francesco I de’ Medici (1541 - 1587) dallo scienziato bolognese Ulisse Al - drovandi (1522 - 1605): “…per augu men tar di continuo il mio Theatro di natura nel quale insino ad hora ho tredici millia cose diverse…”

Quaglia, particolare dell’opera “Attrezzatura per la caccia agli uccelli”

soprattutto ai volatili, come testimoniano le immagini di gabbiette, reti, carnieri e così via. Colgo l’occasione per segnalare che Frans de Hamilton è anche l’autore di un noto quadro intitolato “Concerto degli uccelli”, nel quale vengono ritratte sessantuno specie ornitiche, ma la quaglia ne è esclusa. Concludo questa nota, concepita ab origineabbastanza contenuta e destinata agli amici ornitofili, nella speranza di essere riuscito a offrire qualche informazione sulle eterogenee rappresentazioni della quaglia, e di aver stimolato altri a intraprenderne ulteriori ricerche.

BIBLIOGRAFIA

- Bocchi G. e Bocchi U. (2004-2005). Pittori di natura morta a Roma. Arti Grafiche Castello,

Viadana. - Grimm C. (1992).Natura morta. Ist. Geo - grafico De Agostini, Novara - Mortaruolo I. (1988). Cenni sulla tossicità della cicuta negli uccelli.Italia Ornitologica, 1: 35-36. - Mortaruolo I. (2004). Sulla quaglia: considerazioni di ordine storico, biblico, mitologico, simbolico ed etimologico. La Pagina, 8:16. - Mortaruolo I. (2005) -Il Cardellino nella pittura, in “Carduelis carduelis conoscere il Cardellino” di Renzo Esuperanzi, Edizioni FOI, Piacenza, pp. 15-25. - Mortaruolo I. (2018). Lorenzo il Magnifico (1449-1492) e gli animali (uccelli compresi).

Italia Ornitologica,12 : 27-30.

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