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Francesco Di Giorgio
Iniziare la scuola di canto
di FRANCESCODIGIORGIO, foto P. MARSON
In canaricoltura si intende per “cantore” quel canarino per il quale è stato fissato uno standard con melodie proprie riportate su apposita scheda di valutazione. Bisogna porre in essere un insieme di iniziative che tendono ad orientare verso gli obiettivi prefissati. Ogni melodia, ogni frase di canto, ha una propria struttura, coerenza, bellezza. Va subito rimarcato che le capacità virtuali – segnate nel DNA dei nostri piccoli amici – sostengono come una salda impalcatura lo sviluppo delle singole unità di apprendimento. Con ansia gli allevatori di canarini da canto affrontano ottobre e l’impatto con uno dei riti ornicolturali più importanti: l’ingresso dei giovani pupilli della scuola di canto. Il primo vero distacco, il primo segnale tangibile che il piccolo ormai è autonomo, che non dipende più totalmente dai compagni di voliera, fin troppo allegri e rumorosi. E, come tutti i riti di passaggio, anche questo porta con sé uno strascico di dubbi, incertezze su come comportarsi, se adottare o meno la “linea dura” qualora l’alato dovesse restare molto “scioccato” al momento del distacco. Preoccupazioni preventive e forse un po’ eccessive. Di solito i novelli sono assolutamente pronti ad affrontare la scuola canora. Anzi, in genere sono stanchi di giocherellare in continuazione, rincorrersi, contendersi il cibo, affinarsi l’ugola in coro. E hanno una gran voglia di concentrarsi, di appartarsi, sempre che l’ambiente e la scuola siano accoglienti. Il gruppo degli allievi, quanto più è piccolo ed omogeneo, tanto più è ricettivo rispetto al modello canoro combaciante. Detta comunità, in quanto tale, affianca e rafforza l’azione educativa del canarino istruttore in modo naturale e significativo, perché all’interno di essa attività, regole, dinamiche emozionali, scopi comuni sono la ragione stessa del contesto relazionale. Un criterio fondamentale è che il maestro cantore non si sovrapponga al discente, ma lo consideri nella sua individualità irripetibile, nella sua storia individuale, tenendo conto delle difficoltà che il giovane canarino incontra verso l’autonomia e accettandolo pienamente. Ci sono molti passaggi fra trasmettitore e ricevente connessi alla codificazione dei messaggi, alla loro trasmissione e ricezione, deco dificazione e interpretazione. L’ornicoltore deve monitorare l’apprendimento degli allievi e avere cura della propria professionalità. Spetta a lui assicurarsi che ogni messaggio canoro arrivi a destinazione e sia chiaramente interpretato. Il distacco dei canarini novelli implica per “l’addetto ai lavori” la necessità
di ripensare il proprio ruolo e ristrutturare la propria immagine, che ora sono più indissolubilmente legati ad un surplus di lavoro (più gabbie da accudire, alternanza di semioscurità e brevi periodi di luce, maestri di canto che non commettano il benché minimo errore). Mi si consenta un paragone: i novelli sono un po’ come i bonsai che, se non fossero trattati fin da germogli in un certo modo, crescerebbero come piante vere. Un inserimento tardivo dei piccoli dentro l’armadio scuola, con l’amatore che si ostini a coccolarli dentro la voliera, può essere vissuto come svalutante nei loro confronti, visto che essi non vedono riconosciuta la propria capacità di autogestirsi. Sarebbe teatro e finzione una scuola di canto con maestri di altro indirizzo. Nell’avanzamento del linguaggio canoro, l’imitazione ha una parte molto importante, ma non bisogna dimenticare che altrettanto influente è l’attività spontanea capace di determinare un vivo rapporto tra l’io e le diverse unità melodiche. Detto altrimenti, l’apprendimento non è mai un semplice immagazzinare l’informazione, ma significa connetterla all’informazione già presente nella memoria a lungo termine dell’allievo. La conoscenza viene, cioè, costruita più che registrata e semplicemente recepita, e tale costruzione è influenzata dal modo in cui la conoscenza precedente è strutturata. Riassumo il tutto: un’educazione giusta e scientificamente concepita non si riduce davvero a un trapianto meccanico, dall’esterno, di ideali, sentimenti e aspirazioni completamente estranei ai giovani canarini. Ci vuole pazienza, è un lavoro artigianale. Ciascuno va seguito individualmente, curato come un figlio. E ogni figlio è diverso dall’altro. E come un’opera d’arte non si può apprezzare appieno se non al suo compimento, così il repertorio dei giovani cantori assurge a grande fasto non prima di dicembre-gennaio: allora i virtuosi si intrecciano, prendono sempre più piede e con più facilità vengono fuori i grandi campioni; nella loro canzone è la nostra pace.