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Quattro chiacchiere tra cinguettii e parole
Gli uccelli sono alleati per l’uomo nella sua ricerca del benessere, in un modo del tutto inaspettato e, probabilmente, inconsapevole. I loro vocalizzi sono per noi umani quella che a tutti gli effetti possiamo chiamare musicoterapia, che trova nella scienza conferme e nuovi spunti provenienti proprio dal microuniverso del “paesaggio sonoro”, o fonosfera, un mondo di suoni costituito non solo dai gorgheggi dell’avifauna, ma anche dal gorgoglio di un ruscello, dallo scricchiolare di una foglia, dalla folata di vento che scuote il bosco. Sono evidenze confermate anche dagli studi degli ornitologi, che possono attribuire attraverso monitoraggi bioacustici una precisa e diversa identità a individui di una stessa specie, registrandone le vocalizzazioni. Si delinea uno scenario di suoni che diventano archetipi universali della stessa identità sonora, che spesso resta addormentata nel nostro inconscio: una palette di suoni e di sfumature sonore che sono terapeutiche non solo per il nostro vissuto, ma anche per esempio per persone con sindromi di tipo autistico. Echi di mondi arcaici che creano in noi una memoria acustica che, quando stiamo in mezzo alla natura, in qualche modo si risveglia. Una riattivazione di cui gli uccelli sono protagonisti fondamentali, come ha dimostrato il professor Simon Fisher, esperto di psicolinguistica: uomini e uccelli hanno in comune più di 50 geni correlati all’apprendimento e al linguaggio. Come già avanzato da Darwin e prima ancora da Barrington, i primi cinguettii degli uccelli sono paragonabili ai primi balbettii di un bambino. Si incrociano qui dunque bio-linguistica e bio-musicologia, lavorando in maniera congiunta per capire questo legame ancora in gran parte misterioso. Ma che comincia a schiarire alcune intuizioni preziose, come ad esempio la possibilità che uccelli e uomini condividano la sintassi della strutturazione del linguaggio, aspetto peraltro già verificato nel caso della cinciallegra orientale (Parus minor), che è in grado di esprimere significati diversi combinando diverse note. Un percorso che ci porta all’esplorazione di strade nuove, che delineano intersezioni tra la struttura gerarchica del linguaggio umano e i vocalizzi degli uccelli (p.es. con gli studi del prof. del MIT Shigero Miyagawa). Fonte: https://www.unimondo.org/Notizie/Quattro-chiacchiere-tra-cinguettii-e-parole-203509
Sembra il tronco di un albero… il Nittibio
In natura esistono esemplari di diverse specie animali in grado di mimetizzarsi in maniera incredibile con l’ambiente che li circonda. Questo è il caso di un uccello noto come Nittibio o Urutau, in grado di confondersi con il suo habitat in maniera assolutamente straordinaria. Si tratta di un volatile difficile da avvistare, poiché è prevalentemente una creatura della notte; tuttavia, anche se dovesse capitare di incontrarlo di giorno, risulterebbe comunque difficile poterlo distinguere tra i tronchi degli alberi. Come ogni altro animale in grado di mimetizzarsi, infatti, questa specie ha la capacità di rimanere immobile qualora avverta un pericolo. Ad oggi gli avvistamenti che testimoniano la presenza del Nittibio sono sempre di meno; questo perché purtroppo, oltre alla capacità dell’uccello di mimetizzarsi e di non farsi vedere, c’è anche un fattore più grave: il rischio estinzione. Gli ultimi dati scientifici rivelano che gli esemplari presenti ancora in natura si sono ridotti notevolmente; si tratta dell’unico genere vivente della famiglia dei Nyctbiidae. Queste creature notturne vivono prevalentemente nelle foreste umide tropicali e subtropicali e sono ancora diffusi nell’America centrale e meridionale. Oltre al suo aspetto singolare, anche il suo stile di vita è molto particolare e differisce da molti suoi simili. Il Nittibio, come molti altri uccelli, è monogamo; tuttavia, a differenza di altri volatili, non costruisce un nido ma usa le rientranze degli alberi per deporre un singolo uovo alla volta che viene covato da entrambi i genitori. Senza dubbio però la particolarità di questo uccello è proprio il suo piumaggio che gli permette di confondersi con i tronchi degli alberi e i rami spezzati; in questo modo riesce a diventare praticamente invisibile per prede e predatori. Fonte: https://velvetpets.it/2020/12/14/sembra-identico-tronco-albero-ma-respira-animale-mimetizzato-foto/ Photo Credit Wikimedia
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Questione di mobbing: la rivincita dei più piccoli
Il termine “mobbing”, ormai entrato nel gergo corrente, fu coniato dal naturalista premio Nobel Konrad Lorenz che, studiando le sue amate e irriverenti taccole, ne aveva osservato numerose azioni di disturbo, operate in gruppo, verso altri uccelli e aveva attribuito il termine a un comportamento assai frequente nell’avifauna. Il fenomeno è frequente nei piccoli uccelli che sovente attaccano e aggrediscono i rapaci notturni e diurni, creando azioni di disturbo davvero pressanti che costringono i predatori alati ad allontanarsi. Il mobbing, infatti, è una reazione collettiva diretta verso un predatore, o presunto tale, da parte di potenziali prede che, con l’assalto di gruppo, lo confondono, lo irridono e ne scoraggiano un contrattacco. I rapaci notturni, se scoperti in pieno giorno da piccoli volatili, subiscono veementi azioni di mobbing. Una rivalsa per molti di questi uccelli che, durante la notte, sono invece predati da civette, allocchi, barbagianni… Queste specie sono molto elusive, si nascondono, e questo loro comportamento è spesso indotto proprio dal mobbing che subirebbero se si esponessero durante le ore del giorno, quando peraltro sono meno reattive. A ben vedere il contrario di quello che accade sui posti di lavoro, dove sono gli impiegati e i dipendenti più deboli a subire il mobbing! Fonte: https://rivistanatura.com/questione-di-mobbing-la-rivincita-dei-piu-piccoli/
Quanto fanno male le pallottole al piombo
Un nuovo regolamento europeo vieta l’utilizzo delle munizioni al piombo per la caccia nelle zone umide in tutto il territorio dell’Unione, un importante primo passo avanti per la tutela degli uccelli. Ma quali sono gli effetti del piombo sulla biodiversità, e perché è importante vietarne l’utilizzo? «Le prime evidenze scientifiche sugli effetti tossici del piombo nelle zone umide risalgono alla prima metà del secolo scorso, quando si registrarono delle morie di massa di anatre negli Stati Uniti e vennero fatti degli studi che ancora adesso sono considerati dei riferimenti» spiega Alessandro Andreotti, ricercatore presso l’Area Avifauna Migratrice dell’ISPRA, e coautore di un report del 2012 che fornisce una esaustiva sintesi del problema del piombo nelle munizioni per la caccia. «Nelle zone umide si verificano condizioni particolari che rendono questo problema più evidente, soprattutto per le anatre, anche se non sono gli unici uccelli colpiti. Le anatre si alimentano di semi e cibi vegetali molto duri, che necessitano di una triturazione per essere assimilati. Gli uccelli hanno il becco e non i denti, ma ovviano attraverso uno stomaco muscolare molto forte, che grazie all’ingestione di sassolini - tecnicamente chiamati gastroliti o gritpermette la macinazione dei semi e quindi la loro digestione. Questo grit viene mantenuto nello stomaco finché non si consuma completamente». Nei sedimenti possono esserci, però, i pallini di piombo contenuti nelle cosiddette munizioni spezzate, usate per la caccia a uccelli e mammiferi di piccole dimensioni, che al momento dello sparo cadono in parte sul terreno. Questo può riguardare anche aree in cui la caccia non è più praticata, perché se le acque sono stagnanti (come nel caso di paludi, stagni e lagune) i pallini possono rimanere sul fondo per tempi molto lunghi. Gli uccelli ingeriscono volontariamente i pallini per usarli come grit, in particolare nelle zone umide in cui il sedimento è molto fine e i sassolini sono merce rara. Una volta ingeriti, i pallini di piombo vengono tenuti nello stomaco finché non sono completamente triturati, e così le anatre si avvelenano. «Per un germano reale basta l’ingestione già di 2 o 3 pallini per causare un’intossicazione acuta che può portare in breve tempo alla morte. Per una specie più piccola come l’alzàvola ne bastano meno. Nel caso venga ingerito un solo pallino si possono avere degli effetti subletali» spiega Andreotti. Gli uccelli acquatici non sono gli unici a utilizzare i pallini delle cartucce come “macine” e ad avvelenarsi ingerendoli: «il problema riguarda un po’ tutte le specie di granivori, che, per frantumare i semi ingeriti, usano questo sistema. Uno studio fatto in Inghilterra sulle starne dimostra che dagli anni 30 agli anni 90 c’è stato un aumento significativo dei pallini presenti nell’apparato digerente: dallo 0,3 al 3,4% del contenuto stomacale» conclude Alessandro Andreotti. Fonte: https://www.scienzainrete.it/articolo/quanto-fanno-male-le-pallottole-al-piombo/laura-scillitani/2020-12-09