Saggi
ISSN 1722-8360
DI PARTICOLARE INTERESSE IN QUESTO FASCICOLO Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009
Diritto della banca e del mercato finanziario
3/2018
Diritto della banca e del mercato finanziario
•
La trasparenza bancaria
•
La proprietà delle banche
•
Gli istituti di moneta elettronica
•
Crisi bancarie e bail-in
Pacini
luglio-settembre
3/2018 anno XXXII
1
Pacini
luglio-settembre
3/2018 anno XXXII
Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è attualmente coordinato dal prof. Daniele Vattermoli. Nell’anno 2017, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Niccolò Abriani, Stefano Ambrosini, Lucia Calvosa, Giuseppina Capaldo, Giacomo D’Attorre, Giuseppe Fauceglia, Danilo Galletti, Gianvito, Giannelli, Raffaele Lener, Massimo Miola, Mario Stella Richter, Maurizio Sciuto.
Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria
Comitato di direzione Carlo Angelici, Sido Bonfatti, Mario Bussoletti, Gino Cavalli, Salvatore Maccarone, Fabrizio Maimeri, Alessandro Nigro, Mario Porzio, Ángel Rojo, Vittorio Santoro, Luigi Carlo Ubertazzi, Daniele Vattermoli. Comitato di redazione Soraya Barati, Alessandro Benocci, Antonella Brozzetti, Mavie Cardi, Simone Cicchinelli, Marco Conforto, Ciro G. Corvese, Giovanni Falcone, Clarisa Ganigian, Gian Luca Greco, Luca Mandrioli, Francesco Mazzini, Filippo Parrella, Gennaro Rotondo, Maria Elena Salerno. Segreteria di redazione Vincenzo Caridi Direttore responsabile Alessandro Nigro La sede della rivista è presso la Segreteria del Ce.Di.B. Corso Vittorio Emanuele II, 173 - 00186 Roma L’amministrazione è presso: Pacini Editore Srl Via Gherardesca - 56121 Ospedaletto - Pisa Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it - info@pacinieditore.it
I dattiloscritti, i libri per recensione, bozze, ecc. dovranno essere inviati al Prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290 - 00198 Roma
Š Copyright 2018 Ce.Di.B. - Centro di studi di diritto e legislazione bancaria. Registrazione presso il Tribunale di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009 Direttore responsabile: Alessandro Nigro
Realizzazione editoriale e progetto grafico
Via A. Gherardesca 56121 Ospedaletto (Pisa) Fotolito e Stampa Industrie Grafiche Pacini Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail segreteria@aidro.org e sito web www.aidro.org
SOMMARIO 3/2018
PARTE PRIMA Saggi Presente e futuro della trasparenza bancaria: spunti di riflessione, di ALESSANDRO NIGRO I diritti di proprietà nelle imprese bancarie: spunti per un’analisi economico-giuridica, di OLIVIER BUTZBACH, TALITA DESIATO, GENNARO ROTONDO Gli IMEL tra integrazione verticale dei pagamenti nell’impresa e regolamentazione, di ROBERTO CORNETTA
pag.
351
»
365
»
403
»
453
»
469
»
83
»
113
» »
127 132
Commenti Impugnazione della deliberazione dell’organo di indirizzo di fondazione bancaria – Trib. Napoli, 5 febbraio 2018 Le fondazioni bancarie tra funzioni pubbliche e private: organi e requisiti di partecipazione, di CARMINE RUGGIERO
PARTE SECONDA Documenti e informazioni Crisi bancarie e bail-in – FINANCIAL STABILITY BOARD, Principles on Bail-in Execution, 21 June 2018 Introduzione ai “Principles on Bail-in Execution”, di DANIELE VATTERMOLI NORME REDAZIONALI CODICE ETICO
PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ
SAGGI
Presente e futuro della trasparenza bancaria: spunti di riflessione* SOMMARIO: 1. Premessa: venticinque anni di trasparenza bancaria. – 2. La complessità della trasparenza bancaria. Primo ordine di riflessioni – 3. Raccolta, erogazione e trasparenza bancaria. Secondo ordine di riflessioni. – 4. (segue) Disciplina delle risoluzioni bancarie e nuove direzioni dell’informazione. – 5. Unione Bancaria e trasparenza: c’è un futuro per la trasparenza bancaria? Terzo ordine di riflessioni. – 6. Conclusione.
1. Premessa: venticinque anni di trasparenza bancaria. La normativa sulla trasparenza bancaria ha ormai superato il traguardo dei venticinque anni. Risalgono infatti al 1992 le due leggi che hanno segnato l’ingresso ufficiale di questa disciplina nel nostro ordinamento: la l. n. 142, sul credito al consumo e la l. n. 154, sulla trasparenza bancaria1.
*
Testo della comunicazione per il Seminario su “La trasparenza bancaria” svoltosi nel Dipartimento giuridico dell’Università del Molise il 27 settembre 2017 ed il 13 aprile 2018. Lo scritto costituisce ideale prosecuzione dei miei lavori che hanno seguito l’evoluzione della disciplina: Operazioni bancarie e parità di trattamento, in Dir. banc., 1987, I, p. 1 ss.; La legge sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari: note introduttive, id., 1992, I, p. 421 ss.; La nuova normativa sulla trasparenza bancaria, id., 1993, I, 571 ss.; Disciplina di trasparenza delle operazioni bancarie e contenuto delle condizioni contrattuali: note esegetiche, id., 1998, I, p. 511 ss.; Linee di tendenza delle nuove discipline di trasparenza. Dalla trasparenza alla “consulenza”?, id., 2011, p. 11 ss. 1 Peraltro, a ben considerare, le due leggi avevano un importante antecedente, rappresentato dall’art. 8 della l. n. 64/1986, che, sotto la rubrica «Uniformità del trattamento praticato da aziende ed istituti di credito», stabiliva: «L[l]e aziende e gli istituti di credito, salve le disposizioni della presente legge, debbono praticare, in tutte le proprie sedi principali e secondarie, filiali, agenzie e dipendenze, per ciascun tipo di operazione banca-
351
Saggi
L’anniversario offre l’occasione e lo stimolo per qualche riflessione di ordine generale sul tema.
2. La complessità della trasparenza bancaria. Primo ordine di riflessioni. Quella della trasparenza nelle operazioni del mercato finanziario – latamente inteso – è materia complessa e sotto diversi profili. Specificamente, lo è, innanzi tutto, da un punto di vista contenutistico. La trasparenza non si esaurisce, infatti, nella semplice conoscibilità, cioè nella informazione chiara e completa; essa comprende anche, ormai, il riequilibrio delle posizioni delle parti; ed è arrivata ad includere anche quella che io ho fin dall’inizio definito come assistenza o addirittura consulenza (e altri hanno chiamato ‘accudimento’) della controparte dell’intermediario, che si traduce nell’obbligo di quest’ultimo di aiutare la controparte a scegliere e definire l’assetto negoziale per essa più idoneo. Una valenza che connota da tempo la normativa di trasparenza nel campo dei servizi di investimento, la quale prevede un ampio ventaglio di obblighi informativi a carico dell’intermediario e finalizzati, da un lato, a consentire al cliente o potenziale cliente di prendere le decisioni in materia di investimento con cognizione di causa e, dall’altro, a far sì che il cliente riceva un servizio coerente con le sue caratteristiche soggettive. Una valenza che è penetrata più di recente nel campo dei servizi creditizi, dove un obbligo generale (cioè riferibile a tutti i clienti) è ricavabile solo dalle regole poste dalle disposizioni di vigilanza della Banca d’Italia (sez. XI, par. 2)2, mentre trova ampia regolamentazione unicamente
ria, principale o accessoria, tassi e condizioni uniformi, assicurando integrale parità di trattamento nei confronti dei clienti della stessa azienda o istituto, a parità di condizioni soggettive dei clienti, ma esclusa, in ogni caso, la rilevanza della loro località di insediamento o della loro sfera di operatività territoriale». 2 Per le quali le procedure interne debbono includere «accorgimenti atti a far sì che… il cliente non sia indirizzato verso prodotti evidentemente inadatti rispetto alle proprie esigenze finanziarie» e gli intermediari debbono valutare l’introduzione di strumenti anche informatici, «che consentano di verificare la coerenza tra il profilo del cliente e i prodotti allo stesso offerti». In una nota, peraltro, si precisa che la prima delle due previsioni «non richiede agli intermediari di assicurare assistenza al cliente fino al punto di individuare, in ogni caso, l’offerta più adeguata, bensì di adottare procedure organizzative che evitino modalità di commercializzazione oggettivamente idonee ad indurre il cliente a selezionare prodotti manifestamente non adatti» (una nota preziosa
352
Alessandro Nigro
nel subsettore del credito ai consumatori e precisamente del credito al consumo e del credito immobiliare ai consumatori, dove la legge è intervenuta per dettare regole precise, da un lato, stabilendo (rispettivamente art. 124, co. 5, e 120-novies t.u.b.), che il finanziatore ha l’obbligo di fornire al consumatore chiarimenti adeguati in modo che egli possa valutare se il contratto proposto sia adatto alle sue esigenze ed alla sua situazione finanziaria e, dall’altro, prevedendo (rispettivamente art. 124bis e 120-undecies t.u.b.) la c.d. verifica del merito creditizio. Una valenza, ancora, che può essere spinta fino a concretarsi in un dovere di astensione, come sta accadendo per certi servizi di investimento3 e come sta accadendo anche nel campo dei servizi creditizi, sia pure limitatamente a quelli che vedono come controparti i consumatori (è, per la verità, incerto se il finanziatore, in questi contratti, abbia l’obbligo di non concedere il finanziamento ove la valutazione del merito creditizio sia negativa: i dati normativi sono fortemente ambigui4; ma io sarei propenso a condividere la tesi affermativa)5.
perché conferma come la stessa autorità di vigilanza ragioni ormai in termini di obblighi di assistenza). 3 In passato, un obbligo di astensione sussisteva per tutti i servizi di investimento, nell’ipotesi in cui il cliente non offrisse all’intermediario le informazioni necessarie per valutare l’adeguatezza del prodotto o del servizio oppure la valutazione dell’adeguatezza risultasse negativa. Il nuovo regolamento intermediari, adottato con deliberazione della Consob del febbraio 2018, con cui si è data attuazione alla MIFID 2 ed al MIFIR, stabilisce invece che, nei servizi diversi dalla consulenza e dalla gestione di portafogli, l’intermediario debba solo avvertire il cliente che la valutazione di appropriatezza non è stata possibile o è stata negativa (art. 42, co. 2 e 3). 4 Per esempio, l’art. 120-novies t.u.b. stabilisce, al co. 1, lett. b), che il documento da rimettere al consumatore prima della conclusione del contratto (di credito immobiliare) debba fra l’altro contenere l’avvertimento che il credito non può essere accordato se la valutazione del merito creditizio non è stata effettuata a causa della scelta del consumatore di non fornire le informazioni e i dati necessari. Se ne potrebbe dedurre che questo sia il solo caso in cui il finanziatore non può e non deve concedere il credito. 5 A sostegno indiretto della quale potrebbe oggi portarsi l’art. 9, co. 1, lett. e) della l. n. 155/2017 di delega al Governo per la riforma della disciplina della crisi di impresa e dell’insolvenza. In tale disposizione, infatti, si stabilisce che, in sede di attuazione della delega in materia di procedure di sovraindebitamento, si debba prevedere che nella relazione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi da allegare alla proposta di piano del consumatore «sia indicato se il soggetto finanziatore, ai fini della concessione del finanziamento, abbia tenuto conto del merito creditizio del richiedente, valutato in relazione al suo reddito disponibile, dedotto l’importo necessario a mantenere un dignitoso tenore di vita». Ciò evidentemente al fine di valutare il grado della diligenza impiegata dal consuma-
353
Saggi
Una valenza, infine, che ben potrebbe essere ricondotta, così come la trasparenza in senso stretto, all’ambito della regola generale della correttezza, la quale certamente può arrivare ad includere anche obblighi di protezione della controparte. È materia complessa, poi, in relazione all’assetto della disciplina. Tale disciplina, innanzi tutto, è differenziata per i diversi subsettori che compongono il mercato finanziario, quello dei servizi creditizi, quello dei servizi assicurativi e quello dei servizi di investimento. E, in secondo luogo, in tutti gli ambiti si articola in normative comunitarie e normative nazionali, in normative primarie e normative secondarie, talvolta, queste ultime, assai corpose. È il caso di sottolineare, peraltro, che nel campo dei servizi creditizi, una normativa comunitaria in materia di trasparenza esiste solo per le operazioni rientranti nel credito ai consumatori; le altre sono governate solo dalla normativa nazionale. Quella, per quanto ci riguarda, contenuta nel t.u.b. È materia complessa, infine, perché le diverse discipline, in sé riguardate, da un lato, hanno avuto ed hanno molte e variegate coordinate di fondo (ricordo, alla rinfusa: la valorizzazione dei profili organizzativi, la standardizzazione dei contenuti negoziali, la commisurazione dei flussi informativi alle effettive esigenze dei clienti, ecc.); dall’altro, hanno seguito, nel tempo, linee evolutive differenziate, anche e proprio per ciò che ha riguardato il ruolo della trasparenza nel quadro della vigilanza che costituisce, come dirò anche appresso, uno dei tratti comuni dei settori di cui ci stiamo occupando. Basta, a quest’ultimo proposito, confrontare il percorso seguito nell’ambito del settore dei servizi di investimento e quello seguito nell’ambito del settore dei servizi creditizi. Nell’uno, la vigilanza nasce con l’obiettivo proprio di assicurare la trasparenza: la finalità della stabilità degli intermediari si aggiunge in un secondo momento. Nell’altro, la vigilanza nasce con l’obiettivo di assicurare la stabilità degli intermediari: la finalità di assicurare la trasparenza si aggiunge in un secondo momento.
tore nell’assumere volontariamente le obbligazioni che hanno determinato il sovraindebitamento e nell’idea che la condotta del consumatore il quale abbia fatto affidamento sulla capacità di valutazione del merito creditizio da parte di un finanziatore professionalmente qualificato non possa ritenersi colposamente negligente: idea che in tanto può reggere in quanto appunto si ritenga l’intermediario obbligato a negare il finanziamento ove la valutazione del merito creditizio abbia dato risultati negativi.
354
Alessandro Nigro
La diversità dei percorsi e degli stessi punti di partenza non ha però impedito alle discipline di trasparenza rispettivamente del settore dei servizi di investimento e del settore dei servizi creditizi di adottare, su molti aspetti, regole o principi comuni o analoghi, con ciò manifestando una forte spinta verso l’uniformazione. Questa spinta si è tradotta, innanzi tutto, nella comune tendenza nei due settori considerati alla costruzione dei modelli di comportamento imposti agli intermediari anche in relazione alle qualità delle loro controparti: è il tema della ‘segmentazione’ della clientela con la previsione, in base a principi di proporzionalità e di economicità, di differenti ‘statuti informativi’ per le diverse categorie di controparti. Così, nel campo dei servizi di investimento, si distingue fra ‘controparti qualificate’6, clienti professionali (privati e pubblici) e clienti al dettaglio; mentre nel campo dei servizi creditizi si distingue fra clienti e ‘non clienti’ (categoria che comprende banche, società finanziarie, ecc. e corrisponde in pratica alle controparti qualificate del sistema MIFID); nell’ambito dei clienti si distingue fra clienti al dettaglio e clienti non al dettaglio; nell’ambito dei clienti al dettaglio si distingue fra consumatori e non consumatori, con un sistema, dunque, giustamente definito a cerchi concentrici. La spinta verso l’uniformazione si è tradotta, poi, nella la convergenza dei due settori nell’assunzione formale della trasparenza e correttezza dei comportamenti degli intermediari come finalità della vigilanza, e specificatamente come finalità autonoma e distinta rispetto alle altre finalità della vigilanza (e v. art 5 t.u.f. e art. 127 t.u.b.). Tale esito è importante, in particolare, per il settore creditizio, perché consente di pervenire alla conclusione che anche in tale settore la tutela della trasparenza è ormai sganciata dalla tutela dell’efficienza e della concorrenzialità del mercato di riferimento7 e risponde esclusivamente ad una funzione di protezione della clientela in quanto tale. Si è tradotta infine, sul piano dell’enforcement, nella comune tendenza ad erigere un sistema completo ed autosufficiente saldamente imperniato sulle rispettive autorità di vigilanza ed il cui anello di chiusura è rappresentato dal meccanismo delle sanzioni amministrative; un sistema che si autonomizza sia rispetto al regime codicistico delle operazioni bancarie e finanziarie sia rispetto al regime giudiziale ordinario (con la
6 7
Specificamente definite nell’art. 6, co. 2-quater, lett. d) del t.u.f. Questo almeno formalmente: tornerò appresso sul punto (infra, § 5).
355
Saggi
previsione di appositi meccanismi di conciliazione); un sistema, infine, che ignora completamente o quasi i rimedi privatistici alle violazioni degli obblighi di trasparenza imposti agli intermediari e in particolare il profilo della responsabilità risarcitoria: solo nel settore dei servizi di investimento vi è una specifica norma in materia (il ben noto art. 23, co. 6, t.u.f.)8, palesemente insufficiente però a consentire di costruire un compiuto ed adeguato regime di responsabilità. A chiusura di questo primo ordine di riflessioni, merita di essere sottolineato, in generale, che le innegabili affinità tra i regimi di trasparenza dei settori considerati – affinità che ovviamente deriva anche e proprio dalla contiguità dei due settori e dalle inevitabili influenze reciproche – se possono essere utilmente valorizzate sotto il profilo sistematico non possono consentire meccanici ‘travasi’ di regole specifiche dall’uno all’altro regime.
3. Raccolta, erogazione e trasparenza bancaria. Secondo ordine di riflessioni. Nel settore del credito, la normativa di trasparenza è in larghissima misura comune sia alle operazioni in cui si concretizza l’attività di erogazione del credito sia alle operazioni in cui si concretizza l’attività di raccolta del risparmio. In realtà, sia in assoluto e sia nell’ottica di comparazione con la disciplina di trasparenza del settore mobiliare, occorrerebbe tenere sempre presente la distinzione fra i due tipi di operazioni e di attività. È proprio con riferimento all’attività di erogazione del credito che si è finora riscontrato un sempre maggiore avvicinamento del regime di trasparenza ‘bancario’ al regime di trasparenza dei servizi di investimento; questo soprattutto con riguardo all’aspetto dell’‘assistenza’ o ‘consulenza’. Io stesso, in passato, ho sottolineato come l’ampliamento del territorio della trasparenza ‘bancaria’ all’assistenza (o consulenza) corrispondesse ad un ampliamento che altri settori, e specificamente appunto il settore finanziario, avevano già conosciuto.
8 Ai sensi del quale «[n]ei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta».
356
Alessandro Nigro
Non va dimenticata, peraltro, la diversità di posizione delle parti, intermediario e cliente, nelle operazioni di erogazione del credito e, rispettivamente, nelle operazioni di investimento: nelle prime, è l’intermediario che ‘affida’ denaro proprio al cliente; nelle seconde è il cliente che ‘affida’ denaro proprio all’intermediario. Quindi è diverso il senso dell’appropriatezza e adeguatezza al cliente dell’operazione o, se si preferisce, degli obblighi di assistenza del cliente posti a carico dell’intermediario, nel senso che, con riferimento alle operazioni creditizie in genere, tali obblighi a ben vedere soddisfano direttamente anche e proprio gli interessi dell’intermediario (in termini di ‘garanzia’ della restituzione)9. Rispetto alle operazioni di raccolta del risparmio il dato meritevole di attenzione è che tendono oggi a prospettarsi, in materia di trasparenza, profili nuovi e tutt’affatto particolari dei quali bisogna ormai cominciare a tenere conto.
4. (segue) Disciplina delle risoluzioni bancarie e nuove direzioni dell’informazione. Oggi, infatti, emerge nitidamente la necessità di ampliare il campo delle informazioni da fornire al cliente in tale tipo di operazioni: l’informazione chiara e completa non può più riguardare solo le caratteristiche della singola operazione; essa deve (dovrebbe) essere estesa a riguardare lo stesso intermediario e le sue condizioni patrimoniali e finanziarie (del resto, nel contiguo settore dei servizi di investimento, oggi è previsto espressamente fra gli obblighi a carico dell’intermediario, l’obbligo di fornire al cliente ‘informazioni appropriate’ riferite allo stesso intermediario)10. Questo è, io credo, un portato inevitabile della nuova disciplina delle crisi bancarie e dei nuovi rischi che da tale disciplina – e mi riferisco ovviamente al meccanismo della risoluzione e del bail-in introdotto dalla normativa comunitaria (la c.d. BRRD)11 – discendono a carico delle
9
Diverso è naturalmente il caso delle operazioni con i consumatori in cui l’accento della disciplina cade sull’interesse del debitore ad evitare situazioni di sovraindebitamento. 10 V. ora l’art. 36, co. 2, lett. a) del nuovo regolamento intermediari. 11 Su questa disciplina tornerò appresso (§ 5).
357
Saggi
controparti delle banche nelle operazioni di raccolta del risparmio, a carico cioè degli obbligazionisti e dei depositanti: il rischio di un ‘abbattimento’ coattivo parziale o totale del loro credito o di una conversione del medesimo in capitale di rischio. Va tenuto presente che il meccanismo del bail-in dovrebbe trovare giustificazione nell’esigenza di riattivare, in campo creditizio, un circuito virtuoso che muova dal recupero della tipica attività di monitoraggio da parte dei creditori delle banche, depositanti e obbligazionisti, per arrivare ad influenzare positivamente il modo di operare delle banche medesime. A questo proposito mi pare siano da ricordare antichi insegnamenti. Per esempio, nella Relazione annuale per il 1931, il Governatore della Banca d’Italia ebbe ad ammonire: «[n]é si deve pensare da alcuno, come talvolta erroneamente avviene, alla possibilità di interventi finanziari risanatori, solo per il fatto che gli è demandata la vigilanza, da parte dell’Istituto di Emissione (…) le disposizioni di legge, che si riferiscono alla tutela del risparmio, mentre tendono ad accrescere il senso del dovere in chi amministra l’altrui, non diminuiscono nei singoli depositanti l’obbligo di rendersi conto, nell’esclusivo loro interesse della solidità degli enti ai quali credono di affidare i loro averi» (p. 97). Proprio a quegli insegnamenti ci si dovrebbe oggi ispirare. Il fatto è, però, che un monitoraggio effettivo, da parte di quei creditori, è (sarebbe) possibile solo a condizione che agli stessi sia assicurato un flusso di informazioni sulla situazione patrimoniale e finanziaria della banca loro debitrice, un flusso che consenta loro di valutare appunto il rischio (e quindi la convenienza) dell’operazione, sia nel momento in cui la stessa sia stipulata e sia successivamente, nel corso del rapporto. La normativa comincia ad offrire precisi spunti in questo senso. Non mi riferisco al t.u.b. o alle disposizioni di vigilanza della Banca d’Italia, l’uno e le altre assolutamente silenti in proposito12. Mi riferisco, invece: – da un lato, agli articolati obblighi di informativa periodica previsti dalla normativa comunitaria (e specificamente dal Regolamento CRR) a carico degli intermediari, riguardanti l’adeguatezza patrimoniale, l’espo-
12
Le disposizioni di vigilanza prevedono che i fogli informativi debbano contenere «informazioni sull’intermediario». Si tratta però – come viene specificato – di informazioni anagrafiche: denominazione, iscrizioni in albi o registri, indirizzo della sede legale, ecc.
358
Alessandro Nigro
sizione ai rischi e le caratteristiche generali dei relativi sistemi di gestione, misurazione e controllo13 (obblighi, peraltro, che si traducono nella messa a disposizione del pubblico – e non dei singoli clienti – delle informazioni su tali profili); – dall’altro, agli obblighi imposti dalla normativa comunitaria e dalla normativa italiana di attuazione, relative ai sistemi di garanzia dei depositi, per le quali le banche debbono fornire ai depositanti le informazioni necessarie per individuare il sistema di garanzia pertinente e le informazioni sulla esclusione dalla relativa tutela14. Non c’è dubbio che prima o poi il legislatore dovrà intervenire a regolare in modo compiuto l’aspetto che stiamo considerando, il quale naturalmente presenta profili di notevole complessità e delicatezza. Per esempio: da un lato. i dati da fornire non possono che presentare un forte contenuto tecnico (coefficienti patrimoniali; entità delle spese; importo delle sofferenze, ecc.) non facilmente valutabile dal cliente medio; dall’altro, la coerenza del sistema dovrebbe implicare, anche sul nuovo terreno, l’introduzione di obblighi di ‘assistenza’ o ‘consulenza’ analoghi a quelli che caratterizzano la disciplina di trasparenza delle operazioni di erogazione del credito15.
13 Per un quadro completo di questa corposa normativa v. MELI, Le informazioni sulla banca, in Dir. banc., 2017, I, p. 756 ss. 14 L’art. 3 del d.lgs. n. 30/2016, di attuazione della direttiva comunitaria 2014/49, sotto la rubrica Informazioni da fornire ai depositanti stabilisce che: «[l]e banche forniscono ai depositanti le informazioni necessarie per individuare il sistema di garanzia pertinente e le informazioni sulle esclusioni dalla relativa tutela» (co. 1); tali informazioni «sono messe a disposizione gratuitamente secondo le modalità previste per i fogli informativi» (co. 2); «[i]n tempo utile prima che il contratto sia concluso o che il depositante sia vincolato da un’offerta, al depositante è consegnato, opportunamente compilato, il “Modulo standard per le informazioni da fornire ai depositanti” di cui all’Allegato I della direttiva 2014/49/ UE» (co. 3); «[l]e comunicazioni periodiche relative ai contratti di deposito previste ai sensi dell’articolo 119 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, includono la conferma che il deposito è ammesso al rimborso e un riferimento al modulo di cui al comma 3, nonché l’indicazione del sito web del sistema di garanzia pertinente. Almeno una volta all’anno, al depositante è fornita una versione aggiornata del modulo» (co. 4). Come è stato giustamente sottolineato (da GRECO, Commento al d. lgs. 15 febbraio 2016, n. 30: il nuovo sistema di protezione dei depositanti bancari, in Dir. banc., 2018, II, p. 26), né il legislatore comunitario né quello nazionale si sono preoccupati di tutelare, sul piano informativo, i clienti delle banche titolari di posizioni creditizie strutturalmente analoghe a quella dei titolari di depositi “protetti”, i quali hanno certamente interesse a conoscere che la loro posizione non è tutelata da sistemi di garanzia. 15 Inoltre, bisognerebbe evitare che le informazioni di cui stiamo parlando vengano utilizzate a scopo pubblicitario (che non si tratti di preoccupazione infondata è confer-
359
Saggi
Tutto questo – e concludo sul punto – ha (o avrà o avrebbe) un risvolto sistematico di non irrilevante portata, cioè il venir meno alla radice della tradizionale distinzione fra risparmio ‘inconsapevole’ e risparmio ‘consapevole’. Anche il risparmio affidato in deposito alle banche, da oggi in poi, deve – non può non – essere consapevole.
5. Unione Bancaria e trasparenza: c’è un futuro per la trasparenza bancaria? Terzo ordine di riflessioni. Nell’esperienza italiana degli ultimi anni la trasparenza nel settore bancario ha lentamente ma sicuramente assunto una sempre crescente rilevanza fino ad assurgere, e l’ho già sottolineato prima, a finalità autonoma della vigilanza. Questo ha determinato – come altra volta mi è capitato di segnalare – una sorta di mutazione genetica della posizione stessa della Banca d’Italia nel sistema. Fino a poco tempo fa, essa Banca d’Italia poteva continuare a considerarsi, come all’origine, emanazione delle stesse banche soggette alla sua vigilanza. Con l’inserimento, fra le finalità della vigilanza, della tutela della trasparenza, si completa il processo di ‘trasformazione’ della Banca d’Italia in autentica autorità indipendente, come autorità il cui compito è anche quello di assicurare, da una posizione neutrale, un giusto equilibrio nelle posizioni rispettive dei protagonisti delle vicende bancarie. In relazione al tema del rapporto trasparenza-vigilanza richiede, credo, attenta considerazione l’imponente processo legislativo (ancora in corso) che ha di recente investito l’ordinamento bancario a livello comunitario e quindi, a cascata, a livello nazionale. Mi riferisco, come è ovvio, all’insieme costituito dal c. d. ‘pacchetto CRDIV’, che si compone della direttiva n.36/2013 e del regolamento n. 575/2013, i quali formano il nuovo quadro giuridico di disciplina dell’accesso all’attività, il quadro di vigilanza e le norme prudenziali degli enti creditizi e delle imprese di investimento; dalla direttiva n. 59/2014 (c.d. BRRD), che istituisce un nuovo quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle
mato dall’esplicito disposto dell’art. 3, co. 6 del citato d. lgs. n. 30/2016, per il quale «[l] e banche non utilizzano a scopo pubblicitario le informazioni previste dai commi 1, 3 e 4, salva la facoltà di indicare negli annunci pubblicitari relativi ai contratti di deposito il sistema di garanzia che tutela il deposito pubblicizzato»).
360
Alessandro Nigro
imprese di investimento16; dalla direttiva n. 49/2014, avente ad oggetto l’armonizzazione dei meccanismi di finanziamento dei sistemi di garanzia dei depositi, dei livelli di copertura, dei prodotti e depositanti coperti17; dai due regolamenti che compongono la c.d. Unione Bancaria, cioè il regolamento n. 1024/2013, che ha istituito il Meccanismo Unico di Vigilanza, ed il regolamento n. 806/2014, che ha istituito il Meccanismo Unico di gestione delle crisi. Molti sono i profili che caratterizzano il nuovo assetto disegnato da quelle normative. Fra i più rilevanti sono da annoverare, ai nostri fini: da un lato, il diretto intervento del legislatore, con precetti cogenti, sugli assetti patrimoniali ed organizzativi delle banche, dall’altro, l’attribuzione alle autorità di controllo del settore di poteri di intervento estremamente diffusi e penetranti, su tutti gli aspetti strutturali e funzionali delle imprese bancarie, e, d’altra parte, connotati da assai ampia discrezionalità18. Questa nuova conformazione dello ‘statuto speciale’ delle imprese bancarie propone (o ripropone), per quel che qui interessa, alcuni interrogativi di fondo. Primo interrogativo: alla luce della suddetta conformazione, c’è tuttora necessità di una apposita disciplina della trasparenza bancaria? L’interrogativo potrebbe apparire ozioso: ma non lo è ove si consideri che, nel sistema originario della l. bancaria del ’36-’38, la tutela del cliente rispetto alla banca, sia in termini informativi sia in termini di equilibrio nel rapporto, veniva ritenuta assicurata ex se dall’esistenza di un penetrante regime di vigilanza amministrativa e che solo in precisa connessione con i processi di liberalizzazione e privatizzazione del mercato bancario e di apertura di esso alla concorrenza, intervenuti negli anni ’80, è emersa l’esigenza di una apposita disciplina della trasparenza bancaria. Talché, in un momento in cui, per effetto delle normative ricordate prima, si assiste, in una sorta di ‘ritorno al passato’, ad una sostanziale nuova pubblicizzazione del settore, con l’‘appassimento’ del paradigma imprenditoriale e la (conseguente) sostanziale scomparsa della concorrenza e del mercato19, si potrebbe (tornare a) dubitare della effettiva necessità di una
16
Alla quale si è già accennato retro, sub § 4. Alla quale si è già accennato retro, testo e nt. 14. 18 In argomento sia consentito rinviare a NIGRO, Il nuovo ordinamento bancario e finanziario europeo: aspetti generali, in Giur. comm., 2018, I, p. 181 ss. 19 V. ancora NIGRO, Il nuovo ordinamento bancario, cit., p. 187 ss. 17
361
Saggi
apposita disciplina della trasparenza. A tale interrogativo ritengo, comunque, che si debba dare una risposta affermativa: la trasparenza nelle relazioni contrattuali e, specificamente, nelle relazioni con le banche concreta ormai un valore in sé, che merita in ogni caso considerazione e tutela, prescindendo da qualsiasi collegamento con la concorrenza e il mercato. E tanto più merita considerazione e tutela quanto più se ne esalti la funzionalità, non già a logiche paternalistiche20, bensì a quelle di potenziamento dell’autoresponsabilità delle controparti delle banche. Risolto positivamente il primo interrogativo, ne emerge immediatamente un secondo: ha tuttora senso e giustificazione l’attuale assetto della disciplina di trasparenza delle operazioni bancarie che vede assegnato un larghissimo spazio ed un preminente ruolo all’autorità di vigilanza? Personalmente, ho sempre ritenuto la trasparenza, in tutti i rapporti ed anche nei rapporti finanziari e bancari, materia che dovrebbe essere governata, in principio, solo da normative primarie, generali e ove occorra speciali, senza che vi sia spazio per l’intervento di autorità amministrative e, tanto meno, di normative secondarie: ed in questo senso si era sostanzialmente orientato il legislatore del 1992. Credo che sarebbe il caso di tornare indietro rispetto alla diversa scelta operata dal t.u.b. del 1993, riformulando ed integrando la normativa primaria, con affidamento all’A.V. solo, in ipotesi, la verifica del rispetto di quella normativa da parte degli intermediari. Il che avrebbe un sicuro vantaggio per questi ultimi: la riduzione del peso, sempre più gravoso, della regolamentazione secondaria. In ogni caso, risolto positivamente il secondo quesito, ne sorge immediatamente un terzo: ha tuttora senso e giustificazione l’attribuzione alla Banca d’Italia delle funzioni amministrative in materia di tutela della trasparenza? Sotto questo aspetto, non può sfuggire, io credo, la vistosa asimmetria che connota gli assetti attuali della vigilanza: per le imprese di investimento, la competenza in materia di stabilità spetta alla Banca d’Italia e quella in materia di trasparenza alla Consob; per le imprese bancarie, tutte le competenze, anche quella in materia di trasparenza, spettano alla Banca d’Italia. Si tratta di una asimmetria che, considerata la stretta contiguità fra i due settori, andrebbe, se non altro in un’ottica di razionalizzazione, eliminata.
20 Talvolta presenti nelle discipline di trasparenza: in particolare, gli obblighi di assistenza o consulenza presentano indubbiamente ‘venature’ di paternalismo.
362
Alessandro Nigro
Tale eliminazione potrebbe risultare opportuna anche sotto un altro aspetto. Si è detto prima che, formalmente, la tutela della trasparenza si atteggia, nel settore bancario, come finalità autonoma della vigilanza, ‘sganciata’ dalle altre finalità, e in particolare dalla tutela della stabilità. Recenti avvenimenti hanno fatto però sorgere il dubbio che questo sganciamento sia rimasto, almeno finora, sulla carta. Mi riferisco, come è evidente, alla tormentata storia delle quattro banche c.d. locali, poste in ‘risoluzione’, che aveva in particolare visto il massiccio collocamento presso la relativa clientela delle medesime delle (ormai famose) obbligazioni subordinate: collocamento che, a quanto sembra, sarebbe avvenuto in forme e con modalità smaccatamente contrastanti con le più elementari regole di trasparenza; collocamento ancora che ha addirittura fornito materia per imputazioni penali; collocamento infine che, proprio per tali modalità, ha indotto, da ultimo, lo stesso legislatore ad intervenire con un consistente pacchetto di misure di ristoro per i clienti-investitori (un pacchetto articolato – dall’art. 1, co. 855-861, l. n. 208/2015 e dall’art. 9 d.l. n. 59/2016, conv. con modificazioni dalla l. n. 119/2016 – su risarcimenti ‘forfettari’ e su risarcimenti da disporre sulla base di arbitrati affidati all’ANAC)21. Orbene. Se tutto questo è o fosse vero22 ne deriverebbe una conclusione tanto semplice quanto disarmante: o le strutture di vigilanza della Banca d’Italia non sono state in grado di percepire e reprimere tempestivamente questi comportamenti: il che allora implicherebbe la necessità di una profonda ristrutturazione delle medesime. O invece quelle strutture sono state sì in grado di percepire questi comportamenti, ma hanno ritenuto di non intervenire in relazione alla
21 Vicenda per molti versi analoga, sotto il profilo che qui interessa, ha accompagnato, come è noto, sia la messa in liquidazione coatta amministrativa della Banca popolare di Vicenza e di Veneto Banca sia il ‘risanamento’ del Monte dei Paschi di Siena. 22 È il caso di ricordare, per questo aspetto, che, in sede di arbitrato ANAC, l’accoglimento della domanda di risarcimento è espressamente subordinato dalla legge «all’accertamento della responsabilità per violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione o al collocamento degli strumenti finanziari subordinati» (art. 1, co. 858, l. 208/2015); e che nei primi mesi di funzionamento del meccanismo arbitrale (marzo-maggio 2018) risultano essere state accolte 128 istanze su 162, con una percentuale allora del 76%. Non sembra necessario aggiungere altro.
363
Saggi
scelta di privilegiare il rafforzamento della stabilità patrimoniale delle banche interessate: ed allora vi sarebbe la necessità di modifiche normative idonee ad impedire la subordinazione in punto di fatto della trasparenza alla, appunto, stabilità. Fra queste modifiche potrebbe esservi proprio quella di sottrarre alla Banca d’Italia la tutela della trasparenza.
6. Conclusione. Al termine di questa breve e disorganica rassegna di riflessioni mi pare di poter osservare che la disciplina della trasparenza nel settore finanziario in generale e, specificamente, la disciplina della trasparenza ‘bancaria’ sempre più si pone come un segmento tanto importante quanto delicato dell’ordinamento bancario e finanziario: un segmento in continua evoluzione e perciò bisognoso di particolare attenzione da parte del legislatore.
ALESSANDRO NIGRO
364
I diritti di proprietà nelle imprese bancarie: spunti per un’analisi economico-giuridica* SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La “proprietà” e la performance della banca. – 3. Ridimensionare la proprietà: limiti delle teorie dei diritti di proprietà. – 4. La natura istituzionale delle banche, ulteriore limitazione alle teorie dei diritti di proprietà applicate alle imprese. – 5. Regolamentazione della proprietà bancaria e interazione con la teoria economica. – 5.1. La tendenza verso l’omologazione del modello operativo e le limitazioni all’autonomia negoziale dei soci: le riforme italiane di banche popolari e banche di credito cooperativo. – 5.2. La regolazione europea degli assetti proprietari degli enti finanziari. – 5.3 I vincoli alla proprietà posti dalla disciplina italiana sugli assetti proprietari delle banche. L’autorizzazione all’acquisizione di partecipazioni. – 5.4. Segue. Obblighi informativi e di comunicazione. – 5.5. Le sanzioni. Sospensione del diritto di voto e degli altri diritti. – 6. Profili di specialità dell’impresa bancaria nella disciplina della corporate governance. – 6.1. Governance e proprietà bancaria. – 7. Il declino del ruolo della proprietà nelle imprese bancarie. – 7.1. Proprietà delle banche e disarmonia del quadro regolamentare. – 7.2 Considerazioni conclusive: il quadro regolamentare della proprietà bancaria quale parametro di riferimento per le riforme di settore. «The claims to ownership are subdivided in such a fashion, and are so mobile, that the enterprise assumes an independent life, as if it belonged to no one; it takes on an objective existence, such as in earlier days was embodied only in state and church, in a municipal corporation, in the life of a guild or a religious order» (Walther Rathenau, 1918 [1921])1. «The best way to rob a bank is to own one» (William Crawford, Commissioner of the California Department of Savings and Loans, 1988)2.
* Pur essendo il presente lavoro frutto di riflessioni comuni, i paragrafi da 1 a 4 sono da attribuire a Olivier Butzbach; i paragrafi 5 e 5.1 e da 7 a 7.2 a Gennaro Rotondo; i paragrafi da 5.2 a 6.1 a Talita Desiato. 1 In RATHENAU, In Days To Come, New York, 1921. 2 Citato in BLACK, The Best Way to Rob a Bank is to Own One. How Corporate Executives and Politicians Looted the S&L Industry, Austin, 2005.
365
Saggi
1. Introduzione. La “proprietà aziendale” delle banche è oggetto di una vasta letteratura accademica che cerca di mostrare, in particolare, come diversi tipi di “proprietà” (cioè variazioni nell’identità dei “proprietari”)3 possano incidere sull’efficienza delle banche. La categoria semantica “proprietà delle banche”, oltre ad essere entrata nel linguaggio comune, è divenuta centrale per lo studio economico delle banche, della loro organizzazione e della loro performance4. Ciononostante, al di là della sua corrente applicazione all’industria bancaria, l’espressione “proprietà aziendale” presenta diversi aspetti problematici, in quanto – almeno con l’avvento dell’impresa moderna nel primo ’900 – la proprietà (che si può definire, temporaneamente, come il diritto esclusivo di decidere dell’uso di un asset) è stata separata dal controllo aziendale, inteso come fenomeno evolutivo e legale5. Nell’emergenza dell’impresa moderna si possono, quindi, identificare le basi legali di un cambiamento nel significato della proprietà. Le posizioni teoriche che ispirano il presente saggio si collocano in un’importante, anche se ampiamente negletta, tradizione di studi giuridici, economici e aziendali in Europa e Nord America: studi che hanno tentato (fino ai giorni nostri) di impostare una comprensione (e un quadro analitico) dell’impresa distante sia dalle tradizioni classiche e neoclassiche della prima metà del ‘900, sia delle teorie contrattuali dell’impresa emerse negli anni ’60, ancora oggi molto influenti nelle discipline economiche6. È stato sostenuto, ad esempio, che con l’avvento
3
Ad esempio, ci si è chiesti quali effetti abbiano la proprietà estera o statale in termini di efficienza; si v. BERGER, CLARKE, CULL, KLAPPER, UDELL, Corporate Governance and Bank Performance: a Joint Analysis of the Static, Selection, and Dynamic Effects of Domestic, Foreign, and State Ownership, in Journal of Banking & Finance, 2005, 29(8), p. 2179-2221; e LA PORTA, LOPEZ, DE SILANES, SHLEIFER, Government Ownership of Banks, in The Journal of Finance, 2002, 57(1), pp. 265-301. 4 Google Scholar propone 1,830,000 voci (in inglese) per una ricerca con la parola chiave “bank ownership”; Scopus propone 2,113 risultati per una ricerca simile; Web of Science 2. 5 Come evidenziato da BERLE, MEANS in The Modern Corporation and Property Rights, New Brunswick, NJ, 1932. 6 Ne è testimonianza, in qualche modo, il conferimento a Hart del Premio della Banca di Svezia in memoria di Alfred Nobel per le scienze economiche. Si v. BIONDI, CANZIANI, KIRAT, a cura di, The Firm as an Entity: Implications for Economics, Accounting, and the Law, London, 2007, per una discussione di questa tradizione “eterodossa”.
366
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
del capitalismo moderno la proprietà era stata “depersonalizzata” e, in conseguenza, l’impresa era stata “oggettivata”, con una soggettività propria estranea alla persona del proprietario7. In realtà, i dubbi sulla nozione di “proprietà dell’impresa” non sono limitati agli approcci economici eterodossi. Anche tra gli economisti di impostazione neoclassica, vi era chi sosteneva che la proprietà del capitale non andasse confusa con la proprietà dell’azienda; secondo Eugene Fama, ad esempio, «Fare fuori la nozione tenace che un’impresa è proprietà dei detentori del suo capitale è importante perché costituisce una prima tappa verso la comprensione che il controllo sulle decisioni dell’impresa non è necessariamente dominio dei detentori del capitale»8. In tale prospettiva, è legittimo chiedersi però se il problema con la nozione di “proprietà dell’azienda” (e quindi di “proprietà della banca”) sia solo di natura terminologica. Ad esempio, si potrebbe sostituire al termine “proprietari dell’azienda” quello di “azionisti di controllo”, e attribuire a questi ultimi le stesse caratteristiche, o gli stessi diritti, precedentemente associati ai “proprietari”. Una tale soluzione linguistica non sarebbe soddisfacente, essendo infatti discussa la pertinenza teoretica del concetto di “proprietà dell’azienda”9. In altre parole, si tratta di accertare se la nozione ha qualche valore per le teorie dell’impresa e se la sua eliminazione potrebbe creare difficoltà per le medesime. Il punto di vista adottato qui è che la nozione di “proprietà dell’azienda” è tanto più problematica nel caso delle banche in considerazione della loro natura particolare. Le banche si distinguono, innanzitutto, per il ruolo nella creazione di moneta, ossia con riguardo a una funzione cruciale per l’economia (monetaria) moderna10. Questo ruolo chiave si articola in tre funzioni più specifiche che distingue le banche da altri tipi di imprese: (i) offrono
7 Cfr. RATHENAU, In Days To Come, cit. Rathenau fu ingegnere, industriale di successo, uomo di stato. Venne assassinato da estremisti di destra nel 1922. 8 FAMA, Agency Problems and the Theory of the Firm, in The Journal of Political Economy, 1980, 88(2), p. 290. In realtà la posizione di Fama, benché critica rispetto alla nozione di proprietà applicata alle imprese, prende spunto da ipotesi radicalmente opposte alle nostre, come sarà chiaro nelle prossime sezioni. 9 Per parafrasare il titolo di un paragrafo in FAMA, Agency, cit. 10 È chiaro che la creazione monetaria è privilegio delle banche di deposito (e non, ad esempio, delle banche di investimento o le “merchant banks”). D’ora in avanti, il termine di “banche” si riferirà implicitamente a quella categoria di banca.
367
Saggi
liquidità al sistema economico; (ii) producono servizi di informazione e monitoraggio per gli agenti economici; (iii) trasformano il rischio. Tale insieme di funzioni giustifica il trattamento riservato alle banche dalle autorità regolamentari, trattamento che è visto, a volte, come unica fonte della loro singolarità. Ad esempio, le banche sono considerate peculiari perché hanno un bilancio influenzato da regolamentazioni specifiche, tra cui quelle riguardanti le riserve obbligatorie o l’assicurazione sui depositi11. In termini più generali, le singole banche possono essere viste come parte di un circuito che combina il sistema creditizio e quello dei pagamenti. Ne consegue che le banche possono essere considerate delle istituzioni cioè, più precisamente, delle organizzazioni con caratteristiche istituzionali, quali la sottoposizione a regole (come quelle attinenti all’accesso al credito e alla moneta) e l’interdipendenza con la politica monetaria. Se, come accennato sopra, la “proprietà aziendale” è un termine non univoco, allora, data la natura istituzionale delle banche, l’espressione “proprietà delle banche” è a maggior ragione in questione. In ultima analisi, il problema della “proprietà dell’impresa” è un problema teorico radicato in una questione empirica poiché riguarda la natura e l’estensione dei diritti di proprietà in relazione all’impresa. Si tratta di una questione precipuamente giuridica siccome è la legge che determina l’effettività dei diritti di proprietà. Infatti, la proprietà è un diritto legalmente sancito e non deve essere confuso con il possesso, che indica il controllo effettivo di un’attività12. Ne consegue che una discussione sulla “proprietà aziendale” nel settore bancario non può che confrontare la teoria alle basi giuridiche concrete della proprietà in uno specifico contesto legale. Il presente studio, quindi, ha due obiettivi principali: (i) una disamina critica dell’uso della nozione di “proprietà della banca” nella letteratura economica, traendo spunti dalla teoria dei diritti di proprietà (applicata all’impresa), da un lato, e dalle teorie eterodosse dell’impresa dall’altro; (ii) l’analisi giuridica della natura e dell’estensione effettive dei diritti di proprietà nel settore bancario in un contesto specifico, quello italiano.
11
Cfr. FAMA, Banking in the Theory of Finance, in Journal of Monetary Economics, 1980, 6, pp. 39-57; ID., What’s Different About Banks?, in Journal of Monetary Economics, 1985, 15, pp. 29-39. 12 Cfr. HODGSON, Much of the ‘Economics of Property Rights’ Devalues Property and Legal Rights, in Journal of Institutional Economics, 2015, 11(4), pp. 683-709.
368
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
2. La “proprietà” e la performance della banca. La relazione tra la “proprietà della banca” e la performance della stessa è oggetto di una ricca letteratura empirica, alimentata sia dallo sviluppo della teoria dei diritti di proprietà applicata alle teorie dell’impresa dagli anni 1970 in poi, sia dall’onda di privatizzazioni bancarie sulla scia della transizione post-comunista in Europa centrale (e altrove) negli anni ‘90 del 1900. Questa letteratura è fiorita a partire dal 2000, beneficiando della predisposizione di grandi banche dati che rendevano possibili studi comparativi, e dall’impostazione proposta in uno scritto molto influente sulla “proprietà statale delle banche”13. In un primo momento, l’attenzione si è focalizzata sugli effetti della “proprietà della banca” sulla performance (in senso lato)14. Successivamente, l’interesse della letteratura si è spostato verso una disamina degli effetti della “proprietà delle banche” sulle attività creditizie degli intermediari bancari15 e sul rischio creditizio16.
13
LA PORTA, LOPEZ, SILANES, SHLEIFER, Government Ownership, cit. La teorizzazione e la misurazione della performance aziendale in molti studi, si espone a numerose critiche. In particolare, l’uso diffuso del prezzo delle azioni quale misura di performance aziendale (nel settore bancario, come in altri settori) genera argomentazioni circolari per cui variazioni nella proprietà azionaria sono correlate con variazioni dei prezzi delle azioni, il che potrebbe essere indicativo circa funzionamento dei mercati azionari, ma ben poco significativo sul funzionamento delle banche. In argomento, v. ALTUNBAS, EVANS L., MOLYNEUX, Bank Ownership and Efficiency, in Journal of Money, Credit and Banking, 2001, p. 926-954; BERGER e al., Corporate governance, cit.; MICCO, PANIZZ, YANEZ, Bank Ownership and Performance. Does Politics Matter?, in Journal of Banking & Finance, 2007, 31(1), pp. 219-241; IANNOTTA, NOCERA, SIRONI, Ownership Structure, Risk and Performance in the European Banking Industry, in Journal of Banking and Finance, 2007, 31(7), pp. 2127-2149; CORNETT, GUO, KHAKSARI S., TEHRANIAN, The Impact of State Ownership on Performance Differences in Privately-Owned versus State-Owned Banks: an International Comparison, in Journal of Financial Intermediation, 2010, 19(1), pp. 74-94; HAGGARD, HOWE, Bank Ownership, Free Cash Flow, and Agency Behavior, in Banking & Finance Review, 2015, 7(1), pp. 1-17. 15 Sul punto, SAPIENZA, The Effects of Government Ownership on Bank Lending, in Journal of financial economics, 2004, 72(2), pp. 357-384; MICCO, PANIZZA, Bank Ownership and Lending Behavior, in Economics Letters, 2006, 93(2), pp. 248-254; BERGER, KLAPPER, PERIA, ZAIDI, Bank Ownership Type and Banking Relationships, in Journal of Financial Intermediation, 2008, 17(1), pp. 37-62; BECK, DEMIRGÜÇ-KUNT, PERIA, Bank Financing For SMEs: Evidence Across Countries and Bank Ownership Types, in Journal of Financial Services Research, 2011, 39(1-2), pp. 35-54; FERRI KALMI, KEROLA, Does Bank Ownership Affect Lending Behavior? Evidence from the Euro Area, in Journal of Banking & Finance, 2014, 48, pp. 194-209. 16 SAUNDERS, STROCK, TRAVLOS, Ownership Structure, Deregulation, and Bank Risk Taking, in The Journal of Finance, 1990, 45(2), pp. 643-654; SHEHZAD, DE HAAN, SCHOLTENS, 14
369
Saggi
Questa ampia letteratura empirica basa le sue argomentazioni su due ipotesi (implicite): (1) che la “proprietà delle banche” produca effetti significativi sul comportamento delle banche; (2) che tali effetti varino in funzione del mutamento dei tipi di “proprietà dell’impresa” (bancaria), generalmente costruiti su base dicotomica (“proprietà” statale o privata, estera o domestica, concentrata o diffusa, ecc.). A prescindere dai risultati empirici generati da questa letteratura, la maggior parte di questi lavori soffre di due problemi significativi. Il primo è la discutibilità dell’ipotesi (1), legata ad un’accezione superficiale della “proprietà” in campo aziendale (e bancario). Il secondo problema consiste nelle basi teoriche ridotte di molti di tali studi. Per quanto riguarda il primo problema, un’analisi attenta della letteratura su “proprietà e performance” mostra come quest’ultima sia basata su una nozione di proprietà che spesso confonde proprietà di quote di capitale con il controllo dell’impresa. Ad esempio, è stato affermato che la “proprietà statale” delle banche consiste nel «controllo diretto degli attivi bancari dallo Stato»17. Similarmente, secondo La Porta e altri, «la proprietà permette allo Stato di esercitare un controllo estensivo sulla scelta dei progetti da finanziare»18. Analisi più sofisticate frazionano la “struttura proprietaria” delle banche in varie componenti, quali ad esempio la concentrazione della proprietà e la natura (qualità) del proprietario19. Tuttavia, questi autori si riferiscono sistematicamente alla “proprietà bancaria” e specificano che per “azionista” intendono «il Proprietario Ultimo di una banca quando esso possiede più di 24.9% del capitale azionario della banca, senza che nessun altro azionista possieda una quota maggiore»20. In uno studio più recente e ancor più sofisticato sugli effetti della “proprietà bancaria” sul credito bancario, si può leggere che le banche hanno proprietari («le banche cooperative sono di proprietà dei loro membri»), ma nel corso dell’analisi la terminologia si allontana da riferimenti alla “proprietà” e
The Impact of Bank Ownership Concentration on Impaired Loans and Capital Adequacy, in Journal of Banking & Finance, 2010, 34(2), pp. 399-408; BERTAY, DEMIRGÜÇ-KUNT, HUIZINGA, Bank Ownership and Credit over the Business Cycle: is Lending by State Banks Less Procyclical?, in Journal of Banking & Finance, 2015, 50, pp. 326-339. 17 Cfr. DINÇ, Politicians and banks: Political influences on government-owned banks in emerging markets, in Journal of Financial Economics, 2005, 77, p. 453-479. 18 Cfr. LA PORTA, LOPEZ, SILANES, SHLEIFER, Government Ownership, cit., p. 266. 19 Così IANNOTTA, NOCERA, SIRONI, Ownership Structure, cit. 20 Ibid., p. 2734.
370
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
si avvicina a termini più neutri (ma forse non più precisi) come quelli di “stakeholder banks” e“shareholder banks”21. Questi esempi illustrano una pratica diffusa negli studi sulla “proprietà bancaria”, ossia quella consistente nella confusione concettuale tra proprietà del capitale e proprietà dell’impresa. Tuttavia, come mostra una lunga tradizione di pensiero economico eterodosso, il termine “proprietà dell’impresa”, o “proprietà aziendale”, è una contraddizione22, come si vedrà più avanti. In altre parole, l’uso di una variabile indipendente definita “proprietà bancaria”, nell’assenza di una discussione rigorosa sul termine, costituisce un problema complesso. Problema che potrebbe essere affrontato in chiave terminologica: se l’espressione “proprietari di una banca” è una categoria erronea, si potrebbero semplicemente utilizzare sostituti come, ad esempio, “azionisti di controllo”. Questa soluzione, tuttavia, non lascia impregiudicato il ragionamento teorico poiché l’uso di una nozione “pre-scientifica” di proprietà23 riflette vedute “pre-teoriche” (cioè non teorizzate esplicitamente) sugli effetti della proprietà. In sintesi, ciò che molti dei lavori qui considerati condividono è l’ipotesi duplice ed implicita secondo cui (i) la proprietà del capitale genera effetti sul comportamento delle imprese; (ii) questi effetti sono molto simili (se non identici) a quelli prodotti dalla proprietà di elementi non aziendali, come attivi materiali o beni di consumo. Sarebbe opportuno però distinguere fra quei lavori che considerano, talora approfonditamente, l’effetto delle strutture e dei meccanismi di governance che mediano tra la proprietà del capitale e il comportamento delle imprese bancarie (ad esempio, includendo variabili di governance nei loro modelli) e quei lavori che non lo fanno24. Questi ultimi si espongono alle stesse critiche che si possono muovere contro le teorie dei diritti di proprietà applicate all’impresa. Una valutazione adeguata del primo tipo di lavori, invece, richiede altri sviluppi. Prima di proseguire l’analisi delle basi teoriche degli studi oggetto del presente saggio, bisogna precisare che non si vogliono qui porre in discussione i risultati empirici di questa letteratura. Piuttosto, attraverso la discussione delle loro basi teoriche,
21
Cfr. FERRI, KALMI, KEROLA, Does Bank Ownership, cit. Si v. BIONDI, CANZIANI, KIRAT, a cura di, The Firm as an Entity, cit. 23 Per “pre-scientifico si intende una nozione che non ha radici solide né nella teoria né nell’evidenza empirica, e non viene adeguatamente giustificata. 24 Come LA PORTA, LOPEZ, DE SILANES, SHLEIFER, Government Ownership, cit. 22
371
Saggi
alla luce dell’importanza delle norme sulla proprietà del capitale delle imprese bancarie, si vuole suggerire che un approccio diverso agli effetti del diritto di proprietà nelle banche può offrire una nuova prospettiva dalla quale analizzare i risultati empirici della letteratura.
3. Ridimensionare la proprietà: limiti delle teorie dei diritti di proprietà. Esplicitamente o meno, e a prescindere dal livello di sofisticazione delle analisi empiriche praticate, la maggior parte dei lavori sulla proprietà e la performance delle banche si basa su fondamenta teoriche piuttosto deboli. È notevole, in particolare, la scarsezza dei riferimenti e degli sviluppi teorici utilizzati in molti lavori empirici, anche quelli più noti25. Più significativamente, forse, questa carenza sembra dovuta alle aporie teoriche relative all’esistenza e agli effetti della “proprietà aziendale”, e inerenti alle tre tradizioni teoriche abitualmente utilizzate nella letteratura empirica: la teoria dei diritti di proprietà, la teoria dell’agenzia (combinata a quella dei contratti incompleti) e le teorie “macro” sul ruolo dello Stato nell’economia. Tutte e tre le tradizioni si basano, più o meno esplicitamente, sul concetto che diversi tipi di proprietà generano vari livelli di efficienza attraverso diversi insiemi di incentivi. La proprietà privata è vista come la forma più efficiente di proprietà perché conduce gli agenti ad internalizzare i costi e, quindi produce il “sistema costi-premi” più efficiente26. D’altro canto, vi è chi scarta la proprietà statale quale forma di proprietà sempre inefficiente, a causa dell’uso sistematico delle “imprese di proprietà statale” per motivi e fini politici27.
25
Ad esempio, i soli due riferimenti teorici citati nel famoso studio di La Porta et al. sono quelli di Janos Kornai e il saggio di Shleifer e Vishny: SHLEIFER, VISHNY, Politicians and Firms, in Quarterly Journal of Economics, 1994, 109, pp. 995-1025. 26 Cfr. ALCHIAN, Some Economics of Property Rights, in Il Politico, 1965, 30(4), pp. 816829 27 Così, SHLEIFER, VISHNY, Politicians and Firms, in Quarterly Journal of Economic, cit. Gli enunciati più discutibili, in questa prospettiva, si trovano nella letteratura sulla “proprietà statale” delle banche, il cui punto di vista funzionalista della “proprietà bancaria” («le banche statali sono create per uno scopo ben preciso», scrivono Shleifer e Vishny) contraddice peraltro un’ipotesi centrale della teoria dei diritti di proprietà, cioè l’ipotesi di endogeneità della proprietà: si vedano DEMSETZ, VILLALONGA, Ownership Structure
372
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
Al contrario, la presente analisi si focalizza su tre connotazioni della proprietà messe in luce da questa letteratura: (i) le caratteristiche centrali della proprietà; (ii) l’ipotesi di efficacia; (iii) le implicazioni della teoria dei diritti di proprietà per la governance delle imprese. Le caratteristiche centrali dei diritti di proprietà implicano (i) piena alienabilità (cioè la possibilità di cedere i diritti di proprietà)28; (ii) piena escludibilità (cioè la possibilità di escludere i non-proprietari dall’uso di un dato attivo)29. Ambedue nozioni sono state sottoposte ad efficaci critiche da parte di alcuni studiosi (non ortodossi) dell’impresa30. Infatti, mentre le quote di capitale si possono vendere sul mercato, per un’impresa (intesa quale organizzazione produttiva o gruppo di proprietari di alcuni attivi) ciò non è possibile, in quanto, il diritto “concreto” (a differenza di quello ipotizzato nella teoria dei diritti di proprietà) riconosce che l’impresa è molto più di un nesso di contratti e che gli azionisti non “possiedono” l’impresa nel senso della capacità di escludere gli altri dall’uso degli attivi della stessa. Perfino la teoria dell’agenzia, che introduce questioni di governance nella concettualizzazione dei diritti di proprietà, deve tenere conto del fatto che l’impresa moderna ha molteplici “principali”31. L’ipotesi di efficacia è pervasiva nelle teorie dei diritti di proprietà applicate all’impresa. In questa letteratura, la proprietà è stata presto definita come “pacchetto di diritti”32 che includono in particolare, come si è detto, l’alienabilità e l’escludibilità. Soprattutto, questo “pacchetto di diritti” (bundle of rights) implica il controllo dell’azienda. La proprietà è
and Corporate Performance, in Journal of Corporate Finance, 2001, 7(3), p. 209-233; e DEMSETZ, LEHN, The Structure of Corporate Ownership: Causes and Consequences, in Journal of Political Economy, 1985, 93(6), pp. 1155-1177. Inoltre, la questione dell’influenza politica nel settore bancario merita trattamenti più sofisticati, come nel recente libro di Charles Calomiris e Stephen Haber: CALOMIRIS, HABER, Fragile by Design. The Political Origins of Banking Crises & Scarce Credit, Princeton, NJ, 2014. 28 Cfr. ALCHIAN, Some Economics of Property Rights, in Il Politico, cit. 29 DEMSETZ, Towards a Theory of Property Rights, in The American Economic Review, 1967, 57(2), pp. 347-359. 30 Si veda BIONDI, CANZIANI, KIRAT, a cura di, The Firm as an Entity, cit; BERLE Jr, The Theory of Enterprise Entity, in Columbia Law Review, 1947, 47(3), pp. 343-358. 31 Cfr. WEINSTEIN, The Current State of the Economic Theory of the Firm. Contractual, Competence-Based, and Beyond, in The Firm as an Entity: Implications for Economics, Accounting, and the Law, a cura di Biondi, Canziani, Kirat, London, 2007, pp. 21-53. 32 DEMSETZ, Towards a Theory of Property Rights, in The American Economic Review, cit.
373
Saggi
il controllo. L’efficacia della proprietà risiede nell’efficacia di ogni singolo diritto che compone il “pacchetto di diritti”. Finanche gli studi critici rispetto all’idea del bundle of rights (e che, ad esempio riducono il diritto di proprietà al diritto di escludere altri dall’uso di alcune risorse) costruiscono implicitamente l’efficacia come dimensione essenziale della proprietà. Ad esempio, quando si afferma che «la proprietà è esclusiva», si intende che «i proprietari hanno il diritto di escludere, e che questo diritto di escludere ha un certo effetto: la creazione indiretta di uno spazio all’interno del quale viene preservata la libertà del proprietario di proseguire progetti scelti da lui»33. Tuttavia, alcuni lavori iniziali nella letteratura economica sui diritti di proprietà lasciano spazio per interpretazioni opposte (cioè più in linea con lo “scetticismo” espresso da taluni autori). Secondo altri, come Albert Alchian, un “sistema di diritti di proprietà” è un «metodo di attribuzione ad alcuni individui dell’’autorità’ di selezionare, per alcuni beni, un uso particolare, da un ventaglio di usi non proibiti»34. Inoltre, i diritti di proprietà sono «sostenuti dalle forze dell’etiquette, degli usi sociali, l’ostracismo, e delle norme sostenute dal potere coercitivo dello stato»35. Il diritto e il sistema legale, quindi, svolgono un ruolo importante nel circoscrivere l’efficacia (o l’effettività) della proprietà-in-quanto-controllo, un argomento che svanisce nelle trattazioni ulteriori delle teorie dei diritti di proprietà applicate all’impresa. Similarmente, secondo Harold Demsetz, «il detentore di diritti di proprietà possiede il consenso dei suoi concittadini per agire in alcuni modi»36. Il consenso determina quindi i contorni del “pacchetto di diritti” altrove presentato, implicitamente, come un assoluto37.
33
Così, KATZ, Exclusion and Exclusivity in Property Law, in University of Toronto Law Journal, 2008, 58(3), p. 281. 34 ALCHIAN, Some Economics, cit., p. 818. 35 ALCHIAN, Some Economics, cit., p. 817. 36 DEMSETZ, Towards a Theory, cit., p. 347. 37 «È questo “pacchetto di diritti”: 1) il diritto di essere un residual claimant; 2) il diritto di osservare il comportamento degli inputs; 3) il diritto ad essere la parte centrale, comune a tutti i contratti con tutti gli input; 4) il diritto di alterare la compagine della squadra; 5) il diritto di vendere questi diritti, che definisce la proprietà (o il datore di lavoro) dell’impresa classica (capitalistica)»: in ALCHIAN, DEMSETZ, Production, Information Costs, and Economic Organization, in The American Economic Review, 1972, 62(5), p. 783. In modo ancora più esplicito, Alchian e Demsetz, apparentemente non consapevoli delle contraddizioni teoriche così suscitate, scrivono in seguito che i diritti di proprietà «sono sempre circoscritti, spesso dalla proibizione di alcune azioni» (ALCHIAN, DEMSETZ, The
374
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
Le ambiguità e le difficoltà teoriche incontrate dalla visione della proprietà-quale-controllo nella teoria dei diritti di proprietà sembrano risolte nei lavori successivi, i quali incorporano esplicitamente la dimensione della governance nei loro modelli, dove la proprietà del capitale (dell’impresa) conduce al controllo dell’impresa solo nella misura in cui la struttura di governance lo consenta. A questo punto, però, cosa accade alla “proprietà aziendale” (e alla sua ipotesi corollario di efficacia della proprietà-quale-controllo) quando il “creditore ultimo” (residual claimant nella formulazione originale della teoria) si colloca al di fuori della struttura operativa dell’impresa, e non ha quindi nessun controllo sulla condotta degli affari dell’impresa?38. Due prospettive teoriche distinte affrontano questa questione: la teoria dell’agenzia e la teoria dei contratti impliciti. La prima giunge alla conclusione paradossale che la proprietà diventa irrilevante precisamente quando viene identificata come il luogo primario dell’efficienza dell’impresa. Infatti, la proprietà, nell’impresa (laddove, come visto sopra, si parli di “proprietà del capitale” e non di “proprietà aziendale”), emerge come specializzazione nell’assunzione di rischi39. La contropartita di questa specializzazione è la pretesa (claim) sui flussi di cassa residuali (residual cash flows): «il rischio residuo è assunto da chi ottiene contrattualmente il diritto ai flussi netti di cassa», scrivono Eugene Fama e Michael Jensen40. Una relazione principale-agente, quindi, agisce come meccanismo disciplinare: i flussi di cassa versati agli azionisti riducono il potere dei dirigenti e potenziano il monitoraggio dei mercati dei capitali ogni qualvolta le imprese cercano di finanziare le loro attività41. Le implicazioni di questo approccio sono due: da un lato, il proprietario non è più una figura rilevante del funzionamento dell’impresa: ciò
Property Rights Paradigm, in The Journal of Economic History, 1973, 33(1), p. 17). Infatti, la “proibizione di alcune azioni” è dettata dal sistema legale, una determinazione quindi esogena rispetto alla proprietà. 38 In conseguenza, scrivono Alchian e Demsetz in una nota a piè di pagina nel loro articolo del 1972, gli azionisti dovrebbero più correttamente essere visti come investitori piuttosto che come proprietari (ALCHIAN, DEMESETZ, Production, cit.). Una posizione molto vicina a quella difesa da Eugene Fama. 39 Cfr. FAMA, Agency Problems, cit. 40 FAMA, JENSEN, Separation of Ownership and Control, in Journal of Law and Economics, 1983, 26(2), p. 302. 41 Cfr. JENSEN, Agency Costs of Free Cash Flow, Corporate Finance and Takeovers, American Economic Review, 1986, 76(2), pp. 323-329.
375
Saggi
che conta sono i mercati dei capitali efficienti che esercitano pressioni disciplinari sul management; dall’altro, però, una volta ridotti o superati i problemi di agenzia grazie a strutture di governance (incentivi) adatte, i tipi di diritti associati alla detenzione di quote di capitale sono esattamente uguali a quelli del proprietario come concettualizzato dalla teoria dei diritti di proprietà. Le teorie dell’agenzia, dunque, restituiscono efficacia o effettività ai diritti di proprietà tramite appositi meccanismi di governance. In altre parole, l’efficienza degli strumenti di governance risiede nella loro capacità di far valere i diritti di proprietà sull’impresa. Gli stessi risultati si ottengono dalla teoria dei contratti incompleti. In questo caso, le basi dei diritti di proprietà sono diverse rispetto alla teoria dell’agenzia: quando la contrattualizzazione specifica è troppo costosa, la soluzione efficiente (per gli agenti coinvolti nel processo produttivo) è di basarsi su una “contrattualizzazione residua”42. «La proprietà è l’acquisto di […] diritti di controllo residuo», scrivono Grossman e Oliver Hart43. La filiazione con le formulazioni iniziali della teoria dei diritti di proprietà (di Alchian e Demsetz) è molto più chiara che nel caso della teoria dell’agenzia (di Fama e Jensen). Infatti, i diritti del controllo residuo sono molto simili ai diritti di proprietà; consistono nel «diritto di decidere come gli attivi [assets] devono essere usati, all’eccezione degli usi particolari specificati in un contratto iniziale»44. Questi sviluppi teoretici soffrono, quindi, delle stesse debolezze della teoria dei diritti di proprietà applicata alle teorie dell’impresa: la proprietà viene concettualizzata come un “pacchetto di diritti” che, oltre ad incontrare gli stessi problemi teorici evocati prima, non trova corrispondenza nell’analisi empirica. Inoltre, questa concezione non è coerente con i molteplici riferimenti ai limiti convenzionali e giuridici della proprietà, presenti nella letteratura originaria sui diritti di proprietà. In particolare, nelle ultime versioni, la proprietà del capitale (dell’impresa) viene concettualizzata avendo effetti diretti (o mediati da contratti o strutture di governance) in termini di controllo dell’azienda, riducendo quindi quell’ultima ad un insieme di assets o inputs senza status contrattuale autonomo rispetto, appunto, ai detentori di capitale; una visione
42
GROSSMAN, HART, The Costs and Benefits of Ownership: a Theory of Vertical and Lateral Integration, In Journal of Political Economy, 1986, 94(4), pp. 691-719. 43 GROSSMAN, HART, The Costs, cit., p. 692. 44 HART, MOORE, Property Rights and the Nature of the Firm, in Journal of Political Economy, 1990, 98(6), p. 1120.
376
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
smentita dalla realtà giuridica (cioè il trattamento legale e giurisprudenziale dell’impresa, anche e soprattutto nel sistema statunitense, quindi nel contesto in cui sono state formulate le basi della teoria dei diritti di proprietà)45. In secondo luogo, se l’effettività della proprietà del capitale viene sempre giuridicamente circoscritta nelle sue pretese di controllo dell’impresa (come avviene nel caso delle banche), non può allora essere teorizzata come contrattualizzazione residua o diritti di controllo residuo, siccome quest’ultimi sono illimitati per definizione.
4. La natura istituzionale delle banche, ulteriore limitazione alle teorie dei diritti di proprietà applicate alle imprese. Le teorie della “proprietà aziendale” presentano problemi aggiuntivi nel caso delle imprese bancarie. In primo luogo, le banche svolgono una funzione essenziale nella creazione monetaria. Siccome le economie moderne sono monetarizzate, le banche assicurano il funzionamento stesso del sistema economico, un ruolo istituzionale che, sicuramente, le distingue da altri tipi di imprese o di organizzazioni. In secondo luogo, e in conseguenza del loro ruolo nel processo di creazione monetaria, le banche hanno un business model particolare, definito da alcuni economisti finanziari «trasformazione qualitativa degli assets». Ciò ha due implicazioni: (i) gli assets al cuore dell’attività delle banche non sono, solitamente, di loro proprietà; (ii) nella banca esistono molteplici fornitori di capitale (come i detentori di conto di deposito e gli azionisti) che potrebbero competere per il controllo della banca. In conseguenza, non ci sono evidenti residual claimants. Un’obiezione a quest’ultimo argomento potrebbe menzionare la regolamentazione quale fonte di determinazione dei diritti di controllo46. Tuttavia, se ciò è vero, allora i diritti di proprietà non possono più essere concepiti come endogeni. Infatti, come si evince da una recente rassegna della letteratura sulla corporate governance nelle banche, gli effetti della proprietà nel settore bancario sono sempre mediati dalla regolamentazione47.
45
Si v., ad esempio, BLAIR, STOUT, A team production theory of corporate law, in Virginia Law Review, 1999, 85(2), pp. 247-328. 46 FAMA, Banking, cit. 47 DE HAAN, VLAHU, Corporate Governance of Banks: a Survey, in Journal of Economic
377
Saggi
In terzo luogo, nel settore bancario, l’attribuzione di diritti di proprietà ai detentori del rischio residuo, paventata dalla teoria dell’agenzia, non può funzionare. Infatti, se il rischio residuo viene definito come «le differenze tra i flussi e i pagamenti stocastici»48, il rischio, nel settore bancario, non è assolutamente residuale: è piuttosto al centro della “normale” attività bancaria. Infine, le banche di deposito non si possono concettualizzare come imprese isolate: partecipando al processo di creazione monetaria, sono istituzioni interdipendenti che compongono un sistema istituzionale49. La natura istituzionale delle banche le protegge in larga misura (dipendente dal diritto, come si vedrà più avanti) dalle pretese dei detentori di capitale di esercitare diritti di proprietà come concettualizzato dalla teoria economica (pienamente alienabili ed escludibili). In conseguenza di queste debolezze teoriche, i risultati empirici dei lavori che si iscrivono nella tradizione di studi sulla proprietà e la performance potrebbero essere reinterpretati dando un peso maggiore ad altre variabili causali. In altre parole, come dimostrato da vari studi recenti, le differenze comportamentali tra banche pubbliche e private potrebbero spiegarsi non sulla base della proprietà del capitale, ma dagli obiettivi delle banche50, dall’esistenza di un mercato dei capitali funzionante51, o dalle regole generali che si applicano alle operazioni e alla gestione delle banche52. In sintesi, mentre alcuni studiosi criticano la nozione di “proprietà aziendale” e, più generalmente, le teorie dei diritti di proprietà applicate all’impresa, per le aporie alle quali conducono circa la comprensione della natura e del funzionamento delle imprese, l’oggetto dell’analisi
Surveys, 2016, 30(2), pp. 228-277. 48 FAMA, JENSEN, Separation of Ownership, cit. 49 Cfr. BUTZBACH, VON METTENHEIM, a cura di, Alternative Banking and Financial Crisis, London, 2014. 50 Cfr. BREI, SCHCLAREK, A Theoretical Model of Bank Lending: Does Ownership Matter in Times of Crisis?, in Journal of Banking & Finance, 2015, 50, pp. 298-307. Questo argomento è simmetricamente opposto a quello proposto da Alchian nella sua formulazione iniziale della teoria dei diritti di proprietà; si veda Alchian, Some Economics, cit. 51 SARKAR, SARKAR, BHAUMIK, Does Ownership Always Matter? Evidence from the Indian Banking Industry, in Journal of Comparative Economics, 1998, 26(2), p. 262-281. 52 MILHAUPT, ZHENG, Beyond Ownership: State Capitalism and the Chinese Firm, in Georgetown Law Journal, 2014, 103, p. 665-722; questi ultimi scrivono retoricamente, «come sarebbe se uno Stato disegnasse le norme per le attività economiche [...] in modo che la dicotomia standard tra [imprese statali] e [imprese private] crollasse?» (ibid., p. 668).
378
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
critica proposta sopra è l’ipotesi di effettività della proprietà del capitale e, in particolare, la sua effettività giuridica. Siccome la proprietà è un diritto, dipende sia per la sua estensione sia la sua implementazione dalle leggi, le loro interpretazioni e, più generalmente, dal sistema giuridico. Questa caratteristica del diritto di proprietà costituisce una delle maggiori debolezze delle teorie dei diritti di proprietà, le quali ignorano, precisamente, il diritto e il sistema giuridico nella concettualizzazione proposta del diritto di proprietà53. Qual è, in questa prospettiva, il ruolo del diritto (norme primarie e secondarie) relativamente alla governance delle imprese (bancarie)? Una risposta adeguata a questa domanda potrebbe richiedere, di nuovo, un cambiamento di prospettiva sulla governance: invece di essere vista come un insieme di meccanismi che stringono la relazione tra la proprietà del capitale e il controllo dell’impresa, la governance potrebbe essere più adeguatamente concepita come un insieme di meccanismi che permettono all’impresa di essere governata anche in assenza di automaticità di questo legame. In conseguenza, mentre le leggi e le norme, regolando la governance aziendale, possono essere pubblicamente e teoricamente basate sull’idea di un controllo effettivo dell’azionista sull’azienda (bancaria), potrebbero in realtà operare in modo da limitare le pretese dei proprietari del capitale a controllare l’azienda (bancaria).
5. Regolamentazione della proprietà bancaria e interazione con la teoria economica. Sulla base di quanto fin qui sostenuto, si cercherà di mettere in evidenza, nei paragrafi che seguono, in quali termini la regolamentazione della proprietà bancaria (europea e nazionale) vada a confermare l’idea della peculiarità che assume il concetto di “proprietà” ove venga applicato alle imprese bancarie. Peculiarità che si traduce, anzitutto, in una serie di limitazioni e di “paletti” (anche gestionali) imposti ai soci ban-
53 Cfr. HODGSON, Much of the ‘Economics of Property, cit. Un modo per superare le debolezze teoriche e metodologiche associate al concetto di “proprietà aziendale” potrebbe essere quello di abbandonare interamente la questione della proprietà (e la prospettiva teorica associata ai diritti di proprietà), sostituendovi il problema del controllo aziendale. Una tale strategia nel campo delle banche viene adottata da SAGHI-ZEDEK, Product Diversification and Bank Performance: Does Ownership Structure Matter?, in Journal of Banking and Finance, 2016, 71, pp. 154-167.
379
Saggi
cari e agli aspiranti tali, il che conferma talune delle conclusioni sopra prospettate in termini di scissione tra titolarità del capitale bancario e piena esplicazione delle caratteristiche funzionali del diritto di proprietà54. A parità di modelli societari utilizzati nel diritto comune, difatti, la regolamentazione della proprietà e della governance bancarie recano una serie di indici normativi che non solo confermano quanto sostenuto dalle teorie economiche sopra esaminate, ma attestano altresì la funzionalizzazione della banca al perseguimento di interessi collettivi legati allo svolgimento delle sue funzioni istituzionali. In questa chiave interpretativa, si prenderanno, pertanto, in considerazione nei paragrafi seguenti: (i) alcune delle norme (che abbiamo indicato quali “indici normativi”) che regolano l’acquisto, la cessione e la circolazione della proprietà bancaria; (ii) talune regole di corporate governance delle banche. In entrambi i casi, l’analisi delle singole disposizioni e della loro interazione applicativa, avrà come comune denominatore la chiave prospettica dell’apposizione di limitazioni all’autonomia negoziale e gestionale della proprietà delle società bancarie. 5.1. La tendenza verso l’omologazione del modello operativo e le limitazioni all’autonomia negoziale dei soci: le riforme italiane di banche popolari e banche di credito cooperativo. Una prima notazione attiene, come si è accennato, alla circostanza che nel settore bancario è evidente la tendenza all’omologazione delle forme societarie utilizzabili dagli intermediari, ossia una convergenza verso il modello privatistico, per definizione, di svolgimento delle attività economiche. Già in tale processo i diritti della proprietà vengono conformati da esigenze di politica legislativa, per cui i soci bancari finiscono per subire una mutazione “coattiva” della natura del loro investimento.
54
A sostegno di questo punto di vista, possono individuarsi nella normativa europea e italiana di settore una serie di disposizioni che incidono sugli aspiranti soci dell’impresa bancaria attraverso adempimenti e requisiti soggettivi non presenti nelle regole di acquisizione e circolazione della proprietà degli enti non finanziari. Tali indici normativi si rinvengono, altresì, nelle norme di “funzionamento” delle società bancarie; difatti, specie nella regolamentazione della governance vi sono disposizioni che confermano la funzionalizzazione dell’attività bancaria al perseguimento di interessi generali e collettivi e quindi, per alcuni versi, la specialità della “particolare” categoria di imprese rappresentata dalle banche. In argomento si rinvia a DESIATO, ROTONDO, Brevi note sulla regolamentazione della proprietà delle banche nell’ordinamento italiano, in Innovazione e diritto, 2016, passim.
380
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
In questo trend vanno inquadrate, ad esempio, alcune norme contenute sia nella riforma delle banche popolari sia in quella delle banche di credito cooperativo55. Per quanto concerne le prime, va considerata nello specifico la disciplina del recesso a seguito della trasformazione delle banche popolari in s.p.a., in merito al quale è previsto che: «Nelle banche popolari il diritto al rimborso delle azioni nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione o di esclusione del socio, è limitato secondo quanto previsto dalla Banca d’Italia, anche in deroga a norme di legge, laddove ciò è necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca. Agli stessi fini, la Banca d’Italia può limitare il diritto di rimborso degli altri strumenti di capitale emessi»56. Su questa stringente limitazione dell’autonomia negoziale dei soci è intervenuto il Consiglio di Stato57, il quale ha affermato la potenziale lesività costituzionale della riforma, nella parte in cui: a) disposta la trasfor-
55
Sul tema si veda COSTI, Verso un’evoluzione capitalistica delle banche popolari?, in Banca, borsa, tit. cred. 2015, I, p. 575; LAMANDINI, Nuove riflessioni sul gruppo cooperativo bancario regionale, in Giur. comm., 2015, I, p. 56; DI CIOMMO, La riforma delle banche popolari, in Foro.it, 2015, p. 193; RICCIARDIELLO, Banche Popolari quotate: verso il definitivo superamento del «tipo» a favore del modello azionario?, in Giur. comm., 2015, II, p. 1092. 56 Con il Decreto legge 24 gennaio 2015 n. 3, convertito con legge 24 marzo 2015 n. 33, è stata completata la riforma delle banche popolari e sono state apportate modiche al t.u.b. (artt. 28-ter, 29 co. 2-bis e 2-ter). La Banca d’Italia ha inoltre emanato disposizioni secondarie di attuazione della riforma in cui si determinano i criteri di determinazione del valore dell’attivo ai fini del rispetto della soglia massima di 8 miliardi di euro stabiliti dall’art. 29 t.u.b. e le condizioni di limitazione del rimborso delle azioni del socio uscente, anche in caso di recesso a seguito della trasformazione della banca popolare in società per azioni, necessarie in base alla disciplina europea per la computabilità delle azioni delle banche cooperative nel capitale di migliore qualità. Ex multis, sulla riforma delle banche popolari, v. FIENGO, Il Riassetto della disciplina delle banche popolari, in Giur. comm., 2016, I, p. 234. La scelta di imporre ex lege la trasformazione alle banche popolari che superino una determinata soglia di attivo è il punto di arrivo di un dibattito che negli anni si è sviluppato in merito alla “sospetta” persistenza di «un ragionevole tasso di mutualità» in capo ad organizzazioni che per dimensioni e modalità di gestione appaiono sempre meno rispondenti alla massimizzazione degli interessi dei soci al conseguimento del beneficio mutualistico. Si veda inoltre, MARASÀ, Cooperative e mutualità: dalla riforma del codice alla legge 99/2009, in Studium iuris, 2011, p. 139; BOSI, La riforma delle banche popolari quotate, in Banca, impr., soc., 2012, p. 233. 57 A commento di questa decisione si v., tra gli altri, VILLANOVA, La recente ordinanza del Consiglio di Stato in materia di trasformazione delle banche popolari in società per azioni: i diritti patrimoniali delle minoranze azionarie prevalgono sull’interesse pubblico alla stabilità del sistema finanziario?, in Amministrativamente (www.amministrativamente.com), 2016, 9, p. 3 ss.
381
Saggi
mazione in s.p.a., il diritto al rimborso delle azioni al socio che eserciti il recesso possa essere limitato (anche con la possibilità di escluderlo tout court), e non, invece, soltanto differito entro limiti temporali predeterminati e con previsione di un interesse corrispettivo; b) attribuisce alla Banca d’Italia il potere di disciplinare le modalità di tale esclusione, «anche in deroga a norme di legge», con conseguente attribuzione alla stessa di un potere di delegificazione in bianco, senza la previa e puntuale indicazione delle norme che possano essere derogate e, altresì, in ambiti verosimilmente coperti da riserva di legge58. Il Consiglio di Stato ha censurato poi anche parte della disciplina secondaria. Discorso analogo si può fare con riguardo alla limitazione dell’autonomia negoziale dei soci delle BCC che non intendevano entrare nel gruppo cooperativo previsto dalla riforma59. Sul punto è stabilito, infatti, che, «in caso di recesso o esclusione da un gruppo bancario cooperativo», l’ente creditizio cooperativo che non deliberi la propria trasformazione in società per azioni debba avviare la procedura di liquidazione (art. 36,
58
Sono previsti, altresì, poteri di intervento e sanzionatori specifici previsti nel t.u.b. a favore della Banca d’Italia, come ad esempio quello previsto nell’art. 282-ter che conferisce all’Autorità di vigilanza specifiche potestà regolamentari in tema di limitazione del diritto al rimborso delle azioni in caso di recesso a seguito di trasformazione, morte, esclusione del socio (art. 292-ter t.u.b.) Le sanzioni tengono conto dell’eventualità in cui l’assemblea regolarmente convocata non deliberi la trasformazione; nulla è invece stabilito in caso di inerzia degli amministratori. Si v. IRRERA, POLLASTRO, La riforma annunciata delle banche popolari, in Nuovo dir. soc., 2015, p. 8. 59 Il decreto legge n. 18 del 14 febbraio 2016, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n.49 dell’8 aprile 2016 ha riformato il settore delle banche di credito cooperativo italiano. La riforma prevede la nuova forma di aggregazione obbligatoria rappresentata dal “gruppo bancario cooperativo”, disciplinato dagli artt. 37-bis e 37-ter del t.u.b. Il gruppo è composto da una società capogruppo avente forma di società per azioni e autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria il cui capitale è detenuto in misura maggioritaria dalle b.c.c aderenti al gruppo. Tuttavia, sulla base di un “contratto di coesione” la capogruppo esercita attività di direzione e coordinamento sulle società appartenenti al gruppo. Questo contratto, che rappresenta l’impalcatura delle relazioni infragruppo, deve assicurare inoltre l’esistenza di una situazione di controllo della capogruppo sulle società appartenenti al gruppo (come definito dai principi contabili internazionali adottati dalla U.E.). Il requisito minimo di patrimonio netto della società capogruppo è di un miliardo di Euro. Si veda BUTZBACH, DESIATO, ROTONDO, Elementi per una valutazione economico giuridica della riforma delle banche di credito cooperativo, in Nuove opportunità e sfide per le banche di credito cooperativo: la riforma del 2016, a cura di Cardarelli, Torino, 2017; VISCONTI, La disciplina delle banche di credito cooperativo dopo la riforma introdotta dal Decreto- Legge n° 18 del 2016, in Diritto.it, 2016.
382
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
co. 1-bis, t.u.b.)60. Le BCC che avessero deciso di non aderire alla holding avevano una via d’uscita: stante il possesso di un patrimonio netto di almeno 200 milioni di euro, potevano conferire le attività bancarie ad una banca s.p.a. appositamente costituita, sottoposta al controllo della cooperativa, ma previo il pagamento del 20% di patrimonio netto come tassa straordinaria, in ragione della possibilità di distribuire le riserve indivisibili, che sarebbero state pertanto affrancate dall’obbligo di essere conferite ai fondi mutualistici. Successivamente alla costituzione, l’uscita dal gruppo di una BCC ha come sbocchi possibili soltanto la liquidazione o la trasformazione in s.p.a. (ferma restando la “perdita” delle riserve). Al di là di queste limitazioni poste già in sede di “avvicinamento” al modello societario prescelto a fini di vigilanza, va rilevato come vi siano nella legislazione bancaria numerose disposizioni dirette a condizionare fortemente l’acquisizione, la circolazione e la gestione della proprietà delle banche s.p.a. Per altro verso, la circostanza che la contendibilità della proprietà bancaria sia vincolata da norme talora differenti da quelle civilistiche potrebbe indurre a condividere le teorie (principalmente economiche) che sostengono la necessità di una limitazione funzionale della banca nel presupposto del superamento fattuale del modello di banca universale, propendendo in sostanza per un ritorno verso teorie istituzionali dell’attività creditizia61. 5.2. La regolazione europea degli assetti proprietari degli enti finanziari. Come si è appena anticipato, anche le banche s.p.a. hanno una rigorosa disciplina in materia di assetti proprietari, che crea ampi margini di divergenza dal diritto comune delle società. Va detto, anzitutto, che in Italia, il regime di rigida e reciproca “separazione” tra banche e imprese non finanziarie – c.d. principio di separatezza banca-industria – che ha connotato per lungo tempo l’ordinamento di settore (dalla crisi del 1929)62, è stato superato con il recepimento
60 Cfr. LAMANDINI, Nuove riflessioni sul gruppo cooperativo bancario regionale, in Giur. comm., I, 2015, p. 56. 61 ROTONDO, Le partecipazioni nelle banche, Napoli, 2012, passim. 62 COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012; CIOCCA, Su alcuni motivi che consigliano di mantenere la banca «separata» dall’industria, in Economia e politica industriale, 1987, p. 93; FERRO-LUZZI, Lezioni di Diritto Bancario, Torino, 1995, p. 107;
383
Saggi
della direttiva 2007/44/CE che ha lasciato ridotti margini di discrezionalità agli Stati membri nella regolazione degli assetti proprietari63. La direttiva definisce regole procedurali e criteri di valutazione prudenziale che le autorità di vigilanza domestiche (ora su mandato della Banca Centrale Europea a seguito dell’entrata in vigore del Meccanismo Unico di Vigilanza dell’Unione bancaria) devono osservare nei procedimenti di acquisto e di incremento di partecipazioni qualificate negli enti finanziari64. L’articolazione sistematica di questa disciplina è espressione di un interesse “generale” alla verifica della “qualità” degli azionisti rilevanti65 e conferma il fine, di analoga matrice, di assicurare l’autonomia gestionale della banca rispetto alla proprietà, in coerenza con il perseguimento di una gestione sana e prudente66.
ANTONUCCI, Diritto delle banche, Milano, 2009, p.169; GIANNINI, Osservazioni sulla disciplina della funzione creditizia, in AA.VV., Scritti Giuridici in onore di Santi Romano, II, Padova, 1940, p. 707; GUACCERO, La partecipazione del socio industriale nella società per azioni bancaria, Milano, 1997, p. 5; IRTI, L’ordine giuridico del mercato, RomaBari, 1998. 63 Direttiva del 5 settembre 2007 che modifica la direttiva 92/49/CEE del Consiglio e le direttive 2002/83/CE, 2004/39/CE, 2005/68/CE e 2006/48/CE per quanto riguarda le regole procedurali e i criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario. 64 ALDISIO, Nuove regole comunitarie sulle acquisizioni di banche: verso il tramonto della separatezza banca-industria, in Banca, impr., soc., 2008, I, p. 3; TROIANO, Gli intermediari finanziari, in L’ordinamento finanziario italiano, a cura di Capriglione, Padova, 2010, II, p. 53. 65 Cfr. COSTI, Banca e industria, in La nuova legge bancaria. Prime riflessioni sul testo unico in materia bancaria e creditizia, a cura di Rispoli Farina, Napoli, 1995, p. 115. 66 Per un approfondimento sul tema, si rimanda a GIANNETTI, ROTONDO, Regolazione della proprietà e specialità dell’impresa bancaria. Note sull’opportunità di procedere ad una riforma strutturale del modello operativo, in Innovazione e diritto (www.innovazionediritto.it), 2018. Le modalità di realizzazione degli interventi pubblici di sostegno alle banche durante la crisi finanziaria si sono, in parte, sovrapposte all’entrata in vigore delle norme europee sugli assetti proprietari degli enti finanziari avviando articolate riflessioni sulla validità degli strumenti utilizzabili per affrontare le crisi sistemiche, rispetto all’approccio basato sulla responsabilità della proprietà e su soluzioni privatistiche. Più specificamente, la circostanza che la regolamentazione delle partecipazioni nelle banche fosse improntata ad un “allargamento” delle maglie per l’accesso al capitale bancario, anche da parte di soggetti non finanziari, ha fatto emergere fin da subito un marcato “disallineamento” rispetto alle misure di sostegno e di salvataggio degli intermediari colpiti dalla crisi, sia in termini di obiettivi che di ratio dei provvedimenti adottati, nonché in chiave di tutela delle dinamiche di mercato; in argomento v., altresì, BRESCIA, MORRA, Commento sub art. 19, in Commentario al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Capriglione, Padova, 2012, p. 244.
384
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
La tutela della banca da eventuali condotte dannose dei partecipanti al capitale rappresenta, dunque, un punto fermo nell’attuale modello regolamentare67. È anche il caso di rammentare, sebbene in estrema sintesi, che i vincoli e i controlli sulla circolazione della proprietà delle società per azioni di diritto comune sono via via crescenti in base alla natura e alla tipologia di interessi coinvolti nella gestione sociale. Graduazione che giunge fino alle varie ipotesi di diritto speciale (tipica quella delle banche) in cui la regolamentazione stabilisce una serie di restrizioni ulteriori nei confronti dei soci rilevanti (ossia con possibilità di ingerenza gestionale), contribuendo così ad ampliare quella forbice tra proprietà e gestione di cui si diceva supra v. parr. 1-2). Ad esempio, si può ricordare che, per quanto riguarda le società c.d. “chiuse”, la circolazione della proprietà è soggetta alla disciplina del codice, ossia alle norme sulla circolazione dei titoli di credito (v. Libro IV, Titolo V del codice civile, v. anche art. 2355), nonché a quelle sulla cessione dei contratti (artt. 1406-1410 c.c.), in quanto applicabili. Per le società “aperte”68, invece, alla disciplina sopra richiamata (ove non espressamente derogata), si aggiungono altre disposizioni speciali, contenute in prevalenza nel t.u.f. e nel regolamento emittenti della Consob69, oltre ai controlli di quest’ultima, la cui attività è destinata precipuamente ad assicurare la trasparenza delle condotte di mercato. Infine, alle norme del t.u.f. e regolamentari che riguardano le società quotate o con titoli diffusi, si aggiungono ulteriori disposizioni speciali per quelle società (anche non quotate) che operano in settori di interesse generale e la cui attività è, pertanto, sottoposta ad un regime di vigilanza pubblica. In quest’ultimo ambito, è particolarmente significativo il caso, qui oggetto di studio, della proprietà delle banche (artt. 19-24 t.u.b.).
67
Cfr. ROTONDO, La nuova disciplina delle partecipazioni «non finanziarie» al capitale delle banche: ovvero «prove» di recepimento della direttiva 2007/44/CE, in Dir. banc., 2009, II, p. 217. 68 Ossia le società con azioni e obbligazioni – non quotate ma – diffuse tra il pubblico in misura rilevante secondo criteri individuati dalla Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob), e le società quotate in mercati regolamentati. 69 Decreto legislativo 4 febbraio 1998, n. 58, “t.u.f., ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52”; il Regolamento emittenti è Regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, concernente la disciplina degli emittenti (adottato dalla Consob con delibera n. 11971 del 14 maggio 1999 e successive modificazioni).
385
Saggi
5.3. I vincoli alla proprietà posti dalla disciplina italiana sugli assetti proprietari delle banche. L’autorizzazione all’acquisizione di partecipazioni. Il sistema antecedente l’attuazione della direttiva 2007/44/CE recava accentuati profili teleologici delle norme sulla proprietà bancaria al perseguimento di obiettivi di “interesse generale”, tra cui la tutela dell’autonomia dell’impresa bancaria e le ragioni dei depositanti. In sostanza, il sistema era caratterizzato da un approccio ermeneutico tendente ad armonizzare principi generali di governo dell’economia e impianto normativo settoriale consentendo così la coesistenza tra interessi privatistico/ aziendali e finalità di rilevanza generale70. Anche alla luce delle modifiche apportate alla disciplina delle partecipazioni al capitale delle banche, dunque, nell’ordinamento italiano si conferma strategica la finalità di garantire l’autonomia gestionale della banca71, anche attraverso il presidio della “sana e prudente gestione”72, insieme alla prevenzione del conflitto di interessi e allo svolgimento di una corretta valutazione del merito di credito. L’insieme di queste esigenze conferma che l’accesso alla proprietà bancaria risulta soggetto a vincoli sensibilmente più rilevanti, rispetto a quelli previsti per le s.p.a. di diritto comune. Ulteriore elemento che comprova, altresì, la specialità dell’impresa creditizia in ragione del dato normativo e della funzione di interesse generale che essa svolge per l’economia reale. Sulla scia della normativa europea, nel sistema italiano l’acquisto di qualsiasi partecipazione in grado di realizzare un’influenza gestionale
70
Cfr. PIOVERA, L’incidenza della legge antitrust sul settore bancario: profili esegetici, in Giur. it., IV, 1992, p. 192.; COSTI, L’ordinamento bancario, cit., p. 617; GHEZZI, Il provvedimento Cir/Cartiera di Ascoli e l’applicazione dell’art. 20 della legge antitrust, in Riv. soc., 1992, II, p. 1003; ROTONDO, Il controllo antitrust nel mercato finanziario, 2004, Napoli; SPOLIDORO, Aumento di capitale e concentrazione: ordinamento comunitario e disciplina nazionale nel caso Mediobanca e Assicurazioni Generali, in Riv. dir. comm., 1992, p. 168. 71 CAPRIGLIONE, Costituzione di banche e rapporto banca-industria, in Banca, borsa, tit. cred., 1988, I, p. 718; SANTORO, I rapporti di partecipazione tra banca e industria, in Le direttive comunitarie in materia bancaria e l’ordinamento italiano, a cura di Brozzetti, Santoro, Milano, 1990, p. 261; BRESCIA MORRA, Società per azioni bancaria: proprietà e gestione, Milano, 2000, p. 21. 72 Si rammenta che il concetto di “sana e prudente gestione è di derivazione comunitaria, seppure in quell’ambito era riferito alla mera valutazione qualitativa dei soci delle banche. Il legislatore del t.u.b., invece, lo ha trasformato in principio di valenza generale essendo sia una finalità della vigilanza (cfr. art. 5 t.u.b.), sia un parametro di azione per il banchiere. V. direttiva 89/646/CEE del Consiglio, del 15 dicembre 1989, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio.
386
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
(influenza notevole) o anche il controllo su una banca o una società capogruppo deve essere autorizzato preventivamente dalla BCE ove raggiunga un determinato limite quantitativo (art. 19 t.u.b.)73. Il concetto di “influenza notevole” è finalizzato a ricomprendere nel campo applicativo della disciplina i casi in cui un soggetto, pur acquisendo una partecipazione inferiore alla soglia minima del 10%, è in grado di condizionare in concreto le decisioni operative e finanziarie della banca. Questa forma di controllo “preventivo” sull’assetto proprietario delle banche, è così importante da incidere persino sulle vicende traslative della proprietà di società “non finanziarie, laddove detengano partecipazioni bancarie74. La ratio di tali disposizioni è evidentemente quella di evitare, in definitiva, che soggetti “esterni” alla società bancaria – in punto di interessi e connotazioni personali – acquisiscano una posizione di potere tale da esplicare un’eccessiva incidenza sulla gestione, specialmente ove sussistano situazioni di conflitto di interessi. La “compressione” delle normali prerogative della proprietà emerge, altresì, dalla facoltà (per le autorità di vigilanza) di revocare l’autorizzazione alla partecipazione, con conseguenti obblighi di legge alla dismissione dell’interessenza e previo “congelamento”, nel frattempo, dei relativi diritti. Si tratta, dunque, di un intervento “esterno” autoritativo sui titolari di azioni che contribuisce a renderne meno contendibile la circolazione. Altro tassello che pone (o potrebbe porre) paletti all’accesso al capitale bancario, confermando a fortiori la specialità della banca, attiene alla possibilità di discriminare le acquisizioni secondo un criterio di “proporzionalità”. Ormai estremamente diffuso in ambito bancario/finanziario, questo principio implica che l’autorità di vigilanza, in sede di normativa secondaria, debba tenere conto della tipologia di impresa e del carattere specifico dell’attività svolta, differenziando ove necessario tra banca e altri intermediari o società controllate75. A conferma di quanto precede, va detto che le approfondite valutazioni richieste dalla direttiva europea si riferiscono alle sole partecipazioni in banche, mentre per gli altri soggetti finanziari risulta possibile un’applicazione più “sfumata” dei
73 ENRIQUES, Quartum non datur. Appunti in tema di «strumenti finanziari partecipativi» in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Italia, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, I, p. 166; ANTONUCCI, Diritto delle banche, cit., p. 172; OPPO, Principi, in Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, Torino, 2001, Sez. I, Tomo I, p. 6. 74 COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2007, p. 327. 75 VELLA, Le autorità di vigilanza: non è solo questione di architetture, in Dir. banc. 2007, I, p. 202.
387
Saggi
vincoli regolamentari. In ogni caso, questo aspetto evidenzia senz’altro la specificità della banca, nonché l’esigenza del regolatore di ricorrere a categorie generali in grado di modulare, in fase applicativa, le norme previste per la generalità degli intermediari in rapporto alla peculiarità operativa delle imprese bancarie. 5.4. Segue. Obblighi informativi e di comunicazione. Il complesso di disposizioni dirette a perseguire la “trasparenza”76 della compagine societaria delle banche e della corrispondente catena di controllo (cfr. art. 20 t.u.b.)77, attraverso l’obbligo di comunicare le partecipazioni rilevanti78, consente alla banca di conoscere – più efficacemente di quanto sia possibile in base al diritto comune – la propria composizione societaria e all’autorità di vigilanza di identificare i titolari delle partecipazioni significative, rendendo disponibile un’adeguata “mappatura” della proprietà bancaria e, soprattutto, degli effettivi assetti di potere79. L’identificazione dei soci rilevanti tende sia ad evitare che l’attività delle banche possa essere indebitamente influenzata da interessi estranei alla gestione aziendale, sia a garantire ai controllori un flusso informativo utile per lo svolgimento delle funzioni di vigilanza. Sempre nella stessa categoria di indici normativi, vi sono poi obblighi concernenti un profilo solitamente di mero rilievo endosocietario, ossia i patti parasociali relativi al diritto di voto. Producendo (anche potenzialmente) effetti coincidenti con quelli derivanti da una partecipazione, la prescrizione di palesare ogni accordo che realizzi l’esercizio concertato del voto in una banca o in una società che la controlla è esteso a tutta la durata in esistenza dell’ente80. Questo complesso di norme dovrebbe consentire di “svelare” ogni ipotesi di condizionamento del potere di amministrazione e di assumere decisioni che
76
Cfr. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, I, p. 285. 77 MARCHETTI, Banche, intermediari finanziari e partecipazioni, in Diritto della banca e del mercato finanziario, I, I soggetti, a cura di Allegri, Grippo, Piras, Bavetta, Fortunato, Marchetti, Partesotti, Bari, 2003, p. 158. 78 La comunicazione è obbligatoria, inoltre, a seguito di operazioni soggette ad autorizzazione o in caso di rinuncia ad operazioni già autorizzate; quando siano superate le soglie previste; infine, nelle ipotesi di riduzione della partecipazione al di sotto di ciascuna delle soglie ai fini degli obblighi autorizzativi o di comunicazione. 79 COSTI, L’ordinamento, cit., p. 535. 80 MARCHETTI, Banche, cit., p. 159.
388
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
garantiscano la corretta gestione della banca, evitando i conflitti di interesse. Pertanto, quando l’accordo sia suscettibile di pregiudicare la gestione sana e prudente, la Banca d’Italia ha facoltà di sospendere il diritto di voto dei partecipanti. Ancora con riguardo agli obblighi di comunicazione, l’autorità di vigilanza può richiedere informazioni ai soggetti “comunque interessati”, con l’obiettivo di rendere effettivo il regime di trasparenza degli assetti proprietari delle banche e delle società controllanti (art. 20 t.u.b.). Alle società o enti di “qualsiasi” natura che possiedano partecipazioni bancarie, l’autorità può chiedere l’indicazione nominativa dei titolari, dei controllanti, nonché le generalità dei fiducianti cui siano intestate le interessenze. Si tratta di una disciplina diretta a ricomprendere nel proprio ambito applicativo coloro che intervengono nell’operazione o nell’accordo di concertazione, integrando così una fattispecie peculiare di estensione dei poteri di vigilanza informativa oltre la cerchia dei soggetti normalmente sottoposti a vigilanza81. Sempre in chiave di trasparenza e di informazione relativa alla proprietà, l’autorità può richiedere ai soggetti partecipanti al capitale delle banche l’indicazione nominativa dei titolari delle partecipazioni e dei soggetti controllanti (art. 21 t.u.b.), ciò perché è possibile acquisire, pur senza diventare socio, una posizione di influenza gestionale che non risulti dal libro dei soci o dal possesso di partecipazioni (specie se di minoranza). La richiesta di informazioni si spinge ben al di là della cerchia dei soggetti vigilati perché ha come destinatari società ed enti, anche non finanziari, che detengano partecipazioni nelle banche. In sostanza, si tratta di una forma di controllo su tutti gli stakeholder in grado di influire sulla gestione, controllo che dovrebbe consentire di raggiungere tutte le situazioni di possesso di fatto (o indiretto) del potere azionario che sfuggano ai correlati obblighi di comunicazione. 5.5. Le sanzioni. Sospensione del diritto di voto e degli altri diritti. Il sistema di regolazione degli assetti proprietari delle banche è corredato, come prevedibile, di un apparato sanzionatorio civile – che qui si prenderà in considerazione nei suoi aspetti essenziali – amministrativo
81 SICLARI, Commento sub art. 20, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Capriglione, Padova, 2012, p. 262.
389
Saggi
e penale. È previsto, anzitutto, che vengano “congelati” i diritti di voto delle partecipazioni detenibili prive di autorizzazione (perché sospesa o revocata) e di quelle per cui vengano omessi gli obblighi di comunicazione82; mentre, per le partecipazioni non detenibili né autorizzabili sussiste l’obbligo di alienazione (v. art. 24 t.u.b.). La normativa, pertanto, determina un’incisiva ingerenza nello svolgimento dell’attività societaria nel caso di acquisto di interessenze senza le necessarie autorizzazioni o di omissione delle comunicazioni83. Il rigoroso regime di trasparenza e controllo cui sono sottoposte le partecipazioni rilevanti attesta, come si è detto, l’esigenza di salvaguardia non solo di interessi generali e di matrice pubblicistica (quali la fiducia negli operatori e la stabilità del sistema), ma altresì di interessi privati, comuni a tutti soci, tra cui spiccano la stabilità finanziaria e patrimoniale della singola società bancaria84. Laddove non venga rispettato il divieto di voto, la deliberazione o il diverso atto, adottati con il contributo dei diritti che avrebbero dovuto essere sospesi, possono essere impugnati secondo le previsioni del diritto societario85. Il profilo di specialità risiede nel fatto che l’azione spetta non soltanto ai soggetti usualmente legittimati, ma anche all’autorità di vigilanza86, ove si ritenga leso l’interesse pubblico indirettamente tutelato attraverso l’identificazione dei soci87. Alla Banca d’Italia è riconosciuto cioè un potere che non attiene alla tutela della legalità o di un interesse sociale in senso stretto, ma solo a finalità facenti capo all’organo di vigilanza in quanto tale; potere che viene impiegato discrezionalmente nel contesto delle funzioni di controllo. Infine, è previsto l’obbligo di alienare tutte le partecipazioni per le quali non siano state ottenute o siano state revocate le autorizzazioni.
82
Cfr. BRESCIA MORRA, Società per azioni bancaria, cit., p. 40. BRESCIA MORRA, op. ult. cit., p. 40. 84 SANTONI, Commento sub art. 24, in Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, cit., pp. 296-299; Vella, Capitalismo e Finanza, Bologna, 2011. 85 In proposito, v. COSTI, L’ordinamento, cit.; SANTONI, Commento sub art. 24, cit., p. 296; BENOCCI, Fenomenologia e regolamentazione del rapporto banca-industria. Dalla separazione dei soggetti alla separazione dei ruoli, Pisa, 2007, p. 243. 86 ANTONUCCI, Diritto delle banche, Milano, 2009, p. 192; SANTONI, Commento sub art. 24, p. 196. 87 Cfr. SANTONI, Commento sub art. 24, cit., p. 200. 83
390
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
6. Profili di specialità dell’impresa bancaria nella disciplina della corporate governance. Venendo ad alcuni profili regolamentari concernenti la governance bancaria, va detto anzitutto che la crisi finanziaria ha indotto le autorità di vigilanza a riconsiderare l’assetto e le funzionalità della disciplina di governo societario, che si conferma pertanto essere uno degli elementi fondamentali per garantire una gestione sana e prudente88. L’ordinamento italiano (art. 10 t.u.b.) definisce l’attività bancaria attraverso una delimitazione dell’area tipica di attività riservata alla banca. L’idea di fondo è che l’ambito operativo, come si è detto, sia tipizzato dall’intermediazione monetaria che si fonda sul collegamento ontologico tra raccolta del risparmio tra il pubblico ed erogazione del credito. Tuttavia, la banca oltre a svolgere attività di interesse generale, ha una funzione sociale e fiduciaria più vasta, che richiede presidi di governance stringenti e soprattutto verificabili nel contesto della regolazione prudenziale89. Per tale motivo, si è assistito, anzitutto a livello sovranazionale, al susseguirsi di proposte e progetti tesi a promuovere l’adozione di regole in grado di rispondere alle criticità manifestatesi, tra le quali viene comunemente sottolineata la scarsa capacità, mostrata dalle regole concernenti il funzionamento degli organi sociali e il sistema dei controlli interni, di arginare – durante la crisi – l’assunzione di rischi eccessivi da parte delle banche90. Inoltre, la tendenza dei legislatori nazionali è stata quella di favorire universalità e libertà operativa ed organizzativa, anche frammentando i modelli societari. Si è così provveduto all’elaborazione in ambito internazionale, soprattutto in seno al Comitato di Basilea, di una serie di principi specifici ai quali si sono ispirati gli ordinamenti
88 CAPRIGLIONE, MASERA, La corporate governance delle banche: per un paradigma diverso, in Riv. trim. dir. econ., 2016, I, p. 296 ss.; MARCUCCI, Aiuti di Stato e stabilità finanziaria. Il ruolo della Commissione europea nel quadro normativo europeo sulla gestione delle crisi bancarie, in L’unione bancaria europea, a cura di Chiti e Santoro, Pisa, 2016, p. 291 ss. CAPRIGLIONE, Considerazioni a margine del libro «Saggi sulla metodologia della ricerca in economia», in Economia italiana, 2011, passim. 89 CERA, Il buon governo delle banche tra autonomia privata e vigilanze pubbliche, in Riv. soc., 2015, p. 5. 90 Sul tema, PRINCIPE, a cura di, Il governo delle banche, Milano, 2015; PORTALE, La corporate governance delle società bancarie, in Riv. soc., 2016, p. 48 ss.; KASHKARI, Lessons from the Crisis: Ending Too Big to Fail, Remarks at the Brookings Institution, Washington, DC, February 16, 2016.
391
Saggi
degli Stati nella regolamentazione del governo societario e dell’organizzazione del sistema dei controlli interni delle banche91. Siffatti principi elaborati a livello internazionale sono stati trasposti, in sede europea, nella direttiva 2013/36/UE (CRD IV), e sono inerenti, perlopiù, all’organizzazione del sistema dei controlli interni e al processo di governo dei rischi, tenuto conto altresì degli orientamenti espressi altresì dalla European Banking Authority (EBA)92. Ha fatto seguito l’emanazione da parte di Banca d’Italia, nel luglio 2013, del cap. 7 del Tit. V della Circolare 263/2006 incentrato sul sistema dei controlli interni e, nel maggio 2014, del cap. 1, Tit. IV della Parte prima della Circolare 285/2013, dedicato al governo societario. In considerazione del fatto che la CRD IV è una direttiva di armonizzazione minima, la Banca d’Italia ha potuto dare attuazione ai principi in essa contenuti con disposizioni di maggior dettaglio, tenendo conto anche del peculiare assetto delle banche nazionali. L’aggiornamento del 24 novembre 2015 (il 14°), difatti, è stato adottato al fine di dar corso all’attuazione dei regolamenti delegati della Commissione nn. 61 e 62 del 2015, in materia di liquidità e leva finanziaria, a modifica e completamento della disciplina contenuta nella CRD IV e nel Regolamento UE n. 575/2013 (c.d. CRR). Occorre mettere in evidenza come l’aggiornamento appena richiamato innovi la normativa al fine di chiarire specifici aspetti in materia di Liquidity Coverage Ratio e Leverage Ratio (v. capp. 11 e 12 delle Istruzioni). Tali modifiche indicano le modalità con cui possono essere utilizzati i margini di discrezionalità previsti dai regolamenti delegati della Commissione, i quali hanno modificato la disciplina sul rischio di liquidità contenuta nel CRR e hanno allineato le regole sul Leverage Ratio a quelle previste nei più recenti contributi del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria. Nell’ambito delle Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche italiane, gli interventi sulla disciplina del ruolo e del funzionamento degli organi di amministrazione e di controllo e sul loro rapporto con la struttura aziendale sono di ampia
91 FRIGENI, Prime considerazioni sulla normativa bancaria in materia di “Organo con funzione di supervisione strategica”, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, I, p. 485. 92 Il regolatore europeo era precedentemente intervenuto con l’emanazione nel 2011, da parte dell’EBA, di “Linee Guida” sulla governance interna; recepite nel nostro ordinamento con la Comunicazione al sistema della Banca d’Italia del gennaio 2012. Sul punto CAPRIGLIONE, Brevi note sulla governance nel settore del credito. (Il difficile incontro tra diritto societario e specialità bancaria), in Riv. trim. dir. econ., 4/2016 n. 2.
392
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
portata. Da un lato, si enfatizza il dovere, in capo agli organi aziendali, di assicurare il controllo dei rischi a cui la banca si espone, attribuendo all’organo con funzioni di supervisione strategica il compito di definirne l’assetto, approvarlo e di verificarne la corretta attuazione. Dall’altro lato, si dà un nuovo impulso a una netta ripartizione delle competenze e delle responsabilità tra organi di supervisione e quelli di gestione. 6.1. Governance e proprietà bancaria. Come si è visto supra, la regolamentazione degli assetti proprietari delle banche si fonda su obblighi di autorizzazione e comunicazione (ed eventuale alienazione) in capo ai soggetti che posseggono partecipazioni tali da consentire un’influenza rilevante sull’impresa bancaria93. Aspetto che rientra, quindi, tra i profili concernenti la corporate governance della banca, intesa comunemente come il sistema di meccanismi che regola il governo di un’impresa e definisce le relazioni tra i soggetti coinvolti94. L’individuazione di questi ultimi avviene – come ricordato in letteratura – attraverso differenti modalità, tra cui le più affermate sono quella del modello anglosassone e quella propria dei sistemi dell’Europa continentale95. Secondo il primo schema, i più importanti soggetti coinvolti nel governo dell’impresa sono i proprietari. Di conseguenza, il management ha l’obiettivo prioritario di perseguire l’interesse degli azionisti, nel senso che, in linea di massima, il governo dell’impresa deve essere orientato alla massimizzazione del valore azionario (shareholder value)96. Un’organizzazione ben gestita, pertanto, dovrebbe essere in
93
Basel Committee on Banking Supervision, Guidelines. Corporate Governance Principles for Banks, BIS, Basel, 2015. GALANTI, Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, Padova, 2008, p. 469; BIRINDELLI, Strutture proprietarie e sistemi di governance, Milano, 2002. 94 Cfr. PORTALE, La corporate governance, cit., p. 53. 95 Sul Punto, CAPRIGLIONE, Brevi note, cit., ritiene che le forme esplicative della governance bancaria riflettono, nei differenti momenti storici, la realtà socio-economica del Paese e, dunque, i peculiari meccanismi di vigilanza che si sono succeduti nel tempo. Conseguentemente, nell’ampio arco temporale che intercorre dalla riforma bancaria del 1936 agli inizi degli anni ottanta del novecento, si riscontra un modello organizzativo che lascia poco spazio all’apertura decisionale degli organi di vertice degli enti creditizi. Un’interpretazione eccessivamente vincolistica della normativa speciale, risolvendosi nell’utilizzo di ampi poteri discrezionali, causa «una sorta di ingessatura del nostro sistema finanziario». 96 Sul punto, v. ARMOUR, ENRIQUES, HANSMANN, KRAAKMAN, The Basic Governance Structu-
393
Saggi
grado di creare valore, di generare utili in linea con le previsioni, di valutare le opportunità di business in termini di ritorni per gli azionisti. Più vicina alle conclusioni, qui prospettate, circa la peculiare connotazione della proprietà bancaria, è la definizione che deriva principalmente dall’Europa continentale che, a differenza della precedente, considera l’impresa come una combinazione di interessi diversi, facenti capo ai differenti “partecipanti” (stakeholders) – con particolare riguardo agli azionisti, ai creditori e ai dipendenti – in una prospettiva di medio-lungo termine, poiché solo in un arco temporale più esteso è possibile realizzare margini efficienti di convergenza degli interessi di tutti i soggetti coinvolti97. La circostanza che le funzioni di utilità di coloro che amministrano la banca non siano coincidenti con quelle di chi nell’impresa investe risorse – finanziarie, reali o umane – fa sorgere il problema di mediare tra interessi contrastanti e conciliare l’esigenza di un’efficiente funzione decisionale del management con quella di una efficace azione di controllo sul medesimo98. Come si è detto, infatti, l’origine del dibattito sui meccanismi regolamentari di corporate governance è ricondotta al tema della separazione tra proprietà e controllo, quindi tra azionisti e management dell’impresa. Già nel 1776 Adam Smith osservava che, se chi gestisce un’impresa è soggetto diverso da chi la possiede, è lecito ritenere che i manager, amministrando denaro altrui, non impieghino lo stesso impegno con il quale amministrerebbero il proprio. Questa affermazione è valida ancora oggi ed è viepiù evidente in tutte le società che presentano un’accentuata frammentazione proprietaria99 nonché, in misura più evidente, nelle imprese bancarie. In Italia, come in altri Paesi europei, hanno coesistito per lungo tempo diversi assetti proprietari e di controllo delle banche100. Come si è
re: The Interests of Shareholders as a Class, in KRAAKMAN et al., The Anatomy of Corporate Law, 2009, p. 65. 97 DEL GIUDICE, CAPIZZANO, I conflitti di interesse e la governance nella valutazione del rating delle banche, in Liuc Papers, 184, Serie Impresa e mercati finanziari, 4, gennaio, 2006. 98 ZAZZARO, Assetti proprietari e attività economica: possiamo affidarci a Coase?, in Analisi giur. econ., 2011, p. 11 ss.; ZAZZARO, Specificità e modelli di governo delle banche: un’analisi degli assetti proprietari dei gruppi bancari italiani, in Moneta e credito, 2001, p. 477 ss. 99 DEL GIUDICE, CAPIZZANO, I conflitti, cit. 100 Sul punto DE BIASI, Note preliminari su chi possa essere l’ottimo proprietario di una banca (universale), in Banca, impr., soc., 2017, 3, p. 472. Gli ultimi decenni hanno imposto in Italia lo «strumento» della società per azioni come paradigma della forma
394
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
visto nei paragrafi precedenti, la direttiva 2007/44/CE definisce regole procedurali e criteri di valutazione che vanno osservati nei procedimenti per l’acquisto e l’incremento di partecipazioni qualificate negli enti finanziari. Disciplina che ha trovato poi sistemazione unitaria nel Capo III del Titolo II (artt. 19-24) e nell’art. 25 (requisiti di onorabilità) del t.u.b. Uno degli obiettivi di queste disposizioni è di stabilire regole chiare, precise ed uniformi per la valutazione dei progetti di acquisizione, in modo da circoscrivere la discrezionalità delle autorità di vigilanza ed evitare disparità di trattamento. Anche in quest’ottica occorre richiamarsi al principio della “sana e prudente gestione”, il cui concreto atteggiarsi, in questo caso, può essere riferito alla necessità di preservare l’indipendenza dei fini propri della gestione bancaria da interessi “ulteriori”, con lo scopo di tutelare la banca da possibili condotte pregiudizievoli101. Ritornando a profili più specificamente concernenti la regolazione della governance bancaria, va ricordato che la disciplina, nel definire la nozione di partecipazione qualificata (mutuata dalla direttiva 2006/48/ CE), fa riferimento al concetto di “influenza notevole”. La previsione è finalizzata a “catturare” i casi in cui un soggetto, pur acquisendo una partecipazione inferiore al 10% (la soglia minima di rilevanza fissata dalla normativa), è in grado di fatto di condizionare le politiche operative e finanziarie di un’impresa vigilata. Al fine di individuare cosa si intenda per “partecipazioni” occorre fare riferimento all’art. 1, comma 2, lett. h-quater) t.u.b. che definisce come tali «le azioni, le quote e gli altri strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi o comunque i diritti previsti dall’art. 2351, ultimo comma, del codice civile». Allo stesso modo, le nozioni di “partecipazione indiretta” e di “controllo” (artt. 22 e 23 t.u.b.) rivestono un ruolo di rilievo, avendo come
tendenzialmente neutrale, un movimento di segno opposto a quello avvenuto negli anni Trenta, quando la tendenza di politica legislativa fu di pubblicizzare qualunque soggetto che svolgesse, anche indirettamente, attività di interesse collettivo, dai consorzi di bonifica a quasi tutte le banche. BRUZZONE, Concorrenza e corporate governance delle banche, in Proprietà, controllo e governo delle banche, Quaderno di Moneta e Credito 1997; ANGELICI, La società per azioni, Principi e problemi, I, in Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, 2012; MERUSI, Il sogno di Diocleziano. Il diritto nelle crisi economiche, Torino, 2013, p. 85; ANGELICI, Le basi contrattuali della società per azioni, in Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, 1, Torino, 2004, p. 101. 101 CAPRIGLIONE, Commento sub art. 5 t.u.b., in AA.VV., Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Padova, 2012, I, p. 49 ss.; ID., Nuova finanza e sistema italiano, Torino, 2016, cap. III.
395
Saggi
scopo quello di implementare (e razionalizzare) i contenuti della complessiva disciplina delle partecipazioni102. Ulteriore tassello normativo a conferma della “interferenza” gestionale realizzata dalle norme che regolano la proprietà delle banche è rappresentato dalla disposizione in materia di requisiti di onorabilità dei soggetti partecipanti al capitale (art. 25 t.u.b.). Questa norma codifica un principio già espresso e consolidato nell’ordinamento italiano, ossia il presupposto in virtù del quale ogni potere di influenza rilevante sulla banca può essere esercitato solamente dai soggetti, persone fisiche o giuridiche, che siano in possesso di caratteristiche personali di onorabilità103. Altro profilo da considerare – nell’ambito della chiave di lettura qui proposta – concerne la vigilanza informativa sulle banche e sui soggetti inclusi nella vigilanza consolidata (artt. 51 ss. t.u.b.), che incidono maggiormente sul rapporto proprietà/meccanismi di governo societario, in quanto attengono alle relazioni infragruppo tra banche e soggetti, anche non finanziari, che ne fanno parte: l’art. 51 t.u.b., ad esempio, prevede che le banche debbano inviare all’autorità di vigilanza le segnalazioni periodiche, nonché i bilanci e ogni altro documento che venisse richiesto. In sostanza, la disciplina della proprietà evidenzia una rilevanza eterogenea delle diverse categorie coinvolte nel funzionamento delle società bancarie – azionisti, proprietari, investitori – siano essi soggetti privati o istituzionali. Il ruolo della proprietà, tuttavia, tende ad esulare in misura crescente dagli aspetti gestionali dell’impresa bancaria, come diversi studi hanno ben dimostrato e come il legislatore sovente richiede. Diviene sempre più netta, dunque, la separazione tra amministrazione e proprietà, seppure con i necessari margini di attiva compartecipazione degli azionisti. Varie ricerche, difatti, hanno riconosciuto gli effetti positivi dell’attivismo degli azionisti sul governo delle banche, sebbene la
102 Con il disposto dell’art. 22, ad esempio, si colma una lacuna del previgente sistema grazie alla razionalizzazione del concetto di “partecipazione indiretta”, il quale ricomprende ogni forma di interposizione nell’acquisizione di interessenze bancarie, ossia tramite società controllate, società fiduciarie o per interposta persona. In argomento v. MAIMONE, Il coordinamento della riforma del diritto societario con i testi unici della banca e della finanza. Commento ai d.lgs. n. 7 e n. 310 del 2005, Milano, 2006; CHIAPPETTA, Commento sub art. 22, in Commento al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Capriglione, Padova, 2001. 103 ROSA, Patti parasociali e gestione delle banche, Milano, 2010, p. 74.
396
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
rivendicazione di autonomia e indipendenza gestionale da parte delle imprese bancarie resti pur sempre in subordine rispetto ad un approccio di vigilanza che, mirando alla sana e prudente gestione, sia diretto a preservare il sistema socio-economico nel suo complesso104.
7. Il declino del ruolo della proprietà nelle imprese bancarie. Non è questa, chiaramente, la sede idonea per esprimere giudizi definitivi (che richiederebbero ben ulteriori approfondimenti teorici ed empirici) sull’attuale assetto della regolamentazione della struttura proprietaria delle banche italiane e sui meccanismi di governance. Tuttavia, sulla base delle considerazioni che precedono, si può ritenere che quanto evidenziato dalla letteratura economica sul peculiare ruolo della proprietà bancaria sia effettivamente confermato dal dato normativo, al di là del fatto di accogliere o meno l’idea che le banche abbiano ancora natura istituzionale105. Il “diritto” cioè sembra confermare che alcuni concetti generali della teoria dell’impresa – quali separazione tra proprietà e controllo, depersonalizzazione della proprietà e oggettivazione dell’impresa – assumono connotazioni specifiche laddove applicati alle imprese bancarie, così come è evidente che variazioni dell’identità dei “proprietari” di una banca siano in grado di incidere sull’efficienza gestionale. La scienza economica ci ricorda, inoltre, che si tratta di questioni essenzialmente giuridiche in quanto è sempre la legge – come dimostra l’analisi, seppure parziale, della normativa (v. supra) – a determinare l’effettività dei diritti di proprietà nel settore bancario. In quest’ottica, e a sancire l’asserita specialità dell’impresa bancaria, il legislatore ha optato per soluzioni dirette a circoscrivere l’effettività e l’estensione del diritto di proprietà nelle banche, confermando così il trend verso la scissione tra titolarità del capitale e piena esplicazione delle caratteristiche funzionali del ruolo di socio. La disciplina bancaria, quindi, giunge a limitare, comprimere o eliminare del tutto alcuni diritti soggettivi che, normalmente, spettano a coloro che partecipano o controllano una società per azioni, per il tramite
104
CERA, Il buon governo delle banche, cit. MINTO, La governance bancaria tra autonomia privata ed eteronomia, Padova, 2012, passim. 105
397
Saggi
di norme che rispondono all’esigenza di preservare lo svolgimento del nucleo essenziale dell’attività bancaria. Tali disposizioni, oltre a presentare profili di accentuata specialità rispetto al diritto comune delle società per azioni106, assumono, altresì, una forte rilevanza sistemica nell’ambito dell’ordinamento settoriale del credito, in ragione di diverse circostanze. Pur nella consapevolezza dell’opportunità di distinguere tra le differenti caratteristiche soggettive della proprietà, che producono effetti diversi sull’azienda bancaria (i.e. proprietà privata o pubblica, banche quotate o non quotate, cooperative o s.p.a.), in linea generale, la centralità della disciplina della proprietà bancaria emerge almeno sotto tre profili principali: (i) durante societate, essendo la fase fisiologica di vita dell’ente puntualmente scandita dalla presenza di un cospicuo insieme di norme relativo agli assetti proprietari e gestionali; (ii) nella fase patologica dell’impresa, ciò in questo caso la proprietà ha un ruolo determinante sia (eventualmente) nell’eziologia della crisi, sia perché ai soci compete l’individuazione e l’implementazione delle possibili soluzioni alla crisi stessa, sotto la supervisione delle autorità di settore; (iii) infine, che la materia sia determinante nel quadro della regolazione settoriale complessiva, è dimostrato – non da ultimo – dal fatto che la competenza ad autorizzare l’acquisto di partecipazioni nelle banche è stata accentrata in capo alla BCE, per tutte le banche (non solo quelle significative, dunque), con l’entrata in vigore del MVU e con l’inclusione di questo ambito di vigilanza tra i “procedimenti comuni”107.
106
Sul punto, LEMMA, L’allineamento degli interessi nell’ordinamento bancario, in Riv. trim. dir. econ., 4/2016 n. 2, p. 21, sottolinea che elemento comune alle banche è la personalità giuridica, la quale «importa che società e socio siano enti distinti non soltanto per quanto riguarda il patrimonio, ma anche per quanto riguarda attività e interessi». Da questa interpretazione, per quanto risalente, appare evidente che vi sia un interesse proprio dei soci: (i) all’esercizio dell’attività bancaria e, talora, (ii) all’esercizio di attività collaterali. Ad esso si aggiunge l’altro interesse – specifico dell’ente – alla propria sopravvivenza per il tempo convenuto (nello statuto). Ciò, ovviamente nel riferimento al fine (di lucro o mutualistico) che, in via generale, qualifica l’impresa bancaria. 107 Dalle disposizioni di vigilanza in materia di assetti proprietari si esige che i potenziali acquirenti di partecipazioni ‘qualificanti’ siano in grado di assicurare il rispetto del c.d. fit and proper requirement da parte degli amministratori anche successivamente all’assunzione di interessenze nell’impresa target, cfr. SUPINO, Governance bancaria tra prevenzione dei rischi e profittabilità, in Riv. trim. dir. econ., 4/2016 n. 2, p. 64.
398
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
7.1. Proprietà delle banche e disarmonia del quadro regolamentare. Il quadro complessivo, tuttavia, viene reso di ardua interpretazione, laddove non disorganico, a causa di alcuni elementi di discontinuità normativa, quali: la scarsa coerenza sistemica di parte della legislazione di settore (sia europea che nazionale); l’eterogeneità e la sovrapposizione delle fonti normative di riferimento; la coesistenza di norme poste a specifica tutela della funzione creditizia (spesso rivenienti dal previgente ordinamento del credito) con norme concepite per un modello di banca multifunzionale. L’interazione di questi, e altri, fattori ha contribuito a creare diverse aporie regolamentari, la cui soluzione richiederebbe la realizzazione di riforme meglio ponderate, in primis quella strutturale dell’ambito di operatività delle banche, ma è un aspetto che non può essere approfondito in questa sede. Più specificamente, un primo problema connesso alla regolazione della proprietà bancaria può considerarsi oramai diacronico e attiene alla disciplina europea sugli assetti proprietari (su cui v. infra § 5.2. ss.). La direttiva 2007/44/CE, entrando in vigore nel 2010, ha finito per sovrapporsi alle misure di contrasto alla crisi finanziaria, quali salvataggi, ricapitalizzazioni, acquisizione di pacchetti di controllo e interventi pubblici di varia natura. Di conseguenza, si è creata, in fase applicativa, una antinomia tra i due ambiti regolamentari: quello fisiologico relativo alle norme sulle partecipazioni nelle banche, applicabili secondo un approccio alla proprietà di matrice privatistica e dirette ad “oggettivizzare” l’accesso al capitale bancario al ricorrere dei presupposti di legge; e quello emergenziale, in cui cioè la presenza di interventi pubblici e forme di ri-pubblicizzazione delle banche si scontravano palesemente con l’obiettivo di apertura della proprietà ai privati e con il mantenimento di corretti equilibri competitivi nei mercati bancari. Per vero, questo primo profilo di criticità è stato (almeno in parte) superato attraverso il mutato approccio in materia di crisi delle banche, realizzato con il Single Resolution Mechanism, sia in punto di arretramento della presenza dello Stato nel capitale delle banche (nei Paesi dove si erano verificate acquisizioni dirette della proprietà), sia – soprattutto – con gli strumenti (sempre rientranti nel SRM) diretti ad eliminare o ridurre al minimo l’esborso di denaro pubblico per risolvere le crisi. Tuttavia, va notato come, in queste ipotesi, la posizione dei soci bancari resti comunque “schiacciata” tra ambiti normativi in ogni caso problematici sia allorquando l’equilibrio competitivo risulti alterato, per alcuni intermediari, dalla presenza diretta o dal sostegno finanziario dello Stato, quanto nell’ipotesi in cui le banche debbano far fronte a eventuali
399
Saggi
crisi con proprie risorse senza poter più contare (seppure con alcune eccezioni) sull’ausilio pubblico. In definitiva, l’analisi della direttiva 2007/44/CE (e delle legislazioni nazionali di recepimento) dimostra come il socio bancario – o anche l’aspirante tale – siano già sottoposti a norme che, in deroga al diritto societario, riducono la loro autonomia negoziale e operativa, attraverso limiti e restrizioni all’accesso e alla circolazione della proprietà bancaria (posti anche a società non finanziarie, collegate o partecipanti), come si è visto in precedenza108. Ulteriori elementi di “attrito” regolamentare, con riguardo al ruolo della proprietà nelle imprese bancarie, sono presenti altresì nelle riforme italiane delle banche popolari, prima, e delle banche di credito cooperativo, poi. A quanto detto in precedenza si rinvia integralmente, salvo rammentare che oltre a rappresentare manifestazione esplicita della diffusa tendenza verso l’omologazione del modello operativo per svolgere attività bancaria (e finanziaria, in generale), anche quelle disposizioni attestano la recessività della proprietà tradizionale, in questo caso sotto forma di pressoché totale azzeramento dei margini di autonomia negoziale con riguardo alla conservazione delle caratteristiche dell’investimento effettuato nel capitale bancario. Ancora, nella stessa ottica, un cenno va fatto alla proprietà delle banche quotate. Qui, la tendenza verso la polverizzazione dell’azionariato, infatti, ha condotto ad una sensibile riduzione dei poteri riservati ai soci da cui deriva, in prospettiva, una contrazione del valore delle partecipazioni di controllo, in corrispondenza della diluizione dei poteri di influenza dominante sulla gestione di impresa. I soggetti che esercitano il controllo su una banca quotata sono sottoposti ad una normativa prudenziale sempre più vincolante (ad essi è sovente “imposto” lo status di capogruppo bancaria), il che disincentiva ulteriormente l’acquisto o il mantenimento di partecipazioni di controllo. Nel modello a capitale diffuso, quindi, l’interesse per il “controllo” subisce una drastica flessione in ragione sia della sempre più ridotta capacità di ottenere vantaggi dalla società partecipata, sia della ormai risicata possibilità di orientare l’azio-
108
PORZIO, Le imprese bancarie, in Tratt. dir. comm. III, diretto da Buonocore, 1, Torino, 2007, p. 12; BELLI, Corso di legislazione bancaria. Legislazione bancaria italiana (1861-2010), Pisa, 2012, p. 128; GALANTI, D’AMBROSIO, GUCCIONE, Storia della legislazione bancaria, finanziaria e assicurativa: dall’unità d’Italia al 2011, Venezia, 2012, p. 40.
400
Olivier Butzbach - Talita Desiato - Gennaro Rotondo
ne degli amministratori verso obiettivi in grado di generare redditività109. Anche in questo caso, il contesto normativo – nell’intento di rimediare ad una governance incapace di prevenire adeguatamente degenerazioni dell’operatività creditizia – ha disposto un sistema particolarmente “costrittivo” che si dimostra non del tutto coerente con gli esiti che il regolatore europeo si era proposto di conseguire. In sostanza, si profila una situazione gestionale oscillante che vede, per un verso, la banca a capitale diffuso privata di un effettivo controllo della proprietà e, per l’altro, quella a capitale concentrato, fortemente limitata nelle scelte di gestione. 7.2. Considerazioni conclusive: il quadro regolamentare della proprietà bancaria quale parametro di riferimento per le riforme di settore. Ricomponendo – secondo la chiave prospettica qui proposta ed in rapporto agli esiti dell’analisi economica – i vari tasselli del quadro regolamentare, si può cogliere chiaramente come il ruolo tradizionale della proprietà bancaria, anche alla luce del modello funzionale predominante, sia in profonda crisi “di identità”. La contraddizione tra la spinta verso l’omologazione dello schema imprenditoriale più diffuso e il progressivo svuotamento di significatività delle figure di controllo appare evidente. L’adozione del modello di s.p.a. sembra pertanto adattarsi a finalità inedite, tendendo verso forme che potrebbero definirsi di metaprivatizzazione, nelle quali cioè assumono un peso rilevante, a seconda dei contesti di riferimento, il management, lo Stato, gli stakeholders, ma in misura sempre più esigua, la proprietà intesa in senso classico. Per vero già nell’ordinamento previgente, come si è accennato, le norme sulla proprietà bancaria erano funzionalizzate al perseguimento di obiettivi di “interesse generale”, realizzando una commistione tra principi di governo dell’economia e impianto normativo settoriale, attraverso una osmosi tra interessi di matrice diversa. E questo tratto, singolarmente, sembra permanere anche nella regolamentazione attuale, pur nell’antinomia con i profili di diritto comune e regolazione post crisi, di cui si è detto. In altre parole, continuano a risultare strategiche le finalità
109 Su questi profili, v. amplius, SACCO GINEVRI, Le banche italiane verso l’azionariato diffuso: profili organizzativi e di mercato, in Riv. trim. di dir. econ., 2017, 3, Suppl., p. 161 ss.; ID., Il conflitto di interessi nella gestione delle banche, Bari, 2017, passim.
401
Saggi
di garantire l’autonomia gestionale della banca, di evitare i conflitti di interesse e di assicurare una corretta valutazione del merito di credito. Tutti obiettivi, come è palese, connessi allo svolgimento del nucleo essenziale dell’attività bancaria. D’altra parte, stando così le cose, acquisire il controllo di una banca non sembra più rispondere alle finalità della normativa vigente, soprattutto in punto di “attrattività” dell’investimento per qualsiasi impresa non finanziaria, considerate le limitazioni e i requisiti imposti, nonché il ridotto peso gestionale che questa finirebbe per avere, soprattutto in determinate realtà bancarie. V’è da chiedersi allora quale possa essere il motivo per cui si continua ad investire nel capitale di banche. La risposta è evidente, e attiene proprio all’ampio spettro operativo delle medesime garantito dal prevalente modello funzionale di banca e dalla redditività che esso assicura, anche in periodi di crisi (come confermato da quella del 2008). Se ciò dovesse essere solo lontanamente vero, ecco allora un ulteriore valido motivo per non esitare a riformare l’ambito operativo delle banche scorporando qualsiasi attività finanziaria speculativa dallo svolgimento dell’attività creditizia in senso stretto. Obiettivo che andrebbe perseguito sia in considerazione di quanto fin qui affermato sul ruolo recessivo e problematico della proprietà di una banca, sia – e soprattutto – perché la finalità essenziale nello svolgimento dell’attività bancaria non dovrebbe essere soltanto quella di assicurare profitti agli azionisti o elevate retribuzioni ai manager, ma di garantire lo svolgimento stabile e costante di una funzione necessaria al funzionamento e allo sviluppo dell’economia reale.
OLIVIER BUTZBACH - TALITA DESIATO - GENNARO ROTONDO
402
GLI IMEL tra integrazione verticale dei pagamenti nell’impresa e regolamentazione SOMMARIO. 1. Premessa. Il contesto normativo e di mercato. – 1.1. Il fenomeno della transizione dal denaro contante alla moneta elettronica: competitività del mercato. – 1.2. Moneta elettronica vs. servizi di pagamento. – 1.3. Moneta elettronica e attività bancaria. In particolare, l’emissione di moneta elettronica e la raccolta di risparmio. – 1.4. La Direttiva 2009/110/CE: le ragioni ispiratrici. – 1.5. La riforma introdotta dal d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72. – 1.6. La disciplina di attuazione di Banca d’Italia: le nuove Istruzioni di Vigilanza Banche. – 2. I c.d. IMEL “ibridi”. Premessa.– 2.1. Condizioni di autorizzazione e di operatività. [La definizione di “moneta elettronica” e i limiti «intrinseci» all’attività degli IMEL.]. – 2.2 Le “altre attività imprenditoriali” esercitabili dagli IMEL “ibridi”. – 2.3. Integrazione verticale nel mercato ed analisi economica. – 2.4. La disciplina positiva degli IMEL ibridi in Italia. – 2.5 Il capitale iniziale e la dotazione operativa degli IMEL: segregazione patrimoniale e patrimonio destinato “atipico”. La disciplina sulle crisi. – 2.6. IMEL “ibridi” con natura finanziaria e senza natura finanziaria. – 2.7. I c.d. IMEL “a operatività ridotta”. – 3. Conclusioni.
1. Premessa. Il contesto normativo e di mercato1. 1.1. Il fenomeno della transizione dal denaro contante alla moneta elettronica: freni alla competitività o mercato immaturo? Prosegue anche nel nostro Paese la spinta alla modernizzazione di sistemi e di strumenti di pagamento elettronici, fenomeno costantemente oggetto di specifiche politiche europee dedicate al settore e-payment e di consequenziali normative di derivazione comunitaria. Questi obiettivi sono anche alla base delle iniziative assunte dalle autorità per la creazio-
1 Desidero ringraziare il prof. Vittorio Santoro per i preziosi suggerimenti e per avermi segnalato bibliografie che altrimenti avrei avuto difficoltà a reperire con i mIei mezzi.
403
Saggi
ne di un’area unica dei pagamenti in Euro (Single Euro Payments Area - SEPA) e per la definizione di una cornice giuridica unitaria per l’offerta dei servizi di pagamento in Europa (Payment Services Directive – PSD). Il 13 gennaio 2016 è entrata in vigore la direttiva 2015/2366/(UE) sui servizi di pagamento nel mercato interno (cd. PSD2) con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo di un mercato interno dei pagamenti al dettaglio efficiente, sicuro e competitivo rafforzando la tutela degli utenti dei servizi di pagamento, sostenendo l’innovazione e aumentando il livello di sicurezza dei servizi di pagamento elettronici. Gli Stati membri dovranno recepire la direttiva nella legislazione nazionale entro il 13 gennaio 2018. Considerato il breve lasso di tempo decorso dall’entrata in vigore della direttiva (e la mancanza, ad oggi, di misure di attuazione della stessa a livello degli Stati membri), è arduo esprimere una valutazione sul suo impatto, in assenza ad oggi di un dibattito approfondito sugli scenari e le prospettive che potranno delinearsi. La direttiva, anzitutto, introduce fondamentali regole di trasparenza e correttezza per l’operatore dei prestatori di servizi di pagamento (si veda l’Allegato I alla direttiva), anche nel caso in cui solo uno di essi sia stabilito nel territorio dell’Unione Europea (mentre l’altro sia insediato in un paese terzo), in relazione a transazioni di pagamento in qualsiasi valuta. Viene introdotta, inoltre, una nuova definizione di servizi di pagamento, che include, tra l’altro, le attività di issuing e acquiring (a differenza di quanto previsto dalla PSD, nella sua versione originaria). La direttiva, peraltro, introduce una revisione delle deroghe per l’impiego del c.d. credito telefonico, ai fini dell’intermediazione di pagamento (contenuti digitali, limiti e soglie); vengono poi introdotte nuove deroghe per le attività di c.d. mobile ticketing e per alcune categorie di donazioni. La PSD2 introduce, inoltre, un rafforzamento delle tutele per gli utilizzatori degli strumenti di pagamento: in particolare, è ribadita la necessità, per gli Stati membri, di investire in sicurezza, in protezione dei dati e autenticazione (con l’introduzione della c.d. customer strong auhentication) ed a tal fine, sono state introdotte nella direttiva nuove limitazioni all’applicazione di surcharges a carico del pagatore, per il caso in cui i pagamenti vengano effettuati con carta. Così come la PSD2 definisce sia pur in termini generici, nuove responsabilità a carico di quanti utilizzino strumenti di pagamento (anche se con la previsione di penalità più ridotte rispetto a quanto previsto dalla PSD) nel caso in cui vengano effettuate operazioni non autorizzate da parte del consumatore. La PSD2 attribuisce all’EBA (European Banking Authority) la potestà di emettere linee guida in materia di sicurezza dei pagamenti effettuati
404
Roberto Cornetta
per il tramite internet. In particolare, l’EBA è tenuta a pubblicare i regolamenti e standard tecnici in merito alle tecniche di autenticazione, sicurezza e comunicazione entro dodici mesi dall’entrata in vigore della PSD2. Tali regolamenti e standard tecnicI assumeranno, poi, valore cogente una volta decorsi diciotto mesi. Sul versante della responsabilità degli stati membri e con riferimento all’ordinamento italiano, sarà compito della Banca d’Italia emanare disposizioni di secondo livello, anch’esse in attuazione alla direttiva, definendo, tra l’altro, in dettaglio, le nuove regole di vigilanza per gli istituti di pagamento e per i c.d. third party payment services providers (TPP), disciplinati per la prima volta dalla PSD2 (e che saranno inclusi nella definizione generale di istituti di pagamento). L’introduzione della PSD2 ripropone, inoltre, il tema delle regole di operatività per i prestatori insediati in uno Stato membro dell’UE al di fuori dei territori europei. L’operatività con modalità cross border (sia pure solo intracomunitaria) sarebbe garantita da un meccanismo di mutuo riconoscimento del tutto analogo a quello previsto, in via generale per i servizi bancari e finanziari. Con riguardo a tale ultimo aspetto, parallelamente all’iter di approvazione della direttiva, si è sviluppato un serrato dibattito sull’opportunità di attenersi al (tradizionale) principio dell’home country control (in base al quale, in caso di operatività transfrontaliera, le funzioni di vigilanza sull’istituto di pagamento dovrebbero permanere in capo all’Autorità competente nel paese di origine) o se, invece, si debba prevedere un regime di vigilanza diverso (per certi versi frammentato), nel quale l’Autorità dello Stato membro ospitante non rinuncia ad esercitare, entro certi limiti, la propria funzione di vigilanza (è appena il caso di ricordare che, su tale punto, il Lussemburgo ha espresso il proprio voto contrario alla direttiva). I tentativi del legislatore comunitario, con la PSD2, di dettagliare i criteri di regolamentazione dell’accesso ai sistemi di pagamento via internet e di predisporre una maggior tutela di quanti accedano al mercato dei pagamenti in rete, si collocano in un contesto di mercato vieppiù caratterizzato da un crescente utilizzo dei sistemi di pagamento elettronici ed al ricorso altrettanto frequente alla moneta elettronica sì da richiedere in tale contesto un esame più approfondito dell’evoluzione del fenomeno della transizione dal denaro contante alla moneta elettronica. Gli effetti del c.d. e-payment sulle preferenze dei consumatori, nonché le implicazioni di carattere sociale che ne possano derivare, sono oggetto di autonome e preliminari riflessioni sui diversi piani, sia sociologico, sia prettamente economico e giuridico; il dibattito fiorito si è vieppiù infittito di interventi normativi, che talvolta appaiono discostarsi
405
Saggi
dalle finalità che ci si attenderebbe: rendere il mercato dei sistemi di pagamento e la circolazione intracomunitaria sempre più competitiva; e soprattutto consentire l’accesso alle persone che più ne avvertono l’esigenza. In tale prospettiva l’accesso uniforme in ambito comunitario a sistemi di pagamento elettronico può assumere la duplice valenza di favorire da un lato fenomeni di inclusione propri della politica sociale, di migliorare la circolazione di beni e servizi (finanziari): entrambe queste finalità proprie del diritto comunitario. Sinora, soprattutto con il passaggio del testimone dal legislatore comunitario a quello nazionale, in alcuni casi, le misure adottate appaiono piuttosto estemporanee ed assunte senza una preventiva valutazione di impatto sistematico sui consumatori, sulle imprese, sui professionisti, sui ceti sociali; misure, insomma, non del tutto coordinate e dettate spesso da talune emergenze o, peggio, da pressioni di specifiche categorie. Nel descrivere la rivoluzione tecnologia che ha favorito la creazione della moneta elettronica, si preconizzano altrettanti scenari epocali di abbandono del contante. Si tratterebbe di un periodo di interregno, in cui i tradizionali modi di agire non appaiono più del tutto adeguati. In realtà, percezioni e tendenze al cambiamento determinano virtualmente l’avveramento di condizioni che, ad un più attento esame, non si sono realizzate. I requiem all’uso del contante risalgono agli anni ‘50, con l’introduzione virtuosa delle carte di credito e poi agli anni 70, con lo sganciamento del biglietto verde dalla provvista in oro e si sono ripetuti con il Leitmotiv dell’abbandono graduale del contante. Il dibattito socio economico, sin dal premio Nobel Buchanan, più che alla sostituzione di valuta con un’altra, mirava con i movimenti del liberismo esasperato, all’abolizione delle Banche Centrali, le cui politiche avrebbero seriamente limitato la concorrenza ed i benefici per i consumatori. Ma si è verificato l’esatto contrario, con un crescente intervento delle Autorità centrali, l’una gerarchicamente sovraordinata all’altra. La diffusione di internet e l’emersione di un mercato senza frontiere ha attratto milioni di consumatori determinando un incremento esponenziale di vendite, acquisti e, quindi, di pagamenti in un contesto competitivo nel quale si impongono le regole normative attrattive (e competitive) di legislazioni attente sia alla liberalizzazione dei sistemi dei pagamenti sia alla tutela dei consumatori in un rapporto di diretta funzionalità ed efficienza economica2.
2
406
PORZIO, Le problematiche connesse allo sviluppo della moneta elettronica: alcuni
Roberto Cornetta
Queste regole evidentemente si fondano sul presupposto di fatto che esista una relazione stretta tra sistemi di pagamenti elettronici e crescita dell’e-commerce e dell’internet shopping laddove entrambi sarebbero inconcepibili senza i moderni sistemi di pagamento elettronico. Il primo effetto, che ha certamente favorito una propensione a vendite ed acquisti tramite la rete, è che consumatori e venditori beneficiano (in ugual misura) del sistema, secondo i rispettivi interessi. I consumatori ne beneficiano perché sono nella condizione di poter procedere ad acquisti che, diversamente, non sarebbero possibili (quanto alla scelta del prodotto), alla informazione aggiornata sulle differenze di prezzo, il tutto con costi transattivi alquanto ridotti. Anche i rivenditori possono promuovere le vendite a minor prezzo, vista la minore incidenza dei tradizionali costi fissi tipici di un rivenditore di prodotti. Vedremo se tutto ciò, traslato nella pratica di mercato, gioverà nel lungo periodo ai consumatori o se, invece, per effetto di fenomeni di concentrazione nell’offerta, non verranno riproposte le derive da ritorno al futuro, alle quali oggi si assiste, per via di una capillare regolamentazione ad opera delle banche centrali. I rischi di overspending sono insiti nel sistema del pagamento elettronico e mancano regole di presidio, così come permangono perplessità sul carattere oligopolistico del mercato dei providers sia a monte (con gli accordi di licenza tra proprietari di marchi Mastercard, Diners e VISA), sia a valle, con le banche, soprattutto laddove, ancora in Italia, al consumatore finale non è data alcuna possibilità di ricostruire i costi impliciti dell’intermediazione dei providers di carte di pagamento poste le inconvergenze informative tra le merchant fees e le license fees3. Paradossalmente, ma solo sotto il profilo normativo e, se vogliamo, con riferimento allo sviluppo genetico e funzionale dei sistemi di pagamento alternativi alla traditio di contante, la proclamazione con enfasi retorica della fine dell’era del cash come mezzo di pagamento è più declamata in Europa di quanto lo sia in USA. Anche se è proprio oltreoceano che il laboratorio tecnico ed il dibattito giuridico-economico fiorisce senza soluzioni di continuità ed appare inarrestabile. Sono, però, diverse le finalità dichiarate di politica monetaria in Europa ed in Italia, rispetto al
aspetti di natura economica, in Gli istituti di moneta elettronica, a cura di Spena e Gimigliano, Milano, 2005, pp. 3 ss., pp. 16 ss. 3 Per un’analisi dei profili problematici nel settore, GRANIERI, Two-sided markets and the credit card industry: are antitrust authorities missing the big picture? (August 23, 2011), in SSRN papers (http://ssrn.com/abstract=1915056), pp. 3 ss.
407
Saggi
modello di evoluzione normativa dell’e-payment in USA. Negli Stati Uniti, infatti, la tradizione liberale è ancora volta, in ossequio alla tradizione generale, a non orientare le scelte di mercato, favorendo, per quanto possibile, uno sviluppo efficiente. Negli Stati Uniti, la moneta contante è ancora considerata legal tender per tutti i debiti, ferma restando la libertà di agenzie governative e delle imprese di poter imporre ai propri clienti pagamenti in forma alternative al contante4. In Italia, come in altri paesi comunitari, ma con importanti eccezioni (Germania ed Olanda), invece, l’uso del contante è scoraggiato attraverso interventi normativi. In altri termini, l’ambito di autonomia privata si espande sì, attraverso innovazione e maggiore efficienza delle transazioni, ma, contestualmente, si va gravando delle funzioni tradizionalmente considerate di esclusiva responsabilità dello Stato (controlli su evasori di imposta, sostituzioni di imposta, esazione delle tasse, lotta al riciclaggio ed alla corruzione, etc.). Attraverso un intervento pubblico sul controllo e sulla regolamentazione della circolazione della moneta cartolare, l’uso del contante diventa evidentemente più costoso, sì che, a differenza di quanto è dato riscontrare in USA le scelte di mercato a casa nostra diventano così ancora una volta eterodirette a livello centrale, senza tuttavia che siano risolti con altrettanta solerzia le questioni centrali di accesso ai sistemi di pagamento e di liberalizzazione attraverso lo sviluppo dal basso di un mercato dei pagamenti elettronici e della moneta elettronica. Prevalgono questioni di politica del diritto volte a proporre e disciplinare modelli di pagamento elettronico non in ragione di una mutata esigenza delle modalità con le quali si manifesta il commercio internazionale ma per arginare fenomeni di abuso del contante, secondo modelli noti di eterogenesi dei fini. Non è un caso che il refrain di tutto l’impianto normativo di derivazione comunitaria su e-payment, moneta elettronica e moneta virtuale, inteso nella sua funzione di sostituto obbligatorio del denaro, parrebbe
4 La Section 31 U.S.C. 5103 del Coinage Act del 1965, titolata «Legal tender», sancisce che «United States coins and currency (including Federal reserve notes and circulating notes of Federal reserve banks and national banks) are legal tender for all debts, public charges, taxes, and dues». Per contro, non constano normative federali che impongono a soggetti privati di dover necessariamente accettare pagamenti in banconote. Le imprese ed i privati sono così liberi di sviluppare le proprie politiche se e quando accettare monete, sempre che non vi sia una legge statale che imponga di ricevere solo pagamenti in contanti. Come si può rilevare il meccanismo è sostanzialmente inverso rispetto al principio elaborato in Europa ed in Italia (non in Germania o in Olanda, dove non esistono limiti all’uso di contanti).
408
Roberto Cornetta
essere sempre lo stesso: la lotta al riciclaggio5, con una normativa di contorno ancora incompleta a tutela dei consumatori, per rendere più trasparenti i costi occulti e mettere a disposizione dei consumatori strumenti più semplici per confrontare i costi e le opportunità. L’interesse pubblico sotteso alla repressione di gravi reati di riciclaggio e quindi la repressione della criminalità organizzata, punti cardini di ogni sistema democratico, è talmente preminente che ci si concentra sull’argomento, senza una riflessione altrettanto organica su come affiancare a questi interventi sistemici altri strumenti di correzione (e perché no di compensazione), tali da rendere in una società l’alternatività cogente tra contante e pagamento elettronico un’opzione che almeno non renda più oneroso per il consumatore l’adozione di strumenti alternativi all’uso del contante. Ve ne sono di esempi in Italia e non è questa la sede per approfondire gli strumenti di nuova derivazione comunitaria e quelli del tutto autoctoni. Una significativa limitazione all’utilizzo di denaro contante si rinviene nel divieto di effettuazione versamenti o pagamenti mediante denaro contante o altri titoli al portatore quando il valore dell’operazione, oggetto di trasferimento, è complessivamente pari o superiore all’importo di euro 3.000,006.
5
Si veda l. 197/91 (che ha convertito il d.l. 143/91), oggetto di numerose modificazioni ed integrazioni volte a contrastare il fenomeno del c.d. riciclaggio di denaro “sporco” (cioè il provento o il frutto di reati); tra le più significative si segnalano: il d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231 il quale ha abrogato diverse disposizioni del richiamato d.l. 143/91; d.l. 25 giugno 2008, n. 112 conv. con mod. in l. 6 agosto 2008, n. 133 (v., segnatamente art. 32); d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. con mod. in l. 30 luglio 2010, n. 122 (v. art. 20); d.l. 13 agosto 2011, n. 138 conv. con mod. in l. 14 settembre 2011, n. 148 (v. art. 2); d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 conv. con mod. in l. 22 dicembre 2011, n. 214 (v. art. 12). 6 In particolare, tale limite alla circolazione del contante risulta da ultimo così modificato dall’art. 1, co. 898, l. 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) all’esito di un processo che ha visto incrementarsi o diminuirsi il limite alla circolazione del contante per effetto dei provvedimenti normativi richiamati nella nota precedente. In linea di principio, il divieto non è assoluto, considerato che per le transazioni per importi superiori occorre che ci si avvalga di un intermediario abilitato ai servizi bancari e creditizi (banche, uffici postali, istituti di moneta elettronica). Per effetto di tale disposizione normativa era indispensabile che gli assegni bancari e circolari di importo pari o superiore al detto limite fossero muniti di clausola di non trasferibilità. Oggi, a seguito dell’introduzione del co. 4 dell’art. 49 del d.lgs. n. 231/2007, la regola è che gli assegni bancari e postali sono rilasciati degli istituti di credito già muniti della clausola di non trasferibilità, ferma la facoltà del cliente di richiedere l’emissione senza la predetta clausola corrispondendo un’imposta di bollo nella misura di euro 1,50 (art. 49, co. 10,
409
Saggi
Le innovazioni relative all’uso di alternative al contante pongono spesso i medesimi interrogativi rispetto alle modalità con cui i nuovi strumenti e le istituzioni di pagamento vengono inclusi coerentemente nel sistema, all’impatto dei benefici delle nuove tecnologie di pagamento rispetto ai consumatori ed alla competitività di un mercato fortemente regolato e, quindi, alla rimozione degli ostacoli che possono ritardare l’affermarsi delle innovazioni tecnologiche nei pagamenti. Proprio perché si tratta di fenomeni sistemici, previsioni, tendenze e preferenze non sono idonee di per sé ad influenzare l’offerta e la domanda, ma subiscono necessariamente gli effetti di altri fenomeni economici e di regolamentazioni giuridiche apparentemente estranee all’obiettivo. Prima di esaminare lo stato delle discipline, è il caso di verificare le tendenze in atto rispetto alle preferenze dei consumatori. Da un esame obiettivo dell’andamento 2001- 2013 dei pagamenti in contanti in USA, Francia, UK, Spagna, Italia, Germania, Svezia, Portogallo, Turchia e Polonia, risulterebbe che l’uso del contante è – con le dovute differenze tra paesi – sempre aumentato negli anni, in misura più che proporzionale rispetto ai pagamenti elettronici. In Italia, Portogallo, Francia ed USA, si evidenziano incrementi maggiori nell’utilizzo del contante, a fronte di una graduale e costante riduzione dei paesi più a nord, con in testa la Svezia. In Italia, l’84% delle transazioni effettuate nel 2014 è ancora in contanti, anche se si registra un incremento costante di mezzi alternativi. Le previsioni, in realtà, erano di segno inverso, nel torno del XXI secolo. I fattori sopravvenuti che hanno invece smentito le attese (e premiato il contante rispetto alle diverse modalità di adempimento di obbligazioni pecuniarie) si nascondono tra le pieghe di una crisi globale e, in particolare, andrebbero ravvisati tra gli esponenziali aumenti della disoccupazione, soprattutto tra i giovani, che costituiscono, tra l’altro, il gruppo di consumatori più propensi all’uso di tecnologie informatiche. A rallentare l’allineamento tra sviluppo tecnologico di nuovi ed alternativi mezzi di pagamento e le propensioni dei consumatori, non sono stati solo i normali limiti culturali e le implicazioni macroeconomiche connesse alla crisi. Sono, infatti, mutati in questo decennio anche i parametri normativi comunitari per la valutazione del merito creditizio dei clienti di banche e società finanziarie, che hanno contribuito all’uso del contante per quei soggetti, di fatto, «estromessi» dal mercato. L’espo-
d.lgs. n. 231/2007).
410
Roberto Cornetta
nenziale incremento dell’uso di carte di debito a discapito delle carte di credito, in fondo, potrebbe implicitamente confermare le difficoltà di ricorso al mercato finanziario ed, in questo caso, testimoniare la contrazione di credito in atto. In Italia, 15 milioni di cittadini non hanno alcun rapporto bancario, per via della crisi economica e delle più selettive politiche di accesso al credito. L’esercito degli esclusi è poi alimentato da 3,5 milioni dei 5 milioni di stranieri che vivono in Italia. Si sono ridotti i consumi e sono aumentati i fenomeni di riciclaggio (quasi duplicate le segnalazioni di operazioni sospette al MIS nel primo semestre 2014)7. Si tratta di circostanze (in parte non previste) che evidentemente hanno influito tra le economie più evolute, rallentando la spinta all’uso della moneta elettronica nelle relazioni sociali, culturali ed economiche. È interessante rilevare, però, che il dibattito normativo scaturito in questi anni sui mezzi di pagamento elettronico risulta quanto mai fitto, senza soluzione di continuità, proprio a testimoniare l’inarrestabile fenomeno di cambiamento che nel tempo potrebbe condurre alla supremazia dei sistemi elettronici di pagamento. Il panorama che ne emerge merita una sistemazione organica che contemperi gli interessi pubblici alla legalità (fiscalità, antiriciclaggio, trasparenza, tutela del consumatore), la cui cura è sempre più intermediata da soggetti non statali, e la competizione nell’offerta di servizi finanziari nell’interesse dei consumatori, attraverso forme di e-payment. 1.2. Moneta elettronica vs. servizi di pagamento. Il t.u.b. (in attuazione della direttiva 2009/110/CE) fornisce una chiara definizione di “moneta elettronica” e di “istituto di moneta elettronica”: questi ultimi vengono identificati come le «imprese, diverse dalle banche, che emettono moneta elettronica». Per “moneta elettronica”, invece, deve intendersi «il valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso per effettuare operazioni di pagamento come definite all’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, e che sia accettato da persone fisiche
7
Di qui la constatazione di PORZIO, Le problematiche, cit., p. 3 sull’utilità del ricorso alla moneta elettronica, quale strumento sostitutivo del contante consentendo anche a chi non ha accesso al sistema bancario di utilizzare la moneta elettronica almeno per i micro-pagamenti.
411
Saggi
e giuridiche diverse dall’emittente»8. Lo stesso t.u.b. precisa, nel contempo, che devono ritenersi esclusi dalla definizione di moneta elettronica: «1) il valore monetario memorizzato sugli strumenti previsti dall’articolo 2, comma 2, lettera m), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11; 2) il valore monetario utilizzato per le operazioni di pagamento previste dall’articolo 2, comma 2, lettera n), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11». Orbene, la contiguità della moneta elettronica rispetto ai servizi di pagamento (e il richiamo operato dal t.u.b. alla disciplina sui servizi di pagamento, ai fini della definizione di “moneta elettronica”) pone l’interrogativo su quali siano le distinzioni (definitorie e di disciplina) e le interferenze tra le due categorie, considerato che la disciplina sulla moneta elettronica trova la sua sede nel titolo Titolo V-bis del t.u.b., mentre i servizi di pagamento sono definiti e disciplinati dal d.lgs. n. 11 del 27 gennaio 2010 (così come riformata dal d.lgs. 12 maggio 2015), oltre che dal Titolo V-ter del t.u.b. (per quanto attiene gli istituti di pagamento)9. Anzitutto, la definizione di moneta elettronica indica che questa è uno strumento finalizzato ad eseguire operazioni di pagamento. Di conseguenza, la moneta elettronica rappresenta uno strumento tecnico funzionale alla prestazione dei servizi di pagamento (mentre questi rappresentano, ovviamente, attività rese dal soggetto fornitore). Non vi è, di conseguenza, alcuna possibilità di sovrapposizione definitoria tra le due categorie, né alcuna possibilità di intendere l’emissione di moneta elettronica come uno dei servizi di pagamento: l’emissione di moneta elettronica si identifica nell’operazione di trasformazione dei fondi rice-
8
In precedenza, sulla definizione di moneta elettronica contenuta nella Dir. 2000/46/ CE - poi riprodotta fedelmente nel nostro ordinamento - v. OLIVIERI, La nozione di «moneta elettronica, Gli istituti di moneta elettronica, a cura di Spena e Gimigliano, , Milano, 2005, pp. 49 e ss.; mentre, in termini più generali, sulla genesi di tale direttiva si rinvia a GIMIGLIANO, Sulla genesi delle Direttive 2000/46 e 2000/28 CE, ibidem, pp. 87 e ss. 9 CHIRICO, E-commerce. I sistemi di pagamento via internet e la moneta elettronica, Napoli, 2006; DISEGNI, Strumenti di credito e mezzi di pagamento: cambiali, assegni, carte di credito e moneta elettronica, Torino, 2011; GIMIGLIANO, Sub artt. 114-bis 114-quinquies, Istituti di moneta elettronica, in Testo unico bancario. Commentario, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina e Santoro, Milano, 2010, pp. 892 e ss.; Moneta elettronica e virtual currency: profili normativi, aspetti operativi e casi di studio, Monte Università Parma, 2015 (atti convegno); DI MAJO, voce Pagamento, in Enc. dir., Milano, p. 559; INZITARI, La moneta, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. econ., diretto da GALGANO, Padova, 1983, vol. VI, pp. 59 e ss.; COSTI, Servizi di pagamento: il controllo sugli enti produttori, in Banca, borsa, tit. cred, 1993, I.
412
Roberto Cornetta
vuti dall’IMEL in un dispositivo elettronico e nell’incorporazione in tale dispositivo del credito vantato dal cliente nei confronti dell’emittente. Ad escludere ogni dubbio, come detto, è intervenuto lo stesso legislatore nazionale, precisando che non rientrano nella definizione di «moneta elettronica» i valori monetari memorizzati o utilizzati per operazioni di pagamento menzionati all’art. 2, co. 2, lettere m) ed n) del d.lgs. 11/2010. Ciò posto, occorre verificare quali soggetti possano esercitare l’attività di emissione di moneta elettronica e i servizi di pagamento e se vi possa essere coincidenza tra tali soggetti, nel rispetto delle riserve di attività previste dalla legge. Anzitutto, alla luce dell’art. 114-bis del t.u.b., l’emissione di moneta elettronica è riservata alle banche e agli istituti di moneta elettronica. Nel contempo, tuttavia, possono emettere moneta elettronica, «nel rispetto delle disposizioni ad essi applicabili», la Banca Centrale Europea, le banche centrali comunitarie, lo Stato italiano e gli altri Stati comunitari, le pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali, nonché Poste Italiane. Per quanto attiene la prestazione dei servizi di pagamento, invece, ai sensi dell’art. 114-sexies del t.u.b., questa è riservata alle banche, agli istituti di moneta elettronica e agli istituti di pagamento. Come nel caso dell’attività di emissione di moneta elettronica, possono prestare servizi di pagamento, nel rispetto delle disposizioni ad essi applicabili, la Banca Centrale Europea, le banche centrali comunitarie, lo Stato italiano e gli altri Stati comunitari, le pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali, nonché Poste Italiane. Di conseguenza, in sintesi, gli IMEL possono esercitare sia attività di emissione di moneta elettronica, sia servizi di pagamento10. Al contrario, vi sono soggetti (segnatamente, gli istituti di pagamento) che sono abilitati a prestare servizi di pagamento, mentre non figurano tra i soggetti che possono emettere moneta elettronica (attività riservata, come detto, alle banche e agli IMEL), nonché, al rispetto delle condizioni applicabili, agli enti pubblici centrali e territoriali e a Poste Italiane. Ne deriva una posizione di particolare vantaggio e di favore per gli IMEL, a cui viene riconosciuta la possibilità di svolgere un ampio spettro di attività. Tale posizione di favore sembra essere ulteriormente accen-
10 Nel senso che gli IMEL possano prestare servizi di pagamento, TROIANO, Primi appunti in tema di regolamentazione nazionale degli istituti di moneta elettronica, in Gli istituti di moneta elettronica, a cura di Spena e Gimigliano, cit., pp. 63-70.
413
Saggi
tuata dalla previsione dell’art. 114-quater del t.u.b. Come noto, tale previsione stabilisce che «gli istituti di moneta elettronica possono: a) prestare servizi di pagamento e le relative attività accessorie ai sensi dell’articolo 114-octies senza necessità di apposita autorizzazione ai sensi dell’articolo 114-novies; b) prestare servizi operativi e accessori strettamente connessi all’emissione di moneta elettronica». Di conseguenza, gli IMEL hanno accesso ai servizi di pagamento (e le relative attività accessorie, come la concessione di crediti in stretta relazione ai servizi di pagamento, nei limiti stabiliti dalla Banca d’Italia, nonché la prestazione di garanzie per l’esecuzione di operazioni di pagamento, servizi di cambio, attività di custodia e registrazione e trattamento dati, nonché gestire sistemi di pagamento) anche in assenza di una specifica autorizzazione da parte di Banca d’Italia (mentre, all’opposto, agli istituti di pagamento è del tutto preclusa l’emissione di moneta elettronica)11. In particolare, con riguardo alla concessione di finanziamenti, le Disposizioni di Vigilanza sugli Istituti di Pagamento e gli IMEL, emanate da Banca d’Italia il 20 giugno 2012, prevedono che «gli istituti possono concedere finanziamenti relativi ai servizi di pagamento indicati ai punti 4, 5 e 7 dell’articolo 1, comma 1, lett. b) del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, nel rispetto delle seguenti condizioni: a) il finanziamento è accessorio e concesso esclusivamente in relazione all’esecuzione di un’operazione di pagamento; b) il finanziamento è di breve durata, non superiore a dodici mesi. Può essere di durata superiore a 12 mesi il finanziamento concesso in relazione ai pagamenti effettuati con carta
11 LEO, L’assenza del credito e il leasing finanziario, in Le operazioni bancarie, a cura di Portale, vol. II, Milano, 1978, p. 831; CLARIZIA, La causa di finanziamento, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, I, p. 580; MUNARI, Il leasing finanziario nella teoria del credito di scopo, Milano, 1989, p. 122; VELLA, L’esercizio del credito, p. 47; COTTERLI, voce Banca, in Dig. disc. priv., sez. comm., Agg., I, Torino, 2000, p. 79; ALLEGRI, Le banche tra diritto comune e legge speciale, in AA. VV., Diritto della banca e del mercato finanziario, vol. I: I soggetti, Bologna, 2000, p. 38; FALCONE, Commento all’art. 114-quinquies del Testo Unico Bancario, in Commento al Testo Unico delle Leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Costa, Tomo II, Torino, pp. 1231 ss.; DESIDERIO, L’attività bancaria, p. 22 e OLIVIERI, Appunti sulla moneta elettronica. Brevi note in margine alla direttiva 2000/46 riguardante gli istituti di moneta elettronica, in Banca, borsa, tit. cred., 2001, I, p. 809; COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012, p. 224; NEGRINI, Sub artt.114bis-114-quinquies, in Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Commento al d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, a cura di Belli, Contento, A. Patroni Griffi, Porzio e Santoro, Bologna, 2003, p. 1896; GUERRIERI, La moneta elettronica – profili giuridici dei nuovi strumenti di pagamento, Bologna, 2015.
414
Roberto Cornetta
di credito; c) il finanziamento non è concesso utilizzando fondi ricevuti o detenuti ai fini dell’esecuzione di un’operazione di pagamento; d) a fronte del rischio di credito derivante da tali finanziamenti, gli istituiti sono tenuti a mantenere la dotazione patrimoniale minima stabilita nel Capitolo V». Gli IMEL, inoltre, possono, come detto, liberamente prestare «servizi operativi e accessori strettamente connessi all’emissione di moneta elettronica». A tale ultimo riguardo, le già citate Disposizioni di Vigilanza sugli Istituti di Pagamento e gli IMEL forniscono una esemplificazione di tali attività, che possono coincidere con la progettazione e realizzazione di procedure, dispositivi e supporti relativi all’attività di emissione di moneta elettronica, o nella prestazione, per conto di terzi emittenti di moneta elettronica, di servizi connessi con l’emissione della stessa. 1.3. Moneta elettronica e attività bancaria. In particolare, l’emissione di moneta elettronica e raccolta di risparmio. L’art. 10 del t.u.b. prevede che «la raccolta del risparmio fra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria». La stessa norma prevede, nel contempo, che «l’esercizio dell’attività bancaria è riservato alle banche». Il t.u.b. stabilisce, così, un legame biunivoco tra banca e attività bancaria, nel senso che non può esistere banca che non eserciti attività bancaria, così come non è consentito l’esercizio di attività bancaria da parte di soggetti diversi dalle banche. Nello stesso tempo, ai fini della definizione di «attività bancaria», viene indicato un collegamento funzionale tra attività di «raccolta del risparmio fra il pubblico» e l’«esercizio del credito»: non si può concretizzare una attività bancaria, in senso tecnico, qualora difetti uno di tali componenti, che devono essere entrambe viste come condizioni indispensabili per l’applicazione della disciplina sull’attività bancaria. Occorre, allora, interrogarsi su quale sia il contenuto dell’attività di «raccolta di risparmio tra il pubblico» e dell’«esercizio del credito». Per quanto attiene alla raccolta del risparmio, l’art. 11 del t.u.b. la definisce come «l’acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma». Come osservato dalla dottrina, la raccolta può realizzarsi anche attraverso negozi diversi da quelli qualificati come contratti bancari dal codice civile e dal deposito: ad esempio, potrà aversi raccolta attraverso l’emissione di obbligazioni o altri titoli di debito. Nel contempo, come rilevato nella delibera CICR del 19 luglio 2005, la raccolta con obbligo di rimborso sussiste anche quando il titolo di debito non possa essere ricompreso nella definizione codicistica di
415
Saggi
obbligazione (l’art. 2441 c.c., come noto, presuppone il diritto indefettibile alla restituzione del capitale) e, in particolare, quando «i tempi e l’entità del rimborso [siano] condizionati da clausole di postergazione o [dipendano] da parametri oggettivi, compresi quelli rapportati all’andamento economico dell’impresa o dell’affare in relazione ai quali i fondi sono stati acquisiti». Non può, invece, considerarsi attività di raccolta quella che, nella prassi bancaria, si definisce raccolta «indiretta», avente ad oggetto somme di denaro che i risparmiatori affidano alla banca nel contesto di un rapporto di mandato di gestione patrimoniale (in tal caso, peraltro, il cliente-mandante resta esposto al rischio connesso al relativo investimento). Inoltre, in base alla già citata delibera CICR, non può ritenersi raccolta (per difetto di un diritto al rimborso) l’attività nella quale i fondi siano acquisiti prevedendo come corrispettivo «la partecipazione a una quota degli utili netti o dal patrimonio risultante dalla liquidazione dei beni dell’impresa o relativi all’affare in relazione ai quali tali fondi sono stati acquisiti». Con riferimento, invece, all’esercizio del credito, la disciplina sull’attività bancaria non fornisce alcuna definizione organica. In base alle indicazioni della dottrina, generalmente si ritiene che, a tal fine, la nozione di credito sia svincolata dalle caratteristiche tipiche dei contratti di prestito (che prevedono, come noto, il trasferimento di una somma di denaro al prenditore, con l’obbligo, a carico di quest’ultimo, di restituire il capitale ricevuto): tale nozione dovrebbe, invece, essere intesa in termini ben più ampi e dovrebbe ricomprendere tutti i negozi che perseguano uno scopo analogo, ovvero un accrescimento patrimoniale temporaneo del prenditore, accompagnato da un obbligo di restituzione di quest’ultimo verso l’accreditante12. Al riguardo, la dottrina è concorde nel ritenere che il rilascio di garanzie o di impegni di firma, così come la stipula di contratti di leasing finanziario consentano un «accrescimento patrimoniale temporaneo» del soggetto a favore del quali tali prodotti vengono posti in essere.
12 In tal senso, LEO, L’assenza del credito e il leasing finanziario, cit., p. 831; CLARIZIA, La causa di finanziamento, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, I, p. 580; MUNARI, Il leasing finanziario, cit., p. 122; VELLA, L’esercizio del credito, Milano, 1990 p. 47; COTTERLI, voce Banca, in dig. disc. priv., sez. comm., agg., I, Torino, 2000, p. 79; ALLEGRI, Le banche tra diritto comune e legge speciale, in AA. VV., Diritto della banca e del mercato finanziario, vol. I: I soggetti, Bologna, 2000, p. 38.
416
Roberto Cornetta
Poste tali premesse, ci si deve chiedere se l’attività di emissione di moneta elettronica possa dar luogo ad una qualche interferenza con (o possa configurarsi come) attività bancaria, nel senso sopra precisato. Ai sensi dell’art. 11, co. 2-bis del t.u.b., «non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico la ricezione di fondi connessa all’emissione di moneta elettronica». Tale principio viene ribadito, peraltro, dalle Istruzioni di Vigilanza Banche (su cui ci si soffermerà in seguito), nelle quali si afferma espressamente che «ai fini della presente disciplina, non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico l’acquisizione di fondi: […] connessa con l’emissione di moneta elettronica». Ne deriva, dunque, che gli IMEL, per definizione, non svolgono attività di raccolta del risparmio (neppure nel momento in cui raccolgono i fondi dei propri clienti, ai fini della loro incorporazione in dispositivi elettronici) e che, di conseguenza, non possa in alcun caso configurarsi un’attività di natura bancaria. Tale conclusione, evidentemente, ha una diretta conseguenza sul regime giuridico applicabile agli IMEL, nella misura in cui la disciplina contenuta nel t.u.b., laddove sia dedicata alle banche, non potrà applicarsi per analogia agli IMEL, se non laddove vi sia un espresso richiamo nella disciplina sugli IMEL, dovendosi intendere l’attività di emissione di moneta elettronica come del tutto distinta (sul piano definitorio e della disciplina applicabile) dall’attività bancaria, salvo specifici richiami13. 1.4. La Direttiva 2009/110/CE: le ragioni ispiratrici. Il legislatore comunitario, preso atto che «la direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, ha creato un quadro giuridico moderno e coerente per i servizi di pagamento»14, ha ritenuto di rimettere mano alla disciplina di settore, introducendo nuove norme, specificamente dedicate agli istituti di moneta elettronica. Con la direttiva 2009/110/CE (che modifica le precedenti direttive 2005/60/ CE e 2006/48/CE, oltre ad abrogare l’intera direttiva 2000/46/CE), ci si
13
Conclusione conforme si ritrova già in MOTTI, Emissione di moneta elettronica ed attività bancaria, in Gli istituti di moneta elettronica, a cura di Spena e Gimigliano, Milano, 2005, pp. 95 ss. 14 Com’è noto, la direttiva 2007/64/CE è intervenuta a disciplinare anche un altro servizio di pagamento diverso dal contante, vale a dire l’addebito diretto il quale si caratterizza per essere un servizio di pagamento quadrilatero utilizzato, di norma, su impulso del creditore. In argomento cfr., in special modo, BARILLÀ, L’addebito diretto, Milano, 2014, pp. 1 e ss.
417
Saggi
ripropone di «eliminare gli ostacoli all’entrata sul mercato e agevolare l’avvio e l’esercizio dell’attività di emissione di moneta elettronica», riesaminando «le norme di disciplina degli istituti di moneta elettronica, in modo da assicurare condizioni di parità a tutti i prestatori di servizi di pagamento». Ai fini del tema che qui interessa, la direttiva introduce alcuni elementi di indubbio impatto sul contesto normativo di settore. Anzitutto, la direttiva prevede una precisa definizione di “moneta elettronica” e di “istituto di moneta elettronica”, che si presta a molteplici considerazioni. In secondo luogo, viene dedicata una norma ad hoc al tema delle attività esercitabili dagli istituti di moneta elettronica, aprendosi, così, la strada verso una sempre maggiore «liberalizzazione» del regime cui gli IMEL sono soggetti15. In primo luogo, la direttiva precisa che, per «moneta elettronica», deve intendersi «il valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso dietro ricevimento di fondi per effettuare operazioni di pagamento ai sensi dell’articolo 4, punto 5), della direttiva 2007/64/CE e che sia accettato da persone fisiche o giuridiche che diverse dall’emittente di moneta elettronica». Dalla definizione emerge l’intento del legislatore comunitario di circoscrivere l’ambito di applicazione delle nuove norme a situazioni ben definite, escludendone un’applicazione omnicomprensiva. Da un lato, come precisato anche nel considerando n. 7 alla direttiva, ogni considerazione sull’attività degli IMEL deve prendere le mosse da una definizione «tecnicamente neutra» di moneta elettronica: in particolare, «occorre che tale definizione copra tutte le situazioni nelle quali il prestatore di servizi di pagamento emetta un valore prepagato memorizzato in cambio di fondi, che può essere utilizzato come strumento di pagamento poiché è accettato da terzi come pagamento»; dall’altro, però, le norme in esame non dovrebbero applicarsi «al valore monetario memorizzato in specifici strumenti prepagati, volti a rispondere a particolari esigenze, il cui uso è ristretto, perché essi permettono al detentore di moneta elettronica
15 CHIRICO, E-commerce. I sistemi di pagamento via internet e la moneta elettronica, Napoli, 2006, passim; DISEGNI, Strumenti di credito e mezzi di pagamento: cambiali, assegni, carte di credito e moneta elettronica, Torino, 2011; Moneta elettronica e virtual currency: profili normativi, aspetti operativi e casi di studio, Monte Università Parma, 2015 (atti convegno); DI MAJO, voce Pagamento, cit., p. 559, INZITARI, La moneta, cit., pp. 59 ss.; COSTI, Servizi di pagamento, cit., p. 129.
418
Roberto Cornetta
di acquistare beni o servizi soltanto nella sede dell’emittente di moneta elettronica o all’interno di una rete limitata di prestatori di servizi direttamente vincolati da un accordo commerciale ad un’emittente professionale, o perché possono essere utilizzati unicamente per acquistare una gamma limitata di beni o servizi». Per analoghe ragioni, la normativa relativa agli IMEL non dovrebbe applicarsi «al valore monetario utilizzato per l’acquisto di beni o di servizi digitali quando, a causa della natura del bene o del servizio, l’operatore apporta a tale bene o servizio un valore aggiunto intrinseco, ad esempio sotto forma di strumenti di accesso, ricerca o distribuzione, a condizione che il bene o il servizio in questione possa essere utilizzato soltanto tramite un apparecchio digitale, quale un telefono mobile o un computer, e a condizione che l’operatore di telecomunicazione, digitale o informatico non agisca esclusivamente come intermediario tra l’utente dei servizi di pagamento e il fornitore dei beni e dei servizi. Ciò avviene nel caso in cui un abbonato a una rete di telefonia mobile o altra rete digitale paga direttamente all’operatore di rete senza che sussista né un rapporto diretto di pagamento né un rapporto diretto debitore-creditore tra l’abbonato alla rete e qualsiasi prestatore terzo di merci o servizi forniti nell’ambito dell’operazione». I primi commentatori avevano rilevato come16 la nuova definizione di moneta elettronica apparisse ben più ampia di quella prevista dalla precedente direttiva 2000/46/CE: in base alla definizione originaria, infatti, per «moneta elettronica» doveva intendersi esclusivamente un «valore monetario rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente», a condizione, tra l’altro, che questo sia «accettato come mezzo di pagamento da imprese diverse dall’emittente» (tale specificazione, riguardante le «imprese» accettanti, non viene più riproposta nella nuova definizione). Inoltre, al considerando n. 3, la precedente direttiva, ridimensionando, per certi versi, la valenza della moneta elettronica, la definiva come «un surrogato elettronico di monete metalliche e banconote, memorizzato su un dispositivo elettronico come una carta o in microprocessore o una memoria di elaboratore e generalmente destinato a effettuare pagamenti elettronici di importo limitato»17.
16
FALCONE, Commento all’art. 114-quinquies, cit., pp. 1231 ss. A tal punto che, secondo PERASSI, Il diritto comunitario dei pagamenti, in CARRIERO, SANTORO, Il diritto del sistema dei pagamenti, Milano, 2005, pp. 141 ss., e pp. 174-175, «vista la definizione di moneta elettronica, fondata sull’esistenza di un dispositivo elettronico accettato da soggetti diversi dall’emittente e considerato l’obbligo di rimborsabilità del credito incorporato nella moneta elettronica mediante pagamento in contanti, ovvero 17
419
Saggi
In secondo luogo, la direttiva fornisce una definizione di «istituto di moneta elettronica», intesa come «una persona giuridica che è stata autorizzata ad emettere moneta elettronica» (ne deriva che l’ambito di applicazione della disciplina è definito in funzione del fatto che si abbia riguardo alla «moneta elettronica» o meno, dal punto di vista puramente oggettivo, mentre non ha alcun rilievo la qualifica soggettiva: così, qualsiasi soggetto autorizzato ad emettere moneta elettronica è soggetto alla disciplina in discorso, indipendentemente dalla qualifica soggettiva che rivesta). Inoltre, che con l’entrata in vigore della direttiva, la nozione di «istituto di moneta elettronica» viene finalmente enucleata e differenziata rispetto a quella di «ente creditizio», acquisendo una ormai piena autonomia concettuale (giova ricordare, al riguardo, che, nell’impianto della precedente l. n. 39 del 2002, attuativa delle direttive comunitarie n. 2000/46 e 2000/28, la nozione di «istituto di moneta elettronica» era ricompresa all’interno della nozione di «ente creditizio», pur considerato che gli IMEL erano tenuti distinti, in seno alla definizione di ente creditizio, dalle «imprese la cui attività consiste nel ricevere dal pubblico depositi o altri fondi rimborsabili e nel concedere crediti per proprio conto»18, e che per gli stessi veniva dettata una disciplina di vigilanza diversa da quella propria degli enti creditizi)19. Tanto premesso con riguardo agli aspetti definitori, va preso in considerazione l’art. 6 della direttiva, dedicato alle attività esercitabili da parte degli IMEL. In base a tale previsione, oltre all’emissione di moneta elettronica, gli istituti di moneta elettronica sono autorizzati a esercitare le seguenti attività: «a) la prestazione dei servizi di pagamento elenca-
accreditato in conto, si può ritenere che la normativa si rivolga ancora una volta ai pagamenti di ammontare contenuto, nello sforzo di garantire l’affidabilità dello strumento nel pubblico in generale». 18 Cfr., sul punto, DESIDERIO, L’attività, cit., p. 22; OLIVIERI, Appunti sulla moneta, cit., p. 809; GIMIGLIANO, Sub artt. 114-bis - 114-quinquies, cit., pp. 907-908. 19 Così FALCONE, Commento all’art. 114-quinquies, cit., pp. 1231 e ss.; Secondo COSTI, L’ordinamento, cit., p. 224, «le ragioni di questa scelta comunitaria vanno ricercate nelle esigenze della politica monetaria di competenza di competenza della Banca Centrale Europea e, più esattamente, nella possibilità di sottoporre anche gli istituti di moneta elettronica alla disciplina prevista per le riserve obbligatorie, riserva che la Banca Centrale Europea può imporre solo agli enti creditizi». Peraltro, secondo NEGRINI, Sub artt.114-bis-114-quinquies, cit., p. 1896, l’inclusione degli IMEL nella definizione di ente creditizio «ne contraddice la nozione stessa, essendo la banca un soggetto che raccoglie e congiuntamente eroga credito, potenzialmente despecializzato e con un passaporto europeo di ampia estensione».
420
Roberto Cornetta
ti nell’allegato della direttiva 2007/64/CE; b) la concessione di crediti connessi a servizi di pagamento di cui ai punti 4, 5 o 7 dell’allegato della direttiva 2007/64/CE, sempre che siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 16, paragrafi 3 e 5, di tale direttiva; c) la prestazione di servizi operativi e di servizi accessori strettamente connessi all’emissione di moneta elettronica o alla prestazione dei servizi di pagamento di cui alla lettera a); d) la gestione dei sistemi di pagamento di cui alla definizione dell’articolo 4, paragrafo 6, della direttiva 2007/64/CE e fatto salvo l’articolo 28 di tale direttiva; e) attività diverse dall’emissione di moneta elettronica, nel rispetto del diritto comunitario e del diritto nazionale applicabile». In particolare, alla luce del punto e), che, come si vedrà, è stato trasposto nel diritto italiano con particolare ampiezza, viene riconosciuta la possibilità, per gli IMEL, di svolgere attività diverse dall’emissione di moneta elettronica, ivi incluse attività di natura commerciale o imprenditoriale in senso lato. Al riguardo, anticipando le considerazioni che saranno oggetto dei prossimi paragrafi, la direttiva contiene una precisazione in merito agli IMEL che non svolgano esclusivamente attività di emissione di moneta elettronica, ma svolgano, in parallelo, anche altre attività (c.d. IMEL «ibridi»). Il considerando n. 13 precisa, al riguardo, che «è opportuno che le condizioni di rilascio e di mantenimento dell’autorizzazione come istituto di moneta elettronica comprendano requisiti prudenziali proporzionati ai rischi operativi e finanziari ai quali questi istituti sono esposti nel quadro delle loro attività legate all’emissione di moneta elettronica, indipendentemente da ogni altra attività commerciale esercitata dagli istituti di moneta elettronica». Di conseguenza, qualora un istituto di moneta elettronica non si limiti ad emettere moneta elettronica (ma svolga anche altre attività), i requisiti prudenziali a cui esso sarà soggetto saranno tarati esclusivamente sull’attività di emissione di moneta elettronica, indipendentemente dal fatto che tale attività sia affiancata anche da altre (che possano avere carattere commerciale o, comunque, non finanziario). 1.5. La riforma introdotta dal d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72. Con la riforma introdotta dal d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, viene recepita in Italia la normativa contenuta nella direttiva 2009/110/CE. In particolare, in sede di trasposizione della normativa comunitaria, viene integralmente sostituito il Titolo V-ter del t.u.b. (dedicato a «Moneta elettronica e istituti di moneta elettronica») e, in particolare, riformulato l’art. 114-quinquies.
421
Saggi
Tale norma, nella sua nuova versione, prevede quanto segue: «La Banca d’Italia autorizza all’emissione di moneta elettronica soggetti che esercitino anche altre attività imprenditoriali quando: a) ricorrano le condizioni indicate al comma 1, ad eccezione del possesso dei requisiti di professionalità degli esponenti aziendali; b) per l’attività di emissione di moneta elettronica, la prestazione dei servizi di pagamento e per le relative attività accessorie e strumentali sia costituito un unico patrimonio destinato con le modalità e agli effetti stabiliti dagli articoli 114-quinquies.1, comma 5, e 114-terdecies; c) siano individuati uno o più soggetti responsabili del patrimonio di cui alla lettera b); ad essi si applica l’articolo 26, comma 3, lettere a) e b)». La stessa norma prevede, inoltre, che «se lo svolgimento delle attività imprenditoriali di cui al comma 4 rischia di danneggiare la solidità finanziaria dell’istituto di moneta elettronica o l’esercizio effettivo della vigilanza, la Banca d’Italia può imporre la costituzione di una società che svolga esclusivamente l’attività di emissione di moneta elettronica». Il successivo art. 114-quinquies.1, comma 5 prevede, inoltre, quanto segue: «Gli istituti di moneta elettronica che svolgano anche altre attività imprenditoriali diverse dall’emissione di moneta elettronica e dalla prestazione dei servizi di pagamento, autorizzati ai sensi dell’articolo 114-quinquies, comma 4, costituiscono un patrimonio destinato unico per l’emissione di moneta elettronica, la prestazione dei servizi di pagamento e per le relative attività accessorie e strumentali. A tale patrimonio destinato si applica l’articolo 114-terdecies, anche con riferimento all’emissione di moneta elettronica». Le previsioni di cui sopra segnano una brusca inversione di tendenza rispetto al trend normativo tracciato dal legislatore fino alla riforma. Infatti, il testo previgente dell’art. 114-bis del t.u.b. ammetteva la possibilità, per gli IMEL, di svolgere esclusivamente attività di emissione di moneta elettronica, mediante «trasformazione immediata dei fondi ricevuti», ferma restando la possibilità di svolgere, «nei limiti stabiliti dalla Banca d’Italia, attività connesse e strumentali, nonché [di] prestare servizi di pagamento», precisandosi, in ogni caso, che doveva intendersi preclusa la concessione di crediti in qualunque forma. Con l’entrata in vigore della riforma, invece, agli IMEL viene concessa la possibilità, come detto, di svolgere, in parallelo rispetto all’emissione di moneta elettronica, «anche altre attività imprenditoriali»20. Come noto, il testo previgente dell’art.
20
422
LEO, L’assenza, cit., p. 831; CLARIZIA, La causa, cit., p. 580; MUNARI, Il leasing, cit., p.
Roberto Cornetta
114-quinquies del t.u.b. già contemplava la possibilità, per gli IMEL, di svolgere anche attività imprenditoriali diverse dall’emissione di moneta elettronica: in tal caso, tuttavia, era prevista la facoltà, per Banca d’Italia, di imporre la costituzione di una società che svolgesse esclusivamente l’attività di emissione di moneta elettronica (previsione che non è stata più riprodotta nella nuova versione della norma)21. 1.6. La disciplina di attuazione di Banca d’Italia (rinvio). La normativa contenuta nel t.u.b. è integrata dalla regolamentazione di secondo livello, emanata da Banca d’Italia. Mi riferisco, in particolare, alle Istruzioni di Vigilanza Banche, alle «Istruzioni di Vigilanza per gli Intermediari Finanziari iscritti nell’«Elenco Speciale»» (si veda la Circolare di Banca d’Italia n. 216 del 5 agosto 1996 e alle Disposizioni di Vigilanza per gli Istituti di Pagamento e gli IMEL del 20 giugno 2012 (queste ultime, in particolare, saranno oggetto di commento nel prosieguo). Le Istruzioni di Vigilanza Banche precisano, in particolare, che «ai fini della presente disciplina, non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico l’acquisizione di fondi: […] connessa con l’emissione di moneta elettronica».
2. I c.d. IMEL «ibridi». Premessa. Integrazione verticale nel mercato ed analisi economica. 2.1. Condizioni di autorizzazione e di operatività. Il sistema di vigilanza. In Italia, per effetto di numerosi interventi comunitari, le forme di integrazione verticale simili a quelle appena descritte in USA possono essere rappresentate dai c.d. IMEL ibridi, istituti di moneta elettronica la cui attività può essere esercitata da soggetti giuridici i quali svolgono at-
122; VELLA, L’esercizio del credito, cit., p. 47; COTTERLI, voce Banca, cit., p. 79; ALLEGRI, Le banche, cit., p. 38; FALCONE, Commento all’art. 114-quinquies, cit., pp. 1231 ss.; DESIDERIO, L’attività, cit. p. 22; OLIVIERI, Appunti, cit., p. 809; COSTI, L’ordinamento, cit., p. 224; NEGRINI, Sub artt.114-bis-114-quinquies, cit., p. 1896; GUERRIERI, La moneta, cit. 21 TROIANO, Primi appunti, cit., p. 66 ss.; AA.VV., La moneta elettronica: profili giuridici e problematiche applicative, 2006; CHIRICO, E-commerce, cit.; DISEGNI, Strumenti, cit.; DI MAJO, voce Pagamento, cit., p. 559, INZITARI, La moneta, cit., 5p. 9 ss.; COSTI, Servizi di pagamento, cit., p. 129.
423
Saggi
tività commerciali di tipo diverso dall’oggetto esclusivo tradizionalmente richiesto agli istituti di pagamento e più in generale a quanti emettano moneta elettronica. Si è così aperto un varco all’esercizio di attività un tempo fondata sulla esclusività dell’oggetto sociale oggi esercitabili anche da parte di commercianti o società che svolgano attività diverse, pur nel rispetto della disciplina comunitaria e delle regole di Banca d’Italia che è intervenuta per dettare una specifica normativa di autorizzazione e controllo degli IMEL ibridi. Le condizioni per il rilascio dell’autorizzazione a prestare servizi di emissione di moneta elettronica sono previste dall’articolo 114-quinquies del t.u.b. Il testo della norma è stato, come noto, significativamente riformulato per effetto dell’entrata in vigore del recente d.lgs. 16 novembre 2015 n. 181. L’autorizzazione deve essere rilasciata da Banca d’Italia qualora ricorrano le seguenti condizioni: a) sia adottata la forma di società per azioni, di società in accomandita per azioni, di società a responsabilità limitata o di società cooperativa; b) la sede legale e la direzione generale siano situate nel territorio della Repubblica; c) il capitale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato dalla Banca d’Italia; d) venga presentato un programma concernente l’attività iniziale e la struttura organizzativa, unitamente all’atto costitutivo e allo statuto (dunque, a differenza del regime previsto per le banche, gli IMEL sono tenuti a presentare un programma concernente la «struttura organizzativa», in aggiunta a quello relativo all’attività iniziale, fermo restando che tale programma dovrà conformarsi alle previsioni contenute nel Capitolo VI, Sezione III delle Disposizioni di Vigilanza in Materia di Istituti di Pagamento e di Istituti di Moneta Elettronica); e) sussistano i presupposti previsti per il rilascio dell’autorizzazione all’acquisto e alla detenzione di partecipazioni qualificate nel capitale sociale di banche, ai sensi dell’articolo 19 del t.u.b.22; f) i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione
22 La definizione dei requisiti dei titolari di partecipazioni qualificate deriva dall’applicazione di molteplici norme, alcune delle quali dettate in materia di banche (ma rese applicabili agli IMEL per rinvio). Come detto, l’art. 114-quinquies del t.u.b. fa rinvio all’art. 19. Ai sensi dell’art. 19, co. 5, del t.u.b., «La Banca d’Italia rilascia l’autorizzazione quando ricorrono condizioni atte a garantire una gestione sana e prudente della banca, valutando la qualità del potenziale acquirente e la solidità finanziaria del progetto di acquisizione in base ai seguenti criteri: la reputazione del potenziale acquirente ai sensi dell’articolo 25; l’idoneità ai sensi dell’articolo 26, di coloro che, in esito all’acquisizione, svolgeranno funzioni di amministrazione, direzione
424
Roberto Cornetta
e controllo siano idonei, secondo quanto previsto ai sensi dell’articolo 114-quinquies.3; g) non sussistano, tra gli istituti di moneta elettronica o i soggetti del gruppo di appartenenza e altri soggetti, stretti legami che ostacolino l’effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza. Come si vede, le condizioni di autorizzazione relative agli IMEL appaiono del tutto omogenee, nella sostanza, a quelle previste, per gli istituti di pagamento, dall’articolo 114-novies, co. 1, del t.u.b.23. Fatta questa premessa, occorre, però, considerare i poteri attribuiti ex lege alla Banca d’Italia, sia nel contesto, sia successivamente al procedimento di autorizzazione. Infatti, quand’anche venissero rispettate le condizioni di cui sopra, la Banca d’Italia ha, comunque, facoltà di negare l’autorizzazione, qualora, dalla verifica delle condizioni stesse, non risulti garantita la sana e prudente gestione (analoga previsione è dettata con riguardo alle banche), ovvero il regolare funzionamento del sistema dei pagamenti (tale previsione è, invece, ovviamente riferita solo agli IMEL).
e controllo nella banca; la solidità finanziaria del potenziale acquirente; la capacità della banca di rispettare a seguito dell’acquisizione le disposizioni che ne regolano l’attività; l’idoneità della struttura del gruppo del potenziale acquirente a consentire l’esercizio efficace della vigilanza. L’autorizzazione non può essere rilasciata in caso di fondato sospetto che l’acquisizione sia connessa ad operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. L’autorizzazione può essere sospesa o revocata se vengono meno o si modificano i presupposti e le condizioni per il suo rilascio». Nel contempo, ai sensi dell’articolo 114-quinquies.3, co. 1-ter, del t.u.b., «Ai titolari delle partecipazioni indicate all’articolo 19 in istituti di moneta elettronica si applica l’articolo 25». Tale norma impone, a sua volta, che il citato decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (che disciplina i requisiti dei titolari di partecipazioni qualificate) stabilisca «a) i requisiti di onorabilità; b) i criteri di competenza, graduati in relazione all’influenza sulla gestione della banca che il titolare della partecipazione può esercitare; c) i criteri di correttezza, con riguardo, tra l’altro, alle relazioni d’affari del titolare della partecipazione, alle condotte tenute nei confronti delle autorità di vigilanza e alle sanzioni o misure correttive da queste irrogate, a provvedimenti restrittivi inerenti ad attività professionali svolte, nonché a ogni altro elemento suscettibile di incidere sulla correttezza del titolare della partecipazione». In relazione agli IMEL, tuttavia, non si applica il paragrafo (b) di detta norma, precisando l’art. 114-quinquies 3 che il d.m. possa «prevedere l’applicazione dei criteri di competenza definiti ai sensi del medesimo articolo, comma 2, lettera b), avuto riguardo alla complessità operativa, dimensionale e organizzativa degli istituti, nonché’ alla natura specifica dell’attività svolta». Ne deriva, a parere di chi scrive, un quadro normativo ancora piuttosto confuso. 23 Per il profilo autorizzativo all’esercizio dell’attività da parte degli istituti di pagamento v. GIMIGLIANO e PIRONTI, L’attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno: prime osservazioni sul d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, in Contr. impresa/Europa, 2010, pp. 700 ss.; GIMIGLIANO, Sub artt. 114-sexies 114-undecies, cit., pp. 916 ss.
425
Saggi
Un cenno a parte va dedicato alle attività transfrontaliere degli IMEL. Nella nuova formulazione delle norme in commento, infatti, il legislatore non riproduce più il meccanismo del rinvio «secco» alla disciplina sulle banche. Al riguardo, l’art. 114-quinquies del t.u.b. prevede che gli istituti di moneta elettronica italiani possano operare: «a) in uno Stato comunitario, anche senza stabilirvi succursali, nel rispetto delle procedure fissate dalla Banca d’Italia»; oppure «b) in uno Stato terzo, anche senza stabilirvi succursali, previa autorizzazione della Banca d’Italia». Inoltre, la norma detta una disciplina differenziata con riguardo agli IMEL stranieri, che intendano esercitare l’attività di emissione di moneta elettronica in Italia, a seconda che si tratti di istituti insediati in un paese membro dell’Unione Europea o meno. Si prevede, infatti, che «gli istituti di moneta elettronica con sede legale in un altro Stato comunitario, che intendono operare in Italia, possono operare nel territorio della Repubblica anche senza stabilirvi succursali, dopo che la Banca d’Italia sia stata informata dall’autorità competente dello Stato di appartenenza». Con riguardo, invece, agli istituti di moneta elettronica aventi sede legale in un paese extracomunitario, l’emissione di moneta elettronica «è subordinata all’apertura di una succursale in Italia autorizzata dalla Banca d’Italia ai sensi del presente articolo, in presenza di condizioni corrispondenti a quelle del comma 1, lettere c), d), e) ed f). L’autorizzazione è rilasciata, sentito il Ministero degli affari esteri, tenendo anche conto della condizione di reciprocità». L’autorizzazione, dunque, potrà essere rilasciata a condizione che sia comprovato il rispetto dei requisiti in tema di capitale minimo, di professionalità degli esponenti aziendali e dei titolari di partecipazioni qualificate e l’assenza di “stretti legami” che ostacolino l’effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza. Oltre a ciò, è prevista, come detto, l’obbligatoria costituzione in loco di una succursale (in altri termini, un IMEL extracomunitario non potrà svolgere tali attività in Italia in regime di “libera prestazione di servizi”, in quanto tale modalità operativa è espressamente esclusa): si appalesa, così, la stessa tendenza legislativa che si manifesta in altre branche della normativa sui servizi bancari, finanziari e di investimento (anche a livello comunitario): ad esempio con riguardo ai servizi e attività di investimento, la direttiva 2014/65/UE (nota come MiFID2), concede agli Stati membri la facoltà di prevedere che l’operatività degli intermediari esteri sul proprio territorio (qualora rivolta a clienti professionali c.d. “su richiesta” oppure a clienti “al dettaglio”) sia subordinata allo stabilimento di una succursale locale. Le Autorità italiane, per inciso, non hanno ancora formulato un proprio approccio formale al riguardo e, pertanto, non è ancora chiaro se l’Italia si avvarrà di tale facoltà prevista dalla Direttiva MiFID 2 (imponendo in
426
Roberto Cornetta
ogni caso lo stabilimento di una succursale), o se permetterà al regime delle LPS di sopravvivere (per le citate categorie di clienti). È verosimile, però, che il legislatore italiano possa decidere di avvalersi di tale facoltà (ciò sarebbe in linea con la normativa già prevista per gli istituti di moneta elettronica, qui in commento). Va ricordata, inoltre, la previsione che impone a ciascun IMEL di essere iscritto in un apposito albo degli istituti di moneta elettronica autorizzati in Italia; nello stesso albo, dovranno, peraltro, essere iscritte le succursali italiane di IMEL insediati all’estero (sia comunitari, sia extracomunitari). Per quanto attiene, poi, al regime di vigilanza cui sono sottoposti gli IMEL, l’art. 114-quinquies.2 del t.u.b. contiene una descrizione dei poteri attribuiti a Banca d’Italia, nella definizione di una normativa di secondo livello. In particolare, si prevedono obblighi di segnalazione periodica, nonché obblighi in tema di vigilanza informativa (laddove si prevede l’obbligo degli IMEL di trasmettere a Banca d’Italia le segnalazioni periodiche, il bilancio, il rendiconto del patrimonio destinato e i rispettivi allegati24, nonché ogni altro dato o documento richiesto), regolamentare, repressivo-sostitutiva e ispettiva, in termini del tutto in linea con quelli previsti (dall’art. 114-quaterdecies del t.u.b. in tema di istituti di pagamento, a cui si è ritenuto, anche da questo punto di vista, di uniformare il regime applicabile agli IMEL, abbandonando, peraltro, la tecnica normativa del rinvio alle norme applicabili agli istituti di credito, adottata in precedenza). In generale, il complesso di norme in materia di vigilanza è finalizzato ad assicurare che gli IMEL siano in grado di svolgere efficacemente, in un’ottica di sana e prudente gestione, le attività per le quali sono stati autorizzati e, nello stesso tempo, ad assicurare che sia preservata la stabilità degli stessi IMEL, consentendone, dunque, l’esposizione ai rischi finanziari e, in particolare, al rischio sistemico. Gli obblighi informativi (così come numerose altre previsioni in tema di vigilanza), peraltro, devono intendersi applicabili, oltre che agli IMEL, anche «ai soggetti ai quali gli istituti di moneta elettronica abbiano esternalizzato funzioni aziendali essenziali o importanti e al loro personale».
24
Si ricorda, peraltro, che, ai sensi delle Disposizioni di Vigilanza, «il rendiconto del patrimonio destinato, redatto ai sensi delle istruzioni dettate dalla Banca d’Italia e allegato al bilancio della società che lo ha costituito, è oggetto di una relazione redatta dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti, che attesta la coerenza dei dati contenuti nel rendiconto con quelli riportati nel bilancio della società».
427
Saggi
Per quanto attiene ai poteri di vigilanza regolamentare, Banca d’Italia è incaricata di emanare, in attuazione della normativa comunitaria di riferimento, «disposizioni di carattere generale aventi a oggetto: il governo societario, l’adeguatezza patrimoniale, il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni, l’organizzazione amministrativa e contabile, nonché i controlli interni e i sistemi di remunerazione e incentivazione». In particolare, come è stato osservato, con riferimento sia ai requisiti patrimoniali, sia a quelli organizzativi, la flessibilità dello strumento regolamentare consente di dare piena applicazione al criterio di proporzionalità, dettando semplificazioni e deroghe per gli intermediari minori (i c.d. IMEL «a operatività limitata», per cui si veda infra). Con riguardo agli IMEL e ai poteri di vigilanza ispettiva, Banca d’Italia, inoltre, può «a) convocare gli amministratori, i sindaci e i dirigenti degli istituti di moneta elettronica per esaminare la situazione degli stessi; b) ordinare la convocazione degli organi collegiali degli istituti di moneta elettronica, fissandone l’ordine del giorno, e proporre l’assunzione di determinate decisioni; c) procedere direttamente alla convocazione degli organi collegiali degli istituti di moneta elettronica quando gli organi competenti non abbiano ottemperato a quanto previsto dalla lettera b); d) adottare per le materie indicate nel comma 2, ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici nei confronti di singoli istituti di moneta elettronica riguardanti anche la restrizione delle attività o della struttura territoriale, il divieto di effettuare determinate operazioni anche di natura societaria e di distribuire utili o altri elementi del patrimonio nonché, con riferimento a strumenti finanziari computabili nel patrimonio a fini di vigilanza, il divieto di pagare interessi. d-bis) disporre, qualora la loro permanenza in carica sia di pregiudizio per la sana e prudente gestione dell’istituto di moneta elettronica, la rimozione dalla carica di uno o più esponenti; la rimozione non è disposta ove ricorrano gli estremi per pronunciare la decadenza ai sensi dell’articolo 26, salvo che sussista urgenza di provvedere». Si tratta, per certi versi, di poteri non dissimili da quelli previsti dall’art. 53, co. 3 del t.u.b., nel contesto della disciplina applicabile alle banche. Come si è visto, tra i poteri attribuiti a Banca d’Italia, vi è anche quello di assumere «provvedimenti specifici nei confronti di singoli istituti di moneta elettronica», incidendo direttamente sulla struttura societaria e di governance di singoli istituti (anziché formulando previsioni di applicazione generale), in ossequio al principio di flessibilità e proporzionalità, modulando le forme di ingerenza alle necessità del caso. Inoltre, va notato che, come detto, Banca d’Italia ha facoltà di emanare provvedimenti riguardanti, tra l’altro, il «divieto di pagare interessi», «con riferimento a
428
Roberto Cornetta
strumenti finanziari computabili nel patrimonio a fini di vigilanza»: la disposizione è volta ad assicurare l’attuazione delle direttive 2009/27, 2009/83 e 2009/111 (c.d. «CRD II» o «Capital Requirements Directives»). Banca d’Italia può, altresì, convocare gli amministratori, i sindaci, i dirigenti dei soggetti ai quali siano state esternalizzate funzioni aziendali essenziali o importanti ed effettuare ispezioni presso gli istituti di moneta elettronica, i loro agenti o i soggetti a cui sono esternalizzate funzioni aziendali essenziali o importanti attività e richiedere a essi l’esibizione di documenti e gli atti che ritenga necessari. Ai fini dell’esercizio dei poteri ispettivi nei confronti di soggetti esteri, Banca d’Italia è tenuta ad assicurare il necessario coordinamento con l’Autorità competente dello Stato comunitario ospitante, notificandole l’intenzione di effettuare ispezioni sul territorio di quest’ultimo nei confronti di istituti di moneta elettronica, dei loro agenti o dei soggetti a cui sono esternalizzate funzioni aziendali essenziali o importanti. In alternativa, Banca d’Italia può richiedere a tali Autorità di effettuare tali accertamenti25. Poste tali premesse, va, però, dedicato un cenno particolare alla previsione contenuta nell’art. 146 del t.u.b. Tale previsione ha ad oggetto, come noto, genericamente, la «sorveglianza sui sistemi di pagamento», ma il suo ambito di applicazione si estende comunque agli istituti di moneta elettronica. Infatti, nella lettura della norma, per soggetti che «prestano servizi di pagamento» debbono intendersi, in base a quanto previsto dall’art. 1, c. 1, lett. g), d.lgs. n. 11/2010, gli istituti di moneta elettronica e gli istituti di pagamento nonché, quando prestano servizi di pagamento, le banche, Poste Italiane S.p.A., la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali, se non agiscono in veste di autorità mo-
25 Va ricordato, per inciso, che, ai sensi dell’art. 114-quinquies t.u.b., «in caso di violazione, da parte di istituti di moneta elettronica comunitari che non esercitano attività imprenditoriali diverse dall’emissione di moneta elettronica o dalla prestazione di servizi di pagamento, delle disposizioni relative alle succursali o alla prestazione di servizi nel territorio della Repubblica, la Banca d’Italia può ordinare all’istituto di moneta elettronica di porre termine a tali irregolarità, dandone comunicazione all’autorità competente dello Stato membro in cui l’istituto di moneta elettronica ha sede legale per i provvedimenti eventualmente necessari. Quando manchino o risultino inadeguati i provvedimenti dell’autorità competente, quando le irregolarità commesse possano pregiudicare interessi generali ovvero nei casi di urgenza per la tutela delle ragioni dei depositanti, dei risparmiatori e degli altri soggetti ai quali sono prestati i servizi, la Banca d’Italia adotta le misure necessarie, comprese l’imposizione del divieto di intraprendere nuove operazioni e la chiusura della succursale».
429
Saggi
netaria, nonché «altre autorità pubbliche, le pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali se non agiscono in veste di autorità pubbliche». Il nuovo testo della norma prevede quanto segue: «La Banca d’Italia esercita la sorveglianza sul sistema dei pagamenti avendo riguardo al suo regolare funzionamento, alla sua affidabilità ed efficienza nonché alla tutela degli utenti di servizi di pagamento. Per le finalità di cui al comma 1 la Banca d’Italia, nei confronti dei soggetti che emettono o gestiscono strumenti di pagamento, prestano servizi di pagamento, gestiscono sistemi di scambio, di compensazione e di regolamento o gestiscono infrastrutture strumentali tecnologiche o di rete, può: a) richiedere la comunicazione, anche periodica, con le modalità e i termini da essa stabiliti, di dati, notizie, atti e documenti concernenti l’attività esercitata; b) emanare disposizioni di carattere generale aventi a oggetto: 1) il contenimento dei rischi che possono inficiare il regolare funzionamento, l’affidabilità e l’efficienza del sistema dei pagamenti; 2) l’accesso dei prestatori di servizi di pagamento ai sistemi di scambio, di compensazione e di regolamento nonché alle infrastrutture strumentali tecnologiche o di rete; 3) il funzionamento, le caratteristiche e le modalità di prestazione dei servizi offerti; 4) gli assetti organizzativi e di controllo relativi alle attività svolte nel sistema dei pagamenti; c) disporre ispezioni, chiedere l’esibizione di documenti e prenderne copia al fine di verificare il rispetto delle norme disciplinanti la corretta esecuzione dei servizi di pagamento nonché di ogni disposizione e provvedimento emanati ai sensi del presente articolo; d) adottare per le materie indicate alla lettera b), ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici volti a far cessare le infrazioni accertate o a rimuoverne le cause, ivi inclusi il divieto di effettuare determinate operazioni e la restrizione delle attività dei soggetti sottoposti a sorveglianza nonché, nei casi più gravi, la sospensione dell’attività. Nei confronti dei soggetti che emettono o gestiscono strumenti di pagamento e di quelli che prestano servizi di pagamento resta fermo quanto previsto ai sensi degli articoli 51, 53, 54, 66, 67, 68, 78, 79, 114-quater, 114-quaterdecies e del titolo VI. La Banca d’Italia partecipa all’esercizio dei poteri conferiti al SEBC in materia di sistemi di pagamento». Come noto, l’art. 146 ha subito una profonda revisione, di forma e di sostanza, con le modifiche introdotte dall’art. 35, co. 18, d.lgs. n. 11/2010,
430
Roberto Cornetta
entrate in vigore il 1° marzo 2010. Revisione che, peraltro, ha interessato l’intero inquadramento normativo della funzione di sorveglianza sul sistema dei pagamenti e sull’emissione di moneta elettronica26. I motivi che sembrano aver indotto il legislatore alla modifica in questione sono molteplici e vanno ricercati innanzitutto nel testo della legge delega n. 88 del 7.7.2009 (che rimanda alla Payment Services Directive e in attuazione della quale è stato adottato il d.lgs. n. 11/2010) e nella Relazione illustrativa concernente il menzionato art. 35, co. 18, d.lgs. n. 11/2010. Si comprende, così, come la modifica dell’articolo 146 sia stata largamente ispirata, in primis, dall’intento di adeguare la funzione di sorveglianza al mutato contesto di riferimento europeo, il quale, principalmente per effetto della PSD e della normativa in tema di Single Euro Payments Area (c.d. SEPA), impone ai legislatori nazionali, con un elevato tasso di doverosa armonizzazione, nuove norme, principi e criteri direttivi nella materia dei servizi di pagamento27. Tale armonizzazione era opportuno si estendesse anche alla disciplina dei soggetti non bancari, sempre più coinvolti nel processo di pagamento e in molti paesi tradizionalmente non sottoposti ad alcuna attività di controllo. In tale scenario è apparso necessario attribuire all’Autorità di sorveglianza funzioni e strumenti parzialmente nuovi. Al riguardo, la Banca d’Italia viene individuata come l’autorità che sarà competente a: autorizzare l’avvio dell’esercizio dell’attività degli istituti di pagamento e gli IMEL; esercitare il controllo sui predetti istituti; verificare il rispetto delle condizioni previste dalla PSD per l’esecuzione delle operazioni di pagamento e di emissione di moneta elettronica; specificare le regole che disciplinano l’accesso ai sistemi di pagamento, assicurando condizioni di parità concorrenziale tra le diverse categorie di prestatori di servizi; emanare la normativa di attuazione del decreto
26 Ai fini dei commenti in esame, si fa riferimento al Quaderno di Ricerca Giuridica n. 77 del novembre 2014, pubblicato da Banca d’Italia, dal titolo La funzione di sorveglianza sul sistema di pagamenti in Italia. Il provvedimento della Banca d’Italia del 18 settembre 2012 sui sistemi di pagamento al dettaglio; ma v. già, anche per alcuni rilievi critici mossi all’art. 146 t.u.b., MANCINI, I compiti affidati alla Banca d’Italia nel mutato scenario dei servizi e dei sistemi di pagamento, in Armonizzazione europea dei servizi di pagamento e attuazione della direttiva 2007/64/CE, a cura di Rispoli Farina, Santoro, Sciarrone Alibrandi e Troiano, Milano, 2009, pp. 165 ss. 27 In proposito, per uno sguardo al contesto eurounitario v. GIMIGLIANO, Mobilizing Payment within the European Union Framework: a legal analysis, in Bitcoin and Mobile Payments: Constructing a European Union Framework, a cura di Gimigliano, Londra, 2016, pp. 73 ss.
431
Saggi
legislativo delegato e recepire afferenti misure adottate dalla Commissione europea. Nella Relazione illustrativa dell’art. 35, co. 18, d. lgs. n. 11/2010, si afferma espressamente che la principale finalità della modifica è quella di «favorire la piena integrazione del mercato europeo dei pagamenti al dettaglio innalzando la qualità dei servizi a vantaggio diretto degli utilizzatori finali»; per ottenere tale risultato il legislatore ha considerato necessarie due tipi di verifiche: «a) quelle riguardanti l’area dell’offerta di servizi di pagamento agli utilizzatori finali; b) quelle connesse con il funzionamento di sistemi di pagamento, con riferimento sia alle regole d’accesso sia alla liberalizzazione dell’attività di gestione dei sistemi stessi». Un ruolo importante sembra aver avuto anche la percezione di una maggiore rischiosità dei servizi di pagamento e delle operazioni connesse all’emissione di moneta elettronica, indotta proprio dai progressi compiuti dall’innovazione tecnologica: il totale affidamento, per la continuità di offerta dei servizi, sul funzionamento ininterrotto delle nuove tecnologie ha imposto uno sforzo di controllo ulteriore e più completo, avente ad oggetto soprattutto il rischio operativo. In definitiva, la liberalizzazione del mercato dei servizi di pagamento – consolidata sulla spinta della Payment Services Directive e accompagnata dalla comparsa di nuovi soggetti – e l’ampliamento della funzione alla tutela dell’utilizzatore dei servizi di pagamento (e delle attività connesse all’emissione di moneta elettronica) hanno reso necessario rafforzare e integrare i poteri dell’Autorità di controllo; il tutto con l’obiettivo ulteriore della «piena integrazione del mercato europeo dei pagamenti al dettaglio». In realtà, era stata già emanata una disciplina attuativa dell’art. 146 del t.u.b., nel novembre 2005 (dal titolo «Disposizioni in materia di vigilanza sui sistemi di pagamento di importo non rilevante»); la riforma dell’art. 146, nel senso di cui si è detto, ha reso necessaria, però, l’emanazione di un nuovo provvedimento attuativo. In primis, la tutela degli utenti si esplica non più solo controllando le caratteristiche degli schemi e il funzionamento dei sistemi di pagamento (o dei sistemi di emissione di moneta elettronica) al “dettaglio” che hanno sede legale e/o operativa in Italia, ma verificando che i sistemi al dettaglio esteri, utilizzati da prestatori italiani e, comunque, offerti a clientela italiana, siano sottoposti a un regime di sorveglianza analogo a quello vigente nel nostro paese. Al contempo, com’è stato evidenziato dalla stessa Banca d’Italia, la disciplina sui sistemi di pagamento al dettaglio aventi sede in Italia è rafforzata, adottando un approccio risk-based sui seguenti profili: i) governance; ii) efficacia dei controlli; iii) esternalizzazione; iv) rischio d’impresa; v)
432
Roberto Cornetta
rischio legale; vi) rischio operativo; vii) accesso; viii) collegamenti. La cornice concettuale di riferimento è rappresentata dai principi CPSSIOSCO per le Financial Market Infrastructures, che rappresentano la best practice internazionale nel controllo dell’attività dei sistemi di compensazione e regolamento28. 2.2. Le “altre attività imprenditoriali” esercitabili dagli IMEL “ibridi”. Ci si è già soffermati sulle condizioni di autorizzazione previste, in via generale, per gli istituti di moneta elettronica. Una specifica considerazione va dedicata, però, alle condizioni di esercizio dell’attività “ibrida” (cioè l’esercizio congiunto di attività di emissione di moneta elettronica e di «altre attività imprenditoriali», per citare l’espressione utilizzata nel t.u.b.29). Si tratta di una deroga al principio consolidata della esclusività dell’oggetto sociale richiesto a quei soggetti regolamentati da Banca d’Italia che svolgono attività riconducibili alle materie sulle quali le autorità di vigilanza creditizie esercitano potestà e controlli. Le origini dei c.d. IMEL ibridi, vanno ricercate in fenomeni di integrazione verticale che si registrano in USA e che vanno inseriti almeno oltreoceano nella tendenza dei rivenditori ad inserire nella propria organizzazione di vendita sistemi autonomi e proprietari di pagamento di beni e servizi offerti ai propri clienti. Si segna almeno in parte un superamento delle tradizionali forme di intermediazione di pagamento con le tradizionali carte di credito e di debito emesse da soggetti terzi rispetto all’organizzazione aziendale.
28 Si fa riferimento al Quaderno di Ricerca Giuridica n. 77 del novembre 2014, pubblicato da Banca d’Italia, dal titolo La funzione di sorveglianza sul sistema di pagamenti in Italia. Il provvedimento della Banca d’Italia del 18 settembre 2012 sui sistemi di pagamento al dettaglio. 29 Si veda l’art. 114 quinquies, co. 4, a norma del quale: «La Banca d’Italia autorizza all’emissione di moneta elettronica soggetti che esercitino anche altre attività imprenditoriali quando: a) ricorrano le condizioni indicate al comma 1, ad eccezione del possesso dei requisiti di professionalità degli esponenti aziendali; b) per l’attività di emissione di moneta elettronica, la prestazione dei servizi di pagamento e per le relative attività accessorie e strumentali sia costituito un unico patrimonio destinato con le modalità e agli effetti stabiliti dagli art. 114-quinquies.1, co. 5, e 114-terdecies; c) siano individuati uno o più soggetti responsabili del patrimonio di cui alla lettera b); ad essi si applica l’articolo 26, comma 3, lettere a) e b)».
433
Saggi
2.3. Integrazione verticale ed analisi economica. Negli Stati Uniti lo studio dei fenomeni di integrazione verticale30 sperimentati e diffusi da sempre nel settore industriale è stato esteso di recente esteso ai mercati finanziari ed al settore downstream del pagamento con moneta elettronica di beni e servizi al dettaglio. Le analisi in altri mercati sono utilizzate per esplorare percorsi alternativi alla tradizionale intermediazione finanziaria tra venditore e consumatore. Si registrano tentativi soprattutto nella distribuzione di beni e servizi di largo consumo, di espungere la mediazione creditizia dal rapporto tra venditore e consumatore per consentire ai large vendors,31 di attrarre la fase di pagamento e regolamentazione del prezzo nella organizzazione aziendale della vendita. Un esempio (e non è l’unico) di come i large vendors si organizzano per integrare i pagamenti nel sistema della vendita, è la Joint Venture societaria costituita dai principali rivenditori di beni di consumo di massa Merchant Customer Exchange («MCX») partecipata in termini consortili da colossi quali WalMart, Target, CVC, Sears, Lowe’s, Sunoco, Wendy, Shell e moltissimi altri, con ricavi aggregati di oltre un trilione di dollari. La piattaforma tecnologica rappresentata da un’applicazione per smartphone svincolata dalla tecnologia NFC è deno-
30 BRENNAN: Vertical Market Power as Oxymoron: horizontal approaches to vertical Antitrust, 2014, p. 895 «Vertical market power is an oxymoron because market power is essentially horizontal (i.e., it depends on relationships between firms within markets). (...) Is the gas supplier the dominant fuel supplier for the acquiring electric company? If yes, the gas company already controls the electricity market, and the convergence merger does not make matters worse. (...) The crucial question is whether the generation partner in a convergence merger was a customer of the gas supplier prior to the acquisition. (...) Only if a prior buyer-seller relationship between the generator and the gas supplier is lacking can a convergence merger increase horizontal control and, hence, market power that can be exercised against electricity users or gas producers. (...) If this first step suggests that a direct merger of the acquiring generator and the acquired gas supplier’s customers would not present a competitive problem, the convergence merger would not lead to the exercise of additional market power against electricity consumers in the relevant market. (...) SoCalGas might not dominate the geographic market we would consider were it merging with another gas company. (...) If the gas supplier is bought by a competitor of its customers, that competitor will now have access to this information». 31 Il tema è ampliamente affrontato oltreoceano. Per una interessante analisi sull’efficienza dei meccanismi di pagamento in contesti fallimentari si può leggere ZYWICKI, Bankruptcy symposium, in The Economics of Credit Cards, Chapman Law Review, 2003, p. 79. Appare chiaro in quel contesto come dato il saldo di interesse senz’altro negativo del contante tenuto in tasca, l’unica plausibile motivazione (irrazionale) per l’utilizzo del contante sia riconducibile all’esigenza di anonimato.
434
Roberto Cornetta
minata CurrentC ed è aperta all’adesione di rivenditori, senza il ricorso alla tradizionale intermediazione finanziaria. La piattaforma MCX seleziona i sistemi di pagamento in tre categorie: l’addebito diretto sul conto corrente del consumatore e la carta di credito e/o di debito Red Target32. Non ammette altre carte e non consente l’uso di applicazioni concorrenti come Apple Pay promettendo risparmi significativi sulle provvigioni a carico di chi vende e di chi acquista. Non si tratta dell’unica piattaforma. Rivenditori e produttori di beni di consumo preferiscono dotarsi di propri sistemi proprietari di pagamento o quanto meno cercano di replicare a valle il fenomeno dell’associazione di imprese (orizzontale) per facilitare l’implementazione di un comune circuito di pagamento in competizione con quelli esistenti. Si assiste così alla proliferazione di forme di integrazione verticale nella catena dei large vendors o di integrazione virtuale, secondo modelli già sperimentati nei tradizionali settori industriali. L’ opzione dell’integrazione verticale per prodotti e servizi complementari era stata oggetto di specifiche riflessioni sin da Cournot. In situazioni di monopolio, (dove il termine monopolio è diluito con la traduzione nella visione di Cournot di “market power”33), la soluzione di
32 Notare che le carte Red Target di credito o di debito possono essere utilizzate soltanto presso gli esercizi commerciali Target o on line sul sito Target ed ora su MCX. Si tratta di supporti diversi dalle cosidette store value cards. Anche queste possono essere utilizzate solo nel negozio associato; ma si tratta di carte al portatore, di importo predefinito e quindi a spendibilità limitata. Aspetti questi che allontano anche sotto il profilo della qualificazione soggettiva (in Europa possono essere emesse da qualunque venditore senza che questi sia IMEL o Istituto di Pagamento). Interessante chiedersi perché mai limitare gli importi dei libretti al portatore a 1000 Euro e consentire ad una sola persona o peggio ad un gruppo associato di fare incetta senza limiti, di carte al portatore, facilmente rivendibili su mercati secondari, anche per ragioni di riciclaggio. Google Pay autorizzata come emittente di moneta elettronica a Londra opera quindi in Italia con carte che possono essere acquistate quasi ovunque da soggetti che abbiano almeno compiuto 13 anni. Possono essere utilizzate per l’acquisto di moneta elettronica emessa da Google Payment Ltd. Per poter utilizzare una carta regalo è sufficiente avere un account google ed avere accesso a Internet. Non ci sono procedure di identificazione e quindi chiunque potrebbe falsificare la propria identità. Le Carte regalo possono essere utilizzate per intero o in parte ed esclusivamente per l’acquisto di moneta elettronica emessa da GPL che è possibile utilizzare per effettuare acquisti su Google Play. 33 KLEIN e CRAWFORD, Vertical Integration, Appropriable Rents and the Competitive Contracting Process, The Journal of Law & Economics, p. 298, secondo cui beni e servizi che diventino sempre più specifici ed appropriabili generano quasi rent. In situazioni di tal natura secondo gli autori il costo del contratto è superiore al costo della integrazione verticale.
435
Saggi
una fusione in un unico soggetto delle fasi complementari o accessorie risulterebbe di maggiori beneficio per i consumatori, a condizione che i beni complementari non siano sostituibili e che quindi il produttore del bene A ed il produttore del bene B siano dotati di significativo potere di mercato. Gli effetti di una fusione verticale sono molto più complessi nel caso in cui si tratti di integrare beni e/o servizi non in monopolio. Applicando i principi appena espressi al caso di specie, un merchant che acquistasse o creasse ex novo una piattaforma di pagamento in presenza di beni o servizi non in monopolio (quando cioè esistano altre piattaforme di pagamento di beni o servizi complementari) non avrebbe incentivi all’integrazione verticale non avvantaggiandosi di surplus particolari né tantomeno riducendo i costi per i consumatori. L’integrazione verticale è una soluzione più vantaggiosa per il merchant solo se quest’ultimo sarà stato in grado di bypassare attraverso la nuova struttura proprietaria gli istituti di pagamento dotati di significativo potere di mercato. Anche qui però il commerciante dotato anch’esso di potere di mercato potrebbe essere indotto a trarre analoghi vantaggi nei risparmi attraverso la negoziazione contrattuale con il titolare del sistema di pagamento di interchange fees34 e costi in generali più contenuti. La scelta allora di integrare verticalmente il processo di pagamento nell’impresa o di esercitare il proprio potere negoziale per spuntare costi di intermediazione inferiori dipende in definitiva dal potere di mercato del merchant, dato per scontato ad oggi l’elevato potere di mercato degli intermediari nei servizi di pagamento. Per ciò che qui rileva l’integrazione nell’impresa del merchant di sistemi proprietari di pagamento potrebbe funzionare a condizione che il proprietario possa esercitare un potere di mercato nei confronti del sistema bancario; e non è un caso che quanti oltreaceano si adoperino per costituire propri sistemi di pagamento siano i large vendors o consorzi in grado di raggruppare numerosi venditori. Sono passati oltre quarant’anni dalle riflessioni principali di Ronald Coase in tema di integrazione verticale e le considerazioni valgono mutatis mutandis nella new economy. Coase parte dall’assunto che le imprese efficienti devono svolgere le attività che risultano più a buon mercato da reperire ed amministrare internamente nell’impresa più di quanto possa esserlo la scelta di acquistare stessi beni e servizi nel mercato. L’alternativa è quin-
34
436
Sul punto cfr. GRANIERI, Two-sided markets, cit. pp. 13-16.
Roberto Cornetta
di tra una contrattazione con l’impresa esterna o la sua incorporazione verticale. L’impatto dei comportamenti opportunistici dopo l’esecuzione di uno dei contratti gioca un ruolo essenziale nel senso che, laddove un asset diventa più specifico e più appropriabile, il quasi rent che ne deriva come corrispettivo per un bene o un servizio (e quindi i possibili guadagni da un aumento di comportamenti opportunistici) fa sì che il costo del contratto aumenti in misura maggiore rispetto al costo della integrazione verticale. Nel sistema di pagamento ciò che viene indicato come quasi rent altro non è che il corrispettivo per la licenza d’uso della carta di credito. Secondo lo schema elaborato da Coase l’efficienza può essere perseguita con una integrazione verticale quando, come detto, il corrispettivo del cosiddetto quasi rent derivante dal contratto di licenza rende il contratto più oneroso rispetto al costo transattivo della integrazione verticale35. Sul punto parrebbe che l’integrazione verticale determini un risparmio per il merchant rispetto al costo del quasi rent. Di qui la giustificazione alla tendenza in atto, almeno oltreoceano, a costruire modelli piattaforme di pagamento da inserire nella catena di vendita dei merchant. Senonché le inclusioni dei sistemi di pagamento che derivano dall’integrazione verticale, più che rendere efficace il lato transattivo del pagamento, appaiono tutto sommato adottate in funzione del miglioramento del volume di vendite, sì che l’integrazione nella catena distributiva si configura alla stregua di un “cavallo di Troia”36. Tutti i programmi di integrazione, infatti, hanno la principale funzione sia di aumentare la quota di mercato dei large vendors attraverso un semplice e noto schema aziendalistico, sia di aumentare il valore aggiunto per i prodotti e servizi offerti servizi. Si fa questo adottando programmi di fidelizzazione, punti, premi, e soprattutto con l’accesso al profilo dei clienti, tutte manovre
35 Si è detto che in assenza di un potere di mercato che consenta una integrazione verticale, non resta che l’opzione di un contratto che genericamente ricondurremo al tipo contratto di licenza. Si pone in tal caso l’esigenza di individuare formule giuridiche che consentano di ridurre i rischi opportunistici rendendo meno appropriabile il quasi rent. Caso tipico è il rapporto giuridico tra Banca ed emittente dove si riscontra la presenza, nei c.d.a. degli emittenti, di rappresentati delle banche contraenti. Cfr. AGCM, decisione del 3 novembre 2010. 36 Cfr. Has Cash Replacement Gone From Being the Philosopher’s Stone to a Trojan Horse? È la domanda che si pone Mehul Desai nel recente volume «August of Money The Quest for Cashless Society», Boston, 2015.
437
Saggi
queste che consentono di acquisire informazioni sugli orientamenti dei consumatori37. Che si tratti di singole integrazioni del pagamento presso un solo venditore o di forme consortili tra diversi large vendors non concorrenti attraverso la costituzione di un veicolo societario cui i venditori partecipano, il fenomeno integrativo non cambia (salvo l’intervento delle autorità antitrust, quando la società comune si propone fini ulteriori rispetto alla semplice piattaforma di e-payment). Ma non tutto si risolve con la semplice exploitation delle preferenze dei consumatori, considerato che gli accordi volti alla creazione di una piattaforma di pagamento tra venditori nel mercato determinano risparmi diretti per i consumatori. Questi casi di integrazione verticale sono sempre più frequenti38. A parte Apple Pay, che in Europa ha adottato la forma di istituto di credito di diritto lussemburghese, anche Walmart ha emesso la propria carta di credito. L’istruttoria da avviare non prevede analisi del merito creditizio, non si pagano commissioni sulle transazioni e non è richiesto l’appoggio presso un conto corrente bancario. Le carte Walmart possono essere munite del logo VISA debit o Master debit card che consentono ai titolari acquisti in qualsiasi esercizio commerciali diversi da Walmart. In Europa carte di questo tipo potrebbe rientrare nella categoria store value cards a spendibilità limitata negli esercizi dell’emittente, anche se la carta Walmart grazie ai loghi VISA e Mastercard potrebbe suggerire una diversa qualificazione del prodotto Walmart.
37 Anche in Italia, nel suo piccolo, nascono iniziative di interfaccia di pagamenti come Uollet (www.uollet.com) che di fatto promuove tramite il pagamento elettronico programmi di fidelizzazione. 38 Inoltre, si pensi, quale esempio di clausola statutaria di integrazione verticale, alla clausola di non discriminazione o no-discrimination rule (NDR) prevista dall’art. 52, par. 3, della citata Direttiva 2007/64 CE a mente del quale «il prestatore di servizi di pagamento non impedisce al beneficiario di imporre una spesa o di proporre una riduzione al pagatore per l’utilizzo di un determinato strumento di pagamento. Tuttavia, gli Stati membri possono vietare o limitare il diritto di imporre spese tenendo conto della necessità di incoraggiare la concorrenza o di promuovere l’uso di strumenti di pagamento efficaci». In argomento, GIMIGLIANO, La disciplina della concorrenza, cit., pp. 269 ss.
438
Roberto Cornetta
2.4. La disciplina positiva degli IMEL ibridi in Italia. L’art. 114-quinquies del t.u.b. riserva, come noto, una specifica previsione riguardo agli IMEL che intendano esercitare anche «altre attività imprenditoriali» (oltre quella di emissione di moneta elettronica). In tal caso, sono previsti requisiti di autorizzazione, per certi versi, mano stringenti. In particolare, l’autorizzazione può essere rilasciata anche qualora non sia comprovato il possesso dei requisiti di professionalità degli esponenti aziendali (richiesto, invece, in via ordinaria per gli IMEL); inoltre, è richiesta la costituzione di un unico patrimonio destinato (sia per l’attività di emissione di moneta elettronica, sia per la prestazione dei servizi di pagamento e per le attività accessorie e strumentali) con le modalità e agli effetti stabiliti dagli art. 114-quinquies.1, co. 5, e 114-terdecies del t.u.b.; sempre con riguardo al patrimonio destinato, si richiede di individuare uno o più soggetti responsabili dello stesso, fermo restando che a tali responsabili si applicheranno i requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza stabiliti con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (sentita la Banca d’Italia) ai sensi dell’art. 26, co. 3, lettere a) e b) del t.u.b. D’altra parte, qualora lo svolgimento delle attività imprenditoriali “altre” (rispetto all’emissione di moneta elettronica) rischi di danneggiare la solidità finanziaria dell’IMEL o «l’esercizio effettivo della vigilanza», la Banca d’Italia può imporre la costituzione di una società ad hoc, che svolga esclusivamente l’attività di emissione di moneta elettronica. Al riguardo, le Disposizioni di Vigilanza rendono più preciso ed esplicito il principio in esame, prevedendo che «nel caso in cui l’istituto presti allo stesso tempo servizi di pagamento o attività di emissione di moneta elettronica e altre attività imprenditoriali, la Banca d’Italia può richiedere che sia costituita una società dedicata esclusivamente alla prestazione dei servizi di pagamento o all’emissione di moneta elettronica, se le attività diverse dai servizi di pagamento o dall’emissione di moneta elettronica danneggiano o rischiano di danneggiare la solidità finanziaria dell’istituto, l’affidabilità e l’efficienza dei servizi di pagamento o dell’emissione di moneta elettronica o la capacità della Banca d’Italia di esercitare i previsti controlli sull’istituto». Nel confronti degli istituti di moneta elettronica che svolgono anche altre attività imprenditoriali (diverse dall’emissione di moneta elettronica e dalla prestazione dei servizi di pagamento), Banca d’Italia esercita i medesimi poteri di vigilanza indicati nell’art. 114-quinquies del t.u.b. (già commentati in precedenza), fermo restando che tali poteri possono essere esercitati sia sull’attività di emissione di moneta elettronica, sia sulla prestazione dei servizi di pagamento e sulle attività connesse e
439
Saggi
strumentali, «avendo a riferimento anche il responsabile della gestione dell’attività e il patrimonio destinato»39. Sempre in tema di regime di vigilanza, le Disposizioni di Vigilanza per gli Istituti di Pagamento e gli Istituti di Moneta Elettronica (emanate con provvedimento di Banca d’Italia del 20 giugno 2012 e successivamente modificato) dettano una disciplina puntuale riguardo, tra l’altro, agli IMEL “ibridi” (sostanzialmente sulla falsariga delle norme sugli istituti di pagamento). In particolare, com’è stato osservato, le regole relative al capitale minimo richiesto e al patrimonio di vigilanza vanno riferite al patrimonio destinato (su cui ci si soffermerà nel seguito). Inoltre, per quanto riguarda l’assetto organizzativo dell’IMEL, da un lato, si prevede l’obbligo di mantenere separata l’attività di emissione di moneta elettronica dalle «altre attività imprenditoriali» (dal punto di vista amministrativo e contabile), dall’altro lato, è consentito, per sfruttare sinergie organizzative, utilizzare risorse (umane, organizzative e tecnologiche) e processi aziendali sia per la prestazione dell’attività «caratteristica», sia per lo svolgimento delle altre attività esercitate. Rimane, tuttavia, ferma l’esigenza di prevedere idonei presidi per assicurare il rispetto della disciplina organizzativa prevista per gli IMEL e gli istituti di pagamento. In particolare, nella citata relazione sulla struttura organizzativa, devono essere indicati i presidi e meccanismi definiti per assicurare che, nell’attività di emissione della moneta elettronica, siano rispettati i requisiti generali di organizzazione e l’adeguatezza del sistema dei controlli interni. Per quanto attiene agli esponenti aziendali, i componenti dell’organo amministrativo devono possedere esclusivamente i requisiti di onorabilità; i soggetti responsabili del patrimonio destinato devono, invece, possedere i requisiti di onorabilità e professionalità previsti per gli amministratori nelle Disposizioni di Vigilanza. Nel caso di IMEL “ibridi”, alla domanda di autorizzazione deve essere allegata una formale delibera costitutiva del patrimonio destinato, approvata dall’organo amministrativo (e non ancora depositata per l’iscrizione nel registro delle imprese). Ottenuta l’autorizzazione e prima
39 Non è chiaro, peraltro, l’effettivo ambito di applicazione di tale norma. Ragionando in parallelo rispetto alla analoga norma in tema di istituti di pagamento, secondo GIMIGLIANO, «la formulazione letterale della norma però non chiarisce se la vigilanza si appunta esclusivamente sull’operato del responsabile del patrimonio destinato, come sarebbe ragionevole, ovvero «anche» su di esso, includendo di conseguenza gli organi sociali della società che ha istituito il patrimonio destinato» (così GIMIGLIANO, sub artt. 114-quaterdecies-114-sexiesdecies, cit., p. 943).
440
Roberto Cornetta
dell’iscrizione nell’albo, l’istituto deve, quindi, inoltrare alla Banca d’Italia il certificato che attesta la data di iscrizione del patrimonio destinato nel registro delle imprese. Banca d’Italia, a sua volta, iscrive l’istituto nell’albo, una volta scaduto il termine entro il quale i creditori sociali anteriori all’iscrizione nel registro delle imprese possono fare opposizione (ai sensi dell’art. 2447-quater c.c.). In caso di opposizione, la Banca d’Italia iscrive l’istituto nell’albo se il Tribunale, nonostante l’opposizione, dispone che la deliberazione sia eseguita. Per il soggetto responsabile del patrimonio destinato, è inviata la medesima documentazione prevista per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione. Per quanto attiene alla organizzazione amministrativa e contabile ed ai controlli interni, fermo restando il ruolo dei competenti organi aziendali, la responsabilità di assicurare che i requisiti generali di organizzazione siano correttamente attuati compete anche al responsabile del patrimonio destinato. Del ruolo e delle funzioni assegnate a tale soggetto deve essere fornita descrizione nella relazione sulla struttura organizzativa. Ai sensi delle Disposizioni di Vigilanza, nel caso in cui un istituto che presta esclusivamente attività di emissione di moneta elettronica, intenda, successivamente, avviare ex novo altre attività imprenditoriali, lo stesso, prima di depositare le modifiche statutarie per l’iscrizione nel registro delle imprese, è tenuto ad inviare a Banca d’Italia la delibera di modifica dello statuto, la delibera di costituzione del patrimonio destinato e una nuova relazione sulla struttura organizzativa. Banca d’Italia rende noto, entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione, se esistono motivi ostativi all’estensione dell’operatività. 2.5. Il capitale iniziale e la dotazione operativa degli IMEL: segregazione patrimoniale e patrimonio destinato «atipico». La disciplina sulle crisi. Le Disposizioni di Vigilanza prevedono che «il capitale minimo iniziale, interamente versato, degli istituti di moneta elettronica è pari a 350 mila euro» (Capitolo II, Sezione II). La previsione (applicabile a tutti gli IMEL, compresi quelli «ibridi»), contrasta, peraltro, visibilmente con quella dettata in merito agli istituti di pagamento (per i quali vengono previsti articolati requisiti in materia di capitale iniziale). Oltre ai requisiti inerenti il capitale minimo, occorre, però, considerare, con specifico riguardo agli IMEL “ibridi”, quelli relativi alla struttura organizzativa e patrimoniale, che gli IMEL devono adottare ai fini di acquisire l’autorizzazione ad operare in Italia.
441
Saggi
Al riguardo, l’art. 114-quinquies.1 del t.u.b. dispone quanto segue. «1. Gli istituti di moneta elettronica registrano per ciascun cliente in poste del passivo, nel rispetto delle modalità stabilite dalla Banca d’Italia, le somme di denaro ricevute dalla clientela per l’emissione di moneta elettronica. 2. Le somme di cui al comma 1 sono investite, nel rispetto delle modalità stabilite dalla Banca d’Italia, in attività che costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’istituto di moneta elettronica. Su tale patrimonio distinto non sono ammesse azioni dei creditori dell’istituto di moneta elettronica o nell’interesse degli stessi, né quelle dei creditori dell’eventuale soggetto presso il quale le somme di denaro sono depositate. Le azioni dei creditori dei singoli clienti degli istituti di moneta elettronica sono ammesse nel limite di quanto registrato ai sensi del comma 1. Se le somme di denaro ricevute per l’emissione di moneta elettronica sono depositate presso terzi non operano le compensazioni legale e giudiziale e non può essere pattuita la compensazione convenzionale rispetto ai crediti vantati dal depositario nei confronti dell’istituto di moneta elettronica. 3. Ai fini dell’applicazione della disciplina della liquidazione coatta amministrativa all’istituto di moneta elettronica, i detentori di moneta elettronica sono equiparati ai clienti aventi diritto alla restituzione di strumenti finanziari. 4. Per la prestazione dei servizi di pagamento da parte degli istituti di moneta elettronica si applica l’articolo 114-duodecies. 5. Gli istituti di moneta elettronica che svolgano anche altre attività imprenditoriali diverse dall’emissione di moneta elettronica e dalla prestazione dei servizi di pagamento, autorizzati ai sensi dell’articolo 114-quinquies, comma 4, costituiscono un patrimonio destinato unico per l’emissione di moneta elettronica, la prestazione dei servizi di pagamento e per le relative attività accessorie e strumentali. A tale patrimonio destinato si applica l’articolo 114-terdecies, anche con riferimento all’emissione di moneta elettronica». Appare evidente, dunque, che, nel caso degli IMEL che svolgono anche «altre attività imprenditoriali» (IMEL “ibridi”), il legislatore ha inteso fornire una garanzia patrimoniale specifica in favore dei clienti dei servizi connessi all’emissione di moneta elettronica. In altri termini, è stata scartata l’opzione di imporre agli IMEL la costituzione di due distinti soggetti giuridici (l’uno dedicato all’emissione di moneta elettronica e l’altro allo svolgimento delle «altre attività imprenditoriali»), ammettendo la concentrazione di entrambe le attività (per quanto disomogenee tra loro) in un unico soggetto giuridico. Al fine di contemperare, però,
442
Roberto Cornetta
tale esigenza (di semplificazione e razionalizzazione) con quella di tutela dei clienti dell’attività «caratteristica», si è scelto di imporre la creazione di un patrimonio destinato. Resta da verificare, però, quali siano le caratteristiche del patrimonio destinato cui si riferisce il t.u.b. e, soprattutto, se questo possa intendersi assimilato a quello «tipico», previsto dagli articoli 2447-bis e seguenti c.c., introdotto dalla riforma del diritto societario del 2003. Il tema è tanto più delicato, se si considera che, ai sensi del quinto comma della norma in commento, «A tale patrimonio destinato si applica l’articolo 114-terdecies, anche con riferimento all’emissione di moneta elettronica»: la norma richiamata, a sua volta, al co. 7-bis, precisa che «ai patrimoni destinati costituiti ai sensi del presente articolo si applicano esclusivamente le disposizioni del codice civile espressamente richiamate». Tale precisazione (volta ad escludere che possano applicarsi agli IMEL norme codicistiche incompatibili con la natura del patrimonio destinato proprio di tali istituti) sembra, dunque, voler rimarcare una distinzione, appunto, tra la figura prevista, in via generale, dal codice civile e quella contemplata dal t.u.b., in relazione agli IMEL. La norma del codice civile, come noto, permette di “parcellizzare” il patrimonio della società in “comparti” distinti, isolando i rapporti giuridici inerenti a ciascun comparto sotto il profilo della responsabilità. Il principio è, come noto, stabilito in deroga a quello dettato dall’art. 2740 c.c., secondo il quale il debitore deve rispondere delle sue obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. In sostanza, con il patrimonio destinato, si finisce per creare (anziché, come detto, una scissione dal punto di vista della soggettività giuridica) una sorta di vincolo reale (o «di destinazione») sui beni destinati all’esecuzione di uno specifico affare (tali beni, in altri termini, non vengono trasferiti, in senso stretto, da un soggetto ad un altro, ma solo segregati, dal punto di vista contabile, amministrativo e delle responsabilità civilistiche, nell’ambito di uno stesso soggetto): per le obbligazioni sorte in connessione a tale affare, la società dovrà rispondere soltanto con quella porzione di patrimonio vincolata alla funzione di garanzia di tali obbligazioni. Una volta adempiuti gli obblighi pubblicitari previsti dalla norma (ovvero sia definita con esito favorevole la eventuale fase di opposizione da parte dei creditori sociali, ai sensi dell’art. 2447-quater, co. 2 c.c.), sul patrimonio così “segregato” possono vantare diritti unicamente i soggetti che siano creditori dell’IMEL in relazione dell’attività di emissione di moneta elettronica. Orbene, proprio da tale considerazione emerge il (fondamentale) elemento di distinzione tra i due patrimoni destinati. Ai sensi dell’art. 114-terdecies, co. 3, t.u.b. (reso applicabile, come detto, anche agli IMEL,
443
Saggi
pur se dettato con riguardo agli istituti di pagamento40), in caso di incapienza del patrimonio destinato, l’IMEL risponde anche con il proprio patrimonio delle obbligazioni nei confronti degli utenti dei servizi di emissione di moneta elettronica e di quanti vantino diritti derivanti dall’esercizio delle attività accessorie e strumentali. Ne deriva, dunque, che con il patrimonio destinato costituito dagli IMEL, si consente agli utenti dei servizi core di aggredire sia lo stesso patrimonio “segregato”, sia (in caso di incapienza di quest’ultimo) il patrimonio dell’IMEL (genericamente inteso) e, dunque, i fondi propri. In altri termini, in virtù delle citate norme, gli IMEL sono tenuti a rispondere con tutto il proprio patrimonio nei confronti degli utenti del servizio di emissione di moneta elettronica: più esattamente, mentre i creditori relativi all’attività non core non possono aggredire il patrimonio destinato all’attività di emissione di moneta elettronica, i creditori legati a quest’ultima attività possono rivalersi sia sul patrimonio destinato, sia (in caso di sua incapienza) sul patrimonio principale. Ne deriva, dunque, pur nel rispetto del principio di sussidiarietà (nell’aggressione del patrimonio principale rispetto al patrimonio destinato), una fondamentale distinzione tra la figura codicistica e quella prevista dal t.u.b. La prima, infatti, non consente ai creditori del patrimonio destinato di rivalersi anche sul patrimonio “principale”, mentre la seconda sì. Sulla base di tale elemento, la dottrina ha sollevato serie perplessità sulla riconducibilità del patrimonio destinato degli IMEL all’istituto previsto dal codice civile41. Un altro elemento di distinzione può essere individuato nella mancanza di un limite quantitativo (o, più esattamente, di valore), riferito al patrimonio destinato, rispetto al valore del patrimonio complessivo
40 Per il profilo della segregazione patrimoniale richiesta agli istituti di pagamento si rinvia a SANTORO, Gli istituti di pagamento, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, a cura di Rispoli Farina, Santoro, Sciarrone Alibrandi e Troiano, Milano, 2009, pp. 49 ss.; mentre per un commento all’art. 114-terdecies t.u.b., PAPA, Sub articolo 33, art. 114-terdecies Tub, Patrimonio destinato, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., Torino, 2011, pp. 477 e ss. 41 Cfr., sia pur con riferimento ai servizi di pagamento, SANTORO, SCIARRONE e ALIBRANDI, La nuova disciplina sui servizi di pagamento dopo il recepimento della Direttiva 2007/64/ CE (d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11), in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I, p. 347; SCIPIONE, Sub artt. 114-duodecies e terdecies, in Commento al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Tomo II, a cura di Costa, Torino, 2013, p. 1271; ALFANO, Sub artt. 114-duodecies e 114-terdecies, in: Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Capriglione, Padova, 2012, p. 1622.
444
Roberto Cornetta
della società. Infatti, l’art. 2447-bis, co. 2, c.c. prevede che il patrimonio destinato («classico») non possa essere costituito per un valore superiore al dieci percento del valore del patrimonio complessivo del soggetto giuridico in questione. Al contrario, tale limite quantitativo non compare nel t.u.b. (che, anzi, esclude l’applicazione per analogia del codice civile, salvo laddove vi sia un richiamo espresso): si ritiene che, verosimilmente, il legislatore non abbia avvertito l’esigenza di limitare in via generale il valore del patrimonio destinato, in quanto, nel caso qui in esame, verrebbero meno (sia pur in parte) le esigenze di tutela dei creditori “generali” della società (rispetto a quelli interessati dall’affare cui si riferisce la segregazione patrimoniale). Nel caso degli IMEL, infatti, si presuppone che il patrimonio destinato sia legato, come detto, all’attività core (e non si configuri come una mera opzione, ma come un vero e proprio obbligo, vincolante ab initio). Sempre riguardo agli elementi di diversità tra i due istituti, va menzionato anche il maggior grado di flessibilità concesso agli IMEL (rispetto a quanto previsto nel codice civile): ai fini della costituzione del patrimonio destinato, infatti, è necessaria l’adozione (a maggioranza assoluta) di una delibera dell’organo amministrativo dell’istituto (salva la possibilità di stabilire, in statuto, una diversa competenza o un diverso quorum deliberativo), che deve indicare i beni e i rapporti giuridici compresi nel patrimonio stesso e le modalità con le quali variarne, se del caso, la composizione. Tale flessibilità sembra contrastare, in parte, con la rigidità dell’impostazione codicistica (giustificata, verosimilmente, dall’esigenza di tutela dei creditori, divisi in due gruppi distinti: creditori del patrimonio destinato e creditori sociali genericamente intesi). D’altra parte, la riconducibilità del patrimonio destinato degli IMEL alla figura civilistica ha rilevanti implicazioni pratiche, specie nel caso in cui venga dichiarato lo stato di insolvenza dell’istituto e si apra una procedura fallimentare. In tal caso, i diritti dei terzi creditori dovrebbero essere identificati alla luce della normativa contenuta nel R.D.267/1942 (con particolare riguardo agli art. 155 e 156), che, però, prevede norme applicabili solo al patrimonio destinato codicistico. Di conseguenza, qualora si ritenesse applicabile la normativa civilistica sul patrimonio destinato (pur considerando le già illustrate differenze tra i due istituti), si potrebbero applicare le norme contenute nella legge fallimentare; diversamente, ci troveremmo di fronte ad un vuoto normativo, eventualmente colmabile con l’interpretazione analogica delle norme esistenti (si è già detto, però, delle resistenze del legislatore ad una estensione analogica degli artt. 2447-bis e seguenti c.c. agli IMEL).
445
Saggi
La disciplina contenuta nella legge fallimentare (che, come detto, si riferisce esclusivamente al patrimonio destinato di cui agli articoli 2447bis e seguenti c.c.) distingue a seconda che, al momento della dichiarazione di fallimento (o, comunque, nel corso della gestione da parte del curatore fallimentare), il patrimonio destinato sia capiente (in tal caso, si applicherà l’articolo 155 l.fall.) o meno (in tal caso, troverà applicazione, invece, l’art. 156). Ai sensi dell’art. 155 l.fall., «se è dichiarato il fallimento della società, l’amministrazione del patrimonio destinato previsto dall’articolo 2447bis, primo comma, lettera a), del codice civile è attribuita al curatore che vi provvede con gestione separata. Il curatore provvede a norma dell’articolo 107 alla cessione a terzi del patrimonio, al fine di conservarne la funzione produttiva. Se la cessione non è possibile, il curatore provvede alla liquidazione del patrimonio secondo le regole della liquidazione della società in quanto compatibili. Il corrispettivo della cessione al netto dei debiti del patrimonio o il residuo attivo della liquidazione sono acquisiti dal curatore nell’attivo fallimentare, detratto quanto spettante ai terzi che vi abbiano effettuato apporti, ai sensi dell’articolo 2447-ter, primo comma, lettera d), del codice civile». In parallelo a tale norma, va letto l’art. 114-terdecies, co. 5 t.u.b., che prevede (più sinteticamente rispetto all’art. 155 l.fall.) che l’amministrazione del patrimonio destinato venga attribuita, in caso di procedura fallimentare, agli organi della procedura, «che provvedono con gestione separata alla liquidazione dello stesso secondo le regole ordinarie». In caso di incapienza del patrimonio destinato, come detto, trova applicazione, invece, il successivo art. 156, che prevede quanto segue. «Se a seguito del fallimento della società o nel corso della gestione il curatore rileva che il patrimonio destinato è incapiente provvede, previa autorizzazione del giudice delegato, alla sua liquidazione secondo le regole della liquidazione della società in quanto compatibili». Nello scenario preso in esame dall’art. 156, è interessante notare che i creditori particolari del patrimonio destinato possono comunque insinuarsi al passivo del fallimento della società (chiedendo, dunque, di fatto, la soddisfazione dei propri crediti su tutti gli attivi del fallimento, non solo su quelli che costituivano parte del patrimonio destinato), sia pure solo «nei casi di responsabilità sussidiaria o illimitata previsti dall’articolo 2447-quinquies, terzo e quarto comma, del codice civile». Se risultano violate le regole di separatezza fra uno o più patrimoni destinati costituiti dalla società e il patrimonio della società medesima, il curatore può agire in responsabilità contro gli amministratori e i componenti degli organi di controllo della società ai sensi dell’articolo 146».
446
Roberto Cornetta
Nel contempo, l’arti. 114-terdecies, co. 5, t.u.b. (applicabile, come detto, anche agli IMEL) disciplina la sorte degli «ordini di pagamento» (nel caso qui in esame, gli atti relativi all’emissione di moneta elettronica) e delle «attività accessorie e strumentali a valere sul patrimonio destinato». In sostanza, si prevede che gli atti (gli «ordini») avviati prima della data di apertura della procedura fallimentare devono essere elaborati, eseguiti e condotti a termine, in regime di continuità, dagli organi della procedura. Al contrario, al curatore sembrerebbe preclusa l’immissione nel sistema di qualsiasi nuovo atto o ordine (in quanto successivo a tale data), che deve, quindi, essere rifiutato dall’operatore insolvente. Lo stesso art. 114-terdecies t.u.b., infine, prevede la possibilità, per gli organi della procedura, di «trasferire o affidare in gestione» a banche o altri intermediari autorizzati i beni e i rapporti giuridici ricompresi nel patrimonio destinato e le relative passività. Ai fini della liquidazione del patrimonio destinato, gli utenti del servizio di emissione di moneta elettronica sono equiparati ai clienti aventi diritto alla restituzione di strumenti finanziari e trova applicazione l’art. 91, co. 2 e 3 del t.u.b. (con la conseguenza che, tra l’altro, agli utenti vengono riconosciuti gli importi in proporzione ai propri diritti, a condizione che risulti rispettata la separazione tra patrimonio “generale” e patrimonio destinato; agli utenti, viene riconosciuto, inoltre, il diritto di concorrere con i creditori chirografari del patrimonio generale, per la parte rimasta insoddisfatta, ovvero per l’intero, qualora non sia stata rispettata la separazione). A Banca d’Italia viene, poi, conferito il potere di nomina di un eventuale liquidatore del patrimonio, che affianchi gli organi della procedura, previo coordinamento con il Tribunale competente (presso il quale è radicata la procedura concorsuale). 2.6. IMEL “ibridi” con natura finanziaria e senza natura finanziaria. Le già citate Disposizioni di Vigilanza sugli istituti di pagamento e gli IMEL contengono previsioni ad hoc dedicate ai c.d. IMEL “ibridi”. In particolare, pur senza fornire definizioni applicabili in via generale, si prevede una distinzione tra IMEL ibridi con natura finanziaria e senza natura finanziaria, a seconda che gli istituti che vengono in rilievo siano anche iscritti, rispettivamente, all’elenco speciale di cui all’art. 107 t.u.b. o meno. Il tema è particolarmente delicato in quanto, nel caso di contemporaneo esercizio di attività di emissione di moneta elettronica e di intermediazione finanziaria (nei termini previsti dagli art. 106 e 107 t.u.b.), finisce per crearsi una sovrapposizione di due distinte discipline (con requisiti e limitazioni diverse tra loro), con l’ovvia esigenza di un
447
Saggi
coordinamento che permetta di evitare inconvenienti applicativi. Basti pensare, a titolo di esempio, ai potenziali conflitti tra la disciplina contenuta nella «Istruzioni di Vigilanza per gli Intermediari Finanziari iscritti nell’Elenco Speciale» (si veda la Circolare di Banca d’Italia n. 216 del 5 agosto 1996) e le già citate Disposizioni di Vigilanza. Le Disposizioni di Vigilanza prevedono che agli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale, autorizzati alla prestazione di servizi di pagamento (o all’emissione di moneta elettronica) si applicano le «Istruzioni di Vigilanza per gli Intermediari Finanziari iscritti nell’Elenco Speciale» (si veda la Circolare di Banca d’Italia n. 216 del 5 agosto 1996) e, contemporaneamente, la quasi totalità (con qualche limitata eccezione) delle disposizioni menzionate nel Capitolo X, Paragrafo 2 delle medesime Disposizioni di Vigilanza (cioè, in sostanza, i requisiti relativi al capitale minimo richiesto, l’obbligo di trasmissione dei bilanci e delle segnalazioni periodiche e i requisiti degli esponenti aziendali). Nel caso di IMEL “ibridi” iscritti all’elenco speciale, però, si deve tener conto delle seguenti precisazioni: - gli intermediari tenuti all’iscrizione nell’elenco speciale previsto dall’art. 107 del Testo Unico Bancario, che intendano prestare anche servizi di pagamento ovvero emettere moneta elettronica, possono presentare, contestualmente alla domanda di iscrizione nell’«Elenco Speciale», quella di autorizzazione alla prestazione di servizi di pagamento e all’emissione di moneta elettronica; - per quanto attiene ai requisiti dei partecipanti al capitale dell’intermediario, si applicano unicamente le Disposizioni di Vigilanza. Non trovano quindi applicazione le disposizioni in materia contenute nella Parte Prima, Capitolo II, delle «Istruzioni di Vigilanza per gli Intermediari Finanziari iscritti nell’Elenco Speciale», che prevedono una articolata disciplina sull’identificazione dei soci e sui relativi requisiti di onorabilità; - per quanto attiene all’organizzazione amministrativa e contabile e ai controlli interni, si applicano le Disposizioni di Vigilanza (ove confliggenti con le «Istruzioni»), «tenendo conto degli specifici profili di rischio derivanti dall’esercizio delle attività previste dall’articolo 106 del Testo Unico Bancario». Inoltre, in aggiunta alle Disposizioni di Vigilanza, si applica quanto previsto nelle «Istruzioni di Vigilanza per gli Intermediari Finanziari iscritti nell’«Elenco Speciale»», Parte Prima, Capitolo VI, Sezione II, par. 6 (in materia di «Distribuzione di prodotti e servizi»), Sezione III (in materia di «Principi organizzativi da osservare in relazione a specifiche attività»), Sezione IV, Allegato A (contenente uno «Schema della relazione sulla struttura organizzativa») limitatamente alla parte III (dal titolo «Gestione dei rischi»);
448
Roberto Cornetta
- la disciplina prudenziale prevista nelle «Istruzioni di Vigilanza per gli Intermediari Finanziari iscritti nell’Elenco Speciale» si applica all’attività aziendale nel suo complesso, compresa la prestazione dei servizi di pagamento e l’emissione di moneta elettronica. Non trovano, quindi, applicazione le disposizioni indicate nel Capitoli V («disciplina prudenziale») delle Disposizioni di Vigilanza. Gli IMEL godono, pertanto, in tal caso, di una esenzione da un ampio settore della normativa regolamentare, con conseguente beneficio dal punto di vista delle procedure interne e di compliance. Gli IMEL sono, infatti, in tal caso, esenti dalle norme in materia di patrimonio di vigilanza, requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito, meccanismi di attenuazione del rischio di credito, limitazioni relative alle operazioni di cartolarizzazione, meccanismi di mitigazione del rischio di controparte, requisiti patrimoniali a fronte del rischio di mercato, requisiti patrimoniali a fronte del rischio di cambio, requisiti patrimoniali a fronte dei rischi operativi, limiti alla concentrazione dei rischi, processi di controllo prudenziale e informativa al pubblico. Trovano, invece, applicazione le Disposizioni di Vigilanza, che prevedono (meno stringenti) requisiti in merito al patrimonio di vigilanza e al requisito patrimoniale a fronte dell’emissione di moneta elettronica (capitolo V, Sezione II, paragrafo 2 delle Disposizioni di Vigilanza). 2.7. I c.d. IMEL “a operatività ridotta”. In linea con quanto previsto dall’art. 9 della Direttiva, l’art. 114-quinquies t.u.b. prevede quanto segue: «1. La Banca d’Italia può esentare gli istituti di moneta elettronica dall’applicazione di disposizioni previste dal presente titolo, quando ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) le attività complessive generano una moneta elettronica media in circolazione non superiore al limite stabilito dalla Banca d’Italia in base al piano aziendale dell’istituto di moneta elettronica; tale limite in ogni caso non supera i 5 milioni di euro; b) coloro che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo nell’istituto di moneta elettronica non hanno subito condanne per riciclaggio di denaro o finanziamento del terrorismo o altri reati finanziari. 2. La Banca d’Italia può prevedere limiti di avvaloramento degli strumenti di moneta elettronica emessi dagli istituti di cui al comma 1. 3. Gli istituti di moneta elettronica esentati ai sensi del comma 1 non beneficiano delle disposizioni per il mutuo riconoscimento.
449
Saggi
4. La Banca d’Italia stabilisce le procedure che i soggetti di cui al comma 1 seguono per comunicare ogni variazione delle condizioni di cui al comma 1 nonché le modalità con le quali devono essere comunicati i volumi operativi di cui al comma 1, lettera a). 5. Gli istituti di moneta elettronica esentati ai sensi del comma 1 possono prestare servizi di pagamento soltanto ove ricorrano le condizioni previste dall’articolo 114-sexiesdecies». In esercizio dei poteri contemplati dalla norma citata, Banca d’Italia ha emanato un’analitica disciplina sugli IMEL “ad operatività limitata”, prevedendone una definizione normativa e precisando l’ambito di applicazione, agli stessi IMEL, della normativa in materia di istituti di moneta elettronica (tenuto conto dell’opportunità di restringere l’ambito di operatività di tali istituti e, nel contempo, di prevedere facilitazioni procedurali e amministrative). Ai sensi delle Disposizioni di Vigilanza, per «istituti di moneta elettronica a operatività limitata», devono intendersi gli IMEL la cui moneta elettronica media in circolazione non superi i 5 milioni di euro. Al fine di accertare il superamento della soglia, le Disposizioni di Vigilanza precisano che «in fase di autorizzazione dell’istituto di moneta elettronica, tale condizione è verificata sulla base dell’importo complessivo della moneta elettronica in circolazione prevista nel bilancio di previsione allegato al programma di attività». Inoltre, come precisato nel Capitolo V, Sezione II, Paragrafo 2 delle medesime Disposizioni, per «moneta elettronica media in circolazione», deve intendersi «pari alla media dell’importo totale delle passività finanziarie a fronte della moneta elettronica emessa alla fine di ogni giorno nel corso dei sei mesi precedenti, calcolata il primo giorno del mese successivo alla fine del semestre e applicata a tale mese». L’inclusione nell’ambito degli IMEL «a operatività limitata» comporta implicazioni di grande rilievo, dal punto di vista dell’ampiezza delle attività esercitabili dall’istituto. L’istituto di moneta elettronica a operatività limitata, infatti: «i) non può operare in altri paesi mediante lo stabilimento di succursali, l’impiego di soggetti convenzionati o in regime di libera prestazione di servizi; ii) se intende prestare servizi di pagamento non connessi con l’emissione di moneta elettronica, rispetta le condizioni indicate al precedente alinea». Inoltre, gli istituti di moneta elettronica a operatività limitata sono tenuti ad emettere moneta elettronica con un limite di avvaloramento per cliente di 150 euro. Agli istituti di moneta elettronica a operatività limitata si applicano le Disposizioni di Vigilanza. In merito alla disciplina applicabile, devono essere, però, fatte le seguenti precisazioni:
450
Roberto Cornetta
- la disciplina prudenziale, prevista nel Capitolo V delle Disposizioni di Vigilanza, non trova applicazione; - il patrimonio di vigilanza non può mai essere inferiore al livello del capitale iniziale minimo richiesto per la costituzione dell’istituto; - nel caso in cui l’IMEL intenda prestare anche servizi di pagamento, non sono applicabili i requisiti in materia di tutela dei fondi ricevuti dai clienti, previsti nel Capitolo IV, Sezione II delle Disposizioni di Vigilanza; - come previsto dall’art. 114-quinquies.4 t.u.b., agli IMEL ad operatività ridotta è preclusa l’operatività transfrontaliera (non beneficiando delle disposizioni in materia di mutuo riconoscimento). La Banca d’Italia, inoltre, nella valutazione delle soluzioni organizzative prospettate dagli istituti di moneta elettronica a operatività limitata, «tiene conto del minor livello di complessità dell’attività svolta da tali soggetti, ferma restando l’esigenza di preservare condizioni atte ad assicurare la sana e prudente gestione dell’istituto nonché la corretta prestazione dell’attività di emissione di moneta elettronica, nonché il corretto adempimento degli obblighi in materia di riciclaggio e finanziamento al terrorismo». In caso di successivo superamento della soglia dell’ammontare di moneta elettronica media in circolazione, gli istituti di moneta elettronica a operatività limitata sono tenuti a darne notizia alla Banca d’Italia, entro trenta giorni dal verificarsi di tale circostanza, e si adeguano alle disposizioni degli istituti di moneta elettronica «ad operatività completa» (oppure, in alternativa, dismettono l’attività) entro i successivi sessanta giorni.
3. Conclusioni. La nuova normativa contribuisce a dare sostanza e dettaglio alle regole di principio contenute nella precedente del 2007. Basti pensare all’elenco delle attività cosiddette esenti dall’applicazione della direttiva e cioè le attività che l’impresa non bancaria svolge senza la necessità di alcuna autorizzazione (e controllo) da parte della banca centrale. Indicativo il caso del principio di esclusione relativo alle reti limitate, contenuto nella direttiva del 2007 e nell’art. 2, lett. m) del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11. In base a tale disposizione, sono esenti da autorizzazioni e controlli dell’autorità di vigilanza i servizi basati su strumenti che possono essere utilizzati per acquistare beni o servizi solo nella sede utilizzata dall’emittente o in base ad un accordo commerciale con l’emittente, all’interno
451
Saggi
di una rete limitata di prestatori di servizi o per una gamma limitata di beni o servizi. In questi anni abbiamo assistito alla proliferazione dell’offerta di prodotti e di servizi alquanto generalizzata, da parte di soggetti che operavano in regime di esenzione. Cosicché si è constatato che spesso le attività di pagamento esenti, in quanto riferite a reti limitate spesso implicano volumi di pagamento significativi ed offrono ai consumatori migliaia di prodotti e servizi diversi. Posta tale constatazione contenuta nei considerando della direttiva del 2015, sembrerebbe che il criterio adottato sia ora ispirato ad un restringimento delle attività esenti. In effetti, tra il 2007 ed il 2015 vi state di mezzo l’esplosione improvvisa della crisi finanziaria che quantomeno ha riportato alla ribalta il ruolo fondamentale della regolamentazione e dei controlli anche a discapito dell’utilizzo del sistema dei pagamenti elettronici per finalità che solo per successive approssimazioni tendono ad avventurarsi su territori di prossimità all’intermediazione creditizia, essendo il sistema di pagamento non più ancillare all’attività commerciale dell’imprenditore ma diventando la finalità, oggetto stesso dell’attività. Il discrimina non sembrerebbe dato dalla trasformazione dello strumento di pagamento originariamente concepito ad uso specifico in uno strumento più generale vale a dire all’assunzione del sistema di pagamento quale oggetto dell’attività d’impresa. In tal caso si è fuori dell’esenzione a prescindere dalla valutazione che la rete sia limitata o meno. Sono trascorsi sette anni, che in termini di evoluzione delle tecnologie di rete nel web e nell’uso di strumenti mobili di pagamento sono tantissimi. In questi anni si è assistito ad una proliferazione di strumenti di pagamento ma v’è stata di mezzo una finanziaria globale senza precedenti che ha riportato alla ribalta il dibattito apparentemente sopito del ruolo delle autorità di vigilanza e del carattere di interesse pubblico esercitata della banca. Si fa fatica ad adeguare in questo settore una normativa unitaria e transnazionale ai cambiamenti tecnologici ed agli usi e costumi dei cittadini della comunità europea; abitudini, che variano esponenzialmente tra gli stessi stati membri a seconda che dal nord Europa ci si muova a sud ai confini meridionali dell’impero.
ROBERTO CORNETTA
452
COMMENTI
Impugnazione della deliberazione dell’organo di indirizzo di fondazione bancaria TRIBUNALE
DI
NAPOLI, ordinanza 5 febbraio 2018; Giud.des. DE MATTEIS
Fondazione bancaria – Consiglio Generale – Nomina di un componente da parte della Regione – Deliberazione del Consiglio contraria alla nomina per ragioni di incompatibilità – Impugnazione – Legittimazione dell’interessato – Sussiste – Giurisdizione del giudice ordinario (Cod. civ., art. 25; d. lgs. 17 maggio 1999, n. 153, art. 4) Fondazione bancaria – Consiglio Generale – Nomina di un componente da parte della Regione – Deliberazione del Consiglio contraria alla nomina per ragioni di incompatibilità – Impugnazione avanti il Tribunale – Istanza ex art. 700 c.p.c. – Sospensione cautelare della deliberazione – Possibilità – Accertamento in via d’urgenza dell’insussistenza di ragioni di incompatibilità – Possibilità – Fattispecie (Cod. civ., art. 25; d. lgs. 17 maggio 1999, n. 153, art. 4) Il soggetto che sia stato nominato dalla Regione componente del Consiglio Generale di una fondazione bancaria è legittimato ad impugnare davanti al giudice ordinario la deliberazione con la quale il medesimo Consiglio si sia espresso in senso contrario alla nomina per ragioni di supposta incompatibilità. (1) Il tribunale avanti il quale sia stata impugnata dall’interessato la deliberazione con la quale il Consiglio Generale di una fondazione bancaria si sia espresso in senso contrario alla nomina di un suo componente da parte della Regione, per ragioni di supposta incompatibilità, può cautelarmente sospendere tale deliberazione e accertare in via d’urgenza l’insussistenza delle suddette ragioni (nella specie è stato in particolare ritenuto che non costituisse ragione di incompatibilità l’avere quel componente, in passato, patrocinato iniziative giudiziarie nei confronti di banche partecipate dalla Fondazione). (2)
453
Commenti
(Omissis) 1. F.F., con atto di citazione notificato l’11.7.2017 ha chiesto, tra l’altro, di “1. accertare e dichiarare la invalidità e/o l’inefficacia della deliberazione del Consiglio Generale della Fondazione Banco di Napoli di mancata ratifica (o comunque di esclusione dallo stesso Consiglio) del Avv. Prof. F.F., di cui al verbale del 27.4.2017 e, per l’effetto, accertare e dichiarare l’avvenuta nomina dello stesso quale componente del Consiglio Generale della fondazione medesima; 2. accertare e dichiarare l’avvenuta decadenza dalla carica di Presidente pag.t. della Fondazione Banco di Napoli del (omissis) per le ragioni di cui in narrativa”. Con ricorso ex art. 700 c.p.c. ha chiesto di “1. sospendere la deliberazione del Consiglio Generale della Fondazione Banco di Napoli di mancata ratifica (o comunque di esclusione dallo stesso Consiglio) del (omissis), di cui al verbale del 27.4.2017 e, per l’effetto, accertare l’avvenuta ratifica dello stesso quale componente del Consiglio Generale della fondazione medesima ed ordinare la sua partecipazione all’organo; 2. accertare e dichiarare l’avvenuta decadenza dalla carica di Presidente pag.t. della Fondazione Banco di Napoli del (omissis) per le ragioni di cui in narrativa ed inibirli ogni attività gestionale e\o rappresentativa dell’ente od in subordine ordinare all’ente di provvedere alla declaratoria della relativa decadenza con tutti gli effetti derivanti”. In parte qua, la domanda di merito e quella cautelare sono perfettamente speculari. 2. Con riguardo alla domanda sub 1, D.M., personalmente (e non già nella qualità di Presidente del Consiglio
454
di Amministrazione della Fondazione), pur non essendo legittimato a prendere posizione sulla predetta domanda di annullamento della delibera adottata dal Consiglio Generale il 27.4.2017, ha evidenziato due questioni assertivamente rilevabili d’ufficio: (i) la prima relativa alla nomina (su istanza del ricorrente) ex art. 78 c.p.c. di un curatore speciale della Fondazione pur in mancanza dei richiesti requisiti; (ii) la seconda relativa al difetto di legittimazione (e di interesse) all’impugnativa della delibera del 27.4.2017 non essendo il ricorrente componente del Consiglio Generale della Fondazione (v. memoria di costituzione) ovvero associato della Fondazione (v. note del 20.12.2017 pag. 4) e ad ogni modo perché, pur volendolo considerare un componente del Consiglio Generale, il legislatore all’art. 23 c.c. avrebbe “inteso riferirsi all’organo come tale e non ai suoi singoli componenti. Se pertanto l’organo è collegiale l’istanza per l’annullamento va proposta collegialmente” (v. note del 20.12.2017 pag. 4). 2.1. La prima questione, attinente alla regolarità del contraddittorio, non sembra - allo stato degli atti e salvo successivo approfondimento - deporre in senso diverso da quello indicato nel decreto con cui il Presidente del Tribunale in data 28.11.2017 ha respinto l’istanza di revoca ex art. 742 c.p.c. del provvedimento di nomina in questione (è, infatti, sufficiente, perché si individui il paventato conflitto di interessi, “la possibilità che il potere rappresentativo sia esercitato dal rappresentante in contrasto con l’interesse del rappresentato e, quindi, anche, se il conflitto si configuri come solo potenziale”: Cass. 10822/2001; nel medesimo senso depone il parere del prof. L. del 5.4.2017, posto dal (omissis)
Tribunale di Napoli
a fondamento della tesi della incompatibilità del Prof. F.F. all’assunzione della carica di componente del Consiglio Generale della Fondazione). Peraltro, diversamente da quanto preconizzato dal D.M. (v. pag. 4 della comparsa di costituzione nel giudizio di merito, ove si legge che il giudizio si ridurrà “ad un vuoto simulacro senza contraddittorio, in cui, per quanto è dato prevedere, le due parti processuali coinvolte (che dovrebbero essere fisiologicamente contrapposte) concluderanno sostanzialmente, entrambe, per l’accoglimento della domanda di annullamento della delibera adottata dal Consiglio Generale della Fondazione il 27 aprile 2017”), il curatore speciale della Fondazione, con la memoria depositata il 4.12.2017, ha concluso (dopo aver rilevato che “sulla base della illustrazione operata nell’atto introduttivo del giudizio, sembra doversi desumere, prima facie, che non possa essere ritenuta sussistente una ragione di evidente ed effettiva incompatibilità, nel senso indicato nello statuto, atteso che il rapporto conflittuale troverebbe origine in una iniziativa processuale, a quanto sembra e si riferisce datata, assunta dal (omissis) nell’ambito di un giudizio instaurato contro una banca conferitaria, dunque partecipata dalla Fondazione, per la quale vengono mosse precise censure”: v. pag. 22 della comparsa di costituzione nel giudizio di merito) per il rigetto dell’istanza cautelare avversaria, espressamente ritenendo fondata la valutazione di incompatibilità che ha condotto il Consiglio Generale della Fondazione a negare la ratifica della designazione del Prof. F.F. a componente del Consiglio medesimo (v. pag. 11 e 12 della memoria del 4.12.2017), tanto che lo stesso D.M. ne ha dovuto prendere atto (v. pag. 3
delle note depositate il 20.12.2017 nonché pag. 3 della memoria depositata il 2.1.2018). 2.2. Con riguardo al secondo dei rilievi sollevato da (omissis), la Fondazione, dietro “sollecitazione” di questo giudice (v. ordinanza del 28.11.2017), sembra concludere nel senso della legittimazione del ricorrente (“Diversa la valutazione che deve essere fatta con riferimento alla legittimazione di chi non sia componente del Consiglio Generale, ad impugnare una delibera dello stesso, che non sembra possa essere negata, per il fatto di prevedere lo statuto la designazione - che vi è stata - sì da dover essere valutata ed accertata la sussistenza, o meno, dei presupposti per ritenere valido il diniego di ratifica”: v. pag. 6 delle note depositate il 20.12.2017). In effetti della legittimazione del ricorrente non sembra potersi dubitare, sebbene per motivi diversi da quelli (in specie) indicati dal ricorrente a pag. 3 e 4 della memoria depositata il 20.12.2017. Nel caso sub iudice, infatti, non si controverte (diversamente dai due precedenti invocati dal ricorrente: v. pag. 3 della memoria depositata il 20.12.2017) del diritto ad ottenere il verbale del Consiglio Generale del 27.10.2016 e l’elenco completo dei Consiglieri generali in carica, quanto piuttosto della legittimità della delibera del Consiglio Generale (organo di indirizzo) della Fondazione “di mancata ratifica (o comunque di esclusione dallo stesso Consiglio) del Prof. F.F., di cui al verbale del 27 aprile 2017”. Il difensore del D.M., infatti, per sostenere il suo rilievo fa leva sulla lettera dell’art. 23 c.c., ai sensi del quale le delibere dell’assemblea (delle associazioni non riconosciute) possono esse-
455
Commenti
re impugnate “su istanza degli organi dell’ente, di qualunque associato o del pubblico ministero”. Tale disposizione, invero, pare doversi applicare in via analogica anche alle delibere del consiglio di amministrazione (cfr. Trib. Pavia 2.7.1987, in Giust. civ., 1988, pag. 370). Sulla scorta di questa disposizione, deduce il (omissis) che, in astratto, solo la Regione (ente designante) sarebbe stata legittimata ad impugnare la delibera de qua (v. pag. 6 della memoria depositata il 5.12.2017). In senso contrario, deduce il ricorrente (v. pag. 2 della memoria depositata il 2.1.2018) di non aver “mai ancorato la propria impugnazione allo schema previsto dal Legislatore per le impugnative delle delibere della associazioni (ndr. riconosciute) proprio previsto dall’art. 23 c.c. Il richiamo che pure si è fatto e che molta giurisprudenza pure ha giustificato, alla predetta disposizione, è stato speso in termini di residuale ipotesi di applicazione analogica ed al solo fine di spiegare e motivare un principio cardine dell’ordinamento Italiano, e di uno Stato di Diritto: la tutela di ogni diritto soggettivo.” In effetti, dalla previsione (art. 25 c.c.) che attribuisce un sistema di controlli e rimedi amministrativi nei confronti delle fondazioni, si è fatto derivare (in un primo momento) ai sensi degli art. 37, comma 1, e 41, comma 2, c.p.c. - rispetto alle controversie interne all’ente - il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della p.a. ovvero a causa dei poteri attribuiti dalla legge all’amministrazione stessa (per le fondazioni bancarie, v. anche artt. 10 e 11 d.lgs. n. 153/1999). Senonché la tesi che affida all’art. 25 c.c. l’intervento “in modo completo ed esclusivo” negli interna corporis delle
456
fondazioni non è condivisibile, essa presupponendo l’inesistenza (in seno alle fondazioni) di diritti soggettivi. I provvedimenti assunti dalle fondazioni, pertanto, possono essere impugnati, nonostante l’omessa specifica previsione legislativa del ricorso al tribunale ordinario, innanzi a quest’ultima autorità tutte le volte in cui la “sfera giuridica risulti negativamente e direttamente incisa dall’intervento dell’autorità” (cfr. TAR Lombardia 23.6.2000, n. 4598, in Giust. civ., 2001, I, pag. 279), vale a dire ove risulti leso (come nella specie) un diritto soggettivo. Soccorrono, in tal senso, in caso di delibere illegittime i principi generali e l’analogia. La legittimazione dell’istante deve, perciò, riconoscersi nel senso che, essendo in questione la lesione di un suo diritto soggettivo (i.e., il diritto dell’istante di vedersi ratificata - dal Consiglio Generale - la nomina regionale), il potere di pronunciarsi sull’annullamento della delibera “di ratifica” (ovvero, secondo la prospettazione del D.M., di “mancata nomina”) spetta (non all’autorità di vigilanza, ma) al giudice ordinario (cfr. TAR Lombardia 23.6.2000, cit., nonché Consiglio di Stato 3405/2003) ad iniziativa (come riconosce la dottrina che si è occupata dell’argomento, ripresa anche da quella richiamata a pag. 5 della memoria depositata dal D.M. il 20.12.2017) del diretto interessato. Ma la legittimazione dell’istante nemmeno può escludersi applicando analogicamente la disciplina sull’impugnazione delle delibere assembleari (art. 23 c.c.) ovvero delle delibere degli organi collegiali delle persone giuridiche, salvo ipotizzare un’inammissibile (quanto illegittimo) vuoto di tutela ovvero una sostituzione processuale non prevista dalla legge. Nel caso di specie,
Tribunale di Napoli
infatti, la legittimazione e l’interesse del F.F. a partecipare all’organo di indirizzo della Fondazione Banco Napoli derivano dall’accettazione della nomina regionale e sono protetti dal diritto nella misura in cui anche tale ultimo atto è giuridicamente rilevante. La deduzione del D.M. (avente ad oggetto la presunta illegittimazione del ricorrente) non coglie nel segno per un’altra ragione: l’art. 4 d.lgs. n. 15371999 dispone che “i componenti dell’organo di indirizzo non rappresentano i soggetti esterni che li hanno nominati né ad essi rispondono”. Ne consegue che lo scollamento tra nominante e nominato rende quest’ultimo l’unico portatore dell’interesse giuridico a tutelare la propria carica. E ciò non solo perché sono in gioco asserite questioni di (in)compatibilità del nominato, ma anche perché alla Regione Campania dovrebbe pure negarsi il potere il potere di revocare (successivamente) il soggetto designato, essendosi consumata ogni sua prerogativa con l’atto di nomina, tanto è vero che la Regione nessuna iniziativa ha successivamente assunto. 2.3. Con decisione assunta il 27.10.2016, il Consiglio Generale della Fondazione ha votato all’unanimità dei presenti “in senso contrario alla nomina a Consigliere Generale del Prof. F.F.” per tutte le ragioni esposte nella narrativa del verbale, così riassunte nella comparsa di costituzione depositata dal D.M. nel giudizio di merito: “preso atto delle iniziative intraprese dall’attore e sopra descritte, nonché della circostanza per cui il Prof. F.F. difendeva (difende tuttora) una serie di soci di minoranza della BRS che avversavano in ogni modo l’attuazione del piano (condiviso da Banca d’Italia) di rilancio della Banca
e che avevano per questo impugnato tutte le delibere preordinate alla realizzazione di quel piano e cioè: a) delibera di riduzione del capitale sociale per perdite e di modifiche statutarie coerenti con le allora recenti modifiche della disciplina delle banche popolari; b) delibera di trasformazione e di aumento del capitale sociale (la Fondazione ha partecipato all’aumento suddetto, dopo che i soci rappresentati dal Prof. F.F. non avevano esercitato l’opzione loro riservata). Il Prof. F.F. ha chiesto l’annullamento di tutte le delibere predette e ne ha chiesto anche la sospensione in via cautelare. Le domande cautelari proposte dall’attore, nella suddetta qualità di difensore, sono state integralmente rigettate (anche all’esito dei reclami ex art. 669-terdecies c.p.c.), ma i giudizi di merito sono ancora in corso. Tre Società, correntiste (e due anche socie) della BRS e sedicenti creditrici della Banca medesima, sempre con il patrocinio del Prof. F.F., hanno proposto opposizione ex art. 2500-novies c.c. avverso la delibera di trasformazione in s.pag.a. della BRS. In quest’occasione è stata la BRS a proporre, in via cautelare, istanza di autorizzazione alla prosecuzione dell’operazione di trasformazione; tale istanza cautelare è stata accolta (anche all’esito del procedimento di reclamo) ed il giudizio di merito è ancora in corso. Ugualmente, il Prof. F.F. difende un socio (di minoranza, ma almeno fino a qualche tempo fa estremamente influente) in un diverso giudizio che (omissis) ha dovuto intraprendere in conseguenza dell’oscuramento delle vetrofanie della propria agenzia di Nola, recanti il lodo e la denominazione sociale conseguenti alla trasformazione; si tratta, nella specie, di un oscura-
457
Commenti
mento abusivo, rimosso soltanto dopo molto tempo, volto a porre ostacoli di ogni tipo anche relativamente alla manifestazione a terzi della nuova denominazione della BRS (già BPS). Che l’investimento della Fondazione in BRS sia condivisibile (come il ol Prof. D.M. ritiene in tutta onestà intellettuale) oppure no (come ritiene il Prof. F.F.), ciò non incide sulla qualità di socia della Fondazione in BRS, ma, come si è già visto, potrà condurre o meno l’Autorità di Vigilanza ad adottare provvedimenti di sua esclusiva competenza: oggi la Fondazione è socia di BRS. Tutte le circostanze “giudiziarie” suddette sono pacifiche ed ovviamente documentabili ed il Prof. D.M. si riserva di produrre tutti i relativi documenti, solo nel caso in cui il Prof. F.F. le contesti. Sono evidenti le conseguenze che discenderebbero per BRS stessa (e per tutti i suoi soci, soprattutto quelli che hanno sottoscritto le azioni di nuova emissione, come la Fondazione) dall’accoglimento (denegato e non creduto) delle impugnazioni proposte dal Prof. F.F. Bisogna chiarire un punto. La difesa è un diritto costituzionalmente garantito ed un avvocato può assumere la difesa di chiunque, se è convinto delle ragioni di questi. Non è un “male”, dunque, l’aver assunto la difesa di soggetti convinti di dover combattere un progetto invece perseguito dalla Banca (partecipata dalla Fondazione). Quel che non va è appunto lo schierarsi su posizioni antitetiche a quelle dell’Ente nel cui organo di indirizzo si vorrebbe poi entrare. L’incompatibilità discende proprio ed oggettivamente dall’encomiabile e convinto esercizio della difesa di altri” (v. pag. 36-38).
458
Alle indicate ragioni di incompatibilità si aggiunge la presentazione da parte del F.F. di un esposto al MEF, con il quale ha evidenziato che la Fondazione deterrebbe rilevanti partecipazioni nella BdS e nella BRS, dei cui organi gestionali e/o direttivi fanno parte alcuni soggetti che sono anche componenti degli organi della Fondazione. A fondamento della proposta domanda, F.F. ha esposto: di essere stato designato, con nota dell’11.4.2016, dal Presidente della Giunta della Regione Campania, componente del Consiglio Generale della Fondazione Banco di Napoli, ai sensi dello statuto vigente, e di avere, con la stessa nota, l’Ente invitato la Fondazione ai dovuti successivi adempimenti; dover essere la valutazione di eventuali profili di compatibilità o eleggibilità effettuata nei trenta giorni, così come previsto dallo statuto; di avere, con nota del 17.5.2016, indirizzata al Presidente della Fondazione, richiesto la convocazione del Consiglio “senza indugio al fine di deliberare in ordine agli opportuni provvedimenti in oggetto, anche alla luce dell’art. 7 del Decreto legge 3 maggio 2016 n. 59 (recante Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione - 16G00076 in GUn.102 del 3-5-2016)” e di porre, all’ordine del giorno, la questione come priorità assoluta per la Fondazione, anche ai fini della programmazione, con l’immediata costituzione di una Commissione consultiva, partecipata dagli stessi ex Presidenti e D.G. e da altri esperti che potesse, con urgenza, all’uopo, relazionare al Consiglio Generale ed al Consiglio di Amministrazione; non essere stato effettuato “né ai fini della questione oggetto della di-
Tribunale di Napoli
scussione all’epoca in Parlamento, né ai fini del mero insediamento e ratifica del Consigliere designato della Regione Campania né, tanto meno, per la verifica dei requisiti”; di avere il Presidente della Fondazione comunicato agli organi di stampa che, in data 27.10.2016, il Consiglio Generale della Fondazione Banco di Napoli, all’unanimità, aveva dato mandato al CdA, convocato per il 7 novembre, “di procedere all’accertamento di un possibile indennizzo per la Fondazione stessa, legato a eventuali utili della (omissis) (la Società di gestione delle sofferenze dell’ex Banco di Napoli, oggi passata al ministero del Tesoro) facendo valere l’indennità prevista dall’articolo 2 del decreto 497/96, cosiddetto «SalvaBanco»”, ed avere la Fondazione “dopo aver ascoltato la relazione del Prof. F.B., esperto designato dal presidente per studiare il «caso Sga»”, deciso, “in modo compatto, di percorrere la strada preannunciata dal presidente D.M. sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno….”; di avere, ancora, appreso, da un’intervista rilasciata dallo stesso Presidente, non poter essere considerato egli “ancora membro del consiglio generale della fondazione”, seppur designato dalla Regione (omissis), spettando al Consiglio generale ratificare l’indicazione, ed avere il Consiglio stesso “deciso di rinviare la ratifica per approfondimenti su profili possibili di compatibilità”; di avere invitato, con nota del 31.10.2016, il Presidente della Fondazione Banco di Napoli, inviata, per conoscenza, all’organo di vigilanza, il primo a trasmettere, con assoluta urgenza, il verbale del Consiglio e l’elenco dei Consiglieri generali in carica, con i relativi riferimenti (indirizzi mail o pec); di essere stata riscontrata tale richiesta solo il 28.11.2016, ed avere, con
questa, il Presidente della Fondazione replicato asserendo essere “…la Fondazione Banco di Napoli una persona giuridica di diritto privato” e che, “…in ragione di tanto e delle intuibili ragioni di tutela della riservatezza”, la qualità di Consigliere Generale designato non lo avrebbe legittimato ad ottenere la copia del verbale del Consiglio Generale del 27.11.2016, né i riferimenti dei suoi componenti; di avere ricevuto dal Ministero dell’Economia, in forza di una diffida di accesso agli atti, il richiamato verbale, redatto per atto pubblico del notaio T., sì da evidenziare la negata spontanea trasmissione una condotta “ostruzionistica e contraria ad ogni principio di correttezza e buona fede”; di aver appreso, da tale verbale, che in occasione del tenuto incontro il Presidente aveva precisato che l’organismo che lo aveva designato aveva definito inqualificabile l’iniziativa intrapresa da esso attore e di avere il Presidente ritenuto di dover far presente al Presidente della Giunta Regionale tali circostanze e di essere stato invitato da questi “a sospendere la votazione su questo tema per approfondimenti”; di avere richiesto, in data 26.4.2017, al Presidente della Giunta Regionale, spiegazioni ed avere appreso da questi che “ in occasione della visita del (omissis), peraltro ricevuto dopo settimane di insistenze, non ho nel modo più assoluto pronunciato le frasi a me attribuite nel verbale che Lei mi ha inviato. In modo più specifico, MAI ho definito “inqualificabile” l’iniziativa da Lei intrapresa; né ho invitato il Presidente della Fondazione a sospendere la votazione o in alcun modo a soprassedere dalla stessa…”; di essersi tenuta, il 27.4.2017, l’adunanza del Consiglio, ed avere in questa il D.M., nonostante la asserita avvenuta deca-
459
Commenti
denza di questi per le illegittimità rappresentate nell’esposto e la dura presa di posizione, con diffida del 26.4.2017, dei Consiglieri Prof. Avv. O.A. e Prof. Avv. G. P., e la significativa assenza di altri Consiglieri Generali, fatto approvare il definitivo rigetto della operata nomina; costituire la mancata ratifica ad oltre un anno dalla designazione, comportamento illegittimo, sì da dover essere la stessa invalidata. Prima di entrare nel merito della questione, sembra opportuno rilevare che la delibera (di mancata nomina ovvero di mancata ratifica del Prof. Avv. F.F.) del Consiglio Generale non fa riferimento al (mancato) possesso (pur citato nel parere del prof. L.) del 5.4.2017: pag. 8 e 9) dei requisiti previsti dagli art. 27, comma 1, e 29, comma 1, dello statuto. 2.3.1. Il Consiglio Generale della Fondazione ha votato in senso contrario “alla nomina a Consigliere Generale del (omissis)”, con ciò aderendo alla tesi espressa dal (omissis) nel parere del 5.4.2017, ove si legge (a pag. 7) che al Consiglio è “attribuito il potere di nomina” e non di mera ratifica (cd. ratifica dovuta). La questione, di impatto limitato, non sta nei termini predicati nel parere del prof. L., per la semplice ragione che è lo stesso art. 9 dello statuto a prevedere che “Il Consiglio Generale, organo di indirizzo della Fondazione, è formato, oltre che dal Presidente della Fondazione, da ventuno componenti nominati come segue: a) due all’interno di due terne, uno per terna, proposte dal Presidente della Giunta Regionale della Campania….”. E se si vuole dare un senso alle parole, deve ritenersi che i soggetti competenti nominano i componenti del Consiglio Generale e che
460
quest’ultimo, piuttosto che nominare i suoi stessi componenti, si limita alla verifica prevista dall’art. 11, lett h). Che poi si tratti di ratifica in senso tecnico o atecnico (in quest’ultimo senso, v. pag. 32 del ricorso cautelare) è questione anch’essa di limitata rilevanza. Sempre in via preliminare, e ad colorandum, deve osservarsi come la delibera del Consiglio Generale del 27.4.2017 sia stata adottata oltre un anno dopo la nomina regionale dell’11.4.2016 e solo dopo l’acquisizione del parare del (omissis). Ciò in evidente dispregio di tutte le esigenze di certezza e celerità richieste dal termine acceleratorio di giorni 30 previsto dall’art. 11, lett. h), dello statuto per la verifica, da parte del Consiglio Generale, dell’assenza, tra l’altro, “di ragioni di incompatibilità”. Ovviamente la violazione di detto termine non costituisce di per sé causa di invalidità della delibera. Ciò premesso si rileva quanto segue. L’art. 11, lett. h), dello statuto della Fondazione nel testo deliberato dal Consiglio generale il 20.4.2016 (applicabile ratione temporis) attribuisce al Consiglio Generale la “verifica per i propri componenti, sia in sede di insediamento che nel corso del mandato, la sussistenza dei requisiti di professionalità e di onorabilità nonché l’assenza di ragioni di incompatibilità o di cause di sospensione o di decadenza e assume, entro trenta giorni, i provvedimenti conseguenti”. La previsione va integrata con quella dell’art. 9, comma 4, ai sensi del quale “I componenti del Consiglio Generale non rappresentano i soggetti designanti né ad essi rispondono; essi dovranno essere scelti fra persone che, per professionalità, esperienza e indipendenza,
Tribunale di Napoli
garantiscano di operare nell’esclusivo interesse della Fondazione e possano efficacemente contribuire al perseguimento dei fini istituzionali”. Si tratta, dunque, di accertare se le condotte descritte nel precedente punto 2.3. integrino “ragioni di incompatibilità” tra il nominato F.F. e la Fondazione, per avere il primo non operato nell’esclusivo interesse della seconda e per aver ostacolato il perseguimento dei suoi fini istituzionali. Al riguardo una prima considerazione si impone. L’art. 9 dello statuto guarda al futuro, mentre le condotte (i.e., le iniziative giudiziarie) “imputate” al F.F. si collocano nel passato (2015) rispetto alla nomina (2016). Certo storicizzati i fatti, sembra che il Consiglio Generale abbia espresso una valutazione prognostica negativa. Non sembra, però, che il patrocinio in una o più cause contro una delle banche (i.e., la BRS) partecipate dalla Fondazione (per di più con partecipazione sopravvenuta al giudizio) possa lasciar presagire che il patrocinante (i.e., il F.F.) per ciò solo non garantisca che opererà (appunto, nel futuro) nell’esclusivo interesse della Fondazione e che contribuirà al perseguimento dei fini istituzionali della Fondazione. A meno di (non) voler pensare che l’accoglimento delle iniziative giudiziarie patrocinate dal F.F. rechi di per sé danno alla partecipante. Però, delle due l’una: o le iniziative saranno rigettate, ed allora nessun danno potrà derivare alla Fondazione; o saranno accolte perché fondate, ristabilendosi (dura lex, sed lex) il corretto e legittimo assetto di interessi anche a vantaggio della Fondazione (partecipante la BRS), essendo la paventata perdita di valore delle azioni della BRS detenute dalla Fondazione (v. pag. 14 del parere
del 5.4.2017 del prof. Leone) una mera conseguenza dell’accoglimento della (in tesi) legittima azione giudiziaria e non del (lamentato) conflitto di interessi del Prof. F.F., meramente titolare di un contratto di patrocinio. Non sono meritevoli di nessuna riflessione, poi, le considerazioni (sempre espresse dal prof. L.: pag. 14) in merito alla parcella dell’avvocato che si commisura anche in relazione ai vantaggi conseguiti dal cliente. E ciò senza considerare che, come rilevato anche nella noma del MEF del 28.6.2017 (pag. 6), nello statuto della Fondazione “tra le disposizioni in materia di incompatibilità non è annoverata quella con i soggetti che abbiano lite vertente con l’Ente”. Quanto poi all’indipendenza del Prof. F.F. (negata dal prof. L.), è appena il caso di notare come - al di là del corretto significato da attribuire al lemma (basta scorrere un qualsiasi commentario sub 2387 c.c. per rendersi conto che il requisito dell’indipendenza è stato sempre declinato in modo molto diverso da quello predicato nel citato parere) – mettere in discussione questo requisito (nel modo con cui lo si fa nel citato parere) significhi negare l’indipendenza solo perché, ad esempio, l’amministratore di società ha in corso una causa (per il riconoscimento del compenso) contro la società stessa. Quanto al conflitto di interessi (cd. reale) che deriverebbe dall’aver il F.F. attivato un rimedio giudiziario per ottenere la consegna di copia del verbale del 26.10.2016 nonché comunicazione dei nominativi dei consiglieri e dei loro riferimenti (v. pag. 15 del parere del prof. L.), v’è in senso contrario da rilevare, oltre al fatto che la citata iniziativa giudiziaria si è con-
461
Commenti
clusa con la cessazione della materia del contendere avendo il ricorrente ottenuto la consegna dei documenti e delle informazioni richieste da parte del MEF (cfr. ordinanza di questo tribunale dell’1.6.2017), che con il citato provvedimento è stato riconosciuto “il buon diritto del reclamante”, di talché da un illegittimo rifiuto della Fondazione e dalla successiva iniziativa volta ad ottenere giudizialmente quello che si sarebbe dovuto avere (per così dire) bonariamente non si può certo far derivare l’esistenza di un conflitto di interessi tale da impedire la “concreta” assunzione della carica da parte del F.F. Analoghe considerazioni devono essere svolte con riguardo all’esposto al MEF, con il quale il F.F. ha evidenziato che la Fondazione deterrebbe rilevanti partecipazioni nella BdS e nella BRS, dei cui organi gestionali e/o direttivi fanno parte alcuni soggetti che sono anche componenti degli organi della Fondazione. L’articolo 25 c.c. dispone che “l’autorità governativa esercita il controllo e la vigilanza sull’amministrazione delle fondazioni; provvede alla nomina e alla sostituzione degli amministratori o dei rappresentanti, quando le disposizioni contenute nell’atto di fondazione non possono attuarsi; annulla, sentiti gli amministratori, con provvedimento definitivo, le deliberazioni contrarie a norme imperative, all’atto di fondazione, all’ordine pubblico o al buon costume; può sciogliere l’amministrazione e nominare un commissario straordinario, qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto o dello scopo della fondazione o della legge”. Di analogo tenore è l’art. 11, comma 2, d.lgs. n. 153/1999.
462
Non esiste alcuna disposizione che imponga all’amministrazione di esercitare il controllo su sollecitazione di parte, né una simile sollecitazione di per sé determina nell’amministrazione un obbligo di provvedere. La vigilanza e il controllo sono funzioni pubbliche destinate alla tutela delle fondazioni e sono esercitate dall’Amministrazione d’ufficio, nell’esercizio dei suoi poteri, esclusivamente in favore delle fondazioni stesse, restando escluso qualsiasi intervento a tutela dell’interesse dei singoli. Il controllo previsto dall’art. 25 c.c. si risolve, pertanto, in un controllo di legittimità, giacché ciò che rileva, al fine dell’intervento dell’autorità, è la violazione di disposizioni giuridiche, non conferendo il controllo esercitato dall’Amministrazione sulle fondazioni all’Autorità vigilante poteri d’indirizzo, oppure poteri che consentano l’imposizione all’ente di modalità organizzative diverse da quelle prescelte, consentendo piuttosto soltanto di riportare le circostanze concrete entro le previsioni di legge, qualora si verifichi una delle situazioni previste dall’art. 25 (TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 29.3.2011, n. 416). Anche per questa condotta, dunque, non pare ravvisabile la dedotta causa di incompatibilità, essendo, viceversa, l’iniziativa (di per sé inidonea ad attribuire al proponente una posizione meritevole di tutela giurisdizionale) posta in essere nell’esclusivo interesse della Fondazione e per il miglior perseguimento dei suoi fini istituzionali, fermo restando che il MEF resta assolutamente libero di esercitare o di non esercitare il potere che la legge gli attribuisce nell’esclusivo favore e interesse delle fondazioni stesse.
Tribunale di Napoli
E ciò senza considerare che l’art. 31, comma 2, dello statuto disciplina anche l’ipotesi del conflitto di interessi limitandone l’impatto all’astensione dalla partecipazione alle deliberazioni aventi ad oggetto l’operazione in conflitto e non, come vorrebbe lasciare intendere il prof. L. nel suo parere (pag. 10), all’impossibilità di assumere la carica. E comunque il comma 3 dell’art. 31 dello statuto consente di porre rimedio anche al conflitto di interessi cd. permanente attraverso la (successiva) pronuncia della decadenza. Alla luce delle suesposte argomentazioni deve concludersi per l’illegittimità della delibera del Consiglio Generale del 27.4.217 nella parte in cui si è deciso “in senso contrario alla nomina a Consigliere Generale del Prof. Avv. F.F.”. 2.3.2. Quanto al periculum in mora, si legge nel ricorso cautelare (pag. 54) che “l’andamento delle due ultime adunanze rende clamoroso e palmare il periculum in mora e rende decisivo l’accertamento in via d’urgenza della ratifica nella carica del ricorrente e della decadenza del Presidente”. Al riguardo rileva il D.M. che “Controparte non si sofferma neppure per un istante sul periculum in mora, semplicemente perché lo stesso non è in alcun modo ravvisabile. Il Prof. F.F. (il Prof. F.F., non altri) dovrebbe correre il rischio che, in mancanza della cautela richiesta, si troverebbe a subire un danno imminente ed irreparabile. Il periculum, molto evidentemente, manca del tutto ed infatti non è neppure motivato, né allegato ed è quindi inesistente, come dimostra il fatto che la domanda cautelare è intervenuta oltre quattro mesi dopo la notifica della citazione introduttiva del giudizio di merito, senza
che nel frattempo siano intervenuti fatti rilevanti per la decisione” (pag. 7-8 della memoria del 5.12.2017). Nella memoria del 2.1.2018, il resistente si sofferma, invece, sulla mancanza di periculum relativa alla domanda di decadenza dello stesso dalla carica di presidente della Fondazione (v. pag. 9 e pag. 13.) Nel replicare alla deduzione del D.M., il ricorrente colma la dedotta lacuna assertiva del ricorso con la memoria depositata il 20.12.2017, nella quale il requisito del periculum in mora è trattato da pag. 25 a pag. 27. Quanto al rilievo concernente il lasso di tempo (quattro mesi) intercorso tra l’instaurazione del giudizio di merito e la proposizione della domanda cautelare, deve notarsi come la giurisprudenza, anche di questo tribunale, abbia ritenuto insussistente il requisito del periculum in mora richiesto per la proposizione del procedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. “quando sia trascorso un periodo di circa un anno dal più recente dei fatti contestati al momento della proposizione del ricorso, in quanto tale decorso del tempo evidentemente costituisce sintomo di una tolleranza antinomica rispetto alla assunta urgenza” (Trib. Napoli 4.2.2005, Trib. Napoli 5.7.2002, RDI, 2003, pag. 131). Nel caso di specie, però, il lasso di tempo decorso non è minimamente paragonabile a quello appena indicato. E ciò già consente di superare il rilievo del D.M. Ma vi è di più. La sospensiva, infatti, non opera soltanto sugli effetti materiali dell’atto, sulla trasformazione della realtà nel senso del suo adeguamento all’effetto giuridico del provvedimento, bensì “sul piano normativo, ideale”, con la conseguenza
463
Commenti
che la sua pronuncia può intervenire in qualunque tempo, perché non soffre dell’avvenuto adeguamento del reale agli effetti giuridici: non incontra, cioè, i limiti che inevitabilmente ne riducono la sfera di applicazione ove la si consideri incidente sulla esecuzione materiale, potendosi dunque concludere che gli effetti della sentenza di annullamento si identificano esattamente con quelli della pronunzia di accoglimento della sospensione. Essendo in gioco il diritto soggettivo dell’istante di partecipazione all’organo di indirizzo della Fondazione, il requisito del periculum in mora deve ritenersi (quasi) sussistente in re ipsa, perché assorbito dal fumus boni iuris, il cui riscontro è in grado di bilanciare anche l’eventuale irreversibilità degli effetti della misura cautelare a danno della parte intimata. Trattandosi, infatti, di diritti partecipativi, la sentenza di merito non sarà mai in grado di restituire all’istante le “utilità” invocate, di talché – onde evitare che il ricorrente debba continuare a subire le ingiuste conseguenze di una decisione illegittima – appare necessario evitare lo stesso perpetuarsi della illegittima situazione (i.e., la mancata partecipazione del (omissis)) nell’ambito dell’organo di indirizzo (i.e., il Consiglio Generale) della Fondazione. 2.3.3. Ad avviso del D.M. “la delibera impugnata non può essere sospesa (per il semplice motivo che non ha bisogno di essere eseguita, contenendo una decisione “negativa”)” (pag. 8 della memoria depositata il 5.12.2017). Questo avviso, già condiviso dalla giurisprudenza di merito (Trib. S. Maria 5.11.1996, in Le Società, 1997, pag. 558) essenzialmente in base alla distinzione tra interessi cd. oppositivi (idonei ad
464
essere tutelati con la sospensiva) e interessi cd. pretensivi (inidonei, viceversa, ad essere tutelati con la sospensiva), non merita di essere ulteriormente confermato avendo la successiva giurisprudenza (in specie quella amministrativa), superando anche il limite degli atti negativi con effetti innovativi, ammesso sia le cd. ordinanze propulsive, sia quelle sostitutive, dimostrando che la sospensiva è provvedimento giudiziario idoneo a tutelare tutte le posizioni soggettive, non mirando solo a conservare la situazione di fatto, ma determinando la produzione di effetti giuridici innovativi della realtà mediante l’anticipazione dei possibili effetti della sentenza di annullamento. Detto con altre parole, nulla ostando alla possibilità di riconoscere al giudice dell’impugnativa di una delibera negativa il potere di accertare la situazione sottostante, nella prospettiva del superamento del carattere puramente demolitorio dell’azione, deve ammettersi anche la possibilità di una tutela cautelare anticipatoria rispetto a tale accertamento. Con ciò risolvendosi la questione in senso opposto a quello indicato dalla Fondazione, ad avviso della quale la tutela cautelare anticipatoria, in specie quella ex art. 700 c.p.c. non può mai introdurre una regolamentazione provvisoria del rapporto litigioso, anticipando gli effetti della relativa decisione, dovendosi limitare a rendere effettiva la tutela nel suo risultato finale che, però, per quanto detto, non può anticipare. Nel richiamare certa dottrina che si è occupata della questione conclude, dunque, nel senso che le misure cautelari seppur possono produrre effetti anticipatori, gli stessi non possono essere satisfattori, bensì unicamente cautelari, nel senso
Tribunale di Napoli
di permettere di salvaguardare il diritto presunto leso o sottoposto a pericolo di lesione per il tempo necessario ad ottenere la tutela di merito (v. pag. 13 della memoria del 4.12.2017). La questione (che nemmeno il D.M. ha mostrato di voler condividere) merita di essere affrontata con poche battute. La nozione di anticipatorietà non è univoca, perché il legislatore pur avendo utilizzato un’espressione tecnica non si è preoccupato (anche) di definirla per concettualizzazione. Non è certo questa la sede per ripercorrere le tappe del dibattito che ha riguardato l’inquadramento sistematico dei provvedimenti anticipatori, potendosi soltanto ricordare che mentre per alcuni la tutela cd. anticipatoria in senso tecnico si distingue da quella cautelare, per altri non è così costituendo la prima un tutt’uno con la seconda della quale rappresenterebbe soltanto un modo di manifestazione, essendo - per questa opinione - il provvedimento a contenuto anticipatorio comunque legato da un certo grado di strumentalità con quello definitivo, proprio a ragione dell’anticipazione degli effetti della sentenza finale. Il problema è solo in parte contiguo a quello relativo alla distinzione, nell’ambito dei provvedimenti cautelari, tra misure conservative ed anticipatorie che, pur accomunate dallo scopo “di costituire una cautela o assicurazione preventiva contro un pericolo che minaccia”, sono orientare in direzioni diverse, le prime mirando a conservare lo stato di fatto “in attesa ed allo scopo che su di esso possa il provvedimento principale esercitare i suoi effetti”, le seconde operando “in via provvisoria e anticipata, quegli effetti costitutivi e innovativi, che potreb-
bero diventare, se differiti, inefficaci o inattuabili”. Ma se così è, il punto è stabilire quando un provvedimento cautelare possa dirsi anticipatorio degli effetti della decisione di merito. La dottrina ha già espresso opposte opinioni, anche se nulla osta e tutto cospira nel senso di consentire la sopravvivenza di tutti i provvedimenti in grado di assicurare utilità pratiche (quantomeno) corrispondenti a quelle conseguibili con la sentenza di merito. Detto altrimenti, occorre riconoscere che l’espressione “provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito” utilizzata dal legislatore nell’art. 669 octies, comma 6, c.p.c. non abbia una funzione definitoria tecnica o tecnicizzata, ma solo quella di indicare la finalità dei provvedimenti de quibus che è quella di realizzare, sia pure senza valore di giudicato, la tutela giurisdizionale in senso oggettivo anche se non seguiti dal giudizio di merito. Non può, in definitiva, dubitarsi dell’ammissibilità di provvedimenti cautelari idonei a generare effetti identici a quelli che si sarebbero potuti conseguire tramite la risoluzione definitiva della controversia. La delibera del Consiglio Generale dell’Istituto Banco di Napoli – Fondazione del 27.4.2017 deve, pertanto essere sospesa e per l’effetto accertata in via d’urgenza l’insussistenza di cause di incompatibilità del Prof. F.F. a ricoprire la carica di consigliere generale dell’anzidetta Fondazione. 3. F.F. ha anche chiesto di “accertare e dichiarare l’avvenuta decadenza dalla carica di Presidente pag.t. della Fondazione Banco Napoli del Prof. D.M. per le ragioni di cui in narrativa”.
465
Commenti
Con riguardo a tale domanda, D.M. ha dedotto che l’istante “è del tutto sfornito di legittimazione ad agire, oltre che di interesse ex art. 100 c.p.c.”, ritenendo esclusivamente legittimata - ai sensi dell’art. 25 c.c. - l’Autorità di Vigilanza ad adottare i provvedimenti oggi invocati dall’attore (v. pag. 10 della comparsa di costituzione nel giudizio di merito) e munito di giurisdizione in proposito il giudice amministrativo (v. pag. 11 della comparsa di costituzione nel giudizio di merito). Con la memoria del 20.12.2017 (pag. 14-23), il ricorrente ha sostenuto la giurisdizione del giudice ordinario. Il D.M., in replica, ha dedotto: che “il provvedimento di decadenza non può essere chiesto all’Autorità Giudiziaria (Ordinaria od Amministrativa); … può essere [invece] chiesto all’autorità governativa [nel caso di specie al MEF, unico soggetto legittimato in tal senso, ndr.] … da qualsiasi interessato diretto, fermo restando che le sollecitazioni esterne dirette ad attivare l’esercizio del potere pubblico di controllo “restano mere segnalazioni e non possono concretare, in capo a chi le opera (indipendentemente dal suo eventuale ruolo nell’ambito della fondazione), posizioni meritevoli di tutela giurisdizionale” (v. pag. 5 della memoria del 20.12.2017); che, dunque, “l’art. 25 c.c. impone di ritenere che il Prof. F.F. sia sprovvisto della legittimazione. Ancor più che relativamente all’impugnativa della delibera, è qui evidente, oltre alla carenza di legittimazione, anche la carenza di interesse ad agire” (v. pag. 6 della memoria del 20.12.2017); che “il ricorrente, in proposito, ha solo contrastato l’eccezione di carenza di giurisdizione che, tuttavia, non aveva costituito (e non costituisce) il perno della
466
difesa del Prof. D.M.” (v. pag. 7 della memoria del 20.12.2017). Quanto alla questione di giurisdizione, logicamente e giuridicamente preliminare rispetto alle altre due pur sollevate dal D.M. in via preliminare, deve ritenersi sussistente quella del giudice ordinario in virtù della giurisprudenza già citata nel precedente punto 2.2. (a cui si è adeguata quella successiva). Se, infatti, è vero che quella giurisprudenza afferma la giurisdizione dell’A.G.O. relativamente all’impugnazione della delibera di decadenza e nulla ha a che fare con il potere/dovere di controllo e vigilanza del MEF ex art. 25 c.c. (v. pag. 7 della memoria depositata dal (omissis) il 20.12.2017), è altrettanto vero che qui è in gioco, seppure attraverso un’azione di accertamento (e non di impugnazione), il diritto soggettivo del D.M. a permanere nella carica di Presidente p.t. della Fondazione Banco di Napoli. Sussiste, dunque, la giurisdizione del giudice ordinario in quanto, anche in questo caso, non è in questione una delle ipotesi di cui all’art. 25 c.c., bensì la lesione (sebbene attraverso l’esercizio di un’azione di accertamento) di un diritto soggettivo. Affermata la giurisdizione del giudice ordinario, deve rilevarsi che le deduzioni contenute nell’esposto rivolto al MEF (i cui contenuti sono stati riprodotti prima nell’atto di citazione e poi nel ricorso cautelare), con il quale il ricorrente ha evidenziato che la Fondazione deterrebbe rilevanti partecipazioni nella BdS e nella BRS, dei cui organi gestionali e/o direttivi fanno parte alcuni soggetti che sono anche componenti degli organi della Fondazione, con la conseguente incompatibilità ex art. 30, comma 1, lett. b) (erroneamente
Tribunale di Napoli
citato come lett. d) sia nel parere del Prof. P.M. del 24.4.2017, sia nella comparsa di costituzione di D.M. (omissis) del 17.11.2017, sia nella memoria di costituzione della Fondazione del 4.12.2017), dello statuto e decadenza di D.M. dalla carica di presidente p.t. della Fondazione, non sono condivise della Fondazione ad avviso della quale (pur rimettendosi la “sollevata questione di legittimazione…ad una valutazione d’Ufficio del Tribunale”: pag. 11 della memoria del 4.12.2017) l’offerta lettura dell’art. 30, comma 1, lett. b), dello statuto (“I designati nel Consiglio Generale, gli eletti e i nominati in uno dei restanti Organi della Fondazione, relativamente ai titolari di cariche elettive istituzionali, non possono essere:….coloro che assumono o esercitano cariche negli organi gestionali, di sorveglianza e di controllo o di funzioni di direzione di società concorrenti della società bancaria conferitaria o di società del suo gruppo”) non porta “alla conclusione richiesta dall’attore, ciò in ragione della evoluzione normativa e dei richiami effettuati alle pagg. da 14 a 28 dello scritto difensivo [i.e., comparsa di costituzione di D.M.], attraverso le quali è stata effettuata una ricostruzione anche storica delle vicende che hanno interessato l’originaria banca conferitaria della Fondazione Banco di Napoli, per giungere a dimostrare che il vecchio Banco di Napoli non può che reputarsi distinto dal costituito nuovo Banco di Napoli, con conseguente impossibilità di ritenere che in questo sia confluita l’azienda di quello estintosi, in ragione della ricordata operazione di concentrazione” (v. pag. 11 della memoria di costituzione depositata dalla Fondazione il 4.12.2017). Tale lettura (ascrivibile al parere
del Prof. P.M. del 20.4.2017) è criticata dal ricorrente il quale (a pag. 24 della memoria depositata il 20.12.2017) rileva come il MEF nella nota del 28.6.2017 abbia “analiticamente smentito il parere del Prof. P.M.”. A sua volta la difesa del D.M. deduce (cfr. pag. 12 della memoria depositata il 2.1.2018) di aver esaminato (e smentito) i dubbi del MEF nelle pag. 22-31 della comparsa di costituzione. A tale ultimo riguardo, il ricorrente svolge alcune considerazioni alle pag. 3 e 4 della memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. Tutto ciò premesso, non sembra – allo stato degli atti e salvo successivo approfondimento – che il ricorrente sia legittimato a far valere la decadenza del D.M.. Qui, infatti, non è in gioco un atto della Fondazione e/o un vizio che si denunzia. Rileva, piuttosto, una presunta decadenza del Presidente della Fondazione ai sensi: dell’art. 30, comma 1, lett. b), dello statuto (cfr. pag. 30 del ricorso cautelare); “dell’art. 32 dello statuto l’aver omesso da parte del Presidente di aver comunicato alla Fondazione l’intervenuta misura preventiva della custodia cautelare domiciliare; 2) non l’aver ottenuto il parere favorevole, in ossequio con la Legge Gelmini (in quanto ontologicamente, questo sì, impossibile) per l’esercizio in quanto Professore ordinario e contestualmente Presidente di Banche; 3) l’avere un interesse proprio (quale per esempio quello al compenso quale Presidente di tali Istituti partecipati) contrario e/o potenzialmente in conflitto con quello della fondazione”(cfr. pag. 3 della memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c.). Lo statuto prevede, però, che sia l’organo competente ad assumere le decisioni più idonee a salvaguardia
467
Commenti
dell’autonomia e dell’indipendenza della Fondazione (cfr. art. 27, comma 3; anche l’art. 31, comma 3, prevede che sia l’organo competente ad adottare la pronuncia di decadenza), aggiungendo (all’art. 32, comma 4) che “Gli organi collegiali della Fondazione verificano nel loro interno la sussistenza, per ciascuno dei componenti, dei requisiti di onorabilità e professionalità, nonché le eventuali cause di incompatibilità, sospensione e decadenza, ed assumono entro trenta giorni i conseguenti provvedimenti”. Ma qui ad agire non è l’organo competente. È, invece, un “nominato” componente del Consiglio Generale della Fondazione, in ragione dell’accertata insussistenza della dedotta causa di incompatibilità utendo iuribus (un componente del Consiglio Generale non può mai essere considerato espressione dell’organo in quanto tale: cfr. Cass. 8992/2003, secondo cui “il potere, riconosciuto agli amministratori della società per azioni dal secondo comma dell’art. 2377 cod. civ., d’impugnare le deliberazioni dell’assemblea della società che non siano state prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo, spetta al consiglio di amministrazione (ove statutariamente previsto) e non agli amministratori stessi individualmente considerati, atteso che tale potere è attribuito agli “amministratori” per la tutela degli interessi sociali, e dunque richiede una deliberazione dell’organo incaricato di detta tutela, il quale, nella società retta da un consiglio di amministrazione, si identifica, appunto, nel consiglio, e non nei singoli componenti di esso”) della Fondazione stessa (o meglio del suo Consiglio Generale che provvede ad eleggere il Presidente: art. 11, comma 2, lett. i: se la nomina del
468
Presidente della Fondazione avviene a seguito di elezione del Consiglio Generale pare del tutto naturale riconoscere allo stesso organo il potere di accertarne la decadenza), senza che, però, l’ipotesi di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c. sia espressamente prevista dalla legge (come, invece, avviene nell’ipotesi ex art. 2476, comma 3, c.c.). La Fondazione, dal canto suo, pur presente in giudizio non ha fatto propria la domanda cautelare proposta dal Prof. F.F., così come non l’ha fatta propria il Pubblico Ministero, cui l’art. 73 dell’ordinamento giudiziario affida, tra l’altro, il compito di “vegliare” alla tutela dei diritti delle persone giuridiche. È, infine, appena il caso di ricordare che la sollecitazione esterna del potere pubblico di controllo configura una mera segnalazione senza tradursi in capo al segnalante (i.e., il F.F.) in una posizione meritevole di tutela (cfr. Tar Lombardia 23.6.2000, n. 4598, cit.). Ciò risolvendosi, in parte qua, nella mancanza di fumus boni iuris dell’invocata cautela. 4. Le spese del procedimento cautelare, stante il parziale accoglimento della invocata misura anticipatoria e la pronuncia in corso di causa, saranno regolate all’esito del giudizio di merito. P.Q.M. il tribunale di Napoli, disattesa e reietta ogni altra domanda, deduzione e/o eccezione, - accoglie per quanto di ragione il ricorso cautelare, per l’effetto, accerta in via d’urgenza l’insussistenza di cause di incompatibilità dell’avv.to prof. F.F. a ricoprire la carica di consigliere generale dell’Istituto Banco di Napoli - Fondazione; (Omissis)
Carmine Ruggiero
(1-2) Le fondazioni bancarie tra funzioni pubbliche e private: organi e requisiti di partecipazione SOMMARIO: 1. La questione affrontata dall’ordinanza del 5 febbraio 2018. – 2. Le Fondazioni bancarie: il difficile percorso e la doppia anima di ente privato ma con funzioni pubbliche. – 3. La tutela dinamica degli “interessi pretensivi” nell’alveo del processo amministrativo. – 4. Gli organi delle fondazioni bancarie e le loro funzioni: competenze, attribuzioni e requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza dei componenti degli organi.
1. La questione affrontata dall’ordinanza del 5 febbraio 2018. L’ordinanza in commento si occupa di una delicata questione riguardante l’esclusione, o meglio, mancata ratifica, della nomina a consigliere, da parte del Consiglio Generale di una Fondazione bancaria, nonostante la nomina sia stata effettuata dalla Regione, in ossequio alla espressa previsione dello Statuto della Fondazione stessa. La questione, piuttosto complessa, involge diverse fattispecie ed, in particolare, è incentrata sulla validità della delibera, si può dire “negativa”, di diniego della nomina a consigliere, o rectius, della mancata ratifica della proposta, per la carica di consigliere del ricorrente, avanzata dal Presidente della Giunta regionale. La delibera di diniego viene, dunque, impugnata da parte del ricorrente, dovendosi ritenere illegittima, dal momento che il Consiglio Generale avrebbe dovuto limitarsi a ratificare l’operato della Giunta regionale e non, come ha poi fatto, procedere ad un’autonoma e soggettiva valutazione circa l’opportunità o meno di ammettere il nuovo consigliere, operando di fatto una scelta discrezionale, che esula dai poteri ad esso spettanti. L’unica possibile interferenza, eventualmente legittimante l’uso, da parte del Consiglio, di poteri più discrezionali, anche se in maniera molto limitata, poteva riguardare l’analisi e la valutazione di elementi di incompatibilità e conflitto di interesse del ricorrente. E dunque, solo agendo in questo modo, avrebbe potuto trovare una compiuta legittimazione ed una maggiore coerenza il potere di diniego della nomina, o più correttamente, la ratifica della nomina dal parte del Consiglio stesso, per mancanza di quei requisiti, peraltro già previsti nello Statuto della Fondazione, e strettamente coesi ai più generali requisiti di professionalità ed indipendenza degli amministratori, che, per le società, sono contemplati espressamente dagli artt. 2382 c.c. e 2387 c.c., anche se solo eventuali e discrezionali, ma forse opportuni e maggiormente ricalcati nella disciplina delle società quo-
469
Commenti
tate e delle società bancarie, come previsto dal t.u.b. e dal t.u.f. Tali requisiti, seppur non espressamente riferiti agli organi delle Fondazioni, risultano strettamente collegati alla relativa disciplina, e, dunque, applicabili per analogia, in considerazione dell’indiscusso legame intercorrente tra organi della Fondazione ed organi della Società bancaria, collegamento viscerale che si evince, peraltro, dal possesso, in capo alle Fondazioni, di pacchetti azionari di rilievo o, addirittura, di maggioranza nelle Società bancarie1. Il ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c., che, come rilevato dallo stesso giudice, risulta speculare rispetto all’atto di citazione, ha dunque ad oggetto l’annullamento della delibera di mancata nomina e il contestuale riconoscimento del diritto del ricorrente di partecipare alle sedute del Consiglio Generale, in qualità di membro effettivo. Nello specifico, le eccezioni proposte riguardano, da una parte, un profilo processuale inerente l’opportunità di nominare un curatore speciale per la Fondazione, al fine di evitare conflitti di interesse che, come viene sottolineato, riguarda l’ipotesi anche di conflitto solo potenziale2, dall’altra, invece, la carenza di legittimazione del ricorrente, in quanto ai sensi dell’art. 23 c.c., applicabile anche alle Fondazioni3, la legittimazione ad impugnare la delibera del Consiglio Generale di una fondazione spetterebbe solo al Consiglio, inteso come organo, e non al singolo soggetto, estraneo alla Fondazione, quand’anche fosse membro del Consiglio medesimo. Anche in tale ultimo caso, difatti, non spetterebbe a lui, quale singolo, la legittimazione ad impugnare la delibera. Il Tribunale osserva, tuttavia, che, nel caso di specie, la parte ricorren-
1 Sul rapporto tra fondazioni e gestione di pacchetti azionari di società bancarie v. infra, in particolare il Rapporto ACRI relativo al 2016. Cfr. anche MERUSI, La difficile vita delle fondazioni bancarie. La corte costituzionale fa chiarezza e la cassazione confusione, in Foro amm. TAR, 2005, p. 2698 ss.; FIORDIPONTI, Le fondazioni d’origine bancaria e il loro ruolo di socio stabile nelle aziende di credito: un legame che non si è sciolto, in Quad. rass. dir. civ., 2013, p. 86 ss. 2 Questa costituisce l’argomentazione che permette di respingere l’eccezione: Cfr. anche Cass., 26 maggio 2016, n. 10936, in Guida al dir., 2016, 38, 72; Cass., 6 agosto 2001, n. 10822, in Giust. civ. Mass., 2001, 1551; Trib. Padova, 20 maggio 2005, in Corr. giur., 2005, 1260, con nota di SANGIOVANNI, Impugnazione di deliberazione assembleare, conflitto di interessi e nomina di curatore speciale. La battaglia giudiziaria per il controllo di Antonveneta; Cass., 16 settembre 2002, n. 13507, in Giust. civ. Mass. 2002, 1672; Cass., 16 novembre 2000, n. 14866, in Giust. civ. Mass., 2000, 2349 ss. 3 In particolare la disciplina dell’art. 23 riguarda non soltanto le delibere dell’assemblea ma anche quelle di tutti gli organi dell’ente, in particolare nel caso in cui si tratti di diritti soggettivi: cfr. Trib. Roma, sez. III, 07 febbraio 2017, n. 2258, in DeJure; Trib. Roma, sez. III, 09 marzo 2011, n. 5106, in Guida al dir., 2011, n. 22, 69.
470
Carmine Ruggiero
te lamentava la violazione di un diritto soggettivo e, di conseguenza, non poteva richiamarsi l’art. 25 c.c. in tema di intervento pubblico, spettando quindi la competenza al giudice ordinario; inoltre avendo, come chiarito, la materia ad oggetto la violazione di diritto soggettivi4, nel caso di specie, questi potevano essere tutelati solo ed esclusivamente mediante l’intervento del diretto interessato, pur se estraneo alla Fondazione. In particolare, osserva il Tribunale, nessun altro organo poteva essere legittimato ad intervenire, neanche la Giunta regionale, che aveva proceduto alla nomina del ricorrente quale consigliere, stante la vigenza del principio secondo il quale mancava, un vincolo di mandato, ai sensi dell’art. 4 d. lgs. n. 153/1999, del ricorrente nei confronti della Giunta; pertanto, la Giunta doveva ritenersi priva di qualsiasi potere di intervento. Una volta accertata la legittimità della richiesta di parte, la questione da affrontare resta quella relativa alla legittimità della delibera con la quale il Consiglio Generale nega al soggetto nominato di entrare a far parte del Consiglio stesso. In tal caso, osserva il Tribunale, dovendosi trattare solo di ratifica e non di nomina da parte del Consiglio Generale, quest’ultimo non disponeva dei poteri necessari per poter discrezionalmente rifiutare una tale nomina, del resto lo stesso statuto della Fondazione indicava che tale nomina dovesse essere effettuata dalla Regione e non dal Consiglio. Gli unici poteri effettivi, ma questo esula dalla discrezionalità, riguardano la valutazione, doverosa e necessaria, della presenza dei requisiti di professionalità e di indipendenza del ricorrente nominato e della mancanza di conflitti di interesse o situazioni di incompatibilità che possano in futuro creare un danno alla Fondazione stessa, non potendo il nuovo membro del Consiglio rappresentare al meglio gli interessi della Fondazione. Anche in questo caso, le conclusioni del giudice sono a favore del ricorrente; innanzitutto, viene rilevato come un comportamento forse non proprio corretto debba ravvisarsi in capo al Consiglio stesso, il quale avrebbe dovuto valutare le incompatibilità ed altri motivi ostativi alla nomina entro il termine di trenta giorni dalla nomina stessa da parte della Regione, mentre, nel caso concreto, il termine, previsto dallo Statuto, era stato ampiamente superato, essendo intervenuta la delibera di diniego dopo un anno dalla nomina. Le ragioni dell’incompatibilità devono poi essere analizzate in ordine
4 TAR Lombardia, 23 giugno 2000, n. 4598, in Giust. civ., 2001, I, 279, con nota di BERLUCCHI Prime brevi riflessioni in tema di controllo sulle fondazioni alla luce della normativa vigente e delle prospettive di riforma.
471
Commenti
al conflitto d’interessi che la nomina del ricorrente può ingenerare, ovvero alla possibilità che la stessa possa ledere gli interessi della Fondazione e recare danni a quest’ultima, per il rischio che il ricorrente possa operare in contrasto con gli scopi e gli interessi della Fondazione stessa. Il Tribunale, tuttavia, in via preliminare, osserva che, nonostante lo Statuto stesso della Fondazione contempli cause di incompatibilità, per i rischi di cui sopra, lo stesso deve riferirsi alla possibilità, si può aggiungere, anche solo astratta purché ragionevole, di recare un danno per l’avvenire, non potendosi riferire a condotte passate, quando cioè il ricorrente ha sì agito, possiamo dire “contro” gli interessi della Fondazione, ma comunque in un momento in cui non aveva alcun legame con la Fondazione stessa. V’è da dire, inoltre, che la condotta del ricorrente in questione, sottoposta al vaglio del giudice, riguarda, lo svolgimento della normale attività di assistenza e difesa, in qualità di avvocato, a favore di soggetti che lamentavano la lesione di loro diritti nei confronti della Fondazione. L’esclusione dell’incompatibilità, dunque, si avrebbe per il semplice fatto che i comportamenti, addotti come prova dell’incompatibilità con la carica, riguardano situazioni pregresse alla nomina, ma, soprattutto, come osserva il Tribunale, sarebbero collegati alla possibilità che eventuali danni alla Fondazione sarebbero derivati non tanto dall’attività stricto sensu del ricorrente, limitandosi quest’ultimo a svolgere in modo corretto e puntuale la sua professione di avvocato, in ossequio al codice di deontologia, quanto, piuttosto, dall’accoglimento, meramente eventuale, delle richieste da parte del giudice. Infine, tra i requisiti di incompatibilità dello Statuto della Fondazione non è contemplata l’attività di patrocinio legale contro la Fondazione medesima. La sussistenza del requisito dell’indipendenza non può in alcun modo essere messa in discussione, perché, in primo luogo, per indipendenza deve intendersi, secondo la dottrina5, l’imparzialità ed il distacco del soggetto designato quale amministratore, dai gruppi dei soci di maggioranza e, dunque, con funzioni anche di controllo a garanzia delle minoranze azionarie; inoltre, il semplice fatto di avere un contenzioso con la fondazione non significa che difetti il requisito di indipendenza6.
5 Cfr. SIRONI, Commento all’art. 2387, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2005, p. 290; cfr. anche MILLI, L’amministratore indipendente nel sistema della corporate governance delle s.p.a., Torino, 2013, pp. 21 ss. 6 Il Tribunale osserva che, ragionando in modo diverso, anche l’amministratore che ha una pendenza giudiziaria con la fondazione per la determinazione del compenso,
472
Carmine Ruggiero
In merito al conflitto d’interesse e incompatibilità della carica, determinati dal fatto che il ricorrente abbia chiesto dei documenti, in specie la delibera di mancata nomina da parte del Consiglio, in realtà si tratta di un suo preciso diritto; in particolare, a seguito del diniego da parte del Consiglio, il ricorrente aveva tentato un’azione giudiziaria per ottenere tale documentazione, da qui il presunto conflitto di interesse, tuttavia il ricorrente aveva anche proceduto ad inoltrare la richiesta direttamente al Ministero dell’Economia e delle Finanze e quest’ultimo, avendo provveduto a fornire la documentazione richiesta, ha espressamente riconosciuto le ragioni di parte legittimando così la domanda. Ed invero, anche la segnalazione al Ministero dell’Economia e delle Finanze di presunte irregolarità non costituisce indizio o prova di un’incompatibilità del ricorrente a ricoprire la carica di Consigliere, in quanto il Ministero può, ai sensi dell’art. 25 c.c., solo esercitare un controllo di legittimità sull’operato della Fondazione ed, eventualmente, senza intervenire nella gestione o influenzare l’indirizzo7, riportare l’operato nell’ambito della legalità. Il Tribunale, affrontando la questione processuale relativa alla sussistenza del requisito del periculum in mora per legittimare il ricorso ex art. 700 c.p.c., innanzitutto rileva che l’intervallo di tempo di quattro mesi non fa venir meno i presupposti per il ricorso d’urgenza, essendo questo “termine” fissato dalla giurisprudenza in un anno8, ma che, nel caso esaminato, la richiesta del ricorrente ha ad oggetto il diritto soggettivo ad essere reintegrato nel Consiglio. Da ciò ne deriva che il contenuto dell’ordinanza, pronunciata in via d’urgenza andrebbe a coincidere con quello di una eventuale sentenza di accoglimento, poiché l’unico rimedio per garantire il diritto del ricorrente consiste nell’eliminare la circostanza della mancata nomina e questo sia in sede cautelare che in sede di pronuncia definitiva.
mancherebbe del requisito di indipendenza. 7 TAR Basilicata, 6 novembre 2013, n. 671, in Foro Amm. TAR, 2013, 3535; TAR Umbria, 4 ottobre 2012, n. 407, in Foro Amm. TAR, 2012, 3110. 8 Trib. Firenze, Sez. Proprietà Industriale e Intellettuale, 14 dicembre 2006, in Sez. spec. p.i., 2006, 116; Trib. Napoli, Sez. Proprietà Industriale e Intellettuale, 4 febbraio 2005, in Sez. Spec. P. I., 2005, 226; Trib. Napoli, 5 luglio 2002, in Riv. dir. ind., 2003, 13 ss. Ma cfr. anche Trib. Bologna, Sez. Proprietà Industriale e Intellettuale, 23 giugno 2010, in Sez. spec. p.i., 2010, 74, che fissa il termine in otto mesi; e Trib. Roma, Sez. Proprietà Industriale e Intellettuale, 16 luglio 2009, in Sez. spec. p.i. 2010, 360, che individua il termine in nove mesi.
473
Commenti
Nella ordinanza in esame il Tribunale affronta un ulteriore punto di rilievo che afferisce alla possibilità di sospendere la delibera di nomina, in via cautelare, essendo atto di «contenuto squisitamente negativo». L’impostazione negativa del provvedimento di sospensione della delibera de qua vertitur deriva da un risalente orientamento, che riconosce la tutela cautelare esclusivamente a tutela degli “interessi oppositivi”, e si concretizza, quindi, nella sospensione del provvedimento e nella conseguente negazione della tutela a fronte di atti negativi, con effetti negativi. La contestazione sembra, tuttavia, non prendere in considerazione l’orientamento più recente, che si incentra sulla nuova portata del processo cautelare, nella prospettiva del superamento del carattere puramente demolitorio dell’azione e nella configurabilità anche di una tutela cautelare avente connotato “anticipatorio”. La distinzione, nell’ambito dei provvedimenti cautelari, tra misure conservative ed anticipatorie, come emerge dall’ordinanza, attiene al fatto che le stesse, pur se accomunate dallo scopo di determinare una cautela preventiva contro un pericolo attuale, si orientano in direzioni diverse, mirando le prime a conservare lo stato di fatto in attesa che si arrivi ad un pronunciato definitivo, senza pregiudizio per le parti e senza vanificarne gli effetti, mentre, le seconde, operando invece in via anticipatoria con effetti costitutivi ed altresì “innovativi”, per impedire che il passare del tempo impedisca l’attuazione di quei medesimi provvedimenti in via definitiva; tuttavia, entrambe le misure, sono riconducili nell’alveo del processo amministrativo. Alla luce anche di tali considerazioni, il giudice ha, dunque, ritenuto che la delibera del Consiglio Generale, organo di indirizzo della Fondazione, debba essere sospesa e per l’effetto accertata, in via d’urgenza, l’insussistenza di cause di incompatibilità del ricorrente a ricoprire la carica di Consigliere generale della Fondazione. Oltre a quanto detto, si deve altresì osservare, che nonostante l’impugnazione riguardi una delibera c.d. “negativa”, la stessa non implica un difetto di legittimazione all’impugnazione, dal momento che anche la delibera negativa, come sostenuto da dottrina e giurisprudenza, può essere contestata se lede diritti soggettivi, consentendo dunque di agire per attivare una tutela cautelare. Infine, la richiesta di accertamento della decadenza di uno dei componenti del Consiglio Generale per incompatibilità, ai sensi dello Statuto della Fondazione, per mancanza di legittimazione ex art. 25 c.c., non sembra potersi accogliere per le stesse ragioni poste a fondamento del ricorso, vale a dire la circostanza che oggetto della questione di cui si discute concerne un diritto soggettivo a mantenere la carica, in relazione
474
Carmine Ruggiero
al quale la competenza resta del giudice ordinario; tuttavia, la valutazione delle incompatibilità dei componenti del Consiglio spetterebbe al Consiglio Generale stesso, quale organo, e non ai singoli suoi componenti, come anche affermato dalla giurisprudenza9; pertanto, corollario di tal rilievo è che il ricorrente, uti singulus, non è legittimato a chiedere la decadenza.
2. Le Fondazioni bancarie: il difficile percorso e la doppia anima di ente privato ma con funzioni pubbliche. Le Fondazioni bancarie, tutt’ora molto più presenti nel sistema bancario italiano10, costituiscono ancora oggi un complesso sistema organizzato, inizialmente concepito per la gestione “temporanea” di imprese bancarie pubbliche, durante il processo di privatizzazione delle stesse, ma che attualmente restano attive nel panorama giuridico. L’ordinanza dunque offre anche una serie di spunti, in parte derivati dalle obiezioni sollevate da parte dei controinteressati e menzionate all’interno dell’ordinanza medesima, in relazione alla definizione della natura delle fondazioni bancarie tra pubblico e privato ed offre pertanto l’occasione di riflettere ulteriormente sul punto. Questi enti si sono nel tempo evoluti per diventare soggetti diversi dalle banche e ancora oggi, nonostante il progetto del legislatore sia stato nel senso di far dismettere tutte le partecipazioni bancarie possedute, continuano in parte a detenere partecipazioni, anche rilevanti, di società bancarie, senza tuttavia interferire con la loro amministrazione, sfruttando semmai le partecipazioni detenute per percepirne gli utili a loro volta da destinare alla realizzazione degli scopi sociali e altruistici, come è nella natura delle Fondazioni di diritto privato descritte e disciplinate dal codice civile. La complessa e tortuosa creazione ed evoluzione delle Fondazioni bancarie ha però, come si vedrà, fatto dubitare della natura esclusiva-
9 Cfr. Cass., 12 gennaio 2010, n. 259, in Giust. civ., Mass. 2010, 32; Cass., 5 giugno 2003, n. 8992, in Giust. civ., Mass., 2003, 6, in Foro it., 2003, I, 3007; Trib. Palermo, 18 maggio 2001, in Giust. civ., 2001, I, 1944. 10 Le fondazioni attualmente presenti e vigilate dal Ministero dell’economia e delle finanze sono ottantotto, come risulta dal sito del MEF all’indirizzo: http://www.dt.tesoro.it/it/ attivita_istituzionali/sistema_bancario_finanziario/fondazioni_bancarie.html.
475
Commenti
mente privatistica di tali enti e l’accostamento e l’immedesimazione nelle Fondazioni di diritto civile, resta ancora non pacifico11. La scelta delle Fondazioni, quali enti titolari delle partecipazioni nelle banche, più che come enti preposti alla gestione o al controllo delle banche medesime, si deve anche alla storia degli istituti bancari, spesso pubblici e a volte nati per scopi altruistici, di fornire supporto economico ai soggetti meno agiati12, per i quali è stato necessario procedere alla privatizzazione dei relativi enti, ma per i quali si è anche deciso di seguire una strada diversa, rispetto ad una semplice e diretta trasformazione in società per azioni13, procedendo dunque alla creazione di enti con fini altruistici che, conferendo in società le aziende bancarie, si limitavano, astrattamente ed in via temporanea, a gestire solo le partecipazioni nelle società bancarie14, per perseguire
Cfr. anche: ZAGREBELSKY, Conclusioni. Fondazioni bancarie: una grande riforma da consolidare, in Fondazioni bancarie: una grande riforma da consolidare, a cura di Pastori, Zagrebelsky, Bologna, 2011, p. 231 ss. 12 FIORDIPONTI, Le fondazioni, cit., p. 11 ss.; TENCATI, Fondazioni bancarie: Problemi operativi, Milano, 2016, p. 13 ss., l’autore mette in luce che i diversi Monti di credito ed Opere pie si ponevano in contrasto con gli istituti di credito tradizionali. 13 Sulle ragioni di tale scelta Cfr. anche Tencati, Fondazioni, cit., p. 17 ss.; in generale sulle motivazioni alla base della creazione delle fondazioni bancarie cfr. anche FIORDIPONTI, Le fondazioni, cit., p. 25. 14 Sulle origini delle fondazioni bancarie e degli istituti di credito, soprattuto pubblici cfr.: CAPOBIANCO, Banco di Napoli, in Enc. dir., 1969, p. 15 ss.; MINERVINI, Una rivoluzione silenziosa per la banca pubblica, in Pol. ec., 1982, p. 51 ss.; CAPRIGLIONE, Operatività delle fondazioni bancarie e dismissione del “controllo” sulle S.P.A. conferitarie, in Le “fondazioni bancarie” dalla legge n. 218/90 al D. lgs. n. 153/99 , a cura di Amorosino, Capriglione, Padova, 1999, p. 88 ss.; BELLI, MAZZINI, Fondazioni bancarie (voce), in Dig. disc. priv. sez. comm., 2000, p. 296 ss.; BIRINDELLI, CAPPIELLO, La normativa in materia creditizia, in CAPARVI, La nuova attività bancaria. Economia e tecnica di gestione, Roma, 2000, p. 73 ss.; GENTILI, La riforma delle fondazioni di origine bancaria, in Nuove leggi civ., 2000, p. 26 ss.; GENTILI, La riforma delle fondazioni di origine bancaria, in Riv. dir. civ., 1999, p. 309 ss.; GAMBARDELLA, Le fondazioni bancarie e l’organismo di diritto pubblico dopo i recenti interventi della Corte Costituzionale, in Foro Amm. TAR, 2004, p. 912 ss.; DE ROSA, Storia delle Casse di Risparmio e della loro associazione 1822-1950, Bari, 2003; ONANO, La natura delle fondazioni di origine bancaria, in Quad. rass. dir. civ., 2005, p. 17 ss.: GIORDANO, Storia del sistema bancario italiano, Torino, 2007, p. 43 ss.; GRIPPA, Autonomia ed eteronomia nello statuto delle fondazioni bancarie, in Annali della Facoltà di giurisprudenza di Taranto, 2008, I, 2, p. 183 ss.; LOSANA, Le casse di risparmio e l’origine dell’attuale dibattito intorno alla “natura giuridica delle fondazioni bancarie”, in Fondazioni bancarie: una grande riforma da consilidare, a cura di Pastori e Zagrelbesky, cit., p. 53; FIORDIPONTI, Le fondazioni di origine bancaria, Napoli, 2013, p. 11 ss.; SANASI D’ARPE, La natura giuridica delle fondazioni di origine bancaria, Bari, 2013, p. 35 ss.; BONTEMPI, Diritto bancario e finanziario, Milano, 2016, pp. 97 ss.; TENCATI, Fondazioni, cit., p. 23 ss.; FIMMANÒ, COPPOLA , Sulla natura 11
476
Carmine Ruggiero
fini sociali, come è nella natura delle Fondazioni. L’evoluzione successiva delle banche pubbliche, dunque, vede, secondo lo schema delineato dal legislatore, nelle Fondazioni, lo strumento più idoneo a continuare un percorso collegato alle finalità di uno Stato moderno che affida alle banche pubbliche una funzione sociale. Pertanto, nel momento in cui lo Stato decide di dismettere le partecipazioni delle proprie banche, individua nelle Fondazioni il degno successore della propria politica, in virtù dello scopo sociale perseguito dalle Fondazioni, enti questi di diritto privato, che forse risultano essere maggiormente in grado di rispecchiare gli obiettivi primari delle banche pubbliche. Le fondazioni inoltre, pur avendo forti connotazioni di diritto privato, restano in un certo senso ancorate anche ai poteri pubblici, la cui ingerenza sia pur limitata è testimoniata dall’art. 25 c.c. ed è giustificata dalla funzione dal ruolo ricoperto dalle fondazioni. L’ordinanza in commento, pur richiamando espressamente la norma dell’art. 25 c.c., conclude per l’irrilevanza della norma ai fini di un’ingerenza pubblica nell’operato delle fondazioni, in particolare quando si tratti di decidere di diritti soggettivi. Un’attenta analisi difatti non può che avallare la tesi sostenuta dal giudice, dal momento che i poteri di cui all’art. 25 c.c., si sostanziano in poteri d’intervento finalizzati al controllo ed alla vigilanza più che ad impartire direttive alla fondazione. Richiamare tale norma, si osserva, non può inoltre contribuire ad una definizione della fondazione bancaria quale organo di diritto pubblico, dal momento che trattandosi di una norma relative alle fondazioni, se applicata alle fondazioni bancarie farebbe semmai rientrare queste ultime nella categoria delle fondazioni “ordinarie”, cui si applica appunto la disciplina tipica prevista dal codice civile. Gli stessi provvedimenti e poteri di cui agli artt. 10 e 11 del d. lgs. 153/1999, sono finalizzati ad un controllo ed una vigilanza che presuppongono un intervento successivo e non volto ad influenzare l’attività dell’ente; semmai l’intervento è giustificato dal motivo di far rispettare le finalità e le regole previste dallo statuto della fondazione bancaria. Il legislatore, tuttavia, cercando di modificare il sistema, ha introdotto questa particolare figura delle fondazioni bancarie, quali enti collegati alle banche, che, senza svolgere direttamente l’attività bancaria, avrebbero dovuto, almeno all’inizio, limitarsi a controllare le partecipazioni delle
giuspublicistica delle fondazioni bancarie, in Riv. not., 2017, p. 650 ss. Cfr. anche per l’inquadramento nel contesto storico Zagrebelsky, Conclusioni, cit. p. 232.
477
Commenti
banche; tali enti, inizialmente denominati enti pubblici conferenti dal d. lgs. n. 356 del 1990, e, successivamente Fondazioni, ad opera del d.lgs. n. 153 del 199915, assumono una forte connotazione privatistica ad opera proprio del d.lgs. 153/1999, che rimanda espressamente alla disciplina del codice civile, mentre, mediante l’istituzione, per legge, di tali Fondazioni, si realizza l’intento tanto agognato dal legislatore. Successivamente, la legge delega 461/1998 ed il successivo d.lgs. 153/1999 cercano di separare l’attività delle Fondazioni da quella prettamente bancaria, mediante la promozione, o meglio l’incentivazione, di un processo di graduale dismissione delle partecipazioni rilevanti in società bancarie in cambio di benefici fiscali16. L’origine delle Fondazioni bancarie e delle banche, secondo la disciplina attuale, ha visto un lungo e complesso sviluppo17 che, tuttavia, ancora oggi non permette di avere una visione del tutto chiara della situazione generale ed in particolare della natura delle Fondazioni bancarie18, dei loro poteri e dei loro scopi, in considerazione della natura “ibrida” del sistema delle Fondazioni bancarie. Queste ultime sembrano infatti trovarsi a cavallo tra un sistema di diritto pubblico ed uno di diritto privato. Le Fondazioni sono indubbiamente enti di diritto privato19, come si deduce dalla disciplina del codice civile, che l’ordinanza, come accennato, richiama anche nel delineare la disciplina applicabile; tuttavia, la struttura di tipo pubblicistico che è stata data alle stesse induce ancora oggi ad avere forti dubbi sulla loro vera natura, in particolare, come è stato rilevato20, si tratta di enti che, nonostante godano di piena autonomia gestionale21, possono esercitare tali poteri solo nei limiti imposti
OPPO, Le fondazioni (ex) bancarie: una strana vicenda legislativa, in Le “fondazioni” bancarie, a cura di Amorosino, Capriglione, Padova, 1999, p. 4; BONTEMPI, Diritto bancario cit., p. 102. 16 OPPO, Le fondazioni, cit., p. 4. 17 Cfr. GENTILI, La riforma delle fondazioni, cit., p. 26 ss.; PONZANELLI, Gli enti collettivi senza scopo di lucro, 2001, p. 309; DEL PRATO, Fondazioni bancarie e categorie civilistiche, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, I, p. 739. 18 PALLANTE, Introduzione. Il posto delle fondazioni di origine bancarie, in Fondazioni bancarie: una grande riforma da consolidare, a cura di Pastori, Zagrebelsky, 2011, p. 8. 19 Cfr. anche SANASI D’ARPE, La natura giuridica, cit., p. 143 ss.; GARGIULO, Le fondazioni bancarie e la governance delle banche partecipate, Roma, 2015, p. 23 ss., in particolare p. 27. 20 FIMMANÒ, COPPOLA, Sulla natura giuspublicistica, cit., p. 650. 21 Cfr. GRANDE STEVENS, Fondazioni bncarie (voce), in Enc. dir., 2014, p. 609. 15
478
Carmine Ruggiero
dalla legge al fine del perseguimento di quegli scopi pubblici per i quali sono state create ed operano sotto la vigilanza del Ministero del Tesoro22, per la loro particolare attività. Va osservato, tuttavia, che lo scopo pubblico appartiene ed è naturale anche alle fondazioni di diritto privato, pertanto, ancorare l’attività delle Fondazioni bancarie a precisi limiti di legge non sembra opportuno, dal momento che detti vincoli potrebbero tranquillamente derivare dalla natura di fondazione e dal vincolo generale connaturato a tali enti, la cui esistenza è legata, appunto, al perseguimento di scopi pubblici e sociali. Il processo di trasformazione delle Fondazioni bancarie seguito dal legislatore si è discostato dal sistema normalmente utilizzato per procedere alla privatizzazione di enti pubblici ed, infatti, non ci si è limitati a trasformare enti pubblici in società per azioni, come ci si sarebbe dovuto attendere in quanto normale o ampiamente giustificato, trattandosi di enti svolgenti attività economica al pari di molti altri, ma si è voluto, piuttosto, ricorrere ad un più complesso procedimento, che ha portato alla creazione di Fondazioni, di diritto privato, a loro volta titolari di partecipazioni in vere e proprie società bancarie23. La scelta di operare una duplicazione di soggetti24 con compiti e funzioni diversi, che per evocare categorie civilistiche e commercialistiche, più che una “trasformazione” sembra potersi definire una “scissione” da un solo ente in due soggetti, se ad una prima analisi può apparire come semplice frutto di una scelta discrezionale del legislatore, senza trovare giustificazione in una precisa ragione pratica, in realtà si giustifica in base alla funzione degli enti bancari ed al loro scopo sociale25, che meglio poteva essere perseguito mediante una Fondazione26. La previsione di una siffatta particolare disciplina, allora, potrebbe essere spiegata compiutamente con l’intenzione del legislatore di consentire un controllo pubblico più forte, avvicinando, dunque, tali Fondazioni più alla sfera pubblicistica che a quella privatistica, data la loro peculiare
22 Cfr. DEL PRATO, Fondazioni bancarie, cit., p. 740; MENTO, La vigilanza sulle fondazioni ex bancarie, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, p. 635; GRANDE STEVENS, Fondazioni, cit., p. 609. 23 Cfr. DEL PRATO, Fondazioni, cit., p. 739. 24 FIORDIPONTI, Le fondazioni di origine bancaria, p. 13; ZAGREBELSKY, Conclusioni, cit., p. 232. 25 Sulla fondazione quale ente mutualistico attraverso cui una comunità può raggiungere certi scopi cfr. PALLANTE, Introduzione cit., p. 44 ss. 26 Sulla classificazione delle fondazioni bancarie cfr. TENCATI, Fondazioni, cit., p. 69.
479
Commenti
forma giuridica, senza che il nomen iuris assolvesse la funzione di indicare in modo chiaro ed esatto la natura di tali enti27. Lo stretto legame tra Fondazioni, banche e organi pubblici, è sempre stato un elemento caratterizzante l’attività e l’evoluzione delle fondazioni bancarie e i diversi interventi che si sono succeduti nel tempo28 non sempre sono riusciti a fare chiarezza e ad emancipare completamente le fondazioni bancarie dai poteri pubblici. I rimedi legislativi, difatti, hanno solo in parte aiutato il distacco, a volte anzi, accentuando il rapporto con i poteri pubblici o permettendo una forte localizzazione delle Fondazioni29 ancorandole al territorio, al di là degli stretti legami che avrebbero comunque mantenuto per ragioni di carattere storico e culturale, mediante uno stretto vincolo tra Enti locali e Fondazioni, in particolar modo per quanto concerne le nomine degli organi delle Fondazioni. Le sentenze n. 300 e 301 del 200330 della Corte Costituzionale hanno riaperto il dibattito intorno alla problematica della natura giuridica delle Fondazioni di origine bancaria31, la cui qualificazione era già da anni oggetto di un vivace confronto dottrinario, sostenuto da una legislazione di settore che, nelle sue tappe evolutive, ha fatto registrare più di un elemento di contraddizione. Tali pronunciamenti hanno invertito la rotta in questa complicata questione, ovvero nella direzione della privatizzazione delle Fondazioni. Una svolta significativa nel panorama evolutivo delle Fondazioni si deve alla sentenza n. 300/03 della Corte Costituzionale che, escludendo che le Fondazioni conservino la natura bancaria, le indica come enti di natura privata non profit, che perseguono “interessi generali”. La Corte costituzionale, con tale sentenza, in contrasto con quan-
27 Cfr. DEL PRATO, Fondazioni, cit., p. 741; ZAGREBELSKY, Conclusioni, cit., p. 231; FIMMACOPPOLA, Sulla natura giuspublicistica, cit., p. 650; ma cfr. anche OPPO, Le fondazioni, cit., p. 1. 28 Sul punto cfr. FIMMANÒ, COPPOLA., Sulla natura giuspublicistica, cit., p. 655 ss. 29 FIMMANÒ, COPPOLA, Sulla natura giuspublicistica, cit., p. 659. 30 C. Cost., 29 settembre 2003, n. 300 e 29 settembre 2003, n. 301, in Giur. comm., 2004, II, 477, con nota di LO MONACO, In tema di fondazioni di origine bancaria, natura e rapporti con il sistema del credito, nonché in Dir. e giust., 2003, 38, 26, con nota di SPARANO e SPARANO, Meno Stato nelle fondazioni bancarie. Per la Consulta sono istituti di diritto privato. 31 Cfr. anche ZAGREBELSKY, Conclusioni, cit. p. 235 e ss.; GARGIULO , Le fondazioni, cit., p. 36.
NÒ,
480
Carmine Ruggiero
to precedentemente statuito32, ha affermato che, essendo concluso il periodo transitorio per la totale dismissione delle partecipazioni nelle banche conferitarie previsto dall’art. 25, co. 1, del d.lgs. n. 153 del 1999, le Fondazioni non possono più considerarsi come soggetti caratterizzati dall’appartenenza all’organizzazione del credito e del risparmio. Infatti, le Fondazioni di origine bancaria, essendo definite come «persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale», hanno, secondo la sentenza, ormai assunto natura giuridica privata. Pertanto, il richiamo al settore legislativo degli “enti pubblici nazionali”, settore di competenza esclusiva statale, è fuori luogo, dovendo, invece, farsi riferimento, per stabilire la competenza legislativa in ordine alle Fondazioni, all’art. 117, co. 2, lett. l), intitolato all’”ordinamento civile”, nel cui ambito va ricondotta, giusta la loro natura giuridica, la disciplina delle Fondazioni di origine bancaria. Essendo quest’ultimo ambito di competenza legislativa esclusiva statale, nessuna censura può essere mossa, sotto questi profili, all’art. 11 della l. n. 448 del 2001. Ed invero, nella sentenza n. 300 del 2003 la Corte, mediante un rinvio alle norme del d.lgs. n. 153 del 1999, afferma che le Fondazioni di origine bancaria non possono più rientrare nell’alveo dei soggetti pubblici, in quanto a seguito delle riforme che si sono susseguite è stato infine reciso quell’originario “vincolo genetico e funzionale” esistente tra originario ente conferente e società bancaria conferitaria33. Il Giudice delle leggi è chiaro nel sottolineare come le Fondazioni bancarie non possano rientrare in una nozione, per quanto lata sia, di pubblica amministrazione in senso soggettivo e oggettivo34. La sentenza n. 300 del 2003 dunque chiarisce, come detto, che l’evoluzione del quadro normativo in materia abbia spezzato quel “vincolo genetico e funzionale” che, a tenore delle sentenze n. 341 e n. 342 del 2001 della stessa Corte, legava l’ente conferente e la società bancaria conferitaria, con la conseguente trasformazione della natura giuridica del primo in persona giuridica privata senza fine di lucro. Tali affermazioni trovano conferma anche nella sentenza n. 301 del 2001 della Corte, laddove la qualificazione non pubblicistica delle Fondazioni viene analizzata anche
32 Si tratta delle precedenti sentenze della C. Cost., 24 ottobre 2001, n. 341 e n. 342 in Giur. cost., 2001, 2940 ss. 33 FIORDIPONTI, Le fondazioni, cit., p. 78, ma vedi anche p. 89 ss. 34 NAPOLITANO, Le fondazioni di origine bancaria nell’”ordinamento civile”: alla ricerca del corretto equilibrio tra disciplina pubblica e autonomia privata, in Giorn. dir. amm., 2003, p. 1576.
481
Commenti
con riguardo all’aspetto delle attività da esse esercitate: si tratta, infatti, di attività socialmente rilevanti, diverse, pur se complementari e integrative, da quelle demandate ai pubblici poteri. La definizione così risultante, permette di attrarre inequivocabilmente le Fondazioni bancarie tra quei soggetti chiamati a dare sostanza al principio di sussidiarietà35. La riaffermazione della natura privatistica36 delle Fondazioni bancarie passa, inoltre, per l’abrogazione dell’art. 11 co. 4 primo periodo, l. n. 448 del 2001, nella parte in cui prevede nella composizione dell’organo di indirizzo «una prevalente e qualificata rappresentanza degli enti, diversi dallo Stato, di cui all’art. 114, Cost.», anziché «una prevalente e qualificata rappresentanza degli enti, pubblici e privati, espressivi delle realtà locali»37. Anche qui viene evidenziato nell’ordinanza come però la possibilità di nomina da parti di enti estranei alla Fondazione sia espressione di un potere limitato, in quanto il d.lgs. 153/1999, pone un espresso divieto a tali enti di interferire nell’attività della Fondazione esaurendosi il proprio potere nella nomina, senza neanche la possibilità di impugnare la delibera di diniego dell’organo di indirizzo.
Di recente, in senso contrario, Cass., ord. 30 aprile 2004, n. 8319 in Dejure; con questa ordinanza la Cassazione rimette alla Corte di giustizia delle Comunità europee il giudizio relativo a riguardanti la compatibilità del regime fiscale delle fondazioni bancarie con le norme del diritto comunitario. La Suprema Corte critica l’indirizzo espresso dalla Consulta in relazione alla circostanza che il nuovo quadro normativo avrebbe determinato una rottura del vincolo genetico e funzionale tra fondazioni e società bancarie, da cui sarebbe derivata una netta distinzione tra l’operato delle fondazioni bancarie e quello delle banche, sulla base di due ordini di considerazioni: «sia perché tale ricostruzione – nello stesso ragionamento della Corte costituzionale – implica la totale dismissione delle partecipazioni sulle banche conferitarie, sia perché non è certo che la nuova disciplina abbia efficacia retroattiva». Ad avviso del Supremo Collegio «la qualificazione dell’attività di amministrazione delle partecipazioni di controllo sulle banche conferitarie e su altre imprese come strumentale [...] rispetto all’esercizio di compiti non profit non può eliminare il dato emergente dal sistema, e cioè che i c.d. enti conferenti, qualunque sia la loro forma giuridica e benché privi di scopi di lucro, sia geneticamente che funzionalmente assolvono al compito di assumere la titolarità e l’amministrazione di un rilevante numero di imprese bancarie, esercitando i poteri di controllo sulle stesse, fra cui la nomina e revoca degli amministratori [...] le fondazioni vivono in una simbiosi giuridica ed economica col sistema bancario pubblico, e non possono, quindi, considerarsi avulse da tale sistema e dal mercato di riferimento, anche se alle stesse sono assegnati contemporaneamente compiti nel c.d. terzo settore». 36 MALTONI, Le fondazioni di origine bancaria al vaglio del giudice delle leggi: enti privati a statuto speciale?, in Nuove leggi civ., 2003, p, 1395 ss. 37 SPARANO e SPARANO, Meno Stato, cit., p. 26. 35
482
Carmine Ruggiero
Continuando nella ricostruzione e nell’evoluzione della natura giuridica dell’istituto in esame, va tuttavia esaminato il suo possibile inquadramento nell’alveo degli “organismi di diritto pubblico”. L’art. 1, lett. b), direttiva 89/440 è, chiaro nell’individuare la figura dell’organismo di diritto pubblico in «qualsiasi organismo istituito per soddisfare specificamente interessi generali non aventi carattere industriale o commerciale; dotato di personalità giuridica, e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli Enti locali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia soggetta ad un controllo da parte di questi ultimi oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli Enti locali o da altri organismi di diritto pubblico»38. La giurisprudenza comunitaria ha individuato tre elementi da considerare come indefettibili ai fini della qualifica di un soggetto come organismo di diritto pubblico e tali requisiti pertanto sono: 1) la personalità giuridica di diritto comune; 2) l’influenza da parte di un soggetto pubblico, nelle forme del finanziamento o del controllo; 3) la circostanza che l’ente sia stato costituito per il soddisfacimento di interessi generali aventi carattere non industriale o commerciale. Certamente, tale istituto si inquadra perfettamente in quella linea di pensiero che vuole, ai fini della connotazione pubblicistica di un ente, l’utilizzazione di “un criterio oggettivo di tipo finalistico”, per cui la qualificazione di un soggetto come pubblico viene fatta dipendere dalla natura degli interessi che l’ente stesso persegue, piuttosto che dalla sua qualificazione formale. Il dibattito sul punto affonda le radici in epoca risalente e si sostanzia nella formula della c.d. “amministrazione obiettivata”39. La disciplina singolare delle Fondazioni bancarie, infatti, permette l’enucleazione dei tre requisi-
La bibliografia sul tema è ampia, si veda, tra gli altri, CAPUTI JAMBRENGHI, L’organismo di diritto pubblico, in Riv. dir. amm., 2000, p. 13 ss.; CASALINI, L’organismo di diritto pubblico e l’organizzazione in house, Napoli, 2003; CHITI, La nozione di amministrazione aggiudicatrice, in Giorn. dir. amm., 2001, pp. 899 ss.; GAROFOLI, Organismo di diritto pubblico: orientamenti interpretativi dei giudici comunitari e dei giudici italiani a confronto, in Foro it., 1998, 133 ss.; GRECO, Organismo di diritto pubblico: atto primo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1998, p. 725 ss.; GRECO, Organismo di diritto pubblico: atto secondo, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1999, p. 184 ss; GUCCIONE, La nozione di organismo di diritto pubblico nella più recente giurisprudenza comunitaria, in Giorn. dir. amm., 2003, p. 1067 ss.; LUCE, Gli organismi di diritto pubblico, ivi, 2000, p. 287 ss.; MAMELI, L’organismo di diritto pubblico, Milano, 2003; MARRAMA, Contributo sull’interpretazione della nozione di “organismo di diritto pubblico”, in Dir. amm., 2000, p. 585 ss. 39 GAMBARDELLA, Le fondazioni bancarie e l’organismo di diritto pubblico dopo i recenti interventi della Corte costituzionale, in Foro amm. TAR, 6, 2004, p. 1912. 38
483
Commenti
ti comunemente ritenuti rivelatori della presenza dell’organismo di diritto pubblico; nulla quaestio per la personalità giuridica di diritto comune, riconosciuta agli enti de quibus dalla legge Ciampi, così come dalla riforma Tremonti; facile l’assimilazione tra gli scopi di utilità sociale delle nostre Fondazioni e i bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale e commerciale, cui fa richiamo la nozione di organismo di diritto pubblico. Il punto decisivo, invece, potrebbe riguardare il profilo dell’influenza da parte dello Stato o degli Enti locali, aspetto sul quale il continuo mutare della normativa di settore apporta oscillazioni dell’ambito di visuale di non poco momento. Le c.d. Fondazioni bancarie non sarebbero, invece, assimilabili agli Enti pubblici quando la Fondazione non risulta fruire di alcun finanziamento pubblico e lo Stato non esercita sulla stessa alcun controllo40. Il problema, dunque, non sembra di facile soluzione, in quanto il legislatore, a seguito di un lungo percorso di trasformazione, ha creato degli enti di diritto privato, o ha tentato di ricondurre le Fondazioni bancarie nel novero delle Fondazioni di diritto privato, attribuendo loro la veste privatistica ma, ma rivestendo tali enti di connotati pubblicistici che hanno permesso, in definitiva, di assegnare alle Fondazioni bancarie una veste privatistica41, che allo stesso tempo, tende a celare la connotazione fortemente pubblicistica dell’ente che, dunque, a livello sostanziale, sembra somigliare più ad un soggetto pubblico che ad un ente privato, lasciando aperta la strada ad interpretazioni ampie e diversificate in tal senso, anche sulla scorta degli influssi di derivazione UE di ente pubblico42. Le Fondazioni di diritto privato non difettano del requisito della personalità giuridica, inoltre è indubbio che le stesse svolgano attività non commerciale e finalizzata al perseguimento di scopi pubblici, sociali senza finalità di lucro,43 dovendo dismettere le partecipazioni detenute in banche44, senza avere le caratteristiche di attività industriale o commerciale, anche secondo la dottrina che ammette per gli enti senza scopo di lucro la possibilità di esercitare attività d’impresa, purché questa non contribuisca ad eliminare i caratteri dello scopo altruistico.
TAR Lazio, 31 luglio 2007, n. 7283, in Foro amm. TAR, 2007, I, 2430. Cfr. FIMMANÒ, COPPOLA, Sulla natura giuspublicistica, cit., p. 669. 42 Sul punto cfr. SANINO, Le fondazioni, cit., p. 266 ss. 43 Sulla funzione delle fondazioni a supporto di altri soggetti cfr. anche TOSOLINI, Fondazioni bancarie e nuova economia della cultura, Parova, 2013, p. 53 e ss. in particolare p. 56. 44 FIORDIPONTI, Le fondazioni, cit., p. 22. 40 41
484
Carmine Ruggiero
In particolare, le Fondazioni bancarie, a seguito del lungo processo di emancipazione dall’attività bancaria originariamente sottostante, sono diventate, almeno secondo le intenzioni del legislatore, sempre più indipendenti rispetto all’attività bancaria, dovendo anzi dismettere le partecipazioni in banche già detenute almeno per i pacchetti di maggioranza, per dedicarsi unicamente agli scopi altruistici determinati, senza interferenze45. Il punto fondamentale è proprio quello relativo alla scelta di tali obiettivi, in quanto tale determinazione non viene fatta dalla Fondazione liberamente, ma quest’ultima sarà chiamata a determinare i settori di interesse, sulla base dell’elenco creato ad opera del d. lgs. 153/1999, senza possibilità di autodeterminazione, o quantomeno con una possibilità di scelta limitata, anche se tale scelta spetta alla fondazione ed ai suoi organi. In relazione a tale ultimo punto, va osservato che, gli organi delle Fondazioni, sono a loro volta espressione di pubblici poteri che provvedono a nominarli, che a loro volta sono espressione di enti a livello regionale46, con una forte localizzazione47 delle Fondazioni. Queste ultime gestiscono cospicui patrimoni, che in parte derivano ancora dalle partecipazioni bancarie possedute da gran parte delle Fondazioni, per le quali il processo di distacco dagli enti bancari sottostanti ancora non si è concluso48. I fondi a disposizione delle Fondazioni andranno, naturalmente destinati a finalità sociali, in base ai settori di competenza prescelti49, perseguendo interessi della collettività ed in definitiva interessi pubblici, contribuendo al raggiungimento di fini che non sono poi così diversi da quelli che gli Enti pubblici territoriali debbano perseguire, come anche si evince dalla lettura del terzo comma dell’art. 117 Cost. Lo Stato e gli Enti locali, pertanto, perseguono tali interessi anche mediante il ricorso a soggetti di diritto privato, senza dunque limitarsi ad esercitare il potere di emanare leggi e regolamenti, ma creando
GRANDE STEVENS, Fondazioni, cit., p. 614. FIORDIPONTI, Le fondazioni, cit., pp. 71 ss. 47 Cfr. anche CORSICO, MESSA , Da Frankenstein a principe azzurro Le fondazioni bancarie fra passato e futuro, Padova, 2011, p. 74. 48 Cfr. in merito il rapporto ACRI, Fondazioni di origine bancarie ventiduesimo rapporto annuale anno 2016, 2017, p. 24 ss. in particolare p. 29; il rapporto è consultabile sul sito web dell’ACRI all’indirizzo https//www.acri.it/Article/PublicArticle/337/7764/ ventiduesimo-rapporto-sulle-fondazioni-di-origine-bancaria---anno-2016; FIORDIPONTI, Le fondazioni, cit., p. 81. 49 Cfr. DI SABATO, I fini sociali dell’impresa etica, in Riv. soc., 2006, p. 637 ss. 45 46
485
Commenti
attraverso la legge gli strumenti necessari allo scopo. Enti quali le Fondazioni bancarie, a loro volta originati da Enti pubblici, possono comunque svolgere tali compiti anche a seguito di un processo di distacco rispetto allo Stato, che mantiene, sia pur indirettamente, ma non sempre, un certo ascendente, che si concretizza nella possibilità di nomina50, affidata ad Enti locali, di alcuni componenti dell’organo di indirizzo delle Fondazioni, lasciando però alle stesse una certa autonomia in base all’art. 4 della l. 153/1999. La ragione di una tale scelta può rinvenirsi anche nella circostanza di favorire l’ingresso di persone che, avendo contatti e rapporti con Enti locali, oltre ad aver maturato una certa esperienza nei settori dei quali le Fondazioni bancarie si occupano, possano avere un contatto più diretto con gli organismi territoriali, al fine di meglio raggiungere i loro scopi, favorendo una più forte collaborazione tra pubblico e privato, senza che il privato perda la sua autonomia. Di conseguenza, l’idea della Fondazione come ente di collegamento tra enti pubblici e privati, più che come organismo “ibrido” che racchiude in sé caratteristiche sia pubbliche che private51, sembra preferibile e permette di guardare alle Fondazioni bancarie quali soggetti che attuano uno scopo sociale e pubblico in via autonoma, pur rispecchiando il proprio operato mediante condotte simili a quelle di enti pubblici. Il ruolo delle Fondazioni, oltre che dalle citate sentenze della Corte Costituzionale, è stato definito anche dalla giurisprudenza amministrativa, in un primo tempo propensa a considerare le Fondazioni come organismi di diritto pubblico52 e, successivamente, dal Consiglio di Stato53, come organismi di diritto privato. Il processo di “privatizzazione” è poi continuato sia con le pronunce della Cassazione54, sia a seguito delle ultime riforme che, a seguito
Cfr. FIMMANÒ, COPPOLA, Sulla natura giuspublicistica, cit., p. 670 e ss. Cfr. però ONANO, La natura, cit., p. 91 e ss., inparticolare p. 94 e ss.; FIMMANÒ, COPPOLA, Sulla natura giuspublicistica, cit., p. 671. 52 Tar Lazio, Roma, sez. I, 31 luglio 2007 n. 7283, in Foro amm. TAR, 2007, I, p. 2430, con nota di Dipace, La donazione di progetti di opere tra diritto pubblico e diritto privato, pp. 2437 e ss. In particolare p. 2444 ss. Cfr. anche SANASI D’ARPE, La natura, cit., p. 15 ss.; MORBIDELLI, Le attività delle fondazioni tra diritto pubblico e diritto privato, in FERONI, a cura di, Fondazione e banche. Modelli ed esperienze in Europa e negli Stati Uniti, 2011, p. 33 ss.; TENCATI, Fondazioni, cit., p. 34 ss. 53 Cons. St., sez. VI, 3 marzo 2010, n. 1255, in Foro amm. CDS, 2010, p. 649. La sentenza riforma quella del TAR Emilia-Romagna, 6 ottobre 2009, n. 1757. 54 Cfr. TANZI, Sulle c.d. fondazioni bancarie: alcune considerazioni critiche, in Ban50 51
486
Carmine Ruggiero
dell’arresto ad opera dell’ANAC55, ha contribuito ulteriormente a definire il ruolo delle Fondazioni bancarie. Il quadro attuale dunque, sembra propendere più per la natura privatistica delle Fondazioni bancarie, del resto desumibile dallo svolgimento delle loro attività, che può agevolmente avvalersi di strutture private ed indipendenti. La nomina degli organi da parte di enti locali riguarda, invece, solo un momento particolare, che si esaurisce con la nomina e che mira solo a favorire non un controllo dei pubblici poteri sull’attività delle Fondazioni bancarie, quanto la possibilità di lasciare a tali enti poteri di intervento e partecipazione alla realizzazione di scopi a loro non del tutto estranei.
3. La tutela dinamica degli “interessi pretensivi” nell’alveo del processo amministrativo. La disamina dell’ordinanza impone poi una trattazione, seppur breve, concernente la tutela cautelare nell’alveo del processo amministrativo56 e
ca, borsa, tit. cred., 2013, I, p. 257, con ampi riferimenti giurisprudenziali. 55 Cfr. il rapporto Anac n. 8 del 2015, p. 28 che riferendosi alle fondazioni bancarie parla di enti di diritto privato partecipati da pubbliche amministrazioni; ma cfr. anche il rapporto Acri, Fondazioni di origine bancarie cit., p. 11 e ss., in particolare p. 21 ss. dove si legge: «Nel corso del 2016 si è poi registrata una nuova importante novità legislativa per quanto concerne l’annosa questione relativa alla determinazione dell’ANAC n. 8 del 2015, che riconduceva impropriamente le Fondazioni fra gli “enti di diritto privato partecipati dalla pubblica amministrazione”, con cui si esplicitava il principio in virtù del quale dovevano applicarsi alle stesse gli obblighi di trasparenza pubblicistici previsti a presidio della corruzione, contro la quale Acri aveva proposto ricorso davanti al giudice amministrativo. L’emanazione del decreto legislativo n. 97/2016 (cd. decreto FOIA), infatti, con l’inserimento nel d.lgs. n. 33 del 2013 del nuovo articolo 2-bis, ha definitivamente eliminata ogni incertezza circa la presenza in capo alle Fondazioni di ogni retaggio pubblicistico, che la delibera dell’ANAC avvalorava. Le precisazioni legislative, stabilendo l’applicazione della disciplina relativa alle Pubbliche Amministrazioni alle Fondazioni “la cui attività sia finanziata in modo maggioritario da pubbliche amministrazioni e in cui la totalità dei titolari o dei componenti dell’organo… di indirizzo sia designata da pubbliche amministrazioni” ha escluso l’applicazione nei loro confronti, anche solo in via interpretativa, della disciplina specifica dettata per gli enti pubblici, trovando piena applicazione nei loro confronti i principi di trasparenza recati dal d.lgs. n. 153 del 1999 e dal Protocollo d’intesa Acri/Mef. Nella revisione della delibera del 2015, posta in consultazione l’Autorità ha recepito il mutamento legislativo, escludendo espressamente le Fondazioni dalla disciplina pubblicistica». 56 FRACCHIA, Il ruolo e il significato della tutela cautelare nel quadro del nuovo processo amministrativo delineato dal l.lgs. 104/2010, in Dir. proc amm.. 2011, p. 191 ss.; RUSCICA, Il processo cautelare amministrativo, tra contraddizioni e novità, in www.lexi-
487
Commenti
la sua valenza preponderante che gli è valsa la definizione, oggi sostenuta in dottrina57, di vero e proprio “fulcro del processo amministrativo”58. Il tema, che è anche stato oggetto di accesi dibattiti, viene ancora una volta chiarito nei suoi aspetti salienti al fine di giustificare la soluzione avanzata dal giudice. Il nuovo ruolo assunto dal processo amministrativo, come noto, risponde ai criteri di efficienza, stabiliti dall’art. 1 della legge 241/90, finalizzati a garantire il principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost. Va anche palesato che la materia cautelare e la sua portata espansiva si incardinano perfettamente nella nuova configurazione del processo amministrativo quale giudizio non più limitato solo all’atto, ma alla verifica del rapporto di base ad esso sotteso59. Originariamente la tutela cautelare si incentrava unicamente sulla sospensione del provvedimento impugnato, a tutela di interessi cd oppositivi; tale impostazione era pienamente conforme alla struttura tradizionale del processo amministrativo quale mero giudizio sull’atto in vista del suo annullamento60, essendo un giudizio di carattere demolitoriocaducatorio. Successivamente, la legge 205/2000 ha determinato un profondo sconvolgimento nella materia cautelare, conferendogli quella portata “globalizzante” che ancora oggi, a seguito della entrata in vigore del d.lgs n. 104 del 2010, la caratterizza. L’art. 3 della legge 205/2000 ha, infatti, conferito al giudice amministrativo, con ciò superando il rigido principio di tipicità delle misure cautelari, il potere generale di emanare, in via cautelare, ogni provvedimento che appare più idoneo, in ossequio al citato principio di effettività della tutela giurisdizionale, alla tutela delle differenti situazioni soggettive vantate dal privato nei confronti della Pubblica Amministrazione, con una portata estesa anche agli interessi legittimi c.d. pretensivi. La legge in questione permette di introdurre definitivamente nell’alveo del processo amministrativo il “principio di
talia.it, 2/2011. 57 Cfr. sul tema FOLLIERI, Giudizio cautelare amministrativo e interessi tutelati, Milano, 1981; cfr. anche FOLLIERI, Esecuzione delle ordinanze cautelari del giudice amministrativo (nota a Cons. Stato ad. Plen. 30 aprile 1982 n. 6), in Foro amm., 1982, p. 630 ss. 58 PAVAN, La tutela cautelare nel nuovo codice del processo amministrativo, Milano, 2010, p. 1. 59 LUMETTI, Processo amministrativo e tutela cautelare, Padova, 2012, p. 48. 60 Cfr. CAIANIELLO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 1988.
488
Carmine Ruggiero
atipicità ed elasticità”61 delle tecniche di tutela cautelare utilizzabili nel processo amministrativo, sulla falsariga del processo civile. L’ordinanza in esame riguarda ed insiste proprio sul superamento della lacuna, nel sistema del processo amministrativo, della misura operante in funzione conservativa e non anche anticipatoria, che era idonea ad arrecare un danno consistente alle posizioni soggettive vantate dal privato, sprovvisto del tutto di tutela nel caso di lesione dell’interesse cd pretensivo. Il riconoscimento della tutela cautelare degli interessi a connotazione pretensiva, lesi da atti a contenuto negativo, è stato frutto di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale in cui inizialmente si propendeva ad accogliere la tesi della inammissibilità della sospensiva per gli atti di diniego di provvedimenti ampliativi62. Il provvedimento di sospensione, infatti, non era compatibile con i provvedimenti a contenuto negativo, cioè di quelli ampliativi delle posizioni giuridiche del privato63. La distinzione tra atti a contenuto positivo ed atti a contenuto negativo si ricollega, sul piano teorico generale, a quella tra interessi c.d. oppositivi (o statici), i quali tendono alla conservazione di una situazione di vantaggio, incisa dall’atto amministrativo ed interessi c.d. pretensivi (o dinamici), con i quali si aspira ad ottenere dall’amministrazione il provvedimento ampliativo richiesto64. Nel sistema di giustizia amministrativa del tempo, restavano quindi scoperte, e prive di tutela, tutte quelle posizioni giuridiche sostanziali incise da atti di contenuto negativo (lesivi di interessi legittimi cd pretensivi), con i quali l’amministrazione negava l’ampliamento della posizione giuridica del soggetto richiedente. Tale lettura, finora consolidata in dottrina65, appare oggi subire di-
FOLLIERI, Il nuovo giudizio cautelare: art. 3 L. 21 luglio 2000 n. 205, in Cons. Stato, 2001, pp. 479 ss.; Cfr. anche DE CAROLIS, Il nuovo assetto della tutela cautelare (art.3 della L.205/2000), in CARINGELLA, PROTTO, a cura di, Il nuovo processo amministrativo, Roma, 2001. 62 VIRGA, La tutela dei terzi nel processo amministrativo, Padova, 1992; contra CAIANIELLO, Diritto processuale amministrativo, Torino, 1988, p. 366. 63 VIRGA, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, Milano, 1982, p. 301. 64 Sulla distinzione tra interessi oppositivi ed interessi pretensivi v. CAIANIELLO, Diritto processuale amministrativo, cit., p. 174 ss.; ANDREANI, Gli interessi pretensivi dinamici nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1994, p. 327 ss. 65 Cfr. FOLLIERI, Giudizio cautelare amministrativo, cit., pp. 128 ss. Sulla sospensione degli atti negativi, cfr. BARBIERI, Sulla sospensione degli atti negativi della pubblica amministrazione, in Riv. dir. proc., 1980, pp. 295 ss.; SAITTA, Un ulteriore esempio di 61
489
Commenti
verse incrinature derivanti in particolare dall’interpretazione circa gli atti negativi in senso stretto, consentendo in tal modo di coniare alcune fattispecie di intervento cautelare utilizzabili anche con riguardo agli atti negativi in senso improprio66, di quegli atti cioè negativi ma ad effetti innovativi, ovvero su atti negativi in senso stretto67 incapaci di sortire un effetto modificativo della realtà. La misura cautelare gradualmente perde la sua originaria fisionomia e destinazione funzionale, superando, come specificato anche nell’ordinanza in commento, il limite degli atti negativi con effetti innovati, per cui la funzione di tutela della posizione giuridica soggettiva del privato subisce una modifica, essendo non più confinata negli angusti margini di una tutela cristallizzante cui era originariamente relegata. Di conseguenza, l’evoluzione della giurisprudenza amministrativa e la concessione di una tutela sempre più ampia al ricorrente in sede cautelare, hanno determinato un ampliamento del ventaglio delle misure cautelari a disposizione del giudice amministrativo. Si è cosi pervenuti al superamento della concezione della sospensione come mero strumento per mantenere la situazione cristallizzata sino al momento della decisione di merito68, potendo la misura cautelare determinare anche effetti ordinatori, attraverso la prescrizione all’amministrazione di un “fare spe-
sospensione di atti negativi, in TAR, 1986, II, p. 421 ss.; STICCHI DAMIANI, Sulla sospendibilità dei provvedimenti negativi, in Dir. proc. amm., 1984, p. 413 ss.; TRAVI, La tutela cautelare nei confronti dei dinieghi di provvedimenti e delle omissioni della P.A., in Dir. proc. amm., 1990, p. 329 ss.; CARUSO, La giustizia cautelare: i provvedimenti negativi e le ordinanze “propulsive” dei Tar, in Giur. amm. siciliana, 1994, III, 1, p. 470 ss.; CURATO, Nuove prospettive in tema di sospensive di atti negativi, in Riv. amm., 1995, II, 102 ss.; NOBILI, Riflessioni sulla sospensione cautelare dei cosiddetti “provvedimenti negativi”, in Foro amm., 1995, p. 2476 ss.; ORO NOBILI, Tutela cautelare in relazione ai dinieghi della p.a., in Rass. giur. en elettr., 1995, II, p. 963 ss.; BARBIERI, Sulla sospensione dei dinieghi e dei silenzi della pubblica amministrazione, in Foro amm., 1996, p. 3527 ss.; BOZZI Sono sospendibili i provvedimenti negativi?, in TAR, 1996, II, pp. 73 ss.; VARRONE, Discrezionalità amministrativa e inibitoria degli atti a contenuto negativo, in Foro amm., 1996, II, p. 731 ss. 66 Cfr. anche SAPORITO, La sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato nella giurisprudenza amministrativa, Napoli, 1981; FOLLIERI, Il giudizio cautelare amministrativo (Codice delle fonti giurisprudenziali), Rimini, 1992. 67 BERTONAZZI, Brevi riflessioni sulla tutela cautelare nei confronti dei provvedimenti negativi e dei comportamenti omissivi della pubblica amministrazione, in Dir. proc. amm., 1999, p. 1208 ss. 68 ROMANO, Tutela cautelare nel processo amministrativo e giurisdizione di merito, in Foro it., 1985, I, p. 2491 ss.
490
Carmine Ruggiero
cifico”. Quanto agli interessi c.d. pretensivi, il TAR69 ha rilevato, infatti, come l’annullamento giurisdizionale non costituisca il loro momento finale di realizzazione, ma solo un momento strumentale in vista degli ulteriori provvedimenti amministrativi. L’art. 3 della legge 205/200070, abbandonando definitivamente l’identificazione della misura cautelare invocabile nel processo amministrativo con la sola sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, e quasi mutuando la formulazione letterale dell’art. 700 c.p.c., ha consentito di superare in modo definitivo i dubbi circa l’ammissibilità di tecniche di intervento cautelare a protezione di interessi c.d. pretensivi71, riconoscendo al giudice amministrativo il potere di adottare tutte le misure «che appaiono secondo le circostanze idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso». L’esigenza di una tutela sempre più ampia da accordare agli interessi c.d. pretensivi ha portato alla creazione della nuova funzione c.d. “anticipatrice” e non più solamente conservativa della tutela cautelare; di conseguenza, la dottrina ha cominciato ad interrogarsi sull’ammissibilità delle ordinanze c.d. propulsive. Una prima tesi ostativa non era propensa ad attribuire tale facoltà, in quanto la riteneva confliggente con il principio della strumentalità cautelare72, non ammettendo quindi che il giudice potesse consentire alla Pubblica Amministrazione il riesame dell’ordinanza del privato, con l’adozione di un nuovo atto con diversa motivazione sulla scorta del rilievo secondo cui il c.d. “remand”73 andrebbe ad assicurare un’utilità più ampia rispetto a quella conseguibile con la sentenza di merito74.
TAR Lazio, 8 febbraio 2010, n. 1658, in Foro amm. TAR, 2010, p. 440. Per un primo commento alla nuova disciplina della tutela cautelare nel codice del processo amministrativo v. PALLIGGIANO, ZINGALES, Il codice del nuovo processo amministrativo, Milano, 2010, p. 104 ss.; CHIEPPA, Il codice del processo amministrativo, Milano, 2010, p. 337 ss.; FERRARI, Il nuovo codice del processo amministrativo, Roma, 2010, p. 202 ss.; LEONE, SALTELLI, Codice del processo amministrativo, Padova, 2010, p. 569 ss. 71 RENNA, Spunti di riflessione per una teoria delle posizioni soggettive “strumentali” e tutela cautelare degli interessi “procedimentali” pretensivi, in Dir. proc. amm., 1995, p. 812 ss. 72 Cfr. TRAVI, Misure cautelari di contenuto positivo e rapporti fra giudice amministrativo e pubblica amministrazione, in Dir. proc. amm., 1997, pp. 174 ss. 73 Cfr. TAR Lazio, 27 luglio 2015, n. 10245, in Dir. e giust., 21 settembre 2015. 74 RUSCICA, Il nesso di strumentalità forte della nuova tutela cautelare: brevi note sull’art. 55 cpa, in Il diritto per i concorsi, 2010, pp. 83 ss. 69
70
491
Commenti
Nonostante l’interferenza con i requisiti della strumentalità ed interinalità75, si è delineata una tesi sempre più favorevole all’utilizzo della tecnica di sospendere, mediante ordinanza cautelare, il provvedimento, chiedendo contestualmente alla Pubblica Amministrazione di riesaminare il proprio provvedimento alla luce di quanto eccepito nel ricorso, soprattutto in considerazione delle importanti novità introdotte con la legge 205/2000, destinate a corroborare la sostanziale trasformazione del processo amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto76. La misura propulsiva si individua come provvedimento che non collide con il principio di riserva di merito e separazione dei poteri in quanto impone alla Pubblica amministrazione di attivarsi per emanare un nuovo provvedimento privo dei vizi formali e delle incongruenze logiche e giuridiche che sono emerse con il ricorso, senza invadere tuttavia l’area della discrezionalità riservata alla pubblica amministrazione, non essendo quest’ultima vincolata nella determinazione contenutistica della decisione. Per solito, le ordinanze propulsive, accanto alla sospensione del provvedimento impugnato, impongono all’amministrazione il riesame del provvedimento amministrativo, tenendo conto dei criteri adottati dal giudice amministrativo nella motivazione dell’ordinanza (il c.d. remand)77. Come ben evidenzia una ordinanza del Consiglio di Stato78 «le misure cautelari propulsive (oggi unanimemente ammesse, stante il principio dell’atipicità della tutela cautelare, scolpito dall’art. 3 della legge n. 205/00), consistono nell’ordine, rivolto all’amministrazione, di esercitare nuovamente una determinata potestà, onde pervenire all’adozione di un atto, emendato dai vizi riscontrati in sede di cognizione giurisdizionale. Il c.d. remand (così è anche denominata la figura delle ordinanze propulsive) instaura dunque un dialogo tra la giurisdizione e l’amministrazione, mirante ad orientare l’attività discrezionale della seconda nella direzione, ritenuta giuridicamente ortodossa, suggerita dalla prima». Il modello classico di ordinanza c.d. propulsiva è anche ben rappresentato da una pronuncia del TAR Lazio79: «Le ordinanze cau-
Cfr. Cons. St., ad. plen., 5 settembre 1984, n. 17, in Foro amm., 1984, p1651. Cfr. SANINO, Il processo cautelare, in CERULLI IRELLI, a cura di, Verso il nuovo processo amministrativo, Torino, 2000, p. 249 ss. 77 FRENI, La tutela cautelare e sommaria nel nuovo processo amministrativo, Milano, 2011, p. 12 ss. 78 Cons. St., sez. V, 19 febbraio 2007, 833, in Foro amm. CDS, 2007, 542. 79 TAR Lazio, 8 febbraio 2010 n. 1658, in Foro amm. TAR, 2010, 440. 75 76
492
Carmine Ruggiero
telari possono avere un’efficacia propulsiva … consistente nell’ordine, rivolto all’amministrazione, di esercitare nuovamente una determinata potestà, onde pervenire all’adozione di un atto, emendato dai vizi riscontrati in sede di cognizione giurisdizionale». La questione della compatibilità della tutela cautelare degli interessi c.d. pretensivi con il limite esterno della discrezionalità assume particolare pregnanza con riguardo alle misure cautelari sostitutive e positive con le quali il giudice, in assenza di un rapporto dialogico con la Pubblica Amministrazione, provvede ad anticipare interinalmente gli effetti del provvedimento agognato dal soggetto titolare di un interesse legittimo e negato dalla Pubblica Amministrazione. Si tratta di misure positive con le quali il giudice amministrativo adotta direttamente le prescrizioni necessarie, producendo in via anticipata, nelle more della definizione del giudizio, gli effetti del provvedimento negato dall’amministrazione. È importante sottolineare che le ordinanze sostitutive trovano applicazione nel caso di attività vincolata dell’amministrazione o comunque, come si afferma in giurisprudenza, “a basso tasso di discrezionalità”80, in ossequio al principio di “riserva di amministrazione” e di “separazione dei poteri”81. La lunga evoluzione legislativa e giurisprudenziale trova, finalmente, un punto d’arrivo negli artt. 55 e ss. del codice del processo amministrativo82.
4. Gli organi delle fondazioni bancarie e le loro funzioni: competenze, attribuzioni e requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza dei componenti degli organi. La particolare struttura delle Fondazioni di origine bancaria, come creata e disciplinata dal d. lgs. 153 del 1999, ha portato la dottrina ad
TRAVI, Misure cautelari di contenuto positivo e rapporti fra giudice amministrativo e pubblica amministrazione, in Dir. proc. amm., 1997, p. 178, il quale osserva che «l’esercizio della discrezionalità amministrativa è oggetto di un monopolio a favore dell’Amministrazione e identifica un limite istituzionale esterno rispetto al potere giurisdizionale». 81 TRAINA, in Codice della giustizia amministrativa, a cura di Morbidelli, Milano, 2005, p. 532 ss. 82 ANDREIS, La tutela cautelare, in Il nuovo processo amministrativo, diretto da Caranta, Torino, 2011, p. 336; LEONARDI, La tutela cautelare nel processo amministrativo, 2010, p. 141 ss., in cui si evidenzia che «questo aspetto della tutela cautelare nel processo amministrativo è stato tollerato, ma anche esplicitamente ammesso da parte della dottrina fin da prima della riforma del 2000». 80
493
Commenti
assimilare tali enti alle società di capitali83, in particolare alle società per azioni con il sistema dualistico84. Gli organi previsti sono almeno tre85, secondo quanto affermato anche dal Ministero dell’Economia e delle Finanze86, e devono svolgere le funzioni di indirizzo, amministrazione e controllo della Fondazione, in base alle scelte statutarie, che permetteranno di determinare in concreto i diversi compiti dei singoli organi87, nel rispetto dei punti fissati dal d. lgs. 153/1999, salva la previsione di ulteriori organi88. Lo schema così creato sembra, quindi, riconducibile facilmente a quello di una società per azioni, con l’assenza solo dell’assemblea dei soci, come del resto sembra connaturato alla natura stessa delle Fondazioni bancarie, ma anche in questo caso, fatta salva l’eccezione delle Fondazioni di origine associativa, per le quali, ai sensi del d. lgs. 153/1999, è permesso di mantenere l’organo assembleare. In base a tali rilievi, il c.d. organo d’indirizzo, che può assumere il nome che si preferisce, non essendo il termine “organo di indirizzo” vincolante, ha la funzione di determinare il programma dell’ente Fondazione, proporre le clausole e le modifiche dello statuto, nominare i componenti del consiglio di amministrazione e dell’organo di controllo ed approvare il bilancio89. Si tratta di un organo imparziale che, se in parte sembra avere i poteri di un’assemblea dei soci di una S.p.a., in realtà, quale conseguenza della natura stessa della Fondazione, è un organo del tutto diverso90, esterno alla Fondazione stessa e questo giustifica la possibilità di nomina da parte di Enti locali terzi pubblici o privati, come statuito dalla Corte costituzionale nel 2003, del tutto estranei alla Fondazione ed ai suoi scopi, dei quali però condividono le finalità.
TENCATI, Fondazioni, cit., p. 119 ss. GRANDE STEVENS, Fondazioni, cit., p. 610; TENCATI, Fondazioni, cit., p. 121. 85 CORSICO, MESSA, Da Frankenstein a principe azzurro, cit., p. 74. 86 Si tratta dell’atto di indirizzo a carattere generale del 5 agosto 1999, p. 5; Cfr. anche GUACCERO, Gli organi delle fondazioni di origine bancaria, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, I, p. 757. 87 GENTILI, La riforma delle fondazioni bancarie: gli organi, in AMOROSINO, CAPRIGLIONE, a cura di, Le fondazioni bancarie, cit., p. 64 ss.; PAVONE LA ROSA., Fondazioni bancarie e disciplina dell’impresa commerciale, in Banca, borsa, tit. cred., 2000, I, p. 7 ss.; GUACCERO, Gli organi, cit., p. 757. 88 Cfr. SANASI D’ARPE, La natura, cit., p. 87 ss. 89 GRANDE STEVENS, Fondazioni, cit., p. 610. 90 SANASI D’ARPE, La natura, cit., p. 88. 83 84
494
Carmine Ruggiero
La particolare struttura e funzione dell’organo di indirizzo, dovrebbe comportare anche la possibilità di attribuirgli anche altre funzioni, senza però togliere i relativi poteri agli organi di amministrazione e di controllo91. In relazione alla composizione dell’organo di indirizzo, fatta salva la libertà di indicare nello statuto anche gli enti che dovranno procedere alle relative nomine e le modalità di proposta92, l’art. 4, co. 1, lett. c prevede che, nel procedere alle nomine, e, dunque, anche rispetto alle modalità di tali nomine, come indicate dai singoli statuti, la scelta debba essere fatta anche in base alle competenze dei soggetti prescelti rispetto ai settori d’interesse93 ed in particolare di quelli specificamente prescelti dalla fondazione stessa. La previsione normativa permette di interrogarsi circa la scelta, tenendo conto che i settori ammessi potrebbero subire modifiche ogni tre anni e, dunque, anche le competenze personali potrebbero risultare non più idonee; nell’ottica di una maggiore garanzia e trasparenza non solo gli statuti delle singole Fondazioni dovrebbero disciplinare detta ipotesi, ma sarebbe quantomeno opportuno prevedere che la scadenza dell’organo coincida con la eventuale modifica dei settori prescelti. Il principio secondo il quale i requisiti vanno mantenuti per tutta la durata della carica94, comporterebbe l’automatica decadenza di soggetti non idonei. L’organo amministrativo95 svolge compiti di gestione dell’ente ed amministrazione del patrimonio seguendo le prescrizioni dell’art. 5 d. lgs. 153/9996. La gestione verrà, inoltre, esercitata sulla base dei programmi previsti dall’organo di indirizzo, pertanto i poteri dell’organo amministrativo sono più limitati rispetto, ad esempio, ad una società e l’organo stesso risulta quasi dipendente dall’organo di indirizzo che eserciterà la programmazione generale. In particolare, il punto che desta maggiore interesse riguarda la perdita in capo all’organo amministrativo dei poteri in tema di bilancio,
91 GRANDE STEVENS, Fondazioni, cit., p. 610; cfr. anche l’atto di indirizzo a carattere generale del Mef emanato in data 5 agosto 1999, p. 64 ss. 92 In relazione al numero dei componenti dell’organo di indirizzo: cfr. TENCATI, Fondazioni, cit., p. 125. 93 SANASI D’ARPE, La natura, cit., p. 90 ss. 94 GRANDE STEVENS, Fondazioni, cit., p. 611. 95 Sulle ragioni che portano a non considerare possibile la nomina di un amministratore unico: cfr. TENCATI, Fondazioni, cit., p 130. 96 Sui poteri dell’organo amministrativo cfr. GUACCERO, Gli organi delle fondazioni, cit., p. 780 ss.
495
Commenti
la cui approvazione spetta all’organo di indirizzo. In realtà, anche per le società l’approvazione del bilancio spetta all’assemblea e non agli amministratori; tuttavia, nulla è detto in tema di redazione del bilancio, che probabilmente verrà affidata all’organo amministrativo97 dallo statuto. La forte dipendenza dell’organo amministrativo rispetto ai poteri di programmazione dell’organo d indirizzo, rende più ardua la configurazione della indipendenza dei due organi e della separazione di compiti, che pertanto riguarderà solo le mansioni, più che le scelte, queste ultime, di spettanza dell’organo di indirizzo. L’ultimo organo contemplato dal legislatore come obbligatorio è l’organo di controllo, per il quale vengono spese poche parole e, dunque, gran parte della disciplina è di competenza dello statuto. In considerazione del delicato ruolo svolto, oltre ai necessari ed imprescindibili requisiti di specifica professionalità anche in materia contabile, ed ai requisiti di onorabilità espressamente richiamati, si ritiene che non possa mancare un certo connotato di indipendenza per svolgere in modo trasparente il proprio compito98. Il paragone con i corrispettivi organi delle società per azioni99 permette di implicare la disciplina, attingendo da quelle norme, in particolare in tema di poteri di vigilanza. Il d.lgs. 153/99 contempla, infine, come organo solo eventuale, l’assemblea dei soci, per le Fondazioni derivanti da associazioni e solo qualora si decida di mantenere detto organo. L’assemblea, considerati i poteri che le vengono attribuiti, ha fatto interrogare la dottrina circa la sua natura di vero e proprio organo, in particolare nel caso in cui non abbia neanche il compito di nominare alcuni dei componenti dell’organo di indirizzo o abbia solo questo potere100. In realtà, il fatto di avere delle funzioni specifiche non sembra far dubitare della natura di organo o semplice componente della Fondazione, perché comunque contribuirà a dare il suo apporto al funzionamento della Fondazione, non potendo in nessun caso interferire, come affermato chiaramente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze101, nelle funzioni degli altri organi, in particolare con l’organo di indirizzo.
In tal senso GRANDE STEVENS, Fondazioni, cit., p 611. Cfr. anche: TENCATI, Fondazioni, cit., p 137. 99 GRANDE STEVENS, Fondazioni, cit., p 611; del resto lo stesso atto di indirizzo del 5 agosto 1999 rimanda alla disciplina codicistica. Cfr. sul punto anche GUACCERO, Gli organi delle fondazioni, cit., p 783 ss. 100 GUACCERO, Gli organi delle fondazioni, cit., p 758. 101 Cfr. l’Atto di indirizzo del 5 agosto 1999, p. 5 ss. 97 98
496
Carmine Ruggiero
Quest’ultima circostanza relega comunque l’assemblea ad un ruolo marginale, nel senso di non poter svolgere i compiti principali già attributi o presumibilmente attribuiti agli altri organi, in particolare poteri amministrativi, che generalmente, almeno per quanto concerne le società, sono stati sottratti all’assemblea dei soci. La previsione di un organo senza funzioni, o con compiti talmente limitati da considerarsi quasi inesistenti, permetterebbe di interrogarsi sulla effettiva necessità dell’assemblea, ma non contribuirebbe a farle perdere la qualifica, cosa che in ogni caso non ne farebbe venir meno la sua esistenza se e finché lo statuto prevede la sua esistenza102. In relazione all’argomento per cui l’attribuzione come unico compito di nominare parte dell’organo di indirizzo varrebbe a destituire di fondamento l’assemblea103, non sembra possa considerarsi priva di importanza la nomina dei componenti dell’organo di indirizzo, considerato il loro ruolo di determinazione dei programmi della Fondazione, del legame territoriale ecc., quando le nomine sono analiticamente disciplinate negli statuti, per permettere di far assumere carica a persone in grado di ricoprire il ruolo, argomento peraltro dell’ordinanza in commento. A favore della natura di organo milita, però, il fattore della tradizione, dal momento che il d. lgs. 153/99 permette alle Fondazioni di origine associativa di mantenere, non dunque istituire ex novo, l’assemblea, disciplinandone i poteri, vale a dire adattandola alla nuova forma che l’ente ha assunto. La stessa possibilità di prevedere ulteriori ramificazioni, quali comitati esecutivi ecc. apre la possibilità di distinguere l’assemblea, eventualmen-
In diritto amministrativo si rileva come ogni ente pubblico è organizzato in organi e uffici. Per organo si intende la persona, o il complesso di persone preposte ad un determinato centro di competenza amministrativa. L’ufficio è il complesso di persone fisiche, beni materiali e mezzi volti al perseguimento dei fini istituzionali dell’ente. Tra organo e soggetto preposto esiste un rapporto organico cioè un rapporto di immedesimazione, il primo è tutt’uno con il secondo e non costituisce un soggetto a sé stante. Pertanto il rapporto organico è un rapporto non giuridico ma meramente organizzativo. Tra il titolare dell’organo (il funzionario) e l’ente esiste, invece, un rapporto di servizio che è quel rapporto giuridico che giustifica l’inserimento di una persona fisica al servizio di un ente pubblico. Cfr. GALLI, Nuovo corso di diritto amministrativo, 2016, p. 166. Si può aggiungere che l’organo è quella persona o insieme di persone fisiche che possono compiere determinati atti giuridici per conto dell’ente di cui sono parte pertanto finché permane questa legittimazione non sembra potersi negare all’eventuale organo assembleare delle fondazioni la qualifica di organo, se non altro per la struttura e per il fatto di svolgere delle funzioni. 103 GUACCERO, Gli organi delle fondazioni, cit., p 758. 102
497
Commenti
te prevista, da altri strumenti che non vengono esplicitamente contemplati se non in una generica previsione che si collega alla libertà statutaria propria di un ente privato e della cui validità forse non si sarebbe nemmeno dubitato nel silenzio del legislatore. Il d. lgs. 153/99 ha il merito di prevedere espressamente l’obbligo per gli statuti delle Fondazioni di subordinare la scelta dei componenti dei diversi organi a specifici requisiti di onorabilità e professionalità, richiamando dunque almeno per i termini utilizzati, la disciplina delle società per azioni in generale di cui agli artt. 2382 c.c. e 2387 c.c.104, nonché alla disciplina più specifica contenuta nel t.u.b. artt. 25 e ss. e nel d. lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 all’art. 13. A tale connubio, non certo automatico e scontato, non sembra essere estranea la dottrina, che ravvisa un collegamento tra le varie norme riguardanti i requisiti di onorabilità e professionalità per l’ambito bancario e finanziario105, ma anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze che in tema di requisiti di onorabilità, pur sottolineando la particolarità delle Fondazioni bancarie, vede come possibile parametro di riferimento la disciplina bancaria e finanziaria106. La questione dei requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza permette inoltre di distinguere le Fondazioni di diritto privato rispetto alle Fondazioni bancarie, che si caratterizzano per una disciplina più analitica e diversificata, senza voler negare quanto detto prima in relazione alla natura delle Fondazioni bancarie107.
104 Cfr. BELCREDI, Amministratori indipendenti, amministratori di minoranza, e dintorni, in Riv. soc., 2005, p. 853 ss. 105 Cfr. DE LILLO, Commento all’art. 26 d. lgs. 1 settembre 1993 n. 385, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, diretto da Capriglione, cit., p. 310. 106 Si tratta dell’atto di indirizzo a carattere generale in materia di adeguamento degli statuti delle fondazioni alle disposizioni della legge 23 dicembre 1998, n. 461 e del decreto legislativo 17 maggio 1999, n. 153 emanato dal Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, ora Ministero dell’economia e delle finanze, in G.U. - Serie Generale del 10 agosto 1999 n. 186. 107 Un’osservazione degna di nota riguarda anche la terminologia utilizzata dal legislatore nel d. lgs. 153 del 1999; in tutto il testo del decreto legislativo, difatti, non si parla di “fondazioni bancarie” ma semplicemente di fondazioni, il termine non è inesatto, semplicemente nelle definizioni dello stesso decreto all’art. 1 co. 1 lett. c viene specificato che per “fondazioni” debba intendersi gli enti conferenti l’azienda bancaria di cui al d. lgs. 20 novembre 1990 n. 356, quasi a voler separare nettamente le due categorie delle fondazioni di diritto privato e quelle di origine bancaria. Si tratta, naturalmente, di una mera questione terminologica che tuttavia permette di riflettere sull’attaccamento alle origini, alla tradizione, nonostante il ripetuto tentativo di riportare le fondazioni bancarie
498
Carmine Ruggiero
Il forte legame tra i requisiti in tema di organi delle Fondazioni bancarie e società di capitali, oltre che nella terminologia utilizzata, va ravvisata con più forza in un altro elemento forse più decisivo; si tratta del regime di incompatibilità sancito dal decreto n. 153 del 1999 art. 4 co. 3 tra le cariche assunte in una Fondazione bancaria e le cariche eventualmente assunte nella società bancaria conferitaria. In tal modo si vuole sottolineare la stretta relazione tra Fondazioni e banche, particolarmente sentita al momento dell’emanazione del d. lgs. 153 del 1999, ma che ancora oggi non sembra essere del tutto recisa. Pertanto, se la gestione di una banca prevede determinati requisiti, non sembra del tutto fuori luogo desumere che tali tratti distintivi vadano attribuiti anche agli organi delle Fondazioni bancarie. I requisiti di professionalità ed onorabilità, riguardanti competenza ed onestà108, di cui all’art. 4 co. 1 lett. g. del d. lgs. 153/99, non vengono ulteriormente specificati, se non per il riferimento sintetico ai concetti di esperienza ed idoneità etica, opportuni per un ente senza scopo di lucro. Accanto a questi due requisiti vi sono le altre ipotesi di incompatibilità volte ad evitare conflitti di interessi dei soggetti che assumeranno l’incarico e la fondazione. Manca un diretto riferimento alla indipendenza dei soggetti che formeranno gli organi della Fondazione, ma questa omissione sembra possa giustificarsi in base al fatto che gli organi sono eletti, questo vale almeno per l’organo di indirizzo, da diversi enti tra loro indipendenti e con funzioni sociali e scopi pubblici che già potranno garantire l’indipendenza del soggetto nominato o proposto e che anzi loro stessi non potranno esercitare , una volta proposta la nomina, alcun potere sulla persona nominata. La nomina da parte dell’organo di indirizzo dell’organo di amministrazione permette poi di “trasmettere” l’indipendenza anche all’organo amministrativo in quanto diretta emanazione di un organo, i cui requisiti di indipendenza sono già stati definiti. L’indipendenza, pur se non prevista esplicitamente accanto agli altri due requisiti di onorabilità e professionalità, rientra comunque nella più ampia fattispecie dell’incompatibilità prevista dal decreto. L’individuazione dei requisiti dei componenti degli organi delle Fondazioni viene lasciata agli statuti, che inevitabilmente dovranno sentire
nell’ambito delle categorie civilistiche. 108 Cfr. anche FRENI, Requisiti di professionalità e di onorabilità degli esponenti aziendali, in FERRO-LUZZI, CASTALDI, a cura di, La nuova legge bancaria, Milano,1996, I, p. 403.
499
Commenti
il peso dell’interpretazione dottrinale in tema di società e dei codici di autodisciplina generalmente utilizzati109. La professionalità, che costituisce un principio conosciuto anche dall’art. 2382110, viene individuata dalla dottrina111 nella idoneità a svolgere l’incarico per la propria preparazione e competenza in quel determinato settore112. Il requisito racchiude dunque le competenze tecniche necessarie a svolgere un determinato incarico e la prova viene fornita dai titoli e dalle esperienze pregresse e non caratterizzate da fatti che possano far dubitare delle capacità113, che dimostrano il possesso delle idonee competenze a svolgere quel determinato incarico114. Il parametro della professionalità, a differenza degli altri due, va, inoltre, confrontato anche con l’effettivo carico di lavoro, pertanto maggiore è la dimensione dell’ente, maggiori sono i fondi ed i capitali amministrati e gestiti, maggiori e più stringenti saranno i requisiti di professionalità richiesti115. Trattandosi, inoltre, di competenze in tema di amministrazione, non va trascurata la competenza in materia di gestione economica e di conoscenza del diritto, pertanto su questo ultimo aspetto la conoscenza dell’ente che si andrà a gestire sia dal punto di vista economico che giuridico costituisce un importante parametro riferimento; per questa ragione si dovrà conto anche di tali conoscenze e risulteranno idonei alla gestione anche, ad esempio, docenti in materie giuridiche, in particolare in settori direttamente attinenti all’attività dell’ente. L’esperienza, inoltre, può essere misurata anche sul campo e, di conseguenza, anche lo svolgimento di attività di patrocinio legale nel settore operativo dell’ente e più, in generale, in relazione ad ambiti riguardanti la struttura dell’ente in questione possono essere considerati requisiti idonei. L’ordinanza in commento, si osserva, affronta il problema dell’in-
Sui codici di autodisciplina cCfr. Sironi, Commento all’art. 2387, cit., P. 278 ss. FRENI, Requisiti di professionalità e di onorabilità, cit., p. 405. 111 SIRONI, Commento all’art. 2387, cit., p. 291 ss. 112 MAZZINI, Commento all’art. 26 d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385, in Commento al d. lgs. 1 settembre 1993 n. 385 Testo unico in materia bancaria e creditizia, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi, Porzio, Santoro, Bologna, 2003, I, pp. 400 ss.; DE LILLO, Commento all’art. 26, cit., p. 32 ss. 113 FRENI, Requisiti di professionalità e di onorabilità, cit., p. 405. 114 MAZZINI, Commento all’art. 26, cit., p. 400; DE LILLO, Commento all’art. 26, cit., p. 321. 115 MAZZINI, Commento all’art. 26, cit., p. 406. 109 110
500
Carmine Ruggiero
compatibilità e del conflitto di interessi sulla base della constatazione che il ricorrente abbia svolto attività di patrocinio legale a favore di soggetti che agivano contro la Fondazione; al di là dei rilievi circa la non sussistenza del conflitto di interessi, il fatto di svolgere la professione di avvocato e di difendere tali soggetti contro la Fondazione contribuisce a dimostrare che il ricorrente possedeva le idonee conoscenze e competenze a svolgere l’incarico di Consigliere, in quanto, solo una persona esperta della materia può correttamente rappresentare in giudizio soggetti con interessi confliggenti quelli della Fondazione. Gli altri due requisiti, a differenza della professionalità, presentano caratteri più oggettivi, dal punto di vista pratico in quanto si riferiscono a caratteristiche comuni a tutti i soggetti svolgenti o aspiranti a ricoprire incarichi di amministratore o consigliere, senza negare che anche per la professionalità vi sono alcuni parametri oggettivi quali la capacità di amministrare che va poi indagata in modo più per lo specifico settore. Il requisito di onorabilità, riguarda caratteristiche del soggetto e la sua idoneità a svolgere l’incarico in modo corretto ed onesto116, senza che le sue ambizioni personali interferiscano con le sue funzioni, in particolar modo quando si tratta del perseguimento di fini sociali dei quali beneficerà l’intera comunità. Il parametro di riferimento è la condotta incensurabile, che la dottrina riconduce ad un’interpretazione estensiva delle condotte e situazioni soggettive già contemplate dall’art. 2382 c.c.117 e che si sostanziano principalmente nell’assenza di condanne penali118, nonché nelle altre ipotesi specificamente indicate dalle leggi speciali in materia bancaria e finanziaria119; tale rilievo mette in luce il problema della correlazione tra ineleggibilità, sospensione e condanna definitiva. In particolar modo la dottrina si è interrogata sul tema del patteggiamento e se tale rimedio debba considerarsi equivalente ad una sentenza di condanna, questione su cui è intervento, almeno in tema di banche, il regolamento ministeriale d. m. 161/1998, che equipara il patteggiamento alle sentenze di condanna120.
Cfr. FRENI, Requisiti di professionalità e di onorabilità, cit., p. 424 ss. SIRONI, Commento all’art. 2387, cit., p. 294. 118 Cfr. anche FRENI, Requisiti di professionalità e di onorabilità, cit., p. 425 ss.; DE LILLO, Commento all’art. 26, cit., p. 317. 119 MAZZINI, Commento all’art. 26, cit., p. 408; in tema di partecipazioni rilevanti cfr. DONATIVI e RESTINO, Commento all’art. 25 d. lgs. 1 settembre 1993 n. 385, in Commento al d. lgs. 1 settembre 1993 n. 385 Testo unico in materia bancaria e creditizia, cit., p. 362. 120 FRENI, Requisiti di professionalità e di onorabilità, cit., pp. 428 ss.; MAZZINI, Com116 117
501
Commenti
Il requisito dell’indipendenza, che come già detto, viene comunque considerato sia pur non in modo così diretto come per gli altri due requisiti, permette una valutazione più semplice in quanto, gli enti che nomineranno i componenti degli organi, già sono soggetti estranei alla Fondazione, a differenza delle società in cui gli amministratori sono nominati dai soci. La Fondazione, pertanto, dovrà limitarsi a valutare che i soggetti nominati non agiscano in conflitto di interessi con gli scopi della stessa. L’organo di indirizzo della Fondazione dovrà, pertanto, procedere a controllare la sussistenza dei requisiti per svolgere l’incarico per i propri componenti e così anche gli altri organi sono chiamati a controlli analoghi da effettuarsi entro trenta giorni ai sensi dell’art. 4 co. 1 lett. j del d. lgs. n. 153 del 1999. Lo stesso organo, tuttavia è anche investito della funzione di approvazione e modifica dello statuto, all’interno del quale verranno anche specificati i requisiti di professionalità, onorabilità ed indipendenza; nel silenzio della legge la disposizione va intesa ed interpretata nel senso di prevedere requisiti il più possibile oggettivi e secondo i pochi criteri di cui all’art. 4, evitando interpretazioni soggettive tali da instradare la nomina da parte di enti esterni verso soggetti specifici in quanto risultino gli unici a possedere quei determinati requisiti.
CARMINE RUGGIERO
mento all’art. 26, cit., p. 410; SIRONI, Commento all’art. 2387, cit., p. 295 ss.; DE LILLO, Commento all’art. 26, cit., p. 317 ss.
502
PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni
DOCUMENTI E INFORMAZIONI
Crisi bancarie e bail-in FINANCIAL STABILITY BOARD – Principles on Bail-in Execution, 21 June 2018 Table of Contents - Overview - Introduction - Definition of key terms I. Bail-in Scope - Principle 1. Ex ante transparency of the scope of bail-in; - Principle 2. Discretionary exclusions of liabilities from the bail-in scope; - Principle 3. Information requirements on the scope of bail-in; - Principle 4. Ex ante disclosures by firms of instruments within the bail-in scope; II Valuation - Principle 5. Roles of home and host authorities in the valuation process; - Principle 6. Capabilities of firms to support timely and robust valuation; - Principle 7. Valuation methodology and assumptions; - Principle 8. Transparency of the evaluation process; III. Exchange Mechanics - Principle 9. Development of the bail-in exchange mechanic; - Principle 10. Disclosure and specification of bail-in exchange mechanics. IV. Securities Law and Securities Exchange Requirements - Principle 11. Ex ante identification of securities law and securities exchange requirements; - Principle 12. Compliance with disclosure requirements during the bail-in period; - Principle 13. Listing and trading status of securities during the bail-in period; - Principle 14. Issuance, registration and listing requirements. V. Resolution Governance - Principle 15. Management and control of the firm during the bail-in period;
83
Documenti e informazioni
- Principle 16. Removal and appointment of management; - Principle 17. Transfer of control to new owners and management; - Principle 18. Coordination of regulatory approvals and authorisations; VI. Resolution Communications - Principle 19. Communication strategy and CMG coordination; - Principle 20. Delivery of communications; - Principle 21. Communication during the bail-in period; Principles on Bail-in Execution Overview Background Since the adoption of the Key Attributes of Effective Resolution Regimes for Financial Institutions (the Key Attributes, or the KAs) in November 20111, authorities in Crisis Management Groups (CMGs) for Global Systemically Important Banks (G-SIBs) have been working to develop firm-specific resolution strategies and plans. The resolution strategies and plans for some G-SIBs involve the application of bail-in powers. The Key Attributes set out the bail-in powers that authorities should have to achieve or help achieve continuity of critical functions2. More specifically, KA 3.5 requires authorities to have powers to carry out bail-in within resolution that should enable resolution authorities to: (i) write down in a manner that respects the hierarchy of claims in liquidation equity or other instruments of ownership of the firm, unsecured and uninsured creditor claims to the extent necessary to absorb the losses; (ii) convert into equity or other instruments of ownership of the firm under resolution (or any successor in resolution or the parent company within the same jurisdiction), all or parts of unsecured and uninsured creditor claims in a manner that respects the hierarchy of claims in liquidation; and (iii) upon entry into resolution, convert or write-down any contingent convertible or contractual bail-in instruments whose terms had not been triggered prior to entry into resolution and treat the resulting instruments in line with (i) or (ii). The absorption of losses by shareholders and unsecured and uninsured creditors serves to meet the objective of the Key Attributes to make feasible the resolution of financial institutions without exposing taxpayers to loss.
1
See Key Attributes of Effective Resolution Regimes for Financial Institutions (http:// www.fsb.org/wp- content/uploads/r_141015.pdf), November 2011 (updated in October 2014). 2 See KA 3.2 (ix).
84
Financial Stability Board
The Key Attributes require jurisdictions to provide for the powers and tools to achieve bail-in, and the FSB’s standard on Total Loss-absorbing Capacity (TLAC) defines a minimum requirement for the instruments and liabilities that should be readily available for bail-in within resolution at G-SIBs3. However, neither the Key Attributes nor the TLAC standard addresses the operational aspects of executing a bail-in transaction. These include the range of actions and processes required to (i) identify the instruments and liabilities within the scope of bail-in; (ii) conduct valuations to inform and support the application of bail-in; (iii) develop a bail-in process that meets applicable securities laws and exchange requirements; (iv) transfer governance and control rights to new owners and obtain the required regulatory approvals and authorisations; and (v) communicate effectively at all stages of the bail-in transaction with affected parties and the market. Objectives of principles This guidance document establishes a set of principles to assist authorities as they develop bail-in resolution strategies and make resolution plans operational for G-SIBs. While the principles have been developed with a focus on the bail-in of instruments and liabilities that count as TLAC, the principles are also applicable in jurisdictions where the liabilities potentially subject to bail-in are broader than the TLAC standard4. The principles, or parts thereof, may also be applicable to firms other than G-SIBs to the extent that the application of bail-in powers is envisaged under the authorities’ resolution strategy for those firms. However, their relevance and applicability may differ depending on, amongst other things, the type of instrument or liability, the nature of the firm and the actions envisaged under the authorities’ resolution strategy, and authorities will need to consider these differences as part of resolution planning. The principles focus on operationalising the “bail-in period” of resolution. The bail-in period begins with entry into resolution and includes the valuation process and the point of exchange following finalisation of the terms of bail-in (or determination of final conversion rates, if the exchange was conducted on the basis of a preliminary valuation). Some principles are also relevant for actions taken as part of ex ante resolution planning, or other preparatory actions leading up to the point of entry into resolution, that are directly connected with the execution of a bail-in resolution strategy.
3 See Principles on Loss-absorbing and Recapitalisation of G-SIBs in Resolution and Total Loss-absorbing Capacity (TLAC) Term Sheet (http://www.fsb.org/wp-content/ uploads/TLAC-Principles-and-Term-Sheet-for- publication-final.pdf), November 2015. 4 See Section 7 of the TLAC Term Sheet, which recognises that instruments and liabilities that are not eligible as TLAC remain subject to potential exposure to loss in resolution, in accordance with the applicable resolution law.
85
Documenti e informazioni
The operational processes and mechanics developed to execute a bail-in need to comply with applicable resolution laws and other legal and regulatory requirements. Flexibility may be required to design a framework that meets applicable law and requirements while ensuring consistency with the Key Attributes. For example, approaches to valuation and requirements for the identification of a valuer may differ across jurisdictions and depend on the bail-in approach. Also, the length of the bail-in period may differ depending on the design of the bail- in approach. The principles therefore do not prescribe a particular approach to the execution of a bail-in. Authorities will need to consider what processes and mechanics are required in the context of their own jurisdiction. The purpose of the principles is to identify actions that authorities should take to ensure that a bail-in can be implemented in a manner that is as credible, timely, consistent across home and host jurisdictions, and as transparent to market participants as possible. The principles are set out in chapters covering six aspects of bail-in execution: I. Bail-in scope: a prerequisite to a bail-in transaction is an effective resolution regime consistent with the Key Attributes that provides the resolution authority with powers to carry out bail-in within resolution as required by KA 3.5. The principles in this section provide guidance on transparency of the scope of the instruments and liabilities subject to the bail-in powers of resolution authorities; the application of discretionary exclusions from bail-in; information requirements to support the application of bail-in powers; and disclosures on the scope of bail-in to enhance transparency and market confidence. II. Valuation: valuation processes or other loss estimate analyses are necessary in resolution to inform the decisions of resolution authorities as they exercise bail-in powers. In particular, they provide the basis for certain resolution actions so that those powers can be exercised such that creditors bear losses consistent with their position in the hierarchy of claims, therefore minimising material risk of successful legal challenges and contributing to public confidence in the resolution process. The principles in this section should assist authorities as they establish a framework for the valuations that are necessary to inform the application of bail-in powers. The principles cover the timing and allocation of responsibilities between authorities in the valuation process; firms’ capabilities, including management information systems; information requirements to undertake an effective valuation; and valuation methodologies across a resolution group. III. Exchange mechanic: the development of an exchange mechanic process to facilitate, among other things, (a) the suspension, cancellation or discontinuation from trading of affected securities on relevant securities exchanges and within central securities depositories (if necessary under the mechanic in question); (b) the notification of creditors; and (c) following entry into resolution, the write-down of liabilities and issuance of equity instruments or the interim issuance of tradeable certificates to those unsecured and uninsured creditors subject to bail-in (the latter to allow for trading during resolution with
86
Financial Stability Board
the subsequent issuance of equity instruments once the final conversion rates are determined). The principles in this section provide guidance to address a number of operational issues, including the mechanism by which losses are absorbed; how creditors will document and track their claims; and the method to determine or adjust compensation to creditors. IV. Securities law and securities exchange requirements: a bail-in will need to take into account jurisdictions’ securities law and securities exchange requirements and the extent to which they apply, or continue to apply, during the bail-in period. These requirements may differ in some important aspects across jurisdictions, in particular as regards the required content and timing of disclosures and with respect to the availability of any exemptions or postponements. The principles in this section provide guidance to address the steps that home resolution authorities should take as part of ex ante resolution planning to: identify securities law and securities exchange requirements in connection with the bail-in period; plan for the firms’ compliance with applicable disclosure requirements during the bail-in period and the implications of insufficient or incomplete investor information (including a consideration of temporary exemptions from or postponements to applicable disclosure requirements where appropriate); plan for the listing and trading status of a firm’s securities during the bail-in period; and plan for the securities law and securities exchange requirements in connection with a bail-in transaction, including issuance, registration and listing requirements. V. Governance: during the bail-in period, the powers, rights and privileges of shareholders and creditors of the failed legal entity to vote or give approvals may be terminated or suspended depending on the jurisdiction’s approach to bail-in. Following the end of the bail-in period, ownership and control of the firm or newly established financial company is transferred to the new shareholders, including the holders of debt instruments of the failed firm. The change in ownership and control of the firm in resolution is likely to require regulatory approvals and authorisations, including in host jurisdictions. Newly appointed directors and senior managers (including those of subsidiaries and branches) of the firm in resolution may also be required to obtain regulatory approvals, the requirements for which may differ across jurisdictions. The principles in this section seek to provide guidance to home and host authorities on these issues. VI. Communications: multiple parties and authorities will likely be involved in the bail-in of a firm that has entered resolution, and there may be uncertainty with respect to the impact on creditors and speculation in the market throughout the resolution process. Given the range of stakeholders, ex ante planning and a common understanding of the approach to bail-in communication and the roles and responsibilities of home and host authorities is essential to avoid the risk of delayed or inconsistent communication from authorities that could create creditor confusion and damage market confidence. The principles in this section should assist authorities in the development of a coordinated strategy to manage market and creditor communications during the bail-in period.
87
Documenti e informazioni
Introduction G-SIB bail-in resolution strategies are generally based on two distinct approaches: (i) the capitalisation of a newly established entity or bridge institution to which certain assets and liabilities from the entity in resolution have been transferred (“closed bank bail-in”); or (ii) a recapitalisation of the entity in resolution (“open bank bail-in”). Approaches to bail-in also differ depending on the type of entity to which resolution tools would be applied (‘resolution entity’) under the resolution strategy. Depending on the organisational structure of the firm and the resolution strategy, a resolution entity may be a parent company, an intermediate or ultimate operating or non-operating holding company, or an operating subsidiary. These differences are relevant for many of the issues considered in the context of bail-in execution, including complying with securities law and other regulatory requirements and communicating with creditors and other stakeholders. Resolution authorities will need to consider these differences — which are both jurisdiction and firm specific — when planning to execute a bail-in. Regardless of which approach to bail-in is taken, or to which type of entity resolution tools are applied, the economic effect of bail-in is the same: a writedown of equity or other instruments of ownership of the firm and a write-down and/or conversion into equity of all or parts of unsecured and uninsured creditor claims. Accordingly, the principles are designed to apply to open bank and closed bank bail-in resolution strategies, and to different types of resolution entities. Nevertheless, the way in which authorities plan for and execute a bail-in will differ substantially depending on the approach taken and the type of resolution entity. Closed bank bail-in The use of a bridge institution under a closed bank bail-in, where the liabilities subject to bail- in may be left behind in the failed legal entity along with shareholders’ equity (or are converted into equity and transferred to the bridge institution), may afford the resolution authority a greater amount of time to conduct valuations and determine the extent of the write-down. However, in the time period leading up to the final equity conversion and exchange, additional work may be involved to, for example, develop financial statements and to register and issue new securities in compliance with applicable securities law and securities exchange requirements. Open bank bail-in An open bank bail-in approach, particularly when applied to an operating subsidiary, may require the write-down and/or conversion into equity of the instruments and liabilities subject to bail-in under a shorter timeframe. On the other hand, recapitalising the failed legal entity may simplify the process for issuing securities and obtaining regulatory approvals, as existing documentation could be used as a basis to help satisfy the relevant requirements.
88
Financial Stability Board
In light of these considerations the principles seek to address the implications of different approaches to bail-in by highlighting, to the extent possible, particular challenges and areas of focus under each approach. Definition of key terms Administrator: includes receivers, trustees, conservators, liquidators or other officers appointed by a resolution authority or court, pursuant to a resolution regime, to manage and carry out the resolution of a bank or assist in such tasks. Bail-in period: the period beginning with entry into resolution following the failure of a firm, including the valuation process to estimate losses and determine the write-down and conversion rates, and up to and including the point of exchange following finalisation of the terms of bail- in (or determination of final conversion rates, if the exchange was conducted on the basis of a preliminary valuation). In some jurisdictions the end of the bail-in period may not correspond to the timeframe for the firm’s exit from resolution. For example, restructuring of the firm to address the causes of failure may continue beyond the conclusion of the bail-in period. Bail-in within resolution: restructuring mechanisms (howsoever labelled) that enable loss absorption and the recapitalisation of a bank in resolution or the effective capitalisation of a bridge institution through the cancellation, write-down or termination of equity, debt instruments and other senior or subordinated unsecured liabilities of the bank in resolution, and the conversion or exchange of all or part of such instruments or liabilities (or claims thereon) into or for equity in or other instruments issued by that bank, a successor (including a bridge institution) or a parent company of that bank. Bridge institution: an entity that is established to temporarily take over and maintain certain assets, liabilities and operations of a failed bank as part of the resolution process. Disclosure requirements: all continuous ongoing and periodic disclosures required under securities laws or listing requirements, excluding disclosures required in connection with an initial offering of securities. Exchange mechanic: the mechanism to facilitate at an operational level the write-down and/or conversion into equity of the instruments and liabilities subject to bail-in, including the listing and trading treatment of affected securities following entry into resolution, the notification of affected creditors and the issuance of equity to the creditors subject to bail-in. Market authorities: authorities responsible for the regulation of securities markets including the regulation of securities exchanges and the development and enforcement of the laws and rules that govern securities markets. Market infrastructures: services or multilateral systems that provide the infrastructure for the transferring, clearing, and settling of payments, securities, and other financial transactions. For example, central securities depositories, common depositories, exchanges, paying agents.
89
Documenti e informazioni
Resolution group: as set out in section 3 of the TLAC Term Sheet, a resolution entity and any entities that are owned or controlled by a resolution entity either directly or indirectly through subsidiaries of the resolution entity and that are not themselves resolution entities or subsidiaries of another resolution entity form a resolution group. Each resolution entity and each direct or indirect subsidiary of a resolution entity is part of exactly one resolution group. I. Bail-in Scope Principle 1. Ex ante transparency of the scope of bail-in The jurisdiction’s resolution regime should clearly define the scope of instruments and liabilities to which bail-in powers could be applied. The resolution regime should clearly specify: • the scope of instruments and liabilities to which bail-in powers may be applied which should include – but is not limited to – those instruments and liabilities that are TLAC eligible; • any liabilities that are statutorily excluded from the application of bailin powers; • the position within the statutory creditor hierarchy of liabilities that fall within the bail- in scope; and • the “no creditor worse off than in liquidation” (NCWOL) safeguard and the process that would be followed to determine if any creditors and shareholders affected by the resolution are entitled to additional compensation beyond what is being distributed to these parties pursuant to the resolution action. Ex ante transparency in the resolution regime with regard to the scope of bail-in and position in the creditor hierarchy of liabilities subject to bail-in should enable market participants to assess the risks associated with, and pricing of, liabilities potentially subject to bail-in. Principle 2. Discretionary exclusions of liabilities from the bail-in scope Discretionary exclusions from the scope of bail-in and departures from pari passu treatment of similarly situated creditors should be nondiscriminatory and applied only where they are necessary to meet the resolution objectives consistent with the Key Attributes, to contain the potential systemic impact of a firm’s failure or to maximise the value for the benefit of all creditors as a whole. The Key Attributes require resolution powers to be exercised in a manner that respects the hierarchy of claims while providing flexibility to depart from the general principle of equal (pari passu) treatment of creditors of the same class, if necessary to contain the potential systemic impact of a firm’s failure or to maximise the value for the benefit of all creditors as a whole (KA 5.1). Any departure
90
Financial Stability Board
from equal treatment of creditors of the same class is subject to the NCWOL safeguard. The NCWOL principle establishes that creditors should have a right to compensation where they do not receive at least what they would have received in a liquidation of the firm under the applicable insolvency regime (KA 5.2). It may be necessary for resolution authorities to apply discretionary exclusions from bail-in and/or depart from pari passu treatment of similarly situated creditors to meet resolution objectives. However, uncertainty as regards the circumstances that would justify such departure could negatively impact market confidence and the application of discretionary exclusions could in certain cases give rise to material risk of legal challenge and compensation claims under the NCWOL safeguard. Consistent with KA 5.1 discretionary exclusions from bail-in and departures from pari passu treatment of similarly situated creditors should be limited to exceptional circumstances that are clearly set out in the resolution regime. Resolution authorities should evaluate whether to provide additional ex ante communication on how they anticipate applying discretionary exclusions from bail-in or departures from pari passu treatment of similarly situated creditors, including the types of factors that might justify such an action, the criteria for distinguishing between different types of creditors, as well as the applicable safeguards (e.g. NCWOL). The factors and criteria for distinguishing different types of creditors should be objective and non-discriminatory and motivated by the resolution objectives to maintain financial stability and the continuity of critical functions, protect taxpayers from exposure to loss, and maximise value for creditors as a whole5. Any additional communication provided by resolution authorities should not give an expectation that certain types of claims that fall within the category of TLAC or other bail-inable resources would de facto be excluded from a bail-in in a resolution scenario. Discretionary exclusions and departures from pari passu treatment that have been made during the bail-in process should be clearly communicated by resolution authorities as soon as possible. Principle 3. Information requirements on the scope of bail-in As part of ex ante resolution planning, authorities should ensure the timely access to the information that would be required to determine which of the firm’s instruments and liabilities fall within the scope of bail-in. Information will be required to establish, among other things, the type, characteristics and value of a firm’s instruments and liabilities, and to understand any factors that may affect the enforceability or effectiveness of the bail-in transaction. Authorities should ensure that
5 Value maximisation for creditors as a whole does not mean that all creditors benefit in the same manner.
91
Documenti e informazioni
firms have the appropriate capabilities, including technological infrastructure, to support timely access to this information. Authorities will require access to a range of information for purposes of resolution planning and at the point of resolution to assess the feasibility and credibility of the resolution strategy; identify liabilities that fall within the bail-in scope, including, if appropriate, the liabilities that they may intend to exclude on a discretionary basis; and execute the bail-in transaction. The exact information requirements are likely to differ depending on the jurisdiction and the resolution strategy, but the following baseline information on a firm’s instruments and liabilities that are potentially subject to bail-in (with the exception of those that are statutorily excluded from bail-in) is likely to be required at a minimum: • type of instrument/liability; • issuing entity and location within the group; • currency; • any set off or netting rights, including the amount that can be set off or netted; • in the case of collateralised liabilities the nature and amount and terms of enforcement of the collateral (so as to determine any uncollateralised and therefore bail-inable portion of the liability); • position in the creditor hierarchy under the applicable insolvency law; • principal value/amount outstanding (and the bail-in able part of the outstanding amount), including any accrued but unpaid interest; • carrying amount (balance sheet figures) pursuant to the relevant accounting standards; • any hedge accounting, including type of hedge and hedge ID according to the relevant accounting standards; • original and residual maturity date including, where applicable, early redemption dates; • governing law and the presence of any contractual provisions for bailin where the liability is governed by foreign law; • domestic and international Central Securities Depositary (CSD)/registrar, paying agent/ trustee, the International Securities Identification Number (ISIN) or Committee on Uniform Security Identification Procedures (CUSIP) number (as necessary based on the exchange mechanic that is being used); and • exchange where the instrument/liability is registered (where applicable). Information on the type and the identification (name) of the holder is also desirable, but on a best efforts basis given the challenges associated with obtaining such information6.
6
92
Information on the current holders of a firm’s liabilities is unlikely to be readily
Financial Stability Board
Authorities should ensure as part of ex ante resolution planning that firms can produce the required information within a sufficiently short timeframe and on an up-to-date basis. Firms should have the appropriate capabilities, including technological infrastructure, to produce the necessary set of information (for example, based on the items identified above) on a timely basis. Authorities should also consider what expanded or additional sets of information are likely to be required to support alternative resolution strategies or contingencies in the event that the preferred resolution strategy cannot be implemented. Some information may be necessary from other market participants, such as CSDs, International CSDs (ICSDs) and registrars. Where this is the case, authorities should ensure that there are appropriate powers or gateways in place to obtain the required information on a timely basis. Principle 4. Ex ante disclosures by firms of instruments within the bail-in scope Authorities should require G-SIBs and where relevant other firms for which bail-in is the preferred resolution strategy to provide ex ante disclosures to market participants regarding the amount, maturity and composition of instruments and liabilities that could be subject to bailin. Disclosures for G-SIBs should meet the requirements established under the TLAC standard. To further enhance market and public confidence in the resolution process, authorities should require G-SIBs and where relevant other firms to disclose on an ex ante basis information regarding the nature and quantum of liabilities that could be subject to bail-in. For G-SIBs, such disclosures should meet the requirements established under the TLAC standard7. Under these requirements, and as further specified by the Basel Committee in its consolidated and enhanced framework for Pillar 3 disclosure requirements8, as from 1 January 2019 G-SIBs should be required to publicly disclose information including: • key metrics on TLAC requirements (available TLAC and TLAC ratios); • composition of a G-SIB’s TLAC (amounts of TLAC instruments and liabilities);
available. The holders of a firm’s liabilities may also change rapidly in advance of an expected resolution action. 7 See Section 20 of the TLAC Term Sheet in relation to public disclosures by G-SIBs of their eligible TLAC. 8 See Basel Committee on Banking Supervision, Pillar 3 disclosure requirements – consolidated and enhanced framework (http://www.bis.org/bcbs/publ/d400.pdf), March 2017.
93
Documenti e informazioni
• main features of TLAC-eligible instruments (including with respect to, for example, issuing entity, governing law, par value, date of issuance and maturity, position in creditor hierarchy, type of subordination and the presence of other features such as coupons/dividends and conversion and write-down features); and • creditor rankings at legal entity level (including information on the amount and residual maturity of TLAC and on instruments that rank pari passu with, or junior to, TLAC instruments). Authorities should consider requiring an appropriate level of ex ante disclosures in respect of liabilities within the bail-in scope for firms other than G-SIBs where the application of bail-in powers is envisaged under the authorities’ resolution strategy. Such disclosures should be made at regular intervals and cover, as judged necessary by the relevant authorities, the composition of liabilities within the bail-in scope as envisaged under the resolution strategy, their amount, maturity, location within the group as well as their position in the creditor hierarchy. II. Valuation Introduction Several different valuations or other loss estimate analyses are likely to be necessary to plan and execute a bail-in transaction. In particular, valuations are likely to be required to: (i) estimate losses, which may inform the resolution strategy and actions to be taken in resolution and/or the determination of whether the conditions for resolution or the conditions for the contractual write-down and/or conversion into equity of regulatory capital instruments are met (‘pre-resolution valuation’ or ‘loss estimate’); (ii) determine the write-down and conversion rates, e.g. the value of the securities that creditors will receive in exchange for their claims (‘bail-in valuation’). Depending on the approach to bail-in this could involve: a valuation of assets and liabilities to inform the extent of losses (and hence the extent of bail-in) and a valuation to determine the market value of the new equity to inform the rates of conversion into equity or other instruments of ownership and any allocation(s) to bailed-in creditors and shareholders (for example, in an open bank bail-in). a valuation of assets and business lines in order to finalise the financial statements of a successor entity/entities to the bridge institution, and an enterprise valuation of the new financial company or companies to serve as the basis for distributions to bailed-in creditors (for example, in a closed bank bail-in). (iii) assess for purposes of the application of the NCWOL safeguard the value that creditors and shareholders would recover in a counterfactual insolvency as compared to the value received by creditors and shareholders (e.g., the securities together with any other distributions) in resolution (‘counterfactual valuation’).
94
Financial Stability Board
Principle 5. Roles of home and host authorities in the valuation process Home and host authorities within CMGs should establish a clear understanding of the overall valuation approach and their respective roles and responsibilities, including with respect to their coordination and consultation in the course of the valuation process, the identification of a valuer, and the valuation methodology, taking into account the resolution strategy and requirements under the relevant resolution regime. The valuation process needs to be completed in a timeframe that ensures that resolution actions are undertaken in a timely manner so that market confidence can be maintained. Accordingly, there should be a clear understanding of home and host authorities’ respective responsibilities. Home authorities’ roles The home authority of a resolution entity has the responsibility for assessing the estimated losses across the whole resolution group and is therefore responsible for the overall framework and timeframe for the group-wide valuations on a consolidated basis. This includes identifying a valuer for the resolution group as a whole, defining the scope of the valuer’s work, determining the types of valuation required and cross-border coordination and sharing of valuation information. Host authorities’ roles The host authorities of subsidiaries of the resolution group should consider estimating the losses in the subsidiaries in their jurisdiction, and should support the timely provision of information pertaining to those entities (e.g. with respect to local requirements) to the home authority and/or the valuer for the groupwide valuations. Host authorities should also have the opportunity, through the CMG, to discuss the group-wide valuations, including the methodology and conclusions of the valuer. Consistency with the TLAC standard In the case of G-SIBs the roles and responsibilities of home and host authorities should align with the process for the write-down and/or conversion into equity of internal and external TLAC consistent with the TLAC standard9. Host authorities should determine the capital shortfall and recapitalisation level of a material sub-group in their jurisdiction that has reached the point of nonviability, and communicate this information to the home authority. The home authority is responsible for the overall assessment of the loss absorption and recapitalisation needs of the resolution group and the determination of a writedown and/or conversion into equity of external TLAC, and should factor the host authority’s information into its own assessment.
9 See Guiding Principle 18 of Guiding Principles on the Internal Total Loss-absorbing Capacity of G-SIBs (‘Internal TLAC’) (http://www.fsb.org/wp-content/uploads/P0607171.pdf), July 2017.
95
Documenti e informazioni
Identification of a valuer In the case of a single point of entry resolution strategy, the relevant home authority should seek to identify, where possible, a single valuer who has the capacity to produce the group-wide valuations. In the case of a multiple point of entry resolution strategy, valuers may be identified for each resolution group. If there is a requirement for a separate valuer in a host jurisdiction, authorities within the CMG should to the extent possible seek to coordinate general valuation approaches to be followed by all valuers to reduce the risk of disparate valuation results. The relevant authority should establish criteria for the identification of the valuer that foster public confidence in the valuation process. The relevant authority should communicate these criteria to CMG authorities and disclose them to the extent appropriate to the market. The valuer should have the necessary expertise, capacity and resources to conduct the set of valuations that is required for a large cross-border firm. There should be no actual or perceived conflict of interest (e.g., close business relationship with the firm in question which might impact the independence of the valuer’s advice) that is not adequately managed by the introduction of appropriate safeguards. The identification of the valuer for the pre-resolution (if necessary and appropriate) and bail-in valuations should be made expeditiously by resolution authorities. To facilitate this, resolution authorities should have in place a transparent and well-defined process, and should consider establishing a shortlist of pre-qualified valuers that are judged to have the necessary expertise, capacity and resources to conduct the necessary valuations. Principle 6. Capabilities of firms to support timely and robust valuations Authorities should ensure that firms have the appropriate capabilities, including management information system (MIS) and technological infrastructure, to support the timely provision of valuation data at a sufficient level of granularity and to enable valuations to be performed within a suitable timeframe. This capability should be assessed as part of ex ante resolution planning. Firms should be responsible for generating the relevant information and data required by the valuer, and providing such information directly to the valuer and the relevant home and host authorities. Authorities should ensure that firms have the appropriate capabilities that enable the valuer to perform valuations within a suitable timeframe, including the appropriate technological infrastructure (which may include valuation models) and MIS to support the provision of data at a sufficient level of granularity and on a timely basis. Firms’ capabilities should be assessed and tested as part of ex ante resolution planning as gaps in valuation capabilities cannot credibly be addressed in resolution. Addressing gaps in valuation capabilities may require authorities to exercise powers to require changes to improve the firm’s resolvability (as per KA 10.5).
96
Financial Stability Board
Authorities should consider setting out their expectations regarding firms’ capabilities and defining a common set of minimum information that would be required for the different valuations. The exact requirements are likely to differ across jurisdictions, depending on the approach to bail-in and the timing and methodology for each valuation. Where possible, the authorities should leverage information collected for valuations that are conducted on a going concern basis, with additional information needs for the purposes of resolution identified on an incremental basis. Principle 7. Valuation methodology and assumptions The valuation methodology and underlying base assumptions should be consistent with the authorities’ resolution strategy for the firm and, to the extent possible, also be consistent across home and host jurisdictions as well as among different resolution cases. Valuations should be based on realistic and credible assumptions, which consider relevant market conditions and the expected actions of stakeholders. Valuation methodology Consistent with its role of coordinating the resolution group’s valuations and the scope of work, the home authority should set the overall valuation approach to be used by the valuer for the bail-in valuation. The home authority should do so in coordination with host authorities, to ensure that local specificities are taken into account. The valuer should, however, have discretion to determine the exact methodology consistent with the overall criteria established by the home authority. The valuation methodology for the bail-in valuation should be appropriate to the firm in question and be consistent with the authorities’ resolution strategy. For example, it should reflect the intended use of assets and liabilities as envisaged in the resolution plan (e.g. hold vs. dispose), the planned or anticipated restructuring, and any estimated resultant franchise value. Valuation assumptions Certain base assumptions (e.g. the macroeconomic scenario and valuation reference date) should to the extent possible aim to be consistent across each type of valuation. Some assumptions may however vary in accordance with the purpose and objectives of the valuation, and should be subject to review and adjustment, for example if new information becomes available (with the exception of the counterfactual valuation, which should not benefit from the use of hindsight). The assumptions underpinning the valuer’s analysis should be clear to the respective authorities and should take a forward looking view on future losses. Where different assumptions are used across the valuations, these should be clearly explained by the valuer or the relevant authority, as appropriate. Due to the nature of the types of assets of the firm in resolution and the likelihood of market uncertainty regarding asset values, the bail-in valuation would likely yield a range of values. The authorities should work with the valuer to establish an appropriate valuation within that range, including by using sensitivity analysis to flex the key
97
Documenti e informazioni
assumptions, particularly in the case where those assumptions are subject to uncertainty and/or significantly affect the valuation range. The valuer will need information from relevant stakeholders (e.g., the firm’s management, counterparties, trustees) to ensure that the assumptions are realistic and credible. Limitations on access may affect the quality of the valuations and increase the valuation range estimates. Home and host authorities should therefore ensure that the valuer is granted access to the firm’s management and other relevant stakeholders as required. Principle 8. Transparency of the valuation process Authorities should disclose ex ante information to the market on the overall valuation framework and process. Where possible and appropriate and provided disclosure does not jeopardise the resolution objectives, they should disclose ex post information on the actual valuation of a firm in resolution, including relating to the identification of the valuer, the basis of the valuations and information on valuation outcomes. The bail-in valuation ultimately informs the extent of the bail-in and, as a consequence, the calculation of shareholder and creditor losses. Market participants will therefore need to have confidence in the valuation process (including the choice of valuer) and the valuation outcomes. Such confidence will help ensure credibility in the proposed resolution action and reduce potential litigation risk. The ex ante public disclosure of information should include: • the general valuation framework including the process for valuer identification. Where possible and appropriate, the ex post disclosure of information should include: • firm-specific valuation information, including information relating to the identification of the valuer, the overall basis and methodology of the valuations and information on valuation outcomes. While ex post disclosures on the valuation of a firm in resolution may increase confidence in the valuation process, home authorities should also be mindful that the contents of ex post disclosures will need to be carefully weighed against the need for confidentiality, particularly where ex post disclosure of information on valuation outcomes could jeopardise resolution objectives. III. Exchange Mechanic Principle 9. Development of the bail-in exchange mechanic As part of ex ante resolution planning the home authority for the resolution group should develop a credible exchange mechanic in consultation with the CMG and engage with relevant market infrastructures, where the involvement of such providers is required.
98
Financial Stability Board
The home authority should consult the CMG on the design of the exchange mechanic. In particular, the CMG should have the opportunity to discuss the objectives and key elements of the planned bail-in exchange process, as this will inform CMG members’ overall review of the feasibility and credibility of the operational plans for the implementation of the resolution strategy. The roles of home and host authorities in the bail-in exchange process should be determined ex ante through the CMG, particularly where the involvement of host authorities is required during the process. The home authority should engage with relevant market infrastructures (e.g. (I)CSDs, paying agents, common depositories, central counterparties) during the design stage of the exchange mechanic. To ensure the credibility of the bail-in exchange mechanic, the home authority should set expectations with the relevant market infrastructures on the process to be followed and the actions to be taken by each party. Any agreed process could also be incorporated in the operating procedures of the relevant market infrastructures, and the use of testing exercises should be considered to further enhance preparedness. The home authority should also consider what processes could begin in advance of a potential resolution action. Although the home authority may not be able to share information regarding the potential resolution action, certain steps could be taken in advance (e.g. opening of communication channels). Principle 10. Disclosure and specification of the bail-in exchange mechanic The home authority for the resolution group should disclose ex ante the anticipated exchange mechanic to the market in order to enhance the credibility and predictability of actions to execute the exchange. The exchange mechanic should operationalise the write-down and conversion of liabilities and the issuance of securities or tradeable certificates, or transfer of securities, using existing market technology and conventions where possible and respecting the relevant market and regulatory requirements. If necessary the authorities should also address the timely delisting, suspension, cancellation, discontinuation from trading, or other treatment of affected securities as well as the listing or relisting, and admission to trading of new securities or tradeable certificates or interim rights. In designing the exchange mechanic the home authority should consider the following aspects, as necessary to facilitate the bail-in exchange: • Discontinuation, cancellation or suspension from listing or trading of securities. In certain open bank bail-in approaches, a discontinuation, cancellation or suspension from listing or admission to trading of securities may need to take place immediately following entry into resolution. Authorities should therefore seek to leverage existing market networks and procedures to effect a timely discontinuation or suspension from listing or trading, and will need to
99
Documenti e informazioni
engage with the relevant market infrastructures (e.g. exchanges, paying agents, (I)CSDs) to understand the relevant processes and requirements. • Non-settled (“in-flight”) transactions. Where possible, the resolution action should be announced outside of market hours to limit the market impact and to provide the authorities with as much time as possible to stabilise the firm. However, regardless of when the resolution action is announced, it is likely that there will be in-flight (i.e. non-settled) transactions of affected securities. In designing the exchange mechanic, authorities should consider how to do address this issue (for example by setting a record date). • Trading of claims. The valuations that inform the final terms of the bailin may take several months to complete. In some jurisdictions, continued tradability of affected instruments and liabilities during the period before the final bail-in terms are set may be desirable, for example to allow creditors to trade out of their positions. Appropriate mechanisms may include: issuing tradable certificates or interim shares to affected creditors, or permitting existing securities to continue trading. If the legal exchange takes place shortly after entry into resolution (e.g., based on the results of a preliminary valuation), tradability of affected instruments and liabilities is already ensured and other mechanisms to provide continued tradability would not be necessary. • Delivery of equity. The delivery of equity to bailed-in creditors may require identification of former liability holders, for example through an administrative process where creditors file a claim or come forward to evidence ownership. If, on the other hand, the exchange is to take place shortly after entry into resolution, equity could be delivered directly to the affected creditors via the market network of paying agents and (I)CSDs, provided that such equity is eligible in the relevant systems. • Adjustment mechanism. If the exchange is to take place shortly after entry into resolution, an adjustment may be required at a later stage once the full extent of losses is known (e.g. based on the outcome of the final valuation). For example, it may be necessary to adjust write-down or conversion rates to ensure that losses are allocated in a manner consistent with the NCWOL safeguard and/or the applicable creditor hierarchy. Depending on the outcome of the bail-in valuation, the mechanism may need to provide compensation to bailed-in creditors, e.g. via a write-up of liabilities. • Unclaimed equity. If the distribution of equity requires the identification of affected creditors, it is possible that not all creditors are identified when the exchange takes place, leaving a residual amount of unclaimed equity. The exchange mechanic may therefore need to provide a mechanism to allow for such residual equity to be claimed beyond the initial exchange period10.
10 In this context, a consideration of how the mechanic would treat creditors that are unable to hold equity (e.g. mandate-bound institutional investors) may also be relevant.
100
Financial Stability Board
Given the nature of the challenges described above, market participants are likely to require transparent information at a suitable level of detail to understand the intended exchange mechanic. Such transparency would support market confidence in the credibility of bail-in. Home authorities should therefore disclose the specification and expected operation of the exchange mechanic, taking into account the elements identified above, as appropriate. IV. Securities Law and Securities Exchange Requirements Principle 11. Ex ante identification of securities law and securities exchange requirements Home resolution authorities should identify securities law and securities exchange requirements, including disclosure and listing requirements, that may apply during the bail-in period to a firm in resolution or any party involved in a bail-in transaction. Home resolution authorities should identify these requirements in cooperation and consultation with the relevant market authorities, resolution authorities, and securities exchanges. As part of resolution planning and the development of a bail-in exchange mechanic, resolution authorities need to gain a clear understanding of the securities law and securities exchange requirements that may apply during the bail-in period or in connection with an impending bail-in to a firm, or any party (e.g., market intermediaries) involved in a bail-in transaction. In particular, as part of resolution planning home resolution authorities should identify, in consultation with the relevant market authorities, resolution authorities and securities exchanges: (i) the jurisdictions in which a firm’s securities are registered, listed or traded; (ii) the applicable ongoing disclosure requirements that may apply to a firm during the bail-in period in jurisdictions where the firm is subject to such requirements; (iii) the expected registration, listing and trading status of a firm’s securities in jurisdictions where the firm’s securities are registered, listed or traded; (iv) the securities law and securities exchange requirements of the home and other jurisdictions that may apply to any party involved in a bail-in transaction; and (v) the options and approaches for coordinated disclosures (or exemption or postponement of disclosures, where available) across all relevant jurisdictions. Home resolution authorities should also, in consultation with market authorities and securities exchanges, seek a clear understanding of: (i) the circumstances in which securities law and securities exchange requirements generally apply;
101
Documenti e informazioni
(ii) the conditions for any exemptions to or postponements of these requirements (where available); and (iiI) the consequences (including indirect market reaction) for failure to comply with these requirements. The applicability of securities law and securities exchange requirements may depend upon the approach to bail-in taken, and home resolution authorities should consider these requirements (including the conditions for any exemptions or postponements, where available) when developing a bail-in exchange mechanic. For example, in certain open bank bail-in approaches the failed legal entity is itself recapitalised through the bail-in process. Accordingly, it continues as a going concern, will remain the registrant of outstanding securities, and equity shares may be transferred to the bailed-in creditors instead of being issued anew. In contrast, certain closed bank bail-in approaches result in the failed legal entity being closed and placed into a receivership process or insolvency proceeding, with assets transferred to a newly-formed bridge institution. Relief from ongoing reporting requirements may be available, in which case the failed legal entity may be able to cease issuing public reports under applicable securities laws since holders of the resolution entity’s instruments become claimants in the estate of a liquidating entity. Principle 12. Compliance with disclosure requirements during the bail-in period During the bail-in period, firms should be expected to continue to comply with disclosure requirements under applicable securities law and listing rules. As part of the development of a bail-in exchange mechanic, home resolution authorities, in consultation with the relevant market authorities, resolution authorities and securities exchanges, should consider how firms will comply with those requirements. Home resolution authorities should also consider the implications of disclosure requirements in connection with a potential impending bail-in that may arise prior to entry into resolution. Where such an obligation may be relevant to the resolution action, the relevant home authority should coordinate with firms or the relevant market authorities or securities exchanges. Home resolution authorities should consult market authorities about the availability of temporary exemptions from disclosure requirements or the possibility of postponements of disclosure that could be relied on in circumstances where compliance with disclosure requirements could affect the successful implementation of the bail-in mechanic. Adequate disclosure is important for investor protection, to maintain fair, orderly, and efficient markets, and to foster confidence in the resolution process. In recognition of this, authorities should consider ex ante how firms will continue to comply with applicable disclosure requirements during the bail-in period. This may include reliance on the use of a temporary exemption from or
102
Financial Stability Board
postponement of certain disclosure requirements, where available and necessary to preserve market confidence. During the bail-in period, firms should be expected to continue to comply with disclosure requirements pursuant to applicable law. Whether firms should achieve compliance by relying on a temporary exemption or postponement may depend on the nature of the bail-in exchange mechanic and the relevant disclosure requirements. For example, in certain open bank bail-in approaches, the disclosure requirements of the failed legal entity that is recapitalised will need to be considered. In certain closed bank bail-in approaches, the disclosure requirements of the failed legal entity in liquidation and of the newly formed entity (or entities) would need to be considered. KA 5.6 provides that, in circumstances where disclosure could affect the successful implementation of resolution measures, jurisdictions should, in order to preserve market confidence, provide for flexibility that allows for temporary exemptions from disclosure requirements or the postponement of disclosures required by the firm, for example, under market reporting, takeover, and listing rules. The relevant resolution authorities, market authorities and securities exchanges should identify any temporary exemptions from or postponements of the firm’s otherwise applicable disclosure requirements that may be available in relevant jurisdictions. If disclosure requirements are temporarily exempted or postponed, in cases where the temporary exemption or postponement granted does not expire by its own terms (such as a specific date or upon the occurrence of a specified event); the resolution authority should, in consultation with the relevant market authorities and securities exchanges, review this position at regular intervals to assess whether the temporary exemption or postponement remains consistent with resolution objectives. The granting of such relief by the relevant home authority may have no effect in foreign markets where the firm is also subject to disclosure requirements during the bail-in period. To mitigate the risk of asymmetric information being disseminated in different jurisdictions, home authorities should seek to ensure as part of resolution planning that firms, to the maximum extent possible, take a consistent approach to disclosures across jurisdictions and the use of any temporary exemptions or postponements. The relevant home authority should also review the implications of disclosure requirements that may arise in the run-up to a resolution in connection with an impending bail-in action. For example, the firm’s directors and management may become aware of impending actions by authorities prior to the firm’s entry into resolution that may give rise to an ad hoc disclosure requirement. The home authority should coordinate with firms or the relevant market authorities and securities exchanges during resolution planning with respect to disclosure requirements related to a bail-in. Where appropriate and consistent with applicable law, firms could proactively inform the relevant home authority of any impending disclosure requirements.
103
Documenti e informazioni
Principle 13. Listing and trading status of securities during the bail-in period In designing and applying the bail-in exchange mechanic, home resolution authorities should coordinate ex ante with the relevant market authorities, resolution authorities, securities exchanges, and market infrastructures to determine the expected listing and trading status of a firm’s securities during the bail-in period. If the home authority’s exchange mechanic requires the discontinuation, cancellation or suspension from listing or admission to trading of a firm’s securities in the home jurisdiction, home authorities should have the necessary powers, or the home jurisdiction should have legal mechanisms that permit the home resolution authority, to effect such actions on a timely basis. Where the firm is listed in other jurisdictions, the use of such powers should be coordinated with host authorities and the relevant market authorities, securities exchanges, and market infrastructures in those other jurisdictions. Irrespective of whether a bail-in exchange mechanic requires the discontinuation or suspension from listing or trading of a firm’s securities, the listing or trading status of a firm’s securities may be affected by the firm’s entry into resolution, or otherwise change during the bail-in period. The home resolution authorities should therefore coordinate with the relevant market authorities, resolution authorities, securities exchanges and market infrastructures to determine how entry into resolution will affect the expected listing and trading status of a firm’s securities in the home jurisdiction during the bail-in period as part of the development of a bail-in exchange mechanic. Powers or mechanisms to effect a delisting or suspension from listing or trading in a home jurisdiction, if necessary under the bail-in exchange mechanic, could include: • a statutory power allowing the home resolution authority to require the relevant home market authority to discontinue or suspend the listing or trading of a firm’s securities; • powers to direct securities exchanges in the home jurisdiction to discontinue or suspend the listing or admission to trading of a firm’s securities; • powers to instruct a firm to delist the firm’s securities; or • the ability of the home resolution authority to seek a delisting or suspension from listing or trading by virtue of its control of a firm (issuer) in resolution. Any such powers or legal mechanisms available to the home resolution authority may have no effect in foreign markets where the firm in resolution is listed. In such cases, the home resolution authority should coordinate with the relevant market authorities, resolution authorities, securities exchanges and market infrastructures to develop, to the extent possible, a coordinated approach to the listing and trading status of the firm’s securities.
104
Financial Stability Board
Principle 14. Issuance, registration and listing requirements As part of resolution planning, home resolution authorities, in consultation with the relevant market authorities, resolution authorities and securities exchanges, should consider how firms and parties involved in a bail-in transaction will comply with applicable securities law and securities exchange requirements, which may involve the issuance, registration or listing of new securities, or the listing of previously delisted securities. Home resolution authorities should consider the use of measures such as expedited registration or listing procedures or exemptions from prospectus or other registration requirements, where available, to facilitate the execution of a bail-in transaction. The use of any such expedited procedures or exemptions should not detract from the need to provide comprehensive disclosure on the financial condition and prospects of the firm at the end of the bail-in period. Depending on the approach to bail-in, certain securities laws and securities exchange requirements may apply to a bail-in transaction. For example, in a closed bank bail-in approach, the bridge institution - at the time it is formed - may not have any registered or listed equity, and will therefore have to undergo an offer, sale or exchange which, unless the conditions of any applicable exemptions are satisfied, may require registration and preparation of a prospectus upon exit from its status as a bridge institution. Similar requirements may also apply with respect to any interim rights or tradable certificates that are issued during the bail-in period. Home resolution authorities should consider as part of resolution planning how firms and parties involved in a bail-in transaction will comply with such requirements. This should be done in cooperation with the resolution authorities, market authorities and securities exchanges in the relevant jurisdictions for the bail-in transaction. Home resolution authorities should consider the use of measures, such as expedited registration or listing procedures or exemptions from securities law or securities exchange requirements, including registration exemptions, where available, to facilitate the execution of a bail-in transaction. For example, exemptions may be available in relation to the readmission to trading of previously suspended securities or, under other certain circumstances, the issuance of securities may not trigger a registration requirement. The use of any expedited procedures or exemptions should not detract from the need to provide comprehensive disclosure on the financial condition and prospects of the firm at the end of the bail-in period or to foster confidence in the resolution process. Comprehensive disclosures will also support an efficient market for the securities following resolution.
105
Documenti e informazioni
V. Resolution Governance Principle 15. Management and control of the firm during the bailin period As part of ex ante resolution planning, resolution authorities should clarify (i) the responsibilities in the management of the firm and the powers and governance rights that may be exercised by the resolution authority, resolution administrator, and the firm’s management during the bail-in period; and (ii) the control of the firm during the bail-in period. The home resolution authority should set out clearly how and by whom the firm in resolution will be managed and controlled during the bail-in period, for example whether control would be exercised directly by the resolution authority or indirectly through a resolution administrator operating under the direction of the resolution authority. For example, in a closed bank bail-in, the bridge institution is generally controlled by the resolution authority, which would include exercising control and governance rights during the bail-in period that would otherwise be exercised by shareholders. In an open bank bail-in, ownership of the firm may reside with the firm’s shareholders and/or bailed-in creditors, but their exercise of shareholder governance rights may be temporarily suspended and exercised by the resolution administrator (though the resolution authority may itself exercise direct control). There should be clarity with respect to the scope of the powers and governance rights that may be exercised by the resolution authority and/or the administrator, and their respective roles and responsibilities in relation to the management of the firm during the bail-in period, including whether managerial decisions during this period will be made by public sector officials, an administrator or management and directors, in particular as regards actions that are provided for in the resolution framework or that ordinarily require shareholder approval. As part of this, resolution authorities should consider the potential liability of management and directors. In the context of a closed-bank bail-in, this may entail establishing various agreements to direct key activities of the operating bridge institution, in addition to employing ad hoc shareholder-type authority over the bridge institution. To support transparency during resolution, resolution authorities should consider communicating the framework for control and management during the bail-in period to the market at the time of resolution. Principle 16. Removal and appointment of management Resolution authorities should specify in advance how candidates for new management will be identified, selected and appointed. Resolution authorities and competent authorities involved with the removal of management and the selection, approval and appointment of new management should closely cooperate and establish procedures to effect such a removal or replacement.
106
Financial Stability Board
The scope for management to be removed and new management to be appointed will depend on the circumstances of the firm’s failure and any actions already taken by the firm or supervisory authorities in the recovery phase. The failure of a firm should generally result in the removal of management responsible for its failure. In some cases, the responsible management may not be readily identifiable at the time of entry into resolution, and may need to be identified at a later stage during the resolution process. In removing management, consideration may be given to the impact on inter-locking board memberships and fit and proper applications that may be needed, particularly at subsidiaries in host jurisdictions. Resolution authorities should also consider options and arrangements to maintain key staff of the firm in resolution, including if necessary to facilitate the execution of a bail-in transaction. As part of resolution planning, resolution authorities in cooperation with competent authorities should consider the criteria new management would be expected to meet and seek to identify such candidates or means to identify such candidates (for instance by establishing arrangements with specialised companies). In some cases, succession planning practices of the firm could be leveraged to replace management. Resolution authorities should also consider what information, direction, authorities, and documentation (e.g. with respect to employment documents and indemnification) new management may need. Principle 17. Transfer of control to new owners and management Home resolution authorities should develop a clear mechanism for (i) establishing the new ownership of the firm as a result of the bailin exchange; and (ii) transitioning to a state where all governance and control rights are exercised by the new owners. The mechanism, including the general terms and timeframes for the exercise of control by the resolution authority and/or resolution administrator, should be disclosed to the market to provide transparency to market participants. Following the bail-in exchange, ownership and control of the firm in resolution will be transferred to new shareholders in an open bank bail-in, while a closed-bank bail-in requires the issuance of shares to new shareholders. Where necessary, home resolution authorities should establish a mechanism to identify the new ownership of the firm as a result of the bail- in exchange and vest governance and control rights with the new shareholders at the end of the bail-in period. This mechanism should be publicly disclosed ex ante (as appropriate) and emphasised in communications at the time of resolution to the market to ensure that new shareholders understand the process by which they will gain control of the firm in resolution, including the timeframe and any procedural steps. Many jurisdictions have existing requirements with respect to large shareholders who could be deemed to be affiliated with or exert direct or indirect control over a company and its subsidiaries due to their ownership. In such cases, shareholders may already be obligated to provide disclosure as to their
107
Documenti e informazioni
holdings in an institution (and any future intention to increase that holding) once they reach certain thresholds. The timeframe for the exercise of control by the resolution authority should be sufficient to ensure an effective implementation of the bail-in and to form governance arrangements such that new shareholders are able to effectively exercise their rights. Principle 18. Coordination of regulatory approvals and authorisations As part of resolution planning, home and host authorities in CMGs should identify the relevant supervisory and regulatory approvals and authorisations that are required in home and host jurisdictions to implement the bail-in transaction. CMG authorities should identify the relevant information and procedures that will be required and, to the extent possible, establish expedited procedures or pre-vetting arrangements. This includes, inter alia, that resolution authorities and other relevant authorities cooperate closely and establish procedures in order to ensure the timely issuance of necessary approvals and authorisations. The successful implementation of a bail-in requires various regulatory approvals and authorisations to be obtained, which may include the following: • newly established financial companies will need to apply for authorisations to perform regulated activities, • prospective new managers and directors will need to obtain supervisory fit and proper approvals; and • the transfer of control to new shareholders may trigger change of control requirements where qualifying shareholding thresholds that require regulatory approval are met. Such requirements apply across the various jurisdictions and entities through which the firm operates. Home and host authorities in CMGs should identify the different approvals and authorisations that will need to be obtained across home and host jurisdictions, the relevant approval processes, timing, and the information that will be required. Relevant authorities should have in place the flexibility to provide relief or expedited approvals, where appropriate, to facilitate the implementation of a resolution plan by a home resolution authority. The execution of a bail-in transaction may also give rise to other relevant regulatory requirements, such as a requirement for a new majority shareholder to submit a take-over bid. These requirements may also need to be identified and considered by CMG authorities. To the extent possible and necessary, expedited procedures or pre-vetting arrangements should be established in consultation with the competent authorities in home and relevant host jurisdictions to streamline the application process and reduce the potential for disruption and the administrative burden during the bail-in period.
108
Financial Stability Board
VI. Resolution Communications Principle 19. Communication strategy and CMG coordination As part of resolution planning, resolution authorities should develop a comprehensive creditor and market communication strategy for the bail-in period with the objective of promoting confidence, informing creditors and the market of the implications of the resolution, limiting contagion, and avoiding uncertainty. The development of the communication strategy should be led by the home resolution authority and coordinated with CMG authorities to ensure consistent creditor and market communications across jurisdictions. The home resolution authority should develop a comprehensive creditor and market communication strategy for the bail-in period, which should include, as appropriate: • the development of template documents, frequently asked questions and answers and other tools to be used at key stages of the bail-in period (for example, communications regarding the announcement of the resolution action, the initial range of losses and the final terms of the bail-in); and • identification of home and host authority roles, with host authorities for example having a role to play in communicating relevant information about local entities of the firm in resolution and in supporting communications to local creditors. The development of the home authority’s communication strategy and the release of information during the bail-in period should be coordinated with CMG authorities, and a clear understanding should be established on the respective roles and responsibilities of the home and host authorities. To the extent that the involvement of other authorities outside of the CMG is required for market communications during the bail-in period, home resolution authorities should establish arrangements to facilitate information sharing and coordination with those authorities. Clear communication of relevant information to creditors, market participants and other key stakeholders should promote certainty and predictability. Market stakeholders such as institutional investors and financial institutions are likely to have valuable input regarding the information they would expect to receive during the bail-in period and the timing and channels of communications. Resolution authorities should therefore consider testing, vetting, or otherwise discussing the communication strategy and messaging content with these stakeholders on a regular basis, to strengthen planning and resolution readiness. Principle 20. Delivery of communications Resolution authorities should leverage the communication infrastructure of the firm in resolution to deliver communications, and consider the resources that will be needed to support the creditor and
109
Documenti e informazioni
market communications processes and the delivery of communications during the bail-in period. Given the number of creditors and range of other stakeholders and affected market participants, communication regarding the execution of a bail-in for a firm in resolution will be resource intensive, likely extending beyond the level of resources and infrastructure typically maintained by the resolution authority. Resolution authorities should to the extent possible and appropriate leverage the communication infrastructure of the firm in resolution, as the use of established communication channels may be the most effective and efficient way to disseminate information to affected parties. Resolution authorities may involve the communication function of a firm in resolution in the development of communications plans ex ante and the management of creditor communications through the relevant market infrastructures during a resolution. While initial market communication during the stabilisation period following entry into resolution will be led by the authorities, the firm in resolution could be increasingly expected to assume responsibility for market communications as the bail-in progresses, in particular as they relate to the day-to-day operations of the firm. This capability could be tested as part of resolution planning. Resolution authorities should also consider the full set of resources and infrastructure that will be needed to deliver communications during the bail-in period. This may include maintaining relationships with third party specialists (e.g. public relations firms) whose services could be employed during a resolution, having due regard to the confidentiality of the information disclosed to them. Further, resolution authorities may consider the use of different channels for communications such as websites, call centres, press, and the use of specialised channels for different stakeholder groups. Principle 21. Communication at point of entry into resolution The home resolution authority, in coordination with other relevant authorities, should make a public announcement of the resolution action to the market as soon as reasonably practicable following entry into resolution. The home resolution authority’s initial communication to the market should provide clear and robust information to mitigate the risk of inconsistent communications and limit the need for subsequent additional announcements. Relevant host authorities should consider making a corresponding announcement alongside the announcement made by the home resolution authority, and home and host authorities should coordinate the timing and content of their respective announcements in line with their responsibilities. Communication by resolution authorities at the point of entry into resolution will be important for the orderly execution of the bail-in transaction. Unclear or incomplete communication at the point of entry into resolution could result in
110
Introduzine ai “Principles on bail-inexecution”
multiple queries from unaffected creditors and stakeholders. The home resolution authority, in coordination with other relevant authorities, should therefore make a public announcement as soon as reasonably practicable following entry into resolution. A timely announcement and the provision of robust information by the home resolution authority could form a useful basis for other parties to refer or draw on in preparing their own communications, and help limit the risk of inconsistent communications by other authorities or parties at the point of entry into resolution. However, the need to promptly provide robust information should be balanced against the risk of providing inaccurate or unreliable information at the point of resolution, as this could materially impact market confidence in the resolution action. The home resolution authority, in coordination with other relevant authorities, should seek to communicate the following information, on a best efforts basis: • that the firm has met the conditions for entry into resolution, including an explanation of the cause(s) of failure and, to the extent possible, initial loss estimates/valuations and, where applicable, the amounts of remaining TLAC across the group; • the nature of the resolution strategy and the actions being taken by the authorities to stabilise the firm and ensure continuity of its critical functions; • the recapitalisation and expected financial strength of the firm (to the extent possible), including the steps which have been taken to ensure that the firm will meet its obligations as they fall due; • the scope of the liabilities subject to the resolution action, any limitations placed upon those liabilities (e.g. listing suspension, suspension of regulated markets, exclusion of liabilities from bail-in) and any discretionary exclusions and departures from pari passu treatment that have been made; • the treatment of depositors; • the exercise of resolution powers and their potential impact on creditors and counterparties, including the timely performance of payment and delivery obligations, client access to assets and the exercise of early termination rights and close-out rights; • an outline of the bail-in process, including the nature of the exchange mechanic, how creditors will be engaged (including as regards any procedural steps to be taken by affected creditors), the valuation approach, the expected timing of the announcement of the final terms of bail-in (if applicable and to the extent possible) and creditor safeguards, including application of the no creditor worse off safeguard; • the continued management and governance of the firm in resolution including, where relevant, the appointment of a resolution administrator and the replacement of key management; • an overview of the medium term steps to address the cause(s) of failure (e.g. restructuring); and • points of contact for affected parties and Q&As. Relevant host authorities may choose to make an announcement confirming
111
Documenti e informazioni
their support for the resolution strategy and the actions of the home authority. There could be specific messages or information that the home resolution authority seeks support from host authorities in propagating locally, such as the scope of the liabilities subject to bail-in and the process by which remaining value will be returned to creditors. The announcement by the relevant host authority may include additional information pertinent to the host jurisdiction, for example that a host subsidiary has been recapitalized outside of resolution and will continue to operate, as well as details of any local safeguards that may apply. The timing and content of such announcements should be coordinated with the home authority. The home resolution authority should also consider what information it should communicate publicly at the end of the bail-in period when the bail-in process has been completed. This communication could include, for example, additional information on the impact on creditors and ongoing requirements for the firm.
112
Daniele Vattermoli
Introduzione ai “Principles on bail-in execution” SOMMARIO: 1. I Principles on bail-in execution. Origine e ragioni dell’intervento del Financial Stability Board. – 2. Struttura e contenuto. – In particolare: il perimetro dell’oggetto del bail-in e il problema delle valutazioni.
1. I Principles on bail-in execution. Origine e ragioni dell’intervento del Financial Stability Board. Dopo un lunghissimo periodo di tempo in cui le imprese bancarie di non modeste dimensioni hanno goduto – tanto in Italia quanto all’estero – di una safety net che ha finito per far gravare i costi del loro dissesto sulla platea indistinta dei contribuenti, lasciando praticamente indenne la cerchia più ristretta dei creditori1, si è da qualche anno aperta la stagione del c.d. salvataggio interno, realizzato principalmente attraverso lo strumento del bail-in2. Si tratta di uno strumento che si inserisce nell’ambito della procedura di risoluzione bancaria e che, com’è noto, consente di “allocare” le perdite registrate dalla banca in dissesto (o a
1
Per un quadro di sintesi delle ragioni dell’esistenza di tale sistema cfr., tra gli altri, WALL, Too big to fail after FDICIA, in Federal Reserve Bank of Atlanta, Economic Review, 78, n. 1, 1993, p. 1; HETZEL, Too Big to Fail: Origins, Consequences, and Outlook, in Federal Reserve Bank of Richmond, Economic Review, 77, n. 6, 1991, p. 1; KAUFMAN, Are some banks too large to fail? Myth and reality, in Federal Reserve Bank of Chicago, Working Papers series, Issues of financial regulation, n. 14/1989, p. 1; MOOSA, The mith of too big to fail, in Journal of Banking Regulation, vol. 11, 2010, p. 319, il quale, correttamente collegando la storia delle crisi bancarie a quella delle regolamentazione dei mercati finanziari – nesso in precedenza, e bene, evidenziato da SÁNCHEZ ANDRÉS, Las crisis bancarias en España. Apuntes sobre su tratamiento hasta la mitad del siglo XX, in Revista de Derecho Mercantil, 1984, p. 7 –, sottolinea come «The history of TBTF is essentially the history of financial regulation». Con riferimento, in particolare, all’ordinamento domestico, sia consentito il rinvio a VATTERMOLI, Le cessioni «aggregate» nella liquidazione coatta amministrativa delle banche, Milano, 2001, passim; cui adde, da ultimo, SANTORO, Crisi bancarie, ruolo dell’informazione e protezione del cliente, in Dir. banc., 2015, I, p. 541; MACCARONE, Il ruolo e l’ambito di intervento dei DGS e dei fondi di risoluzione nelle crisi bancarie, in Dir. banc., 2015, I, p. 177. 2 Sul quale cfr., in generale, VATTERMOLI, Il bail-in, in CHITI-SANTORO, a cura di, L’Unione Bancaria Europea, Pisa, 2016, p. 517, ove ulteriori riferimenti di dottrina; cui adde SPERANZIN, Bail-in (e condivisione degli oneri), in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Commerciale, Milano, 2017, p. 28.
113
Documenti e informazioni
rischio di dissesto), in prima battuta, tra gli azionisti, mediante la svalutazione, che può essere anche integrale, della loro partecipazione al capitale di rischio e, in un secondo momento, tra i creditori dell’ente, mediante, anche qui, la riduzione del valore nominale del credito vantato e/o la conversione dello stesso in quote di partecipazione al capitale di rischio del debitore (o del soggetto che a questo succede nell’esercizio dell’attività economica). A. L’inizio di questo new deal nel trattamento delle crisi bancarie può farsi coincidere con l’emanazione nel 2011, da parte del Financial Stability Board (d’ora in avanti, FSB), del documento intitolato “Key Attributes of Effective Resolution Regimes for Financial Institutions”3, al quale hanno fatto successivamente eco, in Europa, la BRRD e il Regolamento n. 806/2014, istitutivo del Single Resolution Mechanism e, in Italia, il d.lgs. n. 180/2015. In tutti i provvedimenti summenzionati – ai quali va aggiunto il documento, elaborato sempre dal FSB, sulla capacità di assorbimento totale delle perdite degli enti creditizi, che definisce un requisito minimo di passività (c.d. requisito TLAC)4 che dovrebbero essere prontamente disponibili nell’ambito della risoluzione delle Global Systemically Important Banks (G-SIBs) – non vengono tuttavia affrontati gli aspetti operativi legati all’attuazione della misura di bail-in. In particolare, non viene spiegato come debbono avvenire, materialmente, la svalutazione o l’azzeramento dei titoli di debito o di partecipazione al capitale di rischio; come si coordina il debt-to-equity swap con la disciplina del trading, listing e delisting degli strumenti finanziari coinvolti nell’operazione; che tipo di comunicazioni debbono essere re-
Successivamente ritoccati nel 2014. Sui key attributes cfr., tra gli altri, ČIHÁK - NIER, The Need for Special Resolution Regimes for Financial Institutions – The Case of the European Union, in 2 Harv. Bus. L. Rev., 2012, p. 395. Nella stessa direzione tracciata dal FSB si era peraltro già mosso il legislatore statunitense con il Dodd-Frank Act del luglio 2010, che per le systemically important financial institutions (SIFIs) introduce la Orderly Liquidation Authority (OLA): per un quadro sintetico delle convergenze e delle divergenze tra i sistemi statunitense ed europeo, cfr. KRIMMINGER - NIETO, Closing financial institutions on both sides of the Atlantic: Are there differences in approach?, 25 febbraio 2015, paper consultabile on line sul sito https://www.ceps.eu/system/files/ COMClosingFinancialInstitutions.pdf. 4 Cfr. FINANCIAL STABILITY BOARD, Principles on Loss-absorbing and Recapitalisation of G-SIBs in Resolution – Total Loss-absorbing Capacity (TLAC) Term Sheet, 9 novembre 2015, disponibile on line sul sito http://www.fsb.org/wp-content/uploads/TLAC-Principlesand-Term-Sheet-for-publication-final.pdf. 3
114
Daniele Vattermoli
se al mercato durante il periodo di bail-in; come si provvede alla scelta del professionista incaricato di stimare le perdite ai fini dell’applicazione della misura; ecc. Si tratta all’evidenza di aspetti estremamente importanti per il buon esito della procedura di risoluzione, ai fini non solo del mantenimento delle funzioni essenziali dell’ente in dissesto (in un’ottica, dunque, microeconomica), ma anche della salvaguardia della stabilità del sistema e della fiducia degli investitori nel mercato bancario e, più in generale, finanziario. Aspetti che divengono cruciali se riferiti al dissesto degli enti di grandi dimensioni – le G-SIBs, appunto –, che proprio in quanto tali presentano pressoché invariabilmente una struttura a forma di gruppo ed una operatività cross-border che richiede forme di cooperazione e di coordinamento tra le autorità nazionali di risoluzione dei diversi paesi coinvolti. B. Nello scenario qui sinteticamente descritto e per agevolare il compito delle autorità di risoluzione impegnate a pianificare e poi eventualmente ad attuare il programma di risoluzione per le G-SIBs, il FSB ha recentemente emanato il documento intitolato “Principles on Bail-in Execution”, volto a procedimentalizzare le varie fasi in cui può essere scomposto il c.d. bail-in period5. Dalla lettura del documento risulta immediatamente chiaro, peraltro, come l’intervento del FSB non si limiti agli aspetti meramente operativi dello strumento di risoluzione, toccando altresì quelli che paiono essere gli snodi critici dell’intera disciplina del bail-in, che vanno dall’esatta individuazione degli strumenti bail-inables, alla trasparenza delle operazioni di riduzione e/o conversione dei crediti in azioni e all’ambito della discrezionalità dell’autorità di risoluzione di escludere alcune passività dal risanamento interno; dai criteri di scelta del professionista valutatore, a quelli da utilizzare ai fini del calcolo delle perdite da allocare tra gli aventi diritto sul patrimonio dell’ente in dissesto; ecc. I principi elaborati dal FSB aspirano a trovare applicazione indipen-
5
Nel documento del FSB definito come «the period beginning with entry into resolution following the failure of a firm, including the valuation process to estimate losses and determine the write-down and conversion rates, and up to and including the point of exchange following finalisation of the terms of bail in (or determination of final conversion rates, if the exchange was conducted on the basis of a preliminary valuation). In some jurisdictions the end of the bail-in period may not correspond to the timeframe for the firm’s exit from resolution. For example, restructuring of the firm to address the causes of failure may continue beyond the conclusion of the bail-in period».
115
Documenti e informazioni
dentemente dall’approccio alla risoluzione dell’ente in dissesto – closed bank bail-in oppure open bank bail-in6 – ed indipendentemente, altresì, dalla posizione che l’ente occupa nella struttura del gruppo di appartenenza – holding; sub-holding; controllata operativa –, sebbene non vi sia dubbio che tanto l’approccio quanto la tipologia dell’impresa in dissesto influiscano sulla scelta della strategia di risoluzione e, conseguentemente, sulla concreta operatività dello strumento del bail-in. In quanto tendenzialmente applicabili in diversi ordinamenti e nei confronti di differenti tipologie di imprese bancarie, i principi non prescrivono l’adozione di un modello di risoluzione piuttosto che un altro, simile scelta – così come quella, a monte, in ordine allo strumento da utilizzare – essendo rimessa alle autorità di risoluzione sulla base delle necessità che si palesano e dei risultati che si vogliono conseguire nel caso concreto. I principi entrano dunque in giuoco a valle di tali scelte, con l’obiettivo principale di indicare il cammino che le autorità di risoluzione dovrebbero seguire per far sì che l’operazione di bail-in risulti fattibile, tempestiva, compatibile con le norme degli ordinamenti coinvolti e, soprattutto, trasparente, onde preservare la fiducia degli investitori nel mercato finanziario, obiettivo ultimo dei regulators. I principles, sebbene siano stati elaborati con particolare attenzione al bail-in di strumenti e passività rilevanti ai fini del requisito TLAC, si ritengono applicabili anche in ordinamenti – quale il nostro – in cui il campo delle passività ammissibili risulta più esteso rispetto allo standard TLAC; inoltre, gli stessi possono essere applicati, in tutto o in parte, anche a imprese diverse dalle G-SIBs, nella misura in cui l’esercizio dei poteri connessi all’adozione dello strumento del bail-in sia per tali imprese previsto dal relativo programma di risoluzione. Un’ultima notazione introduttiva. I principles elaborati dal FSB appartengono alla dimensione della c.d. soft law o “droit mou”: sono cioè privi di quella force contraignante che è propria delle norme impera-
6 Come descritto nell’introduzione del documento in commento, l’approccio conosciuto con l’espressione “closed bank bail-in” è quello che si fonda sulla «capitalisation of a newly established entity or bridge institution to which certain assets and liabilities from the entity in resolution have been transferred» e che consente di pervenire alla continuità aziendale indiretta delle funzioni essenziali svolte dall’intermediario in crisi; mentre quello noto come “open bank bail-in” si fonda sulla «recapitalisation of the entity in resolution», assicurando così la continuità aziendale diretta della banca in dissesto. Sulla diversità dei due approcci v., per tutti, AVGOULEAS - GOODHART, Critical Reflections on Bank Bail-ins, in Journal of Financial Regulations, 2015, p. 3 ss.
116
Daniele Vattermoli
tive. Ciò non di meno, come l’esperienza dimostra – anche e proprio nel campo della disciplina delle crisi bancarie –, questo “diritto acerbo”7 riveste una notevole rilevanza, essendosi il più delle volte tradotto, in un secondo momento, in regole di diritto nazionale e/o sovranazionale.
2. Struttura e contenuto. Il documento pubblicato dal FSB si compone di una premessa – nella quale confluiscono l’inquadramento generale della materia, l’introduzione ed un elenco delle definizioni dei termini più rilevanti utilizzati – e di 21 principî, suddivisi in 6 capitoli, ognuno dei quali accompagnato da una parte esplicativa, dedicati rispettivamente: alle passività ammissibili (Capitolo I: “Bail-in Scope”, principî nn. 1-4); alle operazioni di valutazione e stima del patrimonio dell’ente in dissesto (Capitolo II: “Valuation”, principî nn. 5-8); all’operatività del debt-to-equity swap (Capitolo III: “Exchange mechanic”, principî nn. 9-10); al coordinamento del bail-in con le norme che disciplinano il mercato finanziario (Capitolo IV: “Securities Law and Securities Exchange Requirements”, principî nn. 11-14); agli effetti della risoluzione sull’ordinamento corporativo dell’ente in dissesto (Capitolo V: “Resolution Governance”, principî nn. 15-18); alle strategie di comunicazione, ai creditori ed al mercato, dell’evento-risoluzione e dell’impatto che l’adozione dello strumento del bailin può avere sugli uni e sull’altro (Capitolo VI: “Resolution Communications”, principî nn. 19-21). Come si è anticipato, non v’è dubbio che si tratti di temi molto importanti nella gestione operativa dello strumento (e nell’esercizio dei poteri) di risoluzione da parte delle autorità coinvolte. E si pensi, per rendersene conto, alla rilevanza che riveste la specificazione, già in fase di redazione del piano di risoluzione, del meccanismo – che inevitabilmente incide sul mercato regolamentato degli strumenti finanziari e che potrebbe coinvolgere anche soggetti diversi dall’ente in dissesto (ad es.,
7 “Droit vert”, come direbbe DUPUY, Droit déclaratoire et droit programmatoire: de la costume sauvage à la soft law, in L’élaboration du droit international public, Paris, 1975, p. 140.
117
Documenti e informazioni
la good bank) – attraverso il quale avviene la conversione dei titoli di debito; oppure l’indicazione, sempre nell’ambito del piano di risoluzione, di chi assumerà la gestione (ed il controllo sulla stessa) dell’ente in dissesto durante il bail-in period, specificando le competenze ed i poteri dell’autorità di risoluzione o dell’amministratore “speciale” dalla stessa eventualmente nominato e, specularmente, le competenze ed i poteri che residuano alla compagine azionaria, nonché le modalità di sostituzione dei vecchi amministratori ed i criteri da seguire per la nomina del nuovo management. Non è ovviamente possibile, in questa sede, dare compiutamente conto di tutti i summenzionati principî. Tenuto conto del ruolo centrale che ricoprono nell’economia complessiva dell’operazione è sembrato tuttavia opportuno dedicare alcune riflessioni aggiuntive alle regole contenute nei primi due capitoli che, in estrema sintesi e semplificando, delimitano oggetto ed effetti del bail-in.
3. In particolare: il perimetro dell’oggetto del bail-in e il problema delle valutazioni. Come detto in chiusura del paragrafo precedente, si procederà di seguito ad approfondire la portata dei principî relativi alla individuazione e delimitazione delle passività ammissibili, nonché al procedimento di valutazione che consente di calcolare l’importo totale delle perdite da allocare e la distribuzione delle stesse tra gli aventi diritto sul patrimonio dell’ente in dissesto. A. Per quel che concerne il capitolo dedicato alle passività ammissibili, va subito sottolineato che i principî in esso contenuti tendono a raggiungere un triplice risultato: per un verso, la certezza del diritto e la prevedibilità ex ante delle situazioni giuridiche dei soggetti potenzialmente coinvolti dal dissesto dell’intermediario; per altro verso, il mantenimento della fiducia del mercato; e, per altro ancora, l’effettività e l’efficacia della misura del bail-in. Al raggiungimento del primo dei risultati segnalati dovrebbero concorrere, seppure operando da diverse angolazioni, i principî nn. 1 e 2. a) Il Principio n. 1 (“Ex ante transparency of the scope of bail-in”), richiede ai singoli ordinamenti di dotarsi di norme che indichino con chiarezza, in primo luogo, il potenziale ambito di estensione delle passività ammissibili, che deve includere tutte quelle contemplate nel requisito TLAC, ma che può anche eccedere il perimetro da queste ultime segnato.
118
Daniele Vattermoli
Si tratta di una richiesta che in ambito unionale ha già trovato adeguata risposta, atteso che, come è a tutti noto, in tale ambito le passività ammissibili sono oggetto di un requisito minimo obbligatorio per tutti gli enti creditizi (c.d. MREL: “Minimum Requirement of Eligible Liabilities”)8, concettualmente simile al requisito prudenziale offerto dal regulatory capital. Tale requisito è di importo variabile ed è determinato per ciascun intermediario dall’Autorità di risoluzione, tenendo in conto – oltre ovviamente le dimensioni, le caratteristiche operative e il profilo di rischio della banca – la necessità, tra l’altro, che la procedura di bail-in possa essere efficacemente disposta, consentendo all’intermediario di assorbire le perdite e di rispettare il requisito del capitale primario di classe 1, nonché, a salvataggio interno avvenuto, di «ingenerare nel mercato una fiducia sufficiente» in esso [cfr., per l’ordinamento interno, l’art. 50, co. 2, lett. b) d.lgs. n. 180/2015], ai fini, è da ritenere, della continuità aziendale. La chiara indicazione del perimetro degli strumenti bail-inables richiede, com’è ovvio, che venga precisato il rango9 di questi ultimi ed
8
Sul quale v. i Regulatory Technical Standards, elaborati dall’EBA, “On criteria for determining the minimum requirement for own funds and eligible liabilities under Directive 2014/59/UE”, del 3 luglio 2015 e, soprattutto, il Regolamento delegato (UE) 2016/1450, del 23 maggio 2016. 9 Con riferimento all’indicazione del rango delle passività soggette alla misura del bailin, va osservato come sul punto esista una certa differenza tra il requisito TLAC e il MREL di stampo unionale, atteso che solo il primo, e non il secondo, richiede che lo strumento di debito da computare tra le passività ammissibili rechi espressamente la clausola di subordinazione. Ciò che, come si è avuto modo di anticipare in un precedente scritto (cfr. VATTERMOLI, «Strumenti di debito chirografario di secondo livello». Alchimie linguistiche e tutela del mercato bancario, in Dir. banc., 2018, I, p. 207 ss.), ha contributo ad indurre le istituzioni europee ad elaborare, nell’ambito del c.d. “Pacchetto bancario europeo”, una proposta di Direttiva che modifica la BRRD, per quel che riguarda la classificazione degli strumenti di debito non garantiti nella gerarchia dei crediti in caso di insolvenza della banca [COM(2016) 853 final, del 23 novembre 2016; la modifica concerne, in particolare, l’art. 108 della direttiva 2014/59]. La proposta, in estrema sintesi, intende operare l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri in materia di gerarchia dei crediti vantati nei confronti degli enti bancari in dissesto, introducendo una nuova classe di strumenti di finanziamento, definiti “di primo rango non privilegiato”, da sottoporre a bail-in durante la risoluzione, subito dopo gli strumenti di fondi propri, ma prima delle altre passività di “primo rango”. Sulle differenze tra i due requisiti cfr., altresì, RESTOY, Bail-in in the new bank resolution framework: is there an issue with the middle class, paper, 23 marzo 2018: «Interestingly, MREL requirements, unlike the FSB’s standard on total loss-absorbing capacity (TLAC), which applies only to global systemically important banks (G-SIBs), are specified in a relatively loose way in the BRRD. In particular: (i)
119
Documenti e informazioni
esattamente delimitato il campo delle passività escluse dalla contribuzione al risanamento interno. Ricade infine nell’ambito di applicazione del Principio n. 1 l’obbligo per i singoli ordinamenti di dotarsi di disposizioni che chiariscano l’operatività, in concreto, del “no creditor worse off than liquidation” (NCWOL) e delle procedure e dei meccanismi utilizzabili dagli aventi diritto sul patrimonio dell’ente in dissesto per ottenere, ex post, l’eventuale indennizzo derivante da una valutazione iniziale rivelatasi non corretta e da una conseguente errata allocazione delle perdite. L’indicazione delle passività potenzialmente soggette al bail-in e dei meccanismi di tutela offerti dall’ordinamento in caso di dissesto (o di rischio di dissesto) dell’intermediario, contribuiscono, come si diceva, alla certezza e alla prevedibilità delle situazioni giuridiche soggettive ed a valutare correttamente il rischio insito nell’investimento in titoli di debito e in quote di partecipazione al capitale proprio dell’ente, facilitando in ultima analisi l’individuazione della giusta remunerazione dell’investimento medesimo. b) Nella stessa direzione del precedente si colloca il Principio n. 2 (“Discretionary exclusion of liabilities from the bail-in scope”), che tocca uno dei versanti più opachi dell’attuale disciplina, ossia il potere delle autorità di risoluzione di intervenire escludendo discrezionalmente dall’ambito delle passività ammissibili alcuni debiti dell’ente in dissesto, che in assenza di detto intervento dovrebbero contribuire – attraverso la svalutazione e/o la conversione in azioni – al risanamento interno. Come il Principio n. 1, anche il n. 2 ha poco a che vedere, in realtà, con gli aspetti prettamente operativi del bail-in, dettando regole direttamente alle autorità di risoluzione nazionali ed indirettamente ai legislatori, volte a contenere e in ogni caso a disciplinare in maniera più puntuale le eventuali deviazioni dal NCWOL e dalla par condicio creditorum10.
following a Pillar 2 logic, the required amount of MREL is set bank by bank; (ii) there is no general subordination requirement for MREL-eligible instruments; and (iii) there is no general deadline for banks to meet the MREL requirements. As a consequence, much is left to resolution authorities to decide on specific features of MREL. In the banking union, the SRB therefore plays a crucial role in specifying MREL policy». 10 Va peraltro avvertito che tra i principi del NCWOL e della par condicio creditorum esiste una qual certa distanza concettuale. Ed invero, se il rispetto del primo principio risponde ad un criterio di efficienza di stampo paretiano, evitando che per mezzo della risoluzione si realizzino spostamenti di valore a danno degli interessati; con il richiamo
120
Daniele Vattermoli
Com’è noto, in ambito unionale e – a cascata – nei singoli Stati membri, viene ammessa l’esistenza di una macrocategoria di passività eccezionalmente esonerabili dal bail-in, dal perimetro assai fluido e modellabile all’occorrenza dall’Autorità di risoluzione, la cui individuazione non risponde ad alcun criterio definito ex ante11. L’eccezione deve comunque essere tale da rispettare il principio secondo il quale i creditori possono essere chiamati ad assorbire le perdite dell’ente solo dopo che vi sia stato il contributo degli azionisti; non è invece necessario che si rispetti la par condicio creditorum, nel senso che i titolari delle passività escluse possono ricevere un trattamento migliore di quello che riceverebbero (e che verosimilmente ricevono, per effetto del bail-in) i creditori di pari o di più alto rango in caso di apertura della procedura collettiva12. c) Al mantenimento della fiducia nel mercato dei capitali sembra invece rispondere il Principio n. 4 (“Ex ante disclosure by firms of instruments within the bail-in scope”), che impone alle autorità di risoluzione di richiedere agli intermediari di rendere ex ante (rispetto allo stato di dissesto) informazioni al mercato in ordine alla tipologia, all’ammontare, alla composizione e alla scadenza degli strumenti che compongono le passività ammissibili in caso di applicazione della misura del bail-in: informazioni che, con riferimento alle G-SIBs, riguardano più da vicino il rispetto del requisito TLAC, nei termini indicati nel documento elaborato nel marzo del 2017 dal Comitato di Basilea, sui Disclosure Requirements
al rispetto del secondo principio ci si colloca, invece, sul distinto piano dell’equità, facendo sì che il surplus generato dalla risoluzione venga allocato – sotto forma di minori perdite – secondo l’ordine verticale e quello orizzontale di distribuzione del patrimonio responsabile, replicando la ripartizione dell’attivo in ambito concorsuale (in termini non dissimili, J. BINDER, The position of creditors under the BRRD, 2016, paper consultabile on line sul sito http://ssrn.com/abstract=2698086, p. 1. 11 In Italia, ai fini dell’esclusione è sufficiente che si realizzi almeno una delle seguenti condizioni poste dall’art. 49, co. 2 d.lgs. n. 180/2015, ossia: impossibilità di applicare la misura in tempi ragionevoli; necessità di assicurare la continuità delle funzioni essenziali e delle principali linee di operatività dell’ente o di evitare un contagio che perturberebbe gravemente il funzionamento dei mercati finanziari; “distruzione di valore” a danno degli altri creditori che determinerebbe l’applicazione del bail-in nei confronti di quelle passività. 12 E cfr., sempre per rimanere nell’ordinamento interno, l’art. 49, co. 3, lett. a), d.lgs. n. 180/2015. Altri elementi rilevanti ai fini dell’esclusione sono, per un verso, l’impatto che avrebbe l’esclusione sulla capacità di assorbimento delle perdite dell’ente (lett. b) e, per altro verso, la qualità soggettiva dei titolari delle passività, la norma richiamando espressamente i crediti per depositi (per la parte che eccede la protezione accordata dai sistemi di garanzia) vantati da persone fisiche, microimprese, piccole e medie imprese (lett. e).
121
Documenti e informazioni
del terzo Pilastro13. d) A garantire l’efficacia e l’efficienza della misura del bail-in dovrebbe infine contribuire il rispetto del Principio n. 3 (“Information requirements on the scope of bail-in”), che ha come destinatari diretti gli stessi enti creditizi. In particolare, viene richiesto che gli intermediari siano all’occorrenza in grado di fornire alle autorità di risoluzione una serie di informazioni riguardanti le passività ammissibili, quali, ad esempio, quelle che concernono la tipologia di strumenti finanziari emessi dall’ente e potenzialmente partecipanti al risanamento interno; la valuta in cui gli stessi sono espressi; la data di scadenza; il rango dei crediti di cui sono titolari i portatori dei diversi strumenti finanziari; limiti contrattuali all’utilizzabilità di una certa passività; l’eventuale compensazione eccepibile da terzi; ecc. Come si diceva, tali dati debbono poter essere trasmessi alle autorità di risoluzione nel più breve tempo possibile, proprio al fine di rendere efficace ed effettiva la misura del bail-in. Il rispetto di tale principio implica altresì la necessità, per l’autorità di risoluzione, di verificare ex ante la capacità delle banche di fornire le informazioni e dunque l’adozione da parte di queste ultime di modelli, basati su adeguate infrastrutture tecnologiche, in grado di raccogliere, ordinare e rendere prontamente disponibili i dati a tal fine rilevanti. B. Passando al capitolo sulle valutazioni e sulle stime. Si tratta senza dubbio dell’aspetto più spinoso e delicato dell’intera procedura di risoluzione14, da tali valutazione discendendo in ultima analisi l’impatto che la misura del bail-in avrà tra gli aventi diritto sul patrimonio dell’ente in dissesto, ossia tra i soggetti chiamati a contribuire al risanamento interno. a) Nel documento – dopo aver evidenziato la rilevanza che ai fini
13
Disponibile on line sul sito http://www.bis.org. Basti in proposito pensare, per rimanere al contesto domestico, al ruolo svolto dalla valutazione delle attività e delle passività ex artt. 23 ss. d.lgs. n. 180/2015, operata ancor prima dell’apertura formale della risoluzione dall’esperto nominato dalla Banca d’Italia o, qualora vi sia urgenza di provvedere, direttamente da quest’ultima, seppure in via provvisoria. È sulla scorta di tale valutazione che, ad esempio, si decide se vi sono o meno i presupposti per aprire la risoluzione; si sceglie lo strumento di risoluzione da adottare; viene quantificato l’importo del bail-in; vengono identificate le diverse categorie di azionisti e creditori, classificati secondo il rango vantato nell’ordine verticale di distribuzione del patrimonio dell’ente in dissesto; viene stimato il trattamento che i soci ed i creditori riceverebbero in caso di l.c.a. 14
122
Daniele Vattermoli
della determinazione del tasso di conversione rivestono, nelle operazioni di debt-to-equity swap, le stime del patrimonio dell’ente in dissesto o dell’ente-ponte (o della newco che subentra a quest’ultima), le quote di partecipazione al capitale dei quali sono destinate ad essere assegnate ai creditori titolari delle passività “convertite” – viene richiesto ai legislatori nazionali di dettare norme che chiariscano il ruolo e le responsabilità che, nell’ambito dei Crisis Management Groups (CMGs)15 istituiti per dare soluzione ai dissesti dei grandi gruppi bancari ad operatività crossborder (corrispondenti, nella sostanza, ai Collegi di risoluzione, ex art. 88 della Direttiva n. 2014/59), competono all’autorità di risoluzione dello Stato ove è posta la sede legale dell’ente creditizio capogruppo (home authority) e alle autorità degli Stati in cui sono stabilite le controllate (host authorities), nel condurre il processo valutativo (Principio n. 5: “Roles of home and host authorities in the valuation process”). Tale processo, peraltro, non comprende soltanto l’approccio ed i criteri che debbono essere seguiti per la valutazione (sui quali si tornerà subito appresso), ma anche le regole da adottare per la scelta del professionista valutatore – il compito del quale, va detto, pare tutt’altro che semplice16 –, tra cui particolare importanza assumono quelle che dovrebbero assicurarne l’indipendenza rispetto sia all’autorità di risoluzione sia all’ente in dissesto. Sempre con riferimento alla individuazione del valutatore, va detto
15 Nel punto 8.1 dei Key attributes viene specificato che «Home and key host authorities of all G-SIFIs should maintain CMGs with the objective of enhancing preparedness for, and facilitating the management and resolution of, a cross-border financial crisis affecting the firm. CMGs should include the supervisory authorities, central banks, resolution authorities, finance ministries and the public authorities responsible for guarantee schemes of jurisdictions that are home or host to entities of the group that are material to its resolution, and should cooperate closely with authorities in other jurisdictions where firms have a systemic presence». 16 Nella valutazione ex ante, ad esempio, il compito assegnato all’esperto indipendente si traduce in una stima di un patrimonio (da intendersi come complesso di attività e di passività) di cui, in quella fase preliminare, è ben possibile che si ignorino alcune componenti (e si immagini, solo per fare un esempio e per rimanere sul versante degli assets, ai diritti nascenti dal vittorioso esperimento di azioni – di nullità, di annullamento, revocatorie, di simulazione, di responsabilità nei confronti degli organi di gestione e di controllo della banca, ecc. – esercitabili in seno alla procedura collettiva, rispetto alle quali l’esperto potrebbe addirittura non essere a conoscenza dei fatti che ne sono a fondamento). Su questi aspetti cfr., tra gli altri, JACOBS - MITCHELL, The no-creditor-worse-off principle from a valuation perspective: standing in the shoes of a hipothetical liquidator, in Butterworths journal of international banking and financial law, vol. 29, 2014, p. 233.
123
Documenti e informazioni
che le cose cambiano a seconda che si adotti la c.d. “single point of entry resolution strategy” (SPE) oppure la “multiple point of entry resolution strategy” (MPE)17, nel primo caso essendo preferibile che l’autorità di risoluzione ove ha sede la capogruppo proceda, d’intesa con le altre autorità che compongono il CMG, alla nomina di un unico valutatore; qualora ciò non sia possibile – ad esempio perché l’ordinamento della host authority impone la nomina di professionisti distinti – viene richiesto alle autorità di risoluzione di cooperare tra di loro al fine di identificare un criterio di valutazione omogeneo ed evitare così stime del tutto divergenti18. b) Al fine di facilitare ed accelerare le operazioni di valutazione, il FSB richiede poi alle autorità di risoluzione di imporre e verificare la capacità dell’ente di supportare adeguatamente il professionista nominato (o la stessa autorità, in caso di valutazione provvisoria), trasferendo tempestivamente a quest’ultimo tutti i dati e le informazioni necessari ai fini della stima (Principio n. 6: “Capabilities of firms to support timely and robust valuations”). c) I principi si soffermano, e non poteva essere diversamente, anche sulla metodologia impiegata per la valutazione e sulle ipotesi o gli scenari da porre a base della stessa (Principio n. 7: “Valuation methodology
17
FERNANDÉZ DE LIS, The multiple-point-of-entry resolution strategy for global banks, BBVA Research Papers, 25 febbraio 2015, p. 2: «The two polar resolution approaches for resolving global banks outlined by the FSB (the Single Point of Entry, or SPE, and Multiple Point of Entry, or MPE) broadly correspond to very different business models. The SPE is more consistent with wholesale banking under the legal structure of branches, centralised capital and liquidity management, and significant intragroup positions. The MPE fits better with retail banking, funded with local deposits, under the legal structure of subsidiaries, decentralised capital and liquidity management, and very limited intragroup positions. The optimal design of the resolution strategy should take into account the firm’s particular characteristics. The way cross-border banks plan to die should be consistent with the way they lived». 18 L’importanza che la cooperazione e l’esatta divisione delle responsabilità tra le autorità coinvolte nella risoluzione delle G-SIBs rivestono per il buon esito della procedura è evidenziata anche nei «Guiding principles on the temporary funding needed to support the orderly resolution of a global systemically important bank (“G-SIB”)», elaborati sempre dal FSB nell’agosto del 2016, nei quali si legge: «Home and host authorities should cooperate to support the consistent and effective implementation of group-wide and local resolution funding plans. Home and host authorities should establish a clear division of responsibilities, consistent with national law and policy, for providing temporary funding in a G-SIB resolution that is consistent with the resolution strategy» (Principio n. 6: “Cross-border cooperation”).
124
Daniele Vattermoli
and assumptions”). Sul punto occorre segnalare come il FSB, pur riconoscendo alla home authority, quale coordinatrice del collegio di risoluzione, la competenza ad elaborare l’approccio da seguire, in via generale, per la valutazione, attribuisca tuttavia al professionista il potere discrezionale di scegliere – all’interno comunque della cornice disegnata dalle direttive elaborate dalla prima – i criteri di stima che ritenga più opportuni, in considerazione delle circostanze del caso concreto. Come dire che la responsabilità della valutazione è, e deve rimanere, del professionista. d) La salvaguardia della fiducia del mercato bancario e finanziario tutto, obiettivo ultimo dei principi contenuti nel documento del FSB, si persegue anche rendendo trasparente il processo di valutazione, fornendo informazioni al pubblico degli investitori sia ex ante – al momento cioè della redazione del piano di risoluzione –, in ordine alle regole generali che dovranno essere seguite, anche per quel che concerne i criteri di scelta del professionista valutatore; sia ex post – ossia, ad intervento avvenuto –, in ordine ai risultati della valutazione, che poi si riflettono sull’entità delle perdite e, a cascata, sull’allocazione delle stesse tra le diverse categorie di aventi diritto sul patrimonio dell’ente in dissesto. Il Principio n. 8 (“Transparency of the valuation process”), rivolgendosi direttamente alle autorità di risoluzione, se da un lato evidenzia l’importanza che la trasparenza assume ai fini della fiducia del mercato nello strumento di risoluzione, sottolineando che «such confidence will help ensure credibility in the proposed resolution action and reduce potential litigation risk», dall’altro tuttavia pone in guardia sulla possibilità che la piena disclosure, ed in particolare quella sui risultati della valutazione, rappresenti un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi della procedura. Alle autorità coinvolte il delicato compito di contemperare i diversi interessi in giuoco, bilanciando opportunamente transparency e confidentiality nella ricerca del punto di equilibrio tra le esigenze dei singoli investitori, dell’ente in dissesto e del mercato finanziario in generale, che rappresenta, in ultima analisi, la vera scommessa dell’intera risoluzione bancaria.
DANIELE VATTERMOLI
125
NORME REDAZIONALI
a. I contributi proposti per la pubblicazione (saggi, note a sentenza, ecc.) debbono essere inviati, in formato elettronico (word), al Direttore responsabile prof. avv. Alessandro Nigro al seguente indirizzo email alessandro.nigro@tiscali.it È indispensabile l’indicazione nella prima pagina (in alto a destra) dell’indirizzo email, per l’invio delle bozze. b. I contributi proposti per la pubblicazione sono preventivamente vagliati dalla Direzione. Quelli che superano tale vaglio vengono trasmessi, in forma anonima, ad uno dei componenti della apposita struttura di revisione, coordinata dal prof. Daniele Vattermoli. Il revisore rimette al coordinatore la sua relazione che, in forma anonima, è trasmessa al Direttore il quale, se la relazione è positiva, autorizza la pubblicazione del contributo.
I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)
II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: BELLI, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: MAIMERI, A. NIGRO e SANTORO, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto
127
Norme redazionali
corrente, Milano, 1991, p. …; ALLEGRI ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: BELLI e SANTORO, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. SANDULLI, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: COSTI, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: ANGELICI, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. … 4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: SANTORO, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. NIGRO, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: BELLI, Legislazione, cit., p. …; COSTI, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).
III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile codice di commercio
128
c.c. c.comm.
Norme redazionali
Costituzione codice di procedura civile codice penale codice di procedura penale decreto decreto legislativo decreto legge decreto legge luogotenenziale decreto ministeriale decreto del Presidente della Repubblica disposizioni sulla legge in generale disposizioni di attuazione disposizioni transitorie legge fallimentare legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)
Cost. c.p.c. c.p. c.p.p. d. d.lgs. d.l. d.l. luog. d.m. d.P.R. d.prel. disp.att. disp.trans. l.fall. l.camb. t.u. t.u.b. t.u.f.
2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale Corte di Cassazione Sezioni unite Consiglio di Stato Corte d’Appello Tribunale Tribunale amministrativo regionale
C. Cost. Cass. S. U. Cons. St. App. Trib. TAR
3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Banca, borsa e titoli di credito Banca, impresa e societĂ Bancaria Banche e banchieri
Arch. civ. Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa, soc. Banc. Banche e banc.
129
Norme redazionali
Contratto e impresa Contratti Corriere giuridico Digesto IV ed.
Contr. e impr. Contr. Corr. giur. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur. Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm.
130
Norme redazionali
Rivista della cooperazione Rivista delle societĂ Rivista del diritto commerciale Rivista del notariato Rivista di diritto civile Rivista di diritto internazionale Rivista di diritto privato Rivista di diritto processuale Rivista di diritto pubblico Rivista di diritto societario Rivista giuridica sarda Rivista italiana del leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Vita notarile 4. Commentari, trattati
Riv. coop. Riv. soc. Riv. dir. comm. Riv. not. Riv. dir. civ. Riv. dir. internaz. Riv. dir. priv. Riv. dir. proc. Riv. dir. pubbl. RDS Riv. giur. sarda Riv. it. leasing Riv. trim. dir. proc. civ. Vita not.
Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cura di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, Torino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume
131
Norme redazionali
CODICE ETICO
La rivista Diritto della banca e del mercato finanziario è una rivista scientifica peer-reviewed che si ispira al codice etico delle pubblicazioni elaborato da COPE, Committee on Publication Ethics, Best Practice Guidelines for Journal Editors. (http://publicationethics.org/resources/guidelines)
Doveri dell’Editore
Fornisce alla rivista risorse adeguate nonché la guida di esperti (p. e. per la consulenza grafica, legale ecc.), così da svolgere il proprio ruolo in modo professionale e accrescere la qualità del periodico. L’Editore si preoccupa di perfezionare un contratto che definisca il suo rapporto con il proprietario della rivista e/o con la Direzione. I termini di detto contratto devono essere in linea con il Codice di condotta per editori di riviste scientifiche messo a punto da COPE. Il rapporto tra Direzione, Comitato di Redazione ed Editore deve basarsi saldamente sul principio di indipendenza editoriale.
Doveri del Direttore e del Comitato di Redazione
Il Direttore e il Comitato di Redazione della rivista Diritto della banca e del mercato finanziario sono i soli responsabili della decisione di pubblicare gli articoli sottoposti alla rivista stessa. Nelle loro decisioni, essi sono tenuti a rispettare le linee di indirizzo della rivista. Gli articoli scelti verranno sottoposti alla valutazione di uno o più revisori e la loro accettazione è subordinata all’esecuzione di eventuali modifiche richieste e al parere conclusivo del Comitato di Redazione. La Direzione e il Comitato di Redazione sono tenuti a valutare i manoscritti per il loro contenuto scientifico, senza distinzione di razza, sesso, orientamento sessuale, credo religioso, origine etnica, cittadinanza, di orientamento scientifico, accademico o politico degli autori. Se il Comitato di Redazione rileva o riceve segnalazioni in merito a errori o imprecisioni, conflitto di interessi o plagio in un articolo pubblicato, ne darà tempestiva comunicazione all’Autore e all’Editore e intraprenderà le azioni necessarie per chiarire la questione e, in caso di necessità, ritirerà l’articolo o pubblicherà una ritrattazione.
Doveri degli Autori
Gli Autori, nel proporre un articolo alla rivista, devono attenersi alle Norme per gli Autori consultabili sul sito internet della rivista. Gli Autori sono tenuti a dichiarare di avere redatto un lavoro originale in ogni sua parte e di avere debitamente citato tutti i testi utilizzati. Qualora siano utilizzati il lavoro e/o le parole di altri Autori, queste devono essere opportunamente parafrasate o letteralmente citate.
132
Codice etico
Norme redazionali
Va correttamente attribuita la paternità dell’opera e vanno indicati come coautori tutti coloro che abbiano dato un contributo significativo all’ideazione, all’organizzazione, alla realizzazione e alla rielaborazione della ricerca che è alla base dell’articolo. Tutti gli Autori sono tenuti a dichiarare esplicitamente che non sussistono conflitti di interessi che potrebbero aver condizionato i risultati conseguiti o le interpretazioni proposte. Gli Autori devono inoltre indicare gli eventuali enti finanziatori della ricerca e/o del progetto dal quale scaturisce l’articolo. I manoscritti in fase di valutazione non devono essere sottoposti ad altre riviste ai fini di pubblicazione. Quando un Autore individua in un suo articolo un errore o un’inesattezza rilevante, è tenuto a informare tempestivamente la Redazione e a fornirle tutte le informazioni necessarie per indicare le doverose correzioni del caso. I protocolli di studio dei lavori originali devono essere preventivamente autorizzati dai comitati etici di riferimento degli Autori e le ricerche devono essere condotte secondo norme etiche con specifico richiamo alla dichiarazione di Helsinki.
Doveri dei Revisori
Attraverso la procedura del peer-review i Revisori assistono il Comitato di Redazione nell’assumere decisioni sugli articoli proposti, e inoltre possono suggerire all’Autore correzioni e accorgimenti tesi a migliorare il proprio contributo. Qualora non si sentano adeguati al compito proposto o sappiano di non potere procedere alla lettura dei lavori nei tempi richiesti sono tenuti a comunicarlo tempestivamente al Comitato di Redazione. Ogni testo assegnato in lettura deve essere considerato riservato; pertanto tali testi non devono essere discussi con altre persone senza l’esplicita autorizzazione della Direzione. La revisione deve essere effettuata in modo oggettivo. I Revisori sono tenuti a motivare adeguatamente i giudizi espressi. I Revisori s’impegnano a segnalare al Comitato di Redazione eventuali somiglianze o sovrapposizioni del testo ricevuto con altre opere a loro note. Tutte le informazioni riservate o le indicazioni ottenute durante il processo di peer-review devono essere considerate confidenziali e non possono essere usate per altre finalità. I Revisori sono tenuti a non accettare in lettura articoli per i quali sussiste un conflitto di interessi dovuto a precedenti rapporti di collaborazione o di concorrenza con l’autore e/o con la sua istituzione di appartenenza.
133
Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria
L’abbonamento alla rivista decorre dal 1° gennaio di ogni anno e dà diritto a tutti i numeri relativi all’annata, compresi quelli già pubblicati. L’abbonamento si intende rinnovato in assenza di disdetta da comunicarsi almeno 60 giorni prima della data di scadenza a mezzo lettera raccomandata a.r. da inviare a Pacini Editore S.r.l. Cedola di sottoscrizione - Abbonamento Italia 2018 (4 fascicoli): € 120,00 - Abbonamento Estero 2018 (4 fascicoli): € 170,00 - Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 35,00 Modalità di Pagamento ☐ assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Srl - PISA ☐ versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Srl - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 G 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) ☐ carta di credito ☐ MasterCard ☐ VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma ................................................................
Inviare il presente modulo all’Editore: Pacini Editore Srl via Gherardesca - 56121 Ospedaletto-Pisa Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it • info@pacinieditore.it è possibile acquistare la rivista direttamente sul sito dell’Editore