Responsabilità medica 1/2018

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Gennaio- Marzo 2018

Diritto e pratica clinica 1 RESPONSABILITÀ MEDICA

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ISSN 2532-7607

RESPONSABILITÀ MEDICA

Diritto e pratica clinica IN QUESTO NUMERO Vittime della strada vs. pazienti, di Giulio Ponzanelli Responsabilità penale per colpa professionale, di Salvatore Aleo L’apporto della regolazione amministrativa nella legge Gelli, di Gianluca Romagnoli Responsabilità medica e assicurazioni nell’esperienza comparatistica, di Francesca Benatti La sicurezza delle cure e il ruolo dell’ingegneria clinica, di Angelo Venchiarutti e Diego Bravar Il Voluntary Assisted Dying Act 2017, di Luigi Gaudino

Gennaio-Marzo 2018 Rivista trimestrale diretta da Roberto Pucella

Pacini


INDICE Saggi e pareri Giulio Ponzanelli, Vittime della strada versus pazienti: una difficile equiparazione ............. Salvatore Aleo, Responsabilità penale per colpa professionale medica tra Legislatore e Corte di cassazione........................................................................................................................ Gianluca Romagnoli, L’apporto della regolazione amministrativa nella legge Gelli-Bianco (critiche ed auspici d’un prossimo “aggiustamento”)............................................................ Francesca Benatti, Responsabilità medica e assicurazioni nell’esperienza comparatistica............ Flaviano Antenucci, Impatto e prospettive pratiche della l. n. 24/2017 – Il punto di vista dell’assicuratore...................................................................................................................

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Giurisprudenza Cass. civ., III sez., 31 ottobre 2017, n. 25849, con nota di commento di Maria Fontana Vita Della Corte, Omissione informativa e la chance perduta di abortire.................................... » 43 Matteo Turci, La responsabilità del Ministero della salute per danni da emotrasfusione: i principi delle Sezioni Unite nn. 576-585/2008, a dieci anni dalle pronunce........................ » 55

Dialogo medici-giuristi Angelo Venchiarutti, Diego Bravar, La sicurezza delle cure e il ruolo dell’ingegneria clinica............. » 67

Osservatorio medico-legale Carlo Scorretti, Sicurezza delle cure, linee guida e buone pratiche nella riforma Gelli........ » 73

Osservatorio normativo e internazionale Luigi Gaudino, Il Voluntary Assisted Dying Act 2017 dello Stato di Victoria, Australia........... » 81



i g Saggi e pareri Saggi e pareri ag i s rer e a Vittime della strada versus p pazienti: una difficile equiparazione* Giulio Ponzanelli

Professore nell’Università Cattolica di Milano Sommario: 1. La quantificazione del danno non patrimoniale come la nuova frontiera della responsabilità civile. – 2. Il principio di uguaglianza versus integrale riparazione. – 3. La situazione nel settore r.c. auto: artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni. – 4. L’applicazione degli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni in ambito sanitario. – 5. Il nuovo art. 138 e il superamento delle decisioni di San Martino. – 6. Alcune conclusioni.

Abstract: La legge Gelli-Bianco ha esteso per i danni causati al paziente i criteri risarcitori contenuti negli articoli 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni. Tali norme, che riguardano rispettivamente le lesioni di non lieve entità (c.dd. macropermanenti) e quelle di lieve entità (le cc.dd. micropermanenti), danno luogo ad una forma di limitazione del risarcimento rispetto al livello del risarcimento integrale. L’a. analizza criticamente tale estensione, non individuando una ragione in grado di giustificare, anche in relazione al generale principio di uguaglianza, il favor riconosciuto alla struttura sanitaria e all’esercente la professione sanitaria, come invece era in grado di rinvenire per quanto riguarda il settore r.c. auto. The new Italian law (known as the Gelli-Bianco law) extends the criteria provided by Articles 138 and 139 of Italian Insurance Code in the automobile sector also to the damages suffered by patients as a consequence of medical malpractice. The articles 138 and 139, which

Queste pagine riproducono, con l’ausilio di note essenziali, l’intervento tenuto a Roma il 2 febbraio 2018 in occasione dell’incontro di studio organizzato dalla Cassa Nazionale Forense assieme all’Associazione dei Civilisti Italiani e la casa editrice Pacini Editore sul tema “La responsabilità sanitaria”. *

covers both serious and minor injuries, introduces a limit on the amount of compensation compared to the full compensation typically available under tort law. The author critically analyses the extended criteria because the rationale of the bilateral compulsory insurance regime applicable to the automobile sector cannot be applied to the field of medical malpractice. The extension can also be challenged as being a constitutional infringement.

1. La quantificazione del danno non patrimoniale come la nuova frontiera della responsabilità civile È quasi banale ricordare come la responsabilità civile sia molto cresciuta negli ultimi quarant’anni. Proprio a causa del grande incremento delle regole di r.c. e della sua stretta relazione con la garanzia assicurativa, oggi le vere frontiere della responsabilità civile sono quelle relative alla determinazione del danno risarcibile, e in modo particolare, ovviamente, del danno non patrimoniale. La centralità della quantificazione del danno non sta però certo a significare la perdita della dimensione alta della responsabilità civile e la riduzio-

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ne del dibattito a profili ritenuti più propri della pratica professionale. Nella misura del danno, infatti, si può esemplarmente testare il successo o meno delle funzioni svolte dalla responsabilità civile. E la quantificazione del danno, proprio per la sua straordinaria importanza, è stata oggetto di interventi legislativi, evidentemente consapevoli che la misura del risarcimento è operazione non neutrale per la pluralità degli interessi presenti e che, proprio per questo, il legislatore ha deciso di fissare il risarcimento. E lo ha fatto in settori centrali della responsabilità civile, quali prima la circolazione auto e la responsabilità medica dopo; stabilendo il risarcimento, il legislatore ha operato una deroga al potere equitativo del giudice.

2. Principio di uguaglianza versus integrale riparazione Qui si pone il primo problema: se cioè possa esserci una determinazione del danno diversa a seconda della fonte dalla quale trae origine il fatto illecito. E, nel caso di una risposta positiva, con quale estensione il principio di uguaglianza possa essere violato. Affrontando questi temi, il ricordo va alla mia professoressa di diritto civile, Lina Bigliazzi Geri, che nel 1992 aveva organizzato un seminario per i dottorandi pisani proprio dedicato a “Uguaglianza nella diversità, diversità nell’uguaglianza” e che ben può essere applicato a questo argomento1. Come è noto, il principio di integrale riparazione può essere modificato dal legislatore, il quale, usando la sua discrezionalità legislativa, può ridurre il risarcimento integrale normalmente dovuto, o addirittura aumentarlo, prevedendo cioè una sorta di punizione e/o di sanzione che si aggiunge ad esso. E lo può fare perché tale principio non è assistito da una garanzia costituzionale: solo devono esistere precisi interessi pubblici che giustifichino l’abbandono dell’integrale riparazione. La violazione, in tal modo attuata, del principio di uguaglianza esige, però, precise condizioni: il risarcimento deve conoscere una limitazione ragione-

Cfr. Ponzanelli, Il principio di uguaglianza e la crescita delle regole di responsabilità civile, in Resp. civ. e prev., 1993, 851. 1

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Saggi e pareri

vole, e non deve mai trasformarsi in un indennizzo e/o in un ristoro. Altrimenti, il vulnus all’integrale riparazione del danno sarebbe troppo forte.

3. La situazione nel settore rc auto: artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni Il più importante settore nel quale è stata operata la limitazione del risarcimento è la circolazione auto: gli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni introducono un risarcimento limitato per le vittime della strada (e ora per i pazienti) in deroga al principio di integrale riparazione del danno e al principio generale di uguaglianza. Sono infatti stabiliti criteri predeterminati del risarcimento (per l’art. 139 da subito; per l’art.138 da determinarsi in basi all’adozione di una Tabella Unica Nazionale che solo oggi sembra vicino alla sua attuazione). Consapevoli che una limitazione del risarcimento, quando sia stato causato da un danno alla persona, avrebbe potuto andare incontro a serie obiezioni, e in ragione dell’insegnamento della Corte costituzionale del 1986 (sentenza n. 184 del 14 luglio) per la quale l’uniformità della valutazione del danno deve essere sempre accompagnata da una valorizzazione del caso concreto, il Codice delle Assicurazioni ha legittimato il Giudice ad aumentare, per le lesioni di lieve entità, nella misura massima del venti per cento, il risarcimento del danno “con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”(art. 139). Diversa è invece la formulazione usata nell’art. 138 per le lesioni di non lieve entità laddove l’aumento sale al trenta per cento quando “la menomazione accertata incide in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali”. L’art. 139 è stato sottoposto a un giudizio di costituzionalità per violazione del generale principio di uguaglianza: nelle ordinanze di rimessione si sottolinea proprio come la liquidazione di risarcimenti diversi in presenza di identico danno alla persona verrebbe a determinare una violazione dell’art. 3 della Costituzione. Secondo la Corte, invece, la limitazione del risarcimento prevista per il settore r.c. auto per le lesioni di lieve entità è costituzionalmente ragionevole perché trova la sua più genuina giustificazione


Codice delle Assicurazioni e risarcimento dei danni al paziente

nell’interesse pubblico di non aumentare i premi assicurativi. E in un sistema ove opera un regime di assicurazione obbligatoria bilaterale, e quindi ove l’assicurazione svolge una funzione mutualistica, tenere sotto controllo il livello dei premi è opera socialmente meritevole di attenzione. Ancora: visto che nelle ordinanze di rimessione si era anche rilevata una ingiustificata esclusione del danno morale, come se questa figura di danno avesse rilevanza costituzionale, la Corte rileva che il danno morale potrà essere apprezzato nella misura del venti per cento proprio alla luce delle condizioni soggettive della vittima (e la misura indicata dal legislatore non era proprio casuale, perché nel 2001 la misura del danno morale nelle ipotesi di micropermanenti era esattamente il 20 per cento).

4. L’applicazione degli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni in ambito sanitario Gli artt. 138 e 139 sono stati poi estesi al settore della responsabilità sanitaria, dapprima con la legge Balduzzi e successivamente con la legge Gelli-Bianco. La giustificazione dell’estensione di questa misura di limitazione del risarcimento è però diversa da quella della r.c. auto: qui, il sistema di assicurazione non è bilateralmente obbligatorio, visto che l’obbligo assicurativo è solo a carico della struttura e dell’esercente la professione sanitaria e non dell’impresa di assicurazioni. La limitazione del risarcimento trova quindi la sua più genuina giustificazione nel favor riconosciuto alla struttura sanitaria e all’esercente la professione sanitaria: la pressione e la paura risarcitoria, uguale al livello dell’integrale riparazione del danno, sarebbe una delle ragioni che hanno portato la classe medica ad adottare i comportamenti tipici e propri della medicina difensiva. Questa giustificazione sembra alquanto debole proprio alla luce del principio di uguaglianza, anche perché non è certo che a causare la medicina difensiva (che causa spese altissime) sia stato proprio il livello del risarcimento. Ci sono però delle importanti novità da registrare che potrebbero far ritenere ancora rilevante la possibile violazione del principio di uguaglianza solo per le micropermanenti e non per le lesioni

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di non lieve entità: infatti, si sta finalmente completando il processo di implementazione dell’art. 138 del Codice delle Assicurazioni che, con grande sorpresa di tutti, pare aver attuato un sistema di integrale risarcimento e non di limitazione come, invece, si voleva al momento dell’entrata in vigore del Codice delle Assicurazioni.

5. Il nuovo art. 138 e il superamento delle decisioni San Martino Come è noto, l’art. 138 Codice delle Assicurazioni non è stato implementato per oltre dodici anni. Ogni volta che il Governo si accingeva a varare la Tabella Unica Nazionale, i suoi tentativi venivano sistematicamente bloccati perché il livello del risarcimento previsto veniva giudicato troppo basso e troppo lontano dall’integrale riparazione del danno, obiettivo questo escluso in un sistema di assicurazione bilateralmente obbligatoria che esige sempre un risarcimento, e non certo un ristoro, ma predeterminato. L’art. 138, anche se non implementato, è stato però oggetto di interpretazione da parte delle Corti. La giurisprudenza di Cassazione aveva infatti cominciato a offrire interpretazioni di una norma non ancora attuata, con la dichiarata intenzione di continuare quel processo giurisprudenziale critico degli equilibri risarcitori fissati nelle decisioni di San Martino. In pratica, è stata proposta un’interpretazione dell’art. 138 in virtù della quale l’aumento del trenta per cento sarebbe solo riferito alle conseguenze relazionali-esistenziali, mentre il Giudice per le lesioni di non lieve entità non incontrerebbe alcuna limitazione nel risarcimento del danno morale. Per la prima volta sostenuta nel 20152 e ripresa ora con le due decisioni del 2017 e del 20183, questa interpretazione si presenta come abrogan-

Cfr. Cass., 9.6.2015, n. 11851, in Foro it., 2015, I, con nota di Ponzanelli, La certezza sul risarcimento del danno alla persona, e poi Cass., 20.4.2016, n. 7766, in Foro it., 2016, I, 2058, con nota di Ponzanelli, Dolore e vita che cambia: un nuovo attacco alle tabelle milanesi sul danno non patrimoniale. 2

Cfr. Cass, (ord.), 14.11.2017, n. 26805 e Cass., 17.1.2018, n. 901, in Foro it., 2018, I, 923 con mio commento, Giudice e legislatore liquidano dopo dieci anni le decisioni di San Martino. 3

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te, visto che è la negazione della razionalità dei criteri di limitazione del risarcimento indicati nel Codice delle Assicurazioni. In altri termini, la predeterminazione del risarcimento di cui all’art. 139 non poteva non riguardare anche le lesioni di non lieve entità: l’interesse pubblico a non vedere rialzati i premi assicurativi esiste sia per le micro che per le macro-permanenti. Solo che per le macro-permanenti, proprio per le più gravi conseguenze al diritto inviolabile alla salute, il Codice delle Assicurazioni aumenta al trenta per cento la personalizzazione che potrà essere compiuta dal giudice. La Corte Costituzionale nel 2014 si è riferita unicamente alle micropermanenti, ma le ragioni accolte nella decisione riguardano tutto il settore r.c. auto caratterizzato dall’operatività di un’assicurazione bilateralmente obbligatoria: interpretare l’art.138 come se il Giudice potesse quantificare il danno morale senza alcuna limitazione significa creare un sistema di responsabilità civile ordinario che non è quello riconosciuto e presente nel nostro sistema. E questa interpretazione è stata ora sostanzialmente recepita dal legislatore nel 2017. Dopo una lunga attesa, nella legge sulla concorrenza del 4 agosto 2017, n. 124, il comma 17 ha riformulato l’art. 138, riproponendo in parte il testo del vecchio articolo 138 e la possibilità per il giudice con equo e motivato apprezzamento di aumentare la misura del risarcimento se la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico relazionale. Nell’incipit della nuova formulazione viene sottolineato però che obiettivo primario, assente nella formulazione precedente, del nuovo 138 è “garantire il diritto delle vittime dei sinistri a un pieno risarcimento del danno non patrimoniale e effettivamente subito e di razionalizzare i costi gravanti sul sistema assicurativo e sui consumatori”. La Tabella Unica Nazionale pare poi destinata a recepire i risultati dalle Tabelle Milanesi (“La Tabella Unica Nazionale è redatta, tenuto conto dei criteri di valutazione del danno non patrimoniale ritenuti congrui dalla consolidata giurisprudenza italiana”). E le Tabelle Milanesi accolgono un risarcimento integrale, che un sistema di r.c. auto, almeno Responsabilità Medica 2018, n. 1

Saggi e pareri

come era stato pensato, non è in grado di soddisfare. C’è di più: viene introdotta la lettera e), ipotesi non contemplata nella precedente versione, ove si dice che per la quantificazione “della componente del danno morale da lesione dell’integrità fisica, la quota del danno biologico viene incrementata in via percentuale e progressiva per punto”. Sono, dunque, tre le straordinarie novità contenute nel nuovo testo dell’art. 138: a) si afferma il principio di integrale riparazione anche nella r.c. auto (“pieno risarcimento”); b) si lascia intravedere che saranno le tabelle milanesi a essere prese in considerazione per la concreta determinazione del danno non patrimoniale; c) si fissa il principio che il danno morale deve essere liquidato in una quota del danno biologico da integrità fisica (stranamente non si menziona l’integrità psichica). E questo sistema dovrebbe avere l’obiettivo di razionalizzare i costi del sistema assicurativo. Forse, per la presenza di voci di danno prefissate, la razionalizzazione verrà anche raggiunta, ma sicuramente il costo risarcitorio a carico degli stessi consumatori sarà maggiore.

6. Alcune conclusioni La scelta di attuare un risarcimento integrale si pone in una logica di forte discontinuità con il sistema introdotto con il Codice delle Assicurazioni, ma almeno pare in grado di metter al riparo da possibili eccezioni di incostituzionalità l’estensione dell’art. 138 al settore sanitario. L’equiparazione tra vittime della strada e pazienti rimane dunque dubbia solo per quanto riguarda le micropermanenti, visto che per le lesioni di non lieve entità le scelte successive del legislatore pare abbiano voluto riconoscere un risarcimento pieno. Essa si presenta straordinariamente sintonica invece con quella giurisprudenza che, evidentemente insoddisfatta dei risultati fissati nelle decisioni delle Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, ha posto con continuità le premesse per il loro superamento. Quella stessa giurisprudenza che aveva offerto un’interpretazione abrogante del vecchio art. 138.


i g Saggi e pareri Saggi e pareri ag i s rer e a Responsabilità penale per p colpa professionale medica tra Legislatore e Corte di cassazione Salvatore Aleo

Professore nell’Università di Catania

Abstract: Nella norma penale della legge Gelli-Bianco è stabilita la non punibilità della condotta imperita che tuttavia sia conforme alle linee guida, validate e pubblicate dall’Istituto superiore di sanità, e in mancanza alle buone pratiche clinico-assistenziali. Questa norma è apertamente contraddittoria e rischia di essere incostituzionale, per violazione del diritto alla salute, e perché costituisce una esimente da determinarsi in via amministrativa e su cui possono influire le stesse categorie interessate. La limitazione alla colpa grave, suggerita dalla Cassazione a sezioni unite, sembra difficilmente configurabile nelle ipotesi di rispetto delle linee guida e invece dovrebbe essere adottata in generale nel diritto penale. Il criterio di garanzia stabilito nell’art. 2236 c.c., per l’esercizio di attività difficili, dovrebbe valere a maggior ragione nel diritto penale: dove la colpa può ben essere considerata criterio marginale. The criminal provision of the Gelli-Bianco Law states that the medical conduct characterized by unskillfulness can’t be punished if complying with the guidelines, validated and published by the Italian Superior Institute of Health, or with good clinical-care practices when guidelines are missing. This rule is openly contradictory and risks being unconstitutional for the right to health violation, and because it constitutes an exemption of punishment to be determined in an administrative way and on which the same categories involved may affect.

The limitation to gross negligence, suggested by the Supreme Court, seems hardly configurable in the hypothesis of compliance with the guidelines and, instead, should be generally adopted in criminal law. The guarantee criterion established for the exercise of difficult activities by art. 2236 of civil code should be even more valid in criminal law: where negligence can well be considered marginal criterion.

La giurisprudenza penale di legittimità ha avuto certamente grande influenza sull’espansione nel nostro Paese del contenzioso in materia sanitaria a partire dall’ultimo quarto del secolo trascorso. Le punte più avanzate (più eccessive) di posizioni che possono essere definite rigoristiche nei confronti dei medici, in considerazione della loro funzione di tutela del bene primario della salute dei cittadini, sono state l’attribuzione oggettiva dell’evento che possa essere considerato rischio tipico della condotta secondo misure di probabilità variamente definite e la negazione della rilevanza penale del limite dell’art. 2236 del codice civile per la responsabilità del prestatore d’opera quando «la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà». La concezione dell’attribuzione oggettiva dell’evento è stata formulata in Germania in aggiunta rispetto al criterio della condicio sine qua non per ridimensionare la portata del medesimo. Invece è stata adottata nel nostro sistema in luogo di quel Responsabilità Medica 2018, n. 1


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criterio, in considerazione della rilevanza primaria del bene salute protetto e tutelato dai medici, secondo misure di probabilità appunto variamente definite; prima di essere superata – con la sentenza Franzese – in ragione del criterio della probabilità prossima alla certezza. La colpa grave è stata definita dal legislatore del 1942 come criterio generale di garanzia dell’esercizio di attività difficili con riferimento innanzitutto al sanitario e all’ipotesi dell’imperizia. Inopinatamente la nostra giurisprudenza di legittimità ha ritenuto questo criterio non relativo altrettanto al diritto penale. Invece l’ordinamento giuridico va inteso come unitario. E il criterio dovrebbe valere a maggior ragione nel diritto penale: perché la responsabilità penale dovrebbe costituire in generale un cerchio concentrico più circoscritto in confronto a quella civile; perché la responsabilità penale è ordinariamente quella dolosa e riguarda anche la colpa solo in ipotesi determinate, relative alla offesa della vita e dell’incolumità personale di singoli (omicidio e lesioni colpose) e alla esposizione a pericolo della vita e dell’incolumità di pluralità indeterminate di persone (i delitti colposi di comune pericolo)1; perché la pena è strumento cruento, che deve riguardare le ipotesi più gravi, e la funzione di prevenzione mediante intimidazione – che ne è propria – riguarda essenzialmente il comportamento volontario, la condotta voluta (invece, la pena è strumento improprio a prevenire, per esempio, la dimenticanza). Nel nostro ordinamento la colpa grave è criterio generale di garanzia del pubblico dipendente per la responsabilità contabile, davanti alla Corte dei conti, per i danni cagionati alla Pubblica Amministrazione, per qualsiasi ipotesi di responsabilità. Invece la limitazione dell’art. 2236 del codice civile deve riguardare solo le ipotesi di imperizia.

Arturo Rocco nei lavori preparatori del codice ha definito l’imputazione colposa dei delitti come eccezione al pari della preterintenzione: «Nei delitti la regola è l’imputabilità a titolo di dolo, e l’eccezione è il non dolo, che può essere colpa o preterintenzione», in Mangini, Gabrieli e Cosentino (a cura di), Codice penale illustrato con i lavori preparatori, Roma, 1930, 46 s. 1

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Saggi e pareri

La colpa grave, almeno nelle ipotesi di imperizia, potrebbe costituire il criterio e il limite generale della responsabilità penale in campo sanitario: perché il sanitario agisce normalmente e anzi per definizione (in quanto sanitario) per salvaguardare la salute del paziente. La colpa è tradizionalmente indicata come profilo dell’elemento soggettivo o psicologico dell’illecito. Una definizione è contenuta nell’art. 43 del codice penale, che riguarda appunto l’«Elemento psicologico del reato», ove è definito anche il delitto colposo. Nell’art. 1176 del codice civile è fissata come criterio dell’adempimento delle obbligazioni la «diligenza […] di un buon padre di famiglia», che appartiene alla tradizione romanistica, e che troviamo nell’art. 1137 del codice civile napoleonico e nell’art. 1224 del codice civile del 1865. In effetti, mentre il dolo è un fatto, un accadimento, un evento (interiore, psichico) da provare (il fatto che il soggetto abbia voluto o meno l’evento, dannoso o pericoloso), la colpa è piuttosto nozione oggettiva risultato di un’argomentazione: che riguarda (il giudizio circa) la oggettiva difformità della condotta tenuta rispetto a uno standard (cautelare, ritenuto) doveroso: imposto dalla legge (colpa specifica, per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini, discipline: art. 43 c.p.) o definito dagli usi sociali (colpa generica: negligenza, imprudenza, imperizia: ancora art. 43 c.p.). La colpa è stata definita sia violazione di regole cautelari che superamento del rischio socialmente consentito. La nozione appare di natura sociologica, cioè può essere definita con metodo (statistico-)sociologico. Il criterio dell’“uomo medio”, secondo la precisazione dell’homo eiusdem condicionis ac professionis. Il giudice deve (dovrebbe) ricostruire la condotta che avrebbe tenuto (ovvero, statisticamente, socialmente e storicamente, tiene) la maggioranza delle persone, dello stesso tipo di quella di cui si giudica, in una situazione (nelle situazioni) del tipo di quella di cui si tratta: per evitare un evento (gli eventi) del tipo di quello che si è verificato. Quindi, la condotta che storicamente e socialmente tiene la maggioranza delle persone nelle situazioni del tipo di quella verificatasi. Quello così indicato può essere definito come criterio di


La colpa professionale medica al vaglio della giurisprudenza

verificabilità empirica del giudizio di colpa: appunto di natura sociologica; il contenuto appare infatti determinato socialmente e storicamente: mutevole secondo ragioni culturali, economiche, tecnologiche. Costituisce la misura di “rimproverabilità” della condotta tenuta dal soggetto. Diversamente, “colpa” è di volta in volta ciò che ritiene, opina, il giudice, il soggetto del giudizio. Da un canto, è considerato “normativo” ciò che è definito come “normale”. D’altro canto, ove si sia verificato un evento dannoso, spiacevole, potrà sempre farsi la considerazione che si sarebbe potuto fare qualcosa di più e di meglio, che comunque non è stato fatto, per evitare quello spiacevole verificarsi. Nella colpa professionale non è diverso il criterio del giudizio, è specifico il campione di riferimento: costituito dalle persone che svolgono la medesima attività. Nella nozione di colpa specifica la regola di condotta cautelare (di cui la colpa costituisce violazione) è formalizzata in una norma giuridica (dettata al fine di evitare il verificarsi di eventi del tipo di quello verificatosi: relazione funzionale tra norma, violazione ed evento). Vi sono attività in cui le norme cautelari sono scritte: segnatamente, il codice della strada. In confronto ad altre attività (per esempio più significativo la medicina), non si può dire né che queste attività siano più importanti né che queste regole siano più facili od opportune. La differenza dipende dal carattere più propriamente e accentuatamente convenzionale di quelle regole: prettamente cautelari e punti di compromesso fra diverse esigenze. Si può decidere di guidare l’automobile a destra o a sinistra: l’importante è mettersi d’accordo, e saperlo, in generale. Lo stesso riguarda le regole della precedenza, agli incroci o nelle rotonde. Sono queste regole del gioco, dell’agire collettivo. I limiti di velocità sono compromessi assolutamente convenzionali (e intrinsecamente opinabili) tra diverse esigenze. Di queste regole, fondate sulla condivisione e sulla conoscenza, appare dunque essenziale la previsione legislativa.

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In medicina si sta sviluppando e diffondendo la tendenza alla definizione delle linee guida e dei protocolli di condotta sanitaria. Le linee guida sono state adottate inizialmente dai sanitari come indicazioni da seguire per ottimizzare, migliorare, le loro prestazioni; sono state poi adottate dalle strutture sanitarie per comparare e rapportare costi e benefici delle prestazioni; sono state implementate dalle aziende farmaceutiche e fornitrici di strumenti sanitari per diffondere i loro prodotti; adesso sono indicate dalla legge come criteri da seguire sia per migliorare la sanità che per evitare e diminuire le responsabilità dei sanitari. Le linee guida sono criteri di orientamento delle decisioni, i protocolli sono prescrizioni da seguire. Una precisazione necessaria riguarda il fatto che i criteri ovvero le regole (massime, norme) di esperienza e di abilità si apprendono operando, cioè nell’esperienza concreta dell’attività, non dalla conoscenza della loro dimensione formale. Le linee guida sono indicazioni generali opportune, ma non è seguendo le medesime che s’impara l’attività. Il giudizio (ex post) di responsabilità colposa costituisce oggettivamente in generale (socialmente) l’onere di controllo (ex ante) dell’attività (del tipo di cui si tratti). Così nel diritto civile la colpa è distribuzione sociale oggettiva dei rischi delle attività pericolose: necessarie, utili, comunque socialmente accettate, condivise. In materia sanitaria, e in particolare di rilevanza delle linee guida, la Corte di cassazione (sentenza del 2.3.2011, n. 8254) ha precisato che il sanitario deve comunque anteporre la valutazione di tutela della salute del paziente, condannando il medico che aveva disposto le dimissioni del paziente già infartuato rispettando le linee guida predisposte «per garantire l’economicità della gestione della struttura ospedaliera». Anche a seguito di quella decisione nell’art. 3 della legge Balduzzi (d. l. n. 158/2012, conv. con modif. in l. n. 189/2012) fu stabilito che «L’esercente Responsabilità Medica 2018, n. 1


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la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo». Soffermiamoci appunto sul primo periodo. Il riferimento è alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, che devono essere ricostruite (quindi sostanzialmente) dal soggetto del giudizio. È un riferimento ovvio ma opportuno: il giudice deve ricostruire lo standard cui commisurare (a cui raffrontare) la condotta oggetto del giudizio, che è quello condiviso dalla comunità scientifica. L’esclusione della sola responsabilità penale per colpa lieve significa la responsabilità penale per colpa non lieve (non solo grave) e quella civile per qualsiasi forma di colpa (salvo il criterio dell’art. 2236 c.c. per l’imperizia). Rimaneva da capire lo spazio concreto del giudizio di colpa, per di più lieve, in una situazione in cui il sanitario si fosse attenuto alle «linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica». Ma tant’è, anzi tant’era. Ciononostante, il Tribunale di Milano (ordinanza del 21.3.2013) ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma, la quale avrebbe costituito un privilegio “ad professionem” in favore del medico, e la Corte costituzionale (ordinanza del 6.12.2013, n. 295) ha ritenuto la questione manifestamente inammissibile per mancata sufficiente determinazione delle caratteristiche del fatto, nell’ordinanza di rimessione, da non consentire dunque la valutazione della rilevanza della questione. La disposizione intervenuta successivamente, dell’art. 6 della legge Gelli-Bianco (l. 8.3.2017, n. 24), con cui è stata abrogata quella appena esaminata, è veramente brutta, nella forma e nella sostanza. Secondo la previsione del secondo comma di questa norma, «Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quanResponsabilità Medica 2018, n. 1

Saggi e pareri

do sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto». La disposizione va guardata ancora in confronto con la decisione sopra menzionata della Corte di cassazione e con la problematica che vi è sottesa, relativa al rapporto della condotta medica con le linee guida fissate dalle strutture (per ragioni di comparazioni fra costi e benefici delle prestazioni), ma il contenuto non può condividersi in alcun modo, sotto diversi profili. In linea di principio, appare fortemente contraddittorio che la condotta sia ad un tempo imperita e conforme alle linee guida e alle buone pratiche clinico-assistenziali. È una impostazione che non funziona per definizione. Ma le linee guida sono innanzitutto quelle validate e pubblicate dall’Istituto superiore di sanità, in mancanza rilevano le buone pratiche clinico-assistenziali. Quindi il medico la cui condotta è giudicata imperita può difendersi adducendo di aver rispettato una linea guida formalizzata. Questa legge induce e istituzionalizza, ma anche burocratizza, la produzione delle linee guida, e a mio avviso burocratizza la sanità. Il rischio maggiore di questa disposizione penale è di istituzionalizzare la medicina difensiva. I sanitari, infatti, si adopereranno affinché siano prodotte e validate linee guida che tengano conto anche delle loro esigenze difensive, delle loro difficoltà, oltre che dell’interesse primario della salute. La norma si presta così a una obiezione di costituzionalità: costituisce una esimente (della condotta imperita che rispetti le raccomandazioni previste dalle linee guida) che: a) viene definita via via in sede amministrativa; b) è a disposizione anche, più o meno direttamente, pure direttamente, di una o più categorie interessate. Il sistema delle linee guida prefigurato e introdotto dalla legge Gelli-Bianco è tuttavia molto difficile da realizzare e da mantenere: per i costi, le strutture, i necessari aggiornamenti, e il rischio


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La colpa professionale medica al vaglio della giurisprudenza

è anche quello che possa essere vanificato dalla realtà. La Cassazione n. 50078/2017 ha ritenuto applicabile l’esclusione della punibilità al comportamento che abbia eseguito in modo imperito la condotta prevista dalla linea guida: secondo questa decisione non vi sarebbero dubbi «sulla non punibilità del medico che seguendo linee guida adeguate e pertinenti sia incorso in una “imperita” applicazione di queste [con l’ovvia precisazione che tale imperizia non deve essersi verificata nel momento della scelta della linea guida – giacché non potrebbe dirsi in tal caso di essersi in presenza della linea guida adeguata al caso di specie, bensì nella fase “esecutiva” dell’applicazione]»; così è affermato il seguente principio di diritto: «Il secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen. articolo introdotto dalla legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), prevede una causa di non punibilità dell’esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso), nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche con la condotta imperita nell’applicazione delle stesse». Questa posizione sembra conforme alla lettera della norma ma conduce a risultati a mio parere aberranti, secondo cui la norma parrebbe in contrasto con la Costituzione per violazione del diritto alla salute: l’esecuzione errata della condotta prevista dalla linea guida non dovrebbe poter essere considerata conforme a questa: opportunamente, secondo Cass., 7.6.2017, n. 28187, «Un esempio tratto dalla prassi può risultare chiarificatore. Un chirurgo imposta ed esegue l’atto di asportazione di una neoplasia addominale nel rispetto delle linee guida e, tuttavia, nel momento esecutivo, per un errore tanto enorme quanto drammatico, invece di recidere il peduncolo della neoformazione, taglia un’arteria con effetto letale. In casi del genere, intuitivamente ed al lume del buon senso, non può ritenersi che la condotta del sanitario sia non punibile per il solo fatto che le linee guida di fondo siano state rispettate. Una soluzione di tal genere sarebbe irragionevole, vul-

nererebbe il diritto alla salute del paziente e quindi l’art. 32 Cost., si porrebbe in contrasto con i fondanti principi della responsabilità penale. Tali ragioni che rendono impraticabile la letterale soluzione interpretativa di cui si discute debbono essere debitamente, analiticamente chiarite». Il problema così rappresentato ovviamente non si sarebbe posto alla stregua dell’art. 3 della legge Balduzzi, che escludeva la sola responsabilità penale per colpa lieve. Ma al contrario la norma della Balduzzi riguardava in linea di principio qualsiasi ipotesi di colpa (lieve) e invece quella della Gelli-Bianco stabilisce l’esclusione della sola responsabilità penale colposa (in linea di principio di qualsiasi entità) per imperizia. Così la Corte di cassazione ha ritenuto (nella stessa decisione appena citata) che la previsione dell’art. 3 della legge Balduzzi possa essere in concreto più favorevole di quella dell’art. 6 della legge Gelli-Bianco, ponendo appunto il problema della possibile prevalenza della prima (in base al principio dell’art. 2 c.p.) per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della seconda2. Incidentalmente, può essere fatto notare che la limitazione della esclusione della punibilità della legge Gelli-Bianco alle ipotesi di imperizia potrà anche indurre la configurazione della negligenza o dell’imprudenza in casi in cui diversamente sarebbe stata configurata appunto l’imperizia. Recentemente, le sezioni unite penali della Cassazione, di fronte alla questione controversa di «Quale sia, in tema di responsabilità colposa dell’esercente la professione sanitaria per morte o lesioni personali, l’ambito di esclusione della punibilità previsto dall’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dall’art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24», hanno adottato la seguente soluzione: «L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia: 1) nell’ipotesi di errore rimpro-

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È la stessa Cass., 20.4.2017, n. 28187.

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verabile nell’esecuzione dell’atto medico quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o, in mancanza, dalle buone pratiche clinico-assistenziali; 2) nell’ipotesi di errore rimproverabile nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto, fermo restando l’obbligo del medico di disapplicarle quando la specificità del caso renda necessario lo scostamento da esse; c) se l’evento si è verificato per colpa (soltanto “grave”) da imperizia nell’ipotesi di errore rimproverabile nell’esecuzione, quando il medico, in detta fase, abbia comunque scelto e rispettato le linee-guida o, in mancanza, le buone pratiche che risultano adeguate o adattate al caso concreto, tenuto conto altresì del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico»3. Sostanzialmente, il medico che abbia rispettato le linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge, o in mancanza le buone pratiche clinico-assistenziali, che risultino adeguate alle specificità del caso concreto, eseguendo la condotta sanitaria con imperizia, risponde penalmente per colpa grave. Finalmente, può ben commentarsi. Questo criterio è assolutamente ultroneo al contenuto e al significato della legge. Ma è ragionevole. Di fronte alle difficoltà di interpretazione e applicazione della norma penale della legge Gelli-Bianco, la Corte di cassazione a sezioni unite penali adotta il criterio della colpa grave per circoscrivere la responsabilità penale del medico (che abbia agito nel rispetto delle linee guida o buone pratiche). Resta da capire come in concreto si possa essere in colpa avendo rispettato le linee guida o le buone pratiche clinico-assistenziali: quindi, quale spazio concreto di applicazione abbia il criterio così definito dalla Suprema Corte. La norma induce modi di applicazione in contrasto, appunto, col diritto alla salute sancito dalla Costituzione.

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Cass., sez. un., 21.12.2017, n. 10952.

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Saggi e pareri

Il criterio, in realtà, è quello dell’art. 2236 c.c., che è norma dell’ordinamento giuridico italiano dal 1942, e dovrebbe riguardare invero tutte le ipotesi di imperizia, quando «la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà», pure dunque – in linea di principio – se non sia stata rispettata la linea guida o per errore nella scelta della stessa: criterio, di garanzia dell’esercizio delle attività professionali difficili, da doversi applicare a maggior ragione, in generale, al diritto penale. Sembra irragionevole, ed è una stranezza della legge Gelli-Bianco, che si sia limitata l’azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa ai casi di dolo e colpa grave e che questo criterio non debba valere per circoscrivere la responsabilità penale sanitaria. Era così nel testo approvato inizialmente dalla Camera dei deputati.


i g Saggi e pareri Saggi e pareri ag i s rer e a L’apporto della regolazione p amministrativa nella legge GelliBianco (critiche ed auspici d’un prossimo “aggiustamento”)* Gianluca Romagnoli

Professore nell’Università di Padova Sommario: 1. Una premessa. Le illusioni normative e le incertezze politiche alla base della legge Gelli-Bianco. – 2. L’apporto della P.A. “dal basso”. La vigilanza sui sanitari e sulle strutture. – 3. L’apporto della vigilanza “dall’alto”. Il primo livello amministrativo: l’individuazione di protocolli e linee guida. – 4. Il secondo livello amministrativo “dall’alto”. I regolamenti ministeriali. – 5. Una conclusione ed un auspicio d’una prossima “ristrutturazione”.

Abstract: Lo scritto esamina le finalità e i poteri che la legge Gelli-Bianco affida all’azione delle amministrazioni sanitarie e individua gli aspetti su cui dovrebbe essere considerata l’opportunità di una integrazione legislativa. This paper examines the purposes and powers given by the Gelli-Bianco act to health administrations and identifies the points on which a corrective legislative intervention should be considered.

1. Una premessa. Illusioni normative e le incertezze politiche alla base della legge Gelli-Bianco

di “modulazione” della disciplina sanitaria per le modalità con cui le sue disposizioni attribuiscono estesissimi compiti all’azione amministrativa. Pertanto prospettai come quel provvedimento potesse rivelarsi non solo “sfortunato” ma anche “burlone”1. “Sfortunato, (…) secondo la logica scaramantica napoletana”2, perché pubblicato in Gazzetta ufficiale il 17 marzo ed entrato in vigore il 1° aprile, “burlone” perché foriero di molte illusioni perché non pone le condizioni necessarie per la realizzazione di quegli obbiettivi di razionalizzazione e riordino che erano alla base dell’iniziativa parlamentare. La “traduzione in pratica” delle più significative novità previste dalla legge sono, invero, condizionate dall’adozione di una nutrita serie di atti amministrativi di natura normativa, poggianti su disposizioni, per lo più, insanabilmente – ge-

Una prima lettura della c.d. legge Gelli-Bianco mi ha condotto a dubitare della sua effettiva capacità Romagnoli, Il ruolo delle pubbliche amministrazioni e dei loro atti nella c.d. legge Gelli in materia di sicurezza delle cure, della persona assistita e di riforma della responsabilità sanitaria (l. n. 24/2017), 2017, II, consultabile all’indirizzo: www.giustamm.it. 1

Il presente testo riproduce la relazione tenuta al convegno Prospettive della responsabilità sanitaria alla luce della c.d. legge Gelli-Bianco (l. n. 47/2017) svoltosi il 6-7 dicembre 2017 presso l’Università degli Sudi di Padova. *

Così, Ponzanelli, Medical malpractice: la legge Bianco Gelli. Una premessa, in Danno e resp., 2017, III, 268. 2

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neriche. Dunque, si fa dipendere da un’azione – quasi impossibile – della P.A. la soddisfazione di alcuni dei principali obbiettivi dell’iniziativa parlamentare, quali la riduzione dei costi dell’attività medica, l’alleggerimento della posizione degli esercenti delle professioni sanitarie e la creazione di un nuovo contesto che – senza tradire le ragioni dei pazienti – sia in grado di coniugare efficienza ed equità anche grazie ed una valorizzazione dell’attività di prevenzione dei diversi pericoli cui può essere esposto l’utente di prestazioni diagnostico curative3. In tale ultima prospettiva s’inserisce la previsione d’una disposizione d’interpretazione autentica del diritto alla salute, che sembra rendere tanto centrale quanto più critico il ruolo delle P.A. di settore. Dall’affermazione che la «sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute», da realizzarsi tramite «l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso alla erogazione delle prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali tecnologiche e organizzative» (art. 1, commi 1° – 2°, l. 8.3.2017, n. 24), si può trarre agevolmente l’attribuzione ai vari enti del servizio sanitario italiano4, d’una posizione di “garanzia”, con tutto quanto ne consegue in termini di responsabilità omissiva. Di qui un possibile coinvolgimento delle P.A. chiamate ad esercitare una vigilanza preventiva e continuativa sull’esistenza e persistenza delle condizioni poste per l’avvio dell’attività delle strutture sanitarie (artt. 8, 8-bis, 8-ter, 8-quater, 8-quinquies, 8-octies, d. lgs. n. 502/1992) in quelle controversie in cui si faccia questione di omissioni od inadeguatezze tecnico organizzative. Le conclusioni critiche formulate analizzando la legge in una prospettiva negletta – qual è quella del ruolo affidato alla P.A. – possono apparire ingenerose se si ragiona nell’ottica del “meglio poco che nulla”. Conclusioni magari ancora più discutibili se si ricorda lo sforzo personale profuso dal primo presentatore della legge – on. Gelli – me-

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dico che generosamente si è prodigato per interrompere un prolungato silenzio del Parlamento, da anni insensibile alle istanze di risistemazione della disciplina sanitaria. Fermo il riconoscimento dell’importanza del contributo materiale dei singoli, non si può trascurare che gli strumenti normativi sono mezzi per comporre interessi contrapposti e che la lettura dei documenti normativi è insensibile alle “buone intenzioni” ed alle difficoltà di coloro che “incarnarono” il legislatore storico. Legislatore storico che, all’evidenza, non si fece carico d’operare una scelta politica5 precisa. Compresso dal peso e dalla delicatezza del problema nonché dalla pressione di vari gruppi di opinione, ha ritenuto di non assumersi il rischio della responsabilità elettorale conseguente alla definizione di una chiara linea di contemperamento, rispettivamente, di interessi della collettività e dei singoli, parimenti considerati dall’art. 32 Cost., unica disposizione che qualifica il suo oggetto – la tutela della salute – come diritto fondamentale6. Dunque il legislatore storico per dare un segno senza esporsi ad una probabile critica per scelte non unanimemente condivise, ha delegato alla P.A. un’estesa attività d’attuazione normativa dubbiamente esigibile e le ha affidato la determinazione di taluni parametri da impiegare per organizzare e misurare la correttezza delle attività sanitarie ampiamente intese.

2. L’apporto della P.A. “dal basso”. La vigilanza sui sanitari e sulle strutture La c.d. legge Gelli-Bianco affida la realizzazione dei suoi fini ad una pervasiva azione amministrativa multilivello, chiamata ad operare sia “dal bas-

Intesa come scelta di fini ed obbiettivi da realizzare attraverso l’azione dei poteri dello Stato, cfr. Rescigno, Corso di diritto pubblico, Bologna, 2016, 6 s. 5

Minni, Morrone, Il diritto alla salute nella giurisprudenza della Corte costituzionale italiana, 2013, 1, consultabile all’indirizzo: www.aic.it, cui si rinvia anche per una ricognizione delle modalità di attuazione del precetto costituzionale da parte della legislazione primaria. 6

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Cfr, ibidem.

Investite della tutela del bene salute dall’art. 1, comma 1°, d. lgs. 30.12.1992, n. 502. 4

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La regolazione amministrativa nella legge n. 24/2017

so” che “dall’alto”. Nel primo senso perché la tutela preventiva del diritto alla salute poggia su d’una vigilanza quotidiana, continuativa su chi offre prestazioni sanitarie; nel secondo senso, perché l’azione che si sviluppa nell’attività ad incidenza puntuale – atti di autorizzazione, di controllo, di “correzione” – presuppone anche l’elaborazione di atti ad efficacia generale anche di natura non regolamentare. La lettura delle disposizioni dedicate sia al primo che al secondo livello evidenziano però talune “evanescenze” su cui è opportuno meditare. Infatti, un’utile ed efficiente esercizio dei poteri amministrativi – e, quindi, il conseguimento di quei benefici che la legge vorrebbe realizzare – dipende anche dalla linearità e chiarezza delle coordinate che devono orientare la P.A. quando s’avvale delle prerogative conferitele. La riflessione utile al chiarimento – tramite un intervento legislativo correttivo – sembra, poi, tanto più necessaria quando da talune fattispecie dai contorni “evanescenti” si fa discendere una differente disciplina dei rapporti che intercorrono tra soggetti vigilati e P.A., tra quelli che si sviluppano tra i primi ed il personale sanitario ed, ancora, con gli utenti delle prestazioni di diagnosi e cura. Muovendosi nella prospettiva chiarificatrice, risulta ragionevolmente necessario meglio definire normativamente la figura delle “strutture”7 che la legge Gelli-Bianco pone quale termine di un diverso trattamento normativo (art. 1, comma 3°; art. 3, comma 3°; art. 5, comma 3°; art. 7, comma 1°, 2°; art. 9, comma 3°, 5°; art. 10, comma 1°, 2°, 3°, 4°; art. 12, comma 1°, 2°, 4°, 5°; art. 13, comma 1°) e, dunque, contrappone all’erogatore individuale di prestazioni sanitarie ampiamente intese. È, infatti da ricordare come il provvedimento d’interesse, se da un lato conferma sostanzialmente la sottoposizione dei centri di diagnosi e cura ad una puntuale azione amministrativa8, dall’altro, li

In senso contrario, Colombo, Profili civilistici della riforma delle responsabilità sanitaria (l. 8 marzo 2017, n. 24), in Osser. dir. civ. e comm., 2017, 304. 7

Diretta a verificare l’idoneità tecnico organizzativa e funzionale del centro di diagnosi e cura, previo riscontro, tra l’altro, della predisposizione da parte della singola struttura 8

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grava di peculiari responsabilità nei confronti degli utenti delle prestazioni, salvo accordare alle prime qualche agevolazione non riconosciuta al singolo che intrattiene contratti negoziali diretti con il “creditore” dell’atto diagnostico terapeutico. Le strutture, infatti, rispondono a titolo di responsabilità contrattuale anche per prestazioni rese al paziente da altri in virtù d’un rapporto contrattuale cui rimangono estranee (art. 7, comma 2°); le stesse possono esercitare un’azione di regresso nei confronti dei propri collaboratori solo in caso di dolo o colpa grave di quest’ultimi (art. 9, comma 1°); ancora alle medesime è dato assolvere in modo alternativo all’obbligo d’assicurazione tramite la predisposizione di altre analoghe misure di responsabilità civile (art. 10, comma 1°). Ora la necessità d’un intervento legislativo dovrebbe essere evidente se si considera come la segnalata distinzione – tra persona fisica e figura alternativa – si basa su d’un fattore “composito”, rappresentato da una pur minima complessità organizzativa dell’apparato e dalla diversità soggettiva tra chi lo predispone e chi eroga materialmente le prestazioni sanitarie. Fattore composito che, deve sottolinearsi, non è necessariamente riscontabile solo in capo a soggetti entificati (aziende sanitarie, società, fondazioni, associazioni). L’esperienza pratica, in uno con le molteplici ipotesi organizzative considerate dalla disciplina sanitaria (art. 8, comma 1°, lett. b-bis) e lett. b-ter), d. lgs. n. 502/1992), evidenziano come il singolo sanitario possa mettere a disposizione di altri un apparato – di mezzi e risorse umane – strumentali all’erogazione di prestazioni di diagnosi e cura od, ancora, come una pluralità di soggetti, che ben possono operare individualmente, s’avvalgo-

di quelle misure che il legislatore nazionale ha rimesso alla definizione delle autonomie territoriali (art. 1, comma 539°, l. 28.12.2015, n. 208), tra cui si ricorda l’istituzione di un sistema di audit o di processi di rilevazione delle criticità interne nonché dell’opportunità dei percorsi diagnostico/terapeutici seguiti. In specie, si ricorda a tal proposito che l’art. 1, comma 540°, l. n. 208/2015, prevede che «L’attività di gestione del rischio sanitario è coordinata da personale medico dotato delle specializzazioni in igiene, epidemiologia e sanità pubblica o equipollenti ovvero con comprovata esperienza almeno triennale nel settore».

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no delle risorse tecniche e materiali raccolte con l’apporto di tutti senza che vi sia la condivisione di un obbiettivo imprenditoriale/professionale comune9. Dunque, quando non ci si confronta con realtà di grandi dimensioni, riferibili a chiari e definiti centri autonomi di imputazione di rapporti giuridici, si pone un non lieve interrogativo tanto per chi è chiamato a vigilare in via preventiva (P.A.) quanto per chi è chiamato a redistribuire od a compensare – per lo più per equivalente – le conseguenze dell’esito infausto di un’attività curativa. L’associazione professionale, il cui unico fine è la creazione di un apparato d’uso comune tramite la comunione di risorse dunque, a termini di legge, potrebbe essere individuata quale centro di riferimento della struttura nei cui confronti si vuol canalizzata ogni responsabilità. Quindi, in assenza di una precisa definizione legislativa diventa attuale il pericolo che tutti i condomini, dei beni, in quanto contitolari della struttura, siano soggetti ad una responsabilità per il danno causato isolatamente da ciascuno al proprio paziente od, ancora, di quel danno da fonte non identificata che si è verificato nel corso dell’attività autonoma e separata di ciascuno degli associati10.

3. L’apporto della vigilanza “dall’alto”. Il primo livello amministrativo: l’individuazione di protocolli e linee guida Passando all’esame del primo livello dell’apporto regolatorio amministrativo “dall’alto” si devono guardare le previsioni primarie che delegano agli atti ad effetti generali di vari enti pubblici l’individuazione di standard di condotta e prescrizioni comportamentali.

Saggi e pareri

La legge Gelli-Bianco, per cercare un punto di equilibrio tra efficienza e ragionevole certezza, affida alla P.A. il compito di selezionare attendibili parametri d’orientamento delle fasi organizzative, di prevenzione e diagnostiche curative sanitarie. Criteri e parametri, peraltro, poi utilizzabili nei successivi momenti di giudizio di adeguatezza, correttezza organizzativa e di sufficienza delle prestazioni erogate11. In tale prospettiva si segnalano: (i) l’istituendo osservatorio – operante presso l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) – deputato alla predisposizione – con il supporto delle associazioni scientifiche delle professioni sanitarie accreditate12 – «di linee d’indirizzo», relative ad «idonee misure di prevenzione e gestione del rischio sanitario» nonché del «monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure» (art. 3, comma 2°); (ii) l’Istituto superiore della Sanità, investito dell’elaborazione di «linee guida» contenti «raccomandazioni» da osservare «nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale» (art. 5, comma 3°). L’apporto delle due amministrazioni specialistiche, dunque, dovrebbe agevolare persone e strutture che potrebbero avvalersi di preselezionati – e dunque affidabili – parametri tecnico scientifici come tali in grado di orientare le loro opzioni organizzative ed operative/terapeutiche13.

Romagnoli, Il ruolo delle pubbliche amministrazioni e dei loro atti nella c.d. legge Gelli in materia di sicurezza delle cure, della persona assistita e di riforma della responsabilità sanitaria (l. n. 24/2017), cit., 6 ss. 11

L’art. 3, comma 2°, prevede il coinvolgimento delle entità scientifiche iscritte in un apposito elenco istituito presso il Ministero della Salute (art. 5, comma 1°) che rispondano ai requisiti di rappresentatività, trasparenza ed imparzialità (art. 5, comma 2°). 12

Confidando, in tal modo, di risolvere quelle incertezze generate dalla legge Balduzzi che ancorava il giudizio sulla responsabilità sanitaria al rispetto delle buone pratiche accreditate dalla «comunità scientifica». In tal modo concorrendo al superamento di quelle difficoltà che s’incontrano nell’individuazione della “collettività” abilitata a legittimare le regole di condotta e, poi, nella selezione delle indicazioni da tenere come termine di riferimento a fronte d’una copiosa produzione di linee guida e raccomandazioni da parte 13

Romagnoli, Il ruolo delle pubbliche amministrazioni e dei loro atti nella c.d. legge Gelli in materia di sicurezza delle cure, della persona assistita e di riforma della responsabilità sanitaria (l. n. 24/2017), cit., 5 s. 9

Romagnoli, Il ruolo delle pubbliche amministrazioni e dei loro atti nella c.d. legge Gelli in materia di sicurezza delle cure, della persona assistita e di riforma della responsabilità sanitaria (l. n. 24/2017), cit. 10

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La regolazione amministrativa nella legge n. 24/2017

Secondo la legge il risultato utile sopra indicato conseguirebbe alla conclusione di diversi percorsi procedimentali. Infatti, le P.A. incaricate, nel corso dell’interlocuzione con i privati – operando secondo il principio inquisitorio14 – sono chiamate ad individuare, nel rispetto dei canoni di efficienza, efficacia ed imparzialità, dei criteri, in astratto, attendibili per la loro suffragata base motivazionale o condivisione, i quali però, per la loro stessa natura, non hanno carattere vincolante. La raccomandazione o la validazione in via amministrativa di una condotta individua una soluzione in astratto preferibile, la cui tenuta ed adeguatezza, però, deve poi essere valutata alla luce delle circostanze del caso concreto che è all’esame ora dell’amministrazione ora del giudice. La lettura delle disposizioni richiamate induce a segnalarne due criticità che, ragionevolmente, potrebbero esser ovviate da un intervento legislativo correttivo. Una prima notazione riguarda l’opportunità dell’introduzione di disposizioni di coordinamento delle determinazioni di AGENAS e dell’Istituto superiore di Sanità. L’impossibilità obbiettiva di tracciare una rigorosa linea di confine tra indicazioni attinenti alla prevenzione del rischio sanitario e buone pratiche relative alla sicurezza, da un lato, e raccomandazioni previste nelle linee guida destinate ad orientare l’esecuzione delle prestazioni sanitarie ampiamente intese, dall’altro, richiede che le due amministrazioni non operino in modo separato, così rischiando d’elaborare indicazioni “sovrapponibili” o tra loro non facilmente integrabili. Una ragione di efficienza, infatti, dovrebbe indurre ad introdurre presidi capaci di ordinare preventivamente le modalità d’azione dei soggetti chiamati ad operare in zone “finitime” o, quanto meno, a porre un obbligo di dialogo

di enti pubblici, privati, internazionali, nazionali e regionali, Cerbani, La legge Balduzzi e pericolose derive di un drafting normativo che (forse) cambia l’abito della responsabilità del professionista della salute, in Riv. med. leg., 2012, 792 ss. Sul procedimento e sul principio inquisitorio, per una sintesi, si veda, per tutti, Clarich, Manuale di diritto amministrativo, Bologna, 2017, 246 ss.

e collaborazione, stanti le possibili frizioni tra le rispettive iniziative ed i loro risultati. Una seconda segnalazione riguarda, invece, la tenuta dell’atto amministrativo nel processo civile in cui potrebbero essere convenuti, congiuntamente o disgiuntamente, tanto i sanitari quanto le strutture. Le decisioni dell’Osservatorio e dell’Istituto15 sono sempre atti amministrativi, con tutto quel che ne consegue anche quando attestano l’affidabilità od attendibilità di pratiche, condotte o protocolli e, dunque, hanno la capacità di orientare l’esito del processo in cui si discute di responsabilità sanitaria. Si deve, infatti, ricordare che l’atto amministrativo, per la sua stessa natura, non è idoneo a vincolare rigorosamente la direzione finale della decisione poiché il giudice ordinario, chiamato a risolvere una controversia in cui rilevino gli effetti di una determinazione della P.A., ha il potere di disapplicarla (art. 5, all. E, l. 20.3.1865, n. 2248)16. Il secondo – anche d’ufficio – può sempre effettuare un accertamento incidentale di legittimità della determinazione della P.A., e quindi decidere, se la reputa viziata, come se quella non fosse mai stata adottata. L’effetto utile della previsione di raccomandazioni e di protocolli – e, dunque, la tenuta della capacità d’orientamento degli strumenti previsti – nella sostanza, almeno in parte, dipende dall’ampiezza con cui il giudice ordinario eserciterà il potere processuale di sindacare la legittimità dell’atto amministrativo e cioè quella prerogativa che gli permette di verificare, con effetto limitato al singolo giudizio, la sussistenza di quei vizi (art. 21-octies, comma 1°, l. n. 241/1990) che, se fatti valere innanzi al giudice speciale potrebbero condurre ad una pronuncia d’annullamento con effetti che trascendono le parti del singolo processo. E proprio la segnalata instabilità dell’atto amministrativo, le cui indicazioni possono essere “neutralizzate” ai fini della decisione del giudice ordinario, che impone di riflettere in merito

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Così come i regolamenti ministeriali.

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Clarich, op. cit., 76 s.

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all’opportunità d’un intervento legislativo che vada a conterminare gli ambiti dell’istituto della disapplicazione.

4. Il secondo livello amministrativo “dall’alto”. I regolamenti ministeriali Il secondo – e massimo livello – di apporto della regolazione “dall’alto” è da individuarsi nell’attività regolamentare. La legge Gelli-Bianco, invero, attribuisce alla P.A. un’ampia potestà normativa cui s’affida per la stessa definizione dei tratti principali di quegli istituti pensati per rispondere a quei bisogni che stimolarono l’attività parlamentare e non per la mera attuazione delle proprie disposizioni di principio. Al decreto ministeriale è affidata la determinazione dei «requisiti minimi delle polizze assicurative per le strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private e per gli esercenti le professioni sanitarie, prevedendo l’individuazione di classi di rischio a cui far corrispondere massimali differenziati» (art. 10, comma 6°)17. Provvedimento, peraltro, cui compete altresì la selezione delle clausole destinate a rilevare anche nei rapporti con i terzi18. Infatti, solamente le eccezioni poste dalle clausole individuate dal decreto ministeriale saranno opponibili al danneggiato per ridurre o paralizzare la sua domanda diretta verso l’assicuratore ancorché contenuta nei limiti del massimale di polizza (art. 12, comma 2°). Ancora, il decreto interministeriale è incaricato di delineare la consistenza e le caratteristiche delle

Al decreto del Ministro dell’Industria, di concerto con quello della Sanità e sentito Ivass, è infine demandata la regolamentazione di un aspetto “informativo” secondario. All’atto interministeriale spetta l’individuazione dei dati relativi alle polizze assicurative stipulate da sanitari e strutture – compresi quelli delle altre analoghe misure – e la fissazione delle modalità e dei termini di loro comunicazione all’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità (art. 10, comma 7°).

Saggi e pareri

«altre analoghe misure per la responsabilità civile verso terzi e per la responsabilità civile verso i prestatori d’opera» (art. 10, comma 6°)19. A tale provvedimento spetta, invero, definire i «requisiti minimi di garanzia e le condizioni generali di operatività» del surrogato delle polizze, cui potranno ricorrere tutte le strutture pubbliche e private. Alla fonte secondaria, dunque, compete la selezione degli elementi strutturali/funzionali necessari, così arginando quel presunto ampio margine di scelta che, nel silenzio della legge, aveva indotto gli erogatori di prestazioni sanitarie ad adottare soluzioni dubbiamente idonee a surrogare il rimedio assicurativo20. Per l’effetto “omologatore” del regolamento, quindi, dovrebbero risultare bandite quelle soluzioni seguite dalle strutture sanitarie pubbliche e private che si sostanziavano – per risparmiare gli asseriti maggiori costi delle polizze – nella destinazione dei premi in precedenza pagati ad un fondo destinato al risarcimento dei danni, con affidamento ai loro uffici interni del suo utilizzo per la “gestione” diretta delle domande di ristoro21. In fine, il decreto ministeriale è delegato a delineare la consistenza e le modalità secondo cui opererà il «Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria». Al regolamento compete la fissazione dell’entità delle risorse che alimenteranno il Fondo nonché delle disposizioni che ordineranno, nei casi previsti dalla legge, il suo concorso nel pagamento di tutto o parte del risarcimento. In particolare, alla fonte subprimaria, spetta la determinazione del contributo dovuto dalle imprese di assicurazione che emettono polizze sanitarie, la definizione delle modalità di versamento dello stesso e di quelle relative all’intervento ed al

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Per un tentativo di delimitazione dell’area delle clausole opponibili si veda, Hazan, L’azione diretta nell’assicurazione obbligatoria della rc sanitaria (e il regime delle eccezioni), in Danno e resp., 2017, 324 ss. 18

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Sul cui precedente assetto mi si consenta di rinviare a, Romagnoli, Autoassicuraizone della responsabilità medica: compatibilità con i principi di diritto interno ed europeo, in Danno e resp., 2015, 329 ss. 19

Romagnoli, Autoassicuraizone della responsabilità medica: compatibilità con i principi di diritto interno ed europeo, cit., 335 ss. 20

Cfr, Selini, Passato e il presente dell’obbligo assicurativo, in ambito sanitario, in Danno e resp., 2017, 314. 21


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regresso del Fondo di garanzia nei confronti del responsabile del sinistro (art. 14, comma 2°, lett. a), b), d)). All’evidenza, dunque, dalla disciplina secondaria dipende l’utilità d’uno strumento immediatamente istituito dalla legge e che si vorrebbe costituisse, forse, l’ultimo presidio a garanzia di una – almeno parziale – soddisfazione della pretesa del danneggiato. Come anticipato, l’esame delle disposizioni dedicate alle deleghe regolamentari suscita diverse perplessità22. Per quanto concerne, rispettivamente, le previsioni relative alle polizze assicurative (contenuti minimi, opponibilità, classi di rischio e massimali differenziati) ed al Fondo (entità della contribuzione dovuta dagli assicuratori), mi è parso che le deleghe fossero strutturalmente insufficienti per assolvere quella funzione di garanzia che è propria di ogni norma primaria che attribuisce poteri normativi alla P.A. E ciò sembra tanto più vero se si considera che il provvedimento “attuativo” deve trovare una base (non generica) nella legge formale (ex art. 23 Cost.), in quanto chiamato a determinare il contenuto di prestazioni patrimoniali quali, rispettivamente, quelle collegate all’entità dei massimali e l’entità dell’obbligo di contribuzione al fondo di garanzia. La legge Gelli-Bianco, per quanto concerne i punti segnalati, non contiene parametri sufficientemente precisi e specifici e, dunque, “(…) idonei ad indirizzare la discrezionalità amministrativa nella fase di attuazione della normativa primaria”23.

Romagnoli, Il ruolo delle pubbliche amministrazioni e dei loro atti nella c.d. legge Gelli in materia di sicurezza delle cure, della persona assistita e di riforma della responsabilità sanitaria (l. n. 24/2017), cit., 11 s. e 14 s. 22

Corte cost., 15.5.2015, n. 83, consultabile all’indirizzo: www.cortecostituzionale.it. In precedenza si veda Corte cost., 14.1.2007, n. 190. Con questa pronuncia la Consulta – pronunciandosi su d’una situazione normativa che presentava una marcata similitudine con quella d’interesse – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disposizione primaria che attribuiva al c.d.a. della Fondazione Opera nazionale orfani sanitari il potere di definire modalità di versamento e l’entità del contributo annuale dovuto dagli iscritti. In particolare ha escluso che vi potesse essere uno spazio per un’integrazione procedimentale del silenzio del legislatore e ciò anche se la stessa norma prevedeva la sottoposizione 23

Come sottolinea la Consulta24, per quanto si possa ammettere l’attribuzione di un ampio margine di manovra nella regolazione delle fattispecie, tale apertura non può mai giungere sino al punto di relegare la legge sullo sfondo od a ritener “(…) sufficiente un mero richiamo formale ad una prescrizione normativa in bianco genericamente orientata ad un principio valore, senza una precisazione, anche non dettagliata, dei contenuti e modi dell’azione amministrativa”25. A ciò poi si deve aggiungere che in altri settori in cui si rinviene la previsione di un obbligo assicurativo e d’una contribuzione delle imprese assicuratici il legislatore è intervenuto puntualmente prendendo posizione su aspetti che la legge Gelli-Bianco affida alla normativa regolamentare. In materia di r.c. veicoli è la fonte primaria che: prevede l’obbligo di concludere il contratto per

delle relative delibere ad approvazione ministeriale. 24

Si veda nota precedente.

Sulla portata dell’art. 23 Cost. e sulla evoluzione esegetica che ha interessato la disposizione, per tutti, si veda Antonini, nel Commentario alla Costituzione,1, Torino, 2006, sub art. 23. Il documento normativo – e da segnalare – è interessato da un duplice profilo evolutivo. La giurisprudenza costituzionale, da un lato, tende a ricomprendere nell’ambito della disposizione tutte le misure unilateralmente prescritte ai soggetti passivi del precetto e, dall’altro, è incline ad attenuare il rigore richiesto alla legge nella definizione dei criteri destinati a contenere la discrezionalità amministrativa. La sufficienza dei criteri, in particolare, si ritiene possa essere affermata se, tramite una interpretazione sistematica, sia possibile “riempire” i vuoti, od altrimenti, se si rinvengono prescrizioni procedimentali idonee – tramite un adeguato confronto partecipativo o l’interlocuzione con soggetti esterni – a contenere il potere amministrativo di “completamento”. Dunque, la compatibilità costituzionale della legge non “dettagliata” viene recuperata reputando compensabile la “legalità formale” con qualche forma di “legalità procedurale”. In tal ultimo senso si veda Corte cost. n. 83/2015 che ha dichiarato l’illegittimità d’una disposizione impositiva perché l’elasticità delle indicazioni normative non risultava “accompagnata da forme procedurali partecipative già indicate da questa Corte come possibile correttivo (sentenza n. 180 e n. 175 del 1996; n. 182 del 1994 e n. 507 del 1998)”. Per una revisione critica dell’impostazione “lassista” del giudice delle leggi si veda, anche per ulteriori riferimenti bibliografici, Torretta, Riserva di legge e prestazioni patrimoniali imposte; un tentativo di fermare la “relativizzazione” delle garanzie ex art. 23 Cost.?, Nota a margine di Corte cost. n. 190/2007, 2007, consultabile all’indirizzo: www.aic.it. 25

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somme non inferiori a determinati importi, poi, oggetto di rivalutazione periodica con modalità dalla stessa indicati (art. 128 cod. ass.); prende posizione sull’opponibilità al danneggiato delle eccezioni poste dall’assicuratore (art. 144, comma 2°, cod. ass.); determina l’entità del contributo dovuto dagli assicuratori per l’alimentazione del Fondo vittime della strada (art. 285, commi 3° 4°, cod. ass.). A diversa conclusione, invece, si deve giungere per la disposizione recante la delega alla definizione dell’assetto organizzativo minimo delle «altre analoghe misure per la responsabilità civile»26. In quella la “parsimonia” del legislatore nell’indicazione dei criteri d’esercizio del potere non ha l’effetto destabilizzante del possibile prodotto normativo né si pone quale elemento “ostativo” alla sua formulazione. Infatti, quel vuoto, ragionevolmente, impedisce “solo” al decreto ministeriale di operare come strumento di compensazione delle contrapposte esigenze di efficienza e tutela dei danneggiati e quella di sostenibilità dei costi dei sistemi alternativi, con l’elaborazione di regole che consentono alle strutture di far fronte agli obblighi destinandovi complessivamente somme minori rispetto a quelle necessarie per la copertura dei premi27. In altri termini, il silenzio del legislatore, sui criteri di misurazione del tasso di “similitudine” delle misure alternative all’assicurazione non è tale da determinare quella valutazione negativa espressa sulle altre “deleghe” sopra esaminate ma ha l’effetto di irrigidire le soluzioni che potrebbero essere fatte proprie dal regolamento. La prospettiva funzionale che emerge dal documento normativo – quando dispone che le misure alternative devono avere una capacità di risposta

Romagnoli, Il ruolo delle pubbliche amministrazioni e dei loro atti nella c.d. legge Gelli in materia di sicurezza delle cure, della persona assistita e di riforma della responsabilità sanitaria (l. n. 24/2017), cit., 12 ss. 26

Compensazione cui alludono Palmieri, Pardolesi, Le novità (ancora mascherate e neppure tanto inedite) dell’assicurazione della responsabilità sanitaria, in Foro it., 2017, IV, 203 – quando evidenziano come sul versante del decreto ministeriale “si andrà a giocare una partita assai delicata” tra contrapposte esigenze.

Saggi e pareri

analoga a quella dei presidi assicurativi – impone di individuare nella disciplina dettata per le imprese di assicurazione (art. 37, commi 1°, 5°, 6° e art. 30, cod. ass.)28 la fonte d’ispirazione per la produzione del regolamento d’interesse. Quindi, se l’assetto organizzativo delle «altre analoghe misure» deve essere “plasmato” coerentemente con le prescrizioni della disciplina assicurativa la normativa subprimaria dovrà contenere prescrizioni che inducano i loro destinatari a realizzare “congegni” tali da rendere ragionevole un accantonamento di somme adeguato a far fronte al complessivo costo delle domande risarcitorie generate dall’accadimento dei sinistri “sanitari”29.

5. Una conclusione ed un auspicio d’una prossima “ristrutturazione” A conclusione di questa rassegna di spunti di riflessione – trascurati da coloro che sino ad oggi si sono impegnati nella lettura delle varie disposizioni della legge Gelli-Bianco – risulta naturale auspicare un quanto più prossimo avvio d’un’attività di ristrutturazione. D’un opera, cioè, tesa a colmare quei molteplici vuoti che connotano le varie parti del provvedimento d’interesse e che ne impediscono il completamento e la piena operatività. Riempimento dei vari vuoti della legge – tramite l’integrazione delle disposizioni primarie – che garantirebbe una tendenziale maggior stabilità della disciplina atteso che tutti gli atti amministrativi che possono incidere sulla decisione del giudice ordinario sono suscettibili di un controllo incidentale di legittimità e d’un eventuale disapplicazione ai fini della definizione del giudizio. Disapplicazione che – consente al magistrato, sia pur limitatamente alla controversia di cui è investito di verificare – nel modo più ampio l’eventuale sussistenza di vizi della determinazione amministrativa, così giungendo alla soluzione come se

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Come attuati dal reg. IVASS 4.3.2008, n. 16.

Romagnoli, Il ruolo delle pubbliche amministrazioni e dei loro atti nella c.d. legge Gelli in materia di sicurezza delle cure, della persona assistita e di riforma della responsabilità sanitaria (l. n. 24/2017), cit., 13 s. 29


La regolazione amministrativa nella legge n. 24/2017

la determinazione amministrativa non fosse mai stata adottata. Ad avviso di chi scrive merita d’essere segnalata la delicatezza della situazione normativa che – in un prossimo futuro potrebbe far emergere delle complicazioni pratiche tali da pregiudicare tra i tanti obbiettivi della legge quello della vivificazione dell’offerta di assicurazioni sanitarie. Non sembra, peraltro, difficile indicare qualche ipotesi problematica. Si pensi, per esempio, a cosa accadrebbe se, l’A.G.O. dovesse ritenere che una condizione di polizza – che il regolamento indica tra quelle opponibili al danneggiato – non possa essere tale od, ancora, se quella condotta, oggetto di una raccomandazione validata dall’Istituto superiore della Sanità venga – a posteriori, nel corso del giudizio – privata del suo crisma d’affidabilità perché il giudice al termine del suo controllo incidentale di validità, la reputi afflitta da un atto viziato. Nell’un caso si avrebbe come conseguenza l’inattesa esposizione dell’assicuratore ad una pretesa che si reputava inesigibile, nel secondo l’emersione, magari di un “inatteso” profilo di colpa per il venir meno di quella capacità di copertura che la legge riconosce alle raccomandazioni. È, poi, ancora da sottolineare come la criticità segnalata sia tutt’altro che irrilevante tanto più se si considera quell’atteggiamento della giurisprudenza, tendente ad agevolare la posizione di chi lamenta un danno alla salute e del disfavore con cui alcune autorevoli voci hanno accolto l’aspirazione “calmieratrice” della legge30. Tutti elementi che portano ad escludere l’affermarsi di una tendenza al contenimento della verifica di legittimità degli strumenti amministrativi cui ampiamente si affida la legge Gelli-Bianco. In particolare, è verosimile immaginare che il giudice investito di una domanda il cui accoglimento dipende dall’accertamento di invalidità incidentale dell’atto amministrativo non faccia proprio quel monito di prudenza, a più riprese, ribadito dalla Corte regolatrice. La limita-

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zione del sindacato sul provvedimento amministrativo nei soli casi di evidente illegittimità dello stesso31 – con esclusione dei vizi procedimentali – si comprende in una logica di tutela dell’affidamento – e dunque nella dimensione del processo penale. Verosimilmente, in ambito civile il giudice potrebbe essere indotto ad impiegare tutti i margini del proprio potere di sindacato quando questo, appunto, può consentire a chi lamenta una prestazione di diagnosi e cura inadeguata d’ottenere anche un parziale risarcimento delle conseguenze pregiudizievoli che assume esserne conseguenza.

Tra le più recenti si veda, Cass., pen., 17.12.2015, n. 2598, in Riv. giur. ed., 2016, I, 634 ed in dottrina, per una considerazione della problematica si segnala, Lavatelli, La Cassazione si pronuncia sul potere del giudice penale di sindacare la legittimità degli atti amministrativi” dal contenuto normativo” che regolano il rilascio dei permessi di costruzione, in Dir. proc. amm., 2017, 1101 ss. 31

Cfr. Travaglino, Vaghi appunti sulla riforma della responsabilità sanitaria, 2017, consultabile all’indirizzo: www.giustiziacivile.com. 30

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i g Saggi e pareri Saggi e pareri ag i s rer e a Responsabilità medica e p assicurazioni nell’esperienza comparatistica* Francesca Benatti

Professoressa nell’Università di Padova Sommario: 1. Il rapporto fra responsabilità sanitaria e assicurazione: alcune tendenze. – 2. La responsabilità sanitaria come sottosistema. – 3. L’evoluzione dei modelli no-fault. – 4. L’esigenza di una armonizzazione europea. – 5. Conclusioni.

Abstract: Il saggio esamina il rapporto fra responsabilità medica e assicurazione in una prospettiva comparatistica. Sono esaminate le principali linee di tendenza a livello europeo: l’aumento della regolamentazione specifica del settore, la diffusione dei modelli no-fault e delle procedure alternative di risoluzione delle controversie e la crescente necessità di un’armonizzazione dovuta principalmente al turismo medico. Il contesto complesso non permette, però, di individuare un modello preferibile, poiché incidono fattori non solo giuridici ma anche economici, politici e sociali.

1. Il rapporto fra responsabilità sanitaria e assicurazione: alcune tendenze Nell’affrontare il tema del rapporto fra responsabilità sanitaria e assicurazioni1 si riscontrano due diversi approcci2. In base al primo, il sistema dell’illecito è considerato indipendentemente dal problema assicurativo3. È interessante notare come questa visione

Sul rapporto fra responsabilità civile e assicurazione cfr. ex multis Corrias, Responsabilità civile e contratto di assicurazione, in Riv. dir. civ., 2011, I, 247 ss. 1

The essay examines the relationship between medical responsibility and insurance in a comparative perspective. It focuses on the main trends at European level: the increase in the specific regulation, the diffusion of the no-fault models and alternative dispute resolution procedures and the growing need for harmonization mainly due to medical tourism. However, the complex context does not allow us to identify a preferable model, since it is influenced not only by legal but also economic, political and social factors.

Il testo riproduce l’intervento al Convegno “Prospettive della responsabilità sanitaria alla luce della c.d. legge Gelli-Bianco (L. n. 24/2017)”, tenutosi a Padova il 6 e 7 dicembre 2017, con l’aggiunta dei riferimenti bibliografici essenziali. *

Wagner, Tort Law and Liability insurance (2006) The Geneva Papers on Risks and Insurance 277. 2

v. Baker, Liability Insurance as Tort Regulation: Six Ways that Liability Insurance Shapes Tort Law in Action (2005) 12 Conn. Ins. Law Jour 3 s.: “first, for claims against all but the wealthiest individuals and organizations, liability insurance is a de facto element of tort liability. Second, liability insurance limits are a de facto cap on tort damages. Third, tort claims are shaped to match the available liability insurance, with the result that liability insurance policy exclusions become de facto limits on tort liability. Fourth, liability insurance makes lawsuits against ordinary individuals and small organizations into “repeat player” lawsuits on the defense side, making tort law in action less focused on the fault of individual defendants and more focused on managing aggregate costs. Fifth, liability insurance personnel transform complex tort rules into simple “rules of thumb,” also with the result that tort law in action is less concerned with the fault of individual defendants than tort law on the books. Sixth, negotiations over the 3

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sia rafforzata oggi dalla law and economics che si concentra sulla funzione deterrente della responsabilità civile piuttosto che su quella compensativa. L’altro modello utilizza la responsabilità insieme all’assicurazione quale meccanismo per fornire ai danneggiati un adeguato risarcimento delle loro perdite e distribuire i costi nella società. La complessità della relazione4 emerge in tutta la sua drammaticità negli USA, dove risarcimenti elevati hanno determinato una crisi del sistema5 e una serie continua di riforme6. Nonostante la diversità del contesto dovuta ad una differente realtà e in particolare al rapporto fra assicurazione salute e assicurazione professionale7 va notato come dati empirici mostrino un collegamento non sempre lineare8 fra misura del danno da risarcire9,

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aumento delle polizze assicurative, pratica della medicina difensiva o fra limiti e numero dei casi in cui un medico è considerato responsabile nonché un differente risultato dei limiti al risarcimento del danno nei diversi settori medici10. Ad esempio: se i risarcimenti sono bassi ma frequenti, l’effetto sulle polizze di limiti o tabelle è inferiore rispetto ai casi di risarcimenti rari ma elevatissimi così come, se la polizza è già bassa, non vi saranno effetti evidenti. Altrettanto significativa è la prevedibilità dei danni da corrispondere11. Il rapporto fra polizze assicurative e responsabilità sanitaria12 dipende, quindi, da numerosi fattori13 non solo strettamente giuridici, ma anche economici, sociali e di sistema come l’efficienza delle corti.

spettive, in Assicurazioni, 2013, IV, 597. boundaries of liability insurance coverage (which appears nowhere in tort law on the books) drive tort law in action”. Rilevante è anche il tema dell’auto-assicurazione: cfr. VelAutoassicurazione e rischio sanitario. Riflessioni critiche alla luce dell’esperienza statunitense, in Resp. civ. e prev., 2017, 68. 4

liscig,

Posner, Trend in Medical Malpractice Insurance, 19701985 (1986) 49 Law and Contemporary Problems 37; Priest, The Current Insurance Crisis and Modern Tort Law (1987) 96 Yale L. J. 1521. 5

La problematica è stata affrontata principalmente con l’adozione di caps ai danni punitivi e non patrimoniali. Tuttavia spesso i limiti hanno determinato fenomeni di cross-over tra le diverse voci di danno, Sharkey, Unintended Consequences of Medical Malpractice Damages Caps (2005) 80 New York Univ. L. Rev. 391. 6

Cfr. l’evoluzione in seguito all’Obamacare Roberti, The Disappearing Provision: Medical Liability Reform Vanishes from The Patient Protection and Affordable Care Act despite State Court Split (2012) Legislation & Policy Brief 145; Maher, The Affordable Care Act, Remedy, and Legislation Reform (2014) 63 American University Law Rev. 649. 7

Individuano un rapporto positivo fra misura del danno e premi assicurativi: Zuckerman et al., Effects of Tort Reforms and Other Factors on Medical Malpractice Insurance Premiums (1990) 27 Inquiry 167; Viscusi, Born, Medical malpractice insurance in the wake of liability reform (1995) 24 The J. of Legal Studies 463; Thorpe, The Medical Malpractice ‘Crisis’: Recent Trends And The Impact Of State Tort Reforms, in Health Tracking, 21 Jan 2004, consultabile all’indirizzo: facultystaff.richmond.edu. In tal senso cfr. anche il Gao, Medical malpractice. Implications of rising premiums on access to healthcare, 8 Aug. 2003, consultabile all’indirzzo: www.gao.gov. 8

v., però, sul danno Ponzanelli, Le limitazioni del risarcimento del danno da responsabilità sanitaria. Problemi e pro9

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Seabury, Helland, Jena, Medical Malpractice Reform: Noneconomic Damages Caps Reduced Payments 15 Percent, With Varied Effects By Specialty (2014) 33 Health Aff. 2048 ss. 10

Ponzanelli, Tabelle, in Studi in onore di Antonio Gambaro, Milano, 2017, t. 2°, 1651. Va, però osservato come le tabelle possano essere adeguate nelle ipotesi di incidenti routinari, mentre in casi di particolare gravità del danno, della condotta o del contesto suscitino perplessità. Peraltro danni esigui potrebbero scoraggiare l’azione in giudizio con riflessi sulla deterrenza ed effettiva compensazione. 11

Alcuni studi sul settore neurochirurgico in Sudafrica, Stati Uniti e Canada hanno messo in luce, nel caso in cui il medico reputi il premio assicurativo oneroso, la tendenza ad utilizzare pratiche della medicina difensiva, Yan et al., International Defensive Medicine in Neurosurgery: Comparison of Canada, South Africa, and the United States (2016) 95 World Neurosurgery 53; Cfr. Prabhu, Defensive Medicine in Neurosurgery (2016) 95 World Neurosurgery 587. 12

Viscusi, Born, Damages caps, insurability, and the performance of medical malpractice insurance (2005) 72 J. Risk Ins. 38, pur riconoscendo un effetto positivo dei limiti ai risarcimenti, avvertono che “premium effects are often difficult to predict because they capture a variety of influences other than simply the riskiness of the state’s legal arenas. To the extent that firms and insurance purchasers responded to the liability crisis by reducing the amount of coverage, limiting the circumstances in which there would be an insurance payoff, or choosing to self-insure rather than purchasing insurance, there will be effects on premiums that may mask the passthrough of lower liability costs. The basic difficulty is that premiums do not reflect unit prices of insurance but rather the combined influence of both price and quantity concerns, making it difficult to assess the effect of the reforms on unit prices”. Anche Gao, op. cit., 37, rileva come fosse difficile determinare “the extent to which differences in premium rates and claims payments across states were attributed only to damage caps”. 13


Responsabilità medica e assicurazioni nell’esperienza comparatistica

Il panorama frammentato rende difficile un’analisi dettagliata14, ma in Europa un esame della responsabilità sanitaria permette di evidenziare tre linee di tendenza. La prima consiste nell’aumento dei paesi che legiferano in materia15, sottraendola quindi interamente o in parte alle regole generali come è avvenuto da ultimo in Italia con la l. n. 24/2017, la seconda riguarda la diffusione di metodi alternativi di risoluzione delle controversie e di adozione di schemi di compensazione non fondati sulla colpa, un terzo indirizzo è volto alla necessità sempre più pressante di uniformare il settore a livello europeo.

2. La responsabilità sanitaria come sottosistema Con riferimento all’introduzione di regole specifiche sulla responsabilità medica va sottolineato come esse si configurino sempre di più, secondo una evoluzione oggi tipica, quale sottosistema autonomo16 caratterizzato da nuovi schemi e concetti non più strettamente riconducibili ai principi tradizionali della responsabilità. Esemplificativa è la normativa tedesca promulgata nel febbraio 201317 che risponde ad esigenze di trasparenza e certezza posto che la maggioranza delle regole era di natura giurisprudenziale. La riforma mira ad assicurare un’efficace funzione deterrente e una maggiore protezione dei pazienti. Essa rimane, comunque, all’interno del BGB con l’aggiunta di una nuova sezione (Behandlungsvertrag) composta da otto paragrafi (630a-630h) e con la modifica del V libro (Sozial Gesetzbuch). La collocazione delle norme consacra come contrattuale

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la natura della responsabilità medica, seppure in giurisprudenza si ravvisi maggiore incertezza. La riforma è stata accolta criticamente dalla dottrina tedesca18, che non solo ha ravvisato una scarsa tecnica legislativa a scapito proprio degli scopi di certezza e trasparenza, ma ha anche sottolineato come alcune modifiche fossero superflue o solo “di bellezza”. Una delle norme più discusse è stata per questa ragione la previsione del Fehleroffenbarungspflicht (dovere di candore) accanto a quello d’informazione peraltro disciplinato in modo molto rigoroso e oneroso. Esso impone al medico, ove identifichi o sospetti una negligenza nel trattamento da parte sua o di un altro medico, di «informare il paziente su richiesta o al fine di evitare rischi per la salute». Tra i cambiamenti più rilevanti va messo in evidenza quello sull’onere della prova. Il paragrafo 630h si allontana, infatti, in modo significativo dalle regole tradizionali. Innanzitutto in caso di voll beherrschbare Risiken, si presume che il danno sia dovuto a colpa del medico. Inoltre, quando è discussa la validità del consenso del paziente, spetta al medico dimostrare che i requisiti richiesti sono stati soddisfatti. Questo dovere è temperato dalla possibilità di utilizzare l’hypothetische Einwilligung per negare la responsabilità. Qualora, invece, il medico non riesca a documentare di avere effettuato un trattamento, si presume che sia stato omesso con tutte le conseguenze. Particolarmente rigida è, poi, la disciplina nelle ipotesi in cui sia coinvolto un medico junior: la presunzione è che il danno sia stato causato dalla sua mancanza di qualifica o esperienza. Infine, viene codificata una regola già presente nel sistema che inverte l’onere della prova sul nesso di causalità in caso di grobe Behandlungsfehler19da parte del medico20.

V. un’analisi comparatistica in Zeno-Zenovich, Una commedia degli errori? La responsabilità medica fra illecito e inadempimento, in Riv. dir. civ., 2008, I, 297. 14

Ad esempio il nuovo codice della Repubblica ceca del 2014 ha introdotto il contratto di prestazione sanitaria Sez. 2636. 15

Così già De Matteis, La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, Padova, 1995. 16

Stauch, The 2013 German Patients’ Rights Act – Codifying Medical Malpractice Compensation (2015) Journal of European Tort Law 85. 17

Thrun, Das Patientenrechtegesetz – Sicht der Rechtsprechung (2013) MedR 153; Ulsenheimer, Patientenrechtegesetz: Konsequenzen für die ärztliche Heilbehandlung (2014) Der Anaesthesist 98. 18

Faccioli, L’onere della prova del nesso di causalità nella responsabilità medica: la situazione italiana e uno sguardo all’Europa, in La resp. civ., 2012, 333. 19

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Questa norma è discussa, perché mantiene l’approccio

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Le modificazioni contenute nel libro V, pur poco analizzate, sono state ugualmente oggetto di critiche. Va, però, ricordato il dovere a carico delle Krankenkassen di supporto ai pazienti assicurati nel presentare richieste di risarcimento per lesioni mediche, ad esempio garantendo loro consulenza legale specialistica. Questo aspetto è significativo, perché si è passati da una possibilità ad un dovere, seppur non ben individuato, con riflessi sul contenzioso. Inoltre è previsto un obbligo di miglioramento da parte degli ospedali sulla gestione del rischio e sulla tutela del paziente. Tuttavia nel sistema tedesco non si è avuto come invece era stato auspicato, un rafforzamento delle procedure di conciliazione o l’adozione di schemi compensativi no-fault, nonostante l’elevata litigiosità del settore.

3. L’evoluzione dei modelli no-fault La seconda linea di tendenza vede l’aumento di modelli no-fault o l’introduzione e il rafforzamento di procedure conciliative. La prima categoria di no-fault compensation scheme è tipica dei paesi del Nord Europa che si caratterizzano per un sistema di welfare fondato su assicurazioni obbligatorie per tutti, non legate a contribuzioni di tipo lavorativo ma basate sulla residenza o cittadinanza. In Svezia21, che è il modello più conosciuto, l’assicurazione dei pazienti è iniziata su base volontaria nel 1975 per poi divenire obbligatoria nel 1997 con il Patient Injury Act. La legge prevede un obbligo di assicurazione22 e disciplina le ipotesi e le modalità di compensazione. Essa individua sei categorie di casi in cui è concesso il risarcimento: errore di diagnosi, errore nella scelta della cura, difetti dei prodotti o attrezzature

Saggi e pareri

utilizzati, incidenti, infezioni, prescrizione o somministrazione di farmaci in violazione di normative o istruzioni. È però necessario che il danno sia evitabile. Quando un paziente subisce una lesione, effettua un reclamo all’assicurazione che procede ad una valutazione della domanda con la consulenza di esperti: essa può portare al rigetto o alla definizione di una somma da liquidare. Se il paziente non condivide la decisione, può ricorrere al Patients Claim Panel composto da un presidente che è o è stato giudice e sei membri23. Il Patient Claim Panel mira ad assicurare un’uniforme e corretta applicazione della legge e ha sia funzioni consultive che giudicanti. Su basi statistiche approssimativamente il 99% delle questioni è risolto stragiudizialmente. Il modello svedese ha influenzato Finlandia, Norvegia e Danimarca24, che hanno adottato procedure simili. Le norme sulla responsabilità medica nei paesi nordici sono peculiari e permettono di compensare i pazienti in quattro fattispecie. In primo luogo, la “regola specialistica” consente un risarcimento se il miglior specialista del settore, nelle stesse circostanze, avrebbe fornito un trattamento o un esame che avrebbe evitato il pregiudizio. Non si tratta, comunque, del diritto a ricevere il miglior trattamento in circolazione perché lo standard è temperato dalle circostanze del caso25. La “regola sulle attrezzature” prevede un risarcimento se l’apparecchiatura utilizzata nel corso del trattamento o dell’esame non funziona o è difettosa. È un’ipotesi di responsabilità oggettiva. La “regola alternativa” prevede il risarcimento se la lesione avrebbe potuto esse evitata utilizzando una tecnica o un metodo di trattamento diverso. La valutazione è fatta ex post, ma la procedura doveva essere di-

“The Panel consists of a chairman, three members representing patients’ interests, one medical expert, one specialist on health and medical care issues and one specialist on personal injury claims adjustment. The members are appointed by the Government except for the last-mentioned member, who is appointed by the Patient Insurance Association”, consultabile all’indirizzo: www.patientskadenamnden.se. 23

“tutto o niente”, mentre si sarebbe preferito una forma meno rigida che consentisse di tener conto anche dei casi in cui il nesso di causalità sia dubbio. Johansson, The Swedish system for compensation of patient injuries (2010) 115 Uppsala Journal of Medical Science 88. 21

Si tratta di una mutua assicurazione posseduta dalle regioni mentre per i medici e personale infermieristico che non hanno contratti con le regioni operano poche compagnie assicurative private. 22

Responsabilità Medica 2018, n. 1

Ulfbeck, Hartley, Schultz, Malpractice in Scandinavia (2011) 87 Chi-Kent Law Rev. 111. 24

25

Cfr. l’art. 20 KEL danese.


Responsabilità medica e assicurazioni nell’esperienza comparatistica

sponibile in quel momento. Infine, la “regola di ragionevolezza” si applica alle residuali e inevitabili lesioni che risultano sproporzionate rispetto a quanto il paziente avrebbe potuto aspettarsi26. È interessante, poi, notare come in Scandinavia sia difficile rinvenire una definizione chiara e accurata del nesso di causalità27 o dei criteri per individuarlo e, anzi, spesso le problematiche inerenti vengono risolte nell’ambito della prova. Il secondo modello viene adottato dal sistema francese nel 2002 per fronteggiare una crisi caratterizzata dall’aumento dei premi delle polizze assicurative e dalla minaccia di molte compagnie di abbandonare il settore. La scelta francese fissata nella lois Kouchner, confluita poi nel code de santè publique, è considerata al tempo stesso tradizionale e moderna ispirata al principio di democratie sanitaire. Essa tende ad armonizzare la giurisprudenza civile e amministrativa a quel tempo tra loro molto distanti, a eliminare le differenze sulla qualità del paziente e sulla natura della struttura sanitaria nonché a imporre un’assicurazione obbligatoria per tutti gli operatori e le strutture mediche. La legge mantiene e riafferma la centralità del sistema di responsabilità per colpa. Nel 2010 la Cour de Cassation supera la giurisprudenza Mercier del 1936, che aveva stabilito la natura contrattuale della responsabilità medica, e riconduce la fattispecie all’art. 1382 del code civil (responsabilità civile) e all’art. 1142-1 del code de santè publique28. In particolare è riconosciuto come prejudice de droit ex art. 1382 la mancata informazione che, violando la dignità della persona e il diritto all’integrità del corpo, merita di essere riparato.

27

È poi introdotto, nelle ipotesi di gravità della lesione e di sua imprevedibilità (alea terapeutica)29 o di infezione nosocomiale quando non è possibile individuare un responsabile, uno schema compensativo non fondato sulla colpa. Le caratteristiche di questo modello sono distanti dal sistema nordico e anche da quello neozelandese30. È necessaria, infatti, la gravità della lesione, requisito non richiesto negli altri modelli. La ragione della differenza si rinviene nelle diverse finalità: mentre nel Nord Europa e Nuova Zelanda l’obiettivo è compensare il maggior numero di persone nel modo più veloce evitando un sovraccarico al sistema giudiziario, in Francia è il principio di solidarietà con coloro che hanno subito i danni più gravi a permeare il sistema. La procedura è gestita dall’ONIAM che si avvale di 25 Commissioni regionali sotto la direzione di un magistrato e composto da esperti, medici, assicuratori e anche da rappresentanti dei pazienti. Se non esiste alcun danno, le Commissioni rigettano la domanda. Qualora si riscontri una colpa del medico e/o della struttura sanitaria oppure il livello di disabilità è inferiore al 24 % la compensazione è a carico dell’assicurazione e si può avere una soluzione conciliativa o, invece, il ricorso in giudizio. In presenza della gravità del pregiudizio non imputabile ad alcun soggetto, l’indennizzo è liquidato dall’ONIAM. La comparazione con il sistema nordico permette di verificare sia un uso inferiore del sistema stragiudiziale dovuto probabilmente ad un più facile mantenimento della possibilità di agire in giudizio31 e al livello di

Il tema era ampiamente dibattuto sia in giurisprudenza sia in dottrina e presentava profili di incertezza. 29

Barbot, Parizot, Winance, “No-fault” compensation for victims of medical injuries. Ten years of implementing the French model (2014) 114 Health Policy 236 ss. 30

Alcune regole specifiche sono dettate per infezioni o diagnosi sbagliate. 26

La complessità della valutazione del nesso di causalità è comune a tutti i sistemi, cfr. con riguardo al sistema italiano Pucella, La causalità “incerta”, Torino, 2007. 27

Cass. civil, 1ère, 28.1.2010, in Dalloz, 2010, 1522. Cfr. Il commento di Klesta, La responsabilità medica in Francia: l’epilogo di un percorso movimentato, in Nuova giur. civ., 2013, II, 479. 28

Critico nei confronti del sistema francese è Helleringer, Medical Malpractice and Compensation in France: Part II: Compensation Based on National Solidarity (2011) 86 Chi.Kent L. Rev. 1138: “Such diversity in applicable schemes and in the relationship between national solidarity and civil liability principles is a factor of complexity for the victims. Harmonization of procedures and awarded compensations as well as clarification of the relationships between national solidarity and civil liability principles would be welcome developments in this dynamic field of the law”. 31

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28

disabilità richiesto32, sia una minor percentuale di successo delle domande. Tuttavia sono più elevati i risarcimenti liquidati in presenza di lesioni gravi, non essendo previsti limiti33. D’altra parte non sempre i sistemi di risoluzione non giudiziaria delle controversie sono efficienti34. Tra questi si segnala quello belga: a partire dal 2012 gli incidenti medici possono essere risolti attraverso (1) un’azione giudiziaria, (2) una procedura basata su un Fondo, (3) direttamente tra paziente e il medico35. Simile ai procedimenti giudiziari, il Fondo si avvale di pareri di esperti giudiziari e medici per determinare la natura degli incidenti medici, anche se dovrebbe fornire un supporto migliore ai pazienti durante il processo di risoluzione. Inoltre, può assegnare un compenso a pazienti che soffrono di lesioni anormali e gravi avvenute in assenza di colpa. Questa è però un’eccezione e il sistema belga è stato definito non-solo-colpa, piuttosto che no-faute. Oggi però il modello è in crisi per la lunghezza delle procedure e la difficoltà di ottenere una compensazione efficace. Una parte della dottrina mette in luce che una soluzione come quella francese, che utilizza un sistema no-fault solo per lesioni gravi e quindi un’introduzione più graduale di questi meccanismi, sarebbe stata maggiormente efficace.

Incide anche una differente mentalità nei confronti dell’azione in giudizio in Francia rispetto ai paesi del Nord Europa. 32

33

I dati si rinvengono in Barbot, Parizot, Winance, ibidem.

Helleringer, op. cit., 1137 peraltro avverte “the growing importance of compensation schemes based on national solidarity may appear to be a double-edged evolution. It has improved the status of victims of medical harms: they are increasingly integrally compensated more quickly and under more flexible conditions thanks in particular to the legally established presumptions. However, compensation by ONIAM, like any other national solidarity fund, may deprive victims of certain procedural safeguards provided by civil liability principles. This is particularly so when the compensation fund assesses the damage and compensates it. Compensations awarded by courts are, on average, more generous for the victims than the ones awarded by compensation funds”. 34

Vandersteegen, Marneffe, Vandijck, Advantages and disadvantages of the Belgian not-only-fault system for medical incidents (2017) 72 Acta Clinica Belgica 36. 35

Responsabilità Medica 2018, n. 1

Saggi e pareri

Interessante è il sistema inglese che inquadra la responsabilità medica nella negligence. Il leading case è Bolam v. Friern Hosp Medical Management Committee del 1957 36 in cui si è stabilita la non responsabilità del medico per colpa se ha agito in conformità con una pratica considerata appropriata da un corpo responsabile di esperti in quella particolare disciplina. Nella motivazione è osservato che “I myself would prefer to put it this way, that he is not guilty of negligence if he has acted in accordance with a practice accepted as proper by a responsible body of medical men skilled in that particular art. I do not think there is much difference in sense. It is just a different way of expressing the same thought. Putting it the other way round, a man is not negligent, if he is acting in accordance with such a practice, merely because there is a body of opinion who would take a contrary view. At the same time, that does not mean that a medical man can obstinately and pig-headedly carry on with some old technique if it has been proved to be contrary to what is really substantially the whole of informed medical opinion. Otherwise you might get men today saying: “I do not believe in anaesthetics. I do not believe in antiseptics. I am going to continue to do my surgery in the way it was done in the eighteenth century.” That clearly would be wrong”. In un caso successivo Bolitho-City v. Hackney Health Authority37 si è chiarito, anche per rispondere alle critiche mosse a Bolam, che il parere degli esperti deve essere ragionevole e logico. Se questo è lo standard applicabile nelle ipotesi di errore medico, con Montgomery nel 2015 la Supreme Court ha statuito in tema di consenso informato: “il medico ha quindi il dovere di prendere le dovute precauzioni per garantire che il paziente sia consapevole dei rischi materiali coinvolti in qualsiasi trattamento raccomandato e di ogni ragionevole alternativa o variante di trattamento. La prova della materialità è se, nelle circostanze del

Bolam v. Friern Hosp Medical Management Committee [1957] 1 WLR 582. 36

Bolitho-City v. Hackney Health Authority [1996] 4 All ER 771. 37


Responsabilità medica e assicurazioni nell’esperienza comparatistica

caso particolare, una persona ragionevole nella posizione del paziente è probabile che attribuisca significato al rischio, o il medico è o dovrebbe essere ragionevolmente consapevole che il particolare paziente potrebbe attribuire significato ad esso”38. Nel sistema inglese risulta difficile ottenere il risarcimento del danno per l’uso del criterio del “but for test”: deve essere provato che l’evento non si sarebbe verificato in assenza della condotta dell’agente39. In parte la rigidità è temperata dalla valutazione delle circostanza del caso concreto40, mentre rimane discussa l’ammissibilità del danno da chance41. Si osserva che nel report di Lord Wolf sulla giustizia inglese il settore della responsabilità medica è reputato tra quelli maggiormente in crisi42, tuttavia buoni risultati43 sono stati ottenuti dal sistema di

38

Montgomery v Lanarkshire Health Board [2015] UKSC 11.

Nel sistema inglese la causation si divide in cause in fact e cause in law: v. Goldberg, Causation and Defences, in Grubb, McHale, Lang (eds.), Principle of Medical Law, Oxford, 2010, 325. 39

Fairchild v. Glenhaven Funeral Services Ltd, [2002] U.K.H.L. 22, [2003]1 A.C. 32. In questa decisione si riafferma il principio fissato in McGhee [1972]3 All E.R. 1008, 1011, [1973] 1 W.L.R. 1, cfr. Weinreb, A Step Forward in Factual Causation (1975) 38 M.L.Rev. 518 ss. In Fairchild è, tuttavia chiarita l’operatività ristretta del principio: “It is true that actions for clinical negligence notoriously give rise to difficult questions of causation. But it cannot possibly be that the duty to take care in treating patients would be virtually drained of content unless the creation of a material risk of injury were accepted as sufficient to satisfy the causal requirements of liability. And the political and economic arguments involved in the massive increase in liability of the National Health Service which would have been a consequence of the broad rule favored by the Court of Appeal in Wilsher’s case are far more complicated than the reasons given [in McGhee] for imposing liability upon an employer who has failed to take simple precautions”. 40

Goldberg, Medical Malpractice and Compensation in the UK (2011) 87 Chi-Kent L. Rev. 131 ss. Che opera un confronto anche con il sistema scozzese. 41

Rt. Hon. Lord Woolf, Access to Justice (Her Majesty’s Stationery Office), 1996, 170. Si sollevava la problematicità della lunghezza dei procedimenti, la minor percentuale di compensazione delle domande, la maggior pretestuosità dei claims rispetto ad altri procedimenti, la scarsa cooperazione fra le parti, l’elevata sproporzione fra costi e danni. 42

Frati, Giulino, European Legislative and Juridical Overview, in Ferrara, Boscolo-Berto, Viel (a cura di), Malpractice 43

29

mediazione non obbligatoria introdotto nel 1995. In quell’anno è stato anche avviato un Clinical Negligence Scheme44 che permette alle strutture sanitarie di assicurarsi per gli incidenti occorsi dopo quella data a fronte del pagamento di un premio annuale. L’ente che gestisce le richieste di danni nei confronti del NHS è la National Health Service Litigation Authority45.

4. L’esigenza di una armonizzazione europea L’ultima tendenza che si avverte in materia di responsabilità medica è una crescente esigenza di armonizzazione a livello europeo in seguito all’introduzione della direttiva 24/2011 UE sui diritti dei pazienti nelle cure transfrontaliere adottata dopo un lungo e acceso dibattito e recepita in Italia dal d.lgs. n. 38/2014. Essa era reputata necessaria alla luce del turismo medico anche perché fra l’8 e il 12% dei pazienti che ricevevano un trattamento medico in Europa subivano un danno46. Il diritto di essere risarciti è tra i principi fondamentali enunciati, ma la direttiva lo affronta solo brevemente. È stabilito47 che gli Stati membri debbano garantire l’esistenza di meccanismi di tutela dei pazienti e di risarcimento dei danni per l’assistenza sanitaria prestata sul loro territorio appropriati alla natura o alla portata del rischio. La loro determinazione dovrebbe tuttavia spettare allo Stato membro. L’am-

and Medical Liability, Heidelberg/New York, 2013, 86 ss.; Goldberg, Medical Malpractice and Compensation in the UK, cit., ritiene comunque che il sistema attraversi ancora una crisi. 44

Frati, Giulino, ibidem.

È interessante notare come il NHS Redress Bill del 2006 non è ancora stato implementato in Inghilterra, mentre una sua versione modificata è in vigore in Galles. Tuttavia sono allo studio progetti di redress scheme come quello per gravi ed evitabili danni alla nascita. 45

Paskalia, Cross-border Healthcare in the EU: And What if Something Goes Wrong? (2016) European Journal of Health Law 1 ss. 46

Cfr. l’analisi in Panatanogiou, Medical Liability in Europe at the Dawn of Cross-border Healthcare: Time to Reflect on the Possibility of Harmonising the Policies Regarding Medical Liability? (2016) European Journal of Health Law 350 ss. 47

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pio margine lasciato alle discipline nazionali viene considerato, da parte della dottrina, deludente, benché si auspichi che l’obbligo di adottare sistemi di assicurazione possa avere un impatto sulla misura di compensazione e, quindi, determinare una limitata armonizzazione. Tuttavia essa pare difficile per il variegato contesto sia con riguardo alle procedure per ottenere il risarcimento sia con riguardo al diritto sostanziale. La natura della responsabilità medica varia negli Stati Membri così come i criteri per individuare la colpa e verificare l’esistenza del nesso di causalità. Si ravvisano divergenze anche tra le voci di danno risarcibili48 o la loro entità. È interessante notare come la Confederation Europeen d’Experts en valutation et reparation du Dommage Corporel avesse presentato nel 2003 una proposta per l’adozione di tabelle che non aveva avuto alcun risultato. Forse i tempi non erano ancora maturi. A questa complessità di natura legale si aggiunge spesso una varietà negli standards scientifici utilizzati per determinare l’esistenza e l’entità del danno. Internazionalmente sono riconosciute le AMA guidelines, ma si assiste a tentativi di analisi e valutazione dei criteri e procedure utilizzate per uniformare progressivamente le metodologie. Tra queste iniziative particolarmente rilevante è la Padova Charter49.

5. Conclusioni L’analisi comparatistica della responsabilità sanitaria e del suo rapporto con l’assicurazione permette di individuare alcuni modelli, tuttavia il tema risente del contesto non solo giuridico, ma economico, sociale, medico, politico e anche degli scopi che si vogliono perseguire. Non esiste un sistema ideale e pertanto, più che in altri settori, le tendenze che si individuano vanno adeguate alle differenti realtà ed esigenze affinché siano davvero efficaci.

Peraltro anche quando si tratta della medesima voce “danno da perdita di chance” possono sussistere differenze nella sua disciplina. 48

Ferrara et al., Padova Charter on personal injury and damage under civil-tort law (2016) International Journal of Legal Medicine 1. 49

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Saggi e pareri


i g Saggi e pareri Saggi e pareri ag i s rer e a Impatto e prospettive pratiche p della l. n. 24/2017 – Il punto di vista dell’assicuratore* Flaviano Antenucci Hospital Risk Manager

Sommario: 1. Premessa. – 2. La responsabilità sanitaria nel contesto contemporaneo. – 3. Il “doppio binario” e la responsabilità da violazione delle legittime aspettative. – 4. Prevenzione del rischio e conoscenza del contesto. – 5. Criteriologia ed esperienza pratica della responsabilità sanitaria. – 6. Responsabilità e danno dopo la L. Gelli-Bianco. – 7. Conclusioni.

Abstract: Il contesto ideale nel quale l’assicuratore della Responsabilità Civile Sanitaria può svolgere al meglio la sua funzione è un sistema di regole consolidate, siano esse di origine normativa, giurisprudenziale o sociale, indipendentemente dal fatto che queste siano o meno favorevoli ai suoi interessi. In questo lavoro si offre una prima valutazione dell’impatto reale sul rischio sanitario della legge Gelli-Bianco in un contesto ormai stabile da anni, ed una prima valutazione sulle prospettive di completamento e adattamento giurisprudenziali già in atto. The ideal context in which the insurer of the MedMal Liability is able to best perform his job is a system of consolidated rules, be they of normative, jurisprudential or social origin, regardless of whether or not they are favorable to his interests. This paper offers an initial assessment of the real impact on the MedMal risk of the Gelli-Bianco law in a background that has been stable for years, as well as an initial evaluation of the prospect for jurisprudential completion and adaptation already underway.

Il testo riproduce l’intervento al Convegno “Prospettive della responsabilità sanitaria alla luce della c.d. legge Gelli-Bianco (l. n. 24/2017)”, tenutosi a Padova il 6 e 7 dicembre 2017. *

1. Premessa Sul tema della responsabilità e del diritto, il punto di vista dell’assicuratore non può che essere ispirato ad un approccio pragmatico, finanche contabile e comunque scevro da ogni emotività. Il punto di partenza è perciò anche in questo caso l’analisi di contesto – che rappresenta il presente ed in nuce il futuro atteso – e la statistica – che rappresenta il risultato consolidato del passato. E proprio i numeri della statistica, che privi del pilastro del contesto possono sembrare impersonali e freddi ma sicuri, si sono rivelati anch’essi fragili e bizzosi nel campo della responsabilità professionale, tanto che la loro lettura ha portato a volte a conclusioni opposte, ma a nessun approdo sicuro. Oscar Wilde diceva: “esperienza è il nome che diamo ai nostri errori”: quello che l’assicuratore deve sempre fare è imparare dagli errori che ha già compiuto, prendendo scrupolosamente atto delle domande alle quali è già stata data una risposta, anche se non gradita o comunque diversa dalle aspettative. Molta parte del sistema di regole che è stato elaborato nella responsabilità sanitaria e nelle responsabilità delle professioni cosiddette liberali non è frutto di un’elaborazione meditata, ma semplicemente un complesso normativo che

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si è costruito via via che si sono decisi fatti concreti. Guardare a questo sistema di responsabilità dall’altra parte, cioè dalla parte di chi ne fruisce e non di chi esegue o presiede il servizio o la prestazione, di chi si trova come e più dell’assicuratore in fondo a questa “catena alimentare”, è la chiave per leggere il sistema stesso. Mettendo insieme quei tasselli decisionali costituiti dai “fatti concreti”, letti senza la ridotta prospettiva della scrivania dietro la quale spesso la professione ci costringe, la giurisprudenza e l’evoluzione della giurisprudenza in materia diventa più agevolmente riconoscibile, e ne possiamo addirittura prevedere la ragionevole evoluzione! Viviamo tutti infatti in un contesto, ed è quel contesto che ispira la responsabilità professionale di cui oggi parla il diritto, ed in particolare la legge Gelli-Bianco, che rappresenta tra l’altro la prima volta nella quale il legislatore si è deciso ad ammettere, con un buon ritardo, che la responsabilità è contrattuale. Come noto, infatti, pur essendo questo un principio consolidato da anni, in nessuna legge era mai stato scritto.

2. La responsabilità sanitaria nel contesto contemporaneo La realtà sociale, comunicativa, relazionale, economica e quindi anche giuridica nella quale viviamo esprime un contesto nel quale noi tutti abbiamo aspettative diverse ed evolute nei confronti di chi ci presta servizi, ci vende beni, ci assiste, e sono le stesse attese che noi e tutti ci aspettiamo dagli esercenti la professione sanitaria, dai legali, dai commercialisti e così via. Questa responsabilità, che deriva dalle diverse aspettative maturate nel contesto attuale, è difficile da incasellare, e forse non ha neanche senso farlo: chiamare questa particolare forma di responsabilità per forza “contrattuale”, piuttosto che “extra contrattuale”, piuttosto che “Genoveffa”, non aggiunge e non toglie niente al fatto che ci sia una forma nuova e diversa di responsabilità moderna, determinata dal fatto che viviamo in un mondo profondamente connesso, intercorrelato, un mondo nel quale le occasioni nelle quali ci si incontra o ci si scontra per caso, veramente per Responsabilità Medica 2018, n. 1

Saggi e pareri

puro caso come potrebbe essere la caduta di un asteroide, finendo per danneggiarsi sono ormai anche concettualmente ridotte al minimo. Partendo quindi da questo contesto, la visione dell’assicuratore e del risk manager deve partire dall’osservazione di ciò che vediamo compiersi ogni giorno nel mondo della responsabilità professionale “applicata”, con quel giusto distacco che parte dalla consapevolezza che gestire un rischio è giocoforza esperienza di ciò che avviene e progettazione delle soluzioni. Non esiste nessun rischio, per quanto pesante e gravoso, che non interessi all’assicuratore, riducendosi in ultima analisi il peso e la gravosità dello stesso ad un tema di equilibrio di premi e gestione, ma c’è invece un tipo di rischio “agito” che l’assicuratore non intende correre, quale che sia il suo valore, ed è quello la cui gestione sia completamente nelle mani del suo assicurato, e che lui non può controllare in nessun modo. Un pool di assicuratori ha garantito e garantisce ancora oggi le missioni aerospaziali, e sicuramente non si tratta di un rischio del tutto controllabile, né completamente conoscibile. É quindi chiaro come il problema non sia mai il semplice costo, perché per quanto alto possa essere il rischio, un premio adeguato ed una buona gestione costruiranno una “scommessa” che può far vincere entrambi. Quello che invece non è possibile gestire utilmente è un rischio manovrato integralmente da chi – permettetemi la licenza, ovviamente non è proprio così – non ha gli strumenti, o non sa esattamente cosa fare ma pretende di saperlo e vuole fare a modo suo, a volte anche contro quell’evidenza esperienziale dalla quale è impossibile prescindere. Il più volte citato e noto art. 1176 c.c., per molti salito recentemente alla ribalta per gli effetti della legge che ci occupa e di datata e recente giurisprudenza, è per noi assicuratori, e per chiunque operi in questa materia, da sempre un faro nella nebbia1. E non c’era certo bisogno che la Cassa-

Dal 2006 ad oggi, si trovano continui riferimenti al fatto – consolidato – che il grado di “severità” nella valutazione del corretto adempimento dell’obbligo di cura è funzione del livello di professionalità dell’obbligato. Ed a 11 anni di distan1


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La posizione dell’assicuratore alla luce della legge n. 24/2017

zione rammentasse a medici, strutture, professionisti che esiste da sempre una norma che àncora la valutazione del corretto adempimento alle legittime attese nei confronti del professionista: la responsabilità “moderna” è la responsabilità delle attese legittime, ciò che ci attendiamo quando ci avviciniamo a qualcuno che può o deve prestarci qualche servizio. La responsabilità differisce in relazione alle attese che chi presta la sua opera ingenera nel paziente, al punto da cambiarne perfino il modo di essere danneggiato e offeso, e se una formula di questo genere può essere non del tutto gradita o condivisa agli operatori ed a noi stessi, è purtuttavia una formula trasparente e certa – una volta compresa – e perciò addirittura rassicurante! Chiunque operi nella gestione del rischio deve ricercare certezze, neanche “regole certe”, ma “certezze” come sinonimo di “prevedibilità”, perché su quello si costruiscono le tariffe e la gestione del rischio, su quello si basa la costruzione di almeno una voce di bilancio di una struttura sanitaria, ancora dalla prevedibilità del contesto si basa qualsiasi business case. L’applicazione costante dell’art.1176 c.c. dovrebbe aver reso chiaro, ad esempio, che il più grande neurochirurgo del mondo non potrà mai difendersi in una causa per pretesa responsabilità adottando l’argomentazione: “Lei non sa chi sono io, io sono il più bravo di tutti”, o ancora “nessun consulente ha le conoscenze per poter giudicare il mio operato”. Nella responsabilità moderna, dallo specialista più bravo di tutti ciò che ci si può legittimamente attendere è, sul fronte civilistico, l’equivalente risarcitorio dell’infallibilità! C’è quindi in questo criterio la semplicità, l’attendibilità di un “regolo” economicamente ma-

za da Cass., 11.1.2006, n. 577, ancora si trovano commenti e studi su sentenze di merito che altro non fanno che riferirsi a questa regola certa, quasi come fosse acquisizione recente. Per puro esempio “Con particolare riferimento alla diligenza dovuta nell’adempimento della prestazione, per ormai consolidata giurisprudenza (cfr., per tutte, Cass., n. 23918/2006) la stessa deve essere valutata, a norma dell’art. 1176, co. 2° c.c., con riguardo alla natura della specifica attività esercitata; tale diligenza è quella del debitore qualificato ai sensi dell’art. 1176”. (Trib. Roma, 13.6.2017, n. 12030).

neggevole, utile, sicuro e per nulla sconvolgente. In termini di gestione del rischio, spiega ciò che qualsiasi assicuratore sa perfettamente, con l’esperienza: assicurare il primo della classe ha un prezzo differente rispetto ad assicurare tutti gli altri, perché in qualsiasi gara esistono solo due categorie: il primo e tutti gli altri.

3. Il “doppio binario” e la responsabilità da violazione delle legittime aspettative La legge Gelli-Bianco non è una norma che crea o stabilisce regole in un contesto vergine o facilmente modificabile, ma anzi si inserisce in un sistema consolidato e resistente, inserito in un ambito europeo e occidentale coerente ad esso. Non resta perciò che ripercorrere i punti chiave della legge e cercare di individuare cosa realmente cambia, cosa era auspicabile fosse oggetto di intervento, cosa delude, sapendo che il suo completamento è già in fieri per opera di una giurisprudenza che prima ancora che a noi favorevole, sarà probabilmente capace di scrivere quelle regole attraverso le quali riuscire a navigare e ad orientarsi. La responsabilità moderna del professionista (fino a ieri “contrattuale”, ora “extracontrattuale” ma con molti distinguo ed eccezioni) trova il suo suggello giuridico in una ormai nemmeno recente storia della “responsabilità contrattuale medica”, culminata in una sentenza che quindi non faceva che dichiarare un fatto consolidato, e che tuttavia un buon 15% dei nostri legali di controparte ancora non sapeva. Nel 2008, l’11 gennaio, la Cassazione a sezioni unite, scrisse un “bigino” della responsabilità contrattuale delle strutture sanitarie e allora anche degli esercenti le professioni sanitarie (Io credo che anche oggi, a dispetto delle declaratorie della legge n. 24/2017, ma questo è un altro argomento…)2. In quel lunghissimo bigino, la Cassazione spiegava che una volta che il paziente avesse provato di

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Cass., 11.1.2006, n. 577.

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essere uscito “peggio di come era entrato”, toccava alla struttura rispondere solo a questa domanda e non ad altre: “è possibile provare il corretto adempimento? Sì o no! Inutile argomentare su competenze, statistiche di errori e complicanze minori rispetto ad altre strutture o al benchmark nazionale o qualsiasi altra giustificazione, perché sarebbe stato nient’altro che la risposta ad una domanda mai formulata, e perciò stesso fuori tema! Anche il quel caso la Cassazione decideva con riferimento ad un fatto “sottostante” il semplice tema in diritto, che nella fattispecie era un danno da emotrasfusione. La decisione – come noto – argomentava che la responsabilità contrattuale rendeva inconferente la difesa legata al fatto che nel ‘78 nessuno fosse a conoscenza dell’esistenza dell’epatite C. Di fronte alla precisa domanda risarcitoria, ciò che andava fatto per difendersi era rispondere alla domanda: “è possibile provare il corretto adempimento?” Ovvero, in caso limite, è possibile provare il fatto a sé non imputabile? Sì o no! Difendersi dicendo che non c’erano i markers, che il Ministero della Sanità solo nel ’91 aveva diramato la circolare che rendeva gli screening del sangue per HCV “consigliabili” e così via costituiva risposta inutile per quanto scientificamente corretta, perché non era la risposta alla precisa domanda cui si aveva l’onere di controbattere! E se questa domanda (“puoi provare il corretto adempimento?”) poteva sembrare inopportuna, ingiusta o penalizzante, è utile ricordare che questa “deriva giurisprudenziale” della responsabilità contrattuale in campo professionale ha radici consolidate e ormai risalenti, e si tratta in realtà di una “rotta” precisa, di cui già quando ero dalla parte dei sinistri complessi avevo maturato il sospetto che fossimo anche noi corresponsabili. Negare debiti risarcitori motivando diversamente da ciò che il contesto già suggeriva, dare risposte sbagliate rispetto alle domande precise che venivano poste nelle aule, avevano già accumulato quella massa critica di pendenze che avrebbe portato a sistematizzare e dichiarare una forma di responsabilità meno arcaica e già vissuta ed operata nel concreto in tutto il mondo occidentale. Una responsabilità che costituiva il logico superamento del principio del “naeminem ledere”, Responsabilità Medica 2018, n. 1

Saggi e pareri

e che dal principio ulteriore della “prevenzione” avrebbe portato a quello (ormai europeo) di “precauzione”. Per tornare al nostro danno da emotrasfusione, rammento che la prima causa che ho esaminato in R.C. sanitaria sul tema fu decisa nel ‘95 per un danno identico e si era conclusa in senso condannatorio pur utilizzando i criteri della responsabilità extracontrattuale, e questo ben 13 anni prima delle sezioni unite del 2008! Anche allora si parlava di un danno da emotrasfusione, si trattava di contagio da epatite C, si riferiva a quell’epoca in cui nessuno poteva sapere che la sacca di sangue era infetta, e la decisione condannatoria aveva utilizzato la leva più legittima ed a mio avviso più moderna che ancora resiste, la leva che dovrebbe usare tutta la medicina che non sia rigorosamente salvavita, che è la leva dell’opportunità terapeutica. La decisione motivava che pur essendo chiaro che non si poteva sapere che il sangue era effetto da epatite non A e non B, purtuttavia si poteva e doveva sapere che trasfondere un paziente è sempre rischioso. La domanda giusta alla quale rispondere era dunque: era possibile evitare al paziente l’esposizione a quel rischio? Se era evitabile (e nel caso lo era) l’obbligazione risarcitoria si fonda sull’inopportunità della scelta terapeutica, e quella scelta era (è) la causa ultima del danno sofferto dal paziente! In un mio recente intervento a Baggiovara al Convegno annuale del Riacef3, autorevoli specialisti hanno intrattenuto l’uditorio sulle nuove, spesso straordinarie tecniche per riuscire ad operare ancora più pazienti ultrasessantacinquenni per una patologia ormai universale, in una rappresentazione che porta perfino i pazienti a pensare che “cambiare le ginocchia” – ovvero protesizzarle con devices metallici o ceramici – sia semplice come cambiare i filtri dell’olio delle auto. Come unico rappresentante di risk management in un consesso di iperspecialisti della tecnica operatoria, ho fatto presente solo questo: il fatto che ci sia indicazione per un intervento non significa

Si tratta del convegno “Coxartrosi: passato, presente e futuro” tenutosi a Baggiovara (MO) il 30 settembre 2017. 3


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che si sia svincolati dalla valutazione dell’opportunità terapeutica! In quel convegno un potenziale paziente come me ha ascoltato per ore che esistono mille tecniche per l’artroprotesi d’anca, e che queste tecniche sono la soluzione di questa malattia universale – come fosse stata scoperta da poco – che risponde al nome di coxartrosi! Essendo invece la coxartrosi una condizione diffusa ed evolutiva in relazione all’età, ma nella maggioranza dei casi non così francamente patologica, è evidente che non si potrà dire in caso di esito infausto: “io ho operato un ottantaduenne perché c’era indicazione (la coxartrosi), può succedere – ed è previsto in letteratura scientifica – che si verifichino complicanze, quindi non c’è responsabilità e men che meno obbligazione risarcitoria! Ovviamente la risposta, identica da almeno vent’anni, è che l’obbligazione risarcitoria sussiste quantomeno tutte le volte che l’intervento non era opportuno, ancorché astrattamente “indicato” operare quell’anziano paziente. Il primo indovinello che la storia ricordi, l’enigma della Sfinge, chiedeva appunto a coloro che volevano entrare a Tebe – e morivano tutti perché nessuno indovinava – “qual è quell’animale che alla mattina cammina a quattro zampe, a mezzogiorno cammina a due e la sera cammina a tre?” Si sa che la risposta che permise ad Edipo di sopravvivere al mostro era “l’uomo”, ed oggi si sa anche che quando cammina a tre zampe, cioè con il bastone, ha la coxartrosi! Non ci si può nascondere dietro la semplice indicazione, perché “coxartrosi” indica una patologia il cui trattamento si è certamente evoluto nel tempo, ma che non è né moderna, né invalidante sempre allo stesso modo. L’indicazione rappresenta quindi solo una delle evidenze che giungono all’osservazione del medico, ed assieme ad altre, come la condizione, l’età, ed anche le attese del paziente concorrono alla formazione di una decisione della quale il medico stesso e la struttura si assumono una responsabilità la cui matrice può essere diversamente nominata, ma che attiene comunque ad un concetto trasversale che è e resta l’opportunità terapeutica.

4. Prevenzione del rischio e conoscenza del contesto La legge Gelli-Bianco, partendo dalla “sicurezza delle cure” e dalla lotta alla “medicina difensiva” ha identificato nella responsabilità extracontrattuale del medico dipendente la chiave per risolvere i problemi legati al rischio della responsabilità dei professionisti. Per l’assicuratore, e per qualsiasi operatore del diritto nel campo, non è la differenziazione teorica tra l’accessibilità al reclamante di un percorso rispetto ad un altro, quanto piuttosto se un danno sia o no – alla luce del percorso individuato – da risarcire. Nella responsabilità extracontrattuale il paziente deve provare la colpa, individuata nel preteso responsabile e nel modus con cui è giunto all’errore, il danno ingiusto e il nesso di causa, con una sorta di fil rouge biunivoco, una corrispondenza perfetta tra il comportamento dannoso ed il danno subìto. Il legislatore ha chiaramente individuato nella responsabilità extracontrattuale la soluzione giuridica che permette la maggior protezione del medico, sul presupposto nemmeno troppo celato che tale figura renda più difficile il coinvolgimento del professionista nel risarcimento di un danno. Dove quindi si legge “sicurezza delle cure” e “sicurezza del paziente”, perciò, si rinviene in filigrana un retropensiero, nemmeno simulato perché più volte dichiarato dagli stessi padri della legge, che enuncia: la legge ha a cuore la tranquillità del medico perché più è tranquillo il medico più sarà sereno il paziente nell’affidarsi alle sue cure. Quando mia figlia era piccola ero molto paziente, e ho spesso sfoderato una invidiabile serenità, ma mia figlia non stava mai ferma lo stesso, ed anche oggi (ampiamente maggiorenne) non è dalla mia serenità (né da quella di altri, credo) che dipende la mia responsabilità verso di lei e verso altri. Non esiste un’aritmetica, una matematica della responsabilità civile: quello che succede nella realtà è che molto più che dal tipo di regole, la responsabilità discende da come l’applicazione di queste regole venga valutata nella loro applicazione pratica.

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Come già ricordato, già nel ’95, usando il grimaldello dell’opportunità terapeutica, anche con le regole della responsabilità extracontrattuale – che solo apparentemente erano ordalie che sembravano rendere quasi irraggiungibile l’agognato risarcimento – medici e strutture venivano responsabilizzati: se è vero infatti che solo nella responsabilità aquiliana si deve trovare la colpa per ottenere ragione, dipende sempre da quanto si cerca quella colpa. Nella responsabilità contrattuale – quella delle strutture sanitarie, e dei medici fino ad oggi – non serviva cercare la colpa, e quindi il più delle volte anche i reclamanti non si sono sforzati oltre il necessario nel vagliare il comportamento dei professionisti, non dipendendo da questo il diritto al risarcimento in caso di danno. Questo dava davvero maggiore sicurezza ai medici, poiché non c’era interesse del danneggiato a valutarne l’operato, e questo era (quello della responsabilità contrattuale) il regime più protettivo per loro, se avessero imparato la serenità e la sicurezza dall’osservazione dei fatti e dall’applicazione reale della legge, indipendentemente dalle spiegazioni autocostruite… Stabilire invece che da oggi la loro responsabilità è – ex lege – extracontrattuale potrebbe addirittura riportare a quel 1995 dove, anche quando il paziente non fosse stato in grado di ripercorrere tutte le fasi della condotta professionale tenuta dal medico durante la sua prestazione, aveva comunque l’alternativa diversa, corretta e puntuale dell’opportunità – ovvero dell’inopportunità – terapeutica. Veniamo invece alla responsabilità contrattuale, della quale solo la semplificazione del diritto che l’area sanitaria è spesso portata a fare si dice che vede l’onere della prova invertito. Si tratta di una semplificazione non veritiera, perché in realtà l’onere della prova è ripartito: al paziente infatti incombe di provare di essere uscito “peggio di come è entrato”. Molte volte la rappresentazione di essere uscito “peggio di come è entrato” è una rappresentazione tutt’altro che scientifica e obbiettiva, ma vissuta, e quindi molto legata anche alla comunicazione di ciò che era lecito aspettarsi dalle prestazioni fornite, e quindi alle aspettative legittime che si potevano nutrire nei confronti di Responsabilità Medica 2018, n. 1

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una prestazione (il che è tipico di tutta la responsabilità moderna, in qualsiasi campo). All’obbligato incombe invece – una volta provato lo stato deteriore del paziente – la prova “del corretto adempimento” che, in definitiva, è una valutazione qualitativa data dal giudicante. E sarà questi – il giudice – a valutare se ciò che il convenuto ha prodotto testimonia o meno il fatto che abbia adempiuto correttamente. Ben prima che lo rammentasse la Cassazione era già patrimonio comune – compresi i pazienti – che anche nella responsabilità contrattuale valutare il corretto adempimento è valutare il contesto all’interno del quale l’adempimento viene effettuato. A dirsi che se mia figlia prende sempre 8 nelle versione di latino, l’unica volta in cui la versione sarà insufficiente probabilmente troverà (e ci aspettiamo tutti che ciò avvenga) indulgenza nel professore, che sarà portato a darle un’altra possibilità. Ovviamente, non possiamo aspettarci quell’indulgenza davanti al giudice, ma sappiamo che comunque il giudice darà una lettura di quell’adempimento inserendolo nel contesto, più o meno generalmente adempiente, in cui avviene. Al contrario, se uno studente per abitudine prende sempre 4, anche la volta che farà bene indurrà il professore a pensare che abbia copiato, piuttosto che pensare che ha davvero fatto – per una volta – ciò che doveva fare. E questo secondo caso si attaglia perfettamente a ciò che avviene in responsabilità medica, dove numerose condanne in ambito contrattuale motivano il mancato raggiungimento della prova con il fatto che “il diario operatorio (o più in generale la documentazione clinica) non hanno descritto l’intervento eseguito, ma il perfetto intervento, cioè la pagina del manuale”! Non si rileva cioè l’evidenza dell’accaduto in quel giorno, a quell’ora, a quel paziente, ma ci si è limitati a “copiare” ciò che ci si aspetta in un caso simile! Il riflesso di questa considerazione nella responsabilità contrattuale è ovviamente immediato, perché essendo il paziente uscito peggio di come è entrato, sarà giocoforza dannoso continuare a sostenere che sia andato tutto bene. Un esame sommario delle richieste risarcitorie che alla fine ottengono ragione permette agevol-


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mente di notare come solo il 30% (percentuale in diminuzione) dei danni pagati (perché dovuti sia per riconoscimento giudiziario, sia per istruttoria interna auspicabilmente più rapida) sia dovuto ad errore conclamato. Si tratta ovviamente dei danni di più semplice istruttoria, perché se il medico per primo ammette di aver sbagliato non resta che “passare alla cassa” e fare conti, che è anche il momento in cui si riesce quasi sempre ad ottenere il miglior risultato economico. Nel rimanente 70% (in aumento), la debenza è legata all’impossibilità di provare il corretto adempimento, e le categorie in cui ciò avviene più frequentemente sono come si sa l’omissione diagnostica, le “complicanze”, le infezioni nosocomiali, e così via. La legge Gelli-Bianco ha portato – e questa volta, a differenza della Balduzzi, lo ha portato davvero – la consapevolezza che la responsabilità sanitaria risponde a queste regole, e la responsabilità extracontrattuale del dipendente è quindi una dichiarata ed imposta eccezione! Se quindi strutture e liberi professionisti vogliono mitigare i loro rischi risarcitori, devono ora più che mai imparare le regole della responsabilità, e non gestire anche questa disciplina come un problema esclusivamente sanitario. Noi assicuratori non siamo fuggiti dal mercato, ma preferiamo – anche nel settore pubblico, seppur in regime di maggior prudenza – lavorare con qualcuno che ci ascolti. Non vogliamo che si faccia tutto e solo quello che vogliamo noi, ma escludiamo di poter assicurare medici che continuano ad andare in causa con difese all’insegna del “lei non sa chi sono io”, regalando alla loro struttura la prova certa della loro responsabilità, oppure: “non ho sbagliato perché la complicanza è prevista”, come se una statistica (che comprende necessariamente anche l’errore) potesse avere in diritto lo stesso valore che ha in campo medico sul fronte della scelta della procedura con il rapporto costi-benefici migliori4…

Così ad esempio in Cass., 30.6.2015, n. 13328: “Al diritto non interessa se l’evento dannoso non voluto rientri o no nella classificazione delle complicanze. Interessa solo se quell’evento integri gli estremi della “causa non imputabile”:

Se infatti nel 3% degli interventi di tiroidectomia si rileva una lesione del nervo vago, il significato, al di là dell’opportunità terapeutica, resta giuridicamente quello meramente statistico. Per risolvere un problema di tipo sanitario (di fronte a due percorsi terapeutici), la statistica ovvero l’incidenza della complicanza, serve al medico per decidere quale espone ad un rischio minore il paziente, e questo è l’unico suo legittimo utilizzo. Viceversa, sostenere che poiché una determinata complicanza si verifica nel 3% dei casi, “la sua evenienza non comporta responsabilità ma anzi deve essere accettata dal paziente” è una cosa per chiunque inaccettabile, e se troviamo inspiegabile la condanna al risarcimento in questi casi non è “colpa dei giudici”, ma evidentemente è colpa nostra, che non riusciamo ad imparare dai nostri errori, soprattutto quelli giuridici!

5. Criteriologia ed esperienza pratica nella responsabilità sanitaria Le considerazioni fin qui svolte introducono quindi – a dispetto dei presupposti della legge Gelli-Bianco – la possibilità di utilizzare un criterio di valutazione dell’esser tenuti al risarcimento molto semplice, basato sull’esperienza e sull’affidabilità della giurisprudenza, orientata in maniera stabile in tutto l’Occidente e non solo in Italia su questi temi. Come noto, la medicina è molto meno salvavita di una volta, ed anzi è molto più frequentemente volta al benessere: un artroprotesi d’anca su un paziente che non è su una sedia a rotelle con l’articolazione completamente bloccata è un intervento volto ad assicurare al paziente un miglior benessere, ed è quindi evidente che la motivazione che lo spinge ad affrontare la sala operatoria è l’attesa di un miglior benessere. La conseguenza logica è che se invece si trova paraplegico o comunque più invalido di prima, come minimo

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ma è evidente che questo accertamento va compiuto in concreto e non in astratto”.

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si aspetta – il mondo occidentale si aspetta – di essere risarcito! La valutazione del corretto adempimento è quindi anche funzione del tipo di intervento o di terapia alla quale il paziente è stato sottoposto: nella medicina salvavita l’unica parte che è veramente importante per fornire questa prova è la dimostrazione di un percorso terapeutico coerente, anche se non necessariamente il migliore, e comunque sempre frutto di valutazione delle evidenze e conseguenti decisioni. Esistono e sono ammesse in medicina anche le opinioni differenti, e sono tutte difendibili, a meno che, sia chiaro, un medico non voglia salvare dal cancro un paziente con la danza della pioggia. La competenza specifica dell’operatore, la compliance del paziente sono addirittura irrilevanti negli interventi salvavita. La documentazione clinica, l’adeguatezza, l’opportunità terapeutica sono importanti ma non dirimenti. L’unica parte dirimente è quindi la prova documentale che i medici si sono applicati su quel paziente, hanno valutato l’evidenza e preso le decisioni secondo la loro preparazione ed all’interno del contesto nel quale operavano. I medesimi criteri valutativi in ordine all’adempimento diventano invece tutti importanti e coprotagonisti se il giudizio ha ad oggetto un evento avverso occorso in occasione di interventi e terapie volti “al maggior benessere”, e quindi non salvavita. La severità nella valutazione delle competenze dell’operatore e della struttura diventa massima, perché – dal momento che non è in gioco la sopravvivenza del paziente – se si ritiene di non avere sufficienti capacità o struttura o ci si astiene dal curare, oppure, se lo si fa ugualmente, ci si assume in primis la responsabilità di averlo fatto. Ecco perché in questo campo alcune difese tecniche – valide se parliamo di salvavita, controproducenti se parliamo di benessere – non solo sono inconferenti, ma rischiano di apparire dall’esterno addirittura grottesche! La difesa più comune fino ai primi anni 2000 in materia di omissioni diagnostiche per malformazioni fetali era basata sul fatto che era nota l’inutilità dell’ecografia morfologica nelle gestanti ai fini della prevenzione. La situazione imbarazzante che emergeva dagli atti era perciò che un profesResponsabilità Medica 2018, n. 1

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sionista che aveva eseguito sei ecografie morfologiche “di controllo” (magari a 300 euro l’una) ad una gestante in regime di solvenza, si difendeva nella causa per nascita di feto malforme dichiarandone con forza l’inutilità! E questo a fronte di una richiesta basata sulla lesione del diritto alla maternità responsabile in una donna che aveva affrontato il percorso “di controllo” proprio per essere tranquillizzata sulla normalità della gestazione. La decisione di ciascuna di queste vertenze, inevitabilmente, è stata in punto an condannatoria in modo perfettamente prevedibile, e spesso anche condivisibile.

6. Responsabilità e danno dopo la legge Gelli-Bianco Il contesto per alcuni aspetti nuovo nel quale ci troviamo dunque ha per noi oggi un valore simile rispetto a quando, un anno fa, chiedevano agli assicuratori ed all’ANIA che cosa ne pensassero della legge Gelli-Bianco. Non c’è dubbio che allora come oggi, a nessun assicuratore possa piacere l’azione diretta prevista all’art. 12 al pari della Rc Auto, ma una volta diventata legge (ed ora lo è) questa diventa certezza e quindi valutabile e gestibile con gli strumenti del risk management indipendentemente dalla sua condivisibilità. Tralasciando perciò ogni questione relativa al gradimento delle norme di legge, diventa certamente più importante sottolineare i fattori di criticità, che in definitiva, per l’assicuratore, coincidono con i fattori di incertezza. Ed in questa legge, elementi di incertezza applicativa si rinvengono senz’altro nel doppio binario, per i motivi già esposti, e per il fatto che la responsabilità moderna travalica questa distinzione così netta, avendoci ormai abituati a vedere azionate nella realtà tutt’altre leve rispetto ad una superata visione bipartita. Un secondo elemento critico emerge dal criterio di cui all’art. 5 della legge, che disegna un ruolo per le “linee guida” che presuppone una univocità ed una certezza che fa scintille rispetto alla loro sovrapproduzione ed al frequente contrasto che emerge tra scuole cliniche diverse: difficile


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credere alla loro efficacia in senso deresponsabilizzante5. Peraltro viene da domandarsi cosa succederebbe se un idraulico, dopo aver realizzato un impianto e dopo aver incassato il pagamento, sostenesse in causa che non è tenuto al risarcimento in caso di danno per il solo fatto che lui ha pedissequamente rispettato le istruzioni! Tutti sanno che se per fare un impianto bastasse solo rispettare pedissequamente le istruzioni, saremmo tutti idraulici… Chiaramente, l’incarico all’idraulico è stato conferito anche sul presupposto che fosse capace di fare meglio e di più rispetto al semplice seguire pedissequamente le istruzioni, come ad esempio applicarle cum grano salis! La lotta alla “medicina difensiva”, che è il presupposto dichiarato di questa legge, diventa così un affastellare di fatti e provvedimenti che tra loro sono privi di collegamenti esperienzialmente fondati: ai medici non è stato dato di sapere – forse anche perché i risk managers non sono stati sufficientemente chiari – che la cosa peggiore che si possa fare di fronte a un paziente è prescrivere esami e diagnostica a “tutto tondo”. Nella responsabilità contrattuale – o meglio moderna – un comportamento del genere costituisce di per sé prova del non corretto adempimento, poiché è fatto noto che in ogni attività professionale il corretto adempimento parte dall’esame delle evidenze (siano esse una situazione fiscale o una malattia rara) per poi procedere per ipotesi, e così via sino alla soluzione o a nuova ipotesi. Qualsiasi opinione scientificamente plausibile è difendibile, ed alla medicina legale, che si domanda quali regole responsabilistiche alla luce della legge Gelli-Bianco debba applicare, forse i gestori del rischio e gli operatori dovrebbero rispondere esortandoli a preoccuparsi in primis di fare una buona sinossi del caso, affinché i non medici possano essere in grado di capire appieno la storia che raccontano i documenti. Ad una compiuta e ragionata sinossi di cosa è stato fatto, quali erano le evidenze, quali decisioni emergono come documentate, seguirà in un contesto multi-

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disciplinare come necessariamente deve essere la trattazione della responsabilità professionale, una valutazione non medica, ma giuridica. Va rammentato in ogni caso che in questo momento sono l’over treatment e l’over diagnosis le principali fonti di responsabilità: in questi giorni il figlio più piccolo di un amico verrà sottoposto ad intervento chirurgico con apposizione di viti in entrambi i piedi, e questo perché a 11 anni gli è stata diagnosticata una patologia che rende necessario intervenire. La patologia identificata è conosciuta comunemente come “piedi piatti” (patologia che non ha mai impedito al piccolo Pietro di correre in bici, giocare a calcio e non stare mai fermo…) e personalmente non sono convinto che avesse una situazione così grave da comportare la chirurgia, ma ovviamente suo padre la pensa diversamente, e la sua decisione è maturata in base alle indicazioni fornite da un chirurgo specialista! Tuttavia, se nulla può argomentare un risk manager sulla correttezza della diagnosi e della terapia chirurgica proposta ed eseguita, per certo può anticipare l’inquadramento giuridico in caso di esito invalidante e non risolutivo della chirurgia in un quadro come quello descritto... Meritano un cenno a parte, infine, i cambiamenti sui comportamenti dei quali la legge si fa portatrice, primi tra tutti il procedimento ex art. 696 bis c.p.c., che in un contesto di utilizzo sempre maggiore trova certamente anche nella legge Gelli-Bianco un conforto utile ed auspicabile. All’aspetto positivo – perché abbrevia i tempi e crea spesso un terreno favorente gli accordi stragiudiziali – di cui sopra non può purtroppo sommarsi l’altra attesa dei promotori della nuova norma in ordine all’incertezza nel contenzioso, che erano certi che il doppio binario di responsabilità avrebbe invertito il passo della litigiosità in ambito MedMal. Ad oggi, non è possibile fare altro se non rilevare un ulteriore fattore di complessità, e l’assenza di motivi per i quali attendersi un’inversione di tendenza. Quanto all’hospital risk management, sebbene la legge non abbia innovato di molto le statuizioni contenute nella precedente legge Balduzzi, non si può negare come le strutture, i clienti e tutti i potenziali assicurati in questo ambito abbiano in-

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nalzato notevolmente la loro attenzione su questi temi, nei quali tutti gli assicuratori credono molto. Ora che comunque il dado è tratto, e la giurisprudenza ha iniziato nemmeno troppo lentamente a colmare le lacune dell’impianto voluto dalla legge Gelli-Bianco, non resta che augurarsi che anche il legislatore ponga mano al testo vigente, risolvendo alcune zone d’ombra che è auspicabile non debbano attendere il consolidarsi di nuovi orientamenti giurisprudenziali: per tutti, il superamento delle “analoghe misure” come alternativa rispetto all’assicurazione, dove basterebbe prendere coscienza che l’“auto assicurazione” non esiste, e che “autoassicurato” vuol dire semplicemente “non assicurato”. È auspicabile che le indicazioni previste nei cd “decreti attuativi” non debbano riguardare solo i requisiti minimi di assicurazione, ma anche (forse soprattutto) quali dati siano negoziabili tra le parti, perché se è vero che una buona polizza deve necessariamente contenere alcune garanzie e deve avere una certa capienza, è anche vero che ogni assicurato deve potersi dotare di polizze che rispondano alla sua propensione al rischio ed alla sua capacità economica. I requisiti minimi rispondono quindi solo all’esigenza di tutela del terzo (che certamente non è poco, soprattutto se viene rimossa ogni alternativa priva di uguali garanzie), mentre la tutela dell’assicurato e la prevenzione delle possibili liti contrattuali passano attraverso l’indicazione dei margini di negoziabilità che favoriscano personalizzazioni virtuose, impedendo tuttavia che si confondano tra loro “lo sconto” (acquisto di un bene ad un prezzo vantaggioso) e un prezzo troppo basso (ed allora è certo che il bene non è lo stesso). La determinazione ex lege del danno patrimoniale sarebbe in questo momento un fattore molto più importante della promessa “tabella unica” del danno non patrimoniale su cui con un po’ di ritardo la legge ha puntato l’attenzione. Nelle macrolesioni il contesto è oggi molto differente, e la differenza quantificatoria che una tabella unica apporterebbe anche ad un 100% di invalidità cambierebbe il valore di questa partita da € 1,2 o 1,4 milioni, a fronte di partite di danno patrimoniale liquidate per € 2 milioni che fino a Responsabilità Medica 2018, n. 1

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qualche anno fa non avevano alcuna valorizzazione! La corresponsione di somme così elevate sul danno emergente trova infatti spiegazione nella sfiducia talmente diffusa verso il Servizio Sanitario Nazionale da essere diventata “fatto noto”. Non è un mistero che oggi siano ben pochi quelli che ritengano il SSN adeguato alle esigenze di un macro leso: ancora una volta, quindi, una variazione di “contesto”, ed ancora una volta il legislatore è in ritardo rispetto a ciò che la giurisprudenza ha rilevato e consolidato da anni. Venti anni fa nessun paziente chiedeva, e nessun giudice concedeva, 2 o 3 milioni di euro come danno patrimoniale emergente: oggi invece sono la regola, mentre il legislatore si è fermato alla soluzione della tabella unica nazionale, la cui incidenza sulle quantificazioni vale per le macrolesioni non più del 15% di quella singola voce. Tornando al tema dell’an, sarebbe auspicabile una revisione semplificativa delle regole di responsabilità: l’apparente categoricità della bipartizione responsabilità della struttura – responsabilità del medico delineata nella legge Gelli-Bianco trova un limite già nella sua formulazione, nella quale – ad esempio – si afferma che anche quella del medico è una responsabilità di tipo contrattuale. É possibile, anche probabile, che la locuzione “se viene provato il rapporto contrattuale diretto con il paziente” significherà nella sua applicazione reale: “se viene provato il rapporto fiduciario”, ed in tal caso sarebbe utile rammentare a molti che anche all’interno del Servizio Sanitario Nazionale ci si rivolge spesso a medici di cui ci si fida, che a volte hanno visitato i pazienti già prima del loro accesso alle cure (e spesso al di fuori della struttura). In tutti questi casi, che la responsabilità possa essere contrattuale o meno dipenderà – volta per volta e nel singolo caso – dalla prova di molte circostanze che rendono tutt’altro che certa la bipartizione!

7. Conclusioni Il percorso che porterà al riordino della responsabilità professionale medica è certamente lungo, e vede nella novella del 2017 un passaggio nemmeno troppo rilevante, soprattutto se posto


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in relazione alla macroscopicità dei temi ancora da affrontare. Indipendentemente dalle sorti di questa legge, tuttavia, e di ogni altro intervento per modificare in corsa le regole pur di arginare un fenomeno che ancora si ritiene transitorio e ingiusto, forse è utile ricorrere a un paio di riflessioni “di sistema” e non solo di regole. La prima mi viene sollecitata dall’incipit di un articolo scritto per “Mondo Salute Lombardia” da una mia carissima amica: “l’inciampo va riconosciuto perché conduca alla saggezza”6. Se non ci si rende conto che certi comportamenti, pur dopo aver ben curato, determinano responsabilità, si arreca un danno al sistema e addirittura al paziente, perché nessun danneggiato anche se risarcito esce da questo percorso soddisfatto. Occorre lavorare sulla consapevolezza, o meglio la coscienza di ciò che è danno e ciò che non lo è, mettendo in gioco anche comunicazione e relazione. La seconda nasce dalla convinzione che sia necessario, in primis per chi opera nel contesto sanitario, un impegno per migliorare, oltre le parole, oltre la conoscenza, il nostro rapporto con il contesto in cui viviamo e le persone con le quali veniamo a contatto professionalmente. Bernard Shaw diceva: “la differenza fra coinvolgimento (e di semplici coinvolgimenti ne abbiamo già avuti troppi) e impegno è come una colazione a base di uova e bacon, la gallina è coinvolta, il maiale è impegnato”.

Sorgente, Basile, Inserto speciale dedicato alla Legge n. 24/2017, in Mondo Salute Lombardia, 2017, XLII. 6

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s i r Giurisprudenza iu g den u r p Giurisprudenza

Cass. civ., III sez., 31.10.2017, n. 25849 Cassa App. Brescia, 19.08.2014, n. 1005

Responsabilità civile – Professionisti – Medici – Interruzione gravidanza – Onere della prova – Danneggiato – Criteri di accertamento – Praesumptio hominis – Sussiste (c.c., artt. 2043, 2697; l. 22 maggio 1978, n. 194, art. 6)

In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà di interrompere la gravidanza – ricorrendo le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue progressive manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale. Il testo integrale della sentenza è leggibile sul sito della Rivista

Omissione informativa e la chance perduta di abortire Maria Fontana Vita della Corte Dottore di ricerca

Sommario: 1. Il fatto. – 2. Onus probandi e il ricorso alle presunzioni. – 3. La perdita della chance di abortire è un danno risarcibile?

Abstract: Nelle ipotesi di omesso accertamento ecografico di una rilevante anomalia fetale, spetta al genitore che agisce per il risarcimento del danno anche da perdita di chance dimostrare, attraverso presumptio hominis, la volontà abortiva della gestante ricorrendo le condizioni di legge. In civil proceedings for malpractise, when an incorrect diagnostic examination has precluded the possibility to discover a serious malformation in fetus, the compensation for the loss of the chance to abort may be allowed only if the pregnant proves serious health damage through presumptions.

1. Il fatto È ancora una volta un caso di danno da wrongful birth1 ad impegnare l’attenzione della Terza

Comunemente, nella categoria dei danni da nascita indesiderata, rientrano fattispecie diverse: a quella di omessa diagnosi prenatale in rilievo nella pronuncia in commento (cfr. ex plurimis, Cass., 29.7.2004, n. 14488, con nota di M. Gorgoni, La nascita va accettata senza «beneficio di inventario»?, in Resp. civ. e prev., 2004, 1348; con nota di Franzoni, Errore medico, diritto di non nascere, diritto di nascere sano, in La resp. civ., 2005, 486 ss.; con nota di Rizzieri, La responsabilità del ginecologo per non aver accertato che il nascituro era affetto da patologia invalidante, in Ragiusan, 2006, 264 ss.; 1

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Sezione Civile della Corte di cassazione. La sentenza in epigrafe viene, infatti, emessa a seguito di un giudizio risarcitorio promosso dai genitori di un bambino nato malformato nei confronti dell’azienda ospedaliera presso cui era stata eseguita un’ecografia morfologica alla ventunesima settimana senza rilevare, colpevolmente, patologie invalidanti al 100% agli arti superiori del nascituro. I genitori lamentano in giudizio che

con nota di Liserre, Mancata interruzione della gravidanza e danno da procreazione, in Corr. giur., 2004, 1431 ss.; con nota di Bitetto, Il diritto “a nascere sani”, in Foro it., 2004, I, 3327; con nota di Feola, Wrongful life: a chi spetta il risarcimento del danno?, in Fam. e dir., 2004, 559; con nota di Feola, Essere o non essere: la Corte di Cassazione e il danno prenatale, in Danno e resp., 2004, 379; Cass., 13.7.2011, n. 15386, in Il civilista, 2011, 12; con nota di Valore, Nota a Corte di Cassazione, 13 luglio 2011, n. 15386, sez. III, in Giust. civ., 2012, 406 ss.; nel merito: Trib. Monza, 27.2.2008, con nota di della Corte, Diagnosi prenatale ed autodeterminazione procreativa, in Resp. civ. e prev., 2008, 1846 ss.), si aggiungono l’ipotesi di errata esecuzione dell’intervento di interruzione di gravidanza (cfr. Trib. Cagliari, 23.2.1995, con nota di Orrù, Sulla responsabilità medica per mancata interruzione della gravidanza, in Nuova giur. civ. comm., 1995, 1107 ss.; Trib. Bari, 13.10.2009, n. 3032, in Giur. merito, 2010, 1809 ss.), quella di errato intervento di sterilizzazione (cfr. Cass., 24.10.2013, n. 24109, in Giust. civ., 2011, 2917 ss.; Trib. Tolomezzo, 7.6.2011, in Fam. e dir., 2012, 272 ss.) o vasectomia (cfr. Trib. Milano, 20.10.1997, con nota di M. Gorgoni, Intervento di vasectomia non riuscito e genitorialità indesiderata: problemi di qualificazione della responsabilità medica e di qualificazione e quantificazione dei danni connessi alla nascita del figlio, in Resp. civ. e prev., 1998, 1144; con nota di Bona, Filiazione indesiderata e risarcimento del danno da “bambino non voluto”, in Danno e resp., 1999, 82 ss.) e, più di recente, l’ipotesi della paternità non voluta per rapporti sessuali non protetti (cfr. Cass., 22.6.2017, n. 15544, in Dir. e giust.). A differenza delle ultime fattispecie, nelle quali la responsabilità del sanitario viene in rilievo per il mancato raggiungimento del risultato, il danno da omessa diagnosi presenta maggiori difficoltà in termini di prova in quanto occorre dimostrare l’inadempimento informativo, la ricorrenza dei presupposti di cui alla legge n. 194/1978 per abortire e l’intenzione di interrompere la gravidanza se non vi fosse stata l’omissione del sanitario. Per approfondimenti giurisprudenziali e dottrinali sui vari aspetti riguardanti i “danni da procreazione” per intempestiva diagnosi prenatale si rimanda a della Corte, Osservatorio di giurisprudenza in tema di “danno da nascita indesiderata”, in Resp. civ. e prev., 2017, 1539; Favilli, Il danno non patrimoniale da c.d. nascita indesiderata, in Navarretta (a cura di), Il danno non patrimoniale. Principi, regole e tabelle per la liquidazione, Milano, 2010, 493 ss.

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Giurisprudenza

tale errore diagnostico e la conseguente omessa informazione hanno impedito loro di esercitare legittimamente l’interruzione della gravidanza con gravi ripercussioni sul piano psichico e sulla qualità della vita. Il giudice di prime cure accoglie la domanda risarcitoria limitandola, sulla base delle prove acquisite, al solo danno da perdita di chance, quale lesione alla possibilità di scegliere liberamente, tra due alternative possibili, quella meno dolorosa. La pronuncia viene però ribaltata in appello, ove viene escluso che le anomalie fetali riscontrate alla nascita siano, per natura e gravità, idonee a far ritenere provate in via presuntiva le condizioni legittimanti l’interruzione della gravidanza e la volontà abortiva della gestante. La Supr. Corte, in accoglimento del ricorso promosso dai genitori, cassa la sentenza appellata ammonendo i giudici di secondo grado di aver fatto malgoverno dei principi elaborati dalle sez. un. sul corretto impiego del ragionamento presuntivo per ottenere la prova, il cui onere incombe sui genitori che agiscono in giudizio, che la madre – ove correttamente informata – avrebbe optato per l’aborto terapeutico ricorrendo le condizioni di legge, gravando sul sanitario la prova contraria. Gli Ermellini colgono quindi l’occasione di precisare che, in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata per procedere mediante presunzioni non occorre analizzare la tipologia o la gravità della malformazione per inferire il grave pregiudizio alla salute della gestante e la sua volontà di abortire. L’art. 6 lett. b) della l. n. 194 del 1978 richiede solo, quale condizione per consentire l’aborto decorsi 90 giorni dall’inizio della gravidanza, che l’anomalia genetica – anche ove non incidente sulle capacità intellettive del nascituro – sia rilevante, ossia idonea a determinare un pericolo grave per la salute fisica o psichica della partoriente. Quanto ai danni risarcibili, conseguenti alla condotta omissiva del sanitario convenuto, la Cassazione riapre le porte al danno da perdita di chance individuando nella lesione del diritto della donna di scegliere se continuare o meno la gravidanza il pregiudizio da risarcire, come già ravvisato dal giudice di primo grado.


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La perdita della chance di abortire

2. Onus probandi e il ricorso alle presunzioni Il ragionamento da cui prende le mosse la sentenza in commento è quello di inquadrare correttamente le regole probatorie da applicare nelle fattispecie di responsabilità da nascita indesiderata per comportamento omissivo del sanitario, come quella offerta in esame. Ancora una volta la Cassazione conferma l’oramai consolidato orientamento giurisprudenziale2

Innanzi all’esponenziale crescita del numero dei giudizi risarcitori intentati nei confronti dei sanitari colpevoli di aver precluso alla gestante l’esercizio del suo diritto ad abortire in caso di omessa diagnosi di malformazioni fetali, nelle corti ha iniziato a prevalere un atteggiamento più cauto, che ripudia l’idea di inferire in maniera automatica dall’inadempimento informativo da parte del medico il diritto della donna di abortire senza che venga fornita la prova della sussistenza delle condizioni legittimanti, ai sensi degli artt. 6 e 7 l. n. 194/1978, l’interruzione della gravidanza. Tale orientamento è stato inaugurato da Cass., 14.7.2006, n. 16123, con nota critica di Liserre, Ancora in tema di mancata interruzione della gravidanza e danno da procreazione, in Corr. giur., 2006, 1691 ss.; con nota di M. Gorgoni, Responsabilità per omessa informazione delle malformazioni fetali, in Resp. civ. e prev., 2007, 56 ss.; con nota di Carbone, Ammissibilità del c.d. aborto eugenetico, in Corr. giur., 2006, 1209; con nota di Lubelli, Brevi note sul diritto a non nascere, in Giur. it., 2007, 1921 ss. Conferme in Cass., 2.2.2010, n. 2354, in Giust. civ. Mass., 2010, 151 ss. e con nota di Simone, Nascite dannose: tra inadempimento (contrattuale) e nesso causale (extracontrattuale), in Danno e resp., 2011, 384 ss.; Cass., 10.11.2010, n. 22837, con nota di Palmerini, Il “sottosistema” della responsabilità da nascita indesiderata e le asimmetrie con il regime della responsabilità medica in generale, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 464 ss.; Cass., 13.7.2011, n. 15386, cit.; Cass., 2.10.2012, n. 16754, con nota di M. Gorgoni, Dalla sacralità della vita alla rilevanza della qualità della vita, in Resp. civ. e prev., 2013, 148; con nota di Giacobbe, Sul miserabile ruolo del diritto… non altro. Non oltre. Ovvero degli itinerari della giurisprudenza normativa, in Dir. fam. e pers., 2013, 120 ss.; con nota di Cricenti, Il concepito e il diritto di non nascere, in Giur. it., 2013, 796 ss.; con nota di Monateri, Il danno al nascituro e la lesione alla maternità cosciente e responsabile, in Corr. giur., 2013, 45 ss.; Cass., 31.7.2013, n. 18341, in Contratti, 2013, 897 ss.; Cass., 16.12.2014, n. 26373, in Guida al dir., 2015, 8, 52 ss.; soprattutto Cass., sez. un., 22.12.2015, n. 25767, con nota di M. Gorgoni, Una sobria decisione “di sistema” sul danno da nascita indesiderata, in Resp. civ. e prev., 2016, 162 ss.; con nota di Franzoni, Riflessioni a margine della sentenza sul «diritto a nascere sani», in Resp. civ. e prev., 2016, 1462 ss.; con nota di Piraino, Responsabilità civile - «I confini della responsabilità civile e la controversia 2

che richiede al genitore che promuove il giudizio risarcitorio, non solo la generica allegazione3 che

sulle malformazioni genetiche del nascituro: il rifiuto del c.d. danno da vita indesiderata», in Nuova giur. civ. comm., 2016, I, 450 ss.; con nota di Mazzoni, Vita e non vita in Cassazione. A proposito di Cass. n. 25767/2015, in Nuova giur. civ. comm., 2016, II, 461 ss.; con nota di Bona, Sul diritto a non nascere e sulla sua lesione, in Foro it., 2016, I, 494 ss.; con nota di Carusi, Omessa diagnosi prenatale: un contrordine … e mezzo delle Sezioni Unite, in Giur. it., 543 ss.; con nota di Bilò, Nascita e vita indesiderata: i contrasti giurisprudenziali all’esame delle Sezioni Unite, in Corr. giur., 2016, 41 ss.; con nota di Cacace, L’insostenibile vantaggio di non essere nato e la contraddizion che nol consente, in Danno e resp., 2016, 346 ss. In dottrina l’argomento è stato approfondito da Pucella, Causalità e responsabilità medica: cinque variazioni del tema, in Danno e resp., 2016, 821 ss.; della Corte, Nascita indesiderata per omessa diagnosi: onere probatorio, interesse leso e danno risarcibile, in Resp. civ. e prev., 2013, 1506 ss. Inizialmente la giurisprudenza si è orientata verso il più agevole meccanismo di ripartizione dell’onere della prova, affermatosi a seguito della qualificazione in termini forzatamente contrattuali della responsabilità medica: tutte le volte in cui la gestante avesse allegato la propria volontà abortiva, si potevano ritenere sussistenti, secondo l’id quod plerumque accidit, le condizioni di cui agli artt. 4 e 6 della l. n. 194/1978, ove informata della presenza delle anomalie fetali. In tal senso: Cass., sez. un., 30.10.2001, n. 13533, con nota di Mariconda, Inadempimento e onere della prova: le Sezioni Unite compongono un contrasto e ne aprono un altro, in Corr. giur., 2001, 1565 ss; con nota di Laghezza, Inadempimento e onere della prova: le Sezioni Unite e la difficile arte del rammento, in Foro it., 2002, I, 1, 769 ss.; con nota di Palmerini, La responsabilità medica e la prova dell’inesatto adempimento, in Nuova giur. civ. comm., 2004, I, 783 ss.; con nota di Visintini, La Suprema Corte interviene a dirimere un contrasto tra massime (in materia di onere probatorio a carico del creditore vittima dell’inadempimento), in Contr. e impr., 2003, 903 ss.; Cass., 10.5.2002, n. 6735, con nota di Gorgoni, Il contratto tra la gestante ed il ginecologo ha effetti protettivi anche nei confronti del padre, in Resp. civ. e prev., 2003, 134 ss.; con nota di Simone, Nascita indesiderata: il diritto alla scelta preso sul serio, in Foro it., 2002, I, 3120 ss.; con nota di De Matteis, La responsabilità medica per omessa diagnosi prenatale: interessi protetti e danni risarcibili, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 630 ss.; con nota di Poncibò, La nascita indesiderata tra Italia e Francia, in Giur. it., 2003, 884 ss.; Cass., 4.3.2004, n. 4400, con nota di Feola, Il danno da perdita di chances di sopravvivenza o guarigione è accolto in Cassazione, in Danno e resp., 2004, 45 ss.; con nota di Citarella, Errore diagnostico e perdita di chance in Cassazione, in Resp. civ. e prev., 2004, 1045 ss.; con nota di Viti, Responsabilità medica: tra perdita di chances di sopravvivenza e nesso di causalità, in Corr. giur., 2004, 1018 ss.; con nota di Lisi, Diagnosi errata e chance perduta, in 3

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la partoriente si sarebbe avvalsa della possibilità di abortire, se opportunamente informata, ma la dimostrazione di tale volontà e ciò perché, in ossequio al principio di vicinanza della prova4, è la gestante l’unico soggetto in grado di poter provare sia le condizioni richieste dalla l. n. 194/1978 (artt. 4 e 6) che la sua intenzione di non portare a termine la gravidanza. Sono oramai lontani i tempi in cui l’accertamento dell’intenzione abortiva non era necessario per accogliere la richiesta risarcitoria, ritenendo l’errore del medico idoneo di per sé a stroncare sul nascere la possibilità della gestante di autodeterminarsi precludendole l’esercizio di una facoltà stabilita dalla legge. La tendenza era quella di ritenere corrispondente a regolarità causale che la donna, messa a conoscenza delle anomalie ge-

Contratti, 2004, I, 1091 ss.; Cass., 21.6.2004, n. 11488, con nota di Di Majo, Mezzi e risultato nelle prestazioni mediche: una storia infinita, in Corr. giur., 2005, 33 ss.; con nota di De Matteis, La responsabilità medica ad una svolta?, in Danno e resp., 2005, 23 ss.; Cass., 13.4.2007, n. 8826, con nota di M. Gorgoni, Le conseguenze di un intervento chirurgico rivelatosi inutile, in La Resp. civ., 2007, 1824 ss.; con nota di Pucella, I difficili assetti della responsabilità medica. Considerazioni in merito a Cass. 8826/2007 e 14759/2007, in Nuova giur. civ., 2007, II, 20445; Cass., 8.10.2008, n. 24791, in Mass. Giust. civ., 2008, 1448 ss. Le ricadute dell’adesione all’opzione contrattualistica sul riparto probatorio sono state oggetto di approfondimento, ex plurimis, in De Matteis, La responsabilità sanitaria tra tendenze giurisprudenziali e prospettive de iure condendo, in Contr. e impr., 2009, 542 ss.; Zeno-Zencovih, Una commedia degli errori? La responsabilità medica fra illecito e inadempimento, in Rass. dir. civ., 2008, I, 297 ss. Il principio della vicinanza della prova è stato specificatamente applicato nel campo della responsabilità medica da wrongful birth a partire da Cass., 27.4.2010, n. 10060, in Mass. Giust. civ., 2010, 619 ss. con conferme in Cass., 10.12.2013, n. 27528, in Giur. it., 2014, 1585 ss. con nota di Coppo, La prova del nesso nei giudizi di responsabilità per omessa diagnosi. Interessante utilizzo del criterio in questione nella più recente giurisprudenza di merito: App. Bologna, 20.3.2017; Trib. Roma, 21.3.2017, n. 5558; Trib. Roma, 4.4.2017, n. 6668 e Trib. Palermo, 5.7.2017, n. 3612, tutte consultabili all’indirizzo: www.rivistaresposanbilitamedica.it. Per approfondimenti dottrinali si rimanda a: Franzoni, La «vicinanza della prova», quindi…, in Contr. e impr., 2016, 360 ss.; Petruzzi, Danno da nascita indesiderata e omessa diagnosi: prova del nesso causale, in Danno e resp., 2014, 1062 ss.; Barbarisi, Onere di allegazione e prova liberatoria nella responsabilità sanitaria, in Danno e resp., 2012, 890 ss. 4

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Giurisprudenza

netiche nel feto, avrebbe optato per l’interruzione della gravidanza. Tale orientamento non richiedeva alcuna verifica né della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge che giustificavano l’IVG né della concreta intenzione di abortire, una volta comunicata la malformazione, presumendo entrambi5. Solo nell’ipotesi in cui il sanitario avesse dimostrato in modo certo che, pur informata, la donna avrebbe proseguito la gravidanza (c.d. fatto negativo)6, diveniva necessario stabilire, sulla base del criterio del “più probabile che non”7, se,

Cfr. Cass., 14.7.2006, n. 16123, cit., con nota critica di M. Gorgoni, Responsabilità per omessa informazione delle malformazioni fetali, cit., 56 ss. 5

La difficoltà per il sanitario di fornire una simile prova è stata evidenziata da Bitetto, Wrongful birth: diritti dei genitori e assistenza tempestiva al figlio disabile, in Danno e resp., 2005, 179 ss. (nota a Trib. Reggio Calabria, 31.3.2004) e da Nocco, Il “sincretismo” causale e la politica del diritto: spunti dalla responsabilità sanitaria, in termini di “probatio diabolica”, Torino, 2010. 6

L’applicazione del criterio del “più probabile che non” per l’accertamento del nesso causale nei giudizi risarcitori da nascita indesiderata si è affermato a partire da Cass., 21.6.2004, n. 11488, cit., in ragione della circostanza per cui «l’omessa rilevazione della presenza di gravi malformazioni nel feto e la correlativa mancata comunicazione di tale dato alla gestante, debba essere ritenuta circostanza idonea a porsi in rapporto di causalità con il mancato esercizio della facoltà di interrompere la gravidanza. Infatti, si ritiene rispondente ad un criterio di regolarità causale che la donna, ove adeguatamente e tempestivamente informata della presenza di una malformazione atta ad incidere sull’estrinsecazione della personalità del nascituro, preferisca non portare a termine la gravidanza». Successivamente, il ricorso al criterio in questione è stato avallato da Cass, 11.5.2009, n. 10743, in Resp. civ. e prev., 2009, 759 ss.; Cass., 10.11.2010, n. 22837, cit.; Cass., 2.2.2010, n. 2354, cit.; Cass., 9.6.2011, n. 12856, in Giust. civ., 2013, 782 ss.; Cass., 21.7.2011, n. 15991, con nota di Miotto, La Cassazione torna sul concorso di cause umane e cause naturali e butta il bambino con l’acqua sporca, in Resp. civ. e prev., 2011, 2496. Più di recente in Cass., sez. un., 22.12.2015, n. 25767, cit.; e Cass., 9.9.2016, n. 11789, con nota di della Corte, I criteri di accertamento del nesso di causalità nell’illecito omissivo: “il più probabile che non spazza via ogni certezza”, in questa Rivista, 2017, 135 ss. Applicazioni del suddetto criterio nella giurisprudenza di merito più recente, in App. Campobasso, 16.2.2017, in Mass. red., 2017; Trib. Taranto, 3.5.2017, in Mass. red., 2017. In dottrina si segnalano i contributi di Capecchi, Il nesso di causalità. Da elemento della fattispecie “fatto illecito” a criterio di limitazione del risarcimento del danno, Padova, 2005; Tassone, La ripartizione di responsabilità nell’illecito civile. Analisi giuseconomica e comparata, Napoli, 2007; Pucella, La causalità 7


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La perdita della chance di abortire

in caso di informazione corretta da parte del medico, la gestante avrebbe subito un pericolo grave per la sua salute fisica o psichica inducendola a non continuare la gravidanza. Abbandonato tale meccanismo di presunzione generalizzata a favore dell’esigenza di accertare il nesso causale tra omissione informativa e lesione del diritto di abortire, resta a carico di parte attrice l’onere di allegare e dimostrare8, con riferimento al caso concreto, la sussistenza delle condizioni legittimanti l’aborto, ossia che la conoscibilità della diagnosi infausta avrebbe generato nella gestante uno stato patologico tale da mettere in serio pericolo la sua salute psico-fisica, determinandola ad abortire. Ma, come si è già avuto modo di precisare9, tale onere viene reso meno gravoso attraverso il ri-

corso alla praesumptio hominis10 nell’accezione espressamente riconosciuta dalle sez. un. del 2015, cui la pronuncia in commento fa esplicito richiamo. Pertanto, ogni qualvolta la volontà di interrompere la gravidanza in presenza di anomalie fetali non sia stata espressamente manifestata al momento dell’istanza diagnostica, la mera richiesta di eseguire esami volti ad indagare la presenza di malformazioni genetiche (fatto noto) ha solo valore di presunzione semplice11 che va arricchita di ulteriori elementi del caso concreto12, introdotti in giudizio dalla gestante, idonei a consentire di inferirne la sua volontà abortiva (fatto ignoto), ricorrendo i presupposti richiesti dalla legge n. 194/1978. Il giudice è, dunque, chiamato a desumere caso per caso, senza ricorrere a generaliz-

“incerta”, Torino, 2007, 165 ss.; Pucella, De Santis, Il nesso di causalità: profili giuridici e scientifici, Padova, 2007; Nocco, Il “sincretismo” causale e la politica del diritto: spunti dalla responsabilità sanitaria, in termini di “probatio diabolica”, cit.; Napoli, Il nesso causale come elemento costitutivo del fatto illecito, Napoli, 2012.

10

Sin da Cass., 8.7.1994, n. 6464, con nota di M. Gorgoni, Il diritto di programmare la gravidanza e risarcimento del danno da nascita intempestiva, in Resp. civ. e prev., 1994, 1029 ss.; con nota di Batà, Responsabilità del medico, omissione di informazione e danno risarcibile per mancata interruzione di gravidanza, in Corr. giur., 1995, 91 ss.; e da Cass., 24.3.1999, n. 2793, con nota di M. Gorgoni, Interruzione volontaria della gravidanza tra omessa informazione e pericolo per la salute (psichica) della partoriente, in Danno e resp., 1999, 766 ss. Sostengono tale prospettazione, Cass., 4.1.2010, n. 13, con nota di Carbone, Responsabilità medica per la nascita di bambini malformati, in Corr. giur., 2010, 163; con nota di Partisani, Il danno esistenziale del padre da nascita indesiderata, in La resp. civ., 2010, 587 ss.; con nota di Fortino, La prevedibile resurrezione del danno esistenziale, in Resp. civ. e prev., 2010, 1027; Cass., 2.2.2010, n. 2354, cit.; Cass., 10.11.2010, n. 22837, cit.; Cass., 13.7.2011, n. 15386, cit.; Cass., 22.3.2013, n. 7269, con nota di della Corte, Nascita indesiderata per omessa diagnosi: onere probatorio, interesse leso e danno risarcibile, cit., 1506 ss.; con nota di Pucella, Legittimazione all’interruzione della gravidanza, nascita “indesiderata” e prova del danno, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, 1082; con nota di C. Amato, Omessa diagnosi prenatale: regime dell’onere probatorio e rilevanza dell’obbligo informativo, in Fam. e dir., 2013, 1095. 8

Il riferimento è a della Corte, Nascita indesiderata e aborto terapeutico: l’indefettibile presupposto del grave pericolo per la salute della gestante, in questa Rivista, 2017, 511 ss. 9

Il frequente utilizzo delle presunzioni in ambito sanitario, sebbene criticato da parte della dottrina (cfr. M. Gorgoni, Gli obblighi sanitari attraverso il prisma dell’onere della prova, in Resp. civ. e prev., 2010, 669 ss.; Paradiso, La responsabilità medica tra conferme giurisprudenziali e nuove aperture, in Danno e resp., 2009, 709 ss.), dopo Cass., sez. un., 22.12.2015, n. 25767, cit., è divenuto sempre più intenso in giurisprudenza. Da ultimo si ravvisano conferme nella giurisprudenza di legittimità con Cass., 20.3.2015, n. 5590, in Resp. civ. e prev., 2015, 1907; Cass., 16.2.2016, n. 2998, in Giust. civ. Mass., 2016; Cass., 31.3.2016, n. 6209, in Danno e resp., 2016, 781 ss. Nel merito, App. Roma, 28.7.2017, n. 5179, consultabile all’indirizzo: www.rivistaresponsabilitamedica.it e Trib. Palermo, 5.7.2017, in Quot. Giur., 2017. Precisa, a riguardo, il Trib. Bari, 12.7.2016, consultabile nella banca dati: Pluris cedam, che «la richiesta di accertamenti diagnostici non costituisce prova dell’intenzione di abortire nel caso in cui emergano delle anomalie al feto, essendo diverse le ragioni che “possono spingere la donna ad esigerli, e il medico a prescriverli, a partire dalla elementare volontà di gestire al meglio la gravidanza, pilotandola verso un parto che, per le condizioni, i tempi e il tipo, sia più consono alla nascita di quel figlio, quand’anche malformato”». 11

Si tratta di circostanze contingenti che emergono dai dati istruttori raccolti, tra cui “il ricorso al consulto medico funzionale alla conoscenza dello stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico – fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva” (cfr. Cass., sez. un., 22.12.2015, n. 25767, cit.), il precedente intervento di interruzione della gravidanza (Trib. Genova, 9.4.2016, consultabile nella banca dati: Pluris cedam). Sulla rilevanza delle circostanze fattuali che emergono dalla specificità del caso concreto v. Sacchetta, Negata l’esistenza del diritto a non nascere, in Guida al dir., 2016, 45 ss. 12

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zazioni di tipo statistico le conseguenti inferenze probatorie: escludendo ogni automatismo13. Ed è proprio su questo punto che la pronuncia in esame chiarisce il fraintendimento della Corte bresciana dei principi espressi dalle sez. un. sull’operatività del ragionamento presuntivo a carico del giudice di merito nei giudizi risarcitori da nascita indesiderata in cui sia stato pregiudicato il diritto della donna di scegliere se abortire o meno. Fermo ed impregiudicato che nel nostro ordinamento giuridico non è ammesso l’aborto c.d. eugenetico14, prescindente cioè dal serio o grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna e finalizzato solo a garantire la nascita non malformata, la sezione terza ritiene che erroneamente la Corte di merito abbia escluso il ricorso alle presunzioni per ottenere la prova della lesione della autodeterminazione procreativa della

Il rifiuto per ogni automatismo risarcitorio si è affermato già con Cass., 2.10.2012, n. 16754, cit., in ragione del fatto che la mera richiesta di un accertamento diagnostico costituisce «un indizio isolato … del fatto da provare (l’interruzione della gravidanza)», dal quale «il giudice di merito è chiamato a desumere caso per caso, senza il ricorso a generalizzazioni di tipo statistico», se «tale presunzione semplice possa essere sufficiente a provare quel fatto», non potendo pertanto riconoscersi una «automatica significazione richiesta di diagnosi = interruzione di gravidanza in caso di diagnosi di malformazioni». Conferme nelle sentenze immediatamente successive: Cass., 22.3.2013, n. 7269, cit.; Cass., 10.12.2013, n. 27528, cit.; Cass., 30.5.2014, n. 12264, con nota di Treccani, Omessa diagnosi – di malformazione del feto – e ripartizione degli oneri probatori, in Danno e resp., 2014, 1143 ss.; con nota di Vapino, La prova della volontà abortiva ai fini del risarcimento da nascita indesiderata, in Giur. it., 2015, 50 ss. Per il dibattito dottrinale sul tema dell’onere della prova, ex plurimis, v. Di Pentima, L’onere della prova nella responsabilità medica, Milano, 2007 e Sella, Wrongful life, in Cendon (a cura di), La prova e il quantum nel risarcimento del danno, Torino, 2014, 380 ss. 13

Diversi sono i contributi dottrinali dedicati all’analisi, anche critica, della legge n. 194/1978; tra i più recenti si segnalano: Fraccon, Relazioni familiari e responsabilità civile, Milano, 2003, 442 ss.; Benegiano, Aborti tardivi: drammi evitabili?, in Bioetica, 2007, 84 ss.; Vari, Considerazioni critiche sull’espressione secondo la quale il concepito «persona deve ancora diventare», in Studi in onore di Aldo Loiodice, Bari, 2012, 1170 ss. Per una compiuta rassegna si rimanda a della Corte, Nascita indesiderata e aborto terapeutico: l’indefettibile presupposto del grave pericolo per la salute della gestante, cit., 511 ss. (spec. note 17 e 18). 14

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Giurisprudenza

gestante, sulla base del rilievo che la tipologia di malformazione riscontrata nel feto (ossia la mancanza di arti superiori) non è connotata da gravità tale da incidere sull’espletamento di attività fisiche e psichiche del nato. Conseguentemente tale anomalia si rivela inidonea a far ritenere acquisito il presupposto liceizzante l’interruzione della gravidanza, rappresentato dal pregiudizio alla salute psico-fisica della gestante. A riguardo, la Supr. Corte ammonisce che per procedere mediante presunzioni non occorre valutare la tipologia o il grado di gravità della malformazione dacché secondo quanto previsto dalla legge sull’aborto è consentito interrompere la gravidanza, superati i 3 mesi dal suo inizio, solo per finalità terapeutiche, ossia per salvaguardare la donna dal grave pregiudizio alla sua integrità ove messa a conoscenza delle patologie fetali. Pertanto, ragionando in questi termini, non può escludersi che la tempestiva conoscenza dell’anomalia scheletrica nel feto integri il presupposto dei processi patologici gravi di cui all’art. 6 lett. b) legge n. 194/1978, solo perché trattasi di un’anomalia incidente sul compimento di attività fisiche e non anche sulle capacità intellettive del nascituro. Il giudice, chiamato ad effettuare un ragionamento ipotetico sulla base delle condizioni che esistevano al momento dell’omissione informativa secondo un giudizio di c.d. prognosi postuma15, deve

Si tratta in sostanza di appurare se la donna, al momento in cui fosse stata messa a conoscenza delle condizioni di salute del nascituro, avrebbe potuto esercitare il suo diritto all’interruzione di gravidanza in quanto tale informazione sarebbe stata in grado pregiudicare la sua salute psico-fisica: cfr. Cass., 29.7.2004, n. 14488, cit. Pertanto, l’insorgere di una patologia psichica nella madre a seguito del parto ha solo valore indiziario e lascia intendere che analoga reazione si sarebbe verificata anche durante la gestazione, se vi non vi fosse stato l’illecito omissivo: analogamente Cass., 14.7.2006, n. 16123, cit.; Cass., 11.5.2009, n. 10741, con nota di M. Gorgoni, Nascituro e responsabilità sanitaria, in Resp. civ. e prev., 2009, 2075 ss.; con nota di Feola, Le responsabilità del medico e della struttura sanitaria per il danno prenatale causato dall’inadempimento delle obbligazioni di informazione (il diritto “a nascere sano”), in Dir. e giur., 2010, 91 ss.; con nota di Galgano, Danno da procreazione e danno al feto, ovvero quando la montagna partorisce un topolino, in Contr. e impr., 2009, 537 ss.; con nota di Cacace, Figli indesiderati nascono. Il medico in tribunale, in Danno e resp., 2009, 1190 15


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accertare se la conoscenza della anomalia fetale, al momento delle indagini diagnostiche, avrebbe determinato, perlomeno in termini di probabilità16, quel pericolo alla salute psichica della madre così grave da assumere carattere patologico e ciò indipendentemente dal tipo o dal grado di malformazione riscontrata17. L’errore della Corte di merito si ravvisa pertanto nella riferibilità dell’indagine relativa al grado di gravità della malformazione fetale in sé per sé considerata, con riguardo al nascituro18, mentre

ss.; con nota di Franzoni, L’interprete nel diritto dell’economia globalizzata, in Contr. e impr., 2010, II, 366 ss.; con nota di Liserre, In tema di responsabilità del medico per il danno al nascituro, in Contr. e impr., 2010, 365 ss.; con nota critica di Cricenti, Il concepito soggetto di diritto e limiti dell’interpretazione, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 11258 ss. Nel merito: Trib. Padova, 24.10.2005, in Nuova giur. civ. comm., 2006, 11330 ss.; Trib. Catania, 29.3.2006, in Giur. merito, 2006, 13 ss. Il ragionamento chiamato a svolgere il giudice nell’accertamento, in via ipotetica, se l’illecito omissivo compiuto dal sanitario sia causalmente rilevante (ossia in grado di rappresentare la causa prossima da sola sufficiente a produrre il danno, interrompendo ogni collegamento eziologico con altre cause antecedenti), si svolge in termini necessariamente probabilistici, in quanto l’indagine sul nesso «per quanto rigorosa, funzionale a predicarne l’esistenza sul piano del diritto, si arresta sovente, quantomeno in sede civile, sulle soglie del giudizio probabilistico»: Cass., 16.10.2007, n. 21619, con nota di Pucella, Causalità civile e probabilità: spunti per una riflessione, in Danno e resp., 2008, I, 43 ss.; con nota di Locatelli, Causalità omissiva e responsabilità civile del medico: credibilità razionale o regola del più probabile che non?, in Resp. civ. e prev., 2008, 323 ss. Applicazioni recenti nella giurisprudenza di legittimità e di merito in: Cass., 24.4.2017, n. 8864, consultabile all’indirizzo: www.rivistaresponsabilitamedica.it; App. Catania, 31.3.2016, n. 536, in Ri.da.re.; Trib. Roma, 28.2.2017, n. 3935, consultabile all’indirizzo: www.rivistaresponsabilitamedica.it. 16

Sul punto interessanti le considerazioni di Pucella, Autodeterminazione e responsabilità nella relazione di cura, Milano, 2010, 120 ss. 17

La Suprema Corte ha recentemente avuto occasione di precisare che un’anomalia fisica, come la mancanza di un arto o di una mano, per essere considerata “rilevante” e, dunque idonea ad integrare la fattispecie legale per ricorrere alla interruzione della gravidanza, non deve essere considerata in sé per sé con riguardo al nascituro ma con riferimento alla gestante, ossia solo se in grado di determinare un grave pregiudizio alla sua salute psico-fisica. In tali termini: Cass., 11.4.2017, n. 9251, in Foro it., 2017, I, 3120 ss.; con nota di della Corte, Nascita indesiderata e aborto terapeuti18

rileva solo se pregiudizialmente incidente sulla salute della gestante e sulla sua volontà di abortire. In applicazione di tali principi, spetta sempre alla parte che richiede il risarcimento del danno per mancato esercizio della possibilità di interrompere la gravidanza, offrire mediante presunzioni la prova (complessa) di una volontà che è solo ipotetica, cioè che sarebbe stata manifestata ricorrendo una situazione di fatto non verificatasi.

3. La perdita della chance di abortire è un danno risarcibile? Precisati i termini esatti di operatività del ragionamento presuntivo resta da valutare se, sulla base del materiale probatorio acquisito agli atti e dimostrata la ricorrenza delle facoltà liceizzanti l’aborto secondo quanto previsto dalla legge n. 194/1978, possa ravvisarsi nel caso di specie un danno risarcibile e in quali termini tale danno deve essere configurato. La situazione giuridica soggettiva che si assume violata dalla condotta inadempiente del sanitario nelle ipotesi di nascita indesiderata è certamente il diritto all’autodeterminazione procreativa19 della gestante, privata della facoltà di scegliere se

co: l’indefettibile presupposto del grave pericolo per la salute della gestante, cit.; con nota di Petruzzi, Il danno da nascita indesiderata: una conferma all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite, in Danno e resp., 2017, 549 ss.; con nota di Mirmina, Il risarcimento del “danno da nascita indesiderata” quale violazione del diritto di autodeterminazione ed onere probatorio, in Giust.civ.com, fasc. 24.1.2018; con nota di Scalera, Danno da nascita indesiderata: l’onere della prova grava sulla gestante, in Ri.da.re.. Analogamente, più di recente, Cass. (ord.) 29.1.2018, n. 207018, consultabile all’indirizzo: www.rivistaresposanbilitamedica.it. La lesione all’autodeterminazione procreativa per la nascita di un figlio non sano è già stata oggetto di approfondimento in della Corte, Lesione all’autodeterminazione procreativa per la nascita di un figlio sano e non voluto, in Resp. civ. e prev., 2012, 1359 ss.; della Corte, Diagnosi prenatale e autodeterminazione procreativa, cit., 1846 ss. In argomento, anche, M. Gorgoni, Ancora dubbi sul danno risarcibile a seguito di violazione dell’obbligo di informazione gravante sul sanitario, in Resp. civ. e prev., 2010, 1014 ss. e Carnevali, Omessa informazione da parte del medico, danno da trattamento terapeutico e ipotetica scelta del paziente, in Resp. civ. e prev., 2010, 2181 ss. 19

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interrompere o meno la gravidanza a causa del comportamento omissivo del sanitario convenuto. Il punto che resta da capire è se nella vicenda in esame, in cui è stata esclusa la configurabilità di un danno alla salute nella specie di danno psichico, l’informazione omessa possa comunque essere considerata quale antecedente causale della lesione di una serie di altre scelte di natura esistenziale e familiare, oltre che terapeutiche, da cui possano derivare nocumenti risarcibili, come la chance perduta. D’altronde la mancata o errata informazione sulle anomalie fetali si pone in relazione di strumentalità con la scelta che si è fatta e che viceversa non si sarebbe fatta ovvero sarebbe stata fatta a condizioni diverse se non vi fosse stato il comportamento illecito. Nella fattispecie dedotta in giudizio, tale voce di danno viene declinata, sia pure in forma di obiter dictum, nella categoria del danno da perdita di chance20, da intendersi quale lesione alla possi-

Con l’espressione “danno da perdita di chance” si fa riferimento «all’ipotesi in cui l’illecito ha fatto perdere una certa probabilità, quantificabile in percentuale, di raggiungere un risultato favorevole o di evitare un effetto non voluto», così Pucella, La causalità “incerta”, cit., 81. Tale categoria di danno di origine francese, fortemente contrastata sin dall’inizio da parte della dottrina italiana (tra tutti, Busnelli, Perdita di una “chance” e risarcimento del danno, in Foro it., 1965, 49), si è principalmente affermata nelle ipotesi di responsabilità medica per perdita della possibilità di sopravvivenza ovvero del rallentamento della malattia, per omessa diagnosi di un processo morboso terminale (cfr. Cass., 4.3.2004, n. 4400, cit.; Cass., 18.9.2008, n. 23846, con nota di Amendolagine, La risarcibilità del danno da perdita di “chance” conseguente all’omessa tempestiva diagnosi di un processo morboso terminale, in Corr. giur., 2009, 809 e, più di recente, Cass., 20.8.2015, n. 16993, con nota di Di Marzio, Il risarcimento del danno da omessa diagnosi di malattia incurabile; Cass., 10.1.2017, n. 243, in Danno e resp., 2017, 4, 503 ss., con nota di Cortese, Nascita indesiderata o conseguenze da nascita malformata: insoliti profili risarcitori e prova del nesso causale, in Ri.da.re.; con nota di Carlino, Nascita indesiderata per omessa diagnosi del medico: il rifiuto di sottoporsi ad una amniocentesi prescritta presso una struttura ospedaliera non recide il nesso causale con l’inadempimento del medico, in questa Rivista, 2017, 245 ss. Nel merito, di recente, ex aliis, App. Campobasso, 5.4.2017, n. 143, in Guida al dir., 2017, 33, 70 ss.; Trib. Arezzo, 8.8.2017, n. 943, in Red. Giuffrè, 2017; Trib. Firenze, 27.11.2017, n. 3795 e Trib. Bologna, 30.1.2018, entrambe consultabili all’indirizzo: www.rivistaresposanbilitamedica.it) e, in sporadici casi, ha trovato applicazione anche nei giudizi risarcitori da nascita indesiderata (cfr. Cass., 20

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Giurisprudenza

bilità di scegliere liberamente, tra due alternative possibili, quella meno dolorosa21.

21.7.2011, n. 15991, cit.; Trib. Pesaro, 26.5.2008, con nota di Amoroso, Sulle conseguenze risarcitorie della colposa mancata diagnosi prenatale della malformazione del nascituro, in Giust. civ., 2008, 2273 ss.; Trib. Napoli, 14.7.2004, in Giur. nap., 2004, 419 ss.). In generale sulla figura del danno da perdita di chance nella responsabilità medica v., ex plurimis, Chindemi, Il danno da perdita di chance, Milano, 2010; Severi, Il danno da perdita di chance, in Resp. civ. e prev., 2010, 2209 ss., Feola, Il danno da perdita di chance di sopravvivenza o guarigione è accolto in Cassazione, cit., 45 ss.; Ziviz, Il risarcimento del danno da perdita di chance di sopravvivenza, in Resp. civ. e prev., 1998, 705 ss. In alcuni casi si è fatto ricorso alla chance quale criterio di accertamento del nesso causale tra fatto ed evento, la c.d. causalità da perdita di chance (cfr. Cass., 16.10.2007, n. 21619, cit.), definita da Pucella, Causalità civile e probabilità: spunti per una riflessione, cit., 43 ss., la “stampella della zoppia causale”: tutte le volte in cui non è possibile accertare il nesso causale secondo il criterio del più probabile che non, per mancato superamento della soglia del 50%, soccorre la chance perduta. Considerazioni critiche sul punto in Capecchi, Nesso di causalità e perdita di chances: dalle sezioni unite penali alle sezioni unite civili, in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, 143 ss.; Miotto, Un grande equivoco: la trasmigrazione della “possibilità” (o “probabilità”) dal contesto della perdita di chance di guarigione o di sopravvivenza ai criteri valutativi del rapporto di causalità, in Resp. civ. e prev., 2011, 2046 ss.; Pucella, Il danno da perdita di chance, nel Commentario Gabrielli, 1, Milano, 2011, 422 ss. La qualificazione della chance in termini di categoria di danno risarcibile si è, invece, affermata con Cass., sez. un., 26.1.2009, n. 1850, con nota di Marena, La perdita di chance in diritto amministrativo, in Danno e resp., 2009, 1033 ss., e viene definita quale “concreta ed effettiva occasione di conseguire un determinato bene”, non essendo “una mera aspettativa di fatto, ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione”. Tale danno, che non costituisce un’ipotesi di danno virtuale, rappresenta un danno patrimoniale futuro (così M. Gorgoni, Osservatorio della giurisprudenza in tema di danno alla persona, in Danno e resp., 2002, 1058 ss.) risarcibile «a condizione che il danneggiato dimostri, anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate, la sussistenza di un valido elemento causale tra il fatto e la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno»: cfr. Cass., 27.7.2001, n. 10291, in Mass. Giur. it., 2001; analogamente, Cass., 11.5.2007, n. 10840, in Mass. Giur. it., 2007. In argomento, v. Foglia, Errata diagnosi del medico: il problema causale e la chance perduta, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 10446 ss. Resta vivace in dottrina il dibattito in ordine alla qualificazione della perdita di chance quale danno emergente (c.d. tesi ontologica, che considera la chance come un bene già presente nel patrimonio del danneggiato prima del verificarsi dell’evento dannoso: esso 21


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Infatti se alcun risarcimento viene riconosciuto, sulla base della consulenza neuropsichiatrica espletata22, al danno psichico invocato dai genitori in conseguenza della nascita del bambino malformato, l’unico pregiudizio che potrebbe trovare ristoro nella fattispecie dedotta in giudizio, si qualifica, come già ravvisato in primo grado, in termini di preclusione della possibilità di scegliere l’interruzione della gravidanza per ragioni terapeutiche, quale parte del danno ascrivibile all’inadempimento del medico23. In tal modo, nella sentenza sembrerebbe configurarsi l’interesse leso nel diritto all’autodetermi-

rappresenta non già il risultato utile finale, ma la possibilità certa ed attuale di realizzarlo che, ove compromessa, risulta meritevole di ristoro) o lucro cessante (c.d. tesi eziologica che identifica la perdita di chance nella mera “diminutio spei”, ossia in una perdita potenziale ed incerta di conseguire un’utilità patrimoniale in assenza del comportamento illecito). In argomento, interessanti le riflessioni di Princigalli, Perdita di chance e danno risarcibile, in Riv. crit. dir. priv., 1985, 315 ss.; Castronovo, Del non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d. perdita di chance, danni punitivi, danno c.d. esistenziale, in Eur. e dir. priv., 2008, 315 ss.; Iezzi, La chance: nella morsa del danno emergente e del lucro cessante. Il danno da perdita di chance quale tecnica risarcitoria applicabile alla responsabilità contrattuale, alla luce delle più recenti elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali, consultabile all’indirizzo: www.diritto.it; Trimarchi, Il contratto: inadempimento e rimedi, Milano, 2010, 144 ss. Il ruolo del CTU nei giudizi risarcitori per responsabilità medica è stato approfondito, ex aliis, da Barni, È in atto un effettivo viraggio (anche) della Cassazione in tema di responsabilità medica?, in Riv. it. med. leg., 2006, 639 ss.; Apostolini, Il ruolo della c.t.u. nei procedimenti riguardanti la responsabilità medica: analisi dei casi, in Danno e resp., 2007, 82 ss.; Auletta, voce «Consulenza tecnica», in Enc. giur., I, Milano, 2007, 50 ss.; Iadecola, Colpa medica ed adeguata scelta del perito nel processo, in Giur. merito, 2007, 1942 ss.; M. Gorgoni, Il sistema risarcitorio del danno alla persona, Lecce, 2012, 123 ss. Per ulteriori richiami dottrinali si rimanda a della Corte, Le omissioni del medico e il regime di responsabilità, in Resp. civ. e prev., 2014, 572 ss. 22

In termini analoghi si era già espressa Cass., 10.1.2017, n. 243, cit. Secondo Pucella, Il danno da perdita di chance, cit., 422 ss., la chance perduta non coincide con il danno finale subito rappresentando, piuttosto, la probabilità di evitare la verificazione del danno finale; nello stesso senso, Iannone, Responsabilità medica per omessa o tardiva diagnosi di malformazioni fetali, in Giust. civ., 2013, 711 ss. secondo cui “non è la semplice privazione di una scelta a determinare la risarcibilità del danno, in quanto deve altresì emergere il danno evento quale conseguenza causale del primo”. 23

nazione in sé per sé considerato, scevro da ogni condizionamento dal pregiudizio inevitabile alla salute. È evidente, dunque, che in tal senso la pronuncia in esame ha preso le distanze dal primo approccio giurisprudenziale che non ammetteva il risarcimento per lesione di diritti diversi dalla salute della donna, per come indicato rigidamente negli artt. 4 e 6 della l. n. 194/197824. In tale prospettiva nemmeno il mero disagio psicologico derivante dalla impreparazione dei genitori ad accogliere un figlio gravemente menomato in conseguenza dell’omissione informativa da parte del sanitario, poteva trovare ristoro25 eccezion fatta nel caso in cui si presentava sub specie di danno psichico, medicalmente accertabile. Come già rilevato altrove26, ad un certo punto nelle aule di giustizia è prevalsa l’esigenza di ri-

Si è infatti affermato con Cass., 8.7.1994, n. 6464, cit., che «Nel caso di responsabilità del sanitario per mancata interruzione della gravidanza nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194, il danno risarcibile è solo quello dipendente dal pregiudizio alla salute psico-fisica della donna specificatamente tutelata dalla predetta legge, e non quello più genericamente dipendente da ogni pregiudizievole conseguenza patrimoniale dell’inadempimento del sanitario, quale il costo della nascita del figlio indesiderato». Negli stessi termini anche Cass., 24.3.1999, n. 2793, cit.; Cass., 30.7. 2004, n. 14638, con nota di D’Auria, Consenso informato: contenuto e nesso di causalità, in Giur. it., 2005, 7 ss., e, nel merito, Trib. Bergamo, 2.11.1995, con nota di Palumbo, Errore diagnostico e mancata interruzione della gravidanza, in Danno e resp., 1996, 249 ss.; Trib. Milano, 24.10.1996, con nota di Zoja, Riflessioni medico-legali su un caso di mancata diagnosi ecografica in gravidanza, in Resp. civ. e prev., 1999, 587 ss.; App. Cagliari, 12.11.1998, con nota di De Matteis, Nascite Indesiderate, interessi protetti, danni risarcibili, in Danno e resp., 1999, 1130; Trib. Perugia, 7.9.1998, in Foro it., 1999, I, 1804 ss.; Trib. Locri, 6.10.2000, n. 462, con nota di Bilotta, Il danno esistenziale: l’isola che non c’era, in Danno e resp., 2001, 393 ss.; con nota di Ziviz, Danno biologico e danno esistenziale: parallelismi e sovrapposizioni, in Resp. civ. e prev., 2001, 409 ss.; con nota di Torino, Nascita inaspettata di figlia deforme e danno esistenziale della madre, in Corr. giur., 2001, 786 ss.; con nota di Bona, Mancata diagnosi di malformazioni fetali: responsabilità del medico ecografista e risarcimento del danno esistenziale da «wrongful birth», in Giur. it., 2001, 733; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 8.9.1999, in Giur. merito, 2000, 207 ss. 24

Sulla irrisarcibilità di un danno diverso da quello biologico, v. Busnelli, Il danno biologico. Dal “diritto vivente” al diritto “vigente”, Torino, 2001. 25

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Della Corte, Osservatorio di giurisprudenza in tema di

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conoscere alla libertà di scelta procreativa della donna, non più una funzione ancillare rispetto al diritto alla salute, ma la qualifica di bene giuridico autonomo: in ogni caso, il pregiudizio alla salute rimane comunque condizione legittimante l’aborto decorsi novanta giorni dall’inizio della gravidanza ma non più presupposto limitativo dei diritti risarcibili. Nel solco di tale orientamento, le corti hanno ritenuto pregiudizi da risarcire autonomamente la violazione del diritto della donna di scegliere se diventare madre di un figlio con disabilità ovvero di rinunciarvi per ragioni di ordine personale e familiare27, ritenendo rispondente a regolarità

“danno da nascita indesiderata”, cit., 1539. In tal senso, Cass., 9.2.2010, n. 2847, con nota di M. GorAncora dubbi sul danno risarcibile a seguito della violazione dell’obbligo di informazione gravante sul sanitario, cit., 1014 ss.; con nota di Di Majo, La responsabilità da violazione del consenso informato, in Corr. giur., 2010, 1201 ss.; con nota di Cacace, I danni da (mancato) consenso informato, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, 783; con nota di Pirro, Sulla mancata acquisizione del consenso informato da parte del medico, in Obbl. e contr., 2010, 563 ss.; Cass., 22.3.2013, n. 7269, cit., secondo cui «La lesione all’autodeterminazione terapeutica (nel caso di specie perdita di esercitare la facoltà di interrompere la gravidanza) è risarcibile in via autonoma indipendentemente dalla lesione di un diritto alla salute»; Cass., 20.10.2005 n. 20320, in Riv. it. med. leg., 2007, 1165 ss., e, più di recente, Cass., ord. 29.1.2018, n. 207018, cit. Nel merito, interessanti risultano le conclusioni di Trib. Monza, 27.2.2008, cit., con nota di della Corte, Diagnosi prenatale ed autodeterminazione procreativa, cit., 1846; Trib. Latina, 28.6.2011, con nota di della Corte, Lesione all’autodeterminazione procreativa per la nascita di un figlio sano e non voluto, cit., 1359 ss.; Trib. Roma, 11.11.2015, in Quot. giur., 2016, per il quale «Il c.d. danno da nascita indesiderata è il pregiudizio non patrimoniale subito in primo luogo dalla gestante a causa del comportamento del sanitario che, in presenza di malformazioni o anomalie del feto, non adempie al suo obbligo di informazione, impedendo alla donna di autodeterminarsi in ordine alla prosecuzione o meno della gravidanza». Sul tentativo di attribuire autonoma rilevanza risarcitoria alla lesione all’autodeterminazione in ambito medico v. M. Gorgoni, La “stagione” del consenso e dell’informazione: strumenti di realizzazione del diritto alla salute e di quello all’autodeterminazione, in Resp. civ. e prev., 1999, 488 ss.; Id., Ancora dubbi sul danno risarcibile a seguito di violazione dell’obbligo di informazione gravante sul sanitario, cit., 1014 ss. Fortemente critico sulla risarcibilità di un danno diverso da quello biologico Busnelli, Il danno biologico. Dal “diritto vivente” al diritto “vigente”, cit. Nel merito, ex plurimis, Trib. Latina, 28.6.2011, cit., in una ipotesi di nascita non 27

goni,

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Giurisprudenza

causale che se informata opportunamente la donna avrebbe abortito. Ma l’intrinseca correlazione che esiste tra la facoltà riconosciuta alla donna di interrompere la gravidanza e la necessaria ricorrenza di un grave pregiudizio alla sua salute, sebbene inteso in senso «ampio», addirittura, alla sua vita (non potendo, in ogni caso, esistere il diritto di abortire per mera volontà), ha portato in definitiva ad accogliere la richiesta di risarcimento del solo danno biologico subito dalla partoriente a causa della prosecuzione della gravidanza o, in qualche caso, del grave turbamento emotivo scaturente dalla nascita di un figlio gravemente menomato senza che i futuri genitori fossero preparati psicologicamente. E, a ben vedere, salvo qualche sporadica eccezione28, l’invocata autonomia strutturale e funzionale del diritto alla salute rispetto al diritto all’autodeterminazione è rimasta solo un’astrazione senza tradursi effettivamente sul piano risarcitorio, in considerazione del fatto che l’obbligo informativo gravante sul sanitario non è stato reputato mai fine a se stesso, ma pur sempre strumentale alla cura della salute. Di conseguenza è stato precluso ogni risarcimento tutte le volte in cui, comparando la situazione che si era verificata in conseguenza dell’inadempimento del sanitario con quella che si sarebbe verificata se tale inadempimento non vi fosse stato, non si ravvisava altro pregiudizio che la mera limitazione del diritto alla scelta. Per questo, la gestante che chiedeva il risarcimento per violazione del suo diritto di au-

voluta di un figlio sano (per fallito tentativo di interruzione di gravidanza), ha persino risarcito «i disagi e le preoccupazioni (..) che conseguono ad un evento tanto importante ove manchino le condizioni in concreto per assicurare al nascituro e al nucleo familiare tutto quanto necessario nella prospettiva di una procreazione responsabile», riproponendo in un certo senso la sottocategoria del danno esistenziale proprio nei termini in cui era stato escluso dalle Sezioni Unite (cfr. Cass., sez. un., 11.11.2008, n. 26972-5, in Resp. civ. e prev, 2009, 38 ss.). Il riferimento è a Cass., 4.3.2004, n. 4400, cit. Peculiare anche Trib. Pesaro, 26.5.2008, cit., che qualifica in termini di “perdita di chance” la violazione dell’autodeterminazione procreativa dei genitori da calcolarsi in misura percentuale rispetto alle possibilità esistenti che l’aborto non venga praticato. 28


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La perdita della chance di abortire

todeterminarsi in ordine alla sua volontà abortiva era gioco forza tenuta a dimostrare la ricorrenza del pregiudizio psico-fisico richiesto dall’art. 6, l. n. 194/1978, quale conseguenza della conoscenza dell’informazione omessa sulle anomalie fetali, ovvero l’impossibilità di vita autonoma del feto. La sentenza in commento sembra ragionare diversamente e, pur in assenza di prova di un danno psichico (escluso dalla consulenza neuropsichiatrica effettuata), ammette la risarcibilità della mera lesione della possibilità di scelta qualificandola in termini di chance perduta29: in tale modo, il mancato raggiungimento di un risultato terapeutico non viene inteso come mancato raggiungimento di un risultato possibile ma quale sacrificio della possibilità stessa di conseguirlo, tramutando una mera aspettativa in un bene attuale ed autonomo rispetto alla salute. Una simile libertà interpretativa viene in qualche modo resa possibile anche dalla circostanza che le Sezioni Unite del 2015 non hanno affrontato specificamente la questione dell’esatta qualificazione dei pregiudizi non patrimoniali conseguenti alla condotta inadempiente del medico, prevedendone la loro risarcibilità in termini generali purché conseguenza diretta ed immediata, ex art. 1223 c.c., di tale condotta30. È dunque chiaro l’intento della S.C. di orientarsi nel senso di garantire tutela ad istanze risarcitorie che per il tipo di danno dedotto in giudizio (da nascita malformata) difficilmente possono restare sfornite di tutela, se necessario anche rispolveran-

Di avviso completamente opposto, Trib. Rimini, 25.10.2016, con nota di Garreffa, Il danno da perdita di chance: una sentenza di merito che ne denuncia la fallacia dogmatica, in Corr. giur., 2017, 1521 ss., che nega alla chance perduta la configurazione di una entità patrimoniale a sé stante, prescindente dal risultato finale di incerta realizzazione, tutte le volte in cui risulta escluso, sulla base del criterio del più probabile che non, il collegamento eziologico tra la condotta del presunto danneggiante e la lesione di un bene giuridico finale. Analogamente Cass. pen., 17.3.2014, n. 12360, cit., con nota di Petruzzi, Danno da nascita indesiderata e omessa diagnosi: prova del nesso causale, cit., 1062 ss. 29

Critica il “disimpegno” delle Sezioni Unite nell’affrontare la questione dei pregiudizi risarcibili, conseguenti all’omissione informativa, M. Gorgoni, Una sobria decisione di «sistema» sul danno da nascita indesiderata, cit., 162 ss. 30

do una categoria di danno, appunto quella della chance perduta, che sembrava confinata nell’area dell’irrisarcibile dopo le sentenze di San Martino31. Ma il rischio è che risarcire il pregiudizio subito dai genitori per non essere stati messi nella condizione di valutare la scelta meno sconveniente a causa del comportamento omissivo del sanitario porti a garantire ristoro ad ogni pretesa collegabile alla sofferenza subita per la nascita di un figlio non sano32, quale “diminutivo astratto del

Cfr. Cass., sez. un., 11.11.2008, n. 26972, 26973, 26974 e 26975, cit., ex aliis, con nota di Monateri, Il pregiudizio esistenziale come voce del danno non patrimoniale, in Resp. civ. e prev, 2009, 38 ss.; Navarretta, Il valore della persona nei diritti inviolabili e la complessità dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. e prev., 2009, 63 ss.; con nota di Poletti, La dualità del sistema risarcitorio e l’unicità della categoria dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. e prev., 2009, 76 ss.; con nota di Ziviz, Il danno non patrimoniale: istruzioni per l’uso, in Resp. civ. e prev., 2009, 94 ss.; con nota di Gazzoni, Il danno esistenziale, cacciato, come meritava, dalla porta, rientrerà dalla finestra, in Dir. fam. e pers., 2009, 113 ss.; con nota di Busnelli, Le sezioni unite e il danno non patrimoniale, in Riv. dir. civ., 2009, 97 ss. Secondo Chindemi, Il danno non patrimoniale da perdita di chance dopo le sentenze di San Martino, in Resp. civ. e prev., 2011, 454 ss., sebbene le sez. un. non abbiano fatto specifico riferimento a tale pregiudizio, il danno da perdita di chance segue la stessa sorte delle altre voci di danno non patrimoniale, «non potendo sotto il profilo sistematico, stante l’affermata bipolarità del danno, individuarsi un’autonoma voce di danno areddituale che conviva con la generale categoria del danno non patrimoniale», in ossequio ai principi stabiliti proprio dalle sentenze dell’11 novembre 2008. Sebbene le peculiarità e le caratteristiche del danno da perdita di chance non vengano meno, tuttavia tale pregiudizio non può essere riconosciuto o liquidato in maniera autonoma restando collocato all’interno della categoria del danno biologico, da “risarcire in tutte le sue forme”. Analogamente per M. Gorgoni, Ancora dubbi sul danno risarcibile a seguito di violazione dell’obbligo di informazione gravante sul sanitario, cit., 1014 ss., non è sufficiente invocare l’ingiusta lesione del proprio diritto all’informazione (da solo o in aggiunta alla lesione del diritto alla salute) ma è necessario dimostrare che tale ingiusta lesione abbia comportato conseguenze pregiudizievoli in danno al paziente: in altri termini, in assenza di prova che il paziente – ove informato – si sarebbe sottoposto ad un intervento chirurgico a condizioni diverse ovvero non si sarebbe sottoposto affatto, alcun pregiudizio risarcibile consegue all’omessa informazione. 31

In argomento, M. Gorgoni, La responsabilità sanitaria per nascita indesiderata: in attesa delle Sezioni Unite, in Resp. civ. e prev., 2015, 695 ss., critica l’ipertrofica tendenza della giurisprudenza degli ultimi anni, che si è occupata del dan32

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risultato finale negativo”33. In altri termini, i genitori che lamentano, come evento dannoso, non già l’aggravamento delle condizioni di salute della partoriente o l’insorgenza di una qualsivoglia patologia ma soltanto la perdita della chance di poter scegliere l’interruzione della gravidanza, finiscono col prospettare un mero rischio, ovvero il pericolo di un fatto dannoso che non può essere coperto da tutela risarcitoria34: tale declinazione della fattispecie, finalizzata a perseguire meri ed ingiustificati spostamenti della sofferenza solo perché tali, potrebbe aver senso in un’ottica indennitaria, ma risulta di incerta collocazione sul piano risarcitorio35.

no da nascita malformata, di garantire tutela a qualsivoglia aspirazione individuale nell’intento di assecondare, con crescente frequenza, “il diritto alla felicità”, alleviando per via risarcitoria ogni insoddisfazione. Dello stesso avviso, Cortese, Nascita indesiderata o conseguenze da nascita malformata: insoliti profili risarcitori e prova del nesso causale, cit., 509 ss. «…non può negarsi che apprendere di una malformazione del proprio figlio al momento della nascita può certamente comportare una sofferenza maggiore rispetto all’apprenderlo per gradi e preventivamente e che da ciò non possa non derivare la necessità di fornire soddisfazione riparativa anche ad una tale ipotesi … il rischio che una tale declinazione della fattispecie possa portare più che a risarcire, a perseguire meri ed ingiustificati spostamenti arbitrari della sofferenza sol perché tali». Preoccupazioni nei confronti di tale atteggiamento, funzionale a “giuridificare” ogni desiderio in Navarretta, Ingiustizia del danno e nuovi interessi, in Diritto civile, (Lipari, Rescigno diretto da), Milano, 2009, 166 ss.; Busnelli, Il danno biologico. Dal “diritto vivente” al “diritto vigente”, cit., 225 ss. Cfr. Cricenti, La perdita di chance come diminutivo astratto. Il caso della responsabilità medica, in Resp. civ. e prev., 2016, 2073 ss. 33

Critiche alla risarcibilità della mera privazione della possibilità di scelta per la gestante di interrompere la gravidanza in Iannone, Responsabilità medica per omessa o tardiva diagnosi di malformazioni fetali, cit., 711 ss.; Id., Nesso causale: alla ricerca di un modello unitario (rilievi critici), in La Resp. civ., 2010, 607 ss. Anche secondo M. Gorgoni, La responsabilità sanitaria per nascita indesiderata: in attesa delle Sezioni Unite, cit., 695 ss.: «La responsabilità per danni diventa non solo la panacea, una sorta di convertitore universale del male in bene, ma anche, dato il suo potere deterrente, uno strumento capace di ingenerare condizionamenti e di provocare effetti distorsivi nella misura in cui si adatta a “risarcire tutto e il contrario di tutto”». 34

Il rischio di potenziali effetti distorsivi per il sistema, che si annida in un simile atteggiamento giurisprudenziale, è evi35

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denziato da M. Gorgoni, Una sobria decisione di «sistema» sul danno da nascita indesiderata, cit., 162 ss., scettica nell’uso del risarcimento “in funzione vicariale di misure di previdenza e assistenza sociale”.


s i r Giurisprudenza iu g den u La responsabilità del Ministero r p Giurisprudenza

della Salute per danni da emotrasfusione: i principi delle Sezioni Unite nn. 576-585/2008, a dieci anni dalle pronunce Matteo Turci

Dottorando di ricerca nell’Università di Genova Sommario: 1. Il danno da emotrasfusioni. – 2. Le soluzioni adottate dalle Sezioni Unite. – 3. I rapporti tra l’indennizzo ex l. n. 210/1992 e il risarcimento del danno. – 4. Le specificità della responsabilità “per colpa” del Ministero della Salute. – 5. L’exordium praescriptionis.

Abstract: Il contributo analizza alcune peculiarità della responsabilità del Ministero della Salute per i danni da trasfusioni infette ripercorrendo sino ad oggi l’evoluzione dei principi fissati in materia dalle Sezioni Unite dieci anni or sono. Particolare attenzione è dedicata ai rapporti tra rimedio indennitario e risarcitorio, alla qualificazione della responsabilità ministeriale ed all’exordium praescriptionis. The paper analyses the responsibility of the National Health System for damages caused by transfusions with contaminated blood, following the evolution of the principles the Supreme Court affirmed ten years ago on the subject. Special consideration is given to the relation between compensation and reimbursement, to the qualification of said responsibility, and to the exordium praescriptionis.

1. Il danno da emotrasfusioni Nell’ambito della responsabilità civile nel settore medico e sanitario, le espressioni “danno da emotrasfusioni”, “danno da trasfusioni infette” o

“danno da sangue” sono utilizzate per indicare la pretesa azionata da chi abbia contratto un’infezione a causa di trasfusioni di sangue infetto o a seguito dell’assunzione di farmaci c.d. emoderivati prodotti con sangue infetto; la portata di tale lesione si estende anche a coloro che hanno subito la perdita di un prossimo congiunto in ragione della malattia contratta a seguito di trasfusioni di sangue infetto1.

Sulle principali questioni aperte nell’ambito della responsabilità civile si veda, ex multis: Alpa, La responsabilità civile. Principi, Torino, 2018. Segnatamente, per la responsabilità civile in ambito sanitario si rinvia a Monateri, Le fonti delle obbligazioni - la responsabilità civile, nel Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 1998, 477 ss.; Visintini, Trattato della responsabilità civile, Padova, 1999, 241 ss.; Franzoni, Trattato della responsabilità civile, Milano, 2010, 258 ss.; Monateri, Illiceità e giustificazione dell’atto medico nel diritto civile, in Trattato di biodiritto, diretto da Rodotà e Zatti, Riondato (a cura di), La responsabilità in medicina, Milano, 2011, 3 ss.; Aleo, De Matteis, Vecchio, Le responsabilità in ambito sanitario, Padova, 2014. Nella prospettiva del diritto privato dell’Unione Europea la questione è indagata da Alpa, Il danno alla persona nella prospettiva europea, nel Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, Tizzano (a cura di), Il diritto privato dell’Unione Europea, Torino, 2000, 787 ss. 1

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L’espressione “danno da emotrasfusioni” individua, quindi, la fonte dei pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali, che possono ricadere tanto sulla vittima primaria quanto su soggetti diversi, come i suoi prossimi congiunti, piuttosto che un tipo di danno vero e proprio. La pratica trasfusionale è una terapia medica ad alto rischio di trasmissione delle infezioni cui la prassi clinica ricorre con crescente frequenza e che sovente riveste importanza vitale per il paziente. Tali aspetti ne hanno fatto oggetto d’interesse, oltre che per la scienza medica, anche per quella giuridica che ne analizza i profili connaturati agli aspetti della raccolta, conservazione, trattamento, distribuzione e somministrazione di sangue. Per quanto qui interessa, in conformità con la direttiva CEE n. 65/65 del 26 gennaio 1965 (tardivamente recepita con il d. lgs. 29 maggio 1991, n. 178), che annovera il sangue umano e i suoi derivati nella nozione di “medicinale”, il dovere dello Stato di esercitare la farmacovigilanza previsto dalla l. 13 marzo 1958, n. 296, istitutiva del Ministero della Sanità, si applica anche al caso specifico delle emotrasfusioni2. Tra gli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso, l’immissione nel mercato da parte di alcuni produttori farmaceutici di sangue intero e suoi derivati prelevati da soggetti ad alto rischio (malati, carcerati e soggetti provenienti dal c.d. terzo mondo) in assenza degli opportuni controlli e trattamenti portò ad una serie di contagi di epatite e virus HIV. L’emersione di tale “scandalo sul sangue infetto”, nell’ambito delle inchieste del filone c.d. “mani pulite”, ha spinto il legislatore ad inserire tra gli aspetti specificamente considerati dalle normative dedicate anche il danno causato da emotrasfusioni, cui è dedicata la l. 25 febbraio 1992, n. 210,

Sono definiti emoderivati quei prodotti farmaceutici realizzati in laboratorio a partire da emocomponenti, sottoposti a lavorazioni industriali. Rossetti, Il danno alla salute, Padova, 2017, 1021. Dragone, Il danno da emotrasfusioni, in Il danno alla salute, diretto da Cendon, Torino, 2017, 831; Rubino, Il danno da emotrasfusioni (e somministrazione di emoderivati) la nuova giurisprudenza di merito e legittimità, Padova, 2008, 5 ss. 2

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Giurisprudenza

che prevede la corresponsione di un indennizzo, da parte dello Stato, in favore dei danneggiati o dei congiunti di questi3. Dal punto di vista medico, la terapia trasfusionale può avere luogo secondo differenti modalità ed in distinte ipotesi. Quanto al primo aspetto si distingue tra somministrazione di sangue, di uno o più c.d. emocomponenti (così intendendosi i singoli componenti del sangue, quali plasma, globuli bianchi, globuli rossi e piastrine) o di farmaci emoderivati; con riferimento al secondo aspetto, si considerano, da un lato, le c.d. emotrasfusioni occasionali, effettuate una tantum in occasione di uno specifico ricovero ospedaliero4, dall’altro, le trasfusioni su paziente affetto da una patologia congenita (quali emofilia, talassemia o anemie ereditarie in genere) che necessita di periodiche somministrazioni di sangue, emocomponenti o emoderivati5. L’incontro tra le accennate specificità determina una serie di ricadute sul piano giuridico di non poco rilievo che rendono la fattispecie “risarcimento del danno da emotrasfusioni infette” di complessa e difficoltosa trattazione, considerato anche che la caratteristica peculiare delle patologie post-trasfusionali è il manifestarsi ad una significativa distanza di tempo rispetto all’episodio di trasfusione (c.d. danni lungolatenti). Si sollevano, in particolare, tre ordini di interrogativi riguardanti: i rapporti tra tutela indennitaria e risarcimento del danno, l’identificazione del responsabile del danno e l’individuazione del dies

La legge è stata emanata con l’intento di fornire una forma di tutela assistenziale ai danneggiati e ai familiari dei contagiati deceduti e di arginare il crescente contenzioso. Si vedano Mantelero, I danni di massa da farmaci, nel Trattato di biodiritto, diretto da Rodotà e Zatti, Belvedere e Riondato (a cura di), La responsabilità in medicina, Milano, 2017, 507 ss.; Montanari Vergallo, Frati, La tutela risarcitoria dei pazienti danneggiati da emotrasfusioni infette, in Riv. it. med. leg., 2009, 39. 3

In proposito l. 29.11.2007, n. 222, art. 33, comma 1°; l. 29.11.2007, n. 224, comma 361°; d. m. 28.4.2009, n. 132, art. 3, comma 1°, lett. b); d. m. 4.5.2012, art. 3. 4

Si vedano la l. 29.11.2007, n. 222, art. 33, comma 1°; l. 29.11.2007, n. 224, comma 361°; d. m. 28.4.2009, n. 132, art. 3, comma 1°, lett. a); d. m. 4.5.2012, art. 2. Dragone, Il danno da emotrasfusioni, cit., 831. 5


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a quo del termine prescrizionale dell’azione di risarcimento del danno. Il rapporto tra l’indennizzo riconosciuto alle vittime di emotrasfusioni infette ai sensi della l. n. 210/1992 e l’eventuale risarcimento del danno accordato, in via giudiziale, allo stesso soggetto, in ragione del medesimo fatto, emerge quanto alla possibilità di cumulo tanto dei due diversi strumenti di tutela, quanto (e soprattutto) delle somme liquidate in favore del danneggiato a titolo di indennizzo, da una parte, e di risarcimento, dall’altra. Quanto alla seconda questione, il profilo di maggiore rilievo attiene alla corretta individuazione dell’autore del fatto illecito nei casi relativi a soggetti emotrasfusi abituali (quali i pazienti affetti da talassemia). La lungolatenza del danno, infatti, rende complesso ricostruire con sufficiente certezza a quale episodio di trasfusione deve ricondursi la contrazione dell’infezione e, in conseguenza, individuare la struttura sanitaria ed il personale medico responsabili del fatto illecito. Nel caso in cui il danneggiato abbia contratto l’infezione a seguito della somministrazione abituale di farmaci emoderivati sorgono problematiche relative ad un’eventuale responsabilità del produttore6. Infine la lungolatenza delle patologie post-trasfusionali, complica la corretta individuazione del dies a quo del termine di prescrizione quinquennale per l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno, sicché, pur nell’assenza di accertati contrasti interpretativi, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono fatte carico di tali questioni affrontandole in dieci sentenze gemelle depositate nel gennaio 20087.

2. Le soluzioni adottate dalle Sezioni Unite L’obbiettivo principale delle Sezioni Unite del 2008 è quello di fornire dei punti di riferimento univoci sia agli operatori del diritto che agli operatori sanitari. Nelle motivazioni si afferma la responsabilità extracontrattuale del Ministero per i danni conseguenti ad infezioni contratte da soggetti emotrasfusi per omessa vigilanza da parte dell’amministrazione sulla sostanza ematica e sugli emoderivati, inquadrata, non nelle ipotesi disciplinate agli artt. 2049 e 2050 c.c., bensì nella violazione della clausola generale di cui all’art. 2043 c.c.8 All’esclusione di una responsabilità contrattuale in capo al Ministero ed alla rilevanza penale della fattispecie in termini di epidemia colposa o lesioni plurime colpose, consegue che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno è quinquennale e, soprattutto, non decorre dal giorno della trasfusione ma dal giorno in cui il danneggiato ha percepito, o avrebbe dovuto percepire, usando l’ordinaria diligenza oggettiva e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, la malattia quale conseguenza della trasfusione. Di norma tale momento coincide con la presentazione della domanda di ammissione all’indennizzo previsto dalla l. n. 210/19929. Le Sezioni Unite fissano poi l’estensione temporale della responsabilità del Ministero che viene fatta decorrere per tutte le infezioni (HBC, HCV e HIV) dalla scoperta del virus dell’epatite B, trattandosi in tutti i casi di un unico evento lesivo dell’integrità fisica dell’individuo, a nulla rilevan-

In questi termini Pulice, Il danno da emotrasfusione: dieci sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione, in Pratica Medica e Aspetti Legali, 2008, 185. Per un’analisi approfondita delle tematiche connesse alla responsabilità della Pubblica Amministrazione per omessa vigilanza si vedano: Monateri, Le fonti delle obbligazioni – la responsabilità civile, cit., 833 ss. e Trimarchi, La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, Milano, 2017, 247. 8

Si tratta di pazienti emofiliaci o affetti da anemie ereditarie. Quanto alla responsabilità del produttore si vedano: Monateri, Le fonti delle obbligazioni – la responsabilità civile, cit., 633 ss. e Galgano, Trattato di diritto civile, Padova, 2009, 1017 ss. Per un’analisi della questione nello specifico contesto si rinvia a Ar. Fusaro, Emoderivati infetti: la responsabilità in fase di produzione, in questa Rivista, 2017, 327 ss. 6

Cass., 11.1.2008, dalla n. 576 alla n. 585, in Mass. Giust. civ. 2008, I, 31 ss. 7

Salvo che sia intervenuto il decesso del trasfuso: in tal caso il termine di prescrizione del diritto degli eredi al risarcimento dei danni iure proprio è quello decennale. 9

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do che i singoli virus responsabili delle singole infezioni siano stati scoperti in anni diversi. Da ultimo viene confermata la diversa natura del diritto al risarcimento del danno da emotrasfusioni infette rispetto all’attribuzione indennitaria regolata dalla l. n. 210/1992. Tuttavia, precisa la Corte che nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero l’indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno in applicazione del principio della compensatio lucri cum damno, venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto – il Ministero – due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo.

3. I rapporti tra l’indennizzo ex l. n. 210/1992 e il risarcimento del danno10 Preliminarmente all’esame di quelle questioni che, tra le numerose problematiche riferibili al risarcimento del danno in materia di trasfusioni di sangue infetto, risultano di preminente interesse, appare doveroso un breve excursus relativo all’altro strumento approntato dall’ordinamento per offrire tutela ai danneggiati da trasfusioni infette: l’indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992, e ai rapporti che tra quest’ultimo ed il risarcimento del danno intercorrono. L’allarme sociale suscitato dalla diffusione delle infezioni da emotrasfusioni e dell’AIDS ed il progressivo aumento del contenzioso relativo a tali questioni furono alla base della (fin troppo) celere emanazione della legge n. 210/199211. La misura individuata dal legislatore a sostegno “dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo

Per un’efficace e completa analisi dei “benefici collaterali” nell’ambito della responsabilità civile si veda Monateri, Le fonti delle obbligazioni – la responsabilità civile, cit., 333 ss. in particolare 346 e 347. 10

Uno scandalo di proporzioni superiori rispetto all’Italia spinse anche il legislatore francese ad adottare un provvedimento affine: la l. n. 1406/1991. 11

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Giurisprudenza

irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati” (o degli aventi causa dei contagiati deceduti) è un indennizzo a carico dello Stato: una misura di natura assistenziale e di solidarietà sociale e non un pieno risarcimento del danno subito. La procedura amministrativa che i beneficiari dell’indennizzo, che gli articoli 1 e 2 della l. n. 210/1992 individuano in quei soggetti che a causa di vaccinazioni obbligatorie abbiano subito una “menomazione permanente dell’integrità psicofisica”, “risultino contagiati da infezioni da HIV a seguito di somministrazione di sangue o suoi derivati” o “presentino danni permanenti da epatiti post-trasfusionali”, è articolata in tre fasi12. La prima, svolta dalla ASL competente in base alla residenza del richiedente, si apre con la presentazione della domanda (sottoposta ad un termine di decadenza triennale per i casi di epatiti e decennale in caso infezioni da HIV) e si sostanzia in una verifica circa la completezza della documentazione presentata. Con il passaggio della documentazione alla Commissione Medica Ospedaliera si apre la fase centrale del procedimento: la CMO si pronuncia circa la sussistenza del nesso causale tra il contagio e la trasfusione e sull’ammontare del danno oltre che sulla tempestività della domanda. Della decisione vengono quindi informati l’ASL ed il richiedente che può avviare una terza fase ricorrendo (nel termine di trenta giorni) avverso l’eventuale decisione negativa proponendo ricorso gerarchico al Ministero della Salute. L’eventuale ulteriore diniego può essere impugnato con un ricorso al

Il diritto all’indennizzo è riconosciuto agli eredi del danneggiato deceduto, così come alla persona contagiata dal coniuge ed al figlio che abbia contratto il virus durante la gestazione. Si noti come il termine “epatiti”, privo di specificazioni, aprisse a patologie eventualmente scoperte dopo l’emanazione della legge. Avendo la giurisprudenza sempre considerato le ipotesi previste nel testo normativo come tassative risultano esclusi i soggetti autotrasfusi che abbiano contratto infezione a seguito di cattiva pulizia dell’apparato medicale così come i soggetti contagiati a seguito di trapianto di organi. Cfr. Rubino, op. cit., 41. Per una dettagliata ricostruzione del procedimento, comprensivo delle sue fasi eventuali, si rinvia a Ricci, Trasfusioni e contagi, in Responsabilità civile, diretto da Cendon, Milano, 2017, 3095. 12


Danni da emotrasfusione e responsabilità del Ministero

Tribunale civile in funzione di giudice del lavoro. Laddove concesso, l’indennizzo consiste in un assegno vitalizio, reversibile per quindici anni, annualmente rivalutato in ragione degli indici ISTAT oltre all’esenzione dalla partecipazione alla spesa pubblica sanitaria. Il beneficiario dell’assegno, il cui importo è inizialmente determinato con un sistema tabellare, ha diritto ad una maggiorazione qualora abbia contratto più infezioni; similarmente è possibile richiedere una revisione dell’importo a seguito di un peggioramento della patologia. Qualora, invece, il danneggiato sia deceduto, gli eredi hanno diritto di scegliere se percepire l’indennizzo o un assegno versato una tantum13. Principale tema di interesse riguardo all’indennizzo previsto dalla l. n. 210/1992 è la cumulabilità (o meno) dello stesso con il risarcimento del danno. Ferma, infatti, per il danneggiato la possibilità di valersi di entrambi gli istituti, affermata dalla giurisprudenza prima, e confermata dal legislatore poi14, maggiori problematiche ha sollevato la possibilità di cumulare le somme liquidate a titolo di risarcimento del danno con quanto percepito a titolo di indennizzo ex l. n. 210/1992. L’orientamento che risolveva in senso favorevole il dubbio era fondato sulla qualificazione dell’indennizzo in termini di “equo ristoro”, ulteriore rispetto al risarcimento del danno eventualmente riconosciuto alla vittima, da cui traeva la conclusione che l’indennizzo, da una parte, e il risarcimento, dall’altra, sono indipendenti l’uno dall’altro, non dovendosi tenere conto di quanto già percepito dal danneggiato a titolo di indennizzo nel procedere alla liquidazione del secondo15.

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Il contrapposto orientamento, di converso, riteneva doverosa la detrazione, dal risarcimento del danno riconosciuto al danneggiato, di un importo equivalente a quanto già percepito dalla vittima a titolo di indennizzo, onde evitare la possibilità di un ingiustificato arricchimento16. Tale contrasto rientra tra le questioni affrontate e, quantomeno parzialmente, risolte dalle Sezioni Unite abbracciando l’orientamento di minor favore rispetto agli interessi del danneggiato, espresso dal principio a mente del quale “dal risarcimento del danno complessivamente dovuto dal Ministero della salute a persona contagiata in seguito a trasfusioni con sangue infetto vanno detratti gli importi già ricevuti dalla vittima a titolo di indennizzo “ex lege” n. 210 del 1992, perché altrimenti il danneggiato realizzerebbe un ingiustificato arricchimento, percependo due diverse attribuzioni patrimoniali dal medesimo soggetto (il Ministero della Salute) e scaturenti dal medesimo fatto materiale”17. Il principio fissato dalle Sezioni Unite, salvo isolate eccezioni, trova pronto riscontro nelle pronunce delle corti di merito e viene confermato dalla

Trib Napoli, 15.1.2002, in Giur. nap., 2002, 121; Trib. Roma, 15.1.2001, in R. D. Fa., 2001, 488; App. Milano, 22.10.1996, in Danno e resp., 1997, 734; Trib. Roma, 27.11.1998, cit.; Cass., 21.10.2000, n. 13923, in Dir. e giust., 2000, XXXIX, 61. Ad ammettere la possibilità di cumulo è stata inoltre Corte cost., 18.4.1996, n. 118, in Giust. civ., 1996, I, 1879 e, come obiter dictum, Cass., 4.5.2007, n. 10214, in Mass. Giust. civ. 2007, 5. Si noti che tale orientamento trova autorevole sostegno in Trimarchi, op. cit., 604; Baggio, Il danno da trasfusioni, in Il trattato dei nuovi danni, diretto da Cendon, Padova, 2011, 736; Rossetti, op. cit., 1028; Sella, La quantificazione dei danni da malpractice medica, Milano, 2005, 216 ss.; Ricci, op. cit., 3096 s. Trib. Roma, 7.1.2003, in Giur. rom., 2003, 417. In dottrina si segnalano, tra gli altri: Di Costanzo, Il danno da trasfusione ed emoderivati infetti, Napoli, 1998; Castelli, Emoderivati infetti e responsabilità civile, in Questione giustizia, 1999, 541; Costanzo, La responsabilità della pubblica amministrazione per omissione di controlli: danni da trasfusione di emoderivati infetti, in Giust. civ., 1999, 2857; Izzo, Sangue infetto e responsabilità civile: appunti per un inquadramento olistico del danno da contagio, in Danno e resp., 1998, 741; Rossetti, op. cit., 1029; Dragone, Il danno da emotrasfusioni, cit., 856. 16

Sulle questioni relative all’ammontare dell’assegno una tantum versato agli eredi del danneggiato v. Mattarelli, Mezzini, Indennizzo e risarcimento del danno da prelievi e trasfusioni di sangue, Bologna, 2007, 43 ss. 13

Trib. Roma, 27.11.1998, n. 21060, in Giust. civ., 1999, I, 2851, con nota di Costanzo; Trib. Roma, 4.6.2001, in Giust. civ., 2001, 27; Trib. Roma, 8.1.2003, in Foro it., 2003, I, 622; App. Milano, 22.10.1996, in Danno e resp., 1997, 734. Il principio di non alternatività degli istituti è stato successivamente positivizzato dalla l. 29.10.2005, n. 229 e confermato dalla l. 29.11.2007, n. 222. 14

15

Trib. Bari, 20.3.2004, in Dir. e giust., 2004, XXVIII, 81;

Apparentemente rimane impregiudicata la questione della cumulabilità laddove il risarcimento sia dovuto da soggetto diverso, quale una struttura ospedaliera privata. 17

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stessa Cassazione nelle motivazioni delle sentenze successive18. Nell’applicare il nuovo principio di diritto, la Suprema Corte ha, inoltre, cura di meglio precisarne la portata. Trovandosi innanzi a fattispecie nelle quali il Ministero ricorrente, pur avendo eccepito la compensazione dell’indennizzo riconosciuto ai danneggiati, non aveva fornito prova dell’esatto ammontare dell’assegno vitalizio, né della sua effettiva corresponsione, la Cassazione puntualizza infatti come “è ben vero che la compensatio non può che dirsi astrattamente spettante [***] tuttavia l’astratta spettanza di una somma suscettibile di essere compresa tra un limite minimo e massimo, a seconda della patologia riconosciuta, non equivale all’effettiva sua corresponsione e non fornisce elementi per individuare l’esatto ammontare del credito per indennizzo: sicché il carattere predeterminato delle tabelle non consente di individuare, in mancanza di dati specifici di cui è onerato colui che eccepisce il lucrum, il preciso importo della somma da portare in decurtazione del risarcimento”19. Tale precisazione si conferma e consolida con la sua reiterazione nelle decisioni in materia degli anni successivi, sia presso la giurisprudenza di legittimità che di merito20. In particolare, la Corte d’Appello di Milano, vi si riferisce anche per decidere un caso nel quale il diritto all’indennizzo era già stato riconosciuto al danneggiato con sentenza del Tribunale del lavoro senza però che l’indicazione esatta dell’importo dell’assegno fos-

Si vedano Cass., 23.5.2011, n. 11302, in Mass. Giust. civ. 2011, 786; Cass., 17.1.2012, n. 532, in DeJure; Cass., 14.3.2013, n. 6573, in Guida al dir., 2013, XXVI, 65; Cass., 16.4.2013, n. 9145, in DeJure. Nel merito si veda Trib. Bari., 18.6.2015, in DeJure. Per un’eccezione si noti App. Catania, 4.11.2008, in Foro it., I, 1, 250, secondo cui “dall’importo de risarcimento spettate alla persona danneggiata per aver contratto un’epatite C, a seguito dell’assunzione di emoderivati infetti, non vanno scomputate le somme che la stessa percepisce a titolo di indennizzo, qualora tali somme siano irrisorie in relazione alle prevedibili cure farmacologiche (e verosimilmente anche chirurgiche) imposte dalla gravissima patologia”. 18

Cass., 15.6.2013, n. 14932, in Mass. Giust. civ. 2013. Cfr.: Cass., 13.11.2013, n. 25532, in DeJure e Cass., 28.2.2014, n. 4785, ibidem. 19

20

Ex plurimis Trib. Roma, 5.12.2016, in DeJure.

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Giurisprudenza

se indicata nella decisione. Secondo la Corte “Nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della salute per il risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, l’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992 non può essere scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno («compensatio lucri cum damno»), qualora non sia stato corrisposto o quantomeno sia determinato o determinabile, in base agli atti di causa, nel suo preciso ammontare, posto che l’astratta spettanza di una somma suscettibile di essere compresa tra un minimo ed un massimo, a seconda della patologia riconosciuta, non equivale alla sua corresponsione e non fornisce elementi per individuarne l’esatto ammontare, né il carattere predeterminato delle tabelle consente di individuare, in mancanza di dati specifici a cui è onerato chi eccepisce il «lucrum», il preciso importo da portare in decurtazione del risarcimento”21. Altra precisazione che si innesta sul dictum delle Sezioni Unite, andando a rafforzare quella posizione di minor favore assunta dal Supremo Collegio sulla questione specifica, attiene alla rilevabilità d’ufficio della compensatio. Illustra infatti la Cassazione che “la compensatio lucri cum damno integra un’eccezione in senso lato, rientrante nell’attività difensiva consentita alla parte in ogni momento e finché non resti preclusa da un giudicato interno anche implicito, sicché può essere dedotta per la prima volta in appello ed essere rilevata pure di ufficio dal giudice”22. L’inquadramento dell’eccezione di compensazione relativa all’indennizzo ex l. n. 210/1992 quale eccezione in senso lato, e quindi “non l’adduzione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto azionato, ma una mera difesa

App. Milano, 13.1.2016, in DeJure. Nel caso di specie il Tribunale del lavoro con sentenza, 17.10.2006, riconosceva al contagiato l’indennizzo nei limiti di cui all’VIII categoria prevista dalle apposite tabelle di quantificazione senza precisarne l’importo esatto all’interno dei limiti ivi stabiliti. 21

Cfr. Cass., 14.1.2014, n. 533; Cass., 20.1.2014, n. 991 e Cass., 24.9.2014, n. 20111, tutte in Mass. Giust. civ. 2014. 22


Danni da emotrasfusione e responsabilità del Ministero

in ordine all’esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato”, trova recepimento e conferma anche nelle successive decisioni, sebbene in un isolato caso esaminato dalla Corte d’Appello di Torino la sentenza, dando atto della remissione alle Sezioni Unite del contrasto maturato in relazione a diverse fattispecie in seno alla Suprema Corte in merito alla questione “se il fatto che il danno da illecito e l’attribuzione patrimoniale riconosciuta dalla legge alla vittima, o ai suoi aventi causa, in forma di pensione di inabilità o reversibilità in quanto derivanti da titoli diversi, escludano l’operatività del principio compensatio lucri cum damno”, riconosca minoritario l’indirizzo favorevole al principio dello scomputo espresso dalle Sezioni Unite nell’ottica del rilevato contrasto (che viene in ogni caso fatto proprio dal giudice nel pronunciarsi)23. Da ultimo la Corte è tornata sul tema per precisare ulteriormente la corretta interpretazione del principio reso dalle Sezioni Unite. A fronte di una lettura in termini meramente ipotetici de “l’indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno” di cui alla massima ufficiale delle decisioni del 2008, la Corte precisa come, in realtà, la logica del principio espresso dalle Sezioni Unite, immediatamente individuabile dalla lettura delle motivazioni delle sentenze, imponga una lettura della massima secondo cui il “può [***] significa che lo scomputo è indefettibile”24. L’orientamento favorevole allo scomputo dell’indennizzo ex l. n. 210/1992 dalla somma riconosciuta al danneggiato a titolo di risarcimento per i danni patiti a causa della contrazione di infezioni a seguito di trasfusioni di sangue infetto, così

La sentenza, App. Torino, 12.5.2016, in DeJure, si riferisce all’ordinanza di rimessione alle sez. un., 5.3.2015, n. 4447. Il Supremo Collegio non si pronuncerà sul punto poiché non dirimente ai fini della decisione nel caso di specie. Più di recente Cass., ord. 22.6.2017, n. 15534, ha rinviato alle sez. un. analogo quesito, sempre maturato in rapporto a fattispecie altre rispetto al danno da emotrasfusioni infette. Sull’inquadramento dell’eccezione di compensazione come eccezione in senso lato, ex multis, Cass., 24.9.2014, n. 20111, in DeJure.

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come fissato dalle Sezioni Unite ed integrato con i corollari apportati dalla giurisprudenza maturata nel decennio successivo, si presenta oggi assolutamente consolidato attraverso la propria reiterazione in tutte le decisioni più recenti in materia25.

4. Le specificità della responsabilità “per colpa” del Ministero della Salute La maggior parte del contenzioso in materia di risarcimento del danno da emotrasfusioni vede protagonisti individui emotrasfusi abituali, che, trovandosi in difficoltà nel risalire allo specifico episodio di emotrasfusione causa del contagio (e la singola struttura sanitaria e il personale medico responsabili del danno) avviano l’azione di risarcimento nei confronti del Ministero della Salute. Se la qualificazione in termini di responsabilità contrattuale per le azioni proposte avverso le strutture sanitarie o le équipe mediche ha presentato minori problemi, simile considerazione non vale quanto all’affermazione della responsabilità del Ministero in termini di responsabilità extracontrattuale, per la quale si pongono, in particolare, due ostacoli26. Innanzitutto non era chiaro se il Ministero dovesse rispondere ex art. 2050 c.c. oppure ex art. 2049 c.c. o, ancora, in virtù del principio generale del neminem ledere ex art. 2043 c.c.27 Si poneva poi la problematica relativa all’estensione temporale della responsabilità ministeriale, posto che non in tutti i casi il virus portatore della patologia contratta (HBV, HIV o HCV) era già stato scoperto ed isolato al tempo della trasfusione, in quanto i tre virus sono stati individuati in tempi

23

24

Cass., 12.2.2015, n. 2785, in DeJure.

Ex plurimis Trib. Bari, 7.6.2016, in DeJure e App. Palermo, 23.4.2017, ibidem. 25

De Matteis, Le responsabilità in ambito sanitario. Il regime binario: dal modello teorico ai risvolti applicativi, Padova, 2017. 26

Baggio, op. cit., 719. Sulla fattispecie di cui all’art. 2050 c.c. si veda Trimachi, op. cit., 401 ss. Sull’articolo 2049 c.c. e i limiti alla sua applicazione si rinvia a ALPA, La responsabilità civile. Parte generale, Torino, 2010, 942 ss. 27

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tra loro differenti (rispettivamente nel 1978, 1985 e 1988). Quanto alla prima questione sono state scartate, sia l’ipotesi di una responsabilità del produttore in capo al Ministero, sia quella di una responsabilità ex art. 2049 c.c., non essendo le ASL o le Aziende Ospedaliere organi del Ministero28. Nonostante talune isolate affermazioni, anche la ricostruzione della colpa del Ministero in termini di responsabilità per esercizio di attività pericolosa, non ha riscosso consenso in ragione del fatto che la riconosciuta pericolosità della pratica trasfusionale non si estende all’attività di controllo e vigilanza di spettanza del Ministero che non ha in se stessa alcun elemento intrinseco di pericolosità29. La soluzione proposta dalle Sezioni Unite del 2008 supera l’impasse affrontando la responsabilità Ministeriale in termini di culpa in vigilando: la responsabilità aquiliana di natura omissiva viene, infatti, ricondotta alla violazione degli obblighi di vigilanza e controllo normativamente imposti al Ministero con la conseguenza che “anche prima dell’entrata in vigore della l. 4 maggio 1990, n. 107, contenente la disciplina per le attività trasfusionali e la produzione di emoderivati, deve ritenersi che sussistesse in materia, sulla base della legislazione vigente, un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di sangue umano da parte del Ministero della sanità [***] l’omissione da parte del Ministero di attività funzionali alla realizzazione dello scopo per il quale l’ordinamento attribuisce il potere (qui concernente la salute pubblica) lo espone a responsabilità extracontrattuale, quando, come nella fattispecie dalla violazione del vincolo interno costituito dal dovere di vigilanza dell’interesse pubblico, il quale è strumentale ed accessorio a quel potere, siano derivate violazioni dei diritti soggettivi dei terzi”30.

Montanari Vergallo, Frati, op. cit., 40, e nota 6; Rossetti, op. cit., 1022. 28

Trib. Roma, 27.11.1998 cit., riconduce la responsabilità ministeriale all’art. 2050 c.c. Quanto alla qualificazione dell’attività trasfusionale come “pericolosa” si veda l’art. 19 d. m., 15.1.1991, in G.U., 24.1.1991, n. 20. 29

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Sulla responsabilità per omissione di vigilanza da parte

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Giurisprudenza

Dalla qualificazione in termini di responsabilità ex art. 2043 c.c. piuttosto che ex art. 2050 c.c. discendono importanti riflessi quanto al profilo probatorio, dovendo infatti il danneggiato provare l’esistenza del danno, la colpa del Ministero e il nesso causale tra questi. In realtà la netta differenza tra le due forme di responsabilità è sfumata dalle ulteriori precisazioni del ragionamento della Cassazione che da una parte sposta gli oneri probatori in capo al Ministero in virtù del principio di vicinanza della prova e dall’altra porta ad assorbire la prova della colpa nella prova del nesso causale la cui sussistenza determina una sorta di presunzione di colpa31. Le Corte, inoltre, agevola la posizione dell’attore nel prendere posizione sul coefficiente probabilistico richiesto ai fini della ricostruzione del nesso

della P.A. si veda Bianca, Diritto civile, Milano, 2012, 712. In giurisprudenza la questione trova, in particolare, analitica ricostruzione in Cass., 11.1.2008, n. 576, in Rep. Foro it., 2008, 1529. Le norme richiamate dalla decisione delle Sezioni Unite sono: l’art. 1 della l. 14.7.1967, n. 592 che attribuiva al Ministero le direttive tecniche per l’organizzazione, il funzionamento e la relativa vigilanza nonché il compito di autorizzare l’importazione e l’esportazione di sangue umano e dei suoi derivati per uso terapeutico; l’art. 2 del d. P. R., 24.8.1971, n. 1256 che conteneva le conseguenti norme di dettaglio; dalla l. 7.8.1973, n. 519 che attribuiva all’ISS compiti a tutela della salute pubblica; la l. 23.12.1978, n. 833 che aveva riservato al Ministero importanti funzioni in materia di emoderivati e confermato quale materia di interesse nazionale la raccolta, il frazionamento e la distribuzione del sangue umano e il d. l. 30.10.1987, n. 443 che prevedeva la c.d. farmacovigilanza del Ministero. Dice infatti la Corte che laddove siano provati l’omissione del Ministero rispetto ai proprio obblighi di vigilanza e controllo, la conoscenza ai più alti livelli scientifici del tempo della trasmissibilità del virus attraverso sangue infetto e l’esistenza di una patologia da epatite o HIV in un soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, in assenza di fattori alternativi il giudicante deve ritenere che l’omissione sia stata la causa dell’insorgenza della malattia e la condotta doverosa del Ministero, laddove tenuta, avrebbe evitato l’evento. Più recentemente si veda Trib. Roma, 31.10.2013, n. 21783, ined. ined. e Trib. Bari, 13.7.2016, n. 3898, inedita. Per un’analisi dei rapporti tra le figure disciplinate dagli artt. 2050 e 2043 c.c. si veda Visintini, op. cit., 738 s. e Franzoni, op. cit., 432 s. Con riferimento al principio di vicinanza della prova merita di essere segnalata l’attenta analisi di Trimarchi, op. cit., 630 ss. 31


Danni da emotrasfusione e responsabilità del Ministero

di causalità sposando la regola “del più probabile che non”32. Quanto al secondo ostacolo, l’affermazione della responsabilità “per colpa” del Ministero nei casi in cui il contagio era avvenuto in un tempo precedente alla scoperta dei diversi virus, la Cassazione aveva in un primo momento ritenuto che dovesse ritenersi mancare il nesso di causalità in tutti quei casi nei quali il contagio era avvenuto prima che il test di identificazione dello specifico virus fosse noto alla scienza medica33. Con l’intervento a Sezioni Unite i giudici mutano prospettiva, ammettendo che i tre agenti virali “non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica da virus veicolati da sangue infetto, che il Ministero non aveva controllato, come pure era obbligato per legge” con la conseguenza che il Ministero della salute risponde “anche per il contagio degli altri due virus” già “a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B”34. Mentre la qualificazione della responsabilità del Ministero in termini di responsabilità omissiva ex art. 2043 c.c., con i detti accorgimenti, ha trovato fino ad oggi unanime sostegno35, la decisione del

Critiche a tale principio sono state sollevate da Trimarchi, op. cit., 625 ss. il quale osserva come “l’idea che in materia civile ci si possa accontentare di prove meno certe che in materia penale per la pretesa minore gravità delle conseguenze manca di considerare che un’ingiusta condanna al pagamento di una grossa somma di denaro può essere distruttiva della vita di un uomo”. Costituendo inoltre un incentivo alla litigiosità nelle situazioni incerte. In giurisprudenza il principio fissato da Cass.. 16.10.2007, n. 21619, in Giust. civ. Mass. 2007, 10, è ribadito, ex multis, da Cass., 2.8.2013, n. 18504 in DeJure. 32

33

Così Cass., 31.5.2005, n. 11609 in Mass. Giust. civ. 2005, 5.

34

Cfr. Cass., 11.1.2008, n. 576, cit.

Cfr. Cass., 14.7.2011, n. 15453, in Giust. civ., 2012, I, 1, 112; Cass., 29.8.2013, n. 19483, ined.; Cass., 23.1.2014, n. 1355, in Dir. e giust., 2014; Cass., 12.12.2014, n. 26152, in Mass. Giust. civ. 2014; Cass., 20.1.2015, n. 820, ined.; Cass., 29.5.2015, n. 11191, ined.; Trib. Roma, 16.7.2017, n. 12283, in www.rivistaresponsabilitamedica.it; Cass., 13.7.2017, n. 17227, ibidem; Cass., 29.9.2017, n. 22832, in Dir. e giust., 2017; Cass., 31.10.2017, n. 25989, in www.rivistaresponsabilitamedica.it; Trib. Napoli, 2.11.2017, n. 10829, in DeJure; Trib. Roma, 9.1.2018, in www.rivistaresponsabilitamedica.it. In dottrina Montanari Vergallo, Frati, ibidem, e Greco, La

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Supremo Collegio di non indicare la data di conoscenza del virus dell’epatite B, affermando che tale individuazione “spetta all’esclusiva competenza del giudice di merito, costituendo un accertamento di fatto”, ha aperto un nuovo contrasto tra orientamenti. Infatti, sebbene l’unitarietà dell’evento lesivo sia unanimemente accettata dalla giurisprudenza laddove prevede che il Ministero risponda del contagio di virus HIV e HCV già a partire dalla data di individuazione del virus HBV36, si registrano tendenze contrastanti in relazione ai contagi avvenuti in conseguenza di trasfusioni anteriori alla data di individuazione dell’epatite B. A un primo orientamento, di maggior favore rispetto alle doglianze dei danneggiati ed in via di repentina affermazione, secondo il quale è comunque configurabile la responsabilità del Ministero per l’omissione dei controlli sulla raccolta distribuzione del sangue, se ne contrappone un altro secondo cui “si applica il principio della regolarità causale della condotta omissiva che presuppone, oltre all’accertamento della violazione dell’obbligo di tenere la condotta, l’accertamento, in riferimento all’epoca di produzione del preparato, della conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici della possibile veicolazione di virus attraverso sangue infetto, in modo che, secondo un giudizio ipotetico, possa dirsi che l’azione omessa avrebbe potuto impedire l’evento, essendo oggettivamente prevedibile che ne sarebbe potuta derivare come conseguenza la lesione” e “tale accertamento [***] rientra nelle competenze del giudice del merito, deve ritenersi raggiunto con il riconoscimento del virus dell’epatite B [***] da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 1978”; mentre per il periodo anteriore al 1978 ai fini dell’imputabilità del Ministero deve

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struttura sanitaria risponde solo parzialmente dei danni da emotrasfusione: rilievi critici e profili problematici, in questa Rivista, 2017, 127. Ex plurimis Cass., 23.5.2011, n. 11301, in Dir. e giust., 2011; Cass., 23.8.2013, n. 19483, cit.; Cass., 23.1.2014, n. 1355, cit.; Cass., 14.3.2014, n. 5954, in Mass. Giust. civ. 2014; Cass., 3.7.2015, n. 13660, in DeJure; Trib. Bari, 13.7.2015, ibidem; Cass., 16.10.2015, n. 20933, in Mass. Giust. civ. 2015; Cass., 16.10.2015, n. 20934, in Guida al dir., 2015, XLVIII, 56. 36

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essere accertata, oltre all’esistenza della patologia, la “conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici” della possibile veicolazione del virus attraverso sangue infetto e l’assenza di fattori causativi della patologia alternativi37.

5. L’exordium praescriptionis La questione della decorrenza del termine di prescrizione in materia di danni lungolatenti, ed in particolare derivanti da trasfusioni, si presenta storicamente controversa. Consolidata l’affermazione della responsabilità del Ministero come extracontrattuale, cui consegue la durata quinquennale della prescrizione38, residuava la più delicata questione relativa all’individuazione del dies a quo di tale termine. Un’interpretazione letterale del primo comma dell’art. 2935 c.c. “la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere” e dell’art. 2947 c.c. “il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato” porterebbe a concludere nel senso che il termine decorre dalla causazione del danno, a nulla rilevando il momento della sua percezione da parte del danneggiato39.

Si vedano da una parte Cass., 29.8.2011, n. 17685, in Mass. Giust. civ. 2011, 1249; Cass., 30.8.2013, n. 19995, ined.; Cass., 4.2.2016, n. 2232, in Mass. Giust. civ. 2016 e Cass., 31.10.2017, n. 25989, cit.; dall’altra si notino Cass., 14.3.2014, n. 5954, cit. e Cass., 20.5.2015, n. 10291, in Mass. Giust. civ., 2015.

Giurisprudenza

Già prima dell’intervento delle Sezioni Unite la giurisprudenza proprio nel campo del danno alla persona, aveva rilevato uno sbilanciamento a favore del convenuto spingendo per una rilettura dell’art. 2947 c.c.40 L’evoluzione giurisprudenziale ha portato a sviluppare una nozione di “fatto” che non si limita al solo comportamento dell’agente (sia esso commissivo od omissivo, qual è il mancato rispetto dei doveri di vigilanza imputabile al Ministero) ma che comprende al suo interno l’evento nel suo complesso venendosi a comporre di due elementi: il comportamento del danneggiante e la conseguente modificazione della realtà esteriore oggettivamente percepibile dal soggetto leso. Poiché la conoscenza del danno non comporta necessariamente la consapevolezza del fatto giuridicamente rilevante ai fini di una domanda di risarcimento danni, si è successivamente precisato che ai fini della decorrenza il danno deve manifestarsi in tutte le sue componenti e in tutta la sua gravità41, dovendo il danneggiato poter ricondurre eziologicamente il danno ad un determinato evento materiale e questo all’azione (rectius: omissione) del danneggiante42. Le Sezioni Unite nel 2008 hanno aderito a questa impostazione con una doverosa precisazione, atta a scongiurare che la decorrenza del termine dive-

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La prima affermazione, poi confutata nella misura in cui riconduceva la responsabilità all’art. 2050 c.c., è in Trib. Roma, 27.11.1998, n. 21060, cit. In proposito Dragone, Guarda, in Dragone (a cura di), Responsabilità medica danni da trasfusione e da contagio, Milano, 2007, 276 ss.; Rubino, op. cit., 185 ss. 38

Propende per questa minoritaria impostazione Monateri, La prescrizione e la sua decorrenza dal fatto: una sentenza da elogiare, in Danno e resp., 2004, 389 ss. come ripreso anche in Bertotto, Prescrizione e danno lungolatente tra Roma e Strasburgo, in Forum quad. cost., 19 gennaio 2015, 7. Si noti come la scelta del legislatore in merito all’art. 2947 c.c. differisce dal corrispondente articolo sia del Codé Napoleon, da cui il Codice Civile trae ispirazione, sia dal corrispondente articolo contenuto nel Codice del 1865, scegliendo di prescindere da ogni ragione, oggettiva o soggettiva, del ritardo del danneggiato nel proporre le proprie doglianze. Quanto 39

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all’art. 2935 c.c. si vedano le considerazioni svolte da Galgano, op. cit., 843. Cass., 10.6.1999, n. 5701, in Rep. Foro it., 1999, 82; Cass., 12.8.1995, n. 8845, in Mass. Giust. civ., 1995, 1517; App. Roma, 23.10.2000, in Foro pad., 2001, I, 91, con nota di Di Gravio; Trib. Roma, 14.6.2001, in Resp. civ. e prev., 2002, 835; Trib. Torino, 14.3.2007, in Resp. civ., 2007, 1371. Si veda inoltre il conforto della dottrina in punto: Ottolenghi, Prescrizione dell’azione per danni, Milano, 1975, 86 ss; Vitucci, nel Commentario Schlesinger, Milano, 1999, sub art. 2935, 77; Vitucci, Roselli, La prescrizione e la decadenza, nel Trattato Rescigno, XX, Torino, 1984, 397; in tempi più recenti si noti BIANCA, op. cit., 567 ss. 40

Cass., 24.3.1979, n. 1716, in Foro it., 1980, I, 1115; Cass., 24.2.1983, n. 1442, in DeJure; Cass., 12.8.1995, n. 8845, cit.; Cass., 9.5.2000, n. 5913, in Mass. Giust. civ. 2000, 972 e Cass., 29.8.2003, n. 12666, ivi, 2003, 7 s. 41

Cass., 21.2.2003, n. 2645, in Giur. it., 2004, 285; Cass., 5.7.2004, n. 12287, in DeJure; Cass., 8.5.2006, n. 10493, in Mass. Giust. civ. 2006, 5. 42


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Danni da emotrasfusione e responsabilità del Ministero

nisse, all’opposto, irragionevolmente dilazionata vanificando la ratio dell’istituto. La consapevolezza in capo al danneggiato è infatti ancorata a due parametri oggettivi quali l’ordinaria diligenza da una parte e il livello di conoscibilità scientifica in relazione all’uomo medio dall’altra, pervenendo quindi al completamento di una lettura costituzionalmente orientata ai sensi dell’art. 24 degli artt. 2947 e 2935 c.c. che trova a tutt’oggi piena e puntuale applicazione43. Altro aspetto collegato all’individuazione dell’esordio del termine prescrizionale è l’eventuale peggioramento della patologia. A partire dalle Sezioni Unite del 2008 la giurisprudenza distingue due ipotesi: i peggioramenti che si esauriscono in un mero aggravamento del danno già sorto non determinano lo spostamento del dies a quo. Un nuovo termine di prescrizione decorre, invece, laddove il peggioramento consista nell’insorgenza di una diversa e più grave patologia che viene considerata una nuova ed autonoma lesione44. Nel caso concreto, a valle del consolidatissimo principio espresso dalle Sezioni Unite, permane difficoltoso individuare il momento in cui la consapevolezza del fatto giuridicamente rilevante è maturata in capo al danneggiato. Benché generalmente questa si presuma acquisita nel momento in cui il danneggiato propone la domanda di indennizzo ex l. n. 210/1992, sul presupposto che in tale momento il danneggiato abbia un sufficiente grado di consapevolezza circa gli elementi della fattispecie45, appare più opportuno che tale valutazione sia effettuata caso per caso ben potendo tale consapevolezza essere maturata anche in un momento antecedente la proposizione della do-

manda46 o in un momento successivo, come solo isolate pronunce hanno affermato fondando il proprio decisum sul condivisibile rilievo che stante la diversa natura giuridica dell’indennizzo rispetto al risarcimento, questo può essere richiesto dal danneggiato quale mera misura solidaristica e di sostegno senza che sia necessario allegare la conoscenza di tutti gli elementi dell’illecito, come invece si rende necessario ai fini della risarcibilità del danno aquiliano47.

In particolare il principio emerge in Cass., 11.1.2008, n. 576, n. 579, n. 580 e n. 584, cit. Nella giurisprudenza recente si vedano Trib. Roma, 14.11.2016; Cass., 7.2.2017, n. 3125; Trib. Roma, 3.5.2017; Trib. Napoli, 6.6.2017, in www.rivistaresponsabilitamedica.it; Cass., 13.7.2017, n. 17227, cit.; Trib. Brescia, 4.10.2017, in www.rivistaresponsabilitamedica.it. 43

Cass., 11.1.2008, n. 580, cit.; Cass., 21.3.2013, n. 7139, in Dir. e resp., 2013, 792. 44

Cass., 2.7.2013, n. 1655; Cass., 19.12.2013, n. 28464, in Foro it., 2014, 1, 2181; Cass., 3.7.2015, n. 13660, cit., e Cass., 18.11.2015, n. 23635; Trib. Roma, 16.6.2017, cit.; Cass., 13.7.2017, n. 17227, cit. 45

46

Cass., 27.2.2017, n. 4996, in Mass. Giust. civ. 2017.

App. Roma, 21.1.2013, consultabile all’indirizzo: personaedanno.it. 47

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o g Dialogo Dialogo medici-giuristi medici-giuristi ialo ci d di sti i e r La sicurezza delle cure e il m giu ruolo dell’ingegneria clinica Angelo Venchiarutti

Professore nell’Università di Trieste

Diego Bravar Ingegnere

Sicurezza e prevenzione: il ruolo dell’ingegneria clinica Angelo Venchiarutti Com’è noto con la legge n. 24 del 2017, la c.d. legge Gelli-Bianco, il nostro legislatore, a solo cinque anni di distanza dalla c.d. “Legge Balduzzi”, è tornato ad occuparsi della responsabilità sanitaria. La nuova legge prende in considerazione diversi e importanti profili della medical malpractice. Il provvedimento normativo ha suscitato valutazioni di diverso segno da parte dei numerosi commentatori. In questa sede, mi sembra opportuno considerare alcuni aspetti caratterizzanti la normativa che ritengo rivestano una particolare rilevanza nell’ambito dell’ingegneria clinica. A questo riguardo, per l’esperienza maturata nel corso della sua attività professionale, l’ingegner Diego Bravar può fornire un contributo interessante. Egli difatti ha fondato, e poi diretto per molti anni, una società fornitrice di servizi integrati di ingegneria clinica, ICT, telemedicina e teleassistenza a strutture socio sanitarie, pubbliche e private di ben 16 Paesi diversi. Consideriamo anzitutto il testo del 1° comma dell’art. 1 della Legge Gelli-Bianco: “La sicurezza delle cure è parte costituiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività”. Gli aspetti più significativi connessi a questa dichiarazione di principio mi sembra siano i seguenti: (i) l’imposizione in capo alle strutture sanitarie, socio sanitarie, pubbliche e private del compimento di tutte quelle «attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio

connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie» nonché richiama la necessità dell’«utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative»; (ii) la previsione di un capillare monitoraggio di rischi, degli eventi avversi, del contenzioso sanitario, etc. – che a livello regionale viene affidato ai “Centri per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente”, una volta che saranno costituiti (art. 2, comma 4) e a livello nazionale, all’“Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità” (art. 3, comma 1), che è stato istituito con decreto del Ministro della Salute del 29 settembre 2017; (ii) la previsione che l’Osservatorio oltre ad acquisire i dati regionali dai “Centri per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente” predispone “linee di indirizzo” volte ad individuare “idonee misure per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario” (art. 3, co. 2). Faccio anche presente che le nuove disposizioni vanno lette in correlazione con i commi 538, 539 e 540 dell’art. 1, legge n. 208/2015 (legge Finanziaria 2016), ove è previsto che: «le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano dispongono che tutte le strutture pubbliche e private che erogano prestazioni sanitarie attivino un’adeguata funzione di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio sanitario (risk management)» attraverso l’attivazione di percorsi di audit o altre metodologie finalizzati allo studio dei processi interni, delle criticità più frequenti, alla rilevazione del rischio di non appropriatezza delle prestazioni, alla facilitazione della emersione di eventuali attività di medicina difensiva ecc.

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Le previsioni appena ricordate inducono dunque a ritenere che la legge Gelli-Bianco intenda privilegiare il momento della prevenzione rispetto a quello della responsabilità (la formulazione dello stesso titolo della legge, allorché fa riferimento alla sicurezza delle cure e della persona assistita, lo sta a confermare). L’obiettivo della legge pare quello di apprestare e rendere operativo un modello organizzativo efficiente che sia in grado di ridurre drasticamente gli “errori” a monte, in modo da scongiurare il verificarsi, a valle, di episodi negativi per la salute del paziente. Ebbene cosa ne pensa dell’impostazione della legge e del contenuto di queste previsioni normative? In particolare, per cercare di raggiungere gli obiettivi indicati dalla legge, quale ruolo può svolgere l’“ingegneria clinica”? Diego Bravar Certamente il tema della sicurezza costituisce uno snodo cruciale per quanto concerne l’aspetto della prevenzione nell’ambito dell’attività medica. Penso che là dove vengano concretizzate le prescrizioni del nuovo provvedimento possono derivare oltre che un miglioramento per l’organizzazione delle strutture sanitarie anche benefici sia per gli esercenti della professione sanitaria sia soprattutto per i pazienti. In quest’ambito, l’ingegneria clinica è destinata a svolgere un ruolo fondamentale. Com’è noto è notevolmente cresciuta negli ospedali, non soltanto del nostro Paese, la diffusione di apparecchiature biomediche e di altri dispositivi medici “avanzati” per la diagnosi, la terapia e la riabilitazione di diverse patologie. Una struttura sanitaria moderna si presenta in effetti anche come un grande contenitore di apparecchiature biomediche oltre ad essere anche un grande fruitore di dispositivi medici (di cui le citate strumentazioni fanno parte) e di farmaci. Questa situazione ha radicalmente modificato, per molti versi, l’approccio alla cura. Essa ha comportato innegabili benefici e vantaggi per la cura della persona. Le apparecchiature biomediche in particolare richiedono però non solo interventi di manutenzione e di formazione che ne assicurino un utilizzo in sicurezza, ma anche un approccio gestionale diverso rispetto al passato. Responsabilità Medica 2018, n. 1

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L’evoluzione tecnologica dei dispostivi collegati alla cura della salute ha fatto sì che l’utilizzo delle apparecchiature biomediche e/o dei dispositivi medici si sia “iperspecializzato” nell’ambito ospedaliero e/o socio sanitario. Vi è dunque la necessità di integrare la gestione dei diversi sistemi tecnologici, che producono dati, segnali ed immagini biomediche: insomma vi è l’esigenza di un approccio che tenga conto delle nuove caratteristiche dei dispositivi medici utilizzati all’interno ed all’esterno di un ospedale. Sfruttando le applicazioni di telemedicina e dei software ad uso medico, il ricorso alle citate tecnologie si è allargato infatti (oltre che nell’ambito ospedaliero) anche alla dimensione territoriale, ed è giunto sino al domicilio del paziente (la c.d. home care). Si pensi ad esempio ai dispositivi medici ad elevatissimo contenuto tecnologico con alta capacità e velocità di acquisizione e trattamento di dati, segnali ed immagini mediche; alla miniaturizzazione dei componenti e delle dimensioni delle tecnologie; alla realizzazione di “biosensori” sempre più piccoli e sofisticati (es: bionanosensori); alla messa in rete con le diverse applicazioni di telemedicina dei citati dispostivi medici con la conseguente necessità di sviluppare software medicali idonei per organizzare e integrare le informazioni che provengono dagli stessi. Pertanto, a fronte di una distribuzione sempre più vasta ed ormai irrinunciabile delle citate tecnologie biomediche integrate con quelle informatiche e delle telecomunicazioni, le strutture socio sanitarie devono essere in grado di scegliere, di volta in volta le tecnologie più appropriate e soprattutto di impiegarle poi correttamente. Solo così si riesce a garantire la sicurezza dei pazienti e degli operatori e la qualità del servizio erogato, cercando allo stesso tempo di ridurre e ottimizzare i costi di acquisto di tutti i dispositivi medici (mercato pari a circa 10 miliardi di euro all’anno solo in Italia) e di quelli relativi alla manutenzione e gestione di oltre un milione di apparecchiature biomediche operative negli ospedali italiani. L’evoluzione degli stessi dispositivi medici impone quindi che negli ospedali moderni vi sia la presenza di competenze adeguate a svolgere funzioni del genere. In questo quadro, il contributo degli ingegneri clinici è destinato a diventare più


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rilevante. Essi sono inevitabilmente destinati ad occuparsi, in modo crescente, di management, di valutazione e di gestione del rischio e di risolvere le problematiche derivanti dall’integrazione tra le varie apparecchiature biomediche, i sistemi di telemedicina e/o le diverse soluzioni informatiche. Ricordo che l’Associazione Italiana Ingegneri Clinici (AIIC) che opera in Italia sin dai primi anni ‘90 definisce l’“Ingegnere Clinico” un “professionista che partecipa alla cura della salute garantendo un uso sicuro, appropriato ed economico delle tecnologie nei servizi sanitari”. Al riguardo, ricordo anche che durante un convegno organizzato a Trieste nei primi anni ‘90 dalla CED (Clinical Engineering Division), il sottoscritto come Presidente della stessa, aveva promosso la costituzione dell’AIIC da parte degli allora 30 ingegneri clinici italiani. Aggiungo che l’International Federation of Medical and Biomedical Engineering (IFMBE) attribuisce all’Ingegneria clinica l’attività di gestione sicura ed efficiente della tecnologia e le applicazioni dell’ingegneria biomedica in ambiente clinico, per il miglioramento della salute: “the safe and effective management of technology and the application of medical and biological engineering within the clinical environment, for the advancement of health care” (1985). Le definizioni sopra riportate si intersecano con la presenza dei Servizi di Ingegneria Clinica (SIC), all’interno delle strutture ospedaliere italiane: ossia di personale tecnico capace di assicurare un elevato grado di sicurezza e una corretta gestione delle apparecchiature presenti nelle strutture stesse. Vorrei evidenziare, infatti, che pur avendo l’Italia un patrimonio installato negli ospedali italiani di apparecchiature tecnologiche molto sviluppato (circa 10 Md di Euro), il nostro Paese si collocava fino a trenta anni fa tra i paesi industrializzati con la minore presenza di ingegneri clinici nelle citate strutture sanitarie. I servizi di Ingegneria Clinica, infatti, hanno iniziato a svilupparsi e ad essere presenti ed operativi in Italia, grazie ad una promozione strategica effettuata a partire dagli anni ‘80 da parte dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa assieme al Servizio di Ingegneria Clinica di Trieste (uno dei primi e più importanti in Italia).

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Tale promozione è stata poi supportata soprattutto dall’AIIC e dalla crescita dei servizi di ingegneria in outsourcing promossi da società come TBS Group, che era nata a valle di un Progetto Finalizzato sulle Tecnologie Biomediche e Sanitarie del CNR (1983-1987). Negli ultimi anni anche le iniziative a livello parlamentare e ministeriale si sono dimostrate più sensibili all’argomento sia per la crescita esponenziale del consumo dei dispositivi medici sia per la crescita del numero degli ingegneri clinici presenti negli ospedali italiani (da poche decine di ingegneri che hanno fondato l’AIIC all’inizio degli anni ’90 ad alcune migliaia di ingegneri clinici aderenti all’AIIC dei giorni nostri). Qualche anno fa è stato anche avviato un percorso volto al riconoscimento professionale del ruolo specifico dell’ingegnere clinico e inteso a porre l’obbligatorietà per tutte le strutture sanitarie italiane dell’istituzione del SIC. Il riconoscimento professionale è stato avviato in particolare dall’Università degli Studi di Trieste negli anni ’90 con i primi Master di Ingegneria Clinica e poi con la Laurea Magistrale in Ingegneria Clinica dopo il 2010. Non vi è dubbio però che quanto previsto dalla legge Gelli in tema di sicurezza nelle cure in sanità vada nella direzione giusta anche per valorizzare il ruolo specifico dell’ingegneria clinica che comprende oltre agli ingegneri anche i tecnici delle apparecchiature biomediche. Sarebbe infatti necessario che il presidio dell’intero parco delle apparecchiature biomediche venisse sempre realizzato dagli ingegneri clinici e dai citati tecnici o comunque sotto la loro supervisione: solo gli ingegneri clinici – in collaborazione naturalmente con le altre figure professionali del settore – sono in grado di assicurare le competenze e le tecniche per la consulenza negli acquisti dei dispositivi medici, la manutenzione delle apparecchiature biomediche e la formazione degli operatori socio sanitari che utilizzano le citate tecnologie. Tali attività sono, infatti, necessarie ed indispensabili per garantire la sicurezza quotidiana e l’efficacia del continuo aggiornamento e sviluppo del parco tecnologico. Nel caso opposto potremmo assistere ad una gestione di questa innovazione tecnolo-

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gica demandata a personale privo di competenze adeguate. A dare ulteriore impulso in questa direzione è destinato del resto anche il recente Regolamento Europeo sui dispositivi medici (Regolamento (UE) 2017/745 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2017, relativo ai dispositivi medici) con la quale l’Unione Europea ha stabilito nuove regole per incrementare la sicurezza e l’efficacia di tutti i dispositivi medici.

Assicurazione e analisi dei rischi Angelo Venchiarutti In occasione della riforma Gelli, il legislatore ha ritenuto opportuno disciplinare, nell’ambito del più generale inquadramento della responsabilità delle strutture sanitarie e degli esercenti la professione medica, anche i profili di carattere assicurativo. Le soluzioni individuate dalla nuova normativa sono sintetizzabili nel modo seguente: obbligatorietà di assicurarsi per le strutture, pubbliche e private, e di assicurare gli esercenti le professioni sanitarie; analogo obbligo per i professionisti sanitari non dipendenti dalle strutture sanitarie, o che operino al di fuori delle stesse strutture (art. 10, commi 1 e 2); azione diretta del danneggiato verso la compagnia di assicurazione; e diritto di rivalsa dell’impresa di assicurazione verso l’assicurato (art. 12, comma 3). Un emanando decreto ministeriale dovrà definire i requisiti minimi delle polizze assicurative, nonché altri aspetti di carattere processualcivilistico. La nuova disciplina mira evidentemente a far sì che il meccanismo assicurativo possa svolgere un utile ruolo nel campo sanitario – fornendo gli strumenti per valutare, gestire e quantificare i rischi inerenti appunto all’attività in quell’ambito. Le nuove previsioni hanno suscitato tuttavia più di una critica già nei primi commenti alla legge. Più di un commentatore ha evidenziato in particolare come le scelte operate dal legislatore non vadano nella direzione volta a garantire l’efficacia dei provvedenti. È stato criticato, tra l’altro, il fatto che, pur se al legislatore stanno evidentemente a cuore gli aspetti del risk management in vista di garantire la sicurezza delle cure, nessun cenno viene formulato alla necessità che l’assicuratore Responsabilità Medica 2018, n. 1

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venga coinvolto nella gestione del rischio clinico in vista anche della preparazione di un bando per assicurare un’azienda pubblica. Dal testo della riforma emerge invece come il coinvolgimento dell’assicurazione sia volto soltanto a garantire l’assistito contro il rischio di incapienza del patrimonio del responsabile del sinistro del quale è rimasto vittima. Intento che peraltro sembra fallito anche in ragione del fatto che la legge impone l’obbligo assicurativo soltanto in capo alle strutture sanitarie e al personale sanitario e non anche in capo alle compagnie di assicurazione. Qual è la sua opinione su questo tema? Come può essere favorito uno spontaneo riavvicinamento delle compagnie assicurative al settore sanitario, dal quale proprio in conseguenza dell’esplosione del contenzioso, e dell’ammontare dei relativi risarcimenti, negli anni si sono allontanate? Diego Bravar Il tema della copertura assicurativa nell’ambito dell’attività sanitaria rimane in effetti aperto. Penso che vada ricreata un’alleanza tra mondo assicurativo, strutture sanitarie e professionisti che operano nelle strutture socio sanitarie, tra i quali sono compresi ovviamente anche gli ingegneri clinici. È certamente importante che le assicurazioni accettino di svolgere il ruolo di garanzia economica e di effettiva tutela del diritto al risarcimento dei danneggiati. Occorre però che i comportamenti degli assicurati soddisfino livelli di adeguatezza e di contenimento e monitoraggio dei rischi. Certo non si può pensare che il “sistema di sicurezza delle cure” creato dalla legge Gelli abbia del tutto risolto i problemi che hanno indotto le compagnie di assicurazione ad allontanarsi dal mercato, ma almeno si è iniziato a parlare del monitoraggio del rischio. È ovvio che solo successivamente si potrà contemplare un intervento anche sul profilo dell’offerta assicurativa. Gli spunti da valorizzare comunque non mancano. Ci si può attendere che progressivi miglioramenti possano derivare dall’attività dell’Osservatorio Nazionale istituito presso l’AGENAS – ossia dell’Ente che si preoccupa di raccogliere, elaborare e studiare i dati provenienti dai livelli locali e regionali. L’Osservatorio ha, altresì, un compito che può definirsi “para-normativo”: «L’Osservato-


Sicurezza delle cure e ruolo dell’ingegneria clinica

rio (...) anche mediante la predisposizione, con l’ausilio delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie di cui all’articolo 5, di linee di indirizzo, individua idonee misure per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario e il monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure (...)». Va ricordato poi che già le disposizioni di cui ai commi 538, 539, 540 dell’art. 1 della legge n. 208/2015 (legge finanziaria 2016), prescrivono l’attivazione dei percorsi di risk management e l’adozione di concrete misure/interventi finalizzati allo studio dei processi interni ed alla prevenzione degli errori/eventi avversi. Proprio attraverso il processo di risk management, le stesse strutture sanitarie saranno auspicabilmente in grado di identificare, analizzare e quindi gestire i rischi ai quali si trovano esposte. Ebbene anche nell’ambito di questo processo il contributo dell’ingegneria clinica è destinato a rivestire un ruolo importante, per quanto riguarda sia la fase di identificazione e di quantificazione delle esposizioni al rischio connesso all’utilizzo dei dispositivi medici e/o alla connessione degli stessi ai sistemi di telemedicina e/o alle soluzioni

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di informatica medica. Inoltre, i servizi di ingegneria clinica sono fondamentali anche per la fase di individuazione dei comportamenti da assumere e delle strategie da adottare al fine di ridurre i rischi connessi alle cure effettuate con l’utilizzo delle citate tecnologie. Una volta poi adottate le misure di mitigazione ritenute opportune, sarà necessario svolgere attività di monitoraggio per controllare l’efficacia e l’efficienza delle misure adottate e rilevare gli eventuali cambiamenti nelle esposizioni di rischio che possono esseri prodotti. Attività queste ultime che hanno l’obiettivo di intervenire prontamente per adeguare o rivedere le scelte intraprese. Una volta che un processo del genere venga posto a regime, si può ipotizzare che anche da parte delle assicurazioni il calcolo del premio per le coperture in ambito sanitario possa essere realizzato alla luce di precisi dati sulla frequenza e sulla tipologia dei sinistri attesi, nonché del loro costo medio. Circostanze che, in ragione naturalmente dei risultati che da quelle valutazioni emergeranno, possono favorire appunto una rivitalizzazione dell’offerta assicurativa nel settore.

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o i r o t medico-legale a v Osservatorio Osservatorio normativo e internazionale o r c e i s d s e e o l Sicurezza delle cure, linee m ga le guida e buone pratiche nella riforma Gelli Carlo Scorretti Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina Legale. Università degli Studi di Trieste.

Abstract: La legge n. 24/2017 introduce sostanziali novità riguardo la responsabilità professionale in ambito medico, proseguendo l’iter già intrapreso dalla legge n. 189/2012 (c.d. “Balduzzi”). In particolare, si assiste alla transizione di responsabilità dal singolo operatore alla struttura complessa. In tale contesto la nuova legge pone al centro il concetto di “sicurezza delle cure”, ove una struttura complessa deve farsi garante nel fornire la massima sicurezza per le prestazioni erogate. Si amplia così la platea dei soggetti chiamati a rispondere delle eventuali patologie iatrogene estendendosi sino ad una possibile responsabilità di chi elabora le linee guida ufficiali. Inoltre con la riforma Gelli vengono individuati ben tre livelli operativi per la gestione del rischio: il primo, periferico, che riguarda la struttura ospedaliera; il secondo, intermedio, che vede un ruolo delle Regioni nel raccogliere dati e trasmetterli all’Osservatorio Nazionale delle Buone Pratiche; il terzo, nazionale, che vede la nascita di istituzioni centralizzate volte a gestire su più ampia scala il rischio clinico. The new law n. 24/2017 introduces substantial changes regarding medical liability, continuing the process already undertaken by law n. 189/2012 (“Balduzzi”). In particular, we are witnessing the transition of responsibility from the individual operator to the High Reliability Organization (HRO), the hospital in which he works. In this context, the new law focuses on the concept of “safety of care”, where a complex structure must act as guardian in providing safety of care for the

health services provided. The audience of the subjects called to respond to any adverse event is also extended to a possible responsibility of those who elaborate the official guidelines. Furthermore, with the law n. 24/2017, three operational levels for risk management come to light: the first, peripheral, which concerns the HRO hospital structure; the second, intermediate, which sees the role of the Regions in collecting data and transmitting them to the National Observatory of Good Practices; the third, national, which sees the emergence of centralized institutions aimed at managing the clinical risk on a wider scale.

La legge n. 24/2017 introduce modifiche sostanziali, che disegnano una decisa transizione verso un radicale cambiamento nell’attribuzione della responsabilità di un evento “avverso”, dal singolo operatore del sistema sanitario, come di solito accade, all’organizzazione che è responsabile dell’erogazione delle prestazioni, talvolta non riuscite, da cui i crescenti contenziosi negli ultimi lustri. Si tratta di un cambio di passo nell’attribuzione di responsabilità che in sanità compare sulla scena all’inizio del 2000, soprattutto a seguito della pubblicazione nel 1999, da parte dell’Institute of

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Medicine (IOM) statunitense, del seminale “to Err Is Human”1. L’ospedale/azienda sociosanitaria, all’interno del quale ed alle cui dipendenze il singolo operatore sanitario presta la sua opera, viene così chiamato ad assumere il ruolo e la responsabilità che deriva dall’essere una High Reliability Organization (HRO) - oltre che un soggetto ritenuto economicamente più solvibile, ovvero una “deep pocket”2 - attraverso l’esplicito richiamo a fornire la massima sicurezza possibile nell’erogazione delle sue prestazioni (come avviene ormai da tempo, ad esempio, per l’aviazione e per le altre strutture complesse della modernità). Con tale acronimo vengono definiti quei sistemi ad elevata complessità che devono garantire, per il loro funzionamento e per la loro sopravvivenza nel mercato, delle condizioni di assoluta sicurezza ed affidabilità3 quali, sono ad esempio, le centrali nucleari o le industrie che si occupano del trasporto di persone, sistemi che necessariamente devono essere ad elevata affidabilità nelle loro prestazioni, come è avvenuto inizialmente soprattutto nei trasporti pubblici, prima nelle ferrovie e poi, in tempi più recenti, nel trasporto aereo4. Le indicazioni che emergono con evidenza dalla legge n. 24/2017 riguardano infatti la responsabilità professionale degli operatori e delle strutture sanitarie, ma anche la sua diretta articolazione con la necessità di garantire una maggior affidabilità nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, definita, alquanto pleonasticamente, come “sicurezza delle cure”.

1 Kohn et al., To Err is Human: Building a Safer Health System, Washington, 2000.

“La pretesa che il danno, anche quello destinato a restare anonimo, venga allocato altrove attraverso il criterio della “deep pocket” fa aumentare i casi in cui la struttura viene chiamata in causa anche in ipotesi nelle quali la responsabilità sia imputabile esclusivamente al sanitario”. Gorgoni, La responsabilità della struttura sanitaria, in Danno e resp., 2016, 807.

Osservatorio medico-legale

Questi cambiamenti, incentrati sulla sicurezza delle cure, sono soprattutto una conseguenza della crisi nel rapporto medico paziente5 di questi ultimi decenni, con il conseguente aumento dei casi di responsabilità professionale medica. Tutto ciò, oltre a determinare l’ampliamento a dismisura delle pronunce giurisprudenziali ed altresì della dottrina giuridica e medico legale (ormai si distingue un vero e proprio sottosistema giuridico della responsabilità professionale medica, venutosi a determinare soprattutto per i rilevanti contributi delle sentenze emanate in tale ambito6) ha inciso anche nei profondi cambiamenti nella specifica normativa, intervenuti in particolar modo dal 2012 in poi. Un’anticipazione normativa importante era già contenuta, sia pure in termini più generici, all’interno della legge c.d. “Balduzzi” del 20127, laddove sin nel titolo dell’articolo 1 (disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute) si faceva un esplicito riferimento alla necessità di un rapido intervento per migliorare la qualità delle cure prestate. In tale normativa del 2012 l’indicazione ad una più efficace gestione del rischio clinico si esplicitava unicamente nel dettato dell’articolo 3-bis8 (Gestione e monitoraggio dei rischi sanitari), laddove si prescriveva, alle aziende sanitarie, di curare l’analisi dei rischi in ambito clinico, di studiare e di adottare le necessarie soluzioni per la loro gestione, per la prevenzione del contenzioso e per la riduzione degli oneri assicurativi. Nella legge n. 24/2017 invece tale indicazione, circa la necessità di migliorare la qualità delle cure, assume un rilievo centrale ed altresì molto più coerente con il resto dell’impianto normativo, soprattutto per quanto concerne la responsabili-

2

Shorter, La tormentata storia del rapporto medico-paziente, Milano, 1986. 5

Favale, Profili attuali della responsabilità civile medica, in Annali della Facoltà Giuridica dell’Università di Camerino, 2013, 49.

Gaba, Structural and organizational issues in patient safety: A comparison of health care to other high hazard industries (2000) 43 California Management Review 83 ss.

6

Hudson, Applying the lessons of high-risk industries to health care (2003) 12 Qual Saf Health Care i7 ss.

7

l. n. 189/2012.

8

art. 3 bis, l. n. 189/2012.

3

4

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Sicurezza delle cure, linee guida e buone pratiche

tà professionale medica e delle strutture sanitarie, ora articolata con maggior chiarezza e dettaglio. La sicurezza delle cure e la nozione ad essa speculare - quella del rischio clinico – acquisiscono così un significativo rilievo, attraverso la loro stretta connessione, nell’ambito delle competenze dottrinarie giuridiche e medico legali. Si tratta di una tendenza di carattere generale che connota anche l’intensificarsi in questi ultimi anni dell’emanazione di molte altre “novelle” normative9, soprattutto in ambito penale, anche perché, come già nel 2011 rilevava Castronuovo 10: “Il topos proteiforme e ormai concettualmente incontrollabile della «sicurezza» (o della diminuzione del rischio) sta alla base delle ricorrenti politiche legislative della modernità penalistica, poiché garantisce elevate prestazioni in termini politici e mediatici e bassissimi costi di esercizio.” Ma per quanto il perseguimento di una diminuzione del rischio attraverso una maggior affidabilità nell’erogazione delle prestazioni sanitarie possa apparire un obbiettivo razionalmente del tutto condivisibile è anche evidente che si tratta di un obbiettivo difficilmente risolvibile unicamente mediante l’emanazione di una normativa, per quanto articolata ed innovativa, qual è la legge n. 24/2017. La diminuzione del rischio in sanità dipende inevitabilmente da più fattori - dalla natura di un’attività che riguarda il complesso mondo biologico che oggi si concretizza anche mediante le più innovative e cangianti tecnologie - ma soprattutto dall’interazione tra operatori sanitari e la sofferenza di esseri raziocinanti, dotati di una loro autonomia di giudizio ed in ultima analisi di una libertà di scelta: le persone che usufruiscono delle prestazioni sanitarie. Questa intrinseca complessità spiega come mai anche dopo11 alcuni lustri dall’avvento del mo-

l. n. 41/2016 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274.) 9

vimento ormai internazionalmente diffuso della “Patient safety” siano ancora ben evidenti le difficoltà di una concreta attuazione del processo di riduzione del rischio clinico. La legge n. 24/2017, sin dall’articolo 112, (ampliandone e precisandone i contenuti) interviene anche in molti punti già tracciati nelle nostre normative, soprattutto in quelli della recente legge di stabilità 2016, laddove questa anticipava le iniziative finalizzate ad una maggior garanzia nella sicurezza delle cure, modificando ed integrando quanto contenuto nei commi 52813, 53914 e 54015 dell’art. 116. Tuttavia già quanto era contenuto nel comma 538 della stessa legge di stabilità 2016: “La realizzazione delle attività di prevenzione e gestione del rischio sanitario rappresenta un interesse primario del sistema sanitario nazionale perché consente maggiore appropriatezza nell’utilizzo delle risorse disponibili e garantisce la tutela del paziente” anticipava con chiarezza la direzione nella quale il legislatore si stava muovendo, sino a giungere all’attuale affermazione del primo comma dell’articolo 1 della nuova legge n. 24/2017 - chiaramente modellata sull’incipit dell’articolo 32 della Costituzione17 - in base al quale la sicurezza delle cure viene definita come un bene giuridico di rango costituzionale, in quanto: “parte costitutiva del diritto alla salute” e, pertanto, obbiettivo da

dly: Ten Years Later, a Million Lives Lost, Billions of Dollars (2009) Wasted Austin, Safe Patient Project: Ten years later, we don’t know if we’ve made any real progress, and efforts to reduce the harm caused by our medical care system are few and fragmented. With little transparency and no public reporting... scarce data does not paint a picture of real progress. (trad: dopo 10 anni non sappiamo (ancora) se si sono compiuti dei reali progressi, e (inoltre) gli sforzi per ridurre il danno causato dal nostro sistema sanitario sono pochi e frammentari. In presenza di una scarsa trasparenza ed in assenza di una rendicontazione pubblica… i pochi dati (disponibili) non consentono di tratteggiare un quadro di un effettivo progresso (in tale ambito). 12

art. 1, l. n. 24/2017.

13

art. 1, comma 538°, l. n. 208/2015.

14

art. 1, comma 539°, l. n. 208/2015.

Castronuovo, Principio di precauzione e beni legati alla sicurezza, in Dir. pen. cont., 2011, 22.

15

art. 1, comma 540°, l. n. 208/2015.

16

l. n. 208/2015.

Consumers Union, To Err Is Human - To Delay Is Dea-

17

art. 32, comma 1°, Cost.

10

11

Responsabilità Medica 2018, n. 1


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perseguire nell’interesse sia dei singoli cittadini sia dell’intera collettività. Si tratta di un compito non destinato, secondo le indicazioni della normativa, solo al ristretto ambito specialistico di chi si occupa del “risk management”, ma anche spettante a tutti i numerosi attori che a qualunque titolo hanno un ruolo nella tutela del diritto alla salute, che comprende così anche e soprattutto il diritto ad usufruire di cure sicure. E proprio sottolineando il “diritto” a cure sicure ecco che la legge identifica e rimarca con chiarezza anche una competenza che va di necessità considerata ed aggiunta alla panoplia degli strumenti tecnici sino ad oggi adottati nell’ambito del “risk management”, ovvero la competenza (l’”expertise”, avrebbe detto Mauro Barni) medico-legale, in quanto garante della tutela dei diritti del cittadino che interagisce con le istituzioni sanitarie. Nell’articolo 16 della legge n. 24/2017 si ripropone così con evidenza proprio quella “Medicina Legale della Sanità Pubblica” indicata nella lettera c dell’articolo 14 della legge n. 833/197818, laddove si faceva riferimento ad “ogni altra prestazione medico legale”. All’articolo 2, comma 4 della legge n. 24/2017 i contenuti del comma 539 della legge di stabilità 2016, relativi alla sicurezza delle cure, vengono ulteriormente definiti, istituendo in ogni regione, oltre alle strutture di risk management individuate per ogni azienda di cui alla legge precedente (Patto di stabilità) anche il Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente, che raccoglie dalle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private i dati regionali sui rischi ed eventi avversi e sul contenzioso e li trasmette annualmente, mediante procedura telematica unificata a livello nazionale, all’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, previsto all’articolo 319 della legge n. 24/2017. La gestione del rischio clinico, elemento essenziale per il conseguimento della sicurezza delle cure,

Osservatorio medico-legale

viene ad essere così articolata nella nuova legge in tre livelli operativi: un livello periferico di ogni struttura sanitaria, in cui, oltre all’“audit” sulla documentazione clinica, già previsto nella legge di stabilità 2016, si va a valutare in modo molto più incisivo che in precedenza la possibilità di errore latente nel sistema, l’“evento avverso”, esplicitando la necessità di individuare, con una metodologia idiografica più che nomotetica, tipica dell’indagine medico legale tradizionalmente imperniata sul singolo fatto di rilevanza giuridica, la causa specifica dell’evento, mentre nel contempo si sottolinea - in piena sintonia con la necessità di far emergere e di non nascondere l’errore latente di sistema - che le criticità più frequenti e gli errori ed i “quasi”- errori rilevati durante “attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti” all’interno di “tutte le strutture pubbliche e private che erogano prestazioni sanitarie” non debbano essere comunicati alla Procura della Repubblica, modificando radicalmente il secondo periodo del punto a) del comma 539 della legge di stabilità 201620, che invece ribadiva, secondo norma consolidata, l’obbligo di comunicativa all’Autorità Giudiziaria; un livello intermedio, rappresentato dalla struttura regionale, indicata nel comma 4 dell’articolo 2 della legge n. 24/201721, che ha il compito di raccogliere i dati e di trasmetterli annualmente all’Osservatorio nazionale delle buone pratiche; nel terzo livello, quello nazionale, la sicurezza delle cure così come declinata dalla legge n. 24/2017 viene caratterizzata dall’ampliamento e dalla specificazione, nell’ambito della gestione del rischio clinico, delle competenze attribuite alle istituzioni dello stato centrale (Ministero della Sanità, AGENAS presso il quale viene istituito, articolo 3 della legge n. 24/2017, l’Osservatorio Nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza in sanità, l’Istituto Superiore di Sanità). Quindi la responsabilità diretta della sicurezza delle cure, fattore inscindibile nella tutela della salute, ritorna prevalentemente nell’ambito delle

18

art. 14, lett. c), l. n. 833/1978.

20

art. 1, comma 539°, l. n. 208/2015.

19

art. 3, l. n. 24/2017.

21

art. 2, comma 4°, l. n. 24/2017.

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Sicurezza delle cure, linee guida e buone pratiche

competenze dei vari organi dello Stato Centrale, dopo che per anni si era convenuto e stabilito invece che, in base al principio di sussidiarietà, fossero le Regioni, ad avere una competenza esclusiva nella regolamentazione ed organizzazione di servizi e di attività destinate alla tutela della salute22. Evidentemente ciò indica una volontà dell’esecutivo di uscire, anche attraverso il posizionamento al centro dei suoi interessi della sicurezza delle cure, da una situazione caratterizzata da complessità, incertezze, asimmetrie informative, conflitti di interesse, corruzione, estrema variabilità delle decisioni cliniche, manageriali e politiche del Servizio Sanitario Nazionale23. Questo più aggiornato profilo della centralità dello Stato nell’ambito della tutela della salute viene ad essere ribadito anche attraverso il nuovo disegno della responsabilità professionale degli operatori sanitari, definita attraverso “linee guida”, che nella legge n. 24/2017 non vengono più

In Italia le attività esplicitamente finalizzate alla sicurezza dei pazienti compaiono già nel 2003, con l’istituzione del Gruppo tecnico per la sicurezza delle cure presso la Direzione della Programmazione sanitaria del Ministero della Salute. Nel 2006 è stato istituito il tavolo tecnico delle Regioni per la sicurezza dei pazienti presso la Presidenza del Consiglio, in Commissione Salute, con l’obiettivo di avere un confronto costante tra Regioni e Governo nonché di sviluppare collaborazioni orizzontali tra Regioni per la sicurezza dei pazienti. Solo dal 2008 è stato emanato un primo atto di indirizzo ufficiale con l’accordo in Conferenza Stato-Regioni “concernente la gestione del rischio clinico e la sicurezza dei pazienti e delle cure”, che impegnava il Governo e le Regioni a istituire delle funzioni per la gestione del rischio clinico nelle aziende sanitarie con l’obiettivo di promuovere l’apprendimento dagli eventi avversi e lo sviluppo e applicazioni di pratiche per migliorare la sicurezza. Nel 2009, con Decreto Ministeriale è stato istituito il Sistema di monitoraggio degli errori in sanità (SIMES), che definisce un flusso informativo tra aziende sanitarie, Regioni e Ministero per le segnalazioni e analisi degli eventi sentinella e delle richieste di risarcimento, che dal 2011 diventano poi debito informativo richiesto nei Livelli essenziali di assistenza (LEA). 22

“L’inestricabile combinazione di questi fattori permette a ciascuno degli attori un livello di opportunismo tale da rendere il sistema poco controllabile” (Cartabellotta, La Governance del Sistema Sanitario tra Stato e Regioni: Chi tutela oggi la salute delle persone?, presentazione on line del forum della Leopolda 2017, consultabile all’indirizzo: forumdellaleopolda.it).

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rappresentate in termini alquanto generici, come nell’articolo 3 della legge n. 189/2012 (linee guida… accreditate dalla comunità scientifica…), ma diventano invece “raccomandazioni” contenute nelle “linee guida pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità pubblicate ed elaborate da enti e istituzioni pubbliche e private nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute” a cui gli operatori sanitari debbono “attenersi”, salve le specificità del caso concreto (articolo 5 della legge n. 24/2017). Le linee guida e gli aggiornamenti delle stesse sono integrati nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG), il quale è disciplinato nei compiti e nelle funzioni con decreto del Ministro della salute. L’utilizzo di linee guida “ufficiali” per definire anche la sussistenza di una medical liability, oltre che per contrastare il rischio clinico ed il conseguente fenomeno negativo rappresentato dalla c.d. “medicina difensiva”, foriero di incidere economicamente in modo sostanziale nella spesa sanitaria di uno Stato, non è un’assoluta novità. Sin dagli anni 9024 in alcuni Stati Americani si è cercato di introdurre con apposite disposizioni normative il principio dei “safe harbors” ovvero dei porti sicuri (da eventuali contenziosi giudiziari) per i medici che avessero seguito determinate linee guida, concordate con le principali associazioni mediche. Tuttavia tali esperienze non diedero l’esito sperato, tant’è che ancor oggi in quella realtà si ricorre, come si è sempre fatto, all’expert witness, al consulente validato, per definire la sussistenza o meno di una responsabilità professionale medica. La novella normativa italiana rappresenta quindi una riproposizione non del tutto originale di un’idea nata già più di mezzo secolo fa negli Stati Uniti e cioè quella di “to kill two birds with one stone”25. Ovvero da un lato ci si prefiggeva, allora

23

Terrosi, Vagnoli, Le linee guida per la pratica clinica: valenze e problemi medico-legali, in Riv. it. med. leg., 1999, 189. 24

25

Hall, The Defensive Effect Of Medical Practice Policies In

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come adesso nella legge n. 24/2017, di migliorare la qualità delle cure, aumentandone l’affidabilità mediante una più stretta osservanza delle linee guida, dall’altra si garantiva al medico una garanzia di esenzione dalla responsabilità (un porto sicuro) se avesse seguito le loro indicazioni. È evidente che la funzione percepita come prevalente sia la seconda, anche se la legge n. 24/2017 appare di più incentrarsi nei suoi articoli sulla sicurezza delle cure. A ben vedere l’esigenza di precisare le cautele (c.d. “norme cautelari”) da rispettare nello svolgimento di particolari attività della società civile rappresenta una tendenza propria della “modernità penalistica”; infatti sin dalla produzione normativa emanata agli albori del diritto penale moderno si è convenuto sul fatto che l’attribuzione di responsabilità doveva fondarsi soprattutto sulla colpa specifica, affinché “… la fattispecie penale abbia ad essere integrata non solo dalla legge, ma anche da atti di rango ben inferiore, per ciò che riguarda la concreta disciplina delle cautele, delle prescrizioni, degli aspetti tecnici, che in vario modo fondano il rimprovero soggettivo” nella convinzione che la specificazione della norma cautelare fosse “l’antidoto più forte contro l’imponderabile soggettivismo del giudice e sia quindi una garanzia di legalità, imparzialità, prevedibilità delle valutazioni giuridiche”26. Ma è proprio attraverso l’indicazione normativa, di “raccomandazioni” non più definibili come mere indicazioni tecniche delle varie società scientifiche, ma piuttosto come regole a cui doverosamente “attenersi” (fatte salve le specificità del caso concreto) validate e disciplinate da organi del governo nazionale - sia pure con l’affiancamento tecnico delle società scientifiche “iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute” - che inizia a precisarsi, con l’introduzione delle linee guida, così come previste dalla recente novella norma-

Osservatorio medico-legale

tiva, anche una nuova articolazione nella responsabilità sanitaria. Già nel 2014 Buccelli27 osservava come questa differenziazione delle responsabilità tende ad estendersi anche verso l’alto della scala gerarchica, ovvero verso chi ha l’onere – e la responsabilità – di scrivere e di aggiornare le linee guida e più in generale, le procedure ed i protocolli a cui gli operatori che svolgono la loro attività in strutture sanitarie (per definizione High Reliability Organizations) devono diligentemente attenersi. Le amministrazioni ospedaliere che hanno predisposto tali indicazioni vincolanti assumono la responsabilità – tuttavia non sempre ben esplicitata – della scelta (culpa in eligendo) delle migliori conoscenze tecniche disponibili, di mantenere aggiornate (culpa in custodendo) tali indicazioni e di verificare che il personale dipendente le rispetti (culpa in vigilando), in modo analogo alle tipologie della responsabilità tradizionalmente attribuita in ambito sanitario ai dirigenti delle strutture complesse, la c.d. responsabilità primariale. In un contesto simile, ma tuttavia non sovrapponibile al nostro, qual è quello nordamericano, Avraham28 fornisce una interessante lettura dell’organizzazione dell’attività in ambito sanitario attraverso la regolamentazione delle linee guida individuando anche le diverse tipologie della responsabilità che possono derivare proprio nell’ambito del loro impiego. Egli ricorre così all’immagine degli “architetti” della medicina, che in base alle loro vaste ed approfondite competenze scrivono le regole, disegnano il progetto del trattamento terapeutico ideale, contrapposta a quella dei “muratori”, che sono vincolati a seguire con diligenza e prudenza il progetto che è stato disegnato con grande perizia dagli architetti nelle linee guida.

Buccelli et al., La rilevanza delle linee guida nella determinazione della responsabilità medica. Le novità introdotte dalla legge Balduzzi, le problematiche connesse, i tentativi di risoluzione, in Riv. it. med. leg., 2016, II, 663. 27

Malpractice Litigation (1991) 54 Law and Contemporary Problems 119. Blaiotta, Legalità, determinatezza, colpa, in Criminalia, 2012, 375. 26

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Avraham, Overlooked And Underused: Clinical Practice Guidelines And Malpractice Liability For Independent Physicians (2014) 20 Connecticut Insurance Law Journal 273. 28


Sicurezza delle cure, linee guida e buone pratiche

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Chiaramente se il progetto è stato seguito diligentemente e prudentemente e qualcosa non funziona, la responsabilità sarà tutta dell’architetto. Nel caso della situazione che si va delineando in Italia con l’approvazione dei decreti attuativi della legge n. 24/2017 non appare del tutto assurdo, in tale prospettiva di ampliamento della responsabilità, addirittura il prospettare una possibile attribuzione di responsabilità agli organi a ciò preposti, alle strutture dello Stato, il grande Architetto, nel caso di emanazione di linee guida errate. Vi è, a ben vedere, in fondo alla significativa innovazione delle linee guida così come sono state definite dalla nuova legge, anche l’alea di una scommessa su di una realtà che forse non c’è. Infatti se il processo di regolamentazione fosse perfetto, vale a dire, se le istituzioni dello Stato potessero analizzare in modo completo, oggettivo ed approfondito le pratiche mediche per tradurle in regole assolutamente certe, assolutamente esigibili, ogni problema relativo all’individuazione di una eventuale responsabilità professionale medica, verrebbe automaticamente a risolversi. Ma ogni persona è un caso a se stante e la stessa eccezione prevista dalla legge n. 24/2017 fa prevedere in modo certo (“salve le specificità del caso concreto”) che quanto delineato nel testo attuale non potrà purtroppo facilitare il raggiungimento delle auspicate certezze.

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o i r o t e Osservatorio normativo e internazionale a Osservatorio normativo e internazionale er v ivo t s a s n o o m i Il Voluntary Assisted Dying Act r z o a n n 2017 dello Stato di Victoria, r e t n i Australia Luigi Gaudino

Professore nell’Università di Udine Sommario: 1. Dopo il Canada, l’Australia. − 2. Struttura e scopi della legge. − 3. I soggetti. − 3.1. La persona interessata. − 3.2. Familiari e altri soggetti. − 3.3. I medici. − 4. Le procedure. − 4.1. La prima richiesta. − 4.2. Il Consulting assessment. − 4.3. La richiesta scritta. − 4.4. La richiesta finale e la revisione finale. − 5. Controlli e garanzie.

Abstract: Nel giugno 2016, dopo una storica decisione della sua Corte Suprema, il Canada aveva legiferato sul tema delle scelte di fine vita, riconoscendo il diritto del malato terminale di morire con l’aiuto del medico. Nel novembre 2017 lo Stato australiano di Victoria, con il Voluntary Assisted Dying Act − oggetto di analisi nel presente articolo −, è intervenuto con una legislazione analoga che consente ai malati terminali – anche qui, sottoponendoli a rigidi protocolli e controlli – di accedere tanto al suicidio medicalmente assistito quanto all’eutanasia volontaria. In June 2016, after an historic decision of the Supreme Court, Canada enacted a law regarding end of life choices, recognizing the right of the terminally ill persons to receive medical assistance to die. In November 2017 the Australian State of Victoria, with the Voluntary Assisted Dying Act (analyzed in this article), followed that path with a legislation that allows – under strict rules and controls – both medically assisted suicide and voluntary euthanasia of terminally ill persons.

1. Dopo il Canada, l’Australia Nel mondo anglosassone il dibattito sulle scelte di fine vita presenta, con cadenza quasi regolare, segnali di novità. Ricordiamo brevemente1 quanto accaduto in Canada: nel 1993 la Corte Suprema2 aveva respinto i dubbi di costituzionalità del divieto – privo di eccezioni − di suicidio assistito, previsto dalla legge federale3. Nel 2015 la stessa Corte ribalta la propria posizione: le norme che vietano l’aiuto medico nel fine vita non sono rispettose dei principi di fundamental justice, e sono perciò incostituzionali4; il legislatore deve intervenire con una disciplina puntuale della materia. L’invito viene prontamente raccolto dal Parlamento (insediatosi in quel torno di tempo, con una salda maggioranza liberal) che approva una normativa che rende ora lecito – subordinatamente a stringenti condi-

Maggiori informazioni in: Gaudino, Novità in tema di fine vita: Canada, Inghilterra, Francia…e Friuli-Venezia Giulia, in Resp. civ. e prev., 2015, VI, 2046 ss. 1

Rodriguez v. British Columbia (Attorney General), [1993] 3 S.C.R. 519.

2

3

s. 241, Criminal code. Counselling or aiding suicide.

4

Carter v. Canada (Attorney General), 2015 SCC 5.

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zioni – l’intervento medico volto tanto all’eutanasia quando ad aiutare il paziente a suicidarsi5. È significativo, per comprendere le linee di evoluzione del dibattito, il fatto che la nuova legislazione federale e la pronuncia della Corte Suprema siano state precedute da un intervento normativo di analogo contenuto da parte della Provincia del Quebec6. Spostandoci nell’altro emisfero, qualcosa di simile pare stia accadendo pure nel continente Australiano. Quando, nel 1995, il Northern Territory aveva legiferato in tema di diritti dei malati terminali, consentendo – a determinate condizioni – l’eutanasia e il suicidio medicalmente assistiti7, la risposta del parlamento federale era stata netta: un intervento legislativo ad hoc8 aveva negato a Northern Territory, Australian Capital Territory e Norfolk Island il potere di legiferare in materia di eutanasia. Da quel momento in poi la situazione è rimasta sostanzialmente stabile: le leggi dei vari Stati e Territori puniscono senz’altro l’aiuto al suicidio, mentre la giurisprudenza mostra talvolta una certa indulgenza nel caso di partecipazione al suicidio di un malato terminale9.

An Act to amend the Criminal Code and to make related amendments to other Acts (medical assistance in dying), S.C. 2016, c. 3, del 17 giugno 2016.

Osservatorio normativo e internazionale

Ora qualcosa si sta muovendo. Il 22 novembre 2017 il Legislative council (upper house) del Parlamento dello Stato australiano di Victoria ha approvato (22 voti favorevoli e 18 contrari) il Voluntary Assisted Dying Act10; testo prontamente confermato dalla Legislative Assembley (46 favorevoli e 37 contrari). Con il completamento dell’ultimo passaggio – ottenimento del Royal Assent da parte del Governatore – il bill entrerà definitivamente nella raccolta delle leggi di questo importante Stato della federazione australiana11. La notizia si affianca a quella − di segno opposto − proveniente dal New South Wales, dove una proposta analoga12 figura essere stata respinta dal Legislative Council con una votazione di 19 favorevoli e 20 contrari. E ciò testimonia di quanto complesso, delicato e divisivo sia – ovunque − il dibattito intorno a questi temi13. Come già accaduto in Canada, ove la legislazione del Quebec ha fatto da apripista per quella federale, le scelte dello Stato di Victoria (secondo, per numero di abitanti; primo, per densità della popolazione) hanno riaperto il discorso a livello nazionale: già si registrano le prime iniziative volte a rimuovere il limite alla potestà legislativa dei Territori, imposto trent’anni fa14, e ad aprire la

5

Loi concernant les soins de fin de vie, Legge n. 52, approvata il 10 giugno 2014 e destinata a entrare in vigore entro il 10 dicembre 2015 (An Act Respecting End-Of-Life Care, nella versione in inglese). 6

7

Rights of the Terminally Ill Act 1995.

Euthanasia Law Act 1997, del 24 marzo 1997: la legge interviene modificando gli Act che disciplinano le autonomie di questi territori. 8

V., ad esempio: R. v. Klinkermann, 2013 VSC 65 (Supreme Ct. Victoria-Crim Div.) un anziano accudisce in casa, per anni e affettuosamente, la moglie, gravemente malata e non in grado di rispondere ad alcuno stimolo; volendo rispettare la promessa di non collocarla mai in una struttura, l’uomo cerca di attuare un omicidio suicidio, ma fallisce; per l’accusa di tentato omicidio l’uomo è condannato a 18 mesi di community correction (sorta di libertà vigilata); Director of Public Prosecution v. Riordan, 1998 BC9806644 (Supreme Ct. Victoria Crim.) caso simile al precedente, tre anni di libertà vigilata; R. v. Maxwell, 2003 VSC 278 (Supreme Ct. Victoria-Crim Div.) marito aiuta la moglie (malata terminale di cancro) a suicidarsi, pena sospesa di 18 mesi; medesima conclusione in un interessante caso in cui l’aiuto al suicidio 9

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era stato fornito a un soggetto erroneamente convinto di essere malato terminale. Ulteriori informazioni sulla situazione australiana in Gaudino, L’ultima libertà, Udine, 2013, 336 ss. L’intera documentazione − testo della legge approvata, iter parlamentare – è reperibile all’indirizzo www.legislation. vic.gov.au. 10

Per la sua rilevanza, la notizia è immediatamente comparsa sulla stampa internazionale: Baidawi, In Australia, a state votes to legalize euthanasia, in New York Times, November 30, 2017. 11

Voluntary Assisted Dying Bill 2017, testo e documentazione parlamentare sono consultabili all’indirizzo www.parliament.nsw.gov.au. 12

I dubbi circa l’opportunità di una legge del genere in una realtà ancora priva – nelle aree rurali e più remote – di un’offerta sanitaria e palliativa avanzata sono sinteticamente espressi da Anderson, Vote to end pain not life, in The Daily Telegraph, November 15, 2017. 13

Iniziative in tal senso figurano essere state assunte dai governi del Northern Territory (Shipway, Chief calls for rightto-die laws, in Northern Territory News, November 24, 2017) e dell’Australian Capital Territory (Burgess, Committee to look 14


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Il Voluntary Assisted Dying Act

discussione sulla legislazione federale nel parlamento di Camberra15. Ora l’elenco dei Paesi che ammettono l’eutanasia comprende: Olanda, Belgio, Lussemburgo, Canada, Colombia e Victoria; più numeroso quello degli ordinamenti che consentono il suicidio assistito (riservando o meno la pratica ai medici). Alle realtà già elencate si aggiungono: Oregon, Stato di Washington, Vermont, California, Colorado, New Mexico, Montana, Washington D.C., Svizzera.

2. Struttura e scopi della legge Non si può dire che i legislatori di Melbourne abbiano operato con superficialità. Il testo della nuova legge si estende per ben 137 pagine; si articola in 11 part, per un totale di 143 section, alle quali si aggiunge una ampia e dettagliata modulistica, volta evidentemente a ridurre ogni margine di dubbio circa il contenuto operativo della legge stessa e a rendere formalmente ineccepibile ogni passaggio. La legge è destinata a entrare in vigore il 19 giugno 201916. Scopi dichiarati sono: a) consentire e disciplinare la morte volontaria assistita; b) istituire il Voluntary Assisted Dying Review Board17. Tra le definizioni troviamo subito cosa debba intendersi per voluntary assisted dying: la somministrazione di una sostanza volta a determinare la morte volontaria di un soggetto, sia mediante l’assunzione di essa da parte del medesimo interessato, sia tramite la sua somministrazione a opera di un medico autorizzato18. Si tratta sostanzialmente di assisted suicide ed euthanasia; anche se i due termini non sono presenti in alcuna parte del testo.

I principi che devono guidare quanti siano coinvolti in una delle procedure ammesse dalla legge sono chiaramente indicati: a) ogni vita umana ha uguale valore; b) l’autonomia personale va rispettata; c) ciascuno ha diritto di decidere – sulla base di informazioni complete, fornitegli in maniera per lui comprensibile − sui trattamenti medici che lo riguardano; d) ogni persona ha diritto, nella fase finale della vita, a ricevere cure di qualità volte a minimizzare le sofferenze e a massimizzare la qualità della vita; e) la relazione terapeutica fra il paziente e il suo medico va promossa e mantenuta ogni qual volta ciò sia possibile; f) le persone devono essere incoraggiate a discutere apertamente della morte e del morire, facendo emergere e rispettando i valori personali di ciascuno; g) le persone devono essere incoraggiate a esprimere – dialogando con i propri medici, con i familiari e con chi se ne prende cura – le proprie preferenze circa trattamenti e cure; h) ciascuno ha il diritto a scegliere liberamente terapie e cure; i) vanno protette le persone che potrebbero essere soggette ad abusi; j) tutti – compresi i medici – hanno diritto a veder rispettati la loro cultura, le loro convinzioni religiose, i loro valori e tutte le caratteristiche personali19.

3. I soggetti Sono numerosi i soggetti che devono o possono venir coinvolti in una procedura di voluntary assisted dying: il paziente e le persone a lui vicine, i medici, i controllori. Per ciascuna di queste categorie la legge definisce caratteristiche, compiti e doveri. 3.1. La persona interessata

at ACT dying law, in The Camberra Times, November 29, 2017; v. anche Hutchinson, Push to revive territory rights on euthanasia, in The Australian, November 24, 2017).

Per essere ammesso alle procedure di voluntary assisted dying il soggetto deve soddisfare tutti i criteri di eligibility previsti dalla legge20.

Bickers, Greens to pursue a national euthanasia bill next year following Victoria’s successful legislation, in News. com.a, November 27, 2017; Victoria is first Australian state to back euthanasia, in The Times (London), November 30, 2017. 15

Part 1 − Preliminary. 2 Commencement, Voluntary Assisted Dying Act 2017. 16

17

Part 1 − Preliminary. 1 Purposes, cit.

18

Part 1 − Preliminary. 3 Definitions, cit.

19

Part 1 − Preliminary. 5 Principles, cit.

Part 2 − Criteria for access to voluntary assisted dying. Sect. 9 Eligibility criteria for access to voluntary assisted dying, cit. 20

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Deve trattarsi di un cittadino australiano (o che abbia la residenza permanente), residente nello stato di Victoria da almeno 12 mesi, maggiore di 18 anni. Il richiedente deve essere pienamente capace di prendere una decisione del genere. È la legge stessa21 a precisare i termini di tale capacità. La persona deve poter comprendere le informazioni rilevanti ai fini della decisione nonché gli effetti della decisione stessa; tale comprensione va accertata fornendo all’interessato tutte le informazioni, con le modalità più idonee alle sue proprie caratteristiche, ricorrendo eventualmente a un linguaggio modificato, ad ausili visivi o ad altri mezzi. Il soggetto deve avere la capacità di assimilare tali informazioni, e di poterle utilizzare correttamente nel procedimento di formulazione della decisione; egli deve essere in grado di comunicare − anche a gesti o con altri mezzi − la propria volontà, i propri punti di vista e i propri bisogni. La persona si presume capace, fino a prova contraria. Nel determinare la capacità bisognerà tener conto di una serie di fattori: un individuo può essere capace di prendere alcune decisioni e non altre; occorre accertare se l’eventuale incapacità sia temporanea o permanente; non bisogna trarre conclusioni da elementi quali l’aspetto esteriore del soggetto o il fatto che una certa decisione possa apparire, ad altri, poco saggia. Merita sottolineare – sotto il profilo della tecnica normativa – il fatto che la legge contenga alcuni esempi, volti a guidare l’operato di chi è chiamato ad accertare la capacità del soggetto (tra questi: l’uso di strumenti tecnologici utili a superare eventuali disabilità). Inoltre, si precisa che l’esame della persona deve essere effettuato nei momenti e negli ambienti più idonei a consentire una valutazione accurata. Quanto poi alle condizioni di salute, è necessario che sia stata diagnosticata una malattia o una condizione che sia incurabile, in stato avanzato e progressiva, tale da rendere probabile la morte in un arco massimo di sei mesi; termine che si allunga a dodici mesi in caso di malattie neurodegenera-

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tive. Inoltre, tale condizione deve provocare sofferenze non alleviabili con mezzi che la persona stessa consideri tollerabili. Non possono essere ammesse richieste che siano fondate esclusivamente su diagnosi di malattia mentale (come individuate dal Mental Health Act 2014) o sull’esistenza di disabilità (come individuate dal Disability Act 2006). 3.2. Familiari e altri soggetti Tra i soggetti che, a vario titolo, possono essere coinvolti nelle procedure compaiono, anzitutto, i familiari, nel cui novero la legge comprende coniuge o domestic partner, genitori, fratelli e sorelle, figli, nipoti. È la legge stessa a definire cosa debba intendersi per domestic partner22; ed è una definizione particolarmente ampia. Vi rientrano le coppie che abbiano ufficializzato il loro rapporto – mediante una registered relationship23 − ma pure chi viva un legame di coppia segnato da impegni reciproci di sostegno personale ed economico, senza distinzione di genere e senza necessità di coabitazione24. Restano esclusi dalla definizione quanti forniscano servizi domestici o assistenza personale retribuita o per conto di altre persone o organizzazioni, pubbliche o private. I familiari possono – se lo vuole il richiedente – venir convolti nelle discussioni intorno alle scelte di cura ed essere informati dal medico circa gli elementi rilevanti della procedura25. Al di là di questo, la preoccupazione del legislatore è quella di evitare i possibili conflitti di interesse e di garantire la genuinità della decisione di accedere alla procedura: non più di un familiare può es-

22

Part 1 − Preliminary. 3 Definitions, cit.

Il Relationships Act 2008 consente la registrazione delle coppie, anche dello stesso sesso e pure se non coabitanti, che non siano sposate; requisiti sono l’impegno, personale ed economico, e il sostegno domestico per il reciproco benessere. 23

Il legislatore australiano mostra così consapevolezza della diffusione del fenomeno denominato “Living Apart Togheter”: coppie legate da un rapporto affettivo le quali – per necessità o per scelta – convivono senza coabitare. 24

Part 1 − Preliminary. 4 Meaning of decision-making capacity, cit. 21

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Sect. 19 Information to be provided if co-ordinating medical practitioner assesses person as meeting eligibility criteria, cit. 25


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sere tra i testimoni delle dichiarazioni stilate dal richiedente26; ove sia necessaria una traduzione, il familiare non potrà fungere da interprete27. La legge prevede un’ulteriore figura, denominata contact person; si tratta di un soggetto, scelto dall’interessato, al quale la legge attribuisce il compito di restituire alla farmacia qualsiasi sostanza che sia stata prescritta e non sia stata utilizzata (perché avanzata o perché il malato ha mutato la sua decisione)28. 3.3. I medici L’elenco del personale medico che deve, o può, essere coinvolto nella procedura di legge è ampio. Abbiamo, anzitutto, la figura del “co-ordinating medical practitioner”, i cui requisiti professionali minimi sono dettagliati dalla legge stessa29. Si tratta del medico al quale sia stata avanzata dal paziente la prima richiesta di voluntary assisted dying e che abbia accettato di occuparsene30. Al medico coordinatore si aggiungerà, poi, l’opera di specialisti ai quali il primo – a seconda dei casi − dovrà o potrà rivolgersi al fine di verificare la capacità del paziente nonché la sussistenza di una delle situazioni alle quali la legge subordina l’ammissibilità delle procedure31. In caso di prima valutazione positiva della richiesta, dovrà entrare in campo un altro professionista, quale consulente nella valutazione32. Caratteristiche, compiti, doveri del consulting medical

practitioner ricalcano quelli del co-ordinator33. In particolare, anche il consulente può chiedere il parere di specialisti. In caso di disaccordo nelle conclusioni tratte dal coordinatore e dal consulente, il primo può richiedere la valutazione di un ulteriore consulente34. La legge stabilisce, altresì, i compiti che toccano al farmacista il quale consegni la sostanza destinata al voluntary assisted dying: doveri relativi, soprattutto, alla comunicazione di informazioni circa le modalità di assunzione, la conservazione del farmaco, la restituzione del farmaco che non sia stato utilizzato (per avere il soggetto modificato le proprie intenzioni), o che sia in parte avanzato35. Tutti gli esercenti le professioni sanitarie possono far valere la propria obiezione di coscienza36 e rifiutarsi di partecipare a qualsiasi fase – dall’informazione al paziente sino alla somministrazione della sostanza – della procedura di voluntary assisted dying37.

4. Le procedure La legge dedica l’intera Part 3 alle procedure da seguire38. Ancor prima, viene chiarito un punto fondamentale: in nessun caso chi ha in cura una persona deve, per prima, aprire il discorso e prospettare la possibilità della morte volontaria; tanto meno

A questa figura è dedicata l’intera Part 3 − Division 4 − Consulting assessment, cit. 33

26

Sect. 35 Witness to making of written declaration (3), cit.

27

Sect. 115 Interpreters, cit.

Part 3 − Requesting access to voluntary assisted dying and assessment of eligibility. Division 6 − Final request, contact person and final review by co ordinating medical practitioner. 39 Contact person, cit. 28

Part 3 − Division 1− Minimum requirements for co-ordinating medical practitioners and consulting medical practitioners. 10 Minimum requirements for co-ordinating medical practitioners and consulting medical practitioners; Sect. 17 Co-ordinating medical practitioner must not commence first assessment unless approved assessment training completed, cit. 29

30

Part 3 − Division 2 − First request. Sectt. 11/15, cit.

31

Sect. 18 Referral for specialist opinion, cit.

Sect. 22 Referral for consulting assessment if person assessed as eligible, cit. 32

Sect. 31 Co-ordinating medical practitioner may refer person assessed as ineligible for further consulting assessment, cit. 34

Sect. 58 Information to be given by pharmacist dispensing a prescribed voluntary assisted dying substance, cit. 35

Part 1 – Preliminary. 7 Conscientious objection of registered health practitioners, cit. 36

Sul punto è chiara la pozione già ora assunta dalle strutture sanitarie facenti capo alla Chiesa cattolica (che coprono circa il dieci per cento dell’offerta sanitaria e assistenziale nello Stato), decise a non applicare la normativa e a spingere per un sostanziale incremento del finanziamento pubblico delle cure palliative (Hutchinson, Euthanasia legal from 2019, but Catholics refuse to participate, in The Australian, November 30, 2017). 37

Part 3 − Requesting access to voluntary assisted dying and assessment of eligibility, cit. 38

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può suggerirla come una possibile soluzione alla condizione del paziente39. 4.1. La prima richiesta Il primo passo è rappresentato dalla richiesta – che deve, come abbiamo visto, essere del tutto spontanea – di accedere alla morte volontaria. Deve trattarsi di una richiesta chiara e non ambigua, formulata di persona, anche verbalmente, con gesti o con altre modalità di espressione possibili per l’interessato40. Il medico che la riceve ha sette giorni di tempo per comunicare al paziente la propria decisione: che può essere quella di accettare la richiesta oppure di respingerla – esprimendo, in quest’ultimo caso, le proprie ragioni (obiezione di coscienza, impossibilità di svolgere il ruolo di coordinatore, insufficienza di titoli professionali)41. Ove accetti la richiesta, il medico diverrà coordinatore42 e dovrà dare inizio alla fase di prima valutazione43. Il primo compito sarà quello di verificare l’esistenza di tutti i requisiti di ammissibilità: stato di salute, capacità, ecc. Ove il medico non sia in grado di accertare la capacità del soggetto, dovrà ricorrere al consulto di uno specialista (in particolare: di uno psichiatra). Ugualmente, ove vi siano dubbi circa la corrispondenza della condizione sanitaria del soggetto con quanto richiesto dalla legge, sarà necessario rivolgersi a uno specialista nel campo della malattia o della condizione di cui soffre l’interessato. In ogni caso, l’intervento dello specialista deve essere richiesto ove si tratti di malattia neurodegenerativa. Se alla fine di ciò il medico coordinatore ritiene la domanda ammissibile, dovrà informare il paziente relativamente a: a) la diagnosi e la prognosi; b) le

Part 1 – Preliminary. 8 Voluntary assisted dying must not be initiated by registered health practitioner, cit. 39

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possibili scelte di cura e i loro probabili effetti; c) le cure palliative attivabili e gli effetti di queste; d) i rischi potenziali dell’assunzione di una della sostanze letali ammesse dalla legge; e) il fatto che l’esito di tale assunzione sia la morte; f) la possibilità di interrompere in qualunque momento la procedura; g) l’opportunità di informare eventuali altri medici che lo abbiano in cura del fatto di aver presentato la richiesta di voluntary assisted dying. Inoltre, ove il paziente acconsenta, il medico dovrà cercare di rendere i familiari edotti circa le linee guida cliniche e il piano relativo all’autosomministrazione della sostanza letale. Accertata la sussistenza delle condizioni sanitarie previste, della capacità del soggetto di comprendere le informazioni ricevute, della mancanza di coercizioni e della persistenza della volontà del soggetto, il medico conclude circa l’ammissibilità della richiesta; in caso contrario, deve porre termine alla procedura. Gli esiti di questa prima valutazione – così come quelli relativi alle fasi successive − dovranno essere comunicati al paziente e trasmessi al Voluntary Assisted Dying Board, organo di controllo istituito dalla legge stessa44. 4.2. Il Consulting assessment Il medico coordinatore che abbia ritenuto la domanda ammissibile, deve richiedere il consulto di un altro medico – che abbia i requisiti professionali previsti dalla legge − per una nuova valutazione. Doveri e compiti del consulting medical practitioner sono esattamente identici a quelli gravanti sul co-ordinating medical practitioner. Si tratta, in pratica, di una seconda valutazione, condotta ripercorrendo integralmente tutti i passi già compiuti nella fase precedente. A questo si aggiunge che, in caso di parere negativo – e quindi di disaccordo con le conclusioni raggiunte dal co-ordinating medical practitioner − questi potrà sottoporre la questione a un nuovo consulente al fine di ottenere una ulteriore valutazione.

Sect. 11 Person may make first request to registered medical practitioner, cit. 40

Sect. 13 Registered medical practitioner must accept or refuse first request, cit. 41

Sect. 15 Registered medical practitioner who accepts first request becomes co-ordinating medical practitioner, cit. 42

43

Part 3 − Division 3 − First assessment. Sectt. 16/22, cit.

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Part 9 − Voluntary Assisted Dying Review Board. Sectt. 92/112, cit. 44


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Il Voluntary Assisted Dying Act

4.3. La richiesta scritta Ove il coordinatore e il consulente si siano entrambi pronunciati positivamente sull’ammissibilità della domanda, l’interessato potrà presentare una richiesta scritta nella quale dovrà, in particolare, dichiarare che sta agendo volontariamente e in assenza di coercizioni e che comprende natura ed effetti delle proprie dichiarazioni. L’atto dovrà essere sottoscritto in presenza di due testimoni e del medico coordinatore. Regole particolari riguardano le ipotesi di incapacità di sottoscrivere personalmente l’atto, l’eventuale intervento di un interprete, le qualità richieste per fungere da testimoni. 4.4. La richiesta finale e la revisione finale La richiesta scritta è condizione per poter presentare la final request45, che deve essere formulata di persona, anche verbalmente, con gesti o con altre modalità di espressione possibili per l’interessato. È in questo momento che si chiede la nomina della contact person, che sarà responsabile della restituzione alla farmacia della sostanza (per qualsiasi ragione) non utilizzata. Di regola, devono essere trascorsi almeno nove giorni dalla prima richiesta e almeno un giorno dal completamento del consulting assesment. Una volta ricevuta la final request, il medico coordinatore dovrà rivedere tutta la documentazione prodotta nelle fasi precedenti, redigere la final review e certificare che tutto il procedimento è stato corretto. A questo punto, il medico potrà chiedere al Secretary (individuato dalla legge nel Capo Dipartimento del Department of Health and Human Services) l’emissione del voluntary assisted dying permit, rispettando una serie dettagliate di formalità46. Potrà trattarsi di un self-administration permit47, oppure di un practitioner administration permit48,

a seconda che l’autorizzazione richiesta riguardi un suicidio medicalmente assistito oppure l’eutanasia, praticata dal medico. La seconda opzione è ammissibile solo ove vi sia la prova dell’incapacità fisica dell’individuo di porre in atto un suicidio (“the person is physically incapable of the self administration or digestion of an appropriate poison or controlled substance or drug of dependence”)49. Il Secretary potrà concedere il permesso o negarlo, motivando in tal caso le ragioni per cui ritenga che, in qualche fase, la procedura non abbia rispettato quanto prescritto dalla legge50. La decisione dovrà essere notificata al medico coordinatore e al Board. Ottenuto il permesso, il medico coordinatore dovrà trasmettere al paziente una serie di informazioni relative alla sostanza da assumere ribadendo, in particolare, il diritto del soggetto di mutare, in qualsiasi momento, la propria decisione51. Obblighi informativi simili – nonché di notificazione del proprio operato al Board − sono previsti pure in capo al farmacista52. A chiusura, si esclude qualsiasi tipo di responsabilità in capo a quanti partecipino – in qualunque fase e a qualunque titolo – a una procedura di voluntary assisted dying nel rispetto della legge53. D’altra parte, la violazione di divieti, limiti e doveri imposti dalla legge figura sanzionata mediante specifiche ipotesi di reato, comportanti pene anche assai severe54.

mit, cit. 49

Sect. 46 (c) (i); Sect. 48 (3) (a), cit.

50

Sect. 49 (3), cit.

Sect. 57 Information to be given on prescribing a voluntary assisted dying substance, cit. 51

Sect. 58 Information to be given by pharmacist dispensing a prescribed voluntary assisted dying substance; Sect. 60 Pharmacist to record and notify of voluntary assisted dying substance dispensed, cit. 52

Part 3 − Division 6 − Final request, contact person and final review by co-ordinating medical practitioner. Sectt. 37/44, cit. 45

Part 4 − Voluntary assisted dying permits. Sectt. 45/56; Part 5 – Division 2 – Sect. 64 Person may make administration request, cit. 46

47

Sect. 47 Application for self-administration permit, cit.

48

Sect. 48 Application for practitioner administration per-

Part 7 – Division 2 − Protection from liability for those who assist, facilitate, do not act or act in accordance with this Act, cit. 53

54

Part 8 – Offences. Sectt. 83/91, cit.

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5. Controlli e garanzie Il controllo sull’operato dei practitioner ispira l’intera procedura e vede il coinvolgimento di una pluralità di soggetti. Ogni passaggio – sin dalla prima richiesta avanzata dal paziente − deve essere riportato sulla sua cartella clinica. Contro le determinazioni del medico coordinatore o dei consulenti tutti gli interessati potranno agire davanti al Victorian Civil and Administrative Tribunal55; legittimati saranno lo stesso richiedente oppure un suo rappresentante, o chiunque dimostri uno special interest nei confronti della condizione sanitaria del soggetto. Ogni determinazione del Tribunal verrà comunicata pure al Secretary e al Board56. Il rispetto delle procedure è oggetto di verifica da parte del Secretary il quale – come visto − può negare motivatamente il permesso a porre in atto la procedura57. Il medico che abbia avuto in cura il soggetto prima della sua morte, o che ne abbia esaminato il cadavere e sappia o ritenga che il decesso sia avvenuto in attuazione di un voluntary assisted dying permit, dovrà tramettere al Registrar (registro di stato civile) e al Coroner tutte le informazioni relative al caso58. Ogni medico ha poi il dovere di denunciare alla Australian Health Practitioner Regulation Agency le condotte scorrette poste in essere da parte di qualche collega: come l’aver preso l’iniziativa di suggerire al paziente la morte volontaria o l’essersi offerto di favorirne la morte senza rispettare la legge. I medesimi obblighi gravano sul datore di lavoro del medico59. Gli stessi fatti possono essere oggetto di denuncia da parte di chiunque ne venga a conoscenza60.

55

Part 6 − Review by VCAT. Sectt. 68/74, cit.

Si tratta del Voluntary Assisted Dying Review Board, sul quale v. infra § 5 56

Sect. 49 Secretary to determine application for a voluntary assisted dying permit, cit. 57

Part 5 − Division 3 − Notification of cause of death. Sect. 67, cit. 58

Sect. 75 Mandatory notification by registered health practitioner; Sect. 76 Mandatory notification by employer, cit. 59

60

Sect. 77 Voluntary notification by persons, cit.

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Osservatorio normativo e internazionale

Il ruolo centrale di controllo e revisione figura essere attribuito al Voluntary Assisted Dying Review Board, di nuova istituzione, al quale le legge dedica un’intera sua Parte61. I compiti e i poteri del Board62 sono numerosi. In sintesi, esso deve: a) monitorare tutta la tematica della morte volontaria e verificare il funzionamento della legge; b) riferirne gli esiti al Parlamento e formulare proposte di miglioramento; c) diffondere tra medici e comunità la conoscenza della legge e promuoverne il rispetto; d) informare di ogni questione rilevante gli altri soggetti volta a volta interessati (Chief Commissioner of Police; Registrar; Secretary; State Coroner; Australian Health Practitioner Regulation Agency); e) promuovere il miglioramento continuo delle procedure di legge, sotto il profilo della qualità e della sicurezza; f) condurre analisi e ricerche sulle informazioni e sulla modulistica prevista per l’applicazione della legge; g) informare il pubblico su quanto la legge prevede; h) consultarsi con tutti gli interessati (gruppi, comunità, amministrazioni pubbliche, medici); i) fornire rapporti e suggerimenti al Ministro e alla sua amministrazione. Il Board non si limita a raccogliere le informazioni che i vari soggetti sono tenuti a trasmettergli ma è dotato di propri poteri di indagine63. Si prevedono Report (inizialmente semestrali e poi) annuali al Parlamento, nei quali il Board relaziona sul funzionamento della legge e formula i propri suggerimenti per migliorarne l’operatività64. Infine, si prevede una sorta di “tagliando” della legge: il Ministro può chiedere che, al quinto anno di sua applicazione, venga redatto un Report – destinato al Parlamento − relativo al funzionamento della disciplina nei primi quattro anni65.

Part 9 − Voluntary Assisted Dying Review Board. Sectt. 92/118, cit. 61

I cui membri sono di nomina ministeriale: Sect. 95 Appointment of member of the Board, cit. 62

Sect. 103 Request for information by the Board: “The Board may request that any person (including a contact person) give information to the Board to assist the Board in carrying out any of the Board’s functions”, cit. 63

64

Division 5 – Reports. Sectt. 107/112, cit.

65

Sect. 116 Five year review, cit.


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