Familia 6/2019

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2019 6 Familia

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ISSN 1592-9930

amilia

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Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa

Rivista bimestrale

novembre - dicembre 2019

D IRETTA DA SALVATORE PATTI Tommaso Auletta, Mirzia Bianca, Francesco Macario, Lucilla Gatt (vicedirettore), Fabio Padovini, Massimo Paradiso, Enrico Quadri, Carlo Rimini, Giovanni Maria Uda

www.rivistafamilia.it

IN EVIDENZA NATURA, ACQUISTI E AMMINISTRAZIONE DELLA COMUNIONE LEGALE: DIRITTO EFFETTIVO E RAGIONI DI AUSPICABILI MUTAMENTI

Tommaso Auletta

LA REGOLAMENTAZIONE DELLE UNIONI NON MATRIMONIALI IN SPAGNA Julio Carbajo Gonzales

SULLA CAPACITÀ DI DONARE DEL BENEFICIARIO DI AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO Francesco Meglio

Pacini



Indice Parte I Dottrina Tommaso Auletta, Natura, acquisti e amministrazione della comunione legale: diritto effettivo e ragioni di auspicabili mutamenti............................................................................................................ p. 669 Julio Carbajo Gonzáles, La regolamentazione delle unioni non matrimoniali in Spagna.......................» 689 Matilde De Angelis, La nascita quale fattispecie a formazione progressiva............................................» 705 Paola Grimaldi, Stalking e bullismo nell’era dei social network.............................................................» 719 Parte II Giurisprudenza Corte cost., 10 maggio 2019, n. 114 (con nota di Francesco Meglio, Sulla capacità di donare del beneficiario di amministrazione di sostegno) .........................................................................................» 735 Cass. civ., sez. II, ord. 10 dicembre 2018, n. 31902 (con nota di Franco Trubiani, Affidamento condiviso: il diritto alla bigenitorialità fra assolutezza del principio e relatività delle regole applicative)........» 755 Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 2018, n. 25698 (con nota di Francesco Paolo Patti, Interpretazione e conservazione degli effetti del testamento).............................................................................................» 779

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Natura, acquisti e amministrazione della comunione legale: diritto effettivo e ragioni di auspicabili mutamenti* Sommario : 1. Introduzione. – 2. Natura della comunione legale. – 3. Questioni riguardanti la composizione del patrimonio. – 4. Problematiche relative all’amministrazione.

In this essay the author critically examines the rules and the solutions adopted by the Supreme Court way of interpretation on important issues concerning the nature of the legal regime of the community of property, the composition of the patrimony and the administration thereof, highlighting its inadequacy and contradictions in order to ensure, according to the circumstances, the protection of the opposing interests of each of spouses and the third parties.

1. Introduzione. In queste pagine intendo proporre qualche riflessione su alcune spinose questioni relative alla natura della comunione legale, alla composizione del patrimonio ed alla sua amministrazione, oggetto di soluzioni giurisprudenziali consolidatesi col trascorrere del

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Lo scritto riproduce il testo della relazione tenuta nel contesto della giornata di studi per Mario Segni (in occasione dell’ottantesimo compleanno), dal titolo I rapporti privati nella società civile, tenutasi a Padova l’8 novembre 2019.

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tempo e pur tuttavia dense di interrogativi perché risolte, a mio parere, in maniera tutt’altro che convincente. La scelta di queste tematiche può sembrare strana in quanto la comunione legale viene per certi versi oggi considerato un istituto demodè, forse incamminato verso la progressiva ed inesorabile estinzione, data la frequente opzione da parte degli sposi a favore della separazione dei beni, in mancanza di robusti interventi volti a rivitalizzarlo o almeno a mantenerlo in vita, però ancora utile al fine di garantire la paritaria partecipazione di entrambi gli sposi alle ricchezze prodotte durante il matrimonio, come testimoniato dalle note problematiche al momento di determinare l’assegno divorzile ove il rapporto di coppia sia entrato in crisi. Scelta non casuale perché trae spunto da un importante studio di Mario Segni, che onoriamo in questa giornata, dal titolo Gli atti di straordinaria amministrazione del singolo coniuge sui beni della comunione1 pubblicato, a distanza di qualche anno dall’entrata in vigore della riforma del 1975, nel quale egli esamina le ragioni e le conseguenti implicazioni delle scelte del legislatore, compiute con riferimento alla disciplina dettata dall’art. 184 c.c., di non colpire con la “naturale” sanzione dell’inefficacia gli atti di disposizione sui beni comuni, stipulati in violazione della regola posta dall’art. 180 c.c. (necessità dell’agire congiunto da parte dei coniugi ove essi configurino una gestione straordinaria del patrimonio), bensì con l’annullabilità dell’atto se relativo a beni immobili, quale effetto nei rapporti esterni; limitandosi invece a prevedere un obbligo di reintegrazione del patrimonio se esso riguarda beni mobili e l’eventuale risarcimento del danno a carico del coniuge che se ne è reso responsabile, senza peraltro sancirne la validità, effetto dai più dato per scontato, ivi compresa la giurisprudenza che più volte si è espressa in tal senso. Soluzione certamente singolare ove si accolga la tesi, condivisa da Segni, – ma costantemente avversata negli anni successivi dalla giurisprudenza – secondo la quale i coniugi sono contitolari dei singoli beni di cui si compone il patrimonio comune, onde colui che ne dispone per l’intero senza la partecipazione dell’altro o in mancanza di autorizzazione, trasferisce in realtà una quota che non gli appartiene e ciò dovrebbe ripercuotersi sull’efficacia del trasferimento dell’intero bene, non essendo ciascun coniuge legittimato a disporre separatamente della propria quota in quanto cagionerebbe lo scioglimento della comunione su di esso, introducendo un’ipotesi di scioglimento parziale non prevista dalla legge, per evitare che l’altro coniuge sia costretto ad entrare in comunione con un terzo, soluzione che il legislatore tende a scongiurare, tenuto conto del fondamento e delle peculiarità della stessa. Nel suo argomentare Segni ricostruisce la disciplina della pubblicità dei regimi coniugali e degli acquisti compiuti nel loro contesto, mettendo in luce il complesso intreccio tra la pubblicità affidata ai registri dello stato civile ed ai registri immobiliari, soffermandosi

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In Riv. dir. civ., 1980, 598 ss.

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con particolare attenzione sull’infelice formulazione dell’art. 179, 2° comma per cercare di dipanare una complessa matassa che ancor oggi è oggetto di discussione. Proprio questi aspetti costituiranno oggetto delle riflessioni che seguiranno.

2. Natura della comunione. Secondo opinione largamente prevalente la comunione degli acquisti vigente in Italia comporta una effettiva contitolarità degli sposi per quote uguali sui beni che vi entrano a farne parte, entrambi ne hanno l’amministrazione, rispondono dei debiti assunti, anche separatamente, a tal fine o per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia nonché per quelli contratti congiuntamente. Trattasi comunque di una comunione sui generis non assimilabile a quella ordinaria perché dotata di una propria disciplina in virtù delle finalità perseguite (uguale partecipazione alla ricchezza prodotta durante il matrimonio). Infatti comunisti sono solo i coniugi, le quote sono necessariamente uguali, non può essere sciolta per volontà unilaterale; particolari sono i criteri da adottare per differenziare gli atti di ordinaria da quelli di straordinaria amministrazione e la conseguente stipula, le regole sulla responsabilità debitoria. Peculiarità non incompatibili – come si dirà in seguito – con la ricostruzione della contitolarità costituita su ciascuno dei beni facente parte del patrimonio. Assunto dato per scontato nello scritto di Segni, ma posta invece in discussione otto anni dopo da una nota sentenza della Corte Costituzionale (311/1988), investita2 della questione di costituzionalità dei rimedi menzionati dall’art. 184 c.c. nel caso di alienazione di beni comuni da parte di un solo coniuge, però ritenuta infondata in base ad una singolare ricostruzione della struttura della comunione. La Corte fonda la soluzione adottata partendo dalla considerazione che la ricostruzione dei caratteri di un istituto (nel nostro caso la comunione legale) non devono essere tratti da categorie precostituite (nella specie la comunione ordinaria) ma dalle norme che lo regolano, in base alle quali la comunione legale sarebbe una comunione senza quote, onde i coniugi diverrebbero solidalmente titolari dei beni che la compongono. «La quota – si afferma – non è un elemento strutturale, ma ha solamente la funzione di stabilire la misura entro cui i beni possono essere aggrediti dai creditori particolari» (la metà) e la misura in cui allo scioglimento verrà ripartito l’attivo ed il passivo. «Ne consegue che nei rapporti con i terzi ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni della comunione» ed il richiesto consenso dell’altro coniuge «non costituisce un negozio autorizzatorio ma piuttosto rimuove un limite all’esercizio del potere ed integra un requisito di regolarità del procedimento». L’annullabilità dell’atto non costituisce dunque una misura di minor tutela

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Dall’ordinanza di Trib. Bari, 14 gennaio 1987, in Rep. Foro it., 1988, voce Famiglia (regime patrimoniale) nn. 57-59.

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del coniuge pretermesso ma tutto il contrario, in quanto la mera irregolarità di un atto non ne comporta generalmente l’invalidità se non nei casi espressamente previsti dalla legge. In tal modo la Corte non solo intende superare la questione di cui era stata investita, ma, verosimilmente, suggerire anche le modalità della procedura da seguire nel caso in cui il creditore personale intenda agire sui beni della comunione appartenenti al coniuge esecutato. La Corte sembrerebbe dunque ritenere che sussiste pur sempre una quota appartenente a ciascun coniuge ma essa non riguarda i singoli beni bensì il patrimonio complessivo. Se così fosse occorrerebbe chiedersi però se le conseguenze dell’atto di disposizione previste dalla norma debbano applicarsi anche quando il bene alienato superi il valore della quota di patrimonio spettante al disponente. Infatti in tal caso rischierebbe di venire pregiudicato non solo l’interesse dell’altro coniuge a non essere privato della titolarità di beni che gli appartengono (e potrebbe avere interesse a mantenerne, almeno in parte, la titolarità) ma persino la quota complessiva intesa come valore, ove il disponente non fosse in grado di reintegrare quella dell’altro, pregiudizio nel quale verrebbero coinvolti, ben inteso, pure i suoi creditori. Tale limite non può essere infatti superato alla luce del disposto dell’art. 189 c.c. Lascia molti dubbi poi la sostanziale svalutazione del consenso richiesto da parte di entrambi i coniugi, ricostruito quale mero limite all’esercizio di un potere di disposizione spettante a ciascuno piuttosto che come coelemento che concorre al processo di formazione della volontà sulla base della piena parità fra i coniugi configurante il potere dispositivo, non il solo esercizio. La Corte fa ricorso nell’argomentare ad un antico istituto dell’antico diritto tedesco, la Gemeinschaft zur gesammten Hand, sostanzialmente sconosciuto al nostro ordinamento e controverso anche in Germania. Esso costituiva una organizzazione patrimoniale autonoma dei cui beni era titolare la famiglia, più precisamente la comunione familiare non i suoi componenti, né per l’intero né per la parte; assolveva alla funzione di salvaguardia ed incremento del patrimonio della famiglia, gestito dal marito, il quale non poteva però compiere alcun atto di disposizione senza il consenso della moglie; i debiti dei singoli coniugi divenivano propri della gesammnte Hand. Essa non si estingueva finché era in vita il matrimonio, onde non era ammesso lo scioglimento convenzionale, o per iniziativa dei creditori e neppure per morte, in quanto si perpetuava con la partecipazione dei figli e comunque non si trasmetteva secondo le regole del diritto ereditario. L’entità della quota spettante a ciascun coniuge non poteva comunque determinarsi anticipatamente ma solo al momento dello scioglimento. L’accostamento della comunione coniugale (convenzionale) vigente sotto il codice del 1942 alla comunione a mani unite aveva avuto modesto seguito in Italia, e sembrava definitivamente accantonata sulla base delle approfondite critiche contenute in una nota mo-

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nografia del Messineo3, il quale ne aveva messo in luce le evidenti differenze, accresciutesi ulteriormente ai nostri giorni alla luce dei caratteri che contraddistinguono la comunione legale vigente. L’illustre autore affermava, già allora in maniera tranchant, che la tesi «non può affacciar pretese di attendibilità di fronte al diritto italiano» (p. 57) in quanto «sono posti a contatto due termini (cioè comunione coniugale e gesammnte Hand) dei quali l’uno è definito, preciso, rigoroso, e l’altro è qualcosa di pieghevole di fluttuante, di non svolto in un determinato e univoco senso» (p. 50). Le caratteristiche della comunione a mani unite brevemente riassunte sono decisamente inconciliabili con l’attuale comunione legale. È infatti del tutto superata la concezione della famiglia quale soggetto autonomo e della comunione legale come patrimonio destinato al soddisfacimento dei suoi bisogni, il quale costituisce invece strumento volto a pareggiarne le fortune individuali. L’amministrazione si fonda ormai su principi rigorosamente paritari, in certi casi è ammissibile l’alienazione di singoli beni da parte di un coniuge e l’aggressione, ma solo della quota su di essi, da parte dei creditori personali, in contrasto con la concezione di un patrimonio distinto da quello dei coniugi e della responsabilità illimitata per i loro debiti. Ne è ammesso lo scioglimento convenzionale o per iniziativa dei creditori in seguito al fallimento dell’imprenditore. Mentre l’indisponibilità della quota nel suo complesso o sui singoli beni non dipende dalla sua assenza, ma dal fatto che è ammesso lo scioglimento della comunione solo nelle ipotesi previste dalla legge. C’è da aggiungere che alla quota – a dispetto di quanto affermato dalla Corte costituzionale – numerose norme sulla comunione legale fanno riferimento, palesandone l’esistenza: ad es., nel sancirne anticipatamente l’uguaglianza ai fini della ripartizione dell’attivo e del passivo al momento della divisione e nel disporne l’inderogabilità, nel determinare la misura entro la quale i creditori personali possono agire su di essa per il loro soddisfacimento. Nonostante le numerose critiche mosse dalla dottrina, la ricostruzione tracciata dalla Corte costituzionale è oggi costantemente seguita dalla Corte di Cassazione e costituisce leit motiv4, che troverebbe fondamento nella funzione della comunione di tutelare la famiglia e non la proprietà individuale dei coniugi5; essa viene richiamata per fondare poi soluzioni che risultano scarsamente persuasive proprio per l’erroneità del presupposto su cui si fondano. Intendo fare riferimento in particolare alla soluzione adottata in tema di esecuzione da parte dei creditori personali sulla quota di comunione spettante al coniuge debitore. È ormai consolidata in giurisprudenza infatti la tesi secondo la quale i creditori possono ag-

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F. Messineo, La natura giuridica della comunione legale, Roma, 1920. Cfr. Cass. S.U., 24 agosto 2007, n. 17952, in Fam. e dir., 2008, 681; Cass., 11 giugno 2010, n. 14093; Cass., 8 luglio 2010, n. 16149; e tra le più recenti Cass., 6 marzo 2019, n. 6459; Cass., 14 marzo 2013, n. 6575, in Guida al dir., 2013, 15, 28; Cass., 24 luglio 2012, n. 12923; Cass., 25 ottobre 2011, n. 22982. 5 Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, in Fam. e dir., 2008, 5; Cass., 12 gennaio 2011, n. 517. 4

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gredire beni per l’intero, nei limiti del valore della quota spettante al debitore6. Soluzione a loro favorevole per evidenti ragioni: possono scegliere i beni più facilmente alienabili all’incanto, non subiscono il deprezzamento derivante dall’alienazione di un bene in comproprietà, spettante all’altro coniuge, su quest’ultimo graverebbe l’onere di agire per evitare che i limiti della quota espropriabile venga superato costringendolo in un certo senso, per scongiurare tale rischio, a chiedere lo scioglimento della comunione. La gravità delle conseguenze appare evidente sol che si consideri che il coniuge perderebbe la titolarità di beni che potrebbero essere estremamente importanti per la famiglia, particolarmente cari o acquistati per sua iniziativa e con l’impiego di risorse da lui provenienti. Le proposte avanzate per scongiurare tali effetti o limitarli appaiono peraltro poco convincenti o del tutto inadeguate pur non essendo possibile darne conto per i limiti che il presente contributo impone. Tutto ciò in assenza di precisi riscontri normativi su cui fondare tale singolare modalità di esecuzione, invece di quella generale relativa all’espropriazione della quota ex art. 599 c.p.c. Non decisiva a sostegno della soluzione criticata sembra infatti la previsione dell’art. 192, 2° comma c.c. secondo la quale il coniuge esecutato è tenuto a rimborsare alla comunione il valore dei beni su cui si sono soddisfatti i creditori personali. Obbligazione priva di fondamento ove fosse sottoposta ad esecuzione solo la quota dei beni a lui spettante in quanto l’altro non subirebbe alcun depauperamento, perché conserverebbe la titolarità della quota di sua pertinenza. Ma la previsione non appare contraddittoria ove si ritenesse – come a me sembra – che questa norma vada applicata solo all’ipotesi in cui il coniuge non abbia fatto opposizione all’azione esecutiva dei creditori o addirittura abbia acconsentito all’espropriazione dell’intero bene, al fine di facilitarne la vendita e la conseguente estinzione del debito. Nulla impedisce infatti che il coniuge comproprietario anteponga al proprio, l’interesse dell’altro coniuge o della famiglia, per facilitare la risoluzione della situazione debitoria. È proprio in questi casi che l’obbligazione di rimborso trova allora pieno fondamento. Ostacolo a detta soluzione non può riscontrarsi neppure negli effetti che si produrrebbero in seguito all’esecuzione ove limitata alla quota, con conseguente scioglimento della comunione sul bene aggredito. Effetto ineludibile7 ove si voglia evitare che la quota rimasta in comunione possa essere aggredita con successive procedure dai creditori rimasti insoddisfatti o il cui diritto sia sorto successivamente e continui ad essere amministrata da colui che non ne avrebbe più diritto. Infatti anche a considerarsi precluso lo scioglimento parziale della comunione su iniziativa dei coniugi (soluzione peraltro tutt’altro che certa) esso non scaturirebbe, nel caso in esame, da una decisione dei coniugi ma dall’azione dei creditori personali, sulla base dell’art. 189 c.c. Il pregiudizio che il coniuge del debitore

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Cass., 14 marzo 2013, n. 6575; Cass. S.U., 4 agosto 1998, n. 7640. Espressamente previsto ad es., dalla normativa spagnola (art. 1373).

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verrebbe a patire in seguito all’espropriazione della quota dell’altro per l’ingresso in comunione di un estraneo appare decisamente inferiore rispetto alla perdita del bene per intero e comunque – come si è detto – sarebbe sempre nella facoltà del contitolare consentire l’esecuzione sull’intero bene ove non volesse entrare in comunione con un estraneo. Occorre infine rilevare che, a dispetto del frequente richiamo alla proprietà solidale, la giurisprudenza adotta in alcune circostanze soluzioni con essa non pienamente compatibili: ad es., quando nega la possibile contitolarità dei diritti di credito, per ammetterla – come si dirà tra breve – solo per i c.d. “investimenti” “suscettibili di assumere un valore di scambio”8 o per negare che, in carenza di specifico titolo di costituzione di usufrutto in comunione legale se ne debba presumere la titolarità disgiunta9, escludendo il diritto all’intera prestazione a favore del coniuge superstite, tipico della comunione a mani unite, conseguenza coerente solo con una ricostruzione di comproprietà per quote distinte a favore di ciascun coniuge, una sola delle quali è sensibile alla vicenda sopravvenuta (la morte) con conseguente estinzione, fatta salva una diversa previsione.

3. Questioni riguardanti la composizione del patrimonio. Riguardo all’oggetto della comunione, si è detto che l’articolo di Segni si sofferma su alcune questioni relative agli acquisti personali compiuti ai sensi dell’art. 179, 2° comma relativi a beni immobili esclusi dalla comunione in quanto destinati ad uso strettamente personale, all’esercizio della professione ed a quelli conseguiti mediante impiego del prezzo di trasferimento o lo scambio dei beni elencati alle lettere c), d) ed f). Come accennato, trattasi di una delle norme più oscure tra quelle riguardanti il regime legale – e non a caso oggetto di numerose pronunzie giurisprudenziali – per l’approssimazione con cui è formulata. Molteplici gli interrogativi che si pongono: quale sia la ragione di tale intervento da parte del coniuge non acquirente; se la partecipazione sia necessaria al fine di consentire l’acquisto personale o possa farsene anche a meno; se egli debba rendere necessariamente una dichiarazione ed il relativo contenuto, nonché quale ne sia la natura; se ne sia ammessa l’impugnazione in un successivo giudizio; se le soluzioni adottate vadano riferite in maniera uniforme a tutte e tre le ipotesi contemplate dalla legge o se debbano diversificarsi, almeno per certi aspetti; se sia ammessa surrogazione anche quando l’acquisto avviene con denaro personale.

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Ad es., i titoli obbligazionari: Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, cit.; Cass., 15 gennaio 2009, n. 799, in Fam. e dir., 2009, 571; Cass., 15 giugno 2012, n. 9845, ivi, 2013, 5. 9 Cass., 28 dicembre 2018, n. 33546.

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Su un punto vi è convergenza quasi unanime di vedute: l’applicazione della norma non è limitata – come pur adombrato da una dottrina minoritaria10 – alle particolari ipotesi in cui i coniugi compiono un acquisto congiunto di un bene che intendono sottrarre alla comunione legale sottoponendolo, per loro motivazioni, alla comunione ordinaria. Il tenore della norma ipotizza infatti un ruolo diverso per i due coniugi: uno stipula l’atto, l’altro vi presenzia. Procedura limitata agli acquisti personali di immobili e mobili registrati ai sensi delle lettere c), d) ed f). Rispondendo al primo interrogativo, il fine della norma è da cogliersi, plausibilmente, nell’esigenza di tutelare più intensamente il coniuge dell’acquirente, data la ricorrente maggiore importanza dell’affare riguardante gli immobili ed i mobili registrati, così permettendogli di interloquire ed avanzare obiezioni ex ante circa la sussistenza dei presupposti richiesti per l’acquisto personale. Rilevanza assume anche la disciplina pubblicitaria alla quale esso è sottoposto. Riguardo agli altri interrogativi la Cassazione, dopo molte incertezze iniziali palesate da mutamenti di indirizzo, prospetta un quadro di soluzioni ormai consolidato ma non per questo del tutto condivisibile. Riguardo alla dichiarazione del coniuge acquirente per surrogazione, prevista dall’art. 179, lett. f), con riferimento ai beni mobili, vi individua la funzione di rendere più agevole il controllo da parte degli interessati riguardo alla effettiva provenienza delle risorse impiegate dal patrimonio personale11, ivi condivisibilmente ricompreso il denaro12, essendo incomprensibilmente discriminatoria una soluzione volta a limitarne gli effetti all’impiego solo del corrispettivo proveniente dall’alienazione di beni personali13. Tale soluzione difficilmente potrebbe applicarsi riguardo all’acquisto di un bene immobile o mobile registrato perché, secondo la giurisprudenza, l’autore dell’atto deve indicare puntualmente le risorse impiegate, non limitandosi ad un generico utilizzo di denaro personale14 per consentire all’altro coniuge, se presenzia all’atto, di compiere gli adeguati controlli e formulare eventuali rilievi. Apposita dichiarazione è prevista anche per esplicitare l’intenzione di destinare ad uso personale o professionale il bene in fase di acquisto, alla quale deve poi seguire, in tempi ragionevoli, l’effettiva destinazione allo scopo. Occorre inoltre il riconoscimento circa la legittimità dell’operazione da parte del coniuge dell’acquirente e dunque – sempre secondo la giurisprudenza – è richiesta anche una

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G. Cian e A. Villani, La comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), in Riv. dir. civ., 1980, I, 400 s. e ancor prima, G. Cian, Sulla pubblicità del regime patrimoniale della famiglia, ivi, 1976, I, 44. 11 Cass., 9 novembre 2012, n. 19454, in Fam. e dir., 2013, 335; Cass., 5 maggio 2010, n. 10855, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, 1197, con nota di Costa; Cass., 25 settembre 2008, n. 10855: V. anche citaz. alle due note successive. 12 Cass., 5 maggio 2010, n. 10855, cit.; Cass., 18 agosto 1994, n. 7437, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 551, con nota di Regine. 13 Come invece affermato da Cass., 27 febbraio 2003, n. 2954, cit. Mentre Cass., 24 ottobre 2018, n. 26981, in questa Rivista, 2018, 681, con nota di Picaro e in Nuova giur. civ. comm., 2019, 217, ritiene indispensabile la tracciabilità del denaro. 14 Cass., 12 marzo 2019, n. 7027, cit.; Cass., 14 novembre 2018, n. 29342, cit.; Cass., 24 ottobre 2018, n. 26981, cit.; Cass., 14 maggio 2018, n. 11688, cit.; Cass., 4 agosto 2010, n. 18114, cit.

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sua apposita dichiarazione15. La partecipazione di quest’ultimo all’atto risulterebbe dunque necessaria16, onde nel caso di rifiuto ad intervenire, di mancato assenso o addirittura di contestazione dei presupposti per l’acquisto personale il coniuge interessato alla stipula dell’atto dovrebbe intanto soprassedevi ed iniziare un giudizio di accertamento volto alla verifica dei presupposti che lo legittimano, per evitare che il bene cada altrimenti irrimediabilmente in comunione17. Tale dichiarazione, secondo la Cassazione, ha natura ricognitiva e più precisamente confessoria18, con riferimento agli acquisti per surrogazione, ma non anche per quelli relativi a beni di uso personale o professionale19, in quanto non sarebbe possibile confessare un fatto la cui esistenza debba verificarsi in futuro (l’effettiva destinazione del bene), da considerare mera dichiarazione di intenti dall’altro condivisa (ma si riscontra anche qualche pronunzia di segno contrario20). Il coniuge intervenuto può contestare successivamente all’atto la fondatezza delle ragioni su cui si basa l’assenso manifestato in precedenza, senza limiti circa la prova di cui è gravato, ove intenda dimostrare che il bene non ha avuto la destinazione personale o professionale annunciata, o di cui i coniugi erano consapevoli fin dall’inizio, mentre può impugnare l’atto solo per violenza od errore di fatto nel caso di acquisti compiuti ai sensi della lett. f), sempre che le risorse impiegate non vengano indicate in modo generico21 proprio in virtù della natura confessoria della dichiarazione innanzi menzionata. Non in linea con la natura indicata è l’affermazione di una famosa decisione con la quale si nega l’ammissibilità del c.d. rifiuto del coacquisto, nella quale si sostiene che in ogni caso (dunque anche se mancano i presupposti per la surrogazione) il coniuge dell’acquirente può contestare successivamente la personalità dell’acquisto quantunque consapevole, fin dalla stipulazione del contratto, che le risorse impiegate non erano personali22. Difforme in alcuni punti rispetto al quadro enunciato è la ricostruzione proposta da Segni: innanzitutto a proposito della dichiarazione dell’acquirente per surrogazione, in

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Cass., 12 marzo 2019, n. 7027, cit.; Cass., 14 novembre 2018, n. 29342; Cass., 14 maggio 2018, n. 11668, in Notariato, 2018, 413; Cass., 27 febbraio 2003, n. 2954, in Vita not., 2003, 676, con nota di Giuliani, nella quale si precisa che la causa di esclusione deve risultare dall’atto. In senso contrario Cass., 8 febbraio 1993, n. 1556, in Riv. notar., 1995, 233, con nota di Marasco. 16 Cass., 4 agosto 2010, n. 18114, in Fam. e dir., 2011, 475 con nota di Farolfi; Cass., 14 maggio 2018, n. 11688, cit.; Cass., 24 ottobre 2018, n. 26981, cit.; Cass., 12 marzo 2019, n. 7027, cit. 17 Cass. S.U., 28 ottobre 2009, n. 22755, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 249, con nota di Mazzariol, e in Corr. giur., 2010, 1209, con nota di Farolfi; Cass., 25 ottobre 1996, n. 9307, in Giust. civ., 1997, 2887. 18 Cass., 24 ottobre 2018, n. 26981, cit.; Cass., 18 novembre 2016, n. 23565; Cass., 17 luglio 2012, n. 12197; Cass. S.U., 28 ottobre 2009, n. 22755, cit.; Cass., 6 marzo 2008, n. 6120, in Fam. e dir., 2008, 876, con nota di Paladini; Cass., 19 febbraio 2000, in Giust. civ., 2000, 1365. 19 Cass., 14 novembre 2018, n. 29342, cit.; Cass. S.U., 28 ottobre 2009, n. 22755, cit. Diversamente, per la natura ricognitiva, senza distinguere fra le diverse ipotesi, si era pronunciata in un primo tempo la Cassazione (ad es., 24 settembre 2004, n. 19250, in Fam. e dir., 2005, 12, con nota di Bolondi). 20 Cass., 10 febbraio 2016, n. 2642, in Fam. e dir., 2017, 244, con nota di Paladini. 21 Cass., 12 marzo 2019, n. 7027, cit.; Cass. S.U., 28 ottobre 2009, n. 22755, cit.; Cass., 24 ottobre 2018, n. 26981, cit.; Cass., 4 agosto 2010, n. 18114, cit. 22 Cass., 27 febbraio 2003, n. 2954, cit.; Cass., 19 ottobre 2017, n. 24719, in quanto altrimenti l’esclusione potrebbe avvenire in mancanza dei presupposti previsti dalla legge, riconoscendole natura negoziale, che invece, a giudizio della Corte, deve negarsi.

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quanto egli vi attribuisce anche natura negoziale, volta ad esprimere cioè l’intento di escludere il bene dalla comunione. Ricostruzione a mio avviso pienamente condivisibile23 non potendosi ritenere a lui precluso fare entrare i nuovi beni in comunione, provocando l’accrescimento di quel patrimonio (soluzione da applicare anche per gli acquisti di beni mobili non registrati). Ciò non significa peraltro escludere anche la funzione di collegamento tra acquisto e risorse impiegate con conseguente necessità di una puntuale indicazione della loro provenienza24. Tale decisione non può essere assunta in un momento successivo alla stipula dell’atto di acquisto, come chiaramente espresso dall’art. 179 lett. f) ma, a mio parere, neppure ove l’acquisto riguardi un bene di uso personale o professionale il quale diviene pertanto irrimediabilmente comune. Diverso è il pensiero di Segni su quest’ultimo punto; egli ritiene infatti che alla mancata dichiarazione possa ovviarsi mediante un accertamento giudiziale successivo riguardante l’effettiva destinazione del bene ad uso personale o professionale, soluzione che troverebbe fondamento, nel fatto che, alla luce del dettato dell’art. 210 c.c., non è mai consentito mettere in comunione beni di uso strettamente personale o per l’esercizio della professione, onde l’ingresso in comunione è sottratto all’autonomia privata, divieto che verrebbe disatteso ove l’acquirente non potesse fare valere in un momento successivo la natura personale del bene che ha ricevuto la suddetta destinazione. Sarei propenso tuttavia a privilegiare un’interpretazione meno rigida di quella proposta dall’autore, in quanto ritengo che il divieto di ingresso in comunione dei beni di uso personale o professionale, enunciato dalla norma, riguardi la categoria nel suo insieme ma non anche singoli beni, soprattutto se carenti di univoca caratterizzazione. Peraltro in numerosi ordinamenti stranieri i beni di uso professionale sono inclusi nella comunione25 e tutt’al più la destinazione può rilevare al momento della divisione, per privilegiarne l’inclusione nella quota spettante al coniuge che l’utilizza. Soluzione di certo più flessibile tenuto anche conto che detta esclusione costituisce un formidabile escamotage per sottrarre beni alla comunione, essendo possibile acquistarli con beni comuni di residuo rispetto al cui utilizzo l’altro coniuge può difficilmente interloquire o esigere un contraccambio26 sia pur in chiave di ingiustificato arricchimento (salvo il caso di impiego non autorizzato di denaro comune). Riguardo alla partecipazione all’atto da parte del coniuge dell’acquirente, Segni ne esclude la necessità da un punto di vista sostanziale, esigendola più che altro a fini pubbli-

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Condivide la nostra opinione M. Paladini, Commentario del codice civile, diretto da Gabrielli, (artt. 74-230), Milano2, 2018, 1365. V. in tal senso ad es., M. Paladini, op. cit., 1360 ss. In Francia tale dichiarazione è considerata necessaria per potere opporre l’acquisto nei confronti dei terzi mentre per l’esclusione nei rapporti interni è sufficiente un accordo dei coniugi anche successivo all’acquisto (art. 1434 c.c.). 25 Così ad es. in Portogallo (il quale prevede l’ingresso in comunione persino dei beni di uso personale), nella Repubblica Ceca, in Svizzera nella quale l’esclusione dalla comunione dei beni professionali può realizzarsi mediante apposita pattuizione. 26 La cui possibile liquidazione è prevista invece dall’art. 1404, 2° comma code civil francese. 24

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citari, cioè onde renderne possibile l’immediata trascrizione come bene personale, alla cui mancanza può comunque successivamente ovviarsi mediante un giudizio di accertamento. Tale sottolineatura è certamente meritevole di considerazione mentre non del tutto condivisibili mi sembrano le soluzioni proposte dalla giurisprudenza. Ritengo invece più soddisfacente prospettare il seguente riassuntivo, delle diverse situazioni ipotizzabili: – l’intervento del coniuge dell’acquirente non risulta indispensabile per l’esclusione del bene dalla comunione perché, ove ne ricorrano i presupposti, non può essere impedito all’altro l’esercizio del diritto di fare propri i beni che gli spettano. È decisamente da scartare pertanto la soluzione giurisprudenziale che ritiene indispensabile a fini sostanziali la partecipazione all’atto dell’altro coniuge; la sua mancanza o il dissenso manifestato, assumono rilevanza principalmente sotto il profilo pubblicitario. Il notaio pertanto non può rifiutarsi di rogare l’atto di trasferimento ma deve menzionare quanto accaduto in sua presenza, mentre la trascrizione a favore dell’acquirente, non configurandosi i presupposti richiesti dall’art. 179, 2° comma, per l’acquisto personale, dovrà intanto considerarsi in comunione legale, fatto salvo poi un successivo giudizio di accertamento della sua effettiva appartenenza al patrimonio personale, su iniziativa del coniuge interessato a farla valere senza limiti di prova, col conseguente adeguamento sotto il profilo pubblicitario. Vi è chi ha osservato in contrario che se la partecipazione dell’altro coniuge all’atto non si considera necessaria non dovrebbe incidere neppure sotto il profilo pubblicitario, impedendo l’immediata trascrizione dell’acquisto come personale27, ma se così fosse l’intervento richiesto dall’art. 179, 2° comma si rivelerebbe del tutto inutile in quanto priverebbe di qualsiasi tutela preventiva il coniuge dell’acquirente in contrasto con la funzione su cui si fonda alla luce della ratio normativa, consentendo all’unico intestatario di disporre validamente del bene ed ai suoi creditori di pignorarlo anche se i presupposti per l’acquisto personale risultassero successivamente infondati. – Ai fini pubblicitari e sostanziali, il 2° comma dell’art. 179 sembra accontentarsi della presenza dell’altro coniuge per consentire l’acquisto personale; infatti se ratio della norma è quella di metterlo in condizione di fare valere ragioni contrarie mi sembra che il fine venga realizzato anche dalla mera sua presenza, senza sollevare obiezioni od anche in seguito ad una generica dichiarazione con la quale egli non si opponga all’acquisto personale, non essendo in condizione di compiere una valutazione contraria (ad es., circa la provenienza delle risorse utilizzate nell’acquisto per surrogazione o la sussistenza di un’esigenza nell’impiego personale o professionale). Fermo restando che in un successivo giudizio egli potrà contestare l’esistenza dei presupposti che, apparentemente, lo legittimavano; a lui spetterà, secondo le regole generali, provare la loro assenza.

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G. Oberto, La comunione legale tra coniugi, I, Milano, 2010, 1088 ss.

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– È possibile infine che il coniuge intervenuto renda una dichiarazione nella quale affermi la presenza dei presupposti per l’acquisto personale. Essa costituisce negozio di accertamento il cui fondamento potrà essere posto in discussione in un secondo momento dimostrandone la non rispondenza alla realtà, senza peraltro che si applichino i limiti previsti per la confessione, in quanto la sua dichiarazione non può considerarsi tale e non solo nel caso di acquisti di beni ad uso personale o professionale. La dichiarazione costituisce negozio unilaterale di mero accertamento anche in queste due ipotesi, in quanto il coniuge tende ad affermare che l’esclusione dell’acquisto dalla comunione legale risulta conforme all’indirizzo di vita concordato, fatta salva ovviamente la successiva verifica circa l’effettivo impiego del bene al suo scopo. La medesima natura si riscontra anche nel caso di acquisti ai sensi della lettera f); come è stato puntualmente osservato da autorevole dottrina, infatti, l’impiego di risorse personali da parte dell’acquirente generalmente “non è un fatto sfavorevole che rientra nella diretta esperienza del coniuge estraneo all’acquisto”28 e non può quindi considerarsi confessione, con i conseguenti limiti di prova volti a contestarne il fondamento. – L’accertamento della natura personale o comune del bene in difformità di quanto precedentemente stabilito al momento dell’acquisto costituisce titolo per l’adeguamento della sua titolarità anche dal punto di vista pubblicitario. Resteranno salvi tuttavia gli acquisti compiuti dai terzi, medio tempore, ove trascritti prima della domanda di accertamento29 come beni personali invece che come beni comuni. Un ulteriore importante passaggio nella trattazione di Segni è dedicato al mutamento successivo intervenuto nel tempo che comporti la cessazione nell’utilizzazione del bene (ai sensi delle lett. c) e d) dell’art. 279). Secondo l’autore il bene entra nella comunione, non sussistendo più le ragioni della sua esclusione. Soluzione che ritengo condivisibile anche per le ragioni in precedenza rilevate circa la potenzialità che dette categorie di beni hanno di sottrarre risorse alla comunione: tenuto conto che il denaro impiegato è destinato in futuro a cadere in comunione in quanto proveniente dall’attività di lavoro o costituisce frutto di bene personale, a maggior ragione se proviene dalla comunione e l’altro coniuge ne abbia autorizzato l’impiego, non sussistendo in entrambe le ipotesi alcun obbligo di rimborso. Questa mi sembra dunque la soluzione più appropriata per risolvere il conflitto di interessi fra i coniugi pur nella consapevolezza delle numerose difficoltà ed obiezioni a cui essa si espone30 soprattutto, ma non solo, riguardo ai rapporti nei confronti dei terzi. Si osserva infatti che la legge non prevede nulla di simile; che non sussiste ragione per im-

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C.M. Bianca, Diritto civile. 2.1. La famiglia, Milano6, 2017, 105. Cass. S.U., 28 ottobre 2009, n. 22755, cìt. 30 Per citaz. in proposito v. T. Auletta, La comunione legale: oggetto, in Tratt. di diritto privato, diretto da Bessone, Torino, 2011, III, nota 973. Per citaz. di autori orientati in senso conforme alla tesi sostenuta, v. nota 967. 29

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pedirne la vendita al fine di acquistare altro bene per surrogazione, impiegandone il ricavato; si evidenzia inoltre la difficoltà di stabilire quando il bene ha cessato definitivamente dal suo impiego rispetto al caso in cui l’uso è solo momentaneamente sospeso; essendo incerte le modalità da adottare mediante le quali rendere edotti i terzi di tale cessazione. Rilievi non privi di fondamento ma che non mi sembrano insuperabili, pur non essendo possibile argomentare al riguardo per i limiti del presente contributo. Mi limito a rilevare che se ratio dell’esclusione del bene dalla comunione è la tutela della libertà personale o professionale tale finalità viene meno ove il bene abbia cessato dalla sua destinazione senza che risponda ad un apprezzabile interesse l’incremento del patrimonio personale. Un’ultima considerazione in tema di rifiuto del coacquisto. Anche su questo punto la giurisprudenza della Cassazione non è unanime, essendosi espressa a volte in senso favorevole a volte in senso contrario. In un primo tempo infatti ha prevalso un indirizzo più libertario che ne sosteneva l’ammissibilità31 sulla base del noto principio nemo invitus locupletari potest e dunque circa l’ammissibilità di un accordo, da inquadrare nel legittimo esercizio dell’autonomia privata, col quale i coniugi convengono la possibilità di un acquisto personale mediante atto pubblico, quantunque non ricorra nessuna delle cause previste dall’art. 179 ed ugualmente è a dirsi riguardo ad una dichiarazione unilaterale del coniuge non acquirente di far propria la contitolarità del bene acquistato dall’altro. Nel 2003 la Cassazione32 ha notoriamente mutato indirizzo, adducendo una serie di ragioni tutt’altro che convincenti: a) la comunione legale assolverebbe ad una funzione di natura pubblicistica, quindi inderogabile, essendo volta al soddisfacimento dei bisogni della famiglia; b) si altererebbe altrimenti il principio (inderogabile) di parità delle quote, sancito dall’art. 210 cc.; c) poiché i coniugi hanno scelto la comunione legale come regime familiare devono accettarne tutte le implicazioni, ivi compresa quella che disciplina l’acquisto dei beni; d) la legge non contempla il rifiuto del coacquisto; e) la dichiarazione del coniuge intervenuto non ha natura negoziale. Il contrasto sorto nell’ambito della Cassazione ha portato33 ad una pronunzia delle Sezioni Unite (28.10.2009 n. 22755) le quali si sono espresse in senso negativo all’ammissibilità del rifiuto, negando la natura negoziale della dichiarazione del coniuge non acquirente, pur precisando che la facoltà di esercitarlo potrebbe essere riconosciuta ai coniugi per ragioni sistematiche, indipendentemente da un’espressa previsione legislativa34. Come anticipato nessuna delle ragioni addotte a fondamento della tesi negativa mi sembra così convincente da legittimare una limitazione tanto drastica dell’autonomia privata, prevalentemente fondata su una presunta funzione pubblicistica della comunione legale del tutto priva di riscontri. Infatti la derogabilità del regime costituisce la negazione

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Cass., 2 giugno 1989, n. 2688, in Giust. civ., 1989, I, 1997. Cass., 27 febbraio 2003, n. 2954, cit. 33 In seguito a rinvio compiuto da Cass., 30 dicembre 2008, n. 30416, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 714. 34 Analogamente, Cass., 24 ottobre 2018, n. 26981, cit. 32

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della presunta funzione pubblicistica, così come il principio di parità delle quote tende ad evitare che i coniugi possano adottare regole programmatiche volte a favorire un coniuge nei confronti dell’altro (es., che un coniuge abbia diritto ad una quota maggiore di beni rispetto all’altro oppure che partecipi alla divisione in misura maggiore) e non ad impedire che l’altro coniuge sia costretto ad un acquisto a cui non ha interesse o riguardo al quale sussistano comunque, a suo parere, ragioni per favorire il coniuge acquirente. C’è da aggiungere che negare l’ammissibilità del rifiuto, per tutelare più efficacemente il coniuge che considerasse esercitarlo, rischierebbe di ritorcersi paradossalmente nei confronti di colui che intendesse fondamentale mantenersi aperta tale possibilità inducendolo a sfuggire del tutto alla comunione legale, optando per la separazione dei beni (sia pure dovendo ottenere il consenso dell’altro coniuge). Peraltro il medesimo obiettivo che si intende rigorosamente impedire potrebbe per lo più ugualmente raggiungersi mediante uno scioglimento parziale della comunione e rinuncia successiva a favore dell’altro alla propria quota di comunione sul bene che non intende conseguire. In tema di composizione del patrimonio comune molto discutibili sono anche altre soluzioni, pur consolidate nelle pronunce della Cassazione (che mi limito solamente a ricordare) volte ad introdurre limitazioni non espressamente previste dalla legge in danno del coniuge non acquirente: in particolare quella che esclude dalla comunione l’immobile, non adibito ad uso personale, costruito sul terreno di esclusiva proprietà di un coniuge35, solo a considerare che in tal modo gli si consente incongruamente di accrescere il proprio patrimonio utilizzando risorse che sarebbero destinate a cadere in comunione (quando la costruzione viene realizzata con l’impiego di proventi dell’attività separata o dei frutti di beni personali) senza che nella maggior parte dei casi trovi alcun fondamento un eventuale diritto di credito al rimborso di alcunché a favore dell’altro (fatto salvo il caso di utilizzo di risorse della comunione). Analogamente è a dirsi per l’esclusione dalla comunione dei diritti di credito (in particolare del preliminare d’acquisto stipulato separatamente36), soluzione generale solo in parte attenuata dal diverso più recente orientamento il quale ammette l’ingresso in comunione dei c.d. “investimenti” (titoli obbligazionari37, fondi di investimento38e simili), mediante un’acrobazia interpretativa fondata sul fatto che i medesimi si traducono in una res, escludendo nel contempo che essi possono rappresentare una forma di accantonamento del denaro per la ragione che non viene garantita la restituzione del capitale impiegato39. In

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V. da ultimo Cass., 29 ottobre 2018, n. 27412. V. ex pluribus, Cass., 3 giugno 2016, n. 11504, in Notariato 2016, 363; Cass., 24 gennaio 2008, n. 1548, in Contratti, 2008, 1014; Cass., 14 novembre 2003, n. 17216, in Vita not., 2004, 279; Cass., 4 maggio 2003, n. 3185, in Giust. civ., 2004, I, 2832; Cass., 22 settembre 2000, n. 12554; Cass., 18 febbraio 1999, n. 1363, in Vita not., 2000, 162; Cass., 27 gennaio 1995, n. 987, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 869; Cass., 9 luglio 1994, n. 6493, in Giust. civ., 1995, I, 455; Cass., 11 settembre 1991, n. 9513, in Dir. e giur., 1992, 925. 37 Cass., 9 ottobre 2007, n. 21098, cit.; Cass., 15 gennaio 2009, n. 799, in Fam. e dir., 2009, 571. 38 Cass., 15 giugno 2012, n. 9845, cit. 39 Cass., 6 marzo 2008, n. 6120, in Fam. e dir., 2008, 876 nonché le sentenze citate alla nota 4.

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realtà i titoli di credito, ivi compreso il preliminare d’acquisto comportano un incremento patrimoniale che va riconosciuto anche all’altro coniuge ove non sussistano i presupposti per un acquisto personale. Ed anche l’esclusione dalla comunione immediata dei proventi dell’attività di lavoro – quantunque comprensibile ma non in linea con quanto stabilito dalla maggior parte degli ordinamenti europei40 – pone problemi riguardo all’individuazione dell’impiego che può considerarsi “consumo” e gli effetti che ne derivano, se avvenuto in frode all’altro coniuge41.

4. Problematiche relative all’amministrazione. Con riferimento alle problematiche relative all’amministrazione del patrimonio comune costituisce approdo, ormai prevalentemente condiviso, che le norme ad essa dedicate (artt. 180-185 c.c.) trovino applicazione solamente riguardo alla gestione di beni già comuni o per l’assunzione di obbligazioni sorte a tale fine, nonché per quelle volte al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, non anche delle obbligazioni che sorgono per acquistare i beni destinati a rientrarvi42. In tal senso depone il dettato dell’art. 177 c.c. il quale considera comuni anche i beni acquistati separatamente da ciascun coniuge43 senza che l’altro debba prestare alcun consenso o tantomeno concorrere alla conclusione del contratto di acquisto, quantunque il bene sia di rilevante valore, eccezion fatta naturalmente per le ipotesi in cui venga impiegato denaro comune (in quanto in tal caso potrebbe sorgere un obbligo di reintegrazione ove l’acquisto non abbia soddisfatto un bisogno della famiglia44); egli pertanto non dovrebbe essere coinvolto generalmente nella responsabilità debitoria45. Controversa risulta invece l’interpretazione del combinato disposto degli artt. 180 e 184 c.c. con riferimento all’alienazione di beni comuni. Ed in particolare se essa possa considerarsi, tenuto conto dell’incidenza sul complesso patrimoniale, atto di ordinaria amministrazione o invece, alla luce dei criteri riguardanti la comunione ordinaria, integri comunque un atto di straordinaria amministrazione. A mio avviso è da privilegiarsi la prima soluzione, onde può rientrare nell’ordinaria amministrazione l’alienazione di un bene di modesto va-

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Ad es., l’art. 1347 del codigo civil spagnolo stabilisce che «son gananciales: 1) los obtenido por el trabajo o la industria de qualquiera del los coniuges». Analoga soluzione è previste dall’art. 1405 c.c. belga. 41 L’art. 1403 del code civil francese prevede ad es. che vengano conteggiati anche a favore dell’altro coniuge i frutti consumati fraudolentemente o non percepiti per negligenza. 42 Soluzione similare è adottata dal codigo civil spagnolo per l’acquisto separato senza il consenso dell’altro coniuge della cui obbligazione risponde personalmente l’acquirente (art. 1370) mentre in presenza di detto consenso ne risponde la comunione (art. 1362, n. 2). 43 Analogamente si esprime l’art. 1401 del code civil francese. 44 Diversamente in Polonia per l’acquisto di immobili occorre il consenso di entrambi i coniugi. 45 Fatto salvo il caso in cui il bene abbia soddisfatto un bisogno della famiglia.

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lore in rapporto all’assetto complessivo dell’intero patrimonio sempre che il bene non sia impiegato per soddisfare bisogni rilevanti della famiglia. In linea di principio tale criterio si applicherà solo all’alienazione di beni mobili (ma non ad es., alle suppellettili domestiche46 anche se non di elevato valore) o di mobili registrati ormai obsoleti (la vecchia auto da rottamare) e più difficilmente ad un immobile (ma potrebbe rientrarvi la vendita di un piccolo appezzamento di terreno improduttivo). Il criterio relativo alla comunione ordinaria, pur rafforzando la posizione dell’altro coniuge comproprietario, rischierebbe altrimenti col risultare troppo rigido, limitando eccessivamente l’autonomia dei coniugi. Se si conviene con tale soluzione, l’altro coniuge non potrà esercitare i rimedi previsti per l’alienazione abusiva del bene, non configurandosi tale, restando limitati all’atto di straordinaria amministrazione47. Maggior cautela nella configurazione dell’atto potrebbe tutt’al più richiedersi per gli atti a titolo gratuito. Peraltro questa è la soluzione adottata da numerosi ordinamenti stranieri i quali richiedono l’accordo dei coniugi solo per gli atti di disposizione a titolo gratuito48 e per le alienazioni di immobili49, di mobili di valore50 o comunque sottoposti a forme pubblicitarie51. La norma che ha sollevato maggiori discussioni è indubbiamente l’art. 184, con riferimento alle alienazioni che integrano un atto di straordinaria amministrazione in quanto, come ricordato, sembra discostarsi dalla regola generale di inefficacia del medesimo, da annoverare nel quadro delle regole che diversificano la comunione legale da quella ordinaria. Ove si condivida tale assunto – non del tutto pacifico – occorre comprenderne il fondamento per verificarne la ragionevolezza. In mancanza del consenso di entrambi i coniugi, secondo l’opinione prevalente, l’illegittimità dell’alienazione di beni mobili, nei rapporti interni, è fuori discussione52, tanto è vero che il disponente è tenuto a reintegrare il patrimonio ove il prezzo eventualmente ottenuto risulti inferiore al suo valore ed a risarcire il danno patito dall’altro coniuge. Controverso è il fondamento della responsabilità: se essa configuri natura contrattuale, per violazione di una specifica obbligazione53 derivante dal combinato disposto degli artt. 180

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Soluzione adottata per tali beni ad es. dall’ordinamento della Repubblica Ceca. Analogamente, l’art. 227 del codice civile svizzero consente ai coniugi di disporre dei beni comuni ove l’atto si configuri di ordinaria amministrazione. 48 Li considera nulli, ad es., l’ordinamento spagnolo (art. 1378) eccezion fatta per le liberalità d’uso. Un divieto è previsto anche dall’ordinamento francese (art. 1422 c.c.). 49 In Svezia ed in Polonia il divieto di alienazione o di introdurre vincoli da parte di un solo coniuge riguarda solo gli immobili. Ma ad es., in Olanda il limite riguarda solo l’alienazione della casa familiare. In Francia anche i mobili la cui alienazione è sottoposta a pubblicità (art. 1424). 50 Soluzione adottata ad es., dall’ordinamento della Slovacchia. 51 V. art. 1384 del codigo civil il quale considera validi gli atti di disposizione di denaro ma anche di titulos valores conseguiti dal coniuge al quale sono intestati. In Romania ed in Lussemburgo ciascuno dei coniugi non può disporre dei beni mobili sottoposti a pubblicità. 52 Sembra non considerarla tale invece Cass., 6 marzo 2019, n. 6459, cit., la quale afferma singolarmente che «Per ciò che concerne, invece, gli atti di disposizione su beni mobili, l’art. 184 c.c., comma 3, non prevede alcun consenso necessario». 53 Oberto, op. cit., 1361 ed ivi ulteriori indicazioni bibliografiche. 47

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e 184, o extracontrattuale come sostenuto da autorevole dottrina54, in seguito a illegittima lesione dell’altrui diritto di proprietà. Discussa è altresì la validità e l’efficacia traslativa dell’atto55 con la conseguente inopponibilità della sua illegittimità nei confronti dei terzi56. Il testo della norma, invero, non ne subordina la validità alla buona fede dell’acquirente57 o alla consegna del bene ma – pur nel silenzio normativo – a parere di altri, tali presupposti sarebbero necessari sulla base di una interpretazione sistematica58, onde l’efficacia dell’acquisto sarebbe subordinata alla presenza dei requisiti posti dall’art. 1153 c.c. La giurisprudenza è fermamente orientata per l’incondizionata validità dell’atto di acquisto, in virtù della criticata ricostruzione della proprietà solidale che consentirebbe di non considerare l’acquisto a non domino. Soluzione, ampiamente condivisa in dottrina, anche se con motivazioni diverse, onde l’irrilevanza dei requisiti previsti dall’art. 1153 trova fondamento in un accentuato favore verso la libertà di circolazione dei beni per non gravare i terzi di qualsivoglia obbligo di controllo. L’opzione normativa desumibile dal mancato richiamo all’art. 1153 tende verosimilmente a considerare irrilevante l’ignoranza, quantunque cagionata da colpa grave, per non avere l’acquirente compiuti controlli più approfonditi circa l’appartenenza del bene alla comunione e non al patrimonio personale o riguardo alla natura straordinaria dell’atto nonché alla contrarietà dell’altro coniuge al compimento del medesimo. Anche una deroga agli effetti derivanti dalla mancata consegna del bene, quantunque anomala, non dovrebbe dunque incidere sull’effetto traslativo. Pur tuttavia il favore riservato all’acquirente rende poco comprensibile la ragione per la quale l’atto produca effetti nelle ipotesi in cui l’altro coniuge sia in grado di dimostrare la sicura mala fede dell’acquirente circa l’illegittima alienazione, non ricorrendo allora alcun motivo per attivare la tutela59. Ma occorre prendere atto che il diritto effettivo è orientato in senso diverso, in quanto la costante giurisprudenza si esprime a favore della salvaguardia del trasferimento. A maggior ragione il problema interpretativo si pone riguardo all’illegittima alienazione di beni immobili o mobili registrati, da parte di un solo coniuge, atti che vengono prevalentemente considerati invalidi60 ma efficaci (annullabili), onde anche in questa ipotesi

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C.M. Bianca, Gli atti di straordinaria amministrazione, in AA.VV., La comunione legale (a cura del medesimo), Padova, 1989, 620 ss.; M. Segni, op. cit., 645; A. Natucci, Gli atti di amministrazione straordinaria del coniuge in regime di comunione legale, in Quadrimestre, 1988, 132. 55 In senso contrario ad es., P. Schlesinger, Commento all’art. 184, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo, Trabucchi, Padova, 1977, I, 1, 427; C.M. Bianca, op. ult. cit., 628 ss. 56 P. Schlesinger, op. loc. cit., esclude che la regola possa trovare applicazione per i titoli di credito di cui abbia unilateralmente disposto il non intestatario. 57 P. Schlesinger, op. loc. cit. 58 C.M. Bianca, op. ult. cit., 628 ss. Secondo P. Schlesinger, op. loc. cit., risulta necessaria la consegna del bene ma non la buona fede. 59 Analogamente l’art. 1391 del codigo civil stabilisce che quando il coniuge ha compiuto un atto in frode all’altro, «si el adquirente hubiere procedido de mala fe, el acto serà rescindibile». 60 Sorprende pertanto la conclusione a cui perviene Cass., 2 febbraio 1995, n. 1252, in Fam. e dir., 1995, 235, con nota di Uda, nella quale si considerano validi gli atti compiuti in violazione dell’art. 184, ma annullabili.

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l’altro coniuge verrebbe tutelato in maniera più modesta rispetto all’inefficacia dell’atto, a tutto vantaggio dell’acquirente, anche in mala fede, il quale abbia acquistato almeno un anno prima dalla conoscenza da parte dell’altro coniuge dell’atto di alienazione o dalla trascrizione del medesimo o, in ultima istanza, dallo scioglimento della comunione. In assenza di indicazioni al riguardo da parte della relazione introduttiva alla riforma del 1975 è possibile avanzare solo supposizioni sulle ragioni della scelta. L’opinione più accreditata la individua nella complessa disciplina pubblicitaria, articolata sul noto doppio controllo sui registri immobiliari e quelli dello stato civile, il quale potrebbe risultare particolarmente oneroso per i terzi, di qui il contrappeso dell’annullabilità, piuttosto che dell’inefficacia dell’atto illegittimo. Occorre aggiungere che anche altri ordinamenti europei a noi vicini adottano una soluzione analoga: in Francia (art. 1427) ed in Belgio (art. 1423) ad esempio, è prevista la medesima sanzione e l’azione deve essere esercitata entro due anni dal compimento dell’atto o dallo scioglimento della comunione. In Italia la tutela del coniuge non disponente è resa però più precaria non solo dalla riduzione del termine di prescrizione dell’azione ad un solo anno ma soprattutto dal decorso anche dal momento della trascrizione dell’atto da parte dell’avente causa (non presente negli altri ordinamenti menzionati). Per evitare l’effetto preclusivo dell’azione la persona coniugata di media diligenza dovrebbe dunque controllare annualmente che non risultino trascritti atti di alienazione sui beni immobili e mobili registrati della comunione, con aggravio difficilmente sostenibile. Anche relativamente ai beni in esame si registrano tentativi volti a limitare gli effetti dell’atto illegittimo stabiliti dall’art. 184, per privilegiarne a volte l’inefficacia. Vi è chi ritiene ad esempio che entrambe le misure siano applicabili e rimesse alla scelta del coniuge pretermesso, in quanto si muovono su piani distinti61 e chi sostiene che l’annullabilità dovrebbe applicarsi solo all’alienazione effettuata dall’intestatario del bene62; ed ancora da altri si è prospettata l’applicazione della norma solo quando il coniuge agisca in nome proprio e non in nome della comunione63. Interpretazioni riduttive64 che, però, non hanno incontrato il favore della dottrina maggioritaria e della giurisprudenza65. In particolare, riguardo alla fondatezza del diverso trattamento riservato all’alienazione da parte dell’intestatario, si è sostenuto in senso critico che l’acquirente è comunque tenuto a non

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C.M. Bianca, op. ult. cit., 606 ss. F. Corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, I, Milano, 1979, 146 ss; R. Sacco, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di Carraro, Oppo, Trabucchi, I, 1, Padova, 1977, 335 s. 63 G. Cian e A. Villani, La comunione dei beni tra coniugi, cit., 361 s. Distinzione che, a prescindere dalla fondatezza, ha un impatto sul piano pratico di scarsa rilevanza perché difficilmente il coniuge che intende compiere un atto di disposizione illegittimo dichiara di agire in rappresentanza dell’altro in assenza di poteri. 64 Fra le quali va menzionata anche quella di A. Natucci, op. cit., 144 s. il quale ritiene che la norma trovi fondamento in un potere rappresentativo attribuito dalla legge a ciascun coniuge, soluzione che costringe l’autore a relegare gli effetti dell’art. 180 solo sul piano interno. Poco condivisibile è anche la ragione che ne costituisce il fondamento: i beni facenti parte della comunione «non sono agevolmente riconoscibili all’esterno e distinguibili dai beni personali». Se essa ha qualche fondamento per i beni mobili certamente ne è carente con riferimento agli immobili ed ai mobili registrati. 65 V. ad es., in senso contrario Cass., 2 febbraio 1995, n. 1252, cit. 62

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Natura, acquisti e amministrazione della comunione legale: diritto effettivo e ragioni di auspicabili mutamenti

obliterare le peculiarità caratterizzanti la disciplina della pubblicità in materia, onde è sempre richiesto il doppio controllo (registri immobiliari-registri dello stato civile) da parte dell’acquirente e dunque non potrebbe usarsi maggiore indulgenza nei suoi riguardi per il fatto che il bene è intestato solo a suo nome. In questa prospettiva si esclude anche che il sub acquirente il quale abbia conseguito il bene in base ad un successivo atto di alienazione possa essere giustificato, e dunque considerato in buona fede, per non avere adottato i controlli pubblicitari in maniera adeguata, salvando il proprio acquisto in base al dettato dell’art. 1445 c.c.66. Ma nonostante la persuasività di tali rilievi occorre prendere atto anche in questo caso della soluzione – che costituisce diritto effettivo – secondo la quale l’atto illegittimo incontra come unica sanzione l’annullabilità, a prescindere dalla buona o mala fede dell’acquirente; maggiori dubbi possono sorgere invece riguardo alla mala fede del sub acquirente. L’adozione della disciplina così concepita solleva comunque non poche perplessità perché la pesante penalizzazione del coniuge che rischia la perdita del bene non giustifica la deroga alla sanzione generale dell’inefficacia dell’atto, per la gravosità dei controlli pubblicitari anche perché essi sono resi ormai più agevoli dalle modifiche intervenute in materia, controllo di cui peraltro è per lo più gravato un professionista (il notaio), almeno quando (come sovente accade) il trasferimento degli immobili viene stipulato mediante atto pubblico. Ancor meno convincente è invocare una presunzione di consenso all’atto da parte del coniuge non stipulante o la difficoltà di verificarne l’esistenza. In presenza di atti di disposizione di non modesto valore quali sono normalmente le alienazioni di immobili o mobili registrati il consenso dell’altro coniuge andrebbe adeguatamente verificato e formalizzato, onde comportamenti non univoci tenuti precedentemente alla conclusione del contratto da parte del coniuge il cui consenso non è stato prestato non possono giustificare, a mio parere, la deroga all’inefficacia del trasferimento. Per i beni in questione non sussistono peraltro le medesime esigenze di celerità della circolazione riguardante i beni mobili non registrati. La menzionata obbligazione risarcitoria a carico del disponente ed, eventualmente, anche del terzo di mala fede non sempre costituiscono infatti soluzioni adeguate a tutelare efficacemente l’interesse leso. Dubito tuttavia che il razionale adeguamento della disciplina possa essere affidata all’opera del l’interprete e che spetti dunque al legislatore intervenire al riguardo con misure di protezione più adeguate a favore del coniuge pretermesso. Nel caso in cui non si giunga, per le diverse ragioni possibili, all’annullamento del contratto il coniuge pretermesso ha diritto – come riguardo ai beni mobili – alla reintegrazione del patrimonio ed al risarcimento del danno. Ad esso ha diritto anche l’acqui-

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M. Segni, op. cit., 632 ss.

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Tommaso Auletta

rente di buona fede sulla base delle regole sulla responsabilità precontrattuale. Discusso è se possa considerarsi tale colui che abbia omesso i controlli pubblicitari richiesti. La soluzione positiva viene da alcuno fondata sull’esigenza di valutare con clemenza detta omissione nei confronti di chi è già sanzionato con l’annullabilità del contratto e comunque con minor rigore rispetto all’applicazione della regola sull’invalidità, contrapponendo la marcata scorrettezza di comportamento del coniuge stipulante per non avere avvertito l’altro contraente della causa di invalidità dell’atto piuttosto che giudicare colposo il comportamento di quest’ultimo per avere confidato sulla validità del medesimo67. Soluzione che può suscitare qualche dubbio. Certa è invece la responsabilità del coniuge alienante nei confronti dell’altro contraente in presenza di comportamenti che abbiano indotto l’altro a confidare sul consenso del coniuge pretermesso (ad es., in quanto si prestino ad equivoci o addirittura se l’alienante sia ricorso a documenti falsi dai quali venga fatto risultare il consenso dell’altro coniuge). Opportunamente la dottrina ha sottolineato che l’annullabilità dell’atto, in astratto più vantaggiosa per l’altro contraente rispetto all’inefficacia, possa non risultare tale in concreto, ove questi non abbia adempiuto medio tempore in tutto o in parte alla propria prestazione (ipotesi ricorrente per lo più nel caso di preliminare riguardante un bene della comunione); si pone infatti il problema se gli sia legittimamente consentito rifiutare l’adempimento, al quale venga sollecitato dall’altro contraente, fin quando non intervenga la convalida dell’atto o si compia il termine prescrizionale; oppure, al contrario, sia comunque tenuto all’adempimento, essendo avvenuto il trasferimento del diritto. La soluzione che legittima il rifiuto può fondarsi – come sostenuto da Segni68 – sul richiamo ai principi di buona fede previsti dagli artt. 1175 e 1375 in quanto non risponde a correttezza la richiesta del coniuge stipulante di esigere la prestazione non essendo in grado, a sua volta, di adempiere esattamente alla propria; ma rimedio ancor più specifico costituisce l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 – da altri prospettata69 – che può opporsi, in mancanza di convalida, per il periodo in cui l’azione di annullamento è ancora proponibile proprio perché l’adempimento deve considerarsi inesatto. In conclusione ritengo, per le ragioni esposte, che la disciplina sugli atti abusivi di amministrazione andrebbe in certa misura rivista per assicurare una maggior tutela del coniuge pretermesso. Revisione che sarebbe opportuno si estendesse all’intero impianto del regime legale, per renderlo più efficiente, più completo e meno incerto in alcuni passaggi testuali, per ridimensionarne il crescente abbandono, a mio parere tutt’altro che auspicabile.

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G. Oberto, op. cit., 1356 ss. Op. cit., 639 ss. 69 Per tale soluzione propende G.M. Uda, Comunione legale e regime degli atti dispositivi compiuti da uno solo dei coniugi, in Fam. e dir., 1995, 235 escludendo il ricorso agli artt. 1375 e 1175 in quanto l’altro coniuge non ha stipulato alcun contratto o assunto alcuna obbligazione. Ma in realtà non è verso l’altro coniuge che egli deve reagire bensì verso lo stipulante che pretende l’adempimento; in senso dubitativo circa il ricorso all’eccezione d’inadempimento, G. Oberto, op. cit., 1326. 68

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La regolamentazione delle unioni non matrimoniali in Spagna Sommario:

1. Introduzione. – 2. La regolamentazione delle unioni non matrimoniali nell’ordinamento spagnolo. – 2.1. Le unioni non matrimoniali nei territori forali. – 2.2. Le unioni non matrimoniali nei territori autonomi non forali. – 3. Peculiarità del regime giuridico. – 3.1. La costituzione della coppia convivente non unita in matrimonio. – 3.2. Le conseguenze della crisi della coppia convivente non unita in matrimonio.

The phenomenon of the non-marriage unions in Spain is characterized by the absence of a state law that globally addresses the co-habitants ensemble of rights and obligations; although there are full recognition statements at determined law relations. Simultaneously, there are numerous laws originated from the Autonomous Communities, which have been enacted in order to offer a coverage of the social nature rights for those unions that result constituted according to the requirements established by the respective norms. The lack of the figure’s contemplation damages the adoption of solutions on the cases of couple break, as regards the matters of economical nature, in case of a pact absence between the parties, without resulting applicable the marriage’s normative.

1. Introduzione. L’approvazione in Italia della Legge 20 maggio 2016, n. 76, che oltre alla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, ha inteso disciplinare il fenomeno delle coppie conviventi non unite in matrimonio, indipendentemente dal sesso dei componenti, ha suscitato una riflessione proprio sulla figura delle coppie non coniugate (“unioni extramatrimoniali”, “unioni more uxorio”, “coppie di fatto”, “conviventi”, secondo la differente terminologia in uso) in Spagna, paese caratterizzato dall’assenza di una normativa in materia applicabile a tutto il territorio nazionale. Se dovessimo segnalare una prima caratteristica del fenomeno delle coppie non coniugate nell’ordinamento spagnolo, dovremmo constatare l’assenza di una normativa di portata generale che le regoli e disciplini nell’ambito del diritto comune; al tempo stesso,

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però, si individuano molteplici riferimenti in normative settoriali di vario genere, nonché specifiche e numerose leggi che il legislatore autonomo ha emanato, soprattutto negli ultimi anni.

2. La regolamentazione delle unioni non matrimoniali nell’ordinamento spagnolo.

Sebbene in Spagna1 manchi una legislazione di carattere generale, applicabile a tutto il territorio nazionale o almeno ai territori regolati dal diritto comune, questo non significa che la realtà delle unioni non matrimoniali sia ignorata sia dalla società sia dal diritto. La mancanza di ogni riferimento al fenomeno delle unioni non matrimoniali nel testo costituzionale del 1978, a differenza di ciò che accade per le coppie unite in matrimonio (art. 32. 1. L’uomo e la donna hanno diritto di contrarre matrimonio con piena eguaglianza giuridica. 2. La legge regolerà le forme di matrimonio, l’età e capacità per contrarlo, i diritti e doveri dei coniugi, le cause di separazione e scioglimento e i suoi effetti), non le lascia prive di copertura costituzionale, trovando tutela nella disposizione dedicata alla protezione della famiglia (art. 39. 1. Lo Stato assicura la protezione sociale, economica e giuridica della famiglia. 2. Lo Stato assicura, altresì, la tutela dei figli, uguali di fronte alla legge indipendentemente dalla loro filiazione, e dalle madri, qualsiasi sia il loro stato civile. La legge consente l’indagine della paternità. 3. I genitori devono fornire assistenza di ogni tipo ai figli avuti dentro o fuori dal matrimonio, durante la minore età e negli altri casi legalmente opportuni. 4. I bambini godono della protezione prevista negli accordi internazionali che tutelano i loro diritti), dato che, come ha dichiarato la Corte costituzionale nella sentenza n. 222/1992, dell’11 dicembre, la famiglia oggetto di protezione non è

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Molto è stato scritto in Spagna sulle unioni extramatrimoniali, soprattutto negli ultimi tempi. Senza pretendere di fornire un elenco esaustivo, possono consultarsi: F.J. Cantero Núñez e A. Legerén-Molina, Las parejas de hecho y de derecho (Régimen jurídico de la convivencia “more uxorio” en España), Navarra, 2018. C. Argudo Gutiérrez, Parejas de hecho: situación actual de su regulación en la legislación mercantil y perspectivas de futuro, Madrid, 2016. J.E. Calderón Beltrán, Uniones de hecho: Efectos patrimoniales, personales, derechos sucesorios y su inscripción registral, Adrus, 2015. Mª E. Serrano Chamorro, Las parejas de hecho y su marco legal, Madrid, 2014. C. De Amunategui Rodríguez y J. Carrascosa Gonzalez, Las Parejas no casadas, in Tratado de Derecho de familia, Vol. 4, E. Yzquierdo Tolsada y M. Cuena Casas (dirs.), Pamplona, 2011. M. Serrano Fernández, Una propuesta de regulación de una ley estatal de parejas de hecho, in ADC, Tomo LXI, fascículo 2, 2008, 543-617. J.I. Alonso Pérez, El reconocimiento de las uniones no matrimoniales en la Unión Europea. Análisis y sinopsis de las leyes autonómicas en vigor, Barcelona, 2007. C. Mesa Marrero, Las uniones de hecho: análisis de las relaciones económicas y sus efectos, Pamplona, 2006. Mª I. Martínez Gómez, Las parejas de hecho, in Revista de estudios jurídicos, económicos y sociales, nº 1, 2003. M.E. Rodríguez Martínez, Legislación autonómica sobre uniones de hecho. Revisión desde la Constitución, Tirant lo Blanch, Valencia, 2003. VVAA, Matrimonio y uniones de hecho, in E.Mª Martínez Gallego (Coord.), Universidad de Salamanca, 2001. F. Cantero Núñez, Uniones de hecho, in Instituciones de Derecho Privado, Vol. 4, Tomo 1, J.F. Delgado de Miguel (coord.), Madrid, 2001. MªC. Corral Gijón, Las uniones de hecho y sus efectos patrimoniales (Parte 1ª: Configuración del fenómeno), in RCDI, nº 662, 2000, 3325-3388; (Parte 2ª: Efectos patrimoniales), in RCDI, nº 664, 2001, 559-622. N. Álvarez Lata, La pareja de hecho: perspectiva jurisprudencial, in Derecho privado y Constitución, nº 12, 1998, 7-68. J.V. Gavidia Sánchez, La unión libre (el marco constitucional y la situación del conviviente supérstite), Valencia, 1995. V. Reina y J.M. Martinell, Las Uniones matrimoniales de hecho, Madrid, 1996. E. Estrada Alonso, Las uniones extramatrimoniales en el Derecho Civil español, Madrid, 1991.

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La regolamentazione delle unioni non matrimoniali in Spagna

unicamente quella che ha la sua origine nel matrimonio, per quanto sia rilevante questa forma di vita familiare nella nostra cultura e società. «Esistono altre forme, unitamente ad essa» – si legge nella sentenza al paragrafo 5 –, «come si addice ad una società pluralista, e ciò impedisce di interpretare in termini così restrittivi una norma come quella contenuta nell’art. 39.1, la cui portata, peraltro, deve essere compresa anche alla luce di ciò che è disposto nei commi 2 e 3 del medesimo articolo». Date le circostanze, non risulta strano che in molte norme di vario genere le unioni non matrimoniali siano equiparate al matrimonio o, più propriamente, gli effetti attribuiti al matrimonio come situazione giuridica generatrice di diritti per i coniugi siano prevedibili anche per coloro che abbiano una mera relazione di convivenza. Ad esempio, la possibilità di subentrare nel contratto di locazione per morte del conduttore estesa anche al convivente superstite, e non unicamente al coniuge del locatario (ex art. 16.1 b della Legge delle Locazioni Urbane, 29/1994, del 24 novembre); il diritto di accedere alla pensione di reversibilità, stabilito a beneficio del convivente (art. 221 della Legge Generale sulla Sicurezza Sociale, approvata con Regio Decreto Legislativo 8/2015, del 30 ottobre), o l’estensione della tutela prevista per le vittime di violenza di genere a quelle donne che hanno subito violenza non solo da parte di chi sia o sia stato coniuge, bensì anche da «chi sia o sia stato legato alle stesse da rapporti affettivi simili, anche in assenza di convivenza», secondo il tenore letterale dell’art. 1.1 della Legge Organica 1/2004, del 28 dicembre, delle Misure di Protezione Integrale contro la Violenza di Genere. Pertanto, il matrimonio non è l’unico vincolo capace di produrre effetti giuridici tra coloro che si uniscono in esso, ma anche l’unione non matrimoniale e, persino, il puro vincolo affettivo sono presi in considerazione dal nostro ordinamento giuridico come modelli dotati di un simile grado di efficacia positiva2. Allo stesso modo, la convivenza non matrimoniale, così come la celebrazione di un nuovo matrimonio, determinano, talvolta, la perdita di diritti per il beneficiario di una specifica prestazione o facoltà. Pensiamo alla perdita del mantenimento, previsto dall’art. 97 del Codice civile (c.c.) nei casi di squilibrio economico a seguito di separazione o divorzio, nell’ipotesi in cui il beneficiario passi a nuove nozze o intraprenda un relazione di convivenza con altra persona analoga a quella coniugale (cfr. art. 101, primo paragrafo, c.c.); oppure, alla perdita del diritto attribuito per testamento da un coniuge all’altro di

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Oltre a quelli citati, si potrebbero segnalare molti altri esempi da cui evincere l’equiparazione dell’unione non matrimoniale a quella matrimoniale: l’adozione da parte di più persone, consentita a coniugi e coppie unite da un rapporto di affettività uguale a quello coniugale (art. 175.4 c.c.); la generazione di figli postumi attraverso l’inseminazione artificiale consentita sia ai mariti sia agli uomini non legati da vincolo matrimoniale (cfr. art. 9.3, Legge 14/2006, del 26 maggio, sulle tecniche di riproduzione umana assistita). In sede penale, oltre ai precetti del Codice penale che prevedono modifiche della responsabilità penale in considerazione della sussitenza di un vincolo matrimoniale o extramatrimoniale tra la vittima e l’autore del reato, degna di rilievo è la norma di cui all’art. 23, secondo cui: «è una circostanza che può attenuare o aggravare la responsabilità, a seconda della natura, dei motivi e degli effetti del reato, il fatto che la parte offesa sia o sia stata coniuge dell’autore del reato o persona che sia o sia stata stabilmente legata al medesimo da analoga relazione di affettività, o essere ascendente, discendente o fratello per natura o adozione dell’autore del reato o del suo coniuge o convivente».

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accrescere il suo patrimonio ereditario destinato ai figli o ai discendenti comuni o di realizzare attribuzioni o conferimenti di beni concreti, per il fatto di essere «passato a nuove nozze o a relazione di fatto analoga… salvo che il testatore avesse disposto diversamente» (art. 831.5 c.c.). Non intendo affermare con ciò che l’ordinamento eguagli o equipari in modo assoluto unioni non matrimoniali e matrimoni, poiché si tratta di relazioni di natura e con tutela giuridica diversa, come ha ricordato la giurisprudenza e avremo modo di osservare in seguito, ma semplicemente desidero sottolineare che le unioni non matrimoniali in Spagna, sebbene manchino di regolamentazione generale, non per questo sono prive di un riconoscimento giuridico quantomeno parziale. È opportuno osservare che in Spagna ci sono stati tentativi di elaborazione di una normativa o regolamentazione statale, risalenti agli anni Novanta del secolo scorso e dovuti alle iniziative (Proposte di Legge) di molti gruppi parlamentari (Socialista, Popular, Izquierda Unida, Coalición canaria, Convergència i Unió y Grupo Parlamentario Mixto, ad esempio3). Nessuno di questi tentativi è andato a buon fine, e sembra difficile che ciò possa verificarsi in un futuro prossimo, anche perché l’emergenza sociale che richiedeva con insistenza una regolamentazione delle unioni omosessuali è stata fronteggiata in gran parte con la riforma introdotta dalla Legge 13/2005, del 1° luglio, che ha modificato il Codice civile sul diritto a contrarre matrimonio4, ammettendo la celebrazione di matri-

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Proposta di Legge con la quale si riconoscono determinati effetti giuridici alle unioni di fatto. (122/0000000046) presentata dal gruppo socialista del Congresso, BOCG, Congresso dei deputati n. B-61-1 del 08/11/1996. Proposta di Legge di misure per l’eguaglianza giuridica delle coppie di fatto (122/00000049) presentata dal gruppo Parlamentare Federale della Sinistra Unita – Iniziativa per la Catalogna, BOCG, Congresso dei deputati n. B-64-1 del 15/11/1996. Proposta di Legge che riconosce alcuni effetti giuridici alle coppie di fatto (122/0000000068) presentata dal Gruppo Socialista al Congresso, BOCG, Congresso dei deputati n. B-87-1 del 10/04/1997. Proposta di legge sulla parità giuridica per le coppie di fatto (122/0000000069) presentata dal Gruppo Parlamentare Federale della Sinistra Unita - Iniziativa per la Catalogna, BOCG, Congresso dei deputati n. B-88-1 del 10/04/1997. Proposta di legge sul riconoscimento degli effetti giuridici alle coppie di fatto stabili/conviventi e la modifica di alcune previsioni del Codice civile, dello Statuto dei Lavoratori, della Legge Generale sulla Sicurezza Sociale, delle Misure per la Riforma della Funzione Pubblica e della Legge dell’imposta sulle Successioni e Donazioni. (122/00000071), presentata dal gruppo Parlamentare di Coalizione delle Canarie, BOCG, Congresso dei deputati n. B-90-1 del 14/04/1997. Proposta di Legge Organica del contratto di unione civile (122/0000000098), presentata dal Gruppo Parlamentare Popolare al Congresso, BOCG, Congresso dei deputati n. B-117-117-1 del 29/09/1997. Progetto di Legge che riconosce alcuni effetti giuridici per le coppie di fatto (122/0000000023) presentata dal Gruppo Parlamentare Socialista, BOCG, Congresso dei deputati n. B-27-1 del 25/04/2000. Proposta di legge di misure per l’eguaglianza giuridica delle coppie di fatto (122/0000000028) presentata dal Gruppo Parlamentare Federale della Sinistra unita, BOCG, Congresso dei deputati n. B-37-1 del 08/05/2000. Proposta di Legge sulle unioni stabili di coppia (122/0000000034) presentata dal Gruppo Parlamentare Catalano (Convergència e Unió), BOCG, Congresso dei Deputati n. B-40-1 del 08/05/2000. Proposta di Legge sulla parità giuridica per le coppie di fatto (122/0000000048) presentata dal Gruppo Parlamentare Misto, BOCG, Congresso dei deputati n. B-58-1 del 29/05/2000. Proposta di Legge sulle unioni stabili di coppia. (122/0000000012), presentata dal Gruppo Parlamentare Catalano (Convergència e Unió), BOCG, Congresso dei deputati n. B-26-1 del 23/04/2004. Proposta di legge che modifica la legge dell’8 giugno 1957, che disciplina il Registro Civile, per l’accesso dell’unione stabile di coppia o coppia di fatto al Registro Civile. (122/0000000024), presentata dal Gruppo Parlamentare dell’Esquerra Republicana (ERC), BOCG, Congresso dei Deputati n. B-38-1 del 23/04/2004. Proposta di legge sull’eguaglianza giuridica per le coppie di fatto (122/000034), presentata dal Gruppo Parlamentare di Sinistra VerdeSinistra Unita- Iniziativa per la Catalogna Verds, BOCG, Congresso dei Deputati num. B-45-1 de 23/04/2004. Proposta di Legge di uguaglianza giuridica per le unioni di fatto (122/000044), presentata dal Gruppo Parlamentare Misto, BOCG. Congresso dei Deputati num. B-55-1 de 23/04/2004. 4 Dichiarata costituzionalmente legittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 98/2012 del 6 novembre 2012.

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moni tra persone dello stesso sesso (cfr. art. 44 c.c.: «L’uomo e la donna hanno il diritto di contrarre matrimonio conformemente alle disposizioni di questo Codice. Il matrimonio avrà gli stessi effetti quando entrambi i contraenti siano dello stesso o di diverso sesso»). Se le coppie omosessuali possono contrarre matrimonio, a parità di condizioni e con gli stessi effetti degli eterosessuali, i loro diritti sono ampiamente riconosciuti e, per trovare la soluzione giuridica ai loro problemi di convivenza, non occorre ricorrere all’unione non matrimoniale, salvo i casi di diniego della celebrazione del matrimonio. Altra ragione, molto influente, che allontana l’ipotesi di una regolamentazione statale a breve termine è l’esistenza di una dettagliata normativa non statale ovvero locale (forale e autonoma) per le coppie non sposate, che garantisce una disciplina ai cittadini, perlomeno, nell’ambito dei rispettivi territori e che ridimensiona la questione dell’assenza di una normativa statale. È utile ricordare che in Spagna esistono territori, regioni o comunità chiamate “forales”, che possiedono competenze in materia civile, nell’ambito di quanto previsto dall’art. 149.1.8º della Costituzione del 1978 (CE) che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva nell’ambito della legislazione civile, «fatta salva la conservazione, la modifica e lo sviluppo da parte delle Comunità Autonome dei diritti civili, forali o speciali, ove esistenti», e nella Prima Disposizione Integrativa, secondo la quale «la Costituzione tutela e rispetta i diritti storici dei territori forali. L’aggiornamento generale di tale regime forale sarà effettuato, eventualmente, nel quadro della Costituzione e degli Statuti di Autonomia». Tutte queste comunità forali (Navarra, Islas Baleares, País Vasco, Galicia, Cataluña y Aragón) hanno recentemente legiferato sulle unioni non matrimoniali, anche se è opportuno chiarire che nessuno degli ordinamenti di natura forale esistenti in Spagna al momento dell’approvazione della Costituzione (1978) le contemplava tra le sue norme. L’attribuzione della competenza può essere giustificata attraverso il generico richiamo alla condizione storica di “foral” della comunità o mediante la tutela dei diritti fondamentali della persona, in particolare orientata all’applicazione del principio di non discriminazione alla libera costituzione di modelli familiari distinti da quello tradizionale, inteso come matrimoniale in quanto tale. Ciò si evince chiaramente dalla finalità della Legge 2/2003, del 7 maggio, regolatrice delle coppie di fatto della Comunità Autonoma dei Paesi Baschi, nonché dal preambolo della Legge 10/1998, del 15 luglio, sulle coppie conviventi in Catalogna, che fa riferimento alla «competenza esclusiva dello Stato per quanto riguarda le forme di matrimonio, perché la regolamentazione delle coppie di fatto eterosessuali o omosessuali implica il riconoscimento di alcune situazioni non necessariamente equiparabili al matrimonio, secondo quanto espressamente riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale …». Sembrerebbe, tuttavia, pienamente giustificata la considerazione secondo cui possa parlarsi di “competenza legislativa forale” in tutti quei casi in cui le più risalenti normative di diritto forale non contengano riferimenti alle norme sulla convivenza non matrimoniale, poiché, se la competenza si fonda sull’esistenza di un diritto civile forale, che ne ammette la conservazione, la modifica e lo sviluppo, laddove esso non esista o non si estenda in concreto ai rapporti giuridici in questione, la competenza dovrebbe essere sta-

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tale con carattere esclusivo. Questo il senso del voto divergente espresso dal giudice della Corte costituzionale Manuel Aragón Reyes, a cui il giudice Ramón Rodríguez Arribas ha aderito, nella sentenza 93/2013, del 23 aprile, risolutiva del ricorso per incostituzionalità presentato contro la Ley Foral 6/2000, del 3 luglio, per l’eguaglianza giuridica delle coppie conviventi. Con il suo voto, il giudice costituzionale ha inteso difendere la posizione secondo cui si sarebbe dovuta dichiarare l’incostituzionalità e conseguente nullità della Ley Foral impugnata, dato che la Comunità Forale di Navarra è priva, a suo giudizio, della competenza per regolamentare le unioni di fatto come istituzione analoga al matrimonio, poiché l’istituzione giuridica delle coppie di fatto conviventi5 non esisteva nel Fuero Nuevo de Navarra all’entrata in vigore della Costituzione. In ogni caso, la sua posizione è stata minoritaria, dal momento che è stata riconosciuta la competenza della Comunità Forale di Navarra a regolamentare le unioni, ammettendo così il riconoscimento anche nel resto dei territori forali. D’altro canto, la Spagna si articola attorno ad un’organizzazione territoriale, amministrativa e politica, che raggruppa province limitrofe con caratteristiche storiche, culturali ed economiche comuni (cfr. art. 143 CE). Questa organizzazione ha dato luogo a 17 Comunità Autonome, tra le quali si includono le comunità o i territori forali menzionati poc’anzi, ovvero Madrid, Principado de Asturias, Andalucía, Canarias, Extremadura, Cantabria, Valencia, Murcia, Castilla-La Mancha, Castilla y León, e La Rioja. Comunità, queste ultime, che non possiedono competenze in materie civili, riservate ai soli territori forali, ma che hanno legiferato in materia di unioni non matrimoniali sul piano amministrativo e assistenziale, oltrepassando in alcune circostanze i loro limiti ed assumendo competenze che non gli sarebbero spettate. Pertanto, sia attraverso la regolamentazione civile sostanziale – nei casi di regioni forali –, sia attraverso la regolamentazione amministrativa – nei casi di comunità autonome non forali –, l’ordinamento spagnolo ha operato una non trascurabile “standardizzazione” del fenomeno in questione.

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Il giudice Manuel Aragón Reyes ha espressamente affermato: «Come abbiamo avuto occasione di ricordare nel nostro STC 31/2010, del 28 giugno, FJ 76, “art. 149.1.”.8 CE, oltre ad attribuire allo Stato una competenza esclusiva sulla legislazione civile, è prevista una garanzia di foralità civile attraverso l’autonomia politica (STC 88/1993, del 12 marzo 1993, FJ 1) che non consiste nell’intangibilità dei diritti civili speciali o provinciali, ma nella previsione che gli Statuti delle Comunità autonome nel rispetto della Costituzione possano attribuire a tali Comunità la competenza per la loro conservazione, modifica e sviluppo». Pertanto, la competenza esclusiva in materia di diritto civile o forale a cui si riferiscono gli Statuti di queste Comunità Autonome... «deve intendersi come strettamente limitata a quelle funzioni di “conservazione, modifica e sviluppo” del diritto civile o forale stesso che sono “la misura e il primo limite delle competenze ... attribuibili ed esercitabili” dalle Comunità Autonome in virtù dell’art. 149.1.8 CE (STC 88/1993, FJ 1)». Per quanto riguarda il concetto costituzionale di «sviluppo del proprio diritto civile, speciale o forale» si ricorda nel STC 31/2010, che «la Costituzione consente che i diritti speciali civili o forali preesistenti possano essere oggetto non solo di conservazione e modificazione, ma anche di un’azione legislativa che ne renda possibile la crescita organica e riconosce, in questo modo, non solo la valenza attuale, ma anche quella futura di tali ordinanze precostituzionali (STC 88/1993, FJ 3)».

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2.1. Le unioni non matrimoniali nei territori forali.

Analizzando da un’altra prospettiva il panorama legislativo nei territori forali, per quanto riguarda le unioni non matrimoniali, osserviamo che si è verificato un graduale passaggio da una regolamentazione basata sulla promulgazione di leggi particolari e specifiche, predisposte ad hoc per rispondere alle esigenze richieste dalla convivenza in coppia, a un’incardinazione nel quadro più ampio di una codificazione generale del diritto particolare, in via di crescita ed espansione. Così, ad esempio, sono state promulgate come leggi particolari, e ancora oggi sono tali, quelle vigenti nelle Isole Baleari (Legge 18/2001, del 19 dicembre, sulle coppie conviventi) e nei Paesi Baschi (Legge 2/2003, del 7 maggio, regolatrice delle coppie di fatto). In Navarra, invece, il mutamento è stato evidente; inizialmente vigeva la Ley Foral 6/2000, del 3 luglio, per l’eguaglianza giuridica delle coppie conviventi, dichiarata poi costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza 93/2013, del 23 aprile (RTC 2013\93)6. Attualmente le coppie conviventi sono disciplinate dalle Leggi nn. 106-113 del Fuero Nuevo o Compilación de Derecho civil foral navarro, modificate e aggiornate dalla Ley Foral 21/2019, entrata in vigore il 16 ottobre 2019. L’incorporazione della disciplina delle unioni non matrimoniali nelle normative delle comunità forali, era già stata adottata in precedenza in Galizia, Catalogna e Aragona. A tal proposito, si segnala la Legge della Galizia 2/2006, del 14 giugno, che non contempla espressamente norme per le coppie non unite in matrimonio, ma nella Terza Disposizione integrativa le equipara a quelle coniugate con estensione degli effetti derivanti dall’applicazione della normativa in questione, quando siano soddisfatti i requisiti ivi stabiliti7.

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La domanda che formula la Corte costituzionale per decidere sulla legittimità della normativa è se i suoi effetti si estendano ai membri della coppia convivente, a prescindere dalla loro volontà, o se l’applicazione sia condizionata all’accettazione di entrambi i membri. Nel primo caso, dovrebbe essere dichiarata l’incostituzionalità non della normativa nel suo complesso, ma di singoli precetti. Nel secondo, si dovrebbe considerare l’adeguatezza della normativa contestata ai principi costituzionali. La Corte opta per la prima soluzione affermando che: «la normativa risponde sostanzialmente ad un modello imperativo, ben lontano dal regime dispositivo che risulterebbe conforme alle caratteristiche delle unioni di fatto e alle esigenze di libero sviluppo della personalità di cui all’art. 10.1 CE. Il carattere prescrittivo implica che il regime legale si impone obbligatoriamente alle coppie conviventi che soddisfano le condizioni previste nei primi due casi del primo comma dell’art. 2.2, il che dovrebbe indurci, senza dubbio, a ribadire l’incostituzionalità di tali casi; allo stesso modo dobbiamo dichiarare l’incostituzionalità del secondo comma di detto articolo 2.2, nella misura in cui si riferisce al calcolo del periodo di un anno di coesistenza previsto dal comma precedente» (FD 9º). Si veda M. Martín Casals, El derecho a la ‘convivencia anómica en pareja’: un nuevo derecho fundamental? Comentario general a la STC de 23.4.2013 (RTC 2013\93), in Dret, 3/2013. V. anche I. Echeverría Albacar, Marco jurídico constitucional de las uniones de hecho tras la STC 93/2013, del 23 aprile, Diario La Ley, nº 8221, Sección Doctrina, 2 Gen. 2014, Año XXXV. 7 Terza disposizione aggiuntiva: «1. Ai fini dell’applicazione della presente legge, si equiparano al matrimonio le relazioni stabili, estendendo così ai membri della coppia i diritti e gli obblighi che la presente legge conferisce ai coniugi. 2. Saranno considerate coppie di fatto le unioni di due adulti, capaci, conviventi in modo permanente e legati da un rapporto di affettività analogo a quello coniugale, iscritti nel Registro delle coppie di fatto della Galizia. Non possono costituire coppie di fatto: a) parenti in linea retta per consanguineità o adozione. b) collaterali per consanguineità o adozione fino al terzo grado. c) coloro che siano legati da matrimonio o che formino una coppia di fatto debitamente formalizzata con un’altra persona. 3. I membri dell’unione di fatto possono validamente stabilire in atto pubblico i patti che ritengono opportuni per disciplinare i loro rapporti economici durante la convivenza e dopo la cessazione del rapporto, purché non siano contrari alla legge, limitativi dell’eguaglianza dei diritti di ciascun convivente o gravemente pregiudizievoli per uno di essi. Saranno nulli i patti che violano il divieto di cui sopra».

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Anche le comunità della Catalogna e dell’Aragona hanno incorporato, ora, la disciplina delle coppie non unite in matrimonio nel più ampio quadro della codificazione del loro diritto civile. La Catalogna ha promulgato inizialmente la Legge 10/1998, del 15 luglio, sulle unioni stabili di coppie, che prevedeva una regolamentazione differenziata per le unioni eterosessuali e per quelle omosessuali; normativa che è stata successivamente incorporata nel Libro II del Codice civile della Catalogna, relativo alla persona e alla famiglia, approvato con Legge 25/2010, del 29 luglio. Nel suindicato libro viene disciplinata la convivenza stabile in coppia dagli articoli da 234-1 e seguenti, all’interno del Titolo III dedicato alla famiglia, quale espressione dell’eterogeneità del modello familiare8, e nel Capitolo IV, dopo le norme dedicate al matrimonio. In Aragona, il Decreto Legislativo 1/2011, del 22 marzo, del Governo di Aragona con cui è stato approvato, con il titolo di «Código del Derecho Foral de Aragón», il Testo Consolidato delle Leggi Civili Aragonesi, contempla la disciplina delle coppie conviventi non unite in matrimonio negli artt. da 303 a 315, che costituiscono in sostanza un compendio della disciplina prevista in precedenza per tale comunità nella Legge 6/1999, del 26 marzo, relativa alle coppie conviventi non sposate. 2.2. Le unioni non matrimoniali nei territori autonomi non forali.

Al contrario, nei territori autonomi di natura non forale, la regolamentazione del fenomeno delle coppie conviventi si realizza attraverso l’emanazione di singole leggi, orientate principalmente a garantire prestazioni sociali e a superare possibili situazioni di disuguaglianza9, originando talune pronunce di incostituzionalità. In ordine cronologico, sono state emanate le seguenti leggi10.

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Ai sensi dell’art. 231-1: «1. La famiglia gode della tutela giuridica determinata dalla legge, che tutela, senza discriminazioni, i rapporti familiari derivanti dal matrimonio o dalla convivenza stabile in una coppia e le famiglie costituite da un solo genitore con i suoi discendenti. 2. Si riconoscono come membri della famiglia, con effetti legalmente determinati, i figli di ciascuno dei genitori che vivono nello stesso nucleo familiare, a seguito della formazione di famiglie ricostituite. Tale riconoscimento non altera i vincoli con l’altro genitore». 9 A tal proposito, si veda la giustificazione fornita per l’approvazione della Legge 11/2001, del 19 dicembre 2001, delle Uniones de Hecho de la Comunidad de Madrid: «In breve, l’approvazione della presente legge è giustificata anche dall’articolo 7 dello Statuto di Autonomia della Comunità di Madrid, dall’articolo 14 della Costituzione spagnola, che garantisce l’eguaglianza degli spagnoli di fronte alla legge senza che possa prevalere discriminazione alcuna per motivi, tra gli altri, di sesso, opinione o qualsiasi condizione o circostanza personale o sociale, dall’articolo 9 della Costituzione spagnola, relativo all’obbligo dei poteri pubblici di promuovere l’eguaglianza evitando situazioni di discriminazione, nonché dalla Risoluzione dell’8 febbraio 1994, del Parlamento Europeo, sulla parità dei diritti di omosessuali e lesbiche nella Comunità Europea, che ribadisce il principio secondo cui tutti i cittadini hanno diritto a un trattamento identico indipendentemente dal loro orientamento sessuale». 10 Praticamente tutte, ad eccezione della legge 4/2002 del Principato delle Asturie, usano l’espressione «coppia o unione “di fatto”», terminologia che in Spagna è stata progressivamente abbandonata e che, per certi versi, sembra paradossale. Fino a che punto è possibile descrivere come “di fatto” un rapporto o un’unione con riferimento alla quale sono regolamentati la costituzione, i requisiti di capacità dei suoi membri, le cause di estinzione, gli effetti patrimoniali che si producono tra i conviventi, ecc.? Cioè, come si può continuare a qualificare di fatto un rapporto puramente giuridico, che produce effetti giuridici e che è pienamente riconosciuto dal diritto?

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1) Madrid: Legge 11/2001, del 19 dicembre, per la regolamentazione delle unioni di fatto, i cui artt. 4 (regolamentazione della convivenza) e 5 (iscrizione) sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla Corte costituzionale, nella sentenza 81/2013, dell’11 aprile, per mancanza di competenza ex art. 149.1.8º CE, dato che, ad avviso della Corte, siffatta norma, che altro non è se non una trasposizione di quella contenuta nel Codice civile, si inserisce a pieno nell’ambito delle relazioni personali e patrimoniali dei membri dell’unione di fatto, avendo, pertanto, natura propria della materia del diritto civile. E poiché, come la Corte stessa aveva precedentemente dichiarato11, la regolamentazione dei rapporti in questione afferisce a norme di diritto privato inquadrabili nella materia del diritto civile, su cui lo Stato ha competenza esclusiva, fatta salva la competenza delle Comunità autonome dei diritti civili, forali o speciali, ove esistenti – circostanza che non ricorre nel caso della Comunità di Madrid, poiché il suo Statuto di Autonomia non prevede competenze autonome in questo settore – la conseguenza non può essere altro che la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme menzionate. 2) Principato delle Asturie: Legge 4/2002, del 23 maggio, per la regolamentazione delle coppie conviventi. 3) Andalusia: Legge 5/2002, del 16 dicembre, per la regolamentazione delle coppie di fatto12. 4) Canarie: Legge 5/2003, del 6 marzo, per la regolamentazione delle coppie di fatto nella Comunità Autonoma delle Canarie. 5) Extremadura: Legge 5/2003, del 20 marzo, per la regolamentazione delle coppie di fatto della Comunità Autonoma di Extremadura. 6) Cantabria: Legge 1/2005, del 16 maggio, per la regolamentazione delle coppie di fatto della Comunità Autonoma di Cantabria13. 7) Valencia: Legge 5/2012, del 15 ottobre, per la regolamentazione delle unioni di fatto formalizzate de la Comunitat Valenciana. Anche in questo caso la Corte costituzionale si è pronunciata sulla legittimità della norma, in seguito ad un ricorso d’incostituzionalità presentato dal Presidente del Governo, sulla base di un duplice motivo d’incostitu-

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STS 28/2012, del 1° marzo, in occasione della questione di legittimità costituzionalità 6548-2001 sollevata in relazione al paragrafo 4 della Disposizione transitoria unica della Legge 5/1999, del 15 marzo, del Parlamento delle Isole Canarie, che modifica la Legge 7/1995, del 6 aprile, sulla gestione del turismo nelle Isole Canarie. 12 Con riferimento all’articolo 13, relativo ai diritti in caso di morte di uno dei conviventi («Quando non esiste un patto, in caso di morte di uno dei membri della coppia, la persona superstite ha il diritto, a prescindere dagli eredi legittimi, di risiedere nella residenza abituale per il periodo di un anno»), la dottrina ha sollevato dubbi di costituzionalità. Vedi I. Gallego Domínguez, La inconstitucionalidad del artículo 13 de la Ley Andaluza 5/2002, de 16 de diciembre, de parejas de hecho, Personalidad y capacidad jurídicas: 74 contribuciones con motivo del XXV aniversario de la Facultad de Derecho de Córdoba, in Servicio de publicaciones, Universidad de Córdoba, 2005, 547-558, e C. Gago Simarro, La atribución del uso temporal de la vivienda habitual al conviviente supérstite en Andalucía: artículo 13 de La Ley andaluza 5/2002, de 16 de diciembre, de Parejas de Hecho, in Revista de Derecho Civil, vol. V, núm. II, 2018, 397-400. 13 Ci si potrebbe chiedere se possa essere considerato incostituzionale anche l’articolo 9 sulle richieste di risarcimento («In caso di scioglimento della coppia di fatto, se la convivenza ha determinato una situazione patrimoniale disuguale tra le due parti, tale da configurare un arricchimento ingiusto, si può esigere un risarcimento economico per il convivente leso…».

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zionalità della previsione normativa. Da un lato, in quanto invade le competenze esclusive dello Stato in materia di diritto civile, derivanti dall’art. 149.1.8º CE. Dall’altro, in quanto viola il principio del libero sviluppo della personalità sancito dall’art. 10.1 CE, in conformità all’orientamento espresso nel STC 93/2013, del 23 aprile, che ha dichiarato l’incostituzionalità di parte della Ley Foral di Navarra 6/2000, del 3 luglio, sull’eguaglianza giuridica delle coppie conviventi. Secondo la sentenza n. 110/2016, del 9 giugno, la previsione costituzionale di attribuire alle comunità autonome la competenza a conservare, modificare e sviluppare il diritto civile, forale o speciale (ex art. 149.1.8º CE) si estende non solo ai diritti forali riconosciuti all’entrata in vigore della Costituzione, ma anche a norme civili di ambito regionale o locale e di formazione consuetudinaria preesistenti alla Costituzione e tuttora vigenti. Nessuna di queste circostanze ricorre nel caso delle unioni di fatto, pertanto si deve dichiarare la mancanza di competenza della Comunità Valenciana a regolamentare gli effetti civili delle unioni di fatto14. 8) Murcia: Legge 7/2018, del 3 luglio, per la regolamentazione delle coppie di fatto. Vi sono, inoltre, tre Comunità Autonome che hanno previsto la creazione di registri delle coppie di fatto: 1) Castilla-La Mancha, Decreto 124/2000, dell’11 luglio, che disciplina l’introduzione e il funzionamento del Registro delle coppie della comunità autonoma di Castilla-La Mancha; 2) Castilla y León, Decreto 117/2002, del 24 ottobre, che disciplina il funzionamento del Registro delle unioni di fatto in Castilla y León; 3) La Rioja, Decreto 30/2010, del 14 maggio, che ha previsto l’introduzione del Registro delle coppie di fatto della Rioja (riformato dal Decreto 10/2013, del 15 marzo). Possiamo, quindi, affermare che le Comunità autonome non forali, pur non avendo competenza alcuna sugli aspetti civili delle unioni di fatto, dato che tale competenza è riservata in via esclusiva allo Stato, possono, invece, disciplinare il fenomeno sul piano amministrativo o del riconoscimento di diritti assistenziali, ciò rientrando nelle varie competenze autonome riconosciute dai rispettivi Statuti di autonomia.

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Hanno natura civile, secondo la Corte costituzionale, regolando diritti e obblighi dei membri dell’unione di fatto formalizzata, i seguenti articoli della Legge: l’art. 6, che sotto il titolo Effetti dell’estinzione dell’unione di fatto formalizzata prevede in tal caso la revoca automatica dei poteri che qualsiasi dei suoi membri avrebbe concesso a favore dell’altro; l’art. 7, che stabilisce la libertà di regolare i rapporti personali e patrimoniali derivanti dalla convivenza; l’art. 8 (Spese comuni dell’unione di fatto formalizzata); l’art. 9, che disciplina il “diritto agli alimenti” tra conviventi; l’art. 10 (Residenza abituale dell’unione di fatto); l’art. 11 (Responsabilità patrimoniale); l’art. 12, che disciplina la sorte dei beni mobili e l’uso dell’abitazione dopo il decesso di uno dei conviventi; l’art. 13 (Rappresentanza legale del convivente); e l’art. 14 (Diritti del convivente superstite nella successione del defunto). Tutti questi precetti, contenendo norme in ordine alle quali la Comunità Valenciana non ha competenza, sono incostituzionali e devono essere dichiarate nulle.

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3. Peculiarità del regime giuridico. 3.1. La costituzione della coppia convivente non unita in matrimonio.

Il peculiare e anomalo sistema spagnolo, caratterizzato dalla mancanza di regolamentazione statale e dalla contemporanea presenza di molteplici norme autonome di varia portata, pone un dubbio di metodo al momento di stabilire quali debbano essere i requisiti richiesti ad una coppia di conviventi o in caso di unione non matrimoniale per poter usufruire dei benefici previsti. In altre parole, se occorra rispettare alcuni requisiti, uno in particolare, o se una qualsiasi unione, come espressione dell’esercizio del diritto al libero sviluppo della personalità dei suoi componenti, meriti di essere legalmente riconosciuta come tale e di produrre effetti giuridici. Possiamo dire, su un piano puramente civile, che l’ordinamento statale non esige il rispetto di alcun requisito formale per attribuire ai conviventi gli effetti o le conseguenze previste, ma può talvolta esigere il rispetto di requisiti sostanziali. Così, ad esempio, quando la legislazione settoriale in materia di locazioni urbane riconosce al convivente superstite il diritto di subentrare nel contratto di locazione in caso di morte del convivente conduttore (cfr. art. 16.1 LAU), o concede al convivente il beneficio di rimanere conduttore dell’immobile qualora il proprietario receda dal contratto o manifesti la volontà di non rinnovarlo (cfr. art. 12.4 LAU), si richiede semplicemente che la convivenza sia stabile, quale rapporto affettivo analogo a quello tra coniugi, indipendentemente dall’orientamento sessuale, e viene prevista una durata minima della convivenza per il riconoscimento del diritto ovvero almeno due anni precedenti al decesso, purché non vi sia discendenza comune, nel cui caso non si richiederà un tempo minimo15. Ci sono casi, però, di puro vuoto legislativo, in cui la legge allude semplicemente ad una possibile convivenza analoga a quella coniugale, senza ulteriore qualificazione (cfr. gli artt. 97 e 10116 c.c.). La situazione cambia quando si tratta di riconoscere diritti di natura assistenziale, o nel caso di coppie riconosciute dalla legislazione autonoma e forale. Nel primo caso, la qualifica di beneficiario di qualche prestazione comporta generalmente la concomitanza

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Questa formula, caratterizzata da una convivenza pubblica, di carattere stabile, con rapporto affettivo analogo a quello coniugale, è quella riconosciuta dalla Corte Suprema, secondo cui: «la convivenza “more uxorio”, deve svilupparsi in un regime di convivenza quotidiana, stabile, consolidata nel corso degli anni, riconoscibile esternamente e pubblicamente dalla condotta assunta dalle parti interessate, creando una comunanza di vita, interessi e finalità del nucleo nella stessa casa» (FJ 4º, sentenza 469/1992, 18 maggio del 1992); o ancora: «le unioni “more uxorio”, sempre più numerose, costituiscono una realtà sociale e, quando soddisfano determinati requisiti – costituzione volontaria, stabilità, permanenza nel tempo, notoria comunanza di vita simile a quella matrimoniale – meritano di essere riconosciute come una forma di famiglia» (FJ 2º, sentenza 584/2003, 17 giugno 2003). In ogni caso, colpisce che l’articolo 93.1.1.1 della Legge Fallimentare 22/2003, del 9 luglio 2003, menzioni, oltre al coniuge, «il partner registrato o le persone che abbiano analoga relazione affettiva o che abbiano abitualmente vissuto con lui durante i due anni precedenti alla dichiarazione di insolvenza». Dunque, la stessa normativa statale considera la eterogeneità delle coppie, registrate in alcuni casi e non in altri. 16 Ai sensi dell’art. 101 Cc, il diritto alla pensione si estingue quando il creditore contragga un nuovo matrimonio o instauri con altra persona una convivenza analoga a quella coniugale.

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di un requisito formale. Per il riconoscimento dell’unione non matrimoniale, la stabilità è requisito fondamentale per l’iscrizione in uno dei registri – autonomi o locali – delle coppie di fatto, introdotti in Spagna, oppure occorre la formalizzazione del rapporto in un documento pubblico17. Al contrario, la regolamentazione “autonoma” presenta profili leggermente diversi. Dalla disamina della normativa autonoma, forale e non forale, si evince che – in generale – il riconoscimento di diritti particolari in determinati territori richiede la costituzione dell’unione secondo gli schemi propri di ciascuna disciplina, e la mancanza di adesione ad essi, origina non la perdita della condizione di unione non matrimoniale, che si può mantenere in ogni caso, ma la sua irrilevanza per l’ordinamento particolare autonomo. L’obbligo della coppia di essere iscritta nel registro autonomo affinché siano applicabili le misure amministrative previste costituisce un requisito molto diffuso nella regolamentazione autonoma18 che addirittura, in alcuni casi, prevede che l’iscrizione nel registro abbia carattere costitutivo dell’unione19. D’altra parte, il legislatore autonomo non si limita a richiedere requisiti formali di costituzione, ma va oltre, configurando le unioni con un chiaro intento di equiparazione all’istituto del matrimonio, prevedendo impedimenti di ogni tipo, alcuni più rigorosi di quelli attualmente richiesti in Spagna per il matrimonio. La conclusione cui si può giungere è che si ha l’impressione che si sia voluto regolamentare l’unione non matrimoniale come una sorta di “matrimonio di seconda classe”, dotato di una certa efficacia giuridica e soggetto a varie norme, piuttosto che riconoscere semplicemente una realtà basata su una pura scelta personale, alla quale potrebbero essere attribuiti, eventualmente, determinati effetti. In pratica, tutte le norme autonome coincidono nel prevedere come impedimenti per la costituzione della coppia stabile gli stessi che il Codice civile contempla per il matrimonio (cfr. gli artt. 46 e 47 c.c.): capacità (la sua costituzione è consentita soltanto ai maggiori d’età o minori emancipati) e sussistenza di un legame precedente, inteso come l’essere unito ad altra persona da matrimonio, anche se ciò può rientrare nei casi di separazione

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È il caso della pensione di reversibilità per le coppie di fatto, riconosciuta dall’art. 221 del Testo Consolidato della Legge Generale sulla sicurezza sociale, approvato con Regio Decreto Legislativo 8/2015, del 30 ottobre 2005, che dispone: «2. Ai fini di quanto stabilito nel presente articolo, si considererà coppia di fatto quella costituita, con un rapporto di affettività analogo a quello coniugale, da coloro che, non essendo impossibilitati a contrarre matrimonio, non abbiano un rapporto coniugale con un’altra persona e attestino, mediante il corrispondente certificato di censimento, una convivenza stabile e notoria immediatamente successiva al decesso e con una durata ininterrotta non inferiore a cinque anni. L’esistenza di coppia di fatto si accrediterà mediante un certificato di iscrizione in uno dei registri specifici esistenti nelle comunità autonome o nei municipi del luogo di residenza o mediante un documento pubblico in cui figuri la costituzione di detta coppia. Sia la suddetta registrazione sia la formalizzazione del corrispondente documento pubblico dovranno essere redatti almeno due anni prima della data di decesso». 18 Così dispone l’art. 1.2 della Legge 18/2001 de Baleares: «Affinché la presente legge sia loro applicabile, i membri della coppia dovranno soddisfare i requisiti e le formalità previste, senza esser soggetti ad alcun impedimento che leda uno di loro o la loro relazione, e iscriversi volontariamente nel Registro delle coppie stabili delle Isole Baleari». Criterio mantenuto anche a Madrid, art. 1.1 Legge 11/2001, Andalusia, art. 6.3 Legge 5/2002, Cantabria, art. 1.1 Legge 1/2005 o Estremadura, art. 2.1 Legge 5/2003. 19 Espressamente previsto dall’art. 1.2 della Ley Balear, artt. 2.3 e 4.1 della Ley de Extremadura e art. 3 Legge 5/2012 di Valencia.

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di fatto20 o giudiziaria21, ma anche da rapporto di coppia22. Inoltre, così come previsto dal Codice civile per il matrimonio (cfr. art. 45, comma 2, c.c.), si stabilisce, talvolta, che il rapporto di coppia non può essere costituito a titolo temporaneo o soggetto a condizione23. Si ha l’impressione, tuttavia, che l’osservanza dei vari requisiti indicati non sia sufficiente a garantire all’unione un vincolo giuridicamente autonomo. Di qui la previsione, a volte espressa, che la formazione di una coppia stabile non genera un vincolo parentale tra i conviventi e i rispettivi parenti24, nonché l’ulteriore esigenza che l’unione si sia protratta per un certo periodo minimo di tempo affinché l’ordinamento possa attribuirle effetti giuridici25, (il che è sorprendente se si pensa che l’ordinamento giuridico spagnolo non richiede nessun periodo minimo di tempo per il matrimonio affinché possa essere considerato come un’unione dotata di piena efficacia giuridica), o che si sia manifestata espressamente la volontà di volerla costituire. Ad ogni modo, continua a generare una certa incertezza il panorama esistente in Spagna circa la determinazione dei requisiti richiesti per la costituzione di un’unione non matrimoniale. Si potrebbe pensare che vi sia piena libertà di costituzione a livello statale, in assenza di una regolamentazione specifica, nei casi in cui nulla sia previsto, poiché potrebbe essere richiesto, in ogni caso, il rispetto di un certo requisito formale. A livello autonomo, i benefici riconosciuti alle unioni non matrimoniali ne richiederebbero la costituzione secondo i requisiti stabiliti da ogni singola norma, senza ignorare che possono aversi altre realtà di coppia non contemplate dalla legge e a cui, di conseguenza, è negato il riconoscimento degli effetti giuridici previsti per le prime26. 3.2 Le

conseguenze della crisi della coppia convivente non unita in matrimonio .

Sul piano puramente civile, probabilmente il problema più rilevante derivante dalla mancanza di regolamentazione statale ricorre quando si tratta di determinare quali sono le conseguenze derivanti dalla “rottura” della coppia. A differenza di quanto si verifica per il matrimonio, laddove il Codice civile prevede in caso di crisi la soluzione dei problemi

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Cfr. art. 234-2, c), Ley Cataluña. Cfr. art. 2.1, b), Ley Madrid. 22 Non possono costituire coppia i parenti in linea retta per consanguineità o adozione, né i collaterali per consanguineità o adozione fino al secondo grado (Aragona, Andalusia, Cantabria, Valencia, Catalogna) o al terzo grado (Baleares, Canarias, Extremadura, Galicia, Madrid, Murcia). La regolamentazione del matrimonio in Spagna impedisce il matrimonio tra collaterali entro il terzo grado, ma ammette la dispensa dal terzo grado da parte del Giudice di primo grado (cfr. art. 48 c.c.). Soltanto l’Andalusia e i Paesi Baschi considerano la parentela collaterale per adozione come impedimento per formare un’unione. 23 Cfr. art. 2.3 Ley Canarias, art. 4.5 Ley Cantabria, art. 3.2 Ley Extremadura, art. 2.2 Ley Madrid, art. 4.2 Ley Valencia. 24 Cfr. art. 3 della Legge delle Isole Baleari, secondo cui: «La formazione di una coppia stabile non genera alcun rapporto di parentela tra ciascuno dei suoi membri e i parenti dell’altro». 25 Due anni in Aragona, un anno nelle Asturie, in Cantabria e in Estremadura, dodici mesi ininterrotti nelle Canarie e a Madrid. 26 È significativa la previsione di cui all’art. 4.4 della Legge di Cantabria, quando esclude dal Registro delle coppie di fatto della Comunità Autonoma, le unioni di cui fanno parte le persone che si trovano in una qualsiasi delle situazioni descritte di seguito (minori non emancipati, coniugi o uniti da rapporto di coppia precedente, parenti, incapaci), riconoscendone così la loro esistenza, ma negando loro l’attribuzione di effetti giuridici. 21

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economici attraverso norme specifiche e l’adozione di determinate misure in caso di nullità, separazione personale o divorzio (affidamento dei figli, alimenti, mantenimento per il coniuge nei casi di squilibrio economico, alloggio familiare...), decretate giudizialmente o concordate da entrambi i coniugi, le unioni non dispongono di una normativa al riguardo che ipotizzi soluzioni concrete, al di là della possibilità di concludere patti o accordi di convivenza, ai sensi dell’art. 1.255 c.c.27, volti a disciplinare situazioni future, che in molte occasioni i conviventi non avevano previsto. Tralasciando i problemi relativi all’affidamento dei figli minori e il conseguente diritto di visita, comunicazione o soggiorno del genitore non collocatario (v. artt. 769 ss. del Codice di procedura civile, con rinvio agli artt. 92 ss. c.c., applicabili in egual misura ai figli nati nel matrimonio e fuori di esso (cfr. art. 108 c.c.), nonché quelli inerenti alla casa familiare (art. 96 c.c.28), la questione più rilevante riguarda l’economia familiare della coppia ovvero l’acquisizione di un patrimonio comune durante il periodo di convivenza e la sua successiva distribuzione, nonché gli effetti che, in concreto, lo scioglimento dell’unione determina per uno dei conviventi. La previsione di tali effetti è riconducibile alla capacità di cui godono i conviventi per l’autoregolamentazione dei propri interessi, attraverso la conclusione di patti o accordi, attuati in piena libertà, senza limiti ad eccezione dei principi generali del rispetto della legge vigente e dell’ordine pubblico29, patti che potrebbero semplicemente fare rinvio alla normativa prevista per il matrimonio, senza necessità di configurare una particolare disciplina ad hoc per la singola coppia. In nessun caso è possibile comprendere l’applicabilità per analogia legis alle unioni non matrimoniali delle soluzioni che la legge offre per la crisi del matrimonio, riproducendo pedissequamente schemi e formule previste dalle norme sui regimi patrimoniali dei coniugi o riconoscendo automaticamente il diritto ad un ipotetico mantenimento in caso di squilibrio economico, identico a quello previsto dagli artt. 97 ss. c.c., per la semplice ed ovvia ragione, messa in evidenza dalla Corte Suprema, che tali soluzioni giuridiche sono pensate per il matrimonio ma non per le unioni extraconiugali, escluse dall’ambito di applicazione di tali norme30.

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«Le parti contraenti possono stabilire i patti, le clausole e le condizioni che ritengono appropriate, purché non siano contrari alla legge, alla morale o all’ordine pubblico». 28 La cui assegnazione si fonda sul principio del superiore interesse del minore. Si vedano le sentenze della Corte Suprema del 1° aprile e del 30 settembre 2011. 29 A tal proposito, cfr. tra gli altri gli artt. 307 della Ley aragonesa, 10 ss. della Ley de Andalucía e 8 della Ley de Cantabria. 30 La riforma del Codice civile ha ammesso il matrimonio tra persone dello stesso sesso e lo scioglimento del vincolo per pura volontà di uno dei coniugi. Così si esprime la Corte Suprema nella sentenza plenaria, del 12 settembre 2005, FJ 3: «...l’unione di fatto è un istituto che nulla ha a che vedere con il matrimonio, anche se entrambi rientrano nel diritto di famiglia. Anzi, oggi, con l’esistenza giuridica del matrimonio omosessuale e il divorzio unilaterale, si può affermare che l’unione di fatto è costituita da persone che non vogliono per nulla contrarre il matrimonio con le sue conseguenze. Per questo, deve evitarsi l’applicazione per “analogia legis” di norme proprie del matrimonio come gli artt. 96, 97 e 98 c.c., poiché tale applicazione comporta inevitabilmente una penalizzazione del scioglimento della coppia, e più in particolare una penalizzazione del membro dell’unione che non desidera più la continuità della relazione». Orientamento confermato nella successiva sentenza plenaria del 15 gennaio 2018, FJ 5, in base alla quale: «l’interpretazione della Corte costituzionale ha rafforzato la linea giurisprudenziale di quest’aula secondo

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La regolamentazione delle unioni non matrimoniali in Spagna

Tutto ciò obbliga alla ricerca di varie soluzioni, che talvolta prevedono l’applicazione dei principi generali del diritto, come quella che prospetta un arricchimento senza causa31, o la individuazione della tutela del convivente leso per mezzo dell’applicazione di altri meccanismi giuridici, quali il risarcimento del danno extracontrattuale, ex art. 1.902 c.c., o il ricorso alla teoria delle obbligazioni naturali, che risulteranno sempre discutibili e vaghe nella loro argomentazione in tribunale e di difficile accoglimento in molti casi. In sintesi, senza entrare nella disamina delle questioni che la crisi dell’unione non matrimoniale pone, occorre sottolineare che l’assenza di una normativa specifica rende difficile trovare una soluzione adeguata in quei casi in cui si verifichi un danno economico evidente per uno dei conviventi, o si debba decidere sulla ripartizione del patrimonio acquisito durante il periodo di convivenza, in assenza di un patto tra questi ultimi. Affidare ai tribunali questo compito, probabilmente, non è la scelta più conveniente, a causa della difficoltà di delineare un orientamento comune che sia efficace in tutti i casi conflittuali, e ciò continua ad alimentare una certa incertezza giuridica per i professionisti del diritto. La proliferazione delle unioni non matrimoniali nella società attuale è enorme, e certamente questo fenomeno avrebbe meritato maggiore attenzione da parte del legislatore, a meno che non si difenda l’idea – difficilmente accettabile a questo punto – che si tratti di una realtà del tutto estranea al diritto e che, di conseguenza, il diritto deve ignorare.

cui non è possibile applicare per “analogia legis” le norme del matrimonio ai casi di cessazione della convivenza more uxorio o unione di fatto, ma non esclude la possibilità di ricorrere, in assenza di un patto, ai principi generali, come quello dell’arricchimento senza causa». 31 La Corte Suprema nella sentenza del 12 settembre 2005 FJ 3 afferma che: «in conclusione, l’analogia iuris deve essere intesa come un meccanismo di applicazione dei principi generali del diritto. Tutto ciò porta inevitabilmente all’applicazione, in caso di scioglimento dell’unione di fatto, dei principi generali del diritto con ricorso alla figura dell’arricchimento senza causa di cui agli articoli 10-9 e 1887 di detto Codice, che servirà sempre da clausola di chiusura per risolvere la questione».

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Matilde De Angelis

La nascita quale fattispecie a formazione progressiva* Sommario :

1. L’evoluzione del modello familiare. – 2. I divieti genitoriali: la maternità surrogata. – 3. La nascita e lo status di figlio nella maternità surrogata: una fattispecie a formazione progressiva.

The paper analyses the development of the family concept due to the disgregation of the traditional model. For the first time in Italian family law, case law plays a crucial role in the solution of litigations. In this scenario the parenthood is going to detach from the blood bond and the judge should balance, on one hand, the right to respect for private and family life and, on the other, the respect of public order. More specifically, the reported judgements try to solve the problem of the validity of an alien birth certificate that break the law n. 40/2004 and the prohibition of surrogacy motherhood. In this case, the procreative process is breaking up and several people take part in it. The institutional and regulatory framework should face with this new phenomenon offering a solution able to consider the different rights put at stake.

1. L’evoluzione del modello familiare. Attualmente si assiste ad un inesorabile processo di crisi della concezione tradizionale della famiglia, che si manifesta essenzialmente in due distinte fenomenologie: da un lato, una spinta centrifuga verso la disgregazione della monoliticità familiare; dall’altro, la proliferazione di modelli che ne scardinano i tratti caratteristici essenziali, determinandone

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Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.

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Matilde De Angelis

il suo tramonto quale archetipo organizzativo – ad esempio, famiglia monista; famiglia omosessuale; famiglia di fatto; famiglia ricomposta1. Occorre dar conto del fatto che, ormai, figlio non è solo colui che nasce da un atto naturale di concepimento2 poiché i limiti della legittimità della filiazione, una volta ritenuti invalicabili, sono oggi ampiamente in discussione. Il progresso medico-scientifico ha permesso di sopperire alle difficoltà procreative conducendo – sebbene lentamente e non senza contrasti – all’affermazione di una nuova concezione della biologia e dell’etica, nella quale si delinea una nozione di maternità strettamente connessa con il concetto di responsabilità procreativa – «che meglio appaga il desiderio di vedere crescere bene un bimbo, [e] che soddisfa l’esigenza di creare un ambiente familiare sereno ed equilibrato dove armoniosamente possa svolgersi ed evolversi la sua personalità»3 – svincolata dalla tradizione che la collegherebbe al rapporto biologico. In tale scenario, «nel quale […] la genitorialità spesso va staccandosi dal nesso col matrimonio e dalla famiglia, declinandosi in una molteplicità di contesti prima ritenuti inediti, è, allora, necessario porsi in un’altra prospettiva, […] in cui nuove ipotesi di relazioni intersoggettive calzano la scena della famiglia, che non più essere solo quella che il Codice civile ha previsto nel 1942»4. La rigida applicazione delle norme dettate in materia di filiazione deve necessariamente arrestarsi di fronte al fatto che, una volta verificatasi la nascita – anche se in violazione dei divieti di genitorialità sanciti dalla legge – non ci si può sottrarre all’individuazione dei soggetti in capo ai quali far ricadere la responsabilità genitoriale. Per rispondere alle nuove esigenze che non trovano adeguata tutela nell’impianto del codice – tra le quali la protezione da accordare al minore nato a seguito di maternità surrogata e inserito in un nucleo familiare che ormai riconosce come proprio –, si sta sviluppando, nel diritto di famiglia, un fenomeno piuttosto singolare, se non unico per il nostro ordinamento, rappresentato dalla vera e propria sovrapposizione, sulle fonti tecnico-legislative, di fonti “dottrinali” e “giurisdizionali”5 attraverso un processo sempre più vicino a quello che accade negli ordinamenti di common law. Si prenda ad esempio l’esperienza statunitense che, già nei primi anni ’70, si era misurata con la dissoluzione dei tradizionali modelli familiari per la commistione di diverse influenze culturali e gruppi etnici che avevano fatto emergere la possibilità di allargare il concetto di famiglia anche a soggetti che svolgessero un ruolo ausiliario. Questa tendenza alla contrattualizzazione dello status e all’affermazione di nuovi moduli familiari era emer-

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AA.VV., Manuale del nuovo diritto di famiglia, Piacenza, 2002, 1408 e ss. Concetto evidenziato dalla Cass., Sez. I, 15 maggio 2019, n° 13000 «figlio non è solo chi nasce da un atto naturale di concepimento ma anche colui che venga al mondo a seguito di fecondazione assistita». 3 Trib. Roma, ord. 17 febbraio 2000. 4 Così, Cass., Sez. I, 15 maggio 2019, n° 13000 in motivazione. 5 Si veda, Evoluzione sociale e regime normativo della famiglia. Brevi cenni per le riforme del terzo Millennio in www.diritto.it/ evoluzione-sociale-regime-normativo-della-famiglia. 2

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La nascita quale fattispecie a formazione progressiva

sa in seguito al riconoscimento, prima di tutto giurisprudenziale e dottrinale, di un generale diritto di privacy inteso come base di ogni rapporto interindividuale e dell’individuo con lo Stato. Ricompresa tra le libertà fondamentali e protetta a livello costituzionale, la privacy ha un aspetto mutevole a seconda della sfera cui si riferisce e permette di tutelare un’ampia autonomia del singolo. Nella lettura offertane dall’American Fertility Society, «la Costituzione protegge il diritto alla privacy come fondamentale. Questo diritto include il diritto all’autonomia nelle decisioni relative alla procreazione […]»6. Il principio cardine è, dunque, la libertà di scelta e la valorizzazione del criterio contrattualistico della volontà, poi codificati con lo Uniform Parentage Act del 1975 nel cui §7001 si precisa che i diritti e doveri dei genitori scaturiscono dall’accertamento di una relazione con i figli7, indipendentemente da un legame biologico. Proprio in applicazione di questa disposizione la giurisprudenza americana, sin dal caso Johnson v. Calvert8 del 1988, ha ritenuto fondamentale, nella risoluzione delle controversie in materia di maternità surrogata, dare preminenza ai desideri della coppia committente. La rilevanza accordata dalla legislazione americana al vincolo sociale che lega genitori e figli sta cominciando a trovare, nell’ordinamento italiano, un riconoscimento giurisprudenziale. La responsabilità genitoriale rappresenta infatti quell’insieme di obblighi morali e giuridici che gravano su entrambi i genitori per il semplice fatto della presenza di un minore riconosciuto come loro figlio9. Il codice non definisce tale potere-dovere permettendo al concetto di evolvere insieme al sentire sociale etico-giuridico. Il giudice, in questa delicata materia, diventa un deus ex machina che è chiamato a dirimere una controversia irrisolvibile con l’applicazione dei tradizionali modelli concettuali. I desideri della coppia committente, infatti, si scontrano con il concetto di “ordine pubblico”, stante il divieto di maternità surrogata sancito dall’art. 12, comma 6 l. n. 40/2004. L’ordine pubblico riveste, invero, un ruolo cruciale nel giudizio di conformità cui deve sottostare un atto straniero applicativo di istituti non regolati dal nostro sistema normativo. Si rende in questi casi necessaria un’armonizzazione tra i diversi istituti che, soprattutto nel diritto di famiglia, non equivale ad una piena uniformazione, ma il legislatore è libero di determinare le modalità più consone che permettano di tenere in considerazione, da un lato, il diritto vivente e, dall’altro, i principi di ordine pubblico.

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American Fertility Society, Ethical Consideration of the new reproductive technology by ethics committee (1986-1987) of the American Fertility Society in the light of the instruction on respect for human life in its origin and on the dignity of procreation issued by the Congregation of the Doctrinee of Faith, in Fertility and Sterility, n. 2, 1988, 49. 7 §7001 Family Code: «the legal relationship existing between a child and his natural or adoptive parents incident to which the law confers or imposes rights, privileges, duties, and obligations. It includes the mother and child relationship and the father and child relationship». 8 Superior Court of Orange County, Johnson v. Calvert, 20 maggio 1993. 9 Il concetto di responsabilità genitoriale è stato introdotto con il d. lgs. 154/2013 che ha riscritto gli artt. 315 e ss. meglio specificando i doveri dei genitori verso i figli, senza alcuna distinzione tra legittimi e illegittimi, e i doveri di questi ultimi verso i loro genitori. Tale nozione ha sostituito quella di potestà genitoriale.

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Per tali motivi, il modello di genitorialità, ad oggi prevalente, non può più considerarsi fondato esclusivamente sul legame biologico tra il genitore e il nato, ma deve valorizzare la consapevole e libera assunzione da parte del primo della responsabilità di allevarlo e accudirlo, nel quadro di un progetto di vita della coppia.

2. I divieti di genitorialità del nostro ordinamento: la maternità surrogata.

L’evento nascita rappresenta, nell’impianto originario del Codice civile, il momento terminale di una vicenda, l’unione tra uomo e donna, irrilevante per il diritto. Infatti, all’art. 1 c.c., esso si pone come conditio sine qua non per l’acquisizione della capacità giuridica e dei diritti elencati al secondo comma, salvo alcune ipotesi10. La nascita rileva, dunque, nel momento in cui i genitori demandano all’ufficiale di stato civile la redazione dell’omonimo atto. Sostanzialmente essi rendono due dichiarazioni, benché contestuali: una riguardante l’evento in sé; l’altra afferente all’indicazione dei soggetti in capo ai quali ricadrà la responsabilità genitoriale. Solo quest’ultima, essendo direttamente produttiva di effetti giuridici rispetto allo status della persona cui si riferisce11, potrà essere rifiutata dall’ufficiale di stato civile se considerata contraria all’ordine pubblico12. In tali circostanze, la discrasia che si crea tra la realtà dei fatti e quella giuridica impone di considerare «preminenti […] le garanzie per il nuovo nato, non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione […], ma ancor prima – in base all’art. 2 della Costituzione – ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità»13. Si ravvisa un contrasto con l’ordine pubblico ogni qualvolta una coppia si reca all’estero per realizzare un progetto genitoriale considerato illecito nel nostro ordinamento. Il recepimento di principi introdotti dalle convenzioni sovranazionali e il riferimento a valori condivisi dalla comunità internazionale ha condotto la giurisprudenza ad interrogarsi se i divieti di genitorialità stabiliti dal nostro ordinamento possano fungere da “controlimiti”

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Come la sua capacità di succedere a norma dell’art. 462 c.c., o la possibilità di donare a favore di quest’ultimo, art. 784 c.c. In tal senso, la sentenza della Cass., Sez. I, 15 maggio 2019, n° 13000 ha specificato: «in questi casi, proprio per l’immediatezza della produzione di effetti derivanti dalla dichiarazione compiuta, l’ufficiale dovrà rifiutare di riceverla ove la ritenga in contrasto con l’ordinamento e con l’ordine pubblico (cfr. art. 7 del d. P.R. n. 396 del 2000)». 12 Recentemente definito da Cass., Sez. Un., 8 maggio 2019, n° 12193 che statuisce che «in tema di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l’ordine pubblico, dev’essere valutata alla stregua dei principi fondamentali della Costituzione e di quelli desumibili dalle fonti internazionali e sovranazionali, alla luce del modo in cui gli stessi si sono espressi nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza». 13 C. Cost., 26 settembre 1998, n. 347. 11

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La nascita quale fattispecie a formazione progressiva

alla tutela dei diritti del neonato o se si debbano accettare e regolamentare i nuovi percorsi della genitorialità14. Recentemente è stato ribadito che la determinazione di avere un figlio è sempre favorevolmente considerata dall’ordinamento, a condizione che non vulneri altri valori costituzionali, sottolineando un orientamento già emerso nella giurisprudenza della Corte costituzionale15. Ciò a voler precisare che la libertà e la volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori non possono ergersi a paradigmi che permettano di travalicare specifici limiti, tra i quali, a parere della Corte di Cassazione, va, senza dubbio, annoverato il divieto di maternità surrogata contenuto nella l. n. 40/200416. Il disvalore con cui l’ordinamento italiano considera la gestazione per conto altrui emerge chiaramente dalla distinzione che la legge sulla procreazione medicalmente assistita fa tra le tecniche di P.M.A. e la suddetta pratica, prevedendo sanzioni di diversa gravità17 e subordinando le prime al ricorrere di precise circostanze. Il legislatore, con l’introduzione di questa normativa, nonostante l’accentuato favor dimostrato dall’ordinamento per la conformità dello status di figlio alla realtà della procreazione, ha affermato che l’accertamento della verità biologica non costituisce valore incondizionato, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento con gli altri interessi coinvolti, in particolare con il “best interest of the child”, ma ha evidenziato che, se in alcune situazioni la valutazione comparativa è fatta direttamente dalla legge o dal giudice, in altri casi, come nella maternità surrogata, è imposta «l’imprescindibile presa d’atto della verità»18, dato l’interesse pubblico rivestito da quest’ultima19.

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Si veda, Cass., Sez. I, 15 maggio 2019, n° 13000, in motivazione. C. Cost., 28 marzo 2014, n° 62. 16 Cass., Sez. Un., 8 maggio 2019, n° 12193: «Com’è noto, infatti, la Corte costituzionale ha da tempo riconosciuto nella legge n. 40 del 2004 una legge “costituzionalmente necessaria”, osservando che essa rappresenta la prima legislazione organica relativa ad un delicato settore che indubbiamente coinvolge una pluralità di rilevanti interessi costituzionali, i quali, nel loro complesso, postulano quanto meno un bilanciamento tra di essi che assicuri un livello minimo di tutela legislativa». 17 Proprio in ragione di ciò, nella pronuncia del Cass., Sez. I, 15 maggio 2019, n° 13000, la I sezione della Cassazione ha ritenuto invece possibile riconoscere la paternità in caso di fecondazione omologa post mortem. Nella motivazione della sentenza si legge che «la circostanza che si sia fatto ricorso all’estero a P.M.A. non espressamente disciplinata (o addirittura non consentita) nel nostro ordinamento non esclude, ma anzi impone, nel preminente interesse del nato, l’applicazione di tutte le disposizioni che riguardano lo stato del figlio venuto al mondo all’esito di tale percorso». L’interesse del minore costituisce un vero e proprio limite al principio della verità biologica tanto che il legislatore, proprio per perseguire un simile interesse, ha attribuito precipuo rilievo al consenso prestato dai coniugi o conviventi al ricorso alle tecniche di procreazione assistita. Ciò emerge in maniera evidente nella fecondazione eterologa ma è confermato anche nella fecondazione omologa post mortem, con riferimento alla quale, non essendo ravvisabile un contrasto tra favor veritatis e favor minoris, coincidendo quest’ultimo con il diritto del minore alla propria identità, il consenso diventa elemento di effettiva tutela della personalità del minore. 18 C. Cost., 18 dicembre 2017, n° 272. 19 Tuttavia, si deve anche dar conto di un orientamento opposto, all’interno della stessa Cassazione, secondo il quale «se l’unione tra persone dello stesso sesso è una formazione sociale ove la persona “svolge la sua personalità” e se quella dei componenti della coppia di diventare genitori e di formare una famiglia costituisce “espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi” delle persone, ricondotta dalla Corte costituzionale [cfr. C. Cost., 10 giugno 2014, n° 162 e C. Cost., 14 aprile 2010, n° 138] agli artt. 2, 3 e 31 Cost. (e, si noti, non all’art. 29 Cost.), allora deve escludersi che esista, a livello costituzionale, un divieto per le coppie dello stesso sesso di accogliere e anche di generare figli». 15

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Se ciò non fosse vero, si affiderebbe al superiore interesse del bambino il compito di scavalcare i limiti biologici e naturali, giungendo ad affermare che “genitori” sono coloro che si impegnano a crescerlo ed educarlo nel rispetto di quei doveri statuiti nell’art. 147 c.c. e consacrati nella Costituzione. In altre parole, così operando, si tutelerebbe non più il favor veritatis ma il favor affectionis considerando lo status di figlio come «uno strumento inclusivo nel sistema e capace di dare certezza alle relazioni senza apriorismi formali e pregiudiziali etico-religiose o razziali»20. Sul punto, si osservava come l’ottica del diritto si capovolgesse a favore «dell’elemento affettivo, che diventa un velo avvolgente la realtà storica e attenua il valore della ricerca del dato biologico, fino a giustificarne la quasi totale obliterazione»21. In tal modo si assicura piena tutela allo status filiationis ottenuto in un Paese che ammette la maternità surrogata e si evita che «le conseguenze della violazione delle prescrizioni e dei divieti posti dalla legge n. 40 del 2004 imputabile agli adulti che hanno fatto ricorso ad una pratica fecondativa illegale in Italia […] ricadano su chi è nato»22. Proprio in ragione di ciò e soprattutto delle difficoltà insite nella possibilità di trovare una sanzione adeguata alla condotta illecita dei genitori senza conseguenze sfavorevoli per il bambino, la giurisprudenza di legittimità ha aperto degli spiragli alla tutela della nuova famiglia, accordando ad alcune fattispecie “grigie” la protezione garantita alla fecondazione medicalmente assistita. In particolare, con la sentenza Cass., Sez. I, 30 settembre 2016, n° 19599, si è affermato che non può ravvisarsi un contrasto con l’ordine pubblico per il semplice fatto che la norma straniera sia difforme rispetto ad una o più disposizioni del diritto nazionale, per mezzo delle quali il legislatore ha esercitato la sua discrezionalità in una determinata materia23. Per tali ragioni, è stato possibile trascrivere l’atto di nascita di un minore generato da due donne24, una delle quali aveva fornito l’ovulo necessario al concepimento, mentre l’altra lo aveva partorito. La tecnica fecondativa analizzata da tale sentenza, secondo la Cassazione, è assimilabile per un verso alla fecondazione eterologa, alla quale è accumunata dalla necessità dell’apporto genetico di un terzo donatore, e per un altro alla fecondazione omologa, con la quale condivide il contributo genetico fornito da un partner all’altro, all’interno della stessa coppia. Volendo concordare con le ragioni espresse nella motivazione della sentenza, si

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C. Mazzù, Nuovi modelli di status, in Comparazione e dir. civ., 2012, 15. C. Mazzù, Il diritto civile all’alba del terzo millennio, Torino, 2011, 30. 22 Cass., Sez. I, 30 settembre 2016, n° 19599. 23 Nella medesima ottica si veda Cass., Sez. I, 15 giugno 2017, n° 14878 la quale ha affermato che «la contrarietà dell’atto estero all’ordine pubblico internazionale deve essere valutata alla stregua, non solo dei principi della nostra Costituzione», ma anche di quelli consacrati nelle Carte internazionali. A questi ultimi viene attribuita una portata complementare, come confermato da Cass., Sez. Un., 5 luglio 2017, n° 16601. 24 In merito alle presunte conseguenze negative che il minore subirebbe nel crescere con due figure dello stesso sesso già Cass., Sez. I, 11 gennaio 2013, n° 601, pronunciandosi rispetto alla possibilità di affido esclusivo al padre poiché la madre intratteneva una relazione omosessuale, aveva affermato che «non vi sono certezze scientifiche o dati di esperienza che dimostrano che la relazione omosessuale di uno dei genitori possa pregiudicare il rapporto genitori-figli e possa quindi incidere sullo sviluppo psico-fisico del minore». 21

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può quindi affermare che la fattispecie non è pienamente sovrapponibile alla gestazione per conto altrui, in quanto priva della caratteristica essenziale, costituita dal fatto che una donna presti il proprio corpo al solo fine di aiutare una coppia ad avere un figlio. Tuttavia, in tal modo si giunge ad una discriminazione all’interno della medesima categoria, le coppie same-sex. È evidente infatti che il desiderio di genitorialità di una coppia omosessuale di sesso maschile non potrà mai ricevere la stessa protezione dal momento che, per avere un figlio biologicamente legato ad uno dei due partners, essi dovranno obbligatoriamente ricorrere alla gestazione per conto altrui. Non solo, ma non è uguale neanche il procedimento di riconoscimento del legame di filiazione: nel caso in cui il minore sia nato in una coppia di sesso femminile, sarà automaticamente riconosciuta la genitorialità in capo ad entrambe – anche se solo una può vantare un diretto legame genetico-, mentre, nel caso in cui la coppia sia di sesso maschile, il legame di filiazione sarà riconosciuto solo rispetto al genitore biologico25. In conclusione, sebbene si debba tutelare la libertà di autodeterminazione nelle scelte procreative, la maternità surrogata rappresenterebbe il limite oltre il quale cessa di agire il principio di autoresponsabilità e prevale il favor veritatis. Ciò, tuttavia, non implica che l’accertamento del legame biologico e genetico sia un valore assoluto. Come più volte sottolineato dalla CEDU, infatti, è in gioco un aspetto essenziale dell’identità del minore al quale deve essere garantita la possibilità di condurre una vita il più simile possibile a quella delle altre famiglie.

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La Cassazione, a Sezioni Unite, si è infatti così pronunciata in un caso di ricorso alla maternità surrogata da parte di una coppia omosessuale maschile: «Il riconoscimento della efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità ex art. 12, comma 6, L. 40/2004, qualificabile come principio di ordine pubblico in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto della adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici quali l’adozione in casi particolari ex art. 44, 1° comma, lett. d), L. n. 184/1983». Il differente trattamento rispetto all’ipotesi in cui ad essere genitori siano due donne si evince chiaramente dal confronto tra la suesposta massima e quella della sentenza Cass., Sez. I, 30 settembre 2016, n° 19599, secondo la quale «al riconoscimento di un atto di nascita straniero, formato validamente in Spagna, da cui risulti che il nato è figlio di due donne (avendolo l’una partorito e l’altra contribuito alla nascita, donando l’ovulo alla prima, nell’ambito di un progetto genitoriale realizzato da una coppia coniugata in quel paese), non è opponibile un principio di ordine pubblico, consistente nella pretesa esistenza di un vincolo o divieto costituzionale che precluderebbe alle coppie dello stesso sesso di accogliere e generare figli, venendo in rilievo la fondamentale e generale libertà delle persone di autodeterminarsi e di formare una famiglia, a condizioni non discriminatorie rispetto a quelle consentite dalla legge alle coppie di persone di sesso diverso».

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Matilde De Angelis

3. La nascita e lo status di figlio nella maternità surrogata: una fattispecie a formazione progressiva.

Il quesito fondamentale al quale le sentenze citate cercano di rispondere riguarda l’efficacia da riconoscersi ad un atto straniero che, seppur formato in conformità alla legge del luogo in cui è stato redatto, è illecito in Italia. Ciò deriva dal fatto che quello che nell’impianto del Codice civile risulta essere un unico processo nella maternità surrogata si scompone26. Tanto premesso, diviene necessario ricomporre, nel modo più equilibrato e coerente possibile, le esigenze contrapposte di certezza e stabilità dello stato di filiazione e della sua corrispondenza con la verità biologica. In apicibus, occorre considerare che alla base della scelta in merito alla liceità o meno degli accordi di maternità surrogata vi è, innanzitutto, la possibilità di definire un diritto a procreare, inteso nella sua accezione di autodeterminazione fecondativa, e di un diritto al rispetto delle proprie scelte in ambito familiare. Essi sono stati riconosciuti da vari atti internazionali nei quali, tuttavia, manca una norma che li elevi a valori incondizionati. Un primo passo verso la definizione di un diritto a generare, anche al di là delle proprie possibilità, è stato fatto con la legge sulla procreazione medicalmente assistita e, soprattutto, con la sentenza della Corte costituzionale C. Cost., 10 giugno 2014, n° 162 con cui è stato abolito il divieto di P.M.A. eterologa. Con questa pronuncia è stato «ribadito che la scelta […] di formare una famiglia […] costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi» riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost. per cui deve considerarsi illegittimo un divieto che non permetta di superare le difficoltà fisiche. La questione – se si debba tutelare un progetto genitoriale anche al di là delle proprie capacità naturali – deve essere analizzata nell’ottica dell’art. 8 CEDU, rubricato “diritto al rispetto della vita privata e familiare”. Tale disposizione, pur tutelando l’individuo contro ingerenze non giustificate dello Stato, riconosce a quest’ultimo un margine di azione purché sussistano alcune condizioni: l’intervento sia lecito, ovverosia previsto dalla legge e prevedibile da parte dei destinatari, persegua scopi legittimi e sia necessario in uno Stato democratico. In presenza di questi requisiti, si richiede inoltre che il procedimento decisionale sia equo e basato su un principio di proporzionalità tra la misura e lo scopo perseguito. L’art. 8 CEDU assicura il “rispetto della vita privata e familiare” dando per scontata la presenza di una famiglia senza statuire nulla circa un diritto a costituirla. È il successivo

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Infatti, le norme costituzionali e di diritto primario pongono l’accento sulla necessità per il minore di avere un’unica madre che corrisponda alla donna che lo ha partorito mentre nella maternità surrogata si ha la compresenza di due figure femminili, la gestante e la madre intenzionale.

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art. 12 CEDU a precisare che «l’uomo e la donna […] hanno diritto di sposarsi e di formare una famiglia secondo le leggi interne del loro Paese». La coerenza logica – prima ancora che giuridica – insita nell’esplicito richiamo alla normativa interna di ciascuno Stato si infrange dinanzi alle ipotesi in cui una determinata situazione non è uniformemente regolata. In altre parole, laddove una fattispecie – come può essere, nel caso in esame, la maternità surrogata – non goda della medesima protezione in tutti i Paesi, la coppia potrebbe decidere di realizzare il proprio progetto genitoriale in uno Stato diverso da quello di residenza27. Quest’ultimo, al rientro della nuova famiglia, si troverebbe a dover fare i conti con l’avvenuta nascita28. La necessità di un’uniformazione giuridica emerge da una rapida analisi degli ordinamenti europei. Tra i trentacinque Stati che hanno ratificato la Convenzione europea sui diritti dell’uomo, solo quattordici vietano espressamente la pratica in questione mentre in altri dieci manca una regolamentazione ad hoc29. Ciò significa che la presunzione di identità tra la partoriente e la donna che sarà la madre del neonato si scontra con ordinamenti nei quali la “madre” è colei che sceglie di occuparsi del minore. Come già aveva correttamente evidenziato il Tribunale di Roma, nell’ordinanza del 14 febbraio 2000, «la coincidenza tra gravidanza e parto è un costrutto fondamentale della nostra psicologia, e la figura di una madre genetica ma non gestante assume i contorni quasi di una paternità femminile30 che sembra contrastare con le stabili linee della concezione dei rapporti familiari e della procreazione». La scissione tra madre gestante e madre uterina rende il parto l’evento terminale di una complessa vicenda alla quale hanno partecipato diversi soggetti. Al fine di poter giudicare il ruolo svolto dalla madre surrogata dev’essere innanzitutto valutata l’intentio che ha animato il suo gesto. La sua partecipazione può dar luogo a diverse fattispecie, a seconda che provveda alla sola gestazione o collabori al concepimento dell’embrione con il proprio patrimonio genetico. Nel primo caso si parla di accordo di “maternità surrogata gestazionale” (o anche di “maternità portante”, “utero in affitto” o “affitto di ventre”); nel secondo di “maternità surrogata tradizionale” (o anche “madre in affitto”). Per la sua prestazione la gestante potrà ricevere un compenso o solo il rimborso

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Si parla in tal caso di “turismo procreativo”. La scarna disciplina prevista dall’art. 12, l. n. 40/2004 che, al comma 6, si limita a prevedere che «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro», non offre soluzioni nel caso in cui si sia fatto ricorso alla maternità surrogata in uno Stato in cui la pratica è lecita. 29 Tra questi ultimi rientrano Belgio, Repubblica Ceca, Polonia e Lussemburgo. A consentire il ricorso alla gestazione per conto altrui sono dunque, ad oggi, sette Stati: Albania, Georgia, Grecia, Paesi bassi, Regno Unito, Russia e Ucraina. Si tratta generalmente di accordi di maternità surrogata altruistici, in cui la madre naturale non riceve alcun compenso ma solo il rimborso delle spese. Tuttavia, tali accordi possono acquisire un carattere commerciale in Russia, Ucraina e Georgia. 30 G. Ponzanelli, Il caso «Baby M.», la surrogate mother e il diritto italiano, in Foro it., IV, 1988, 97: «[…] Attualmente, gli uomini possono vendere il loro seme. Il “padre sostituto” è riconosciuto in tutti gli Stati. La madre sostituta non lo è. Se un uomo può offrire i mezzi per la procreazione, allora ad una donna deve essere ugualmente consentito di farlo. Diversamente, viene negata la pari tutela della legge alla coppia senza figli, a seconda che il sostituto sia uomo o donna, ed al bambino non nato». 28

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delle spese mediche. In quest’ultimo caso, la gratuità ben può essere testimonianza di solidarietà familiare, determinata cioè dalla volontà di soddisfare il bisogno di maternità di una donna alla quale, per diversi motivi, sarebbe invece negato. In secondo luogo, ci si deve domandare se il consenso finalizzato a tale risultato, concesso nel rispetto delle condizioni di vita e di salute della madre surrogata, mosso dall’interesse di soddisfare esigenze che a volte trascendono la sfera individuale, possa essere vietato aprioristicamente31. Le conclusioni desumibili dalla disciplina dettata dalla l. n. 40/2004 in ordine alla illegittimità della pratica devono necessariamente arrestarsi di fronte al fatto compiuto della nascita. L’unica sanzione per il comportamento illecito dei genitori sarebbe, infatti, l’allontanamento del minore che, tuttavia, non può più avvenire, come chiarito anche dalla CEDU, se è ravvisabile una vita familiare de facto32. Alla giurisprudenza è dunque demandato il compito di scegliere chi, tra madre di parto e madre intenzionale, debba prendersi cura del neonato33. Da un lato, l’opinione che privilegia il rapporto tra feto e madre uterina riconosce la prevalenza di un’ideale di maternità unitario; dall’altro, non manca chi si interroga se quest’ultimo concetto possa disarticolarsi tra i soggetti che partecipano alla nascita del bambino e «ridursi ad uno o più degli aspetti frammentati»34. In quest’ultima ipotesi si definisce un nuovo concetto di famiglia, in cui la nascita diviene una fattispecie a formazione progressiva. Tale situazione era stata evidenziata già dall’ordinanza del 2000 del Tribunale di Roma nella quale si affermava che «nei casi di maternità surrogata la questione del “chi è la madre” è un falso problema, poiché la generazione di un figlio diventa una sorta di fattispecie complessa a formazione progressiva, in cui sia la madre uterina che quella genetica datrice di ovulo appaiono casualmente necessarie al processo che conduce al parto». La complessità risiede nel fatto che il “processo che conduce al parto” è regolato da diversi ordinamenti. In un’ottica di uniformazione dei principi in base ai quali individuare coloro che saranno genitori legali del minore, è necessario riconoscere una preminenza al-

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G. Baldini, Diritto di procreare e fecondazione artificiale tra libertà e limiti, in Dir. fam., 1997, 362: «possono essere date soluzioni diverse, addirittura opposte, a seconda che il ragionamento muova da una concezione utilitaristico-individualista, volta a massimizzare la felicità propria, per la quale è la sola presenza del consenso del singolo a legittimare da sola ogni scelta, oppure muova da una concezione “personalistica” (che è poi quella ispiratrice della nostra Costituzione) ,qui condivisa, secondo la quale l’uomo, in quanto valore in sé e per sé, non può in alcun modo essere ridotto a strumento per la soddisfazione di esigenze individuali e collettive». 32 La separazione del neonato dalla famiglia rappresenta, in ogni caso, una sanzione controversa. Già in materia di affidamento dei figli in caso di separazione o divorzio Cass. Sez. I, 4 maggio 1991, n° 4936 – conforme a Cass., Sez. I, 25 giugno 1981, n° 4127, Cass., Sez. I, 14 aprile 1988, n° 2964, Cass., Sez. I, 22 giugno 1999, n° 6312 – ha precisato che l’affidamento della prole ad uno dei due genitori non può avere funzione punitiva nei confronti dell’altro, ma deve essere rispondente all’interesse morale e materiale dei figli. Alla luce di ciò, non si può considerare sanzione adeguata l’allontanamento del bambino dalla coppia committente. In tal caso, infatti, il provvedimento riveste unicamente funzione punitiva senza tenere in debita considerazione le necessità psico-fisiche e affettive del minore. 33 In altre parole, diviene essenziale definire se in tali casi debbano trovare applicazione le presunzioni codicistiche o se, stante la particolarità della pratica de qua, si debba adottare la disciplina della filiazione definita nella legge sulla procreazione medicalmente assistita. 34 P. Zatti, Maternità e surrogazione, in Nuova giur. civ. comm., 2000, 195.

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la consapevole scelta della genitorialità. Essa rappresenta l’elemento alla stregua del quale, negli Stati che ammettono la maternità surrogata, viene riconosciuto il legame di filiazione anche in assenza di derivazione biologica. In tal modo, «il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa»35 incentrata, piuttosto, sui diritti e doveri dei suoi componenti. Nella maternità surrogata, questi ultimi assumono un rilievo particolare dato che la coppia ha desiderato a tal punto un figlio da aggirare un divieto interno. Tale desiderio è stato valorizzato dalla giurisprudenza americana – e da alcuni studiosi36 – che lo ha elevato a criterio guida nella definizione delle controversie in materia di attribuzione della maternità. In simili casi è essenziale individuare un parametro attributivo della stessa che sia applicabile alla maggior parte degli scenari ipotizzabili, quindi anche alle ipotesi in cui i soggetti che partecipano alla nascita del bambino siano cinque: la coppia committente, la madre surrogata e due donatori. Da un lato, infatti, non è sicuramente applicabile la regola genetica, poiché si arriverebbe al paradosso di attribuire i doveri genitoriali in capo a due soggetti estranei tra loro e che la legge tutela prevedendo che non abbiano alcun legame con il nato. Dall’altro, la regola gestativa ricondurrebbe la maternità alla madre surrogata, la quale tuttavia non avrebbe partecipato a questo progetto procreativo senza la richiesta dei genitori intenzionali e che potrebbe aver preventivamente rinunciato al bambino con la stipula del contratto37. La coppia committente è colei che, sebbene abbia dato l’avvio a tutta la vicenda, non potrebbe vantare alcun diritto sul minore. Ad una rigorosa analisi, infatti, nessuno dei due soggetti che la compongono vanta legami genetici con il nascituro, né la donna lo ha partorito. L’unico titolo che legittima la loro partecipazione è la volontà di avere un figlio e ciò li colloca sullo stesso piano della madre surrogata. Per risolvere il conflitto, l’§8 dello Uniform Parentage Act sposta l’attenzione alla valutazione della volontà espressa dalle parti38. Appare allora chiaro chi debbano considerarsi i genitori naturali. Analizzando ciò che emerge dal contratto, la madre surrogata, al momento della firma, rinuncia ad ogni diritto sul nascituro, per cui accetta di portare a termine la gravidanza nella convinzione che quel

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C. Cost., 10 giugno 2014, n° 162/2014. J.L. Hill, What Does It Mean to Be a “Parent”? The Claims of Biology as the Basis for Parental Rights; M.M. Shults, Reproductive Technology and Intent-Based Parenthood: An Opportunity for Gender Neutrality, 1990; A.E. Stumpf, Redefining Mother: A Legal Matrix for New Reproductive Technologies, 1986. 37 §804 UPA: «Requirements of gestational or genetic surrogacy agreement: content. […] (2) Except as otherwise provided in Sections 811, 814, and 815, the surrogate and the surrogate’s spouse or former spouse, if any, have no claim to parentage of a child conceived by assisted reproduction under the agreement». 38 La valorizzazione del criterio dell’“intent” ha permesso di attribuire i diritti e i doveri genitoriali alla coppia committente anche nei casi in cui il minore non presentava legami genetici con i genitori intenzionali. “In re marriage of Buzzanca” rappresenta il caso emblematico nella giurisprudenza americana. La coppia, desiderosa di avere un figlio, ma fisicamente impossibilitata, aveva fatto ricorso a due donatori e ad una madre surrogata. Al momento della nascita, la madre gestante rinunciava ad ogni diritto sulla minore, ma lo stesso facevano i genitori committenti. Sebbene la corte di primo grado avesse ritenuto la neonata adottabile, perché in stato di abbandono, la decisione fu ribaltata dalla pronuncia in appello con la quale si affermò che la coppia committente, proprio perché aveva dato origine all’intero procedimento procreativo, non poteva disinteressarsi delle sorti della bambina. 36

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bambino non sarà suo. Il parto, spogliato della sua specificazione di genere, diventa allora un elemento meramente fattuale – la cui centralità regredisce fino a divenire oggetto di contrattazione- che deve cedere il posto al forte desiderio della coppia committente. In ogni caso, trattandosi di un atto negoziale per un compito particolarmente delicato sono necessarie particolari tutele ed è da ritenersi, senza dubbio, che esso non possa considerarsi come obbligatorio. In altre parole, alla donna deve essere lasciata la possibilità di decidere di non affrontare il concepimento o l’impianto. La teoria della centralità delle volontà contrattuali ha fatto dubitare la dottrina italiana. Non è mancato chi39 riteneva che, in virtù di un’autonoma e negoziale attribuzione della responsabilità parentale, si sottraesse al legislatore la titolarità esclusiva del potere di disporre degli status personali. A ben vedere si tratta piuttosto di «stabilire qual è, per legge, la fattispecie costitutiva del rapporto di maternità quando la madre da gravidanza e parto non è tale geneticamente e non lei, ma la madre genetica, ha voluto e determinato l’intero procedimento»40. Da questa prospettiva diventa necessario analizzare la questione dando rilievo ai bisogni del nuovo nato, prendendo atto del fatto che «nel nostro sistema, tanto la maternità, che la paternità si configurano come relazioni biunivoche: la relativa tutela non può mai svolgersi, né esaurirsi dando la preminenza ad uno solo dei poli delle stesse, in particolare al genitore quale soggetto che genera e che dà i “geni”, rispetto al nato»41. Elaborare una disciplina della famiglia non tenendo conto dei progressi della scienza medica e assumendo un modello organizzativo diverso da quello reale significa predisporre un complesso di regole destinato ad entrare in incessante conflitto con i bisogni reali42. Una simile conseguenza è stata messa chiaramente in luce dalla Corte di Cassazione nella sentenza n° 13000 del 2019 che ha evidenziato come «il fenomeno dell’emersione di diverse relazioni intersoggettive nelle relazioni affettive è, del resto, in progressiva evoluzione, così da richiedere una tutela sistematica […] dei fenomeni prima sconosciuti o ritenuti minoritari, imponendo soluzioni capaci di emanciparsi da quei modelli tradizionali che rischiano […] di rivelarsi inadeguati». Occorre considerare che le nuove tecniche rendono possibile la scomposizione del processo generativo senza intaccare la certezza delle relazioni umane, come nel caso dei contratti di maternità surrogata gestazionale. In questi ultimi, infatti, la madre surrogata porta “semplicemente” a termine la gravidanza e bambino è biologicamente legato ai genitori committenti, poiché essi forniscono il patrimonio genetico. Il che significa che il procedimento di trascrizione dell’atto di nascita si configura non come giudizio di costituzione di uno status filiationis bensì come giudizio

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A. Trabucchi, Procreazione artificiale e genetica umana nella prospettiva del giurista, in Riv. dir. civ., 1986, 402; P. Vercellone, Fecondazione assistita e status familiari, in Fecondazione assistita. Una proposta di legge da discutere, Roma, 1997, 104. 40 P. Vercellone, La procreazione artificiale, in Tratt. Vassalli, III, 1987, 328. Si potrebbe valutare una correzione del criterio di attribuzione della maternità alla partoriente – ipotesi avanzata dallo stesso autore – nel senso di considerare madre colei che partorisce «il frutto della fecondazione del suo ovulo». 41 M.T. Carbone, Maternità, paternità e procreazione artificiale, in Dir. famiglia, 1993, 881-882. 42 Come ben evidenziato in AA.VV. Manuale del nuovo diritto di famiglia, Piacenza, 2002, 1408.

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di verifica della corrispondenza alla verità di una richiesta attestazione, dal momento che i registri dello stato civile devono contenere atti esattamente corrispondenti alla realtà qual è o dovrebbe essere secondo le previsioni di legge43. Per assicurare questa coincidenza di contenuti bisogna ridefinire «quale sia la tipologia di sindacato spettante all’ufficiale dello stato civile, certamente non equiparabile a quello dell’autorità giudiziaria […] [e] quale sia l’ambito della cognizione del giudice […], in un panorama complesso quale quello attuale della genitorialità, sempre più percorso dalla scomposizione del processo generativo per effetto delle tecniche di procreazione medicalmente assistita»44. Tutto questo comporta che la procreazione, nella società odierna, presenta un particolare dinamismo subordinato agli interessi concreti che è volta a soddisfare e che richiedono di scardinare i limiti imposti da un modello ormai non più al passo con i tempi45. La “responsabilità genitoriale” passa da essere esercizio di un diritto alla procreazione allo svolgimento di una “funzione” genitoriale. I cristallizzati divieti genitoriali devono cedere il passo ad un dinamico contemperamento degli interessi sostanziali. Per far ciò, al giudice deve essere lasciata la possibilità di valutare di volta in volta se la situazione concreta integri o no una fattispecie illecita, senza apriorismi, in modo da garantire il più ampio margine nelle scelte individuali, nel controllo che siano consapevoli e responsabili. Ove tale verifica dia esito positivo, si dovrà provvedere al riconoscimento del rapporto di filiazione per evitare di far ricadere sul minore la sanzione per il comportamento illecito del genitore46. Proprio in ragione di ciò, nelle sentenze Labassée e Mennesson, la Corte EDU ha affermato che la mancata trascrizione del certificato di nascita costituisce una violazione

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In tal senso, si veda Cass. civ., n. 7530/1986. Cass., Sez. I, 15 maggio 2019, n° 13000. Nella stessa pronuncia si specifica che: «una volta verificatasi la nascita per effetto di [P.M.A.], occorre stabilire […] se debbano trovare esclusiva applicazione i meccanismi presuntivi previsti dagli artt. 231-233 cod. civ. […] Orbene, secondo una prima opinione, che muove dall’assunto che la disciplina di attribuzione dello status nella procreazione medicalmente assistita configuri un sistema del tutto alternativo rispetto a quello codicistico, lo status di figlio del nato da P.M.A. non deriverebbe dalle regole applicabili alla generazione biologica naturale, diverse a seconda che il figlio sia nato nel matrimonio o fuori di esso, poiché, invece, detto status verrebbe attribuito direttamente dalla legge e, inscindibilmente, nei confronti della coppia che abbia espresso la volontà di accedere alle tecniche di P.M.A., indipendentemente dal fatto che i genitori siano, o meno, sposati, sicché il consenso dato dal coniuge o convivente alla fecondazione artificiale (che non risulti revocato fino al momento della fecondazione dell’ovulo. Cfr. L. n. 40 del 2004, art. 6, comma 3) avrebbe un significato diverso ed ulteriore rispetto a quello ascrivibile alla nozione di “consenso informato” al trattamento medico e governerebbe lo status identificando la maternità e la paternità del nato nella forma più ampia e certa, senza bisogno di ulteriori manifestazioni di volontà. Per chi ritiene, viceversa, che al nato da P.M.A. si applichino i medesimi principi in tema di filiazione naturale, il consenso dato dal coniuge o convivente alla fecondazione artificiale non inciderebbe direttamente sull’attribuzione dello status del figlio, ma avrebbe solo la funzione di consentire al figlio di identificare il proprio genitore grazie all’assenso da lui prestato alla P.M.A.». 45 Già all’inizio degli anni duemila, P. Zatti, Maternità e surrogazione, in Nuova giur. civ. comm., 2000, 196 evidenziava che: «Siamo nel regno del mediato, della scelta legislativa. Siamo di fronte ad una figura archetipica, ma in parte a una figura culturale, che ha regnato indiscussa nell’inconscio legislativo come in quello umano». 46 Si tenga a mente che l’automatismo secondo il quale la richiesta di trascrizione di un atto di nascita, formatosi in violazione dei divieti di genitorialità sanciti dal legislatore italiano, deve essere rifiutata perché contraria all’ordine pubblico è stato scardinato anche grazie all’intervento del regolamento CE n. 2201/2003 del 27 novembre 2003, il cui art. 23, prevede che, con riferimento alle decisioni relative alla responsabilità genitoriale, la valutazione della non contrarietà all’ordine pubblico debba essere effettuata tenendo conto del superiore interesse del figlio, come anche ribadito successivamente da C. Cost., 18 dicembre 2017, n° 212/2017. 44

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dell’art. 8 CEDU solo nei confronti dei figli poiché, mentre la coppia committente si era posta volontariamente in una situazione illegale, i minori, senza riconoscimento, venivano posti in una situazione di incertezza giuridica lesiva di alcuni fondamentali diritti. Di conseguenza, dalle pronunce della Corte EDU deriverebbe l’obbligo per gli Stati di proteggere, indipendentemente dal legame biologico, l’identità del minore pregiudicata dalla mancata trascrizione dell’atto di nascita47. In conclusione, bisogna dar atto del fatto che, in simili materie, il diritto non riesce a stare al passo con i tempi. In assenza di una legislazione aggiornata, il giudice sarà chiamato a trovare «un giusto punto di equilibrio tra l’esigenza [del diritto] di essere coerente con i valori che esprime ex ante e quella di farsi carico dei fatti che non sempre nascono conformi al diritto e che si radicano nelle esperienze delle persone, generando aspettative che sarebbe disumano deludere del tutto»48. Per tutto quanto sopra esposto, a mente dei principi sanciti dalle recenti sentenze della Cassazione, non è più possibile ricondurre la nascita ad un unicum giuridico. La procreazione, da situazione statica, diviene processo dinamico al quale partecipano soggetti diversi da quelli che formano la coppia49. Se, in un primo momento, il ricorso a donatori permetteva comunque di mantenere saldo il principio per cui mater est quam gestatio demonstrat, espressione della necessaria coincidenza tra parto e gravidanza ai fini dell’assunzione della qualifica di “genitori”, oggi la maternità surrogata scinde anche quest’ultimo elemento. La nascita può quindi definirsi “fattispecie a formazione progressiva” dal momento che, per ottenere l’effetto tipico – ossia la costituzione di una nuova famiglia con ciò che essa comporta dal punto di vista dello status dei suoi componenti – sono necessari più fatti giuridici – eventuale ricorso a donatori, conclusione del contratto con la madre surrogata, accertamento del rapporto di filiazione – cronologicamente e casualmente collegati tra loro.

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Per completezza espositiva si deve riportare una tesi contraria secondo la quale, se da un lato si riconosce la preminenza dell’interesse del minore quale criterio guida nella valutazione della proporzionalità dei mezzi utilizzati dallo Stato per far fronte alla istaurazione, in seguito ad atti illegali, di situazioni genitoriali di fatto, dall’altro si evidenzia che il “best interest” non può divenire valore tiranno o, nella peggiore delle ipotesi, espediente per giustificare ogni progetto genitoriale. 48 Così, A. Renda, La surrogazione di maternità tra principi costituzionali e interesse del minore, in Europa e dir. priv., 2015, 483 ss. 49 Addirittura, come specificato da Cass., Sez. I, 15 maggio 2019, n° 13000, «il considerare le tecniche di P.M.A. come un metodo alternativo al concepimento naturale, oppure alla stregua di un trattamento sanitario volto a sopperire ad una problematica di natura medica […] finisce con il [permettere di] superare il confine terreno dell’unità coniugale».

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Paola Grimaldi

Stalking e bullismo nell’era dei social network* Sommario:

1. L’introduzione del delitto di «Atti persecutori» nel codice penale. La condotta tipica. L’evento. L’elemento soggettivo. – 2. I problemi di diritto intertemporale. – 3. Tipologie di stalker. – 4. Dallo stalking al femminicidio: la violenza di genere – 5. Relazione tra atti persecutori e bullismo: lo stalking scolastico e la responsabilità genitoriale per culpa in educando. – 6. Stalking e bullismo al tempo dei social network. I profili «fake». – 7. Profili di criticità nella legge anti-stalking.

Stalking has become part of our penal system with the decree no. 11/2009 which introduced in the art. 612 bis c.p. the crime of persecutory acts whose notion, over time, has been made ever wider, including mobbing and bullying. Stalking plays a role of undoubted importance also between the measures to combat violence against women and from stalking to femicide the step can be really short if there is no complaint and if nothing is done immediately. The phenomena of stalking and bullying call for particular attention when they are perpetrated through the use of new technologies or related tools, integrating the respective crimes of cyberstalking and cyberbullying.

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Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.

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Paola Grimaldi

1. L’introduzione del delitto di «Atti persecutori» nel codice

penale La condotta tipica. L’evento. L’elemento soggettivo.

Il reato di «atti persecutori» di cui all’art. 612 bis c.p. (c.d. stalking)1 – è stato introdotto dal d.l. 23 febbraio 2009 n. 112, convertito nella legge 23 aprile 2009 n. 38 che definisce in maniera chiara quali comportamenti persecutori siano da considerarsi reato e possano essere oggetto di denuncia. Tale nuova disposizione normativa ha cercato di dare una risposta sanzionatoria appropriata a condotte che, fino ad oggi, ai sensi e per gli effetti dell’art. 660 c.p., venivano inquadrate nei delitti meno gravi di minaccia, violenza privata o nella contravvenzione di molestie. Le vittime sono soprattutto donne “molestate” da ex mariti, da ex conviventi e/o fidanzati. Per la sussistenza del reato è necessaria la reiterazione della condotta criminosa, rappresentata da minacce e/o molestie. Il reato è a forma libera nel senso che tanto le minacce quanto le molestie possono essere realizzate secondo una molteplicità di forme idonee a produrre gli effetti tipici di tali condotte criminose e, quindi, l’effetto coartante sulla libertà psichica della vittima ed una indesiderata intrusione nella sfera personale ed intima della stessa. Due sono i soggetti dello stalking: il persecutore o molestatore assillante (c.d. stalker), cioè colui che mette in atto quell’insieme di condotte (atti persecutori) consistenti, ad esempio, nel seguire la vittima, appostarsi nei luoghi frequentati dalla stessa, telefonarle ripetutamente, ecc. Il bene giuridico tutelato dalla norma è non soltanto la libertà morale e la serenità psichica della vittima, ma anche la sua libertà fisica/incolumità personale. Si tratta di un reato comune potendolo commettere chiunque3. Quanto alla struttura materiale del reato, come già innanzi accennato, la fattispecie appare incentrata essenzialmente sul necessario ripetersi di una condotta di minaccia o di molestia (reato abituale) causativa di uno dei tre eventi alternativi tipizzati dalla norma4:

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Il verbo inglese “to stalk” viene tradizionalmente utilizzato nel gergo venatorio anglosassone per indicare l’attività del cacciatore che “fa la posta” o insegue la preda. Nella letteratura medico-psichiatrica e criminologica, il termine stalking assume la più generale funzione di identificare forme comportamentali caratterizzate dall’assillante attenzione riservata ad un soggetto-bersaglio, manifestantesi attraverso le più svariate modalità di intrusione nella vita di quest’ultimo: pedinamenti ed appostamenti nei luoghi frequentati dalla vittima, invio di sms, e-mail, whatsApp e/o corrispondenza in generale in maniera assillante, continue telefonate, recapito ossessivo di doni, campagne di denigrazione dello stesso nella cerchia dei suoi conoscenti o amici attraverso la divulgazione di notizie false, ma anche comportamenti caratterizzati dalla violenza, come minacce verbali o contenute in scritti ovvero vere e proprie aggressioni fisiche. Decreto Legge 23.2.2009, n. 11, recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori». Cass. pen., sez. V, 9 maggio 2018 n. 20473, ha ritenuto che il delitto di atti persecutori possa essere configurabile anche nell’ambito dei rapporti di vicinato particolarmente animosi; si pensi al caso accaduto a Torino nell’ agosto 2018 quando un soggetto, infastidito dal canto degli uccellini, ha preso a martellate la porta dei vicini di casa. In ambito scolastico, dove due minori venivano denunciati per atti di bullismo nei confronti di un compagno di classe, Cass. pen., sez. V, 11 giugno 2018 n. 26595, ha ritenuto che «offendere, deridere, picchiare un compagno di classe è stalking. Dinanzi a tali fatti attuati all’interno di una scuola si incorre, dunque, secondo i Giudici negli atti persecutori previsti dall’art. 612 bis c.p.». Dalla entrata in vigore della disciplina concernente il reato di stalking, numerose sono state le pronunce che si sono occupate di

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Stalking e bullismo nell’era dei social network

1) perdurante e grave stato di ansia o paura della vittima: tale stato prescinde dall’accertamento di un vero e proprio stato patologico e non richiede necessariamente una perizia medica5; 2) fondato timore per la propria incolumità o per quella di persona comunque ad essa affettivamente legata: rispetto a tale evento, l’esistenza di precedenti condanne a carico del soggetto agente per reati affini allo stalking (es. percosse, minacce e maltrattamenti) commessi in danno della vittima stessa andrà a corroborare il giudizio di ragionevolezza dei timori palesati dalla vittima6; 3) costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita. Quanto all’elemento soggettivo, il dolo, esso è generico e consistente nella coscienza e volontà di porre in essere/attuare volontariamente ogni singolo atto; vuol dire, dunque, volontà di sottoporre abitualmente la vittima ad una condotta offensiva.

2. I problemi di diritto intertemporale. Ci si è posti in giurisprudenza un quesito di diritto intertemporale: ci si è chiesti, dunque, se debbano essere prese in considerazione anche quelle condotte che siano state compiute prima della entrata in vigore del decreto legge e che unitamente a quelle realizzate successivamente, rivelino la sussistenza di quella reiterazione cui si è inteso ascrivere rilievo penale. Dopo un contrasto interpretativo avutosi nella giurisprudenza, è prevalsa la tesi estensiva secondo la quale, nel valutare il contesto complessivo in cui la condotta persecutoria viene attuata e si sviluppa, bisogna attribuire valore anche ai fatti commessi prima della entrata in vigore del decreto legge.7

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tale questione. Di seguito, quelle che sembrano essere le pronunce più rilevanti: Cass., 9 maggio 2012, n. 24135, secondo cui: «in tema di atti persecutori, la prova dello stato di ansia o di paura denunciato dalla vittima di reato può essere dedotta anche solo dalla natura dei comportamenti tenuti dall’agente; Corte Cass. 7 marzo 2011 n. 8832: è configurabile il delitto di stalking di cui all’art. 612 bis c.p. quando il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, abbia cagionato un grave e perdurante stato di turbamento emotivo, essendo sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima»; Cass. pen., sez. V, 24 maggio 2017, n. 25940, secondo cui: «in tema di social network, è punibile a titolo di stalking chi entra costantemente nel profilo Facebook della ex. È infatti perseguibile per stalking colui che si intromette nella vita privata di una persona, allo scopo di destabilizzarla con condotte ossessive e assillanti costanti, attraverso accessi indebiti nell’account email o nel profilo Facebook della stessa». Cass. pen., sez. V, 19 gennaio 2016, n. 30334. Cass. pen., sez. V, 24 giugno 2015 n. 50728. Trib. Milano, 17 aprile 2009.

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3. Tipologie di stalker. Quanto alle tipologie di stalker e ai vari profili psicologici che se ne possono trarre, ne sono state individuate cinque differenti: – Il risentito: solitamente si tratta di un ex partner che vuole vendicarsi dopo la fine del rapporto con la vittima; spinto da risentimento, ha quale scopo quello di ledere sia l’immagine della persona (pubblicazione/diffusione di foto osè sul web, magari nell’ambiente di lavoro, ecc.) e sia la persona stessa (aspettandola sotto casa, assillandola con telefonate, ecc.) e sia mediante danneggiamento di cose di proprietà della stessa; – Il bisognoso di affetto: solitamente agisce nell’ambito dei rapporti professionali stretti (si pensi al rapporto tra medico-paziente) fraintendendo l’aiuto che la vittima gli dà interpretandolo come un particolare interesse nei propri confronti; – Il corteggiatore incompetente: in tal caso lo stalker manifesta una scarsa abilità relazionale ed il tutto viene tradotto in comportamenti opprimenti ed invadenti; – Il respinto: si tratta di uno stalker ex partner che manifesta comportamenti persecutori in relazione al rifiuto da parte della vittima; – Il predatore: lo stalker in tal caso ha quale scopo quello di avere rapporti sessuali con la vittima che viene pedinata, inseguita e spaventata. Gli atti persecutori si concretizzano, dunque, in un insieme di condotte vessatorie, sotto forma di minaccia, molestia, atti lesivi continuati nel tempo che inducono nella vittima un disagio psichico e fisico ed un ragionevole senso di timore. In sede penale il reato, come sopra detto, previsto dall’art. 612 bis c.p., viene punito a querela della persona offesa con termine per la proposizione della querela di sei mesi decorrenti dal momento in cui il reato è consumato, quindi, da quando la persona offesa altera le proprie abitudini di vita o cade nello stato di ansia o di paura innanzi precisate8. Si procede tuttavia d’ufficio quando: – il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona disabile; – il fatto è commesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio; – il soggetto sia stato già precedentemente ammonito9.

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Il termine dei sei mesi per proporre querela corrisponde non a caso a quello previsto dall’art. 609 septies per i reati di violenza sessuale perché la ratio è analoga e va ravvisata nella salvaguardia della persona offesa, in considerazione della sofferenza interiore vissuta da chi si trova costretto a denunciare e a rendere pubblico un comportamento gravemente lesivo della propria sfera intima e privata, realizzato, il più delle volte da soggetti molto vicini alla vittima. L’art. 8, Legge 23.4.2009, n. 38, prevede che fino a quando non viene proposta querela per il reato di stalking, la persona offesa ha facoltà di esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti del soggetto autore della condotta; la richiesta viene avanzata senza ritardo al questore il quale, assunte tutte le necessarie informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate sui fatti, ammonisce il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere un comportamento conforme a legge. Lo scopo della procedura di ammonimento è quello di prevenire la consumazione del reato di atti persecutori e, nello specifico, ad interrompere qualsiasi atteggiamento di interferenza nella vita privata della vittima/richiedente tale misura di prevenzione. Da tale procedura derivano importanti conseguenze sotto il profilo sanzionatorio perché qualora, infatti, l’ammonito insista nella propria condotta persecutoria, andrà incontro ad un aumento della pena per il delitto di cui all’art. 612 bis che sarà, in tal caso, procedibile d’ufficio; in particolare è stato introdotto il nuovo art. 283 ter c.p.p., rubricato

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Una volta sporta querela contro lo stalker, in sede civile alla vittima verrà certamente riconosciuto: – il danno morale che attiene alla sfera prettamente personale, soggettiva ed interiore inteso come turbamento psichico transitorio e soggettivo conseguente al reato da ritenersi sussistente in via presuntiva alla luce del grave fatto illecito subito; questo pregiudizio non potrà che liquidarsi in via equitativa (ex art. 1226 c.c. e 2056 c.c.); – il risarcimento del danno patrimoniale se quantificabile e se provato un quantum di danno subito; – il danno esistenziale se verrà data prova del peggioramento della qualità della vita a seguito delle condotte di stalking subite dalla vittima10.

4. Dallo stalking al femminicidio: la violenza di genere11. Lo stalking riveste un ruolo di indubbio rilievo anche fra le misure di contrasto alla violenza sulle donne e, per fortuna, si è registrata già dal 201612 una crescente tendenza alla denuncia degli atti persecutori; anche perché, in tal senso, dallo stalking al femminicidio il passo può essere davvero breve se non si denuncia e se non si interviene subito. Si parla di femminicidio per indicare l’omicidio della donna in quanto donna ovvero l’omicidio basato sul genere. La colpa di queste donne ammazzate è stata quella di aver trasgredito al ruolo ideale di donna imposto dalla tradizione, di donna obbediente, di brava madre e di brava moglie, di essersi prese la libertà di decidere cosa fare delle proprie

«Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa». Nella definizione data dal Prof. Paolo Cendon il danno esistenziale è precisamente una lesione della personalità del soggetto che si sostanzia in una alterazione apprezzabile della qualità della vita consistente in un “agire altrimenti” o in un “non poter più fare come prima”. 11 Si parla di violenza di genere per indicare tutte quelle forme di violenza (psicologica, fisica, sessuale, economica) che colpiscono le donne in quanto donne. In Italia si tratta di una nozione relativamente recente se si considera che non sono passati neppure cinquant’anni da quando era ancora permesso al capofamiglia l’uso di mezzi di correzione e disciplina nei confronti della moglie e dei figli. Soltanto con il nuovo diritto di famiglia è stata disposta, nel 1975, l’abolizione dell’autorità maritale. Nel 1981 sono scomparsi il delitto d’onore che riduceva in maniera significativa le pene per chi provocava la morte “del coniuge, della figlia o della sorella” come reazione alla scoperta di una relazione illegittima o di altro comportamento che arrecasse “offesa all’onor suo o della sua famiglia” e il matrimonio riparatore che consentiva allo stupratore di estinguere il reato sposando la propria vittima. Nel 1996 è stato ridefinito il reato di violenza sessuale da “reato contro la morale e il buon costume” a “reato contro la persona e contro la libertà individuale”. Nel 2001 è stato introdotto l’allontanamento del familiare violento e sono state previste misure di protezione sociale per le donne che subiscono violenza. Nel 2009 sono stati previsti strumenti concreti di repressione contro gli atti persecutori (il cd. Stalking). La vera novità si è avuta quando è stata recepita la Convenzione di Instambul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica; agli obblighi imposti dalla detta Convenzione ha dato attuazione il decreto antifemminicidio che, sempre nel 2013, ha introdotto una serie di misure sia di carattere preventivo che repressivo e che nel corso del presente lavoro verranno più ampiamente illustrate. Nel 2015 è stato approvato il primo Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere, seguito nel 2017 dal Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne. 12 Le donne sono più esposte degli uomini ai fenomeni di stalking: nel 2016 hanno rappresentato il 74% delle vittime. Da quando, nel 2009, è entrata in vigore la Legge che introduce il reato, i dati mostrano una crescente tendenza alla denuncia: dai 9.027 atti persecutori denunciati nel 2011 ai 13.177 nel 2016 (+ 45%). Anche le condanne sono in forte aumento: dalle 35 sentenze per stalking nel 2009 alle 1.601 nel 2016. 10

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vite, di essersi sottratte al controllo e al potere del proprio padre, marito, partner, compagno, amante, ecc… Tra i provvedimenti adottati dalla Legge 15 ottobre 2013 n. 119 (cd. legge sul femminicidio) si possono riportare, a titolo esemplificativo e non esaustivo i seguenti: – considerata circostanza aggravante la relazione sentimentale con la donna: in tal caso ci sarà l’aumento di un terzo della pena; basta un legame sentimentale per fare scattare la pena più pesante nei confronti del condannato. La nuova aggravante comune sarà applicabile anche al maltrattamento in famiglia ed anche a tutti i reati di violenza fisica commessi in danno di minori o in danno di donne incinte; sono state previste pene inasprite anche nel caso di violenza sessuale contro donne in gravidanza o commessa dal coniuge (anche separato o divorziato) o comunque legato da relazione affettiva con la stessa; – arresto obbligatorio in flagranza ed introduzione del braccialetto elettronico: se le forze dell’ordine sorprenderanno un soggetto nell’atto di commettere i reati di maltrattamenti in famiglia e stalking dovranno arrestarlo all’istante; se ricorrono minacce gravi e violenze, potrà essere applicata la misura dell’allontanamento dalla casa familiare ed il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. I destinatari di tale provvedimento potranno essere controllati attraverso il braccialetto elettronico e nel caso di atti persecutori sarà possibile ricorrere alle intercettazioni telefoniche; – nei casi di maltrattamenti in famiglia e di violenza assistita, oltre ai rimedi penalistici di cui all’art. 572 c.p. ci sono quelli civilistici di cui al 330 c.c. e 333 c.c. che contemplano le ipotesi di allontanamento dalla residenza familiare ed addirittura di decadenza dalla responsabilità genitoriale quando uno dei genitori adotti comportamenti pregiudizievoli per i figli che, quindi, possano negativamente influire sullo sviluppo armonico degli stessi; – nei casi di orfani a causa di crimini domestici (si calcolano ad oggi circa 1600 orfani da femminicidio) la Legge 11 gennaio 2018 n. 4 ha introdotto una serie di novità di rilievo tra cui: l’ergastolo nel caso di uxoricidio (normalmente le pene previste sono di 21 anni per l’omicidio; da 24 a 30 anni per omicidio nei confronti di persona a cui si è legati affettivamente); il sequestro conservativo dei beni dell’indagato a garanzia dei minori orfani; l’indegnità a succedere dell’indagato nei confronti del coniuge; l’esclusione dalla pensione di reversibilità del coniuge per l’indagato (pensione che invece andrà ai figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti); la possibilità di modificare il proprio cognome per i figli orfani a causa di crimini domestici. Pur apprezzando lo spirito del Legislatore che, con tale ultima Legge, ha inteso arricchire e completare il quadro normativo dedicato alla materia delle “violenze domestiche”, prima d’ora carente di ulteriori norme generali che regolassero aspetti cruciali di tali vicende, non si può, però, non sottolineare i punti di criticità che si rinvengono nel testo della Legge tra cui quelli concernenti la responsabilità genitoriale; in particolare, si segnala la mancanza nel testo di legge di una norma che preveda l’obbligo per il pubblico Ministero, che indaghi su questo tipo di delitti, di segnalare la situazione alla Procura presso il Tribunale per i

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Minorenni, la quale ha la competenza per l’avvio dei procedimenti relativi alla sospensione e/o decadenza dalla responsabilità genitoriale. A fronte del riportato impianto normativo con le relative tutele ed inasprimento delle pene, fino ad oggi, nel 2018, sono state uccise donne nella misura del 30% in più rispetto al 2017; ad uccidere sono stati, nella quasi totalità dei casi, mariti, compagni o ex, incapaci di accettare la fine della relazione o la volontà della partner di volersi ricostruire una vita al di fuori della coppia13. Come mai, ci si chiede, nonostante esistano strumenti a tutela della donna e pene inasprite, ancora si verificano tanti femminicidi che non sono destinati a placarsi ma anzi ad aumentare? Queste potrebbero essere le ragioni: manca un piano ben definito per la riabilitazione degli stalker che spesso, spinti da dipendenze affettive, non hanno strumenti idonei a placarsi autonomamente; non è sufficiente agire solo quando il reato si è consumato, ma è indispensabile intervenire prima, attraverso una incisiva opera di comunicazione, di informazione, di supporto alla cultura di genere; il femminicidio non può fermarsi a livello di emergenza; è un problema culturale, sociale, pedagogico che si manifesta e si riproduce nei linguaggi, nei ruoli reciproci e nel persistere di una rappresentazione stereotipata della donna. Dunque, accanto all’inasprimento delle pene, è necessario intervenire nella direzione di un cambiamento dei modelli maschili fondati sul possesso, sulla sopraffazione e sulla aggressività nei confronti della donna, ma anche sulla educazione sentimentale che abitui al rispetto della dignità altrui e della autonomia. Ancora, risulta necessario incrementare la formazione mirata degli operatori chiamati ad occuparsi del fenomeno che non può essere considerato alla stregua di qualunque altro problema di allarme sociale. Sono, infatti, ancora tanti i cd. delitti annunciati che fanno seguito a denunce sottovalutate a causa della mancanza di sensibilità e di attenzione specifica di certi operatori giudiziari a cui le donne si rivolgono. Si pensi, a tale ultimo proposito, alla scandalosa sentenza della Corte di Appello di Messina del 19 marzo 2019, n. 198 (cd. sentenza Manduca) che ha annullato il risarcimento di 259.200,00 euro che nel giugno 2017 era stato previsto in primo grado per i tre figli minorenni di Marianna Manduca, dopo aver riconosciuto la responsabilità civile dei magistrati rimasti inerti nonostante le dodici denunce della donna, poi uccisa dal marito; il tutto, sul presupposto che «(…) ritiene la Corte che l’epilogo mortale della vicenda sarebbe rimasto immutato». Ed ancora, sul punto, si rifletta sulla vergognosa sentenza della Corte Assise Appello di Bologna dell’8 febbraio 2019 n. 29, che ha dimezzato la pena di Michele Castaldo, omicida dell’ex compagna Olga Matei, sulla base della presunta «tempesta emotiva» che lo avrebbe spinto all’omicidio.

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Fonte Rapporto EURES in <www.eures.it>.

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Per garantire e rinforzare la tutela nei confronti delle vittime di violenza domestica e di genere, il 17 luglio 2019 è stato approvato in Senato il Codice Rosso14 che mira ad offrire una “corsia preferenziale alle denunce” assicurando indagini più rapide e tempestività della adozione degli interventi cautelari o di prevenzione e preservando l’incolumità delle vittime di violenza, inasprendo tutte le pene e le aggravanti ed introducendo nuove ipotesi di reato. Di seguito alcune delle rilevanti novità del Codice Rosso: – viene integrato l’art. 347 c.p.p. prevedendo l’obbligo per la polizia giudiziaria di comunicare al pubblico ministero «senza ritardo» le notizie di reato relative ai delitti di maltrattamento, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate commessi in contesti familiari o in relazioni di convivenza; – viene modificato l’art. 362 c.p.p. garantendo alla vittima il diritto di essere ascoltata dal PM entro tre giorni dalla iscrizione della notizia di reato; termine da considerarsi derogatorio se ci sono imprescindibili esigenze di tutela della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa; – viene integrato l’art. 370 c.p.p. obbligando la polizia giudiziaria a dare priorità allo svolgimento delle indagini delegate dal PM agendo senza ritardo qualora si proceda per tutta una serie di reati tra cui maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenza sessuale ed atti persecutori15; – viene prevista l’attivazione di specifici corsi obbligatori16 rivolti al personale che esercita funzioni di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, presso i rispettivi istituti di formazione; – viene introdotto nel codice penale il reato di sfregio con uno specifico articolo sui casi di aggressione ad una persona, con lesioni permanenti al viso fino a deformarne l’aspetto. Il responsabile in questi casi è punito con la reclusione da 8 a 14 anni e se lo sfregio provoca la morte della vittima, scatta l’ergastolo; – viene introdotto il reato di matrimonio precoce e/o forzato che punisce chi induce un altro a sposarsi usando violenze, minacce o approfittando di una condizione di inferiorità psico-fisica e di precetti religiosi; – viene introdotto il reato di revenge porn per chiunque, per vendetta, invii, consegni, ceda, pubblichi o diffonda foto o video di organi sessuali o contenuto sessualmente

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Disegno di legge proposto dai Ministri della Giustizia Alfonso Bonafede e della Pubblica Amministrazione Giulia Bongiorno, in data 17 luglio 2019 approvato in Senato (Atto Senato n. 1200 – XVIII Legislatura) e che con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale sarà quindi legge. 15 Il primo caso di condanna dell’Italia da parte della Corte europea del diritti dell’uomo, per violazione degli artt. 2, 3 e 14 della Convenzione dei diritti dell’uomo, nel settore della violenza domestica per non aver agito con sufficiente rapidità per proteggere una donna e suo figlio dagli atti di violenza domestica perpetrati dal marito che hanno poi portato all’assassinio del ragazzo e al tentato omicidio della moglie. Sul punto v. Corte EDU, sez. I, 2 marzo 2017 (ricorso n. 41237/14), causa Talpis c. Italia, in <www. giurisprudenza penale.it>. 16 Va precisato, però, che percorsi formativi ad hoc già ci sono e che esistono procedure codificate per interventi operativi per reati domestici e contro le donne; si pensi al protocollo EVA (Esame Violenze Agite), messo a punto dalla questura di Milano ed esportato in tutta Italia; si ricordi, inoltre, l’uso del sistema SARA (Spousal Assault Risk Assessment) per valutare il rischio del ripetersi di abusi, in situazioni concrete.

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esplicito di una persona senza il suo consenso, rischiando da 1 a 6 anni di reclusione ed una multa da 5000 a 15.000 euro. La pena verrà aumentata se l’autore di tali fatti è il coniuge, anche separato o divorziato, o un ex o se i fatti sono avvenuti con strumenti informatici. A rallentare i lavori in corso sul d.d.l. de quo è stata la spaccatura avutasi nel mese di marzo 2019, in sede di approvazione dello stesso alla Camera sull’emendamento presentato dalla Lega di modifica dell’art. 163 c.p. per l’introduzione della castrazione chimica per coloro che si rendono responsabili di stupro, alla fine bocciato. Preso atto del fatto che il Codice Rosso costituisce una novità positiva per il nostro ordinamento, l’evidente difetto, però, è quello di percepire la violenza contro le donne come fenomeno emergenziale da affrontare esclusivamente con misure penali, nonostante i fatti dimostrino che, invece, si tratta di una manifestazione strutturale della disparità di potere tra uomini e donne. Gli uomini che uccidono le donne non modificano il loro comportamento in base al codice penale considerato che sugli stessi la legge non ha alcun effetto deterrente; bisognerebbe, quindi, lavorare e “trattare” gli uomini maltrattanti per evitare i casi di recidiva, ma in tal caso, c’è bisogno di misure finanziarie ad hoc che non sono state previste. Lacuna non colmata è quella della previsione dell’arresto in flagranza differita che eviterebbe alle donne denuncianti di rifugiarsi presso centri antiviolenza per paura di incappare nella vendetta dell’uomo maltrattante. Quanto alla formazione delle forze dell’ordine e della polizia giudiziaria, ci si chiede chi e come verrà fatta la stessa considerato che sarebbe opportuno che si procedesse nella direzione della formazione multidisciplinare perché il tema della violenza domestica non è soltanto investigativo o processuale, ma più profondamente culturale. Il Codice Rosso, quindi, nonostante le tante previsioni altisonanti, non sembra in grado di garantire piena tutela alle vittime della violenza di genere perché tanti sono ancora i nodi da sciogliere ed è evidentemente destinato a scontrarsi con la realtà dei fatti. Occorrerebbe, quindi, pensare ad interventi organici17 su questi temi volti a rendere omogenea l’attività di contrasto al fenomeno tanto dal punto di vista della vittima quanto a quella della punizione del reo.

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In Spagna, dal 2004, esiste una Legge organica di misure di protezione integrale contro la violenza di genere (violenza machista); il fenomeno certo non è cessato, ma si è ridotto considerevolmente perché grazie proprio alla introduzione del concetto di violenza di genere nel codice penale spagnolo, distinto da quello di violenza domestica che non distingue tra uomini e donne, del fenomeno si è avuta maggiore visibilità e molta più consapevolezza a livello sociale perché in tal modo viene evidenziato che questo tipo di violenza è di particolare gravità perché è la violenza commessa da un uomo machista che si considera superiore ad una donna solo per il fatto di essere maschio.

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5. Relazione tra atti persecutori e bullismo: lo stalking

scolastico e la responsabilità genitoriale per culpa in educando.

La quinta sezione della Corte di Cassazione18 pronunciandosi sul tema del bullismo e confermando le pene per due ragazzi che alla vittima avevano determinato sia un evidente alterazione delle condizioni di vita del minore che un accertato stato di ansia e di paura per la propria incolumità fisica, ha affermato che «offendere, deridere, picchiare un compagno di classe è stalking» e che dinanzi a fatti tali, pure se attuati all’interno di una scuola, si incorre, secondo i giudici, negli atti persecutori di cui all’art. 612bis c.p. introdotto con il decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11. Nel caso specifico la Corte precisa che il fenomeno dello stalking è entrato a far parte del nostro ordinamento penale con il d.l. n. 11/2009 che ha introdotto all’art. 612bis c.p. il reato di atti persecutori la cui nozione, nel tempo, è stata resa sempre più ampia facendo rientrare in essa anche episodi di mobbing e di bullismo. Il bullismo, infatti, si concretizza in una relazione violenta fondata su una sproporzione di potere che lega il bullo alla vittima19. L’attenzione alla tematica è di forte attualità, colta ed affrontata anche dalla recente Legge 13 luglio 2015, n. 107 (cd. Buona Scuola) che ha definito la prevenzione ed il contrasto alla discriminazione e al bullismo, anche informatico20, come uno degli obiettivi formativi prioritari. Tuttavia, seppur trattasi oramai di un fenomeno diffuso e studiato su più fronti, continua ad essere privo di una regolamentazione civile e penale ad hoc che prenda in considerazione il fenomeno e lo sanzioni specificamente. Ad oggi, però, come già sopra ampiamente specificato, il reato di stalking ben si presta a punire il comportamento del bullo.

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Cass. pen., sez. V, 11 giugno 2018, n. 26595. L’autore, in ambito internazionale, che più a lungo ha studiato il bullismo è stato Dan Olweus che, fin dalle sue prime ricerche , condotte negli anni settanta in Norvegia, ha iniziato a delineare il fenomeno precisando che «uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni. Un’azione viene definita offensiva quando una persona infligge intenzionalmente o arreca un danno o un disagio ad un’altra». Per un approfondimento sul tema cfr. D. Olweus D. e A.M. Dema, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Firenze, 2007. 20 La diffusione di Internet e della Rete ha aumentato certamente il potenziale offensivo del bullismo rendendolo ancora più persistente e pericoloso. Si parla oggi di Flaming, Harassment, Denigration, Outing, Trickery, Exclusion, Cyberstalking, Sex Extortion, Cybersharing o Happy Slapping, fenomeni dietro ai quali si celano quotidiane situazioni di cyberbullismo comuni a molti ragazzi. 19

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6. Stalking e bullismo al tempo dei social network. I profili «fake»21.

I fenomeni dello stalking e del bullismo richiamano una particolare attenzione laddove siano perpetrati attraverso l’uso delle nuove tecnologie o di strumenti ad esse correlati22, integrando i rispettivi reati di cyberstalking e di cyberbullismo23; va osservato che l’utilizzo di mail ossessive, video e messaggi diffamatori, ingiurie, ricatti, frasi denigratorie lanciate attraverso i social network nei confronti di una persona, non sono certo da considerarsi atti meno gravi e pericolosi delle offese pronunciate de visu o degli appostamenti sotto casa della vittima. Il cyberstalking non trova un esplicito riferimento nel panorama normativo e sempre più spesso i giudici si trovano, oggi, ad interrogarsi sulla possibilità di configurare fattispecie di stalking in rete e ad applicare, di conseguenza, la disciplina di cui all’art. 612 bis c.p. alle ipotesi di cyberstalking. Nello specifico, la Corte di Cassazione si è pronunciata nei confronti di un giovane, ribadendo la rilevanza del reato di stalking e confermando nei confronti di questi il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dall’ex ragazza convivente nei cui confronti l’imputato si era reso responsabile di continui messaggi inviati tramite Facebook contenenti minacce ed ingiurie ed aveva, inoltre, violato il domicilio della vittima, percosso la stessa cagionandole lesioni; comportamenti tali da cagionare nella ragazza un grave disagio psichico ed un giustificato timore della stessa di uscire dall’abitazione24. Lo strumento cibernetico offre, peraltro, allo stalker la possibilità di agire in totale anonimato, abbassando, dunque, fortemente la percentuale di probabilità di essere scoperto, attraverso la creazione di un cd. fake account ossia di un falso profilo che non rappresenta la vera identità dell’utilizzatore che, quindi, consuma le proprie condotte indisturbato25. A

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Aprire un profilo falso sui social non costituisce reato a meno che si assumano i connotati di una persona realmente esistente rubandoglieli nel qual caso siamo davanti al reato di “furto di identità”. Altra ipotesi, purtroppo oggi giorno ricorrente, in cui il profilo fake sui social network è reato è quella in cui il fake viene utilizzato per “adescare” minorenni, nel qual caso è altresì prevista una apposita aggravante di pena. Ancora, quando la creazione di un fake viene effettuata al fine di infastidire un’altra persona in chat scatta il reato per molestie che, come precisato da Cass. pen., sez. I., 11 luglio 2014, n. 37596, «(…) si può configurare anche sui social network trattandosi di luogo virtuale ove è consentito l’accesso di chiunque utilizzi la rete»; si tratterebbe, quindi, di “luogo aperto al pubblico”. Quando poi il comportamento fastidioso in rete diventa assillante, ripetuto ed insistente, si può incorrere nel reato di stalking. 22 È da ricordare che nel 2015 è stato elaborato dalla Commissione per i diritti e i doveri in Internet, presso la Camera dei Deputati, il Testo concernente la “Dichiarazione dei diritti in Internet” con il quale si garantiscono e riconoscono i diritti dell’uomo anche nella piattaforma informatica. Il testo integrale è consultabile in <http://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg17/ commissione_internet/dichiarazione-dei_diritti_internet_pubblicata.pdf>. 23 Per un approfondimento sul tema cfr. G. Cassano, Stalking, atti persecutori, cyberbullismo e diritto all’oblio, Milano, 2017. 24 Cass. pen., sez. V, 24 giugno 2011, n. 25488. 25 Un fenomeno sempre più diffuso in rete è quello dei cd. leoni da tastiera caratterizzato da utenti del web che scrivono in modo aggressivo, spesso insultando, offendendo, screditando e minacciando altri utenti; questi soggetti, nell’adottare tali comportamenti scorretti e spregevoli, sono agevolati dal senso di deresponsabilizzazione derivante dall’uso di utenze anonime. La Germania è stata la prima nazione europea ad emanare, nel 2017, la Gesetz zur Verbesserung der rechtsdurchsetzung in sozialen Netzwerken (in

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tale proposito, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla rilevanza penale della condotta di un utente di Facebook il quale, dopo aver creato una pagina offensiva a nome di una sua coetanea, aveva diffuso del materiale diffamatorio. Sia nei confronti del Tribunale che della Corte di Appello territoriale che avevano ritenuto l’imputato responsabile dei fatti commessi, questi sollevava il difetto di tipicità ritenendo che l’utilizzo dei social network come strumento di condotta non sarebbe ascrivibile al reato di cui al capo di imputazione dai giudici formulato nei suoi confronti; la Cassazione, rigettando il ricorso dell’imputato, ha ritenuto invece che siffatte condotte di cyberstalking siano proprio ricollegabili al reato contestatogli, dal momento che integrano l’elemento oggettivo richiesto per gli atti persecutori precisando che «le vessazioni perpetuate nel virtuale mondo del web, anziché attraverso condotte concretamente e durevolmente percepibili nel mondo reale, devono ritenersi penalmente rilevanti in egual misura»26. Spostando l’attenzione su un altro fenomeno, quello del cd. cyberbullismo27 definito e regolamentato dalla legge 29 maggio 2017 n. 7128, è importante evidenziare come, già nel 2016, il Ministero della Giustizia si sia adoperato per presentare una guida on-line dal titolo “Pensa prima di condividere”29, un documento che ha lo scopo di educare il minore ad un uso prudente del web. Prima ancora della entrata in vigore della legge su richiamata, l’attenzione alla tematica era stata dimostrata anche dal Ministero dell’Istruzione della Ricerca attraverso la già citata legge n. 107/2015 (cd. sulla Buona Scuola) che invita le istituzioni scolastiche a raggiungere “obiettivi formativi prioritari” tra i quali sono testualmente individuati «la prevenzione e contrasto della dispersione scolastica, di ogni forma di discriminazione e del bullismo, anche informatico»30.

Federal Gazette, I, p. 3352 ff..); una legge contro gli hater che mira a responsabilizzare le grandi piattaforme virtuali che, in caso di inadempienze, possono essere multate fino a 50 milioni di euro. 26 Cass. pen., sez. V, 28 dicembre 2017, n. 57764. 27 Il termine cyberbulling è stato coniato nel 2002 dal docente canadese Bill Belsey che, nel suo lavoro dal titolo Cyberbullyng: An Emerging Threat to the “Always On” Generation, spiega che nel cyberbullismo o bullismo online l’aggressività è imposta attraverso le abilità e le competenze acquisite nelle nuove tecnologie, mediante gli strumenti di rete, con l’intento di umiliare la dignità delle altre persone e con l’obiettivo principale di molestare, danneggiare, svalutare, disprezzare un individuo o un gruppo di persone. 28 Si può dire che i casi scatenanti la Legge sono stati due: il primo è quello del tragico suicidio di Carolina Picchio avvenuto nella notte tra il 4 e il 5 gennaio 2013 a Novara; la ragazza era stata molestata sessualmente nel corso di una festa, nel novembre precedente, da un gruppo di ragazzini tra i 13 e i 15 anni. I video girati in quella occasione cominciarono a circolare su Facebook portandola alla disperazione. L’altro caso emblematico è del 2016 quando, all’uscita dell’istituto enogastronomico della provincia di Cagliari, un video di tre minuti immortala una bulla di 16 anni che picchia una sua coetanea tra oltre trenta compagni che la incitano a picchiarla sempre più; il video fa il giro dei social con 64mila condivisioni e 2300 commenti. 29 In <https://www.giustizia.it/giustizia/protected/1285216/def/ref/NOL1284511/>. 30 Il cyberbullismo rappresenta una forma di cyber-violenza dalle molteplici forme che spesso si sovrappongono tra loro; si parlerà allora di Harassment per indicare messaggi scortesi, offensivi, ingiuriosi che vengono inviati ripetutamente nel tempo, attraverso e-mail, sms, telefonate sgradite, ecc…; di Denigration nel caso di diffusione on line da parte del bullo di pettegolezzi e/o di altro materiale offensivo che mirino a danneggiare la reputazione o le amicizie di un coetaneo; di Impersonation nel caso in cui il bullo violi l’account della sua vittima e, facendosi passare per questa persona, invia messaggi con l’obiettivo di dare una cattiva immagine della stessa, danneggiare la sua reputazione, crearle problemi, ecc…; di Outing and Trickery quando il cyberbullo, dopo aver raccolto con l’inganno fingendosi amico, registrato e salvato le confidenze spontanee o le immagini riservate ed intime di un coetaneo, le pubblica poi su un blog o le diffonde comunque in rete; di Exclusion quando il cyberbullo decide di escludere (nella terminologia

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Stalking e bullismo nell’era dei social network

Obiettivo primario della L. n. 71/2017 è contrastare il fenomeno con azioni a carattere preventivo e con una strategia di tutela ed educazione nei confronti dei minori coinvolti attraverso la previsione di una serie di strumenti quali: – la procedura di ammonimento da parte del Questore (ripresa dalla legge sullo stalking). Essa riguarda i minori dai 14 ai 17 anni che possono fare richiesta di ammonimento del bullo presso ogni Comando di Polizia. Si tratta di un procedimento amministrativo. L’organo di Polizia, dopo aver fatto le opportune indagini su fatti e persone indicate, se ritiene fondata la richiesta, ne trasmette notizia al Questore che convoca il minore/ bullo ed uno dei genitori, lo ammonisce oralmente invitandolo a tenere comportamenti secondo legge; – la cd. istanza di oscuramento31, disciplinata dall’art. 2, comma 1° della Legge; – forme di tutela della privacy: occorre “lavorare” sul valore della privacy perché spesso ci si dimentica o si riflette poco sul fatto che il tema del cyberbullismo è ovviamente collegato a quello più ampio della sicurezza online e, quindi, alla capacità di stare sul web e gestire i diversi profili nel modo più sicuro e coerente possibile; il 25% dei ragazzi riconosce di non essersi mai interessato della privacy dei propri dati on line, soltanto il 10% dei giovani modifica le proprie informazioni dopo una esperienza negativa e solo il 2% segnala contenuti o contatti inappropriati ai gestori delle piattaforme32. Numeri del genere evidenziano come il fenomeno sia una questione di sensibilità culturale e di competenza digitale. – la previsione di un “tavolo tecnico” per la prevenzione ed il contrasto del cyberbullismo istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e del quale fanno parte i rappresentanti dei ministeri interessati, del Garante per l’infanzia e l’adolescenza, del Comitato di applicazione del codice di autoregolamentazione media e minori, del Garante per la protezione dei dati personali, di associazioni di comprovata esperienza nella tutela dei diritti dei minori e degli adolescenti, una rappresentanza delle associazioni attive nel contrasto del bullismo e del cyberbullismo; – l’affidamento del ruolo educativo e preventivo alle istituzioni scolastiche: presso ogni scuola è individuato tra i professori un “referente per le iniziative contro il bullismo ed il cyberbullismo” che deve, innanzitutto, monitorare su eventuali episodi di bullismo all’interno dell’istituto, organizzare iniziative ed eventi di sensibilizzazione per gli studenti, puntando sulla promozione di un ruolo attivo degli stessi, organizzare percorsi

delle comunità virtuali di Internet cd. bannare) intenzionalmente un coetaneo da un gruppo chat, da una lista amici, da un forum, da un guestbook, da un game interattivo; di Cyberbashing o Happy Slapping, quando un ragazzo o un gruppo di ragazzi picchiano un coetaneo mentre altri riprendono l’aggressione con il videotelefonino per pubblicarle successivamente su internet e condividerle. 31 Reperibile sul sito del Garante per la protezione dei dati personali: <https://www.garanteprivacy.it/documents/10160/0/Modello+pe r+la+segnalazione+reclamo+in+materia+di+cyberbullismo>. 32 Dati Rapporto Giovani 2018 dell’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori in <www.cnos-fap.it>.

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Paola Grimaldi

di rieducazione per gli autori e di assistenza per le vittime, organizzare eventi di educazione alla legalità e all’uso consapevole di internet33. Non mancano elementi di criticità nella Legge: di immediata percezione è evidentemente la assenza di sanzioni penali “dedicate”, prese invece in prestito dal sopra esaminato reato di atti persecutori; si pensi, tra le varie, alla procedura di ammonimento per la quale non sono state previste aggravanti nel caso di reati commessi a seguito dell’ammonimento stesso. Ancora, non è stata indicata dalla Legge la modalità di designazione del “referente” previsto all’interno delle scuole e si rinviene la totale assenza di definizione del cd. piano di formazione dei referenti stessi. Ma la mancanza più grave, ad avviso di chi scrive, sta nella assenza di strumenti di tutela diretta per gli infraquattordicenni; la Legge in tal senso è monca, ma soprattutto manifesta la carenza di conoscenza reale del fenomeno che risulta quindi sottovalutato, che non riguarda soltanto gli ultraquattordicenni, ma anzi risulta esteso molto spesso anche ai minori di 14 anni, per lo più tredicenni e dodicenni che si ritroverebbero, nel caso di inerzia dei genitori, privi di strumenti di tutela diretta34. Del resto, in altri Paesi dove si è preso atto sin da subito della vera portata del fenomeno che è sempre più diffuso e coinvolge una fascia di età sempre più ampia e precoce, le cui prime concrete manifestazioni si verificherebbero già nella scuola primaria con bambini presi di mira già a partire dai 6 anni. L’età di esordio delle prepotenze si sta infatti abbassando ed i primi episodi di bullismo si segnalano addirittura intorno ai 5-6 anni (22%) ed in più di un caso le vittime hanno meno di 10 anni35. Prevenire il bullismo nella scuola già dall’infanzia è di fondamentale importanza perché soltanto l’intervento competente degli educatori in questo ambito può presidiare il campo della crescita e dell’educazione, osservando, promuovendo, monitorando e regolando le interazioni e gli atteggiamenti tra bambini/ ragazzi36. Questo attento lavoro degli insegnanti a scuola dovrebbe essere di certo condiviso e continuato a casa dai genitori che dovrebbero sentire una immensa tensione e responsabilità educativa anche nei confronti di certi fenomeni; ed invece, spesso, sono proprio gli adulti a risultare vacanti quando c’è bullismo e cyber bullismo. Questa è la ragione delle

33

Per tale ultimo aspetto si veda la piattaforma “Elisa” sulle strategie anti-bullismo promossa dal MIUR a disposizione dei docenti: <https://www.piattaformaelisa.it>; ed ancora <https://www.generazioniconnesse.it/site/it/home-page/>. 34 Si veda l’indagine conoscitiva su bullismo e cyber di cui alla Audizione Parlamentare del Presidente dell’Istituto Nazionale di Statistica da parte della Commissione Parlamentare per l’Infanzia e l’Adolescenza del 27 marzo 2019 in <https://www.istat.it/it/ archivio/228976>. 35 A tal riguardo, si veda: <http://www.azzurro.it/it/content/bullismo-e-cyberbullismo-il-report-di-telefono-azzurro>. 36 Della necessità di prevenzione del bullismo e dell’aggressività in genere già a partire dalle scuole dell’infanzia ne ha consapevolezza oramai da anni la Danimarca dove la psicologa Jessica Alexander, americana trapiantata in Danimarca, si dedica a scoprire i segreti del modello genitoriale ed educativo danese per renderlo replicabile in altri Paesi e per il fenomeno del bullismo, in particolare, ha adottato un approccio che ha visto ridurre in maniera drastica il bullismo nelle scuole, facendo si che negli ultimi dieci anni i numeri del bullismo siano diminuiti dal 25% al 7%. In Danimarca il bullismo non viene considerato come una responsabilità o una colpa individuale come accade da noi ed in altri Paesi, ma invece un fenomeno effetto delle dinamiche gerarchiche del gruppo, evidentemente sbagliate, che vanno, quindi, osservate e gestite; quindi, dai 6 ai 16 anni viene richiesto agli studenti danesi di investire un’ora alla settimana per il miglioramento delle dinamiche di classe; viene insegnata loro la tolleranza, l’ascolto, la condivisione delle emozioni (la cd. faellesskab); Cfr. altresì <http://www.ilmetododanese.com/wp-content/uploads/2018/11/esempio.pdf>.

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Stalking e bullismo nell’era dei social network

oramai numerose sentenze di condanna al risarcimento dei danni per culpa in vigilando e culpa in educando ex art. 2048 c.c. a carico dei genitori di minori che avevano procurato danni ad altri minori per veri e propri atti di bullismo37. In alcuni casi la Cassazione38 ha addirittura parlato di «inadempimento dei doveri di educazione e di formazione della personalità del minore in termini tali da impedirne l’equilibrato sviluppo psico-emotivo, la capacità di dominare gli istinti, il rispetto degli altri e tutto ciò in cui si estrinseca la maturità personale». Ne consegue che applicando l’ultimo comma dell’art. 2048 c.c., i genitori dei minori accusati di atti violenti vanno esenti da responsabilità sul piano civile, solo se riescono a provare di non aver potuto impedire il fatto; essi dovranno quindi dimostrare non solo di aver adeguatamente educato il proprio figlio secondo quanto disposto dall’art. 147 c.c., ma anche di averlo “osservato” ai fini educativi.

7. Profili di criticità nella legge anti-stalking. La normativa in materia di stalking è stata fin da subito oggetto di condivisibili critiche su più fronti39. Innanzitutto, a non piacere è la possibilità di ritirare la denuncia per stalking quando è relativa ad atti non gravi; nello specifico, tra le numerose novità introdotte dalla riforma del processo penale attuata con Legge 23 giugno 2017 n. 103, merita segnalare la previsione di cui al nuovo art. 162 ter c.p. volto ad incentivare la risoluzione stragiudiziale dei processi tramite condotte idonee ad estinguere il reato. L’art. 162 ter consente la c.d. riparazione, anche tramite risarcimento del danno con un’offerta reale entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado; se la somma sarà ritenuta congrua e sufficiente dal giudice, si potrà avere estinzione del reato, il tutto indipendentemente dal consenso della parte lesa40. Questo tipo di risoluzione stragiudiziale non è applicabile alle ipotesi previste dall’ultimo comma dell’attuale art. 612 bis in quanto soggette a querela irrevocabile o procedibili d’ufficio rispettivamente nei casi in

37

Si veda per tutte Trib. Sulmona, 9 aprile 2018, n. 103, in <www.responsabilitàcivile.it>, pronunciatasi sul caso di un branco di ragazzi che aveva scambiato e diffuso immagini di una propria coetanea nuda, dando luogo ad una vera e propria catena tra i social network. Nello specifico, il Tribunale ha chiarito che l’attività dei giovani bulli «deve considerarsi illecita e carica di capacità offensiva a prescindere dal fatto che la stessa vittima avesse mandato le foto in favore di alcuni ragazzi per richiesta degli stessi, per sua spontanea iniziativa, per vanità o per altra ragione». 38 Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2008, n. 7050, in <www.personaedanno.it>. 39 Per una panoramica esaustiva e completa sul punto cfr. Relazione redatta dall’Ufficio del Massimario della Suprema Corte di cassazione e precisamente la n. III/03/2013 del 16 ottobre 2013. 40 A tal proposito ha fatto discutere la recente sentenza del Tribunale di Torino del 2 ottobre 2017, n. 1299 in cui il reato di stalking, grazie alla nuova previsione normativa è stato estinto con l’offerta di risarcimento danni da parte dello stalker alla vittima, che ovviamente ha rifiutato, di euro 1.500,00; risarcimento ritenuto congruo dal giudice. Lo stalker è uscito indenne da questa storia giudiziaria. La Procura di Torino ovviamente ha già impugnato la sentenza ed il Governo ha già avviato dei correttivi in Senato al disegno di legge sui crimini domestici per eliminare la previsione di condotte riparatorie nel caso di stalking.

733


Paola Grimaldi

cui «(…) il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate (…), se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità (…)»41. Ancora, tra le varie critiche mosse nei confronti delle misure anti-stalking vi sono quelle circa l’introduzione delle misure riguardanti l’introduzione dei braccialetti elettronici considerato che tale strumento previsto nel nostro ordinamento dal 2003 ha avuto una scarsissima applicazione pratica dati gli elevati costi di gestione. Tra le pecche della Legge in esame si pensi poi alla oramai annosa questione della durata eccessiva dei processi che finisce per svuotare di significato le stesse sanzioni che, quindi, finiscono per “non dare una risposta” e per “non punire”.

41

Sul punto cfr. Cass. pen., sez. V, 19 settembre 2013, n. 38690; Cass. pen., sez. V, 20 gennaio 2016, n. 2299; Cass. pen., sez. V, 5 marzo 2018, n. 9952.

734


Giurisprudenza Corte cost., 10 maggio 2019, n. 114; Lattanzi Presidente - Cartabia Relatore. Capacità di donare del beneficiario di amministrazione di sostegno – Illegittimità costituzionale dell’art. 774, comma 1°, c.c. – Insussistenza Peraltro, […], il principio personalista impone di leggere l’art. 2 congiuntamente all’art. 3 Cost., primo comma, che garantisce il principio di eguaglianza a prescindere dalle «condizioni personali», tra le quali si colloca indubbiamente la condizione di disabilità di cui i beneficiari di amministrazione di sostegno sono portatori, sia pure in forme e gradi diversi; e secondo comma, il quale affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli, qual è appunto la condizione di disabilità, che impediscono la libertà e l’eguaglianza nonché il pieno sviluppo della persona. Alla luce di tali principi, posti a fondamento dell’intero impianto della Costituzione italiana, deve escludersi che la persona beneficiaria di amministrazione di sostegno possa essere privata della capacità di donare fuori dai casi espressamente stabiliti dal giudice tutelare ai sensi dell’art. 411, quarto comma, primo periodo, cod. civ., restando tale capacità integra in mancanza di diversa espressa indicazione.

(Omissis)

ficato che il patrimonio della beneficiaria ha la

Ritenuto

capienza necessaria per disporre la donazione. Il

in fatto

1. – Il Giudice tutelare del Tribunale ordinario

giudice conclude, dunque, che «la richiesta, alla

di Vercelli ha sollevato questioni di legittimità co-

luce delle indagini svolte, appare ammantata da

stituzionale dell’art. 774, primo comma (rectius:

intrinseca congruità, genuinità, e passibile di si-

primo comma, primo periodo), del codice civile,

cura condivisione».

nella parte in cui non prevede che siano consen-

2. – Nella ricostruzione compiuta dal giudice a

tite, con le forme abilitative richieste, le donazio-

quo, il sistema del codice civile non consentireb-

ni da parte dei beneficiari di amministrazione di

be ai beneficiari di amministrazione di sostegno

sostegno.

di effettuare valide donazioni neppure per il tra-

Quanto ai fatti del processo, il rimettente ri-

mite dell’amministratore.

ferisce che il giudizio è stato originato dalla ri-

Il rimettente premette che la fattispecie non

chiesta di un’amministratrice di sostegno di esse-

è disciplinata espressamente da norme di diritto

re autorizzata dal giudice tutelare a disporre una

positivo e non è stata fatta oggetto di specifiche

donazione in nome e per conto della beneficiaria

pronunce della Corte di cassazione. Il problema

dell’amministrazione di sostegno. L’amministra-

è stato affrontato soltanto in sede dottrinale e

zione di sostegno a tempo indeterminato è stata

dalla giurisprudenza di merito e risolto in sen-

aperta nel 2006, individuando come amministra-

so negativo (il richiamo è al decreto del Giudi-

trice la sorella della beneficiaria. La beneficiaria,

ce tutelare del Tribunale ordinario della Spezia

che ha due figli maggiorenni ed economicamente

del 1° ottobre 2010). Dopo avere ricordato che

indipendenti, ha espresso il desiderio di dona-

l’art. 774, primo comma (rectius: primo comma,

re alla figlia, in procinto di sposarsi, la somma

primo periodo), cod. civ. prevede che «non pos-

di diecimila euro per l’acquisto di una cucina e

sono fare donazione coloro che non hanno la

contemporaneamente mettere “a riserva” la stes-

piena capacità di disporre dei propri beni» e che

sa somma nell’interesse dell’altro figlio. Senti-

le eccezioni a tale regola, tra le quali non com-

ta personalmente dal giudice, la beneficiaria ha

pare il caso dei beneficiari di amministrazione di

confermato il suo desiderio e il giudice ha veri-

sostegno, sono espressamente previste dal codi-

735


Giurisprudenza

ce civile (artt. 774, secondo comma [recte: primo

A tale conclusione, peraltro, si arriverebbe

comma, secondo periodo, e secondo comma],

anche attraverso un’interpretazione di ordine si-

cod. civ. e 777, secondo comma, cod. civ., oltre

stematico, perché sarebbe irrazionale ipotizzare

alla presunzione stabilita dall’art. 776 cod. civ.),

un controllo giudiziale sull’operato di un ammi-

il giudice rimettente conclude che per i benefi-

nistratore di sostegno incaricato di assistere «un

ciari di amministrazione di sostegno la possibili-

soggetto in toto capace di agire»; né l’assistenza

tà di disporre donazioni dipende dalla soluzione

potrebbe mai essere ricostruita «in termini, del

della questione se i medesimi abbiano una «pie-

tutto indefinibili, di consiglio, blandizia, suggeri-

na capacità di disporre dei propri beni» ai sensi

mento, conforto, pena lo svuotamento del conte-

dell’art. 774, primo comma, cod. civ.

nuto del munus conferito, e la sua insindacabilità

Sul punto il rimettente prende le distanze da

de facto». Molto più corretto apparirebbe invece

alcune opinioni dottrinarie e dalla giurisprudenza

tratteggiare l’assistenza in termini di comparteci-

di merito e ritiene che «una ablazione, anche par-

pazione dell’amministrazione di sostegno al com-

ziale, e financo minima, della capacità di agire del

pimento di «negozi giuridici apprezzabili nella lo-

beneficiario costituisca […] indefettibile risultato

ro essenza ed esistenza, ed altrimenti invalidi (ex

della applicazione della misura di protezione in

art. 412 [secondo comma] c.c.)». Inoltre, depor-

parola». Ciò, sia per ragioni letterali (perché l’art.

rebbero per tale interpretazione sia la previsio-

1 della legge 9 gennaio 2004, n. 6, recante «In-

ne dell’autorizzazione giudiziale al compimento

troduzione nel libro primo, titolo XII, del codice

degli atti di straordinaria amministrazione di cui

civile del capo I, relativo all’istituzione dell’ammi-

agli artt. 375, primo comma, e 411, primo comma,

nistrazione di sostegno e modifica degli articoli

cod. civ., sia le disposizioni di cui all’art. 411, se-

388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice

condo e terzo comma, cod. civ.

civile in materia di interdizioni e di inabilitazione,

Secondo il rimettente, in definitiva, «[…] al-

nonché relative norme di attuazione, di coordi-

la apertura di una amministrazione di sostegno

namento e finali»), nel disporre che la legge «ha

consegue necessariamente la privazione, anche

la finalità di tutelare, con la minore limitazione

solo minima, ma inevitabile, della capacità di agi-

possibile della capacità di agire, le persone prive

re del beneficiario; [...] ad essa consegue altresì

in tutto o in parte di autonomia», implicitamente

la necessità di prevedere come necessaria l’auto-

affermerebbe che una limitazione della predet-

rizzazione giudiziale per il compimento di atti di

ta capacità, per quanto minima, necessariamente

straordinaria amministrazione, ivi compresi quelli

consegua all’applicazione dell’istituto), sia sulla

dispositivi; [...] la piena capacità di disporre dei

base del combinato disposto dell’art. 405, quinto

propri beni costituisce corollario, e forse addi-

comma, numeri 3) e 4), cod. civ., da un lato, e

rittura un quid pluris, rispetto al mantenimento

dell’art. 409, primo comma, cod. civ., dall’altro,

di una integra capacità di agire, che deve pre-

perché, «se la previsione di atti da compiersi in

supporsi; [...] il beneficiario di amministrazione

rappresentanza o in assistenza integra parte del

di sostegno non può per definizione dirsi titolare

contenuto indefettibile del decreto» e «se solo in

di una integra capacità di agire, e dunque, della

relazione ad ogni attività diversa dalle predette il

piena capacità di disporre dei propri beni; [...]

beneficiario conserva la capacità di agire», allora

egli non può quindi effettuare donazioni».

«il beneficiario subisce immancabilmente una de-

3. – Sulla base di queste premesse il rimetten-

minutio della sua capacità, per il solo fatto dell’a-

te, rilevata la propria legittimazione a sollevare

pertura della misura».

questioni di legittimità costituzionale, sostiene,

736


Francesco Meglio

quanto alla non manifesta infondatezza, che la

l’amministratore di sostegno, nell’adempimen-

circostanza che i beneficiari di amministrazione

to dell’incarico, deve tenere conto dei desideri,

di sostegno non possano porre in essere valide

delle aspirazioni e dei bisogni del beneficiario».

donazioni, neppure con le forme abilitative pre-

Apparirebbe dunque del tutto palese il rischio di

viste dal codice civile, confligga con gli artt. 2 e

vera e propria «emarginazione» dei beneficiari di

3, primo e secondo comma, della Costituzione.

amministrazione di sostegno, che non potrebbe-

In particolare, egli ricorda che l’art. 2 Cost. pone

ro mai realizzare la loro volontà di compiere un

al vertice dell’ordinamento la dignità ed il valore

gesto che consta «di bellezza, nobiltà, spontanei-

della persona (si richiama la sentenza n. 258 del

tà, altezza», e che si configura quindi come una

2017) e che tale precetto non può essere disgiun-

forma di pieno sviluppo della loro persona.

to né dall’art. 3, secondo comma, Cost., che affida

Pertanto il giudice chiede che sia dichiarata

alla Repubblica il compito di rimuovere gli osta-

l’illegittimità costituzionale dell’art. 774, primo

coli di ordine sociale che impediscono il pieno

comma, cod. civ., «nella parte in cui non preve-

sviluppo della persona, nè dall’art. 3, primo com-

de che siano consentite, con le forme abilitative

ma, Cost., dato che tra le condizioni personali

richieste, le donazioni da parte del beneficiario

che limitano l’eguaglianza si pone la condizione

di amministrazione di sostegno». Tale intervento

di disabilità o di infermità.

non demanderebbe a questa Corte un indebito

Secondo il rimettente, la scelta del legislatore

potere di creazione legislativa con usurpazione

del 2004 di non prevedere la possibilità, in capo

delle prerogative del legislatore, ma si limitereb-

ai beneficiari di amministrazione di sostegno, di

be a determinare «una ammissibile, e auspicabile,

effettuare valide donazioni, neppure per il tramite

integrazione della materia in esame, attraverso il

o con l’ausilio del soggetto incaricato di garantire

richiamo di norme già presenti nell’ordinamen-

loro protezione e con le ulteriori cautele del ca-

to (artt. 777, 375, 411 c.c.), capaci di diventare

so, sarebbe «evidentemente irragionevole, tanto

paradigma ed oggetto della addictio normativa,

intrinsecamente, quanto in riferimento a casi ana-

quale soluzione, in fondo necessaria, pienamente

loghi». Sotto il primo profilo, afferma il rimetten-

rinvenibile nell’ambito della cornice di sistema».

te, «[s]e la legge sull’amministrazione di sostegno

4. – È intervenuto in giudizio il Presidente

ha la finalità di tutelare le persone prive in tutto o

del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso

in parte di autonomia, approntando interventi di

dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo

sostegno, e limitando al minimo la loro capacità

che il dubbio di costituzionalità sia dichiarato

di agire, non vi è chi non veda come l’inibizio-

non fondato, perché il risultato a cui il giudice

ne sic et simpliciter della capacità di donare ad

rimettente intende pervenire chiedendo alla Cor-

altro risultato non conduca, se non a quello di

te costituzionale una pronuncia additiva sareb-

una profonda mortificazione di questi soggetti.

be già consentito da una corretta interpretazione

Molto più congruo sarebbe stato circondare tale

delle norme vigenti.

capacità (mantenendola viva) di opportuni pre-

L’Avvocatura sostiene, infatti, che la ricostru-

sidi e cautele, come d’altronde previsto per gli

zione del quadro normativo contenuta nell’or-

atti di straordinaria amministrazione patrimoniale

dinanza di rimessione sia «fallace» e tradisca «lo

in generale». Inoltre, la norma denunciata «svuo-

spirito della legge istitutiva dell’amministrazione

terebbe completamente di contenuto (in questa

di sostegno», che sarebbe «ispirata ad un’ottica di

materia) il disposto dell’art. 410 c.c. – vera norma

massimo contenimento della limitazione di capa-

“cardine” dell’istituto in discorso – secondo cui

cità dell’amministrato» (si citano la sentenza n.

737


Giurisprudenza

440 del 2005 e giurisprudenza di legittimità e di

3, primo comma, Cost. sarebbe violato anche per

merito). In questo senso, da una lettura sistemati-

disparità di trattamento in riferimento a casi ana-

ca dell’art. 774 cod. civ., in relazione alla discipli-

loghi, quali la previsione dell’autorizzazione giu-

na dell’istituto dell’amministrazione di sostegno

diziale al compimento degli atti di straordinaria

e, particolarmente, degli artt. 409, primo comma,

amministrazione di cui agli artt. 375 e 411 cod.

e 411, primo e quarto comma, cod. civ., si evin-

civ. La norma censurata, infine, violerebbe anche

cerebbe che l’apertura dell’amministrazione di

l’art. 3, secondo comma, Cost., perché, impeden-

sostegno «di regola non comporta la perdita della

do a coloro che si trovano in una condizione di

capacità di agire se non per quanto espressamen-

inabilità e infermità di realizzare il proprio desi-

te previsto» e «consente – nei casi in cui il divieto

derio di donare, integrerebbe un ostacolo di ordi-

sia previsto dal decreto – di superarlo attraverso

ne sociale che impedisce il pieno sviluppo della

l’autorizzazione del giudice tutelare», dato che

personalità umana.

appunto l’art. 411, primo comma, richiama gli

2. – Le questioni non sono fondate.

artt. 374 e 375 cod. civ.

Il giudice rimettente muove dal presupposto che il divieto di donazione stabilito dalla dispo-

Considerato

in diritto

1. – Il Giudice tutelare del Tribunale ordinario di Vercelli ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 774, primo comma (rectius:

sizione censurata operi anche nei confronti dei beneficiari di amministrazione di sostegno. Tale presupposto interpretativo non può essere condiviso.

primo comma, primo periodo), del codice civile,

3. – L’art. 774, primo comma, primo periodo,

nella parte in cui non prevede che siano consen-

cod. civ. stabilisce che «[n]on possono fare dona-

tite, con le forme abilitative richieste, le donazio-

zione coloro che non hanno la piena capacità di

ni da parte dei beneficiari di amministrazione di

disporre dei propri beni». Tale divieto di donare è

sostegno.

sempre stato inteso come rivolto in modo esclusi-

Secondo il rimettente, il divieto per i bene-

vo agli interdetti, agli inabilitati e ai minori di età.

ficiari di amministrazione di sostegno di effet-

Inoltre, il codice civile consente al donante, ai

tuare valide donazioni, neppure per il tramite

suoi eredi o aventi causa di proporre l’azione di

o con l’assistenza del soggetto incaricato di ga-

annullamento qualora la donazione sia disposta

rantire loro protezione e con l’ulteriore cautela

«da persona che, sebbene non interdetta, si provi

dell’autorizzazione del giudice tutelare, sarebbe

essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria,

innanzitutto lesivo del valore e della dignità della

incapace d’intendere o di volere al momento in

persona umana di cui all’art. 2 della Costituzio-

cui la donazione è stata fatta» (art. 775, primo

ne. Tale divieto, inoltre, si porrebbe in contrasto

comma, cod. civ.).

con il principio di ragionevolezza intrinseca di

Quando il legislatore, con la legge 9 gennaio

cui all’art. 3, primo comma, Cost., perché mor-

2004, n. 6 (Introduzione nel libro primo, titolo

tificherebbe i beneficiari dell’amministrazione di

XII, del codice civile del capo I, relativo all’istitu-

sostegno, in contrasto con la finalità dell’istituto;

zione dell’amministrazione di sostegno e modifi-

esso, per altro verso, svuoterebbe di contenuto

ca degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427

il disposto dell’art. 410 cod. civ., secondo cui

e 429 del codice civile in materia di interdizioni e

l’amministratore di sostegno, nell’adempimento

di inabilitazione, nonché relative norme di attua-

dell’incarico, deve tenere conto dei desideri, del-

zione, di coordinamento e finali), ha introdotto,

le aspirazioni e dei bisogni del beneficiario. L’art.

nel corpo del codice civile, accanto ai tradizionali

738


Francesco Meglio

istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, l’in-

(Corte di cassazione, sezione prima civile, sen-

novativo istituto della amministrazione di soste-

tenza 27 settembre 2017, n. 22602). La normativa

gno, a vantaggio della «persona che, per effetto

che la regola consente al giudice di adeguare la

di una infermità ovvero di una menomazione fi-

misura alla situazione concreta della persona e

sica o psichica, si trova nella impossibilità, anche

di variarla nel tempo, in modo tale da assicu-

parziale o temporanea, di provvedere ai propri

rare all’amministrato la massima tutela possibile

interessi» (art. 404 cod. civ.), sono sorte alcune

a fronte del minor sacrificio della sua capacità

difficoltà di coordinamento con la preesistente

di autodeterminazione (in questo senso, Corte

disciplina codicistica.

di cassazione, sezione prima civile, sentenze 11

La disciplina dell’amministrazione di soste-

maggio 2017, n. 11536; 26 ottobre 2011, n. 22332;

gno, in particolare, non contiene alcuna espressa

29 novembre 2006, n. 25366 e 12 giugno 2006,

previsione di raccordo con le disposizioni in ma-

n. 13584; ma si veda anche Corte di cassazione,

teria di atti personalissimi quali la donazione, che qui rileva, il testamento e il matrimonio, atti dei quali invece le norme dello stesso codice civile relative a minori, interdetti e inabilitati si occupano con previsioni variamente limitative. Il silenzio del legislatore non ha impedito che in sede giurisprudenziale si chiarissero i rapporti intercorrenti tra l’amministrazione di sostegno e i coesistenti istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione. In particolare, le differenze tra le originarie previsioni codicistiche e la nuova misura si sono rivelate subito talmente profonde da impedire l’estensione analogica all’amministrazione di sostegno delle disposizioni codicistiche riguardanti l’interdizione e l’inabilitazione. 4. – Per quanto qui interessa, la giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito che il provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno,

sezione prima civile, sentenza 11 settembre 2015, n. 17962). Introducendo l’amministrazione di sostegno, il legislatore ha dotato l’ordinamento di una misura che può essere modellata dal giudice tutelare in relazione allo stato personale e alle circostanze di vita di ciascun beneficiario e in vista del concreto e massimo sviluppo delle sue effettive abilità. Così l’ordinamento oggi mostra una maggiore sensibilità alla condizione delle persone con disabilità, è più attento ai loro bisogni e allo stesso tempo più rispettoso della loro autonomia e della loro dignità di quanto non fosse in passato, quando il codice civile si limitava a stabilire una netta distinzione tra soggetti capaci e soggetti incapaci, ricollegando all’una o all’altra qualificazione rigide conseguenze predeterminate.

diversamente dal provvedimento di interdizione

La nuova disciplina si raccorda pienamente

e di inabilitazione, non determina uno status di

con i più recenti strumenti elaborati nell’ordina-

incapacità della persona (sentenza n. 440 del

mento europeo e internazionale: con la Conven-

2005), a cui debbano riconnettersi automatica-

zione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone

mente i divieti e le incapacità che il codice civile

con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre

fa discendere come necessaria conseguenza della

2006, ratificata e resa esecutiva con legge 3 mar-

condizione di interdetto o di inabilitato.

zo 2009, n. 18, e con la Carta dei diritti fonda-

Al contrario, come risulta dalla giurispruden-

mentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza

za di legittimità, l’amministrazione di sostegno si

il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12

presenta come uno strumento volto a proteggere

dicembre 2007, il cui art. 26 protegge «il diritto

senza mortificare la persona affetta da una disa-

delle persone con disabilità di beneficiare di mi-

bilità, che può essere di qualunque tipo e gravità

sure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimen-

739


Giurisprudenza

to sociale e professionale e la partecipazione alla

che il giudice tutelare non lo disponga esplici-

vita della comunità».

tamente con apposita clausola, ai sensi dell’art.

5. – La giurisprudenza di legittimità è costante

411, quarto comma, primo periodo, cod. civ. An-

nell’interpretare le disposizioni in materia di am-

che in tale occasione la Corte di cassazione ha

ministrazione di sostegno in modo da valorizzare

ribadito che deve escludersi «una generalizzata

tutte le capacità del beneficiario non compromes-

applicazione delle limitazioni dettate per l’inter-

se dalla disabilità fisica, psichica o sensoriale.

detto, per via di analogia, al beneficiario dell’am-

L’orientamento costantemente seguito dalla

ministrazione di sostegno», dato che quest’ultima

Corte di cassazione, infatti, è nel senso di ritene-

misura è sempre volta a valorizzare le residue

re che tutto ciò che il giudice tutelare, nell’atto di

capacità del soggetto debole (Cass., sez. prima

nomina o in successivo provvedimento, non af-

civ., n. 11536 del 2017).

fida all’amministratore di sostegno, in vista della

In questa ricostruzione del sistema codicisti-

cura complessiva della persona del beneficiario,

co assume dunque importanza centrale l’art. 411,

resta nella completa disponibilità di quest’ultimo.

quarto comma, primo periodo, cod. civ., secondo

Sin dalle sue prime pronunce in materia, la

cui «[i]l giudice tutelare, nel provvedimento con

Corte di cassazione ha affermato che la discipli-

il quale nomina l’amministratore di sostegno, o

na introdotta dalla legge n. 6 del 2004 «delinea

successivamente, può disporre che determinati

una generale capacità di agire del beneficiario

effetti, limitazioni o decadenze, previsti da dispo-

dell’amministrazione di sostegno, con esclusio-

sizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si

ne di quei soli atti espressamente menzionati nel

estendano al beneficiario dell’amministrazione di

decreto con il quale viene istituita l’amministra-

sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesi-

zione medesima». Ne consegue che il giudice tu-

mo ed a quello tutelato dalle predette disposizio-

telare si limita, in via di principio, a individuare

ni». Ciò implica che in assenza di esplicita dispo-

gli atti in relazione ai quali ne ritiene necessario

sizione da parte del giudice tutelare non possono

l’intervento, «senza peraltro determinare una limi-

ritenersi implicitamente applicabili divieti e limi-

tazione generale della capacità di agire del bene-

tazioni previsti dal codice civile ad altro fine.

ficiario»: il giudice tutelare «non si muove, come

6. – Il richiamato percorso ermeneutico con-

il giudice della interdizione, nell’ottica dell’accer-

duce a ritenere che il beneficiario di amministra-

tamento della incapacità di agire della persona

zione di sostegno conserva la sua capacità di

sottoposta al suo esame […], ma nella diversa

donare, salvo che il giudice tutelare, anche d’uf-

direzione della individuazione, nell’interesse del

ficio, ritenga di limitarla – nel provvedimento di

beneficiario, dei necessari strumenti di sostegno

apertura dell’amministrazione di sostegno o in

con riferimento alle sole categorie di atti al cui

occasione di una sua successiva revisione – tra-

compimento lo ritenga inidoneo» (Cass., sez. pri-

mite l’estensione, con esplicita clausola ai sensi

ma civ., n. 25366 del 2006).

dell’art. 411, quarto comma, primo periodo, cod.

È significativo ricordare che l’applicazione di

civ., del divieto previsto per l’interdetto e l’inabi-

tale orientamento ha recentemente condotto la

litato dall’art. 774, primo comma, primo periodo,

Corte di cassazione a ritenere che al beneficiario

cod. civ.

di amministrazione di sostegno non si estende

Una tale interpretazione risponde del resto

il divieto di contrarre matrimonio (atto persona-

al principio personalista, affermato anzitutto

lissimo, al pari della donazione che qui rileva),

dall’art. 2 Cost., che tutela la persona non so-

previsto per l’interdetto dall’art. 85 cod. civ., salvo

lo nella sua dimensione individuale, ma anche

740


Francesco Meglio

nell’ambito dei rapporti in cui si sviluppa la sua

amministrazione di sostegno in un momento suc-

personalità: rapporti che richiedono senz’altro il

cessivo all’ordinanza di rimessione che ha solle-

rispetto reciproco dei diritti, ma che si alimenta-

vato le presenti questioni di costituzionalità (Cor-

no anche grazie a gesti di solidarietà (sentenza

te di cassazione, sezione prima civile, ordinanza

n. 119 del 2015). Nell’architettura dell’art. 2 Cost.

21 maggio 2018, n. 12460). Secondo la Corte di

l’adempimento dei doveri di solidarietà costitu-

cassazione, il giudice tutelare potrebbe d’ufficio

isce un elemento essenziale tanto quanto il ri-

escludere la capacità di donare solo «in presenza

conoscimento dei diritti inviolabili di ciascuno,

di situazioni di eccezionale gravità, tali da indur-

sicché comprimere senza un’obiettiva necessità

re a ritenere che il processo di formazione e ma-

la libertà della persona di donare gratuitamente

nifestazione della volontà possa andare incontro

il proprio tempo, le proprie energie e, come nel

a turbamenti per l’incidenza di fattori endogeni o

caso in oggetto, ciò che le appartiene costituisce

di agenti esterni».

un ostacolo ingiustificato allo sviluppo della sua personalità e una violazione della dignità umana. Peraltro, come già ricordato da questa Corte ad altro proposito (sentenza n. 258 del 2017), il principio personalista impone di leggere l’art. 2 congiuntamente all’art. 3 Cost., primo comma, che garantisce il principio di eguaglianza a prescindere dalle «condizioni personali», tra le quali si colloca indubbiamente la condizione di disabilità di cui i beneficiari di amministrazione di sostegno sono portatori, sia pure in forme e gradi diversi; e secondo comma, il quale affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli, qual è appunto la condizione di disabilità, che impediscono la libertà e l’eguaglianza nonché il pieno sviluppo della persona. Alla luce di tali principi, posti a fondamento

7. – La ricostruzione del quadro normativo ora esposta – che non ravvisa né nella disposizione censurata, né all’interno del codice civile alcun divieto legislativo di donare rivolto ai beneficiari di amministrazione di sostegno, fatti salvi gli specifici limiti disposti caso per caso dal giudice tutelare ai sensi dell’art. 411, quarto comma, primo periodo, cod. civ. – appare, oltre che conforme al diritto vivente, aderente ai principi informatori dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, connotato da un consapevole e ponderato «bilanciamento tra esigenze protettive» e «rispetto dell’autonomia individuale» (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 28 febbraio 2018, n. 4709); come tale, essa è idonea a superare tutti i dubbi di costituzionalità sollevati dal rimettente.

dell’intero impianto della Costituzione italiana,

P.Q.M.

deve escludersi che la persona beneficiaria di

La corte costituzionale dichiara non fondate

amministrazione di sostegno possa essere priva-

le questioni di legittimità costituzionale dell’art.

ta della capacità di donare fuori dai casi espres-

774, primo comma, primo periodo, del codice ci-

samente stabiliti dal giudice tutelare ai sensi

vile, sollevate dal Giudice tutelare del Tribunale

dell’art. 411, quarto comma, primo periodo, cod.

ordinario di Vercelli, in riferimento agli artt. 2 e 3,

civ, restando tale capacità integra in mancanza di

primo e secondo comma, della Costituzione, con

diversa espressa indicazione.

l’ordinanza indicata in epigrafe.

Si tratta di un approdo, tra l’altro, che la stes-

Così deciso in Roma, nella sede della Corte

sa giurisprudenza di legittimità ha esplicitamente

costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo

raggiunto, pronunciandosi per la prima volta sul

2019.

tema dei rapporti tra contratto di donazione e

741


Giurisprudenza

Sulla capacità di donare del beneficiario di amministrazione di sostegno* Sommario : 1. Il caso. – 2. L’ordinanza di rimessione: la controvertibile posizione del giudice rimettente. – 3. Profili generali dell’amministrazione di sostegno. – 4. La capacità di donare del beneficiario dell’amministrazione di sostegno. – 5. La sentenza della Corte costituzionale, tra l’allineamento alla recente giurisprudenza di Cassazione e le indirette indicazioni a suffragio di un’amministrazione di sostegno non incapacitante.

With the sentence in question, the Constitutional Court establishes that the beneficiary of the support administration can donate, unless the decree establishing the protective measure or subsequent provision, pursuant to art. 411, paragraph 4, of the civil code, extends the limitations provided for disqualification or disqualification. On the merits, the judge of laws aligns with the most recent guidelines of the Cassation, for example on the subject of matrimonial prohibition. The importance of the pronunciation in question can perhaps be traced to the statement that the beneficiary of the support administration is fully capable of acting for the acts not included in the decree, reinforcing the arguments of those who suggest hypothesizing a non-incapacitating support administration, in line with the purposes of law n. 6 of 2004.

1. Il caso. La sentenza in epigrafe interviene, forse definitivamente, sull’annosa tematica della capacità di donare da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno. Il giudice delle leggi, infatti, è stato chiamato a pronunciarsi a fronte di un ricorso sollevato dal Giudice tutelare del Tribunale ordinario di Vercelli, il quale ha prospettato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 774, co. 1, primo periodo, c.c., nella parte in cui non prevede che siano consentite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte dei beneficiari di amministrazione di sostegno.

*

Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.

742


Francesco Meglio

Prima di entrare in medias res, è opportuno dar conto, sia pur succintamente, dei fatti di causa. Il giudizio a quo è stato originato dalla richiesta di un’amministratrice di sostegno – sorella della beneficiaria – con la quale si chiedeva l’autorizzazione del giudice tutelare a disporre una donazione in nome e per conto della beneficiaria. Quest’ultima, che ha due figli maggiorenni ed economicamente indipendenti, aveva manifestato il desiderio di donare alla figlia, in procinto di sposarsi, la somma di diecimila euro per l’acquisto di una cucina e contemporaneamente accantonare “a riserva” la stessa somma nell’interesse dell’altro figlio, non intendendo realizzare alcuna disparità di trattamento tra i due figli. Dopo aver proceduto all’audizione della beneficiaria, la quale ribadiva la predetta volontà, il giudice constatava la capienza del patrimonio della medesima a fronteggiare le divisate operazioni donative, non presentando alcuna attitudine a ledere le ragioni dell’aspirante donante. Concludeva, pertanto, nel senso che «la richiesta, alla luce delle indagini svolte, appare ammantata da intrinseca congruità, genuinità, e passibile di sicura condivisione».

2. L’ordinanza di rimessione: la controvertibile posizione del giudice rimettente. Prima di giungere ad analizzare la sentenza della Corte costituzionale, la cui soluzione appare ampiamente condivisibile, è d’uopo ripercorrere l’iter logico-giuridico seguito dal giudice a quo, secondo il quale – si ripete – la disciplina contenuta nel codice civile non consentirebbe ai beneficiari di amministrazione di sostegno di effettuare valide donazioni neppure per il tramite dell’amministratore. Il giudice rimettente osserva preliminarmente che la fattispecie in discorso è priva di una puntuale disciplina di diritto positivo, né in ordine ad essa constano pronunce della Corte di Cassazione. La questione, ad ogni modo, è stata affrontata dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito. Tuttavia, si riscontra al riguardo un unico precedente (il richiamo è al decreto del Giudice tutelare del Tribunale ordinario della Spezia del 1° ottobre 20101), con il giudice spezzino che ha concluso in senso negativo. Tornando al giudice vercellese, va detto che la ricostruzione del medesimo giudicante muove da alcuni precisi disposti normativi. Questi rileva, infatti, che l’art. 774, co. 1, primo

1

Tale decreto è commentato da G. Maniglio, La capacità di donare del soggetto beneficiario dell’amministrazione di sostegno, in Riv. not., 2010, 6, 1449. Nel caso in esame il giudice tutelare ha autorizzato il pro-amministratore, ravvisandosi conflitto d’interesse tra la beneficiaria, affetta da Alzheimer, ed il suo amministratore, unico figlio di costei, a donare la piena proprietà di un immobile di proprietà della donante in favore della sola nipote in linea retta, figlia del figlio, avendo la beneficiaria «più volte, quando le condizioni di salute erano molto migliori e sicura la sua capacità d’intendere e di volere, manifestato nella cerchia parentale e degli amici la volontà, mai ritrattata, di donare il detto immobile alla nipote» e non trattandosi di immobile di utilità alcuna per la beneficiaria che viveva in altra casa con il figlio amministratore di sostegno.

743


Giurisprudenza

periodo, c.c. prevede che «non possono fare donazione coloro che non hanno la piena capacità di disporre dei propri beni» e che le eccezioni a tale regola, tra le quali non compare il caso dei beneficiari di amministrazione di sostegno, sono espressamente previste dal codice civile, e precisamente agli artt. 774, co. 1, secondo periodo, e co. 2, c.c., nonché 777, co. 2, c.c., oltre alla presunzione stabilita dall’art. 776 c.c. Pertanto, rileva che la possibilità per i beneficiari di amministrazione di sostegno di effettuare donazioni dipende dalla positiva verifica della «piena capacità di disporre dei propri beni» ai sensi dell’art. 774, co. 1, c.c. in capo ai medesimi. Il corredo argomentativo addotto dal rimettente a suffragio della lamentata censura di incostituzionalità origina dalla convinzione che «una ablazione, anche parziale, e financo minima, della capacità di agire del beneficiario costituisca […] indefettibile risultato della applicazione della misura di protezione in parola»2. In tal senso, ad avviso del rimettente, deporrebbero vari indici. Anzitutto, la collocazione dell’istituto nel libro I, titolo XII, capo I del Codice civile, e la precisazione contenuta nella medesima legge istitutiva che la misura in parola «ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia», implicitamente confermando che la misura de qua comporta di default una limitazione – anche minima – della predetta capacità. In secondo luogo, si osserva che «se la previsione di atti da compiersi in rappresentanza o in assistenza integra parte del contenuto indefettibile del decreto» e «se solo in relazione ad ogni attività diversa dalle predette il beneficiario conserva la capacità di agire», allora «il beneficiario subisce immancabilmente una deminutio della sua capacità, per il solo fatto dell’apertura della misura». La conclusione cui perviene il rimettente, secondo uno schema che in maniera significativa risulta tributario della logica sillogistica, è la seguente: dal momento che alla apertura di un’amministrazione di sostegno consegue necessariamente la privazione, anche solo minima, ma inevitabile, della capacità di agire del beneficiario, e che il compimento di atti di straordinaria amministrazione, tra i quali quelli dispositivi, reclama l’autorizzazione giudiziale, il beneficiario di amministrazione di sostegno, non potendo definirsi titolare di una integra capacità di agire, e dunque della piena capacità di disporre dei propri beni, non può effettuare donazioni. Pertanto, il giudice rimettente chiede che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 774, co. 1, primo periodo, c.c., «nella parte in cui non prevede che siano consen-

2

Per la verità, il giudice a quo ha sviluppato il proprio convincimento già in altra sua decisione. Il riferimento è a Trib. Vercelli, decr. 16 ottobre 2015, in www.personaedanno.it (18 ottobre 2015); in dottrina, cfr., in particolare, S. Delle Monache, in Comm. c.c. Gabrielli, Della famiglia, a cura di L. Balestra, artt. 343-455, Torino, 2009, 175 ss., spec. 196 ss. Contra, G. Lisella, I poteri dell’amministratore di sostegno, in L’amministrazione di sostegno. Una nuova forma di protezione dei soggetti deboli, a cura di G. Ferrando, Milano, 2005, 124 ss., e, più di recente, Id., Amministratore di sostegno con funzioni di rappresentanza non «esclusiva», in Vita not., 2016, 37 ss., spec. 42 ss., ove altri riferimenti, nell’uno e nell’altro senso.

744


Francesco Meglio

tite, con le forme abilitative richieste, le donazioni da parte del beneficiario di amministrazione di sostegno». Per completare l’antefatto alla sentenza in commento, va ricordato che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo di dichiarare l’infondatezza della questione di costituzionalità, dal momento che una corretta interpretazione delle norme vigenti assicura il risultato a cui il giudice rimettente intende pervenire, suggerendo pertanto una (possibile) lettura dei disposti normativi evocati conforme alla Costituzione.

3. Profili generali dell’amministrazione di sostegno. La l. 9 gennaio 2004, n. 6, ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico l’istituto dell’amministrazione di sostegno3, al quale sono dedicati gli artt. 404 ss. c.c. La novella, a lungo attesa, si inserisce in un dibattito, a tratti anche acceso, nel quale si evidenziavano i possibili effetti discorsivi scaturenti dalle invasive misure dell’interdizione e dell’inabilitazione4, sovente tacciate di essere incompatibili con il sovrano principio della dignità della persona5. Scopo dichiarato del nuovo istituto – si ripete – è quello di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia

3

La letteratura in argomento è copiosa. Ex plurimis, v. almeno G. Autorino Stanzione e V. Zambrano (a cura di), Amministrazione di sostegno. Commento alla l. 9.1.2004, n. 6, Milano, 2004; M. Dossetti, M. Moretti, C. Dossetti, L’amministrazione di sostegno e la nuova disciplina dell’interdizione e dell’inabilitazione, Milano, 2004; AA.VV., L’amministratore di sostegno. Una nuova forma di protezione dei soggetti deboli, a cura di Ferrando, Milano, 2005; G. Bonilini e A. Chizzini, L’amministratore di sostegno, II ed., Padova, 2007; E. Calò, Amministratore di sostegno. Legge 9 gennaio 2004, n. 6, Milano, 2004; G. Campese, L’istituzione dell’amministrazione di sostegno e le modifiche in materia di interdizione e inabilitazione, in Fam. dir., 2004, 128 ss.; P. Cendon e R. Rossi, Amministrazione di sostegno. Motivi ispiratori e applicazioni pratiche, Torino, 2009; M.N. Bugetti, Amministratore di sostegno in favore di persona attualmente capace ed autonoma: oltre i confini dell’istituto?, in Fam. dir., 2010, 171 ss.; Id., Le incerte frontiere tra amministrazione di sostegno ed interdizione, in Fam. dir., 2006, 56 ss; Id., Nuovi strumenti di tutela dei soggetti deboli tra famiglia e società, Milano, 2008; G. Giannone, Dieci anni di amministrazione di sostegno: poteri del giudice tutelare, rilevanza del consenso e del dissenso del destinatario di provvedimenti di protezione, in Fam. dir., 2014, 637 ss.; F. Anelli, Il nuovo sistema di protezione delle persone prive di autonomia, in Studi in onore di Schlesinger, Milano, 2004; G. Ferrando e L. Lenti (a cura di), Soggetti deboli e misure di protezione, amministrazione di sostegno e interdizione, Torino, 2006; G. Ferrando, L’amministrazione di sostegno nelle sue recenti applicazioni, in Fam. pers. succ., 2010, 12 ss.; S. Mariani, Amministrazione di sostegno, perdita della capacità processuale, mancata interruzione del processo e nullità: un “puzzle” da ricomporre, in Fam. dir., 2013, 1003 ss.; V. Amendolagine, L’amministrazione di sostegno a dieci anni dalla sua introduzione, in Giur. it., 2014, 5 ss.; Id., La ricerca del “best interest” del beneficiando nell’amministrazione di sostegno, in Fam. dir., 2011, 8010 ss.; P. Cendon, Cosa, quanto come comunicare nell’amministrazione di sostegno. Legge 9 gennaio 2004, n. 6, Milano, 2004; F. Tommaseo, Dall’interdizione all’amministrazione di sostegno: sui complessi raccordi fra gli istituti di protezione degli incapaci, in Fam. dir., 2010, 911 ss. 4 Quanto ai criteri utili a demarcare i confini tra interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno, v. G. Lisella, Inabilitazione e interdizione: due arcaici istituti al crepuscolo, in www.personaemercato.it., 2014, 2, 123 ss. 5 Cfr. le relazioni in La riforma dell’interdizione e dell’inabilitazione, a cura di S. Patti, in Familia, Quaderni, 1, Milano, 2002. In particolare le relazioni di P. Cendon (che ha proficuamente operato per favorire le condizioni culturali e tecnico-giuridiche per l’approvazione della legge), di S. Patti (il quale dedica un attento studio ai problemi posti dalla nuova normativa) e di C.M. Bianca.

745


Giurisprudenza

nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana6, strutturando la misura di protezione come precipuamente rivolta alla tutela del persona e, secondariamente, a preservare la consistenza del suo patrimonio7. Caratteristica fondamentale dell’istituto in parola è dunque quella di modulare una misura di protezione in base alle reali necessità del soggetto beneficiario, attraverso un approccio orientato al caso concreto. In argomento, con terminologia di derivazione anglosassone, si discorre di «tailored measures», ossia di misure vestite addosso al beneficiario, al fine di assicurare una piena tutela all’individuo, salvaguardando la sua residua capacità di agire. Va detto, tuttavia, che se da un lato il nostro istituto si caratterizza certamente per flessibilità e duttilità, dall’altro ciò è verosimilmente alla base delle difficoltà che esso ha conosciuto nella prassi. Si intende dire che spesso gli interpreti hanno preferito utilizzare i già noti istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione in luogo dell’amministrazione di sostegno, in quanto i confini di quest’ultimo non sono ancora ben definiti o perché sono troppo elastici. Prima di andare oltre, è opportuno indugiare brevemente sui rapporti tra l’istituto in esame e quelli con i quali viene di regola accostato. Sul punto, l’indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato8 ritiene che l’amministrazione di sostegno costituisca un’alternativa all’interdizione ed all’inabilitazione, salvo poi concludere nel senso che spetta al giudice la scelta della misura più idonea ad adeguarsi alle esigenze del beneficiario, senza annettere un’importanza maggiore del dovuto al grado di infermità (o impossibilità) fisico-psichica o all’entità del patrimonio del beneficiario. Per delimitare l’ambito di operatività dell’istituto occorre necessariamente muovere dall’articolo 404 c.c., il quale individua il presupposto della norma nell’infermità o nella menomazione fisica o psichica che rendano impossibile, anche solo temporaneamente, provvedere ai propri interessi. Al riguardo, secondo una prima impostazione, per poter attivare l’amministrazione di sostegno occorre che il soggetto non sia affetto da una (mera) menomazione fisica. In tali ipotesi, infatti, è possibile avvalersi degli ordinari mezzi di tutela offerti dall’ordinamento, quali il mandato, la procura – generale o speciale – e il trust c.d. interno. Corollario di tale impostazione è che la nomina dell’amministratore presuppone pur sempre una minore

6

Le innovazioni hanno interessato in tal senso anche l’istituto della interdizione, con l’introduzione all’art. 414 c.c. della regola che la interdizione può essere imposta solo quando è necessaria per assicurare la protezione dell’incapace e con la modifica dell’art. 427 c.c. che consente al giudice di permettere il compimento di atti all’interdetto. 7 L. Milone, L’amministratore di sostegno nel sistema di protezione delle persone in difficoltà: prime perplessità, in Notariato, 2005, 3, 302. Si è anche evidenziato come il legislatore del 1942 fosse preoccupato, maggiormente, della tutela della proprietà e del patrimonio, mentre l’attenzione e la sensibilizzazione nei confronti della persona emerge con la Costituzione del 1948 e si afferma, anche a livello internazionale, negli anni successivi, M. Massaro, Dieci anni di applicazione dell’amministrazione di sostegno; certezze e questioni aperte, nota a commento del decreto del Tribunale di Milano, 3 novembre 2014, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 399. 8 Cfr. Cass., 11 settembre 2015, n. 17962; Cass., 26 luglio 2013, n. 18171; Cass., 26 ottobre 2011, n. 22332; Cass., 1 marzo 2010, n. 4866; Cass., 22 aprile 2009, n. 9628. Per la giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Bari, 16 ottobre 2015, n. 4429; Trib. Mantova, 6 agosto 2015, n. 777; Trib. Milano, 20 marzo 2015, n. 3654. V. anche Trib. Pavia, 28 gennaio 2015, che ha puntualizzato che l’amministrazione di sostegno «appare uno strumento da preferirsi non solo sul piano pratico ma anche su quello etico-sociale in ragione del maggior rispetto della dignità dell’individuo che da esso deriva».

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capacità del soggetto beneficiario e, quindi, una infermità fisica che abbia, anche solo in minima misura, compromesso le capacità intellettive. Questa impostazione è stata accolta da una parte della giurisprudenza di merito che, in un provvedimento ormai noto9, ha stabilito l’inadeguatezza della nomina di un amministratore per l’ipotesi di un soggetto molto anziano ma privo di alcun deficit cognitivo. Si è precisato infatti, che in presenza di un soggetto pienamente capace, la risoluzione di alcune problematiche della vita quotidiana può essere realizzata con il conferimento di un mandato, non rinvenendosi la necessità di privare il soggetto, seppur in maniera esigua, della capacità di agire. Per la verità, alla base di questa ricostruzione vi è una interpretazione restrittiva secondo la quale l’amministrazione di sostegno comporta in ogni caso una limitazione, seppur lieve, della capacità di agire, e dunque si atteggia come extrema ratio, risultando giustificata soltanto da un reale vulnus delle funzioni cognitive del soggetto beneficiario. Ne discende, in conclusione, che un soggetto capace le cui facoltà intellettive non siano state minate può tutelare i propri interessi ricorrendo alle soluzioni negoziali apprestate dall’ordinamento giuridico, senza addivenire a una misura che – per le cose dette in precedenza – è (sempre) limitativa della sua capacità di agire. Di contro, si segnalano impostazioni che hanno ritenuto applicabile l’istituto anche quando non si intravede alcun deficit intellettivo. A tali interpretazioni consegue, intuitivamente, un significativo ampliamento del perimetro applicativo dell’istituto. Si consideri, ad esempio, il caso della persona in età avanzata il cui limite sia rappresentato (solo) da notevoli difficoltà deambulatorie che pregiudicano l’espletamento delle funzioni quotidiane e la espongano, nel richiedere ausilio a terzi, a possibili abusi o approfittamenti. In una fattispecie del genere la nomina di un amministratore di sostegno10 mostra tutta la sua poliedricità, consentendo di coprire una vasta gamma di ipotesi, dal semplice disagio di una persona perfettamente lucida al caso di una totale e definitiva infermità di mente11. Una lettura ampliativa parrebbe altresì suffragata dallo stesso dato normativo, nella parte in cui l’art. 404 c.c. discorre di «menomazione fisica o psichica». Inoltre, si osserva che l’alternativa tra l’istituzione dell’amministrazione di sostegno e il rilascio di una procura, tanto generale quanto speciale, non è immune da conseguenze, atteso che solo con la prima si assicura la vigilanza del giudice sull’attività dell’amministratore, facendo così risaltare anche una non secondaria componente antiprocessualistica.

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Trib. Vercelli, 16 ottobre 2015, in G. Bonilini, L’anziano consapevole, e adeguatamente assistito, non abbisogna di amministratore di sostegno, in soccorso, può intervenire il mandato, in Fam. dir., 2016, 2, 177. 10 Quanto alle funzioni dell’amministratore di sostegno, la posizione di gran lunga prevalente è nel senso che esse possono avere ad oggetto soltanto il compimento di attività giuridiche e non lo svolgimento di attività materiali, demandate invece ai familiari, a personale specializzato (infermieri, domestici ecc.), ai servizi sociali. In argomento, v. almeno E. Montserrat Pappalettere, L’amministrazione di sostegno come espansione delle facoltà delle persone deboli, in Nuova giur. civ. comm., 2005, II, 30; M.N. Bugetti, Nuovi strumenti di tutela dei soggetti deboli tra famiglia e società, cit., 267 ss. 11 U. Morello, L’amministrazione di sostegno (dalle regole ai principi), in Notariato, 2004, 3, 225; G. Lisella, Questioni tendenzialmente definite e questioni ancora aperte in tema di amministrazione di sostegno, in Nuova giur. civ. comm., 2013, 284.

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In alcuni provvedimenti12 si è invece fatta strada l’idea di una limitazione settoriale della capacità di agire, limitata cioè ai soli atti previsti nel decreto attributivo dei poteri dell’amministratore di sostegno, visto che nel decreto il giudice è chiamato ad analizzare e ad esplicitare le attività che il beneficiario non può compiere da solo. Una tale ricostruzione risulta certamente aderente ai disposti normativi e ben si spiega alla luce della possibilità di un’amministrazione di sostegno temporanea. Vero è anche che l’amministrazione di sostegno funge da categoria residuale nella quale far confluire ipotesi niente affatto marginali che non potevano (o non possono) essere ricondotte comprese nell’interdizione o nell’inabilitazione13, stante il carattere di stabile incapacità prescritta per tali misure. Non è mancato, poi, chi in dottrina ha suggerito di distinguere due forme di amministrazione: una incapacitante, l’altra non incapacitante14.

4. La capacità di donare del beneficiario dell’amministrazione di sostegno.

Si è detto che la disciplina dell’amministrazione di sostegno non si segnala certamente per la linearità, e proprio la tematica al vaglio costituisce una puntuale riprova di tale asserzione. Ciò detto, ineludibile punto di partenza della nostra analisi è costituito dall’art. 774, il quale, al co. 1, prevede che non possano fare donazioni coloro che non hanno la piena capacità di disporre dei propri beni. La norma si distingue da subito per la sua icasticità, non facendo alcun cenno alle figure di soggetti incapaci contemplate all’interno dell’ordinamento. Pertanto, all’indomani della novella ne è discesa la necessità di stabilire i termini del rapporto tra il nuovo istituto e il disposto normativo in parola. Prima ancora che una difficoltà di coordinamento normativo, viene invero in rilievo una più dirimente differenza attinente al contesto nel quale vengono alla luce i corpi normativi in esame. L’incapace era considerato dal legislatore del ’42 come un soggetto definitivamente escluso dalla vita sociale, essendone relegato ai lati. Si comprende bene, allora, perché lo Stato appronti in suo favore un sistema rinforzato di tutela, mirante anzitutto a tutelarne il patrimonio contro i pericoli ai quali tale situazione di incapacità è in grado di

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Trib. Pinerolo, 13 dicembre 2005, con nota critica di A. Bulgarelli, in Giur. merito, 2006, 4, 875-879, il quale rileva l’inammissibilità dell’autolimitazione della capacità di agire da parte di un soggetto disagiato, anche per il tramite di un provvedimento giudiziale. È stato fatto osservare che, la nomina di un amministratore di sostegno, in caso di perfetta integrità psichica del beneficiario e quindi di mera menomazione fisica, finisca per limitare la capacità di agire del beneficiario, in caso di piena lucidità intellettiva, M. Tatarano e A. Turco, L’amministrazione di sostegno, in Trattato Notarile, diretto da Filippo Preite, Atti notarili volontaria giurisdizione, vol 1, 646. 13 A. Venchiarutti, Poteri dell’amministratore di sostegno e situazione del beneficiario, in Nuova giur. civ. comm., 2005, 1, 10001. 14 U. Morello, L’amministrazione di sostegno (dalle regole ai principi), cit., 225. Rimarca l’utilità della distinzione, con dovizia di argomenti, G. Lisella, Amministratore di sostegno con funzioni di rappresentanza non «esclusiva», cit., spec. 42 ss.

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esporlo. Si tratta chiaramente di una disciplina di tutela, di matrice assistenziale, per soccorrere un soggetto che non è in grado di tutelare da sé i propri interessi. L’amministrazione di sostegno, invece, si inserisce in un contesto valoriale profondamente diverso, nel quale l’intervento statuale si caratterizza per mettere al centro la persona. Ne è riprova, tra l’altro, lo stesso fraseggio normativo, nel quale vengono impiegati i lemmi «sostegno», «assistenza», «protezione», «menomazione» anziché «infermità». Accanto ad una evoluzione semantica se ne colloca un’altra ben più rilevante. Si intende dire che, mentre interdizione e inabilitazione fronteggiano situazioni di generale incapacità o di semi-incapacità che reclamano un affiancamento più o meno intenso, il nuovo istituto configura una situazione di generale capacità di agire del soggetto, eccettuati gli atti espressamente previsti dal decreto del Giudice Tutelare. Ciò spiega perché ora, e non prima, si sia posta la questione di verificare la portata dell’art. 774 c.c. a seguito della novella. Sul punto, parte della dottrina15 ritiene che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno non sia da considerare «generalmente incapace», concludendo nel senso che è possibile per quest’ultimo donare in assenza di una previsione di segno contrario all’interno del decreto istitutivo della misura o in un successivo provvedimento. Il principale argomento da cui muove questa dottrina è la possibilità che l’istituto venga applicato anche ad ipotesi che prescindono da alcuna forma di incapacità. Proprio l’assenza di una necessaria incapacità del beneficiario della misura di protezione porta a concludere che, in mancanza di un espresso divieto del Giudice Tutelare, non si possa negare ad un soggetto la capacità di effettuare liberamente donazioni. È evidente, tra l’altro, che una simile prospettiva suffraga la centralità e l’importanza del decreto di nomina, nel quale vanno bilanciati i vari interessi che vengono in rilievo. Un conforto testuale alla tesi favorevole viene ad essere ravvisato, poi, nell’art. 411 c.c., il quale, al co. 2, stabilisce l’applicabilità, sia pure nei limiti della compatibilità, dell’art. 779 c.c. (implicitamente ammettendo la possibilità di donazione da parte del beneficiario dell’amministrazione di sostegno) e al co. 3 testualmente ammette le «convenzioni» (nelle quali possono essere comprese anche le donazioni) tra il beneficiario e l’amministratore, quando costui ne sia coniuge o parente entro il quarto grado, avendo il legislatore escluso il conflitto d’interessi in presenza di tali relazioni di affettività, per l’evidente ragione di evitare che codesti soggetti si sottraessero a tale ufficio, stante l’incapacità a ricevere dal soggetto sottoposto alla misura protettiva.

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S. Delle Monache, Prime note sulla figura dell’amministratore di sostegno: profili di diritto sostanziale, in Nuova giur. civ. comm., 2004, II, 52; G. Campese, L’istituzione dell’amministrazione di sostegno e le modifiche in materia di interdizione e inabilitazione, in Fam. dir., 2004, 129; G. Bonilini, La capacità di donare e di testare del beneficiario dell’amministratore di sostegno, in Fam. pers. succ., 2005, 1, 9; C. Scognamiglio, La capacità di disporre per donazione, in Tratt. breve succ. e don., diretto da Pietro Rescigno e coordinato da Marco Ieva, vol. II, 502, il quale rileva che ragionando diversamente, non avrebbe senso il disposto dell’articolo 411 c.c., co. 2; A. Natale, Il donante, in Tratt. dir. succ. e don., diretto da G. Bonilini, Le donazioni, Milano, 2009, 282; G. Bonilini, La capacità di donare del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, in Tratt. dir. succ. e don., diretto da G. Bonilini, Le donazioni, Milano, 2009, 315-316.

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In definitiva, secondo tale orientamento il beneficiario dell’amministrazione di sostegno ha, di regola, la piena capacità di donare, perché altrimenti non avrebbe senso stabilire che possa esserne capace a favore di alcuni soggetti ed incapace a favore di altri, fatta salva l’ipotesi dell’amministratore di sostegno che non sia familiare, nel quale ultimo caso non si tratta di incapacità di donare del beneficiario bensì di incapacità a ricevere dell’amministratore di sostegno16. A questa tesi se n’è tuttavia contrapposta un’altra17, a mente della quale un’interpretazione sistematica dell’ordito codicistico introdotto nel 2004 dovrebbe condurre a ritenere ricompreso il beneficiario di amministrazione di sostegno tra coloro che non possono effettuare donazioni. In particolare, si offre una diversa lettura dell’art. 411, co. 3, c.c., qualificato in termini di lex specialis, che implicitamente negherebbe la capacità di donare del beneficiario, altrimenti – si afferma – tale norma sarebbe inutiliter data se riconoscesse una generale capacità di donare18. Secondo questa corrente di pensiero, in particolare, sarebbe difficile giustificare la possibilità di donare quando al beneficiario sia precluso il compimento di atti alienativi a titolo oneroso – a fronte dei quali incamera un corrispettivo –, certamente meno pregiudizievoli per la sua sfera patrimoniale.19 Ad avviso di questa dottrina rimarrebbe comunque salva la capacità donativa del beneficiario solo nel caso – ove ammesso – di una mera legittimazione concorrente, cioè nella ipotesi (di menomazione fisica o di infermità tale da non intaccare la lucidità intellettiva) in cui il Giudice Tutelare stabilisca che sia il beneficiario che l’amministratore di sostegno possono compiere in modo disgiunto determinati atti20. Alla base di tale impostazione vi sono almeno due fondamentali rilievi. Il primo è la considerazione secondo la quale l’art. 774 c.c. pone un principio insuperabile, così declinabile: solamente il soggetto pienamente capace può compiere un atto, quale è la donazione, idoneo in astratto – e sovente in concreto – a depauperarne il patrimonio.

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G. Bonilini, La capacità di donare del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, cit., 315. F. Anelli, Il nuovo sistema delle misure di protezione delle persone prive di autonomia, in Jus, 2005, 228 ss.; A. e E. Ansaldo, I trasferimenti mortis causa ed a titolo gratuito, in AA.VV., Amministrazione di sostegno, interdizione, inabilitazione, incapacità naturale, diretta da G. Ferrando, Bologna, 2012, 261 ss.; A. Turco, L’amministrazione di sostegno. Novella e sistema, Napoli, 2010, 311 ss. In particolare, secondo G. Marcoz, Rapporti contrattuali e successori tra amministratore di sostegno e beneficiario, in Riv. not., 2006, 1496, il divieto di donare del beneficiario di amministrazione di sostegno andrebbe esteso anche alle ipotesi di liberalità indirette, ritenendo l’articolo 774 c.c. norma di carattere sostanziale volta a regolare la capacità necessaria per la conclusione di qualsivoglia negozio liberale. Le critiche a quest’ultima impostazione rilevano che l’articolo 774 c.c. è norma insuscettibile di applicazione analogica, in quanto singola eccezione alla generale capacità. In argomento, v. anche U. Morello, L’amministrazione di sostegno (dalle regole ai principi), cit., 227. 18 E. Calò, Amministrazione di sostegno, cit., 257, secondo il quale l’incapacità si estende anche alle donazioni indirette; G. Salito e P. Matera, Amministrazione di sostegno: il ruolo del notaio, in Notariato, 2004, 666. 19 T. Romoli, Le invalidità nell’amministrazione di sostegno, in L’amministrazione di sostegno, a cura di S. Patti, in Familia, Quaderni, Milano, 2005, 134; L. Genghini, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Padova, 2010, 739. 20 In tal senso E. Calò, Amministrazione di sostegno, 129; G. Bonilini, La capacità di disporre per testamento del beneficiario di amministrazione di sostegno, in Tratt. dir. succ. e don., diretto da G. Bonilini, 2009, 153, secondo il quale in questo caso si è in presenza di una formale amministrazione di sostegno che poco differisce da un mandato, se non per il controllo che il Giudice Tutelare è tenuto a svolgere. 17

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Il secondo è la considerazione dell’istituto quale strumento di promozione ma anche – e soprattutto – di tutela di un soggetto debole. Così, sarà incapace di donare il beneficiario per il quale nel decreto o in atto successivo sia precluso il potere di alienare, permutare o ipotecare21.

5. La sentenza della Corte costituzionale, tra l’allineamento alla recente giurisprudenza di Cassazione e le indirette indicazioni a suffragio di un’amministrazione di sostegno non incapacitante.

Con la sentenza in commento la Corte costituzionale è intervenuta su una materia di notevole interesse, pervenendo ad un esito che soddisfa e favorisce un più corretto inquadramento dogmatico complessivo dell’amministrazione di sostegno. Le sollecitazioni per gli interpreti provenienti da tale pronuncia sono davvero molteplici e suggeriscono, pertanto, qualche notazione ulteriore su taluni aspetti davvero cruciali. Va rilevato, anzitutto, che alcuni di essi si colgono in maniera nitida, altri invece richiedono una lettura tra le righe, facendo assurgere la sentenza in parola a possibile paradigma ricostruttivo dell’amministrazione di sostegno. Prima di procedere con la disamina di tali aspetti, va fatta una precisazione niente affatto marginale. Tra l’ordinanza di rimessione del giudice vercellese e la sentenza in epigrafe si situa l’importante ordinanza della Corte di Cassazione, 21 maggio 2018, n. 12460, il cui approdo si trova ripetuto nella pronuncia del giudice delle leggi. Dunque, prima della sentenza in commento il giudice di legittimità è intervenuto, in maniera risoluta, sulla questione posta all’attenzione del giudice costituzionale. Procedendo con ordine, la vicenda sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione concerne un’amministrazione di sostegno attivata su ricorso del P.M. per il compimento degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione. Quest’ultimo chiedeva la previsione di limitazioni alla capacità di porre in essere atti di liberalità e testamentari in considerazione del fatto che il beneficiario era affetto da prodigalità, perdite di memoria, mancanza di senso del denaro e da una certa confusione mentale, situazioni che – a parere del P.M. ricorrente – comportavano il concreto rischio che eventuali disposizioni testamentarie (e donative) non sarebbero state frutto di scelte consapevoli.

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F. Loffredo, Atti tra vivi. Legge notarile. Casistica, Milano, 2005, 257, la quale puntualizza come «non v’è dubbio che il beneficiario, nel caso di nomina dell’amministratore di sostegno anche soltanto limitatamente a taluni atti, non abbia la “piena” capacità di disporre dei propri beni ma soltanto una capacità limitata agli atti non ricompresi nel decreto di nomina e non affidati all’amministratore di sostegno».

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Va detto che, sebbene il ricorso abbia ad oggetto un unico motivo, le questioni affrontate dal giudice di legittimità sono due. E precisamente, la prima di esse riguarda la possibilità di limitare, fino a impedirla, la capacità del beneficiario di compiere atti di donazione e di disporre dei suoi beni per testamento. La seconda, invece, intimamente connessa alla risposta positiva al primo quesito, concerne il potere del giudice tutelare di disporre tali limitazioni ex officio. Ora, tralasciando tale secondo interrogativo, ai nostri fini conta rimarcare come la soluzione raggiunta in tale sentenza si lasci apprezzare anzitutto per l’approccio unitario. In altri termini, la capacità di testare22 e quella di donare da parte del beneficiario dell’amministrazione di sostegno vanno affrontate allo stesso modo, benché la diversa disciplina recata dagli artt. 591 e 774 c.c. ne abbia sovente suggerito una separata trattazione. La sentenza in parola conclude nel senso di rigettare la prospettiva di estendere in via analogica al beneficiario dell’amministrazione di sostegno l’incapacità prevista dall’art. 591, co. 2, n. 2, c.c., per l’interdetto e si apre alla possibilità che il giudice tutelare imponga al beneficiario, mediante il provvedimento di nomina dell’amministratore o successivamente, una limitazione della capacità di testare o di donare, ovviamente ove se ne presenti la necessità. Nel compiere tale passaggio, però, il giudice di legittimità si aggancia a un proprio recente orientamento, e precisamente alla sentenza 11 maggio 2017, n. 1153623 in materia di divieto di matrimonio e applicazione – analogica e/o estensiva – dell’art. 85 c.c. al beneficiario dell’amministrazione di sostegno. In tale pronuncia, infatti, la Suprema Corte «ha riconosciuto, in presenza di circostanze di eccezionale gravità, la possibilità di estendere al beneficiario dell’amministrazione di sostegno il divieto previsto dall’art. 85 c.c., attraverso un apposito provvedimento del giudice tutelare (...)». Nella motivazione di tale sentenza vi sono i prodromi della lettura sistematica e funzionale dell’intera disciplina dell’amministrazione di sostegno. In primo luogo, emerge con nitidezza l’erroneità di una generalizzata estensione delle limitazioni previste per l’interdizione all’amministrazione di sostegno, considerata la diversa ratio posta a fondamento dei due istituti. In secondo luogo, le ragioni che depongono per limitare le facoltà del beneficiario dell’amministrazione di sostegno trovano nella previsione di cui all’art. 411, co. 4, c.c., lo strumento in grado di condurre legittimamente al sacrificio della libertà del beneficiario per salvaguardarne gli interessi prevalenti24.

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Sulla generale capacità di disporre per testamento del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, dovuta al fatto che l’art. 591 c.c. non include tra gli incapaci di testare tale soggetto, ex multis v. almeno C. Scognamiglio, La capacità di disporre per testamento, in Tratt. breve succ.e don., diretto da P. Rescigno, vol. I, 755; G. Bonilini, L’amministrazione di sostegno, Padova, 2007, 310-313; D. Achille, Autonomia privata e amministrazione di sostegno, ovvero il testamento del beneficiario dell’amministrazione di sostegno (affetto da SLA), in Giust. civ., fasc.7-8, 2012, 1868. 23 Per un commento a tale sentenza, v. almeno F. Danovi, Matrimonio e amministrazione di sostegno: (generale) validità ed (eccezionali) impugnative, in Fam. dir., 2017, 11, 956 ss. 24 Cass., 11 maggio 2017, n. 11536, ove si legge che «ritiene la Corte, secondo quanto pure sostenuto in dottrina, che il fuoco puntato sul best interest dell’amministrato non consenta a priori di escludere che, in circostanze particolarmente stringenti, diremmo eccezionalmente gravi, il divieto possa essere imposto: se, come stabilisce l’art. 411, u.c., c.c., ciò sia conforme all’interesse

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Il quadro che ne esce dalla sentenza in commento e dai provvedimenti della Corte di Cassazione che di poco l’hanno preceduta appare abbastanza chiaro. In primo luogo, sembra potersi offrire una lettura della disciplina codicistica contenuta negli artt. 404 ss. c.c. improntata al principio personalista di cui agli artt. 2 e 3 Cost., che consente di raggiungere un consapevole e ponderato «bilanciamento tra esigenze protettive» e «rispetto dell’autonomia individuale». Ma – e con ciò veniamo ai profili da ricercare funditus nella sentenza, non essendo immediatamente perspicui – si affaccia con forza la questione, prima solo accennata, di un’amministrazione di sostegno non incapacitante quale regola di default, in ragione di un approccio all’istituto che ne risalti i profili funzionali e che al contempo trovi conferma nei disposti normativi. Si è consapevoli della complessità della questione e del fatto che, sul punto, non vi è uniformità di opinioni. Secondo una parte autorevole della dottrina il conferimento di poteri sostitutivi all’amministratore comporta di necessità una limitazione della capacità di agire del beneficiario con possibile esercizio della rappresentanza25. In particolare, il fatto che la legge istitutiva preveda che la «legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente»26 comproverebbe la necessaria deminutio nella misura della capacità della persona del beneficiario27. Ulteriore argomento addotto a sostegno della necessaria incapacitazione28 conseguente all’istituzione della misura di protezione deriverebbe dal fatto che il testo della riforma non abbia riprodotto alcune previsioni, pur sottoposte all’esame del Parlamento, facenti riferimento a ipotesi alle quali non sarebbe conseguita l’incapacità del beneficiario29. Di contrario avviso è, invece, altra dottrina, la quale muove sostanzialmente da un rilievo di carattere testuale e uno di natura sistematica. Quanto al primo, correttamente si rileva che il disposto normativo decisivo ai fini dell’indagine è rappresentato dall’art. 409, co. 1, c.c., e che l’intera proposizione linguistica va tenuta in considerazione. In altri termini,

dell’amministrato, alla luce dell’interesse protetto dalla norma, con l’estremo sacrificio della libertà matrimoniale». S. Delle Monache, Prime note sulla figura dell’amministratore di sostegno: profili di diritto sostanziale, cit., 43, il quale, tra l’altro, correttamente precisa che nell’amministrazione di sostegno la rappresentanza non può definirsi legale, perché non automaticamente collegata dalla legge al verificarsi di una data situazione o all’esistenza di una certa condizione soggettiva. 26 Sottolinea come tale disposizione normativa potesse ragionevolmente essere riprodotta nel codice civile e che, invece, è stata colpevolmente dimenticata, M.N. Bugetti, Nuovi strumenti di tutela dei soggetti deboli tra famiglia e società, cit., 51. 27 Così, S. Delle Monache, Prime note sulla figura dell’amministratore di sostegno: profili di diritto sostanziale, cit., 30; G. Bonilini, in G. Bonilini e F. Tommaseo, Dell’amministrazione di sostegno, in Cod. civ. Comm., fondato da P. Schlesinger e continuato da F.D. Busnelli, Artt. 404-413, Milano, 2008, 34. 28 Sul significato da attribuire al testo di legge, tra versione originaria e quella effettivamente approvata, opportunamente C.M. Bianca, Premessa, in L’amministrazione di sostegno, a cura di S. Patti, in Familia, Quaderni, 4, Milano, 2005, 3, rileva che, se il testo del progetto dell’art. 409, comma 1, c.c., nel prevedere la conservazione della capacità d’agire «per tutti gli atti che non formano oggetto dell’amministrazione», comportava la necessaria incapacità totale o parziale del beneficiario, a diversa conclusione porta la versione finale della legge. 29 Per i riferimenti, v. G. Lisella, Amministratore di sostegno e funzioni del giudice tutelare. Note su una attesa innovazione legislativa, in Rass. dir. civ., 1999, 216 ss. 25

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Giurisprudenza

non ci si può soffermare unicamente sul sintagma «rappresentanza esclusiva», obliterando l’altro contenuto nella medesima norma, ossia «assistenza necessaria». L’uno e l’altro vanno a corroborare, rispettivamente, le ragioni contrarie e quelle favorevoli alla prospettazione di un’amministrazione di sostegno non incapacitante. Il disposto normativo in parola – tenuto conto di quanto previsto dall’art. 411, co. 4, c.c. – può invece significare che solo per quegli atti in ordine ai quali il decreto reclama l’intervento sostitutivo o l’assistenza dell’amministratore si è in presenza di una limitazione della capacità di agire30. Venendo ora al rilievo di natura sistematica, sembra chiaro che la configurabilità sul piano dogmatico di un’amministrazione di sostegno non incapacitante passi per la risoluzione del nodo più spinoso dell’intera disciplina dell’amministrazione di sostegno. Si intende dire, in altri termini, che occorre convenire sul significato da attribuire all’espressione «minore limitazione possibile della capacità di agire» di cui all’art. 1 della legge 9 gennaio 2004, n. 6. Sul punto, le opzioni percorribili sono due soltanto. E precisamente, da un lato v’è chi ritiene che una deminutio della capacità del beneficiario della misura protettiva sia connaturata ad essa. Dall’altro, vi è chi suggerisce – in ossequio non solo alla duttilità della misura31, ma anche ai risvolti pratici di un tale approccio – di evitare una limitazione della capacità di agire che non risulti strumentale alla tutela dell’interessato. Si tratta, intuitivamente, di una questione che può solo accennarsi in tale sede, richiedendo sicuramente un’analisi molto più approfondita. Tuttavia, si intravede ictu oculi la proficuità di un tale approccio, tutte le volte in cui pur in presenza di un’anomalia psichica l’incapacitazione appaia irragionevole o sproporzionata. Si pensi al caso del soggetto che ha bisogno di ausilio per il compimento di atti della quotidianità, come il pagamento delle bollette et similia. In conclusione, la sentenza della Corte costituzionale merita accoglimento, non solo perche si allinea a un trend abbastanza consolidato nella giurisprudenza di legittimità, ma anche e soprattutto perché richiama gli interpreti ad affrontare, senza pregiudizi di sorta, la possibilità di un’amministrazione di sostegno non incapacitante, valorizzando le direttive funzionali che informano l’istituto. Francesco Meglio

30

In tal senso, per tutti, v. G. Lisella, Amministratore di sostegno con funzioni di rappresentanza non «esclusiva», cit., 45, che richiama anche E. Calò, Amministrazione di sostegno, cit., 127. 31 Tale carattere evoca, a sua volta, i concetti di proporzionalità e ragionevolezza, sui quali v. almeno, P. Perlingieri, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in Rass. dir. civ., 2001, 441 ss.; F. Casucci, Il sistema giuridico «proporzionale» nel diritto privato comunitario, Napoli, 2001, spec. 378; R. Lanzillo, La proporzione fra le prestazioni contrattuali, Padova, 2003; G. Recinto, I patti di inesigibilità del credito, Napoli, 2004, spec. 236 ss.; F. Volpe, La giustizia contrattuale tra autonomia e mercato, Napoli, 2004, spec. 183 ss.; N. Cipriani, Patto commissorio e patto marciano. Proporzionalità e legittimità delle garanzie, Napoli, 2000, 198 ss.; S. Polidori, Principio di proporzionalità e disciplina dell’appalto, in Rass. dir. civ., 2004, 686; G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, 1 ss.

754


Giurisprudenza Cass. civ., sez. II, ord. 10 dicembre 2018, n. 31902; Giancola Presidente - Tricomi Relatore Famiglia – Affidamento condiviso – Principio di bigenitorialità – Potestà dei genitori Il principio di bigenitorialità si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse, ma ciò non comporta l’applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore in quanto l’esercizio del diritto deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore, giacché in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione.

(Omissis)

(Omissis)

Fatto. – G.I. propone ricorso per cassazione

Diritto. – 2.1. Con il primo motivo si denun-

con quattro mezzi nei confronti di B.M. avverso

cia la violazione e falsa applicazione dell’art. 316

il decreto della Corte di appello di Roma reso

c.c., comma 3, in combinato disposto con gli artt.

in controversia vertente ai sensi degli artt. 316 e

2, 3, 30 e 31 Cost., con l’art. 24 della Carta dei di-

337-bis c.c., e riferita all’esercizio della genitoria-

ritti fondamentali dell’UE, e con la Convenzione

lità, al regime di frequentazione e alla ripartizio-

di New York 20 novembre 1989 (ratificata e resa

ne delle spese per il mantenimento della minore

esecutiva in Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176);

M.S. (n. (*)).

si denuncia altresì la violazione degli artt. 315-bis

La Corte di appello, avendo accertato l’esi-

e 316 c.c., per sproporzione ed indeterminatezza

stenza di una grave conflittualità tra i genitori,

del provvedimento di affido della minore ai ser-

alimentata da una competitività esasperata, in

vizi sociali e per non avere individuato il genitore

riforma della decisione di primo grado, aveva

più idoneo a curare l’interesse della figlia. La cen-

disposto l’affido della minore al servizio sociale

sura è proposta anche sotto il profilo dell’omesso

competente per l’assunzione delle “decisioni più

esame di un fatto decisivo.

importanti afferenti la salute, la scuola, l’attività sportiva” della minore, sentiti i genitori, riservan-

2.2. Il motivo è inammissibile sotto molteplici profili, oltre che infondato.

do a questi ultimi l’assunzione delle decisioni af-

2.3. Innanzi tutto va rilevato che sostanzial-

ferenti alla vita quotidiana, fermo il collocamento

mente le violazioni di legge proposte si risolvono

prevalente presso la madre; aveva quindi regola-

in una sollecitazione, inammissibile, al riesame

to il regime degli incontri; aveva determinato il

del merito da parte del giudice di legittimità e

contributo paterno al mantenimento della minore

che la formulazione della doglianza motivaziona-

in Euro 800,00 mensili con decorrenza dalla pro-

le non è conforme all’attuale previsione dell’art.

posizione della domanda.

360 c.p.c., comma 1, n. 5.

755


Giurisprudenza

Nello specifico: a) il profilo di doglianza relati-

l’esposizione sommaria del fatto, va osservato che

vo alle lamentate carenze istruttorie della relazione

la decisione impugnata smentisce l’assunto, poichè

dei servizi sociali, utilizzata dalla Corte di appello

la Corte di appello ha preso in considerazione la

per fondare la decisione impugnata, risulta conno-

complessa situazione familiare allargata e l’affido

tata da evidente novità (lo stesso ricorrente assu-

dei due fratelli uterini ai servizi sociali disposto dal

me di avere acquisito il fascicolo dei Servizi sociali

Tribunale per i minorenni in ragione delle loro pro-

il 21/9/2017, dopo l’emissione del provvedimento

blematiche comportamentali, dettando al servizio

impugnato) e si risolve in una tardiva critica al

sociale un compito di monitoraggio circa l’adegua-

compendio probatorio utilizzato in giudizio; b) il

tezza dell’ambiente domestico della madre.

profilo di doglianza relativo al “sub procedimento

(Omissis)

con udienza svolta il 14.7.2016” – così individuato

3.1. Con il secondo motivo si denuncia la vio-

in ricorso – che si sarebbe svolto in assenza di

lazione dell’art. 316 c.c., per manifesta contraddit-

contraddittorio, per non essergli stato notificato

torietà della decisione e violazione del principio di

l’atto introduttivo, in disparte dalla assoluta ge-

parità tra i genitori, criticando la statuizione della

nericità della prospettazioni, risulta inammissibile

Corte di appello che, modificando la regolamen-

poiché lo stesso ricorrente riconosce di non esser-

tazione del diritto di vista paterno, aveva ridotto il

si opposto nel corso del procedimento; c) il pro-

pernotto infrasettimanale presso il padre.

filo di doglianza relativo all’apprezzamento della

3.2. Il motivo è inammissibile perché, pur pro-

sussistenza di ampio contenzioso giudiziario tra le

spettando una violazione di legge, sollecita inam-

parti, la cui incidenza sarebbe stata sopravvalutata,

missibilmente una rivalutazione delle emergenze

a parere del ricorrente, perchè relativa al perio-

istruttorie con esito favorevole al ricorrente.

do antecedente l’udienza presidenziale di separa-

3.3. Peraltro va ricordato che il principio di bige-

zione, risulta essere una sollecitazione al riesame

nitorialità si traduce nel diritto di ciascun genitore

delle più ampie valutazioni compiute al giudice

ad essere presente in maniera significativa nella vita

di merito in ordine al comportamento tenuto tra

del figlio nel reciproco interesse, ma ciò non com-

le parti nella gestione della comune genitorialità,

porta l’applicazione di una proporzione matemati-

travalicato in molteplici occasioni in contenziosi

ca in termini di parità dei tempi di frequentazione

giudiziari; d) ugualmente si pone come sollecita-

del minore in quanto l’esercizio del diritto deve

zione ad una rivalutazione dei fatti, la segnalazio-

essere armonizzato in concreto con le complessi-

ne di una attitudine della B. all’inasprimento dei

ve esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore,

rapporti con gli ex coniugi, desumibile – a parere

giacché “In tema di affidamento dei figli minori,

del ricorrente – da una relazione dei servizio so-

il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusi-

ciale della ASL RM, afferente ai rapporti tra la B.

vo interesse morale e materiale della prole, deve

ed il precedente coniuge, in relazione all’esercizio

operare circa le capacità dei genitori di crescere ed

della genitorialità nei confronti dei figli D.P.U. e

educare il figlio nella nuova situazione determinata

F., nati da questo rapporto e fratelli uterini di M.S.

dalla disgregazione dell’unione, va formulato te-

2.4. Quanto al fatto di cui sarebbe stato omesso

nendo conto, in base ad elementi concreti, del mo-

l’esame, e cioè l’esistenza di una procedura avviata

do in cui i genitori hanno precedentemente svolto i

dalla Procura minorile che si sarebbe conclusa con

propri compiti, delle rispettive capacità di relazione

la richiesta della sospensione della responsabilità

affettiva, attenzione, comprensione, educazione e

genitoriale nei confronti dei genitori dei due germa-

disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché del-

ni D., in disparte dalla poca chiarezza che connota

la personalità del genitore, delle sue consuetudini

756


Franco Trubiani

di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile

consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione” (Cass. n. 18817 del 23/09/2015). (Omissis)

Affidamento condiviso: il diritto alla bigenitorialità fra assolutezza del principio e relatività delle regole applicative* Sommario:

1. Il caso e le questioni giuridiche. – 2. Crisi familiare e tutela dell’interesse superiore del minore. – 3. Il principio di bigenitorialità: la difficile ricerca di un equilibrio. – 4. Il possibile ruolo della mediazione familiare. – 5. Spunti di riflessione.

The note examines the solution accepted by the Court of Cassation with regard to the implementation of the principle of dual parenting in the shared custody of minor children, as envisaged by art. 337, cod. civ. This interpretation, although tendentially correct, seems to be subject to criticism from the point of view of the lack of reflection regarding the circumstance according to which the attribution of a low percentage of the monthly time or the failure to establish care duties corresponds to the removal of the parent from the daily life of the child minor with irremediable effects, first of all, on the psychological growth of the child. The author, therefore, also in the light of a possible imminent legislative change, reflects on the possibility of preparing tendentially elastic schemes as they must adapt not only to the diversity of concrete cases, but also to the changes determined by the evolution of the reality of reference.

*

Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.

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Giurisprudenza

1. Il caso e le questioni giuridiche. Il caso in esame1 offre l’occasione per tornare a riflettere in ordine all’attuazione concreta del principio di bigenitorialità in materia di affidamento condiviso dei figli. Principio la cui attuazione è sempre al centro di un acceso dibattito, come testimonia il probabile progetto legislativo in materia2, peraltro già ampiamente criticato. La Suprema Corte con la pronuncia in esame ribadisce un orientamento ormai consolidato3, in tema di affidamento dei figli: dal principio di c.d. bigenitorialità4 (come sancito nella riforma dell’affidamento condiviso, l. 54/2006) discende che la crisi del rapporto coniugale (o meglio del rapporto tra i genitori)5 non deve incidere sul rapporto genitori-figli. Il regime del rapporto tra genitori e figli, anche a seguito della crisi fra i genitori, trova fondamento nel principio di bigenitorialità che si fonda su una molteplicità di regole alla quali la giurisprudenza fa costante riferimento nella ricerca della risposta migliore da offrire in ciascun caso concreto. In via prioritaria si deve comunque tener conto della presenza di ognuno dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, posto che permane il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione6.

1

Cass. civ., Sez. I, 10 dicembre 2018, n. 31902, in Familia.it, 2018, con nota redazionale di L. Vizzoni, Affidamento condiviso di figli minori e bigenitorialità; in Fam. dir., 2019, 250 ss., con nota di F. Danovi, La Cassazione si esprime (ante litteram?) sulla parità dei tempi dei genitori con il minore. 2 Ci si riferisce, come di tutta evidenza, ai Ddl. S/735 (c.d. Pillon) e Ddl S/837 (c.d. Balboni) (consultabili in www.senato.it), entrambi al momento in sede di discussione presso il Senato della Repubblica. 3 Tra le ultime pronunce v., ampiamente citata nella decisione in commento, Cass. civ., 23 settembre 2015, n. 18817, in Dir. giust., 2015; ma cfr. anche Cass. civ., 12 maggio 2015, n. 9633, in Osservatoriofamiglia.it; Cass. civ., 21 marzo 2011, n. 6339, ivi; Cass. civ., 2 dicembre 2010, n. 24526, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 412 ss., con nota di M. N. Bugetti, Un ulteriore passo verso la continuità del rapporto genitori-figli oltre la crisi della famiglia nella giurisprudenza della Suprema Corte, che riguarda specificamente un caso di affidamento condiviso di figli minori anche nell’ipotesi in cui uno dei genitori risieda all’estero; in ordine a tale ultima ipotesi, v. anche Cass. civ., 6 marzo 2019, n. 6535, in Dir. giust., 2019. 4 Per l’idea secondo cui il diritto alla bigenitorialità sia espressione di un principio già presente nella precedente disciplina, cfr. L. Rossi Carleo, Famiglie disgregate: le modalità di attuazione dell’affidamento dei figli fra disciplina attuale e prospettive di riforma, in Familia, 2004, 4 ss. 5 Così come risulta evidente ormai dalla attuale collocazione della disciplina che ha preso atto della scissione fra matrimonio e filiazione. 6 A ben vedere, in effetti, sembrerebbe che più che diritti, i genitori abbiano responsabilità nei confronti dei figli: sul punto si rimanda a E. Quadri, Affidamento dei figli e assegnazione della casa familiare: la recente riforma, in Familia, 2006, 395 ss., secondo cui la riforma del 2006 non attribuisce diritti specifici e distinti rispetto alla situazione precedente bensì concorrenti: difatti, «le scelte attribuite ai genitori nell’esercizio della loro responsabilità vanno ben oltre e, quindi, ben maggiori sono le possibili contese che ne derivano in caso di conflittualità di genitori ‘affidatari’, a meno di non voler superare la ‘mediazione’ collegata al termine affidamento e riferirsi direttamente al come deve essere esercitata la responsabilità genitoriale da parte di genitori non più conviventi».

*

Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.

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Franco Trubiani

L’elemento di novità della pronuncia in oggetto si sostanzia nel fare espresso riferimento alla impossibilità di ricorrere, in questo contesto, a regole “semplicistiche”, come si rileva, con chiarezza, nell’esplicitare che dal principio di bigenitorialità e dalla regola dell’affidamento condiviso non consegue l’applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore da parte dei genitori. Le modalità applicative, conformate alla rigidità di una regola matematica, risultano, a parere della Corte, inapplicabili pur senza revocare in dubbio che la previsione dell’affidamento condiviso ad entrambi i coniugi rappresenta la regola, da applicarsi nella generalità delle ipotesi, mentre l’affidamento esclusivo ad uno solo di essi costituisce un rimedio eccezionale7, da applicarsi in via sussidiaria, nel caso in cui l’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale appaia di pregiudizio per la prole8. La quaestio facti si può riassumere in poche parole. Un padre propone ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di Appello di Roma reso all’esito di una controversia instaurata ai sensi degli artt. 316 e 337-bis c.c. e riferita all’esercizio della genitorialità, al regime di frequentazione e alla ripartizione delle spese per il mantenimento della figlia minore. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. In particolare, il ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, aveva denunciato la violazione dell’art. 316 c.c. per manifesta contraddittorietà della decisione e violazione del principio di parità tra i genitori, criticando la statuizione della Corte di appello, che, modificando la regolamentazione del diritto di visita paterno, aveva ridotto il “pernotto” infrasettimanale presso il padre. I Giudici di legittimità, pur dichiarando inammissibile il motivo di ricorso, perché sollecita una ingiustificata rivalutazione delle emergenze istruttorie, hanno ricordato che il principio di bigenitorialità si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio, nel reciproco interesse, ma ciò non comporta l’applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore, in quanto l’esercizio del diritto deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e di entrambi i genitori. Viene, infatti, affermato che, in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare

7

Come ad es., in Cass. civ., 17 dicembre 2009, n. 26587, in Fam. pers. succ., 2010, 599 ss., con nota di C. Caricato, Affidamento esclusivo per inidoneità alla responsabilità genitoria, consistente (anche) nell’inadempimento agli obblighi di mantenimento. 8 Tra le tante pronunce di legittimità sul tema, cfr. Cass. civ., 11 luglio 2017, n. 17137, in Fam. dir., 2018, 253 ss., con nota di R. Gelli, L’affidamento condiviso: presupposti e risvolti applicativi; Cass. civ., 10 maggio 2011, n. 10265, in Corriere giur., 2012, 91 ss., con nota di G. Ferrando, L’adozione in casi particolari del figlio naturale del coniuge; Cass. civ., 2 dicembre 2010, n. 24526, cit.; Cass. civ., 17 dicembre 2009, n. 26587, in Foro it., 2010, I, 428; Cass. civ., 18 giugno 2008, n. 16593, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 412 ss., con nota di M. Mantovani, (Presunta) omosessualità di un genitore, idoneità educativa e rilievo della conflittualità ai fini dell’affidamento; Cass. civ., 27 giugno 2007, n. 14840, in Foro it., I, 2007, 139 ss., con commento di G. Casaburi; Nella giurisprudenza di merito, tra le altre, v. Trib. Roma, 17 marzo 2017, su www.ilcaso.it, 2017; Trib. Milano, 11 marzo 2016, in Fam. dir., 2017, 145 ss., con nota di Da. Russo, L’interesse del minore tra affidamento e responsabilità genitoriale; Trib. Caltanissetta, 30 dicembre 2015, ivi; Trib. Roma, 24 dicembre 2015, su Repertorio Lex24.

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Giurisprudenza

circa le capacità9 dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del già citato principio della bigenitorialità.

2. Crisi familiare e tutela dell’interesse superiore del minore. Il quadro normativo, a seguito della riforma dell’affido del 2006, ha valorizzato l’interesse del minore10 come soggetto di diritto che non viene più considerato come un soggetto estraneo al giudizio di separazione dei genitori (sul quale si riversano solo gli effetti di decisioni che passivamente deve subire) ma lo investe di un nuovo e determinante ruolo, ancor più considerando come la rinnovata prospettiva delineata dal legislatore chiami entrambi i genitori a traghettare quel «progetto educativo della prole»11, ideato nella fase fisiologica del loro rapporto, «verso i nuovi approdi che si delineano con la crisi della convivenza, rimodellandolo e rimodulandolo in ragione di questa e sulla base del superiore interesse del minore e delle sue nuove esigenze»12. Nel caso in cui i genitori siano in grado di presentare un progetto educativo concordato, ancorchè generico, il giudice potrà limitarsi a specificare i profili relativi alla collocazione, alla residenza anagrafica, ai tempi di permanenza, lasciando la concreta attuazione dei compiti di cura e assistenza agli accordi devoluti ai coniugi. Si registra, pertanto, l’incrementarsi di una «diffusa tendenza a rendere più elastico il rapporto tra legge e giudice, attribuendo a quest’ultimo poteri di adeguamento della nor-

9

Il riferimento al termine “capacità” non deve indurre a ritenere che il giudice, anche dopo l’introduzione dell’affidamento condiviso, operi una scelta a favore del genitore più meritevole ad ottenere la collocazione del minore presso di sé, quasi che questa scelta possa costituire una sorta di “premio” al genitore più meritevole, cioè quasi come se si assegnasse la vittoria ad uno dei due contendenti. La scelta va fatta tendo conto del rapporto del minore con tutto l’ambiente di riferimento. 10 Senza pretesa di completezza, sull’evoluzione della nozione di interesse del minore si rimanda, tra gli altri, a P. Perlingieri, Norme costituzionali e rapporti di diritto civile, in Tendenze e metodi della civilistica italiana, Napoli, 1979, 95 ss. ed in Rass. dir. civ., 1980, 95 ss.; P. Stanzione, Lo statuto del minore (commento al disegno di legge 12 gennaio 1994 n. 1792), in Fam. dir., 1994, 351 ss.; G. Autorino Stanzione, I figli nella crisi della famiglia: esperienze europee a confronto, in Vita not., 1995, 26 ss.; F. Ruscello, La potestà dei genitori. Rapporti personali (artt. 315-319), in Comm. C.C. a cura di P. Schlesinger, Milano, 1996, 78 ss.; E. Quadri, L’interesse del minore nel sistema della legge civile, in Fam. dir., 1999, 80 ss.; A. Morace Pinelli, La crisi coniugale tra separazione e divorzio, Milano, 2001, 261 ss.; G. Ballarani, La capacità autodeterminativa del minore nelle situazioni esistenziali, Milano, 2008, 38 ss. 11 L’espressione è di G. Giacobbe, Potestà dei genitori e progetto educativo, in Trenta anni dalla riforma del diritto di famiglia, a cura di G. Frezza, Milano, 2005, 113 ss. 12 Così G. Ballarani, Il diritto del minore a non essere ascoltato, in Dir. fam., 2010, 1808.

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Franco Trubiani

mativa alle concrete situazioni di fatto»13, ciò essenzialmente grazie al ruolo che hanno assunto i principi (e di conseguenza le regole che dalla loro applicazione vengono tratte) nell’evolversi del diritto di famiglia. Il principio ispiratore della riforma è rappresentato dal c.d. diritto del figlio alla bigenitorialità, definito dal co. 1 dell’art. 337 c.c. come «il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori» e configurato come un vero e proprio diritto soggettivo del minore rientrante tra quelli della personalità a lui spettanti14 che si realizza garantendo la frequentazione e l’apporto educativo di entrambi i genitori, «posti sullo stesso piano nella gestione del rapporto di vita con i figli»15. L’obiettivo della bigenitorialità è stato perseguito dal legislatore della riforma attraverso la valorizzazione del criterio ispiratore di questa materia rappresentato dall’interesse morale e materiale della prole, realizzato, tuttavia, attraverso modalità rinnovate rispetto al passato. La riforma del 2006, difatti, ha tentato di introdurre quello che è stato definito un vero e proprio “cambio di mentalità”16, incentivando la circolazione di un nuovo modello di affidamento comune a tutte le ipotesi di filiazione. L’obiettivo finale era quello di realizzare il passaggio definitivo dal tradizionale affidamento monogenitoriale a quello condiviso, ritenuto il più adatto nell’interesse della prole, in quanto, attraverso di esso, si realizza l’assunzione della medesima funzione educativa e di cura da parte di entrambi i genitori17 e non, come accade nell’affidamento esclusivo, solo da parte dell’affidatario18. Il tenore letterale dell’art. 337-ter, nello stabilire che il giudice possa disporre l’affidamento dei figli a uno solo dei genitori qualora reputi, con provvedimento motivato19, che

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Come da tempo ha rilevato S. Rodotà, in Aa.Vv., Cinque note sul divorzio, V, in Pol. dir., 1970, 366. Nota R. Carleo, Il ruolo della giurisprudenza nel diritto di famiglia: cenni introduttivi, in Nuovo dir. civ., 2016, 166-167, come «il ricorso ai principi per decidere la fattispecie concreta sovente senza ricorrere alla mediazione della fattispecie astratta, risulta con evidenza agevolato anche dalle leggi, che, in questo quarantennio, hanno comunque riformato il di­ritto di famiglia, seppure, spesso, senza riformare il codice». 14 In tal senso, M. Sesta, La nuova disciplina dell’affidamento dei figli nei processi di separazione, divorzio, annullamento matrimoniale e nel procedimento riguardante i figli nati fuori dal matrimonio, in L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di M. Sesta e A. Arceri, Torino, 2012, 12. 15 A. Morace Pinelli, I provvedimenti concernenti i figli in caso di crisi del matrimonio o dell’unione di fatto, in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, Padova, 2015, 696. Per l’idea secondo cui si devono riconoscere al genitore non affidatario ampi e significativi tempi di frequenza del minore proprio per garantire l’equilibrata frequentazione dei figli (che va a distinguere l’affidamento condiviso da quello esclusivo), v. L. Rossi Carleo, Introduzione, in Provvedimenti riguardo i figli (artt. 155-155 sexies), in Comm. C.C Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2010, 5-6, secondo cui questo nuovo modello di “accordo nel disaccordo” implica necessariamente un mutamento di mentalità. 16 L. Rossi Carleo, Affidamento condiviso: bilanci e prospettive, in Comparazione e diritto civile, 2012, 1, a parer della quale «la vera novità è costituita dal sostegno che ai coniugi si offre nella ricerca di un accordo e, quindi, nella formazione di una mentalità che incentivi la ricerca di un dialogo costruttivo nell’interesse dei figli». 17 Così, tra gli altri, L. Balestra, Brevi notazioni sulla recente legge in materia di affidamento condiviso, cit., 658; M. Sesta, Le nuove norme sull’affidamento condiviso. Profili sostanziali, in Fam. dir., 2006, 377; G. Ballarani, Potestà genitoriale e interesse del minore, in L’affidamento condiviso, a cura di S. Patti e L. Rossi Carleo, Milano, 2006, 29 ss. 18 G.F. Basini, L’affidamento condiviso, in Il diritto di famiglia, in Tratt. Bonilini-Cattaneo, I, Famiglia e matrimonio, 2a ed., Torino, 2007, 1031. 19 Secondo la giurisprudenza, peraltro, l’opzione in favore dell’eccezione (cioè l’affidamento monogenitoriale) impone al giudice una doppia motivazione: in positivo, sulla idoneità del genitore affidatario; in negativo, sulla inidoneità educativa (così Cass. civ.,

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l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore, sembrerebbe, in primo luogo, sollecitare il giudice, chiamato a pronunciarsi sul provvedimento di affidamento, a basare la sua scelta su una valutazione preminente del rapporto figlio-genitore, piuttosto che sul rapporto intercorrente fra i due genitori20, al fine di impedire, ad esempio, che un provvedimento di affidamento monogenitoriale venga motivato, in via esclusiva, sulla base di una eccessiva conflittualità fra gli stessi21 o in ragione della lontananza di uno dei genitori dal luogo di dimora abituale della prole22. L’esperienza giurisprudenziale di questi anni ha dimostrato, fin da subito23, una censurabile tendenza a determinare tra le due figure genitoriali quella maggiormente caratterizzata da “capacità educativa” attraverso una indagine invero condotta sulla base di criteri fondati sulla personalità del genitore, piuttosto che sul profilo relazionale, desunto dalla qualità del rapporto con il figlio, con il rischio della prevalenza di uno spirito di protezione su quello di promozione della personalità del minore24. Diversamente, nell’ottica di un affidamento condiviso, l’interesse del minore, dovrebbe essere valutato sotto il profilo del rapporto, il quale, sia pur rinnovato nelle modalità, deve comunque permanere con entrambi i genitori. Non sempre la formula dell’interesse del minore25, sempre evocata, è indicativa di una scelta coerente alla complessità dei principi che tale espressione dovrebbe rappresentare.

7 dicembre 2010, n. 24841, cit.) ovvero sulla manifesta carenza, dell’altro genitore (Cass. civ., 11 agosto 2011, n. 17191, in Pluris). Non sarà possibile, viceversa, giustificare la scelta dell’affidamento esclusivo solo sulla base dei pregressi rapporti tra il padre e la madre. Si ricorre all’affidamento monogenitoriale, ad es., nell’ipotesi in cui sussista disinteresse o rifiuto del genitore di occuparsi del figlio (tra le altre, v. Trib. Ravenna, 9 agosto 2017; Trib. Modena, 13 gennaio 2016, entrambe in Iusexplorer), oppure in caso di grave inidoneità educativa di un genitore il quale risulta inadeguato (Trib. Isernia, 6 febbraio 2018, inedita; Trib. Torre Annunziata, 13 giugno 2017, in Pluris) o addirittura aggressivo e violento (v. Trib. Roma, 21 settembre 2018, in Foro it., 2019, I, 346), alla cui base vi era la vicenda di un padre violento contro la propria compagna alla presenza della figlia minore affetta da gravi disturbi dello spettro autistico; Trib. Trani, 29 gennaio 2018, in Pluris; Trib. Terni, 31 luglio 2007, in Giur. it., 2007, 1142; Trib. Min. L’Aquila, 26 marzo 2007, in Giur. merito, 2007, 3110. 20 S. Patti, L’affidamento condiviso dei figli, in Fam. pers. succ., 2006, 300. 21 L’applicazione giurisprudenziale dei primi anni a seguito della riforma ha visto diverse volte che la scelta a favore di un affidamento esclusivo veniva giustificata sulla base di valutazioni che si richiamavano al principio di “autodeterminazione del minore”, si v., ad es., Trib. Firenze, 22 aprile 2006, in Fam. dir., 2006, 291, con nota di F. Tommaseo, L’interesse dei minori e la nuova legge sull’affidamento condiviso. Per un’analisi di questo assai critico filone giurisprudenziale si rimanda più compiutamente a T. Auletta, sub art. 337 quater, in Della famiglia, a cura di G. Di Rosa, II, in Comm. al c.c. Gabrielli, Torino, 2018, 1054 ss. In realtà l’elevata conflittualità tra i genitori non preclude necessariamente l’affidamento condiviso che anzi va disposto lo stesso ugualmente nell’interesse della prole: così Cass. civ., 3 gennaio 2017, n. 27, in Guida dir., 2017, fasc. 18, 76. In senso conforme, tra le più recenti, Cass. civ., 11 gennaio 2013, n. 601, in Giust. civ., 2013, I, 2508; Cass. civ., 20 gennaio 2012, n. 784, in Fam. pers. succ., 2012, 676; Cass. civ., 15 settembre 2011, n. 18863, in Fam. dir., 2012, 579. 22 App. Bologna, 28 dicembre 2006, in Fam. dir., 2007, 483 ss., con nota di A. Arceri, Libertà di stabilimento, affidamento condiviso ed affidamento esclusivo: un difficile rapporto a tre. Si noti, peraltro, come il medesimo concetto di lontananza sembrerebbe mutato nel corso degli anni a causa dell’evolversi delle tecnologie digitali che permettono oggi l’accorciamento delle distanze. 23 Tra le tante, v. Trib. Bologna, 17 aprile 2008, in Fam. pers. succ., 2008, 684 ss., con nota di C. Irti, Il contenuto dell’affidamento esclusivo nell’interpretazione della giurisprudenza di merito. 24 Tale circostanza ha dimostrato come una applicazione astrattamente rigida delle norme di legge potrebbe condurre a risultati sostanzialmente iniqui, in palese contrasto con i principi ispiratori della riforma sull’affidamento condiviso. 25 Sul punto la bibliografia è assai ampia: senza alcuna pretesa di completezza, per tutti, tra i contributi più recenti, si rinvia a E. Lamarque, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016, passim, e V. Scalisi, Il superiore interesse del minore ovvero il fatto come diritto, cit., 405 ss.; G. Corapi, La tutela dell’interesse superiore del minore, in Dir.

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Difatti la formula se da un lato attribuisce al giudice la possibilità di modulare prudentemente i provvedimenti da adottare in maniera aderente alla peculiarità del caso concreto26, dall’altro, basandosi talora su astratte considerazioni, rischia di tradursi in scelte non sempre coerenti e ragionate27, facendo si che il generico riferimento all’interesse del minore si risolva «in una vuota formula di stile o in un elemento decorativo della motivazione»28. Lo scopo dichiarato della norma è quello del raggiungimento del maggior benessere possibile del minore: tuttavia se fisso è l’obiettivo, molteplici e diversificate sono le vie destinate a raggiungerlo. Basti pensare che esso si realizza diversamente a seconda, in primo luogo, dell’età del minore (se esso sia un fanciullo oppure un adolescente), ma anche in relazione ai tempi e ai contesti socio-culturali in cui il minore realizza la propria personalità. Come evidente, il maggior benessere del minore si collega strettamente alla sua capacità di discernimento29, la quale muta con il corso degli anni: di conseguenza, la concreta attuazione del principio del c.d. best interest of the child30 risulta spesso ardua e contraddittoria, specialmente nell’ottica rinnovata secondo cui i rapporti familiari si fondano non più sul piano “istituzionale” o su quello biologico ma un piano tipicamente funzionale. Ne discende, occorre ribadire, il ruolo determinante assunto dalla giurisprudenza come «forza motrice di una costante evoluzione che trova la sua fonte preminente nei principi»31 e che vede i giudici destinati a trarre regole dai principi32 e, nel contempo, vede limitarsi

succ. fam., 2017, 777 ss. Secondo V. Scalisi, Il superiore interesse del minore, cit., 413, l’interesse del minore non sarebbe «individuabile a priori e una volta per tutte, ma soltanto a posteriori, sulla base di una valutazione intrinsecamente di specie, per così dire individualizzata, più propriamente personalizzata, da condurre sia in negativo (come assenza di possibili pregiudizi ostativi al pieno e integrale sviluppo della sua personalità) ma anche e soprattutto in positivo ossia in termini di benefici (sia fisici che psichici, sia materiali che spirituali, sia patrimoniali che propriamente esistenziali) da assicurare al minore». 27 Negli ultimi anni in giurisprudenza si registra un’applicazione estensiva del principio del superiore interesse del minore, basti pensare alla celeberrima e per certi versi “storica” pronuncia della Suprema Corte (Cass. civ., 22 giugno 2016, n. 12962, in Foro it., 2016, I, 2360 ss., con nota di G. Casaburi, L’adozione omogenitoriale e la Cassazione: il convitato di pietra), la quale, nel confermare una decisione della Corte d’Appello di Roma, che, alla luce di un’interpretazione “evolutiva” della legge, aveva accolto la domanda di adozione di una minore – ai sensi dell’art. 44, co. 1, lett. d), l. n. 184/1983, – promossa da una partner stabilmente convivente con la madre della stessa, nonostante la mancanza di una situazione di abbandono (e di una conseguente impossibilità di affidamento preadottivo), ma direttamente in considerazione dei “legami affettivi sviluppatisi” con la proponente, perseguendo un obiettivo ritenuto in fatto meritevole di tutela prioritaria. Su questo specifico tema per approfondimenti si rimanda a N. Cipriani, Le adozioni nelle famiglie omogenitoriali in Italia dopo la l. 76 del 2016, in Orientamento sessuale, identità di genere e tutela dei minori. Profili di diritto internazionale e di diritto comparato, a cura di B.E. Hernàndez-Truyol e R. Virzo, Napoli, 2016, 249 ss. 28 Così Cass. civ., 22 giugno 1999, n. 6312, in Giur. it., 2000, I, 1395. 29 L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, 86, il quale la qualifica come «una sensatezza sufficiente sul piano psicologico, che gli permetta di valutare le circostanze in cui si trova, l’importanza della decisione da prendere, i valori e gli interessi che vi sono in gioco, le conseguenze che potranno derivarne». Per l’idea secondo cui non esiste un unico archetipo astratto di minore, nell’arco di una più ampia riflessione, v. G. Recinto, Le genitorialità. Dai genitori ai figli e ritorno, Napoli, 2016, spec. 51 ss. 30 Le cui origini sono indagate attentamente da E. Lamarque, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, cit., 42 ss. 31 Così R. Carleo, Il ruolo della giurisprudenza nel diritto di famiglia, cit., 168. 32 Una pronuncia della Suprema Corte di qualche anno fa sembra essere un perfetto esempio di tale tendenza: Cass. civ., 5 agosto 1996, n. 7139, in Fam. dir., 1997, 63 ss., in materia di adozione ed, in particolare, sulla nozione di “abbandono”. 26

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l’effettività delle regole codicistiche destinate a disciplinare profili specifici, la cui forza espansiva è subordinata ad una lettura sistematica che guarda essenzialmente alla centralità dei principi.

3. Il principio di bigenitorialità: la difficile ricerca di un equilibrio.

Il diritto alla bigenitorialità, proclamato dall’art. 24 della Carta di Nizza e dall’art. 9 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è tutelato, anche dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. A tale riguardo appare interessante ricordare che la Corte, talvolta, ha ancorato la sua violazione anche alla possibile sussistenza in capo al minore della assai discussa sindrome di alienazione parentale (c.d. PAS)33: ben noto il caso “Strumia c. Italia”34, ove è stato previsto un risarcimento da parte delle Autorità Italiane ad un padre che per sette anni non aveva potuto incontrare la propria figlia, consentendo altresì alla madre di continuare a creare una frattura tra il padre e la minore. Peraltro già in precedenza la Corte EDU35, aveva condannato l’operato delle autorità giudiziarie italiane che, di fronte agli ostacoli opposti dalla madre affidataria a che il padre esercitasse effettivamente e con continuità il diritto di visita, non avevano posto in essere tutte le misure necessarie affinché, attraverso un concreto ed effettivo esercizio del diritto di visita, il padre potesse mantenere il legame familiare con la figlia36. Emerge pertanto una delle molte difficoltà che si frappongono al rispetto del principio37, posto che la separazione dei genitori espone il figlio minore al rischio di non riuscire a tener insieme dentro di sé le figure del padre e della madre e, pertanto, il bambino, al fine di sopravvivere emotivamente a tale situazione, ha l’esigenza di allontanare fino ad alienare uno dei genitori, solitamente il padre38. Le indubbie difficoltà che confermano la necessità di una attenta verifica in concreto, anche e principalmente al fine di evitare il

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Non entra nel merito della validità scientifica ma fa comunque riferimento alla PAS, Cass. civ., 8 aprile 2016, n. 6919, in Foro it., 2016, I, 1655. 34 Corte EDU, 23 giugno 2016, n. 53377, Strumia c. Rep. Italiana, in Osservatoriofamiglia.it. 35 Corte EDU, 9 gennaio 2013, n. 25704, L. c. Rep. Italiana, in www.personaedanno.it. 36 Nello specifico, le Autorità si erano limitate soltanto a confermare reiteratamente i propri provvedimenti e a prescrivere l’intervento dei servizi sociali, così consolidandosi una situazione di fatto pregiudizievole per il padre. Risulta, pertanto, evidente che le autorità nazionali sono obbligate a ricercare ogni mezzo efficace al fine di garantire il diritto del minore di frequentare adeguatamente entrambi i genitori. 37 Il riferimento in generale va a Richard Allan Gardner, il medico che per primo ha descritto i sintomi della PAS (R. A. Gardner, The Parental Alienation Syndrome. Recent trends in divorce and custody litigation, New York, 1985, 3 ss.). Gardner definisce la PAS come un disturbo, effetto di una programmata manipolazione del bambino ad opera di uno dei genitori, c.d. alienante; tale condotta susciterebbe un disprezzo ingiustificato nei confronti dell’altro genitori, c.d. alienato. Occorre, tuttavia, ricordare che al momento non vi è un riconoscimento unanime della PAS da parte della comunità scientifica. 38 D. Pajardi, Individuazione e valutazione del danno nei soggetti esposti a violenze familiari, in Minori giustizia, 2009, 31 ss.

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rischio di una ingiustificata compressione del diritto alla bigenitorialità39 ha indotto talvolta la giurisprudenza a ricercare soluzioni articolate per quanto riguarda le possibili modalità di affidamento condiviso. Una recente pronuncia40 rappresenta un esempio emblematico della complessità sottesa alla ricerca di un corretto punto di equilibrio, sovente reso più complesso dagli aspetti economici che inesorabilmente si intersecano a quelli affettivi. Con il ricorso per cessazione degli effetti civili del matrimonio, un padre chiedeva al Tribunale di Firenze un aumento delle visite al figlio e la riduzione del contributo per il mantenimento di quest’ultimo. Il minore chiedeva espressamente di essere ascoltato e, dinanzi al magistrato, esprimeva “ferma volontà” di frequentare i genitori a settimane alterne, in modo tale da riuscire a mantenere i rapporti con entrambi. Riporta la pronuncia come «per il ragazzo non costituiva alcun problema la circostanza che la scuola era posta vicino a casa della madre e lontano dalla casa del padre. Anzi, il minore aveva affermato di riuscire a frequentare maggiormente gli amici quando si trovava a casa del padre, per la sua disponibilità ad accompagnarlo e riprenderlo». Il Tribunale di Firenze ha, pertanto, deciso di confermare l’affidamento condiviso, prevedendo, tuttavia, una domiciliazione alternata fra i genitori su base settimanale (ed attribuendo in via esclusiva al padre le decisioni relative alla salute del minore e all’attività sportiva dallo stesso praticata, visti gli atteggiamenti, ritenuti inadatti, della madre rispetto a tali tematiche), oltre che il mantenimento diretto, in sostituzione dell’assegno di mantenimento41.

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Sul rischio di compressione del diritto alla bigenitorialità e sul ruolo del giudice in sede di affidamento condiviso, di recente v. anche Cass. civ., 8 aprile 2019, n. 9764, in Osservatoriofamiglia.it, secondo cui vanno evitate ingiustificate restrizioni supplementari al paritario accesso del minore ad entrambi i genitori. La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso del padre, ribadisce in primo luogo che, in materia di affidamento dei figli, vada assicurato, nell’interesse superiore del minore, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi. 40 Trib. Firenze, 2 novembre 2018, n. 29145, in Quotidiano giuridico, 2018, con nota di A. Scalera, Il Tribunale di Firenze anticipa il Ddl Pillon?; in modo simile cfr. anche Trib. Parma, 22 maggio 2018, in Osservatoriofamiglia.it. 41 Sulla questione della determinazione dell’assegno di mantenimento, come è noto, si è avuto un ampio dibattito in giurisprudenza ed in dottrina. Di recente, cfr. Cass., Sez. Un., 11 luglio 2018, n. 18287, in Familia, 2018, 455 ss., con nota di S. Patti, Assegno di divorzio: il “passo indietro” delle Sezioni Unite; in Foro it., 2018, I, 2699 ss., con nota di G. Casaburi, L’assegno divorzile secondo le sezioni unite della Cassazione: una problematica ‘terza via’; in Giur. it., 2018, 1843 ss., con nota di C. Rimini, Il nuovo assegno di divorzio: la funzione perequativa e compensativa La rimessione della questione alle Sezioni unite trae origine dal contrasto determinatosi nella giurisprudenza di legittimità a seguito di Cass. civ., 10 maggio 2017, n. 11504 (la c.d. sentenza “Grilli”), in Familia, 2017, 2707 ss., con nota di S. Patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa?; in Fam. dir., 2017, 642 ss., con note di E. Al Mureden, L’assegno divorzile tra autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale e di F. Danovi, Assegno di divorzio e irrilevanza del tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l’impatto sui divorzi già definiti, che aveva stabilito il criterio della autosufficienza economica come presupposto e al contempo elemento impeditivo per il riconoscimento dell’assegno. Sul nuovo orientamento giurisprudenziale, tra gli altri, cfr. le lucide considerazioni di E. Quadri, L’assegno di divorzio tra conservazione del tenore di vita e autoresponsabilità: gli ex coniugi persone singole di fronte al loro passato comune, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1261 ss. Secondo la nuova lettura che mette in discussione un granitico precedente orientamento (Cass. Sez. Un., 29 novembre 1990, n. 11490, in Foro it., 1991, I, 67 ss., con nota di E. Quadri, Assegno di divorzio: la mediazione delle sezioni unite), il parametro di riferimento ai fini del riconoscimento dell’assegno dovrebbe fondarsi sul giudizio di adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi che l’ex coniuge richiedente e sulla possibilità o meno di procurarseli per ragioni oggettive. Le Sezioni unite del 2018, al fine di dirimere la questione, hanno fatto riferimento ad un criterio composito che tiene conto del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole

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Nella vicenda sottoposta all’attenzione del giudice fiorentino, possono cogliersi alcuni elementi di indubbio richiamo: in primo luogo l’interesse rivolto, attraverso l’ascolto, alla volontà del minore che si esprimeva in modo assai netto. Su questo presupposto, che assume rilevanza fondamentale in quanto pone in primo piano la significatività che deve assumere il contesto di riferimento, la decisione de qua sembra muoversi secondo un approccio che sembra porsi in (apparente) contrasto rispetto alla pronuncia di legittimità in commento vista la rigidità della soluzione che appare quasi ispirata ad una “matematica” condivisione. Alla ricerca di una soluzione attenta ad una giustizia che, propendendo per una condivisione rigidamente predeterminata, porterebbe quasi a ritenere ormai dimenticato l’insegnamento salomonico, appare altresì ispirato il d.d.l. S/735. Come si puntualizza già nella relazione introduttiva, il Disegno di legge prende le mosse dalla constatazione delle criticità emerse in sede di applicazione della l. n. 56/2004 sull’affido condiviso e, intendendo dare piena applicazione alla Risoluzione n. 2079/2015) del Consiglio d’Europa, dal titolo « Uguaglianza e corresponsabilità parentale», si propone di regolamentare alcuni dei criteri dettati dal contratto di governo che sorregge l’attuale Governo, tra i quali «l’equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari» e il «mantenimento in forma diretta senza automatismi». L’art. 11 del suddetto Ddl prevede di modificare l’art. 337-ter, co. 2, c.c. nel modo seguente: «Qualora uno dei genitori ne faccia richiesta e non sussistano oggettivi elementi ostativi, il giudice assicura con idoneo provvedimento il diritto del minore di trascorrere tempi paritetici in ragione della metà del proprio tempo, compresi i pernottamenti, con ciascuno dei genitori. Salvo diverso accordo tra le parti, deve in ogni caso essere garantita alla prole la permanenza di non meno di dodici giorni al mese, compresi i pernottamenti, presso il padre e presso la madre, salvo comprovato e motivato pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del figlio minore…». Il co. 5, capoverso dell’art. 337-ter c.c. sarebbe, poi, così emendato: «Stabilisce il doppio domicilio del minore presso l’abitazione

alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge e allo svolgimento della vita familiare. Occorrerà verificare se tale nuovo indirizzo resisterà nel tempo. Tra le ultime pronunce di legittimità, Cass. civ., 5 marzo 2019, n. 6386, in Foro it., 2019, I, 1186 ss., con nota di G. Luccioli, Ancora sull’assegno di divorzio: la «terza via» non obbligata delle sezioni unite, secondo cui l’assegno divorzile svolge una funzione sia assistenziale che perequativa-compensativa e va determinato alla stregua dei canoni enucleati da Cass. 18287/18. In dottrina, tra gli altri, si rimanda allo speciale contenuto in Familia, 1/2019, 3 ss., con contributi di M. Sesta, L. Balestra, C. Rimini, E. Al Mureden, G. Ballarani, M. N. Bugetti, C. Irti, F. Romeo, M. Martino. Da ultimo, si segnala la proposta di legge AC/506 (consultabile in www.camera.it), recante “Modifiche all’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile” (Rel. in Commissione On. Avv. Alessia Morani), approvata dalla Camera dei Deputati in data 14 maggio 2019 ed attualmente in sede di discussione presso il Senato della Repubblica, la quale prevede che, con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale possa disporre, anche “a tempo”, l’attribuzione di un assegno a favore di un coniuge, destinato a equilibrare, per quanto possibile, la disparità che lo scioglimento o la cessazione degli effetti del matrimonio crea nelle condizioni di vita rispettive dei coniugi. Al tal fine, in un’ottica di superamento del solo criterio tenore di vita, il giudice dovrebbe valutare una serie di criteri in rapporto alla durata del matrimonio al fine di evitare una ingiustificata corresponsione a tempo indeterminato.

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di ciascuno dei genitori ai fini delle comunicazioni scolastiche, amministrative e relative alla salute»42. Modifica che merita indubbiamente il massimo apprezzamento al fine di evitare inutili complicanze burocratiche legate alle esigenze scolastiche o sanitarie del minore43. Il successivo co. 7, a sua volta, recita: «Nel piano genitoriale deve essere indicata anche la misura e la modalità con cui ciascuno dei genitori provvede al mantenimento diretto dei figli, sia per le spese ordinarie che per quelle straordinarie, attribuendo a ciascuno specifici capitoli di spesa, in misura proporzionale al proprio reddito secondo quanto previsto nel piano genitoriale». In sostanza, si verrebbe a prevedere, quale prassi privilegiata, una sorta di affidamento condiviso “alternato” o “a modalità alterne”44. Sulla stessa scia ma attraverso modalità meno incisive, l’art. 4 del d.d.l. S/837 prevede la modificazione dell’art. 337-ter c.c. nel seguente senso «Il figlio minore ha diritto di mantenere rapporti paritetici e continuativi con ciascun genitore, di ricevere da ciascuno cura, educazione e istruzione, con paritetica assunzione di impegni e responsabilità, e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale ai quali è data facoltà di chiedere al giudice, con idoneo e separato procedimento, di disciplinare il diritto del minore al rapporto con essi». Di certo nella realtà non possono essere ignorate, né vengono ignorate, le ipotesi nelle quali emergono distorsioni tali da non poter applicare in alcun modo la condivisione, anche se queste ipotesi hanno e devono rivestire carattere di eccezionalità. Suscita, a tale riguardo, notevole interesse, quanto statuito di recente da Trib. Brescia, 22 marzo 201945, secondo cui, aldilà dell’inquadramento scientifico della PAS46, se i sintomi di essa (come il pervicace rifiuto della figlia di avvicinarsi al padre, nonostante buone competenze genitoriali paterne) sussistono occorre tutelare il minore dai rischi conseguenti. La sentenza bresciana riconosce l’esistenza di un “conflitto d’alleanza” tra la madre e la figlia, determinante una «relazione di totale dipendenza fisica ed emotiva dalla madre no-

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In dottrina si ritiene che solitamente l’interesse del minore si realizza nel modo migliore possibile individuando un genitore presso il quale egli deve dimorare stabilmente (T. Auletta, sub art. 337 ter, in Della famiglia, cit., 1014; F. Ruscello, “Affidamento condiviso”, “collocazione abitativa” del figlio e dovere di “cura” dei genitori, cit., 872); nota, tuttavia, con particolare lucidità, G. Ferrando, L’affidamento dei figli, in Tratt. teorico-pratico dir. priv., diretto da G. Alpa e S. Patti, III, Padova, 2011, 278, come «il dimorare sotto lo stesso tetto non costituisce più elemento necessario dell’affidamento». In giurisprudenza v. Trib. Salerno, 18 aprile 2017, in Foro it., I, 2017, 2498. 43 Sul rapporto tra responsabilità genitoriale e salute del minore, v. G. Recinto, Il diritto alla salute della persona di età minore e il suo superiore interesse, in Rass. dir. civ., 2014, 1223 ss.; E. La Rosa, Tutela dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, Milano, 2005, 173 ss. 44 Una sorta di “affidamento alternato” si è verificato in Trib. Napoli, 17 ottobre 1987, in Dir. giust., 1987, 984 (nel caso di specie vi erano due figli nati all’interno del matrimonio e altri due fuori dal matrimonio), il quale ha ritenuto che la circostanza che i due figli nati dal matrimonio rifiutassero di provvedere alle esigenze materiali di altri due figli affidati alla madre non comportasse automaticamente il ricovero dei minori in un istituto di beneficenza, ma, al contrario, consentisse l’affidamento congiunto ad entrambi i genitori, nel senso che il padre doveva provvedere alle esigenze delle figlie durante il giorno e la madre durante la notte. 45 Trib. Brescia, 22 marzo 2019, in Osservatoriofamiglia.it. 46 La relazione del CTU riporta che gli otto sintomi che caratterizzerebbero la PAS risultano comunque utili «a valutare i punti critici nelle relazioni disfunzionali tra il minore ed il genitore rifiutato».

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civa per la minore», costantemente teso a limitare ogni possibile contatto della figlia stessa con il padre; il distacco con la figura paterna veniva a realizzarsi attraverso affermazioni e comportamenti della madre esclusivamente diretti alla denigrazione della figura paterna (anche mediante veri e propri insulti o affermazioni gravemente lesive dell’onorabilità). I suddetti comportamenti hanno determinato una valutazione di inadeguatezza genitoriale della madre, del tutto incompatibile con l’affidamento condiviso; di talché il Tribunale ha deciso di affidare la minore in via esclusiva al padre, disponendo che la madre possa vedere la figlia tre pomeriggi a settimana, per non meno di 3 ore ciascuno, alla presenza di un educatore incaricato dai Servizi sociali47. Invero occorre riflettere sulla distinzione ineludibile fra situazioni patologiche, rispetto alle quali sussistono già molti rimedi48 e situazioni fisiologiche, rispetto alle quali la via da privilegiare non è certo quella di una imposizione eteronoma, quanto, piuttosto, quella della ricerca di sempre maggiori spazi di accordo al fine di gestire un disaccordo tra i genitori che non dovrebbe coinvolgere i figli.

4. Il possibile ruolo della mediazione familiare. La difficile situazione familiare posta alla base della pronuncia in esame, forse, poteva essere affrontata meglio, nell’obiettivo di ridurre il più possibile i disagi per i figli minori,

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In argomento v. anche Trib. Brescia, ord. 19 novembre 2018, in www.osservatoriofamiglia.it, che in sede di affidamento dei figli minori ha, modificando i provvedimenti precedentemente assunti, affidato i figli in via esclusiva al padre, collocando la figlia in via provvisoria per 30 giorni presso una casa famiglia (con la prospettiva di collocamento definitivo presso il padre, specificando che non vi dovranno essere contatti di nessun tipo con la madre e con la famiglia di origine materna, neppure telefonici) e revocando il contributo al mantenimento posto a carico del padre stesso. Nel caso concreto, all’esito di un’approfondita consulenza tecnica, era emerso un quadro di grave pregiudizio a carico dei figli minori di una coppia in via di separazione. La figlia minore, in particolare, si faceva portatrice di un rifiuto assolutamente ingiustificato nei confronti del padre e del tutto sproporzionato rispetto alle mancanze attribuite alla figura genitoriale. Tale rifiuto si era addirittura aggravato nel corso della consulenza tecnica, dalla quale era emerso un “appoggio automatico alla madre nel conflitto genitoriale, assenza di senso di colpa per la crudeltà e l’insensibilità perpetrata nei confronti del padre”. Il Tribunale bresciano non si sofferma, tuttavia, sull’esistenza o meno di consenso della comunità scientifica in ordine alla Sindrome da Alienazione Parentale (c.d. PAS), riconducibile al comportamento della madre, poichè ritiene imprescindibile un intervento a tutela della figlia minore che versa in una situazione di gravità connotata da una sostanziale elisione della figura paterna che “richiede di essere affrontata e risolta con urgenza, onde evitare che evolva verso l’irreversibilità”. Ed anzi – riporta il Tribunale - anche per il fratello minore occorre un intervento, considerato che mostra “di aver stretto un patto di lealtà con la sorella e con la madre” ed inizia a manifestare segnali simili a quelli della sorella. 48 Un altro riferimento giurisprudenziale in materia si rinviene in Trib. Roma, 11 ottobre 2016, n. 18799, in www.personaedanno.it, che ha statuito, nell’ambito di una separazione giudiziale, ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c., l’ammonimento di una madre, genitore collocatario dei figli, per aver denigrato e screditato il padre agli occhi del figlio, e la condanna, altresì, al pagamento della somma di 30.000 euro in favore dell’ex marito. All’interno del procedimento, proprio rispetto ai profili dell’affidamento dei figli, il giudice aveva disposto anche una CTU di valutazione psicologica del rapporto familiare da cui, in particolare, era emersa una forte conflittualità tra il figlio minore e il padre, confermata anche dall’ascolto dello stesso minore.)

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attraverso la mediazione familiare49: già molti anni fa, un attento autore50 si chiedeva se la sede giudiziaria fosse davvero la migliore per risolvere le problematiche familiari o se ad essa non era il caso di affiancare, quantomeno, uno spazio di intervento diverso affidato ad altre figure professionali, come ad es., i mediatori familiari51. In effetti, il modello di mediazione familiare, tipica degli ordinamenti di common law, prevede solitamente una tipologia di interventi strutturati non solo come strumenti finalizzati alla prevenzione o soluzione dei problemi derivanti dalla crisi della coppia52 ma anche come tecniche alternative alla tutela giurisdizionale, volte, fra l’altro, ma non solo, anche alla deflazione del contenzioso civile53. Il procedimento di mediazione familiare deve essere visto come un percorso che, pur nella la conflittualità che la crisi della coppia comporta, tenta, comunque, di ripristinare una comunicazione costruttiva, volta alla ricerca di una soluzione concordata, negoziata

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In generale su tale istituto v., tra gli altri, L. Fernàndez Del Moral Domìnguez, La mediazione familiare, in L’affidamento condiviso, a cura di S. Patti e L. Rossi Carleo, Milano, 2006, 229 ss., la quale parla della mediazione familiare come di un “canale che cerca di favorire il dialogo, uno spazio e un sostegno ad accettare la presenza e il ruolo dell’altro coniuge”; C.M. Bianca, Diritto civile, II, La famiglia, cit., 203 ss.; F. Tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, in Lo scioglimento del matrimonio, a cura di G. Bonilini e F. Tommaseo, in Il Codice civile. Commentario, 2ª ed., Milano, 2004, 340 ss.; M. Basile, La mediazione nelle controversie coniugali sugli effetti della separazione e del divorzio, in Famiglia e matrimonio, a cura di G. Ferrando, M. Fortino e F. Ruscello, t. 2, in Tratt. dir. fam. Zatti, Milano, 2002, 1483 ss.; G. Spadaro, La mediazione familiare nel rito della separazione e del divorzio, in Fam. dir., 1998, 209 ss.; M. Dogliotti, La mediazione familiare: un dibattito ancora attuale, in Fam. dir., 1996, 766 ss.; P. Rescigno, Interessi e conflitti nella famiglia: l’istituto della «mediazione familiare», in Giur. it., 1995, IV, 73 ss.; Id., Matrimonio e famiglia. Cinquant’anni del diritto italiano, Torino 2000, 343 ss. Per una peculiare riflessione sull’istituto, alla luce dell’esperienza del diritto ecclesiastico, cfr. M. Moschella, La mediazione familiare, in Dir. eccl., 2004, 350 ss. Più di recente sia consentito il rinvio a F. Trubiani, La mediazione familiare, in Nuovo dir. civ., 2019, 209 ss. 50 V. Roppo, Il giudice nel conflitto coniugale, Bologna, 1981, 271 ss., il quale faceva riferimento, in particolare, all’esperienza dei servizi sociali al servizio della famiglia e dei minori. 51 Differente e non oggetto della presente nota è la figura del c.d. coordinatore genitoriale, ossia un libero professionista, nominato dal giudice con il consenso scritto delle parti (diverso dagli altri soggetti a vario titolo coinvolti nella controversia) che ha la funzione “di condurre i genitori nella gestione del conflitto al fine di dare attuazione al piano genitoriale concordato o fissato dal giudice e, nelle ipotesi di incapacità dei genitori di concordare le scelte quotidiane, assolve una funzione decisionale individuando soluzioni vincolanti per le parti che, quindi, sulla relativa questione non possono adire l’autorità giudiziaria” (A. La Spina, La coordinazione genitoriale quale tecnica di gestione del conflitto familiare, in Nuova giur. civ. comm., 2018, 749). Sul punto cfr. anche F. Danovi, Il coordinatore genitoriale: una nuova risorsa nella crisi della famiglia, in Fam. dir., 2017, 796 ss.; in giurisprudenza v. Trib. Civitavecchia, 20 maggio 2015, in Foro it., 2016, I, 1655. 52 Lo statuto dell’A.I.Me.F. (Associazione Italiana Mediatori Familiari), consultabile in https://www.aimef.it/statuto?statuto, definisce mediazione familiare come “la mediazione di questioni familiari, includendovi rapporti tra persone sposate e non (conviventi more uxorio, genitori non coniugati), con lo scopo di facilitare la soluzione di liti riguardanti questioni relazionali e/o organizzative concrete, prima, durante e/o dopo il passaggio in giudicato di sentenze relative tra l’altro a: dissoluzione del rapporto coniugale; divisione delle proprietà comuni; assegno di mantenimento al coniuge debole o gli alimenti; responsabilità genitoriale esclusiva o condivisa (potestà genitoriale); residenza principale dei figli; visite ai minori da parte del genitore non affidatario, che implicano la considerazione di fattori emotivo-relazionali, con implicazioni legali, economiche e fiscali. La mediazione familiare richiede un periodo di sospensione delle cause eventualmente in atto”. La mediazione familiare rappresenta una scienza trasversale, in quanto in essa confluiscono elementi di svariate discipline, quali il diritto, la sociologia, l’antropologia, la storia, la filosofia, la religione, la pedagogia e la psicologia. 53 Parla di contenimento della “domanda” di giustizia, G. Ferrando, Autonomia privata e mediazione familiare, in Separazione e divorzio, a cura di G. Ferrando, in Giur. sist. dir. civ. Bigiavi, Torino, 2003, 560; sul punto v. anche G. Ballarani, La mediazione familiare alla luce dei valori della Costituzione italiana e delle norme del diritto europeo, in Giust. civ., 2012, 496, il quale scrive che la mediazione familiare “assolve ad una funzione preventiva e propedeutica all’assunzione dei provvedimenti da parte del giudice e si pone come alternativa, sia al processo (ossia al modo di procedere), sia al giudizio (ossia ai criteri per decidere)”.

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e condivisa del conflitto, finalizzata, quindi, a tutelare il superiore interesse del minore, rendendo realizzabile il “progetto educativo della prole”54. Un ampio riconoscimento nel panorama normativo italiano, anche se in realtà mai pienamente valorizzato55, è stato concesso alla mediazione familiare con la legge 8 febbraio 2006, n. 54, sull’affidamento condiviso, che nell’introdurre la c.d. «bigenitorialità», ha previsto nell’art. 155-sexies c.c., successivamente confluito nell’art. 337-octies c.c., il ricorso al mediatore familiare su invito del giudice. In realtà già sul piano europeo, la Convenzione sull’esercizio dei diritti del fanciullo, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata in Italia con l. n. 77 del 20 marzo 2003, all’art. 13 (“Mediazione ed altri metodi di soluzione dei conflitti”), aveva valorizzato lo strumento della mediazione, prevedendo che al fine di risolvere i conflitti ed evitare procedure che coinvolgano un minore dinnanzi ad un’autorità giudiziaria, “le parti incoraggiano la mediazione o ogni altro metodo di soluzione dei conflitti, nonché la loro utilizzazione per concludere un accordo nei casi che le parti riterranno opportuni”. Anche su base regionale, peraltro, vi sono diverse norme che attribuiscono alla mediazione familiare espressa considerazione formale56.

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G. Giacobbe, Potestà dei genitori e progetto educativo, cit., 113 ss.; Id., La famiglia dal codice civile alla legge di riforma, in Iustitia, 1999, 242 ss. (ora in Id., La famiglia nell’ordinamento giuridico italiano, Torino, 2006, 1 ss.). 55 In dottrina, per tutti, v. P. Mazzamuto, La mediazione nella tutela della famiglia, Torino, 2013, spec. 75 ss. 56 Tra le altre, v. L. Regione Liguria 7.8.2008, n. 34; L. Regione Molise 6.5.2010, n. 13; L. Regione Veneto 10.8.2012, n. 29; L. Regione Lombardia 24.6.2014, n. 18. In generale sul c.d. diritto privato regionale, cfr. già Sul tema cfr. già V. Roppo, Diritto dei contratti, ordinamento civile, competenza legislativa delle Regioni. Un lavoro complicato per la Corte costituzionale, in Corriere giur., 2005, 1301 ss.; Id., Diritto privato regionale?, in Riv. dir. priv., 2003, 11 ss.; G. Alpa, Il limite del diritto privato alla potestà normativa regionale, in Contr. impr., 2002, 597 ss.; S. Giova, Ordinamento civile e diritto privato regionale, Napoli, 2008; P. Vitucci, Proprietà ed obbligazioni: il catalogo delle fonti dall’Europa al diritto privato regionale, in Europa dir. priv., 2002, 747 ss.; J. Long, Le fonti di origine infranazionale, in Famiglia e matrimonio, I, a cura di G. Ferrando, M. Fortino e F. Ruscello, Relazioni familiari – matrimonio – famiglia di fatto, I, in Trattato di diritto di famiglia, a cura di P. Zatti, Milano, 2011, 211 ss.; v., tra gli altri, l’ottimo volume di A. M. Benedetti, Il diritto privato delle Regioni, Bologna, 2008, il quale ha cercato di individuare dei criteri oggettivi al fine di costruire i passaggi di un giudizio di ragionevolezza, su cui poggiare le basi di un “diritto privato delle Regioni”. Si segnala, inoltre, un interessante saggio, il quale analizza le possibili interazioni tra la nozione di famiglia ed il diritto regionale (A. M. Benedetti, Quali spazi per un diritto regionale della famiglia?, in Fam. dir., 2011, 444 ss.). Il tema risulta particolarmente interessante per le implicazioni legate all’eventuale legislazione regionale idonea ad incidere su diritti e status familiari: posto che deve escludersi la legittimità di norme regionali che vogliano configurare nuovi obblighi o diritti poiché il principio di eguaglianza impedisce le differenziazioni territoriali, diverso sembrerebbe il caso delle disposizioni regionali che intervengano, anche se indirettamente, sull’assolvimento degli obblighi familiari, come ad esempio, il pagamento degli alimenti (legittime, a parere di A. M. Benedetti, op. ult. cit., 448), oppure per finalità assistenziali generali, ricomprendendo famiglie più ampie rispetto a quelle previste dal dettato Costituzionale (v. ad esempio, L. Regione Abruzzo, 2 maggio 1995 n. 95 che all’art. 1 stabilisce che “La Regione Abruzzo riconosce e sostiene come soggetto la famiglia fondata a norma dell’art. 29 della Costituzione o comunque fondata su vincoli di parentela, filiazione o adozione, ed orienta a tale fine le politiche sociali, economiche, di lavoro e di organizzazione di servizi”). Proprio, a tal proposito, tra le prime sentenze in argomento, si segnala un’interessante e del tutto condivisibile pronuncia della Corte Cost., 12 gennaio 2011, n. 8 (Pres. De Siervo – Rel. Saulle, consultabile in www.giurcost.org), che, a fronte di una legge della Regione Emilia-Romagna del contenuto in parte simile a quella abruzzese sopra richiamata, sostiene che l’art. 48, co. 3 della l. 22 dicembre 2009, n. 24 (il quale prevedeva che “i diritti generati dalla legislazione regionale nell’accesso ai servizi, alle azioni e agli interventi si applicano […] anche alle forme di convivenza di cui all’art. 4 del d.p.r. 30 maggio 1989, n. 223”) non disciplina nuove forme di convivenza ma si limita “ad indicare l’ambito soggettivo di applicazione dei diritti previsti dalla legislazione regionale nell’accesso ai servizi, alle azioni e agli interventi senza introdurre alcuna disciplina sostanziale delle forme di convivenza”.

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Nel codice civile, l’art. 337-octies c.c., rubricato “Poteri del giudice e ascolto del minore”, introdotto con la legge di riforma della filiazione, prevede nel secondo comma che il giudice possa inviare i coniugi in mediazione per raggiungere un accordo. La stessa disposizione, nel primo comma, contempla, tra i poteri del giudice, l’ascolto del minore che abbia compiuto dodici anni o anche di inferiore età se capace di discernimento57. Attraverso la valorizzazione delle aspirazioni, dei bisogni e dei desideri, i figli minori, titolari di un vero e proprio diritto soggettivo all’ascolto, sancito nell’art. 315-bis c.c., è data “la possibilità alla coppia di mantenere un rapporto interattivo, condividendo una specificità dell’altro come interlocutore privilegiato sulle aree che riguardano il rapporto affettivo concluso e ciò che del rapporto resta aperto, vale a dire l’area genitoriale”58. La legge n. 112 del 2011, istitutiva dell’Autorità garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, fa rientrare tra i compiti dell’Authority anche quello di favorire la diffusione della cultura della mediazione e degli istituti volti a prevenire o a risolvere mediante accordi i conflitti che coinvolgono i minori, stimolando la formazione degli operatori del settore. Infine, l’art. 6, comma 3, l. n. 162/2014 sulla negoziazione assistita, impone ai professionisti, oltre all’obbligo del tentativo di conciliazione, un obbligo di informazione sulla possibilità di tentare una mediazione familiare59, segnale ulteriore che forse il legislatore intende favori-

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L’ascolto del minore, compiuto non solo dal giudice, ma anche dal mediatore (in quest’ultimo caso, meglio inteso come ascolto delle parti, ivi compresi i figli, quando il tipo di mediazione scelta lo consente) rappresenta uno snodo cardine del processo di mediazione nella misura in cui il professionista raccolga i contributi ed i punti di vista di ciascun partecipante, favorendo l’inquadramento delle questioni insorte al fine di comprenderle in modo da permettere il ritrovamento di una soluzione adeguata e soddisfacente. Le regole sul diritto all’ascolto, peraltro, si uniformano ai principi del sistema internazionale di protezione dei diritti dell’uomo, già evidenziati dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 16 gennaio 2002, n. 1, che ha considerato idoneo a integrare le prescrizioni del c.c., l’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, ratificata in Italia con la l. 27 maggio 1991, n. 176, nella parte in cui obbliga all’ascolto del minore in ogni procedura giudiziaria che lo riguardi, attribuendogli il ruolo di parte del procedimento e il diritto di esprimere liberamente la propria opinione e tenendo conto della sua età e maturità. Anche l’art. 24, commi 1 e 2, della Carta dei diritti fondamentali UE dichiara la preminenza dell’interesse superiore del minore in rapporto all’ascolto. Nello stesso senso cfr. della Cass., Sez. Un., 21 ottobre 2009, n. 22238, in Fam. dir., 2010, 364 ss., con nota di A. Graziosi, Ebbene sì, il minore ha il diritto di essere ascoltato nel processo), che, richiamando l’attenzione sulla necessità di procedere all’ascolto alla luce della Convenzione di New York e della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 25 gennaio 1996, ratificata in Italia con l. 20 marzo 2003, n. 77, ha affermato il diritto del minore a essere informato, consultato e ad esprimere la propria opinione nel corso della procedura, nonché il diritto di conoscere le possibili conseguenze delle aspirazioni da lui manifestate e delle sue decisioni (art. 3). La legge impone al giudice di tenere in debito conto l’opinione espressa dal minore, ma gli consente al contempo di non procedere all’ascolto qualora ravvisi un manifesto contrasto con l’interesse superiore del minore (art. 6). 58 V. Di Gregorio, La mediazione familiare nel diritto di famiglia riformato, in Pol. dir., 2017, 616. 59 L’art. 6, co. 3, l. n. 162/2014 stabilisce che “l’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Nell’accordo si dà atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e che gli avvocati hanno informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. L’avvocato della parte è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell’accordo munito delle certificazioni di cui all’articolo 5”. In dottrina v. C. Irti, Gestione condivisa della crisi familiare: dalla mediazione familiare alla negoziazione assistita, in Dir. fam. pers., 2016, 665 ss., la quale rileva che, solo con la previsione dell’art. 6, comma 3, d.l. 12 settembre 2014, n. 132 (conv. in l. 10 novembre 2014, n. 162), in materia di negoziazione assistita, la mediazione viene spostata fuori dal processo.

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re la diffusione di tale strumento in ambito familiare, anche per limitare il più possibile le conseguenze negative della crisi familiare per i figli60. Sembrerebbe, pertanto, che il legislatore abbia offerto alle persone che vivono la separazione o il divorzio l’opportunità di affrontare in modo alternativo il conflitto, limitando sofferenze e disagi, in particolare nelle famiglie con figli. Il giudice può decidere infatti di rinviare l’adozione dei provvedimenti affinché i coniugi (ma la norma si applica anche ai genitori non uniti in matrimonio) tentino in qualche modo una mediazione, nella finalità di raggiungere un accordo, avuto riguardo alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli61. La mediazione opera su base volontaria62, in quanto la sua finalità è quella di recuperare un dialogo perduto attraverso la cooperazione, oltre della coppia in crisi, anche del giudice e dei mediatori, finalizzato a ritrovare un accordo destinato a durare nel tempo. Le parti non sono vincolate alla mediazione ed il giudice può decidere di proporla qualora ne ravvisi l’opportunità, sentite le parti e con il loro consenso. La non obbligatorietà della mediazione familiare, sembrerebbe a prima vista coerente con il concetto di autonomia riconosciuta ai genitori di autoregolare i propri rapporti familiari, salvo il limite del rispetto delle norme imperative, “riappropriandosi, in una materia delicata come il diritto di famiglia, del senso di responsabilità nella gestione del rapporto anche dopo la separazione”63. Anche la mediazione familiare è oggetto della proposta del Ddl S/735: in primo luogo, viene riconosciuta la funzione sociale della mediazione familiare, con l’istituzione di un albo professionale presso il Ministero della Giustizia64 e con essa, viene “istituzionalizzata” la

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Così A. Nicolussi, Mediazione e affidamento condiviso, in Mediazione familiare e diritto del minore alla bigenitorialità. Verso una riforma dell’affidamento condiviso, (a cura di) P. Mazzamuto, Torino, 2018, 25, il quale segnala come “in questa prospettiva, l’introduzione della negoziazione assistita (l. n. 162/2014) è stata un’occasione mancata, in quanto avrebbe potuto essere accompagnata da un rafforzamento dell’art. 337 octies c.c. Certo, l’art. 6, co. 3, prevede che gli avvocati diano espressamente atto nell’accordo di negoziazione assistita di aver informato le parti di esperire la mediazione familiare. Ma la previsione risulta piuttosto stringata, per certi aspetti insufficiente e anche poco precisa”. 61 Sottolineava già diversi anni fa l’importanza del contributo offerto dalla mediazione familiare, E. Quadri, Affidamento dei figli e assegnazione della casa familiare: la recente riforma, in Familia, 2006, 401. 62 P. Schlesinger, L’affidamento condiviso è diventato legge! Provvedimento di particolare importanza, purtroppo con inconvenienti di rilievo, in Corriere giur., 2006, 301 ss., secondo cui una previsione normativa di obbligatorietà della mediazione si sarebbe, in effetti, posta in contrasto con il principio costituzionale di cui all’art. 24, comma 1, secondo il quale “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi” e di cui all’art. 25, comma 1, a mente del quale “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”. 63 V. Di Gregorio, op. cit., 617. 64 Critica sul punto Federica Anzini (Presidente Nazionale dell’Associazione Italiana Mediatori Familiari (A.I.Me.F.) e Vice Coordinatore della Federazione Italiana delle Associazioni di Mediatori Familiari (F.I.A.Me.F.) nella sua Audizione in Commissione Giustizia del 29 novembre 2018 (consultabile in www.senato.it), sostiene che “la trasversalità delle competenze che detta figura professionale deve possedere supera la collocazione in un unico Ordine professionale e relativo Albo professionale, previsto nel dd. n. 735. Ne consegue, come sia maggiormente congruo ipotizzare l’inserimento della figura professionale in un apposito Elenco”. Il punto risulta indubbiamente controverso e degno di un maggiore approfondimento: sembrerebbe, in ogni caso, evidente come, nel caso in cui si dovesse decidere per un albo, sarebbe preferibile, come ente di riferimento, il Ministero della Giustizia; nella diversa ipotesi in cui si trattasse di un semplice elenco, probabilmente sarebbe il caso di coinvolgere le Regioni (che già oggi, anche se solo in parte, assumono un rilievo concreto nell’ambito della mediazione familiare). Sul punto, tuttavia, cfr. Corte Cost., 15 aprile 2010, n. 131, in

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professionalità della figura del mediatore familiare65: aspetto indubbiamente da apprezzare in quanto il mediatore familiare deve possedere determinate conoscenze, competenze ed attitudini per poter svolgere l’attività mediativa e la sua preparazione teorica va affiancata alla conoscenza pratica acquisita mediante training specifici presso centri che prestano il servizio di mediazione familiare66. Sul piano applicativo, infatti, manca ancora una definizione formale della figura del mediatore familiare: se, dal punto di vista processuale, nei casi di mediazione delegata, questo viene generalmente ricondotto agli ausiliari “atipici” del giudice di cui all’art. 68 c.p.c.67, è dal punto di vista pratico dell’inquadramento professionale che si incontrano le maggiori difficoltà, sebbene sia opinione condivisa, oltre che in dottrina anche per le associazioni degli stessi mediatori familiari, che il mediatore debba essere soggetto che garantisca neutralità, terzietà ed imparzialità sia rispetto alle parti che rispetto allo stesso giudice68 e che il suo intervento abbia natura meramente compositiva e non valutativa. D’altronde, al momento, non risulta del tutto chiaro nemmeno se con il termine “mediatore” ci si debba riferire a un singolo professionista, ovvero a una pluralità di figure professionali (come ad es., avvocati, psicologi, educatori, ecc.) che confluiscano in un’unica struttura.

Fam. pers. succ., 2010, 584 ss., con nota critica di M. Proto, Sulla illegittimità costituzionale della legge della Regione Lazio in tema di mediazione familiare, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. Reg. Lazio n. 26 e 27/2008 con cui si voleva istituire la figura del mediatore familiare su base regionale. In quella occasione la Corte ha difatti affermato la competenza normativa dello Stato, negando al contempo che la materia possa ricondursi alle competenze regionali ex art. 117 Cost. 65 Vengono i requisiti per lo svolgimento della professione di mediatore familiare, attraverso una formazione specifica attribuita alle Università (master universitari o perfezionamenti) e alle Regioni. Mancano, tuttavia, l’obbligo della formazione permanente (aspetto particolarmente importante nel caso di professioni connotate da un elevato grado di specializzazione) ed un corpus di norme deontologiche. In Italia le principali associazioni di mediatori familiari, tra le quali spicca l’A.I.Me.F. (Associazione Italiana Mediatori Familiari), si sono dotate di un proprio codice deontologico professionale per i mediatori ad esse iscritti. Secondo lo statuto dell’A.I.Me.F. (Associazione Italiana Mediatori Familiari) il mediatore familiare è “terza persona imparziale, qualificata e con una formazione specifica che agisce in modo tale da incoraggiare e facilitare la risoluzione di una disputa tra due o più persone in un processo informale e non basato sul piano antagonista vincitore-perdente, il cui obiettivo è di aiutare le parti in lite a raggiungere un accordo direttamente negoziato, rispondente ai bisogni e agli interessi delle parti e di tutte le persone coinvolte nell’accordo. L’accordo raggiunto dovrà essere volontario, mutualmente accettabile e durevole. Il mediatore si applicherà affinchè l’autorità decisionale resti alle parti. Il ruolo del mediatore familiare comporta fra l’altro il compito di assistere le parti nell’identificare le questioni, di incoraggiare la loro abilità nel risolvere i problemi ed esplorare accordi alternativi, sorvegliandone la correttezza legale, ma in autonomia dal circuito giuridico e nel rispetto della confidenzialità”. 66 P. Mazzamuto, Mediazione familiare e affidamento condiviso, in Giureta, 2012, 114. 67 Tra le tante, cfr. Trib. Lamezia Terme, 10 marzo 2010, in Fam. dir., 2011, 391 ss., con nota di M. N. Bugetti, Mediazione familiare e affidamento condiviso: disciplina, prassi e dubbi interpretativi; Trib. Lamezia Terme, 26 maggio 2008, in Fam. dir., 2009, 292 ss., con nota di C. Ciliberto, Cessazione degli effetti civili del matrimonio: conflittualità e mediazione familiare; Trib. Bari, 21 novembre 2000, in Giur. merito, 2001, I, 342 ss.; in dottrina, v. D. D’Adamo, La mediazione familiare come metodo integrativo di risoluzione delle controversie, in Riv. dir. proc., 2015, 393-396, la quale sottolinea che l’uso nella disposizione dell’art. 337-octies, comma 2, c.c. della parola “esperti”, per indicare coloro che devono svolgere l’attività di mediazione, rievoca chiaramente l’analogo vocabolo utilizzato nell’art. 68 del codice di rito e che la mediazione familiare costituisce, ove operi giusta art. 337-octies, comma 2, c.c., una fase incidentale ed eventuale, sub-procedimentale, che colloca senz’altro il mediatore tra gli ausiliari del giudice; F. R. Fantetti, La mediazione familiare quale facoltà del giudice, in Fam. dir., 2011, 39; A. Frassinetti, sub art. 155-sexies c.c., in Commentario breve del diritto di famiglia, a cura di A. Zaccaria, 2ª ed., Padova, 2011, 490. Critica in ordine al significato del disposto di cui all’art. 337-octies, C. Irti, Gestione condivisa della crisi familiare: dalla mediazione familiare alla negoziazione assistita, in Dir. fam. pers., 2016, 671, secondo cui “la disposizione normativa […] è molto – forse volutamente – laconica: non fornisce indicazioni in merito alla modalità di raccordo tra procedimento giurisdizionale e mediazione, non indica alcuna modalità operativa di svolgimento della procedura di mediazione, né le modalità attraverso le quali, una volta effettuato il percorso di mediazione, si prosegua il giudizio”. 68 P. Rescigno, Interessi e conflitti nella famiglia: l’istituto della «mediazione familiare», cit., 79 s.; sottolinea l’esigenza di una regolamentazione della mediazione familiare anche G. Impagnatiello, La mediazione familiare nel tempo della “mediazione finalizzata alla conciliazione” civile e commerciale, in Fam. dir., 2011, 534. In argomento v. anche M. A. Lupoi, Aspetti processuali della normativa sull’affidamento condiviso, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 1080 ss.


Giurisprudenza

Un punto assai controverso riguarda l’esperimento del tentativo di mediazione come condizione di procedibilità dell’azione, secondo un modello simile a quello (in tutta onestà non del tutto riuscito) della mediazione civile e commerciale ex d.lgs. 28/201069 che ha istituito la “mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”, ignorando completamente la mediazione familiare e contribuendo, a parere di alcuni osservatori, ad ostacolarne la diffusione70. Rimandando più compiutamente agli studi della psicologia in merito71, si può in ogni caso sostenere come la mediazione familiare possa funzionare soltanto “motivando le parti a costruire un nuovo patto fondato su regole condivise per lo svolgimento dei compiti di cura dei figli, di educazione, di istruzione e assistenza morale assegnati dalla legge”72 e non obbligandole ad un dialogo che non riesce, poi, a recuperare la crisi relativa alla comunicazione della coppia in crisi. Il Ddl S/735 stabilisce che il Presidente, se accerta che le parti non hanno ottemperato all’onere di svolgere la mediazione familiare, deve rinviare l’udienza entro un termine massimo di due mesi, ordinando ai coniugi di rivolgersi al mediatore familiare73.

5. Spunti di riflessione. L’impressione che si ha, al termine di questi brevi note, è legata ad una situazione di oggettiva incertezza giurisprudenziale che, forse, neanche a seguito di un nuovo intervento legislativo74 (che sembrerebbe muoversi, anche in materia familiare, nell’ottica della

69

In generale, per tutti, con approccio critico si rimanda a G. Monteleone, La mediazione “forzata”, in Giusto proc. civ., 2010, 21 ss.; E. Zucconi Galli Fonseca, La nuova mediazione nella prospettiva europea: note a prima lettura, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, spec. 658 ss.; L. Dittrich, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, in Riv. dir. proc., 2010, 578 ss.; ma v. già le precorritrici considerazioni di C. Punzi, Mediazione e conciliazione, ivi, 2009, 845 ss. In ordine alle criticità del variegato mondo delle ADR, si rimanda a R. Carleo, I metodi alternativi di risoluzione delle controversie tra autonomia ed eteronomia, in Nuovo dir. civ., 2017, 107 ss. 70 M. Sala, Gli strumenti alternativi di composizione delle controversie familiari, in La separazione personale tra coniugi. Il divorzio. La rottura della convivenza more uxorio, III, in Tratt. dir. fam. Bonilini, MilanoFiori-Assago, 2016, 2020. 71 L. Parkinson, La mediazione familiare, Modelli e strategie operative, a cura di C. Marzotto, Trento, 2013, che parla della mediazione familiare a volte in termini di “scienza” ed altre come vera e propria “arte”. 72 V. Di Gregorio, op. cit., 641. 73 Sul punto v. le notazioni di C.M. Cea, Quando l’incompetenza vuol farsi legge: i profili processuali del d.d.l. Pillon, in Foro it., V, 2019, 137 ss., secondo cui il termine di due mesi risulterebbe “del tutto insufficiente se realmente si vuole che il procedimento di mediazione familiare sia svolto con serietà. L’inconveniente in questione potrebbe essere evitato ove si adottasse il rimedio di consentire al presidente, che abbia accertato il mancato rispetto della condizione di procedibilità, di provvedere provvisoriamente prima di rimette i coniugi al mediatore”. D’altronde, lo stesso art. 3, comma 4, del Ddl in questione prevede per l’espletamento del procedimento di mediazione familiare un termine massimo di sei mesi decorrente dal primo incontro cui abbiano partecipato entrambe le parti. 74 Sostiene l’urgenza e asserita indifferibilità di una riforma legislativa in tema di affido condiviso, A. Maniaci, L’affidamento condiviso fra legge (tradita), giuris(im)prudenza e prospettive (urgenti) di riforma, in Mediazione familiare e diritto del minore alla bigenitorialità, cit., 67 ss., spec. 74-77.

774


Franco Trubiani

calcolabilità del diritto75), si possa stabilizzare in via definitiva. Troppe sono al momento, infatti, le tensioni che caratterizzano la «comunità di riferimento»76 a cui dovrebbe far fronte, invece, un diverso e più maturo atteggiamento della «comunità dell’interpretazione giuridica»77, intesa come l’insieme degli operatori del diritto (nelle loro diverse vesti)78 che non verrebbe meno in presenza di una diversità di interpretazioni79. Ciò che sembrerebbe sfuggire alla pronuncia in esame è la circostanza per cui, come si è visto in precedenza, i diritti del minore non possono essere considerati nel loro carattere di relazione “individuale”, poiché tali diritti non vanno intesi in maniera frazionata, posto che tutti concorrono allo sviluppo della persona, e nemmeno in una visione rigidamente patrimonialistica «in ragione dell’intima connessione che si determina tra gli aspetti esistenziali e i profili patrimoniali, funzionali alla realizzazione dei diritti della persona»80. Tali diritti, difatti, non si possono ridurre al meccanico adempimento di un obbligo che tiene in conto esclusivamente la relazione immediata e diretta con il genitore o i genitori, ciò anche in quanto la relazione, dovendo tener conto che lo status contraddistingue l’appartenenza del soggetto ad una comunità81, pur nel caso di famiglia monoparentale, va sempre e comunque considerata nell’ambito di un rapporto familiare e, soprattutto, di un contesto affettivo aperto all’effettività dei rapporti significativi. Un convincimento che si è andato a solidificare nel corso degli anni nella giurisprudenza specialmente di merito va ad identificare il concetto di stabilità affettiva a quello di stabilità fisica del minore82. Al fine di evitare questo rischio, ciò che appare imprescindibile ed urgente è la predisposizione di schemi, i quali, però, non possono essere rigidi, non solo perché si devono adeguare alla diversità dei casi concreti, ma anche perché si devono adeguare ai mutamenti che non sono determinati esclusivamente dalla crisi, ma anche dalla evoluzione della realtà di riferimento. Si tratta di incidere su di una realtà in movimento e occorrerebbe, ad esempio, considerare anche i profili legati alla crescita dei figli e ai mutamenti che essi possono determinare sui modi di intendere le pari opportunità per i figli stessi di rapportarsi con ciascun genitore in funzione dei propri desideri ed

75

Il riferimento va a N. Irti, Un diritto incalcolabile, Torino, 2016, passim. Le veementi e (probabilmente) eccessive polemiche in ordine al Ddl. S/735 da parte di determinate associazioni sono sotto gli occhi di tutti e indubbiamente non favoriscono una pacata discussione nel merito del provvedimento. 77 Il tema risulta chiaramente ultroneo alla trattazione ed impossibile da analizzare in questa sede. Sul punto si rimanda, anche per gli ulteriori approfondimenti e riferimenti, più specificamente a N. Lipari, Il diritto civile tra legge e giudizio, Milano, 2017, spec. 47-51. 78 B. Pastore, Fonti del diritto e comunità interpretativa, in Principi, regole, interpretazione. Contratti e obbligazioni, famiglie e successioni. Scritti in onore di Giovanni Furgiuele, a cura di G. Conte e S. Landini, Mantova, 2017, 351, secondo cui tale nozione «sotto un profilo soggettivo, indica l’insieme dei soggetti che producono, conoscono ed applicano il diritto… sotto il profilo oggettivo, la nozione rimanda ad un orizzonte epistemologico, metodologico e normativo che rende possibile l’accettabilità delle scelte interpretative e condiziona la validità del ragionamento giuridico». 79 F. Viola e G. Zaccaria, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Roma-Bari, 1999, 68. 80 Così L. Rossi Carleo, La famiglia dei figli, in Giur. it., 2014, 7. 81 M. F. Tommasini, I rapporti familiari tra tradizione e attualità, in Dir. fam., 2018, 277. 82 Così P. M. Putti, Il ruolo del padre tra principio di uguaglianza e diritto di inclusione, cit., 134. 76

775


Giurisprudenza

esigenze83, oltre alle concrete capacità dei genitori che spesso potrebbero essere limitate, dagli impegni lavorativi, in termini di tempo a disposizione. In quest’ottica, pertanto, la Suprema Corte si pone correttamente nel non voler accogliere, in linea strettamente e astrattamente teorica, un principio di rigida ripartizione temporale dei figli minori. Tuttavia, in via generale, non può revocarsi in dubbio che l’attribuzione di una bassa percentuale del tempo mensile o il non stabilire compiti di cura corrisponde all’allontanamento del genitore dalla quotidianità del figlio minore con effetti irrimediabili, in primo luogo, proprio sulla crescita psicologica del minore84. Sembrerebbe, invece, utile conferire al genitore temporalmente meno presente il potere di concorrere alla decisione delle attività parascolastiche praticate dal minore ed il dovere di accompagnarlo alle stesse85, specialmente in tutti i casi in cui emergano forti conflitti genitoriali in ordine all’esecuzione dei compiti di ordinaria cura. In questa direzione si pone correttamente la dottrina86 che ipotizza un eventuale inserimento nel testo di cui all’art. 337-ter, co. 1, c.c., del riferimento alla «paritetica assunzione di responsabilità e di impegni e con pari opportunità» e nell’art. 337-ter, co. 2, c.c. dopo le parole «determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore», le parole «garantendo che questi siano più ampi possibile compatibilmente con l’esigenza dei figli di una crescita serena ed equilibrata». Risulta necessario, infine, ricordare come la partecipazione, del resto, di ognuno dei due genitori ad aspetti variabili della vita quotidiana dei figli comporti che entrambi possano godere realmente di pari opportunità anche nel loro lavoro e nella loro nuova vita privata87, specialmente nell’attuale quadro normativo che muove verso un procedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio sempre più rapido ed immediato88 e che spinge verso la nascita di nuove formazioni familiari a se-

83

Ad es. nei casi posti alla base di Trib. Firenze, 2 dicembre 2018 e Trib. Brescia, 19 novembre 2018, cit. Sottolineano la necessità che i tempi di permanenza presso l’altro genitore debbano essere comunque tali da consentire un rapporto continuativo col figlio, T. Auletta, sub art. 337 ter, cit., 1013; C. Irti, Affidamento condiviso e casa familiare, Napoli, 2010, 39. 85 Così T. Auletta, Prospettive di riforma dell’affidamento condiviso, in Familia, 2018, 589. 86 C. Rimini, Sul disegno di legge Pillon e sugli altri Ddl in materia di responsabilità genitoriale in discussione al Senato, in Fam. dir., 2019, 69. 87 Risulta chiaro come negli ultimi anni si assista ad un progressivo distacco dal modello tradizionale della famiglia mononucleare, per arrivare alla famiglia “plurima” o “plurinucleare” (o, ancora, “polinucleare”), i cui componenti provengono da un precedente vincolo familiare e, quindi, composte da più nuclei tra loro intersecati, anche se non conviventi. Peraltro, gli studi sociologici sembrerebbe confermare l’idea secondo cui lo spostamento da una forma familiare (nucleare) ad un’altra (plurinucleare) fa sì che la seconda unione non venga considerata più come sostitutiva della prima, bensì che ad essa vada ad affiancarsi (L. Fruggeri, Diverse normalità. Psicologia sociale delle relazioni familiari, Roma, 2005, 105 ss.; Ead., I concetti di mononuclearità e plurinuclearità nella definizione di famiglia, in Connessioni, 2001, 16 ss.). Le problematiche di tipo giuridico si verificano nel momento in cui l’applicazione formalistica delle norme va a scontrarsi con la realtà e gli interessi concreti, determinando in tal modo una situazione di iniquità sostanziale (P. Perlingieri, Il diritto ereditario all’affacciarsi del nuovo millennio: problemi e prospettive, in Tradizione e modernità nel diritto successorio dagli istituti classici al patto di famiglia, a cura di S. delle Monache, Padova, 2007, 318, nota come l’originaria prospettiva teleologica del diritto ereditario, inteso come il complesso di norme volto a garantire la continuazione della personalità del de cuius, non sia più coerente con l’attuazione dimensione sostanziale dei nuclei familiari). 88 Il riferimento va al c.d. “divorzio breve”, introdotto per effetto della l. 6 maggio 2015, n. 55, recante “Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonchè di comunione tra i coniugi”; tra i primi commenti, per tutti, v. 84

776


Franco Trubiani

guito della disgregazione del matrimonio, realizzando la felice immagine dell’“arcipelago familiare”89. Di talché il coinvolgimento effettivo di entrambi i genitori separati nella vita della prole si caratterizza proprio nella significatività del rapporto affettivo che intercorre tra genitore e figlio90, nell’obiettivo di scongiurare il rischio concreto della lenta “scomparsa” della figura di uno dei genitori per effetto di una vicenda di crisi familiare che dovrebbe restare un fatto interno alla coppia. Nella prassi familiare si rinvengono una pluralità di comportamenti che non possono essere definiti a priori in quanto essi sono, come abbiamo avuto modo di osservare in precedenza, espressione di una multiforme realtà. La situazione di incertezza giurisprudenziale, probabilmente, non è un difetto al quale si può porre rimedio attraverso l’imposizione di regole eccessivamente rigide: essa rappresenta, piuttosto, l’espressione del sostrato che deve caratterizzare le norme, le quali, qualora risultano conformate in schemi rigidi, possano al più essere considerate quali una sorta di “tool box”, potendo e dovendo, poi, consentire una scelta tra i vari modelli in relazione alla fattispecie concreta, riuscendo, solo in tal modo, a conferire valore al preminente interesse del minore e, quindi alla bigenitorialità. Franco Trubiani

C. Rimini, Il nuovo divorzio, in Tratt. dir. civ. Cicu-Messineo, Milano, 2015, 3 ss. F.D. Busnelli, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2002, 520. 90 L. Rossi Carleo, Genitori e figli nelle nuove famiglie, in Genitori e figli: quali riforme per le nuove famiglie, in Quaderni del Notariato, a cura di Laurini e Ferrando, MilanoFiori-Assago, 2013, 99-100.

89

777



Giurisprudenza Cass. 15 ottobre 2018, n. 25698; Manna Presidente - Carrato Relatore Successioni mortis causa – Testamento – Interpretazione – Sostituzione fedecommissaria – Conservazione del negozio Nell’interpretazione di una disposizione testamentaria, con riguardo alla previsione dell’attribuzione simultanea, a distinti soggetti, della nuda proprietà e dell’usufrutto dei beni ereditari oppure di una sostituzione fedecommissaria, è decisivo il criterio secondo cui la sostituzione fedecommissaria non è ravvisabile quando, indipendentemente dalla terminologia usata, dalla struttura della disposizione emerga l’attribuzione ai chiamati in via successiva di due diritti diversi, rispettivamente di godimento al primo e di nuda proprietà dei beni relitti al secondo, giacché in tale ipotesi erede è soltanto il nudo proprietario, il quale può esercitare i relativi poteri fin dal momento dell’apertura della successione. Al contrario è ipotizzabile un’istituzione con sostituzione fedecommissaria qualora il testatore, pur adoperando la terminologia corrispondente a un’attribuzione separata di usufrutto e di nuda proprietà, abbia attribuito all’onorato dell’usufrutto diritti e obblighi incompatibili con la qualità di usufruttuario e spettanti, invece, all’erede oppure abbia condizionato l’acquisto della qualità di erede del secondo alla sopravvivenza del primo.

(Omissis)

Gli attori proposero appello avverso la men-

Fatto. Con citazione del 27 marzo 1995 i sigg.

zionata sentenza non definitiva e la Corte di ap-

Ca. Lu., Ni. e L. convenivano in giudizio, dinanzi

pello di Napoli, con sentenza del 14 dicembre

al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, Sc. Ge.,

2000, lo accolse per quanto di ragione e, in ri-

C. G. in Ca., C. M. in Fo., Fo. Gi. e la Curia Arci-

forma parziale dell’impugnata decisione, dichiarò

vescovile di Capua, chiedendo, in relazione alla

aperta la successione legittima di c. m. “concor-

successione di c.m. (deceduto il (...) e consorte

rendo il coniuge Sc. Ge. riservataria ex lege e i

di Sc. Ge.), che, previa dichiarazione di apertura

germani del de cuius con le assegnazioni a titolo

della successione testamentaria di quest’ultimo,

particolare di cui ai punti 4 e 5 del testamento e

fosse accertata la validità ed efficacia della dispo-

nei limiti della proposta azione di reintegra”, con-

sizione testamentaria che attribuiva loro la nuda

fermando, nel resto, ancorché con diversa moti-

proprietà di alcuni cespiti, siti in (...), e alla Sc.

vazione, la pronuncia gravata.

l’usufrutto dei beni stessi.

Nei confronti della predetta sentenza di ap-

Nella costituzione della Curia convenuta e

pello formularono ricorso per cassazione i ger-

della Sc., la quale formulava domanda ricon-

mani Ca. al quale resisti con controricorso la Sc.

venzionale con cui chiedeva di essere dichiara-

Ge., che, a sua volta, propose ricorso incidentale

ta erede universale del coniuge defunto, il pre-

riferito ad un unico motivo.

detto Tribunale, con sentenza non definitiva n.

Questa Corte, con sentenza n. 15130/2005,

1678/1998, dichiarò aperta la successione di cui

in accoglimento del ricorso incidentale e con il

trattavasi, rigettò la domanda principale ed accol-

conseguente assorbimento di quello principale,

se, per quanto di ragione, quella riconvenzionale

cassò l’impugnata sentenza statuendo il princi-

avanzata dalla Sc., disponendo per il prosieguo

pio secondo cui, in tema di interpretazione del

della causa in ordine all’istruzione sulla doman-

testamento, al fine di stabilire se sia stata previ-

da di reintegra della quota di legittima esercitata

sta l’attribuzione separata e simultanea a soggetti

dalla medesima Sc.

diversi della nuda proprietà e dell’usufrutto dei

779


Giurisprudenza

beni ereditari ovvero se sia configurabile la so-

nuda proprietà in favore degli altri beneficiari.

stituzione fedecommissaria di colui che, essendo

Conformandosi a quanto statuito nella richia-

stato designato erede universale, sia obbligato

mata sentenza di annullamento della Corte di le-

– in virtù di una duplice chiamata secondo un

gittimità, il giudice di rinvio, invero, sulla base

ordine successivo – a conservare e restituire alla

dell’esame e dell’interpretazione del contenuto

propria morte i beni a favore del sostituito, al

complessivo del controverso testamento, rilevava

quale viene trasmesso il medesimo diritto attri-

che ci si trovava in presenza di un fedecommesso

buito all’istituito, l’indagine non può limitarsi a

vietato, con l’applicazione dei conseguenti effetti

valorizzare esclusivamente l’espressione “vita na-

di legge in materia di successione testamentaria.

tural durante” usata dal testatore con riferimen-

Avverso la sentenza della Corte di rinvio han-

to alla disposizione a favore di uno dei soggetti

no proposto ricorso per cassazione Ca. Lu., L. e

onorati, precisandosi che la durata della vita del

Ni., riferito a due motivi, al quale hanno resistito

beneficiario assume rilievo sia nel caso in cui sia

con controricorso i soli de. Vi. As., DE. VI. IV. e

attribuito il diritto di usufrutto, sia nell’ipotesi in

DE. VI. UB., tutti quali dichiarati eredi legittimi di

cui venga conferito il diritto di proprietà piena

C. M. G. (erede testamentaria di Sc. Ge.) e il pri-

a favore dell’istituito nella sostituzione fedecom-

mo anche nella qualità di erede testamentario di

missaria, atteso che la durata della vita dell’u-

Sc. Ge., mentre le altre parti intimate non hanno

sufruttuario costituisce la misura temporale del diritto reale conferito ed è al termine della vita

svolto attività difensiva in questa sede. Diritto. 1. Con il primo motivo i ricorrenti han-

dell’onorato che diventa operante la chiamata dei

no dedotto – in relazione all’articolo 360 c.p.c.,

sostituiti nella sostituzione fedecommissaria.

comma 1, n. 3, – la violazione e falsa applicazio-

Sia gli originari appellanti che la stessa Sc. ri-

ne degli articoli 1362, 1363, 1367 e 1369 c.c. con

assumevano il giudizio in sede di rinvio dinanzi

riferimento all’assunta erroneità dei criteri inter-

ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.

pretativi come applicati dalla Corte partenopea in

In corso di causa decedeva la Sc. Ge. ed il

ordine al testamento in contestazione, pervenen-

giudizio in sede di rinvio veniva proseguito dai

do a ritenere che con esso fosse stata disposta

suoi eredi testamentari S. L., S. Maria Teresa, de.

una vietata sostituzione fedecommissaria.

Vi. As., SC. MA. CA. e C. M. G. (e per quest’ultima

2. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno

nei confronti degli eredi De. Vi. As., Iv. ed Ub.,

denunciato – sempre con riguardo all’articolo

essendo nelle more deceduta anche la sig.ra C.).

360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la supposta violazio-

La Corte di appello di Napoli, con sentenza

ne degli articoli 115 e 116 c.p.c., asserendo che

n. 2798/2013 resa all’esito del giudizio di rinvio,

il giudice di rinvio aveva posto a base dell’impu-

rigettava l’appello proposto dai Ca. teso a con-

gnata sentenza fatti e circostanze non risultanti

testare la sentenza del Tribunale di prime cure,

dagli atti.

sostenendo che era incorso in errore nel ritenere che il testamento del de cuius c. m. contenesse

La difesa dei ricorrenti ha anche depositato memoria ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c.

un fedecommesso vietato dalla legge nella parte

3. Rileva il collegio che i due motivi possono

in cui aveva disposto che le sue proprietà, lascia-

essere esaminati congiuntamente siccome tra lo-

te alla moglie, dopo la di lei morte, sarebbero

ro strettamente connessi.

state suddivise tra i nipoti, poiché – ad avviso degli appellanti – trattavasi di valida attribuzione disgiunta di usufrutto in favore del coniuge e di

780

Essi sono infondati e devono, pertanto, essere rigettati. Infatti – nel conformarsi ai principi in chiave


Francesco Paolo Patti

ermeneutica delle disposizioni testamentarie per

quello della moglie) detta mia proprietà sarà co-

verificare la sussistenza o meno della disposizio-

sì suddivisa...” fosse chiaramente sintomatica di

ne di una vietata sostituzione fedecommissaria,

una previsione di una sostituzione fedecommis-

così come statuiti nella sentenza di questa Corte

saria, la quale, infatti, si connota per una duplice

di annullamento con rinvio n. 15130/2005 – la

contestuale delazione, con cui, cioè, il “de cuius”

Corte di appello di Napoli ha correttamente stabi-

attribuisce la titolarità dei medesimi beni a due

lito che si versava in una ipotesi di fedecommes-

distinti soggetti – l’istituito e il sostituito – che

so vietato alla stregua della valutazione dell’in-

non succedono l’uno all’altro ma acquistano en-

tero contesto delle disposizioni “mortis causa”

trambi la qualità di eredi (o legatari) del testatore

dettate in favore della Sc. e dei nipoti e sorelle

ma non contemporaneamente bensì secondo un

del “de cuius”, incentrando l’attenzione non solo

ordine successivo, ossia l’uno dopo l’altro (al mo-

sulla natura del diritto attribuito alla stessa Sc.,

mento della morte dell’istituito).

ma anche e soprattutto sul fatto se lo stesso di-

Ad ulteriore conforto della scelta ermeneuti-

ritto sui beni fosse stato conferito, secondo un

ca compiuta – in aderenza al principio di diritto

ordine successivo, alla Sc. per tutta la durata della

stabilito con la sentenza di cassazione con rinvio

sua vita ed ai nipoti e alle sorelle del testatore

– la Corte napoletana ha posto riferimento, nel

dopo la morte della medesima Sc.

contesto complessivo della scheda testamentaria,

Invero, la Corte di rinvio, dopo aver ripro-

anche alla circostanza in base alla quale – nel di-

dotto il testo del testamento del “de cuius” c.m.,

sporre il legato a favore della Curia Arcivescovile

ha legittimamente evidenziato come il testatore

– il “de cuius” aveva fissato al tempo successivo

avesse, innanzitutto, inteso lasciare alla moglie la

alla morte della moglie Sc. Ge. la decorrenza del

“proprietà” e non l’“usufrutto” dei suoi beni, il

relativo beneficio, così rimanendo ancor di più

che avrebbe dovuto far ritenere che lo stesso C.

confermato l’intento unitario del testatore di vo-

(quale soggetto dotato di una media cultura) non

ler regolare le sorti del proprio patrimonio anche

aveva voluto attribuire al coniuge un mero dirit-

per l’epoca successiva al decesso della consorte,

to reale di godimento, senza che potesse sortire

privandola del diritto di disporne liberamente.

una decisiva rilevanza in questo senso la speci-

Del resto, con la precedente sentenza di que-

ficazione dell’assegnazione petitoria “vita natural

sta Corte di cassazione con rinvio n. 15130/2005,

durante”. Infatti, altrettanto coerentemente sul

si era proprio ritenuto che la motivazione della

piano logico-ermeneutico, la Corte partenopea

sentenza di appello si era rivelata gravemente in-

ha messo in evidenza che tale puntualizzazione

sufficiente rispetto all’esigenza interpretativa che

contenuta nella scheda testamentaria non poteva

il giudice d’appello era chiamato a soddisfare e

che svolgere la funzione di individuare un ter-

che consisteva nell’accertare se la ricorrente inci-

mine finale al diritto di proprietà riconosciuto in

dentale Sc. Ge. fosse stata designata dal testatore

favore della consorte, in quanto, all’atto del suo

sua erede universale, con attribuzione a lei della

decesso, lo stesso diritto avrebbe dovuto inten-

proprietà piena dei beni immobili di via (omissis)

dersi – secondo la volontà del testatore attribuito

e con sostituzione ad essa, nello stesso diritto,

ai nipoti.

dei nipoti e sorelle del “de cuius” per il tempo

Lo stesso giudice di rinvio – a conforto di tale

successivo alla sua morte, ovvero se il diritto at-

interpretazione – ha poi ulteriormente sottoline-

tribuito alla Sc. consistesse solo nel diritto di usu-

ato come l’utilizzazione dell’aggettivo “mia” nel

frutto sugli stessi beni, la cui nuda proprietà era

contesto della frase “...al suo decesso (ovvero

immediatamente assegnata a nipoti e sorelle.

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Giurisprudenza

A tal proposito, con la sentenza di rinvio, si era sottolineato come la verifica della ricorrenza della prima di dette ipotesi interpretative – quella della sostituzione fedecommissaria – in quanto necessariamente mirata all’accertamento della duplice chiamata e dell’ordine successivo delle chiamate (l’obbligo della conservazione dei beni imposto all’istituito per restituirli ai sostituti non necessariamente deve essere espresso dal testatore, potendo risultare implicito nella duplice chiamata e nell’ordine successivo delle chiamate), esigeva dall’interprete un’indagine condotta sull’intero contesto delle disposizioni dettate a favore della Sc. e dei nipoti e sorelle del “de cuius”, per verificare, non solo la natura del diritto attribuito alla Sc., ma anche e soprattutto se lo stesso diritto sui beni fosse stato conferito, secondo un ordine successivo, alla Sc. per tutta la durata della sua vita ed ai nipoti ed alle sorelle del testatore dopo la morte della Sc. Su tale base ermeneutica di fondo, questa Corte di legittimità aveva argomentato che, sulla scorta della riportata premessa e considerato che sia il diritto di usufrutto sia il diritto di proprietà piena attribuito all’istituito nell’ipotesi di sostituzione fedecommissaria si caratterizzano per mettere in rilievo la durata della vita dell’onorato, poiché nel caso di usufrutto la durata della vita dell’usufruttuario costituisce la misura temporale del diritto reale conferito e nel caso di sostituzione fedecommissaria è al termine della vita dell’istituito che bisogna far riferimento per vedere operante la chiamata dei sostituti, era risultata evidente l’assoluta insufficienza di un’interpretazione, come quella data dalla Corte d’appello di appello con la sentenza (poi cassata), che si era affidata esclusivamente alla valorizzazione della locuzione “vita natural durante” adoperata dal testatore con riferimento alla disposizione a favore di uno dei soggetti onorati. Senonché, nella decisione di annullamento, si era osservato come la non univocità della riportata espressione, rispetto all’esigenza interpretativa

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in discorso, avrebbe richiesto un esame complessivo di tutte le espressioni usate dal testatore per verificare se detta locuzione, anziché segnare la durata di un diritto reale di godimento attribuito alla Sc., valesse, insieme ad altre, a rimarcare il momento della operatività della disposizione a favore dei nipoti e delle sorelle del de cuius. E, sul punto, si era posto in risalto come dovesse venire in rilievo proprio la considerazione dell’espressione (“al suo decesso detta mia proprietà sarà così suddivisa...”) usata dal testatore per segnare la posteriorità del diritto di proprietà attribuito a nipoti e sorelle; espressione, che, specie se raffrontata con la ben diversa forma (“i quali beneficiari entreranno alla morte subito in possesso”) adoperata per confluire con immediatezza, dopo l’apertura della successione, il diritto dominicale ad altri soggetti, avrebbe dovuto conferire all’indagine interpretativa una diversa prospettiva ed un differente esito. Ed ancora – sempre nella sentenza di annullamento della precedente sentenza di appello – si era, per l’appunto, rilevato che un rilievo concorrente ad assecondare una esaustiva indagine ermeneutica della scheda testamentaria avrebbe potuto assumere, come dato utile per verificare se alla moglie ed ai nipoti e sorelle fosse stato dal testatore attribuito un diritto di identico contenuto sugli stessi beni (il che sarebbe stato incompatibile con l’ipotesi dell’attribuzione alla Sc. del solo usufrutto), la considerazione che nel designare l’oggetto del diritto conferito alla moglie (“lascio a mia moglie, tutta la mia proprietà”) e quello attribuito ai nipoti e sorelle (“detta mia proprietà sarà così suddivisa”) il testatore aveva usato lo stesso termine (“proprietà”). Si era anche messo in luce che non poteva, peraltro, sfuggire, per completezza comparativa, il rilievo che nel disporre del legato a favore della Curia Arcivescovile il “de cuius” aveva fissato per il tempo successivo alla morte della Sc. la decorrenza del beneficio e, da ultimo, il rilievo del


Francesco Paolo Patti

termine usato per indicare i cespiti “destinati” a Ca. Lu., trattandosi di dati utili ad accertare, da un canto, il complessivo intento ispiratore di c. m. nel regolare la sorte del suo patrimonio con specifico riferimento alla posizione della moglie e, dall’altro, il tempo in cui avrebbe potuto operare la disposizione a favore dei nipoti e delle sorelle. A tutti questi univoci criteri interpretativi si è puntualmente attenuta la Corte di rinvio, ragion per cui deve escludersi che essa sia incorsa nella asserita violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1363, 1667 e 1369 c.c. e, men che meno, in quella di cui agli articoli 115 e 116 c.p.c. È opportuno ricordare che, sul piano generale, la sostituzione fedecommissaria – che è, in generale, dichiarata nulla dall’articolo 692 c.c., comma 5, (salvi i casi eccezionali di sua validità come previsti nei precedenti commi della stessa disposizione normativa, sostituiti per effetto della Legge di riforma del diritto di famiglia L. 19 maggio 1975, n. 151, articolo 197) – contiene più istituzioni, di cui la posteriore deve avere effetto dopo la morte dell’istituito anteriormente, il quale ha, perciò, l’obbligo di conservare l’eredità onde poterla restituire, così come gli è pervenuta, all’erede sostituito. Gli elementi che, dunque, la identificano sono tre: 1) occorre, anzitutto, una doppia vocazione testamentaria, nel senso, cioè, che deve contenere due o più disposizioni dei medesimi beni in proprietà a favore di due o più persone chiamate a succedere l’una dopo l’altra, di modo che al sostituito è devoluta l’eredità del testatore non già direttamente da costui, ma indirettamente a mezzo del chiamato anteriore, che è gravato dall’obbligo della restituzione, e al quale, pertanto, egli – quale erede successivo del testatore non si sostituisce, come nella sostituzione ordinaria, ma sussegue; 2) è necessario, in secondo luogo, che il testatore abbia imposto al primo chiamato l’obbligo

di conservare e restituire i beni formanti oggetto della disposizione, precisandosi che tale obbligo può risultare da un’espressa disposizione del testamento, o dal contesto di esso, ovvero desumersi dalla circostanza che la disposizione non può ricevere la sua esecuzione che mediante la conservazione e la restituzione dei beni, o anche desumersi dal divieto di alienarli; 3) infine, l’ultimo requisito si sostanzia nel c.d. “ordine successivo”, il quale implica che l’istituito è tenuto a conservare i beni per tutta la vita, onde restituirli alla sua morte a titolo di successione al sostituito, che viene così a succedere indirettamente al testatore. In proposito anche la giurisprudenza di questa Corte ha, in più occasioni (cfr., ad es., Cass. 2 luglio 1991, n. 7267; Cass. 10 gennaio 1995, n. 243; Cass. 17 aprile 2001, n. 5604, e Cass. 24 febbraio 2009, n. 4435), stabilito che l’interpretazione di una disposizione testamentaria volta a determinare se il testatore abbia voluto disporre una sostituzione fedecommissaria o una costituzione testamentaria di usufrutto deve muovere dalla ricerca della effettiva volontà del “de cuius”, attraverso l’analisi delle finalità che il testatore intendeva perseguire, oltre che mediante il contenuto testuale della scheda testamentaria, con la conseguenza che la disposizione con la quale il “de cuius” lascia a persone diverse rispettivamente l’usufrutto e la nuda proprietà di uno stesso bene (o dell’intero complesso dei beni ereditari) non integra gli estremi della sostituzione fedecommissaria (ma quelli di una formale istituzione di erede) quando le disposizioni siano dirette e simultanee e non in ordine successivo, i chiamati non succedano l’uno all’altro, ma direttamente al testatore, e la consolidazione tra usufrutto e nuda proprietà costituisca un effetto non della successione, ma della “vis espansiva” della proprietà. In altri termini, nell’interpretazione di una disposizione testamentaria, con riguardo alla previsione dell’attribuzione simultanea (ancorché se-

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Giurisprudenza

parata), a distinti soggetti, della nuda proprietà e dell’usufrutto dei beni ereditari oppure di una sostituzione fedecommissaria, è decisivo il criterio secondo cui la sostituzione fedecommissaria non è ravvisabile quando, indipendentemente dalla terminologia usata, dalla struttura della disposizione emerga l’attribuzione ai chiamati in via successiva di due diritti diversi, rispettivamente di godimento – eventualmente anche dell’intero compendio dei beni ereditari al primo e di nuda proprietà dei beni relitti al secondo, giacché in tale ipotesi erede è soltanto il nudo proprietario, il quale può esercitare i relativi poteri fin dal momento dell’apertura della successione. Al contrario è ipotizzabile una istituzione con sostituzione fedecommissaria qualora il testatore, pur adoperando la terminologia corrispondente ad un’attribuzione separata di usufrutto e di nuda proprietà, abbia attribuito all’onorato dell’usufrutto diritti ed obblighi incompatibili con la qualità di usufruttuario e spettanti, invece, all’erede oppure abbia condizionato l’acquisto della qualità di erede del secondo alla sopravvivenza al primo. Sulla scorta di questi aspetti generali e del principio di diritto stabilito nella sentenza di questa Corte n. 15130/2005, ne consegue che, nel caso in esame, non è ravvisabile alcuna delle prospettate violazioni, poiché la sentenza impugnata adottata in sede di rinvio è corretta sul piano logico-giuridico e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto. Oltretutto, è importante porre in risalto che, in tema di interpretazione della scheda testamentaria e della previsione dell’attribuzione (separata) simultanea a distinti soggetti della nuda proprietà e dell’usufrutto di beni ereditari (distinzione che – si badi bene – non è stata nemmeno adoperata nella scheda testamentaria a cui è riferito il ricorso, nella quale i contenuti volitivi del testatore sono univocamente rivolti alla sola “proprietà”), questa Corte ha avuto, altresì, modo di affermare che, nell’interpretazione del testamento, il giudice deve accertare, secondo

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il principio generale di ermeneutica enunciato dall’articolo 1362 c.c., applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria, quale sia stata l’effettiva volontà del testatore comunque espressa, considerando congiuntamente ed in modo coordinato l’elemento letterale e quello logico dell’atto unilaterale “mortis causa”, salvaguardando il rispetto, in materia, del principio di conservazione del testamento. Tale attività interpretativa del giudice del merito, se compiuta alla stregua dei suddetti criteri e con ragionamento immune da vizi logici (come verificatosi nel caso esaminato), non può considerarsi censurabile in sede di legittimità (v. Cass. 21 febbraio 2007, n. 4022). 4. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento – in favore dei contro ricorrenti (in solido fra loro) – delle spese della presente fase di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo (...).


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Interpretazione e conservazione degli effetti del testamento* Sommario : 1. Premessa. – 2. Il caso e la decisione della Suprema Corte. – 3. Interpretazione del testamento e applicabilità delle norme in materia contrattuale. – 4. La conservazione degli effetti del testamento. Sommario: 1. Il caso. – 2. Il sillogismo giuridico formulato dalla Suprema Corte e i relativi corollari. – 3. Principio di conservazione del negozio giuridico, parte essenziale e sinallagma genetico: nullità totale, nullità parziale o conversione del contratto?

The present contribution provides an examination of the rationales underlying a decision of the Italian Court of Cassation in the field of testamentary interpretation. The author focuses on the problem of identifying the deceased will expressed in a handwritten testament, starting from the ancient institution of the “sostituzione fedecommissaria”. The survey reveals that in cases in which the will of the testator is uncertain the interpretation, which renders the disposition effective, is to be preferred to the one which would not.

1. Premessa. La sentenza si sofferma su una questione molto frequente nella casistica relativa all’interpretazione del testamento. Si tratta di stabilire se, nell’ambito di un testamento olografo, il testatore abbia disposto una sostituzione fedecommissaria o una attribuzione testamentaria disgiunta di usufrutto e nuda proprietà sul medesimo bene. La differenza tra le due figure è molto chiara in linea teorica. Con la sostituzione fedecommissaria il testatore pone in essere una duplice delazione, avente per oggetto i medesimi beni. La prima riguarda l’istituito e la seconda il sostituito. La duplice delazione non è contestuale, bensì successiva, in quanto il sostituito non succede contemporaneamente all’istituito, ma al momento della morte di quest’ultimo. Inoltre, secondo la definizione comunemente in uso, ricorre l’obbligo dell’istituito di «conservare e restituire» i beni oggetto della prima delazione.

*

Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.

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Giurisprudenza

Nel secondo caso, ricorre invece una attribuzione separata di un diritto di usufrutto e di una nuda proprietà, ossia di un diritto reale di godimento e di un diritto di proprietà attuale. Sussistono due disposizioni dirette e simultanee che non si pongono in ordine successivo l’una rispetto all’altra e la consolidazione tra usufrutto e nuda proprietà costituisce un effetto non della successione, ma della vis espansiva della proprietà. I criteri per delimitare i due istituti appaiono chiari ma spesso si pongono problemi interpretativi nei casi in cui la volontà del testatore non sia espressa in modo univoco1. Come è stato autorevolmente sostenuto, le difficoltà sono principalmente dovute al fatto che da un punto di vista economico-sociale, lo scopo del testatore nell’utilizzare la sostituzione fedecommissaria o nel costituire un diritto di usufrutto «praticamente coincide: ed è quello di attribuire il godimento (in senso atecnico) dei beni ad una persona per tutta la sua vita e, successivamente, la piena e libera disponibilità dei beni stessi ad altra persona»2. Dalla soluzione del problema interpretativo conseguono importanti differenze in ordine agli effetti del testamento. La sostituzione fedecommissaria, salvo le eccezionali ipotesi contemplate nell’art. 692 c.c. per soggetti interdetti o minori, è nulla3. Il solo beneficiario diviene quindi il soggetto istituito. L’usufrutto e la nuda proprietà sono invece da considerare, in linea di principio, efficaci4. In caso di lesione della quota di legittima, residua la possibilità di esercitare i diritti riconosciuti ai legittimari.

2. Il caso e la decisione della Suprema Corte. Ciò premesso, occorre esaminare il caso sottoposto alla Corte di Cassazione, la quale ha aderito a consolidati orientamenti giurisprudenziali in tema di interpretazione testamentaria5. Nella sentenza si afferma che l’interpretazione «deve muovere dalla ricerca della

1

V. ad esempio Cass. 24 febbraio 2009, n. 4435, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 950 ss., con nota di De Belvis, Lascito di usufrutto universale e titolo della vocazione. Per ulteriori riferimenti v. da ultimo Ghidoni, Il discrimine tra legato di usufrutto universale e fedecommesso, in Fam., pers. e succ., 2011, 695 ss.; Robles, Fedecommesso, legato di usufrutto vitalizio ed ermeneutica testamentaria, in Famiglia e dir., 2015, 131 ss. 2 Così Talamanca, Successioni testamentarie, in Comm. Scialoja-Branca, sub Art. 692 c.c., Bologna-Roma, 1972, 288 s. 3 In merito alle riforme normative intervenute nel tempo, v. in termini generali Putti, La sostituzione fedecommissaria prima e dopo la riforma del diritto di famiglia, in Nuova giur. civ. comm., 1990, II, 421; V. Carbone, Sostituzione ordinaria e fedecommissaria, in Dig. disc. priv. sez. civ., XVIII, Torino, 1998, 628 ss.; con riguardo a specifici problemi applicativi, Viotti, Il divieto di sostituzione fedecommissaria sotto il profilo della successione delle leggi nel tempo, in Familia, 2002, 743 ss.; M. Bianca, Della sostituzione fedecommissaria – sub Art. 692, in E. Gabrielli (dir.), Commentario del codice civile, Torino, 2010, 923 s. 4 Com’è noto, un problema molto discusso in dottrina riguarda la qualificazione giuridica della disposizione testamentaria di un diritto di usufrutto. Per una puntuale ricostruzione del dibattito dottrinale, v. da ultimo Azara, L’apporzionamento dell’erede legittimario istituito mediante il solo lascito di usufrutto su un bene determinato, in Dir. succ. fam., 2017, 1059 ss. 5 V., in tema di sostituzione fedecommissaria, Cass. 31 gennaio 2011, n. 2172, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 604, con nota di Tessera, Il divieto di sostituzione fedecommissaria tra conservazione del testamento e certezza del diritto; in Riv. not., 2012, 145, con nota di Scuccimarra, Rapporti tra la sostituzione fedecommissaria e l’attribuzione separata dell’usufrutto vitalizio e della nuda proprietà: « la disposizione con la quale il de cuius lascia a persone diverse rispettivamente l’usufrutto e la nuda proprietà di uno stesso bene (o dell’intero complesso dei beni ereditari) non integra gli estremi della sostituzione fedecommissaria (ma quelli di una formale istituzione

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effettiva volontà del de cuius, attraverso l’analisi delle finalità che il testatore intendeva perseguire, oltre che mediante il contenuto testuale della scheda testamentaria»6. Sebbene l’interpretazione del testamento richieda al giudice di merito un apprezzamento di fatto, incensurabile in Cassazione se congruamente motivato7, i giudici di legittimità sono di frequente chiamati a sindacare la corretta applicazione delle norme del codice civile in materia di interpretazione del contratto. Infatti, com’è noto, si ritiene che alcune delle norme previste per il contratto, con determinati adattamenti, siano applicabili anche al testamento8. Su quest’ultimo profilo si concentreranno le riflessioni che traggono spunto dal caso sottoposto all’attenzione della Corte suprema. Nel contesto di un testamento olografo, il de cuius scrive «lascio a mia moglie, tutta la mia proprietà vita natural durante [...] al suo decesso detta mia proprietà sarà così suddivisa [tra sorelle e nipoti]». Con riferimento alla posizione di altri soggetti, il testatore precisa: «i quali beneficiari entreranno alla morte subito in possesso». I giudici del merito hanno affermato che in tal modo si configura una disposizione di usufrutto, in favore della moglie, e di nuda proprietà in favore delle sorelle e dei nipoti. La soluzione interpretativa è stata basata sull’utilizzazione dell’inciso «vita natural durante» usualmente associato al diritto di usufrutto. La decisione della Corte d’appello veniva cassata dai giudici di legittimità nel 20059 e, nel successivo giudizio di rinvio, la Corte d’appello statuiva che la disposizione integra una sostituzione fedecommissaria vietata dalla legge. Questa volta i giudici di merito, movendo dall’espressione «mia proprietà», affermano che il testatore ha disposto di un solo diritto mediante una duplice delazione successiva. La correttezza dell’interpretazione viene confermata dalla Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi con la sentenza in esame per la seconda volta sulla medesima questione. Nella massima si legge: « la suprema corte ha ritenuto che, col testamento impugnato, fosse stata disposta, in favore della moglie e delle sorelle e nipoti, una istituzione di erede con sostituzione fedecommissaria in quanto il testatore, con l’univoco utilizzo del termine « proprietà » per entrambe le disposizioni,

di erede) quando le disposizioni siano dirette e simultanee e non in ordine successivo, i chiamati non succedano l’uno all’altro, ma direttamente al testatore, e la consolidazione tra usufrutto e nuda proprietà costituisca un effetto non della successione, ma della vis expansiva della proprietà ». Nello stesso senso, v. Cass. 12 settembre 2002, n. 13310, in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, 649, con nota di Moncalvo, Usufrutto generale sui beni ereditari e sostituzione fedecommissaria. 6 Cass., ord., 15 ottobre 2018, n. 25698, in Rep. Foro it., 2018, voce Successione ereditaria, n. 102. 7 Cfr., tra le più recenti, Cass. 6 ottobre 2017, n. 23393, in Rep. Foro it., 2017, voce Successione ereditaria, n. 167; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27128, in Famiglia e dir., 2012, 918 ss., con nota di Todeschini, L’interpretazione del testamento: tra fedecommesso de residuo e attribuzione separata della nuda proprietà e dell’usufrutto: « L’interpretazione della volontà del testatore espressa nella scheda testamentaria, risolvendosi in un accertamento di fatto denunziato al giudice di merito, è compito esclusivo di questo, nel senso che è a lui riservata la scelta e la valutazione degli elementi di giudizio più idonei a ricostruire la predetta volontà »; Cass. 13 giugno 2007, n. 13835, in Rep. Foro it., 2007, voce Successione ereditaria, n. 84; Cass. 29 gennaio 2007, n. 1789, in Riv. not., 2008, 453 ss. 8 V. soprattutto Grassetti, L’interpretazione del negozio giuridico con particolare riguardo ai contratti, Padova, 1938, 180 ss.; Cicu, Testamento2, Milano, 1951, 119-121; Rescigno, Interpretazione del testamento, Napoli, 1952, 2 ss. 9 Cass. 18 luglio 2005, n. 15130, in Fam., pers. e succ., 2006, 232 ss., con nota di Di Mauro, Divieto di sostituzione fedecommissaria ed attribuzione separata per testamento di usufrutto e nuda proprietà; in Riv. not., 2006, p. 783, con nota di La Mendola, Sull’interpretazione conservativa di una disposizione olografa in relazione al divieto di sostituzione fedecommissaria.

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aveva inteso segnare la posteriorità sul medesimo bene del diritto dei nipoti e delle sorelle, rispetto a quello della moglie, restando invece irrilevante l’utilizzo della formula « vita natural durante » per circoscrivere temporalmente il diritto di quest’ultima ». In conclusione, i giudici di legittimità affermano: « nell’interpretazione del testamento, il giudice deve accertare, secondo il principio generale di ermeneutica enunciato dall’articolo 1362 c.c., applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria, quale sia stata l’effettiva volontà del testatore comunque espressa, considerando congiuntamente ed in modo coordinato l’elemento letterale e quello logico dell’atto unilaterale “mortis causa”, salvaguardando il rispetto, in materia, del principio di conservazione del testamento »10.

3. Interpretazione del testamento e applicabilità delle norme in materia contrattuale.

Come si è accennato in apertura, una delle tematiche più di frequente affrontate in tema di ermeneutica del testamento riguarda l’applicabilità delle norme sull’interpretazione del contratto. Non è questa la sede per discutere delle diverse teorie espresse da autorevole dottrina in merito a quali sarebbero le norme estensibili al testamento o al fondamento di tale estensione. Un’argomentazione diffusa, ad esempio, fa perno sulla teoria del negozio giuridico11. In ogni caso, dalla lettura della sentenza si evince la necessità di valutare la reale portata operativa del richiamo delle norme in materia contrattuale, in particolare dell’art. 1362 c.c. In effetti, la norma appena menzionata, sovente evocata in modo enfatico dalla Suprema Corte12, si riferisce alla «comune intenzione delle parti», che deve essere determinata alla luce del «comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto». A ben vedere, per il problema in esame, l’unico aspetto realmente significativo della suddetta disposizione attiene alla possibilità per l’interprete di indagare quale sia l’intenzione del dichiarante senza doversi limitare al «senso letterale delle parole». Infatti, su questo aspetto si concentrano dottrina e giurisprudenza sostenendo che l’interpretazione del testamento sarebbe caratterizzata da una ricerca più intensa in merito alla effettiva volontà del testatore13.

10

Cass., ord., 15 ottobre 2018, n. 25698, cit. La teoria del negozio giuridico (in assenza di una apposita norma nel codice civile) è altresì stata adoperata dalla giurisprudenza per affermare la rilevabilità d’ufficio della nullità del testamento olografo: cfr. F.P. Patti, Invalidità del testamento olografo e rilievo d’ufficio, in questa Rivista, 2017, 596 ss. 12 Per alcuni rilievi critici in merito agli orientamenti della Corte di Cassazione in tema di interpretazione del testamento, v. Deplano, L’interpretazione delle disposizioni testamentarie secondo un’innovata prospettiva di indagine, in Rass. dir. civ., 2016, 1174 ss. 13 In giurisprudenza, v. Cass. 7 maggio 2018, n. 10882, in Rep. Foro it., 2018, voce Successione ereditaria, n. 33: «L’interpretazione del testamento, cui in linea di principio sono applicabili le regole di ermeneutica dettate dal codice in tema di contratti, con la sola eccezione di quelle incompatibili con la natura di atto unilaterale non recettizio del negozio mortis causa, è caratterizzata, rispetto a quella 11

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L’interpretazione del testamento pone problemi peculiari. Il dichiarante – ovviamente – in seguito all’apertura della successione non ha modo di spiegare quale fosse la propria volontà. Inoltre, soprattutto nel contesto dei testamenti olografi, il dichiarante, non avvezzo al linguaggio giuridico, spesso esprime la propria volontà in modo poco chiaro e può non essere pienamente consapevole delle conseguenze giuridiche derivanti dalle proprie disposizioni testamentarie. Per questa ragione, al fine di interpretare il testamento, assumono rilievo le qualità personali del testatore: la sua professione, il suo livello di istruzione, ecc. Venendo al caso deciso dalla Suprema Corte, non è possibile prendere posizione sulla soluzione prescelta. Del testamento impugnato sono riportati in motivazione soltanto pochi passaggi, che non permettono di valutare in maniera compiuta l’operato dei giudici. Tuttavia, dalla motivazione emergono due aspetti che meritano alcune riflessioni. Il primo concerne la ricerca della volontà effettiva del testatore. In effetti, la motivazione sembra fermarsi a un esame letterale delle parole utilizzate dal testatore, senza individuare il metodo per risalire alla «effettiva volontà del testatore comunque espressa». Con riferimento alle qualità personali del testatore si evince soltanto che quest’ultimo è stato considerato un soggetto di media cultura, il quale utilizzando il termine «mia proprietà» non poteva aver voluto attribuire al coniuge «un mero diritto reale di godimento». L’indagine circa le qualità personali del de cuius, la cui importanza spesso è stata rilevata dalla giurisprudenza di legittimità14, appare insufficiente. Non si accerta se il testatore avesse conoscenze giuridiche e non si tiene conto del fatto che il termine «proprietà» nell’uso comune può identificare l’immobile in sé senza un diretto riferimento al suo proprietario. Pertanto, anche in virtù della sussistenza dell’inciso «vita natural durante», sembrano sussistere incertezze in merito alla effettiva volontà del testatore e, in assenza di indagini sulle sue qualità personali, non appare corretto ricondurre a quest’ultime una qualificazione giuridica che determina l’esclusione dalla successione di soggetti che il testatore certamente avrebbe voluto beneficiare.

4. La conservazione degli effetti del testamento. Tuttavia, il profilo più problematico della sentenza in esame attiene alla mancanza di un approfondimento in merito all’utilizzabilità del criterio ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c., in base al quale «Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel sen-

contrattuale, da una più penetrante ricerca, aldilà della dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua dell’art. 1362 c.c., va individuata con riferimento ad elementi intrinseci alla scheda testamentaria, sulla base dell’esame globale della scheda stessa e non di ciascuna singola disposizione; tuttavia, ove dal testo dell’atto non emergano con certezza l’effettiva intenzione del de cuius e la portata della disposizione, il giudice può fare ricorso ad elementi estrinseci al testamento, ma pur sempre riferibili al testatore, quali, ad esempio, la personalità dello stesso, la sua mentalità, cultura o condizione sociale o il suo ambiente di vita». 14 Cfr. Cass. 7 maggio 2018, n. 10882, cit.

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so in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno». L’orientamento maggioritario della dottrina considera il criterio ermeneutico applicabile anche al testamento15. Nell’ambito dell’iter argomentativo della decisione, la norma non viene neppure menzionata dai giudici di legittimità, sebbene i ricorrenti avessero lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1367 c.c. con riferimento all’erroneità dei criteri interpretativi utilizzati dalla Corte d’appello. In applicazione di tale disposizione, ove siano possibili due interpretazioni del testamento, una delle quali importerebbe la sua nullità totale o parziale, deve essere preferita quella idonea ad evitare la nullità16. Il canone ermeneutico stabilito dall’art. 1367 c.c. viene di rado applicato dalla giurisprudenza. È indubbio che esso, avendo natura oggettiva, possa essere applicato soltanto in via sussidiaria nei casi in cui, in seguito all’applicazione dei canoni di natura soggettiva (artt. 1362-1365 c.c.)17, persista un dubbio relativamente al significato delle disposizioni testamentarie18. Sotto questo profilo, la motivazione della Cassazione si espone a due rilievi, uno di carattere specifico e uno di carattere generale. Con riferimento alla specifica questione sottoposta ai giudici di legittimità, ossia se ricorre una sostituzione fedecommissaria o una disposizione disgiunta di un diritto di usufrutto e di una nuda proprietà, occorre rilevare che il canone, di cui all’art. 1367 c.c., avrebbe potuto indurre l’interprete a conservare gli effetti della disposizione testamentaria. Come è stato autorevolmente illustrato, con siffatta norma non si mira a convertire un negozio invalido in un negozio valido, bensì, in presenza di incertezze in merito alla volontà del testatore, di prediligere l’opzione interpretativa idonea a garantire gli effetti del testamento19. Alla luce degli elementi testuali che si evincono dalla motivazione, sembra che nel caso di specie la questione avrebbe meritato maggiore considerazione, poiché la dichiarazione del testatore non ha un significato univoco. In termini più generali, deve osservarsi come in materia testamentaria, la difficoltà di rinvenire l’effettiva volontà del testatore e le caratteristiche dell’interpretazione testamentaria, dovrebbero indurre gli interpreti ad attribuire una rilevanza fondamentale al canone interpretativo di cui all’art. 1367 c.c. Risulta in proposito eloquente la circostanza che nel

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Cfr. la rassegna di Bigliazzi Geri, Il testamento, I, Profilo negoziale dell’atto. Appunti delle lezioni, Milano, 1976, 181-183. Ritengono che l’art. 1367 c.c. non sia applicabile al testamento, tra gli altri, Cicu, Testamento2, cit., 120; Lipari, Autonomia privata e testamento, Milano, 1970, 100. Con riferimento a un problema specifico, v. da ultimo Petti, Clausole contraddittorie del contratto e del testamento tra conservazione e interpretazione di buona fede, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 419 ss. 16 V. Cass. 14 ottobre 2013, n. 23278, in Rep. Foro it., 2013, voce Successione ereditaria, n. 150: «vìola l’art. 1367 c.c. il giudice che, dopo aver definito illeggibile una disposizione testamentaria in realtà suscettibile di interpretazioni alternative, opti immotivatamente per l’interpretazione invalidante». 17 Sulla distinzione tra criteri soggettivi e oggettivi, v. da ultimo i rilievi critici di A.M. Garofalo, Le regole costitutive del contratto. Contributo allo studio dell’autonomia privata, Napoli, 2018, 216-223. 18 In questo senso, v. spec. Cass. 21 marzo 1989, n. 1402, in Giur. it., 1989, I, 1, 1714, con nota di Buonpensiere, Sulla prova della buona fede del terzo acquirente nelle ipotesi dell’art. 2652, n. 7, c.c.: « Nell’interpretare una clausola testamentaria, l’interprete deve ricorrere al criterio ermeneutico integrativo fissato all’art. 1367 c.c. solo quando, esaurita l’interpretazione ricognitiva, rimanga ancora in dubbio e non abbia già attribuito con certezza alla clausola un determinato senso, ancorché plenoastico ». 19 Talamanca, Successioni testamentarie, cit., 290.

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Francesco Paolo Patti

codice civile tedesco il § 2084 stabilisce una regola analoga al nostro 1367 c.c. soltanto in materia testamentaria, mentre nella parte generale sul negozio giuridico non compare alcun riferimento a tale criterio ermeneutico20. La scelta del legislatore tedesco ha una sua logica, considerando che la ricerca dell’effettiva volontà del testatore – soprattutto nelle ipotesi in cui sussistano incertezze relative a qualificazioni giuridiche dalle quali dipendono gli effetti del testamento – costituisce un compito arduo e, in molti casi, il relativo accertamento non risulta possibile. Come è stato autorevolmente sostenuto in passato, in ambito testamentario, l’esigenza della conservazione del negozio si profila «ancor più imperiosa, perché una interpretazione che privi di efficacia il testamento nega irrimediabilmente l’esplicazione della privata autonomia del disponente, mentre lo stesso non può dirsi sempre per ciò che riguardi il contratto, essendo almeno teoricamente possibile che i contraenti pongano in essere un nuovo negozio»21. La Corte di Cassazione, in alcune decisioni, ha richiamato espressamente il «canone di conservazione del testamento»22, ma non sembra sussistere la consapevolezza in merito all’importanza del criterio ermeneutico. La ridotta utilizzazione dell’art. 1367 c.c. in materia testamentaria sembra dipendere dalla (quasi ossessiva) propensione alla ricerca della effettiva volontà del de cuius. In questa prospettiva, la regola della conservazione del testamento, avente natura puramente obiettiva, costituirebbe un elemento di rottura idoneo a far scaturire dal testamento effetti non necessariamente voluti dal testatore. Eppure, alcuni orientamenti della giurisprudenza dimostrano che la regola interpretativa in molti casi costituisce un ausilio indispensabile per l’affermazione della volontà del testatore. Ad esempio, ove l’istituito non accetti o muoia prima dell’apertura della successione, la giurisprudenza ammette che la sostituzione fedecommissaria venga convertita in una sostituzione ordinaria valida23. L’orientamento, chiaramente destinato a conservare gli effetti del testamento, si basa sulla presunta volontà del testatore, posto che dalla scheda risulta l’intento di beneficiare il sostituito. Tornando al caso di specie, si ribadisce che potrebbe apparire maggiormente confacente alla volontà del testatore riconoscere degli effetti alla disposizione testamentaria, in applicazione dell’art. 1367 c.c., piuttosto che sancirne la nullità sulla base di una norma, l’art.

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Si tratta della c.d. wohlwollende Auslegung. V. in proposito Muscheler, Erbrecht, I, Tübingen, 2010, 952-954; Lange, Erbrecht2, München, 2017, 327-329. Nella nostra dottrina, il profilo è stato indagato soprattutto da Perego, Favor legis e testamento, Milano, 1970, 229 ss. Ma v. anche Grassetti, L’interpretazione del negozio giuridico, cit., 183. 21 Grassetti, L’interpretazione del negozio giuridico, cit., 184. 22 V. ad esempio Cass. 6 ottobre 2017, n. 23393, cit.: « Nell’interpretazione del testamento il giudice di merito, mediante un apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se congruamente motivato, deve accertare, in conformità al principio enunciato dall’art. 1362 c.c., applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria, quale sia stata l’effettiva volontà del testatore, valutando congiuntamente l’elemento letterale e quello logico ed in omaggio al canone di conservazione del testamento: in particolare, l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale, ove il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli ed individuati beni ». 23 In proposito, si discorre di una «sostituzione compendiosa» o di una «sostituzione ordinaria implicita»: cfr. Albanese, Delle sostituzioni, in Comm. Scialoja Branca-Galgano, a cura di De Nova, sub Art. 692 c.c., Bologna, 2015, 210.

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Giurisprudenza

692 c.c., la cui ratio – con il trascorrere del tempo – è divenuta di difficile individuazione24. La valorizzazione del criterio ermeneutico della conservazione del testamento non determina ovviamente l’abrogazione dell’art. 692 c.c. o una «conversione» della disposizione nulla25. Il risultato pratico divisato dall’art. 1367 c.c. è raggiungibile soltanto in presenza di dubbi sul significato delle disposizioni testamentarie e l’interpretazione idonea a conservare gli effetti del testamento deve necessariamente profilarsi come plausibile. La vicenda in esame dimostra che, in queste ipotesi, la conservazione degli effetti del testamento può garantire l’avveramento della reale intenzione del testatore. Francesco Paolo Patti

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V. già Talamanca, Successioni testamentarie, cit., 283 ss., il quale mette in luce le debolezze della tesi che ravvisa la ratio legis del divieto di sostituzione fedecommissaria nell’intento di evitare i pericoli che da un punto di vista economico deriverebbero dal sostanziale immobilismo dei beni soggetti al vincolo fedecommissorio. L’autore riconduce la funzione della disposizione all’esigenza di tutelare la libertà dispositiva del primo chiamato (in questo senso, v. altresì M. Bianca, Della sostituzione fedecommissaria, cit., 930). Tuttavia, simili limitazioni dell’autonomia dispositiva possono essere disposte dal testatore con diversi strumenti, considerati legittimi dall’ordinamento giuridico (v. amplius Nonne, Le disposizioni rafforzative della volontà testamentaria, Napoli, 2018, 67-255; in merito al c.d. trust testamentario v. da ultimo Stefini, Destinazione patrimoniale e testamento, in Scola-Tescaro (a cura di), Casi controversi in materia di diritto delle successioni, I, Esperienze italiane, Napoli, 2019, 267-272). Afferma che la sostituzione fedecommissaria «eccede» la causa del negozio testamentario Ricca, voce Fedecommesso (dir. civ.), in Enc. dir., XVII, Milano, 1968, 118. 25 In merito alla problematica da ultimo menzionata, v. De Nova, Dal principio di conservazione al favor contractus, ora in Id., Il contratto. Dal contratto atipico al contratto alieno, Padova, 2011, 530, il quale riprendendo la tesi di Cesare Grassetti rileva che la «conservazione» implica il «mantenimento» e non la «trasformazione» del negozio.

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