Diritto penale globalizzazione 4/2019

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4 • 0tt0bre-dicembre 2019

Rivista trimestrale 4 • ottobre-dicembre 2019

Il diritto penale

globalizzazione della

Il diritto penale della globalizzazione

Diretta da: Ranieri Razzante e Giovanni Tartaglia Polcini

In evidenza: Reati commessi in Libia e giurisdizione italiana Nikita Micieli de Biase Estradizione: sempre vietata in caso di pena di morte Alessia Strigini Clima e diritti umani: un legame stretto e “riconosciuto” Rubinia Proli L’asservimento del pubblico ufficiale alla realizzazione di interessi personali di terzi Marilisa De Nigris

ISSN 2532-8433


Indice In evidenza A cura di Ranieri Razzante, La nuova direttiva europea sul whistleblowing......................................p. 363

Editoriale A cura di Giorgio Malfatti

di

Monte Tretto, Il Kazakhstan del dopo Nazarbayev.............................» 365

Saggi Cesare Augusto Placanica, I rapporti tra Corte dell’Unione Europea e Corte Costituzionale italiana nell’attuazione del diritto penale transnazionale..............................................................................» 369 Alessia Strigini, Estradizione: sempre vietata in caso di pena di morte (Cass. pen. sez. IV 11.06.2019 n. 39443)..........................................................................................................................» 379

Giurisprudenza Giurisprudenza nazionale Corte di Cassazione, sez. VI penale, sentenza 6 novembre 2019, n. 45184 con nota di Marilisa De Nigris, L’asservimento del pubblico ufficiale alla realizzazione di interessi personali di terzi....» 385

Giurisprudenza internazionale Nuova pronuncia della Corte di Cassazione italiana V sez. penale n. 48250 del 27 novembre 2019 con nota di Nikita Micieli de Biase, Reati commessi in Libia e giurisdizione italiana...............» 387

Giurisprudenza europea Sentenza 19 novembre 2019 ricorso n. 58954/09 Case of Obote v. Russia con nota di Elena Valguarnera, La Corte di Strasburgo condanna la Russia e riconosce il diritto al flash mob............» 391

Osservatorio Osservatorio normativo Antonio De Lucia, Abrogazione art. 131-bis c.p. in materia di particolare tenuità del fatto............» 395

Osservatorio internazionale Rubinia Proli, Clima e diritti umani: un legame stretto e “riconosciuto”............................................» 397

Osservatorio europeo Marco Petillo, Principio del ne bis in idem nella giurisprudenza convenzionale...........................» 399

Osservatorio nazionale Andrea Racca, Il nuovo reato di diffusione di immagini o video sessualmente espliciti: “reverenge porn”..........................................................................................................................................................» 405


Indice

Focus Giampaolo Estrafallaces, I giudizi di law level of effectiveness del sistema AML/CFT maltese nelle considerazioni del Moneyval...............................................................................................................Âť 411

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In

evidenza

La nuova direttiva europea sul whistleblowing1 Il whistleblowing (letteralmente “il soffiare nel fischietto”), rappresenta uno dei capisaldi dell’ “innovazione” ordinamentale nella prevenzione dei fenomeni corruttivi2. In Italia, come noto ormai, si possono individuare due linee direttrici per il contrasto alla corruzione. Un sistema normativo c.d. “multilivello” da un lato, e dall’altro la sua applicazione pratica, fatta dai presidi predisposti dagli enti pubblici e dagli operatori economici. Il whistleblowing si inserisce proprio in questo secondo canale. Tecnicamente il termine si riferisce alla segnalazione di illeciti commessi da colleghi o da superiori gerarchici sul luogo di lavoro. L’etimologia del termine è suggestiva, richiamando l’attività tipica di un agente di polizia nel tentativo di segnalare e bloccare un’azione illecita3. Introdotto inizialmente negli Stati Uniti e negli ordinamenti di common law4, per poi essere mutuato anche in quelli di civil law, il whistleblowing è passato ad indicare, nel corso degli anni, l’insieme delle misure operative predisposte per far emergere eventuali “pratiche scorrette” poste in essere dai soggetti con ruoli apicali all’interno di strutture pubbliche o private. L’istituto ha ricevuto un andamento attenzionale incrementale da parte del legislatore, culminato da ultimo con la direttiva europea 2019/1937 del 23 ottobre 20195, pubblicata nella G.U.U.E. del 26 novembre dello stesso anno. La direttiva tenta – meritoriamente – di conferire una disciplina organica allo strumento all’interno dell’Unione e di colmare il gap definitorio tra gli Stati membri. Senza pretesa di esaustività, si andranno ad evidenziare alcuni aspetti di interesse. Si prevede innanzitutto l’obbligo di introdurre un meccanismo di segnalazione degli illeciti e di follow-up delle denunce sia nel privato, per tutte le imprese con più di 50 dipendenti o con un fatturato annuo superiore ai 10 milioni di euro, che nel pubblico, per tutte le amministrazioni statali e regionali e tutti i comuni con più di 10.000 abitanti. L’importante novità costituita dalla direttiva è la sua applicazione sia al settore pubblico che al privato, senza alcuna distinzione, a differenza di quello che accade per la normativa italiana, contenuta principalmente nella legge 30 novembre 2017, n. 179. In essa, infatti, i lavoratori del settore privato ricevono tutele parziali, attivandosi le stesse solo in caso di segnalazioni interne all’ente di appartenenza. A tal riguardo si assiste nella direttiva, parallelamente, anche ad un rafforzamento delle cautele prescritte nella predisposizione dei canali interni; viene maggiormente dettagliata l’utilizzabilità dei canali cc.dd.“esterni”, e cioè quelli attraverso le Autorità competenti. A queste ultime si potrà ricorrere laddove siano stati già utilizzati i canali interni oppure in via diretta.

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Lo scritto riprende, con alcuni aggiornamenti, quanto espresso dall’A. nel volume A. Parrotta, R. Razzante, Il sistema di segnalazione interna, Pisa, 2019. 2 E. Fusco, B. Fragasso, Dalla legge Severino alla legge spazzacorrotti, in Rivista 231, 4-2019, 95-95-120. 3 G. Fraschini, N. Parisi, D. Rinoldi, Il whistleblowing, nuovo strumento di lotta alla corruzione, Catania, 2011, 85. 4 M. De Simone, Corruption on your doorstep, Transparency international, marzo 2015. 5 M. Casamento, Quali conseguenze per la nuova direttiva comunitaria sul whistleblowing?, in Filodiritto.com, 11 dicembre 2019.


In evidenza

Si dovrà comunque garantire ai segnalanti protezione contro le ritorsioni, la stessa della quale beneficiano per le segnalazioni interne. Le Autorità competenti dovranno assicurare, inoltre, sia il rispetto di criteri relativi alla loro indipendenza e autonomia, sia la memorizzazione di informazioni su supporti durevoli. Altro aspetto sul quale incide la nuova direttiva è la riservatezza sull’identità del segnalante. Da sempre, le varie normative sul whistleblowing hanno fatto riferimento a segnalazioni “riservate”, con ciò intendendo comunicazioni presentate da soggetti interni ad una struttura e noti all’organo ricevente, ma “secretate” mediante sistemi di crittografia per quanto attiene all’identità degli autori. La direttiva richiede agli Stati membri che vengano disposte da parte delle Autorità competenti adeguate procedure di tutela per il trattamento delle segnalazioni e per la protezione dei dati personali delle persone menzionate nella segnalazione. “Tali procedure dovrebbero garantire che l’identità di ogni persona segnalante, di ogni persona coinvolta e dei terzi menzionati nella segnalazione, per esempio testimoni o colleghi, sia protetta in tutte le fasi della procedura”6. Le lacune più evidenti, a parere di chi scrive, si sono registrate proprio sull’affidabilità dei flussi informativi e di canalizzazione e diffusione delle informazioni. Le “fughe” sono (state) all’ordine del giorno e ciò, nell’ottica del legislatore europeo, potrebbe vanificare gli sforzi normativi di altri Stati membri. L’occasione della riforma derivante dalla cennata direttiva europea è ghiotta e, se sfruttata, assai conferente. Essa dovrà essere recepita a livello nazionale entro il 17 dicembre 2021. Riguardo ai soggetti giuridici del settore privato con più di 50 e meno di 250 lavoratori, gli Stati membri si avrà una dilazione fino al 17 dicembre 2023. Al di là del dato normativo, in ultima istanza, fondamentale sarà la sensibilità culturale all’argomento degli operatori economici, con un impatto sulla “purezza” delle segnalazioni de quibus, onde scongiurare il loro utilizzo per fini personalistici. di Ranieri Razzante

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Cfr. Considerendo 76 della direttiva UE/2019/1937.

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Il Kazakhstan del dopo Nazarbayev Il Kazakhstan è il più esteso e ricco Stato dell’Asia Centrale post sovietica, in cui la presenza di ingenti quantità di risorse naturali si incrocia con la necessità di ritagliarsi un ruolo nell’assetto geopolitico e strategico della regione. Il paese, pur senza sbocco al mare e inserito tra due super potenze, è quello nell’area con maggiori prospettive di sviluppo economico grazie alla sua ricchezza di petrolio e gas naturale. La sua capitale, Nur-Sultan, è l’emblema delle ambizioni regionali del Kazakhstan. Essa sorge nel mezzo della steppa kazaka, in un’area quasi desertica, dove il livello di attività umana è prossimo allo zero. I moderni edifici di Nur-Sultan con il loro design futuristico sembrano quasi sfidare il passato sovietico della regione. Il Kazakhstan, nell’epoca comunista, era il luogo di destinazione dei prigionieri politici, in quanto sede di diversi gulag, mentre il Cremlino aveva sfruttato le sue desertiche steppe per condurre i propri devastanti test nucleari e per costruire anche negli anni Sessanta a Baikonur un cosmodromo per la conquista dello spazio. Inizialmente la capitale era Almaty, nella parte meridionale del Kazakhstan al confine con la Cina. Nel 1997 si decise di spostare il centro politico della neonata repubblica più a nord, a ridosso della Federazione Russa, dove oggi sorge Nur-Sultan, considerata l’importanza della minoranza di cittadini di etnia russa e il conseguente rischio che Mosca potesse sfruttare tale situazione per avanzare pretese territoriali. Una mossa certamente dettata dalla ambizione del proprio Presidente, ma anche dalla necessità di assicurare la sicurezza dei propri confini. La città ha preso il suo nome odierno solamente di recente. Quest’anno, la capitale ha deciso di abbandonare la sua vecchia denominazione, Astana, per quella di Nur-Sultan, in onore di Nursultan Nazarbayev. Il cambio di nome della capitale sembra essere ormai una costante per il paese, avendolo già effettuato in pochi anni ben quattro volte (Celinograd, Akmola, Astana e ora Nur-Sultan). La politica interna è stata contrassegnata da stabilità e ricchezza. Come in quasi tutti gli altri Stati della ex unione Sovietica si è instaurata, al momento dell’indipendenza, un tipo di democrazia più formale che sostanziale, affidandone la guida a un esponente del passato Politburo. Nazarbayev ha governato da leader indiscusso ed ha preservato il Kazakhstan da qualsiasi tipo di violento sommovimento interno, conducendo una politica estera abile, con una impronta pro occidentale ma rispettosa verso il suo potente vicino la Russia. Il suo modo di governare ha però avuto un prezzo. La libertà di stampa è pressoché inesistente, le elezioni non sono mai state giudicate pienamente libere dalle organizzazioni internazionali e ogni espressione di dissenso è stata repressa. In questo contesto democratico-autoritario, la popolazione era diventata apatica e disinteressata alla politica. Almeno fino a che le dimissioni di Nazarbayev non hanno risvegliato un interesse nei più giovani, che per la prima volta hanno l’occasione di dibattere del futuro del paese, anche attraverso i social media. Ed è proprio sui social che alcuni hanno espresso la loro indignazione per la decisione di cambiare il nome della capitale. Decisione che, anche per chi non ha mai conosciuto un altro presidente, rappresenta un eccesso nel culto della personalità. Nursultan Nazarbayev, dopo trent’anni a capo sia della Repubblica Socialista Sovietica Kazaka sia del paese da essa derivata dopo la dissoluzione dell’URSS, ha rassegnato nel marzo scorso le dimissioni all’età di settantanove anni. Un sorprendente passo indietro almeno in questi termini così repentini. In accordo con i dettami costituzionali, il potere è passato temporaneamente, in attesa delle elezioni convocate per il mese di giugno, nelle mani del Presidente del Senato Tokayev, volto noto negli ambienti degli istituti internazionali per aver rappresen-


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tato il Kazakhstan sia in qualità di Ministro degli Esteri, sia presso la sede delle Nazioni Unite a Ginevra. Le elezioni, svoltesi in un clima tutt’altro che tranquillo, hanno visto la netta affermazione di Tokayev, il candidato del partito dell’ex Presidente. Da sempre i risultati elettorali nel giovane Stato sono stati giudicati poco trasparenti, ma la comunità internazionale preferisce non infierire in paesi con cui si fanno ottimi affari e che si trovano in aree geopolitiche problematiche. Le difficoltà nelle transazioni di potere in tutto lo spazio post-sovietico hanno, infatti, spesso causato momenti di tensione, nonché instabilità politica che ha esposto i paesi interessati a dei cambiamenti radicali di prospettiva. Nazarbayev ha fatto un passo indietro per favorire una transazione gestita da lui stesso, perpetrare lo status-quo con i suoi fedelissimi ancora intorno e, soprattutto, con la garanzia di poter attuare la propria legacy contando sulla famiglia. La persona ritenuta la vera erede dell’ex Presidente, la figlia Dariga Nazarbayeva, è stata immediatamente nominata Presidente del Senato dal nuovo Capo dello Stato Tokayev. Evidenti sono altresì i segnali che fanno pensare ad un controllo serrato da parte di Nazarbayev. Egli rimane a capo del partito di maggioranza, del vero centro di potere del paese (il Consiglio di sicurezza) nonché membro della Corte Costituzionale. Sullo sfondo anche il cambio di nome della capitale da Astana a Nur-Sultan, nome di battesimo di Nazarbayev. Il culto della personalità è tipico della tradizione regionale e Nazarbayev desidera di essere riconosciuto non solo come primo plenipotenziario Presidente, ma come vero “Padre della Patria”. La miscela di morbida liberalizzazione dell’economia e di autoritarismo ha consentito al Kazakhstan di fare passi da gigante, almeno fino alla riduzione della domanda mondiale di petrolio a seguito della crisi del 2007-2008 che ha contribuito ad abbassare notevolmente i prezzi delle materie prime, facendo decelerare la crescita e mettendo in mostra la polvere nascosta sotto il tappeto: corruzione, povertà e potentati economici sono ancora una realtà che Nazarbayev ha combattuto con il bastone e la carota, riportando alterni risultati. Il futuro del Kazakhstan potrebbe essere legato ancora a lungo dal suo demiurgo, dal momento che, se in futuro Tokayev non dovesse più essere gradito, il potere passerebbe per principio costituzionale alla figlia Dariga. Una figura versatile e poco conosciuta: cantante lirica semiprofessionista con un passato coniugale burrascoso. C’è da chiedersi quale capo di Stato a quelle latitudini non desidererebbe una transazione di potere così naturale e semplice alla pari di quella di un regnante a tutti gli effetti. Il Kazakhstan ha a disposizione una quantità di risorse naturali impressionante, considerata la sua popolazione di diciotto milioni di abitanti. Questa repubblica dell’Asia Centrale è dodicesima al mondo per riserve di petrolio, quattordicesima per quanto riguarda i giacimenti di gas naturale ed è il primo Paese della regione per miniere di carbone e il secondo per produzione di tale risorsa dopo la Russia. Dai combustibili fossili deriva l’87% del suo output energetico, con solo il 12% prodotto dagli impianti idroelettrici e l’1% dall’energia solare. Il Kazakhstan è altresì il più grande esportatore al mondo di uranio pur non possedendo centrali nucleari, riuscendo a soddisfare il suo bisogno energetico con i soli combustibili fossili. Le riserve kazake costituiscono il 39% del totale mondiale, con 21.700 tonnellate estratte nel 2018. Nonostante le ingenti risorse a disposizione, il raggiungimento dell’autosufficienza energetica non è stato immediato. Solo negli anni Duemila è iniziata infatti una robusta crescita economica, della quale ha giovato anche la produzione energetica. Nel 2013, il Kazakhstan è diventato esportatore di energia oltre che di gas. Il suo prodotto principale è il petrolio, che rappresenta circa il 53% delle esportazioni del Paese. Le riserve di greggio kazake ammontano a ben trentacinque miliardi di barili. Tali giacimenti si concentrano principalmente in tre campi petroliferi nella parte Nord-occidentale del Paese: Kashagan (nel Mar Caspio), Tengiz e Karachaganak. Nei campi di offshore di Kashagan

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e inshore di Karachaganak l’ENI è il primo operatore di un consorzio internazionale. La nostra società petrolifera nazionale ha effettuato dal 1994 in grandi investimenti per assicurarsi lo sfruttamento dei più promettenti campi al fine di diversificare gli approvvigionamenti italiani. Il governo kazako conta di incrementare la produzione in queste zone entro il 2025, portando il totale nazionale alla cifra di 2.15 milioni di barili al giorno, contro i circa 1.8 milioni odierni. Considerati i copiosi campi petroliferi a disposizione, l’estrazione del gas ha da sempre ricoperto un ruolo secondario nei progetti di sviluppo economico del paese. Tuttavia, a partire dal 2012, le attività di estrazione sono aumentate, raggiungendo entro lo stesso anno i 19 miliardi di metri cubi. Un trend in crescita fino ad oggi, con la produzione di gas del 2018 che ha toccato i 23 miliardi di metri cubi. Sebbene le sue ingenti risorse energetiche lascino sperare in un futuro economicamente roseo, la realtà regionale in cui il Paese si trova inserito presenta diversi vincoli e ostacoli. Il Kazakhstan non ha un accesso diretto al mare e così la Russia è una zona di transito obbligatoria per il trasporto di petrolio e gas verso i mercati dell’Europa occidentale. L’arteria principale utilizzata per esportare il greggio è l’oleodotto che collega l’ex repubblica socialista al porto russo di Novorossijsk, sul Mar Nero. Tuttavia Mosca in passato si è rivelata essere un’alleata infida, in grado di regolare a proprio piacimento l’accesso del Kazakhstan ai mercati occidentali. Di fatto, Mosca trae diversi vantaggi dal regolare il prezzo di gas e petrolio (risorse prodotte anche dalla Russia), oltre ad avere un interesse strategico nel controllare i rifornimenti di combustibili in paesi considerati parte della propria sfera d’influenza. Una situazione che ha spinto il Kazakhstan a volgere il suo sguardo a Oriente. La sete di energia della Cina rappresenta una grande occasione per diversificare i propri partner commerciali. Infatti, la costante crescita economica di Pechino e le sue ambizioni di potenza mondiale hanno imposto al gigante asiatico di garantire un costante afflusso di risorse energetiche al Paese. Non a caso, il Kazakhstan rappresenta uno dei principali destinatari degli investimenti strutturali cinesi nel contesto della “Belt and Road Initiative”. L’esempio più lampante, in tal senso, è l’infrastruttura logistica di Khorgos sita a circa trecento chilometri dalla vecchia capitale Almaty, sul punto di intersecamento tra il sistema ferroviario cinese e quello kazako. Un hub ferroviario diventato ormai uno dei più importante porto secco al mondo, dove transitano le merci dalla Cina dirette ai mercati europei in metà tempo rispetto alle rotte marittime. Vi è poi la costruzione dell’oleodotto di 2.300 km che dal Mar Caspio arriverà fino alla regione cinese dello Xinjiang. Inoltre, la China National Petroleum Corporation possiede diversi diritti per l’estrazione di greggio sul territorio kazako. Le ingenti risorse di petrolio e gas di cui il Kazakhstan dispone lasciano sperare in ampie prospettive di sviluppo economico. Tuttavia, il fatto che tali risorse rappresentino la spina dorsale dell’intera economia del Paese rende il paese molto vulnerabile agli andamenti del mercato energetico mondiale. Grazie alla sua funzione di porta d’accesso verso i mercati occidentali, la Russia ha la possibilità di controllare le esportazioni di greggio e gas del Kazakhstan verso Ovest e d’altro canto la Cina, sebbene costituisca al momento un solido mercato per le esportazioni kazake, potrebbe non dare garanzie per il futuro. Pechino sta investendo diversi miliardi in energia rinnovabile, al fine di ridurre la propria dipendenza dall’importazione di gas e petrolio. Tale transizione si tradurrebbe, inevitabilmente, in una riduzione delle esportazioni kazake verso la Cina. Per rimediare a questa situazione, il Kazakhstan ha la necessità di diversificare i propri sbocchi commerciali e di ampliare le proprie possibilità di accesso verso i mercati occidentali. Un inizio in tal senso è l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che consente a parte del greggio kazako di raggiungere le coste turche sul mediterraneo, evitando così di transitare sul territorio russo. Manca però un oleodotto transcaspico impedito dalle discussioni sullo stato giuridico

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del Mar Caspio, sul quale l’anno scorso è stato trovato un accordo tra i paesi rivieraschi. L’intesa prevede una divisone delle acque, ma il fondale viene considerato alla stregua di una terra emersa e le regole per la sua suddivisione dovranno essere negoziate in futuro. È prevista la possibilità di costruzione di oleodotti sul letto del Mar Caspio, vincolata però da un potere di veto da parte della Russia e dell’Iran ai lavori di costruzione e dal rispetto dell’impatto ambientale. L’intesa sul Caspio è stata raggiunta non solo per riservare lo sfruttamento delle risorse ai soli paesi rivieraschi ma anche per impedirvi l’attività militare da parte di Stati stranieri. Il Mar Caspio è stato, infatti, utilizzato da Mosca per la guerra in Siria e dagli Stati Uniti per i rifornimenti verso Afganistan. Giorgio Malfatti di Monte Tretto

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Cesare Augusto Placanica

Rapporti tra Corte dell’Unione Europea e Corte Costituzionale Italiana nell’attuazione del Diritto Penale Transnazionale Sommario: 1. L’attualità giuridica della Questione. – 2. Il primato del diritto dell’Unione nella materia della esazione dell’IVA Europea. – 2.1. L’ordinanza di rinvio della Corte Costituzionale Italiana. – 2.2. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. – 3. Alcune considerazioni su Taricco-bis. –3.1. L’evoluzione Giurisprudenziale dopo Taricco-bis. – 4. La sentenza 14 dicembre 2017 n. 269 della Corte Costituzionale. – 4.1. Alcune considerazioni sulla sentenza 269/2017. – 5. Conclusioni. Abstract The present contribution discusses about two recent decisions of the European Court of Justice (Taricco-bis) and of the Italian Costitutional Court (Judgement No 269/2017). The first has stated limitations on the applicability in Italy of Rules of International law and of European Union law, in the conflict with the fundamental principles of the Italian Constitution. The second concerns procedural and substantial rules, relevant for protection of fundamental rights, in the relationship between the Italian Constitutional Court and the European Court of Justice. The paper hopes a better integration between the National Costitutional Courts and the Common Judges and the International European Courts, for the best protection of Constitutional and European Rights. Il presente intervento discute su due recenti decisioni della Corte Europea di Giustizia (Taricco-bis) e della Corte Costituzionale Italiana (decisione nr. 269/2017). La prima ha statuito che esistono dei limiti, alla applicabilità in Italia delle norme del diritto Internazionale e in particolare del diritto dell’Unione Europea, in conflitto con i principi fondamentali della Costituzione Italiana. La seconda è relativa alle norme procedurali e sostanziali rilevanti nella protezione dei diritti fondamentali, nei rapporti tra la Corte Costituzionale Italiana e la Corte Europea di Giustizia. La ricerca auspica una migliore integrazione tra le Corti Costituzionali Nazionali, i Giudici Comuni e le Corti Europee, ai fini della ottimale protezione dei diritti fondamentali.

1. L’attualità giuridica della Questione. La Corte Italiana di Cassazione con una medesima ordinanza ha sollevato due questioni di costituzionalità, concernenti distinte disposizioni nazionali, che attuavano normative comunitarie in materia di abusi di mercato. I ricorsi alla Corte di legittimità erano relativi a fatti di insider trading e concernevano sia la misura della confisca per equivalente, ritenuta dai ricorrenti sproporzionata in quanto estesa oltre il profitto fino all’intero prodotto dell’illecito, sia la sanzione del diritto al silenzio avanti alla Consob che, nell’esercizio delle sue funzioni di vigilanza, aveva contestato all’indagato l’abuso di informazioni privilegiate. Entrambi i casi erano relativi a ipotesi di doppia pregiudizialità, prospettandosi la violazione e nei confronti di norme Costituzionali nazionali e di norme della Convenzione Europea dei diritti Umani, del Patto Internazionale sui diritti Civili e Politici e della Carta dei diritti fondamentali. dell’Unione Europea.


Cesare Augusto Placanica

La Corte Costituzionale ha separato la trattazione dei due gruppi di problemi, perché a suo giudizio il primo si prestava, a differenza del secondo, ad essere deciso immediatamente; ciò è avvenuto con la sentenza n. 112 del 2019, in cui si è pronunciata l’incompatibilità delle norme oggetto di scrutinio sia con la Carta Costituzionale Italiana che con la Cedu, come interpretata della Corte di Strasburgo e con gli articoli 17 e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, alla luce della giurisprudenza della Corte di Lussemburgo. Pertanto, il giudizio di legittimità Costituzionale aveva annullato con effetti erga omnes la norma nazionale impugnata con una sentenza di accoglimento (“nella parte in cui è disposta la confisca sproporzionata”). La seconda questione invece aveva costituito oggetto di trattazione separata. Si era ritenuto che esistessero dubbi sulla interpretazione e validità della normativa europea, pertanto si era sospeso il giudizio e attivato il meccanismo del rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea1.

2. Il primato del diritto dell’Unione nella materia della esazione dell’IVA Europea. I provvedimenti giurisdizionali, di cui al paragrafo precedente, erano stati preceduti da quella che è stata definita la “saga Taricco”, il cui ultimo atto era rappresentato dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che si era pronunciata sul rinvio pregiudiziale M.A.S e M.B., che era stato sollecitato dalla Corte Costituzionale del nostro Paese. In questa decisione che possiamo denominare Taricco bis, si affermava la necessità, prospettata dal Giudice Costituzionale, di attivare i c.d. controlimiti rispetto al principio del primato del diritto dell’Unione Europea. La disapplicazione della normativa italiana contrastante con quella Europea venne propugnata nella prima sentenza Taricco (sent. 8 settembre 2015), invece la sentenza Taricco-bis lasciava ampio spazio alla possibilità di non disapplicare, ma attivare il giudizio di costituzionalità. La controversia era stata originata dal Tribunale di Cuneo, che aveva avuto dei dubbi circa la compatibilità con il diritto dell’Unione, del regime della prescrizione dei reati in materia di Iva, introdotta dalla c.d. legge Cirielli nell’ordinamento italiano. Data la complessità e la lunghezza delle indagini richieste per l’accertamento dei reati tributari in questione, di fatto, gli imputati godevano di una sostanziale impunità.2 Nella prima sentenza la Corte di Giustizia aveva sottolineato che la corretta esazione dell’Iva aveva rilevanza diretta per l’Unione, integrando una risorsa diretta. Pertanto, fu chiesto alla Corte Costituzionale di verificare se la disciplina del codice penale italiano impedisse di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frodi gravi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione o stabilisse termini di prescrizioni più brevi di quelli relativi ai casi di frodi concernenti interessi nazionali in materia. In presenza di tali circostanze, il Giudice Nazionale avrebbe dovuto disapplicare la disciplina del codice penale, senza chiederne e attendere la rimozione in via legislativa,

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Adele Anzon Demming, Applicazioni virtuose della nuova “dottrina” sulla “doppia pregiudizialità in tema di diritti fondamentali (in margine alle decisioni nn. 112 e 117/2019), in Osservatorio Costituzionale, fasc. 6/2019, 5 novembre 2019, Rivista on-line, pp. 1-2. 2 Nicole Lazzerini, Il rapporto tra primato del diritto dell’Unione e tutela costituzionale dei diritti fondamentali nella sentenza Taricco-bis: buona la seconda?, in Rivista di Diritto Internazionale, fasc. 1/2018, Volume CI, Milano, pp. da 234 a 242.

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Rapporti tra Corte dell’Unione Europea e Corte Costituzionale Italiana nell’attuazione del Diritto Penale Transnazionale

anche attraverso altro procedimento di legittimità costituzionale, a motivo del contrasto della legge Cirielli con l’art. 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (che regola l’Iva Europea). La Corte di Giustizia UE, in questa prima pronuncia, aveva però posto un limite all’obbligo di disapplicazione, affermando che il Giudice Nazionale avrebbe dovuto allo stesso tempo assicurarsi che i diritti fondamentali degli interessati fossero rispettati (punto 53). Si escludeva però che ciò comportasse violazione del principio di legalità in materia penale, ai sensi dell’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. La pronuncia aveva sollevato dubbi e perplessità.

2.1. L’ordinanza di rinvio della Corte Costituzionale Italiana. La Corte Costituzionale, con l’ordinanza 24/2017, aveva attivato il meccanismo del rinvio pregiudiziale. Il Giudice delle leggi svolgeva tre argomentazioni. Aveva rilevato l’impraticabilità dell’interpretazione dell’art. 325 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, anche al livello dell’ordinamento dell’Unione perché in contrasto col principio di legalità in materia penale, sotto il profilo della determinatezza, poichè questo concetto integra una tradizione costituzionale comune agli Stati membri. Ai sensi dell’art. 49 della Carta Europea dei diritti Fondamentali, la necessità che la norma punitiva delle violazioni in materia di IVA fosse sufficientemente determinata, discendeva, in coerenza con tali tradizioni costituzionali, dall’art. 52 par. 4 della predetta, che afferma “laddove la presente Carta riconosca i diritti fondamentali quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, tali diritti sono interpretati in armonia con dette tradizioni”. Il secondo percorso era incentrato sull’art. 53, che specifica «nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione (…) dalle costituzioni degli Stati membri». Questa deve essere intesa nel senso di comportare una autorizzazione a mantenere e garantire il livello di tutela accordato dalla Costituzione Nazionale, quando questo risulta più elevato di quello della Carta e manchi una armonizzazione della tutela al livello del diritto dell’Unione. La terza valutazione era basata sull’art. 4 par 2 del Trattato dell’Unione Europea, che così recita «l’Unione rispetta (...) l’identità nazionale degli Stati membri insita nella loro struttura fondamentale, politica e Costituzionale». Dunque si ribadiva che non potevano avere ingresso negli ordinamenti degli Stati norme e sentenze di diritto europeo, in contrasto con principi e valori supremi degli ordinamenti nazionali.

2.2. La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. A seguito del rinvio della Corte Costituzionale Italiana fu emessa la sentenza Taricco bis di cui si diceva. La Corte di Giustizia delle Comunità Europee nella pronuncia aveva sottolineato (punti 52-53) che il principio di legalità dei reati e delle pene di cui all’art. 49 è sancito anche dalla art 7 delle Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e «appartiene alle tradizioni costituzionali degli stati membri». Si affermava che i requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività nascenti dal suddetto principio erano riconosciuti sia dalla giurisprudenza di Lussemburgo, sia di Strasburgo. Inoltre, che in assenza di armonizzazione a livello del diritto dell’Unione del regime della prescrizione, alla data dei fatti di Taricco, la Repubblica Italiana era libera di considerare la prescrizione come istituto di natura sostanziale e non processuale. Pertanto, i requisiti di prevedibilità, irretroattività e determinatezza si potevano de plano applicare, nell’ordinamento nazionale, anche alla materia dei reati in materia IVA. La Corte aveva aggiunto

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Cesare Augusto Placanica

che con la prima sentenza Taricco si era verificata una situazione di incertezza nel nostro ordinamento che contrastava col principio di determinatezza della legge applicabile. Infine, che i principi di prevedibilità, determinatezza e irretroattività inerenti al principio di legalità dei reati e delle pene ostavano a che, in procedimenti relativi a persone accusate di aver commesso reati in materia di IVA prima della pronuncia, il Giudice Nazionale potesse disapplicare le disposizioni del codice penale, poiché altrimenti «tali persone potrebbero (…) essere retroattivamente assoggettate a un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato» (punto 60).

3. Alcune considerazioni su Taricco-bis. La prima considerazione da svolgere in relazione alla controversa sentenza è che la pronuncia del 5 dicembre 2017 ha confermato il riconoscimento dell’efficacia diretta dell’art. 325 del TFUE, in materia di contrasto alle frodi di bilancio dell’Unione (punto 38)3. Nessuna richiesta di rivedere questa conclusione era giunta dalla Corte Costituzionale, rispettosa delle prerogative della Corte di Giustizia. La svolta avviene nei paragrafi 46 e seguenti, in cui la Corte di Giustizia, in risposta alle sollecitazioni della Corte Costituzionale Italiana, afferma che occorre effettuare un bilanciamento delle finalità rappresentate dell’art. 325 TFUE con il rispetto dei diritti fondamentali delle persone accusate. Al punto 47 la Corte chiarisce che «resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali», a condizione che ciò non comprometta né il livello di tutela offerto dalla Carta, né il primato, l’unità e l’effettività del diritto dell’Unione. Sulla base della esistenza in questa materia di una competenza concorrente e dell’assenza di atti europei di armonizzazione, si conferma la tendenza già rilevata dalla sentenza Akeberg Fransson e pertanto la possibile coesistenza di sistemi di tutela dei diritti fondamentali. In questa ultima pronuncia la Corte si era interrogata sul rapporto tra l’art. 51 CDFUE, che concerne il campo di applicazione della Carta e l’art. 53 della stessa, che invece è relativo al rapporto tra la CDFUE e altre fonti in materia di diritti dell’uomo. Gli Stati membri e le loro Corti possono, infatti, applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, quali risultano dalle Costituzioni interne, ogni volta che il diritto dell’Unione non determini in maniera completa la disciplina della materia come si è verificato nella sentenza Melloni della Corte di Giustizia, ma lasci agli Stati membri un margine di intervento che presuppone scelte discrezionali. Queste possono essere sottoposte, in prima battuta, ad un vaglio di costituzionalità, riferito ai parametri nazionali svolto dalle Corti Costituzionali. Si tratta in definitiva di una interpretazione che vuole conciliare l’art. 51 della Carta, per il quale questa si applica agli Stati membri quando agiscono in attuazione del diritto dell’Unione e il testo dell’art. 53, nella parte in cui si prevede che essa non intende pregiudicare i diritti quali riconosciuti nel rispettivo ambito di applicazione dalle Costituzioni nazionali (argomentazione ripresa dall’ordinanza di rinvio pregiudiziale). Dunque, se gli Stati godono di un margine di intervento, riconosciuto dal diritto dell’Unione, allora la Carta Europea assume un ruolo solo eventualmente sussidiario, dovendosi l’attività degli Stati valutare in base al sistema più vicino all’attività stessa, quello giurisdizionale statale.

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R. Mastroianni, Da Taricco a Bolognesi. Passando per la Ceramica Sant’Agostino. Il Difficile cammino verso una nuova sistemazione del rapporto tra Carte e Corti, in Osservatorio sulle fonti, fasc. 1/2018, Anno XI, Rivista on-line, pp. 10-16.

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Rapporti tra Corte dell’Unione Europea e Corte Costituzionale Italiana nell’attuazione del Diritto Penale Transnazionale

3.1. L’evoluzione Giurisprudenziale dopo Taricco-bis. Bisogna precisare che, quella di Taricco-bis, è stata una decisione suscettibile di evoluzioni successive. Nella sentenza n. 115/2018 della Corte Costituzionale, la regola sembra caricarsi di un certo grado di ambivalenza4. Per un verso si invitano i Giudici Comuni a continuare a rivolgersi alla Corte Nazionale delle Leggi, al fine di chiedere una verifica dell’attivabilità dei controlimiti, per consentire alla stessa di valutare la compatibilità del diritto eurounitario con i Principi Supremi dell’Ordinamento Costituzionale Italiano e a preferire questa via rispetto all’altra possibile Giudici Comuni-Corte di Giustizia, basata sulla interpretazione e immediata applicazione di norme dell’Unione direttamente efficaci, lette alla luce delle norme eurounitarie sui diritti fondamentali (tra cui quelle della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea). Per altro verso però dichiarandosi infondate le questioni sollevate, nel caso di specie dai giudici a quo, e pur affermandosi di aderire alle conclusioni della Corte di Lussemburgo in Taricco-bis (discostandosi però la Corte Costituzionale dal percorso argomentativo della Corte Ue), il Giudice delle Leggi pare indicare di fatto ai giudici comuni la possibilità di risolvere da soli, in raccordo con la Corte di Giustizia, questioni analoghe a quelle sollevate in relazione al caso Taricco. Ciò anche mediante il ricorso previo al meccanismo dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (rinvio pregiudiziale).

4. La sentenza 14 dicembre 2017 n. 269 della Corte Costituzionale. La decisione di cui al paragrafo precedente era stata preceduta da altra sentenza rilevante per il tema in argomento, la n. 269/2017 della Corte Costituzionale. Nasceva da due rinvii di Costituzionalità della Commissione Tributaria di Roma (r.o. n. 208/2016 e r.o. n. 51 del 2017). Non è scopo di questo lavoro ricostruirne la vicenda giurisdizionale concreta, ma illustrare, mediante alcune brevi considerazioni relative a questa decisione, il tema dei rapporti tra la Corte dell’Unione e la Corte Costituzionale Nazionale, nell’attuazione del diritto dell’Unione che coinvolga la tutela di diritti fondamentali. Afferma la Corte Costituzionale Italiana5 (paragrafo 5.2, che si riporta quasi integralmente) «una precisazione si impone alla luce delle trasformazioni che hanno riguardato il diritto dell’Unione Europea e il sistema dei rapporti con gli ordinamenti nazionali dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (…) che, tra l’altro, ha attribuito effetti giuridici vincolanti alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (da ora CDFUE), equiparandola ai Trattati (art. 6, paragrafo 1, Trattato dell’Unione Europea). Fermi restando i principi del primato e dell’effetto diretto del diritto dell’Unione Europea come sin qui consolidatisi nella giurisprudenza Europea e Costituzionale, occorre prendere atto che la citata Carta dei diritti costituisce parte del diritto dell’Unione dotata di caratteri peculiari in ragione del suo contenuto di impronta tipicamente costituzionale. I principi e i diritti garantiti nella

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V. Casamassima, I diritti fondamentali europei tra processi di positivizzazione normativa e ruolo dei giudici (e della politica). Riflessioni intorno ad alcuni recenti sviluppi in materia di rapporti tra Corte Costituzionale, Corte di Giustizia e Giudici comuni, in Rivista della associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 3/2019, 10/7/2019, Rivista on-line, pp. 434-435. 5 Si è utilizzata la versione del testo contenuta in op. cit., nota 2, pp. 284-285.

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Carta intersecano in larga misura i principi e i diritti garantiti dalla Costituzione Italiana (e dalle altre Costituzioni nazionali degli Stati membri). Sicché può darsi il caso che le violazioni di un diritto della persona infranga, ad un tempo, sia le garanzie presidiate dalla Costituzione Italiana, sia quelle codificate dalla Carta dei diritti dell’Unione, come è accaduto da ultimo in riferimento al principio di legalità dei reati e delle pene (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, grande sezione, sentenza 5 dicembre 2017, nella causa C-42/17, M.A.S, M.B.). Pertanto, le violazioni dei diritti della persona postulano la necessità di un intervento erga omnes di questa Corte, anche in virtù del principio che situa il sindacato accentrato di costituzionalità delle leggi a fondamento dell’architettura costituzionale (art. 134 Cost)». «La Corte giudicherà alla luce dei parametri interni ed eventualmente di quelli europei (ex art. 11 e 117 Cost.), secondo l’ordine di volta in volta appropriato, anche al fine di assicurare che i diritti garantiti dalla citata Carta dei diritti siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali, pure richiamate dall’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea e dall’art 52, comma 4, della CDFUE come fonti rilevanti in tale ambito. (…) Il tutto, peraltro, in un quadro di costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia, nel quale le Corti Costituzionali sono chiamate a valorizzare il dialogo con la Corte di Giustizia (da ultimo, ordinanza n. 24 del 2017), affinché sia assicurata la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico (art. 53 della CDFUE). D’altra parte, la sopravvenienza delle garanzie approntate dalla CDFUE quelle previste dalla Costituzione italiana può generare un concorso di rimedi giurisdizionali. A tale proposito, di fronte a casi di “doppia pregiudizialità” – vale a dire controversie che possono dare luogo a questioni di illegittimità costituzionale e, simultaneamente, a questioni di compatibilità con il diritto dell’Unione –, la stessa Corte di Giustizia ha a sua volta affermato che il diritto dell’Unione “non osta” al carattere prioritario del giudizio di costituzionalità di competenza delle Corti Costituzionali nazionali, purchè i Giudici Ordinari restino liberi di sottoporre alla Corte di Giustizia, “in qualunque fase del procedimento ritengono appropriata e finanche al termine del procedimento incidentale di controllo generale delle leggi, qualsiasi misura necessaria”; di “adottare qualsiasi misura necessaria per garantire la tutela giurisdizionale provvisoria dei diritti dall’ordinamento giuridico dell’Unione”; di disapplicare, al termine del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, la disposizione legislativa nazionale in questione che abbia superato il vaglio di costituzionalità, ove, per altri profili, la ritengano contraria al diritto dell’Unione (…). In linea con questi orientamenti, questa Corte ritiene che, laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione Italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea in ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la questione di legittimità costituzionale, fatto salvo il ricorso, al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità».

4.1. Alcune considerazioni sulla sentenza 269/2017. Nella decisione di cui discutiamo la Corte Costituzionale Italiana è stata piuttosto “netta” sia nel delimitare le situazioni cui si riferisce il nuovo orientamento giurisprudenziale, sia nel definirne gli effetti6. La sentenza si applica solo alle situazioni in cui una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento alla Costituzione, quanto in riferimento alla Carta.

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V. Sciarabba, Il Ruolo della Corte Cedu tra Corte Costituzionale, Giudici Comuni e Corte Europea, in Il diritto in Europa Oggi, versione provvisoria, Milano, pp. 236-237, 249-250.

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Rapporti tra Corte dell’Unione Europea e Corte Costituzionale Italiana nell’attuazione del Diritto Penale Transnazionale

La Corte afferma che nelle situazioni di cui sopra deve essere sollevata la questione di legittimità costituzionale e che si riserva di giudicare tanto alla luce dei parametri interni che di quelli europei (ex artt. 11 e 117 Cost.) secondo l’ordine di volta in volta appropriato. Si aggiunge poi l’inciso «fatto salvo il ricorso al rinvio pregiudiziale per le questioni di interpretazione o di invalidità del diritto dell’Unione». Quest’ultimo deve essere letto alla luce di quella Giurisprudenza della Corte di Giustizia che propugna che il rinvio ex art. 267 TFUE debba essere effettuato a) dalla stessa Corte Costituzionale, nell’ambito del giudizio instaurato innanzi ad essa e ai fini della decisione dello stesso, b) dal Giudice Comune al termine del procedimento incidentale di controllo delle leggi, c) dal Giudice Comune, parallelamente al giudizio di costituzionalità, ove si ritenga ammissibile in astratto e giustificata in concreto, tale situazione. Non potrà invece essere effettuato dal Giudice Comune prima del, e in alternativa al, giudizio di costituzionalità che sembrerebbe dover essere svolto imprescindibilmente. In definitiva la sentenza afferma l’obbligo di sollevare la questione di Costituzionalità quando una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento alla Carta dei diritti fondamentali, quanto alla Costituzione. Sembra che la Corte abbia voluto approntare uno strumento che dà la massima visibilità alle sue statuizioni. Questa soluzione appare piuttosto rigida. Dovrebbe probabilmente il ricorso alla Corte esser inteso come una facoltà e non come un obbligo. Quanto più una questione è costituzionalmente complessa e delicata tanto più l’intervento della Corte Costituzionale sarebbe opportuno. L’autore di cui alla nota 6, citando Augusto Barbera, specifica che, nel caso di contrasto tra regole, interne ed europee, aventi le medesime peculiarità precettive occorre solo verificare quale delle due è applicabile alla fattispecie considerata e, pertanto, tale operazione non può che spettare al Giudice Comune. Nel caso, invece, di contrasto di una norma interna con principi o clausole generali di derivazione europea può rendersi necessario il bilanciamento con una pluralità di principi, nazionali ed europei, ordinari e costituzionali. Un complesso di operazioni che va ben oltre la semplice disapplicazione e che tocca al Giudice delle Leggi.

5. Conclusioni. Le decisioni che abbiamo illustrato riportano al centro della scena il ruolo della Corte Costituzionale Italiana e delle altre Corti Costituzionali Nazionali. Inoltre, presuppongono che la sostanza di tutti i diritti fondamentali sia prevista e ricompresa dalle norme della prima parte della Costituzione Italiana e che non si abbiano diritti fondamentali specificamente Europei, per cui il sindacato del Giudice Nazionale delle leggi sarebbe in ogni caso indispensabile. Inoltre, a giudizio della Consulta, in ogni caso in cui la Carta di Nizza-Strasburgo contenga disposti sostanzialmente coincidenti con quelli della Costituzione, le sue violazioni debbono essere tutte portate alla sua cognizione, anche laddove si tratti di disposizioni che esprimono norme self-excuting7. Ciò anche quando essendo lo stesso diritto fondamentale considerato contestualmente da più Carte, in relazione al singolo caso concreto, la Carta Costituzionale Nazionale possa apparire non adeguata a realizzare la sua tutela. Invece, la necessità di ottenere la

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A. Ruggeri, Corte Europea dei diritti dell’uomo e giudici nazionali, alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale (tendenze e prospettive), in Osservatorio Costituzionale della Associazione Italiana dei Costituzionalisti, fasc. 1/2018, 5 febbraio 2018, Rivista on-line.

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massima ottimale tutela è esigenza riconosciuta proprio dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, (art. 53), dalla Costituzione Italiana (art. 2 e 3), dalla Carta Europea dei Diritti Umani (art. 53). In ultima analisi la massima espansione della tutela si ottiene, nel caso concreto, non per la prevalenza di una Corte sull’altra, ma quando le stesse fanno sistema, unitamente ai Giudici Comuni. Anche la teoria dei «controlimiti» valorizzata in Taricco-bis deve essere superata, sopratutto se l’esigenza della ottimale tutela dei diritti può permettere l’ingresso nel sistema di norme di origine esterna, anche se contrastanti con qualche principio costituzionale. L’autore di cui alla nota n. 6 ritiene che la sentenza 269/2017 abbia avuto il merito di impedire l’emarginazione della nostra Carta Costituzionale soprattutto da un punto di vista sociale e culturale8. Il sottoscritto ritiene che il processo di integrazione Europea comporti una svolta coraggiosa, verso un dialogo sempre più fattivo tra le Carte e le Corti, verso una apertura, che presupponga una integrazione tra i diritti, coinvolgente tutti gli operatori, compresi i Giudici Comuni.

Bibliografia Adele Anzon Demming, Applicazioni virtuose della nuova “dottrina” sulla “doppia pregiudizialità” in tema di diritti fondamentali (in margine alle decisioni nn. 112 e 117/2019), in Osservatorio Costituzionale, fasc. 6/2019, 5 novembre 2019, Rivista on-line, pp. 1-2. Vincenzo Casamassima, I diritti fondamentali europei tra processi di positivizzazione normativa e ruolo dei giudici (e della politica). Riflessioni intorno ad alcuni recenti sviluppi in materia di rapporti tra Corte Costituzionale, Corte di Giustizia e Giudici comuni, in Rivista della associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 3/2019, 10/7/2019, Rivista on-line, pp. 434-435. Nicole Lazzerini, Il rapporto tra primato del diritto dell’Unione e tutela costituzionale dei diritti fondamentali nella sentenza Taricco-bis: buona la seconda?, in Rivista di Diritto Internazionale, fasc. 1/2018, Volume CI, Milano, pp. 234-242. Roberto Mastroianni, Da Taricco a Bolognesi. Passando per la Ceramica Sant’Agostino. Il difficile cammino verso una nuova sistemazione del rapporto tra Carte e Corti, in Osservatorio sulle fonti, fasc. 1/2018, Anno XI, Rivista on-line, pp. 10-16. Antonio Ruggeri, Corte Europea dei diritti dell’uomo e giudici nazionali, alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale (tendenze e prospettive), in Osservatorio Costituzionale della Associazione Italiana dei Costituzionalisti, fasc. 1/2018, 5 febbraio 2018, Rivista on-line. Vincenzo Sciarabba, Il Ruolo della Corte Cedu tra Corte Costituzionale, Giudici Comuni e Corte Europea, in Il diritto in Europa Oggi, versione provvisoria, Milano, pp. 236-237, 249-250.

Altra Bibliografia rilevante Adele Anzon Demming, La Corte costituzionale è ferma sui “controlimiti”, ma rovescia sulla Corte europea di Giustizia l’onere di farne applicazione bilanciando esigenze europee e istanze identitarie degli Stati membri, in Osservatorio Costituzionale della Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 2/2017, 15 maggio 2017, Rivista on-line.

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Op. cit., nota 6, p. 268.

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Rapporti tra Corte dell’Unione Europea e Corte Costituzionale Italiana nell’attuazione del Diritto Penale Transnazionale

Francesca Bailo, Il principio di legalità in materia penale quale controlimite all’ordinamento eurounitario: una decisione interlocutoria (ma non troppo!) della Corte Costituzionale dopo il caso Taricco, in Consulta on line, fasc. 1, 9 marzo 2017, Rivista on-line. Antonia Baraggia, La tutela dei diritti in Europa nel dialogo tra Corti: “epifanie” di una Unione dai tratti ancora indefiniti, in Rivista della Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 2/2015 del 3/04/2015, Rivista on-line. Augusto Barbera, La carta dei diritti: per un dialogo fra la Corte Italiana e la Corte di Giustizia, in Rivista della Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 4/2017, 6/11/2017, Rivista on-line. Francesco Cherubini, In merito al parere 27/13 della Corte di Giustizia UE: qualche considerazione critica e uno sguardo de Jure condendo, in Osservatorio Costituzionale della Rivista della Associazione Italiana dei Costituzionalisti, Maggio 2015, Rivista on-line. Valentina Faggiani, Lo strategico rinvio pregiudiziale della Consulta sul caso Taricco, in Osservatorio Costituzionale della Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 1/2017, 9 marzo 2017, Rivista on-line. Luca Federici, Recenti sviluppi della giurisprudenza costituzionale tra teoria dei controlimiti e norme internazionali, in Osservatorio Costituzionale della Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 3/2018, 26 settembre 2018, Rivista on-line. Matteo Losana, La Corte Costituzionale e il rinvio pregiudiziale nei giudizi in via incidentale: il diritto costituzionale (processuale) si piega al dialogo tra le Corti, in Rivista della Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 1/2014, 24 gennaio 2014, Rivista on-line. Massimo Luciani, Il brusco risveglio. I controlimiti e la fine mancata della Storia Costituzionale, in Rivista della Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 2/2016 del 15/04/2016, II, Rivista on-line. Massimo Luciani, Intelligenti pauca. Il caso Taricco torna (catafratto) a Lussemburgo, in Osservatorio Costituzionale della associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 1/2017, 21 aprile 2017, Rivista on-line. Giovanni Piccirilli, L’unica possibilità per evitare il ricorso immediato ai controlimiti: un rinvio pregiudiziale che assomiglia a una diffida (Nota a Corte Cost., ord n. 24/2017), in Consulta on line, fasc. 1, 16 marzo 2017, Rivista on-line. Roberto Romboli, Corte di Giustizia e Giudici Nazionali: Il rinvio pregiudiziale come strumento di dialogo, in Rivista della Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 3/2014, 12/09/2014, Rivista-on line. Antonio Ruggeri, Effetti diretti delle Norme Eurounitarie e Costituzione, in Rivista della Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 2/2015, 15 maggio 2015, Rivista on-line. Antonio Ruggeri, Ultimatum della Consulta alla Corte di Giustizia su Taricco, in una pronunzia che espone, ma non ancora oppone i controlimiti (a margine di Corte Cost. n. 24 del 2017), in Consulta on line, fasc. 1, 27 gennaio 2017, Rivista on-line. Gino Scaccia, Giudici comuni e diritto dell’Unione Europea nella sentenza della Corte Costituzionale 269 del 2017, in Osservatorio Costituzionale della Associazione Italiana dei Costituzionalisti, fasc. 2/2018, 7 maggio 2018, Rivista on-line.

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Alessia Strigini

Estradizione: sempre vietata in caso di pena di morte Cassazione penale, sez. VI – 11.06.2019 (dep. 26.09.2019), n. 39443 Pres. A. Petruzzellis, Rel. M. Rosati

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il caso. – 3. Estradizione cognitiva e garanzie diplomatiche nell’ordinamento italiano. – 4. segue: e nel contesto europeo. – 5. Conclusioni.

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Abstract The extradition for accusation is a process of international cooperation between States whereby the executing country, at the request of another issuing one, grants to the latter the return of a person to face prosecution and stand trial. In those cases where the offence for which the extradition for accusation is required is punished or punishable with the death penalty in the original State, Italian courts can authorize it only on the basis of an irrevocable and final decision of the judicial authorities of the issuing country. In those cases, diplomatic assurances won’t be sufficient. The approach of the Italian legal system results in a very protective one, in contrast with the prevailing trend of other European countries, where diplomatic assurances in case of extradition for accusation and possible death penalty can be usually accepted. L’estradizione cognitiva è un processo di cooperazione giudiziaria internazionale tra Stati consistente nella consegna, da parte dello Stato richiesto, di un individuo che si trova nel suo territorio, previa apposita domanda dello Stato richiedente, affinché lo stesso venga ivi sottoposto a processo. Nei casi in cui il reato, in ragion del quale è richiesta l’estradizione cognitiva, sia punito o punibile, nello Stato richiedente, con la pena capitale, il giudice italiano potrà autorizzarla solo a seguito di una decisione irrevocabile dell’autorità giudiziaria del richiedente, non essendo sufficienti garanzie rilasciate da altra Autorità. Quest’impostazione dell’ordinamento italiano risulta particolarmente garantistica, in controtendenza rispetto alla generale accettazione dell’istituto nel contesto europeo.


Alessia Strigini

1. Introduzione. Con la sentenza n. 39443 del 11.06.2019, la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano del 18.02.2019, ha ribadito che non è sufficiente una ragionevole probabilità di non applicazione della pena di morte per concedere l’estradizione cognitiva2, ma è necessaria invece una decisione irrevocabile dell’autorità giudiziaria dello Stato richiedente, che nel concreto irroghi una pena diversa da quella capitale, oppure che quest’ultima, anche se inflitta, sia stata commutata in pena diversa.

2. Il caso. Nel caso in oggetto, la Corte di appello di Milano aveva dichiarato l’insussistenza delle condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione cognitiva di un cittadino cinese, avanzata dal Governo della Repubblica Popolare cinese, per il reato di cui all’art. 382 del codice penale in vigore in quello Stato, rubricato “Delitti di appropriazione indebita e corruzione”. L’art. 383 del codice penale cinese prevede che i casi di appropriazione indebita più gravi possano essere puniti anche con la pena di morte; la Corte di appello di Milano negava dunque l’estradizione, in applicazione del dispositivo di cui all’art. 698 comma 2 del codice di rito italiano, a norma del quale, in queste ipotesi, l’estradizione può essere concessa solo in presenza di una decisione irrevocabile dell’autorità giudiziaria richiedente, che nel concreto abbia irrogato una pena diversa3. Contro siffatta decisione, ricorreva il rappresentante cinese, allegando come l’autorità giudiziaria cinese, nella richiesta di estradizione, avesse fornito delle garanzie, relativamente al fatto che l’estradando sarebbe stato condannato alla pena di reclusione, e non a quella capitale, anche in considerazione del fatto che nell’imputazione concretamente formulata non gli veniva contestata nessuna delle ipotesi di maggiore gravità di cui al menzionato art. 383 e che tale contestazione, come formulata, non avrebbe potuto essere modificata.

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L’estradizione è un processo di cooperazione giudiziaria internazionale tra Stati, consistente nella consegna, da parte dello Stato richiesto, di un individuo che si trova nel suo territorio, previa apposita domanda dello Stato richiedente, affinché lo stesso venga ivi sottoposto a processo (estradizione processuale o cognitiva), ovvero sconti la pena alla quale è stato condannato (estradizione esecutiva). 3 Con sentenza n. 223 del 1996, la Corte costituzionale dichiarava l’incostituzionalità dell’art. 698, comma 2, c.p.p. per contrasto con gli artt. 2 e 27, comma 4, Cost., nella parte in cui prevedeva, come eccezione al divieto di estradare un individuo per reati punibili con la pena di morte nello Stato richiedente, l’ipotesi di garanzie di quest’ultimo, relative al fatto che la pena capitale non sarebbe stata inflitta o eseguita, qualora fossero ritenute sufficienti sia dall’autorità giudiziaria, sia dal Ministro della Giustizia. Attraverso tale meccanismo, infatti, il giudizio sulla sufficienza delle assicurazioni fornite dallo Stato richiedente era affidato a un apprezzamento discrezionale dell’autorità giudiziaria e del ministro della Giustizia, con il rischio di valutazioni soggettive difformi in momenti storico-politici diversi. Sul punto, cfr. C. Coratella, Sulla pena di morte l’Italia non transige – Ecco perché scatta il no all’estradizione, in DeG – Dir. e giust., fasc. 39, 2006, p. 59.

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Estradizione: sempre vietata in caso di pena di morte

3. Estradizione cognitiva e garanzie diplomatiche nell’ordinamento italiano. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando ancora una volta la posizione unanime, a livello italiano ed europeo, di assoluto ripudio della pena capitale, quale sanzione conseguente alla commissione di un reato: con l’art. 19, comma 2, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza) per cui “nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti”4, l’Unione Europea ha infatti abolito ufficialmente la pena capitale. Con la sentenza in oggetto, quindi, la Corte di Cassazione ribadisce che non può essere concessa l’estradizione di uno straniero, qualora il reato per cui si procede sia punibile nello Stato richiedente anche con la pena di morte, sulla base di rassicurazioni della non applicazione della pena capitale in caso di condanna5. Il giudice italiano, in esecuzione dell’art. 698 comma 2 del codice di rito, non può pronunciare sentenza favorevole all’estradizione cognitiva sulla sola base di garanzie dello Stato richiedente circa il fatto che non verrà applicata la pena capitale, se queste non consentano di avere assoluta certezza circa l’ineseguibilità di detta pena. Nel caso di specie, per la verità, tali assicurazioni non apparivano nemmeno così certe, dal momento che, come giustamente riportato nella motivazione del rigetto, nella nota verbale inoltrata dall’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese al Ministero della Giustizia italiano non si escludeva espressamente che i reati contestati all’estradando rientrassero tra quelli astrattamente punibili con la pena di morte, ma si diceva solamente che «nel caso in cui […] venga giudicato colpevole dal tribunale cinese e i delitti commessi rientrino nella previsione della pena di morte secondo le leggi, il tribunale di merito non lo condannerà a morte». La certezza assoluta, in effetti, deriva solo da una decisione irrevocabile, che irroga una pena diversa dalla pena di morte o, se questa è stata inflitta, è stata commutata in una pena diversa.

4. segue: e nel contesto europeo. Con la sentenza n. 39443, dunque, la Corte di Cassazione ribadisce che, qualora nella legislazione dello Stato richiedente sia prevista la pena capitale come possibile sanzione del reato, di cui l’estradando è imputato, non è ammessa l’estradizione cognitiva, nemmeno in presenza di garanzie dell’Autorità diplomatica richiedente. L’insufficienza, per concedere l’estradizione, delle rassicurazioni sul fatto che non verrà irrogata la pena capitale costituisce una peculiarità italiana: sul tema, l’ordinamento italiano si caratterizza per adottare un’impostazione particolarmente garantistica, anche per il contesto europeo. Quella delle garanzie nel diritto internazionale e specificamente in tema di estradizione è una pratica sempre più consolidata, soprattutto a seguito dell’avvento della minaccia terroristica a livello globale, da un lato, e della sempre maggiore rilevanza dei diritti umani nell’am-

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Come noto, la Carta di Nizza, a partire dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ha il medesimo valore giuridico dei trattati, ed è quindi pienamente vincolante per gli Stati membri. 5 Cfr. per tutte Cass. Pen., sez. VI, 02.10.2006, n. 33980.

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biente internazionale, dall’altro. Nel contesto del trasferimento di un individuo da uno Stato a un altro si parla, in particolare, di garanzie diplomatiche: l’impegno assunto dallo Stato richiedente a che l’individuo in questione verrà trattato secondo le condizioni stabilite dallo Stato richiesto o, in generale, in linea con gli obblighi che lo vincolano in tema di diritti umani6. Lo scopo è quello di facilitare il procedimento di consegna dell’estradando, riducendo al minimo le preoccupazioni dello Stato richiesto in relazione al trattamento che a quello sarà riservato una volta estradato. La richiesta di garanzie diplomatiche per la tutela dei diritti umani di individui trasferiti coattivamente da uno Stato all’altro nasce proprio in tema di estradizione e pena capitale: per lungo tempo, infatti, per autorizzare l’estradizione cognitiva, i Paesi, il cui ordinamento non contempla la pena capitale come possibile sanzione, hanno richiesto a quelli, nei quali è invece in vigore, garanzie che, all’esito del processo, la pena di morte non sarebbe stata inflitta7. Quale organismo di riferimento in ambito europeo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata sulle caratteristiche che queste garanzie diplomatiche devono avere per essere accettate dallo Stato richiesto in una serie di casi riguardanti maltrattamenti e altri abusi. Fondamentale, al riguardo, è la sentenza pronunciata sul caso Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito, dove la Corte fa un’elencazione, non tassativa, di fattori intrinseci ed estrinseci, che prenderà in considerazione nel valutare la fondatezza delle garanzie fornite dallo Stato richiedente quando interpellata8: tra gli altri, saranno apprezzati elementi come la specificità della formulazione, l’autorità dichiarante e il grado di vincolatività delle sue affermazioni verso lo Stato che rappresenta, la qualità e la durata delle relazioni bilaterali tra Stato richiedente e richiesto, la legalità o illegalità dei comportamenti sui quali vengono offerte le garanzie diplomatiche.9

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UNHCR, UNHCR Note on Diplomatic Assurances and International Refugee Protection, Ginevra, 2006, p. 2. J. Hall, Mind the Gap – Diplomatic Assurance and the Erosion of the Global Ban of Torture, 2008, p. 3, disponibile su: https://www.hrw.org/legacy/wr2k8/diplomatic/diplomatic.pdf. 8 Nella giurisprudenza precedente, invece, la Corte EDU si era spesso accontentata del semplice intervento di queste garanzie, qualunque fosse il loro contenuto e comunque fossero formulate. 9 Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. IV, Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito, n. 8139/09, Strasburgo, 17 gennaio 2012, par. 189. Il caso è quello di O., di nazionalità giordana, arrivato nel Regno Unito nel 1993 dove aveva richiesto e ottenuto l’asilo politico in ragione del fatto di essere stato a più riprese privato della propria libertà e torturato dalle autorità giordane. Sottoposto nel 2002 a detenzione preventiva come sospetto terrorista e rilasciato poi su cauzione con applicazione di un control order, nel 2005 gli veniva notificato un provvedimento con cui le autorità inglesi manifestavano l’intenzione di estradarlo in Giordania, per scontare la pena a cui era stato condannato in contumacia. Proposto inutilmente appello prima alla Special Immigration Appeals Commission (SIAC) e poi alla House of Lords, O. si rivolgeva alla Corte EDU, allegando il fatto che, nel caso in cui fosse stato estradato in Giordania, sarebbe stato esposto al serio rischio di essere torturato o comunque sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, nonché alla possibilità di essere processato di nuovo per i fatti per i quali era già stato condannato in contumacia e poi condannato sulla base di elementi di prova estorti con tortura, in violazione dell’art. 6 CEDU. Limitatamente a quanto interessa ai fini di questa trattazione, in quel caso i giudici di Strasburgo hanno escluso la violazione potenziale dell’art. 3 CEDU, perché hanno ritenuto le assicurazioni diplomatiche offerte dalla Giordania al Regno Unito sufficienti a proteggere il ricorrente dal rischio di essere sottoposto a trattamenti contrari all’art. 3. Alla base di tali considerazioni, i giudici hanno posto una serie di accordi intervenuti tra il Regno Unito e la Giordania nel 2005, la solidità dei rapporti bilaterali tra i due Paesi e l’ampiezza e il grado di dettaglio delle garanzie fornite. 7

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Estradizione: sempre vietata in caso di pena di morte

Questi concetti sono stati ripresi e sintetizzati anche recentemente nel caso G.S. c. Bulgaria, dove la Corte ha ribadito che le garanzie diplomatiche fornite dallo Stato richiedente, per essere considerate sufficienti a escludere una violazione dell’art. 3 CEDU, debbano essere specifiche e attendibili10. Nonostante la disposizione di cui al menzionato art. 19 comma 2 della Carta di Nizza taccia al riguardo, la prassi degli Stati in relazione all’estradizione cognitiva per i casi in cui l’ordinamento del richiedente contempla anche la sanzione capitale non esclude, generalmente, la possibilità di accettare le garanzie diplomatiche offerte dal richiedente. Un caso abbastanza noto è quello di N. T., ex calciatore tunisino, accusato di cospirazione per l’uccisione di cittadini statunitensi al di fuori degli U.S.A., tentativo di utilizzo di armi di distruzione di massa e supporto a organizzazioni terroristiche. Arrestato in Belgio nel 2001 e condannato nel 2003 a dieci anni di reclusione, tra gli altri crimini, per aver tentato di far saltar in aria l’aeroporto militare belga Kleine-Brogel, nel 2008 gli Stati Uniti d’America ne richiedono l’estradizione cognitiva, per processarlo con l’accusa di aver partecipato ad atti terroristici ispirati da Al-Qaeda11. Al momento della richiesta, T. stava scontando la pena conseguente alla condanna del giudice belga del 2003. Nel giudicare sull’estradizione, la Corte di appello di Bruxelles si pronunciava positivamente, purché l’estradando, all’esito del processo, non fosse condannato alla pena capitale12; garanzia che veniva fornita dalle autorità statunitensi, le quali assicuravano che, qualora estradato, T. non sarebbe stato condannato a morte. Tali rassicurazioni venivano considerate sufficienti e l’anno successivo, con decreto ministeriale, il Ministro della Giustizia autorizzava l’estradizione, che avveniva effettivamente il 3 ottobre 2013. Un altro caso recente nel contesto europeo, che vede la presenza di possibile condanna alla pena capitale, da un lato, e garanzie diplomatiche, dall’altro, è quello Saidani c. Germania, rispetto al quale si è pronunciata la Corte EDU il 4 settembre 2018. S., di nazionalità tunisina, si trasferiva in Germania nel 2003 con un visto di studio e, nel 2010, acquistava permesso di soggiorno permanente nel Paese. Nel giugno 2016 le autorità tunisine ne richiedevano l’estradizione cognitiva, con l’accusa di essere stato membro di un’organizzazione terroristica operante in Tunisia, autrice, tra gli altri, dell’attacco terroristico al Museo nazionale del Bardo di Tunisi e dello scontro armato al confine con la Libia. Per procedere all’estradizione, la Germania richiedeva alla Tunisia alcune garanzie, anche in relazione alla non applicabilità, in concreto, della pena capitale. Al riguardo, lo Stato richiedente confermava la moratoria in corso nel Paese sull’esecuzione della pena capitale a partire dal 1991, che, a norma degli artt. 371 e successivi del codice di rito tunisino, applicabili anche alle condanne per atti di terrorismo,

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Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. V, G.S. c. Bulgaria, n. 36538/17, Strasburgo, 4 aprile 2019. caso concreto, la Corte ha ritenuto che l’estradizione, richiesta alla Bulgaria, di un cittadino iraniano, accusato di furto nel suo Paese d’origine, dove tale reato può essere punito con la fustigazione, configurerebbe una violazione dell’art. 3 della CEDU, per insufficienza delle garanzie fornite dall’Iran, trattandosi di uno Stato dove la fustigazione e altre forme di punizione corporale non sono considerati trattamenti inumani o degradanti, ma, piuttosto, pene legittime e, stando ai report di organizzazioni internazionali presi in considerazione dalla Corte, abbastanza diffuse. 11 S. Maffei, Extradition Law and Practice – Concept and Famous Cases, Amsterdam, 2019, pp. 91-92. 12 La Corte di Appello di Bruxelles richiedeva, inoltre, che l’eventuale condanna all’ergastolo non escludesse la possibilità di liberazione condizionale e che, nel caso in cui un Paese terzo avesse richiesto l’estradizione agli U.S.A., questi avrebbero preventivamente richiesto il consenso del Belgio. Nel

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viene di fatto convertita in pena all’ergastolo per mezzo di una grazia presidenziale. La Corte EDU, riconfermando l’orientamento del giudice tedesco, riconosce la validità delle garanzie diplomatiche offerte dalla Tunisia relativamente al fatto che la pena capitale, qualora inflitta, verrebbe commutata de jure e de facto in ergastolo13.

5. Conclusioni. I casi analizzati possono essere considerati indicatori del fatto che, nel contesto europeo, vi sia una generale accettazione dell’istituto delle garanzie diplomatiche in connessione alla pena di morte: qualora sufficientemente specifiche e attendibili, infatti, sono ritenute idonee da una pluralità di ordinamenti per concedere l’estradizione cognitiva anche quando l’ordinamento dello Stato richiedente preveda, tra le possibili sanzioni, quella capitale. Indicativo, soprattutto, è il fatto che la stessa Corte EDU, organo specificamente istituito con finalità di tutela dei diritti umani, si sia pronunciata favorevolmente su questi presupposti. In conclusione, le considerazioni e i casi sopra riportati permettono di apprezzare la peculiarità dell’impostazione italiana in materia di estradizione e pena di morte: una posizione particolarmente garantistica, che non consente l’estradizione cognitiva di un individuo sulla base di garanzie diplomatiche offerte dallo Stato richiedente, e si colloca in controtendenza rispetto ai sempre più diffusi ricorso e accettazione delle suddette.

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Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. V, Saidani c. Germania, n. 17675/18, Strasburgo, 4 settembre 2018. In particolare, le garanzie diplomatiche offerte dalla Tunisia sono stare considerate soddisfacenti perché: il codice di rito del Paese prevede espressamente la possibilità di convertire la pena capitale in ergastolo, attraverso l’istituto della grazia presidenziale, e la normativa anti terrorismo in vigore nello Stato fa richiamo esplicito all’applicabilità del codice in oggetto; vi è numerosa casistica di individui, condannati in Tunisia per atti di terrorismo, che sono già stati graziati; non vi sono, infine, indicazioni contrarie da parte di report di organizzazioni internazionali.

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nazionale

Corte Cass., sez. I Penale, sent. 6 novembre 2019 n. 45184 Corruzione – Art. 318p. – Art. 319 c.p. –Pubblico ufficiale Lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi realizzato a mezzo dell’impegno permanente a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata, integra il reato di cui all’art. 318 cod. pen. corruzione e non il più grave reato di corruzione propria di cui all’art. 319 cod. pen., salvo che la messa a disposizione della funzione abbia prodotto il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio.

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L’asservimento del pubblico ufficiale alla realizzazione di interessi personali di terzi Con la Pronuncia del 6 novembre 2019 n. 45184 la Suprema Corte, in particolare la VI sez. penale, ha nuovamente preso in considerazione il reato di corruzione e in special modo il rapporto tra corruzione per l’esercizio della funzione, disciplinato dall’art. 318 c.p. e la corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio ex art. 319 c.p., anche alla luce delle modifiche apportate dalla legge 6 novembre 2012 n. 190 c.d. legge Severino. Nel caso in esame i Supremi Giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal PM avverso un’ordinanza con cui il Tribunale del riesame aveva riformato una precedente pronunzia emessa dal GIP che aveva applicato nei confronti di un dirigente responsabile dell’ area tecnica edilizia di un comune la misura coercitiva degli arresti domiciliari in relazione alle imputazioni provvisorie di corruzione propria continuata (artt. 81 e 319 c.p.) nell’ambito di uno stabile asservimento della sua funzione agli interessi del Sindaco del Paese e dei suoi familiari; e di turbativa d’asta (artt. 110 e 353 c.p.), con riferimento ad una procedura di aggiudicazione relativa ad un contratto di appalto per il trasporto e gestione di rifiuti solidi urbani avvenuta nel 2017. Il Tribunale del Riesame, pur ritenendo le condotte riferite all’ imputato frutto di uno stabile asservimento agli interessi del sindaco e dei suoi familiari, ha riqualificato l’operato del pubblico ufficiale in termini di corruzione per l’esercizio della funzione ex art. 318 c.p., ponendo in essere una diversa qualificazione della condotta dell’indagato. A seguito di quanto detto, quindi, egli ha sostituito la misura coercitiva domiciliare con quella interdittiva ex art. 289 c.p.p. ritenendola più proporzionata all’accusa. A seguito di detto provvedimento del riesame vi è stato ricorso in Cassazione da parte del PM relativamente al reato di corruzione ex art. 318 c.p. Il PM sosteneva, infatti, che la condotta del Pubblico Ufficiale era riconducibile al reato di corruzione propria, precisando che secondo la più recente giurisprudenza, lo stabile asservimento delle funzioni del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, mediante il sistematico ricorso ad atti contrari ai doveri d’ufficio non predefiniti, né individuabili ex post, implica il


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reato di cui all’art. 319 c.p. e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 c.p. A fronte di ciò, i Giudici di legittimità hanno affermato in diritto l’inammissibilità del ricorso, in quanto nella loro Decisione si sono essenzialmente uniformati ad un orientamento già espresso con la Sentenza n. 4486/2019, della stessa sez. VI in forza della quale «lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, realizzato attraverso l’impegno permanente a compiere o omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata, integra il reato di cui all’art. 318 cod. pen. e non il più grave reato di corruzione propria di cui all’art. 319 cod. pen., salvo che la messa a disposizione della funzione abbia prodotto il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio». Nell’affermare tale principio, la Corte si è posta in consapevole contrasto con altra pronuncia (Cass. Pen, Sez. VI, 29267/2018) secondo cui, al contrario, «configura il reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio – e non il più lieve reato di corruzione per l’esercizio della funzione, di cui all’art. 318 cod. pen. – lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, che si traduca in atti che, pur formalmente legittimi, in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati, si conformano all’obiettivo di realizzare l’interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali». La prima delle due opzioni interpretative è l’unica – ad avviso del collegio – che possa dirsi «rispettosa sia del principio di tassatività delle fattispecie incriminatrici sia di una corretta ripartizione dell’ambito di applicazione degli odierni artt. 318 e 319 cod. pen.» con la conseguenza che se il pubblico ufficiale «non ha commesso atti formalmente contrari ai doveri d’ufficio, non può che configurarsi esclusivamente il reato di cui all’art. 318 cod. pen.». Nell’affermare quanto esposto, le doglianze del PM sono state ritenute inammissibili, in quanto intimamente connesse, prima ancora che a profili e valutazioni in fatto, ad una valutazione complessiva della vicenda sostanziale contrastante con quella ritenuta dal Tribunale, allo stesso modo plausibile rispetto a quella propugnata dal ricorrente, ma come tale insindacabile nella fase in esame ed in sede processuale. Si può fare, infine, rinvio alla predetta ordinanza, parimenti impugnata dal PM ricorrente, relativamente alla specifica indicazione dei profili di fatto dimostrativi. Marilisa De Nigris

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internazionale

Nuova pronuncia della C. Cassazione italiana V sez. penale n. 48250 del 27 novembre 2019 Diritto penale – Giurisdizione penale – Diritto internazionale – Favoreggiamento immigrazione clandestina – Delitti – Diritto di inseguimento – Presenza costruttiva – Pubblico ministero – Progressione criminosa In tema di repressione delle attività legate al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la Quinta sezione ha affermato che, in assenza di un fondamento normativo idoneo a derogare al principio di territorialità, non sussiste la giurisdizione del giudice italiano su reati commessi dallo straniero in danno dello straniero e interamente consumati nel territorio di uno Stato estero, seppure connessi con reati (nella specie associazione per delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) per i quali sussiste la giurisdizione italiana.

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Reati commessi in Libia e giurisdizione italiana La V sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 48250 pubblicata lo scorso 27 novembre 2019 si pronuncia sui profili di giurisprudenza in caso di commissione di reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina1. In particolare, la Suprema Corte afferma che in assenza di una legge specifica in materia che preveda una deroga al principio di territorialità cui si ispira il sistema penale, difetta la giurisdizione del giudice italiano su reati commessi dallo straniero in danno dello straniero e interamente consumati nel territorio di uno Stato estero. Il difetto di giurisdizione si manifesta anche reati connessi con reati, nella specie associazione per delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per i quali il legislatore prevede la giurisdizione italiana. La Cassazione doveva decidere su un ricorso presentato dal p.m. ex art. 30 c.p.p. avverso la mancata estensione del provvedimento cautelare ai delitti di sequestro a scopo di estorsione pluriaggravato, tortura aggravata e violenza sessuale che sono in connessione rispetto i delitti di associazione a delinquere e favoreggiamento all’immigrazione clandestina, in quanto i primi siano stati realizzati per indurre le famiglie degli immigrati a corrispondere il prezzo del viaggio verso il territorio nazionale. Il ricorrente sostiene che tale connessione teologica rende tali delitti transnazionali come quelli di associazione per delinquere e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e ne consegue l’applicazione degli artt. 5 e 15 par. 2 lett. c della Convenzione di Palermo contro la criminalità organizzata transnazionale ed artt. 54 comma 3 c.p.p.

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L’art. 12 del Teso unico sull’immigrazione (Dlgs. 1998, n. 286) regola il delitto di favoreggiamento all’immigrazione clandestina inquadrandolo, salvo che il fatto costituisca più grave reato, nella condotta di chiunque, in violazione delle disposizioni del testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente.


Giurisprudenza internazionale

Il Tribunale di Catania in primo grado aveva applicato, in modo erroneo secondo la pubblica accusa, l’art. 23 della Convenzione di Ginevra sull’alto mare del 1958 che indica di delitti che possono essere oggetto di diritto di inseguimento e conseguentemente sono sottoposti alla giurisdizione dell’Italia quale paese che ha esercitato il diritto di inseguimento, anche se il fatto illecito è avvenuto interamente all’estero e contro cittadini stranieri. La Cassazione in motivazione evidenzia che l’ordinamento penale è retto dal principio di territorialità che delimita l’applicazione della legge penale nel territorio dello Stato anche nei confronti dei cittadini stranieri a condizione che si trovano nel territorio nazionale. La stessa legge penale indica eccezioni al principio di territorialità nei casi in cui sia applicabile il principio di universalità ex art. 7 prima comma lettera 5 c.p. ai sensi del quale è soggetto alla legge penale italiana il reato commesso interamente all’estero dal cittadino o dallo straniero quando speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali prevedono l’applicabilità della legge italiana. Occorre quindi individuare una base normativa che consenta la deroga al principio di territorialità. La Suprema Corte cita alcuni esempi di applicazione del criterio universale ex art. 7 prima comma lett. 5 c.p. per i delitti di pirateria commesso nei confronti di missioni internazionali “Atalanta” e “Ocean Shield” grazie a indicazioni espresse del legislatore. Altri fattispecie citate dagli ermellini, che legittimano la giurisdizione italiana sono il delitto transnazionale di cui agli artt. 5 e 15 par. 2 lett. c della Convenzione di Palermo e la presenza costruttiva ovvero il trasferimento degli immigrati dalla nave madre ad una imbarcazione minore con l’applicazione dello stato di necessità ex art. 54 c.p. e art. 48 c.p. sull’autore mediato2. Il diritto di inseguimento e la presenza costruttiva come regolati dall’art. 23 della Convenzione di Ginevra e art. 111 della Convenzione di Montego Bay del 1982, presuppongono una connessione qualificata ovvero che l’operazione di inseguimento abbia inizio nel mare territoriale o zona economica contigua (ossia nelle acque interne o arcipelagiche) e sia proseguita senza soluzione di contiguità sino alle acque internazionali. Nel caso in esame ai fini dell’estensione della giurisdizione occorre individuare il diritto di inseguimento e in particolare i delitti consumati all’inizio dell’operazione. Successivamente è essenziale verificare la ricorrenza della progressione criminosa3 così che i fatti manifestatisi in alto mare rappresenti lo sviluppo ordinario delle condotte avveratesi ad inizio inseguimento. La giurisprudenza di legittimità4 ha riconosciuto la connessione qualificata tra favoreggiamento all’immigrazione clandestina e delitti di naufragio ed omicidio colposo. In conclusione, nella presente fattispecie, essendo diversi i beni giuridici tutelati, non ricorre la progressione criminosa ma il concorso materiale di reati tra il favoreggiamento all’immigrazione clandestina e i delitti di sequestro a scopo di estorsione pluriaggravato, tortura aggra-

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Sez. I, n. 20503 del 08/04/2015. La progressione criminosa è il fenomeno del susseguirsi, per effetto di risoluzioni successive, di aggressioni di crescente gravità nei confronti di un medesimo bene e/o interesse. Parte della dottrina ritiene che, in forza dei criteri di sussidiarietà e di consunzione, l’offesa minore debba essere assorbita nella maggiore e, quindi, sia da ritenere sussistente solo il reato più grave. Altra parte della dottrina, come nel caso in esame, invece, ritiene ammissibile l’assorbimento solo in caso di violazione di norme poste a tutela di beni omogenei; nelle altre ipotesi sarà configurabile un concorso di reati ex art. 81 c.p. e quindi non punibili reati con diversi beni giuridici commessi all’estero. 4 Sez. I n. 5157/18 del 22/11/2017, Khmelyk. 3

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Reati commessi in Libia e giurisdizione italiana

vata e violenza sessuale e quindi il Tribunale di Catania ha rigettato correttamente la richiesta di custodia cautelare per tali delitti. Nikita Micieli

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Giurisprudenza

europea

Sent. 19 novembre 2019 ricorso n. 58954/09, Case of Obote v. Russia Caso Obote – Cedu – Codice dei reati amministrativi russo – Corte di Strasburgo – Federazione Russa – Flash mob – libertà di riunione art. 11 Convenzione – libertà di riunione pacifica La Corte EDU, con sentenza del 19 novembre 2019, n. 58954/09, ha considerato il flash mob una “riunione pacifica”, condannando così la Russia per violazione dell’articolo 11 CEDU, rubricato “libertà di riunione ed associazione”. Ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica ed alla libertà di associazione, ivi compreso il diritto di partecipare alla costituzione di sindacati e di aderire ad essi per la difesa dei propri interessi. L’esercizio di questi diritti non può costituire oggetto di altre restrizioni oltre quelle che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la prevenzione dei reati, la protezione della salute e della morale o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui. Il presente articolo non vieta che restrizioni legittime siano imposte all’esercizio di questi diritti da parte dei membri delle forze armate, della polizia o dell’Amministrazione dello Stato.

Il testo integrale della sentenza è accessibile sul sito della rivista

La Corte di Strasburgo condanna la Russia e riconosce il diritto al flash mob La sentenza in esame è stata emessa il 19 novembre del 2019 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. III, dopo aver deliberato in Camera di Consiglio sul caso Obote contro la Federazione Russa. Il caso – si legge in sentenza – è stato presentato, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzio1 ne , da un cittadino russo che, insieme ad alte sei persone, aveva posto in essere un flash mob pacifico davanti la sede del governo di Mosca. La polizia, dopo aver ordinato al gruppo di disperdersi, ha portato il richiedente alla stazione di polizia, che aveva chiesto di essere informato dei motivi di tale ordine, accusandolo di aver violato la procedura stabilita per l’organizzazione e lo svolgimento di riunioni pubbliche, riunioni in generale, manifestazioni, marce o picchetti dal Codice dei reati amministrativi2 russo, avendo partecipato, lo stesso, ad un incontro pubblico senza aver precedentemente soddisfatto l’obbligo di notifica preventiva, anche per una dimostrazione statica, e lo ha condannato a una multa di 1.000 rubli russi (all’epoca circa 22 euro).

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La Corte può essere adita per ricorsi presentati da ogni persona fisica, ogni organizzazione non governativa o gruppo di individui che asseriscano di essere vittime di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non impedire in alcun modo l’esercizio effettivo di questo diritto. 2 Per semplicità CAO, codice dei reati amministrativi russo.


Giurisprudenza europea

Già nel 2010, in forza delle linee guida sulla libertà di riunione pacifica, un gruppo di esperti dell’OSCE aveva definito il flash mob come «degli eventi previsti e organizzati, in un determinato luogo, utilizzando le nuove tecnologie (messaggi di testo, twitter) ove un gruppo di persone si “riunisce” per breve tempo al fine di eseguire una qualsivoglia forma di azione e poi disperdersi. La loro ragion d’essere chiede un elemento di sorpresa, che sarebbe sconfitto da una notifica preventiva». La CEDU, pertanto, con il suo provvedimento, denuncia come l’applicazione del potere preventivo delle autorità locali russe di regolamentare le manifestazioni pubbliche mediante notifiche – per l’appunto – preventive, essenziali al fine di consentire alle autorità di ridurre al minimo l’interruzione del traffico e/o di adottare altre misure di sicurezza, non può diventare fine a sè stesso. In particolare, la Corte ha stabilito che «laddove i manifestanti non commettano atti di violenza, è importante che le autorità dimostrino un certo grado di tolleranza nei confronti di riunioni pacifiche proprio nel segno di quella libertà di riunione garantita dall’articolo 11 della Convenzione». Nel caso di specie, tale tolleranza, a norma di quanto disposto dalla Corte, non è stata applicata dai giudici russi, i quali non valutando né l’eventuale livello di disturbo e né la pacificità della riunione, così come tutelata dalla Convenzione, si sono essenzialmente limitati a sottolineare esclusivamente l’omessa notifica preventiva. Sicché, l’automatismo della mancata comunicazione preliminare alle autorità competenti e l’applicazione dell’ammenda è per la Corte contraria alla Convenzione europea. Un evento con solo sette persone, che manifestano con la bocca chiusa con un nastro adesivo e brandendo un foglio di carta bianco, non può essere qualificato come un evento che inciti alla violenza o che possa minacciare l’ordine pubblico. L’ingerenza, quindi, in una società democratica, non sarebbe stata né necessaria e né opportuna. Con riferimento alla democrazia, infatti, si legge in sentenza che «la Corte ribadisce che il diritto alla libertà di riunione è un diritto fondamentale, e come il diritto alla libertà di espressione è uno delle basi di una società democratica». Sul piano interno, la Corte di Strasburgo ha stabilito, inoltre, che la sanzione qualificata come amministrativa fosse invece da considerare come penale, in base ai criteri già stabiliti dalla Corte, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere applicata solo in caso di situazioni particolari. Orbene, la Corte ha ritenuto che il Tribunale distrettuale non abbia valutato il livello di disturbo nel dichiarare il richiedente colpevole del reato amministrativo, ai sensi dell’articolo 20 del CAO, classificando tale violazione come “criminale”. Ed ancora, «una manifestazione pacifica, non dovrebbe, in linea di principio, essere soggetta alla minaccia di una sanzione penale e in particolare alla privazione della libertà. Laddove le sanzioni imposte a un manifestante sono di natura criminale, richiedono una giustificazione particolare. La libertà di prendere parte a un’assemblea pacifica è di tale importanza che una persona non può essere soggetta a una sanzione – neppure a un livello inferiore della scala – per la partecipazione a una manifestazione che non è stata vietata, a condizione che tale persona lo faccia e non commetta alcun atto riprovevole in tale occasione». Pertanto, la Corte ha concluso ritenendo che lo Stato convenuto non avrebbe dovuto limitare la libertà di riunione pacifica, così come protetta dalla Convenzione, stante l’assenza di alcun vero e proprio interesse dello stesso e non sussistendo una esigenza sociale urgente. Tra l’altro, anche volendo supporre la rilevanza di tali comportamenti, non si può sufficientemente dimostrare che la asserita interferenza lamentata fosse davvero un pericolo per una società democratica.

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La Corte di Strasburgo condanna la Russia e riconosce il diritto al flash mob

Nonostante il margine di apprezzamento delle autorità nazionali, la Corte ha ritenuto inesistente un ragionevole rapporto di proporzionalità tra le restrizioni imposte al diritto alla libertà di riunione del richiedente e qualsiasi obiettivo legittimo perseguito. Da qui la condanna alla Russia per violazione dell’articolo 11 e la concessione al ricorrente di un indennizzo di 4 mila euro. Elena Valguarnera

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Osservatorio

normativo

Abrogazione art. 131-bis c.p. in materia di particolare tenuità del fatto Antonio De Lucia Con la proposta di legge A.C. 2024 presentata in data 28 ottobre 2019 innanzi alla seconda commissione giustizia referente, è stato avanzato il tentativo di abrogare l’art. 131-bis c.p. e correlativamente di abolire o modificare le norme procedurali aventi ad oggetto il medesimo tema. La norma proposta tende a considerare l’“Abrogazione dell’articolo 131-bis del codice penale e modifiche al codice di procedura penale in materia di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”. Volendo analizzare in dettaglio la questione, interessante è capire la ratio che, solo pochi anni addietro, ha portato all’introduzione della norma e i motivi che hanno spinto il deputato Cirielli a presentare una proposta tendente a raggiungere il risultato contrario. L’articolo in analisi è stato il risultato di un iter legislativo iniziato nel 2014. Nello specifico, l’art. 1 co. 1 lettera m della l. 28 aprile 2014 n. 67 aveva conferito al governo delega al fine di escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni quando “risulti la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento, senza pregiudizio per l’azione civile per il risarcimento del danno” adeguando la relativa normativa processuale penale. La delega ebbe attuazione con il d.lgs 16 marzo 2015 n. 28 che introduceva, così, anche per il rito ordinario l’irrilevanza del fatto, istituto già presente nel rito minorile (art. 27 d.p.r. 22 settembre 1998 n. 448) ed in quello da celebrarsi innanzi al Gdp (art. 34 dlg 28 agosto 2000 n. 274). A seguito dell’intervento del legislatore si ebbe così in ambito sostanziale l’inserimento del nuovo articolo in apertura del Titolo V del libro I del codice penale. Il primo comma del 131-bis c.p. basa il giudizio di particolare tenuità su due “criteri guida”: – la particolare tenuità dell’offesa che si articola in due ulteriori indici quali modalità della condotta e esiguità del danno o del pericolo; – non abitualità del comportamento L’ambito applicativo fu delimitato quindi, così come previsto dalla delega, ai reati puniti con pena pecuniaria sola o congiunta a pena detentiva o a quelli puniti con la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni. Analizzando la norma appare chiaro che la non punibilità è stata sottoposta alla regola della lex mitior risultando applicabile retroattivamente ex art. 2 co. 4 c.p. anche ai reati posti in essere prima della sua entrata in vigore, non integrando, invece, le caratteristiche della abolitio criminis cum abrogatione previste dall’art. 2 co. 2 c.p, ma solo un fenomeno successorio. L’attività legislativa fu dunque protesa, sin dall’inizio, a far fronte a determinati comportamenti dalla loro peculiare modalità realizzativa e non a dar vita ad una abrogazione generale ed astratta delle classi di fatti riconducibili a talune fattispecie incriminatrici. Una riduzione selettiva dell’area del penalmente rilevante consentendo di “estromettere” i fatti in concreto particolarmente tenui. Il 131-bis c.p. si mostra così corrispondente in ambito nazionale a principi


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di proporzionalità e ragionevolezza della pena che trovano oggi un fondamento costituzionale nell’art. 3 Cost. e uno sovranazionale nell’ art. 49, 3 CDFUE (Carta di Nizza). Inoltre, la normativa in esame ha dimostrato la sua validità anche in un ambito strettamente processuale favorendo la tanto ribadita esigenza di deflazione del procedimento evitando un enorme dispendio di energie processuali. Secondo il relatore della proposta l’ordinamento italiano già prevede degli istituti di tenuità del fatto quali: – l’articolo 27 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 riguardo la tenuità del fatto di delitti commessi da minori; – l’articolo 34 del decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274 per l’esclusione della procedibilità per tenuità del fatto per i procedimenti dinanzi al Giudice di Pace; – l’articolo 62 co. 1 n. 4 codice penale riguardo le circostanze attenuanti comuni che prevedono l’offesa tenue nei reati contro il patrimonio; – l’articolo 648 del codice penale che prevede una pena minore per la ricettazione di minore gravità; – l’articolo 311 cod. pen. che prevede la tenuità del fatto nei delitti contro la personalità dello Stato. Pertanto, l’articolo in esame sarebbe solo un “quid pluris” all’interno di un assetto normativo già colmo di istituti lassisti e favorevoli ai rei”. Inoltre, secondo la Proposta avanzata, la norma in esame non rispetterebbe la Costituzione e, in particolare, l’articolo 112 che recita: “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”. Da quanto desumibile nella proposta “Il mancato esercizio dell’azione penale per la particolare tenuità del fatto, nonostante la presenza di tutti gli elementi costitutivi del reato, contrasterebbe, infatti, con quanto prescritto dalla Carta costituzionale, che impone al pubblico ministero l’esercizio dell’azione penale ogniqualvolta vi siano gli estremi del reato”. Infine, oltre all’incostituzionalità, la proposta di legge dà una sua visione pratica dell’articolo 131-bis cod. pen. a favore dell’abrogazione particolare tenuità fatto: «Sembrerebbe, infatti, che i Governi degli ultimi anni, invece di rafforzare la sicurezza, la legalità e la certezza della pena, abbiano affrontato l’atavico problema del sovraffollamento carcerario, che certamente esiste e rappresenta una delle maggiori criticità che insistono sul nostro sistema carcerario, con palliativi lungi dal garantire le esigenze di giustizia dei cittadini e di avere delle carceri civili. Difatti, non punire un soggetto che abbia commesso un reato sussistente e accertato in tutti i suoi elementi – e per cui la legge ricolleghi una sanzione detentiva o pecuniaria – andrebbe a vanificare gli effetti della giustizia penale e a scardinare il sistema penale, facendo venire meno sia la funzione di intimidazione, sia quella di retribuzione e punitiva e perfino quella di rieducazione. Per di più, la disciplina de qua potrebbe essere addirittura interpretata come una vera e propria concessione a delinquere “tenuamente”». La proposta presentata si articola in 4 punti: Art. 1.1. L’articolo 131-bis del codice penale è abrogato. Art. 2.1. All’articolo 411 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1, le parole: «che la persona sottoposta alle indagini non è punibile ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale per particolare tenuità del fatto» sono soppresse; b) il comma 1-bis è abrogato. Art. 3.1. Il comma 1-bis dell’articolo 469 del codice di procedura penale è abrogato. Art. 4.1. L’articolo 651-bis del codice di procedura penale è abrogato

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Clima e diritti umani: un legame stretto e “riconosciuto” Rubinia Proli Il cambiamento climatico è al centro del dibattito internazionale. Greta Thunberg è stata riconosciuta “persona dell’anno” 2019 dal the Time. Antònio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha indetto, per la prima volta nella storia delle UN, in occasione dell’annuale Assemblea Generale, la Climate Action Summit tenutosi a settembre 2019 a New York chiamando governi, organizzazioni internazionali e settore privato a prendere azioni efficaci nella lotta al cambiamento climatico. Ursula Von Der Leyen, Presidente eletta della Commissione Europea, ha lanciato il New Green Deal, un ambizioso piano che mira a rendere l’Europa il primo continente ad impatto climatico zero entro 2050. Si tratta di un filo conduttore verde di tutte le politiche europee, dai trasporti alla fiscalità, dall’agroalimentare all’industria, alle infrastrutture. Il mondo, ha affermato Michelle Bachelet, Alto Commissario per i diritti umani “non ha mai visto una minaccia ai diritti umani di questa portata” e l’impatto è trasversale su una molteplicità di diritti che intaccano l’uomo: il diritto alla vita, alla salute, al cibo, all’acqua, all’alloggio, ai mezzi di sussistenza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha previsto che i cambiamenti climatici causeranno 250.000 morti all’anno tra il 2030 e il 2050, a causa di malaria, malnutrizione, diarrea e stress da calore1 e si sta già determinando, secondo la FAO, un forte aumento della fame globale che nel 2019 è aumentato per la prima volta nel decennio. A ciò si aggiunta il dato che in diversi paesi nel mondo i violenti fenomeni meteorologici hanno esacerbato i conflitti, gli sfollamenti e le tensioni sociali conducendo ad un’inversione di rotta rispetto al progresso, ostacolando la crescita economica e rendendo le disuguaglianze sempre più radicali. Nell’ambito dei conflitti, le Nazioni Unite hanno affermato che il 40 % dei conflitti avvenuto nella regione del Sahel sarebbero intimamente connessi al fenomeno climatico che, in quell’area ha visto una massiccia desertificazione che avrebbe conseguentemente condotto all’inasprirsi delle tensioni per l’accaparramento delle risorse. Giova rilevare che recentemente vi è stata una storica sentenza della Corte Suprema dell’Olanda, la quale ha condannato lo Stato per non aver posto in essere azioni necessarie al fine di mitigare il cambiamento climatico obbligandolo, invero, ad agire al fine di ridurre le emissioni inquinanti. Il governo olandese sarà infatti tenuto a ridurre entro la fine del 2020 le emissioni di gas climalteranti di almeno il 25% rispetto al 1990 prendendo misure “opportune e appropriate”. Per la prima volta nella storia della giurisprudenza globale, dunque, viene enunciato lo stretto legame tra clima e diritti dell’uomo. Si legge nella sentenza emessa in data 20 dicembre 2019 «Vi è ampio consenso nella comunità scientifica e internazionale sull’urgente necessità per i Paesi sviluppati di ridurre le

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https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/climate-change-and-health.


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emissioni di gas a effetto serra di almeno il 25% entro la fine del 2020. Lo Stato olandese non ha spiegato perché una riduzione inferiore sarebbe giustificata e potrebbe comunque portare, in tempo, all’obiettivo finale accettato dallo Stato olandese»2. Tale pronuncia sposta, relativamente alla riduzione delle emissioni, l’attenzione dal piano scientifico- politico ad uno decisamente diverso e nuovo: quello giuridico, riconoscendo la violazione degli articoli 2, diritto alla vita, e 8, diritto al benessere delle persone, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Basti notare, infatti, che il richiamo alle norme della CEDU è un chiaro segnale della mancanza di norme vincolanti in tema di ambiente. L’Accordo di Parigi3, concluso durante la COP 21 del 2015, con cui 195 Stati si sono posti l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°, rappresenta infatti un documento globale, di impegni certamente ambiziosi che tuttavia risulta inadeguato rispetto alla portata della minaccia climatica. Orbene, il Patto, sebbene si presenti come “legally binding” non è sostenuto da meccanismi di controllo, né da specifiche sanzioni per le violazioni per gli impegni presi. In tali contesti – al plurale, poiché l’Accordo di Parigi non è un caso isolato – l’obiettivo è rendere le norme indirettamente coercitive facendo leva sulla reputazione internazionale. A ciò si aggiunga, inoltre, che l’unica fonte internazionale per la lotta al cambiamento climatico non è uniforme nell’intro testo e il grado di vincolo varia a seconda della specificità della terminologia utilizzata. Il carattere vincolante delle prescrizioni è connesso, in senso decrescente, dal termine shall, seguito da will, per passare per should sino al meno stringente may. Ebbene, in tale contesto, la sentenza in oggetto, chiamando in causa gli articoli 2 e 8 della Convenzione europea sui diritti umani, rappresenta un precedente internazionale cardine per la lotta al cambiamento climatico. Si rende opportuno, per completezza, rappresentare che le cause climatiche, non riconducibili alle ordinarie cause di danno all’ambiente per la diversità del bene giuridico tutelato, si differenziano per l’intersecarsi della scienza con il piano prettamente giuridico. In primo luogo, dunque, tali procedimenti si fondano su acquisizioni condivise a livello scientifico internazionale, acquisizioni accettate dagli Stati attraverso la firma, nondimeno, del citato Accordo di Parigi nonché attraverso l’adozione di ulteriori iniziative sul tema. Si aggiunga inoltre che la prova che ricade sugli Stati di aver agito “secondo buona fede” è inevitabilmente orientata alla scienza e cioè a quelle acquisizioni scientifiche che corrispondono alla efficacia climatica delle decisioni e misure poste in essere. Tanto premesso, un tema così delicato, a latere dei procedimenti giudiziari in corso, coinvolge indistintamente tutti, dagli Stati al settore privato, dal singolo cittadino alle istituzioni. Tale messaggio risulta essere chiaro, anche alla luce della mobilitazione avvenuta a livello politico, manageriale, familiare e individuale. I movimenti giovanili hanno risvegliato le coscienze personali, le Nazioni Unite gli Stati, le organizzazioni internazionali e le aziende. Il Decade of Actions4 è appena iniziato ed è obiettivo di tutti combattere per il clima, la protezione dei diritti umani e, soprattutto, le generazioni future.

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https://www.rechtspraak.nl/Organisatie-en-contact/Organisatie/Hoge-Raad-der-Nederlanden/Nieuws/Paginas/ Dutch-State-to-reduce-greenhouse-gas-emissions-by-25-by-the-end-of-2020.aspx 3 https://unfccc.int/process-and-meetings/the-paris-agreement/the-paris-agreement. 4 https://www.un.org/sustainabledevelopment/decade-of-action/.

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europeo

Principio del ne bis in idem nella giurisprudenza convenzionale Marco Petillo Il principio del ne bis in idem (letteralmente “non due volte per il medesimo fatto”) affonda le proprie radici nel diritto romano, sancendo il diritto, in campo penale, di non essere sottoposto a procedimento rispetto a fatti per i quali si è già stati giudicati (non debet bis puniri pro uno delicto). Il principio si riferiva alle due situazioni processuali note come litis contestatio e res iudicata. Con tali termini si voleva indicare, nel primo caso, il momento rispetto al quale le parti avessero deciso di risolvere la lite in via giudiziale, in quanto la querela, una volta proposta esaurisce per sempre tale facoltà. Per quanto concerne la res iudicata essa indicava l’efficacia di cosa giudicata propria della sentenza, la quale una volta pronunciata precludeva la possibilità di instaurare un nuovo processo1. Il principio del ne bis in idem è stato successivamente accolto negli ordinamenti europei ponendosi come garanzia fondamentale per il cittadino, come principio di civiltà giuridica, “grazie al quale giunge un tempo in cui, formatosi il giudicato, l’individuo è sottratto alla spirale di reiterate iniziative penali per il medesimo fatto. In caso contrario, il contatto con l’apparato repressivo dello Stato, potenzialmente continuo, proietterebbe l’ombra della precarietà nel godimento delle libertà connesse allo sviluppo della personalità individuale, che si pone, invece, al centro dell’ordinamento costituzionale”2. Nell’ordinamento italiano, la base normativa del ne bis in idem si trova, confermando la portata processuale dello stesso, nel codice di procedura penale che, all’articolo 649 recita: “l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345. Se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo”. In virtù di tale disposto il cittadino rispetto al quale sia intervenuta una decisione definitiva non può essere sottoposto a nuovo procedimento penale. Invero, la giurisprudenza di legittimità ha recentemente esteso l’ambito di operatività del principio de quo non richiedendo la necessaria efficacia di cosa giudicata della prima decisione ma reputando sufficiente anche la mera pendenza, di un procedimento penale rispetto all’idem factum3.

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«Res iudicata pro veritate accipitur». Cfr. Sent Cost. n. 1/1969 e 219/2008. 3 SS.UU. sentenza n. 34655 del 28.6.05, con la quale ha chiarito che “non può essere nuovamente promossa l’azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente (anche se in fase o grado 2


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È bene sin da ora chiarire che la garanzia individuale derivante dal principio in questione si sviluppa in una dimensione processuale precludendo soltanto l’instaurazione di un secondo processo vertente sul medesimo fatto ma non il simultaneus processus per distinti fatti di reato commessi con la medesima condotta del reo. Primaria importanza riveste inoltre l’accezione che la giurisprudenza interna dà alla locuzione “medesimo fatto” rispetto al quale si intende la corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, inteso quale fattispecie strutturalmente costituita da tutti i suoi elementi quali condotta, evento e nesso causale e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona”4. Tale aspetto ha costituito il principale punto di frizione tra la concezione interna del principio e quella sovranazionale in particolare come formulata dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa e firmata a Roma il 4 novembre 1950 portando anche ad una fondamentale pronuncia della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 649 c.p.p. In particolare, a fronte della questione di legittimità sollevata dal giudice nazionale, la Consulta prende una posizione netta sull’interpretazione del “medesimo fatto” dando atto dell’accezione che la locuzione aveva assunto nell’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità. Infatti, nonostante il tenore letterale della norma deponesse per il raffronto tra il fatto storicamente inteso, l’attività ermeneutica consolidatasi nel tempo esigeva l’identità del fatto giuridico inteso come la corrispondenza tra tutti gli elementi costitutivi del reato e dei relativi beni giuridici tutelati. Applicando tali coordinate il giudice rilevava che l’eventuale sussistenza di un concorso formale tra i reati avrebbe comportato l’inoperativita del principio de quo. Applicando tali coordinate il giudice a quo rilevava che, a differenza di quanto stabilito dalla Corte EDU, in particolare nella sentenza della Grand Chambre Zolotoukine c. Russia del 10 febbraio 2009 nella quale si stabiliva che l’idem factum è ravvisabile quando vi sia una medesimezza dell’azione od omissione attuata, l’eventuale ascrivibilità del fatto nell’alveo del concorso formale di reati e la conseguente differente qualificazione giuridica, avrebbe per ciò solo obliterato l’operatività del principio. Pertanto, l’applicazione del principio soggiacerebbe a presupposti meno favorevoli al reo rispetto alla portata convenzionale di cui all’art. 4 protocollo 7 CEDU determinando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 649 c.p.p. per violazione dell’articolo 117 della Costituzione

diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M., di talché nel procedimento eventualmente duplicato dev’essere disposta l’archiviazione oppure, se l’azione sia stata esercitata, dev’essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità. La non procedibilità consegue alla preclusione determinata dalla consumazione del potere già esercitato dal P.M., ma riguarda solo le situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente competenti e non produttive di una stasi del rapporto processuale, come tali non regolate dalle disposizioni sui conflitti positivi di competenza, che restano invece applicabili alle ipotesi di duplicazione del processo innanzi a giudici di diverse sedi giudiziarie, uno dei quali è incompetente”. 4 Cass. Sez. 2 n.1144 del 6.12.18 che ha ribadito che «ai fini del divieto di “bis in idem”, l’identità del fatto deve essere valutata in relazione al concreto oggetto del giudicato e della nuova contestazione, senza confrontare gli elementi delle fattispecie astratte di reato».

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che, come noto, rappresenta la norma costituzionale in virtù della quale la Convenzione penetra nell’ordinamento interno. La Consulta, oltre a risolvere a latere, in senso negativo, la questione inerente se l’elemento da valutare ai fini del giudizio di identità debba essere soltanto la condotta/omissione dell’agente, deponendo per la rilevanza di tutti gli elementi del fatto naturalisticamente inteso; in altri termini a rivestire carattere giuridico è la selezione degli elementi da prendere in considerazione intesi nella loro accezione storico/naturalistica. La Corte Costituzionale si occupa poi dell’asserito contrasto tra la norma processuale interna ed il principio così come elaborato dalla giurisprudenza della Corte EDU, che, come noto, rappresenta il parametro di riferimento per il significato della Convenzione rilevandone l’effettiva illegittimità dell’articolo 649 c.p.p. così come denunciato dal giudice a quo nella parte in cui esclude l’applicazione del divieto di ne bis in idem per la circostanza che sussista un concorso formale di reati tra i due fatti oggetto di giudizio. In conclusione, l’eventuale sussistenza di un concorso formale riveste carattere ininfluente ai fini dell’operatività del principio di cui all’articolo 649 c.p.p., unica circostanza dirimente è l’esistenza o meno del medesimo fatto storico inteso come unione degli elementi costitutivi del reato giuridicamente qualificati, condotta, evento e nesso causale. L’interpretazione del ne bis in idem alla luce del doppio binario sanzionatorio La portata ermeneutica del principio ha ricevuto nuova linfa da recenti pronunce della Corte EDU che ne hanno, a seguito di numerosi dialoghi con i giudici nazionali, ulteriormente specificato il significato. Se, difatti, è già stato precedentemente illustrato come l’art. 4 Prot. 7 della CEDU non si ponga come ostacolo al regime del doppio binario sanzionatorio, ponendosi come garanzia meramente in veste processuale e non sostanziale, occorre ulteriormente procedere ad analizzare in virtù di quali elementi la giurisprudenza convenzionale abbia considerato legittima l’instaurazione di due procedimenti aventi ad oggetto diverse misure, considerate per il loro carattere afflittivo, “pene” in senso sostanziale. In via preliminare, al fine di comprendere appieno i risultati raggiunti, è bene chiarire il costante approccio sostanziale che la Corte EDU, sin dall’elaborazione dei criteri riguardanti la nozione di “pena” enunciati nella causa Engel e altri paesi c. Paesi Bassi5 dell’8 giugno 1976 ha sempre avuto. Nello specifico, la questione prende avvio con la condanna inflitta al sistema sanzionatorio italiano in tema di “market abuse” da parte dei giudici di Strasburgo nel celebre caso “Grande Stevens c. Italia”.

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In tale fondamentale pronuncia la Corte individua infatti gli elementi da valutare al fine di definire la nozione di “pena”, al di là della qualificazione formale datane nell’ordinamento interno. I parametri ritenuti idonei a rivelare la sostanziale essenza penale di un determinato illecito, nonostante il nomen iuris adottato dal legislatore nazionale sono quelli che denotano non soltanto un dato formale ma, piuttosto, il carattere afflittivo/intimidativo della misura applicata in conseguenza della violazione di un precetto. In particolare, secondo I giudici di Strasburgo, rilevano 3 criteri: 1) qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale; 2) La natura dell’illecito; 3) Il grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere.

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Senza procedere ad un’analisi pedissequa dei fatti di causa che allargherebbe eccessivamente i confini dell’analisi, è sufficiente rilevare che il giudizio ineriva il doppio binario di giudizio – penale e amministrativo – preveduto dalla normativa in materia di abusi di mercato (artt. 180 e ss. del t.u.f.). Mentre nel procedimento amministrativo veniva infatti riscontrata dalla Consob la violazione dell’articolo 187-ter t.u.f. ed irrogate le sanzioni previste cui si aggiungono le accessorie ai sensi dell’articolo 187-quater t.u.f., nel successivo procedimento penale veniva riscontrata la violazione dell’articolo 185 t.u.f. (delitto di manipolazione del mercato). La corte EDU, oltre a riscontrare violazioni sul principio di legalità, avuto riguardo alla natura sostanzialmente penale del procedimento instaurato dinnanzi alla Consob, rileva, per ciò che qui interessa, la violazione del divieto di ne bis in idem relativamente al procedimento penale cui sono stati sottoposti i ricorrenti mettendo pertanto in discussione la legittimità del doppio binario sanzionatorio che connota il regime repressivo di diversi ordinamenti nazionali. Senza volersi soffermare sulle scosse telluriche che la pronuncia in commento ha portato all’interpretazione del dato normativo riguardante la materia degli abusi di mercato, peraltro interessata da un recente intervento legislativo6, con tale pronuncia la Corte, riconducendo alla nozione di pena anche la sanzione amministrativa contemplata dall’articolo 187-ter t.u.f., condanna l’Italia per violazione dell’articolo 4 Protocollo 7 CEDU. In tale ambito si riteneva che il vulnus al principio discendesse dalla mera concomitanza del processo penale una volta chiusosi il procedimento amministrativo con l’irrogazione definitiva della relativa sanzione. Senonché la querelle che sembrava definitivamente sopita dopo i principi enunciati riprende vigore da un’ulteriore pronuncia della Grand Chambre nel 20157 nell’alveo della quale la Corte EDU con un vero e proprio revirèment ha affermato che “non viola il ne bis in idem convenzionale la celebrazione di un processo penale, e l’irrogazione della relativa sanzione, nei confronti di chi sia già stato sanzionato in via definitiva dall’amministrazione tributaria con una sovrattassa (nella specie pari al 30% dell’imposta evasa), purché sussista tra i due procedimenti una “connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta”. Secondo il massimo consesso dei giudici di Strasburgo, tale criterio non era mai stato oggetto di un esame funditus, necessitando pertanto di chiarire la misura in cui allo Stato fosse consentito predisporre una risposta sanzionatoria multilivello o per ciò solo la stessa ledesse il divieto di ne bis in idem. La Corte, nonostante la nota ed autorevole opposizione del Giudice portoghese Paulo Pinto de Albuquerque, afferma, in maniera tranchànt, che dall’articolo 4 Prot. 7 non discende un divieto sostanziale di prevedere una doppia sanzione a fronte di un medesimo fatto. In sintesi, secondo la Corte, occorre operare un contemperamento tra gli interessi dell’individuo e quelli della comunità, prevedendo una risposta sanzionatoria che tenga conto ab

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Il d.lgs. 107/2018 adegua l’ordinamento italiano alle previsioni del reg. (UE) 596/2014 in tema di market abuse. La riforma, per ciò che qui interessa, perde tuttavia l’occasione di ricondurre ad unicum la previsione del doppio binario sanzionatorio che non cessa di alimentare le critiche della dottrina relativamente alla difficoltà di calibrare l’effettiva risposta sanzionatoria per coloro che incorrono nella sanzione amministrativa ed in quella penale. 7 Corte EDU (grande Camera), sent. 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, ric. n. 24130/11 e 29758/11

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origine del risultato derivante dagli interventi dell’autorità amministrativa e giurisdizionale, assicurando così il rispetto dei principi di prevedibilità e proporzionalità. Secondo la Corte tale risultato viene raggiunto quando i procedimenti siano avvinti da una stretta connessione sostanziale e temporale (“sufficiently close connection in substance and time”). In particolare i Giudici di Strasburgo elaborano, recependo la tecnica inaugurata nella sentenza Engel, i seguenti parametri in virtù dei quali valutare la sussistenza del citato requisito: – se i procedimenti previsti per la violazione abbiano scopi differenti, e abbiano ad oggetto profili diversi della medesima condotta antisociale; – se la duplicità dei procedimenti sia una conseguenza prevedibile della condotta; – se i due procedimenti siano condotti in modo da evitare “per quanto possibile” ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova, attraverso una “adeguata interazione tra le varie autorità competenti in modo da far sì che l’accertamento dei fatti in un procedimento sia utilizzato altresì nell’altro procedimento”; – se la sanzione imposta nel procedimento che si concluda per primo sia tenuta in considerazione nell’altro procedimento, in modo che venga in ogni caso rispettata l’esigenza di una proporzionalità complessiva della pena. Tali coordinate hanno costituito la cartina tornasole utilizzata dalla giurisprudenza convenzionale anche nelle pronunce successive per valutare l’eventuale violazione del ne bis idem, divenuto, sempre più spesso, momento di tensione tra gli ordinamenti nazionali e la CEDU. Giova, a tal fine, menzionare la recentissima pronuncia del 16 aprile 2019 in cui la II sezione della Corte EDU ha riscontrato la violazione da parte dell’Islanda nel caso Bjarni Armannsson c. Islanda8. Il percorso motivazionale tracciato dalla Corte si articola partendo dalla nozione di pena sostanziale, che deve riguardare entrambe le sanzioni previste, la sussistenza dell’idem factum nella sua dimensione storica ed infine la connessione tra i procedimenti elaborata nel caso A. e B. c. Norvegia. La pronuncia appare interessante nel richiedere la concomitanza di tutti i parametri elaborati, non ritenendo sufficiente a rispettare il principio de quo che il collegamento tra i procedimenti assicuri la proporzionalità della pena. Tale requisito infatti, seppur rivesta un ruolo primario in tal senso, così come confermato dalla recente giurisprudenza della CGUE in ossequio all’articolo 50 della CDFUE, non è da solo sufficiente ad esplicare l’agognata efficacia salvifica del sistema, dovendosi comunque porre in relazione alla connessione temporale tra i procedimenti. Sembra pertanto che il giudizio di compatibilità con l’art. 4 Prot. 7 CEDU si arricchisca progressivamente di contenuti, pervenendo ad una complessità tale da risultare difficilmente determinabile aprioristicamente ma atteggiandosi sempre più spesso ad una valutazione postuma che tenga sempre più conto degli elementi peculiari rinvenibili nel caso concreto. La complessità di tale valutazione sembra non essere sfuggita neppure alla stessa Corte che ha recentemente pubblicato una guida specifica, aggiornata al 31 dicembre 2019, con lo scopo di chiarire i risultati ermeneutici ravvisabili nella giurisprudenza convenzionale.

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Corte EDU, sez. II, sent. 16 aprile 2019, Bjarni Armannsson c. Islanda.

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Osservatorio europeo

Con tale documento vengono sintetizzati i vari criteri cui ancorare il giudizio di compatibilità con l’art. 4 Prot. 7 CEDU e definirne una tantum l’effettivo perimetro di operatività.

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Il nuovo reato di diffusione di immagini o video sessualmente espliciti Andrea Racca

Sommario: 1. La nuova fattispecie e il bene giuridico protetto. – 2. L’introduzione della norma. – 3. Il consenso del danneggiato. – 4 Circostanze aggravate.

1. La nuova fattispecie e il bene giuridico protetto. L’art. 10 della L. 19 luglio 2019 n. 69 (c.d. Codice Rosso) ha introdotto nel nostro codice penale la nuova previsione volta a reprimere la fattispecie di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, anche detta “revenge porn” o “revenge pornography”, espressione stante ad indicare la c.d. pornografia non consensuale, la cui locuzione inglese si riferisce in particolare alla c.d. vendetta mediante diffusione di materiale pornografico oppure abuso sessuale tramite immagini. Secondo la Polizia delle Comunicazioni il fenomeno in Italia sta raggiungendo picchi preoccupanti soprattutto nei giovanissimi ed uno studio del 2018 dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza in collaborazione col portale skuola.net ha rilevato che il 6% dei giovanissimi fra gli 11 e i 13 anni invia abitualmente proprie fotografie a sfondo sessuale. D’altro canto, il bene giuridico che si propone di tutelare la norma si ricollega anche alla sicurezza digitale con il pericolo che immagini personali della vittima vengano trafugate indebitamente mediante hacking sui dispositivi informativi della stessa. In ogni caso, il delitto è stato principalmente introdotto al fine di contrastare la tendenza di diffondere foto e video hard realizzate anche con il consenso dell’interessato, che vengono tuttavia diffuse senza autorizzazione dello stesso, andando quindi a ledere la privacy, la reputazione e la dignità della persona offesa. Il reato trova la sua collocazione sistematica nella sezione III, titolo XII, libro II del codice penale tra i delitti contro la libertà morale della persona, subito a seguito dell’art. 612-bis c.p. che punisce il delitto di atti persecutori, tanto da dare continuità alla tutela in particolar modo del gentil sesso avverso i comportamenti e le condotte volte a limitarne la libertà personale e psichica del soggetto, con intimidazioni di vario genere, tra cui si inserisce anche il revenge porn. L’art. 612-ter c.p.1, non prevede infatti la sola diffusione on line ma più in generale l’invio, la consegna, la cessione, la pubblicazione e la diffusione di materiale sessualmente esplicito in

Art. 612-ter del codice penale rubricato “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” I. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere 1 –


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qualsiasi forma, poiché l’effetto potenzialmente prodotto risulta quello di una violenza psicologica nei confronti della vittima, che comporta una violazione nella sfera dell’intimità e della dignità personale, che vengono compromesse con la diffusione. In particolare il delitto è stato definito, da alcuni autori, volgarmente “stupro virtuale” proprio perché con la diffusione di tale tipologia di immagini o video, si configurerebbe una plurima lesione ai beni giuridici che la norma intende proteggere, quali la libertà sessuale, la libertà di autodeterminazione, nonché la dignità e la reputazione personale2. Dalla casistica la condotta tipica risulterebbe infatti sempre la medesima: il contenuto pornografico viene condiviso sulle pagine social della persona offesa, oppure su pagine apposite o su siti tematici, oppure ancora inviato a conoscenti e familiari della vittima al fine di accrescerne il discredito sociale. Da questo punto di vista occorre, tuttavia, ammettere una distinzione tra il porn revenge e il sexting, quest’ultimo si basa infatti sulla libera volontà delle parti di scambiarsi messaggi con contenuti sessualmente espliciti, senza diffusione a terzi; condotta che non costituisce un illecito. Diversamente, quando il contenuto sessualmente esplicito viene divulgato a terzi senza il consenso di chi è ritratto, in questa ipotesi si realizza la condotta tipica e la sua gravità è graduata in base al pregiudizio arrecato nella diffusione e alle sue modalità (il terzo comma prevede l’aggravante specifica dello strumento informatico). L’autore del revenge porn è dunque colui il quale essendo in possesso dei contenuti sessualmente espliciti, li diffonde, pubblica o cede in modo indebito, vale a dire senza il consenso delle persone ritratte. Il reato di revenge porn non può pertanto essere commesso da chi ha realizzato direttamente la foto o il video in questione, oppure li ha ricevuti da colui che è rappresentato, e neppure da colui che l’ha ricevuto a sua volta e ne ha mantenuto il possesso e la disponibilità senza a sua volta averlo re-inviato. La legge punisce infatti la diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti, sottoponendo alla stessa pena sia chi ha diffuso il materiale perché lo aveva realizzato, sia chi entrato in possesso dei contenuti, contribuisca alla loro diffusione. La novella equipara dal punto di vista sanzionatorio sia chi ha realizzato o sottratto le immagini compromettenti e le ha diffuse, sia chi, ricevendo o acquistando le immagini o i video in que-

privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro. – II. La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. – III. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. – IV. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza. – V. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. Si procederà tuttavia d’ufficio nei casi di cui al quarto comma, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio. 2 R. Mancuso, Revenge porn: la nuova fattispecie di reato, Altalex, aprile 2019. «La collocazione sistematica dell’art. 612-ter all’interno del titolo XII, sezione III, dei delitti contro la libertà morale, suggerisce che il bene giuridico tutelato sia, in primis, la libertà di autodeterminazione dell’individuo. Tuttavia la fattispecie in esame è da considerarsi verosimilmente plurioffensiva, in quanto tutela altresì l’onore, il decoro, la reputazione e la privacy, nonché il c.d. “onore sessuale” della singola persona, attinente alla vita sessuale e alla reputazione di cui ella gode».

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stione a sua volta li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di danneggiarli o aumentarne la loro diffusione.

2. L’introduzione della norma. Occorre ricordare come il nuovo reato non era contemplato nella prima versione del disegno di legge presentata dal Governo3, tanto che l’art. 10, oggetto della presente disposizione, è stato successivamente aggiunto all’esito di due proposte emendative presentate dalle principali forze dell’opposizione nel corso dei lavori alla Camera, dopo prima una bocciatura dell’emendamento n. 1.17 avvenuta il 28 marzo u.s., duramente contestata dalle deputate proponenti, persino con l’occupazione dei banchi del Governo, poi approvato dopo ulteriore dibattito politico lo scorso 2 aprile, con alcune sostanziali modifiche. L’introduzione così approdata nella L. 19 luglio 2019 n. 694 prevede infatti diverse condotte commissive, che differiscono per le modalità con le quali l’autore del reato è entrato in possesso delle immagini e le ha poi successivamente divulgate: o perché ha contribuito alla realizzazione, o perché la ha sottratte alla vittima, o perché a sua volta le ha ricevute e ha contribuito alla diffusione. Per quanto riguarda tale ultima modalità, il problema si pone proprio sull’effettiva conoscenza da parte del “condivisore” della mancanza del consenso a monte da parte della vittima. L’elemento soggettivo del reato è modulato dal Legislatore a seconda dell’ipotesi delittuosa di cui al primo o al secondo comma dell’art. 612-ter c.p.: nel prima previsione il delitto è punito a titolo di dolo generico, essendo richiesta la sussistenza del dolo specifico solo per la realizzazione o sottrazione del contenuto pornografico; nella seconda ipotesi di invio, consegna o diffusione invece l’agente dovrà aver realizzato la condotta tipica proprio con il fine di ledere la persona rappresentata nelle immagini o nei video diffusi. Dal punto di vista dell’elemento materiale del delitto, nella fase della sua approvazione all’articolo in esame è stata eliminata la parte secondo cui «ai fini di cui al presente articolo, per immagini o video privati sessualmente espliciti si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di soggetti consenzienti, coinvolti in attività sessuali, ovvero qualunque rappresentazione degli organi sessuali per scopi sessuali, realizzati, acquisiti ovvero comunque detenuti in occasione di rapporti od incontri anche occasionali». Tale formulazione è stata tuttavia ritenuta superflua sulla base del contenuto generico del riferimento al sessualmente esplicito, che sarà sicuramente fonte di prossima esegesi giurisprudenziale, verificato come ad oggi le sentenze che richiamano il concetto, si riferiscono alla riproduzione di contenuti pornografici o pedo-pornografici, ovvero riproducenti atti sessuali o similare5. Per altro verso nel delitto in esame, l’esplicita connotazione sessuale non rappresenta infatti l’unico requisito richiesto, necessitando anche che le immagini o i video create in un contesto di riservatezza (quale

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D.d.l. n. 1200 Senato della Repubblica, approvato dalla Camera il 3 aprile 2019 “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” presentato dai Ministri Bonafede, Salvini, Trenta, Bongiorno, Tria. 4 Il 9 agosto è entrata in vigore la Legge 19 luglio 2019, n. 69 (G.U. n. 152 del 1.07.2019) , conosciuta come Codice Rosso, che ha introdotto modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. 5 In particolare: Cass. Pen. Sez. III n.8023/2017; Cass. pen. Sez. III 15158/2006; Cass. pen. Sez. III sent. 10981/2010.

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per esempio il legame tra partners), siano state estrapolate da questo contesto al fine di una diffusione a terzi, circostanza che integra elemento tipico del reato. Infatti un contenuto che doveva rimanere privato è invece stato diffuso senza il consenso del soggetto ritratto, creando così un pregiudizio all’integrità psico-reputazionale. Nell’ipotesi in cui il reo, pur non avendo conoscenza o rapporto diretto con la persona offesa, ma abbia contribuito alla diffusione per il semplice, ma non meno grave, fatto di aver rimandato dei contenuti a propria volta ricevuti, il reato risulta comunque integrato dall’invio o cessione o condivisione priva del requisito scriminante: ovvero il consenso del soggetto riprodotto. L’agente diffusore per andare esente da responsabilità dovrà infatti inerpicarsi sul difficile terreno della prova diabolica di aver concorso nella diffusione senza la conoscenza della mancanza del consenso, oppure senza coscienza di voler arrecare nocumento alla persona ripresa.

3. Il consenso del danneggiato. Al fine di andare indenne da responsabilità, il consenso del soggetto ritratto alla diffusione del materiale sessualmente esplicito dovrà infatti riguardare la diffusione indifferenziata con tutte le modalità previste dalla norma, proprio perché si tratta di condotta plurioffensiva. Secondo giurisprudenza ormai consolidata ai fini della validità del consenso prestato, questo deve essere manifesto, libero attuale e offerto da un soggetto capace d’intendere e volere, nonché dovrà riguardare un bene disponibile. A prescindere da qualsiasi questione sulla disponibilità del materiale pornografico, il consenso del soggetto integrerebbe di per sé la causa di non punibilità prevista dall’art. 50 c.p. in base al quale non sarebbe punibile chi lede o mette in pericolo un bene giuridico con il consenso della persona offesa. Peraltro, il problema diviene maggiormente complicato in caso di revoca di un consenso precedentemente prestato, poiché l’imputato per andare esente dovrà comunque dimostrare di aver avuto il consenso per ogni singola riproduzione o diffusione con qualsiasi mezzo del contenuto sessualmente esplicito, nonché per ogni destinatario dell’invio, tanto più in caso di revoca del consenso, dovrà dimostrare di aver cessato qualsiasi forma di condivisione a seguito del venir meno dell’autorizzazione. Indubbiamente questo onere alla prova risulta così gravoso per l’imputato, da operare come una presunzione iuris tantum in favore della vittima.

4. Circostanze aggravate. Per quanto riguarda infine le circostanze aggravanti previste dalla norma, la novella recupera in parte quelle previste dall’art. 612-bis c.p., in particolare nel terzo comma introduce il rapporto sentimentale e le modalità telematiche. Dal primo punto di vista il rapporto sentimentale pregresso o sussistente all’epoca del fatto, che legava l’autore del reato e la vittima, assume quale maggior disvalore, proprio in vista del legame, rimarcandone il tipico dolo di revenge, con un indubbio aumento del disvalore tra i generi, volto a umiliare e vendicare l’ex partner a seguito della rottura del rapporto sentimentale, oppure a mantenerlo in stato di soggezione durante il rapporto. La seconda aggravante è invece quella della diffusione mediante strumenti informatici o telematici, proprio per le potenzialità negative, che questi strumenti offrono alla diffusione del materiale pornografico raggiungendo un numero indeterminato di destinatari. Al pari del reato di diffamazione a mezzo di strumenti informatici, in particolar modo mediante i social network, ove recente giurisprudenza ha ritenuto assimilare tale condotta a quella sanzionatoriamente più grave prevista dal terzo comma dell’art. 595 c.p. (diffamazione

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a mezzo stampa)6, il documento potenzialmente producibile per la persona offesa si aggrava in ragione del fatto che tali contenuti pubblicati su social network o siti internet hanno una diffusione capillare e potenzialmente illimitata. Viene poi prevista una circostanza ad effetto speciale, con un aumento della pena da un terzo alla metà, qualora la vittima versi in stato di inferiorità psichica o fisica, oppure sia una donna in stato di gravidanza (non importa se al momento della riproduzione o della diffusione). Questa circostanza, che ricalca l’art. 612-bis c.p., si giustifica con la particolare condizione di necessaria protezione per la donna e per il feto, in vista di un potenziale nocumento a se stessa e al nascituro per una condotta che incide sulla propria integrità psico-fisica. Il quarto comma prevede, da ultimo, la condizione di procedibilità che risulta la querela di parte ma con termine di sei mesi dalla conoscenza del fatto, proprio in vista del bene giuridico in bilico tra la libertà sessuale e la libertà personale, con remissione solamente processuale nelle forme dell’art. 340 c.p., soprattutto per evitare che vi siano costrizioni o intimidazioni alla remissione soprattutto nei casi di precedenti rapporti sentimentali tra autore e vittima. La procedibilità resta invece d’ufficio nei casi aggravati previsti al quarto comma e qualora vi sia connessione con un reato più grave, e tanto più nell’ipotesi in cui la vittima non possa più sporgere querela. In conclusione, possiamo validamente affermare che la norma si inserisce pienamente nel c.d. Codice Rosso ovvero quello di tutelare maggiormente le donne dalla violenza di genere, che attraverso le più disparate modalità sono minacciate, perseguitate, stalkerizzate, vivendo così in contesti di soggezione e paura.

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Cass. Pen. Sez. I n.24431/2015 del 08.06.2015.

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I giudizi di low level of effectiveness del sistema AML/CFT maltese nelle considerazioni del Moneyval di Giampaolo Estrafallaces* Questo contributo è dedicato a Daphne Caruana Galizia (1964-2017). «A number of European institutions, both at a Council of Europe and EU level, have expressed concerns even with regard to the state of the rule of law in Malta, especially after a journalist who covered comprehensively the many “stories”, was killed», Malta Evaluation Report, Adopted by Groupe d’États contre la corruption – GRECO at its 82nd Plenary Meeting (Strasbourg, 18-22 March 2019).

Sommario: 1. Premessa. – 2. Le debolezze della valutazione nazionale e nella consapevolezza dell’esposizione al rischio. – 3. Low level of effectiveness. – 3.1. Supervision. – 3.2. ML investigation & prosecution. – 3.3. Confiscation. – 4. Perché i profili di effectiveness del sistema AML/CFT maltese interessano la giurisdizione Italiana. – 5. L’Attualità dei giudizi espressi nel mutual evaluation report (MER)

1. Premessa. Il 19 settembre 2019 il Gafi ha reso pubblico sul proprio sito il rapporto di mutual evaluation (d’ora innanzi MER) sul sistema maltese di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo (d’ora innanzi AML/CFT) redatto in seguito all’attività di assessment condotta dal Moneyval1.

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Consigliere senior della Banca d’Italia. Le opinioni espresse non impegnano l’istituto di appartenenza. Il MER è stato adottato da Moneyval nel corso della sessione plenaria tenutasi a Strasburgo dal 15 al 19 luglio 2019. In precedenza Malta era stata sottoposta a mutual evaluation, sempre da Moneyval nel 2012, secondo una metodologia diversa da quella attualmente in uso. Il Committee of experts on the evaluation of anti-money laundering measures and the financing of terrorism, più brevemente Moneyval, è un sottocomitato dell’European Committee on Crime Problems (CDPC) nell’ambito del Consiglio d’Europa. Moneyval, costituito a settembre del 1997, è competente per le politiche antiriciclaggio del Consiglio d’Europa e può rivolgere ai paesi aderenti specifiche raccomandazioni in materia AML/CFT. Nell’ambito dei propri compiti Moneyval ha quello di valutare le misure antiriciclaggio adottate dai paesi aderenti al Consiglio d’Europa diversi dai membri del GAFI 1


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Il rapporto, che tiene conto anche dei risultati emersi nel corso della on site visit condotta da 5 al 16 novembre 2018 attesta l’esigenza di miglioramenti del sistema AML/CFT maltese, in particolare sotto il profilo della effectiveness. Se, infatti, la maggior parte delle valutazioni degli assessors per i profili di technical compliance rispetto alle 40 Raccomandazioni si collocano nell’area dei giudizi positivi2, sotto il profilo di effectiveness la condizione del sistema AML/CFT maltese, attestata da nove giudizi in area negativa su undici complessivi, risulta largamente insoddisfacente. In particolare, gli assessors hanno ravvisato il raggiungimento dell’obiettivo (substantial level of effectiveness) in soli due casi su undici “Immediate outcomes”3, mentre nei restanti casi l’obiettivo non è stato conseguito (low level of effectiveness) o lo è stato solo in una certa misura (moderate level of effectiveness) richiedendo, pertanto, miglioramenti di notevole entità. Più precisamente, il livello pari a low è stato riscontrato con riferimento ai seguenti Immediate outcomes (d’ora innanzi IO): • IO 3: “Supervision”4. Tale obiettivo, in generale, si considera raggiunto nel momento in cui gli assessors accertano che i “supervisors” svolgono, in modo adeguato, la loro attività di supervisione, monitoraggio e regolamentazione sugli operatori finanziari e non finanziari. • IO 7: “ML investigation & prosecution”. L’obiettivo in parola è raggiunto quando i reati e le attività di riciclaggio sono sottoposti a indagini e coloro che li pongono in essere sono

Maggiori dettagli sono disponibili sul sito del Moneyval all’indirizzo https://www.coe.int/en/web/moneyval/home. Inoltre ulteriori informazioni in argomento possono essere acquisite anche sul sito del GAFI all’indirizzo http:// www.fatf-gafi.org/countries/#MONEYVAL. Va infatti tenuto presente che Moneyval è uno dei nove FATF-Style Regional Bodies (FSRBs). 2 Sono stati attribuiti trentuno giudizi di conformità piena o caratterizzata da lievi carenze e nove giudizi di conformità solo parziale. In nessun caso è stato attribuito un giudizio di “non conformità”. 3 Per una più completa disamina degli “Immediate outcomes” e, in generale, della metodologia di valutazione utilizzata dal GAFI si veda G. Estrafallaces, Antiriciclaggio: metodologia e procedure dell’attività di assessment del GAFI. Una sintesi del Mutual evaluation report (MER) sul sistema di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo della Repubblica popolare cinese, in questa rivista, numero 2 aprile-giugno 2019, p. 221. 4 Il termine “Supervision” in tale contesto viene tradotto con quello di “vigilanza” coerentemente al significato attribuitogli nella versione italiana delle “nuove” 40 Raccomandazioni del GAFI redatta dal MEF, consultabile sul sito http://www.dt.tesoro.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/prevenzione_reati_finanziari/prevenzione_reati_finanziari/RACCOMANDAZIONI_GAFI_2012_ITALIANO.pdf. Va premesso che nella terminologia del GAFI si fa una distinzione fra le “Supervisory authorities” e le “Competent authorities”. Queste ultime sono le autorità pubbliche preposte alla lotta contro il riciclaggio di denaro e/o contro il finanziamento del terrorismo. In particolare, il concetto include le FIU e le autorità investigative e giudiziarie competenti in materia di contrasto del riciclaggio di denaro, di reati presupposti, di finanziamento del terrorismo e di sequestro, di congelamento e di confisca dei proventi di reato. Fanno parte delle Competent authorities anche quelle autorità deputate a ricevere le comunicazioni in merito a operazioni di trasporto transfrontaliero di fondi o strumenti negoziabili al portatore (bearer negotiable instruments, BNIs), nonché quelle con compiti di supervisione in ordine al rispetto degli obblighi antiriciclaggio e di contrasto al terrorismo imposti agli intermediari finanziari e agli altri operatori. Non rientrano nel novero delle Competent authorities le associazioni professionali note come Self-regulatory body (SRB). Cfr. The FATF Recommendations, Glossary, p. 111. Le “Supervisory authorities” rispetto le “Competent authorities” comprendono anche soggetti non pubblici (nonpublic bodies) cui è demandata la responsabilità di far rispettare le regole AML/CFT. Quindi nel novero delle “Supervisory authorities” rientrano anche le associazioni professionali. Methodology for assessing technical compliance with the FATF Recommendations and the effectiveness of AML/CTF systems, General glossary, p. 172.

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perseguiti e condannati a scontare sanzioni efficaci, commisurate al reato perpetrato e con una portata dissuasiva nei confronti di potenziali emulatori5. • IO 8: “Confiscation”. L’obiettivo può considerarsi realizzato quando siano tempestivamente poste in essere misure di carattere provvisorio o definitivo dirette a privare coloro che hanno perpetrato i reati (sia in loco che all’estero) dei relativi proventi, degli strumenti per la loro realizzazione o di beni di valore equivalente al fine di rendere non redditizia l’attività criminosa. *** Pur ritenendo in una certa misura raggiunto l’obiettivo, gli assessors hanno comunque ritenuto necessari miglioramenti di notevole entità con riferimento ai seguenti Immediate outcomes: • IO 1: “Risk, policy and coordination”. L’obiettivo si presume raggiunto se gli assessors verificano la consapevolezza dell’esposizione ai rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo e la presenza di conseguenti azioni di contrasto poste in essere a livello nazionale in maniera coordinata. • IO 4: “Preventive measures”6. L’obiettivo è pienamente raggiunto quando agli assessors risulti che gli operatori finanziari, non finanziari e i Virtual Asset Service Provider applicano in maniera adeguata le misure preventive AML/CFT commisurate ai loro rischi e inoltrano le segnalazioni di operazioni sospette. • IO 5: “Legal persons and arrangements”. Tale obiettivo si considera conseguito quando viene impedito un uso improprio delle persone giuridiche e di altri legal arrangements7 per finalità di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo e le informazioni sui titolari effettivi sono disponibili per le “Competent authorities” senza limitazioni di sorta; • IO 6: “Financial intelligence”. In tale contesto l’obiettivo è quello di un utilizzo appropriato da parte delle “Competent authorities” delle informazioni finanziarie e, comunque, di tutte quelle pertinenti alle indagini sul riciclaggio e sul finanziamento del terrorismo; • IO 9: “Terrorist financing and prosecution”. Il raggiungimento di tale obiettivo richiede che il reato di finanziamento del terrorismo e le relative attività siano perseguite e punite mediante l’applicazione di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive; • IO 10: “Terrorist financing preventive measure and financial sanctions”. Per considerare raggiunto tale obiettivo gli assessors verificano che venga impedito ai terroristi, alle relative

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Sulla forza dissuasiva delle sanzioni il GAFI precisa nella guida metodologica pubblicata nel 2012 e rivista a ottobre 2019 che “Ultimately, the prospect of detection, conviction, and punishment dissuades potential criminals from carrying out proceeds generating crimes and money laundering.”, Methodology cit., Effectiveness assessment, Immediate outcome 7, p. 119. 6 Con l’espressione preventive measures si intendono le disposizioni adottate per adeguare la normativa nazionale alle indicazioni presenti nelle raccomandazioni 9 (Financial institution secrecy laws), 10 (Customer due diligence), 11 (Record keeping), 12 (Politically exposed persons), 13 (Correspondent banking), 14 (Money or value transfer services), 15 (New technologies), 16 (Wire transfers), 17 (Reliance on third parties), 18 (Internal controls and foreign branches and subsidiaries), 19 (Higher-risk countries), 20 (Reporting of suspicious transactions), 21 (Tipping-off and confidentiality), 22 (DNFBPs: Customer due diligence) e 23 (DNFBPs: Other measures). 7 “Legal arrangements refers to express trusts or other similar legal arrangements. Examples of other similar arrangements (for AML/CFT purposes) include fiducie, treuhand and fideicomiso.”, Methodology cit., General glossary, p. 170.

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organizzazioni e ai loro finanziatori la raccolta, il trasferimento e l’utilizzo di fondi nonché l’uso improprio di NPO (Non-Profit Organisation)8.

2. Le debolezze della valutazione nazionale e nella consapevolezza dell’esposizione al rischio. Le considerazioni svolte in premessa si collocano in un contesto caratterizzato da un esercizio di National Risk assessment (d’ora innanzi NRA) obsoleto9 e carente con specifico riferimento ad alcuni dei fattori sopra menzionati: a parere degli assessors, infatti, l’analisi dei rischi, condotta per la prima volta dalle autorità maltesi fra il 2013 e il 2014 e aggiornata nel 2018, sottovaluterebbe i rischi connessi all’utilizzo improprio di persone giuridiche e legal arrangements, il rischio legato al contante10, nonché i riflessi delle nuove tecnologie in materia di AML/CFT11. Al riguardo va tenuta presente la singolarità delle circostanze che hanno accompagnato l’attività di assessment in quanto il rapporto NRA finale (2018) è stato classificato dalle autorità maltesi come “riservato” e, pertanto, non è stato fornito al team di valutazione prima della on site visit come invece previsto dalla metodologia del GAFI. Al suo posto le autorità maltesi hanno fornito due documenti, uno intitolato “National Risk Assessment Executive Summary” e l’altro “Results of the ML/FT National Risk Assessment”.

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La definizione di Non-Profit Organisation è contenuta nel glossario specificamente predisposto per la Raccomandazione 8. In tale ambito la natura di NPO viene riconosciuta a “a quella persona giuridica, associazione o organizzazione principalmente impegnata nella raccolta e erogazione di fondi per scopi di beneficenza, religiosi, culturali, educativi, sociali o di fratellanza, o per la realizzazione di altri tipi di opere caritatevoli” (trad. dell’a.). The Fatf Recommendations, Interpretive note to Recommendation 8, p. 57. 9 «The assessment team is concerned that the demonstrated and communicated risk understanding in several areas is already very out-of-date», Anti-money laundering and counter-terrorist financing measure. Malta. July 2019, Chapter 2, National AML/CFT policies and coordination, Immediate Outcome 1 (Risk, Policy and Coordination) Country’s understanding of its ML/FT risks, paragraph 88, p. 32. Gli assessors hanno ammesso che comunque è stato sostanzialmente impossibile valutare l’effettiva utilità per gli operatori maltesi dei risultati dell’NRA in quanto, al momento della on site visit, i risultati di tale analisi erano stati appena pubblicati (ottobre 2018) e quindi gli operatori non avevano potuto giovarsene. «The private sector has not used the results of the risk assessment for revisiting their relevant policies, procedures and controls. This is mainly due to the results of the NRA being first communicated to private sector entities in late October 2018», Anti-money laundering cit., Executive summary, Overall Level of Effectiveness and Technical Compliance, paragraph 13, p.10. 10 Sebbene il contante sia ampiamente utilizzato a Malta (si stima che quello in circolazione rappresenti circa il 25 per cento del PIL) il rapporto NRA del 2018 non contiene alcun dettaglio in merito alle dimensioni del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo mediante l’uso di contante. Il limite al trasferimento di contante è stato di recente ridotto da 15.000 euro a 10.000 euro. 11 «The authorities have demonstrated a broad understanding of the vulnerabilities within the AML/CFT system (particularly the regulated sectors), but a number of important factors, particularly FT, legal persons and arrangements, the use of new and developing technology and the use of cash appear to be insufficiently analysed or understood», Anti-money laundering cit., Executive summary, Overall Level of Effectiveness and Technical Compliance, paragraph 6, p. 9.

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A giudizio degli assessors questi documenti non contenevano dettagli sufficienti per consentire una valutazione dell’adeguatezza del processo di NRA, della completezza dei dati e delle informazioni analizzate, né in merito alla ragionevolezza delle conclusioni formulate dalle autorità nazionali12. Queste ultime hanno dimostrato di non conoscere in maniera uniforme i rischi connessi ai diversi settori: in particolare, le autorità e, maggiormente la FIU maltese, avrebbero una buona conoscenza dei rischi relativi al settore bancario, a quello dei prestatori di servizi a società e trust e dei giochi a distanza, ma una conoscenza meno approfondita dei rischi connessi a tutti gli altri settori come quelli degli avvocati, dei commercialisti, dei money transfer nonché dei soggetti che operano nel comparto dei titoli, in quello delle assicurazioni e in quello immobiliare. Inoltre, le autorità maltesi avrebbero seguito un approccio non adeguatamente approfondito nella valutazione del rischio di finanziamento del terrorismo cui il paese sarebbe esposto13. Più precisamente gli assessors, sebbene non abbiano fatto alcun riferimento a una eventuale sottovalutazione di tale rischio (tra l’altro valutato dalle autorità maltesi di livello medioalto) hanno rilevato un problema di metodo in quanto non sarebbero sufficientemente chiari i fattori posti a fondamento del giudizio formulato, il quale sembrerebbe in gran parte fondato, piuttosto che su un’analisi dettagliata di statistiche, tendenze o attività, su un atteggiamento volutamente cauto delle autorità maltesi e sulla mera considerazione della posizione geografica di Malta. Al contrario, gli assessors hanno evidenziato che nella valutazione del livello di rischio di finanziamento del terrorismo si sarebbe dovuto tener conto di alcune ben precise problematiche come quella del cash smuggling, delle voluntary organisation (specie quelle non registrate)14 nonché degli aspetti connessi all’Individual Investor Programme (IIP)15.

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Durante la on site visit, al team di valutazione è stata offerta solo l’opportunità di prendere visione dell’intero rapporto di NRA senza che ne fosse fornita copia. 13 «…the assessment of FT risks in the NRA is largely superficial», Anti-money laundering cit., Chapter 2, National AML/CFT policies and coordination, Immediate Outcome 1, paragraph 103, p. 34. 14 Sebbene nella legislazione maltese l’espressione “Voluntary Organisations” (VOs) assuma un significato più ampio di quello utilizzato dal GAFI con riferimento alle organizzazioni senza scopo di lucro (NPOs) larga parte dei VOs maltesi rientra nella definizione del GAFI di NPO: si tratta in sostanza di organizzazioni costituite per ricevere o erogare fondi finalizzati al perseguimento di uno scopo sociale. La maggior parte dei VOs a Malta sono organizzazioni create per promuovere hobby, attività sportive o sociali e culturali. Nel 2018, risultavano iscritti nell’apposito registro curato dal Commissioner for Voluntary Organisations (CVO) circa 1600 VOs. Anti-money laundering cit., Chapter 1, ML/TF Risk and Context, Background and other Contextual Factors, Legal persons and arrangements, paragraph 76, p. 29. 15 In tal senso Anti-money laundering cit., Chapter 1, Immediate Outcome 1 (Risk, Policy and Coordination), Country’s understanding of its ML/FT risks, paragraph 104, p. 34. L’IIP, acronimo di Individual Investor Programme, è un programma avviato nel febbraio 2014 che consente ai cittadini di paesi terzi di ottenere la cittadinanza maltese al realizzarsi di una serie di condizioni fra le quali: a) il versamento di euro 650.000 al fondo nazionale maltese “National Development and Social Fund (NDSF)”; b) la proprietà di un immobile ad uso residenziale a Malta del valore non inferiore a euro 350.000 o l’aver affittato un immobile per un canone annuo non inferiore a euro16.000. Detta proprietà deve essere mantenuta dal richiedente per un periodo di almeno 5 anni dalla data di acquisto o locazione; c) l’aver risieduto a Malta per almeno 12 mesi;

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In argomento risulta comunque assai preoccupante quanto rilevato dagli stessi estensori del rapporto di NRA laddove si sottolinea la mancanza di un’attività di formazione a carattere continuativo destinata alle autorità stesse in tema di finanziamento del terrorismo e di proliferazione delle armi di distruzione di massa16. Infine, un ulteriore indice della sostanziale debolezza dell’azione di contrasto del finanziamento del terrorismo è stato individuato nel numero limitato di indagini di polizia avviate al riguardo. Conseguentemente nel MER si raccomanda alle autorità maltesi di impegnarsi prioritariamente per migliorare la comprensione dei rischi, delle minacce e delle vulnerabilità che caratterizzano il sistema economico nazionale17 suggerendo al riguardo azioni ben precise. Queste ultime appaiono illuminanti delle carenze riscontrate: in particolare, fra le esigenze che le autorità maltesi sono state invitate a soddisfare vi è quella di utilizzare dati statistici aggiornati nella conduzione dell’analisi dei rischi18, quella di sviluppare la conoscenza di quei reati che, perpetrati all’estero, generano provvista oggetto di riciclaggio a Malta19, quella di valutare in maniera dettagliata la minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata e di analizzare le implicazioni intercorrenti fra il riciclaggio/finanziamento del terrorismo e i reati di evasione fiscale e corruzione. Riguardo questi ultimi è opportuno svolgere alcune considerazioni: va in primo luogo considerato che gli estensori del rapporto di NRA del 2018 hanno riconosciuto che comportamenti di tipo corruttivo (corruption/bribery) rappresentano per il sistema economico maltese una minaccia di livello medio-alto (“Threat level of ML”) e dunque una rischiosità inferiore rispetto

d) aver investito e detenuto per un periodo di almeno 5 anni euro 150.000 in azioni, obbligazioni, special porpouse vehicles identificati di volta in volta dalla Malta Individual Investor Programme Agency (MIIPA). Questo programma ha portato, nel corso di 5 anni di attività, alla concessione della cittadinanza maltese a circa 3.000 persone. I controlli sui richiedenti e sul loro “background” sono effettuati dalla Malta Individual Investor Programme Agency (MIIPA) con il contributo della FIAU e delle forze dell’ordine. In argomento, mentre il settore privato reputa elevati i rischi associati al programma e ai relativi investimenti, le autorità maltesi in sede di NRA non hanno condotto alcuna specifica valutazione né sono state fornite indicazioni specifiche sugli adempimenti da porre in essere per controllare l’origine dei fondi e del patrimonio dei richiedenti. 16 «…the lack of systematic training of the competent authorities», Anti-money cit., Chapter 4, Terroristic financing and financing of proliferation, Immediate Outcome 9 (FT investigation and prosecution) Prosecution/conviction of types of FT activity consistent with the country’s risk-profile, paragraph 260, p. 72. 17 «Malta should, as a matter of priority, take action to improve the national understanding of risks, threats and vulnerabilities…», Anti-money laundering cit., Chapter 2, National AML/CFT policies and coordination, Recommended Actions, p. 30. 18 Secondo il team di valutazione, il rapporto finale NRA (2018) contiene alcune analisi basate su statistiche vecchie di 4 o 5 anni. Ad esempio, il rapporto includerebbe valutazioni su rischi connessi a alcuni prodotti e servizi, che si basano su dati relativi alle segnalazioni di operazioni sospette e sanzioni risalenti al periodo 2011-2013. Egualmente per le informazioni sul finanziamento del terrorismo e per le relative indagini. 19 «ML threat is considered to be driven primarily by the threat of foreign proceeds of crime, but there is no analysis of the main predicate offences associated with foreign proceeds of crime…», Anti-money laundering cit., Chapter 2, National AML/CFT policies and coordination, Immediate Outcome 1 (Risk, Policy and Coordination) Country’s understanding of its ML/FT risks, paragraph 95, p. 33.

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a quella connessa a eventuali episodi di evasione fiscale e alle attività riconducibili a forme di criminalità organizzata cui è, invece, riconosciuto un livello di rischio “alto”20. Tuttavia, dal complesso delle indicazioni fornite dagli assessors emerge, a prescindere dal livello di rischio individuato, una sostanziale sottovalutazione della minaccia rappresentata da fenomeni corruttivi, in particolare di quelli definiti di “alto livello”. Tanto si desume dall’affermazione contenuta in esordio nel MER, laddove si sottolinea che «Il team di valutazione non è convinto che le forze dell’ordine siano in grado di indagare e perseguire in modo efficace e tempestivo casi complessi e di alto livello di riciclaggio connessi a reati di…corruzione e concussione»21 (trad. dell’a.). Sull’argomento ritorna ancora il MER laddove si sottolinea la sostanziale inefficacia dell’azione di contrasto dei fenomeni corruttivi evidenziando che «gli assessors hanno ricevuto le sintesi relative a alcune indagini, ma non le prove di recenti procedimenti giudiziari completati con successo per riciclaggio di proventi di corruzione»22 (trad. dell’a.). Per inciso, considerazioni sulla situazione preoccupante dello Stato Maltese con riferimento alla minaccia rappresentata da comportamenti corruttivi, sono presenti anche nell’evaluation report pubblicato il 3 aprile 2019 dal Groupe d’États contre la corruption (GRECO)23: in tale contesto viene evidenziata la percezione di un peggioramento della situazione maltese facendo riferimento al corruption perceptions index elaborato da Transparency International24 che ha visto Malta retrocedere nel 2018 dal 46° posto al 51°. Fra le raccomandazioni formulate in chiusura dell’evaluation report dal Groupe d’États contre la corruption, figurano numerosi riferimenti all’opportunità di presidiare l’attività riconducibile a top executive functions limitando la nomina di “persone di fiducia” e, comunque, di

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In tal senso Anti-money laundering cit., Chapter 3, Legal system and operational issues Immediate Outcome 7 (ML investigation and prosecution) ML identification and investigation Consistency of ML investigations and prosecutions with threats and risk profile, and national AML policies, paragraph 205-206, p. 56. 21 «The assessment team is not convinced that the law enforcement authorities are currently in a position to effectively and in a timely manner investigate and prosecute high-level and complex ML cases related to financial, bribery and corruption offences», Anti-money laundering cit., Executive summary, Key findings, p. 7. 22 «Bribery and corruption are considered by the Maltese authorities to present a medium-high treat of ML. The assessors have been provided with summaries of some investigations, but not with evidence of recent successfullycompleted prosecutions for ML of corruption proceeds», Anti-money laundering cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 7 (ML investigation and prosecution) ML identification and investigation, Consistency of ML investigations and prosecutions with threats and risk profile, and national AML policies, paragraph 213, p. 59. 23 «A number of European institutions, both at a Council of Europe and EU level, have expressed concerns even with regard to the state of the rule of law in Malta…», Groupe d’États contre la corruption – GRECO, Malta Evaluation Report, Executive summary, paragraph 2, p. 4. Il report è disponibile all’indirizzo https://rm.coe.int/ grecoeval5rep-2018-6-fifth-evaluation-round-preventing-corruption-and-/168093bda3. Maggiori informazioni sul Groupe d’États contre la corruption sono disponibili sul sito https://www.coe.int/en/ web/greco/about-greco. 24 Transparency International pubblica annualmente una classifica di 180 paesi sulla base del livello di corruzione percepita nel settore pubblico mediante l’attribuzione di un punteggio da 0 (molto corrotto) a 100 (per niente corrotto). Su tale indice e su alcune riflessioni effettuate dall’A.N.A.C. si veda anche anche G. Estrafallaces, Il concetto di Persona Politicamente Esposta (PEP): dalle indicazioni del GAFI e dell’Unione Europea al recepimento della IV Direttiva Antiriciclaggio, Diritto Bancario on line, agosto 2017.

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nomine discrezionali25 e di imporre per le top executive functions requisiti più stringenti anche in tema di conflitti di interesse.

3. Low level of effectiveness. 3.1. Supervision. Come anticipato in premessa gli assessors hanno formulato un giudizio particolarmente negativo riguardo l’efficacia del sistema maltese di “vigilanza” AML/CFT. Le principali (ma non le sole) componenti di tale sistema sono le seguenti: • FIAU (Financial Intelligence Analysis Unit), l’Unità di informazione finanziaria maltese; • MFSA (Malta Financial Services Authority)26; • MGA (Malta Gaming Authority)27; • Malta Police Force; • MSS (Malta Security Service)28; • ARB (Asset Recovery Bureau). In generale, è emerso che la FIAU disporrebbe di risorse umane e tecniche inadeguate rispetto a dimensioni, complessità e profili di rischio connessi all’attività degli operatori finanziari29 sia di quelli non finanziari.

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«…persons of trust and to limit the number of such discretionarily appointed officials», Groupe d’États contre la corruption – GRECO, Malta Evaluation Report, Executive summary, paragraph 2, p. 4, Recommendations and follow-up, p. 53. 26 L’MFSA è l’autorità maltese di regolamentazione del comparto degli intermediari finanziari comprensivo delle banche, degli altri intermediari finanziari, degli istituti di moneta elettronica, delle società di intermediazione mobiliare, delle assicurazioni, dei fondi pensione e dei prestatori di servizi relativi a società e trust. L’MFSA è anche l’autorità competente con riferimento ai soggetti quotati (Listing Authority) ai sensi delle disposizioni sui mercati finanziari nonché “Autorità di risoluzione” ai sensi delle norme applicative delle Direttiva UE 2014/59. I controlli antiriciclaggio, ivi incluse le ispezioni, sugli intermediari finanziari e sui fornitori di servizi a società e trust sono decisi dalla MFSA ma condotti da questa congiuntamente con la FIAU mentre i controlli sugli operatori non finanziari (Designated Non-Financial Businesses and Professions) sono condotti esclusivamente dalla FIAU ad eccezione degli operatori di gioco che sono controllati a fini AML/CFT sia dalla MGA che dalla FIAU. Infine, circostanza di non poco rilievo, l’MFSA ha il compito di gestire il registro dei titolari effettivi di trust gestiti da trustee autorizzati ai sensi della legge maltese. 27 L’MGA è l’ente regolatore di tutte le attività di gioco (sia offerte da remoto che in presenza). Nell’ambito di tale ruolo è chiamata a supportare la FIAU per i profili AML/CFT con riferimento ai fornitori di servizi di gioco e può svolgere, congiuntamente o per conto della FIAU, controlli cartolari e ispettivi sui soggetti che rientrano nella sua competenza. 28 Al Malta Security Service (MSS), il servizio di sicurezza di Malta, è riservato il compito di prevenire i reati più gravi e assicurare la protezione della sicurezza nazionale, in particolare per quanto riguarda il crimine organizzato, lo spionaggio, il terrorismo e, in generale, contrastare le minacce alla sicurezza nazionale e alla democrazia. A tal fine l’MSS svolge il suo ruolo di prevenzione dei reati gravi attraverso la raccolta e lo scambio di informazioni con le forze dell’ordine e altre autorità competenti, tra cui anche la FIAU. 29 Secondo i dati raccolti dal team di valutazione le attività bancarie ammonterebbero a 4,7 volte il valore del PIL del paese, mentre complessivamente il settore finanziario sarebbe il secondo più grande dell’UE (dopo il Lussemburgo) in rapporto alle dimensioni dell’economia.

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Oltre a ciò, altri fattori hanno generato dubbi negli assessors circa le reali capacità della FIAU di svolgere le funzioni affidatele30: fra queste gli assessors hanno principalmente rilevato un processo di analisi giudicato troppo lungo31, la limitata attività di diffusione (dissemination) delle informazioni verso gli organi investigativi32, l’assenza di successivi feedback da questi ultimi alla FIAU nonché la constatazione che l’analisi strategica condotta dalla FIAU sia stata di scarsa utilità per i soggetti interessati (stakeholders)33. A ciò si è aggiunto, quale rilievo mosso dal team di valutazione, che la FIAU utilizzerebbe un modello per definire frequenza e tipologia dei controlli cartolari e ispettivi che non tiene adeguatamente conto del livello di rischio del soggetto sottoposto a controllo34. Al riguardo, sebbene la FIAU sin dal 2012 abbia imposto ai destinatari degli obblighi antiriciclaggio la redazione di una relazione annuale (Annual Compliance Report, ACR) al fine di pervenire a una migliore comprensione dei rischi, i risultati di tale relazione sono stati giudicati dal team di valutazione scarsamente utili in quanto le domande standard cui i destinatari sono chiamati a rispondere sono state definite dagli assessors “rudimentary” perché non sarebbero diversificate a seconda del settore e della tipologia del soggetto destinatario, né del tipo di prodotto o servizio offerto. Oltretutto gli assessors hanno anche rilevato come molti operatori finanziari abbiano disatteso l’obbligo di redazione dell’ACR, circostanza che potrebbe aver pesato non poco sul giudizio negativo formulato nel MER per il profilo di “Supervision” unitamente alla circostanza che l’estrapolazione dei dati contenuti nelle ACR e la conseguente formulazione dei giudizi abbia richiesto una notevole dose di manualità. Al contrario gli assessors hanno giudicato più utile il contenuto di un questionario predisposto in tema di AML/CFT dall’MFSA proprio perché quest’ultimo contiene domande sul tipo di prodotti/servizi offerti alla clientela, sui canali di distribuzione, su volumi e valori, sul sistema dei controlli interni, nonché domande sull’operatività con paesi giudicati ad alto rischio. Tali

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Va tuttavia tenuto presente che il team di valutazione ha sottolineato che i funzionari della FIAU svolgono i compiti loro assegnati liberamente e senza essere sottoposti a influenze esterne. «The FIAU officers perform their functions freely and objectively without undue influence», Anti-money laundering cit., Executive summary, Overall Level of Effectiveness and Technical Compliance, paragraph 16, p. 10. 31 Il processo di analisi delle operazioni analizzate come sospette dura – dal momento in cui la segnalazione perviene alla FIAU a quello dell’inoltro della relazione agli organi investigativi – circa 7-12 mesi. Secondo il team di valutazione ciò sarebbe imputabile a una serie di adempimenti di carattere formale che devono essere rispettati nel corso del processo di analisi, alla mancanza di accesso diretto da parte della FIAU ad alcuni dati necessari alle valutazioni di competenza, all’assenza di criteri chiari e dettagliati per la conduzione dell’analisi, nonché alla mancanza di risorse umane. L’intero processo di lavorazione delle segnalazioni di operazioni sospette viene appesantito dall’assenza di adeguate risorse informatiche e dalla circostanza che le segnalazioni di operazioni sospette siano assegnate all’analista in forma cartacea. 32 Va tenuto presente che la FIAU, nell’arco temporale compreso fra il 2014 e il 2018, ha ricevuto circa 3.250 segnalazioni di operazioni sospette, fornendo informazioni in circa 1.560 casi, prevalentemente non alle forze dell’ordine locali ma a FIU straniere. 33 In tal senso Anti-money laundering cit., Executive summary, Overall Level of Effectiveness and Technical Compliance, paragraph 16, p. 10. 34 «The FIAU and sectorial supervisors should review their existing inspection model and introduce a coherent and comprehensive graduated risk-based supervisory model, which demonstrates how ML/FT risk-ratings drive the frequency, scope and nature of supervisory onsite/offsite inspections», Anti-money laundering cit., Chapter 6, Supervision, Key Findings and Recommended Actions, p. 95.

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informazioni sono state integrate dall’MFSA ai fini della valutazione del rischio del soggetto intervistato con dati e notizie provenienti da altre fonti, ivi incluse quelle raccolte dalla FIAU35. Quanto all’attività post ispettiva, dalle informazioni fornite dagli operatori sottoposti agli obblighi antiriciclaggio è emerso che il feedback post ispettivo talvolta non sarebbe pervenuto o sarebbe stato fornito dalla FIAU con un ritardo tale da renderlo scarsamente utile36. Tra l’altro al team ispettivo è parso che gli interventi della FIAU a valle dell’attività di controllo si siano focalizzati sulla mera irrogazione di sanzioni pecuniarie più che sulla richiesta di interventi correttivi su profili di governance e dei controlli interni37. Peraltro, la circostanza che le sanzioni comminate fossero al momento della on site visit, ancora sub iudice e che nessuna sanzione fosse destinata a componenti del senior management delle entità sanzionate ha indotto gli assessors a ritenere che l’apparato sanzionatorio maltese manchi sia di efficacia che di forza dissuasiva38. Dai colloqui intercorsi fra gli assessors e i rappresentanti del settore privato è emerso che, più che l’azione degli organi di supervisione maltesi, un impatto positivo in un’ottica di derisking ha sortito la decisione di alcune banche estere di subordinare la prosecuzione delle relazioni con le loro corrispondenti maltesi all’impegno da parte di queste ultime di astenersi dall’intermediare pagamenti connessi al settore dei giochi, a quello delle criptovalute e a clienti IIP, oltre che alla possibilità di effettuare ispezioni sulle stesse corrispondenti maltesi. Tra l’altro il giudizio formulato dagli assessors in merito alla sostanziale inefficacia dell’apparato statale di “vigilanza” parrebbe implicitamente accettato dalle stesse autorità maltesi che già al momento della on site visit avevano avviato un piano di potenziamento dell’azione di supervisione i cui effetti, tuttavia, non si sono potuti apprezzare pienamente in quanto tale piano secondo le informazioni fornite, dovrebbe essere completato entro il primo trimestre del 2020.

3.2. ML investigation & prosecution. Per quanto riguarda l’attività investigativa in materia di ML/FT (di competenza della Malta Police Force) e quella giudiziaria, gli assessors hanno evidenziato come l’attenzione si sia sostanzialmente concentrata sul versante della repressione dei reati presupposto (principalmente

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«This information was integrated in the risk assessment of subject persons, together with other sources of information such as information sourced from the analysis section of the FIAU», Anti-money laundering cit., Chapter 6, Supervision, Immediate Outcome 3 (Supervision) Supervisors’ understanding and identification of ML/FT risks, paragraph 428, p. 103. 36 «During the interviews with the private sector, it became apparent that written feedback from the FIAU was issued so long after the date of the inspection it was no longer considered relevant; in some cases subject persons had not received any written feedback after an on-site inspection», Anti-money laundering cit., Chapter 6, Supervision, Immediate Outcome 3 (Supervision), Remedial actions and effective, proportionate, and dissuasive sanctions, paragraph 449, p. 109. 37 «…the FIAU’s primary focus in the past has been to issue pecuniary fines for breaches of AML/CFT requirements, and only in a limited number of cases did the FIAU assess whether there are systemic deficiencies with a subject person’s AML/CFT governance and internal control framework, and apply the necessary remediation measures», Anti-money laundering cit. Chapter 6, Supervision, Immediate Outcome 3, Supervisors’ understanding and identification of ML/FT risks, paragraph 441, p. 106. 38 «No sanctions had been applied on a subject person’s senior management. Therefore, the sanctions are not considered effective, proportionate and dissuasive», Anti-money laundering cit., Chapter 6, Supervision, Immediate Outcome 3, Remedial actions and effective, proportionate, and dissuasive sanctions, paragraph 447, p. 109.

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frode, reati connessi all’utilizzo di sostanze stupefacenti e furto) più che sul reato di riciclaggio in sé considerato. Le indagini sono limitate a episodi “domestici” di riciclaggio senza una visione transnazionale, tendenza che sembrerebbe attestata dal numero limitato di richieste di informazioni rivolte a autorità estere (appena 24 dal 2014 a novembre 2018). Al riguardo colpisce come nessuna delle richieste di informazioni inoltrate abbia riguardato episodi di corruzione considerato che gli assessors hanno rilevato che lo stesso NRA di Malta sottolinea come le segnalazioni di operazioni sospette attinenti a casi di corruzione riguardino cittadini stranieri «per i quali è stato ipotizzato l’uso di società e di conti bancari a Malta per riciclare proventi di corruzione»39 (trad. dell’a.). Inoltre, gli approfondimenti investigativi sulle persone giuridiche non sono stati giudicati adeguatamente accurati, specie in presenza di strutture complesse40. In ogni caso, nello svolgimento dell’attività investigativa, all’approfondimento degli aspetti finanziari sarebbe stata riservata un’importanza secondaria, almeno fino alla istituzione nel mese di agosto 2018 dell’Asset Recovery Bureau (ARB, v. infra, “Confiscation”) cui è stato affidato l’incarico di rintracciare, custodire, amministrare e riallocare i proventi dei reati e dei beni utilizzati per la perpetrazione degli stessi. In generale, le risorse assegnate all’attività investigativa e giudiziaria sono risultate a giudizio degli assessors non adeguate41 ed è stata rimarcata ai fini di una maggiore efficienza delle attività di contrasto del riciclaggio la necessità di separatezza fra chi è chiamato a svolgere compiti investigativi e chi svolge l’attività giudiziaria42. In tale direttrice si colloca l’annuncio fatto dalle autorità maltesi in ordine alla istituzione entro la prima metà del 2020 di un dipartimento di polizia specificamente dedicato ai reati di tipo finanziario cui verrà assegnato un organico di 100 unità e al quale si accompagnerà anche l’istituzione di un ufficio del pubblico ministero deputato ad occuparsi di tale tipo di delitti.

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«(in) the vast majority of cases subject to FIAU analysis, the subjects were foreign nationals who were believed to have used Maltese companies and bank accounts to launder the proceeds of corruption», Anti-money laundering cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 7 (ML investigation and prosecution), Consistency of ML investigations and prosecutions with threats and risk profile, and national AML policies, paragraph 213, p. 59. 40 «Investigations appear to be limited to front persons and do not go beyond or through complex corporate structures», Anti-money laundering cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 7 (ML investigation and prosecution) ML identification and investigation, paragraph 201, p. 55. 41 Al riguardo basti pensare che all’interno della polizia maltese la responsabilità per le indagini sui crimini di carattere economico spetta alla Economic Crimes Squad che ha al suo interno un settore denominato AMLU (Anti Money Laundering Unit) con il compito di indagare i casi più complessi di riciclaggio, mentre gli altri sono di competenza delle unità di polizia incaricate di indagare sui reati presupposti. Al momento della on site visit la Economic Crimes Squad era composta in tutto da 13 poliziotti (di cui due inseriti nella AMLU) e due analisti. 42 «Investigators and prosecutors will however need adequate resources and possibly changes in the legal system (e.g. as regards the double role of investigator and prosecutor vested in the same person) in order to have this translated in a more effective investigation and prosecution of ML», Anti-money laundering cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 7 (ML investigation and prosecution) ML identification and investigation, paragraph 204, p. 56.

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Inoltre gli assessors hanno rilevato che il numero dei procedimenti giudiziari per riciclaggio, tra l’altro quasi mai avviati sulla base di una relazione della FIAU, rimane molto basso43 e risultano del tutto assenti indagini e procedimenti giudiziari nei confronti di professionisti eventualmente utilizzati per costituire strutture societarie complesse per finalità di evasione fiscale o di riciclaggio, circostanza in contraddizione con quanto osservato dalle stesse autorità maltesi nell’NRA circa «una crescita di organizzazioni criminali straniere che utilizzano strutture aziendali istituite a Malta da professionisti maltesi che usano società finanziarie e del comparto dei giochi per dare un aspetto legittimo a fondi di origine illecita»44 (trad. dell’a.). Peraltro, sebbene l’attività di gruppi criminali organizzati maltesi venga indicata come minaccia di livello “alto”, agli assessors non è stata fornita alcuna informazione circa l’adozione di strategie o la conduzione di azioni preventive contro tali organizzazioni, a parte alcune notizie su azioni di contrasto del traffico di droga o di petrolio. Un ulteriore aspetto di debolezza del sistema maltese è stato individuato con riferimento al riciclaggio di proventi da violazioni di carattere fiscale: queste ultime rientrano nella competenza di una specifica autorità amministrativa, il Commissioner for Revenue, la cui attività parrebbe tuttavia focalizzarsi sul recupero dell’imposta evasa e sull’incasso dei relativi importi dovuti a titolo di sanzione pecuniaria, mentre quasi mai all’accertamento di violazioni di carattere fiscale seguirebbe un’indagine di polizia e un procedimento penale, anche in ragione della norma che impone il segreto d’ufficio per le informazioni in possesso del Commissioner for Revenue e che tale garanzia potrebbe essere derogata solo con l’intervento del Primo Ministro. Tra l’altro, l’assenza di indagini penali per evasione fiscale, pur se quest’ultima è stata identificata come uno dei principali rischi di riciclaggio nell’ambito dell’NRA45 ha anche un effetto diretto sul regime di confisca (v. infra “Confiscation”): infatti nessuna somma o bene è stato confiscato a Malta nel periodo dal 2014 al 2018 in relazione a casi di evasione fiscale.

3.3. Confiscation. La materia della confisca dei proventi delle attività criminose – già oggetto di un giudizio assai negativo nel precedente assessment di dicembre 2012 – è stata interessata da un inter-

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Dal 2014 al 2018 i procedimenti penali per riciclaggio sono stati 27 e i nominativi condannati sono stati 26, tutti appartenenti a persone fisiche. Nella maggior parte dei casi i reati presupposto erano quelli di frode/appropriazione indebita (10) e traffico di stupefacenti (13). Tale circostanza viene citata dal team di valutazione in quanto contradirebbe quanto riportato nel “Results of the ML/FT National Risk Assessment” dal quale si desume che l’evasione fiscale e l’attività di gruppi criminali organizzati maltesi rappresentano minacce connotate da un rischio “alto”, mentre la frode/appropriazione indebita e il traffico di stupefacenti costituirebbero una minaccia di livello “medio-alto. 44 «A growth of foreign OCGs who use corporate structures set up in Malta by Maltese professionals who use licensed companies in the financial and gaming sector to give an appearance of legitimacy to funds of illicit origin», Anti-money laundering cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 7 (ML investigation and prosecution), Consistency of ML investigations and prosecutions with threats and risk profile, and national AML policies, paragraph 212, p. 58. 45 Secondo l’NRA, l’evasione fiscale sarebbe pari a circa il 5 per cento del PIL (rispetto a una media OCSE di circa il 3 per cento.

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vento normativo del 1° ottobre 2017 istitutivo dell’Asset Recovery Bureau (ARB) il cui compito è quello di individuare e gestire i proventi dell’attività criminosa46. In precedenza il compito di rintracciare e gestire i beni sequestrati a fronte della commissione di reati era affidato all’Asset Management Unit (AMU), giudicato incapace di svolgere questo compito in modo efficace ed efficiente47 anche per la scarsità di risorse umane se si considera che, secondo i dati forniti dalle autorità maltesi, il personale dell’AMU nel 2018 era costituito solo da 6 unità che, tra l’altro, non erano addette a tali compiti in via esclusiva e continuativa in quanto chiamate a svolgere anche altre attività. Tuttavia l’Asset Recovery Bureau ha iniziato ad operare solo dal 20 agosto 2018, cioè circa due mesi prima della on site visit e, pertanto, gli assessors, in assenza di risultati tangibili riconducibili al Bureau non hanno potuto far altro che valutare il profilo della “confiscation” tenendo conto solo dei risultati conseguiti dalla AMU. In proposito il team di valutazione ha evidenziato che, sebbene Malta si fosse dotata di disposizioni normative tese a disciplinare la confisca dei proventi criminosi, emergeva la sostanziale assenza di una volontà politica di considerare questo aspetto come prioritario48. Ciò è dimostrato tra l’altro dall’assenza di una policy in materia, dalla mancanza di risorse – sia umane che finanziarie – assegnate a questo compito, dalla carenza di competenze e di attività di formazione svolta su questo aspetto, nonché dalla circostanza che l’attività condotta dall’AMU si era concentrata su beni presenti a Malta senza indagare la possibilità di beni trasferiti all’estero circostanza che conferma l’assenza di una visione transnazionale del fenomeno.

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«The Asset Recovery Bureau (ARB) is entrusted with the tracing, collection, storage, preservation, management and disposal, of instrumentalities and proceeds of crime or property the value of which corresponds to such instrumentalities or proceeds, in favour of the government», Anti-money laundering cit., Chapter 1 ML/TF risk and context, Background and other Contextual Factors AML/CFT strategy, paragraph 39, p. 24. Maggiori informazioni sulle attività del bureau e sul relativo board sono disponibili sul sito internet all’indirizzo https://justice.gov.mt/en/ ARB/Pages/default.aspx. 47 «As regards the management of seized property, the AMU had no capacity to effectively and efficiently perform this task», Anti-money laundering cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 8 (Confiscation) Confiscations of proceeds from foreign and domestic predicates, and proceeds located abroad Financial investigations, paragraph 243, p. 65. 48 «Malta has a legal system in place allowing the confiscation of both proceeds and instrumentalities of crime, which is routinely done by the courts upon conviction in the cases presented to them. However, the confiscation of criminal proceeds does neither appear to be pursued as a policy objective nor as a political priority, at least for the largest part of the period under review», Anti-money laundering cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 8 (Confiscation) Confiscation of proceeds, instrumentalities and property of equivalent value as a policy objective, paragraph 231, p. 62. Ad esempio, è previsto che le stesse forze di polizia avendo identificato i beni come provento di reato chiedano all’ufficio della pubblica accusa (Attorney General), prima che il sospettato compaia innanzi al giudice (fase prearraignment), di presentare al tribunale istanza di sequestro la quale, tuttavia, ha una durata di soli 45 giorni rinnovabile una sola volta. Quando il giudizio viene avviato, il tribunale può emettere “a freezing order” su qualsiasi proprietà dell’imputato. Sulla base di questo ordine soggetto a pubblicità legale l’AMU avrebbe dovuto rintracciare i beni da sequestrare interrogando i vari registri pubblici. Nel 2018 sono stati adottati 51 “freesing orders” (erano stati 28 nel 2017). In generale i provvedimenti di congelamento, di sequestro e di confisca, oltre che per il reato di riciclaggio (nessuno per finanziamento del terrorismo) sono stati adottati per reati di traffico di droga, frode, tratta di esseri umani, corruzione e concussione, rapina e contraffazione di valuta.

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Inoltre, è stata obiettata dagli assessors la sostanziale inefficacia delle misure adottate in quanto i proventi dei reati, fossero beni mobili o immobili, sebbene giuridicamente “congelati” erano comunque lasciati nella disponibilità degli imputati, salvo che non si trattasse di conti correnti o che il bene non fosse stato sottratto in quanto da presentare in giudizio come prova. In ogni caso parrebbe che tale atteggiamento di sostanziale sottovalutazione sia dipeso dalla già richiamata tendenza a condurre indagini di polizia concentrate sul reato presupposto e sulla individuazione del colpevole più che sulle connesse attività di riciclaggio (v. supra “ML investigation & prosecution”). Un indice di ciò è rappresentato anche dal numero contenuto (appena 15 dal 2014 a novembre 2018) di richieste di approfondimenti indirizzate dagli organi investigativi alla FIAU. L’azione dell’AMU, tra l’altro, sarebbe stata di scarso spessore considerato che tale ente si limitava a individuare beni del soggetto indagato trascurando possibili intestazioni a prestanome o a strutture complesse riconducibili all’imputato49. Un discorso a parte merita la questione della confisca del contante di origine illecita introdotto a Malta dall’estero: la normativa nazionale prevede che chiunque attraversi, in entrata o in uscita, il confine debba dichiarare quanto contante trasporta al seguito qualora il valore dello stesso sia superiore a 10.000 euro50. Le informazioni acquisite tramite le dichiarazioni transfrontaliere e quelle relative alle violazioni sono trasmesse dalle dogane alla FIAU. Tuttavia, va tenuto conto che il picco massimo per valore di contante dichiarato in ingresso risale al 2013, quando le dogane registrarono dichiarazioni per circa 250 milioni di euro, circostanza che apparve riconducibile alla situazione di disordine politico verificatasi in Libia che aveva portato un elevato numero di rifugiati a spostarsi da quel paese a Malta. Peraltro, da gennaio 2013 a marzo 2018, le dogane hanno rilevato “solo” 20 casi di denaro non dichiarato, per un totale di 946.956 euro sequestrati, importo considerato relativamente contenuto dagli assessors che da ciò hanno dedotto che le autorità maltesi non si sono sufficientemente impegnate per rilevare flussi non dichiarati51. Questa considerazione è supportata dalle conclusioni cui sono giunti gli stessi estensori maltesi del rapporto di NRA dichiarando che il contante, in particolare quello trasferito fisicamente dalla Libia a Malta, va considerato come una delle principali questioni connesse a potenziali minacce in termini di finanziamento del terrorismo e che «molto poco viene fatto per accertare l’origine dei fondi e per investigare il loro utilizzo»52 (trad. dell’a.).

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«Very few steps have been undertaken to trace assets transferred onto the name of third parties or complex corporate structures», Anti-money laundering cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 8 (Confiscation) Confiscations of proceeds from foreign and domestic predicates, and proceeds located abroad Financial investigations, paragraph 236, p. 63. 50 La mancata dichiarazione o una dichiarazione falsa costituisce reato. 51 «…the assessment team is not convinced that enough has been done by the authorities in respect of the detection of undeclared cash and cash movements in general», Anti-money laundering cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 8 (Confiscation), Confiscation of falsely or undeclared cross-border transaction of currency/BNI, paragraph 249, p. 67. 52 «…very little is done to ascertain the source of the funds and to investigate what the funds are used for», Antimoney laundering cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 8 (Confiscation), Confiscation of falsely or undeclared cross-border transaction of currency/BNI, paragraph 250, p. 67

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Analogamente, per i profili di riciclaggio gli estensori dell’NRA hanno sottolineato che l’afflusso di contante dalla Libia deve essere considerato un rischio molto elevato per Malta e dovrebbe indurre «azioni immediate da parte delle autorità»53 (trad. dell’a.). Uno dei punti deboli di tale sistema è rappresentato dall’apparato delle dogane a causa di una carenza di risorse umane e tecniche: infatti, una volta ricevuta la dichiarazione transfrontaliera, l’ufficio doganale, salvo che non si verifichino circostanze eccezionali che richiedano l’intervento della polizia, non intraprende alcuna azione di approfondimento circa l’origine delle somme introdotte nel paese anche perché non ha il potere di trattenere, neanche temporaneamente per la durata di tali indagini, la persona che ha introdotto il denaro né ha accesso a banche dati, mentre l’unico potere reale è quello di trattenere la persona interessata fino a un massimo di due ore nel caso di falsa dichiarazione e consegnarla alla polizia per l’eventuale arresto. Va tra l’altro registrato come le autorità maltesi, specie quelle doganali, abbiano riconosciuto l’esistenza delle carenze contestate cercando quindi di affrontarle in maniera adeguata, ad esempio mediante l’assunzione di funzionari specializzati e l’utilizzo di nuovi mezzi investigativi come cani specificamente addestrati a rilevare il contante (c.d. “sezione K 9”) nonché inviando parte del personale in addestramento presso le autorità doganali di altri Stati membri dell’Unione Europea.

4. Perché i profili di effectiveness del sistema AML/CFT maltese interessano la giurisdizione Italiana. Per comprendere il concreto interesse del nostro Paese affinché Malta disponga di un apparato antiriciclaggio efficace si può fare riferimento a quanto già rilevato dalla Commissione parlamentare Antimafia nella sua relazione conclusiva pubblicata il 7 febbraio 2018, laddove viene evidenziato che «…grazie alla vicinanza geografica alla penisola, Malta è un naturale territorio di espansione per le mafie italiane, sempre pronte a sfruttare non solo le opportunità criminali ma anche quelle legali, quali ad esempio, la predisposizione di un determinato Paese di una legislazione favorevole per il rilancio di un settore economico»54. In particolare, il riferimento era al contributo offerto al PIL maltese dal settore del gaming e delle scommesse online. Al riguardo la Commissione parlamentare ha sottolineato che sulla base di quanto appreso nel corso delle proprie inchieste risulterebbe che molti gestori di siti per il gioco on line maltesi appartengano a organizzazioni mafiose italiane. Dal canto suo la Direzione Investigativa Antimafia (d’ora innanzi DIA) ha reso noto che le indagini giudiziarie svolte hanno dimostrato un’anomala concentrazione nell’isola di Malta di operatori del settore del gioco on line, talvolta riconducibili a soggetti italiani. A titolo di esempio si può ricordare che, nel febbraio 2018 l’operazione “Game Over” ha portato alla luce le attività di un imprenditore italiano del comparto del gioco, B. B., originario

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«…and should prompt immediate actions by the authorities», Anti-money laundering cit., Chapter 3, Legal system and operational issues, Immediate Outcome 8 (Confiscation), Confiscation of falsely or undeclared cross-border transaction of currency/BNI, paragraph 250, p. 67. 54 Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, XVII Legislatura, Doc. XXIII, n. 38 p. 488.

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di Partinico (PA), che con l’appoggio dei gruppi mafiosi era riuscito ad imporre il brand di raccolta scommesse di una società maltese a lui riconducibile e a creare una rete abusiva di agenzie di scommesse. Talvolta è emersa una finalità di mero riciclaggio di proventi derivanti da altri reati come nel caso dell’operazione del 2017 denominata “Jonny”, dove la cosca Arena di Isola Capo Rizzuto (KR), attraverso la gestione di centri scommesse in Calabria si era inserita nel giro delle scommesse utilizzando una società maltese, attiva in Italia con oltre 500 agenzie e con ramificazioni in tutto il mondo. Inoltre, l’attività investigativa della DIA ha portato a individuare una serie di imprenditori italiani che, anche mediante l’utilizzo di prestanome sfruttavano il principio della libertà di stabilimento per eludere la normativa fiscale italiana costituendo società di gioco nel territorio maltese, ma di fatto svolgendo la propria attività sul territorio nazionale. Oltre a ciò desta preoccupazione negli organi investigativi italiani la circostanza che a Malta si sia sviluppato il mercato degli stupefacenti in ragione di prezzi più bassi di quelli registrati in altri paesi d’Europa. Come evidenziato anche dalle autorità maltesi nell’NRA del 2018, la Commissione parlamentare Antimafia ha sottolineato l’importanza rivestita da Malta, per la sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, nell’ambito delle operazioni criminali per lo sfruttamento dei flussi migratori. L’isola è risultata, inoltre, crocevia di un traffico illecito internazionale di prodotti petroliferi provenienti dalle aree di conflitto in Medio Oriente. In tale ambito, a titolo di esempio, va ricordata l’operazione “Dirty Oil”, conclusa nell’ottobre 2017 dalla Guardia di finanza di Catania, diretta contro un’associazione criminale internazionale operante tra Italia, Libia e Malta, finalizzata al riciclaggio di prodotti petroliferi illecitamente asportati dalla raffineria libica di Zawyia e destinati ad essere immessi nel mercato italiano, dopo essere transitati per Malta. All’associazione criminale partecipavano, oltre ad un soggetto ritenuto vicino al gruppo criminale dei Santapaola-Ercolano di Catania, anche alcuni cittadini maltesi, cui era affidato l’incarico di trasportare il petrolio via mare fino al porto di Augusta mediante l’utilizzo di navi che per sfuggire al controllo delle autorità avevano disattivato il sistema di geo-localizzazione durante la navigazione55. Inoltre l’estrema vicinanza geografica tra l’isola di Malta e la Sicilia avrebbe favorito anche la fuga di latitanti mafiosi verso quel Paese. Per inciso si soggiunge che, tra le diverse organizzazioni mafiose, quella che secondo le esperienze investigative appare la più impegnata nello sfruttamento delle opportunità offerte dal settore delle scommesse illegali è la ‘ndrangheta.

5. L’Attualità dei giudizi espressi nel mutual evaluation report (MER). La recente crisi politico-giudiziaria che ha interessato Malta contribuisce a rendere ancora più evidente l’attualità delle considerazioni fornite dal team di valutazione.

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Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento, Attività svolta e risultati, Direzione Investigativa Antimafia, gennaio-giugno 2018.

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I giudizi espressi nel MER sono tali da richiedere l’intervento dell’International Cooperation Review Group (ICRG), un gruppo di supervisori del GAFI chiamato a svolgere un’attività di monitoraggio per individuare le minacce, le vulnerabilità o i rischi eventualmente derivanti da una specifica giurisdizione ai fini della formulazione di dichiarazioni di “Public Statement” e “Improving Global AML/CFT Compliance: On-going Process”56. Infatti, fra i casi in cui un paese viene sottoposto a valutazione dell’ICRG vi è quello in cui, in seguito alla mutual evaluation, abbia ottenuto risultati insoddisfacenti (“poor”), circostanza che si verifica, tra l’altro, quando la giurisdizione sottoposta ad assessment abbia conseguito, come nel caso maltese, il giudizio “low” o “moderate” per almeno 9 degli 11 Immediate Outcomes, con un minimo di due giudizi “low”. Si ribadisce che nel “caso maltese” i giudizi “low” sono tre. Va sottolineato che ciò ha già sortito effetti in quanto ormai molti degli operatori italiani ritengono Malta una giurisdizione ad alto rischio e applicano, a prescindere dalla inclusione della stessa in eventuali black list, misure rafforzate di adeguata verifica di cui all’articolo 24 D.lgs 231/2007 alle operazioni da e verso tale paese e ai rapporti direttamente o indirettamente interessati da tali operazioni. Non servono approfonditi sondaggi di opinione fra gli operatori per ritenere che gli stessi considerino molto più rischiosi i rapporti accesi con soggetti o entità residenti a Malta rispetto a quelli accesi con nominativi residenti in Islanda: eppure è quest’ultimo paese e non il primo ad essere stato incluso fra le Jurisdictions with strategic deficiencies57. Non è estraneo a questo atteggiamento di naturale prudenza la diffusione del contenuto della Commission opinion dell’8 novembre 201858 indirizzata alla FIU maltese in seguito all’attività svolta dall’Autorità Bancaria Europea (d’ora innanzi EBA) in relazione al caso “Pilatus Bank”. Infatti il contenuto del documento della Commissione prendeva spunto dai rilievi che l’EBA aveva sollevato con la “Recommendation to the Maltese Financial Intelligence Analysis Unit (FIAU) on action necessary to comply with the Anti-Money Laundering and Countering Terrorism Financing Directive” dell’11 luglio 2018 formulata in seguito agli accertamenti condotti su richiesta della Commissione Europea. Nella raccomandazione l’EBA sottolineava come Pilatus Bank, banca autorizzata dall’autorità maltese, avesse un bacino di utenza prevalentemente riconducibile al segmento comunemente definito High Net Worth Individual o HNWI, espressione con cui si suole indicare clientela che dispone di patrimoni di consistenza tale da richiedere elevati servizi di private banking/wealth management.

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Sull’argomento si veda anche la nota 212, p. 251 in Antiriciclaggio: metodologia e procedure dell’attività di assessment del GAFI. Una sintesi del Mutual evaluation report (MER) sul sistema di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo della Repubblica popolare cinese, di G. Estrafallaces, in Diritto Penale della Globalizzazione, numero 2, aprile-giugno 2019, p. 221. 57 L’elenco di tali giurisdizioni è pubblicato dal GAFI all’indirizzo http://www.fatf-gafi.org/publications/high-riskand-other-monitored-jurisdictions/documents/fatf-compliance-october-2019.html 58 Commission opinion of 8.11.2018 addressed to the Financial Intelligence Analysis Unit of Malta, based on Article 17(4) of Regulation (EU) No 1093/2010, on the action necessary to comply with Union law, disponibile all’indirizzo https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/2_en_act_part1_v7-adopted_text.pdf. Il Regolamento (UE) N. 1093/2010 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 novembre 2010, che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), modifica la decisione n. 716/2009/CE e abroga la decisione 2009/78/CE della Commissione, è disponibile al sito https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri =OJ:L:2010:331:0012:0047:IT:PDF

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L’EBA rilevava, altresì, che tali clienti non solo erano in larga parte soggetti non residenti a Malta ma risultavano collegati a paesi ritenuti ad alto rischio di riciclaggio59. Tra l’altro, in seguito ad un’ispezione avviata in materia AML/CFT nel 2015 dalla MFSA (Malta Financial Services Authority) era stato sollecitato dalle stesse autorità maltesi un intervento sulla Pilatus Bank da parte della FIAU con specifico riguardo a alcuni clienti che rivestivano la qualifica di persona politicamente esposta. Pur avviata, l’azione della FIAU è apparsa tuttavia inadeguata a tal punto che le istituzioni europee (European Commission’s Director General for Justice and Consumers)60 richiedevano all’EBA di intervenire direttamente per indagare su una possibile violazione del diritto dell’Unione in relazione all’apparente incapacità della FIAU e dell’MFSA di applicare sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive per le presunte violazioni da parte di Pilatus Bank. In seguito all’attività svolta, ivi inclusa quella ispettiva, l’EBA ha sostanzialmente confermato le conclusioni delle istituzioni europee in quanto, pur prendendo atto che la FIAU aveva svolto un’attività di controllo nei confronti della Pilatus Bank, ha ritenuto: • incoerente con la gravità dei giudizi formulati dalla FIAU stessa61 la circostanza che quest’ultima non avesse documentato o fornito comunque motivazioni convincenti circa la mancata irrogazione di sanzioni nei confronti della ispezionata; • debole l’attività ispettiva svolta dalla FIAU che, paradossalmente, non disponeva delle copie dei documenti esaminati nel corso dell’accesso ispettivo, circostanza che non avrebbe consentito di rispondere efficacemente alle controdeduzioni trasmesse dalla Pilatus Bank62. A quest’ultima veniva, comunque, revocata la licenza bancaria con decisione della BCE del 2 dicembre 2018. Va infine ricordato che già in data 21 aprile 2017 la giornalista maltese Daphne Caruana Galizia aveva pubblicato sul proprio blog “Running Commentary” un post intitolato “Pilatus

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«The institution was set up as a private bank with a customer base comprising predominantly non-resident high net worth individuals, a significant number of whom were subsequently found to be linked to countries deemed high risk for money laundering purposes», Recommendation to the Maltese Financial Intelligence Analysis Unit (FIAU) on action necessary to comply with the Anti-Money Laundering and Countering Terrorism Financing Directive, EBA/REC/2018/02, 11 luglio 2018, Relevant factual background, p. 1. 60 L’incarico di commissario era ricoperto all’epoca dalla sig.a Věra Jourová, tutt’ora componente della Commissione UE. La sig.a Jourova riguardo la situazione maltese si è espressa molto efficacemente con un comunicato di Bruxelles pubblicato in accompagnamento alla Commission opinion sempre l’8 novembre 2018 nel quale dichiara: «L’Europa vanta le norme antiriciclaggio più rigorose del mondo. Bisogna però applicarle con gli stessi elevati standard in tutta l’UE, per evitare di creare punti deboli. Malta e altri paesi devono poter contare su autorità che dispongano di strumenti efficaci e su una piena attuazione delle regole. La Commissione ricorrerà a tutti i suoi poteri, compresi procedimenti di infrazione, per colmare ogni lacuna nella lotta contro il riciclaggio». 61 La FIAU aveva, infatti, contestato alla Pilatus Bank che, a fronte di una elevata esposizione ai rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, era assente una politica di mitigazione nonché una solida politica di gestione del rischio in tema di clienti classificati come persone politicamente esposte. 62 «The FIAU does not have sufficient records of the specific files and documents examined during the first on-site visit, to make it possible to identify which customer files were examined and which due diligence documentation was available or not available at the time. In particular, no record was made of any request for documents that the institution did not provide. Furthermore, during the second on-site visit, the FIAU did not establish a detailed list of the documents examined by reference to the first visit. This lack of records contributed to the FIAU’s inability to defend itself against the institution’s challenges», Recommendation to the Maltese Financial Intelligence cit., Findings, p. 3.

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Bank chairman/owner and risk manager caught leaving bank tonight with bags containing documents”63 nel quale si ipotizzava che il sig. S. A. S. H., e la sig.a A. G., si fossero allontanati dalla sede della banca con alcune valigie contenenti i documenti relativi ai conti detenuti dal sig. K. S., La richiesta di intervento rivolta dalla Commissione Europea all’EBA affinché quest’ultima verificasse l’operato della FIAU è datata 23 ottobre 2017. Daphne Caruana Galizia era stata assassinata sette giorni prima.

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https://daphnecaruanagalizia.com/2017/04/pilatus-bank-chairmanowner-accounts-officer-caught-leaving-banktonight-bags-containing-documents/.

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