Familia 3/2020

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2020 3 Familia

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ISSN 1592-9930

amilia

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Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa

Rivista bimestrale

maggio - giugno 2020

D IRETTA DA SALVATORE PATTI Tommaso Auletta, Mirzia Bianca, Francesco Macario, Lucilla Gatt (vicedirettore), Fabio Padovini, Massimo Paradiso, Enrico Quadri, Carlo Rimini, Giovanni Maria Uda

www.rivistafamilia.it

IN EVIDENZA TRUST TESTAMENTARIO SOTTOPOSTO A LEGGE STRANIERA E NORME INDEROGABILI DI DIRITTO SUCCESSORIO ITALIANO. UN’ANALISI DELLA PRASSI NEGOZIALE Lucilla Gatt

L’IMPUGNAZIONE DEL RICONOSCIMENTO PER DIFETTO DI VERIDICITÀ NEL PRISMA DELLA NUOVA FILIAZIONE

Maria Novella Bugetti

AFFIDAMENTO FAMILIARE CONSENSUALE E LIMITI DI CONTROLLO (ART. 9, COMMI 4 E 5 , L. N. 184/1983 ) Emanuela Andreola

Pacini



Indice Parte I Dottrina Lucillla Gatt, Trust testamentario sottoposto a legge straniera e norme inderogabili di diritto successorio italiano. Un’analisi della prassi negoziale................................................................................ p. 299 Maria Novella Bugetti, L’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità nel prisma della nuova filiazione................................................................................................................................» 315 Emanuela Andreola, Affidamento familiare consensuale e limiti di controllo (art. 9, commi 4 e 5, l. n. 184/1983)...............................................................................................................................................» 337 Parte II Giurisprudenza Francesco Meglio, Sui rapporti tra erede ex re certa e legatario: la scheda testamentaria quale caput et fundamentum dell’ermeneutica (nota a Cass. civ., sez. VI, ord. 5 marzo 2020, n. 6125)...........» 351 Marco Ramuschi, Sulla data impossibile apposta ad un testamento olografo (nota a Trib. Torino, sez. II, 2 maggio 2019, n. 2103)................................................................................................................» 367 Remo Trezza, L’“enigma” sul ruolo del notaio nell’accordo di separazione “negoziato in assistenza” avente ad oggetto trasferimenti immobiliari (nota a Cass. civ., sez. II, ord., 21 gennaio 2020, n. 1202)..........................................................................................................................................................» 399

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Trust testamentario sottoposto a legge straniera e norme inderogabili di diritto successorio italiano. Un’analisi della prassi negoziale Sommario : 1. Introduzione. – 2. Trust testamentario soggetto a legge straniera e

regole inderogabili di diritto italiano in materia di responsabilità per debiti ereditari. – 3. Segue. L’accettazione con beneficio di inventario del trustee persona giuridica nella sua qualità di erede fiduciario. – 4. L’applicazione dell’art. 2645ter c.c. in caso di beni immobili in trust. – 5. L’effettivo ambito di applicazione della legge regolatrice straniera. – 6. I rimedi esperibili da parte dei creditori del de cuius a tutela delle proprie pretese nei confronti della persona giuridica nella sua qualità di trustee. – 7. I rimedi esperibili da parte dei creditori del de cuius a tutela delle proprie pretese nei confronti della persona giuridica nella sua qualità di erede fiduciario.

The operation of the trust, i.e. that form of patrimonial destination having a negotiated source based on foreign law models, still appears problematic in our legal system although more then thirty years have been passed not only since the signing of the Hague Convention on trust but, above all, from the diffusion of this figure in the Italian negotiation practice, a diffusion which, however, hasn’t been accompanied by a “serene” application of the (mandatory) rules of Italian law to this figure. The object of this investigation are some questions that emerge, in fact, from the real forms that trust takes in practice with specific reference to the so-called trust mortis causa. This is a trust created by a will drawn up in Italy but subject to a foreign law for explicit reference to it in the part of the act dedicated to the law that regulates trust. In this type of trust, a person, who is normally a legal person, is named trustee and, at the same time, universal heir of the entire inheritance. In this way questions arise on the limits of liability for the debts of the de cuius and on the application of the mandatory rules of Italian law to whom is universal heir and trustee at the same time. In other words, it is reasonable to wonder what remedies are available to creditors in order

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to protect their claims against the legal person that combines the qualities of the universal heir and trustee.

1. Introduzione. L’operatività del trust vale a dire di quella forma di destinazione patrimoniale di fonte negoziale conformata su modelli di diritto straniero, appare, ancor oggi, problematica nel nostro ordinamento sebbene siano trascorsi oltre trent’anni non solo dalla firma della Convenzione de L’Aja in materia di trust ma, soprattutto, dalla diffusione di questa figura nella prassi negoziale italiana, diffusione che, tuttavia, non è stata affiancata da una “serena”1 applicazione delle regole di diritto italiano alla figura medesima. Oggetto della presente indagine sono alcune questioni che emergono, appunto, dalle reali articolazioni che il trust assume nella pratica con specifico riferimento ai trust c.d. mortis causa. Si tratta di trust istituito mediante testamento redatto in Italia ma sottoposto a legge straniera per esplicito rinvio alla medesima nella parte del testamento dedicata alla legge regolatrice del trust. In questa tipologia di trust un soggetto, che sovente è una persona giuridica, viene nominato trustee e, al contempo, erede universale (fiduciario) dell’intero patrimonio ereditario. Si generano, così, questioni sui limiti della responsabilità per dei debiti facenti capo al de cuius e sull’applicabilità delle regole inderogabili di diritto italiano al soggetto che nel testamento è nominato quale erede fiduciario ma anche come trustee. In altre parole, è ragionevole interrogarsi su quali rimedi possano esperire i creditori del de cuius per tutelare le proprie pretese nei confronti del soggetto persona giuridica in cui si assommano le qualità di trustee e di erede universale (fiduciario).

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Si dà qui per conosciuto il dibattito infuocato sulla natura della destinazione patrimoniale nella forma del c.d. trust interno, sulla sua ammissibilità e sulle possibili differenti configurazioni nel sistema giuridico italiano. Ciò che si vuole porre in luce è come la persistenza di tale dibattito incida negativamente sull’operatività di determinate figure negoziali nel nostro ordinamento, rendendolo certamente meno ricco e flessibile rispetto ad altri. Inoltre, resta alto il livello di contenzioso sul trust interno e, cosa ancor più grave, le soluzioni al contenzioso medesimo appaiono del tutto dissonanti tra loro e chiaramente confuse in ragione della difficoltà della classe giudiziaria di prendere posizione se non sulla base di scelte “ideologiche” aprioristiche. Uno dei principali punti critici si rinviene proprio nella difficoltà di applicare al trust interno le norme inderogabili di diritto italiano quando, invece, tale operazione viene considerata del tutto ovvia in presenza di altre figure negoziali atipiche ovvero parzialmente tipiche, anche di provenienza straniera.

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2. Trust testamentario soggetto a legge straniera e regole

inderogabili di diritto italiano in materia di responsabilità per debiti ereditari. Avendo riguardo ai dati normativi vigenti in Italia che sono di rilievo primario per affrontare il problema oggetto del presente contributo (vale a dire alla Convenzione de L’Aja 1° luglio 1985 sulla legge applicabile ai trust e al loro riconoscimento, ratificata dalla l. 16 ottobre 1989 n. 364; all’art. 2645-ter c.c.; alla l. 22 giugno 2016 n. 112 c.d. legge “Sul dopo di noi” e, da ultimo, all’art. 2929-bis c.c.) nonché ponendo attenzione agli orientamenti dominanti in dottrina e giurisprudenza nella materia in esame2, il trust istituito per testamento3 redatto secondo la legge italiana, rappresenta un tipico esempio di trust c.d. interno mortis causa, vale a dire: trust di fonte testamentaria, avente tutti i suoi elementi costitutivi collegati con l’ordinamento giuridico italiano ma la cui legge regolatrice (di alcuni aspetti del suo funzionamento e – in particolare – della gestione da parte del trustee dei beni in trust) è, per scelta del de cuius, una legge straniera4. Con riferimento alla tipologia del trust c.d. interno, sia tra vivi sia mortis causa, e all’individuazione della disciplina ad esso applicabile, si rilevano in Italia, sia a livello dottrinale sia a livello giurisprudenziale, due principali indirizzi interpretativi: – il primo5 che considera il trust interno un trust di diritto straniero operante in Italia a seguito della ratifica della Convenzione de L’Aja (e, dunque, attraverso il meccanismo del riconoscimento). Si tratterebbe cioè di un trust che viene regolato (ampiamente ma – si badi – mai completamente)6 dalla legge straniera indicata dal settlor nell’atto istitutivo; – il secondo7 che considera il trust interno un negozio atipico di diritto italiano, regolato in tutto e per tutto dalla legge italiana, e rispetto al quale la clausola di scelta della legge straniera sarebbe addirittura nulla.

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Per una ricognizione (un po’ datata ma non per questo inattuale) di tali orientamenti cfr. M. Bianca (a cura di), La destinazione del patrimonio: dialoghi tra prassi notarile, giurisprudenza e dottrina, Milano, 2016 e M. Lupoi, Istituzioni del Diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, III ed. rinnovata, Padova, 2016. Sia consentito menzionare anche L. Gatt, Dal trust al «trust». Storia di una chimera, II ed., Napoli, 2010. Trattasi, dunque, della fattispecie di trust istituto direttamente per testamento e non di quella, diversa, per disciplina ed effetti, di trust istituito dall’erede onerato dal testatore di istituire il trust medesimo: sul punto per tutti chiaramente A. Paradiso, Trust testamentario, in M. Monegat, G. Lepore, I. Valas (a cura di), Trust. Aspetti sostanziali e applicazioni nel diritto di famiglia e delle persone, vol. I, II ed., Torino, 2010, 471. Il Trust interno mortis causa è stato istituito da un settlor/de cuius residente in Italia, avente ad oggetto beni presenti in Italia e con beneficiari principali ed eventuali, italiani, sottoposto per volontà del settlor/de cuius alla giurisdizione italiana ma in cui la legge regolatrice prescelta sempre dal settlor/de cuius è una legge straniera [frequentemente la Trust ( Jersey) Law]. Tra i molti lavori prodotti dal medesimo autore, si citano qui M. Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, Padova, 2016; Id., Istituzioni del diritto dei trust e degli affidamenti fiduciari, Padova, 2008. D. Muritano, Trust e diritto italiano: uno sguardo d’insieme. (Tra teoria e prassi), in E.Q. Bassi, F. Tassinari (a cura di), I trust interni e le loro clausole, Consiglio nazionale del notariato, I ed. fuori commercio, Roma, 2007, p3; L.F. Risso e D. Muritano, Il trust: diritto interno e Convenzione de L’Aja. Ruolo e responsabilità del notaio, approvato dal CNN il 10 febbraio 2006, in CNN Notizie n. 37 del 22 febbraio 2006. Sia consentito rinviare a L. Gatt, Dal trust al «trust». Storia di una chimera, cit., 73ss., 158ss.; Id., Il trust italiano. La nullità della

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Nel caso di specie, tuttavia, trattandosi di trust interno testamentario, le differenze delle due posizioni ermeneutiche si attenuano in parte, in quanto l’apparato disciplinare (di diritto italiano) individuabile seguendo l’una o l’altra interpretazione, viene ad essere pressoché lo stesso, soprattutto avendo riguardo alla questione che qui interessa, vale a dire ai limiti della responsabilità del trustee nei confronti dei creditori ereditari del settlor/ de cuius (che è questione diversa dai limiti della responsabilità del trustee nei confronti dei creditori del trust). Ed, infatti, anche ove si volesse ammettere la liceità del rinvio alla legge straniera per la regolamentazione di un trust testamentario collegato esclusivamente con l’ordinamento giuridico italiano, le norme che disciplinano il trust testamentario non andrebbero individuate esclusivamente in quelle contenute nella legge straniera e nell’atto istitutivo del Trust ma dovrebbero essere cercate anche e soprattutto nelle norme di diritto italiano in materia successoria con carattere inderogabile. Tutto ciò per espressa previsione della stessa Convenzione de L’Aja del 1985, già citata, con specifico riguardo all’art. 158, ma anche ai successivi artt. 16, 17, 189, dal combinato disposto dei quali si deduce, come d’altra parte ammesso pacificamente dalla giurisprudenza10 e dalla dottrina italiana11, che il trust c.d. interno testamentario non può violare le norme di diritto interno in materia successoria (quali ad esempio, avendo riguardo al diritto italiano, gli artt. 458, 692, 627 c.c. e ma anche le norme sulla tutela dei legittimari12 e sull’accettazione dell’eredità – artt. 471-473 c.c –, in particolare, beneficiata nonché quelle sul pagamento dei creditori ereditari: tutte norme che presentano indiscutibilmente un carattere di inderogabilità13).

clausola di rinvio alla legge straniera nei trust interni, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, 622ss.; Trib. Velletri, ord., 29 giugno 2005, in TAF, 2005, 577. 8 Art. 15: «La Convenzione non ostacolerà l’applicazione delle disposizioni di legge previste dalle regole di conflitto del foro, allorché non si possa derogare a dette disposizioni mediante una manifestazione della volontà, in particolare nelle seguenti materie: a) la protezione di minori e di incapaci; b) gli effetti personali e patrimoniali del matrimonio; c) i testamenti e la devoluzione dei beni successori, in particolare la legittima; d) il trasferimento di proprietà e le garanzie reali; e) la protezione di creditori in casi di insolvibilità; f) la protezione, per altri motivi, dei terzi che agiscono in buona fede. Qualora le disposizioni del precedente paragrafo siano di ostacolo al riconoscimento del trust, il giudice cercherà di realizzare gli obiettivi del trust con altri mezzi giuridici». 9 Art. 18: «Le disposizioni della Convenzione potranno essere non osservate qualora la loro applicazione sia manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico». 10 Conforme già App. Firenze, 9 agosto 2001, in TAF, 2002, 244, secondo cui un testamento che istituisce un trust, ove il trustee (erede e gestore dei beni) sia tenuto a fornire una rendita periodica ai beneficiari, non costituisce una sostituzione fedecommissaria ed è pertanto valido. Cfr. anche Trib. Lucca 23 settembre 1997, in Foro. it., 1998, c. 2007ss. e più di recente Trib. Roma, 18 maggio 2013, reperibile in http://www.il-trust-in-italia.it/index.php?ricerca=testamento. 11 Per tutti chiaramente A. Paradiso, Trust testamentario, cit., 475 ss.; L. Gatt, Dal trust al trust, cit., 205 nota 204. 12 Può dirsi consolidata nella nostra giurisprudenza l’idea secondo cui un trust testamentario che violi le norme italiane sulla quota di legittima non è invalido o inefficacie ma semplicemente soggetto all’azione di riduzione come ogni altra disposizione testamentaria lesive della quota di riserva: in tal senso, oltre ai già ciati Trib. Lucca del 1997 e App. Firenze del 2001, anche Trib. Venezia, Sez. pen., 4 gennaio 2005, in TAF, 2005, 245, che dichiara la legittimità dei trust interni, precisando che il legittimario che si affermi leso da un trust, deve agire con l’azione di riduzione e non facendo valere la nullità del trust. 13 G.F. Condò, Rapporto tra istituzione di un trust e normativa in materia di successione, in TAF, 2008, 357ss.: l’istituzione di un trust testamentario non esclude l’applicazione delle norme sulla accettazione, la rinuncia, la rappresentazione, l’apposizione di condizioni e modi, la sostituzione.

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Di conseguenza, può dirsi con certezza, che tutta la disciplina del Libro II del codice civile in materia di diritto delle successioni e dei testamenti (arg. ex art. 15, co. 1, lett. c, Convenzione) non è affatto derogata o, comunque, non può essere bypassata con il rinvio alla legge straniera. Quest’ultima rileva, per quanto qui interessa, prevalentemente con riguardo alla regolamentazione dei rapporti tra trustee e terzi (c.d. creditori del trust) con cui il trustee stesso interagisce durante l’attività di gestione dei beni in trust, cioè nella sua qualità di trustee. Una legge straniera [quale, ad esempio, la Trust ( Jersey) Law 1984 e sue successive modifiche]14, non regola le modalità di accettazione dell’eredità15 da parte del trustee designato nel testamento né i limiti di responsabilità del medesimo trustee nei confronti dei creditori del de cuius, cioè dei creditori ereditari. In ogni caso, vale la pena sottolinearlo, anche se la legge straniera prevedesse (cosa che non è) la disciplina dell’accettazione dell’eredità e dell’assunzione dell’incarico di trustee di trust testamentario, questa non potrebbe derogare le norme italiane dei corrispondenti istituti per le ragioni suddette. Del pari non sono derogate né derogabili dalla legge straniera prescelta: a) la disciplina di diritto italiano in materia di pubblicità del vincolo di destinazione (alias vincolo di trust) in quanto strettamente connessa a quella sul trasferimento di proprietà che è appunto inderogabile (art. 15, co. 1, lett. d, Convenzione)16; b) la disciplina sulla protezione di creditori in casi di insolvibilità, da intendersi, in senso lato, di incapienza del patrimonio sui cui gravano i debiti del settlor (art. 15, co. 1, lett. e, Convenzione); c) la disciplina sulla protezione, per altri motivi, dei terzi che agiscono in buona fede (art. 15, co. 1, lett. f, Convenzione). Avendo delineato il quadro disciplinare cui fare riferimento, può affermarsi, in generale, che la costituzione di un trust testamentario non può in alcun modo tradursi in una segregazione patrimoniale che impedisca ai creditori ereditari di rivalersi sui beni in trust soprattutto nel caso in cui il trust fund abbia ad oggetto l’intero l’asse ereditario. In riferimento alla operatività del trust avente a oggetto l’intero patrimonio ereditario, può dirsi, in primo luogo, che l’istituzione di un trust direttamente per testamento, pur

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L’atto istitutivo di un trust contenuto in un testamento rinvia alla legge straniera [sovente la Trust ( Jersey) Law], puramente e semplicemente. Spesso, in caso di contenzioso, è la parte convenuta a proporre un inquadramento del generico rinvio, affermando che si tratterebbe della legge Baliato di Jersey da identificarsi nella Jersey Law 2004 nella versione integrata dall’Amendment n. 4, entrata in vigore 27 ottobre 2006 ma è impossibile non rilevare la genericità (fittizietà?) del rinvio e le difficoltà interpretative che esso produce o, meglio, produrrebbe ove si intendesse realmente applicare la legge straniera richiamata cosa che, di fatto, non risulta a chi scrive mai accaduta in un contenzioso riguardante trust c.d. interni: sul punto v. infra paragrafo 3 15 G. La Torre, R. Sarro, Il trust chiamato all’eredità, in TAF, 2011, 327-328, le quali in relazione ad una fattispecie di trust interno, regolato anch’esso dalla Trust ( Jersey) Law 1984 e successive modifiche, chiaramente affermano che tale legge non detta alcuna prescrizione in ordine all’accettazione di eredità e, dunque, riguardo a quest’ultima si applica in toto la legge italiana con conseguente possibilità per un trustee persona fisica o società di accettare puramente e semplicemente ovvero con beneficio di inventario (arg. ex art. 473 c.c.). 16 Si, allude, in particolare, all’art. 2645-ter c.c. Ed, infatti, i trustee a partire dalla comparsa di questo nuovo articolo nel codice civile, vale a dire dalla fine del 2005, tendono a procedere anche alla trascrizione del trust testamentario in forza dell’art. 2645-ter c.c. Sulle criticità di tale trascrizione v. infra nel testo.

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essendo ammessa nel nostro ordinamento, non può in alcun modo derogare alle norme a tutela dei creditori ereditari e dei legatari ai sensi degli artt. 495 e 499 c.c. A ben vedere, poi, di norma, nello stesso atto istitutivo del trust (contenuto nel testamento) si rinvengono espressioni secondo cui al trustee è imposto l’adempimento degli obblighi derivanti dalla legge: dizione ampia questa, nella quale devono necessariamente includersi gli obblighi di pagamento dei debiti ereditari e dei legati. Qualora, dunque, il trustee del trust testamentario sia nominato anche erede universale fiduciario del de cuius, al di là della diverse qualificazioni che la dottrina – soprattutto notarile17 – ha voluto dare a questa figura, discutendo se sia o non sia erede in senso proprio, si genera, comunque, in applicazione dei suddetti complessi normativi inderogabili di diritto italiano, l’obbligo in capo al trustee indicato (sia esso una persona fisica o giuridica) di estinguere i debiti gravanti sul de cuius (perché aventi fonte in atti o fatti posti in essere prima della sua morte), attingendo in primis dai beni in trust in quanto beni ereditari. L’estinzione dei debiti ereditari deve avvenire secondo le regole del codice civile italiano che, tra l’altro, danno la possibilità all’erede, che non avvii il procedimento di liquidazione ex art. 503 c.c., di soddisfare i creditori ereditari man mano che si presentano senza imporre alcun obbligo di inserimento delle corrispondenti passività nell’inventario eventualmente redatto, il quale, dunque, non rappresenta un limite né un ostacolo al creditore ereditario – nel caso di mancata menzione del debito nel suddetto inventario – per far valere il suo diritto nei confronti dell’erede del debitore/de cuius. Ammessa, dunque, la responsabilità del trustee di un trust testamentario per i debiti ereditari con riguardo ai beni in trust in quanto il trust testamentario non può realizzare un effetto elusivo delle norme italiane sulla soddisfazione dei creditori ereditari, è necessario chiedersi se la responsabilità del trustee sia limitata ai beni in trust o possa estendersi al suo patrimonio personale. A tale proposito va rilevato che nel nostro ordinamento la designazione di un trustee quale unico erede universale fiduciario di un trust istituito per testamento, non è un quartum genus di disposizione mortis causa introdotta da Convenzione de L’Aja18 bensì, secondo quanto si è andato affermando nella prassi italiana dei trust interni testamentari come descritta da accreditata dottrina forense e notarile19, un’istituzione d’erede, che pre-

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Si veda in particolare G. Iaccarino, Alternative individuate dalla prassi ai modi tradizionali di devoluzione dell’eredità, in Successioni e Donazioni a cura di G. Iaccarino, Utet giuridica, 2017, I, 80-84, dove l’a. prende posizione sulla possibilità di qualificare il trustee e il beneficiario come eredi, offrendo soluzioni diverse in relazioni ad alcune variabili della fattispecie concreta. C. Romano, Gli effetti del trust oltre la morte del disponente: dal trust in funzione successoria al trust testamentario, in Notariato, 2014, 693 ss. 18 S. Bartoli, La natura dell’attribuzione mortis causa ecc., cit., là dove parla, con riguardo alla designazione del trustee come erede universale fiduciario di un trust istituito per testamento, di quartum genus di disposizione mortis causa introdotta da Convenzione de L’Aja [oltre all’istituzione di erede, l’institutio ex re certa, il legato n.d.r]. Così anche V. Russo, Disposizioni particolari collegate alla futura circolazione, in Successioni e Donazioni a cura di G. Iaccarino, I, cit., 894. 19 Cfr. ancora G. Iaccarino, op. ult. cit., 84. Vedi anche A. Paradiso, op. cit., p. 474, secondo il quale il designato alla qualifica di trustee e tale nominato nel testamento, quando accetta l’eredità è per ciò solo un erede, perché altre qualificazioni pur cogliendo la natura del trust contrastano con il sistema giuridico italiano. Conforme già App. Firenze, 9 agosto 2001, cit., secondo cui un testamento che istituisce un trust, ove il trustee (erede e gestore dei beni) sia tenuto a fornire una rendita periodica ai beneficiari, non costituisce una

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senta, sì, delle peculiarità (es.: revoca e dimissioni del trustee et similia), ma che conduce a qualificare il trustee pur sempre erede vero e proprio del settlor/de cuius. Di fronte alla qualificazione di erede del trustee designato nel testamento quale unico erede universale fiduciario, si è, quindi, consolidata e non appare allo stato contestata l’idea che il trustee di un trust testamentario risponda, così come ogni altro erede, dei debiti ereditari con i beni oggetto del trust, dei quali beni medesimi egli stesso è divenuto titolare in trust. È, invece, discusso se sia o meno necessaria l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario da parte del trustee affinché si generi l’effetto della segregazione patrimoniale bilaterale e, dunque, l’effetto della responsabilità esclusivamente intra vires e cum viribus hereditatis da parte del trustee non tanto e non solo rispetto ai creditori del trust, per i quali tale limitazione di responsabilità è in re ipsa purchè il trustee agisca nella qualità20, bensì rispetto ai creditori ereditari.

3. L’accettazione con beneficio di inventario del trustee persona giuridica nella sua qualità di erede fiduciario.

Ove, dunque, si ritenga sussistente la responsabilità del trustee testamentario per i debiti ereditari con i beni in trust, sulla questione “se sia o meno necessaria l’accettazione beneficiata per impedire che i beni personali del trustee siano aggrediti dai creditori ereditari”, sono ravvisabili due orientamenti: – l’uno esclude la necessità dell’accettazione beneficiata in quanto afferma che l’accettazione di un trustee nella qualità di trustee del trust istituito per testamento, avvenga essa con o senza beneficio di inventario, genera comunque una responsabilità intra vires hereditatis del trustee medesimo rispetto ai creditori ereditari oltre che rispetto ai creditori del trust21; – l’altro, invece, in ragione dell’attribuzione della qualifica di erede ed, in conseguente applicazione delle suddette norme inderogabili del Libro II, richiede un’espressa accettazione beneficiata ex art. 484 c.c. là dove il trustee intenda oltre ad accettare l’incarico di trustee, accettare anche l’eredità e, soprattutto, sottrarre il proprio patrimonio personale alle pretese dei creditori del settlor/de cuius cioè dei creditori ereditari, che – come

sostituzione fedecommissaria ed è pertanto valido; cfr. anche G.F. Condò, Rapporto tra istituzione di trust ecc., cit., :«Ho detto prima che all’erede (ma anche al legatario) possono essere attribuite le funzioni di trustee: quindi a me sembra […] si possa affermare che è l’erede o il legatario ad essere trustee, non il trustee ad essere erede o legatario». Cfr. anche Trib. Lucca 23 settembre 1998, in Foro. it., 1998, c. 2007. 20 Va ribadito che la legge straniera cui rinviano le clausole dell’atto istitutivo del trust (vale a dire, il testamento stesso) regolano la responsabilità del trustee nei confronti dei creditori del trust [cfr., ad esempio, dall’art. 32 Trust ( Jersey) Law] e non la responsabilità del trustee medesimo nei confronti dei creditori ereditari. Si veda infra nel testo. 21 Così sempre ex multis A. Paradiso, op. cit., 474.

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detto – sono diversi dai creditori del trust, il cui diritto ha fonte nel trust stesso (alias nell’attuazione del programma gestorio)22. Secondo quest’ultima possibile interpretazione del quadro normativo vigente e che appare preferibile in quanto non si rilevano dati normativi che inducano a ritenere sussistente – come detto – una quarta tipologia di istituzione testamentaria, l’accettazione espressa con beneficio di inventario deve precedere e non, invece, seguire23 l’accettazione dell’incarico di trustee. Inoltre, tale accettazione beneficiata non può essere sostituita da una “accettazione c.d. nella qualità di trustee” perché tale ultima indicazione, necessaria per far sorgere il limite di responsabilità, riguarda gli atti posti in essere dal trustee con i terzi una volta che egli sia già qualificabile come trustee rispetto ad un determinato patrimonio (ereditario). Cosa questa che, appunto, nel caso di trust testamentario, presuppone l’accettazione beneficiata dell’eredità e, un istante dopo, l’accettazione dell’incarico di trustee di quel determinato trust testamentario avente ad oggetto tutto il patrimonio ereditario. Va poi, precisato, che ai fini della dichiarazione di sussistenza di un’effettiva accettazione beneficiata ai sensi dell’art. 484 e ss. c.c., appare irrilevante e, dunque, priva di effetti la redazione da parte del trustee di uno o più inventari dei beni ereditari là dove il collegamento tra l’accettazione dell’eredità e gli inventari non risulti inquadrabile nelle formalità prescritte dall’art. 484 c.c. E ciò perché la redazione di un inventario da parte del trustee con riguardo ai beni testamentari può avere la diversa funzione di individuare i beni del trust fund oggetto di rivalsa da parte dei creditori il cui diritto ha fonte nel trust, e non riguardare invece i creditori ereditari, rispetto ai quali l’inventario suddetto non rileva ai fini di una limitazione di responsabilità del trustee quale erede fiduciario24. La scelta tra l’una o l’altra delle interpretazioni appena esposte non è di poco conto ai fini della soluzione del problema in esame in quanto nella pratica dei trusts testamentari non è affatto chiaro se l’accettazione dell’eredità da parte della persona giuridica nella qualità di trustee del trust istituito per testamento, possa o meno considerarsi accettazione beneficiata ai sensi degli art. 484 c.c. ovvero debba, piuttosto, qualificarsi come accetta-

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Cfr. chiaramente in tal senso G. La Torre, R. Sarro, Il trust chiamato all’eredità, cit., 326-327; S. Bartoli, La natura dell’attribuzione mortis causa al trustee di un trust testamentario – II Parte, cit. Da parte di chi scrive, si ravvisa come le due diverse interpretazioni presuppongano, rispettivamente, un’assimilazione o, comunque, un accostamento del trustee designato quale erede universale fiduciario in un testamento, alla figura dell’esecutore testamentario ovvero alla figura dell’erede che ha accettato con beneficio di inventario. Probabilmente, però, il trustee di un trust testamentario chiamato come erede universale fiduciario assomma in sé caratteristiche dell’una e dell’altra figura, vale a dire è un erede esecutore testamentario (cosa possibile nel nostro ordinamento: cfr. art. 701 c.c.). Ciò significa, in sostanza, che i complessi disciplinari facenti capo ai due istituti e contenenti norme inderogabili sono, comunque, applicabili, direttamente e/o analogicamente, al trustee designato quale erede universale fiduciario in un testamento: v. infra. 23 Ancora A. Paradiso, op. cit., 472, sottolinea come l’erede sia tale in quanto trustee, pertanto le due figure coincidono necessariamente anche se logicamente l’accettazione di eredità e quindi la figura di erede precede, anche se per un solo istante, l’assunzione dell’incarico di trustee. Ove, dunque, il trustee accettasse prima l’incarico e, solo successivamente, l’eredità, tutto il procedimento di assunzione della qualità di erede e di trustee potrebbe essere viziato. 24 Ed, anzi, l’obbligo di redigere l’inventario incombe sul trustee in quanto trustee per espressa previsione della legge straniera di frequente richiamata in queste fattispecie, vale a dire la Trust ( Jersey) Law 1984 (e successive modifiche), che impone l’obbligo di separare i beni e di identificarli come beni di uno specifico trust (art. 21, par. 6) e ciò indipendentemente da un’eventuale accettazione beneficiata che intervenga a seguito di disposizione testamentaria.

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zione pura e semplice, cosa che, secondo uno degli orientamenti sopra riportati determinerebbe una responsabilità ultra vires hereditatis del trustee non rispetto ai c.d. creditori del trust (il cui titolo del credito nasce in ragione dell’istituzione stessa del trust) bensì (soltanto) rispetto ai creditori ereditari. Di frequente si rilevano nella prassi dei trust testamentari anche più accettazioni di eredità, tutte poste in essere dalla persona giuridica designata dal de cuius, nella sua qualità di trustee ma tutte non contengono alcuna menzione del beneficio di inventario. In alcuni casi nell’accettazione del trustee si legge di voler accettare “puramente e semplicemente ai sensi dell’art. 475 c.c.”. A tale accettazione, non di rado, se ne affianca un’altra di epoca successiva che viene definita accettazione integrativa (sulla cui validità/legittimità, tra l’altro, è lecito dubitare, considerando che il nostro diritto successorio risulta fondato su un principio di tipicità degli atti). Con l’accettazione c.d. integrativa viene espressa un’accettazione “nella qualità di trustee” che non ha nulla a che vedere, come già detto, con l’accettazione beneficiata ai sensi degli artt. 484 ss. c.c. A ciò si aggiunga che, sovente, le accettazioni si accompagnano alla redazione di più inventari in date diverse e, soprattutto, in tale redazione non viene seguito il procedimento indicato nell’art. 484 c.c. che tiene, invece, conto del momento di redazione dell’inventario rispetto alla data della dichiarazione di accettazione. Qualora poi si tratti di accettazione di eredità da parte di persona giuridica, si applica l’art. 473 c.c., anch’essa norma inderogabile. Ne consegue, che, là dove non fossero integrati gli estremi di una valida accettazione beneficiata, il trustee essendo una società25, sarebbe da considerare erede puro e semplice e, dunque, responsabile dei debiti ereditari ultra vires hereditatis, vale a dire con il proprio patrimonio personale (arg. ex art. 473, co. 2, c.c.)26. In sintesi, l’assunzione del ruolo trustee del trust X quale erede universale fiduciario del de cuius, genera, in applicazione dei suddetti complessi normativi di diritto italiano inderogabili, l’obbligo in capo al trustee persona giuridica/società di accettare con beneficio di inventario e di rispettare tutte le formalità pubblicitarie relative a tale accettazione, rese ancora più specifiche ove nel patrimonio ereditario e, quindi, nel trust fund faccia parte un

25

In tal senso Cass. civ., Sez. II, 29 settembre 2004 n. 19598, in Riv. not., 2005, 2, 387 e cfr. sul punto G. Cian, A. Trabucchi, Commentario breve al codice civile, sub art. 473, Padova, 2007, 543. 26 A margine si sottolinea, altresì, che il trustee ha accettato l’incarico di trustee prima di accettare l’eredità, cosa che, come si diceva, non appare conforme a legge (v. supra nota 23). Si precisa che, ove si trattasse di persona giuridica diversa dalla società, la mancanza di validità dell’accettazione beneficiata impedirebbe all’ente medesimo di acquisire la qualità di erede in applicazione dell’art. 473, co.1, c.c. Del pari va sottolineata la diversità tra istituzione del trust e istituzione di fondazione mediante testamento, non essendo il trust un ente al contrario della fondazione e non potendosi applicare, dunque, al trust le considerazioni espresse in Cass., sez. II, 8 ottobre 2008, n. 24813, Giust. Civ. Mass. 2008, 10, 1454, secondo cui l’obbligo di accettare l’eredità con beneficio d’inventario non si estende alle fondazioni costituite per testamento con contestuale nomina dell’ente in qualità di erede universale, in quanto il patrimonio della fondazione, destinato a formarsi solo con la disposizione testamentaria – ovvero in modo inscindibile e contestuale rispetto all’istituzione dell’ente – non può confondersi con quello del de cuius. Sono, comunque, esperibili i rimedi che riguardano tutti gli atti a titolo gratuito quali la riduzione per lesione di legittima e l’azione di separazione prevista dall’art. 512 c.c. a tutela dei creditori del de cuius.

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bene immobile nel qual caso tali norme vanno integrate – come già detto - con il rispetto delle formalità pubblicitarie previste dall’art. 2645-ter c.c., la cui applicabilità agli atti mortis causa istitutivi di un vincolo di destinazione o di trust, sebbene ampiamente discussa, è ormai altrettanto ampiamente affermata in dottrina27 e, soprattutto, praticata dato che nella realtà della prassi dei trusts testamentari si procede a trascrivere il titolo testamentario con l’indicazione nel quadro D della nota di trascrizione del vincolo dei beni in trust.

4. Segue. L’applicazione dell’art. 2645-ter c.c. in caso di beni immobili in trust.

Nei trusts testamentari aventi ad oggetto beni immobili la formalità pubblicitaria prevista nell’art. 2645ter c.c., per quanto eseguita – a testimonianza dell’invalsa prassi applicativa del menzionato articolo al trust – spesso non appare assolta secondo la modalità che viene ritenuta quella idonea a rendere opponibile a terzi il vincolo di destinazione (di trust) sul bene immobile e, dunque, ad evitarne l’aggressione da parte dei creditori personali del trustee28. Tale modalità prevede, infatti, che il notaio che ha ricevuto l’atto istitutivo del trust proceda ad una prima trascrizione in favore del trustee e contro il settlor/de cuius, e che nel riquadro D sia indicata la qualità di trustee in favore del quale è avvenuta la trascrizione. A questo punto si procede ad una ulteriore trascrizione a favore e contro il trustee, in quanto tale, per rendere opponibile a terzi il vincolo di trust. Di frequente, nella scheda di trascrizione è assente la seconda trascrizione del vincolo di trust a favore e contro il trustee. Ne consegue che il vincolo di trust sul bene immobile oggetto del lascito ereditario potrebbe, dunque, essere considerato non opponibile ai terzi, con la conseguente possibilità di aggressione del bene medesimo da parte dei creditori personali del trustee. Evento questo da cui deriverebbe grave danno a carico sia dei creditori ereditari sia dei creditori del trust che si vedrebbero privati di quello che potrebbe essere l’unico bene im-

27

A. Paradiso, Trust testamentario, cit., 477; C. Romano, Riflessioni sul vincolo testamentario di destinazione ex art. 2645-ter c.c., in M. Bianca e A. De Donato (a cura di), Dal trust all’atto di destinazione patrimoniale. Il lungo cammino di un’idea, Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, 2013, 167. 28 Questa la proposta di G. Gallizia, Trattamento tributario dell’atto dispositivo in un trust di beni immobili, TAF, 2001, 147, a p. 148; nello stesso senso, successivamente, R. Dogliotti, La pubblicità del trust nel settore immobiliare, in M. Dogliotti - A. Braun (curr.), I trust nel diritto delle persone e della famiglia, Milano, 2003; cfr. anche S. Bartoli, op. cit., nota 148 e A. Paradiso, op. cit., 471 e 477, il quale descrive nei dettagli il procedimento: aperta la successione, il trustee richiederà al Notaio la pubblicazione del testamento, accetterà l’eredità e così l’incarico del trustee e quindi si procederà a trascrivere il testamento in favore del trustee e contro il de cuius, l’accettazione di eredità in favore del trustee e contro il de cuius, ed il vincolo di trust a favore e contro il trustee. Sempre Paradiso ribadisce che l’indicazione nel riquadro D della nota di trascrizione del vincolo dei beni in trust rende, sì, visibile il trust ma non lo rende opponibile ai terzi con tutte le conseguenze che ne derivano, prima fra tutte, la confusione dei beni in trust con il patrimonio personale del trustee.

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mobile esistente nel patrimonio ereditario29, con conseguenze in termini di responsabilità personali del Trustee per mala gestio (v. infra).

5. L’effettivo ambito di applicazione della legge regolatrice straniera.

Da ultimo, va posto in luce che l’applicazione della legge straniera richiamata nel testamento istitutivo del trust (e che, come già detto, spesso si identifica nella Trust (Jersey) Law), con specifico riguardo all’art. 32 della medesima, non incide e appare inconferente con riguardo al problema della responsabilità del trustee rispetto ai creditori ereditari in quanto l’art. 32 detta regole volte a limitare la responsabilità del trustee rispetto ai creditori del trust, vale a dire regole relative al compimento di atti posti in essere dal trustee con terzi durante la gestione dei beni in trust, consentendo la limitazione di responsabilità (ai soli beni in trust) del trustee che si palesi come tale (nella qualità). Tutto ciò presuppone che l’incarico di trustee sia già stato assunto nelle forme stabilite dalla legge applicabile al trust testamentario che, come detto, non è solo quella straniera (es: del Jersey) ma anche e soprattutto, nella fase successiva alla apertura della successione, quella italiana, la quale, a sua volta, impone per l’assunzione dell’incarico di trustee di un trust testamentario, l’accettazione dell’eredità, che, se fatta con beneficio di inventario, richiede il rispetto di determinate specifiche formalità, dovendosi, diversamente, considerare pura e semplice con conseguente responsabilità ultra vires dell’erede trustee. Risulta, dunque, impossibile evitare l’applicazione delle regole della responsabilità dell’erede per i debiti ereditari (artt. 495 e 499 c.c.), facendo ricorso ad un trust testamentario data l’inderogabilità delle norme di diritto successorio. Assumere questa prospettiva fa propendere per la tesi secondo cui, ferma restando la responsabilità per debiti ereditari del trustee, i limiti di tale responsabilità (intra ovvero ultra vires hereditatis) vanno individuati secondo le norme inderogabili di diritto italiano tra cui si annoverano quelle sull’accettazione beneficiata (art. 484 ss. c.c.). Ferma restando come indiscussa e indiscutibile la responsabilità del trustee cum viribus hereditatis, vale a dire con i beni in trust, sui quali i creditori ereditari hanno diritto di soddisfarsi con priorità rispetto ai creditori del trust (v. infra), e seguendo l’orientamento interpretativo che appare più conforme ai dati normativi vigenti30, sembra ragionevole affermare che, rilevata la non osservanza delle norme sull’accettazione beneficiata, il trustee testamentario – che sia una persona giuridica societaria – va considerato come accettante senza beneficio di inventario, ed è dunque, in quanto società, un erede puro e semplice

29 30

Per le conseguenze che ne derivano in termini di responsabilità del Trustee per mala gestio si veda oltre nel testo. Orientamento bene espresso anche dalla dottrina forense: cfr. G. La Torre, R. Sacco, Il trust chiamato all’eredità, cit., 328.

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(arg. ex art. 473 c.c.), che risponde anche con il proprio patrimonio (ultra vires hereditatis) verso i creditori ereditari. Rispetto ai creditori ereditari il trustee nella sua qualità di trustee del Trust X, è anche e soprattutto l’erede universale del de cuius e, in ragione di ciò, può essere legittimamente convocato in giudizio dai creditori ereditari31. Potrebbe, invece, affermarsi la responsabilità intra vires hereditatis del trustee rispetto ai creditori del trust, tra i quali va posto in primis il beneficiario principale del trust, in quanto rispetto ad essi il trustee ha palesato la sua qualità di trustee in conformità alle norme della legge straniera richiamata (es.: Trust ( Jersey) Law 1984 e successive modifiche). Va, tuttavia, sottolineato come questa configurazione presupponga il sopra menzionato atto di accettazione c.d. integrativa della cui legittimità si può dubitare data la tipicità degli atti di accettazione dell’eredità previsti nel diritto italiano. Ove, dunque, si ritenesse fondato tale dubbio, il trustee risponderebbe ultra vires anche verso i creditori del trust in quanto avrebbe agito non palesando in modo idoneo la propria qualità di trustee [e ciò in applicazione dell’art. 32, par. 1, lett. b), Trust ( Jersey) Law 1984 e successive modifiche]32. Se, infine, si accogliesse l’esposta interpretazione – ampiamente diffusa in dottrina - sulla modalità di esecuzione delle formalità pubblicitarie per l’opponibilità ai terzi del vincolo di trust su bene immobile ai sensi dell’art. 2645-ter c.c., l’analisi della prassi applicativa dei trusts testamentari rivela che sarebbero frequenti i casi in cui il vincolo di trust sul immobile oggetto del patrimonio ereditario non risulterebbe opponibile in quanto non è stata posta in essere la seconda trascrizione del vincolo in favore e contro il trustee. Il bene immobile risulta, dunque, aggredibile oltre che dai creditori ereditari e dai creditori del trust anche dai creditori personali del trustee, con grave danno per i primi e per i secondi e conseguente responsabilità personale del trustee nei loro confronti in quanto il suo operato non risulta conforme agli obblighi di diligenza imposti dalla legge che regola l’attività del trustee, vale a dire la Trust ( Jersey) Law 1984 già citata e il cui art. 21, par. 6, impone specificamente al trustee un obbligo di segregazione, vale a dire l’obbligo di “etichettare” come in trust la propria titolarità rispetto a determinati beni, incorrendo altrimenti in responsabilità personale per breach of trust.

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In altre parole, nel caso in esame il trustee è tale in quanto erede e viceversa, dato che la volontà del testatore è quella di istituire erede universale un trustee, vale a dire un soggetto che svolga determinate attività per suo conto dopo la sua morte. Si tratta di una situazione analoga [sebbene non identica] a quella dell’erede universale che sia anche stato nominato esecutore testamentario (art. 701, co. 2, c.c.). I due ruoli possono coesistere nel medesimo soggetto che assomma, dunque, in sé entrambe le qualità in quanto esse si implicano a vicenda. 32 Testo rinvenibile sul sito ufficiale della legislazione degli Stati di Jersey (https://www.jerseylaw.je/laws/revised/Pages/13.875.aspx): l’art. 32, par. 1, lett. b), stabilisce che se l’altra parte/il terzo non sapeva che il trustee stava agendo nella qualità di trustee, essa può proporre qualsiasi azione direttamente contro il trustee personalmente, aggredendo il suo patrimonio personale, salva poi la possibilità per il trustee di rivalersi sui beni in trust per ottenere un indennizzo. Interessante anche notare che il par. 2 dell’art. 32 esclude che il par. 1 possa in qualche modo limitare o inficiare la responsabilità del trustee per breach of trust (inadempimento agli obblighi che incombono su di lui in quanto trustee). Sul punto infra nel testo.

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S. i vede, dunque, come, là dove la segregazione derivi, come nel caso di specie, dal rispetto di determinate formalità pubblicitarie di diritto italiano, il mancato rispetto delle stesse non può che comportare una responsabilità personale del trustee (persona giuridica societaria) per breach of trust.

6. I rimedi esperibili da parte dei creditori del de cuius

a tutela delle proprie pretese nei confronti della persona giuridica nella sua qualità di trustee. Sempre dall’applicazione delle regole inderogabili di diritto italiano in materia successoria cui si affiancano le norme inderogabili di diritto italiano sulla protezione dei creditori in caso di insolvibilità e, in generale, dei terzi di buona fede (arg. ex art. 15, co.1, lett. e ed f, Convenzione de L’Aja 1985), deriva che l’istituzione di un trust testamentario non può posticipare i creditori ereditari rispetto ai creditori del trust, tra i quali si annovera, in primis, il beneficiario principale. Infatti, una volta accettata l’eredità, da parte del trustee persona giuridica societaria, designato quale erede universale fiduciario, si determina una sovrapposizione o, meglio, una prevalenza della normativa (italiana) sull’accettazione dell’eredità (artt. 484 ss. c.c.) su quella (convenzionale) in tema di trust riconosciuto e dei creditori del trust medesimo. Da tale prevalenza deriva inevitabilmente la soccombenza dei creditori del trust nell’eventuale conflitto (per incapienza del patrimonio ereditario) con i creditori del settlor/de cuius, vale a dire i creditori ereditari, il cui titolo abbia data anteriore alla morte del settlor/de cuius o, comunque, derivi da attività poste in essere dal de cuius prima della sua morte. Ove si tenga conto che i beneficiari del trust, analogamente a quanto avviene per i legatari del disponente, ricevono da quest’ultimo (sia pure tramite il trustee) attribuzioni di natura liberale aventi fonte nel testamento, deve dirsi che, in ossequio al principio nemo liberalis nisi liberatus, desumibile da norme come gli artt. 495, co. 2, e 499, co. 2, c. c., il conflitto fra creditori del trust ed i creditori del de cuius finisca per risolversi con la soccombenza dei primi33. Tale soccombenza è particolarmente evidente nel caso di accettazione beneficiata del trustee erede universale in quanto il patrimonio ereditario aggredibile dai creditori ereditari coincide con il trust fund aggredibile dai creditori del trust ma, trattandosi di regola generale di diritto successorio italiano, essa riguarda anche l’accettazione pura e semplice.

33

Così anche S. Bartoli, La natura dell’attribuzione mortis causa al trustee di un trust testamentario – II Parte, in TAF, 2004, 179 ss. il quale precisa ulteriormente che prima dell’accettazione beneficiata, l’asse è già un patrimonio separato, ma a titolo di trust fund, e come tale esso è destinato alle finalità del trust vale a dire al soddisfacimento dei soli creditori del trust; dopo l’accettazione beneficiata, però, l’asse dovrebbe assolvere al tempo stesso la funzione di trust fund e di patrimonio separato destinato, invece, al soddisfacimento di tutti i creditori del disponente/settlor/de cuius.

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Se, infatti, in caso di accettazione beneficiata, si potrebbe determinare l’insoddisfazione dei creditori ereditari in caso di incapienza del patrimonio ereditario/trust fund, in caso di accettazione pura e semplice i creditori ereditari, oltre a poter agire in revocatoria degli atti posti in essere dal trustee/erede aventi ad oggetto beni del patrimonio ereditario/ trust fund, possono soddisfarsi anche sul patrimonio personale del trustee, aumentando le chance di soddisfazione dei propri crediti mentre i creditori del trust possono far valere il loro credito solo sui beni oggetto del trust fund e, per di più, in subordine rispetto ai creditori ereditari. I creditori ereditari prevalgono sempre e devono essere soddisfatti sul patrimonio ereditario oggetto del trust fund prioritariamente rispetto ai creditori del trust, vale a dire a coloro il cui titolo del credito abbia data posteriore alla morte del settlor/de cuius e, in special modo, sia connesso con le finalità del trust. Tali sono o sarebbero tutti coloro che vantano titoli dipendenti dall’attività di gestione posta in essere dal trustee successivamente all’accettazione dell’eredità e all’assunzione del suo incarico di trustee anche se fatti conformemente al programma stabilito dal de cuius34. Ne consegue che ogni atto di disposizione dei beni (ereditari) in trust da parte del Trustee persona giuridica societaria, anche se posto in essere in favore del beneficiario quale principale creditore del trust così come di terzi in ossequio alle finalità del Trust, appare impugnabile mediante azione revocatoria (arg. ex art. 2901 c.c.) se non addirittura ipso iure inefficace in quanto compiuto da soggetto non legittimato a porlo in essere (arg. ex art. 1376 c.c.), essendo tale soggetto gravato prioritariamente dall’obbligo, avente fonte legale (artt. 495, 499 c.c.), di estinzione dei debiti ereditari con i beni facenti parte del patrimonio ereditario, e che, nel caso in esame, coincidono interamente con i beni in trust. In altre parole, il trustee/erede è legittimato a disporre dei beni in trust per gli scopi fissati dal settlor/de cuius ma tale legittimazione segue (e non precede) quella alla disposizione dei medesimi beni per la soddisfazione de creditori del settlor/de cuius. Ciò appare confermato anche dalle norme della già menzionata legge straniera, con specifico riferimento alla Trust ( Jersey) Law 1984 e successive modifiche, là dove all’art. 21, par.1, lett. a) e b), impone al Trustee nella sua qualità, gli obblighi di preservare e, addirittura, di incrementare il trust fund. La mancata osservanza di tali obblighi genera una responsabilità personale del Trustee per breach of trust (vale a dire per mala gestio), tanto più grave ove si tratti – come nel caso in esame – di Trustee c.d. professionale [art. 21, par. 1, lett. a), iii Trust Jersey Law]35. L’obbligo legale di preservare ed incrementare il trust fund incombente sul Trustee così come previsto nella legge straniera [es.: Trust ( Jersey) Law] insieme al diritto dei creditori

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Generalmente si rileva come le finalità del trust consistano nella soddisfazione delle esigenze di vita e sostentamento economico del beneficiario principale del trust, indicato nell’atto istitutivo contenuto nel testamento del de cuius. 35 Sul punto cfr. I. Valas, Il trustee: funzioni, obblighi e poteri, in M. Monegat, G. Lepore, I. Valas (a cura di), Trust. Aspetti sostanziali e applicazioni nel diritto di famiglia e delle persone, vol. I, II ed., Torino, 2010, 214-216, 220-222.

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ereditari alla soddisfazione dei loro crediti sul patrimonio ereditario previsto dalla legge italiana legittima quest’ultimi all’esperimento di rimedi conservativi del patrimonio ereditario/trust fund così come previsti dal codice di procedura civile italiano (vale a dire dalla lex fori applicabile secondo quanto prevede la stessa Convenzione de L’Aja – art. 16, co. 1 –, e sovente anche l’atto testamentario istitutivo del Trust). In ragione di quanto detto, è lecito ritenere che, indipendentemente dalla corretta compilazione da parte sua di documenti (es.: libro giornale e rendiconti) che attestino tempi e modalità di gestione dei beni in trust in favore del beneficiario finale, il trustee persona giuridica societaria, nella persona fisica del suo legale rappresentante, sia legittimato passivo di: – azioni revocatorie degli atti, aventi ad oggetto beni in trust, posti in essere dall’accettazione dell’eredità ad oggi ovvero di: – azioni dichiarative dell’inefficacia di tali atti per mancanza di legittimazione a disporre (art. 1376 c.c.), nonché di: – azioni personali di responsabilità per mala gestio (vale a dire per breach of trust) dei beni in trust che avrebbero dovuto essere non solo inventariati ma anche conservati (se non addirittura incrementati) a far data dall’accettazione dell’eredità e assunzione dell’incarico di trustee fino alla chiarificazione della situazione debitoria della de cuius. Situazione della cui gravità il trustee è generalmente a conoscenza fin dal momento dell’accettazione dell’eredità (dies a quo) e dell’assunzione dell’incarico di trustee36.

7. I rimedi esperibili da parte dei creditori del de cuius

a tutela delle proprie pretese nei confronti della persona giuridica nella sua qualità di erede fiduciario. Dall’applicazione delle regole inderogabili di diritto italiano in materia successoria ne deriva che la figura del trustee che sia anche erede universale fiduciario risulta regolata, se non direttamente quantomeno in via analogica, da complessi normativi che riguardano sia l’erede beneficiato sia l’esecutore testamentario, soprattutto quando quest’ultimo sia anche erede (art. 701, co. 2, c.c.). Ma anche, inevitabilmente, dalle norme sulla diligenza del buon padre di famiglia o professionale che incombono sul Trustee ai sensi della sua legge straniera regolatrice (Trust ( Jersey) Law 1984 e successive modifiche). In particolare vanno segnalati gli artt. 493 e 703 c.c. che contengono una norma del medesimo tenore, la quale impone sia all’erede beneficiato sia all’esecutore testamentario

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Non paiono, invece, sussistere gli estremi per l’esperibilità dell’azione di separazione ex art. 512 c.c. in quanto i beni ereditari essendo oggetto di un trust comprensivo di tutti i beni ereditari non saranno mai aggredibili dai creditori personali del trustee persona giuridica societaria in quanto separati ontologicamente dal suo patrimonio personale.

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di chiedere l’autorizzazione giudiziale ai sensi degli artt. 747 ss. c.p.c., ove intendano procedere all’alienazione dei beni ereditari, pena la decadenza dal beneficio di inventario a carico dell’erede beneficiato. Altrettanto rilevanti appaiono le norme contenute negli artt. 492 e 494 c.c. sull’obbligo di garanzia a carico dell’erede beneficiato ove ne venisse richiesto dai creditori ereditari e sulla decadenza dal beneficio a seguito di omissioni o infedeltà nell’inventario. Del pari applicabile appaiono gli artt. 496 e 709 c.c. sul resoconto della gestione che si combinano con quelli gravanti sul trustee secondo la legge straniera regolatrice del trust (artt. 21, 24, 30, 32 Trust Jersey Law 1984) nonché l’art. 705 c.c. sull’apposizione dei sigilli sui beni ereditari quando tra i chiamati vi sia un minore di età. L’esame dei dati normativi potrebbe continuare. Ciò che qui si desidera porre in risalto è solo la confluenza nel quadro disciplinare del trust testamentario di norme di diritto italiano che offrono ai creditori ereditari validi strumenti di tutela in caso di inosservanza delle stesse da parte dell’erede che sia anche trustee testamentario. In ragione di quanto detto, è lecito ritenere che i creditori ereditari possano richiedere al trustee persona giuridica societaria che affermi di essere erede con beneficio di inventario, una garanzia ai sensi dell’art. 492 c.c. fin dal giorno dell’accettazione dell’eredità (dies a quo) nonché far valere ai sensi dell’art. 493 c.c., la decadenza del medesimo dalla posizione di erede beneficiato dal giorno in cui non risultino rispettate le disposizioni che impongono a suo carico l’onere di richiedere l’autorizzazione giudiziale per l’alienazione di un bene ereditario, vale a dire di un bene in trust. Qualora dunque si riconoscesse in capo al trustee persona giuridica societaria la qualità di erede beneficiato, sussisterebbero le condizioni per far dichiarare tale qualità decaduta in ragione della messa in vendita dell’immobile oggetto dell’eredità/trust fund senza la previa richiesta di autorizzazione giudiziale.

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Maria Novella Bugetti

L’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità nel prisma della nuova filiazione* Sommario :

1. I nuovi termini di impugnazione del riconoscimento non veridico per i legittimati diversi dal figlio. – 2. Imprescrittibilità dell’azione riguardo al (solo) figlio. – 3. Impugnazione del riconoscimento da parte del figlio minorenne. – 4. Impugnazione del riconoscimento e interesse del minore. – 5. La legittimazione in capo a chiunque abbia un interesse. – 6. L’impugnazione del riconoscimento materno. – 7. Azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità e procreazione medicalmente assista.

The analysis focuses on several aspects of the renewed discipline of the recognition action for lack of truthfulness: 1) the most relevant assimilation profiles of the action of recognition to that of deny paternity; 2) reversing the perspective, the prediction of the imprescriptibility of the action of deny paternity of the child, an aspect about which the action of disavowal has been assimilated to the lawsuit of untruthful recognition; 3) the contribution offered by the jurisprudence to this process of assimilation of the action ex art. 263 c.c. to that referred to in art. 243-bis of the Civil Code; 4) finally, what are the critical aspects of the discipline of the action to challenge maternal recognition in relation to the action to contest maternity ex art. 240 c.c. and in consideration of the human fertilization procedure.

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Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima

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Maria Novella Bugetti

1. I nuovi termini di impugnazione del riconoscimento non veridico per i legittimati diversi dal figlio.

La disciplina dell’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ha subito un profondo mutamento negli ultimi anni ad opera della Riforma della filiazione del 2012-2013 e di alcuni importanti arresti giurisprudenziali che hanno contribuito a ridefinirne i contorni. Tali modifiche sono da leggere nel più ampio contesto dell’unificazione dello stato di figlio e della correlata opera di assimilazione della disciplina delle azioni di stato. Può richiamarsi – a titolo esemplificativo di questo percorso e prima di addentrarsi in medias res – la modifica del tenore dell’articolo 276 c.c., in materia di azione di dichiarazione giudiziale di genitorialità, il quale ha introdotto1 al comma 1 della norma la previsione per la quale, allorchè manchino gli eredi del presunto genitore defunto, l’azione di dichiarazione giudiziale di genitorialità possa essere proposta nei confronti di un curatore speciale nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso. La disposizione riproduce ora – e in maniera assai apprezzabile2 – l’art. 247 c.c., che in materia di azione di disconoscimento della paternità già prevedeva la legittimazione passiva, in mancanza di eredi, di un curatore speciale nominato ad hoc. Entrando nello specifico dei profili innovativi della disciplina dell’azione di impugnazione del riconoscimento non veridico nel quadro del disegno di unificazione della disciplina delle azioni di stato, preminente rilevanza assume l’introduzione di termini di

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La mancanza di un consimile meccanismo anche in relazione all’azione ex art. 269 c.c. aveva condotto ad una pluralità di letture: secondo una opinione poteva farsi applicazione analogica dell’art. 247 c.c., così da non lasciare privo di tutela il figlio che ambisse ad accertare la genitorialità nei confronti del genitore morto senza lasciare eredi. La tesi maggioritaria era invece dell’avviso di considerare inapplicabile la norma sancita dall’art. 247 c.c. (Corte cost. 29 ottobre 2009, n. 278, in Giur. cost., 2009, 5, 3887; 20 novembre 2008, n. 379, in Giur. cost., 2008, 6, 4498, 21 dicembre 2007, n. 450, in Giur. cost., 2007, p. 6). Le soluzioni prospettate in dottrina erano molteplici, suggerendo alcuni che si dovessero chiamare in giudizio i parenti più prossimi, piuttosto che di un curatore speciale applicando in via estensiva l’art. 247 c.c. Lena, op. cit., 197. La stessa Corte costituzionale adita più volte sul punto, aveva precisato come non fosse in contrasto con gli artt. 3 e 24 cost. l’art. 276 c.c. nella parte in cui non prevedeva la possibilità di nominare un curatore speciale. Nondimeno, si osservava, di per sé non è configurabile l’assenza di eredi, tenuto conto che un erede è sempre possibile individuarlo nello Stato. Cfr. anche Corte cost. 17 novembre 2008, n. 379, la quale dichiarava manifestamente infondata la questione, adducendo, tra gli altri argomenti, che “la richiesta di pronuncia additiva non è costituzionalmente obbligata, ma rientra nella discrezionalità del legislatore ordinario, dal momento che lo stesso, allo scopo di realizzare la pretesa del ricorrente, potrebbe sia indicare quale legittimato passivo della domanda di dichiarazione giudiziale di paternità, in caso di premorienza del genitore e dei suoi eredi, un curatore speciale, sia individuare i legittimati negli eredi degli eredi del preteso genitore” e Corte cost. 29 ottobre 2009, n. 278 in Giur. cost. 2009, 3887. La modifica è dunque assai apprezzabile, come osservato dalla migliore dottrina (Balestra, La legittimazione passiva nei procedimenti per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale (art. 276 c.c., come modificato dall’art. 1, comma 5, l. n. 219/12), in Nuove leggi civ. comm., 2013, 505), in quanto ha ricondotto a coerenza il sistema delle azioni di stato sotto tale specifico profilo, ed inoltre, prevedendo la nomina del curatore speciale, ha consentito di evitare che il figlio il cui presunto genitore sia morto senza lasciare eredi veda la sua posizione irrimediabilmente pregiudicata, essendogli precluso l’esercizio dell’azione di dichiarazione giudiziale di genitorialità. Il che sarebbe ancor più irragionevole nella ipotesi in discorso, in cui al sacrificio della posizione del figlio non corrisponde alcun vantaggio per altri soggetti. In tema di dichiarazione giudiziale della paternità, l’art. 276 c.c., come novellato dall’art. 1, comma 5, l. 10 dicembre 2012 n. 219, che prevede, qualora sia deceduto il preteso genitore e manchino, o siano a loro volta deceduti i suoi eredi, la legittimazione passiva di un curatore speciale, si applica anche ai giudizi pendenti alla sua entrata in vigore (Cass. 19 settembre 2014, n. 19790, in Foro it., 2015, 6, I, 2126).

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prescrizione per l’esercizio dell’azione per i legittimati diversi dal figlio. In passato infatti l’azione di impugnazione del riconoscimento non veridico poteva essere esperita senza limiti di tempo e da chiunque interessato. Lo stato di figlio (allora) “naturale” risultava dunque fortemente instabile, aspetto che non mancava di suscitare perplessità, specie in paragone alla contrapposta forza di resistenza dello stato di filiazione matrimoniale; l’azione di disconoscimento della paternità era – e tuttora è – riservata al padre, alla madre e al figlio ed esperibile entro brevi termini decadenziali. Il carattere imprescrittibile dell’azione veniva spiegato in ragione della esigenza, considerata prioritaria quantomeno a seguito della Riforma del 1975, di far emergere senza limiti di tempo la non veridicità della filiazione, suffragata dalla indisponibilità dello stato di figlio, cosicché doveva considerarsi “iniquo sancire un termine di decadenza”. Tale argomento, a ben vedere, risultava criticabile dato che le medesime esigenze non erano (in maniera contraddittoria) egualmente soddisfatte rispetto alla filiazione nata nel matrimonio; l’azione di disconoscimento della paternità, infatti, era soggetta a brevi termini di decadenza. Il che sconfessava l’asserita connessione della imprescrittibilità dell’azione ex art. 263 c.c. con la preminenza dell’interesse all’emersione della verità della filiazione; a meno che tale interesse fosse da ascrivere partitamente alla filiazione non matrimoniale3. Con disciplina sostanzialmente speculare a quanto previsto dall’art. 244 c.c., l’art. 263 c.c. rinnovato stabilisce ora che l’autore del riconoscimento possa esercitare l’azione entro un anno dal giorno dell’annotazione del riconoscimento. Se poi a fondamento dell’esercizio dell’azione vi sia lo stato di impotenza, il termine annuale decorre dal giorno in cui l’autore del riconoscimento ha avuto conoscenza di tale condizione; anche la madre può impugnare il riconoscimento entro un anno a far data dalla conoscenza della impotenza del presunto padre4. Si noti incidentalmente come la norma si esprima in maniera impropria indicando l’autore del riconoscimento come padre “presunto”; nessuna presunzione infatti opera nel caso in discorso, in mancanza di qualsivoglia vincolo matrimoniale tra i genitori, di guisa che, fino alla sentenza che accolga la domanda di impugnazione, l’autore del riconoscimento è a tutti gli effetti “padre” del riconosciuto5. Il lapsus calami del legislatore costituisce tuttavia argomento a conferma del processo di assimilazione della disciplina dell’azione ex art. 263 c.c. a quella di disconoscimento della paternità.

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Si era anzi dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c. proprio in riferimento all’imprescrittibilità dell’azione per i legittimati diversi dal figlio, dato che la possibilità di esperire l’azione senza limiti di tempo determinava la ritrattabilità del riconoscimento, svuotando nella sostanza il suo carattere irrevocabile (art. 253 c.c.). La Corte costituzionale (Corte cost. 18 aprile 1991, n. 158, in Dir. fam., 1991, 172; Corte cost. 22 aprile 1997, n. 112, in Giur. cost., 1997, I, 1077; Corte cost. 9 gennaio 2012, n. 7, in Giur cost., 2012, 45) dichiarò non fondata la q.l.c., affermando che fosse prevalente comunque il favor veritatis, di guisa che il carattere imprescrittibile dell’azione non si poneva in contrasto con i principi costituzionali. L’art. 263 c.c., che consentiva l’impugnazione sine die del riconoscimento non rispondente a verità, non si poneva in contrasto con l’art. 2 Cost., in quanto non violava – a dire della Corte – i diritti del preteso figlio né scioglieva dai vincoli assunti lo pseudogenitore, essendo tali diritti e vincoli basati sul presupposto di un legame familiare, venuto meno per il preminente interesse oggettivo dell’ordinamento alla verità dello status personale di filiazione. Trib. Firenze, 10 settembre 2014, in Banca dati De Jure. Sesta, L’accertamento dello stato di figlio dopo il decreto legislativo n. 154/2013, in Fam. e dir., 2014, 464.

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Entrando più nello specifico, la norma che prescrive il decorso annuale del termine dalla data di scoperta dell’impotenza, è da intendersi riferita al solo padre; ciò si inferisce dalla lettura della dizione “Se l’autore del concepimento prova di aver ignorato la propria impotenza” alla luce del successivo “la madre è ammessa a provare di aver ignorato l’impotenza del presunto padre”. Tenuto conto che la norma si riferisce alla procreazione naturale non è illogico che l’ipotesi dell’impotenza sia causa di impugnazione del riconoscimento solo ex latere patris. Infatti, per la madre l’impotentia generandi non potrebbe che concretare una ipotesi di supposizione di parto, circostanza che di certo non è suscettibile di scoperta successiva alla nascita o al riconoscimento. Vi è ulteriormente da chiedersi quale sia la ratio della limitazione dei presupposti rilevanti ai fini della decorrenza dei termini per esercitare l’azione al solo caso dell’impotenza, escludendo dunque ulteriori ipotesi che nondimeno potrebbero giustificarlo: si pensi alla scoperta di una relazione della madre con altro uomo al tempo del concepimento o la lontananza dal luogo della nascita, circostanza che infatti rileva ai fini della determinazione della decorrenza della decadenza dell’azione di disconoscimento della paternità ai sensi dell’art. 244 c.c. Si è in proposito obiettata la potenziale incoerenza del sistema sotto tale profilo, tenuto conto del fatto che risulta notevolmente meno protetto l’uomo nell’ipotesi di filiazione fuori dal matrimonio. Si è dubitato, nella specie, che tale minor tutela possa giustificarsi in ragione della assenza del vincolo matrimoniale e dell’obbligo di fedeltà che ne discende, perché “negare all’uomo, che si assume la responsabilità del figlio che ritiene nato dal rapporto con la madre, di poter far valere l’errore sulla paternità finisce per assumere il carattere di una sorta di atteggiamento “punitivo” per comportamenti sessualmente liberi, certamente lontano dalle intenzioni del legislatore”6. L’obiezione pare invero convincente, specie tenuto conto dell’ulteriore termine decadenziale quinquennale (del quale a breve si dirà) e che rende dunque obiettivamente assai opinabile il sacrificio imposto all’autore del riconoscimento di non poterne far valere la falsità a fronte della emersione oltre un anno delle circostanze che la giustificano. Ne discende che la madre gode di un termine di decadenza differenziato a seconda che agisca facendo valere l’impotenza del padre (annuale) oppure altre diverse circostanze fondanti la pronuncia di non veridicità del riconoscimento del padre – quali rapporti con altri uomini al momento del concepimento –, in relazione alle quali ella può agire nel termine di cinque anni dall’annotazione del riconoscimento previsto dall’art. 263 comma IV c.c. In ciò la sua posizione si differenzia rispetto a quello della madre coniugata che agisca ex art. 243-bis c.c.; ella infatti può agire nel termine di sei mesi. Il che lascia emergere come il legislatore consideri unitariamente il fenomeno della filiazione fuori dal matrimonio, anche allorchè esso avvenga nel contesto di una coppia genitoriale legata da un vincolo stabile, nella sostanza assimilabile a quello matrimoniale.

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Dossetti, Le azioni di stato, in Dossetti, Moretti, Moretti (a cura di), La filiazione, Bologna, 2017, 308.

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Nella anziesposta prospettiva di favore per la stabilità dello stato di filiazione, seppur non veridico, goduto dal figlio per un significativo lasso di tempo è meritevole di specifica ulteriore analisi la previsione, introdotta, come accennato, dalla Riforma della filiazione del 2012-2013, secondo la quale da parte dei legittimati diversi dal figlio l’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità non può essere promossa trascorsi cinque anni dall’annotazione del riconoscimento. La medesima previsione è stata specularmente introdotta anche nella disciplina dell’azione di disconoscimento della paternità. Nella visione di contemperamento il termine quinquennale consente di non comprimere eccessivamente7 la posizione del genitore – salvo il caso in cui sia consapevole della propria impotenza –, concedendogli un congruo lasso di tempo per agire allo scopo di far decadere lo stato genitoriale non veridico8. Oltre tale termine prevale, invece, con una valutazione aprioristicamente condotta dal legislatore, l’interesse del figlio a non veder mutato lo stato nel frattempo goduto e divenuto dunque parte della propria identità personale e familiare. Spicca dunque la tensione dell’ordinamento a contenere la potenziale complessità derivante dalle sempre più evolute tecniche di accertamento dei legami biologici – e ciò a prescindere dal fatto che i genitori siano o meno uniti in matrimonio –; attenuatosi il favor legitimitatis, l’emersione della verità genetica del concepimento, che la scienza rende sempre possibile nonostante l’allontanarsi nel tempo dei fatti da provare, richiede di essere in altro modo limitata allo scopo di proteggere il figlio dai pregiudizi derivanti dalla recisione di legami affettivi e relazionali che siano divenuti parte della propria identità9. È da notare come il dato letterale della norma prefiguri come elemento fondante la inamovibilità della filiazione, sebbene non veridico, il godimento quinquennale dello stato di figlio: l’estensione temporale del termine quinquennale infatti non decorre dalla nascita del figlio, come invece nel caso della filiazione matrimoniale (dove infatti l’accertamento dello status filiationis coincide con la nascita) bensì dall’annotazione del riconoscimento nell’atto di nascita. Se ciò è vero, non vi è dubbio che l’ordinamento privilegia il mantenimento dello stato acquisito, favorendo l’apparenza rispetto alla realtà, non solo a fronte

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Sui dubbi di legittimità costituzionale del termine “tombale” di cui all’art. 244, comma 4, c.c., vedi Sesta, L’accertamento dello stato di figlio dopo il decreto legislativo n. 154/2013, cit., 458-459. L’Autore pronostica “un nuovo intervento correttivo della Corte, tenuto conto che, dopo la riforma, il favor veritatis e più ancora l’effettivo rispetto della vita privata e familiare, risultano ingiustificatamente compressi dalla disposizione che impedisce di agire all’interessato inconsapevole della non paternità”. Corte Europea dei diritti dell’uomo 24 novembre 2005, n. 74826, Shofman C. Russia, in Fam., pers. e succ., 2006, 188, secondo cui “L’istituzione di un termine per l’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità può essere giustificata dalla preoccupazione di garantire la certezza giuridica dei rapporti familiari e di proteggere gli interessi dei minori. Peraltro, la previsione di un termine tale da impedire di esercitare un’azione di disconoscimento della paternità a colui che è venuto a sapere solamente un anno dopo la nascita del figlio di non esserne il padre, non è proporzionata agli scopi legittimi perseguiti. Ne consegue che non vi è un bilanciamento tra l’interesse generale alla protezione della certezza legale delle relazioni parentali e il diritto del ricorrente a far cadere la presunzione di paternità di fronte all’evidenza dei risultati ematologici”. Nella Relazione illustrativa del disegno di legge, redatta dalla Commissione Bianca, si evidenzia l’esigenza di un bilanciamento tra «principio di verità della filiazione» e «interesse del figlio alla conservazione dello stato» (Commissione Bianca, Relazione conclusiva, in www.politichefamiglia.it, 158).

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della verifica in concreto della corrispondenza della conservazione dello status quo all’interesse del figlio, ma – più radicalmente – presumendo che trascorso un certo termine la contestazione dello stato sia contrastante con tale parametro. L’introduzione dei suddetti termini di decadenza ha avuto un innegabile impatto (ridimensionandolo) sulla portata del favor veritatis10; nella nuova prospettiva, infatti, l’emersione della non veridicità della filiazione deve essere contemperato con la tutela della stabilità delle relazioni familiari del figlio, specie (ma non solo) se minorenne. La previsione della non contestabilità dello stato di filiazione apre infatti ad una prospettiva di bilanciamento tra verità della filiazione e stabilità dei rapporti giuridici familiari derivanti dal riconoscimento11. Sembra dunque decisamente superata la posizione assunta anni or sono dalla Corte costituzionale, che con sentenza 158/199112 aveva precisato come l’imprescrittibilità della prima trovava fondamento alla luce della considerazione per la quale lo status del figlio nato fuori del matrimonio è tutelato in considerazione della sua veridicità. La previsione ora di un termine di decadenza per i legittimati diversi dal figlio consente di ritenere che nella prospettiva dell’ordinamento la corrispondenza tra verità formale e verità naturale della procreazione soccomba sempre – e dunque a prescindere da quale sia il vincolo che unisce i genitori – a vantaggio della stabilità dello stato di filiazione. Ma se si ammette che tale stabilità non corrisponda ad esigenze di ordine pubblico bensì ad istanze di protezione della identità personale e familiare, se ne evince una disparità di tutela accordata al figlio rispetto al genitore, nei confronti del quale si potrebbe prefigurare un consimile diritto, che l’ordinamento nondimeno sacrifica13.

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Merita di essere al riguardo richiamata anche la pronuncia con la quale la Corte costituzionale (10 giugno 2014, n. 162, in Fam. e dir., 2014, 2014 nota di Carbone) ha abrogato il divieto di fecondazione eterologa posto dalla l. 40/2004, cosicché è ora possibile accedere alle tecniche di fecondazione eterologa mediante l’utilizzo di materiale genetico donato da terzi. Orbene, la sentenza richiamata acquista una rilevanza sistematica notevolissima, solo che si consideri che come effetto della ammissibilità delle pratiche di fecondazione eterologa vi è l’emancipazione della genitorialità elettiva, ovvero non connessa all’apporto biologico alla procreazione. Il che equivale ad ammettere che l’elemento della verità biologica della procreazione costituisce elemento a priori suscettibile non solo di contemperamento (come nel caso in cui esso venga sacrificato in nome dell’interesse del minore nell’ambito delle azioni si stato), ma addirittura di sacrificio. 11 E “ciò, soprattutto, in ragione della natura volontaria dell’atto di riconoscimento e della conseguente assunzione di responsabilità che esso comporta”: Relazione Bianca, Commissione Bianca, Relazione conclusiva, in www.politichefamiglia.it, 163. 12 Corte cost. 18 aprile 1991, n. 158, in Giust. civ., 1991, I, 2550. V. anche Cass. 24 maggio 1991, n. 5886, in Giust. civ., 1992, I, 775. Con specifico riferimento alla legittimazione (attiva) all’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, cfr. Cass. 22 novembre 1995, n. 12085, in Fam. e dir., 1996, 129 ss., con nota di Amadio, Sulla legittimazione ad impugnare il riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità. 13 Chiappetta, La posizione del figlio nato fuori del matrimonio, in Bianca (a cura di), La riforma della filiazione, Milano, 2015, 508 che parla di posizione invertita di genitori e figli nel rapporto verticale.

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2. Imprescrittibilità dell’azione riguardo al (solo) figlio. Con riguardo al figlio, l’azione di impugnazione del riconoscimento non veridico è ora imprescrittibile così come lo era prima della Riforma della filiazione del 2012-2013. Nondimeno, il radicale mutamento del contesto normativo, tanto in ragione della introduzione dei termini per i legittimati diversi dal figlio quanto in relazione alla introduzione ex novo del carattere imprescrittibile riguardo al figlio anche dell’azione di disconoscimento della paternità, induce a riconsiderare il fondamento razionale della norma. La lettura dell’elemento della imprescrittibilità dell’azione di impugnazione del riconoscimento ex latere filii alla luce dell’allontanamento della disciplina delle azioni di stato da qualsivoglia intento di protezione dell’istituto matrimoniale – un tempo prioritaria – e, per converso, della emersione della prioritaria finalità di salvaguardia e promozione dell’interesse del figlio, conduce ad evidenziare la spiccata diversificazione della posizione del figlio, sia esso nato fuori o dentro il matrimonio, rispetto agli altri legittimati e, specificamente, al genitore. Mentre infatti il figlio è protetto rispetto ad azioni che mirino a privarlo dello stato di filiazione di cui abbia goduto per un certo lasso di tempo (5 anni) o, se minore, la cui rimozione infraquinquennale si ponga in contrasto con il suo preminente interesse (v. oltre sub § 3), egli può invece esperire l’azione di impugnazione del riconoscimento non veridico non solo senza limiti di tempo, ma anche nella certezza che, pur allontanandosi nel tempo i fatti da provare, essi potranno essere agevolmente dimostrati in giudizio mediante semplici prove ematologiche. Il che, se colloca il figlio in una posizione di assoluta “egemonia”14 nel rapporto di filiazione – ancorato alla sua volontà discrezionale –, pone per converso il genitore in una situazione giuridica soggettiva di soggezione, non solo allorché egli abbia riconosciuto il figlio non proprio in mala fede15, ma anche quando egli sia venuto a conoscenza delle circostanze che avrebbero potuto fondare l’azione di impugnazione per difetto di veridicità dopo il quinquennio dall’annotazione del riconoscimento, allorché dunque l’azione non sia più esperibile16. In altri termini, l’interesse del fi-

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Dossetti, op. cit., 308, la quale mette altresì in luce una possibile distorsione del sistema, allorché a distanza di tempo dal riconoscimento egli ponga in essere l’azione non già spinto da ragioni morali o comunque non patrimoniali, ma per ragioni di convenienza economica. 15 Sul punto Scalera, sub art. 263 c.c., in Di Rosa (a cura di), Della famiglia, 2, in Commentario del codice civile, diretto da Gabrielli, II ed., Torino, 2018, 455 ss. 16 Sesta, L’accertamento dello stato di figlio dopo il decreto legislativo n. 154/2013, cit., 454: “Ad avviso di chi scrive, restano giustificate le perplessità già manifestate molti anni or sono ad altro proposito nei confronti delle disposizioni che limitano l’accertamento della verità, sul presupposto che debba prevalere il (supposto) interesse alla stabilità dei rapporti familiari; è vero che la legge fa sempre salva la libertà del figlio di valutare se agire o meno per l’accertamento della verità, ma – come si è sopra detto in riferimento all’azione di disconoscimento della paternità – è anche vero che da parte del genitore sussiste analogo interesse all’identità familiare, cioè alla sua identità di padre, che in sé merita tutela incondizionata, salve le eventuali sanzioni in termini penali o risarcitori allorché il suo comportamento abbia avuto carattere delittuoso oppure abbia arrecato un danno ingiusto”. Come dato constatare, nulla è previsto invece per la scoperta tardiva da parte di colui che ha effettuato il riconoscimento di rapporti sessuali intrattenuti all’epoca del concepimento dalla madre con altri, diversamente da quanto invece disposto dall’art. 244 c.c. a proposito dell’azione di disconoscimento della paternità. “Nello stesso termine [di un anno] la madre che abbia effettuato il riconoscimento è ammessa a provare di aver ignorato l’impotenza del presunto padre. L’azione non può essere comunque proposta oltre cinque anni

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glio a veder demolito lo stato di filiazione veridico si configura come diritto pieno, mentre per il genitore tale pretesa è soccombente di fronte alla contrapposta esigenza del figlio di conservare la relazione genitoriale protrattasi per un certo lasso di tempo.

3. Impugnazione del riconoscimento da parte del figlio minorenne.

A seguito della Riforma della filiazione del 2012-2013, la disciplina della impugnazione del riconoscimento non veridico esercitata da parte del figlio minorenne è stata rivisitata, assimilandola notevolmente alla corrispondente regola di cui all’art. 244 u.c. c.c. con riguardo all’azione di disconoscimento della paternità. Prima della Riforma, l’art. 264 c.c. prevedeva che tanto nel caso di figlio minore di sedici anni quanto nel caso di interdetto vigesse un generale divieto di impugnazione del riconoscimento e che “tuttavia il giudice, con provvedimento in camera di consiglio su istanza del pubblico ministero o del tutore o dell’altro genitore che abbia validamente riconosciuto il figlio o del figlio stesso che abbia compiuto il sedicesimo anno di età” potesse autorizzare l’impugnazione del riconoscimento, nominando un curatore speciale. L’abolizione del divieto risponde alla finalità di assimilare la disciplina dell’azione di impugnazione del riconoscimento e di disconoscimento della paternità, di guisa che l’art. 264 c.c. corrisponde ora al disposto di cui all’art. 244 u.c. c.c. La previsione dello schermo processuale del curatore speciale per l’impugnazione del riconoscimento “da parte del figlio minore” implica una eccezionale limitazione dei poteri dei suoi rappresentati legali (o, meglio, dei genitori, stando al tenore letterale della disposizione), la cui ratio pare potersi individuare nella presunzione della esistenza di un conflitto di interesse tra il genitore e il figlio riconosciuto allorché si tratti dalla rimozione dello status filiationis. Tale modifica, dunque, ancora una volta è espressione della finalità di tutela del figlio sottesa al disegno di unificazione della disciplina delle azioni di stato. L’istanza di nomina del curatore speciale può essere proposta dal solo figlio allorché egli abbia compiuto i quattordici anni. La previsione contribuisce ad affermare l’assoluto primato del figlio in relazione all’acquisizione e alla demolizione dello stato di filiazione, e pare dunque sintonica con quanto previsto dall’art. 250 c.c. in materia di assenso al riconoscimento tardivo. L’acquisto, in quel caso, è rimesso all’arbitrio del figlio, senza che né l’altro genitore né il giudice possano opporvisi; specularmente, l’art. 264 c.c. stabilisce che l’iniziativa dell’azione volta alla nomina del curatore speciale per impugnare il riconoscimento da parte del figlio minorenne ultraquattordicenne spetti solo a quest’ultimo. A

dall’annotazione del riconoscimento. L’azione di impugnazione da parte degli altri legittimati deve essere proposta nel termine di cinque anni che decorrono dal giorno dell’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita. Si applica l’articolo 245”.

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differenza che nel caso dell’acquisto tardivo dello stato di filiazione ex art. 250 c.c, però, ove il dissenso del figlio costituisce ostacolo insormontabile all’acquisto di efficacia del riconoscimento, ai sensi dell’art. 264 c.c. nel caso di inerzia del figlio a sollecitare la nomina del curatore speciale per l’esercizio dell’azione, i genitori possono, se ancora nei termini, agire personalmente per ottenere la pronuncia di impugnazione. La previsione secondo la quale il figlio ultraquattordicenne sia legittimato non già a promuovere direttamente l’azione di impugnazione, quanto a domandare la nomina del curatore speciale può apparire non pienamente coerente con la incondizionata libertà di rifiutare ex art. 250 c.c. l’acquisto dello stato di figlio in caso di riconoscimento tardivo. Allorché il figlio riconosciuto minorenne non abbia compiuto i quattordici anni, sono legittimati a domandare la nomina del curatore speciale il pubblico ministero17 e “l’altro genitore”. Per quanto concerne il riferimento alla legittimazione “dell’altro genitore”, essa genera dubbi, specie se interpretata alla luce del dettato della parallela regola di cui all’art. 244 c.c. in tema di disconoscimento della paternità. Rispetto a tale ultima disposizione, il richiamo “all’altro genitore” secondo alcuni dovrebbe intendersi riferita al padre biologico18, mentre secondo altra lettura sarebbe da riferire quando alla madre quando invece al genitore che, se l’azione fosse stata tempestivamente proposta, sarebbe stato altrettanto legittimato all’azione (dunque il marito o la madre)19. Chi sostiene la prima delle interpretazioni enunciate20, ne trae il convincimento del favore per l’emersione della verità biologica del concepimento mediante l’ulteriore allargamento del novero dei legittimati a sollecitare la nomina del curatore speciale21. L’interpretazione secondo la quale il riferimento all’“altro genitore” sia da intendere come al genitore biologico non è, ad avviso di chi scrive, convincente22. Infatti, non può non concordarsi con l’osservazione di chi ha rilevato come se il riferimento all’altro genitore fosse da ricondurre al padre biologico, si giungerebbe al paradosso per il quale mentre il padre e la madre del bambino, decaduti dall’azione, potrebbero essere “rimessi in termini” solo mediante la sollecitazione del p.m., il padre biologico

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Quanto alla legittimazione del p.m. è degno di nota come egli, mentre non è – secondo la tesi prediletta – legittimato attivo all’azione di impugnazione del riconoscimento ai sensi dell’art. 263 c.c., è per contro nel novero dei legittimati attivi per la richiesta di nomina del curatore speciale, dal quale sono esclusi invece tanto l’autore del riconoscimento quanto “chiunque interessato”. 18 Carbone, Azione di disconoscimento di paternità: il favor veritatis prevale sul favor legitimitatis, in Corr. giur., 2017, 452 ss.; Rosetti, Allineamento delle regole di accertamento della filiazione, in Bianca (a cura di), Filiazione. Commentario al decreto attuativo, Milano, 2014, 53. 19 Dossetti, L’azione di disconoscimento di paternità, in Bonilini (diretto da), TRattato di diritto di famiglia, Torino, 2016, 2016, 3482. 20 Peraltro, indirettamente avallata dalla Cass. 15 febbraio 2017, n.4020, in Corr. giur., 2017, 450 nota di Carbone. 21 Nella stessa ottica potrebbero essere altresì letti da un lato la imprescrittibilità dell’azione di disconoscimento con riguardo al figlio, nonché l’abolizione dei presupposti tassativi per l’esercizio dell’azione di disconoscimento contenuti nell’art. 235 c.c. vecchio testo. 22 Innanzitutto, tenuto conto dell’osservazione, di carattere generale, secondo la quale nell’ordinamento positivo per genitore si intende sempre colui rispetto al quale si è formalizzato uno stato di filiazione. Se ne trae argomento dal tenore dell’art. 279 c.c., dove significativamente il legittimato passivo dell’azione di mantenimento, istruzione ed educazione nell’ipotesi in cui non si sia formalizzato il rapporto di filiazione non viene qualificato come “genitore”. Laddove non si sia ancora formalizzato il rapporto di filiazione, infatti, il codice evita invece per lo più l’utilizzo della parola genitore, affidandosi alla più generica dizione di “padre” o “madre”, come nell’art. 250 c.c., nell’art. 269 c.c.

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potrebbe invece direttamente adire il tribunale per domandare la nomina del curatore speciale. Tale soluzione, anche, ma non solo, in riferimento all’azione di disconoscimento della paternità, osa troppo, tenuto conto del fatto che la possibilità per il padre biologico di far emergere direttamente il proprio interesse alla paternità non può considerarsi «l’obiettivo degli estensori della norma, sia perché il tema della legittimazione del padre naturale, benché discusso, era ancora ben lontano dall’aver raggiunto sufficienti consensi, sia perché, se questo fosse il senso della disposizione, non si giustificherebbe la disparità di trattamento rispetto alla madre e al marito di lei, ai quali, una volta spirati i termini per l’azione, non sarebbe nemmeno riconosciuta la facoltà di proporre direttamente istanza al giudice per la nomina del curatore speciale»23. Pare dunque in conclusione più ragionevole aderire alla tesi secondo la quale per “altro genitore” deve intendersi il genitore che è “altro” rispetto a colui contro il quale dovrebbe essere promossa l’azione (più frequentemente il padre). In riferimento all’azione di disconoscimento della paternità tale conclusione pare piuttosto significativa, sul piano sistematico, in quanto rimanda al principio di non interferenza dei terzi nel nucleo familiare, rimettendo al giudizio del marito e della moglie se mantenere fermo il rapporto di filiazione, ancorché, in ipotesi, non veridico, o se porlo nel nulla. I coniugi, in ultima analisi, sono arbitri circa la valutazione della corrispondenza con l’interesse del minore del mantenimento dello stato di filiazione acquisito; interesse coincidente, in questo caso, con la loro volontà di proseguire nello svolgimento delle funzioni genitoriali. Nondimeno, ed in maniera assorbente in relazione al caso di impugnazione del riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio, la previsione della nomina del curatore speciale e la richiesta di tale ulteriore formalità risponde alla necessità di tutelare il figlio nel caso di superamento dei termini per agire, cosicché una più attenta valutazione possa essere fatta – e dunque già da parte del p.m. – della fondatezza dell’azione e della corrispondenza della contestazione dello stato all’interesse del minore. La limitazione della legittimazione diretta all’“altro genitore” – ad esclusione di altri interessati – lascia intendere la connessione tra la legittimazione e la “rappresentanza” del figlio minore. Ma se è vero che la legittimazione ad adire il tribunale per l’azione per conto del figlio minorenne dell’altro genitore poggia sulla generale rappresentanza insita nell’esercizio della responsabilità genitoriale, risulta oscura la ragione che ha condotto il legislatore ad escludere la legittimazione diretta dell’autore del riconoscimento ai fini della nomina del curatore speciale. Infatti, fino alla eventuale sentenza di accoglimento della domanda di impugnazione per difetto di veridicità, l’autore del riconoscimento è genitore, esercita di norma la responsabilità genitoriale e si trova nella medesima posizione di vicinanza rispetto alle esigenze del figlio. Ne consegue che, almeno astrattamente, potrebbe

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Dossetti, L’azione di disconoscimento di paternità, cit., 3483.

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anch’egli essere legittimato ad adire il tribunale per la nomina del curatore speciale. Tuttavia, stante il tenore della norma, risulta esclusa la legittimazione del “genitore” autore del riconoscimento; di guisa che, se questi non può più agire in prima persona per domandare l’impugnazione del riconoscimento in quanto siano scaduti i termini per farlo, può, al pari di qualunque terzo, sollecitare l’intervento del p.m. In maniera peculiare, dunque, il genitore che abbia riconosciuto e che intenda contestare lo stato di filiazione si trova, relativamente alla istanza di nomina del curatore speciale, nella medesima posizione in cui si trova il genitore biologico, privo (pro tempore) di qualsivoglia legame formale col figlio.

4. Impugnazione del riconoscimento e interesse del minore. Nel processo di assimilazione della disciplina dell’azione di impugnazione del riconoscimento non veridico a quella di disconoscimento della paternità meritano di essere annoverate alcune significative pronunce delle corti di legittimità successive alla Riforma della filiazione del 2012-2013. Un primo arresto giurisprudenziale di cruciale rilevanza nel percorso verso l’assimilazione dell’azione di impugnazione del riconoscimento non veridico e disconoscimento della paternità è la sentenza della Corte costituzionale 272/201724. Il giudice delle leggi ha con essa uniformato la disciplina dell’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità all’azione di disconoscimento della paternità – e, invero, alla disciplina di tutte azioni di stato - sul punto della rilevanza del criterio ordinante dell’interesse del minore; si è infatti affermato come non sia “costituzionalmente ammissibile che l’esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sull’interesse del minore, con la conseguenza che i due valori (verità ed interesse del minore) devono essere bilanciati mediante un adeguato giudizio comparativo, all’esito del quale non è affatto necessario che, in base alle emergenze del caso concreto, l’esigenza di verità dello status filiationis prevalga sull’interesse del minore a rimanere in quel contesto familiare”. La pronuncia – che muoveva da un peculiare caso di richiesta di nomina del curatore speciale avanzata dal p.m. per far accertare la non veridicità del riconoscimento materno, che aveva fatto ricorso all’estero ad una pratica di maternità surrogata e non era dunque la partoriente –, ha infine affermato come non sia estranea all’azione ex art. 263 c.c. la considerazione della

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In questa Rivista, 2018, 59, con nota di Sandulli, Favor veritatis e favor minoris nell’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità. In Corr. giur., 2018, con nota di Ferrando, Gestazione per altri, impugnativa del riconoscimento e interesse del minore. La sentenza ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c., sollevata in riferimento agli art. 2, 3 , 30, 31 e 117, comma 1, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia rispondente all’interesse dello stesso. Il giudice chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale concepito tramite maternità surrogata è sempre tenuto ad effettuare una valutazione comparativa tra interesse alla verità e interesse del minore.

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contrarietà dell’impugnativa all’interesse del minore; circostanza alla luce della quale deve essere letta la ulteriore precisazione della Corte secondo la quale il bilanciamento richiesto tra verità e interesse del minore al mantenimento dello stato comporti un giudizio comparativo, che va al di là della mera alternativa vero o falso, per tenere conto della “durata del rapporto instauratosi col minore e quindi la condizione identitaria già da esso acquistata”, ma anche “le modalità di concepimento e della gestazione”. La portata della suddetta pronuncia può essere colta alla luce della considerazione per la quale per lungo tempo nell’ambito del giudizio di azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità l’operatività del principio della verifica in concreto della compatibilità della caducazione dello stato di filiazione con l’interesse del minore è stata decisamente negata. La stessa Corte costituzionale, investita più volte della q.l.c. dell’art. 263 c.c.25, nella parte in cui non prevedeva di considerare la compatibilità della caducazione dello stato non veridico con l’interesse del minore, aveva affermato che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità fosse ispirata al “principio di ordine superiore che ogni falsa apparenza di stato deve cadere”. La verità del rapporto di filiazione, infatti, nella prospettiva adottata dal Giudice delle Leggi, costituiva un valore assoluto, conformemente alla finalità perseguita dal legislatore di attuare il diritto del minore all’acquisizione di uno stato corrispondente alla realtà biologica26. La posizione assunta dalla Corte costituzionale è stata tuttavia erosa ad opera di un formante giurisprudenziale incline a relativizzare l’assolutezza del favor veritatis nell’ambito delle azioni di stato, a vantaggio del riconoscimento di una vieppiù ascendente incidenza del criterio dell’interesse del minore. La progressiva inclusione tra gli elementi valutativi nel giudizio relativo alle azioni di stato di quello della corrispondenza della decisione sullo status filiationis all’“interesse del minore”, ha trovato una tra le tappe giurisprudenziali più significative nella sentenza della Corte costituzionale n. 341 del 199027, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 274 comma 1 c.c., nella parte in cui non prevedeva che l’azione di dichiarazione giudiziale di genitorialità con riguardo al figlio minore di sedici anni fosse subordinata alla verifica della corrispondenza al suo interesse28 La successiva abrogazione della norma ad opera della Consulta non ha determinato la soppressione del giudizio di corrispondenza

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Rammenta il giudice a quo che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ. è già stata ritenuta non fondata dalla sentenza n. 112 del 1997, sull’assunto che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità sia ispirata al “principio di ordine superiore che ogni falsa apparenza di stato deve cadere”. In quella occasione, asserisce il rimettente, la Corte ha individuato nella verità del rapporto di filiazione un valore necessariamente da tutelare, con la precisazione che la finalità perseguita dal legislatore consisterebbe proprio nell’attuazione del diritto del minore all’acquisizione di uno stato corrispondente alla realtà biologica. Analoghi principi sarebbero stati ribaditi, e da ultimo da Corte cost.7/2012. 26 Cfr. Corte cost. n. 112 del 1997, cit. 27 Corte cost. 20 luglio 1990, n. 341, in Rass. dir. civ., 1992, 834, con nota di Sciancalepore. 28 Corte cost. 27 novembre 1991, n. 429, in Giur. it., 1992, I, 1, 385 nota di D’Amico. La sentenza richiamata ha in definitiva affermato la contaminazione della decisione sullo stato, improntata dopo la Riforma del 1975 alla emersione della verità, al criterio dell’interesse del minore, di per sé considerato preminente ed idoneo a giustificare il sacrificio della corrispondenza tra la verità formale e la verità naturale.

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dell’azione all’interesse del minore, valutazione che è ora effettuata nel corso del giudizio di merito. Ancora, merita cenno la sentenza della Corte costituzionale 429/199129; chiamata a pronunciarsi sulla illegittimità costituzionale dell’art. 244 c.c. in tema di azione di disconoscimento della paternità – laddove mancava di considerare l’interesse del minore sia nella fase di iniziativa del P.M. sia in quella del successivo provvedimento del tribunale – il Giudice delle Leggi ha affermato, con sentenza additiva, come il diritto vigente, correttamente interpretato, fornisca strumenti sufficienti per proteggere il minore contro azioni temerarie o ricattatorie30. Nell’assetto riscritto dalla Corte costituzionale, dunque, l’emersione della verità biologica del concepimento trova un imprescindibile limite nella verifica che la contestazione dello stato di filiazione corrisponda all’interesse del minore31, cosicché il Tribunale potrà accogliere la richiesta solo dopo aver valutato, assunte sommarie informazioni, non solo la sussistenza del fumus boni iuris circa la sussistenza dei presupposti di fatto ai quali l’azione di disconoscimento è subordinata, ma anche che essa sia rispondente all’interesse del minore32. Infine, non può non menzionarsi in tale contesto la caducazione del divieto di fecondazione eterologa ad opera della Corte costituzionale (sent. 162/2012), che ha sgretolato l’assolutezza del favor veritatis, affermando la preordinata soccombenza della genitorialità genetica rispetto a quella intenzionale o gestazionale. La Riforma della filiazione del 2012-2013, dal canto suo, ha di molto ridimensionato la portata dell’assunto secondo il quale l’impugnazione del riconoscimento è ispirato al “principio di ordine superiore che ogni falsa apparenza di stato deve cadere”33, introducendo significativi indici normativi che contraddicono il valore assoluto della “verità” della filiazione. Non può non richiamarsi a titolo esemplificativo come l’interesse del figlio è assurto, dal rinnovato testo dell’art. 251 c.c., a esclusivo parametro valutativo per l’autorizzazione giudiziale al riconoscimento del figlio nato da persone legate da un vincolo di parentela o affinità. È stato al riguardo sottolineato come in tale prospettiva il riferimento alla stregua del quale si consente il riconoscimento non è costituito “dal contesto ambientale o dalla morale sociale, ma dall’interesse del minore, ravvisandosi la necessità di puntare l’attenzione a che lo stesso non riceva un pregiudizio maggiore rispetto a quello

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Corte cost. 27 novembre 1991, n. 429, cit. Infatti, nel procedimento di nomina del curatore speciale il giudice, in quanto incaricato di svolgere un ufficio di tutela di un soggetto incapace, deve “allargare il campo di acquisizione delle sommarie informazioni, includendovi tutti gli elementi necessari o utili per valutare la sussistenza dell’interesse del minore all’esperimento di un’azione che lo spoglierebbe dello stato di figlio legittimo senza garantirgli l’acquisto dello stato di filiazione nei confronti del padre naturale”. 31 Ma vedi Corte cost. 12 gennaio 2012, n.7: “La crescente considerazione del favor veritatis (la cui ricerca risulta agevolata dalle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dall’elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini) non si pone in conflitto con il favor minoris, poiché anzi la verità biologica della procreazione costituisce una componente essenziale dell’interesse del medesimo minore, che si traduce nella esigenza di garantire ad esso il diritto alla propria identità e, segnatamente, alla affermazione di un rapporto di filiazione veridico”. 32 Corte cost. 27 novembre 1991, n. 429, cit., e Cass. 5 gennaio 1994, n. 71, in Fam. e dir. 1994, 293. V. da ultimo, e con riferimento all’azione di disconoscimento di paternità, Cass. n. 22 dicembre 2016, n. 26767, in Nuova giur. civ., 2017, 6, 857 nota di Scia. 33 Farolfi, sub art. 251 c.c., in Codice della famiglia, III ed., Milano, 2015, 1020. 30

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patito dal mancato riconoscimento”34. Ancora, l’introduzione dei termini di decadenza per l’esercizio dell’azione ex art. 263 c.c. è espressione della inconfigurabilità del favor veritatis alla stregua di principio assoluto, suscettibile invece di bilanciamento con il potenzialmente contrapposto interesse del figlio a conservare lo stato di filiazione goduto per un certo lasso di tempo. In questo quadro, la sentenza della Corte cost. 272/2017 sembra condurre a coerenza il sistema, imponendo dunque la valutazione della corrispondenza all’interesse del minore tanto nel caso in cui l’azione sia esperita dai legittimati diversi dal figlio entro i termini indicati dall’art. 263 c.c., quanto allorché essa sia esperita per mezzo del curatore speciale. In altre parole, anche laddove la presunzione di contrarietà all’interesse del minore della perdita dello stato di filiazione non operi, e dunque nel lasso di tempo che va dalla nascita o dalla annotazione del riconoscimento nell’atto di nascita ai successivi cinque anni35, la protezione dell’identità personale del figlio e dei legami familiari acquisiti e goduti non può considerarsi irrilevante e dunque soccombente rispetto alla verità biologica del concepimento; essa è invece rimessa ad una valutazione discrezionale che il giudice dovrà condurre tenendo conto delle specifiche circostanze del caso concreto. Nella seconda pronuncia meritevole di menzione, di natura puramente processuale la Corte di cassazione36 ha affermato che nel giudizio di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, al pari che nell’azione di disconoscimento di paternità disciplinata agli artt. 243-bis ss. cod. civ., è sempre configurabile un potenziale conflitto di interessi tra il minore ed il genitore cui spetta la rappresentanza processuale, quali soggetti legittimati passivi e litisconsorti necessari, con la conseguenza che il minore ha il diritto di contraddire nel giudizio attraverso la nomina di un curatore speciale, nonostante la lacuna normativa sul punto. Mentre la nomina del curatore speciale è espressamente prevista nel caso in cui il figlio minorenne sia legittimato attivo del giudizio di impugnazione del riconoscimento non veridico ex art. 264 c.c., la legge nulla stabilisce nel caso in cui figlio minorenne sia invece legittimato passivo in tale giudizio37. Ci si era dunque domandati se

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Picaro, Stato unico della filiazione, Torino, 2013, 264. Farolfi, Riconoscimento per compiacenza e legittimità dell’impugnazione, in Fam. e dir., 2013, 909: “Come si è detto, la sentenza in esame rappresenta senza dubbio la spia di un disagio presente nella giurisprudenza di merito impegnata nel tentativo di assicurare un minimo di protezione al soggetto riconosciuto contro il pericolo costituito dalla privazione di uno status familiare a distanza di decenni dall’avvenuto riconoscimento. Come emerge dal testo del provvedimento, la riforma nei termini descritti muta la stessa ratio della norma: l’interesse pubblico alla verità del rapporto di filiazione cede di fronte all’esigenza “di non prolungare a tempo indefinito la durata dell’incertezza sullo stato di figlio e ciò, soprattutto, in ragione della natura volontaria dell’atto di riconoscimento e della conseguente assunzione di responsabilità che esso comporta”. 36 Cass. 17 aprile 2019, n. 10775, in D&G 2019, 18 aprile con nota di Paleari. 37 Nascosi, La nomina del curatore nel giudizio di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, in Nuova giu. civ. comm., 2016, 1032: “Più precisamente se nel giudizio ex art. 243 ss. cod. civ. la nomina di un curatore speciale è necessaria ex lege, poiché può sempre presumersi un conflitto di interessi tra il minore nato all’interno di un rapporto di coniugio e l’altro genitore litisconsorte necessario che ha la rappresentanza legale di quest’ultimo, per altro verso nell’art. 263 cod. civ. stante l’omissione legislativa, la nomina di un curatore speciale e, consequenzialmente, l’accertamento della sussistenza di un conflitto di interessi tra figlio nato all’esterno del matrimonio e genitore che ne ha la rappresentanza processuale, sono rimessi alla discrezionalità dell’organo giurisdizionale adito. In tale ultimo caso, spetta all’autorità giudiziaria, in base alle circostanze addotte in ciascuna fattispecie 35

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nel caso di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità la nomina del curatore speciale per il figlio legittimato passivo sia demandata alla valutazione discrezionale del tribunale, una volta accertata la sussistenza di un conflitto di interesse tra il figlio e il genitore, pure parte del medesimo procedimento (come attore o come convenuto)38, o se non si dovesse piuttosto addivenire in via interpretativa alla conclusione per la quale tale nomina è sempre dovuta, potendosi a priori configurare tale conflitto di interessi39. La S.C., intervenuta sul punto, è approdata all’affermazione del diritto del minore a farsi rappresentare in giudizio da un curatore speciale nominato dal tribunale. Secondo quanto stabilito dalla S.C., in particolare, “nei procedimenti instaurati ai sensi dell’art. 263 cod. civ. (così come nell’azione di disconoscimento di paternità), sussiste un potenziale quanto innato conflitto di interessi tra il minore ed il genitore cui spetta la rappresentanza processuale dello stesso, quali soggetti legittimati passivi e litisconsorti necessari in tale giudizio”40. La conclusione cui perviene la Corte, peraltro, appare in sintonia con i principi affermati dalla legislazione sovrannazionale, che nel riconoscere al minore la qualità di parte processuale dei procedimenti che lo riguardano, impongono agli Stati l’adozione delle necessarie misure processuali affinché tali diritti siano garantiti all’interno del processo. Si legge in un passaggio della richiamata sentenza 1957/2016: “Deve, rilevarsi, tuttavia, che anche in questa azione la posizione del minore si pone, in via generale ed astratta, in potenziale conflitto d’interessi con quella dell’altro genitore legittimato passivo

concreta, valutare l’opportunità di nominare un curatore speciale per il minore che si trovi in conflitto di interessi con il genitore in qualità di rappresentante processuale”. 38 Questo restrittivo orientamento ha trovato terreno fertile nella normativa in vigore prima delle suddette riforme (v. Cass., 10 aprile 2001, n. 5333, ined.) che non equiparava sotto alcuni aspetti i figli nati al di fuori del matrimonio ai figli nati da genitori coniugati, oggi a seguito delle modifiche apportate dalla l. n. 219/2012 e d. legis. n. 154/2013, tale indirizzo deve ritenersi necessariamente superato. 39 In altre parole, il giudice non è chiamato ad una valutazione caso per caso della sussistenza del conflitto di interessi, in quanto tale valutazione è compiuta ex ante ed in astratto; cosicché, a prescindere da un eventuale (motivato) riscontro della insussistenza nel caso di specie del conflitto di interesse, il provvedimento che accoglie l’impugnativa del riconoscimento per difetto di veridicità assunto al termine di un procedimento in cui non sia stato nominato un curatore speciale per il minore è affetto da nullità. Sulla rilevanza di un conflitto di interessi anche meramente potenziale tra il minore e l’altro genitore litisconsorte necessario al fine di procedere alla nomina di un curatore speciale per l’incapace cfr. Cass., 16 settembre 2002, n. 13507, in Nuovo dir., 2004, I, 148; Cass., 26 agosto 2001, n. 10822, in Foro it. online; Cass., 16 novembre 2000, n. 14866, in Giust. civ., 2001, I, 695. Sul potere del giudice di procedere alla nomina d’ufficio del curatore speciale del minore in conflitto di interessi con i soggetti a cui è attribuita la rappresentanza processuale cfr. Corte cost., 3 marzo 2011, n. 83, cit.; Corte cost., 14 luglio 1986, n. 185, in Foro it., 1986, I, 2679; Cass., 11 dicembre 2013, n. 27729, in www.ilcaso.it; Cass., 15 maggio 2013, n. 11687, in Foro it., 2013, I, 1839; Cass., 21 ottobre 2009, n. 22238, ivi, 2010, I, 903; Trib. Milano, decr. 15 maggio 2014, in www.ilcaso it. In merito all’applicabilità dell’art. 78 cod. proc. civ. quale norma avente carattere residuale quando viene a mancare una specifica disposizione di legge che preveda la nomina di un curatore speciale del minore in ipotesi di conflitto d’interessi tra questi ed il proprio rappresentante cfr. Trib. Milano, decr. 15 maggio 2014, cit.; Cass., 10.3.1995 n. 2800, in Foro it. online; Cass., 26 ottobre 1981, n. 5591, ivi. Sulla nomina d’ufficio del curatore speciale del minore alla luce del carattere precettivo dell’art. 9, comma 1°, Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, v. Corte cost., 3 marzo 2011, n. 83, cit.; Trib. Milano, decr. 15 maggio 2014, cit. Sulla nullità del giudizio a seguito della mancata nomina del curatore speciale nell’interesse del minore v. Cass., 30 maggio 2003, n. 8803, in Foro it. online; Cass., 16 novembre 2000, n. 14866, cit.; Cass., 10 marzo 1995, n. 2800, cit. In ordine all’orientamento giurisprudenziale che nega al minore la qualità di parte nei procedimenti in cui si discute del proprio status: Cass., 11.1.2006, n. 395, in Foro it., 2006, I, 2356; Cass., 10.5.2001, n. 6470, in Mass. Foro it., 2001; Cass., 11.2.1993, n. 1741, in Dir. fam. e pers., 1993, 984. 40 Nascosi, op. cit.

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non potendo stabilirsi ex ante una coincidenza ed omogeneità d’interessi né in ordine alla conservazione dello status posto in discussione che potrebbe non profilarsi come la scelta corrispondente all’interesse superiore e/o preminente del minore, né in ordine alla scelta contrapposta fondata sul favor veritatis e sulla conoscenza della propria identità e discendenza biologica”41. Sul piano argomentativo dell’esigenza che sia nominato un curatore speciale, assume decisivo peso – ed è quanto in questa sede pare meritevole di particolare rilievo – la considerazione per la quale l’art. 247 comma 2 c.c. in materia di disconoscimento della paternità prevede che se la parte è minore l’azione sia proposta in contraddittorio con un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso. Il che ha indotto la Corte a introdurre in via interpretativa la regola generale della nomina del curatore speciale del minore legittimato passivo nella azione di impugnazione del riconoscimento, così da pervenire ad una piena parificazione del trattamento processuale del figlio minore nelle azioni di stato; unificazione di disciplina, dunque, che laddove non sia stata attuata dal legislatore mediante la predisposizione di specifiche norme dal medesimo contenuto o di appositi rinvii, è da intendersi devoluta all’interprete. Sulla scia della predetta pronuncia, la corte di cassazione con sentenza 10775/2019 ha affermato l’ulteriore l’innovativo principio di diritto secondo il quale nel giudizio di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità il genitore che per primo ha riconosciuto è litisconsorte necessario, essendo portatore di un proprio interesse, considerato dalla legge tipologicamente distinto da quello del figlio42. Ancora una volta, il principale argomento posto alla base della decisione, consiste nel rilievo per il quale, pur in mancanza di una espressa previsione normativa in tal senso, il genitore è portatore di un proprio interesse autonomo rispetto a quello del figlio, allorché si discuta dello status del minore. Ne consegue che egli debba essere considerato alla stregua di contradittore necessario nel giudizio di impugnazione del riconoscimento così come nel giudizio di opposizione al secondo riconoscimento ex art. 250 comma 4 c.c. o nel giudizio di disconoscimento di paternità, in relazione al quale ultimo, infatti, l’art. 247 comma 1 c.c. prevede che il presunto padre, la madre ed il figlio sono litisconsorti necessari. In base all’esegesi e alla ratio della disciplina dettata dall’art. 250 c.c., conclude la Corte, si deve pertanto “inferire un princi-

41

Si legge nella sentenza come “Tale scelta non può essere affidata all’altro genitore litisconsorte necessario il quale può legittimamente fondare la propria condotta processuale di resistenza od adesione all’azione sulla base d’interessi personali ed economico patrimoniali potenzialmente contrastanti con l’individuazione del “best interest” (secondo la formula di provenienza convenzionale, rinvenibile nella Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata con L. n. 176 del 1991 e dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani) per il minore medesimo, individuazione tanto più complessa in quanto da compiersi in una situazione di potenziale conflitto tra il diritto alla stabilità e quello speculare alla verità dello status genitoriale, trattandosi di profili entrambi costitutivi dell’identità della persona. L’esigenza di un’autonoma valutazione della posizione processuale del minore compiuta in posizione di terzietà rispetto a quella dei genitori in conflitto, è identica in entrambe le azioni”. 42 Ciò era già stato affermato dalla Corte come obiter dictum nella sentenza 1957/2016, nella quale la Corte aveva affermato il principio secondo il quale il giudizio di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità deve essere proposta, nel caso in cui il figlio convenuto sia minorenne, in contraddittorio con un curatore.

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pio generale, valevole a disciplinare in modo necessariamente simmetrico ed omologo le posizioni soggettive genitoriali, in modo che possano valutarsi con i medesimi parametri tutte le ipotesi in cui si controverta della genitorialità, non essendovi motivo alcuno di differenziare la tutela, e di conseguenza la platea dei contradittori necessari dal lato passivo, nei casi di impugnazione del riconoscimento ai sensi dell’art. 263 c.c.”. Nelle richiamate pronunce, in buona sostanza, si privilegia una interpretazione analogica delle disposizioni dettate nella disciplina della azione di disconoscimento – ed applicate in ragione della lacuna legislativa nella disciplina dell’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità e per la somiglianza delle fattispecie –, così da garantire una adeguata tutela processuale al minore e da attuare in pienezza l’unificazione del trattamento dei figli nati o meno nel matrimonio.

5. La legittimazione in capo a “chiunque vi abbia interesse”.

La riforma nulla ha innovato in relazione ai legittimati attivi all’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, individuati dal primo comma dell’art. 263 c.c. nel figlio, nell’autore del riconoscimento e in “chiunque vi abbia interesse”. In tale categoria sono ricompresi tutti coloro che abbiano un interesse apprezzabile a far emergere la falsità del riconoscimento; il riferimento a chiunque interessato ha sollevato il dubbio che dietro tale azione risiedano interessi d’ordine pubblico, più che privati, in sostanza riferibili alla emersione della verità della filiazione e della corrispondenza tra risultanze formali e realtà naturale. Tale osservazione, tuttavia, ha forse subito un ridimensionamento a seguito della Riforma del 2012-2013, che pur avendo mantenuto immutata tale legittimazione ha però assai limitato l’esperibilità dell’azione dal punto di vita temporale; il che consente di rilevare come sull’interesse pubblico a far emergere la verità della procreazione prevalga l’interesse del figlio a non vedere rimosso uno stato di filiazione che, sebbene non veridico, sia comunque divenuto stabile. La previsione di una legittimazione posta in capo a chiunque interessato richiede nondimeno la verifica della sussistenza di un interesse apprezzabile e attuale, eventualmente anche solo morale43 a impugnare il riconoscimento non veridico44. Tale specificazione risulta sintonica con i principi processual-civilistici, essendo richiesto che chi agisce dimostri che l’attore vanti in concreto un interesse ad agire. In tal senso la legittimazione è stata riscontrata ad esempio in capo al vero genitore45, all’altro genitore,

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Carresi, Filiazione legittima, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 181. Majello, Della filiazione naturale e della legittimazione, in Comm. Scialoja-Branca, II ed., Bologna-Roma, 198, 142. 45 Cass. 22 novembre 1996, n. 12805, in Fam. e dir., 1996, 29, con nota di Amadio. Majello, Della filiazione naturale e della legittimazione, cit., 143. 44

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al marito della donna coniugata che abbia falsamente riconosciuto il figlio nato dal marito o agli eredi. Potranno avere ad esempio interesse anche i parenti del genitore, ancorché non in forza di per sé di tale status, ma piuttosto allorché dimostrino che dal non veridico legame scaturiscano delle conseguenze negative, come ad esempio il sorgere del dovere a contribuire al mantenimento dei discendenti ex art. 316-bis c.c. o al pagamento degli alimenti (art. 433 ss. c.c.) o l’esposizione all’azione di riduzione (art. 553 ss. c.c.)46. Anche quando il vincolo di consanguineità non dia luogo ad un vincolo giuridico-formale di parentela, potrebbe ravvisarsi l’interesse dei parenti anche oltre il sesto grado a impugnare il riconoscimento, ad esempio per evitare che il riconosciuto possa continuare ad usare il cognome di famiglia47. Si è detto che nel novero dei legittimati attivi ad agire per l’impugnazione del riconoscimento non veridico può essere ricompreso anche il genitore biologico del figlio riconosciuto48, che, impedito a riconoscere il figlio in forza del divieto di cui all’art. 253 c.c., intenda ottenere la rimozione dello stato di filiazione in cui figlio si trovi. L’allargamento del novero dei legittimai ad agire nei confronti di “chiunque” abbia interesse distingue la disciplina dell’azione ex art. 263 c.c. rispetto alla corrispondente azione di disconoscimento della paternità ex art. 243-bis c.c. Nel caso di filiazione matrimoniale la rimozione dello stato è mediata dalla nomina del curatore speciale ai sensi dell’art. 244 c.c., richiesta dal p.m. eventualmente sollecitato dal genitore biologico, mentre nel caso in cui il figlio abbia lo stato di figlio riconosciuto, l’interessato (genitore biologico) può contestare tale stato direttamente. Il che determina una disparità di trattamento tra il figlio nato del matrimonio – più riparato rispetto all’azione di contestazione dello stato –, e il figlio nato fuori del matrimonio, esposto all’interferenza diretta dei terzi (e in primis del vero genitore) nella rimozione dello stato di filiazione. Sul piano formale tale differenziazione trova un fondamento razionale nella esigenza di tutelare il rapporto matrimoniale rispetto alle turbative che possano provenire da soggetti ad esso estranei in ordine al così delicato profilo della filiazione nata in costanza del vincolo. Vi è tuttavia da chiedersi se tale maggiore forza di resistenza non si ponga in contrasto con il principio di trattamento unificato dei figli, siano essi nati nel matrimonio o fuori del matrimonio.

6. L’impugnazione del riconoscimento materno. Il paragone finora condotto tra azione di impugnazione del riconoscimento non veridico e azione di disconoscimento della paternità ha messo in rilievo come il procedimento

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App. Torino 30 marzo 1962, in Giust. civ., 1963, I, 234. Carresi, op. cit.; Majello, Della filiazione naturale e della legittimazione, cit., 148. 48 Majello, Della filiazione naturale e della legittimazione, cit., 143. 47

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L’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità nel prisma della nuova filiazione

di assimilazione può dirsi a grandi linee compiuto. Ci si soffermerà dunque ora brevemente sulla comparazione della disciplina dell’azione di impugnazione del riconoscimento materno non veridico, in relazione all’azione di contestazione dello stato di figlio di cui agli artt. 240 e 248 c.c. A fondamento di ogni ulteriore considerazione sta, ad avviso di chi scrive, l’osservazione per la quale l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità si ha nei casi di supposizione di parto o di sostituzione di neonato, poste specularmente a presupposto per l’esercizio dell’azione di contestazione dello stato di figlio matrimoniale ex latere matris ex art. 240 c.c. Se infatti nel nostro ordinamento è madre colei che partorisce, il riconoscimento non è veridico allorché non vi è coincidenza tra il figlio partorito e il figlio riconosciuto dalla madre partoriente. A tale conclusione non osta la considerazione per la quale in detta ipotesi l’impugnativa non sarebbe “riferita tanto alla veridicità del riconoscimento, quanto piuttosto al fatto naturale del parto”, tenuto conto che il parto costituisce presupposto della maternità; di guisa che la veridicità del riconoscimento si fonda sulla veridicità del parto e la prova genetica, in tale prospettiva, è diretta a dimostrare che non vi è coincidenza tra figlio riconosciuto e figlio “partorito” dall’autrice del riconoscimento. Convince della fondatezza dell’assunto la considerazione della specularità di disciplina che ne deriva tra le cause di contestazione della maternità nell’ambito della filiazione matrimoniale e non matrimoniale. Tale specularità potrebbe sì essere garantita mediante l’estensione dell’applicazione dell’azione di contestazione ex art. 249 c.c.; tuttavia la collocazione sistematica della norma49 pare circoscrivere l’operatività dell’azione alla sola filiazione matrimoniale. Inoltre, l’applicazione della azione di contestazione dello stato di figlio alla maternità non matrimoniale condurrebbe ad una interpretatio abrogans dell’azione di impugnazione del riconoscimento ex latere matris, tenuto conto del fatto che, se in applicazione della regola attributiva della maternità in forza della quale è madre colei che partorisce, la non veridicità si fonda sulla non corrispondenza tra figlio riconosciuto e figlio partorito, non possono sottrarsi all’operatività dell’art. 263 c.c. le uniche ipotesi in cui tale discrasia si verifica, id est la supposizione di parto e la sostituzione di neonato. Ne consegue che tali presupposti fondano l’azione ex art. 240 c.c. per la filiazione matrimoniale (perseguendo scopo speculare a quello dell’azione di disconoscimento ex art. 243bis c.c., riservata al padre), mentre la contestazione della maternità non matrimoniale si inserisce nella azione generale di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, esperibile sia dal padre sia dalla madre. Rimane da considerare tuttavia come mentre in relazione alla contestazione dello stato di figlio ex art. 240 c.c. l’azione sia imprescrittibile (art. 248 c.c.), l’azione di impugnazione del riconoscimento sia soggetta a termini di decadenza per i legittimati diversi dal figlio. Tale rilievo, anzi, è stato posto ad argomento della

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Nello stesso senso anche Relazione illustrativa del disegno di legge, redatta dalla Commissione Bianca, la norma, pur essendo stata rinominata, si applicherà essenzialmente per contestare lo stato di figlio nato nel matrimonio, come risulta 4 dalle ipotesi indicate nell’art. 239 (Commissione Bianca, Relazione conclusiva, in www.politichefamiglia.it, 159 s.).

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esperibilità della azione di contestazione anche rispetto alla filiazione non matrimoniale50. Sul punto, tuttavia, pare a chi scrive che la prospettiva debba essere ribaltata, nel senso che quanto pare anomalo è la sopravvivenza alla riforma di una azione tesa demolire lo stato di filiazione senza limiti di tempo, in contrasto con il generale principio secondo il quale lo stato di filiazione è protetto da modifiche che intervengano a distanza di tempo su iniziativa di soggetti diversi dal figlio. Allorché invece la madre impugni il proprio riconoscimento per difetto di veridicità, e dunque facendo valere la supposizione di parto o la sostituzione di neonato, ella può agire nel termine di un anno dall’annotazione del riconoscimento. Tale ultimo termine introduce un elemento di incoerenza nel sistema, tenuto conto del fatto che mentre nel caso di filiazione matrimoniale la madre può contestare lo stato di figlio facendo valere la supposizione di parto o la sostituzione di neonato senza limiti di tempo, nel caso di filiazione nel matrimonio invece ella può farlo solo nel breve termine annuale.

7. Azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità e procreazione medicalmente assista.

Conclusivamente, pare meritevole di considerazione la funzione dell’azione di impugnazione del riconoscimento in relazione alle pratiche di fecondazione medicalmente assistita, e partitamente di procreazione eterologa. Il quesito che tali pratiche potrebbero suscitare, infatti, è se l’ammissibilità di una scissione tra genitorialità genetica e genitorialità accertata richieda di rileggere la funzione tipica dell’azione ex art. 263 c.c. come volta a far emergere tale divergenza ai fini della caducazione dello stato non veridico51. L’esclusione della incidenza delle pratiche di p.m.a. assistita sull’azione di impugnazione dell’azione di impugnazione del riconoscimento non veridico poggia sul divieto posto dall’art. 9 l. 40/2004. Tale norma stabilisce infatti che in tal caso “il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall’articolo 235, primo comma, numeri 1) e 2), (ora art. 243-bis c.c.) del codice civile, né l’impugnazione di cui all’articolo 263 dello stesso codice”. La disposizione ha recepito una regola creata in via giurisprudenziale prima dell’introduzione della l. 40/2004 e che, invocando il divieto di venire contra factum proprium precludeva all’uomo che avesse dato il proprio consenso – anche per fatti concludenti – alle (allora ammesse perché non vietate) tecniche di fecondazione eterologa, di agire successivamente per far emergere la carenza di legame biologico e negare così la propria paternità. La ratio della regola, invariata nell’attuale impianto legislativo (stante

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Sesta, op. cit., 460. Ferrando, in Tr. Rescigno, cit., 196.

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l’intervenuta abrogazione del divieto di p.m.a. eterologa da parte della Corte costituzionale52 ed il conseguente attenuarsi dello scopo special preventivo della richiamata previsione), risiede nell’esigenza di rendere inamovibile lo stato di filiazione del figlio non corrispondente alla verità genetica. L’esclusione dell’esperibilità dell’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità (e specularmente peraltro di disconoscimento della paternità) costituisce un imprescindibile presidio dei diritti inviolabili del figlio, ed in particolare di quello a non rimanere privo dei legami genitoriali nei confronti di coloro che si sono assunti la responsabilità della sua nascita. In altri termini, si intende evitare che chi faccia ricorso alla p.m.a. utilizzando materiale genetico proveniente da soggetti estranei alla coppia – che peraltro con il nato, per legge, non potranno avere alcun legame formale di filiazione (ex art. 9 comma 3 l. 40/2004) – possa poi contestare lo stato di filiazione, di fatto lasciando il figlio – impossibilitato a costituirlo nei confronti dei genitori biologici – privo di stato. A ben vedere, il divieto di impugnare il riconoscimento posto dalla norma si riferisce testualmente al solo “padre”, coniuge o convivente della madre, mentre alcun espresso riferimento è fatto alla donna. Il che induce a domandarsi se, nel silenzio della legge, l’impugnativa le sia comunque preclusa o se, viceversa, ella possa liberamente agire ex art. 263 c.c. Sul punto, e richiamandosi per il resto a quanto in precedenza osservato, l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ex latere matris è fondata sulla corrispondenza tra il figlio riconosciuto e colui che fu partorito dall’autrice del riconoscimento. Vi è pertanto una generale irrilevanza della derivazione genetica del nato, a favore della verità gestazionale, tenuto conto della univoca regola di attribuzione della maternità fondata sul fatto del parto. Nello specifico ambito della p.m.a. tale criterio è rafforzato non soltanto dalla ammissibilità della procreazione medicalmente assistita eterologa e della previsione secondo la quale la donatrice di ovociti non può conseguire alcun legame giuridico col nato, ma altresì dal divieto di maternità surrogata e, indirettamente, dal divieto di avvalersi della facoltà dell’anonimato di cui all’art. 30 d.p.r. 396/2000. Ne consegue che – al pari della procreazione avvenuta naturalmente – la madre che abbia partorito e riconosciuto il figlio non può esperire l’azione ex art. 263 c.c., difettando il presupposto della non veridicità genetica della filiazione, ma potrà per contro esperirla ogniqualvolta, come di norma, si verifichi l’ipotesi della supposizione di parto o di sostituzione di neonato53. In conclusione, pare coerente che alla madre non sia posto alcun divieto specifico di impugnazione del riconoscimento in ragione della natura eterologa della procreazione, tenuto conto che non si rinviene alcuna eccezione ai criteri attributivi della genitorialità ex latere matris rispetto ai casi (di procreazione naturale o di p.m.a. omologa) in cui vi sia corrispondenza oltre che gestazionale anche genetica.

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Corte cost. 4 giugno 2014, n. 162, in Giur. it., 2014, 2827. Sesta, L’accertamento dello stato di figlio dopo il d. lgs. n. 154/2013, cit., 460.

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Diversamente, in relazione al padre la limitazione dell’impugnativa del riconoscimento per difetto di veridicità è necessitata dal fatto che per regola generale la paternità è attribuita in relazione all’elemento genetico, che nel caso della p.m.a. eterologa difetta. Se, dunque, non si fosse posta una espressa eccezione all’esperibilità dell’impugnativa, si sarebbe giunti al risultato paradossale – e infatti già escluso in via pretoria prima della legge – di consentire al padre di venir meno alla responsabilità per la procreazione. Ciò chiarito, è necessario verificare se la disposizione, riferendosi al solo coniuge o convivente della madre, ponga altresì una deroga alla legittimazione ad agire per l’impugnativa del riconoscimento, limitandola al solo autore del riconoscimento, ad esclusione dunque di chiunque interessato, ivi compreso il figlio e all’altro genitore (id est la madre). Con riguardo al figlio, occorre distinguere il caso in cui egli sia minorenne oppure maggiorenne. Nel primo caso, infatti, la contestazione del titolo presuppone la nomina di un curatore speciale, valutata, da parte del tribunale, la corrispondenza dell’istanza all’interesse del figlio. Risulta tuttavia in concreto non ipotizzabile una valutazione positiva in tal senso allorché, a fronte della contestazione della genitorialità nei confronti dei genitori “gestazionali” non possa instaurarsi legame giuridico alcuno con i genitori biologici. Con riguardo al figlio maggiorenne, si fatica a trovare un appiglio argomentativo per la tesi della non contestabilità del titolo, anche in considerazione della generale posizione di preminenza della volontà del figlio in relazione alla contestazione della genitorialità non veridica o della conservazione di quella non veridica, se goduta per un certo lasso di tempo. Con riferimento alla madre, l’estensione del divieto pare potersi invece inferire dal generale principio di autoresponsabilità per la procreazione, che impone di non esercitare l’azione di impugnazione del riconoscimento non corrispondente alla verità biologica ex latere patris, derivante da una comune e condivisa consapevole scelta di genitorialità.

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Affidamento familiare consensuale e limiti di controllo (art. 9, commi 4 e 5, l. n. 184/1983)* ** Sommario : 1. L’affidamento familiare nel sistema. – 2. Le diverse figure di affidamento e l’interesse del minore affidato come clausola generale. – 3. Il controllo pubblico e il regime delle segnalazioni. – 4. L’affidamento parentale tra favor e rischio di affido definitivo non controllato. – 5. Conclusioni.

The procedure to report cases of child’s neglect regulated by art. 9 of the Law no. 184/1983 provides that relatives within the fourth degree who welcome minors not being under the care of their biological parents in their home are exempted from the obligation to inform the State’s Attorney of the Juvenile Court of it, becoming so legitimate foster parents with no time limit. This legislative decision can be said as based on the presumption that due to the close relationship family custody among relatives (uncles or grandparents) for a long period or for an unlimited period of time is considered in any case to be legitimate. However, in the light of the new family set-ups, the question is if nowadays such presumption of suitability in favour of the close family can still be considered valid and if the exemption from the burden of reporting provided for by art. 9, co. 3-4, L. 184/1983 is yet justified.

1. L’affidamento familiare nel sistema. All’espressione “affidamento familiare” vengono attribuiti molteplici significati. L’istituto, inteso in senso ampio, opera in modo trasversale nelle fattispecie che riguardano minori bisognosi di cura e temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo. L’affidamen-

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Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima Lo scritto è destinato al Liber amicorum per Mario Segni.

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to a soggetti diversi da quelli che avrebbero titolo per prendersene cura, quali genitori “legittimi” o naturali, è un fenomeno che riguarda situazioni non sempre espressamente contemplate e disciplinate dalla legge. Una prima osservazione porta pertanto a descrivere la figura come non vincolata a una specifica previsione normativa. Se infatti il diritto del minore «a vivere, crescere, ed essere educato nell’ambito di una famiglia» è assicurato puntualmente dalla legge sull’adozione che dedica il titolo I-bis ai presupposti e al procedimento costitutivo (artt. 2 ss. L. 184/1983, come modificata dalla L. 149/2001), ad esso la giurisprudenza ricorre anche per dirimere questioni relative all’affidamento dei figli in sede di separazione o di divorzio o, in generale, nel contenzioso familiare. In tali controversie l’affidamento condiviso e quello esclusivo non esauriscono infatti le concrete opzioni alle quali il giudice può fare riferimento. Secondo una interpretazione evolutiva della materia è aperta la possibilità per il giudice di valutare anche altre forme di affidamento1. Il fondamento normativo può essere individuato nell’art. 337-ter, comma secondo, c.c., in forza del quale il giudice «adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l’affidamento familiare»2. Sulla scorta di questi dati normativi, dottrina e giurisprudenza sono concordemente giunte alla conclusione di ritenere ammissibile, nel quadro generale del sistema, la possibilità di un affidamento familiare3, in tutte le ipotesi in cui sia constatata la mancanza di capacità genitoriale in capo a entrambi i genitori e, non diversamente da quanto avviene in relazione all’adozione, l’assenza per il minore di un adeguato ambiente familiare a seguito della crisi della coppia genitoriale4. In una recente pronuncia di merito è stato ribadito che l’affidamento dei minori ai parenti rientra tra le facoltà rimesse al potere discrezionale del giudice della separazione, come previsto dalla riserva generale di cui all’art. 337-ter c.c.5.

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Cfr. Cass., 10 ottobre 2008, n. 24907, in Foro it., 2009, 3,1, 836. In questo senso vedi G.F. Basini, I provvedimenti relativi alla prole, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Bonilini, III, Torino, 2016, 3115. Secondo l’Autore, esiste altro riferimento normativo rappresentato dall’art. 337-quater c.c. nell’inciso «salva diversa disposizione del giudice», che menziona la possibilità, pur eccezionale, per il giudice di “graduare” l’esercizio della potestà e lasciarlo in capo ad entrambi i genitori malgrado il disposto affidamento esclusivo. Cfr. Trib. Como, 20 giugno 2019, n. 827, in Fam. e dir., 2019, 1118, con nota di F. Danovi, Affidamento familiare, interesse del minore e discrezionalità giudiziale. Il Tribunale di Como ha risolto un contenzioso in un contesto fattuale, ormai radicato, nel quale il minore era stato inserito a pieno regime nell’abitazione della zia paterna, presso la quale trascorreva non soltanto i giorni scolastici ma altresì i fine settimana e le festività. Ed era stata sempre la zia a fornirgli ogni cura e appoggio, tanto da essere ormai divenuta per il nipote stesso e da lui individuata come il suo primo riferimento affettivo ed educativo. Vista tale complessa realtà, letta unitamente ad alcune ulteriori fragilità riscontrate nella personalità paterna, valendosi anche delle risultanze costituite dalle relazioni dei Servizi Sociali, il Tribunale ha quindi optato per devolvere l’affidamento del minore in capo alla zia paterna. Già prima della riforma del 2001 (L. 149/2001), l’art. 1 è stato interpretato nel senso che, oltre ad indicare il fondamento di altre norme, esso ha anche un contenuto precettivo autonomo. È infatti una clausola generale molto ampia utilizzabile anche per casi non espressamente regolati. In questo senso vedi G. Cattaneo, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da Cian-OppoTrabucchi, VI, Milano, 1993, sub art. 1 L. 184/1983. Cfr. Cass., 20 gennaio 2012, n. 784, in Fam. e dir., 2012, 704, secondo cui, quando entrambi i genitori sono inidonei all’affidamento o quando lo rifiutino, anche dopo l’entrata in vigore della L. 54/2006 che non contiene una previsione specifica, si deve provvedere al collocamento del minore possibilmente presso parenti. Se non vi sono parenti oppure questi non sono idonei, sussiste la possibilità residuale di collocamento del minore presso una terza persona o in un istituto di educazione, quale tipico intervento assistenziale. Cfr. anche Cass., 10 dicembre 2010, n. 24996, in La legge plus online.

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Tale misura si rende necessaria quando occorra superare difficoltà manifestate dai genitori nell’esercizio delle loro funzioni, benché il livello di inadeguatezza non sia così elevato, almeno per entrambi, da dare causa alla decadenza della responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c. Nelle suddette ipotesi, la scelta verso i parenti, piuttosto che altri soggetti terzi, va privilegiata anche alla luce della L. 184/1983 espressione di un favor nei confronti dei parenti (fino al quarto grado) che accolgono i minori nel loro ambito domestico6. Alla luce di questo orientamento potrebbe giungersi ad una prima considerazione, precisamente che l’“affidamento familiare” (art. 2 L. 184/1983) è caratterizzato in generale da una intermediazione del giudice in funzione di garanzia della tutela dei minori. La legge sull’adozione (art. 4, primo e secondo comma, L. 184/1983) subordina infatti l’esecutività della misura di affidamento, adottata dal “servizio sociale locale”, al provvedimento del giudice tutelare, se vi sia il consenso dei genitori o, in mancanza, del Tribunale per i Minorenni7. Nella crisi coniugale o nel contenzioso familiare è il giudice che valuta e dispone la misura in base alle condizioni del minore accertate nel caso concreto8. Del resto, il nostro sistema, per antica tradizione ma anche per scelta moderna, ha confermato la rilevanza pubblica del diritto del minore ad avere una propria famiglia (in mancanza di disponibilità dei genitori biologici)9. Per questo anche la forma consensuale dell’affidamento familiare (fondata sull’accordo dei genitori) è soggetta al controllo del giudice tutelare pur nella “forma lieve” del decreto di esecutività. Oltre ai casi di affidamento “formale” o giudiziale, efficace nei limiti delle regole procedimentali previste dall’ordinamento, è legittimo tuttavia anche l’affidamento che potremmo definire “privato”, di fatto10 o informale, di cui il legislatore si occupa disciplinando con l’art. 9 L. 184/1983 il regime delle segnalazioni aventi ad oggetto le situazioni di incuria minorile. Precisamente, dai commi quarto e quinto del predetto articolo, emerge indirettamente che qualora parenti entro il quarto grado accolgano nel loro ambito domestico minori non sottoposti alla cura dei genitori biologici, essi sono esonerati dall’obbligo di darne notizia al P.M. presso il Tribunale per i Minorenni, con la conseguenza che diventano legittimi affidatari dei minori loro congiunti senza limiti di tempo. Allo stesso modo i genitori che consentano di affidare stabilmente a parenti (entro il quarto grado) i figli, anche per periodi superiori a sei mesi, non sono tenuti ad avvisare l’autorità pubblica.

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Un tale favor, che caratterizza l’impianto della L. 184/1983, si può trarre chiaramente dal disposto degli artt. 9, commi quarto e quinto, 11, primo comma e 12, primo comma; più estesamente, sul punto, infra, par. seguente. Cfr. F. Danovi, Affidamento familiare, interesse del minore e discrezionalità giudiziale, cit., 1120. Secondo l’Autore il provvedimento di affidamento familiare non deve necessariamente avere carattere temporaneo poiché anche le statuizioni decise con provvedimenti finali e definitivi restano comunque modificabili in base alla clausola rebus sic stantibus. 7 Cfr. S. Patti-M.G. Cubeddu, Diritto della famiglia, Milano, 2011, 906-907, sulla distinzione tra affidamento “consensuale”, “contenzioso” ,“eterofamiliare” e “intrafamiliare”. 8 Anche qualora vi fosse un accordo tra i genitori di affidamento familiare temporaneo, il giudice della separazione avrebbe competenza nel merito in sede di omologazione. 9 Come si vedrà in seguito, il concetto di “rilevanza assoluta” dell’interesse del minore è strettamente collegato alla sua indisponibilità e alla necessaria tutela pubblica del minore quale soggetto fragile. 10 Cfr. C.M. Bianca, Diritto civile, 2.1., La famiglia, V ed., Milano, 2014, 426.

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L’affidamento ai parenti stretti sembra pertanto sottrarsi alla logica e ai principi fissati in materia di tutela dei minori, aprendo una fenditura nel sistema delle garanzie elaborate nel tempo dalla legge e dalla giurisprudenza, che impone di verificare la legittimità della soluzione. E ciò non solo perché l’ordinamento sembra accettare una forma di affidamento consensuale con gli effetti di una illegittima adozione consensuale, ma anche perché una siffatta gestione esclusivamente privata e familiare dell’affidamento non è ammessa nei procedimenti contenziosi di separazione e di divorzio dove sempre il giudice si fa portavoce dell’interesse del minore. Per comprendere se l’affidamento intrafamiliare (ai parenti entro il quarto grado) sia sempre legittimo, come sembra emergere dal corpus di norme che ne fa cenno, non toccate dalla riforma del 2001, occorre ripercorrere i principi su cui si fonda oggi l’affidamento familiare istituzionale11.

2. Le diverse figure di affidamento e l’interesse del minore affidato come clausola generale.

Un aspetto degno di nota dell’impianto normativo della L. 184/1983 riguarda la nozione di famiglia estesa ai parenti entro il quarto grado (come si evince dagli artt. 9, quarto e quinto comma, 11, primo comma e art. 12, primo comma, L. 184/1983)12. Così intesa la “propria famiglia”, in cui il minore ha diritto di crescere, la legge vigente attribuisce valore prioritario all’affidamento effettuato nell’ambito dei rapporti di parentela, tanto da sottrarlo all’ingerenza pubblica che contraddistingue le altre forme di affidamento, senza imporre obblighi di segnalazione in senso tecnico ai parenti entro il quarto grado13. Mentre

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Alla sua entrata in vigore nel 1942, il codice civile prevedeva, come unica forma di adozione, quella diretta ad assicurare una discendenza a chi fosse privo di figli. Solo successivamente la ratio dell’istituto è stata capovolta, verso la realizzazione di un diritto del minore ad avere una famiglia. La relativa disciplina, inizialmente collocata nel codice civile, è poi confluita nel corpo unitario della L. 4 maggio 1983, n. 184, successivamente riformata dalla L. 28 marzo 2001, n. 149 (che ne ha mutato il titolo in «Diritto del minore ad una famiglia»), mentre nel codice civile è rimasta solo la disciplina dell’adozione di persone maggiori di età. Con l’entrata in vigore della legge sull’adozione, è stato abrogato l’istituto dell’affiliazione originariamente disciplinato degli artt. 404-413 c.c. L’istituto aveva l’effetto di costituire un vincolo giuridico tra il minore e la persona che l’avesse di fatto allevato per tre anni, trattandolo come figlio. L’abrogazione è coerente con l’esigenza di sottrarre alla discrezionalità dei privati l’esercizio di fatto della potestà genitoriale, con l’affidamento e l’allevamento di figli altrui, anche se abbandonati (G. Pignataro, in Commentario al codice civile, a cura di P. Cendon, IV, Milano, 2009, sub art. 400 c.c., 523). 12 In base a queste norme – ma anche all’art. 15, primo comma, L. 184/1983 – la stessa nozione di “abbandono” appare condizionata dalla disponibilità e dalla capacità dei parenti entro il quarto grado di prendersi cura del minore. Con la particolarità che nell’ipotesi in cui costoro dichiarassero una tale disponibilità, dando luogo a una figura di affidamento “intrafamiliare” ed “endoprocessuale”, il rapporto tra il minore e i parenti affidatari, da un lato, potrebbe essere sottoposto a specifiche “prescrizioni” giudiziali e, dall’altro lato, sarebbe oggetto di “periodici accertamenti” (art. 12, quarto comma, L. 184/1983), configurandosi in tal modo un sistema di controlli sconosciuto nell’affidamento “intrafamiliare” ed “extraprocessuale” di cui all’art. 9, quarto e quinto comma. 13 Il legislatore si limita così a sviluppare la solidarietà parentale condizionando il provvedimento di adottabilità all’accertamento della indisponibilità (artt. 12-15 L. 184/1983) o della inidoneità all’assistenza (spec. art. 12, quinto comma L. 184/1983) da parte del nucleo parentale ristretto.

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fuori dall’ipotesi dell’affidamento interno o intrafamiliare, non è in discussione il carattere accentuatamente pubblicistico del procedimento di affidamento, appare invece sempre lecito l’affidamento “privato”14, anche se prolungato. È quindi evidente che l’interesse del minore, al centro della disciplina sull’affidamento, viene attuato in modo diverso a seconda che esso sia intra o extrafamiliare. Nel primo caso, secondo una dimensione privatistica, nel secondo, con un sistema pubblicistico di controllo e di sanzioni anche penali15. Ci si chiede allora se questo schema non unitario sia veramente conforme alla piena realizzazione dello sviluppo della personalità del minore inteso non solo come oggetto di tutela ma anche come soggetto di diritti. Inoltre, occorre verificare se l’interesse del minore debba essere messo sullo stesso piano o addirittura prevalere rispetto all’interesse del genitore e dell’affidatario. Il tema è particolarmente complesso proprio perché nella soluzione intrafamiliare l’idoneità degli affidatari si presume in ragione della stretta parentela. La mancanza di un onere di segnalazione può tuttavia danneggiare il minore, ad esempio, nell’ipotesi di affidamento prolungato a parenti (entro il quarto grado) con “abitudini dannose” per la salute e la crescita dell’affidato. Inoltre, gli effetti negativi potrebbero essere permanenti visto che il sistema legislativo non offre strumenti per rendere conoscibile questa situazione patologica. Per affrontare la questione, occorre prima soffermarsi sulla tutela dell’“interesse del minore” in tutti i procedimenti che lo riguardano. Anzitutto questo principio viene in considerazione quale criterio di giudizio nel conflitto tra genitori in ordine alle decisioni che attengono alla cura, all’educazione e all’istruzione dei figli. La sua rilevanza pubblica richiede che sia il giudice, in mancanza di accordo dei genitori, a individuare la soluzione più idonea al benessere della prole minorenne, pur se l’interprete non può contare su norme contenenti uno schema tipico di intervento dell’autorità giudiziaria16.

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Cfr. G. Cattaneo, voce Affidamento di minori, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 1987, 155 ss. In realtà, l’affidamento intrafamiliare è soggetto a controlli e valutazioni giudiziali quando abbia natura endoprocessuale, ossia quando sia disposto dal Tribunale per i Minorenni durante la fase di accertamento della adottabilità. In questo caso, infatti, benché si tratti di un affidamento intrafamiliare, sono previste specifiche prescrizioni in capo ai parenti entro il quarto grado (art. 12, quarto comma L. 183/1984) e conseguenti controlli mirati sul rispetto delle prescrizioni relative alla assistenza morale e materiale del minore (art. 15, lett. b e c L. 183/1984). Detto sistema di controlli potrebbe spiegarsi con il fatto che nella fase processuale diretta all’accertamento della adottabilità, è assunta la «problematicità» del rapporto familiare che può configurare una situazione di abbandono. Nel caso dell’affidamento intrafamiliare extraprocessuale (art. 9, commi quarto e quinto), una tale problematicità della famiglia di origine non può viceversa, essere assunta; però, non può neanche essere escluso che «problematico» possa essere il distacco del minore dalla sua famiglia. E certamente manca qualsiasi criterio generale che possa far presumere a livello sistematico (in termini assoluti, per di più) che tale aspetto problematico non sussista. Anzi, appare più plausibile la presunzione opposta, il che giustificherebbe, sul piano sistematico e normativo – come si dirà nel testo (par. 4) –, sia la obbligatorietà della segnalazione all’Autorità pubblica, sia la predisposizione di controlli. 16 Nel codice civile numerosi sono i richiami all’“interesse del minore” senza ulteriore specificazione. Cfr. ad es., art. 316, comma terzo, c.c. in materia di contrasto sull’esercizio della responsabilità genitoriale in questioni di particolare importanza; art. 317-bis c.c. in tema di rapporti con gli ascendenti; art. 337-ter, comma secondo, c.c. sui provvedimenti relativi alla prole in ipotesi di dissoluzione della coppia genitoriale; art. 337-quater c.c. sull’affidamento esclusivo del minore a uno dei genitori; art. 337-sexies c.c. sull’assegnazione della casa familiare; art. 337-octies c.c. sull’ascolto del minore in vista dell’emanazione di provvedimenti che lo riguardano. 15

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Come è noto, nella nozione di “interesse del minore” rientrano non soltanto gli interessi nel significato solitamente attribuito a tale categoria, quali situazioni giuridiche soggettive di rango inferiore, ma anche i diritti soggettivi del minore, quali la libertà, la salute, l’istruzione e la formazione. In questo senso, il diritto minorile, come è stato affermato, viene a coincidere con un «diritto dei diritti del minore»17. Alla tutela dei fanciulli è da tempo rivolta la maggior parte degli ordinamenti statali, i quali si sono gradualmente impegnati a considerare il minore non come oggetto di protezione ma come soggetto di diritti18. In mancanza di ulteriori specificazioni normative, il concetto di “interesse del minore” richiede, nei casi controversi, l’individuazione della soluzione concreta per la quale il giudice gode di un’ampia discrezionalità. Quest’ultimo può attingere a strumenti metagiuridici tratti dalle scienze umane, in particolare dalla psicologia, dalle scienze pediatriche o dalla sociologia, o da dati statistici che possono arricchire la comprensione della condizione del fanciullo. Secondo la tecnica legislativa della clausola generale, il suddetto interesse non è descritto nel suo preciso contenuto dalla legge ma va riempito di significato dall’organo giurisdizionale che, anche in materia di affidamento, segue un’ampia facoltà di giudizio addirittura svincolata dal principio della domanda di parte19. Come è stato efficacemente spiegato, nelle clausole generali vi è una delega al giudice affinché attinga a qualcosa di estraneo alla formula legislativa utilizzata, ricercando “valori” fuori dei rigidi confini dell’ordinamento positivo20. Nel tempo la giurisprudenza ha fissato “standard valutativi” per l’applicazione di queste clausole21, il cui uso deve essere verificato sul terreno della giurisprudenza di merito22.

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Cfr. M. Dogliotti, Sul concetto di diritto minorile: autonomia, favor minoris, principi costituzionali, in Dir. fam. pers., 1977, 954. Il concetto è espressamente sancito nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del fanciullo di New York del 1989 (ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. 176/1991), nella Convenzione Europea sull’esercizio dei Diritti del fanciullo di Strasburgo del 1996 (ratificata e resa esecutiva in Italia attraverso la L. 77/2003), nonché nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza nel 2010. 19 F. Danovi, Affidamento familiare, interesse del minore e discrezionalità giudiziale, cit., 1123. 20 Cfr. ampiamente P. Rescigno, in P. Rescigno e S. Patti, La genesi della sentenza, Bologna, 2016, 135 ss., il quale si sofferma sulla portata delle clausole generali dalle codificazioni moderne alla prassi giurisprudenziale, chiarendo anzitutto la differenza con il “mandato” che il giudice riceve a ricavare concetti da esperienze poste fuori dal diritto, ma indispensabili per comprendere il significato di proposizioni normative. In altre parole, se il giudice deve ricorrere ad esempio a nozioni della fisica, lo si rinvia evidentemente ad un terreno estraneo all’operazione sillogistica per cui norma e fatto concreto si pongono in termini di premessa e di conseguenza logica, in vista di una determinata conclusione. L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, in Riv. dir. civ., 2016, 1, 86, secondo cui l’interesse del minore sarebbe una sorta di «contenitore vuoto» che va riempito; G. Ferrando, Diritti e interesse del minore tra principi e clausole generali, in Pol. del dir., a. XXXIX, 1, marzo 1998, 167. 21 Cfr. S. Patti, in P. Rescigno e S. Patti, La genesi della sentenza, cit., 150 ss. L’Autore, a proposito delle clausole generali, delle norme elastiche e delle norme generali, sottolinea che occorre precisare i confini tra discrezionalità del giudice e arbitrio del giudice. Il timore dell’arbitrio spiega la diffidenza nei confronti delle clausole generali e le preoccupazioni, storicamente fondate in Germania alla luce dell’esperienza nazionalsocialista. Secondo l’Autore, nell’applicazione della clausola generale si ravvisa una “forma estrema” di interpretazione, poiché il giudice contribuisce a realizzare la fattispecie normativa con l’aiuto di parametri tratti dall’esperienza e dalla realtà del rapporto sociale. Se il giudice supera i limiti di tolleranza ricavabili dall’ordinamento, viene meno la sua fedeltà alla legge. 22 Cfr. P. Rescigno, in P. Rescigno e S. Patti, La genesi della sentenza, cit., 140, il quale precisa inoltre che raramente la Cassazione scende a dare contenuti alle clausole generali, o perché ritiene che l’applicazione concreta di una clausola appartenga al fatto, o perché, senza delineare in positivo il concetto richiamato nella clausola generale, si limita a valutare come non coerente la motivazione della sentenza, rinviando ad altro giudice l’accertamento del fatto. 18

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Su queste basi, con il concorso della giurisprudenza e della dottrina, si sono via via profilate linee guida sull’individuazione dell’interesse del minore, operando una valutazione prognostica sulle condizioni migliori per la vita futura del fanciullo23. Nel bilanciamento degli interessi, inoltre, questo viene qualificato come “superiore” dal diritto vivente interno e internazionale24. La “preminenza” è stata espressamente sancita nella Convenzione di New York del 1989, in cui si afferma che in tutte le decisioni relative ai fanciulli, siano esse di competenza di istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, di tribunali, di autorità amministrative o ancora di organi legislativi, «l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente» (art. 3, par. 1). La Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli del 1996 si propone espressamente di «promuovere, nell’interesse superiore dei minori, i loro diritti, concedere loro diritti azionabili e facilitarne l’esercizio facendo in modo che possano, essi stessi o tramite altre persone od organi, essere informati e autorizzati a partecipare ai procedimenti che li riguardano dinanzi ad un’autorità giudiziaria» (art. 1, par. 2). Ancora, la Carta di Nizza, esprimendosi in termini analoghi, prescrive che «in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente» (art. 24, par. 2). Nell’ordinamento italiano, il principio della centralità dell’interesse del minore si rinviene già nella riforma del diritto di famiglia del 1975 e nella L. 184/1983 sull’adozione, che lo individua espressamente quale parametro di riferimento per la pronuncia di ogni provvedimento riguardante il minore adottando, sin dalla stessa dichiarazione dello stato di adottabilità (art. 11, primo comma)25. Più recentemente (L. 8 febbraio 2006, n. 54 sull’affidamento condiviso e D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 sullo status unico di figlio) la legge richiama l’interesse del minore quale criterio primario per l’esercizio della responsabilità genitoriale, sia nella fase fisiologica come in quella di crisi della coppia. E in questa prospettiva i genitori assumono non soltanto diritti, ma anche (e soprattutto) obblighi nei confronti dei figli26.

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L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, cit., 86, mette in evidenza che il giudice deve scegliere la miglior soluzione per il futuro del minore nel caso concreto. In giurisprudenza, cfr. Cass., 23 settembre 2015, n. 18817, in Foro it., 2016, 3, 1, 902. 24 La rilevanza dell’interesse del minore nel panorama internazionale viene stabilita anche dalla giurisprudenza costituzionale: cfr. Corte cost., 23 febbraio 2012, n. 31, in Corr. giur., 2012, 569, secondo cui nell’ordinamento internazionale è principio acquisito che in ogni atto riguardante un minore deve tenersi presente il suo interesse, da considerarsi preminente. 25 Cfr. Corte cost., 1° aprile 1992, n. 148, in Dir. fam., 1992, 504: «Questa Corte ha più volte sottolineato che dai principi costituzionali di cui all’art. 2 della Costituzione e all’art. 30 della Costituzione, primo e secondo comma, discende che l’adozione deve trovare nella tutela dei fondamentali interessi del minore il proprio centro di gravità (sent. n. 197 del 1986, sent. n. 11 del 1981) essendo sempre poziore l’interesse del minore stesso alla soluzione più adeguata allo sviluppo della sua personalità». 26 Cfr. la riforma sulla filiazione (L. 10 dicembre 2012, n. 219 e D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154) che, in linea con i precetti internazionali, ha sostituito la locuzione «potestà genitoriale» con quella di «responsabilità genitoriale». A tale passaggio ha contribuito anche l’evoluzione normativa comunitaria (il Reg. CE 2202/2003, che contiene una definizione di responsabilità genitoriale). In dottrina vedi C.M. Bianca, La famiglia, cit., 344, secondo cui con la nuova prospettiva della responsabilità genitoriale si è voluto sottolineare il mutamento dell’antica concezione dell’autorità spettante ai genitori e, in passato, al capo della famiglia. Nella nuova prospettiva i genitori sono titolari di un ufficio, che essi devono esercitare nell’interesse della prole. Vedi inoltre Cass., 19 aprile 2002, n. 5714, in Fam. e dir., 2002, p. 415, che, in materia di affidamento del figlio minore in ipotesi di separazione o di divorzio, ha affermato che «la stessa posizione del genitore affidatario si configura piuttosto che come un “diritto”, come un munus».

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Anche se la Costituzione non contiene un espresso riferimento al criterio del best interest del minore27, la dottrina e la giurisprudenza ne hanno ampiamente messo in luce il fondamento costituzionale, richiamando in primo luogo gli artt. 29 e 30 Cost. sul ruolo della famiglia e sul diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, disciplinato nell’ambito dei rapporti etico-sociali dei cittadini (titolo II Costituzione)28. In tal senso, si ritiene con orientamento costante che, sul piano assiologico, l’interesse del minore presenti sempre un valore costituzionale primario, non solo sovraordinato a valori confliggenti espressi dalla legislazione nazionale ordinaria29, bensì anche anteposto ad altri diritti di rilievo costituzionale30. In questo quadro l’affidamento intrafamiliare, che privilegia i rapporti parentali ristretti, va ricondotto alla clausola generale della preminenza dell’interesse del minore e quindi deve servire a tutelare l’affidato in via preferenziale rispetto a quello dei genitori affidanti e dei parenti collocatari. Precisamente, l’interesse del minore come clausola generale, laddove richiamato espressamente dalla legge sull’adozione nella parte in cui disciplina l’affidamento, pone un criterio applicativo immediatamente operativo con efficacia precettiva diretta in quanto vincola le parti e il giudice a condotte tali da realizzare lo scopo della previsione normativa. Il controllo giudiziale su queste condotte è affidato ad un’ampia discrezionalità dell’organo pubblico come conseguenza dell’indeterminatezza del precetto. La genericità del concetto induce tuttavia a considerare l’interesse del minore (affidato) anche come principio generale indeterminato che opera a prescindere da un espresso richiamo della legge, quale “criterio guida” nella tutela del minore inteso come soggetto debole. Si è chiarito infatti che il principio generale, soprattutto quando ha un fondamento costituzionale come nel nostro caso, non ha efficacia precettiva immediata ma interviene nell’interpretazione della legge al fine di attuarne in concreto la ratio31. Senza avventurarsi

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Cfr. E. Lamarque, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Milano, 2016, 79-84. Sottolinea che nel corso del tempo il principio del favor minoris ha assunto significati diversi ed è diventato “ambiguo”, L. Lenti, Note critiche in tema di interesse del minore, cit., 93. Nello stesso senso, R. Senigaglia, Status filiationis e dimensione relazionale dei rapporti di famiglia, Napoli, 2013, 158 e 167 ss. 28 Cfr. G. Ferrando, Interesse del minore e status di figlio, in Giur. it., 1999, 1110; P. Passaglia, I minori nel diritto costituzionale, in F. Giardina ed E. Pellecchia (a cura di), Una voce per i minori, Corazzano (Pisa), 2008, 87. 29 Cfr. ad es. Cass., 16 febbraio 2002, n. 2303, in Fam. e dir., 2002, p. 36; Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, in Corr. giur., 2017, 181. 30 Cfr. ad es. Cass., 26 maggio 2004, n. 10102, cit., 2742, secondo cui l’esigenza di assicurare il preminente interesse del minore prevale, ad esempio, sul diritto alla proprietà privata di cui all’art. 42 Cost., per cui, al fine di assicurare al figlio il diritto di continuare ad abitare nella casa familiare è consentito «comprimere temporaneamente, fino al raggiungimento della maggiore età o dell’indipendenza economica dei figli, il diritto di proprietà o di godimento di cui sia titolare o contitolare l’altro genitore, in vista dell’esclusivo interesse della prole alla conservazione, per quanto possibile, dell’habitat domestico anche dopo la separazione dei genitori». 31 Sull’interesse del minore come clausola generale e come principio generale vedi G.M. Uda, Opposizione da parte del tutore di minore al riconoscimento del figlio naturale, in Fam. e dir., 1999, 349 ss. (nota a sentenza Cass., 26 novembre 1998, n. 12018). L’Autore sottolinea che dall’esame della giurisprudenza risulta un dato importante: l’interesse del minore è un concetto utilizzato non solo nelle diverse materie in cui è espressamente richiamato dalla legge, ma anche in settori dove manca il rinvio. Questa differenza giustifica la duplice natura di tale interesse. Sul tema vedi anche G. Ferrando, Diritti e interesse del minore tra principi e clausole generali, in Clausole e principi generali nell’argomentazione giurisprudenziale degli anni novanta, a cura di Cabella, Pisu e Nannì, Padova, 1998, 167 ss.

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nella difficile distinzione tra principi, concetti giuridici indeterminati e clausole generali, questa materia, che di essi è permeata, sembra particolarmente prestarsi ad una duplice funzione del giudice: da un lato, guardare al passato e andare alle radici della disciplina per applicare la legge in modo corretto quale risultato di una interpretazione sistematica, con uno sguardo alla tradizione; dall’altro, creare la regola del caso (per il futuro) concretizzando la clausola generale32.

3. Il controllo pubblico e il regime delle segnalazioni. Nell’affidamento giudiziale in senso ampio, la tutela pubblicistica dell’interesse del minore è assicurata dall’ordinamento, attraverso gli organi giurisdizionali e mediante un sistema di obblighi informativi preventivi previsti dall’art. 9 L. 183/1984, che riguardano soltanto l’affidamento extrafamiliare. Il regime delle segnalazioni è oggi affidato al riformato art. 9 (L. 184/1983, come modificato dalla L. 149/2001), che descrive le modalità attraverso le quali all’autorità competente vengono segnalate le situazioni di abbandono, al fine dell’attivazione delle indagini che conducono all’eventuale apertura di una procedura di adozione. La legge distingue tra i soggetti obbligati e quelli che hanno solo una facoltà di segnalazione di una situazione di abbandono («chiunque»)33. In quest’ultimo caso, la segnalazione è ricevuta dalla pubblica autorità (amministrativa o giudiziaria: giudice tutelare, enti pubblici, polizia, carabinieri), che ne riferisce al Procuratore della Repubblica competente. Si è messo in luce che la segnalazione facoltativa costituisce una dichiarazione di scienza, in quanto non proviene da soggetti interessati al procedimento, né legittimati al reclamo o all’istanza di revoca della dichiarazione di adottabilità34. Rispetto all’impianto precedente caratterizzato dall’obbligo del cittadino, che trovasse abbandonato un fanciullo infraquattordicenne o venisse a conoscenza del suo stato di abbandono morale o materiale, di dare immediata notizia «al locale comitato comunale dell’O.N.M.I.»35, la legge sull’adozione ha sottratto la tutela del minore a incerte iniziative spontanee e sporadiche del quivis de populo, la cui segnalazione, pur potendo risultare utile, non è più indispensabile36. Tenuti a vario titolo alla segnalazione sono invece i pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio e gli esercenti un ser-

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Sulla difficile distinzione tra principi e clausole generali vedi S. Patti, Ragionevolezza e clausole generali, II ed., Milano, 2016, 114 ss. L’Autore sottolinea la diversità ontologica tra i principi generali che «guardano al passato» e le clausole generali che «offrono la base del potere creativo del giudice» di fissare per il futuro regole specifiche che consentono la formazione di gruppi di casi (Fallgruppen, secondo la terminologia tedesca). 33 Una «mera esortazione», secondo M. Dogliotti, Adozione di maggiorenni e minori, in Commentario. Codice civile, fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano, 2002, sub art. 9 L. 184/1983, 487 ss. 34 A. Finocchiaro e M. Finocchiaro, Adozione e affidamento dei minori, Milano, 2001, 68 ss. 35 Art. 19 R.D. 24 dicembre 1934, n. 2316 («Legge istitutiva dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia»). 36 Cfr. L. Sacchetti, Il commentario dell’adozione e dell’affidamento, Rimini, 1986, sub art. 9 L. 184/1983, 123.

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vizio di pubblica necessità, gli istituti di assistenza e le comunità di tipo familiare, i soggetti che accolgono stabilmente, per oltre sei mesi, nella propria abitazione un minore non parente entro il quarto grado, i genitori che affidano, per oltre sei mesi, il figlio minore a chi non sia parente entro il quarto grado. I soggetti pubblici, le cui definizioni sono mutuate dalla disciplina penalistica37, hanno l’obbligo di riferire tempestivamente («al più presto») al Procuratore della Repubblica competente. L’obbligo, penalmente sanzionato ex art. 70, comma primo, L. 184/1983, scatta sul duplice presupposto della situazione di abbandono in cui versa il minore (non sarebbe invece sufficiente una mera difficoltà o rischio) e della conoscenza in ragione del proprio ufficio. Sul punto, in dottrina è stato precisato che se al medico o all’insegnante non può richiedersi di distinguere tra i diversi presupposti (abbandono, difficoltà temporanea, abuso di potere del genitore, ecc.), diversamente per il servizio sociale dell’ente locale l’accertamento dell’abbandono è compito istituzionale, cui dovrà seguire la segnalazione38. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni è esclusivamente competente a ricevere le segnalazioni, svolge funzioni di indagine e di ispezione ed è l’unico soggetto legittimato a chiedere, mediante ricorso motivato al Tribunale per i Minorenni, di dichiarare l’adottabilità dei minori, segnalati o collocati presso le comunità familiari o gli istituti di assistenza, che risultino in stato di abbandono39. Come si è detto, rispetto a tale sistema di sorveglianza nell’affidamento “intrafamiliare di fatto” (commi quarto e quinto dell’art. 9 L. 184/1983) l’obbligo di segnalazione non esiste. La ratio della norma è quella di attribuire rilievo all’accoglienza stabile e consensuale. Appare pertanto coerente escludere dall’ambito di operatività della norma i rapporti non esclusivi, part-time o in cui comunque la presenza del minore nella famiglia di origine e nell’ambiente di affido sia limitata a dei periodi ristretti, anche se il rientro saltuario o periodico del minor non può di per sé escludere l’obbligo di segnalazione (si pensi al minore che studi in altra città e faccia saltuariamente ritorno presso la famiglia d’origine)40.

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Pubblici ufficiali, secondo la nozione penalistica, sono coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa (art. 357, comma primo, c.p.); sono invece incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio, per tale intendendosi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale (art. 358 c.p.); infine, sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità: 1) i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell’opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi; 2) i privati che, non esercitando una pubblica funzione, né prestando un pubblico servizio, adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della pubblica amministrazione (art. 359 c.p.). 38 Cfr. M. Dogliotti, Adozione di maggiorenni e minori, cit., 494, il quale afferma che nulla vieta al singolo componente dell’équipe socio-sanitaria, in caso di disaccordo con gli altri membri, di segnalare l’abbandono, sottoscrivendo da solo la relativa relazione: ove egli ritenga che sussiste l’abbandono, infatti, ha l’obbligo di segnalarlo. 39 L’eventuale segnalazione pervenuta direttamente al tribunale sarebbe irrituale ed esso, posto che un’eventuale indagine sarebbe illegittima (essendo venuto meno l’accertamento ufficioso), ha l’obbligo di trasmettere la segnalazione al Procuratore della Repubblica affinché con ricorso provveda ad azionare il procedimento. Tale iter realizza un rafforzamento della terzietà del giudice. 40 L. Sacchetti, Il commentario dell’adozione e dell’affidamento, cit., 125, sottolinea altresì come, indirettamente, la norma sancisca la legittimità dell’affidamento familiare breve (sotto i sei mesi).

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Peraltro l’interpretazione della previsione di legge che suscita maggiore preoccupazione è quella che considera senz’altro legittimo non solo l’affidamento familiare “extraparentale” breve (sotto i sei mesi), ma soprattutto anche l’affidamento consensuale intrafamiliare ai parenti (zii o nonni) per tempi lungi o senza limiti di tempo. In realtà potrebbero configurarsi situazioni contrarie all’interesse del minore ove, ad esempio, si verificasse una totale interruzione dei rapporti con la famiglia di origine o un’educazione contraria ai diritti fondamentali dell’affidato come la salute, l’istruzione, la non discriminazione.

4. L’affidamento parentale tra favor e rischio di affido definitivo non controllato.

Il disegno complessivo delle forme integrative o sostitutive dell’educazione del minore, alla luce degli strumenti legislativi di controllo sopra esaminati, mostra una preferenza per l’assistenza privatistica, consensuale e interna alla famiglia, tanto da esonerare i parenti stretti da oneri di avviso alla pubblica autorità, a prescindere dal protrarsi della durata dell’affido. La ratio dell’impianto normativo della L. 184/1983 è quella di riconoscere ai genitori esercenti la responsabilità genitoriale il potere di affidare i propri figli a persone di fiducia41. Se questi sono parenti entro il quarto grado, la legge si astiene anche dall’imporre un onere di segnalazione, considerando in tal caso “normale” la convivenza del minore. Questa impostazione conferma la tendenza a riconoscere alla famiglia competenze esclusive, poiché si ritiene che ciò corrisponda alle esigenze di sviluppo della personalità individuale del bambino. Al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 71 L. 184/1983, che punisce penalmente chiunque, in violazione delle norme in materia di adozione, affidi a terzi un minore in modo definitivo, è tuttavia possibile che il collocamento formalmente legittimo di un figlio minorenne (affidato agli zii o ai nonni), sia sostanzialmente dannoso. In questo caso difficilmente può emergere una situazione di fatto pregiudizievole se la legge non prescrive di rendere pubblici sia gli affidamenti infrasemestrali a terzi, sia gli affidamenti parentali a tempo indeterminato. Alla luce di questo scenario occorre chiedersi se possa essere oggi ancora valida la presunzione di idoneità a favore della stretta cerchia parentale per la collocazione del minore e se sia ancora giustificata l’esenzione dall’onere di attivazione previsto dai commi quarto e quinto dell’art. 9 L. 184/1983. A tale proposito, la previsione sembra presentare un duplice limite: in primo luogo, introduce una presunzione assoluta di “vantaggiosità” o quantomeno di “adeguatezza”, tanto da escludere un meccanismo di notizia (del contrario); in secondo luogo, la fami-

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Cfr. G. Cattaneo, in Commentario al diritto italiano della famiglia, cit., 22 ss.

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glia ristretta dei parenti entro il quarto grado presupposta dalla norma non ha più quella continuità e omogeneità che presentava negli anni in cui è entrata in vigore la legge, alla cui stregua il concetto di unità familiare andava oltre il nucleo genitoriale, risentendo di una precedente struttura patriarcale diffusa soprattutto nelle comunità rurali. Una volta la parentela era basata sulla discendenza biologica o sull’appartenenza alla linea nominale patriarcale (cognome del marito). Aveva una struttura determinata da regole sociali rigide: ogni singolo membro appartenente a una famiglia tradizionale acquisiva sin da piccolo il senso dell’appartenenza a un gruppo parentale che lo “avvolgeva” e lo determinava individualmente. La famiglia si individuava nella “famiglia patriarcale o tradizionale”, tipica delle campagne; un’aggregazione allargata composta da diverse persone della stessa famiglia, all’interno della quale lo sviluppo del minore era favorito perché c’erano più figure di riferimento. La “famiglia nucleare”, composta unicamente da madre, padre e figlio, come è noto, si è venuta a formare in epoca più recente con il graduale trasferimento delle famiglie dalla campagna alla città fino a diventare il modello prevalente42. Oggi i parenti sono spesso lontani, il gruppo familiare disgregato perfino in strutture ricomposte che poco hanno in comune con la famiglia originaria del minore43. In base a questa considerazione sociologica, il favor per l’affidamento intrafamiliare nei termini sopra ricostruito rischia oggi di agevolare affidamenti non adeguati all’interesse del minore creando un sistema distonico rispetto alle garanzie generali che assicurano la centralità dell’interesse del minore. Per questo motivo andrebbe forse rivisitato l’istituto in modo da coordinarlo con i principi di diritto vivente e precisamente con: a) l’indisponibilità dei diritti fondamentali del minore; b) l’effettività della tutela giurisdizionale. Il minore è per definizione soggetto fragile, vulnerabile e bisognoso di protezione. Il genitore non ha diritto di attuare scelte o indirizzi non corrispondenti al suo interesse. Per questo l’autorità giudiziaria è chiamata a predisporre le misure più idonee per consentire al minore il godimento dei suoi diritti non solo in caso di conflitto tra i genitori44, ma tal-

42

Nei sistemi familiari contemporanei a dominare sono tipologie di famiglie nucleari tra loro anche molto diverse, basate su forme di unione meno rigide sul piano individuale, ma socialmente assai diversificate nella costruzione dinamica di parentele e lignaggi di cui è difficile tracciare i confini. Sul piano sociologico possiamo dire che oggi, a differenza del passato, esistono confini molto mobili e dinamici tra convivenza familiare e parentela. Il vincolo del sangue è oggi divenuto assai debole, come d’altra parte lo stesso sistema di filiazione non ha più regole di stretta discendenza genealogica, ma piuttosto di relazione. In questo senso, già più di dieci anni fa, vedi C. Saraceno e M. Naldini, Sociologia della famiglia, Bologna, 2007, pp. 60 ss. P. Ungari, Storia del diritto di famiglia in Italia, Bologna, 1974, 153 ss. 43 Cfr. F.D. Busnelli, Persona e famiglia, Pisa, 2017, 343 ss. e 361 ss., il quale per descrivere le nuove forme di aggregazioni familiari usa i termini efficaci di “arcipelago familiare”. 44 La disciplina della soluzione giudiziale del conflitto è diversa a seconda che il contrasto sorga tra i genitori nel rapporto fisiologico del matrimonio o in un contesto di crisi della coppia genitoriale. In tale ultimo caso infatti si stabilisce che, in caso di disaccordo sulle decisioni di maggior interesse per i figli (relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore) «la decisione è rimessa al giudice» (art. 337-ter, comma terzo, c.c.), mentre, in base all’art. 316 c.c. il giudice potrebbe attribuire il potere decisionale al genitore più idoneo. Secondo C.M. Bianca, La famiglia, cit., 240, la diversa regola trova ragione nel fatto che l’attribuzione del potere decisionale ad uno dei genitori, quando il rapporto di coppia è in crisi, potrebbe aggravare la loro tensione a danno del figlio.

348


Affidamento familiare consensuale e limiti di controllo

volta anche quando le scelte educative dei genitori siano convergenti. Il consenso dei soggetti che esercitano la responsabilità genitoriale non esime infatti lo Stato dal controllare il rispetto dei diritti indisponibili45. In generale, pur dovendosi quindi affermare il diritto dei genitori di educare i figli in conformità delle proprie convinzioni religiose, pedagogiche ed etico-morali, tale potere-dovere va esercitato nei limiti dell’osservanza dell’interesse del minore e anche in conformità della volontà di quest’ultimo, acquisita prima con l’informazione e poi con l’ascolto46. L’ordinamento nel suo complesso considera detto interesse indisponibile rispetto alla prospettazione dei genitori47. Nei processi che lo riguardano i poteri officiosi del giudice e la deroga al principio della domanda di parte rappresentano l’espressione più significativa della dimensione pubblicistica dell’interesse48. Tuttavia, mentre nel contenzioso familiare la strada dell’intervento giudiziale è tracciata dai meccanismi processuali, nei casi non contenziosi la tutela resta affidata alla notizia del fatto. Se quindi si presenta una situazione di inidoneità della famiglia parentale affidataria, soltanto nel primo caso il giudice ha gli strumenti per individuare il provvedimento più idoneo per il figlio con la conseguenza che, a parità di condizioni, per il minore si riscontra una protezione differenziata49.

5. Conclusioni. In base alle considerazioni fin qui svolte, il regime delle segnalazioni configurato dall’art. 9, quarto e quinto comma, L. 184/1983, nel favorire l’affidamento parentale come sopra individuato, fa emergere un vuoto di tutela ove questo si presenti pregiudizievole per il minore. La struttura attuale della famiglia non sembra ormai idonea a fondare una presunzione (assoluta) di adeguatezza come avveniva nel caso della famiglia tradizionale in cui l’individuo si formava con un senso di appartenenza ad un gruppo parentale ristretto, fonte di cura, protezione ed educazione. L’esonero dall’obbligo di segnalazione, nel caso di affidamento ai parenti entro il quarto grado, crea potenzialmente una disparità di trattamento tra le situazioni contenziose e quelle non contenziose. Se infatti la controversia genitoriale è radicata in un processo, il controllo giudiziale di una situazione patologica

45

Sui limiti del potere del giudice di perseguire l’interesse dei minori nel conflitto genitoriale vedi Cass., 12 giugno 2012, n. 9546, in Foro it., 2012, 11, 1, 3093; Cass., 19 luglio 2016, n. 14728, in Fam. e dir., 2016, p. 1081. Nel caso della separazione consensuale, quando le condizioni sono concordate dai coniugi, residua il controllo giudiziale in ipotesi di pattuizioni pregiudizievoli nei confronti dei figli minorenni (art. 158 c.c.). 46 Cfr. artt. 315-bis e 336-bis c.c.; art. 24 Carta di Nizza; art. 12 Convenzione sui diritti del fanciullo. 47 Sulla dimensione processuale della tutela del minore vedi F. Tommaseo, Processo civile e tutela globale del minore, in Riv. dir. fam., 1999, 583 ss. 48 F. Danovi, Affidamento familiare, interesse del minore e discrezionalità giudiziale, cit., 1124. 49 Trib. Roma, ord. 19 ottobre 2016, in Fam. e dir., 2017, 574, è un caso di controllo giudiziale dell’interesse del minore in ipotesi di affidamento contenzioso.

349


Emanuela Andreola

può garantire tempestivamente l’interesse del minore, in concreto, anche mediante poteri investigativi d’ufficio. Quando invece l’affidamento avviene su base consensuale e intrafamiliare, il controllo pubblico risulta precluso dalla mancata previsione di canali preferenziali per l’acquisizione della notizia del fatto lesivo50. Secondo il principio di effettività della tutela che impone di contemplare gli strumenti attuativi dei diritti, appare pertanto opportuna una revisione dell’istituto attraverso un sistema unico di segnalazioni per tutti i rapporti di affidamento.

50

Questa lacuna del sistema si può tradurre in una violazione del principio dell’ascolto del minore quale modalità preferenziale di accertamento del suo interesse.

350


Giurisprudenza Cass. civ., sez. VI, ord. 5 marzo 2020, n. 6125; Lombardo Presidente – Criscuolo Relatore Testamento – Institutio ex re certa – Espressioni del testatore – Interpretazione del testamento In tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’art. 588 cod. civ., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo particolare (“institutio ex re certa”) qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati, beni, così che l’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito e, quindi, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato.

(Omissis)

della qualità di erede al T., la Corte distrettuale,

Motivi

una volta esclusa nella fattispecie un’ipotesi di di-

in fatto e in diritto

T. M. conveniva in giudizio dinanzi al Tribu-

visione della testatrice ex art. 734 c.c., ben poten-

nale di Trieste R. Z. S. al fine di accertare la pro-

dosi avere una institutio ex certa re senza previa

pria qualità di erede universale della defunta N.

determinazione della quota spettante all’erede,

Z. Deduceva che la defunta con testamento ave-

potendosi determinare l’entità della quota ex post

va individuato una serie di legatari tra cui anche

sulla base del rapporto tra i beni assegnati ed il

l’appellante, disponendo però che il 50 % della

valore complessivo del patrimonio, riteneva che

proprietà di un immobile pervenisse all’attore co-

dal testamento emergesse chiaramente la volontà

sì come la proprietà di tutti i beni mobili ed il

della de cuius di istituire il T. quale proprio erede.

diritto di abitazione sulla casa nella quale l’attore viveva. Sosteneva quindi che il tenore delle disposizioni di ultima volontà della de cuius deponeva per la sua istituzione quale erede ex certa re.

In tal senso deponeva l’assegnazione di una rilevante parte del patrimonio e soprattutto l’assegnazione dell’intero compendio mobiliare. Sebbene il criterio quantitativo non sia dirimente per risolvere l’interrogativo se vi sia stata

Si costitutiva la convenuta che si opponeva

istituzione di erede ovvero attribuzione di un le-

alla domanda assumendo che invece anche l’at-

gato, è proprio l’assegnazione dell’intero patri-

tore era un semplice legatario e che era invece la

monio mobiliare indice della volontà di conside-

convenuta a rivestire la qualità di erede legittima,

rare il T. quale erede.

in quanto nipote della defunta e sua parente più prossima.

Inoltre la de cuius aveva specificato nel testamento il forte legame affettivo che la univa all’at-

Il Tribunale adito con la sentenza n. 309 del

tore, differenziando in tal modo la sua posizione

4/5/2017 accoglieva la domanda del T. ed avverso

da quella degli altri legatari, aggiungendo che il

tale pronuncia proponeva appello la convenuta.

T. era una persona di famiglia conosciuta da oltre

La Corte d’Appello di Trieste, nella resisten-

trenta anni, di fiducia e gradita.

za dell’appellato, con la sentenza n. 678 del

La possibilità di risolvere la controversia alla

26/11/2018 rigettava il gravame. Quanto al moti-

luce della sola lettura della scheda testamentaria

vo di appello che contestava la corretta applica-

rendeva irrilevante l’esame del primo motivo di

zione dell’art. 588 c.c., in merito all’attribuzione

appello con il quale si contestava la possibilità di

351


Giurisprudenza

avvalersi della deposizione testimoniale resa dai

mente esaminati per la loro connessione, sono

testi R. D. e F. F., atteso che si trattava di soggetti

infondati.

che la convenuta aveva convenuto in altro giu-

Quanto alla contestazione in merito alla cor-

dizio al fine di fare accertare la loro incapacità

retta applicazione dell’art. 588 c.c., bisogna in-

a succedere alla de cuius, essendo stati istituti

nanzitutto ricordare che è consolidato orien-

nello stesso testamento come legatari, risultando

tamento di questa Corte quello secondo cui,

quindi incapaci a testimoniare.

nell’interpretazione del testamento, il giudice di

Per la cassazione di tale sentenza Z. S. R. ha

merito, mediante un apprezzamento di fatto in-

proposto ricorso per cassazione, articolato su tre

censurabile in cassazione se congruamente mo-

motivi.

tivato, deve accertare, in conformità al principio

Resiste con controricorso T. M.

enunciato dall’art. 1362 c.c., applicabile, con gli

Il primo motivo di ricorso denuncia la viola-

opportuni adattamenti, anche in materia testa-

zione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c., in

mentaria, quale sia stata l’effettiva volontà del

relazione agli artt. 587, 588, 733 e 734 c.c.

testatore, valutando congiuntamente l’elemento

Si deduce che nel testamento la defunta ave-

letterale e quello logico ed in omaggio al cano-

va provveduto ad una minuziosa ripartizione dei

ne di conservazione del testamento (Cass., n.

suoi beni tra le persone che “ci hanno sempre

24163/2013; Cass., n. 23278/2013). In particolare,

aiutato e all’occorrenza ci hanno sempre soste-

l’assegnazione di beni determinati configura una

nuto con la loro presenza”.

successione a titolo universale, ove il testatore

Pertanto tutte le persone sono poste sul me-

abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità

desimo piano con l’effetto che la domanda del T.

dei beni o in una quota del patrimonio relitto,

andava rivolta nei confronti di tutti gli altri sog-

mentre deve interpretarsi come legato se egli ab-

getti beneficiati nel testamento sussistendo quin-

bia voluto attribuire singoli ed individuati beni

di una vera e propria situazione di litisconsorzio

(Cass., n. 23393/2017).

necessario.

Inoltre (cfr. Cass., n. 24163/2013) in tema di

Il secondo motivo di ricorso denuncia la vio-

distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’art.

lazione e falsa applicazione dell’art. 588 c.c. e

588 cod. civ., l’assegnazione di beni determina-

l’omesso esame di un fatto decisivo.

ti configura una successione a titolo universale

Si deduce che l’attribuzione al T. della qualità

(“institutio ex re certa”) qualora il testatore abbia

di erede universale della defunta aveva trascura-

inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei be-

to quanto sopra esposto in occasione del primo

ni o in una quota del patrimonio relitto, mentre

motivo, circa la volontà della stessa testatrice di

deve interpretarsi come legato se egli abbia vo-

accomunare nella medesima posizione tutti i sog-

luto attribuire singoli, individuati, beni, così che

getti beneficiati con il testamento. Occorreva poi

l’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o

considerare che i beni mobili erano di scarso va-

l’altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di

lore e che il maggior vantaggio conseguito dal T.

fatto, riservato ai giudici del merito e, quindi, in-

era conseguenza della sua convivenza con la de

censurabile in cassazione, se congruamente mo-

cuius, convivenza che aveva giustificato solo l’at-

tivato.

tribuzione di un temporaneo diritto di abitazione

Nella fattispecie emerge che la sentenza gra-

sulla casa nella quale viveva, essendosi ripartiti

vata nel pervenire all’approdo interpretativo qui

gli altri beni secondo quote ben precise.

contrastato è partita proprio dal tenore letterale

I due motivi che possono essere congiunta-

352

delle espressioni usate nell’atto di ultima volontà


Francesco Meglio

evidenziando che solo al T. era stata attribuita, ol-

riflesso della individuazione degli altri beneficiati

tre ad una quota di un immobile, la generalità di

quali legatari, risulta palese altresì l’infondatezza

tutti i beni mobili, laddove agli altri soggetti be-

della denuncia circa la pretesa violazione dell’art.

neficati era stata lasciata solo una quota su singo-

102 c.p.c.

li beni immobili (cfr. per la possibilità di ricavare

In tal senso va rilevato che quella proposta

un’istituzione di erede ex art. 588 c.c. nel caso in

dal T. costituisce una domanda di mero accer-

cui ad un soggetto sia attribuita la generalità dei

tamento, finalizzata a vedere riconosciuta la sua

beni mobili, Cass., n. 6516/1986).

qualità di erede ma nei confronti non della gene-

A tale dato oggettivo che pur deponeva per la

ralità dei legatari, ma esclusivamente, ed in con-

qualità di erede in capo all’attore, la sentenza ha

formità con quanto prescritto dall’art. 100 c.p.c.,

poi correlato le peculiari espressioni riservate al

che presuppone per l’ammissibilità della doman-

T., e differenti da quelle invece riservate agli altri

da di mero accertamento, uno specifico interesse

beneficiati (per i quali valgono le espressioni ri-

ad agire, nei riguardi esclusivamente di chi tra i

chiamate nel motivo di parte ricorrente), avendo

vari beneficiati nel testamento, contestava la qua-

i giudici di appello rimarcato il differente tratta-

lità in esame.

mento riservato anche sul piano del riconoscimento affettivo.

Ne deriva che la legittimazione a contraddire è stata correttamente affermata nei confronti

La differente formula utilizzata per il contro-

dell’odierna ricorrente, senza che si palesi la ne-

ricorrente rispetto a quella invece usata per tutti

cessità di integrare il contraddittorio nei confronti

gli altri soggetti individuati come meri legatari

degli altri soggetti ai quali sono state riservate

implica un adeguato apprezzamento anche delle

attribuzioni patrimoniali nel testamento.

specifiche volontà testamentarie, combinata con

Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazio-

il differente trattamento riservato anche sul piano

ne e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c. in rela-

delle assegnazioni successorie di tal che, attesa

zione agli artt. 404, 405, 411 c.c. ed in relazione

l’incensurabilità della valutazione resa sul punto

agli artt. 414, 596 e 599 c.c.

dalla Corte d’Appello, risulta evidente come la ri-

In merito alle testimonianze rese in primo gra-

correnti aspiri ad un’alternativa soluzione, senza

do dai coniugi D. e P., si ricorda che gli stessi

che però quella contestata si palesi come assolu-

sono stati convenuti in giudizio dalla ricorrente

tamente insostenibile o evidentemente affetta da

in un diverso procedimento al fine di accertare

irragionevolezza.

a nullità delle disposizioni testamentarie in loro

Ne deriva che anche le circostanze che si as-

favore, in quanto il D. era amministratore di so-

sume siano state trascurate da parte del giudice

stegno della testatrice, estendendosi l’incapacità

di appello ai fini della qualificazione della posi-

di ricevere per testamento anche alla moglie.

zione del T. appaiono prive del carattere della

Ciò rendeva gli stessi incapaci a testimoniare

decisività, rientrando infatti nella discrezionale

sicché non poteva tenersi conto del contenuto

valutazione dei fatti di causa, la valorizzazione

delle loro deposizioni.

tra i molteplici elementi di carattere probatorio,

Il motivo è infondato.

di quelli che si ritengono risolutivi ai fini della

La Corte d’Appello, in relazione al primo mo-

corretta attribuzione della qualità di erede ovvero

tivo di appello della R. Z. S. che analogamente a

di legatario.

quanto avvenuto in questa sede si doleva dell’u-

Una volta quindi ribadita la incensurabilità

tilizzazione di tali deposizioni ai fini della deci-

della attribuzione della qualità di erede al T. e di

sione, ha dichiaratamente affermato che poteva

353


Giurisprudenza

pervenirsi all’attribuzione della qualità di erede universale in favore del T. prescindendo dall’utilizzo delle prove testimoniali, ma fondandosi sul solo contenuto della scheda testamentaria. È palese quindi che la decisione gravata abbia totalmente prescisso dall’apporto probatorio in esame sicché la doglianza in ordine all’incapacità a testimoniare risulta del tutto inidonea ad inficiare la correttezza della decisione gravata, palesandosi del tutto priva di fondamento, in assenza di una concreta riprova sulla base del tenore della motivazione della sentenza gravata, l’affermazione secondo cui le testimonianze de quibus abbiano in ogni caso concorso a far maturare il convincimento del giudice di appello. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio

354

annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso nella camera di consiglio del 23 gennaio 2020.


Francesco Meglio

Sui rapporti tra erede ex re certa e legatario: la scheda testamentaria quale caput et fundamentum dell’ermeneutica*

Sommario : 1. Il caso. – 2. L’heredis institutio ex re certa quale caleidoscopio del

sistema delle disposizioni testamentarie. – 3. Profili generali dell’esegesi testamentaria. – 4. Voluntas del testatore e centralità della scheda testamentaria.

With this interesting ruling the Court of Cassation, called to establish the nature of a testamentary disposition, and precisely if tied or inherited institution through the attribution of a specific asset, reminds the interpreters of the centrality of the testamentary record. The hermeneutic process must start from it to try to reconstruct the actual will of the settlor, only to then draw on extraneous elements with which to clarify the meaning of the words used by the testator.

1. Il caso. La sentenza in esame ribadisce un orientamento consolidato, che, nondimeno, merita di essere segnalato, poiché la sua applicazione, unita alle indicazioni emergenti dal caso di specie, può avere un impatto pratico di sicuro rilievo. È bene dar conto, sia pur succintamente, dei fatti di causa. Tizio conviene in giudizio dinanzi al Tribunale di Trieste Caia, al fine di far accertare la propria qualità di erede universale della defunta Sempronia. L’attore adduce che quest’ultima con testamento aveva individuato svariati legatari, ivi compresa Caia, prevedendo però che il cinquanta per cento di un immobile giungesse all’attore, come anche la proprietà di tutti i beni mobili facenti parte del patrimonio relitto e il diritto di abitazione sulla casa nella quale esso attore viveva. Reputava infatti che il tenore letterale della scheda testamentaria deponesse per la sua istituzione quale erede ex re certa.

*

Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.

355


Giurisprudenza

Caia si costituisce in giudizio, rigettando l’avversa prospettazione. In particolare, la medesima asseriva la propria qualità di erede legittimo, in quanto nipote della defunta e suo parente più prossimo. Il Tribunale giuliano accoglie pienamente la ricostruzione attorea. Contro tale sentenza fa appello Caia, contestando la non corretta applicazione dell’art. 588 c.c. Il giudice di seconde cure conferma le conclusioni raggiunte in primo grado. Nel dettaglio, esclusa la qualificazione delle disposizioni controverse in termini di divisione del testatore ex art. 734 c.c., ad avviso della Corte distrettuale plurime indicazioni suggeriscono di considerare Tizio quale erede ex re certa. In primo luogo, si osserva l’utilità di rinviare al criterio quantitativo, per cui Tizio non è soltanto destinatario di una rilevante attribuzione immobiliare ma è – soprattutto – assegnatario dell’intero patrimonio mobiliare e quindi chiamato a succedere in locum et ius defuncti. In secondo luogo, e per quanto qui interessa di maggiore interesse e rilevanza, la testatrice aveva chiarito nella scheda il forte legame affettivo che la univa a Tizio, in una relazione interpersonale protrattasi per un trentennio e improntata a fiducia e affetto. Insomma, era stata propria la defunta, nell’atto di ultima volontà, a diversificare le posizioni di Tizio da quella degli altri destinatari di lasciti, i quali dovevano perciò considerarsi come legatari. Caia propone ricorso per Cassazione, adducendo, ex adverso, la volontà della testatrice di accomunare tutti gli onorati, nonché evidenziando lo scarso valore dei beni mobili e giustificando l’attribuzione del diritto di abitazione con la convivenza intervenuta tra Tizio e la testatrice Sempronia. Insomma, piuttosto che rappresentare un univoco indice di una chiamata a titolo universale, altro non era che un modo per esprimere gratitudine nei confronti di Tizio, senza con ciò istituirlo erede.

2. L’heredis institutio ex re certa quale caleidoscopio del sistema delle disposizioni testamentarie.

La controversia in esame costituisce un chiaro esempio delle difficoltà che dottrina, giurisprudenza e operatori pratici si trovano quotidianamente a dover affrontare tutte le volte in cui l’incerta qualificazione di una disposizione testamentaria mette a repentaglio l’individuazione dello statuto disciplinare che meglio si presta a regolarla. Nel caso di specie, infatti, la qualificazione della disposizione testamentaria quale heredis institutio ex re certa rappresenta l’approdo conclusivo della ricostruzione del voluto della disponente, il quale certamente palesa profili di atecnicità1.

1

Tra i numerosi contributi in materia, v. almeno L. Mengoni, L’istituzione di erede “ex certa re” secondo l’art. 588, comma 2°, c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948, 742 ss.; L. Bigliazzi Geri, Il testamento, in Tratt. dir. priv., dir. da P. Rescigno, 6, II, Successioni, Torino, 1997, II

356


Francesco Meglio

Prima di entrare in medias res, non è peregrino accennare brevemente a questa peculiare istituzione di erede, collocata nell’art. 588, comma 2, c.c.2 Nell’ipotesi contemplata da tale disposto normativo, infatti, il testatore non determina apertis verbis la quota del beneficiario, ma attribuisce un bene in funzione di quota, di guisa che questa possa, comunque, essere individuata attraverso il rapporto tra il valore dei singoli beni e l’intero patrimonio ereditario3. L’istituto in discorso riveste un ruolo significativo nell’intera dinamica successoria avente fonte nel testamento, anche alla luce delle molteplici connessioni che lo pone in contatto con altri istituti parimenti rilevanti. Su tutte, merita una particolare menzione, in ragione del notevole indugio ad essa riservata dalla dottrina, e anche perché ad essa si fa cenno nel provvedimento in commento, la relazione che vive con la «Divisione fatta dal testatore», prevista dall’art. 734 c.c.4 Non consentendo la presente sede di dar conto di un dibattito tanto complesso quanto interessante, basti rammentare che un orientamento abbastanza consolidato e tutto sommato condivisibile – specie perché muove da una disamina ampia e profonda dell’istituto – ravvisa i profili differenziali tra le due fattispecie nella previa istituzione ereditaria che accompagna gli assegni divisionali, diversamente dall’heredis institutio ex re certa nella quale vi è istituzione mediata dall’attribuzione, addivenendosi nei fatti a una sovrapposizione tra attribuzione e istituzione5. Non meno importanti, anche – e soprattutto – per i fini che qui interessano, sono poi i rapporti con il sistema della successione legittima, di cui agli artt. 565 ss. c.c. È evidente che si avranno delle criticità in presenza di lasciti ex rebus certis che non abbiano l’attitudine a ricomprendere l’intero patrimonio, di guisa che entrerà in gioco la disciplina suppletiva di legge per quella misura non coperta. Volendo provare a collocare nel tempo le ragioni che presiedono alle incertezze interpretative che conosce l’istituto di che trattasi, verosimilmente esse vanno rintracciate

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ed., 142 ss.; A. Burdese, “Institutio ex re certa” e divisione del testatore (sulla natura dell’atto divisorio), in Riv. dir. civ., 1986, II, 465 ss.; G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni non contemplati nel testamento, in Fam. pers. succ., 2008, 532 ss.; V. Barba, Istituzione ex re certa e divisione fatta dal testatore, in Riv. dir. civ., 2012, I, 53 ss.; L. Coviello, L’istituzione di erede ed il lascito di beni determinati, in Foro it., 1931, I, 1, 1167 ss. Nella letteratura professionale (notarile), per condivisibili rilievi teorici, accompagnati dalle ricadute redazionali, v. M. ieva, Manuale di tecnica testamentaria, Padova, 1996, 33 ss. F. Ruggiero, Interpretazione delle disposizioni testamentarie: natura del criterio previsto dal comma 2 dell’art. 588 c.c., in Giust. civ., 1973, IV, 226. Si consideri anche la Relazione al Codice Civile n. 286, ove si legge quanto segue: «Ai fini dell’assunzione della qualità ereditaria è sufficiente che i beni siano considerati dal testatore come quota del patrimonio. La quota di eredità è la qualificazione giuridica del lascito di una quota del compendio patrimoniale». In questi termini G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2014, VII ed., 7. Sulla divisione ereditaria, v., almeno, A. Mora, La divisione. Funzione, natura, effetti, atti equiparati alla divisione, in Tratt. dir. succ. e don. Bonilini, IV, Comunione e divisione ereditaria, Milano, 2009, 143 ss.; A. Burdese, La divisione ereditaria, in Tratt. dir. civ. it., dir. F. Vassalli, Torino, 1980, passim; G. Azzariti, La divisione, in Tratt. dir. priv. P. Rescigno, 6, II, Successioni, Torino, 1997, 2ed., 391 ss.; G. Bonilini, Divisione, in Dig. disc. priv. – Sez. civ., VI, Torino, 1990, 4ed., 481 ss.; P. Forchielli-F. Angeloni, Della divisione. Art. 713-768, in Comm. c.c. A. Scialoja e G. Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 2000, II ed., passim. A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale, in Tratt. dir. civ. e comm., A. Cicu e F. Messineo, XLII, 2, Divisione ereditaria, Milano, 1958, 432; G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto, per virtù espansiva, dei beni non contemplati nel testamento, in Tratt. dir. succ. e don., Bonilini, II, La successione testamentaria, Milano, 2009, 239 ss.

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nell’esperienza romanistica. Nel diritto romano, infatti, l’heredis institutio ex re certa ebbe vita non facile, atteso il rigido e marcato formalismo al quale tale sistema era improntato. Si tenga presente, anzitutto, come tale sistema ammettesse unicamente l’heres scriptus (haeres esto o haeres iubeo). In altri termini, era prescritto l’impiego di precise formule mediante le quali giungere a un’espressa istituzione, non potendosi pervenire aliunde all’investitura ereditaria6. In un sistema di tal fatta è difficilmente ipotizzabile la chiamata ex certa re, appalesandosi di default una clausola formulata in tali termini come un semplice legato7. Tuttavia, ben presto anche in seno a tale esperienza giuridica si comprese che le ipotesi non risolvibili secondo la suddetta dicotomia non fossero poi così esigue. Pertanto, si acquisì la consapevolezza che quando la volontà testamentaria appaia ambigua o incompleta, sì da reclamare un intervento volto a chiarire (e/o integrare) il senso e la portata della disposizione dubbia, risultasse possibile (o addirittura necessario) andare oltre l’apparente riconduzione al legato per intravedere una chiamata a titolo di erede8. Nell’esperienza giuridica domestica, e in particolare nel codice previgente, si assiste alla pressoché integrale riproposizione della sistematica romana, eccetto che per degli accorgimenti. Si procede infatti a smussarne le rigidità intrinseche, con il condivisibile rigetto dell’accentuato formalismo che lo informava. Una chiara testimonianza in tale direzione è offerta dalla distinzione tra l’istituzione di erede e quella di legato, come si può evincere già da una superficiale lettura degli artt. 760 e 8279. Una diversa traiettoria è stata invece seguita dal legislatore del 194210. Ed infatti, anche da una poco approfondita disamina del disposto normativo racchiuso nell’art. 588 c.c., è possibile avvedersi del fatto che tale norma contempla tutti gli elementi di novità rispetto al passato, così delineando uno statuto disciplinare delle disposizioni testamentarie significativamente divergente da quello regolante l’esperienza giuridica precedente11.

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Per un raffronto essenziale con gli istituti di diritto romano, cfr. B. Biondi, Successione testamentaria-donazioni, in Tratt. dir. rom., dir. da E. Albertario, Milano, 1943, X, 226 ss.; L. Salis, L’istituzione di erede in una cosa determinata, in Dir. e giur., 1946, 1, 82; P. Voci, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1994, 4ed., 607 ss.; E. Besta, Le successioni nella storia del diritto italiano, Padova, 1935, 144 ss. 7 Antitesi superata da Sabino ricorrendo al principio secondo il quale «valet institutio detracta rei certae mentione». Su tale aspetto si sofferma, in particolare, D. Barbero, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, II, Torino, 1958, 5ed., 839. 8 Così C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Milano, 1948, II, 162 ss.; L. Mengoni, L’istituzione di erede “ex certa re” secondo l’art. 588, comma 2°, c.c., cit., 759; G. F. Basini, “Lasciti” di beni determinati, ed istituzione di erede ex re certa, in Fam. pers. succ., 2007, 245; S. D’Andrea, La heredis institutio ex certa re, in Tratt. dir. succ. don., dir. da G. Bonilini, II, La successione testamentaria, Milano, 2009, 230. 9 Art. 760: «Le disposizioni testamentarie che comprendono l’universalità od una quota dei beni del testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario». Art. 827: «Le disposizioni testamentarie si possono fare a titolo di istituzione di erede o di legato, o sotto qualsivoglia altra denominazione atta a manifestare la volontà del testatore». 10 Per un raffronto tra codice previgente e attuale, cfr. C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, Milano 1952, II ed., 364 ss. 11 Una conferma del fatto che l’istituzione di erede non dipende, come nel diritto romano classico, dalla formale attribuzione del titolo, bensì dalla sostanziale attribuzione dell’universalità o di una quota dei beni, si ha in L. Mengoni, L’istituzione di erede «ex certa re»

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Va anzitutto rilevato che nel sistema vigente è irrilevante il nomen iuris impiegato dal testatore. Questi, invero, potrebbe avere scarsa dimestichezza con le categorie giuridiche, giungendo senza contezza alla loro sovrapposizione o confusione, e si rischierebbe così di vanificare un voluto di per sé irripetibile, in spregio a ogni ragionevole istanza di conservazione della manifestazione di volontà, unicamente per ossequiare una discutibile logica formalistica12. La distinzione tra eredità e legato viene dunque ad essere fondata su un criterio oggettivo. Si ha istituzione di erede quando vi sia stata l’attribuzione dell’universalità o di una quota dei beni del testatore. Dunque, è erede colui che subentra in ogni rapporto facente capo al de cuius o in una quota. A fronte di una regola che, così formulata, non sembra suscettibile di deroghe, immediatamente dopo il cpv. dell’art. 588 pone una parziale deroga. Se è vero quanto detto in precedenza, può però darsi il caso in cui il lascito di beni determinati non abbia il significato che saremmo portati ad assegnargli prima facie. A questo punto, si rende necessario dar conto di un aspetto solo apparentemente estraneo alla presente analisi, salvo poi riconoscerne l’indubbia rilevanza nel tema che si sta indagando. La questione, assai discussa in seno alla Commissione chiamata a redigere il libro del Codice civile relativo alle successioni per causa di morte, concerneva l’essenzialità o meno, per l’istituzione di erede, dell’indicazione di una quota numerica (un mezzo, un terzo e via discorrendo), da abbinare al criterio oggettivo scolpito nel comma 1 dell’art. 588. In argomento, autorevole dottrina reputava necessaria una tale precisazione13. In direzione opposta si dirigeva altra dottrina, la quale – proprio muovendo dall’attribuzione di beni determinati in funzione di istituzione ereditaria – affermava che la determinazione aritmetica ben potesse farsi ex post, ossia potesse giungersi a ciò al tempo dell’apertura della successione14. Avanzando nella disamina della fattispecie dell’heredis institutio ex re certa, va detto che in essa concorrono due elementi, uno obiettivo e l’altro soggettivo. Il primo è costituito dall’attribuzione di uno o più beni determinati o da un complesso di beni determinato. Il secondo, invece, è rappresentato dall’intenzione di assegnare i beni determinati come quota del patrimonio. Dei predetti elementi, è intuitivamente quest’ultimo a originare le maggiori criticità. La principale risiede nello stabilire cosa debba intendersi per “intenzione” del testatore. Al riguardo, non pare allo stato sostenibile la posizione, molto radicata nella dottrina meno

secondo l’art. 588, comma 2, c.c., cit., 750, il quale precisa che «la qualità di erede non acquista più un’autonomia logico-funzionale, e si riduce a mera designazione del soggetto che è successo in locum et ius defuncti»; Id., La divisione testamentaria, Milano, 1950, 6. 12 Sul principio di conservazione, specie in rapporto all’evoluzione del concetto di favor testamenti nell’esperienza giuridica romana, v. E. Perego, Favor legis e testamento, Milano, 1970, 2 ss. e 185 ss. Il favor testamenti è espressamente rannodato al principio di conservazione da Trib. Benevento, 8 giugno 2007, in Banche dati giuridiche pluris. 13 C. Gangi, I legati, Roma, 1908, 48 ss. 14 L. Coviello, Successioni. Parte generale, Napoli, 1935, 16. In giurisprudenza, Cass., 9 gennaio 1929, in Giur. it., 1929, I, 1, 386.

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recente15, secondo cui l’intentio si correla alla consapevolezza da parte del testatore delle conseguenze connesse all’istituzione ereditaria. Sul punto, basti semplicemente ricordare che il testatore medio ignora anche i basilari profili disciplinari che distinguono l’erede dal legatario, per cui un simile sforzo appare del tutto avulso dal sistema e davvero poco ragionevole16. Appare allora preferibile come criterio dirimente, come si afferma anche in giurisprudenza17, il riferimento a una quota, sì da desumere che le certae res sono intese dal testatore in relazione all’intero patrimonio. Non si tratta, però, di staccare detti beni dal tutto, ma di considerarli come una componente dell’intero. Quanto sin qui detto non smentisce la necessità di indagare il volere dell’ereditando nel caso concreto, andando alla ricerca della sua effettiva volontà, per appurare se la stessa sia rivolta all’attribuzione del bene uti singuli – e quindi come legato –, ovvero in funzione di quota, quando cioè il bene esprime una chiamata ereditaria del beneficiario, la cui misura è data dal rapporto tra il valore del bene attribuito e l’universalità dei beni relitti dal de cuius. Le incertezze ricostruttive succintamente accennate in ordine all’heredis institutio ex re certa si correlano anzitutto alla stessa collocazione codicistica dell’art. 588, comma 2, c.c.18, al quale spetta inevitabilmente il compito di specificare la regola generale contenuta al comma 1 della medesima norma19. Se, infatti, tale ultimo disposto delinea la summa divisio delle disposizioni testamentarie in eredità e legato, affermazione a tratti apodittica là dove si consideri l’evoluzione dottri-

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S. pugliatti, Dell’istituzione di erede e dei legati, in Comm. c.c., a cura di M. D’Amelio-E. Finzi, 494 ss.; G. gazzara, Dell’istituzione di erede ex re certa, in Ann. Messina, 1968, I, 118 ss. 16 Sul significato e l’importanza applicativa della ragionevolezza, per tutti, G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, 1 ss. 17 In giurisprudenza, v. almeno Cass., 18 gennaio 2007, n. 1066, in Vita not., 2007, 1, 207, ove si legge: «In tema di interpretazione del testamento, l’institutio ex re certa configura, ai sensi dell’art. 588 cod. civ., una successione a titolo universale nel patrimonio del de cuius qualora il testatore, nell’attribuire determinati beni, abbia fatto riferimento alla quota di legittima spettante all’istituito, avendo in tal modo inteso considerare i beni come una frazione rappresentativa dell’intero patrimonio ereditario»; Cass., 12 luglio 2001, n. 9467, in Riv. not., 2002, 1245, ove si legge: «Al fine di distinguere tra disposizioni testamentarie a titolo universale – che, indipendentemente dalle espressioni e dalle denominazioni usate dal testatore, sono attributive della qualità di erede – e disposizioni a titolo particolare – che, invece, attribuiscono la sola qualità di legatario – il giudice deve compiere sia un’indagine di carattere oggettivo riferita al contenuto dell’atto, sia un’indagine di carattere soggettivo, riferita all’intenzione del testatore. Ne consegue che soltanto a seguito di tale duplice indagine – che è di competenza del giudice di merito e i cui risultati non sono censurabili in sede di legittimità se congruamente motivati – può stabilirsi se attraverso l’assegnazione di beni determinati il testatore abbia inteso attribuire una quota del proprio patrimonio unitariamente considerato (sicché la successione in esso è a titolo universale) ovvero abbia inteso escludere l’istituzione nell’universum ius (sicché la successione è a titolo di legato)». 18 Nel senso che si tratti di norma eccezionale, L. Mengoni, L’istituzione di erede «ex certa re» secondo l’art. 588, comma 2, c.c., cit., 758 e Id., La divisione testamentaria, cit., 16 ss., per il quale solo nel caso di lascito di beni determinati sarebbe possibile un’indagine, altrimenti esclusa, della volontà del disponente. Pertanto, questo A. e gli altri che sostengono tale posizione, concludono nel senso che nel dubbio, prevalendo il precetto di cui al comma 1, la disposizione testamentaria va intesa come legato. In termini analoghi anche G. Bombarda, Osservazioni in tema di norme date dal testatore per la divisione, divisione fatta dal testatore e disposizione dei conguagli, in Giur. it., 1975, IV, 120, la quale considera il comma 2 di carattere suppletivo. Parimenti, F. messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. VI, Diritto delle successioni per causa di morte, IX ed., Milano 1962, 46. Contra, L. Bigliazzi Geri, Il contenuto del testamento, in Aa.Vv., Tratt. dir. priv., P. Rescigno, VI, Successioni, 2a ed., Torino 1997, 67. 19 In tal senso A. Trabucchi, Nota a Cass. 23 marzo 1963, n. 737, in Giur. it., 1964, I, 1, 191; S. Delle Monache, Testamento. Disposizioni generali. Artt. 587-590, in Cod. civ. Comm. Schlesinger, Milano, 2005, 168.

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nale raggiunta in tema di onere – e più precisamente la ricostruzione di tale ultimo istituto in termini di negozio autonomo piuttosto che di clausola accessoria20–, il cpv. dell’art. 588 letteralmente si limita a stabilire che quando il lascito abbia ad oggetto un bene determinato non è detto che vada ricondotto al legato, là dove il disponente avesse inteso attribuire tale bene come quota dell’intero patrimonio, con ciò evidenziando le rilevanti difficoltà qualificatorie dinanzi alle quali è posto l’interprete. Si è già detto che l’art. 588 c.c. consta di due commi21. Il primo statuisce che le disposizioni testamentarie che comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore attribuiscono la qualità di erede indipendentemente dalle espressioni in concreto adoperate. Il secondo chiarisce, invece, che l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non fa venir meno la natura di disposizione a titolo universale «quando risulti che il testatore abbia inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio». Quando si discorre di c.d. heredis institutio ex re certa – come si è già avuto modo di intendere – si vuole alludere proprio a tale disposto normativo, la cui comprensione, anche solo per le cose dette sinora, non è per niente agevole. È giunto perciò il momento di focalizzare la natura giuridica di tale figura, la quale, anche a motivo della sua collocazione all’interno della sistematica codicistica, risulta essere niente affatto pacifica. Secondo una robusta linea di pensiero, in particolare, nella disposizione in esame sarebbe recata una norma interpretativa22. In altri termini, il cpv. dell’art. 588 c.c. presenterebbe una valenza esegetica, dal momento che la norma ivi recata avrebbe lo scopo di aiutare l’interprete a stabilire il regime disciplinare al quale assoggettare la disposizione formulata in maniera ambigua23. Una tale ricostruzione si giova anzitutto del significato comune attribuibile a un tale fraseggio normativo e parrebbe suffragata, tra l’altro, dalla collocazione sistematica di tale disposto normativo tra le disposizioni generali delle successioni testamentarie24. Non si è mancato di notare, inoltre, che la posizione della norma avrebbe l’ulteriore obiettivo di precisare – come sopra anticipato – l’effettiva portata del co. 1.

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In tema, v., almeno, M. Giorgianni, Il modus testamentario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1957, 889 ss.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, I, IX ed., Milano, 1957, 595 ss.; U. Carnevali, Modo, in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976, 686 ss.; Id., La donazione modale, Milano, 1969; M. Lupo, Il modus testamentario, in Riv. dir. civ., 1977, II, 394 ss. 21 Discorre di continuità tra le previsioni contenute ai commi 1 e 2 dell’art. 588, V. Cuffaro, Art. 588, in Aa.Vv., Comm. C.C. Gabrielli, Delle Successioni, vol. 2, artt. 565-712, a cura di V. Cuffaro e F. Delfini, Torino 2010, 180 ss. 22 S. Delle Monache, Testamento. Disposizioni generali., cit., 182; G. amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, in P. Rescigno (diretto da), Tratt. breve succ. e don., Padova, 2010, 961 ss. 23 Nel senso che non si tratti di una norma di interpretazione, quanto di una norma sull’interpretazione è V. Barba, Istituzione ex re certa e divisione fatta dal testatore, in Riv. dir. civ., 2012, I, 55. Considera tale disposto normativo una norma speciale sull’interpretazione F. Ziccardi, Le norme interpretative speciali, Milano 1972, 98 ss., il quale, però, a 43, chiarisce che adopera tale espressione unicamente per designare le norme diverse dalle generali e prive della attitudine di espandere il proprio ambito di applicazione oltre gli istituti per la cui disciplina sono previste. La loro applicazione non può concorrere con le norme generali, dipendendo esclusivamente dalla presenza degli elementi della fattispecie. 24 A. Burdese, «Institutio ex re certa» e divisione testamentaria (Sulla natura dell’atto divisorio), in Riv. dir. civ., 1986, II, 466, individua l’elemento oggettivo della fattispecie nella considerazione di cose determinate e non di una data quota astratta.

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Insomma, il cpv. dell’art. 588 c.c. verrebbe in rilievo quale strumento capace di soccorrere l’interprete tutte le volte in cui le volontà siano formulate in modo controverso, tenuto conto del fatto che tali volontà – non più ripetibili quando l’atto avrà effetto – resterebbero altrimenti inattuate, stante il deficit di chiarezza che le connota. Seguendo tale orientamento, allora, diventa centrale la ricerca della reale intenzione del testamento, potendo la medesima indirizzarsi in una direzione diversa da quella verso la quale conduce la proposizione linguistica usata. Per una parte della dottrina25, invece, l’heredis institutio ex re certa svolge la funzione di apporzionamento di una quota di eredità. Ad avviso di questa ricostruzione si è in presenza di una attribuzione vera e propria a titolo di eredità, con determinazione ex post della quota. Infine, si rammenta la posizione di quanti ritengono che la funzione dell’istituto non sia tanto di apporzionamento quanto invece di istituzione26. In altri termini, si è dinanzi a una vera istituzione di erede mediante attribuzione di beni determinati in funzione di concretamento della quota.

3. Profili generali dell’esegesi testamentaria. A questo punto dell’indagine, non ci si può esimere dal rannodare le riflessioni svolte con l’annosa tematica dell’interpretazione testamentaria. Al riguardo, è nota la querelle relativa all’applicabilità oppure no delle norme che disciplinano l’interpretazione del contratto. Non potendo per ovvi motivi effettuare la disamina che un sì intricato quanto interessante tema richiederebbe, va detto che la principale questione che si pone è quella concernente i termini in cui opera l’art. 1362 c.c. Tale disposto normativo frequentemente viene invocato nelle sentenze di legittimità27, non meno dell’affermazione che inibisce a detto giudice apprezzamenti sul fatto, spettando un tale compito al giudice del merito, purché questi abbia correttamente espletato tale attività e ne abbia dato congrua motivazione28. In sede di prima analisi dell’art. 1362 c.c.,

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L. Mengoni, L’istituzione di erede “ex certa re” secondo l’art. 588, comma 2°, c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948, 742 ss. G. Bonilini, Institutio ex re certa e acquisto per virtù espansiva dei beni non contemplati nel testamento, cit., 239 ss.; G. Amadio, L’oggetto della disposizione testamentaria, cit., 961 ss. 27 Per alcuni rilievi critici in merito agli orientamenti della Corte di Cassazione in tema di interpretazione del testamento, v. S. Deplano, L’interpretazione delle disposizioni testamentarie secondo un’innovata prospettiva di indagine, in Rass. dir. civ., 2016, 1174 ss. 28 Cfr., tra le più recenti, Cass. 6 ottobre 2017, n. 23393, in Rep. Foro it., 2017, voce Successione ereditaria, n. 167; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27128, in Fam. dir., 2012, 918 ss., con nota di A. Todeschini, L’interpretazione del testamento: tra fedecommesso de residuo e attribuzione separata della nuda proprietà e dell’usufrutto: «L’interpretazione della volontà del testatore espressa nella scheda testamentaria, risolvendosi in un accertamento di fatto denunziato al giudice di merito, è compito esclusivo di questo, nel senso che è a lui riservata la scelta e la valutazione degli elementi di giudizio più idonei a ricostruire la predetta volontà»; Cass., 13 giugno 2007, n. 13835, in Rep. Foro it., 2007, voce Successione ereditaria, n. 84; Cass., 29 gennaio 2007, n. 1789, in Riv. not., 2008, 453 ss. 26

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è bene rimarcare la strumentalità della valutazione del «comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto» ai fini della indagine volta alla ricerca della «comune intenzione delle parti». Nella materia in discorso, pertanto, l’indicazione proveniente dalla norma in esame parrebbe così riassumibile: all’interprete è richiesto di indagare quale sia l’intenzione del (solo) dichiarante, potendosi non fermare al «senso letterale delle parole» quand’esso ingenerasse dubbi sulla effettiva portata precettiva delle disposizioni rassegnate nella scheda testamentaria. Questa testè riferita rappresenta la base di partenza di ogni riflessione circa l’ermeneutica testamentaria e si riscontra in maniera pressoché costante tanto in dottrina quanto in giurisprudenza. Si sostiene, e non da ora, infatti, che l’interpretazione del testamento sarebbe caratterizzata da una ricerca più intensa in ordine alla effettiva volontà del testatore29. La ricostruzione delle volontà testamentarie affaccia, tuttavia, questioni diverse e ulteriori rispetto all’ermeneutica contrattuale. Non è superfluo rimarcare la principale di esse: la morte, oltre a togliere dal mondo dei vivi l’autore dell’atto, sottrae alla gestione delle vicende promananti dall’atto stesso il (solo) soggetto che può, ex se, fugare ogni dubbio e diradare ogni incertezza. La struttura del testamento – efficacemente descritto in termini di «monologo» e, perciò, contrapposto al contratto, paragonato a un «dialogo»30 – impone una tensione diretta alla ricostruzione della volontà dell’autore dell’atto, e non già a quello che possono aver inteso gli altri soggetti coinvolti nel fenomeno successorio. Una seconda difficoltà, non meno rilevante della prima, è da correlare poi alla davvero rara sovrapponibilità tra registro lessicale comune e terminologia giuridica. Sovente, specie nei testamenti olografi, è dato leggere espressioni nelle quali a una inequivoca volontà nella mens testantis corrisponde non altrettanta chiarezza espositiva, sì da originare parte quantitativamente rilevante del copioso contenzioso successorio. Con ciò, beninteso, non si vuole esonerare l’interprete dal (provare a) dare senso alla manifestazione di volontà testamentaria, prima che si giunga quale extrema ratio a invalidare la disposizione a causa di morte31. Anzi, è proprio in funzione della massima attuazione di essa che l’interprete deve orientare la propria attività32.

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Nella giurisprudenza di legittimità, ex ultimis, v. Cass., 7 maggio 2018, n. 10882, in Rep. Foro it., 2018, voce Successione ereditaria, n. 33: «L’interpretazione del testamento, cui in linea di principio sono applicabili le regole di ermeneutica dettate dal codice in tema di contratti, con la sola eccezione di quelle incompatibili con la natura di atto unilaterale non recettizio del negozio mortis causa, è caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da una più penetrante ricerca, aldilà della dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua dell’art. 1362 c.c., va individuata con riferimento ad elementi intrinseci alla scheda testamentaria, sulla base dell’esame globale della scheda stessa e non di ciascuna singola disposizione; tuttavia, ove dal testo dell’atto non emergano con certezza l’effettiva intenzione del de cuius e la portata della disposizione, il giudice può fare ricorso ad elementi estrinseci al testamento, ma pur sempre riferibili al testatore, quali, ad esempio, la personalità dello stesso, la sua mentalità, cultura o condizione sociale o il suo ambiente di vita». 30 In questi termini G. Stolfi, Teoria del negozio giuridico, 1961, Padova, 26-27. 31 Così, M. Allara, Principi di diritto testamentario, Torino, 1957, 178; Id., Il testamento, Padova, 1936, 339. 32 Ex multis, v. G. Bonilini, Testamento, in Dig. Disc. priv., Sez. civ., XIX, Torino, 1999, 370, il quale afferma che l’attività interpretativa «se riferita al testamento mira a intendere la precisa volontà del de cuius, affinché sia rettamente eseguita»; C. Grassetti, Interpretazione dei

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Questi rilievi, per quanto possano risultare basilari, costituiscono le fondamenta che giustificano il rilievo – superiore rispetto a quanto si afferma per l’ermeneutica contrattuale – dato alle qualità personali del testatore e alla considerazione che di esse deve tenere conto l’interprete33. Interrogarsi circa la professione del testatore o il suo livello di istruzione può consentire all’interprete di ricostruire in termini di maggiore attendibilità le volontà consegnate al testamento, evitandone un sacrificio che appare per vero ingiusto, attesa l’irripetibilità dell’atto.

4. Voluntas del testatore e centralità della scheda testamentaria.

Il richiamo all’art. 1362 c.c. va ora verificato per saggiarne la proficuità o meno34. Parte degli interpreti descrivono detta norma in termini di finalità dell’attività interpretativa35. Per converso, altra parte della dottrina ritiene che si tratti di uno strumento per giungere al significato oggettivo dell’accordo36. Preso atto di tale contrasto, sul quale non pare proficuo indugiare in tale sede, è bene appuntare l’attenzione sul caso in esame, dal quale provengono sollecitazioni interessanti.

negozi giuridici mortis causa (Diritto civile), in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1962, 907; E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. it., dir. da F. Vassalli, XV, 2, Torino, 1950, 357 ss.; A. Palazzo, Le successioni, in Tratt. di dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, 2, Milano, 1996, 623. In senso contrario, v. G. Branca, Dei testamenti ordinari. Art. 601-608 cod. civ., cit., 49, nota 4, in cui si legge che, in riferimento all’art. 1367 c.c., «il legislatore vuole che il negozio abbia qualche effetto, non il massimo effetto; insomma non si preoccupa della misura». 33 In questo preciso senso, v. Cass., 19 marzo 2001, n. 3940, in Fam. dir., 2001, 444 ss. Tra le sentenze di merito, v. Trib. Bologna, 12 giugno 1991, in Riv. not., 1993, 1308 ss. 34 In questo senso, può dirsi consolidata la seguente massima: «nell’interpretazione del testamento, il giudice del merito deve accertare secondo il principio generale di ermeneutica enunciato dall’art. 1362 cod. civ. – applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria – quale sia stata l’effettiva volontà del testatore, comunque espressa, valutando congiuntamente e in modo coordinato l’elemento letterale e quello logico dell’atto unilaterale mortis causa». Il principio è espresso, fra le tante, da: Cass., 14 ottobre 2013, n. 23278, in Banche dati giuridiche pluris; Cass., 20 dicembre 2011, n. 27773, in Banche dati giuridiche pluris; Cass., 3 dicembre 2010, n. 24637, in Banche dati giuridiche pluris; Cass., 21 febbraio 2007, n. 4022, in Banche dati giuridiche pluris; Cass., 17 aprile 2001, n. 5604; Cass., 28 dicembre 1993, n. 12861, in Giust. civ., 1994, I, 3183 ss.; Cass., 24 agosto 1990, n. 8668, in Banche dati giuridiche pluris; Cass., 26 maggio 1989, n. 2556, in Banche dati giuridiche pluris; Cass., 28 novembre 1986, n. 7025, in Banche dati giuridiche pluris; Cass., 28 novembre 1984, n. 6190, in Banche dati giuridiche pluris. Nella giurisprudenza di merito, v. App. Roma, 18 novembre 2008, in Banche dati giuridiche pluris; Trib. Benevento, 8 giugno 2007, in Banche dati giuridiche pluris; Trib. Cagliari, 22 maggio 2001, in Banche dati giuridiche pluris. 35 È risaputo, ampia parte della dottrina prospetta la «comune intenzione delle parti» quale finalità dell’attività interpretativa. Cfr., ex plurimis, C. Grassetti, Interpretazione dei negozi giuridici “inter vivos”, in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1962, 903 ss., ivi, 906, in cui si legge che «l’art. 1362 cod. civ. pone dunque uno dei fini del processo interpretativo, che si risolve nella ricerca della volontà in concreto»; F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002, IX ed., 231. In giurisprudenza v., Cass., 14 marzo 2013, n. 6482, in Banche dati Leggi d’Italia. 36 In questo senso, v. N. Irti, Testo e contesto. Una lettura dell’art. 1362 del Codice civile, Padova, 1996, spec. 37 ss. e 47 ss., il quale qualifica la «comune intenzione», in termini di strumento per dispiegare i possibili significati del testo contrattuale, necessario onde sia evitata l’interpretazione dello stesso al di là dei contenuti che soltanto la dichiarazione racchiusa nel documento, oggettivamente, sia a dispiegare. In questo senso, secondo l’A., la comune intenzione delle parti si offre all’interprete al fine di selezionare «uno dei sensi, oggettivamente offerti dalle parole».

364


Francesco Meglio

Esso infatti esemplifica una rinnovata applicazione dei principi di interpretazione soggettiva del testamento, riempiendo di significato la littera testamenti, così da pervenire a una qualificazione delle disposizioni maggiormente aderente al regolamento successorio congegnato dalla de cuius. In particolare, è da segnalare come la Corte distrettuale fornisca le prime indicazioni di sicuro interesse. Dopo aver rimarcato l’utilità del ricorso al criterio quantitativo, indice della volontà di considerare Tizio quale erede, per effetto dell’assegnazione dell’intero patrimonio mobiliare, la de cuius aveva chiarito nella scheda le ragioni che presiedevano a tali disposizioni. L’affectio nutrita verso Tizio, la stima e la fiducia reciproche che si sviluppavano in un arco temporale di oltre trenta anni non erano indifferenti nell’assetto di interessi da valere post mortem. Dunque, già il giudice di seconde cure, attraverso una attenta disamina del tenore letterale della scheda testamentaria, aveva compreso che il diverso riparto sottintendeva a una diversa considerazione tra i vari destinatari dei lasciti e, conseguentemente, ne discendeva un diverso statuto disciplinare in base al quale Tizio era da reputare erede e non già legatario. Venendo alle censure sottoposte al giudice di legittimità, la nipote Caia solleva sostanzialmente due obiezioni. Da un lato, infatti, rimarca lo scarso valore dei beni mobili e la componente (solo) affettiva di tale lascito in favore di Tizio, con ciò degradando di senso il significato delle parole impiegate dalla defunta a proposizioni irrilevanti sul piano qualificatorio, in quanto unicamente dirette a esplicitare sentimenti di affetto e gratitudine verso Tizio. Dall’altro, offre una diversa lettura della ripartizione dei suoi beni apprestata dalla testatrice tra le persone che “ci hanno sempre aiutato e all’occorrenza ci hanno sempre sostenuto con la loro presenza”. Insomma, la defunta avrebbe inteso considerare tutti allo stesso modo, predisponendo tutti legati e affidando alle regole disciplinanti la successione legittima l’individuazione dell’erede. Ora, la Suprema Corte rigetta la prospettazione di Caia. L’iter seguito dal giudice di legittimità si sviluppa su più piani. Infatti, non soltanto si rinvia al criterio quantitativo. Così facendo i profili di interesse del provvedimento annotato avrebbero rasentato lo zero. Il piano di maggiore interesse è quello soggettivo, che si risolve nell’aver rimarcato il differente trattamento – emergente dalla scheda testamentaria – tra coloro che sono (certamente e soltanto) legatari e Tizio, che di Sempronia è da considerare quale erede. La ricostruzione delle volontà di quest’ultima passa allora per la combinazione tra criterio oggettivo e indagine soggettiva. Nel caso di specie accade, però, qualcosa di molto importante anche sul piano del metodo. I giudici di merito hanno correttamente rintracciato – ad avviso del giudice di legittimità e, sommessamente, dell’annotatore – i termini differenziali proprio muovendo dal diverso significato delle proposizioni linguistiche adoperate. La casistica in tema di ermeneutica testamentaria sovente segnala agli interpreti la necessità, a fronte di un testo ambiguo, di attingere a riferimenti estrinseci alla scheda, a scritti precedenti o successivi, a testamenti posteriori, precedenti, invalidi o revocati e, da

365


Giurisprudenza

ultimo, a progetti di testamento37. Tutto ciò soccorre a chiarire, a favorire l’interpretazione delle espressioni oscure impiegate dal testatore38, ma non già in funzione di integrazione (e/o sostituzione) di volontà inespresse39. La dottrina da tempo ricorda che gli elementi extratestuali sono giustificati soltanto «in via suppletiva, a dilucidazione delle espressioni racchiudenti la volontà manifestata nel documento»40. Il provvedimento che si annota, pertanto, va salutato con favore perché richiama all’attenzione un limite che è proprio dell’atto testamentario. È infatti la scheda testamentaria che deve fornire l’«univoco addentellato»41 per lo svolgimento dell’attività interpretativa delle volontà in essa racchiuse, perché «là dove la formule, piuttosto che inadeguata all’idea, si dimostri del tutto incompatibile ad essa, si arresta il compito dell’interprete: dove non è dichiarazione, non sta all’interprete crearla»42. In conclusione, allora, prima di volgere l’attenzione a ciò che ab extra può aiutare a ricostruire le volontà testamentarie, è bene prendere sempre le mosse dalla approfondita disamina della scheda, la quale, non di rado, reca in sé le indicazioni maggiormente utili a risalire all’assetto degli interessi avuto di mira dall’ereditando. Francesco Meglio

37

In questo senso, v. G. Bonilini, Il testamento. Lineamenti, cit., 85, il quale precisa che l’integrazione della scheda mediante elementi a essa estranei sia da escludere. 38 Cfr., almeno, L. Mengoni, Interpretazione del negozio e teoria del linguaggio, in Il contratto. Silloge in onore di G. Oppo, I, Padova, 1992, 319; F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, cit., 235-236. 39 Così Cass., 28 novembre 1986, n. 7025, in Banche dati giuridiche pluris. 40 Così, G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 221. La condivisibile osservazione, diretta a rammentare la rilevanza del testo nell’interpretazione del testamento, e la necessità che sia il testo medesimo a richiedere l’ausilio a strumenti interpretativi tratti al di là del contenuto della dichiarazione, è condivisa da buona parte della giurisprudenza, che non manca di rammentare il primato del criterio ermeneutico della letteralità. In questo preciso senso, v., nella giurisprudenza di merito, App. Roma, 18 novembre 2008, cit., secondo la quale, la volontà del testatore va individuata con riferimento a elementi tratti dalla scheda «e solo in via sussidiaria» mediante il ricorso a elementi «estrinseci al testamento» com’è a dirsi della «personalità» del disponente, «della sua mentalità, cultura, condizione sociale, ambiente di vita»; Trib. Rovigo, 21 luglio 2008, in Banche dati giuridiche pluris; App. Bari, 4 ottobre 2003, in Banche dati giuridiche pluris. Nella giurisprudenza di legittimità, Cass., 19 ottobre 2005, n. 20204, in Banche dati giuridiche pluris; Cass., 22 ottobre 2004, n. 20604, in Fam. pers. succ., 2005, 33 ss., con nota di C. Coppola, L’interpretazione del testamento epistolare; Cass., 17 aprile 2001, n. 5604, cit.; più aperta verso l’utilizzo di elementi di carattere extratestuale è Cass., 18 settembre 1998, n. 9320, in Giur. it., 1999, 914. Cfr., inoltre, Cass., 24 agosto 1990, n. 8668, in Banche dati giuridiche pluris; Cass., 24 marzo 1981, n. 1717, in Banche dati giuridiche pluris. 41 In questi precisi termini si esprime E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 358. 42 Così, G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento. Contributo ad una teoria dell’atto di ultima volontà, Milano, 1954, 171. Sulla stessa linea, v. A. Trabucchi, Il rispetto del testo nell’interpretazione degli atti di ultima volontà, in Scritti giuridici in onore di F. Carnelutti, III, Padova, 1950, 688; P. Trimarchi, Interpretazione del testamento medianti elementi a esso estranei, in Giur. it., 1956, I, 1, 445. Cfr., per una prospettiva peculiare, G. Branca, Dei testamenti ordinari. Art. 601-608 cod. civ., in Comm. c.c. A. Scialoja e G. Branca, BolognaRoma, 1986, 37.

366


Giurisprudenza Trib. Torino, sez. II, 2 maggio 2019, n. 2103; La Marca Presidente – Dughetti Relatore Testamento olografo – Autografia – Data – Errore materiale – Inesattezza grafica – Data impossibile – Elementi intrinseci alla scheda testamentaria – Rettificazione della data – Conservazione del testamento La data apposta ad un testamento olografo, qualora, a causa di un mero errore materiale, risulti non corretta (ad esempio, appaia impossibile), può essere rettificata dal giudice del merito se dai soli elementi intrinseci alla scheda testamentaria affiori quale sia l’effettiva data corretta: in tal caso, s’intendono rispettati i requisiti formali prescritti dall’art. 602 c.c. Là dove, invece, tale rettificazione non sia possibile, il requisito della data deve considerarsi come inesistente.

(Omissis)

stata Sempre ai soldi che sono sul Conto Corrente

Fatto

Banca San Paolo Di Perosa N° ... ore 14,01 del

e motivi della decisione

Gli attori convenivano in giudizio N.Z. per la prima udienza del 14.7.2016 promuovendo le domande indicate in epigrafe.

giorno Mercoledì [numero indecifrabile] 4/05/214 B.E.D. In fede Lascio il mio DNA». Osservava parte attrice che il testamento era

Esponevano che in data 18.9.2015 era dece-

nullo o comunque annullabile, e quindi privo di

duto a Roure il sig. E.B. di cui attrici e attore

effetto il legato con cui disponeva, poiché ripor-

erano cugini, figli rispettivamente della sorella e

tava una data assolutamente incerta.

del fratello della madre del de cuius.

Il 4 maggio 214 costituiva data impossibile, e

Il congiunto era persona gravemente depres-

il giorno in cui pareva che la scheda fosse stata

sa, dedita all’alcool, e già nel 2012 aveva tentato

redatta, incerto come constatato dal Notaio, poi-

il suicidio. Su segnalazione del medico curante

ché prima della cifra 4 era indicato un altro nu-

era stata avviata una procedura per l’apertura di

mero indecifrabile.

un’amministrazione di sostegno, poiché era stato

L’incertezza assoluta della data comportava

evidenziato il rischio che il de cuius potesse com-

l’invalidità del testamento, giusta il combina-

piere atti dispositivi contrari al proprio interesse.

to disposto ex artt. 602 e 606 c.c.; comunque,

Dopo il decesso del E.B., gli attori appren-

quand’anche la data di redazione della scheda

devano che la convenuta era in possesso di una

fosse stata accertata o apparisse accertabile, il

scheda olografa, che in data 13.11.2015 veniva

E.B. era persona incapace di testare, versando in

pubblicata dal Notaio B.; il testamento aveva il

una condizione d’incapacità naturale; alla luce

seguente tenore:

della documentazione medica in atti, si poteva

«Io sottoscritto E.B. Nato il ... lascio tutte le

affermare che il de cuius si trovava sin dal 2012

mie proprita nel Comune Roure Dalla Casa ai

in una situazione di infermità che ne compromet-

prati e campi alla mia Compagna N.Z. che mi è

teva la capacità di volere.

367


Giurisprudenza

La N.Z., ritenendosi erede, aveva preso pos-

Invero il de cuius, nel periodo successivo al-

sesso dei beni del de cuius, nonostante l’inter-

le sue dimissioni dall’ospedale risalenti al 2012,

vento della Forza Pubblica richiesta dagli attori;

aveva intrapreso una relazione sentimentale con

fra i beni vi erano anche i mobili ed arredi conte-

la N.Z. che aveva conosciuto durante il ricovero e

nuti nell’alloggio del defunto, che non formava-

con cui aveva poi iniziato una convivenza che gli

no oggetto del legato e che comunque dovevano

aveva consentito di fare ritorno a casa.

essere restituiti.

Nonostante le problematiche psicologiche e

In punto si osservava ancóra che la scheda si

fisiche, dal 2012 in poi il de cuius non aveva più

riferiva a diversi beni immobili, per poi conclu-

avuto bisogno di cure mediche e ricoveri e ad-

dersi con una disposizione incomprensibile circa

dirittura, con decorrenza dal gennaio del 2015,

un conto corrente, disposizione nulla in quanto

gli era stata rinnovata la patente di guida. Parte

indeterminata.

attrice non aveva offerto elementi conoscitivi e

Ad eccezione di quelli espressamente menzio-

le patologie indicate nella cartella prodotta non

nati nel testamento, si chiedeva quindi, in via di

apparivano di gravità tale da giustificare una va-

estremo subordine, che i restanti beni apparte-

lutazione in termini di incapacità assoluta di in-

nenti al E.B. fossero ritenuti come sottoposti alla

tendere e volere.

successione legittima. Si costituiva in giudizio N.Z., contestando difese e domande promosse.

Quanto al contenuto della scheda, osservava che la disposizione in ordine al lascito dei soldi giacenti sul conto, doveva essere intesa come

Osservava che la data non doveva essere inte-

espressione della volontà del testatore di attri-

sa solo come sequenza di giorno, mese ed anno,

buire alla N.Z. tutto il denaro depositato presso

ma poteva essere sostituita da indicazioni equi-

l’istituto bancario citato nella scheda.

pollenti, consentendo in tal modo il rispetto del dato formale; nel caso di specie non poteva affermarsi che la data fosse mancante, apparendo solo graficamente imperfetta, con riguardo all’indicazione dell’anno di redazione.

Esaurita la fase istruttoria, il Giudice Istruttore disponeva CTU circa la capacità di testare. All’udienza del 13.12.2019 le parti rassegnavano le conclusioni. Assume in via principale parte attrice, l’invali-

Era peraltro chiaro che il mese di redazione

dità della scheda olografa redatta dal E.B., perché

fosse maggio, mentre il giorno non poteva che

riportante una data incerta, d’impossibile decifra-

essere il 14, poiché il 14 maggio del 2014 cade-

zione.

va effettivamente di mercoledì, come indicato dal

Come noto la data del testamento olografo co-

E.B.; il testatore era incorso quindi in un errore

stituisce, al pari della sua sottoscrizione e auto-

materiale, suscettibile di rettificazione.

grafia per intero per mano del testatore, requisito

Quanto allo stato d’incapacità, osservava che a

formale della scheda; la sua mancanza è quindi

sostegno di tale prospettazione era stata prodotta

fonte d’invalidità dell’atto; in particolare la data

una cartella clinica del 2012, periodo in cui il de

deve essere completa e quindi recare l’indicazio-

cuius era caduto in uno stato di forte depressio-

ne del giorno, mese ed anno di redazione.

ne, in ragione della solitudine in cui viveva.

A differenza della previsione di cui all’art. 602,

Peraltro gli attori, mai menzionati nelle car-

co. 3, c.c., che postula l’esistenza materiale della

telle cliniche, non avevano fornito elementi ed

data, ma la sua erroneità o falsità, e quindi circo-

informazioni circa le condizioni di vita e di salute

scrive l’indagine a specifiche ipotesi, che decli-

del E.B. successive al 2012.

nano verso l’invalidità di natura sostanziale («Nel

368


Marco Ramuschi

testamento olografo, la eventuale non veridicità della data (nella specie, data aggiunta dal testatore in un tempo posteriore alla redazione del testo della scheda ed alla relativa sottoscrizione) è irrilevante quando non si controverta della capacita del testatore, della priorità fra due testamenti o di qualsiasi altra circostanza per cui abbia importanza l’accertamento della data vera della disposizione», Cass. n. 2874/1976), la mancanza dei requisiti di cui all’art. 602, co. 1 e co. 2, c.c., ha natura squisitamente formale. Nell’àmbito di tale categoria, debbono essere enucleate le ipotesi di cd. data “impossibile”, di cui alle censure degli attori, ad oggetto una data di incerta e non plausibile decifrazione, quindi tecnicamente erronea. Secondo alcuni commentatori la data impossibile coincide con la data inesistente, conducendo quindi all’invalidità della scheda; secondo altro indirizzo, fatto proprio anche dalla giurisprudenza di legittimità, nelle ipotesi di data impossibile, il giudice può procedere ad un’operazione di correzione, utilizzando elementi intrinseci alla scheda; «In tema di testamento olografo, l’inesatta indicazione della data, dovuta ad errore materiale del testatore (per distrazione, ignoranza od altra causa), pur se essa, senza essere così voluta dal de cuius, sia impossibile (nella specie, il “12-112-1990”), può essere rettificata dal giudice, ricorrendo ad altri elementi intrinseci della scheda testamentaria, sì da rispettare il requisito essenziale della autografia dell’atto», Cass. n. 10613/2016; nello stesso senso: «L’indicazione erronea della data nel testamento olografo, dovuta cioè ad errore materiale del testatore per distrazione, ignoranza od altra causa, anche se concretantesi in una data impossibile (non voluta, però, come tale, dal testatore), può essere rettificata dal giudice, solo, tuttavia, avvalendosi di altri elementi intrinseci della scheda testamentaria, così da rispettare il requisito essenziale della autografia dell’atto. L’apprezzamento del giu-

dice del merito circa la sussistenza di un mero errore materiale del testatore al riguardo e circa l’esclusione dell’intenzione del testatore d’indicare, invece, volutamente una data impossibile – che renderebbe annullabile il testamento, perché equivalente a data inesistente – è incensurabile in Cassazione, qualora sia sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi di logica o di diritto», Cass. n. 1364/1964. A ben vedere i due indirizzi brevemente richiamati non paiono divergere nella loro pratica applicazione; laddove la data apposta, anche attraverso l’intervento del giudice, rimanga comunque oscura, si dovrà concludere per l’inesistenza del requisito; al contrario, se attraverso indizi risultanti dallo stesso documento, appaia possibile provvedere ad un’operazione di correzione che restituisca un senso alla data, deve potersi affermare che la scheda rispetti i requisiti formali di cui all’art. 602 c.c. L’indirizzo della Suprema Corte, circoscrivendo gli strumenti d’indagine ad elementi e dati contenuti nella stessa scheda, consente da un lato di rispettare il requisito dell’autografia, e dall’altro soddisfa il canone generale della conservazione del testamento e quindi da ultimo il rispetto della volontà del de cuius. Nel caso di specie la data, ad una prima e sbrigativa lettura, potrebbe prestare il fianco a perplessità; da un lato il giorno, indicato con il numero 4, è preceduto da una cancellatura o abrasione, mentre l’anno (214) non sembra avere astrattamente un senso logico. L’approccio degli attori, nell’escludere la possibilità da parte del giudice di procedere ad un intervento correttivo ed integrativo, non è però condivisibile. Osserva il Collegio, partendo dall’anno, che il E.B. esordiva nella prima parte della scheda, indicando la propria data di nascita (25.5.1940); può quindi affermarsi che il testatore ben sapesse quale fosse l’anno in corso e, soprattutto, non

369


Giurisprudenza

intendesse indicare una data incompatibile con il

Anche l’ulteriore censura mossa, afferente l’in-

proprio anno di nascita; la mancanza dello 0 do-

capacità del testatore al momento della redazio-

po il 2 e prima del 14, costituisce quindi una me-

ne del testamento, deve essere disattesa.

ra omissione materiale nella compilazione della scheda, riconducibile ad un’inesattezza grafica.

Gli attori hanno richiamato nelle conclusioni rassegnate, le medesime istanze istruttorie già de-

Anche l’indicazione del giorno appare rettifi-

dotte nelle memorie ex art. 183, co. 6, c.p.c., di

cabile, e ciò attraverso l’utilizzo di elementi og-

cui occorre ribadire nuovamente l’inaccoglibilità.

gettivi offerti dalla stessa scheda olografa. Ferma la pacifica indicazione del numero 4, il E.B. operava un’utile puntualizzazione, premettendo alla data l’indicazione del «giorno mercoledì»; scorrendo il calendario dell’anno 2014, nel corso del mese di maggio il giorno 14 cadeva proprio di mercoledì. È quindi probabile, ipotesi assai frequente,

L’ordine di esibizione all’Asl di competenza ad oggetto qualsiasi documentazione sanitaria riguardante il de cuius, è istanza affetta da genericità e sconta un evidente intento esplorativo che conduce all’inammissibilità. Anche la richiesta di acquisizione del fascicolo di volontaria giurisdizione relativo al E.B., come già motivato nell’ordinanza istruttoria del 24.7.2017, è generica; gli stessi attori non sono

che il de cuius non ricordasse con precisione il

stati in grado di fornire alcuna utile informazione

giorno del mese – e ciò giustificherebbe la cor-

a riguardo, e quindi se effettivamente fosse sta-

rezione materiale – ma fosse peraltro certo del

to promosso un procedimento per l’apertura di

giorno della settimana.

un’amministrazione di sostegno, dinanzi a quale

È quindi la stessa scheda ad offrire elementi

Tribunale, e a quale fase pendesse il giudizio, a

obiettivi ed utili, che consentono di accertare che

cui fra l’altro la loro qualità di unici congiunti

il testatore sia incorso in una serie di inesattezze

del de cuius avrebbe reso necessaria la parteci-

ed errori grafici, conducendo ad affermare che la

pazione.

data esatta di redazione del testamento sia il 14 maggio 2014. Va ancóra osservato che non sono emerse circostanze da cui desumere che il E.B. abbia volutamente indicato una data fantasiosa ed impossibile. Ad escludere tale evenienza e a supportare la serietà delle volontà espresse, depone l’indicazione ulteriore dell’ora di redazione della scheda, requisito non necessario, ma espressione della ricerca di una sòrta di solennità e di consapevolez-

Nessun elemento è stato poi offerto per verificare se gli attori si fossero effettivamente attivati nella ricerca di documenti utili a sostegno della propria tesi, poiché l’ordine di esibizione non esonera le parti dagli oneri probatori a cui sono tenute. Esclusa quindi una rimessione della causa sul ruolo, per le ragioni istruttorie invocate, deve osservarsi che nel corso del giudizio sono stati sentiti più testi, in ordine alle complessive condizioni di vita e di relazione del E.B., fase a cui ha poi fatto séguito l’espletamento di una CTU

za dell’importanza dell’atto; anche le ragioni af-

sulla capacità di testare del de cuius, affidata al

fettive esplicitate, di cui si dirà oltre, conferiscono

dott. G.G.

alla scheda una sincerità di propositi che esclude intenti emulativi o semplicemente scherzosi. La domanda svolta in via principale da parte attrice deve pertanto essere respinta.

370

Il de cuius, come diffusamente rappresentato dal medico psichiatra che lo seguiva da tempo (teste L., responsabile del CSM di Villar Perosa), era affetto da una depressione maggiore accom-


Marco Ramuschi

pagnata da una personalità borderline; faceva

e, osservava il perito, nel marzo del 2012, nel

uso di alcool, ma non ne era dipendente, ben

corso del primo ricovero, il de cuius veniva sot-

potendo trascorrere lunghi periodo (anche sei o

toposto ad una visita neurologica che non aveva

sette mesi) senza bere; ciononostante l’acuirsi del

però evidenziato il problema.

profondo senso di solitudine, poteva scatenare

Va infine richiamato, poiché riferito ad un arco

fasi acute nel corso delle quali il E.B. assumeva

temporale che ricomprende l’epoca di redazione

bevande alcoliche per combattere la disforìa che

del testamento, quanto riferito dal teste L. circa le

provava.

condizioni del de cuius; dichiarava in proposito il

In questo quadro complesso si collocano i di-

teste: «Preciso che dall’ottobre del 2014 e sino al

versi tentativi anticonservativi pósti in essere dal

luglio del 2015 non ho registrato alcuna specifica

de cuius.

problematica, nel senso che il E.B. veniva per

Il CTU segnalava la scarsità di elementi d’indagine psichiatrica, costituiti dalle sole dichiarazioni testimoniali e da due cartelle cliniche risalenti rispettivamente al febbraio e al giugno del 2012, documenti datati rispetto al maggio 2014, epoca di redazione del testamento. Nel giugno del 2012 il E.B. poneva in essere un tentativo anticonservativo, non il primo e neppure l’ultimo; le diagnosi formulate nel corso dei due ricoveri erano di depressione maggiore, accompagnata da etilismo cronico. Quest’ultimo dato è rilevante poiché, come osservava il CTU, la cd. cronica intossicazione da bevande alcoliche potrebbe indurre un disturbo neurocognitivo, tale da determinare una malattia psichica, la cui presenza potrebbe effettivamente incidere sulla capacità d’intendere e di volere, diminuendola o anche annullandola. Osservava peraltro il dott. G. che qualora il

le solite visite e per farsi prescrivere i farmaci. Diceva che aveva mal di schiena. E.B. mi pare che stesse come sempre; anche in passato aveva trascorso periodi in cui era compensato». Il tenore obiettivo dei dati risultanti dalle cartelle cliniche del 2012, le dichiarazioni del dott. L., l’assenza d’informazioni recenti circa lo stato del de cuius nei giorni in cui dispose delle proprie sostanze, hanno condotto il CTU, con un percorso logico e persuasivo, ad affermare l’insufficienza di elementi per sostenere fondatamente che nel maggio del 2014 il E.B. fosse stato colpito da un episodio acuto di depressione e che in generale in tale periodo fosse affetto da una condizione di infermità, tale da privarlo in modo assoluto della coscienza delle proprie azioni e della capacità di autodeterminarsi. Rileva ancóra il Collegio che la fragilità del

E.B. fosse stato effettivamente affetto da una cro-

de cuius e lo stato depressivo da cui era affetto,

nica intossicazione da alcool, gli esami effettuati

non impediva peraltro allo stesso di svolgere co-

nel corso dei due ricoveri avrebbero dovuto of-

me volontario attività presso la Croce Verde, di

frire risultati compatibili con tale quadro, ma così

collaborare per l’organizzazione nel 2012 in Val

non era, poiché gli esami ematochimici si presen-

Chisone delle Mini Olimpiadi (teste C.), di otte-

tavano nella norma.

nere il rinnovo della patente e, più in generale, di

Dall’esame delle due cartelle cliniche, si ap-

prendersi cura dei propri interessi, come riferito

prendeva ancóra che il E.B. era affetto da alcune

dal teste R. che aveva curato come professionista

patologie (ipertensione e diabete), da cui potreb-

del de cuius, la denuncia dei redditi.

be astrattamente derivare, quale complicanza,

Deve quindi concludersi per la piena validità

una condizione di deterioramento cognitivo; le

delle disposizioni contenute nel testamento re-

cartelle cliniche peraltro non ne facevano cenno

datto dal E.B. in data 14.5.2014.

371


Giurisprudenza

Va ancóra osservato, poiché dato rilevante ed emergente dalle deposizioni testimoniali, che effettivamente la N.Z. aveva intrapreso con il de cuius una relazione sentimentale, tanto da indurre l’uomo a palesare al medico curante l’intento di sposare la donna, da lui definita come «umanamente dotata»; riferiva ancóra il L. che il E.B. nell’ottobre del 2014 aveva poi manifestato l’intenzione di non unirsi in matrimonio con la convenuta, ma comunque di proseguire la relazione con la stessa. La serietà del rapporto emerge anche da quanto rappresentato dal teste R., il quale riferiva che il de cuius nel dicembre del 2013 si era recato presso il suo studio, chiedendo informazioni per la redazione di un testamento; in tale occasione l’uomo gli parlò della compagna e della sua volontà di beneficiarla. Anche il teste G., sentito nell’interesse di parte attrice e coniuge di G.F., confermava le frequentazioni del cugino con la N.Z. e la circostanza che in alcune ricorrenze in famiglia, la donna era presente al fianco del de cuius. Le risultanze istruttorie confermano dunque l’esistenza di una relazione affettiva, la sua apprezzabile durata e l’indubbia importanza di tale presenza nella vita del E.B., tanto da indurlo a chiedere consiglio ad una persona fidata per disporre un testamento con cui beneficiare la donna. In questo quadro di rapporti, il de cuius si è quindi determinato a disporre non di tutti i propri beni, ma solo di parte degli stessi, come indicati nel testamento. Entrambe le parti convengono che le disposizioni contenute nel testamento hanno per oggetto un legato, che quindi non esaurisce la totalità dei beni mobili ed immobili di cui il E.B. era titolare. Il testamento indica tutte le proprietà immobiliari site nel Comune di Roure (casa, prati e cam-

372

pi), nonché i soldi giacenti sul conto corrente n. 8866 presso la Banca San Paolo di Perosa. Dagli atti emergeva che il E.B. era titolare anche della proprietà, in comunione indivisa, di terreni in Usseaux, che la scheda non menzionava e che pertanto ricadono nella successione legittima. Anche la giacenza sul conto titoli non è menzionata nel testamento che si riferisce, in modo esplicito, al solo conto corrente, con indicazione del relativo numero; in tal senso quindi la richiesta promossa dalla convenuta ed avente oggetto l’ordine di esibizione di documentazione bancaria attinente ad operazioni effettuate su conti correnti, deposito titoli, libretti, ecc., oltre che generica nella sua formulazione, appare non sorretta da alcun apprezzabile interesse, tenuto conto del tenore del legato contenuto nella scheda. Quanto ai denari giacenti sul predetto conto, acceso presso la Banca Intesa Sanpaolo di Perosa Argentina e cointestato a F.G., alla data di apertura della successione, il relativo saldo era pari alla somma di € 950,91, come comunicato dalla banca; il legato deve quindi ritenersi limitato al solo 50% del predetto saldo, pari alla somma di € 475,45, che gli attori debbono mettere a disposizione della convenuta legataria. Va ancóra osservato, proprio in ragione della natura di disposizione a titolo particolare, che debbono ritenersi estranei alla stessa il deposito titoli, gli arredi della casa in Roure in cui il E.B. è vissuto sino alla morte, l’autovettura “Daihatsu” 4x4 parcheggiata nell’autorimessa. Gli attori lamentavano in citazione che la N.Z., ritenendosi erede, s’impossessava non solo degli immobili in Roure, ma anche di tutti i mobili e beni presenti nella casa, per cui chiedevano la condanna alla restituzione; tale circostanza non è stata contestata dalla convenuta e la domanda di restituzione deve essere accolta. (Omissis) P.Q.M.


Marco Ramuschi

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: Respinge le domande promosse da G.F., A.F., I.F. e, S.S. e M.S., nella loro qualità di procuratrici generali di S.S., e per l’effetto accerta la validità del testamento olografo di data 14.5.2014 a firma di E.B., nato il ... e deceduto il ..., pubblicato in data 13.11.2015 (Atto Notaio L.B., Rep. n. 882, Racc. n. 702). Dichiara che il testamento olografo di data 14.5.2014 costituiva N.Z., nata a Ciutulesti (Moldavia) il ... (c.f. …), legataria dei beni immobili

siti nel Comune di Roure e del 50% del saldo del conto corrente n. … acceso presso la Banca Intesa Sanpaolo – Filiale di Perosa Argentina. Condanna N.Z. a restituire alle parti attrici gli arredi tutti contenuti nell’immobile di Roure e l’autovettura “Daihatsu” 4x4, targa ... Condanna G.F., A.F., I.F., S.S. e M.S., nella loro qualità di procuratrici generali di S.S., a versare alla legataria N.Z. la somma di € 475,45, pari al 50% del conto corrente n. ... acceso presso la Banca Intesa Sanpaolo – Filiale di Perosa Argentina. (Omissis)

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Giurisprudenza

Sulla data impossibile apposta ad un testamento olografo*

Sommario :

1. Il caso. – 2. Testamento olografo e impossibilità della data. Alcune considerazioni sulla data per relationem, tra elementi intrinseci ed elementi estrinseci alla scheda testamentaria. – 3. (segue) Data impossibile, errore materiale e art. 625 c.c.: l’applicazione di un più ampio principio. – 4. Osservazioni conclusive.

With the sentence in examination, the Court of Justice in Turin, adhering to an already consolidated jurisdictional orientation, affirms, among other principles, that the impossible date, affixed to a holographic will, can be rectified by the judge if the intrinsic elements of the will allow the identification of the correct date. In this paper the author demonstrates how, in his humble opinion, the extrinsic elements of the will, if connected with the intrinsic ones, can also be useful for the interpreter in order to identify the (correct) date. Furthermore, the author tries to identify what is the legal ratio in the matter of correction of potential error of the date affixed by the tester, and, lastly, what the boundaries of the data per relationem are.

1. Il caso. Calpurnio, in data «(numero indecifrabile) 4/05/214», alle ore 14.01 di mercoledì, stendeva il proprio testamento olografo, lasciando tutte le sue proprietà alla propria compagna, Seia. Quest’ultima veniva convenuta in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Torino, dai cugini del testatore (d’ora innanzi, brevitatis causa, “parte attrice”), i quali ritenevano che il testamento fosse nullo, o comunque annullabile, giusta il combinato disposto fra gli artt. 602 e 606 c.c., giacché la data riportata era assolutamente incerta.

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Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.

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Marco Ramuschi

La parte attrice riteneva, al riguardo, come l’anno scritto dal testatore, ossia «214», fosse impossibile; per giunta, la medesima rilevava come il giorno, apparentemente chiaro, fosse da ritenersi incerto, dacché prima del numero «4» v’era indicato un altro numero inintelligibile. Si soggiungeva, inoltre, che anche qualora la data di stesura del testamento fosse stata individuata, Calpurnio, in quel periodo, era incapace di testare, poiché si trovava, come indicato da apposita certificazione medica, in una condizione d’incapacità naturale, la quale si protraeva sin dall’anno 2012. Costituitasi in giudizio, Seia poneva in rilievo come la data del testamento non dovesse essere intesa solamente quale sequenza di giorno, mese ed anno, ma, invece, ben poteva essere intesa come costituita da indicazioni equivalenti, consentendo indi il rispetto del mero dato formale. Nella specie, rilevava la convenuta, la scheda testamentaria doveva ritenersi pienamente datata, dacché la data appariva solo «graficamente imperfetta, con riguardo all’indicazione dell’anno di redazione», il quale doveva esser inteso come l’anno 2014. Per di più, sosteneva Seia, è evidente come la cifra indicante il giorno, seppur prima facie non d’immediato intelletto, fosse il 14, giacché il 14 maggio, dell’anno 2014, era proprio un mercoledì (nome del giorno, questo, appunto specificato da Calpurnio). Dal che, si rilevava, il soggetto testante era caduto in un mero errore materiale, il quale, pertanto, era bensì suscettibile d’essere corretto. Il Tribunale di Torino ha ritenuto valido il testamento olografo, asserendo come la medesima scheda testamentaria offrisse utili e oggettivi elementi idonei ad accertare l’errore materiale in cui incorse il testatore, consentendo indi l’individuazione della data corretta (vale a dire, il 14 maggio 2014, così come ritenuto da Seia).

2. Testamento olografo e impossibilità della data. Alcune

considerazioni sulla data per relationem, tra elementi intrinseci ed elementi estrinseci alla scheda testamentaria. Per una più oculata disamina della così detta “data impossibile”, riteniamo, anzitutto, doveroso muovere, seppur per sommi capi, da quello che è il formalismo, in tema di testamento olografo, che riguarda la datazione1. Com’è noto, l’art. 602 (speculare, seppur non

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La prima forma di testamento a prevedere l’apposizione della data, come requisito essenziale, fu il testamentum parentum inter liberos. Esso, utilizzato per testare in favore dei propri figli o dei propri nipoti, non era altro che un testamento olografo, il quale doveva contenere il nome degli eredi, le rispettive porzioni ereditarie indicate in lettere, nonché, appunto, la data; difettando quest’ultimo elemento, il testamento era considerato invalido (testamentum non iure factum). Sul punto, v. F. Serafini, Istituzioni di diritto romano comparato al diritto civile patrio, vol. II, Firenze, 1897, VI ed., 299 e 305. Per un cenno a tale tipo di testamento (morientum voluntates, quando sunt parentes), si scorgano G. Foschini, Istituzioni di diritto civile romano ed italiano. Lezioni dettate nella Università di Napoli, Napoli, 1882, 548; G. Lomonaco, Istituzioni di diritto civile italiano, vol. IV, Napoli, 1895, II ed., 149. Sulla datazione del testamento olografo v., quantomeno, con diverse sfumature e diversa ampiezza di trattazione: A. Butera, Il Codice civile italiano commentato secondo l’ordine degli articoli. Libro delle successioni per causa di morte e delle donazioni, Torino, 1940,

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Giurisprudenza

del tutto, all’art. 775 c.c. 18652) c.c., al co. 1 prevede, fra gli altri requisiti, che l’olografo debba contenere, ad substantiam e non già ad probationem3, la data – che rappresenta una dichiarazione di scienza (o verità, che dir si voglia)4 e che dev’essere apposta di pugno5 dal testatore in qualsivoglia luogo della scheda testamentaria6 – in cui quest’ultimo

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3 4

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255-257; C. Zappulli, sub art. 148, in G. Brunelli-C. Zappulli, Il Libro delle successioni e donazioni, Milano, 1940, 257 e 258 s.; L. Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano, 1941, 227 ss.; F. Degni, Della forma dei testamenti, in Aa.Vv., Codice civile. Libro delle Successioni per causa di morte e delle Donazioni. Commentario, a cura di A. Azara, M. d’Amelio, W. d’Avanzo, F. Degni, P. d’Onofrio, E. Eula, C. Grassetti, A. Manca, F. Maroi, S. Pugliatti, G. Russo, F. Santoro-Passarelli, diretto da M. d’Amelio, Firenze, 1941, 423 ss.; A. Cicu, Testamento, Milano, 1951, II ed., 41 ss.; C. Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, Milano, 1952, II ed., 136 ss.; G. Branca, Istituzioni di diritto privato, Bologna, 1955, 723; Id., Dei testamenti ordinari. Art. 601-608, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1986, 80 ss.; M. Allara, Principî di diritto testamentario, Torino, 1957, 84 e 85 s.; C. Giannattasio, Delle successioni. Successioni testamentarie, in Comm. cod. civ., a cura di magistrati e docenti, t. II, Torino, 1961, 117 ss.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, Milano, 1962, IX ed., 125-127 s.; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, Torino, 1965, VI ed., 1068-1069; Giu. Azzariti, Le successioni e le donazioni. Libro secondo del Codice Civile, Padova, 1982, 387 ss.; A. Palazzo, Le successioni, II, Successione testamentaria. Comunione - Divisione, in Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2000, II ed., 869 ss.; M.C. Tatarano, Il testamento, Tratt. dir. civ. del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingieri, vol. VIII, 4, Napoli, 2003, 138 ss.; A. Ambanelli, Il testamento olografo, in Aa.Vv., Tratt. dir. succ. e don., diretto da G. Bonilini, II, La successione testamentaria, Milano, 2009, 1285-1290; M. Ieva, La successione testamentaria, in Aa.Vv., Diritto civile, diretto da N. Lipari e P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, vol. II, Successioni, donazioni, beni, I, Le successioni e le donazioni, Milano, 2009, 132 s.; M. Di Fabio, sub art. 602, in Aa.Vv., Delle successioni. Artt. 565-712, a cura di V. Cuffaro e F. Delfini, in Comm. cod. civ., diretto da E. Gabrielli, Torino, 2010, 321 ss.; E. Marmocchi, Forma dei testamenti, in Aa.Vv., Tratt. breve succ. e don., diretto da P. Rescigno, coordinato da M. Ieva, vol. I, Le successioni mortis causa. I legittimari. Le successioni legittime e testamentarie, Padova, 2010, II ed., 877 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile, II-2, Le successioni, Milano, 2015, V ed., 287; P. Boero, Il testamento, in Aa.Vv., Diritto delle successioni e delle donazioni, a cura di R. Calvo e G. Perlingieri, II, Napoli, 2015, II ed., 784 ss.; G. Capozzi, Successioni e donazioni, a cura di A. Ferrucci e C. Ferrentino, t. I, Milano, 2015, IV ed., 837 e 838; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, X ed., 2020, 345 e 346. Il cui contenuto, a guisa di completezza, qui riportiamo: «Il testamento olografo deve essere scritto per intiero, datato e sottoscritto di mano del testatore. La data del testamento deve indicare il giorno, il mese e l’anno. La sottoscrizione deve essere posta alla fine delle disposizioni». Su codesta disposizione v., esemplarmente, E. Pacifici-Mazzoni, Codice civile italiano commentato con la legge romana, le sentenze dei dottori e la giurisprudenza, Delle successioni, vol. III, Delle successioni testamentarie (continuazione), Firenze, 1875, 14 ss.; F. Ricci, Corso teorico-pratico di Diritto civile, vol. III, Delle successioni, Torino, 1893, II ed., 367 ss.; G. Lomonaco, op. cit., 149 ss.; con specifico riferimento alla data, esemplare è V. Vitali, Delle successioni legittime e testamentarie, in Il Dir. civ. it. secondo la dottrina e la giurisprudenza, a cura di P. Fiore, parte IX, Delle successioni, vol. III, Napoli, 1907, II impressione, 83 ss.; M. Allara, Il testamento, Padova, 1934, 277 ss. A. Butera, op. cit., 255. M. Allara, Principî di diritto testamentario, cit., 84, il quale afferma: «La datazione è una dichiarazione, che si distacca dalla dichiarazione di volontà, trattandosi di una dichiarazione di oggetto diverso o, come si dice, una dichiarazione di scienza»; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 126. Adde C. Gangi, op. cit., 152. Cfr. pure la Relazione ministeriale al Codice civile, n. 293. Cfr. Giu. Azzariti, op. cit., 389, il quale ritiene che la data possa essere financo indicata in parte di pugno e in parte mediante stampa, «come quando si usa un foglio in cui siano scritte a stampa le prime due cifre dell’anno (19…), e sia poi completata a mano» (in giurisprudenza, cfr. Cass., 6 maggio 1965, n. 834, in Giust. civ., 1965, I, 1325; in dottrina, per un’opinione contraria, v. C. Gangi, op. cit., 138; P. Boero, op. cit., 784). Degna di nota è la puntuale precisazione di M.C. Tatarano, op. cit., 143, la quale, a ben ragione, esclude che la data possa essere «apposta con un timbro». Al riguardo, v.: E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 15 e 16; F. Ricci, op. cit., 381; V. Vitali, op. cit., 97 ss.; A. Butera, op. cit., 256; C. Zappulli, sub art. 148, cit., 258; L. Barassi, op. cit., 231; F. Degni, op. cit., 431; A. Cicu, op. cit., 43; C. Gangi, op. cit., 151 e 152; C. Giannattasio, op. cit., 123; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 125; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 1069; Giu. Azzariti, op. cit., 389 e 390; G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 80; A. Palazzo, op. cit., 869; M.C. Tatarano, op. cit., 145 s.; A. Ambanelli, op. cit., 1286; M. Di Fabio, sub art. 602, cit., 321 e 323; E. Marmocchi, op. cit., 881; P. Boero, op. cit., 787; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 346. In giurisprudenza, fra le altre, v. Cass., 3 settembre 2014, n. 18644, in Fam. dir., 2015, 665, con nota di A. Balti, La collocazione topografica della data nel testamento olografo (e in Riv. not., 2015, II, 379, con nota di G. Musolino, La data nel testamento olografo; in Dir. succ. fam., 2015, 248, con nota di F. Sangermano, Le temps retrouvé nella redazione del testamento olografo: ovvero peculiarità e funzioni della data nel negozio testamentario); Cass., 18 settembre 2001, n. 11703, in Giust. civ., 2002, I, 52 (e in Notariato, 2002, 136, con nota di I. Gatti, L’elemento

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Marco Ramuschi

ha steso le proprie ultime volontà. Al co. 3, al primo periodo, la medesima disposizione prevede che la data debba imprescindibilmente essere composta dal giorno, dal mese e dall’anno7 (dev’essere, pertanto, una data completa8), i quali, occorre precisare, possono bensì essere indicati o solamente in cifre (numeri arabi o romani9), o solamente in lettere, oppure, altresì, in parte in lettere e in parte in cifre10. Tutto ciò, giacché, in assenza di particolari formule sacramentali previste dal legislatore11, il formalismo deve trovare una sòrta di contemperamento nella «libertà di scelta dei termini espressivi»12. Ergo, qualora le espressioni utilizzate dal testatore (qualsivoglia esse siano) consentano di farci comprendere con precisione il giorno, il mese e l’anno, in cui il testamento è stato messo per iscritto, allora il precetto della legge si deve considerare adempiuto13. Con ciò, si badi, non si deve ritenere sostituita una formalità ad un’altra, ma si deve invece intendere osservata, precisamente, proprio la formalità (ossia l’apposizione della data) che dalla legge è appunto prescritta14. Non è, poi, da escludersi la possibilità che il testatore, al fine d’indicare il giorno, il mese e l’anno, ricorra non già alla classica, analitica, testé indicata modalità di stesura della data, bensì faccia uso di una relatio (data per relationem15, ossia, secondo il principio per

della data nel testamento olografo); Cass., 28 ottobre 1994, n. 8899, in Vita not., 1995, 834; Cass., 31 luglio 1987, n. 6641, in DeJure; Cass., 22 marzo 1985, n. 2074, in Giur. it., 1986, I, 1, 470; Cass., 26 luglio 1969, n. 2830, in Giur. it., 1971, I, 1, 304; Cass., 6 maggio 1965, n. 834, cit.; Cass., 23 ottobre 1956, n. 3853, in Mass. Giur. it., 1956, 807. Si scorga, altresì, la particolare interpretazione fornitaci da App. Genova, 4 marzo 1999, in Vita not., 2001, 98, con nota di D. Morello Di Giovanni, Il formalismo della data nel testamento olografo. 7 Sul punto, nella giurisprudenza di legittimità e di merito, si scorgano, specialmente, Cass., 14 maggio 2008, n. 12124, in Giust. civ., 2009, I, 1983, con nota di G. Vidiri, Forma e formalismo: l’annullabilità del testamento olografo e la incompletezza della data; Trib. Cagliari, 10 giugno 1996, in Riv. giur. sarda, 1997, 151, con nota di C. Cicero, L’incompletezza della data nel testamento olografo; Trib. Parma, 6 dicembre 1976, in Giur. it., 1978, I, 2, 30; Cass., 24 giugno 1965, n. 1323, in Foro it., 1965, I, 1336. Seppur sotto l’egida del Codice previgente, v. V. Vitali, op. cit., 89 s. 8 M.C. Tatarano, op. cit., 144. 9 M. Di Fabio, sub art. 602, cit., 321. Adde P. Boero, op. cit., 785. 10 E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 15; C. Gangi, op. cit., 137, il quale, inoltre, specifica che qualora si decidesse d’indicare l’anno in cifre, il medesimo potrebbe essere scritto in modo abbreviato, vale a dire omettendo i primi due numeri dell’anno, che si riferiscono al migliaio e alle centinaia, in guisa da avere, ad esempio, anziché 1992, semplicemente ’92; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 1068. 11 Si veda F. Ricci, op. cit., 376, il quale, inoltre, afferma che «L’indicazione [di apporre la data al testamento olografo] è prescritta, ma non i termini in cui debba esser fatta». 12 Così, E. Marmocchi, op. cit., 880. Si scorga, altresì, M.C. Tatarano, op. cit., 145, la quale, con specifico riferimento al testamento olografo, mentre discorre della data per equipollenti, afferma, con acutezza: «Il formalismo attenuato che caratterizza l’olografo, consente […] l’ingresso del principio di equipollenza anche nei negozi formali, principio in virtù del quale, ove la libertà di adozione dei mezzi espressivi consenta un sostanziale rispetto del precetto normativo, il dettame legislativo può ritenersi ossequiato». 13 F. Ricci, op. cit., 376; V. Vitali, op. cit., 101. 14 F. Ricci, op. cit., 376. 15 Espressione, codesta, anche utilizzata da L. Barassi, op. cit., 228; M. Allara, Principî di diritto testamentario, cit., 85; nonché, di recente, pure da P. Boero, op. cit., 786. Può altresì utilizzarsi l’espressione di data “per riferimento”. Già V. Vitali, op. cit., 101 e 102, utilizzava la locuzione «data per relazione», ovverosia, rilevava l’A., quella data «che non può tradursi immediatamente in cifra, ma è mestieri di mezzi estrinseci di prova, cui le parole del testamento si riferiscono, ad esempio l’almanacco, i fasti della storia sia civile sia religiosa, tutti i mezzi probatorii estrinseci, ecc.». Occorre, sul punto, precisare: con tale locuzione non s’intende confondere la data per relationem dalla disposizione testamentaria per relationem, la quale differisce nettamente dalla prima, poiché, in quest’ultimo caso, trattasi di manifestazione di volontà (v., quantomeno: M. Allara, Il testamento, cit., 242 ss.; Id., Principî di diritto testamentario, cit., 110-112; A. Cicu, op. cit., 29 ss.; G.

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Giurisprudenza

cui “idem est certum esse per se, aut per relationem ad aliud certum”), chiaramente formale, ad una specifica ricorrenza o ad un determinato avvenimento, un fatto (id est: “oggi, il giorno di Pasqua dell’anno β”; “oggi, il giorno di Natale dell’anno α”; “oggi, il giorno di Capodanno dell’anno γ”; oppure “oggi, il giorno della ricorrenza della morte di mio cugino Temistocle”; oppure, ancóra, “oggi, il giorno di laurea di mio figlio Mevietto”; etc.)16, i quali consentano, con precisione, di determinare la data (“paria sunt aliquid esse certum per se, aut per relationem ad aliud”); anzi, com’è stato rilevato, essi stessi «“sono” la data del testamento»17. Nei casi testé prospettati, l’indicazione della data – la quale, in parte della dottrina, è talvolta individuata, per ipotesi simili a quelle or ora figurate, come la “data per equipollenti”18

Branca, Istituzioni di diritto privato, cit., 721 e 722; Id., Dei testamenti ordinari, cit., 6 ss.; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 1064 e 1065 s.; A. Giordano-Mondello, Il testamento per relazione. Contributo alla teoria del negozio per relationem, Milano, 1966, passim, spec. 121 ss.; R. Nicolò, La relatio nei negozi formali, in Riv. dir. civ., 1972, I, 117 ss.; L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, vol. XLIII, t. 1, Milano, 1990, IV ed., 24; F. Galgano, Il negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu, F. Messineo e L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2002, II ed., 635; V. Pescatore, Il testamento per relationem, in Tratt. dir. succ. e don., diretto da G. Bonilini, II, La successione testamentaria, Milano, 2009, 47 ss.; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 270 e 271; in generale, sul negozio giuridico per relationem, v. almeno: P. Di Pace, Il negozio per relationem, Torino, 1940, passim, spec. 69 ss.; L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, s. l., ma Napoli, s. d., 185 e 186; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. I, Milano, 1957, IX ed., 481; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, I, Torino, 1965, VI ed., 378; F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1966, IX ed., 208; locuzione, quella di “negozio per relationem”, ritenuta ambigua e poco appariscente da E. Betti, Negozio giuridico, in Noviss. Dig. it., XI, Torino, 1965, 213) e non già di scienza (com’è invece a dirsi, giustappunto, per l’apposizione della data; v. retro, nt. 4). 16 Cfr. E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 14; F. Ricci, op. cit., 375, il quale prospetta questo esempio: «ho fatto questo testamento nel giorno in cui è nato mio figlio Giulio»; G. Lomonaco, op. cit., 153, il quale, con belle parole, afferma: «[…] il testatore può datare il testamento, indicando una solennità religiosa o civile; ad esempio, il giorno di Pasqua, il giorno della Festa nazionale […]. La legge [oggi, come indicato, l’art. 602 c.c.] richiede […] che la data del testamento olografo deve indicare, cioè far conoscere il giorno, il mese e l’anno. Ma poichè a ciò può riuscirsi in più maniere, mentre si hanno avvenimenti storici sì universalmente noti, che il riferirsi ai medesimi vale assai più di qualsiasi altro mezzo a far conoscere un determinato giorno, mese ed anno, e poichè niuna speciale maniera la legge [anche quella oggidì in vigore] all’uopo prescrive, sarebbe irragionevole il supporre avesse la legge voluto escluderne qualcuna» (il corsivo è dell’A.); G. Branca, Istituzioni di diritto privato, cit., 723; Id., Dei testamenti ordinari, cit., 81 s.; M. Allara, Principî di diritto testamentario, cit., 85. In giurisprudenza, seppur risalenti, v. le terse le pronunzie di Cass. Torino, 4 marzo 1881, in Mon. Trib., 1881, 353; App. Brescia 25 novembre 1878, in Mon. Trib., 1879, 232. 17 Così, G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 82. 18 E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 14; F. Ricci, op. cit., 374 s., il quale (ivi, 375), con acume, afferma: «Che vuole […] la legge col prescrivere che il testamento olografo sia datato? Non altro che accertarsi del tempo preciso, in cui il medesimo si è fatto […]. Or, quando questo scopo è raggiunto per via d’equipollenti, il voto della legge è compiuto, nè può ragionevolmente pretendersi di più senza incorrere il pericolo di sacrificare l’efficacia di tanta importanza all’adempimento di una formalità che, per difetto di scopo, non ha più ragione di essere»; G. Lomonaco, op. cit., 153: «La indicazione del giorno, del mese e dell’anno può essere supplita da enunciazioni perfettamente equipollenti, che stabiliscano in modo egualmente preciso la data del testamento»; V. Vitali, op. cit., 102. V. pure, con varie sfumature: A. Butera, op. cit., 256; C. Zappulli, sub art. 148, cit., 257; A. Cicu, op. cit., 43; C. Gangi, op. cit., 137; R. de Ruggiero-F. Maroi, Istituzioni di diritto privato, vol. I, Milano-Messina, 1955, VIII ed., 461; C. Giannattasio, op. cit., 120; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 125; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 1068; Giu. Azzariti, op. cit., 388; G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 82; A. Palazzo, op. cit., 869; M.C. Tatarano, op. cit., 145; A. Ambanelli, op. cit., 1286 s.; M. Di Fabio, sub art. 602, cit., 323; E. Marmocchi, op. cit., 879 s.; P. Boero, op. cit., 785; G. Capozzi, op. cit., 837; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 345. Anche F. Degni, op. cit., 427, ammettendo la data per equipollenti, ammette la possibilità che la medesima venga indicata «non già nel modo usuale, nominando, cioè, il giorno, il mese e l’anno, ma con espressioni equivalenti che indicano con precisione tutti e tre questi termini. Sarebbe, indubbiamente, valido un testamento, nel quale la data fosse indicata così: il primo giorno del 1931, o l’ultimo giorno del 1930 […], o nella Pasqua del 1935, nel Natale del 1936 […]». Ipotesi, questa, anche da noi avvalorata. E per qual motivo,

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– è da considerarsi valida qualora la relatio posta in essere dal testatore consenta, senza riserva alcuna e quindi con certezza, d’individuare con precisione il giorno, il mese e l’anno in cui il medesimo ha confezionato la scheda testamentaria. Ciò, pertanto, può bensì avvenire mediante il ricorso ad elementi estrinseci al testamento19, quali, ad esempio, e ricollegandoci ai casi poc’anzi prospettati, al calendario gregoriano (che è il più diffuso nel mondo, ma non sono ovviamente da escludersi i calendari lunisolari, come quello cinese ed ebraico, né il calendario rigorosamente lunare, come quello islamico20) con l’indicazione delle festività, oppure ad un certificato di morte o di nascita, ad un certificato di laurea, etc. Invero, in un caso di tal fatta, la data, seppur “indirettamente” (ci sia consentito l’utilizzo di tale avverbio, il quale, pur non essendo proprio del gergo giuridico, rende senz’altro terso il concetto) per il tramite di un riferimento ad una situazione specifica, che nella specie dev’essersi realizzata necessariamente in un tempo anteriore alla stesura del testamento21, è stata comunque indicata dal testatore. Sono da escludersi, quali fatti a cui il soggetto testante possa fare riferimento, quelli relativi, ad esempio, ad eventi meramente privati, i quali siano privi di qualsivoglia documentazione che ne accerti la verificazione22.

allora, abbiamo deciso di ripotare nuovamente tali esempi, già da noi figurati supra? Poiché, a nostro sommesso parere, per come intendiamo noi le diverse modalità d’indicazione della data in un testamento olografo, tali esempi sono speculari all’altro esempio che il Degni (ivi, 425) ha figurato (rispetto al quale, rinviamo infra, alla nt. 37). 19 Un tale modo di operare lo ritiene eccessivo A. Cicu, op. cit., 43, ad avviso del quale, utilizzando elementi estrinseci al testamento, si va «al di là del concetto di indicazione della data per equipollenti: poiché se si ritiene sufficiente che la data possa esser accertata, in base alla indicazione fornita dal testatore, ricorrendo a qualunque elemento estraneo al testamento, si dovrebbe ammettere che in qualunque modo la data possa esser accertata in base agli elementi tratti dal testamento, si possa dire che il testamento sia datato. La legge prescrive l’indicazione di giorno, mese ed anno. Se si ammettono degli equipollenti, questi devono essere equipollenti dei dati del calendario». 20 Cfr. M. Di Fabio, sub art. 602, cit., 321, il quale ammette la rilevanza del calendario ebraico e islamico. A nostro avviso, rilevano altresì i particolari calendari utilizzati, ad esempio, in Etiopia, Nepal, Iran e Afghanistan, oltreché i calendari così detti “locali”, presenti in India e Bangladesh, che vengono affiancati al calendario gregoriano. 21 A differenza che nella classica disposizione testamentaria per relationem (formale), in cui il fatto specifico, richiamato dal testatore, può essere sia anteriore, sia successivo, al confezionamento della scheda testamentaria. Sul punto, per una prima informazione, v. M. Allara, Principî di diritto testamentario, cit., 111 (cui adde la letteratura indicata retro, in nt. 15, terzo periodo). Adde, P. Di Pace, op. cit., 69, il quale pare escludere il riferimento ad un fatto futuro. Volendo effettuare un esempio, non è da considerarsi un fatto, al quale dare rilevanza in tema di datazione, il suicidio: vale a dire, qualora il testatore indicasse, quale data: “oggi, giorno del mio suicidio”, ci si troverebbe, evidentemente, dinnanzi ad un evento futuro (e anche incerto, dacché il testatore ben potrebbe mutare la propria intenzione suicida, dopo la stesura del testamento), che non rileva nel campo della data per relationem. In giurisprudenza, si veda App. Casale, 13 dicembre 1911, in Giur. it., 1912, I, 2, 62, e, più di recente, Cass., 11 novembre 2015, n. 23014, in Foro it., 2016, I, 589 (e in Corr. giur., 2016, 615, con nota di A. Carrato, Il testamento olografo come negozio in bilico tra forma e formalismo; annotata anche da F.P. Patti, La dichiarazione «oggi finisco di soffrire» e la data del testamento olografo, in Riv. dir. civ., 2016, 1405, il quale – ivi, 1418, spec. nt. 47 –, a differenza della pronunzia dal medesimo A. commentata, ritiene irrilevante il fatto che il testatore faccia riferimento ad un evento futuro, nella specie il suicidio, giacché, anche qualora siffatto evento dovesse verificarsi in un giorno dissimile rispetto a quello in cui è stato steso il testamento, quest’ultimo sarebbe da considerarsi, seppur postdatato, comunque valido). Un’ipotesi alquanto particolare è prospettata da V. Vitali, op. cit., 103, il quale figura l’ipotesi del testamento olografo – considerato dall’A. valido – scritto da un soggetto suicida, il quale verghi le sue ultime volontà col sangue che gli scorga dalle vene recise. 22 Eccezion fatta, come ben rileva M.C. Tatarano, op. cit., 145, per quegli eventi che, quantunque privati, siano intessuti «di oggettiva riscontrabilità (il giorno del mio onomastico dell’anno 1998)». Al riguardo, v. pure G. Lomonaco, op. cit., 153, il quale afferma che, gli avvenimenti privati (quali, ad esempio, l’anniversario di nascita, di matrimonio, di morte, etc., di un determinato soggetto), rilevano solamente qualora siano comprovati «dai registri dello stato civile».

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Per volerci meglio spiegare, diciamo che l’ausilio di elementi estrinseci – non di rado, parte autorevole della dottrina e della giurisprudenza ritengono l’indicazione di eventi, fatti e ricorrenze, come elementi squisitamente intrinseci, escludendo, dunque, che in tal caso si sia fatto ricorso ad elementi estrinseci, quasi come se i due obietti fossero due binari che non si tangono mai23 – alla scheda testamentaria dev’essere avviato da una partenza che prenda le mosse da elementi interni al testamento (quindi ex verbis testamenti): se il testatore ci indica la via, facendo riferimento a festività, ricorrenze ed avvenimenti – in sostanza, a fatti precisi (storici e notori24) –, è evidente come si debba conseguentemente richiedere il sussidio, per dilucidare i medesimi “riferimenti temporali”, degli elementi esterni. Talché, la data per relationem è costituita sia da elementi interni alla scheda testamentaria (che altro non sono che le indicazioni, forniteci dal de cuius, le quali si riferiscono ad eventi specifici), sia da elementi esterni, i quali permettono, appunto, di dare una rappresentazione all’evento indicato nel testamento25. Per giunta, a nostro sommesso avviso, non può addursi (come invece ha addotto il giudice a quo26), quale elemento che consenta di privare di rilievo gli elementi estrinseci, il fatto che in questo caso verrebbe a difettare il requisito dell’olografia, che il codificatore ha

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Invero, parte autorevole della dottrina pare considerare il ricorso ad elementi estrinseci alla scheda testamentaria come avulso da un’eventuale connessione con gli elementi intrinseci alla medesima. Si veda, ad esempio, Giu. Azzariti, op. cit., 388 e 389, il quale, ammettendo la data per equipollenti, afferma come non si debba individuare il giorno, il mese e l’anno da «elementi estranei al testamento». Poco dopo, però, l’A. sottolinea che «gli equipollenti […] devono consistere nel riferimento a fatti così noti, da non lasciare il minimo dubbio sul tempo della redazione del testamento. Sarà così valida la data espressa in questi termini: “il giorno di Natale del 1940, il terzo anniversario della Repubblica”, e simili, perché in tali casi la ricostruzione della data è perfettamente possibile in base alle espressioni usate […]». Orbene, sul punto, noi, in prima battuta, conveniamo con l’A.; tuttavia, quello che l’A., a nostro sommesso avviso, parrebbe non considerare, è che l’interprete, al fine di dilucidare l’espressione “il giorno di Natale del 1940”, “il terzo anniversario della Repubblica” (se si ammette, giustamente, una data in tal guisa indicata, si deve altresì dare rilevanza ad una data scritta, ad esempio, in questi termini: “oggi, terzo anniversario della morte di mio fratello Caio”), debba per forza di cose consultare un calendario gregoriano indicante le festività e, nel caso dell’esempio da noi riportato, anche un certificato di morte. Questo, a ben vedere, è un elemento estrinseco al testamento, il quale, ripetiamo, consente di dilucidare il riferimento temporale indicato dal testatore. Sul punto, si scorga, specialmente, I. Gazzilli, Le nullità formali del testamento olografo, Pisa, 1934, 67, il quale afferma che coloro i quali escludono il ricorso, per integrare (melius: dilucidare) la data, ad elementi estrinseci alla scheda testamentaria, sovente sono i primi che approvano talune pronunzie ove la data è stata integrata mercé risultanze estrinseche. V. pure C. Giannattasio, op. cit., 120 e 121 s.; C. Gangi, op. cit., 138 s. Ancóra prima, v. F. Ricci, op. cit., 375. In giurisprudenza, cfr. almeno: Cass., 22 settembre 2017, n. 22197, in Foro it., 2018, I, 252; Cass., 23 maggio 2016, n. 10613, in Riv. not., 2016, II, 1215, con nota di G. Musolino, Testamento olografo. I due diversi casi della mera imperfezione sanabile della data e dell’impossibilità di ricavare aliunde la data mancante; Cass., 8 giugno 2001, n. 7783, in Riv. not., 2002, II, 476, con nota di G. Musolino, L’elemento della data nel testamento olografo; Cass., 9 dicembre 1988, n. 6682, in Nuova giur. civ. comm., 1989, I, 597, con nota di C. Hübler, Testamento olografo; Cass., 5 giugno 1964, n. 1374, in Foro it., I, 1383, con nota di U. Morello, Del requisito della data nel testamento olografo. Nel merito, v. Trib. Roma, 25 novembre 1999, in Giur. romana, 2000, 112 (e in Nuovo dir., 2001, 131, con nota di V. Santarsiere, Rilevanza dell’elemento formale “data” nel testamento olografo). Sotto l’egida del Codice Pisanelli, v. Cass., 3 maggio 1930, n. 1514, in Sett. Cass., 1930, 856. 24 Sulla definizione di fatto notorio, v. almeno S. Patti, Prove. Art. 2697-2739, in Comm. cod. civ. e codici collegati Scialoja-BrancaGalgano, a cura di G. De Nova, Bologna, 2015, 111 s. Sul fatto che in codesto caso la differenza fra fatto (storico) e fatto notorio rilevi solo sul piano probatorio, v. F.P. Patti, op. cit., 1420 s. 25 Sul punto, v. F.P. Patti, op. cit., 1419 (ma si scorgano pure le interessanti considerazioni effettuate alle pagine 1417, 1420 e 1421), il quale afferma come non possa negarsi che, nelle date indicate per equipollenti (ossia, diremmo noi, per relationem), non di rado «si richieda un supporto documentale esterno per individuare la data del testamento». 26 Cfr. pure Cass., 22 settembre 2017, n. 22197, cit.; Cass., 23 maggio 2016, n. 10613, cit.; App. Trieste, 22 novembre 1961, in Giust. civ., 1962, I, 1132.

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espressamente (art. 602, co. 1, c.c.) richiesto per la datazione: invero, riteniamo giovevole ripeterlo, l’elemento estrinseco, che l’interprete può utilizzare per chiarificare l’indicazione della data effettuata dal testatore, è, per così dire, chiamato in causa dal testatore stesso, mediante il riferimento ad un fatto esterno, con precisione rintracciabile. D’altra parte, è il medesimo legislatore che ha sancito il principio, soprattutto in àmbito testamentario (ma siffatto fenomeno è ammesso anche in àmbito contrattuale27), per cui il testatore possa talvolta far ricorso, per indicare un obietto della scheda testamentaria, alla così detta relatio (soprattutto formale)28. Ciò lo si arguisce, in special modo, dagli articoli 625 e 628 c.c. (disposizioni, queste, strettamente connesse, da leggersi sempre in combinato disposto fra loro), i quali ben rappresentano il caposaldo testé enunciato, ossia il così detto fenomeno della relatio29. Certo, codeste prescrizioni normative rilevano prettamente sul piano della manifestazione della volontà, mentre, come summentovato, la datazione è una mera dichiarazione di scienza; ciò nondimeno, riteniamo come un principio di tal fatta, se considerato nella sua generalità, ben possa trovare dimora anche per il caso di apposizione della data, giacché nulla osta al suo accoglimento. Invero, anche nell’àmbito della datazione, e volendo astrarre il principio che è stato acutamente asserito in tema di negozio per relationem30, il fenomeno della relatio, da intendersi quale categoria generale, dev’essere ammesso all’interno del nostro ordinamento giuridico, poiché non vi sono particolari ragioni per escluderlo; per giunta, giova iterarlo, dalle norme testé indicate pare proprio che lo stesso legislatore abbia voluto ammettere tale fenomeno. Si pensi, ora, a questo esempio: Tesifone, nel proprio testamento olografo, conchiude le proprie disposizioni in tal modo: “oggi, giorno della morte del mio caro papà, Acheronte”: qui la data è presente, anche se non formulata nel classico modo “giorno/mese/anno” (art. 602, co. 3, c.c.). Sicché l’interprete, per dilucidare tale data, dovrà giocoforza ricorrere ad elementi estrinseci, ossia, nella specie, al certificato di morte (che, oggettivamente, è elemento esterno al testamento) del genitore. Ergo, gli elementi ermeneutici, che ben possono essere utilizzati, sono i medesimi richiamati dal testatore31. Il ricorso agli elementi estranei al testamento, pertanto, a nostro avviso è da intendersi come un utilizzo di mezzi che consentano di rendere più chiara l’indicazione temporale effettuata dal testatore. Qualora, diversamente, il testatore nulla indichi, è da respingersi la data per relationem. Gli elementi esterni al testamento, di per sé soli, se non trovano

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Su cui v., almeno, F. Messineo, Il contratto in genere, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu e F. Messineo, vol. XXI, t. 1, Milano, 1968, 516; F. Carresi, Il contratto, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, vol. XXI, t. 1, Milano, 1987, 230. 28 Sulla relatio in àmbito testamentario, con specifico riguardo alla relatio formale, v. almeno gli AA. indicati retro, in nt. 15, terzo periodo. 29 A. Giordano-Mondello, op. cit., 146 e 147. 30 Si veda Cass., 27 luglio 1957, n. 3167, in Foro it., 1957, I, 1618. 31 Cfr. V. Vitali, op. cit., 103. Per una determinata considerazione, collocabile in seno al più ampio perimetro dell’interpretazione del testamento, si scorga quanto affermato da P. Rescigno, Interpretazione del testamento, Napoli, 1952, 97.

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un aggancio (rectius: se non vengono richiamati, anche indirettamente, dal testatore) con qualche elemento interno alla scheda testamentaria, sono da considerarsi privi di qualsivoglia rilevanza32. Parimenti irrilevante è la data che possa risultare solo ed esclusivamente da taluni elementi che connaturano il testamento stesso (si pensi al caso in cui si volesse far desumere la data dalla qualità della carta, come, ad esempio, dalla filigrana di cui la medesima è composta33, oppure dalla qualità dell’inchiostro con cui il testamento è stato redatto34): in questo caso, il testatore ha omesso tout court d’indicare la data, sicché è patente la violazione dell’art. 602, co. 3, c.c.35. Ergo, altro è l’indicazione di una data desumibile per relazione ad un fatto (esterno al testamento e databile con precisione) indicato in modo obiettivo36 dal testatore, altro è l’assoluta mancata apposizione della data, la quale, come cennato, non potrà affatto dedursi né tramite gli elementi intrinseci37, né, a fortiori, mercé gli elementi estrinseci.

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Cfr. Cass., 8 giugno 2001, n. 7783, cit.; Trib. Roma, 25 novembre 1999, cit.; App. Trieste, 22 novembre 1961, cit.; Cass., 28 maggio 1960, n. 1385, in Mass. Giur. it., 1960, 349 (e in Foro pad., 1961, I, 577). Un esempio, derivante da una risalente giurisprudenza, può giovare per meglio comprendere: Filano, nel 1872, dopo essere stato catturato e rapito dai briganti, scriveva una lettera alla propria cognata Mevia, chiedendole l’invio dell’importo del “riscatto” richiesto dai rapitori e prevedendo la propria fine qualora la somma non fosse stata consegnata. Nella lettera, il malcapitato, dopo aver steso le proprie ultime volontà, affermava inoltre che, in caso di sòrte nefasta, la medesima avrebbe dovuto valere come proprio personale testamento. Tale lettera, scritta di pugno da Filano e da lui sottoscritta, difettava, però, della data. Una volta ucciso dai briganti, l’erede designato (ossia la cognata Mevia) nella “letteratestamento” (testamento epistolare) intendeva far valere i propri diritti, immettendosi peraltro nel possesso dei beni ereditari; tuttavia, i congiunti chiamati per legge a succedere impugnavano il testamento, asserendo come il medesimo difettasse della data. La Corte d’appello (App. Palermo, 6 settembre 1875, in Giur. it., 1876, I, 2, 230) riteneva come alla mancanza della data si potesse sopperire per il tramite delle enunciative e delle indicazioni contenute nel testamento epistolare, le quali andavano póste in relazione con altri fatti accertati da pubblici documenti. Dal che, asseriva ancóra la Corte, dalle espressioni utilizzate da Filano risultava evidente come la medesima lettera fosse stata scritta il giorno stesso del rapimento (giorno che peraltro risultava anche dal processo penale), sicché si trattava di una data implicita e connessa. A nostro avviso, in un caso di tal fatta pecca in toto la data per relationem, dacché le indicazioni di Filano non sono sufficienti al fine d’individuare, con la necessaria precisione, i singoli elementi (giorno, mese ed anno) che devono comporre la data del testamento. In altri termini, non vi sono, in tal caso, elementi interni al testamento che “facciamo riferimento” ad un fatto, ossia ad un avvenimento esterno databile con precisione. La soluzione di tale Corte, giova rilevarlo, è stata positivamente accolta da F. Ricci, op. cit., 375, mentre è stata, al contrario, respinta da F. Degni, op. cit., 425. 33 G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 82. V. anche A. Ambanelli, op. cit., 1287 (e cfr. altresì M.C. Tatarano, op. cit., 145), la quale esclude la rilevanza, al fine d’individuare la data del testamento olografo, del mero timbro postale, poiché in tal caso la data non s’individuerebbe dalle indicazioni fatte dal testatore, e per giunta la medesima sarebbe facilmente alterabile da parte di un soggetto terzo. 34 Per converso, parve ammettere il ricorso a tali elementi, Cass., 3 maggio 1930, n. 1514, cit. 35 Cfr. C. Gangi, op. cit., 138. 36 G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 82. 37 Sul punto, è tersa l’opinione di C. Gangi, op. cit., 138. Di recente, v. A. Ambanelli, op. cit., 1287. Si veda, inoltre, F. Degni, op. cit., 425, ad avviso del quale, e sul punto noi conveniamo, in caso di mancanza (assoluta) della data non potrebbe affatto ad essa sopperirsi per il tramite di elementi desumibili dal contenuto della scheda testamentaria. Per di più – e sul punto, noi, seppur con la dovuta referenza, prendiamo le distanze –, l’A. (ibidem) afferma che anche in caso d’incompletezza della data non si potrebbe punto sopperire per il tramite degli elementi intrinseci alla scheda testamentaria. L’A., con questa affermazione, avrebbe avuto la nostra – per quel che possa valere – totale approvazione, se solo avesse effettuato una precisazione: vale a dire, che la non completezza della data porti sì all’annullamento del testamento, poiché l’incompletezza equivale alla mancanza, ma solamente – va soggiunto – se dal testamento non si evinca in nessun modo l’altro elemento (che sia il giorno, o il mese, o l’anno) mancante (della data). Il Degni, per sostenere quanto affermato, effettua un esempio, il quale, se ben scorto, a nostro opinare pare invece spiegare il fenomeno, da noi sostenuto, dell’integrazione della data. Più precisamente, l’A., riportando tale ipotesi: «lascio a B i beni pervenutimi dalla eredità di A morto otto giorno or sono», asserisce come il testamento, quantunque la data si possa individuare scorgendo lo stato civile ove appare l’effettiva data di morte di «A» (è invero sufficiente sommare, al giorno della morte,

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L’unica ipotesi in cui gli elementi interni al testamento rilevano, per l’individuazione della data, è quella in cui i medesimi siano contenuti in talune dichiarazioni provenienti dal pugno del testatore38. A tal riguardo, figuriamo ora, a mero modo d’esempio, quest’ipotetica frase inserita nel testamento olografo di Tereo: “Mi trovo qui, quest’oggi, venerdì, a stendere le mie ultime volontà; pur nella bufera che sta investendo il nostro Paese, colpito da un conflitto immane, mi auguro che questo 1939 non porti sofferenza e povertà. Oggi, quindi, giorno del sessantesimo compleanno della mia amata consorte Progne, e col terrore che io non possa sopravvivere a questa tragedia, mi sono deciso ad organizzare, mettendole per iscritto, le mie ultime volontà. Spero, data la battaglia in atto e dato, essendo io scaramantico, il numero 17 che connota questo giorno, che il mio testamento possa essere, alla mia futura morte, ritrovato […]”; supponiamo ora che Filano non abbia apposto alcuna data, nel consueto modo “giorno/mese/anno”. Ebbene, in un caso di tal fatta, non può revocarsi in dubbio che la data emerga chiaramente dalla scheda testamentaria; sicché, a nostro avviso, il requisito previsto dall’art. 601, co. 1 e co. 3, è pienamente rispettato. In questo caso, peraltro, la data è stata frammentata, trovando collocazione, i suoi elementi (giorno/mese/anno), in varie parti della scheda: invero, non v’ha alcunché che impedisca

otto giorni, per addivenire al giorno preciso in cui il testatore ha steso il testamento), sia comunque annullabile, poiché «questo rigore è imposto dalla logica dei principii, in quanto l’inosservanza delle formalità dalla legge richieste ad solemnitatem non può non invalidare l’atto, ancorché lo scopo per cui furono imposte si può raggiungere con mezzi altrettanto sicuri, o ancorché la configurazione rappresentata dal caso concreto non entri in quelle che la legge ebbe presenti e le servirono di motivi a prescrivere quelle formalità». Noi, come peraltro si può evincere da quanto abbiamo asserito nel corpo del testo, sommessamente dissentiamo da tale interpretazione. Senza volerci dilungare oltre, e provando a compendiare, a nostro avviso, qualora la data sia incompleta – poiché non espressa nel già indicato, classico, modo: “giorno/mese/anno” –, non è detto che da elementi interni al testamento essa non si possa desumere con precisione. L’elemento interno, o meglio, gli elementi interni, nell’esempio figurato dal Degni, sono gli «otto giorni or sono» dalla morte di «A». Di qui, mediante il ricorso ad elementi esterni (che servono a chiarire l’elemento interno, cioè l’indicazione del testatore), ossia il certificato di morte di «A» (e ovviamente un calendario), si riesce a pervenire con precisione alla data della scheda testamentaria. Sicché, chiosiamo, perché non ritenere valido un tale testamento? Sovente, ci sia consentita questa breve parentesi, chi si accinge a stendere le proprie ultime volontà non è un soggetto che conosce, con oculatezza, il diritto; anzi, tutt’altro. Ergo, pur mantenendo sempre il doveroso ossequio nei confronti del formalismo testamentario (su cui v., specialmente, A. Liserre, Formalismo negoziale e testamento, Milano, 1966, cui adde M. Allara, Il testamento, cit., 236 ss.; A. Cicu, op. cit., 33-35; C. Gangi, op. cit., 51, 52 e 101 ss.; Giu. Azzariti, op. cit., 372-374 s.; G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 1 ss.; L. Bigliazzi Geri, Delle successioni testamentarie. Art. 587-600, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1993, 84; M. Tampieri, Formalismo testamentario e testamento olografo, in Riv. not., 1998, I, 119 ss.; G. Bonilini, voce Testamento, in Dig. Disc. Priv., Sez. Civ., XIX, Torino, 1999, 364 e 365; Id., Il negozio testamentario, in AA.VV., Tratt. dir. succ. e don., diretto da G. Bonilini, II, La successione testamentaria, Milano, 2009, 42 ss.; Id., Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 268-269 s.; M.C. Tatarano, op. cit., 104 ss.; G. Musolino, Aspetti formali e validità del testamento olografo, in Nuova giur. civ. comm., 2005, 2049 ss.; C. Cicala, Il formalismo testamentario. Il documento, in Aa.Vv., Tratt. dir. succ. e don., diretto da G. Bonilini, II, La successione testamentaria, Milano, 2009, 1253 ss.; E. Marmocchi, op. cit., 757 ss.; P. Boero, op. cit., 772 ss.), non si vede perché una data scritta – ci sia consentito il termine quasi dialettale – “in una qualche maniera” (ossia in modo grossolano), quindi non con la dovuta precisione giuridica richiesta dall’art. 602, co. 3, c.c., debba pregiudicare il negozio testamentario, qualora dal medesimo (e da eventuali elementi ad esso estrinseci, richiamati dal testatore) si possa comunque, con precisione, individuare la data di stesura del testamento. Quest’ultimo, a ben vedere, rispetterebbe quindi ogni requisito di forma prescritto dalla legge. La quale, ripetiamo, nulla prevede circa le modalità in cui la data dev’essere indicata. Giorno, mese, od anno, perciò, ben possono emergere “implicitamente”, purché in modo terso, dal testamento. 38 Cfr. C. Gangi, op. cit., 139; G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 82. Adde Giu. Azzariti, op. cit., 388.

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al testatore «di spezzare la data in due o tre monconi e collocarli nella scheda in due o tre parti diverse»39. Scorgendo ora, con la dovuta attenzione, le disposizioni racchiuse negli artt. 601 ss. c.c., appare prima facie evidente come il legislatore non abbia espressamente disciplinato l’ipotesi in cui la data sia stata sì indicata dal testatore, ma in un modo non aderente al dettato dell’art. 601, co. 3, primo periodo, c.c.: ad esempio, una data, com’è accaduto nel caso de quo, che pecchi della corretta indicazione dell’anno, il quale risulta essere un anno “impossibile”. Più precisamente, all’art. 606, cpv., c.c., il legislatore ha espressamente previsto come «per ogni altro difetto di forma» il testamento (nella specie, olografo) sia annullabile, su istanza di chiunque ne abbia interesse (trattasi, quindi, di annullabilità assoluta40). Tale alinea parrebbe ictu oculi lasciar intendere che solo qualora dovesse difettare del tutto (o essere incompleto41) «ogni altro» requisito di forma (diverso dalla sottoscrizione e dall’autografia), come giustappunto la data, allora il testamento olografo sarebbe annullabile, e non già nullo (arg. ex art. 606, co. 1 e co. 2, c.c.)42. Là dove, per converso, la data non difetti

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Così, G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 81, il quale, dopo aver con brillantezza figurato un apposito esempio («accanto alla firma si scrive “20 aprile” e in mezzo alle clausole si dice “oggi, nell’anno del Signore 1985”»), altresì afferma: «Siamo sempre lì: i vincoli formali sono norme di stretta interpretazione; dove è scritto che la data si debba indicare unitariamente? L’unitarietà è necessaria nella sottoscrizione poiché non c’è firma se i suoi elementi non siano scritti l’uno con l’altro, sì che tutti insieme chiudano il testo della scheda: si sottoscrive con l’intera firma e non con un pezzo qui e l’altro là. Ma la data non compie né questa né altra analoga funzione: basta che ci sia, chiaramente». Adde C. Gangi, op. cit., 139; Giu. Azzariti, op. cit., 390 s.; M.C. Tatarano, op. cit., 146. 40 M. Allara, Principî di diritto testamentario, cit., 78; M. Di Fabio, sub art. 602, cit., 322. 41 E. Marmocchi, op. cit., 884. In giurisprudenza, di legittimità e di merito, v.: Cass., 14 maggio 2008, n. 12124, cit.; Cass., 9 dicembre 1988, n. 6682, cit.; Cass., 24 giugno 1965, n. 1323, cit.; Trib. Cagliari, 10 giugno 1996, cit. 42 Sul fatto che il testamento, in codesto caso, sia annullabile, cfr. C. Gangi, op. cit., 136 ss. (passim, spec. 153); M. Allara, Principî di diritto testamentario, cit., 78; C. Giannattasio, op. cit., 118 e 119; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 127; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 1068; Giu. Azzariti, op. cit., 388; G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 84 e 127; G. Bonilini, voce Testamento, cit., 369; Id., Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 346; A. Palazzo, op. cit., 870; M.C. Tatarano, op. cit., 143 e 144; A. Ambanelli, op. cit., 1286 e 1288; M. Di Fabio, sub art. 602, cit., 322; E. Marmocchi, op. cit., 884; P. Boero, op. cit., 784; G. Capozzi, op. cit., 837 e 854. In giurisprudenza, di legittimità e di merito, cfr. Cass., 11 novembre 2015, n. 23014, cit.; Cass., 14 maggio 2008, n. 12124, cit.; Trib. Oristano, 11 giugno 2005, in Riv. giur. sarda, 2005, 769, con nota di A. Luminoso, Mancanza di data e non verità della data nel testamento olografo; Cass., 8 giugno 2001, n. 7783, cit.; Cass., 9 dicembre 1988, n. 6682, cit.; Cass., 26 luglio 1969, n. 2830, cit.; Cass., 24 giugno 1965, n. 1323, cit.; Cass., 5 giugno 1964, n. 1374, cit.; Cass., 28 maggio 1960, n. 1385, cit. Parte della giurisprudenza (in specie di merito: App. Trieste, 22 novembre 1961, cit.; Trib. Napoli, 2 aprile 1955, in Foro it., I, 120; Trib. Rovereto, 5 agosto 1949, in Rep. Giur. it., 1949, voce Testamento, n. 33, 2199), unitamente a parte autorevole della dottrina (in questo senso a noi pare virare A. Cicu, op. cit., 41 ss., passim), discorre invece di nullità. Giova osservare come di nullità si discorresse sotto l’egida del Codice Pisanelli, in ossequio all’art. 804, co. 1: «Le formalità stabilite negli articoli 775 […] devono osservarsi sotto pena di nullità» (sul punto, v. soprattutto E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 8 ss., ma pure 16 e 154; F. Ricci, op. cit., 367 ss., nonché 427); G. Lomonaco, op. cit., 153; V. Vitali, op. cit., 83 ss. Particolare, suggestiva e autorevole è l’interpretazione di D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, II, cit., 1068 e 1069, il quale, movendo dall’art. 602, co. 3, secondo periodo, c.c., addiviene alla conclusione per cui, atteso che la legge non ammette la prova della verità della data se non, solamente, quando si tratti di giudicare della capacità del testatore, della priorità tra più testamenti o di altra questione da decidersi in base al tempo del testamento, allora la legge ammette, in taluni casi, una data non vera. Orbene, se la legge ammette ciò, perché non può talvolta ammettere una data «che manchi o sia incompleta»? Il Barbero è d’accordo sul fatto che, qualora la data difettasse per intero, allora non vi sarebbe nulla da fare; idem qualora mancasse anche solo l’anno «(es., 12 settembre)», dacché «con tali indicazioni non è possibile giudicare, con risultanza dal testamento, se all’atto della confezione il testatore aveva la capacità legale di testare». Tuttavia, soggiunge l’A., qualora dovesse mancare il giorno o il mese, od entrambi «(es., dicembre 1940, oppure anche soltanto 1940)», e non dovesse sorgere alcuna questione relativa all’incapacità naturale del testatore al momento della testamenti factio, né dovesse

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sorgere alcuna questione in tema di priorità di testamenti o di altro che debba decidersi secondo il tempo in cui fu steso il testamento, allora, atteso l’art. 602, co. 3, c.c., la data non interesserebbe «di per se stessa, ma come termine di riferimento d’una relazione eventuale, e quando venga meno la stessa eventualità e la necessità di stabilire una qualsiasi relazione, alla legge non interessa più se la data è vera o falsa, se è esatta o erronea, e non ammette a provare la inutile circostanza». Talché, chiosa il Barbero, qualora la data fosse incompleta (a patto che, almeno, contenga l’anno), a chi interesserebbe? Per confutare tale affermazione, rileva sempre l’A., non è bastevole «l’argomento del tabù della forma. Solo qualora nella forma ci si dovesse additare la difesa di «esigenze sostanziali», allora si potrebbe ritenere imprescindibile, in ogni caso, l’esistenza della data. L’A., invero, ritiene che la forma abbia ragion d’essere, e d’essere richiesta «in forma anche tirannica, quando le sia affidata la difesa di qualche esigenza di carattere sostanziale». Sul punto, v. anche Id., A proposito della forma negli atti giuridici (L’efficacia del testamento olografo nonostante l’incompletezza della data), in Jus, 1940, 441 ss. Sulla stessa scìa del Barbero, pare pure C.M. Bianca, op. cit., 292 (ma v. pure 293), ad opinione del quale, l’art. 606, cpv., c.c., va interpretato «in conformità del suo fondamento, ossia della finalità di assicurare attraverso il rispetto dei requisiti di forma, la certezza dell’autenticità e del contenuto della volontà testamentaria». Più precisamente, rileva l’A., interpretando la norma in senso conforme alla propria ratio, essa non ritiene l’assenza della data come un vizio di forma che invalida il testamento, giacché «la data non concerne la volontà testamentaria». Essa, difatti, indica una circostanza di fatto, «il tempo in cui il testatore esprime la sua volontà. L’omissione di tale indicazione non può allora invalidare per ciò stesso il testamento, se il testatore ha espresso la sua volontà successoria nella forma di legge». Chiosa l’A.: la funzione della data è rintracciabile nella risoluzione, in via del tutto presuntiva, di questioni che dipendono dal tempo della fazione del testamento, vale a dire, essa consente di stabilire se il testatore, allorquando testi, sia capace, e, nel caso di più testamenti, quale sia l’ultimo in ordine temporale: del resto, rileva sempre il Bianca, «Al di fuori di tali questioni è irrilevante che la data sia mancante o falsa» (arg. ex art. 602, co. 3, secondo periodo). Cfr. pure, in dottrina, F. Ruscello, Forma del testamento olografo e incompletezza della data tra «formalismo assoluto» e «formalismo relativo», in Vita not., 1998, 1395 ss. In giurisprudenza, cfr. Cass., 11 giugno 2012, n. 9466, in Giur. it., 2013, 2261, con nota di C. Sgobbo, La validità del testamento olografo senza data: è veramente possibile?; Trib. Vigevano, 16 maggio 1998, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, 304, con nota di A. Finessi, Problemi relativi alla data nel testamento olografo. A nostro sommesso avviso, il fatto che il secondo periodo dell’art. 602, co. 3, c.c., preveda che la non verità della data possa essere provata solamente in taluni casi, non consente d’inferire che, argomentando a contrario (sull’argomentazione a contrario, v. N. Amato, Logica simbolica e diritto, Milano, 1969, 395 ss.; G. Tarello, L’interpretazione della legge, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, vol. I, t. 2, Milano, 1980, 346-350; R. Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, in Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1993, 362-365; Id., L’interpretazione dei documenti normativi, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu, F. Messineo e L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Milano, 2004, 149 e 150), il fatto che il legislatore talvolta ammetta una data non vera, equivarrebbe a dire ch’esso è come se ammettesse l’assenza di data. Di per sé, il ragionamento parrebbe prima facie avere un fondo di ragione (cfr. M. Allara, Principî di diritto testamentario, cit., 85 s.): ossia, in termini più o meno spicci, si potrebbe affermare: “che differenza v’ha tra l’apporre al testamento una data non vera e non apporla proprio? O meglio, una data falsa ben si potrebbe parificare ad una ‘non data’”; sicché, o che si apponga una data falsa, o che non si apponga proprio, astrattamente non vi sarebbero differenze (cfr. A. Cicu, op. cit., 46; L. Bigliazzi Geri, Il testamento, in Aa.Vv., Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, VI, Successioni, t. II, Torino, 1997, II ed., 170): in ogni caso, la data sarebbe tamquam non esset. Inoltre, lo stesso art. 606, cpv., c.c., che sanziona l’assenza di data con l’annullabilità (e non con la più grave sanzione della nullità), potrebbe consentire di virare nel senso degli autori succitati. È comunque evidente la stortura che con il secondo periodo del co. 3, dell’art. 602 c.c., il legislatore ha creato. Difatti, ci sia consentita questa breve parentesi, pósta la funzione che svolge la data, la quale deve corrispondere al giorno in cui il testamento si perfeziona (A. Cicu, op. cit., 47; C. Gangi, op. cit., 139 e 141; rileva M. Allara, Principî di diritto testamentario, cit., 84, che «La datazione è quel comportamento del testatore, col quale egli dichiara il tempo in cui è avvenuta la dichiarazione di volontà»), ossia quando viene sottoscritto (P. Boero, op. cit., 787), e atteso che l’apposizione della data è requisito essenziale del testamento olografo, si sarebbe dovuto prevedere che in ogni caso sarebbe stato possibile provare la falsità della data apposta al testamento, e che qualora tale prova addivenisse ad èsito positivo, allora il testamento, giusta l’art. 606, cpv., c.c., sarebbe annullabile. Diversamente, ed ecco qui la stortura, se, com’è effettivamente avvenuto con il Codice del ’42, si ammette che la prova della non veridicità della data si possa provare soltanto in casi specifici (v. art. 602, co. 3, secondo periodo, c.c.), allora non si coglie fino in fondo la ratio della previsione della data, quale requisito essenziale per il testamento olografo. Più profuse considerazioni, che riteniamo di avvalorare, si leggano in C. Gangi, op. cit., 144-147, il quale, con innegabile acume, chiosa (ivi, 147): «Concludendo, quindi, logicamente, secondo me, non vi è via di mezzo: o si richiede anche per il testamento olografo la data, e allora si deve anche richiedere che essa sia in ogni caso vera, ossia corrispondente al giorno in cui il testamento è stato compiuto, e si deve anche ammettere che, se la data è falsa, il testamento si deve in ogni caso considerare invalido; o non si vuole ammettere che la falsità della data importi in tutti i casi l’invalidità del testamento e in particolare importi l’invalidità anche nei casi in cui l’accertamento della data vera non ha importanza pratica per la validità o per la determinazione del contenuto del testamento, ed allora sarebbe meglio non richiedere l’apposizione della data come requisito essenziale del testamento, e stabilire invece che la data in cui il testamento è stato fatto, quando sia necessario accertarla, possa essere accertata cogli ordinari mezzi di prova. Ma mi sembra evidente che questo secondo sistema non possa essere considerato preferibile al primo». V. pure A. Cicu, op. cit., 45 (spec. 45-48), il quale chiaramente afferma che se è necessaria una data, poiché prescritta dalla legge, essa ci vuole in ogni caso, a prescindere dalla

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Giurisprudenza

in toto, ma sia indicata in guisa da apparire assurda o impossibile, com’è a dirsi – volendo rimanere aderenti al caso in commento43 – allorché il testatore indichi un anno (ma lo

sussistenza di questioni di capacità o di revoca. Diversamente, la disposizione scolpita nell’art. 602, co. 3, c.c., dovrebbe intendersi quale disposizione che prevede l’obbligo di apporre la data (vera) solamente qualora possano sorgere questioni relative alla capacità, o alla revoca, o altre questioni da decidersi in base al tempo della testamenti factio; donde, il testatore potrebbe in alcuni casi apporre una data falsa. Chiaramente, così non può punto essere. La data, ad ogni modo, deve sempre essere apposta in modo veridico (dacché «il requisito della verità è dell’essenza stessa della data: V. Vitali, op. cit., 122; M. Allara, Principî di diritto testamentario, cit., 85). Invero, se la legge esige che il testamento sia datato, la medesima non può dunque accontentarsi di una data qualsiasi; in tal caso, se così fosse, sarebbe privo di senso il suo dettato. Sicché deve ritenersi come la legge esiga l’apposizione della vera data in cui il testamento fu fatto, proprio perché è appunto dalla data veridica, e non già da una falsamente apposta, che può stabilirsi se il testatore avesse, oppure no, la capacità di testare al momento della testamenti factio, oppure se il testamento sia posteriore od anteriore rispetto ad un altro, eventuale, testamento proveniente dallo stesso testatore (v. F. Ricci, op. cit., 376 s.; G. Lomonaco, op. cit., 153 e 154). In altri termini, solamente con una data vera si può stabilire se, eventualmente, vengano in rilievo talune questioni di cui all’art. 602, ult. cpv., c.c. Sul fatto che la data debba comunque essere apposta, v. Cass., 11 novembre 2015, n. 23014, cit.; Cass., 14 maggio 2008, n. 12124, cit.; Cass., 8 giugno 2001, n. 7783, cit.; Cass., 9 dicembre 1988, n. 6682, cit.; Cass., 24 giugno 1965, n. 1323, cit.; Cass., 28 maggio 1960, n. 1385, cit. Nella giurisprudenza di merito, v. almeno Trib. Oristano, 11 giugno 2005, cit. Chiusa questa breve parentesi, torniamo ora sulla retta via per asserire che, a nostro opinare, è necessario tenere distinti due piani: un piano, è quello della forma, ossia dei requisiti che il testamento olografo deve rispettare; un altro, è quello che attiene, oltreché alla prova in sé, all’interesse ad agire (su cui v., almeno, A. Attardi, voce Interesse ad agire, in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1962, 840 ss.) per richiedere l’accertamento della falsità della data. In altri termini: il negozio testamentario, atteso l’art. 602, co. 1 e co. 2, primo periodo, c.c., deve imprescindibilmente contenere la data; la cui eventuale falsità, tuttavia, può essere provata, mediante apposita azione in giudizio, solamente in alcuni casi determinati (ossia nel caso in cui si debba giudicare della capacità di testare, ex art. 591 c.c.; si debba valutare quale tra più testamenti sia prióre; si debba decidere di qualsiasi altra questione in base al tempo della testamenti factio: spec. v. artt. 596, in combinato con il 599, 651, co. 2, 656, 657, 680, 682, 687, co. 1, c.c.; cfr. F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 125 s., adde A. Cicu, op. cit., 42; C. Gangi, op. cit., 137; M. Di Fabio, sub art. 602, cit., 325 s., il quale ben specifica come l’elencazione contenuta in seno all’art. 602, co. 3, secondo periodo, sia meramente esemplificativa, giacché la medesima disposizione fa riferimento ad «ogni altra questione» – in giurisprudenza, cfr. Cass., 26 luglio 1969, n. 2830, cit.; Cass., 6 maggio 1965, n. 834, cit.). In tutti gli altri casi, il legislatore è come se avesse previsto la mancanza d’interesse (v. art. 100 c.p.c.), indi la mancanza della rispettiva azione (cfr. A. Butera, op. cit., 256; in giurisprudenza, seppur obiter, cfr. Cass., 22 settembre 2017, n. 22197, cit.; Cass., 14 maggio 2008, n. 12124, cit.). Nonostante la previsione di questa limitazione all’interesse ad agire, non significa affatto che il legislatore, nei casi diversi da quelli in cui è ammessa la prova della non veridicità della data, abbia voluto ammettere l’apposizione di una data falsa, né, ovviamente, abbia voluto ammetterne un’apposizione incompleta, o erronea. Certo, limitando l’interesse a far accertare la falsità della data ai soli casi testé indicati, si è implicitamente (o indirettamente, che dir si voglia) consentito, forse “inconsapevolmente”, che la data ammessa possa talvolta essere non veritiera, peccando invero uno strumento per farne accertare la falsità (cfr. C. Gangi, op. cit., 149; A.C. Jemolo, «Gli occhiali del giurista», in Riv. dir. civ., 1962, II, 555). Più precisamente, nei casi diversi da quelli indicati dall’art. 602, co. 3, secondo periodo, c.c., si è prevista una presunzione di verità, che non ammette, tuttavia, la prova contraria (v. C. Gangi, op. cit., 151; v. pure Cass., 22 settembre 2017, n. 22197, cit.; le stesse Sezioni Unite – Cass., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12307, in DeJure – hanno affermato come il testamento olografo abbia una propria «intrinseca forza dimostrativa»). Lo scopo del legislatore, giusto o sbagliato che sia (noi propendiamo per la seconda via), non è stato certo, ripetiamo, quello di ammettere la falsità; semplicemente, è quello, come afferma L. Ferrara, Diritto privato attuale, Torino, 1948, II ed., 626, di evitare che la data possa essere illimitatamente posta in discussione; invero, se fosse stata consentita la possibilità d’impugnare la data, per difetto di veridicità, senza nessuna limitazione, allora si sarebbe messa a rischio «gran parte della praticità dell’olografo» (cfr. pure la Relazione ministeriale al testo definitivo del Codice, n. 293; di recente, v. A. Ambanelli, op. cit., 1289, la quale afferma, sulla scìa di E. Perego, Favor legis e testamento, Milano, 1970, 140, che tale limitazione, alla prova della non veridicità della data, è «legata a motivi di opportunità, onde sia evitato il sorgere di controversie volte ad ottenere una declaratoria di nullità, attraverso la sola dimostrazione della non verità della data»). Ad ogni buon conto, la data, veridica o no (su quando una data si debba intendere come vera, v. almeno A. Cicu, op. cit., 42; C. Gangi, op. cit., 139-141 s., spec. 141), deve sempre essere apposta al testamento olografo, in modo completo (cfr. Cass., 9 dicembre 1988, n. 6682, cit.). V. altresì A. Trabucchi, Data non vera ed efficacia del testamento olografo, in Giur. it., 1957, I, 1, 1385; Giu. Azzariti, op. cit., 388: «la legge ammette la possibilità che ci sia una data non vera, ma non pure che la data manchi oppure sia incompleta, ed è solo in rapporto alla data mancante o incompleta, che esclude la impugnativa se non ricorra alcuna delle ragioni indicate, che l’accertamento rende necessario». 43 L’altra ipotesi di data impossibile è quella in cui il testatore abbia apposto, al testamento olografo, una data anteriore alla propria nascita o posteriore alla propria morte; sicché in tal caso non v’ha datazione, dacché di data «può trattarsi solo nell’ambito della vita del testatore»: così, G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 82 (v. pure già Id., Istituzioni di diritto privato, cit., 723). Adde E. PacificiMazzoni, op. cit., 17; A. Butera, op. cit., 256; M. Di Fabio, sub art. 602, cit., 323 s.

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stesso discorso vale pure, ça va sans dire, per il giorno e il mese) che non sia presente sul calendario gregoriano44, le considerazioni che conseguentemente devono essere sviluppate, a nostro sommesso giudizio, sono di non poco momento.

3. (segue) Data impossibile, errore materiale e art. 625 c.c.: l’applicazione di un più ampio principio.

Movendo dal necessario combinato disposto fra gli artt. 602, co. 3, e 606, cpv., c.c., s’inferisce come il legislatore abbia voluto parificare, alla mancanza in toto della data, la così detta “data impossibile”, vale a dire quella che non trovi riscontro alcuno in seno a verun calendario. Talché, sia che la data venga indicata, ma in modo tale da non poter essere rintracciata, ad esempio, nello strumento fondato da Papa Gregorio XIII, sia che difetti per intero oppure parzialmente (exempli gratia: viene indicato solo il giorno, o il mese, o l’anno, o solo due di tali elementi45), rende evidente il corollario secondo cui la data stessa debba, di per sé, considerarsi come inesistente46, quindi, di regola, come se non fosse stata apposta47: il testamento, di conseguenza, è, a rigore, annullabile; la data impossibile, inoltre, dev’essere collocata in seno al genus “data erronea”; parimenti, com’è accaduto nel caso in commento48, è ivi allogabile la data contraddittoria (nella quale, ad esempio, come nella fattispecie de qua, il nome del giorno indicato non coincida con il rispettivo numero). Nondimeno, proprio il fatto che il legislatore, con l’art. 606, cpv., c.c., abbia voluto sanzionare il difetto (o appunto l’impossibilità) della data con la sanzione dell’annullamento (oltreché prevederne la prova della rispettiva falsità solamente qualora dovessero sorgere determinate questioni da risolversi con riferimento al tempo della testamenti factio), consente d’inferire come il formalismo della data possa essere ritenuto «un requisito formale di serie B»49. In particolare, rimanendo nel perimetro del testamento olografo, l’autografia e la sottoscrizione assumono, senz’altro, un valore più importante, dacché l’art. 606, co.

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G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 82. Adde A. Palazzo, op. cit., 870. Cfr. G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 81. Adde A. Cicu, op. cit., 50. In giurisprudenza, di legittimità e di merito, v. Cass., 9 dicembre 1988, n. 6682, cit.; Trib. Parma, 6 dicembre 1976, cit.; Cass., 24 giugno 1965, n. 1323, cit. 46 Cfr. F. Ricci, op. cit., 379. 47 G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 82. Adde A. Butera, op. cit., 257; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 127; A. Palazzo, op. cit., 869; G. Capozzi, op. cit., 838. In giurisprudenza, v. almeno Cass., 26 luglio 1969, n. 2830, cit. Di diverso avviso, sono U. Morello, op. cit., 1390 e 1391, ed E. Marmocchi, op. cit., 885, per i quali, fuori dei casi in cui il legislatore ammette la prova della falsità della data (art. 602, co. 3, secondo periodo, c.c.), la data impossibile è da ritenersi formalmente valida, a meno che non sia espressione di una volontà non seria. 48 V. infra, § 4. 49 Così, con icastiche parole, G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 82. Adde F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 127. Di recente, cfr. M. Di Fabio, sub art. 602, cit., 322. 45

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Giurisprudenza

1, c.c., sanziona la loro assenza con la suprema invalidità: la nullità50. Per giunta, ulteriore elemento che ci permette di virare in questo senso, è rappresentato da quanto cesellato nell’art. 606, cpv., secondo periodo, c.c., giusta il quale, l’azione di annullamento si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni mortis causa: in codesto caso, una volta decorso detto termine, è lampante come il testamento, che pecchi della data, sia da considerarsi sanato51. Messe per iscritto queste debite premesse, si deve ora introdurre una sórta di eccezione (la quale è intuitivamente un connotato naturale della predetta “serie B”) al principio riassumibile in: “impossibilità della data = inesistenza della data = annullabilità del testamento”. Difatti, qualora il testatore apponga sì la data, ma commettendo, durante la datazione, un errore materiale52 tale per cui la data sia da considerarsi impossibile, l’interprete, prima di ritenere il testamento passibile d’annullamento, deve senz’esitazione compulsare, con oculatezza, la scheda testamentaria, al fine di valutare se da essa, effettivamente, affiori la data o quantomeno ne emerga la sua determinabilità53. Qualora ciò dovesse accadere, l’interprete dovrebbe allora attivarsi per rettificare la data54; diversamente, ove la data permanga «oscura, si dovrà concludere per l’inesistenza del requisito [ossia della data medesima]»55. Ovviamente, giova sottolinearlo, l’indicazione di una data impossibile, che assurga a data erronea, non dev’essere determinata da una volontà del testatore56, ma dev’essere il frutto di un errore compiuto in modo meramente involontario57. La valutazione circa la volontarietà, o no, di tale error, è un cómpito spettante al solo giudice del merito58. Calandoci, seppur per un attimo59, nel caso di specie, risulta evidente come nella scheda testamentaria redatta da Calpurnio l’errore riguardi, specialmente, l’indicazione dell’anno: «214». Dal che, a tutta prima si potrebbe affermare: “quest’anno non risulta indicato in alcun calendario, sicché la data è inesistente, ergo il testamento è annullabile”. Ciò, se

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Cfr. G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 82. Sul punto, v. specialmente Cass., 9 dicembre 1988, n. 6682, cit. 52 Errore, questo, parificabile al così detto errore di ortografia. Sul punto, v. E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 12, il quale, con il solito acume, afferma: «[…] l’indicazione dell’anno milleottocentosessanta sui non può considerarsi viziata in guisa da produrre la nullità del testamento; perché non è possibile un serio dubbio sul significato di sui scritto in luogo di sei». 53 Al riguardo, un esempio (a cui si rimanda) è brillantemente pósto in luce da F. Ricci, op. cit., 380. 54 V. infra. Si scorga pure A. Palazzo, op. cit., 869. In giurisprudenza, v. Cass., 5 giugno 1964, n. 1374, cit. Contra, App. Bari, 18 giugno 1964, in Le Corti di Bari, Lecce e Potenza, 1964, 703. 55 In questo senso, ben si è espresso il giudice torinese. 56 Giu. Azzariti, op. cit., 392, il quale ritiene correggibile una data di questo tipo: 20 maggio 1930, in luogo di quella 20 maggio 1931, qualora il testatore abbia disposto in favore di un figlio nato “da pochi giorni” (nascita avvenuta nel 1931). Qui, è chiaro come il testatore abbia presente l’anno corretto, e l’indicazione del 1930 è dovuto ad un mero errore materiale, il quale, pertanto, può ben essere rettificato (basti, difatti, fare riferimento all’atto di nascita del figlio). 57 E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 18; F. Ricci, op. cit., 377. V. pure A. Cicu, op. cit., 43 s.; C. Gangi, op. cit., 142; A. Ambanelli, op. cit., 1289. In giurisprudenza, volendo utilmente tornare indietro nel tempo, v. App. Catania, 2 aprile 1886, Giur. it., 1886, I, 2, 547. 58 A. Palazzo, op. cit., 870. V., già prima, E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 19. In giurisprudenza, cfr. Cass., 5 giugno 1964, n. 1374, cit. 59 Amplius, v. infra, § 4. 51

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affermato senza consentire il beneficio del dubbio, a nostro sommesso avviso non è propriamente corretto. Invero, qualora dalla scheda testamentaria (e aliunde, purché siffatti elementi esterni al testamento siano richiamati dal testatore60) affiorino elementi tali per cui il giudice possa, senza violare alcuna disposizione di legge, correggere (o meglio, “raddrizzare”) la mano del testatore, allora il testamento dev’essere considerato pienamente valido61. Più precisamente, noi riteniamo che la correzione della data impossibile (quindi erronea) possa essere giuridicamente giustificata secondo due considerazioni. Il primo, forse più classico, muove dal Libro II del Codice civile, in seno al quale è inserita una disposizione, quale è quella dell’art. 625 c.c., che nel caso in commento ben può essere la stella polare dell’interprete62. Invero, dalla norma scolpita in siffatta disposizione affiora in modo terso come in àmbito testamentario l’errore (nella specie, l’error nominis, segnatamente l’error in nomine o in demonstratione63, che può cadere sia sul soggetto beneficato sia sull’obietto della disposizione64, che è un evidente errore ostativo65 – o ostaco-

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V. retro, § 2. Cfr. L. Barassi, op. cit., 229; G. Branca, Dei testamenti ordinari, cit., 87, il quale, sul punto (spec. ibidem, nt. 1), afferma come per la data impossibile sia utile all’interprete il concetto di “data erronea”. Sulla correzione della data erronea, e non già falsa (seppur la Corte affermi come solo gli elementi intrinseci possano rilevare), cfr. Cass., 5 giugno 1964, n. 1374, cit. Contra, pare C. Gangi, op. cit., 151, il quale, inoltre, parifica data erronea e data falsa (in quest’ultimo senso, v. anche U. Morello, op. cit., 1385; M.C. Tatarano, op. cit., 140). A nostro avviso, le due ipotesi debbono essere tenute distinte, dacché la differenza fra codesti tipi di data concerne il piano, potremmo dire, volontaristico: ossia, la data erronea, come già specificato, derivando da un errore involontario del testatore, è – qualora ovviamente dal testamento o per il tramite di elementi ad esso connessi si possa desumere la data corretta con precisione – rettificabile (mercé il principio, come indicato, emergente dall’art. 625 c.c.), là dove la data falsa, scientemente apposta, non è affatto rettificabile in modo alcuno (una data falsa, e a differenza della data erronea, a nostro avviso è tamquam non esset). 62 Già A. Cicu, op. cit., 135, fece cenno a tale soluzione ermeneutica, asserendo come la disposizione albergata nell’art. 625 c.c. «sia estensibile a ogni altro caso di errore nella dichiarazione: quindi di errore nella data […]». Sull’art. 625 c.c., per una prima disamina, v., ex multis: A. Butera, op. cit., 296 e 297; C. Zappulli, sub art. 171, cit., 286 e 287; S. Pugliatti, Dell’istituzione di erede e dei legati, in Aa.Vv., Codice civile. Libro delle Successioni per causa di morte e delle Donazioni. Commentario, a cura di A. Azara, M. d’Amelio, W. d’Avanzo, F. Degni, P. d’Onofrio, E. Eula, C. Grassetti, A. Manca, F. Maroi, S. Pugliatti, G. Russo, F. Santoro-Passarelli, diretto da M. d’Amelio, Firenze, 1941, 500; A. Cicu, op. cit., 133 ss.; C. Gangi, op. cit., 392 e 440 ss.; G. Branca, Istituzioni di diritto privato, cit., 728; C. Giannattasio, op. cit., 192-194; Giu. Azzariti, op. cit., 451; G. Capozzi, op. cit., 741; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 287 s. e 385. 63 Cfr. fr. 34, pr. D., de c., XXXV, 1; fr. 48, § 3, D., de. her. inst., XXVIII, 5. Si veda G. Foschini, op. cit., 610 e 611, il quale, esemplarmente, fa espresso richiamo (ivi, 610) della massima “Quotiens volens alium heredem scribere, alium scripserit, in corpore hominis errans [id est, “veluti frater meus, patronus meus”] placet neque eum heredem esse, qui scriptus est, quoniam voluntate deficitur; neque eum quem voluit, quoniam scriptus non est” (Fr. 9, de her. inst., 28.5). 64 Cfr. L. 3, D., de reb. dub., XXXIV, 5: «Qui aliud dicit, quam vult, neque id dicit, quod vox significat, quia non vult, neque id quod vult, quia id non loquitur»; L. 9, § 1, D., de her. inst., XXVIII, 5; l. 4 pr., D., de leg., I. Per ulteriori indicazioni, si scorga C. Gangi, op. cit., 444. 65 P. Di Pace, op. cit., 70; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 230 e 254 (del medesimo A., è da porre in rilievo l’Opera sulla Teoria dell’errore ostativo, Roma, 1915); Giu. Azzariti, op. cit., 443 (ma altresì 451): «La discordanza della volontà con la sua manifestazione può essere involontaria e direttamente causata da errore, il quale operi in modo da impedire al dichiarante di fare una dichiarazione che corrisponda alla sua volontà reale. Tale errore, che cade sulla dichiarazione e la rende difforme alla volontà, è detto errore ostativo (o errore improprio)»; G. Bonilini, voce Testamento, cit., 369; G. Capozzi, op. cit., 741. V. pure, più in generale, L. Cariota Ferrara, op. cit., 502 ss.; F. Messineo, Dottrina generale del contratto (Artt. 1321-1469 cod. civ.), Milano, 1948, III ed., 84 ss.; Id., Il contratto in genere, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu e F. Messineo, vol. XXI, t. 2, Milano, 1972, 338 ss.; E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. it., diretto da F. Vassalli, vol. XV, t. II, Torino, 1955, rist. corretta della II ed., 424 ss.; A. Trabucchi, Errore (diritto civile), in Noviss. Dig. it., VI, Torino, 1960, 666 e 669 s.; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, I, cit., 421 s. Adde L. Barassi, op. cit., 252 s. Per un’esemplare analisi, seppur risalente, 61

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Giurisprudenza

lo, o nella dichiarazione66 – il quale dà vita alla così detta falsa demonstratio non nocet67) sia di per sé rettificabile68; sicché, applicando alla fattispecie della data impossibile (quindi erronea), per analogia69 (art. 12, cpv., disp. prel c.c.70), l’art. 625 c.c. (sussistendo, in tal caso, il principio per cui ubi eadem ratio, eadem iuris dispositivo71), ben si addiverrebbe ad affermare che qualora dalla stessa scheda testamentaria «o altrimenti» (rectius: al di fuori di essa, purché gli elementi estrinseci presentino collegamenti con quelli intrinseci72) s’individuasse, con certezza, la data cui ebbe intenzione riferirsi il testatore, in luogo di quella che effettivamente venne apposta in modo erroneo (errore materiale)73, allora non si porrebbe problema alcuno in punto di eventuale annullamento del testamento74. Si badi: all’applicazione analogica, della norma compendiata nell’art. 625 c.c., al caso della data indicata per errore, non potrebbe opporsi il fatto ch’essa abbia carattere eccezionale (arg. ex art. 14 disp. prel. c.c.75).

sulla divergenza tra volontà e dichiarazione, segnatamente in àmbito testamentario, v. L. Cosattini, Divergenza fra dichiarazione e volontà nella disposizione testamentaria, in Riv. dir. civ., 1937, I, p. 403 ss. 66 F. Messineo, Dottrina generale del contratto, cit., 84; Id., Il contratto in genere, t. 2, cit., 338. 67 Si vedano, almeno: F. Messineo, Teoria dell’errore ostativo, cit., 267 ss.; L. Cariota Ferrara, op. cit., 530 s.; E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 430; C. Gangi, op. cit., 445; V. Pietrobon, Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, Padova, 1990, II ed. (de “L’errore nella dottrina del negozio giuridico”, Padova, 1963), 327 e 471 (prosieguo nt. 22); F. Santoro-Passarelli, op. cit., 159. Adde A. Cicu, op. cit., 133 ss.; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale (Codici e norme complementari), vol. VI, cit., 241 e 254; Giu. Azzariti, op. cit., 443. 68 A. Cicu, op. cit., 135. 69 Si veda A. Cicu, op. cit., 49. Sul procedimento analogico, in generale, v. N. Coviello, Manuale di diritto civile italiano. Parte generale, Milano, 1924, III ed. riveduta e messa al corrente dal Prof. L. Coviello, 82 ss.; G. Tarello, op. cit., 350 ss.; R. Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, cit., 154 ss., spec. 428 s., il quale, brillantemente, descrive il così detto «‘argomento analogico’, o a simili», in tal modo: «(a) Si assume, in primo luogo, che una certa fattispecie (diciamo F1) non sia disciplinata da alcuna norma esplicita, e che dunque il diritto sia prima facie lacunoso. (b) Si assume, in secondo luogo, che la fattispecie non disciplinata (F1) somigli sotto un profilo rilevante o essenziale ad una diversa fattispecie (diciamo F2), essi sì regolata da una norma esplicita, la quale riconnette ad essa una certa conseguenza giuridica (“Se F2, allora G”). (c) Si conclude costruendo una norma o “massima di decisione” la quale riconnette la medesima conseguenza giuridica anche alla fattispecie non prevista: “Se F1, allora G”. La norma così costruita può poi essere impiegata quale fondamento di una decisione giurisprudenziale». 70 Disposizione, questa, fermamente criticata, sotto molteplici aspetti, da P. Perlingieri, L’interpretazione della legge come sistematica ed assiologica. Il broccardo in claris non fit interpretatio, il ruolo dell’art. 12 disp. prel. c.c. e la nuova scuola dell’esegesi, in Rass. dir. civ., 1985, 990 ss. (ora in Id., Interpretazione e legalità costituzionale. Antologia per una didattica progredita, Napoli, 2012, 127 ss.); Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, II, Interpretazione sistematica e assiologica. Situazioni soggettive e rapporto giuridico, Napoli, 2006, III ed., 577 ss. Per una diversa interpretazione, v. R. Quadri, Dell’applicazione della legge in generale. Art. 10-15, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1974, 194 ss., spec. 240 ss. 71 Sul punto, v. N. Coviello, op. cit., 83; M. d’Amelio, Disposizioni sull’applicazione delle leggi in generale (Art. 1-5), in Aa.Vv., Codice civile. Libro primo (Persone e Famiglia). Commentario, a cura di A. Azara, G. Balladore-Pallieri, D. Barbero, M. d’Amelio, F. Degni, E. Eula, M. Ferrara-Santamaria, C. Grassetti, C. Maiorca, A. Manca, F. Maroi, E. Piola-Caselli, S. Pugliatti, C. Rebuttati, G. Russo, diretto da M. d’Amelio, Firenze, 1940, 30; R. Quadri, op. cit., 275. 72 V. retro, § 2. Si scorga, inoltre, V. Pietrobon, op. cit., 475. 73 A. Cicu, op. cit., 49. 74 Cfr. L. Barassi, op. cit., 229. 75 Sul quale v., almeno: R. Quadri, op. cit., 289 ss.; R. Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, cit., 435, 436 e 439 s. Si vedano pure le rilevanti considerazioni di P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, II, cit., 586 e 587 (v. pure Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, I, Diritto e politica, metodi e scuole. Unitarietà dell’ordinamento e pluralità delle fonti, Napoli, 2006, III ed., 252-254 s.); N. Lipari, Le fonti del diritto, Milano, 2008, 220 s., il quale stempera il divieto sancito nell’art. 14 disp. prel. c.c. Per un primo commento, v. M d’Amelio, op. cit., 32 ss., spec. 35.

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La disposizione scolpita nel predetto articolo, per vero, a nostro avviso pecca di tale connotato, poiché dalla medesima affiora una norma che è ben riconducibile (quindi non vi deroga) ai princìpi generali propri dell’ordinamento giuridico76: in particolare, siffatta prescrizione è manifestazione del più ampio principio di conservazione del negozio giuridico77 (che in àmbito testamentario è rintracciabile nel noto principio del favor testamenti78, che permea il Libro II del Codice civile79), il quale emerge dal nostro intero ordinamento80 (basti pensare, volendo allontanarci per un poco dal Libro II, alle norme dettate dal legislatore nel Capo IV, del Libro IV del Codice civile, in tema di ermeneutica del contratto, spec. artt. 1367 e 1369 c.c.81). Per di più, com’è stato osservato, in questo caso non si avrebbe una deroga al principio per cui la manifestazione di volontà testamentaria debba, di necessità, avvenire (ad substantiam) per iscritto82 (v. art. 601 ss. c.c., spec. 606, co. 1): qui, invero, trattasi non già di correggere una volontà, bensì di ricostruire una data, la quale è «un dato obbiettivo»83, una mera dichiarazione di scienza. Volendo rintracciare la ratio giuridica della rettificazione della data impossibile, movendo dall’applicazione analogica dell’art. 625 c.c. – che, si badi, a nostro avviso sarebbe pienamente ammissibile –, si rischierebbe senz’altro d’incappare, soprattutto sul piano teorico, nel tunnel del dubbio: trattasi di analogia legis o di analogia iuris? Questione, codesta, di non facile soluzione, poiché non sempre è agevole distinguere fra i due tipi84.

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La nozione di norma eccezionale, da noi seguìta, è in modo chiaro palesata da R. Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, cit., 436 e 439 s. Seppur di passata, giova sottolineare come la norma eccezionale si contrapponga alla norma regolare: al riguardo, si scorgano le belle parole di P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, I, cit., 254, ad avviso del quale, «La distinzione tra norme regolari e norme eccezionali non è un “prima” ma un “dopo”, cioè una qualifica che si può attribuire alla norma soltanto dopo averne individuato il contenuto e averlo posto a raffronto con i princípi generali dell’ordinamento, sí da poter esprimere una valutazione sulla sua rilevanza nell’àmbito del sistema». 77 Cfr. L. Ferrara, op. cit., 638. 78 Principio, codesto, già riscontrabile, in seno al diritto romano (basti pensare alla L. 24 [25] D. 34,5: «Cum in testamento ambigue aut etiam perperam scriptum est, benigne interpretari et secundum id, quod credibile est cogitatum, credendum est». Per precisi riferimenti, al riguardo, in punto di diritto romano, v. almeno A. De Cupis, Il principio di conservazione nell’interpretazione dei testamenti, in Id., Teoria e pratica del diritto civile, Milano, 1955, 370 ss. (già in Dir. e Giur., 1947, 81 ss.). 79 Basti porre la mente solo un attimo, a guisa d’esempio, all’art. 607 c.c. 80 Si vedano, soprattutto per quanto concerne la letteratura sul principio di conservazione, i nostri Legato di usufrutto su cosa parzialmente altrui, comunione indivisa e rilevanza della volontà testamentaria, in questa Rivista, 2019, 96 ss. (passim); Contratto di transazione e patto successorio rinunziativo, in questa Rivista, 2019, 650 ss. (passim). 81 Come afferma A. De Cupis, Il principio di conservazione nell’interpretazione dei testamenti, cit., 377, il principio di conservazione del negozio giuridico è molto più fondato in àmbito testamentario, che in àmbito contrattuale, «attesoché un’interpretazione privante di efficacia il testamento negherebbe irrimediabilmente l’esplicazione della privata autonomia del disponente, mentre lo stesso non può sempre dirsi per il contratto, essendo almeno teoricamente possibile che i contraenti pongano in essere un nuovo contratto dello stesso contenuto […]». 82 G. Branca, Istituzioni di diritto privato, cit., 721 s.; M. Allara, Principî di diritto testamentario, cit., 73; G. Bonilini, voce Testamento, cit., 364 e 365; Id., Il negozio testamentario, cit., 42 ss. V. pure, quantomeno, sotto l’egida del Codice Pisanelli, G. Foschini, op. cit., 550 (nt. 1). 83 Così, A. Cicu, op. cit., 49 (ma v., altresì, 135). 84 Come afferma P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, II, cit., 586, «sovente la normativa da applicare [al caso concreto] è frutto di collegamenti tra più disposizioni, o fra frammenti di disposizioni, là dove non si saprebbe se discorrere di precisa disposizione oppure di analogia legis o ancora di analogia iuris». V. anche R. Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, cit., 434: «È pacifico […] che tra analogia legis e analogia juris non corra una precisa linea di confine: non foss’altro perché […] l’applicazione analogica di una norma suppone la previa individuazione del principio che ne sta a fondamento». Si vedano, altresì, le considerazioni di N. Lipari, op. cit., 216 ss.

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Giurisprudenza

Ma non solo. Si potrebbe anche incorrere nell’eventuale osservazione per cui l’art. 625 c.c. operi con riferimento ad una dichiarazione di volontà, e non già di scienza, sicché non potrebbe ritenersi disciplinare “un caso simile o una materia analoga”, e che il medesimo agisca – come taluni potrebbero asserire – sul piano sostanziale, là dove la data attiene invece all’àmbito prettamente formale. A nostro avviso, dacché la predetta disposizione opera con riferimento ad una dichiarazione di volontà, derogando quindi al principio per cui non dev’essere riconosciuta efficacia che alla sola volontà testamentaria messa per iscritto85, non si vede perché la medesima, od il principio da essa affiorante, non possa trovare applicazione anche per il caso di errore nella data, la quale rappresenta, ci ripetiamo, una mera dichiarazione di scienza. Ad ogni buon conto, al fine di evitare il sorgere di eventuali riserve – e volendo metterci, come suol dirsi, “in una botte di ferro” – riteniamo come la giustificazione sia, più in generale, da individuarsi nel succitato, e più ampio, principio (espresso86) di conservazione del negozio giuridico, di cui il nostro ordinamento è palesemente intessuto. D’altra parte, oggi l’analogia – essendo il nostro sistema giuridico oramai divenuto complesso e aperto a una pluralità di fonti, in specie d’origine comunitaria87 – dev’essere considerata come un metodo anche, e soprattutto, mirato all’applicazione di princìpi, e non solo vòlto a risolvere, talvolta, eventuali lacune normative88.

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A. Cicu, op. cit., 135. Si veda R. Guastini, Le fonti del diritto e l’interpretazione, cit., 452. 87 Si veda P. Perlingieri, Complessità e unitarietà dell’ordinamento giuridico vigente, in Id., Interpretazione e legalità costituzionale. Antologia per una didattica progredita, cit., 23 ss.; Id., Il sistema delle fonti del diritto alla luce dell’ordinamento comunitario, in Id., Interpretazione e legalità costituzionale. Antologia per una didattica progredita, cit., 53 ss., spec. 59; Id., Il principio di legalità nel diritto civile, in Id., Interpretazione e legalità costituzionale. Antologia per una didattica progredita, cit., 84 ss. Adde Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, I, cit., 270 (nt. 15), ma anche 265 s.: «Il sistema normativo vigente non è il prodotto esclusivo delle fonti esplicitamente previste dall’ordinamento statale: esso piuttosto è frutto del coordinamento, secondo la ripartizione di competenze e di gerarchie stabilite e garantite dai trattati istitutivi, delle discipline nazionali e comunitarie». V. pure Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, II, cit., 553 ss. (spec. 561); Id., Una ermeneutica da rinnovare, in Le corti salernitane, 2013, 496 ss. 88 Rilevanti, al riguardo, sono le considerazioni svolte da V. Barba, Unione civile e adozione, in Fam. dir., 2017, 384 e 386. Tersa, sul punto, è l’asserzione di N. Lipari, op. cit., 219, il quale sottolinea come non possa «configurarsi un criterio di distinzione qualitativa tra interpretazione e integrazione del diritto (che pure è quello al quale normalmente si riconduce il fondamento dell’analogia), dovendosi semmai riconoscere la profonda unità dei due momenti nel processo applicativo del diritto». I princìpi, fondanti il nostro ordinamento giuridico, «[…] non si trovano scritti in nessun luogo, ma sono i presupposti logici necessari delle varie norme legislative [, costituzionali e di fonte europea], da cui perciò per forza di astrazione debbono esclusivamente esser ricavati»: così, N. Coviello, op. cit., 87. Essi sono princìpi «[…] razionali, d’etica sociale, talvolta anche di diritto romano, [oggi, come testé specificato, anche e soprattutto di diritto costituzionale ed europeo] i quali vengono ammessi non già perché squisitamente aventi natura razionale, ma perché «hanno effettivamente informato il sistema positivo del nostro diritto, e così sono diventati anch’essi principî di diritto positivo e vigente»: così, Id., op. cit., 87, il quale, inoltre, ben distingue fra princìpi generali «di un dato istituto giuridico; di più istituti giuridici affini; di una data parte del diritto privato (civile, o commerciale) o di una parte del diritto pubblico (costituzionale, amministrativo, internazionale, ecclesiastico, ecc.), di tutto il diritto privato, o di tutto il pubblico, e […] dell’intero diritto positivo senza distinzione alcuna». Si vedano, altresì, N. Bobbio, voce Princìpi generali di diritto, in Noviss. Dig. it., XIII, Torino, 1966, 888 ss., spec. 894; R. Quadri, op. cit., 281 e 283. Inoltre, come ha rilevato A. De Cupis, Il principio di conservazione nell’interpretazione dei testamenti, cit., 369, giova sottolineare che anche la tradizione storica dev’essere presa in considerazione, di necessità, dal giurista, dacché «il diritto non sorge improvvisamente come Minerva armata dal cervello di Giove, ma si basa su un divenire storico, che solo la pigrizia mentale può ignorare» (cfr. altresì, già, Id., Riflessioni e impressioni, Milano, 1949, 42 e 43). 86

392


Marco Ramuschi

Dal che, atteso quanto testé asserito, la correzione di una data impossibile, che nel caso de quo è evidentemente anche una data erronea89, può bensì essere effettuata dal giudice mediante il ricorso al succitato combinato (ricorso, occorre ripeterlo, consentito dal noto principio di conservazione del negozio giuridico) fra gli elementi intrinseci e gli elementi estrinseci alla scheda testamentaria90. L’impossibilità (o erroneità) della data, pertanto, può essere rettificata sia per il tramite delle enunciative che la scheda testamentaria contiene, sia per il tramite di fatti e/o documenti (esterni) con cui le enunciative medesime presentino una stretta connessione91, poiché questi ultimi rappresentano quell’obietto, già esisten-

89

L’equiparazione, fra data impossibile e data erronea, è posta in rilievo molto bene anche dal giudice a quo, nella pronunzia in commento. Contra, v. Trib. Roma, 23 dicembre 2017, n. 24059, in Riv. not., 2018, II, 857, con nota di M. Di Fabio, La funzione della data nel testamento olografo. 90 Al riguardo, si veda V. Vitali, op. cit., 157. Un interessante caso, tratto da un fatto reale di cui la giurisprudenza ha avuto modo di occuparsi (v. App. Catania, 2 aprile 1886, cit.), è figurato da F. Ricci, op. cit., 378; caso nel quale, per l’A., rilevano solo gli elementi intrinseci. A nostro avviso, per quanto detto fino ad ora, è da intendersi, la correzione effettuata dal giudice, fondata sia su elementi intrinseci alla scheda testamentaria, sia su elementi, di necessità, estrinseci, idonei a dilucidare i predetti elementi contenuti in seno al testamento. Riportiamo qui, per scrupolo di completezza, il caso mentovato: il sacerdote Lorenzo Cambise stendeva il proprio testamento olografo, apponendo, quale data, il 21 gennaio 1880. In codesto testamento, tuttavia, Cambise, legando un fondo al proprio fratello Giuseppe, ne determinava i confini e si occupava in esso di un diritto di passaggio, che risultava da un atto di permuta, effettuato presso il notaio Giuseppe D’Angelo di Lione, atto cui era apposta la data del 17 novembre 1880. Da questi fatti, si è rilevato, sorge ben chiaro come il testatore, in luogo del gennaio del 1881, che era la data che effettivamente voleva apporre, apponesse la data del gennaio 1880 sol perché essendo gennaio 1881 molto vicino alla fine del 1880, egli era ancóra abituato a far uso dell’anno 1880 (cfr. pure E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 18). E che sia incorso in tale errore, si sottolineava, appariva evidente, dacché nel testamento s’indicava l’atto di permuta effettuato dal suddetto notaio nel novembre 1880. Di conseguenza, il 21 gennaio, indicato come data dal Cambise, non poteva essere il 21 gennaio anteriore a quello del 1881, ossia il 21 gennaio del 1880, ma senz’altro il gennaio successivo al novembre 1880, vale a dire quello, appunto, del 1881. Nella specie, pertanto, si è verificato, nel sacerdote Lorenzo Cambise, ciò che non di rado avviene con frequenza a diverse persone (anche a persone avvedute e diligenti), vale a dire che scrivendo nel mese di gennaio, talvolta, per errore si continua a fare uso, negli atti, nella corrispondenza, etc., del millesimo dell’anno precedente. Orbene, tale esempio, autorevolmente figurato dal Ricci, rende manifesta, seppur in parte (e ora diremo il perché), l’idea che da un elemento intrinseco al testamento, cioè a dire dall’indicazione dell’atto del notaio D’Angelo di Lione, il giudice possa addivenire ad individuare l’errore materiale, involontario, in cui è incorso il testatore. Tuttavia, e a differenza di quanto afferma il Ricci, riteniamo che in tal caso sia comunque giunto in aiuto dell’interprete (alias: nella specie, del giudice) anche un elemento estrinseco alla scheda testamentaria, ossia l’atto di permuta, nella sua materialità, per il tramite del quale sarebbe possibile, in astratto, evincere sia la data esatto dell’atto medesimo, sia, ragionando di conseguenza, del testamento del Cambise, sicché ictu oculi si potrebbe asserire come il testatore si riferisse non già all’anno 1880, bensì al 1881. Tale considerazione, se a tutta prima non parrebbe far germogliare dubbio alcuno, a nostro avviso, come peraltro ha pósto in luce esemplarmente il Ricci (ivi, 378 s.), è da raddrizzare un poco. Più precisamente, il fatto che il testatore abbia indicato, involontariamente e per mero errore, l’anno 1880 anziché il 1881, risulterebbe evidente solo in una circostanza, vale a dire qualora il testatore fosse dipartito nel medesimo 1881. In altri termini, se è vero, com’è vero, che l’atto di permuta, cui faceva riferimento il Cambise, dimostrasse certamente come il testamento olografo di quest’ultimo non potesse essere stato steso nell’anno 1880, è altrettanto vero come siffatto atto non fugasse il dubbio sul fatto che il testamento fosse stato scritto proprio il 21 gennaio 1881, poiché, pur volendo mantenere fermi il giorno e il mese, l’anno poteva benissimo essere tanto il 1881, quanto il 1882 o il 1883, etc., qualora il testatore fosse dipartito, per fare un esempio, nel 1885. Sicché, è necessario il concorso di un altro elemento nel caso riportato, «che renda certo il millesimo». Elemento che, in linea teorica, ben potrebbe essere individuato dalla morte del testatore: se egli fosse dipartito prima del 21 gennaio 1882, allora, ça va sans dire, l’anno in cui il testamento è stato fatto non potrebbe che essere il 1881, escludendo la morte, per un’ovvia evidenza, che il testatore si riferisse al 1882. Ma se il testatore, ipotizziamo, fosse morto dopo il 21 gennaio 1882, e non si abbiano altri elementi, fuori dell’atto di permuta, per individuare l’effettiva data (l’anno, nella specie), il testatore ben avrebbe allora potuto stendere il proprio testamento sia nel gennaio del 1881, sia nel gennaio del 1882, etc. Tale incertezza, pertanto, fa sì che il testamento debba considerarsi privo della data (F. Ricci, op. cit., 379), poiché non è punto agevole rettificare quest’ultima, con la dovuta precisione. 91 E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 18; V. Vitali, op. cit., 157. Escludono il ricorso agli elementi estrinseci, o comunque paiono non darvi alcun rilievo, al fine di rettificare la data, Cass., 22 settembre 2017, n. 22197, cit.; Cass., 23 maggio 2016, n. 10613, cit.

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Giurisprudenza

te in rerum natura92, cui il testatore ha voluto agganciare, talvolta ancorché indirettamente, l’indicazione della data; donde, si dimostra uno stretto rapporto, quasi imprescindibile, fra elementi interni ed elementi esterni al testamento93.

4. Osservazioni conclusive. Volendo in toto applicare, al caso de quo, i princìpi sopra enunziati, addiveniamo ora alle dovute considerazioni risolutive. Il testatore Calpurnio ha sì indicato una data impossibile, ma il medesimo ha altresì provveduto a cesellare, in seno alla propria scheda testamentaria, taluni elementi che per il giudice a quo sono risultati idonei a consentire la correzione (rectius: rettificazione) di quello che parrebbe essere un evidente errore materiale. Giova, ora, muovere con ordine. Pur volendo ammettere, come ha fatto il giudice torinese, che l’omissione dello zero (0), fra il due (2) e l’uno (1), derivi da una mera mancanza «riconducibile ad un’inesattezza grafica» – e atteso che il testatore ha altresì indicato il proprio anno di nascita («1940»), per cui è giustamente da escludersi la così detta data impossibile, perché anteriore alla natività del testatore94 – cosicché si debba ammettere la rettifica dell’anno (correttamente da intendersi come “2014”)95, non vediamo come si possa, per converso, rettificare il giorno («4»). Invero, chi si sentirebbe privo di tema di smentita ad affermare che il giorno, a cui il testatore intendesse effettivamente riferirsi, fosse il 14, sol perché quest’ultimo coincideva appieno con il mercoledì (dell’anno “2014”)? Noi, a vero dire, nient’affatto. Ragionando al contrario, si potrebbe asserire che l’errore materiale del testatore sia ricaduto non già sul numero «4», bensì sul nome del giorno, ossia «mercoledì». Scorgendo il calendario, invero, si nota sùbito come il 4 maggio, dell’anno 2014, fosse una domenica. Dal che, attesi gli elementi scolpiti nella scheda testamentaria, non si può con certezza sapere se il testatore abbia errato ad indicare il numero («4») oppure abbia invece errato rispetto al nome del giorno («mercoledì»)96.

92

R. Nicolò, op. cit., 118. V. retro, § 2. 94 V. retro, nt. 43. 95 Sul punto, si veda l’aderente esempio figurato da Giu. Azzariti, op. cit., 392. 96 Un acconcio esempio, rispetto a quanto abbiamo asserito, può individuarsi nel caso descritto, e commentato con finezza di pensiero, da F. Ricci, op. cit., 379 e 380 s. Più precisamente, si supponga che il testamento sia stato datato con l’indicazione del 31 settembre di un anno β. Evidentemente, il mese di settembre è costituito da trenta giorni, e non già trentuno. Qui, volendo ragionare similmente a come ha ragionato il giudice del merito nel caso da noi commentato, si potrebbe affermare che il testatore, con l’indicazione del giorno numero 31, avesse inteso riferirsi all’ultimo giorno del mese di settembre, quindi al 30 settembre (si porrebbe dunque in essere una rettificazione dell’errore materiale). Ma, si badi, siamo certi che il testatore intendesse fare riferimento proprio all’ultimo giorno del mese di settembre? Oppure l’errore, in cui è incorso il testatore, ricade non già sul giorno, bensì sull’indicazione del mese? Se il testatore, difatti, avesse inteso fare riferimento proprio al giorno 31, ma non del mese di settembre? Com’è stato giustamente pósto 93

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Marco Ramuschi

La cancellatura97 posta dinnanzi al numero «4» potrebbe far propendere ora nel senso dell’incertezza del testatore rispetto al numero del dì – Calpurnio potrebbe davvero aver scritto, in principio, il numero “14”, ma poi, non ricordando il numero del giorno con precisione, come ritiene essere accaduto il giudice a quo, abbia effettuato una correzione materiale, pur volendo intendere sempre il giorno “14” – ora nel senso che l’errore materiale del testatore sia per converso ricaduto non già sull’aspetto meramente numerale, bensì sul nome, ossia sul «mercoledì»: il giorno 4, del mese di maggio dell’anno 2014, era una domenica, sicché chi può escludere che il testatore abbia modificato il numero 14, facendo sì che il giorno indicato fosse il 4, sol perché, effettivamente, il giorno in cui Calpurnio si trovava a stendere le proprie ultime volontà era “domenica”? Evidentemente, nessun elemento. Il testatore ben potrebbe aver modificato il numero del giorno, e non già anche il relativo nome, per una mera dimenticanza dovuta, per esempio, a distrazione98. Le medesime considerazioni, ça va sans dire, valgono qualora s’ipotizzi che il testatore abbia scritto, dinnanzi al numero “4”, il numero “2”, indicando pertanto il giorno “24” maggio (2014), che era un sabato. In altri e più secchi termini: come si può essere certi che l’errore del testatore cadde sul numero del giorno («4») e non, per converso, sul rispettivo nome («mercoledì», in luogo di “domenica”, o eventualmente di “sabato”)?

in luce dal Ricci (Id., op. cit., 380), non può affatto affermarsi – con la necessaria certezza che si richiede in un caso di tal fatta – che il mese, a cui il testatore abbia inteso fare riferimento, fosse proprio il mese di settembre, dacché il giorno 31, di questo mese, non trova alcun riscontro nel calendario gregoriano. A ben vedere, la soluzione, secondo la quale il mese a cui il testatore intese riferirsi fosse effettivamente il mese di settembre, sarebbe valida tanto quella che, diversamente, volesse prendere in considerazione il giorno: se il testatore, invero, avesse steso il proprio testamento il giorno 1 ottobre, ma, errando, avesse creduto che il mese di settembre si componesse di 31 giorni, anziché di 30, ed abbia perciò indicato il giorno numero 31 (del mese di settembre), in luogo del giorno numero 1 (dell’effettivo mese di stesura del testamento, ossia ottobre)? Prospettando anche quest’ultima soluzione, evidentemente, non è affatto facile fugare il dubbio, ossia se il testamento sia stato scritto l’ultimo giorno del mese di settembre (cioè a dire il 30), oppure il primo giorno del mese di ottobre (cioè a dire l’1); sicché, permanendo l’incertezza, come del resto nel caso sottoposto al giudizio del Tribunale torinese, allora il testamento dovrebbe, a nostro parere, considerarsi – giusta l’art. 606, co. 2, c.c. – annullabile (al contrario, nullo, all’epoca, ex art. 804 c.c. 1865). Un caso analogo, anch’esso individuato in una pronunzia giurisprudenziale, è indicato da E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 19 (nt. 3). La pronunzia indicata (App. Brescia, 23 gennaio 1873, riportata dal medesimo A.), a ben scorgere, addiviene alle medesime considerazioni che abbiamo testé prospettate. In particolare, tenendo fermo il caso poc’anzi descritto, riteniamo opportuno qui riportare parte del testo della pronunzia: «[…] poichè, se puossi ammettere come regola generale che l’errore in uno degli elementi componenti la data possa essere rettificato cogli altri elementi della data medesima, intorno ai quali non si abbiano prove, o dubbio di errare […], l’erroneità della indicazione del giorno rende dubbia necessariamente ancora la verità dell’indicazione del mese; poichè, dal momento che trovasi indicato un giorno, che nel settembre non è, e che invece è soltanto nella più parte degli altri mesi dell’anno, sorge naturalmente anche il dubbio, se l’errore sia veramente caduto nella indicazione del giorno, ovvero in quella del mese. Inoltre, come può essere vero che il [testatore] abbia testato l’ultimo di settembre, indicandolo, per inavvertenza, o per un error[e] materiale grafico, pel trentunesimo, può egualmente essere vero che abbia testato nel primo giorno di ottobre, erroneamente da lui creduto per l’ultimo ed il 31 di settembre; come potrebbe essere che, ritenuta per non errata l’indicazione del settembre, abbia testato il 21, scrivendo erroneamente il 31; errore che avviene sovente anche ai più attenti, quando le date si enunciano soltanto in cifre numeriche, e non anche in lettere. Se tutti codesti dubbi adunque sono possibili e non esclusi con certezza, come non sono, nè dal contesto del testamento, nè dagli altri elementi che costituiscono la data, evidentemente l’asserzione, che la data 31 settembre debba aversi per certa nel 30 dello stesso mese, è del tutto infondata […]». 97 Che, ovviamente, per ovvie ragioni presumiamo essere stata effettuata dallo stesso testatore, e non già da un terzo. Sul punto, v. E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 12 e 13; Giu. Azzariti, op. cit., 391; P. Boero, op. cit., 788. 98 Sul punto, per alcune cause determinanti l’errore, v. V. Vitali, op. cit., 122.

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Giurisprudenza

Gli elementi incastonati nella scheda testamentaria, a nostro avviso, non sono sufficienti per fugare questo grosso dubbio, il quale dunque non è perento100; sicché, seppur ci doglia molto affermarlo – dacché l’interprete, in ossequio al favor testamenti, deve sempre cercare di garantire il negozio testamentario, quindi la volontà del testatore, la quale «s’infutura»101 –, il testamento dovrebbe essere dichiarato annullabile per difetto di data: vi sarebbe un’evidente contraddizione, vale a dire una data contraddittoria102, tra il nome del giorno, ossia «mercoledì», e il numero «4», del mese di maggio. A tale antinomìa, posti gli elementi intrinseci e peccando il riferimento ad altri elementi estrinseci al testamento, l’interprete, a nostro credere, non può proprio porvi rimedio alcuno. A ragionare diversamente, ossia facendo propria la tesi103 secondo la quale, qualora non sorgessero particolari questioni (arg. ex art. 606, co. 3, secondo periodo), la data ben potrebbe essere anche erroneamente (o in modo incompleto) indicata, allora anche una data contradditoria, com’è nel caso de quo, potrebbe considerarsi irrilevante: la data, tutto sommato, si potrebbe affermare, è stata indicata da Calpurnio, quindi il dettato dell’art. 606 c.c. è stato rispettato; inoltre, non sorgono, come visto dalla pronuncia, particolari questioni di capacità, per cui, in teoria, nulla quaestio: il testamento sarebbe valido. Tuttavia, qualora si arrivasse ad affermare ciò, indirettamente si affermerebbe il principio per cui la data, al di fuori dei casi in cui è ammessa la prova della propria falsità, potrebbe essere pacificamente apposta in modo erroneo (indi addirittura in modo falso104); ciò, a nostro avviso, non è ammissibile. Volendo volutamente ripeterci, e per conchiudere, affermiamo come una data apposta in modo erroneo (impossibile, contradditoria, etc.), la quale non possa essere in alcun modo rettificata dal giudice, sia sic et simpliciter da considerarsi tamquam non esset, quindi come non apposta105: ergo, è evidente il conflitto con l’art. 602 c.c., sicché trova piena attuazione il disposto dell’art. 606, co. 2, c.c. 99

99

Cfr. E. Pacifici-Mazzoni, op. cit., 18, V. Vitali, op. cit., 149. Sul punto, v. F. Ricci, op. cit., 380 s.; V. Vitali, op. cit., 149; F. Degni, op. cit., 429 s.; Giu. Azzariti, op. cit., 392. 101 Espressione, questa, presa sommessamente a mutuo da F. Filomusi Guelfi, Enciclopedia giuridica, Napoli, 1917, VII ed., 431. 102 V. retro, § 2. 103 V. retro, nt. 42. 104 V. retro, ntt. 42 e 61. 105 Al riguardo, per una migliore comprensione, un esempio – che prende le mosse da un caso, realmente accaduto, descritto da F. Degni, op. cit., 426 – può giovare: il notaio Perseo stese il proprio testamento olografo, conchiudendo le proprie disposizioni in tal guisa: “Il presente testamento è stato di mio pugno scritto e sottoscritto in questo giorno, martedì, nove del mese di luglio, nella città di Micene”. Siffatto testamento, una volta dipartito Perseo, veniva impugnato, poiché la data era incompleta, difettando l’indicazione dell’anno. Il Tribunale riteneva nullo il testamento, ma la Corte d’appello lo dichiarava, al contrario, valido, asserendo che, essendo Perseo deceduto nel novembre del 1896, il testamento non poteva essere stato scritto il giorno 9 luglio di codesto anno, dacché in quell’anno il giorno 9 luglio non ricadeva nel giorno di martedì, come invece indicato dal testatore, né poteva essere stato steso in un anno precedente al 1866, ove il 9 luglio sarebbe conciso con il giorno di martedì, poiché in quel tempo, vigendo il Codice sardo, non era ammesso l’istituto del testamento olografo, e, per giunta, rilevava la Corte, non poteva supporsi che un notaio, quale appunto era Perseo, avesse testato in una forma non riconosciuta dalla legge. Donde, chiosava la Corte, il testamento era da intendersi scritto nel luglio 1867, anno in cui il giorno 9 luglio collimava con il martedì indicato dal testatore. La Corte, per giunta, adduceva, a sostegno della propria decisione, il fatto che nel testamento veniva dichiarato che i coniugi Tizio e Tizia, istituiti eredi da Perseo, fossero creditori di Lire 10.000, per non aver, il testatore, mai pagato ad essi il salario promesso di Lire 30 mensili, salario dovuto dall’anno 100

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Marco Ramuschi

D’altra parte – volendo chiosare con le parole, che sommessamente ci permettiamo di prendere a mutuo, messe per iscritto da illustre giurista106 –, l’apporre ad un atto una data, «non significa indicare un qualsiasi momento di tempo, ma quel momento, e soltanto quel momento, nel quale l’atto è stato effettivamente redatto». Marco Ramuschi

1840, in cui i coniugi iniziavano a prestare il proprio servizio; di qui, la Corte addiveniva ad affermare che la predetta somma di Lire 10.000 doveva essere intesa come la somma dei salari calcolati dall’anno 1840 all’anno 1867 (somma, appunto, che, quale risultato, dava 10.000 circa). In tal modo, si asseriva, la data del testamento restava integrata in tutta la sua certezza e precisione. Di poi, però, la Cassazione di Torino annullava questa sentenza, asserendo che per data del testamento si dovesse intendere l’accertamento del giorno, del mese e dell’anno in cui il medesimo è stato confezionato, accertamento che deve basarsi sulla formula letterale appositamente utilizzata dal testatore, e non già mercé indizi o congetture, sia pure desumibili dallo stesso testamento, né sulla scorta di ragionamenti meramente soggettivi, fondati su una mera logica deduttiva, del giudice. In un caso di tal fatta, pare evidente come la data, a nostro avviso, non sia rettificabile (melius: difettando in toto la precisazione dell’anno, “integrabile”), poiché l’anno non è punto stato apposto: gli indizi che ha utilizzato la Corte d’appello ci paiono irrilevanti ai fini della determinabilità della data. Ripetendoci, riteniamo che in assenza di un’espressa indicazione, da parte del testatore, quantomeno di fatti tramite i quali sia possibile determinare, per relationem, la data, questa debba intendersi come non apposta (tamquam non esset). 106 M. Allara, Principî di diritto testamentario, cit., 85.

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Giurisprudenza Cass. civ., sez. II, 21 gennaio 2020, n. 1202; Petitti Presidente – Varrone Relatore Coniugi (rapporti patrimoniali tra) – Procedura di negoziazione assistita – Accordo di separazione consensuale comprensivo del trasferimento di diritti immobiliari – trascrizione – Autenticazione del verbale di accordo da parte di pubblico ufficiale a ciò autorizzato – Necessità In tema di procedura di negoziazione assistita tra avvocati, ogni qualvolta l’accordo stabilito tra i coniugi, al fine di giungere ad una soluzione consensuale della separazione personale, ricomprenda anche il trasferimento di uno o più diritti di proprietà su beni immobili, la disciplina di cui all’art. 6, d. l. n. 132/2014, conv. dalla l. n. 162/2014, deve necessariamente integrarsi con quella di cui all’art. 5, comma 3, del medesimo d. l. n. 132, con la conseguenza che, per procedere alla trascrizione dell’accordo di separazione contenente anche un atto negoziale comportante un trasferimento immobiliare, è necessaria l’autenticazione del verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, ai sensi del suindicato art. 5, comma 3.

(Omissis)

sottoscrizioni di due coniugi in calce al verbale

Fatto

dell’accordo di separazione personale concluso

Il notaio (…) proponeva reclamo avverso la

ai sensi dell’art. 6 d.l. n. 132 del 2014, conver-

decisione (…) emessa dalla (…), con la quale,

tito in legge n. 162 del 2014, che conteneva la

previa concessione delle circostanze attenuanti

regolamentazione degli aspetti personali della

di cui all’articolo 144 l. n. 89 del 1913 (di seguito

separazione riguardanti i coniugi, l’affidamento

legge notarile o 1. n.), erano state irrogate pluri-

condiviso del figlio minore di età, la determina-

me sanzioni pecuniarie: euro 45 per la violazione

zione dell’assegno mensile dovuto dal marito per

dell’articolo 62 l. n., che impone l’iscrizione de-

il mantenimento del minore, il trasferimento in

gli atti al repertorio; euro 5000 per la violazio-

favore della moglie della proprietà della quota di

ne dell’articolo 72 1.n., che disciplina le forme

metà dell’immobile adibito a casa coniugale, die-

dell’autentica, e dell’articolo 138, lett. c), l. n. che

tro corrispettivo della somma di euro 12.000 con

sanziona la negligenza del notaio nella conser-

accollo dell’obbligo di pagamento del mutuo ipo-

vazione degli atti; euro 5000 per la violazione

tecario, la previsione dell’obbligo della moglie di

dell’articolo 147, lettera a), l. n. per avere il notaio

curare la trascrizione del verbale presso l’agenzia

(…) compromesso il decoro e il prestigio della

del territorio servizio di pubblicità immobiliare.

funzione notarile. La vicenda trae origine dall’autentica delle

In calce alla scrittura privata con la firma dei coniugi autenticata dagli avvocati, il notaio (…)

399


Giurisprudenza

aveva posto la propria autentica con una forma

e il prestigio della classe notarile. Il ruolo del

identica a quella in uso per l’autentica formale

notaio nella negoziazione assistita, infatti, è fina-

prevista dall’articolo 72 l. n. con lettura alle par-

lizzato alla trascrizione dei negozi di trasferimen-

ti della scrittura dell’orario di sottoscrizione, ma

to immobiliare e l’agire del notaio (…) era stato

senza il numero di repertorio e il numero di rac-

sbrigativo, sintomatico dell’intento di accaparra-

colta.

mento di clientela malgrado il discredito che tale

Ciò in quanto, secondo la tesi del notaio, si

condotta determini alla funzione notarile.

trattava di un’autentica cosiddetta minore per la

La Corte d’Appello di Venezia rigettava in-

quale non era necessario il controllo di legali-

tegralmente il reclamo proposto. In particolare,

tà dell’atto. Successivamente il 24 giugno 2016 il

quanto alle contestazioni circa la regolarità della

pubblico ministero rilasciava la propria autorizza-

procedura la Corte d’Appello rilevava che l’ini-

zione ma il conservatore rifiutava la trascrizione

ziativa del procedimento disciplinare spettava

del verbale di accordo dandone notizia al consi-

formalmente al presidente del consiglio notarile

glio notarile.

del distretto in cui è iscritto il notaio ma in so-

Dopo la convocazione, nel corso della qua-

stanza spettava al consiglio notarile che poteva

le il consiglio notarile aveva contestato al notaio

delegare anche uno dei consiglieri. Il consiglio

(…) l’illegittimità del suo comportamento, il no-

notarile di (…) aveva delegato il notaio (…). La

taio reclamante aveva ricevuto, in data 28 set-

delega, dunque, era stata conferita dall’organo

tembre 2016, un atto notarile di trasferimento,

collegiale titolare della legittimazione a chiede-

in forza del quale il marito cedeva alla moglie i

re l’avvio del procedimento disciplinare e non

propri diritti sull’abitazione familiare in conformi-

dal suo presidente anche in ragione dell’even-

tà all’obbligo assunto nell’accordo del 17 giugno

tualità che quest’ultimo potesse essere chiamato

2016. L’atto in questione veniva trascritto il 29

a rendere informazioni sui fatti da lui personal-

settembre 2016.

mente appresi. La volontà dell’organo collegiale

La commissione regionale di disciplina aveva

era stata espressa unanimamente e l’espressione

ritenuto la condotta del notaio come colpevole

contestata dalla reclamante era frutto di una ver-

inadempimento delle modalità con cui doveva

balizzazione necessariamente sintetica.

essere effettuata, ai fini dell’articolo 2657 c.c.,

L’interpretazione degli articoli 5 e 6 del d.l.

l’autentica richiesta dall’art. 5, comma 3, l. n. 162

n. 132 del 2014 e degli artt. 2657 e 2703 c.c. era

del 2014.

coerente con la funzione del notaio che, anche

Il notaio aveva effettuato un’autentica del ver-

nel procedimento di negoziazione assistita, deve

bale dell’accordo di separazione senza rispettare

autenticare la sottoscrizione degli accordi aventi

le modalità previste dall’articolo 72 l. n. e senza

ad oggetto trasferimenti immobiliari, esercitando

procedere all’iscrizione a repertorio, alla conser-

i tradizionali controlli di legalità per assicurare

vazione dell’atto a raccolta e senza neanche cu-

certezza nella circolazione dei beni immobili.

rarne la trascrizione atteso che tale incombente

Nella specie era pacifico che il notaio (…)

era stato espressamente posto a carico di uno dei

avesse autenticato il verbale recante l’accordo di

coniugi.

separazione consensuale in maniera difforme da

Tale condotta integrava oltre alla violazione

quella prevista dagli articoli 2703 c.c. e 72 legge

degli artt. 62, 72 e 138, lett. c), l. n. anche una

notarile e, ai fini della trascrizione, dall’articolo

grave violazione dell’articolo 147, lettera a), della

2657 c.c.

medesima legge, avendo compromesso il decoro

400

Del resto, non poteva trovare accoglimento la


Remo Trezza

tesi difensiva secondo la quale si trattava comunque di un’autentica cosiddetta minore che non necessitava del cosiddetto controllo di legalità.

Il consiglio notarile distrettuale di Rovigo ha resistito con controricorso. Diritto

A parere della Corte d’Appello, trattandosi di

Il primo motivo di ricorso è così rubricato:

un atto di trasferimento immobiliare era neces-

violazione ex articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c.

saria l’autentica ex articolo 72 legge notarile che

degli artt. 153 e 155 legge notarile per avere la

impone al notaio il controllo di legalità, essendo-

Corte d’Appello di Venezia ritenuto idonea la de-

gli vietato di ricevere e autenticare atti espressa-

lega al consigliere notaio (…) a partecipare in

mente proibiti dalla legge, manifestamente con-

luogo del presidente del consiglio notarile di (…)

trari al buon costume e all’ordine pubblico ex

notaio (…), al procedimento disciplinare a carico

articolo 28 l. n.

della ricorrente avanti la (…) con conseguente

Tale obbligo, dunque, comportava il conseguente obbligo di iscrizione dell’atto nel reperto-

nullità del provvedimento disciplinare e del decreto emesso dalla Corte d’Appello di Venezia.

rio ex articolo 62 l. n. di conservazione e raccolta

A parere del ricorrente la possibilità per il pre-

ex articolo 138 della medesima legge, nonché

sidente del consiglio notarile di conferire delega

quello di effettuare la trascrizione nel più breve

di rappresentanza ad altro consigliere, peraltro

tempo possibile ex articolo 2671 c.c.

sulla base di un ragionamento di pura opportu-

Il notaio non aveva adempiuto a tali obblighi

nità, senza alcun riferimento normativo è erronea

incorrendo negli illeciti disciplinari contestati, in

ed è anche smentita dalla presenza a due udien-

quanto solo a seguito della ripetizione dell’atto di

ze del procedimento disciplinare del presidente

trasferimento a oltre tre mesi dal rilascio dell’au-

(…) contro il notaio (…).

torizzazione da parte del pubblico ministero, ave-

La delega conferita al suddetto consigliere

va proceduto alla trascrizione del verbale dell’ac-

violerebbe apertamente l’articolo 90, secondo cui

cordo di separazione personale.

in mancanza del presidente e del segretario, ne

Peraltro, il fatto che mancasse l’autorizzazione

faranno rispettivamente le veci il più anziano ed

del pubblico ministero non rilevava perché pote-

il meno anziano in ufficio fra i membri del Con-

va essere indicata come condizione.

siglio.

Infine, la condotta del notaio aveva anche compromesso il decoro e il prestigio della classe notarile, violando l’articolo 147, lettera a), l. n.

Sicché sarebbe del tutto inconferente il richiamo agli articoli 153 e 155 legge notarile. II motivo è infondato.

Il notaio, infatti, aveva disatteso le regole fon-

Il procedimento disciplinare a carico dei no-

damentali poste a tutela del principio di autenti-

tai è stato radicalmente innovato a seguito del

cità del titolo e della trascrizione e aveva posto

d.lgs. 1° agosto 2006, n. 249 (Norme in materia

in essere plurime violazioni nella formazione del

di procedimento disciplinare a carico dei notai,

titolo, costituendo un elemento di sicura valenza

in attuazione dell’articolo 7, comma 1, lettera e),

dimostrativa della compromissione del decoro e

della l. 28 novembre 2005, n. 246) che ha previsto

del prestigio della classe notarile, atteso l’inne-

numerose modifiche della l. n. 89 del 1913 (legge

gabile svilimento della funzione del notaio agli

notarile) in particolare riguardo alle sanzioni di-

occhi delle parti e anche del conservatore.

sciplinari e al relativo procedimento.

Il notaio (…) ha proposto ricorso per cassa-

L’art. 153 della l. n. 89 del 1913 prevede che:

zione avverso la suddetta ordinanza sulla base di

“L’iniziativa del procedimento disciplinare spet-

sette motivi.

ti: a) al procuratore della Repubblica presso il

401


Giurisprudenza

Tribunale nel cui circondario ha sede il notaio ovvero nel cui circondario il fatto per il quale si procede è stato commesso; b) al presidente del Consiglio notarile del distretto nel cui ruolo è iscritto il notaio ovvero del distretto nel quale il fatto per il quale si procede è stato commesso; c) al capo dell’archivio notarile territorialmente competente per l’ispezione di cui all’articolo 128, limitatamente alle infrazioni rilevate durante le ispezioni di cui agli articoli 128 e 132 o nel corso di altri controlli demandati allo stesso capo dell’archivio dalla legge, nonché al conservatore incaricato ai sensi dell’articolo 129, comma 1, lettera a), secondo periodo”. Ai sensi degli art. 93, 93 bis e 93 ter l. n. è consentita la più ampia facoltà istruttoria in capo al Consiglio o al suo Presidente per delega dello stesso, come il potere di “assumere informazioni presso le amministrazioni e gli uffici pubblici” o anche la possibilità di “richiedere informazioni a soggetti privati”, cosi come l’audizione dell’incolpato. Il comma 2 del citato art. 153 l. n. prevede che: “Il procedimento è promosso senza indugio, se risultano sussistenti gli elementi costitutivi di un fatto disciplinarmente rilevante. Nella richiesta di procedimento l’organo che lo promuove indica il fatto addebitato e le norme che si assumono violate e formula le proprie conclusioni”. La censura relativa alla violazione dell’art. 153 l. n., pertanto, si rivela del tutto infondata, in quanto correttamente la Corte d’Appello ha richiamato tale norma riferendola alla diversa fase dell’iniziativa disciplinare, distinguendola dalla fase successiva del procedimento cui si riferiva, invece, la delibera con la quale il consiglio notarile di (…) aveva delegato un suo componente a rappresentarlo dinanzi alla Commissione Regionale di disciplina. A tal proposito giova precisare che la (…) ex art. 148 l. n., è un organo amministrativo e non giurisdizionale, sicché in tale fase deve farsi applicazione delle regole del procedimento ammi-

402

nistrativo e non di quelle processuali. In tale fase del procedimento disciplinare, successiva all’incolpazione, l’art. 155 l. n. prevede che il Presidente della Commissione assegni il procedimento al collegio nei cinque giorni successivi al ricevimento della richiesta, designi il relatore e dia immediato avviso dell’inizio del procedimento all’organo richiedente e, se diverso, al consiglio notarile del distretto in cui il notaio ha sede, nonché al notaio incolpato. Il presidente del collegio, entro i quindici giorni successivi alla scadenza del termine per presentare la memoria fissa la data per la discussione, che deve aver luogo nei successivi trenta giorni, e ne dà avviso alle parti almeno venti giorni prima. A sua volta il successivo art. 156 bis l. n. stabilisce che: “il notaio può comparire personalmente o a mezzo di procuratore speciale munito di procura rilasciata con atto pubblico o scrittura privata autenticata anche dal difensore. Il notaio può farsi assistere da un altro notaio, anche in pensione, o da un avvocato nominato anche con dichiarazione consegnata alla Commissione dal difensore. Il presidente del consiglio notarile ed il conservatore dell’archivio notarile possono farsi assistere da un avvocato. La discussione si svolge in camera di consiglio e possono parteciparvi l’organo che ha proposto il procedimento, il notaio e i loro difensori, se nominati”. La procedura ora descritta, dunque, nella fase istruttoria ammette la possibilità di delega da parte del Consiglio dell’Ordine notarile al Presidente e per la discussione davanti alla (…) prevede che possa parteciparvi l’organo che ha proposto il procedimento, anche mediante l’assistenza di un avvocato. La ricorrente non precisa nel ricorso, se davanti la (…) il Consiglio dell’Ordine Notarile fosse rappresentato o meno da un avvocato o se fosse presente esclusivamente per mezzo del delegato del Presidente e non chiarisce quali attività si erano svolte nella due occasioni in cui


Remo Trezza

era presente il suddetto delegato e quale lesione al diritto di difesa la delega avrebbe comportato. In ogni caso, in disparte le ragioni di inammissibilità del motivo per difetto di specificità ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., deve affermarsi che non vi è alcun impedimento alla possibilità per il Presidente del Consiglio dell’Ordine Notarile di delegare per la partecipazione alla discussione davanti la (…) un altro componente del medesimo organo, qualora non abbia ritenuto di farsi rappresentare da un avvocato e che la Corte d’Appello di Venezia ha correttamente interpretato le norme che governano il procedimento disciplinare. Del tutto inconferente, infatti, è il richiamo all’art. 90 della legge notarile, che disciplina la differente ipotesi del funzionamento del Consiglio dell’Ordine Notarile in caso di mancanza del Presidente e del segretario, prevedendo che gli stessi siano sostituiti rispettivamente dal più anziano e dal meno anziano tra i membri del Consiglio. D’altra parte, anche in altri casi è espressamente prevista la facoltà di delega del Presidente del consiglio notarile ad altro componente dell’Organo (ad es. art. 39 l.n.). In conclusione, la delega in oggetto era del tutto legittima e mai avrebbe potuto inficiare la procedura amministrativa che si è svolta davanti la Commissione Regionale di disciplina, nel regolare contraddittorio tra le parti, senza alcuna lesione del diritto di difesa della ricorrente. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione ex articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c. dell’articolo 6, comma 3, l. n. 162 del 2014 disciplinante la negoziazione assistita in materia familiare per avere la Corte d’Appello di Venezia negato la qualità di tertium genus e negato l’autonoma causa familiare all’accordo raggiunto ai sensi dell’art. 6 l. n. 162 del 2014 dei coniugi (…) e autenticato, quanto alle sottoscrizione degli stessi, dal notaio (…) qualificandolo, invece,

come scrittura privata, con conseguente nullità dell’intera decisione impugnata. La ricorrente evidenzia che il legislatore ha distinto l’accordo raggiunto ai sensi dell’art. 5 l. n. 162 del 2014 con la procedura di negoziazione assistita e il medesimo accordo, raggiunto con la procedura ex art. 6 della medesima legge, in tema di separazione personale dei coniugi, cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione e divorzio. Tale accordo non ha carattere negoziale, nella procedura è previsto l’intervento del pubblico ministero e si producono gli effetti dei provvedimenti giudiziari. Non si tratta, dunque, di un atto notarile e non può nemmeno essere ricondotto ad una semplice scrittura privata, proprio perché, ex articolo 6 l. n. 162 del 2014, deve essere approvato dal pubblico ministero ed equivale a un provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria. Peraltro, l’articolo 5, comma 3, l. n. 162 del 2014, che si applica anche agli accordi di negoziazione assistita in materia familiare, prevede che in caso di trasferimento immobiliare il pubblico ufficiale debba autenticare la sottoscrizione del processo verbale. Dunque, al pubblico ufficiale è richiesta la sola autenticazione delle sottoscrizioni ossia l’autentica cosiddetta minore. Il suddetto accordo non può essere assimilato ad un titolo stragiudiziale quale potrebbe essere un’ordinaria scrittura privata e, dunque, vi sarebbe stata violazione dell’art. 6, comma 3, l. n. 162 del 2014. Infine, trattandosi di un provvedimento equiparato a quello giudiziale, non troverebbe applicazione neanche l’articolo 2671 c.c. che prevede che il pubblico ufficiale curi nel più breve tempo possibile la trascrizione dell’atto che riceve. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione ex articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dell’art. 5, comma 2, della l. n. 162 del 2014 in materia di negoziazione assistita per avere la Cor-

403


Giurisprudenza

te d’Appello di Venezia inteso attribuire al notaio (…) gli obblighi di controllo di legalità in ordine all’accordo raggiunto dai coniugi a seguito della negoziazione assistita, nonostante la norma suindicata attribuisca espressamente tale funzione agli avvocati delle parti. L’art. 5, comma 2, l. n. 162 del 2014 prevede che gli avvocati certifichino l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico, tale norma si lega, a parere della ricorrente, al successivo comma 3 che prevede che all’autentica debba provvedere «un pubblico ufficiale a ciò autorizzato» che, pertanto, non necessariamente deve essere un notaio ma anche un cancelliere o un segretario comunale che, dunque, non avrebbe alcun obbligo di controllo di legalità. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione ex articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c. dell’art. 5, comma 3, della l. n. 162 del 2014 in materia di negoziazione assistita per avere la Corte d’Appello di Venezia erroneamente identificato il pubblico ufficiale indicato nella predetta norma con la sola categoria del notaio. L’art. 5, comma 3, fa riferimento al pubblico ufficiale in relazione all’autentica della sottoscrizione del processo verbale di accordo mentre la Corte d’Appello, nel provvedimento impugnato, afferma che tale attività è riservata al notaio e che dunque non si può considerare un caso di autentica c.d. minore. Pertanto, il notaio, avendo agito in qualità di mero pubblico ufficiale, non aveva l’onere di rispettare le norme della legge notarile, quali gli artt. 62 e 72 e 138, lett. c), e 147, lett. a), della legge notarile. I motivi secondo, terzo e quarto che, stante la loro evidente connessione, possono essere trattati congiuntamente, sono infondati. In sintesi, la ricorrente ritiene di essersi limitata ad un’autentica minore senza ricevere alcun atto notarile e, pertanto, di non avere alcun ob-

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bligo di controllare la legalità – formale e sostanziale – del verbale di accordo comportante il trasferimento immobiliare sottoscritto dai coniugi nell’ambito della convenzione conclusa in sede di negoziazione assistita per la loro separazione consensuale, e conseguentemente di non aver alcun obbligo di iscrizione del medesimo verbale a repertorio, di metterlo a raccolta e, tantomeno, di provvedere alla celere trascrizione dello stesso. La tesi della ricorrente non può essere condivisa. Il d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche dalla 1. 10 novembre 2014, n. 162, ha introdotto nel nostro ordinamento la c.d. procedura di negoziazione assistita da avvocati, nuovo strumento di composizione amichevole delle liti (capo II del suddetto decreto). L’art. 5 dispone che l’accordo che compone la controversia venga sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono i quali certificano l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. Il comma 3 del citato art. 5 prevede che, quando le parti, con l’accordo, concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso è necessario che la sottoscrizione del processo verbale di accordo sia autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. La procedura di negoziazione assistita ricomprende anche la possibilità di addivenire a soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione e divorzio. L’art. 6 del d.l. n. 132 del 2014 delinea un procedimento articolato in più fasi, i cui tratti caratterizzanti sono da individuarsi nella necessaria presenza di almeno un avvocato per parte e nel coinvolgimento del Procuratore della Repubblica. In tal caso, il comma 3 dell’art. 6 prevede che l’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli


Remo Trezza

effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Nell’accordo si deve dare atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e che gli avvocati hanno informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. L’avvocato della parte è anche obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell’accordo munito delle certificazioni di cui all’articolo 5. Da quanto sopra riportato emerge che è lo stesso legislatore, nel disciplinare i poteri certificativi dell’avvocato nell’ambito della negoziazione assistita delle separazioni e dei divorzi, a fare rinvio a quanto dispone in materia l’art. 5, il quale, come si è detto, in caso di trasferimenti immobiliari prevede, ai fini della trascrizione dell’accordo, che la sottoscrizione del verbale sia autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Sicché, il combinato disposto dell’art. 5, comma 3, e dell’art. 6 del d.l. n. 132 del 2014, impone, per procedersi alla trascrizione dell’atto di trasferimento immobiliare (eventualmente) contenuto nell’accordo di separazione o divorzio, l’ulteriore autenticazione delle sottoscrizioni del processo verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, non potendosi riconoscere analogo potere certificativo agli avvocati che assistono le parti. Ciò anche in conformità con il disposto dell’art. 2657, comma 1, c.c., secondo cui «la trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente». Tale interpretazione è conforme all’orienta-

mento della giurisprudenza di questa Corte che ha costantemente affermato il carattere tassativo della disposizione di cui all’art. 2657 c.c. e che, con riferimento alla trascrivibilità dell’accordo di separazione che riconosca ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero ne operi il trasferimento a favore di uno di essi, ha ritenuto che tale accordo, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume forma di atto pubblico, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 cod. civ., e solo in quanto tale, dopo l’omologazione che lo rende efficace, costituisce, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 cod. civ. (Sez. 1, Sent. n. 4306 del 1997). Ne consegue che il fatto che l’accordo di separazione o cessazione degli effetti civili del matrimonio raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio non incide sulla necessità che, quando il suddetto accordo comprenda anche un atto di trasferimento immobiliare, ai fini della trascrizione, debba essere autenticato dal pubblico ufficiale a ciò preposto. Deve, infine, sottolinearsi che è infondata anche la prospettazione della ricorrente secondo la quale, poiché l’art. 5, comma 2, del d.l. n. 132 del 2014 attribuisce agli avvocati che certificano l’autografia delle firme l’obbligo del controllo della conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico, tale controllo di legalità formale e sostanziale dell’atto grava sui medesimi anche nelle ipotesi di cui al successivo art. 5, comma 3, e, in tali casi, il notaio non deve compiere alcun controllo, trovandosi in presenza di una c.d. “autentica minore”. Infatti, nel caso di trasferimento immobiliare, ai

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Giurisprudenza

fini della pubblicità immobiliare e della certezza nella circolazione giuridica dei beni, il legislatore ha ritenuto insufficiente sia il potere di certificazione e autenticazione delle firme sia il controllo di legalità da parte degli avvocati che procedono alla negoziazione assistita e, ha ribadito espressamente che, quando nell’accordo è compreso un contratto o un atto soggetto a trascrizione, è necessaria l’autenticazione del processo verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. La legge, infatti, non conosce deroghe espresse alla regola della previa autentica delle scritture private ai fini della trascrizione, in quanto la necessità di un controllo pubblico è principio essenziale e cardine del sistema della pubblicità immobiliare e del complesso sistema delle trascrizioni e delle intavolazioni diretto a garantire la certezza dei diritti. L’art. 2657, infatti, è strettamente correlato ad altre disposizioni del codice civile, quali quelle che attribuiscono la competenza al ricevimento degli atti pubblici, o all’autenticazione delle scritture private, al notaio o ad altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato (artt. 2699 e 2703 c.c.), e quella che impone al conservatore l’obbligo di rifiutare la trascrizione se il titolo non ha i requisiti prescritti dalla legge (art. 2674 c.c.). Tali norme sono, a loro volta, strettamente correlate con le disposizioni della legge notarile (l. 16 febbraio 1913, n. 89) e compongono un quadro normativo articolato da cui emergono i tratti caratterizzanti del sistema di pubblicità immobiliare, anche sotto il profilo delle condizioni cui è subordinata la trascrizione, di un determinato titolo, nei registri immobiliari. Ai fini della trascrizione dell’accordo, peraltro, ai sensi dell’art. 19, comma 14, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in legge 30 luglio 2010, n. 122 il notaio deve attestare la coerenza dei dati catastali con le risultanze dei registri immobiliari e con lo stato di fatto dell’immobile. I dati catastali, infatti,

406

costituiscono elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali del bene, rilevanti ai fini fiscali e l’omissione della dichiarazione di cui alla norma citata determina la nullità assoluta dell’atto, perché la norma ha una finalità pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale, conseguendone la responsabilità disciplinare del notaio, ai sensi dell’art. 28, primo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89. In conclusione, si deve affermare il seguente principio di diritto: «ogni qualvolta l’accordo stabilito tra i coniugi, al fine di giungere ad una soluzione consensuale di separazione personale, ricomprenda anche il trasferimento di uno o più diritti di proprietà su beni immobili, la disciplina di cui all’art. 6, d.l. n. 132 del 2014, conv. in l. n. 162 del 2014, deve necessariamente integrarsi con quella di cui all’art. 5, comma 3, del medesimo d.l. n. 132 del 2014, con la conseguenza che per procedere alla trascrizione dell’accordo di separazione contenente anche un atto negoziale comportante un trasferimento immobiliare, è necessaria l’autenticazione del verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, ai sensi dell’art. 5, comma 3». Da quanto detto discende la sussistenza dell’illecito disciplinare contestato, in quanto la ricorrente aveva l’obbligo di procedere nelle forme previste dall’art. 2703 c.c., con il conseguente obbligo di iscrizione dell’atto nel repertorio ex articolo 62 l. n. e di conservazione e raccolta ex articolo 72 l.n. 89 del 1913, nonché quello di effettuare la trascrizione nel più breve tempo possibile ex artt. 2643 e 2671 c.c. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. dell’art. 147, lettera a), l. n., in relazione all’art. 2671 c.c., per avere la Corte d’Appello di Venezia ritenuto che, con la propria condotta di vita pubblica o privata, il notaio (…) abbia compromesso il decoro ed il prestigio dell’intera classe notarile, con conseguente nullità del decreto della Corte


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d’Appello di Venezia, nella parte in cui ha confermato la sanzione ex articolo 147, lett. a), l. n. La ricorrente evidenzia che l’articolo 147 1.n. è una norma di chiusura del sistema volta a sanzionare una serie indifferenziata di comportamenti non previsti da altre norme e, quindi, condotte non tipizzate, sicché la mancata tenuta e raccolta dell’autentica in oggetto poteva essere sanzionata ex art. 137 legge notarile e non ai sensi dell’articolo 147, lett. a). Peraltro, nessuno svilimento del ruolo del notaio era stato posto in essere dalla ricorrente, sia nei confronti dei coniugi che avevano sottoscritto l’accordo di separazione, sia nei confronti del conservatore. La ricorrente aggiunge che, l’attività professionale non rientra nelle ipotesi di condotte tenute nella vita pubblica o privata e che l’atto è stato successivamente trascritto senza che la Corte ne tenesse conto. Non vi sarebbe stato, pertanto, alcun pregiudizio neanche potenziale nel comportamento del notaio che non è stato percepito all’esterno come travalicante il proprio ruolo. Il quinto motivo è infondato. La Corte d’Appello ha ritenuto con giudizio di merito sottratto al sindacato di questa Corte che la condotta della ricorrente abbia compromesso il decoro e il prestigio della classe notarile in quanto, sia pure in una sola occasione, il notaio ha agito in spregio dei più elementari canoni di diligenza professionale, disattendendo le regole fondamentali poste a tutela del principio di autenticità del titolo della trascrizione, la cui essenziale ragione risiede nell’esigenza di assicurare un adeguato controllo sulla legalità sostanziale dell’atto oltre che sulla capacità e legittimazione delle parti. Le plurime violazioni nella formazione del titolo della trascrizione riscontrate anche dal conservatore, oltre che dalle parti che si sono viste rifiutare la trascrizione, costituiscono, secondo la Corte d’Appello, un elemento di sicura valenza dimostrativa della compromissione del decoro e del prestigio della classe notarile, atteso l’innega-

bile svilimento della funzione del notaio. La motivazione ora riportata è immune dalle censure di violazione di legge lamentate dalla ricorrente che sostanzialmente con il motivo in esame richiede un’inammissibile rivalutazione in fatto circa l’effettiva capacità lesiva del prestigio e della funzione notarile riconducibile alla sua condotta. La Corte d’Appello, peraltro, ha tenuto conto anche del fatto che il notaio aveva eliminato le conseguenze dannose delle proprie azioni mediante la ripetizione dell’atto e la successiva trascrizione, sostituendo, ex art. 144 legge notarile, la sanzione della sospensione prevista dall’art. 147 con quella pecuniaria di euro 5000. Infine, il fatto che la compromissione del decoro e del prestigio della professione sia stata causata da comportamenti che costituiscono a loro volta illeciti disciplinari tipizzati non impedisce il concorso formale tra illeciti, essendo le norme sanzionatorie poste a presidio di beni giuridici distinti ed essendo plurime le violazioni contestate, sia pure nell’ambito di un’unica vicenda fattuale. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. degli artt. 62, 72 e 138, lett. c, l. n., in relazione agli artt. 5 e 6 della legge n. 162 del 2014 per avere la Corte d’Appello di Venezia applicato all’accordo di negoziazione assistita dei coniugi le norme della legge notarile relative alle scritture private raccolte o sottoscritte dal notaio, con conseguente nullità delle tre sanzioni confermate dal decreto della corte d’appello di Venezia ex artt. 62, 72 e 138 lett. c, l. n. 89 del 1913. A parere della ricorrente l’art. 6, comma 3, l. n. 162 del 2014 non comporta l’applicabilità degli artt. 62, 72 e 138, lett. c), della legge notarile, che presuppongono che il notaio sia chiamato a ricevere un atto pubblico, una scrittura autenticata o l’autentica di una scrittura privata. Si tratta, infatti, di un accordo equiparabile a un provvedimen-

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to dell’autorità giudiziaria. L’art. 138, lett. c), l. n. punisce il notaio che non conserva gli atti da lui ricevuti o presso di lui depositati mentre il notaio (…) non aveva ricevuto alcun atto pubblico o scrittura privata. II sesto motivo è infondato. La censura è ripetitiva di quelle proposte con i motivi secondo, terzo e quarto sicché vale quanto già esposto in relazione alle ragioni di infondatezza dei suddetti motivi, mentre per quanto attiene alla violazione dell’art. 138, lett. c), l. n. la censura è assorbita dall’accoglimento del settimo motivo di ricorso secondo quanto di seguito si dirà. Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. della sanzione ex articolo 138, lett. c, l. n., per avere la Corte d’Appello di Venezia applicato tale sanzione in relazione all’autentica cosiddetta minore apposta dal notaio (…), nonostante la sanzione per tale violazione sia prevista dall’art. 137, comma 1, l. n. e conseguente nullità della sanzione ex art. 138, lett. c), l.n. di euro 5000. L’art. 138, lett. c), legge notarile si riferisce alla più grave situazione della mancata custodia materiale dell’atto originale con conseguente perdita e definitivo smarrimento dello stesso o di un suo allegato per negligenza imputabile al notaio mentre quand’anche si volesse ritenere che l’autentica in oggetto non rivestiva la forma di autentica minore ma doveva necessariamente avere quella di autentica formale, essa presentava tutti i requisiti previsti ad eccezione dei numeri di repertorio e raccolta e dunque la fattispecie era eventualmente sanzionabile ai sensi dell’articolo 62 legge notarile e dell’art. 137, primo comma, medesima legge. II motivo è fondato. La norma citata, infatti, dispone che è punito con la sospensione da uno a sei mesi il notaio che non conserva, per negligenza, gli atti da lui ricevuti o presso lui depositati. Nel caso di specie, come si è detto, la con-

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dotta negligente del notaio, fondata sull’erroneo presupposto che il verbale di accordo autenticato non fosse un atto notarile, si è concretizzata nella diversa fattispecie dell’omessa iscrizione dell’atto a repertorio ex art. 62 legge notarile, nell’omessa tenuta a raccolta dello stesso, come imposto dall’art. 72 legge notarile per le scritture private autenticate soggette a pubblicità immobiliare. Tale condotta ricade nell’illecito disciplinare di cui all’art. 137 l. n. e non in quella di cui al successivo art. 138, lett. c), che presuppone che l’atto sia messo a raccolta dal notaio o sia depositato presso di lui e che, successivamente, venga distrutto o disperso per negligenza nella sua conservazione materiale. Nella specie, invece, la restituzione dell’atto ai coniugi ha realizzato l’illecito di cui all’art. 72 l. n. ma impedisce il sorgere dell’obbligo di conservazione materiale dell’atto. Una diversa interpretazione del rapporto tra i due illeciti, infatti, comporterebbe un’inammissibile sovrapposizione o concorrenza tra la violazione dell’art. 72, sanzionata dall’art.137, e l’omessa conservazione di uno o più atti per negligenza, di cui all’art. 138 lett. c.), in modo che al ricorrere della prima, ricorrerebbe sempre anche la seconda. In conclusione, la Corte accoglie il settimo motivo di ricorso, rigetta i restanti sei, cassa il provvedimento impugnato e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia, che dovrà rideterminare la sanzione alla luce dell’accoglimento del settimo motivo e che dovrà provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il settimo motivo, rigetta i retanti motivi di ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2a Sezione civile in data 11 luglio 2019.


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L’“enigma” sul ruolo del notaio nell’accordo di separazione “negoziato in assistenza” avente ad oggetto trasferimenti immobiliari* Sommario :

1. Ricostruzione fattuale della vicenda. – 2. Prima quaestio: validità della delega collegiale nei procedimenti disciplinari a carico dei notai. – 3. Seconda quaestio: natura giuridica dell’accordo di separazione ex art. 6, co. 3, l. n. 162 del 2014. – 4. Terza quaestio: l’obbligo di controllo legale sull’accordo. – 5. Quarta quaestio: la funzione del notaio. – 6. Le conseguenze disciplinari relative al notaio e possibile configurabilità della fattispecie di compromissione del decoro e del prestigio della classe notarile. – 7. Le fattispecie disciplinari coinvolte. – 8. Conclusioni.

This paper stems from the need to bring order to a central issue regarding the legal nature of the separation agreement pursuant to art. 6, co. 3, l. n. 162/2014, which introduced the so-called “assisted negotiation”, as a further method of dispute resolution. The separation agreement containing real estate transfer transactions is a real “notarial deed” and as such must be authenticated by the notary as public official and promoter/guarantor of the certainty of juridical traffic and transcribed according to the rules of the civil code. In the event that the notary fails to authenticate such an agreement, it would be subject to disciplinary sanctions provided for by the well-known notarial law of 1913. The writing, in the form of a note in the judgment, therefore tends to reconstruct the story placed at the lens of the Supreme Court and seeks, through a structural study of the questiones iuris addressed, to dwell on the function of the notary who will always remain the “tabellio” of our days.

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Il presente contributo è stato sottoposto a valutazione in forma anonima.

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1. Ricostruzione fattuale della vicenda. Un notaio proponeva reclamo avverso la decisione emessa dalla Commissione di disciplina, con la quale, previa concessione delle circostanze attenuanti di cui all’articolo 144, l. n. 89 del 1913, erano state irrogate plurime sanzioni pecuniarie a suo carico1. La vicenda trae origine dall’autentica delle sottoscrizioni di due coniugi in calce al verbale dell’accordo di separazione personale concluso ai sensi dell’art. 6, d. l. n. 132 del 20142, convertito in legge n. 162 del 20143, il quale conteneva sia la regolamentazione degli aspetti personali della separazione riguardanti i coniugi4, sia la regolamentazione degli aspetti patrimoniali, tra cui il trasferimento in favore della moglie della proprietà della quota di metà dell’immobile adibito a casa coniugale5. In calce alla scrittura privata con la firma dei coniugi autenticata dagli avvocati, il notaio aveva posto la propria autentica con una forma identica a quella in uso per l’autentica formale prevista dall’articolo 72 l. n. con lettura alle parti della scrittura dell’orario di sot-

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Le sanzioni irrogate erano fondate sulla violazione dell’articolo 62 l. n., che impone l’iscrizione degli atti al repertorio; dell’articolo 72 l. n., che disciplina le forme dell’autentica, e dell’articolo 138, lett. c), l. n. che sanziona la negligenza del notaio nella conservazione degli atti; dell’articolo 147, lettera a), l. n. per avere il notaio compromesso il decoro e il prestigio della funzione notarile. Per una prima ricostruzione dell’istituto in relazione alla funzione del notaio, si veda lo Studio n. 571-2016/C del Consiglio Nazionale del Notariato (CNN), Il ruolo del notaio nella negoziazione assistita della separazione e del divorzio, approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 22 novembre 2016 e approvato dal CNN il 15-16 dicembre 2016, il quale esordisce in tal senso: “Il presente studio si propone l’analisi degli aspetti legati alla negoziazione assistita in materia di separazioni e di divorzio, in quanto è frequente che la soluzione di una crisi coniugale richieda trasferimenti immobiliari tra i coniugi, a favore di figli o anche a favore di terzi, e, più in generale atti di disposizione immobiliare e, quindi, è d’indubbio interesse un’indagine su quale ruolo competa al notaio in questa nuova area di lavoro”. Sulla negoziazione assistita quale ADR (Alternative Dispute Resolution), ovvero quale metodo alternativo di risoluzione delle controversie, si veda, tra i tanti, A. Proto Pisani, Premesse generali (e una proposta), in Aa.Vv., Degiusrisdizionalizzazione e altri interventi per la deflazione dell’arretrato, in Foro it., 2015, V, 3 ss.; S. Chiarloni, Minime riflessioni critiche sul trasferimento in arbitrato e negoziazione assistita, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2015, 221 ss.; M.A. Lupoi, Separazione e divorzio, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2014, 283; A. Carratta, Le nuove procedure negoziate e stragiudiziali in materia matrimoniale, in Giur. it., 2015, 1290; P. Farina, La negoziazione assistita dagli avvocati, da praeambulum ad litem ad outsourcing della decisione del giudice, in Riv. dir. proc., 2015, 514 ss.; C. Consolo, La giustizia civile: quale volto dei nostri processi tra giurisdizione e ADR?, in Corr. giur., 2014, 1263 ss.; Id., Un d.l. processuale in bianco e nerofumo sullo equivoco della “degiurisdizionalizzazione”, ibidem, 1173 ss., F.P. Luiso, Le disposizioni in materia di separazione e divorzio, in Processo civile efficiente e riduzione dell’arretrato, a cura di Luiso, Torino, 2014, specie 33; S. Caporusso, Profili processuali delle nuove procedure consensuali di separazione personale e divorzio, in Riv. dir. civ., 2015, 711; D. Dalfino, La procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati, in Misure urgenti per la funzionalità e l’efficienza della giustizia civile (d.l. 12 settembre 2014, 132 convertito con modificazioni, in l. 10 settembre 2014 n. 162), a cura di Dalfino, Torino, 2015, specie 27 ss.; Id., La procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati, in www.treccani.it; M. Pilloni, L’ultima riforma della giustizia civile: la legge n. 162/2014 di conversione del d. l. n. 132/2014 e gli interventi di degiurisidizionalizzazione per l’eliminazione dell’arretrato civile (parte prima), in Studium iuris, 2015, 755 ss.; D. Borghesi, La delocalizzazione del contenzioso civile: sulla giustizia sventola bandiera bianca?, in www.judicium.it; A. Briguglio, Nuovi ritocchi in vista per il processo civile: mini-riforma ad iniziativa governativa, con promessa di fare (si confida su altri e più utili versanti) sul serio, in www.giustiziacivile.com, editoriale del 15 settembre 2014, 1 ss.; L. D’Agosto, S. Criscuolo, Prime note sulle «misure urgenti di degiurisdizionalizzazione e altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile» (Commento al d. l. 12 settembre 2014, n. 132), in www.ilcaso.it, 201; G. Dosi, La negoziazione assistita da avvocati, Torino, 2014; M. Giorgetti, La negoziazione assistita, Milano, 2015; F. Diozzi, Mediazione e negoziazione assistita. Tecniche di gestione delle controversie, Milano, 2017; M. Montanari, V. Baroncini, Negoziazione assistita, in Commentario del Codice di Procedura civile, Roma, 2018. Tra gli aspetti c.d. “personali” vi erano l’affidamento condiviso del figlio minore di età e la determinazione dell’assegno mensile dovuto dal marito per il mantenimento del minore. Il trasferimento era stato previsto dietro corrispettivo della somma di euro 12.000 con accollo dell’obbligo di pagamento del mutuo ipotecario, con la ulteriore previsione dell’obbligo della moglie di curare la trascrizione del verbale presso l’agenzia del territorio – servizio di pubblicità immobiliare.

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toscrizione, ma senza il numero di repertorio e il numero di raccolta6. Dopo la convocazione, nel corso della quale il consiglio notarile aveva contestato al notaio l’illegittimità del suo comportamento, il notaio reclamante aveva ricevuto, in data 28 settembre 2016, un atto notarile di trasferimento, in forza del quale il marito cedeva alla moglie i propri diritti sull’abitazione familiare in conformità all’obbligo assunto nell’accordo del 17 giugno 2016. L’atto in questione veniva trascritto il 29 settembre 2016. La commissione regionale di disciplina aveva ritenuto la condotta7 del notaio come colpevole inadempimento delle modalità con cui doveva essere effettuata, ai fini dell’articolo 2657 c.c., l’autentica richiesta dall’art. 5, co. 3, l. n. 162 del 2014. Il notaio aveva effettuato un’autentica del verbale dell’accordo di separazione senza rispettare le modalità previste dall’articolo 72 l. n. e senza procedere all’iscrizione a repertorio, alla conservazione dell’atto a raccolta e senza neanche curarne la trascrizione atteso che tale incombente era stato espressamente posto a carico di uno dei coniugi. La Corte d’Appello rigettava integralmente il reclamo proposto. In particolare, quanto alle contestazioni circa la regolarità della procedura, la Corte d’Appello rilevava che l’iniziativa del procedimento disciplinare spettava formalmente al presidente del consiglio notarile del distretto in cui è iscritto il notaio, ma in sostanza spettava al consiglio notarile che poteva delegare anche uno dei consiglieri. Il consiglio notarile aveva, infatti, delegato un altro notaio8. Per la Corte di merito, l’interpretazione degli articoli 5 e 6 del d. l. n. 132 del 2014 e degli artt. 2657 e 2703 c.c. era coerente con la funzione del notaio che, anche nel procedimento di negoziazione assistita, deve autenticare la sottoscrizione degli accordi aventi ad oggetto trasferimenti immobiliari, esercitando i tradizionali controlli di legalità per assicurare certezza nella circolazione dei beni immobili9. A parere della Corte d’Appello, trattandosi di un atto di trasferimento immobiliare, era necessaria l’autentica ex articolo 72 l. n. che impone al notaio il controllo di legalità10. Tale obbligo, dunque, comportava il “conseguente obbligo” di iscrizione dell’atto nel

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Ciò in quanto, secondo la tesi del notaio, si trattava di un’autentica c.d. “minore” per la quale non era necessario il controllo di legalità dell’atto. Successivamente, il 24 giugno 2016, il pubblico ministero rilasciava la propria autorizzazione ma il conservatore rifiutava la trascrizione del verbale di accordo dandone notizia al consiglio notarile. 7 Per la Commissione di disciplina, la condotta posta in essere dal notaio integrava oltre alla violazione degli artt. 62, 72 e 138, lett. c), l. n. anche una grave violazione dell’articolo 147, lett. a), della medesima legge, avendo compromesso il decoro e il prestigio della classe notarile. Il ruolo del notaio nella negoziazione assistita, infatti, è finalizzato alla trascrizione dei negozi di trasferimento immobiliare e l’agire del notaio era stato sbrigativo, sintomatico dell’intento di accaparramento di clientela malgrado il discredito che tale condotta determini alla funzione notarile. 8 La delega era stata conferita dall’organo collegiale titolare della legittimazione a chiedere l’avvio del procedimento disciplinare e non dal suo presidente anche in ragione dell’eventualità che quest’ultimo potesse essere chiamato a rendere informazioni sui fatti da lui personalmente appresi. La volontà dell’organo collegiale era stata espressa unanimemente e l’espressione contestata (…) era frutto di una verbalizzazione necessariamente sintetica. 9 Nella specie era pacifico che il notaio avesse autenticato il verbale recante l’accordo di separazione consensuale in maniera difforme da quella prevista dagli articoli 2703 c.c. e 72 l. n. e, ai fini della trascrizione, dall’articolo 2657 c.c. 10 Come è noto, al notaio è vietato ricevere e autenticare atti espressamente proibiti dalla legge, manifestamente contrari al buon costume e all’ordine pubblico ex articolo 28 l. n.

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repertorio11 di conservazione e raccolta12, nonché quello di effettuare la trascrizione nel più breve tempo possibile13. Il notaio non aveva adempiuto a tali obblighi incorrendo negli illeciti disciplinari contestati, in quanto solo a seguito della ripetizione dell’atto di trasferimento a oltre tre mesi dal rilascio dell’autorizzazione da parte del pubblico ministero, aveva proceduto alla trascrizione del verbale dell’accordo di separazione personale14. Infine, la condotta del notaio aveva anche compromesso il decoro e il prestigio della classe notarile15, violando l’articolo 147, lett. a), l. n.

2. Prima quaestio: validità della delega collegiale nei procedimenti disciplinari a carico dei notai.

La Corte di legittimità, prima di addentrarsi nella parte centrale della questione, ha dovuto dirimere la doglianza (primo motivo di ricorso) presentata dal notaio, il quale ha lamentato la violazione degli artt. 153 e 155 l. n. per avere la Corte d’Appello ritenuto idonea la delega ad un altro consigliere notaio a partecipare in luogo del presidente del consiglio notarile, al procedimento disciplinare a suo carico, sottolineando la conseguente nullità del provvedimento disciplinare e del decreto emesso dalla Corte d’Appello. La delega conferita al suddetto consigliere, secondo la ricostruzione del notaio ricorrente, violerebbe apertamente l’articolo 90 l. n.16, sicché sarebbe del tutto inconferente il richiamo agli articoli 153 e 155 l. n. La Suprema Corte, per risolvere i dubbi interpretativi in riferimento al suindicato primo motivo, ha evidenziato che il procedimento disciplinare a carico dei notai è stato radicalmente innovato a seguito del d.lgs. 1° agosto 2006, n. 24917 che ha previsto numerose modifiche della l. n. 89 del 1913 (legge notarile) in particolare riguardo alle sanzioni disciplinari e al relativo procedimento.

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Questo obbligo è specificamente previsto dall’art. 62 della legge notarile. Tale adempimento è, invece, previsto espressamente dall’art. 138 della medesima legge. 13 Una simile incombenza è riscontrabile nell’art. 2671 c.c. 14 A tal proposito, ha aggiunto la Corte di merito che, peraltro, il fatto che mancasse l’autorizzazione del pubblico ministero non rilevava perché poteva essere indicata come condizione. 15 Il notaio, infatti, stante l’analisi effettuata dal giudice di secondo grado, aveva disatteso le regole fondamentali poste a tutela del principio di autenticità del titolo e della trascrizione e aveva posto in essere plurime violazioni nella formazione del titolo, costituendo un elemento di sicura valenza dimostrativa della compromissione del decoro e del prestigio della classe notarile, atteso l’innegabile svilimento della funzione del notaio agli occhi delle parti e anche del conservatore. 16 L’articolo citato stabilisce che in mancanza del presidente e del segretario, ne faranno rispettivamente le veci il più anziano ed il meno anziano in ufficio fra i membri del Consiglio. 17 Tale decreto è rubricato “Norme in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai, in attuazione dell’articolo 7, comma 1, lettera e), della l. 28 novembre 2005, n. 246”. Vedi G. Casu, G. P. Sicchiero, La Legge notarile commentata, Wolters Kluwer, 2010; P. Boero-M. Ieva (a cura di), La legge notarile, in Le fonti del diritto italiano, Milano, 2014. 12

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La lettura coordinata degli artt. 153 della l. n. 89 del 191318, degli artt. 93, 93-bis e 93ter, l. n.19 e dell’art. 153, co. 2 l. n.20, hanno fatto sì, per la Suprema Corte, che la censura fosse da considerarsi del tutto infondata, in quanto correttamente la Corte d’Appello ha richiamato l’art. 153 citato riferendola alla diversa fase dell’iniziativa disciplinare, distinguendola dalla fase successiva del procedimento cui si riferiva, invece, la delibera con la quale il consiglio notarile aveva delegato un suo componente a rappresentarlo dinanzi alla Commissione Regionale di disciplina21. Per la fase del procedimento disciplinare22, successiva all’incolpazione, la Corte di legittimità ha ritenuto opportuno richiamare gli artt. 15523 e 156-bis24 l. n., la cui lettura combinata porta a ritenere il superamento della doglianza prospettata. La procedura descritta dalle norme appena citate, dunque, nella fase istruttoria ammette la possibilità di delega da parte del Consiglio dell’Ordine notarile al Presidente e per la di-

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Tale norma prevede che: “L’iniziativa del procedimento disciplinare spetti: a) al procuratore della Repubblica presso il Tribunale nel cui circondario ha sede il notaio ovvero nel cui circondario il fatto per il quale si procede è stato commesso; b) al presidente del Consiglio notarile del distretto nel cui ruolo è iscritto il notaio ovvero del distretto nel quale il fatto per il quale si procede è stato commesso; c) al capo dell’archivio notarile territorialmente competente per l’ispezione di cui all’articolo 128, limitatamente alle infrazioni rilevate durante le ispezioni di cui agli articoli 128 e 132 o nel corso di altri controlli demandati allo stesso capo dell’archivio dalla legge, nonché al conservatore incaricato ai sensi dell’articolo 129, comma 1, lettera a), secondo periodo”. 19 Per questi articoli è consentita la più ampia facoltà istruttoria in capo al Consiglio o al suo Presidente per delega dello stesso, come il potere di “assumere informazioni presso le amministrazioni e gli uffici pubblici” o anche la possibilità di “richiedere informazioni a soggetti privati”, cosi come l’audizione dell’incolpato. 20 Tale comma prevede che: “Il procedimento è promosso senza indugio, se risultano sussistenti gli elementi costitutivi di un fatto disciplinarmente rilevante. Nella richiesta di procedimento l’organo che lo promuove indica il fatto addebitato e le norme che si assumono violate e formula le proprie conclusioni”. 21 Giova, in tale sede, precisare che la Commissione di disciplina ex art. 148 l. n. è un organo amministrativo e non giurisdizionale, sicché in tale fase deve farsi applicazione delle regole del procedimento amministrativo e non di quelle processuali. 22 Per una panoramica sul procedimento disciplinare a carico dei notai, si veda M. Di Fabio, Manuale di notariato, ed. 2., Milano, 2007, 392; V. Tenore, G. Celeste, La responsabilità disciplinare del notaio ed il relativo procedimento, Milano, 2008, 10 ss. e 155 ss.; E. Fabiani, Il nuovo procedimento disciplinare notarile, in GPC, 2009, 87 ss.; M. Miccoli, Due nodi da sciogliere: prescrizione del procedimento disciplinare e illeciti disciplinari non codificati, in Notariato, 2013, 228; M. Molinari, A due anni dalla riforma del disciplinare notarile, in Notariato, 2009, 467 ss.; A. Ciatti, Il procedimento disciplinare a carico dei notai: la prescrizione, la decadenza e il diritto transitorio, in Rass. dir. civ., 2011, 256 ss.; S. Caporusso, Il nuovo procedimento disciplinare notarile. Lineamenti, in S. Pagliantini, (a cura di), Il diritto vivente nell’età dell’incertezza. Saggi sull’art. 28 ed il procedimento disciplinare riformato, ed. 2, Torino, 2012, 239; R. Danovi, Il procedimento disciplinare dei notai avanti la CO.RE.DI. tra norme di legge e principi di diritto, in Notariato, 2013, 338; M. Bove, Considerazioni in merito al procedimento disciplinare notarile, in Vita not., 2014, 418; G. Sicchiero, M.D. Stivanello Gussoni, Il procedimento disciplinare notarile. Aspetti sostanziali e processuali, Torino, 2017; F. Parente, Il procedimento disciplinare notarile e la sua evoluzione storica, in ZNKUL, 60, 3 (239), 2017, 169 ss.; C.F. Giuliani, A. Giacchetti, Principi di Deontologia e Procedimento Disciplinare Notarile, Milano, 2018. In giurisprudenza, oltre Cass., 23 marzo 2012, n. 4720, in http://www.dejure.giuffre.it.; Cass., Sez. VI, 24 luglio 2012, n. 12995, in CED Cassazione; Cass., Sez. un, 31 luglio 2012, n. 13617, in CED Cassazione, vedi soprattutto Corte cost., 29 maggio 2019, n. 133 (Pres. Lattanzi – Red. Viganò). 23 Tale norma prevede che il Presidente della Commissione assegni il procedimento al collegio nei cinque giorni successivi al ricevimento della richiesta, designi il relatore e dia immediato avviso dell’inizio del procedimento all’organo richiedente e, se diverso, al consiglio notarile del distretto in cui il notaio ha sede, nonché al notaio incolpato. Il presidente del collegio, entro i quindici giorni successivi alla scadenza del termine per presentare la memoria fissa la data per la discussione, che deve aver luogo nei successivi trenta giorni, e ne dà avviso alle parti almeno venti giorni prima. 24 L’articolo stabilisce che: “il notaio può comparire personalmente o a mezzo di procuratore speciale munito di procura rilasciata con atto pubblico o scrittura privata autenticata anche dal difensore. Il notaio può farsi assistere da un altro notaio, anche in pensione, o da un avvocato nominato anche con dichiarazione consegnata alla Commissione dal difensore. Il presidente del consiglio notarile ed il conservatore dell’archivio notarile possono farsi assistere da un avvocato. La discussione si svolge in camera di consiglio e possono parteciparvi l’organo che ha proposto il procedimento, il notaio e i loro difensori, se nominati”.

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scussione davanti alla Commissione di disciplina prevede che possa parteciparvi l’organo che ha proposto il procedimento, anche mediante l’assistenza di un avvocato25. In ogni caso, la Corte ha affermato che non vi è alcun impedimento alla possibilità per il Presidente del Consiglio dell’Ordine Notarile di delegare per la partecipazione alla discussione davanti la Commissione un altro componente del medesimo organo, qualora non abbia ritenuto di farsi rappresentare da un avvocato. La delega in oggetto, dunque, era del tutto legittima e mai avrebbe potuto inficiare la procedura amministrativa che si è svolta davanti la Commissione Regionale di disciplina, nel regolare contraddittorio tra le parti, senza alcuna lesione del diritto di difesa della ricorrente26.

3. Seconda quaestio: natura giuridica dell’accordo di separazione ex art. 6, co. 3, l. n. 162 del 2014.

La Suprema Corte, scandagliando gli ulteriori motivi di doglianza, si è trovata a vagliare quello (secondo motivo di ricorso) relativo alla violazione dell’articolo 6, co. 3, l. n. 162 del 2014 disciplinante la negoziazione assistita in materia familiare per avere la Corte d’Appello negato la qualità di tertium genus e negato l’autonoma causa familiare27 all’accordo raggiunto ai sensi dell’art. 6, l. n. 162 del 2014 dei coniugi e autenticato, quanto alla sottoscrizione degli stessi, dal notaio, qualificandolo, invece, come scrittura privata, con conseguente nullità dell’intera decisione impugnata28.

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A tal punto, la Suprema Corte ha sottolineato che il notaio ricorrente non ha precisato nel ricorso se davanti la Commissione di disciplina il Consiglio dell’Ordine Notarile fosse rappresentato o meno da un avvocato o se fosse presente esclusivamente per mezzo del delegato del Presidente e non ha chiarito quali attività si fossero svolte nella due occasioni in cui era presente il suddetto delegato e quale lesione al diritto di difesa la delega avrebbe comportato. 26 Va aggiunto, per completezza, che per la Suprema Corte, del tutto inconferente è risultato, poi, essere stato il richiamo all’art. 90 della legge notarile, che disciplina la differente ipotesi del funzionamento del Consiglio dell’Ordine Notarile in caso di mancanza del Presidente e del segretario, prevedendo che gli stessi siano sostituiti rispettivamente dal più anziano e dal meno anziano tra i membri del Consiglio. D’altra parte, anche in altri casi è espressamente prevista la facoltà di delega del Presidente del consiglio notarile ad altro componente dell’Organo (si veda, per esempio, l’art. 39 l. n.). 27 Si veda lo Studio del CNN, citato nella nota n. 2, laddove la causa familiare è tratteggiata in questi termini: “Accanto ad un contenuto minimo ed essenziale regolato da norme inderogabili ed attinente al mantenimento del coniuge privo di redditi adeguati e dei figli (minori o maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti), in occasione delle crisi matrimoniale accade con frequenza che i coniugi pongano in essere ulteriori atti a contenuto patrimoniale che pur replicando, il più delle volte, schemi contrattuali tipici sono dotati di una causa propria sinteticamente denominata “causa familiare” la cui funzione sociale, meritevole di tutela, può essere individuata nella redistribuzione del patrimonio accumulato durante il matrimonio in funzione perequativa delle posizioni economiche dei componenti della famiglia. Perequazione giustificata dall’esigenza di bilanciare posizioni soggettive economicamente squilibrate, in ragione dell’indirizzo familiare concordemente fissato dai coniugi (art. 144 c.c.) e delle scelte comuni effettuate nel corso del matrimonio che potrebbero aver penalizzato la sfera economica di un coniuge a vantaggio dell’altro (si pensi, ad esempio, alle scelte lavorative concordate, ovvero ad eventuali rinunzie ad occasioni di lavoro da parte di un coniuge, ovvero al lavoro svolto da un coniuge all’interno della famiglia che pur contribuendo alla crescita e sviluppo della famiglia stessa non ha attribuito alcun reddito al coniuge stesso)”. In dottrina, si veda A. Gianola, Gli atti gratuiti all’interno della famiglia, in Il nuovo diritto di famiglia, Profili sostanziali, processuali e notarili, a cura di A. Cagnazzo, F. Preite, V. Tagliaferri, Milano, 2015, 79; A. Gianola, Atto gratuito, atto liberale. Ai limiti della donazione, Milano, 2002, 357 ss. 28 A tal riguardo, si veda lo Studio del CNN, citato nella nota n. 2, relativamente alla p. 12, laddove: “sotto altro profilo, l’inclusione o meno di questi contratti nell’area della negoziazione sorretta dalla cd. “causa familiare” ovvero diretta ad assolvere gli obblighi di

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Per il notaio ricorrente il legislatore ha distinto l’accordo29 raggiunto ai sensi dell’art. 5, l. n. 162 del 2014 con la procedura di negoziazione assistita e il medesimo accordo, raggiunto con la procedura ex art. 6 della stessa legge, in tema di separazione personale dei coniugi, cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione e divorzio. Tale accordo non ha carattere negoziale, nella procedura è previsto l’intervento del pubblico ministero e si producono gli effetti dei provvedimenti giudiziari. Non si tratta, dunque, di un atto notarile e non può nemmeno essere ricondotto ad una semplice scrittura privata, proprio perché, ex articolo 6, l. n. 162 del 2014, deve essere approvato dal pubblico ministero ed equivale a un provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria. Il d. l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche dalla 1. 10 novembre 2014, n. 162, ha introdotto nel nostro ordinamento, come anticipato, la c.d. procedura di negoziazione assistita da avvocati, nuovo strumento di composizione amichevole delle liti30. La Suprema Corte, analizzando singolarmente, ma in ottica sistematica, gli artt. 531, specie il comma 332, e 633, specie il comma 334, del d. l. n. 132 del 2014, ha fatto emergere che è lo stesso legislatore, nel disciplinare i poteri certificativi dell’avvocato nell’ambito della negoziazione assistita delle separazioni e dei divorzi, a fare rinvio a quanto dispone in materia l’art. 5, il quale, come si è detto, in caso di trasferimenti immobiliari prevede, ai fini della trascrizione dell’accordo, che la sottoscrizione del verbale sia autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

mantenimento è decisiva, non solo per qualificare la validità di questi contratti sotto il profilo della sussistenza di tutti i requisiti di validità ed efficacia di questi contratti (soprattutto sotto il profilo della forma e della causa), ma anche ai fini degli effetti prodotti tra le parti e nei confronti dei terzi e della loro impugnabilità da parte dei terzi (si pensi, all’azione revocatoria, ad eventuali impugnative per lesioni di legittima, etc.)”. 29 Le obiezioni del ricorrente sono state mosse anche nella direzione per cui l’articolo 5, co. 3, l. n. 162 del 2014, che si applica anche agli accordi di negoziazione assistita in materia familiare, prevede che in caso di trasferimento immobiliare il pubblico ufficiale debba autenticare la sottoscrizione del processo verbale. Dunque, al pubblico ufficiale è richiesta la sola autenticazione delle sottoscrizioni ossia l’autentica cosiddetta minore. Il suddetto accordo non può essere assimilato ad un titolo stragiudiziale quale potrebbe essere un’ordinaria scrittura privata e, dunque, vi sarebbe stata violazione dell’art. 6, co. 3, l. n. 162 del 2014. Infine, trattandosi di un provvedimento equiparato a quello giudiziale, non troverebbe applicazione neanche l’articolo 2671 c.c. che prevede che il pubblico ufficiale curi nel più breve tempo possibile la trascrizione dell’atto che riceve. 30 In tale specifico caso, si sottolinea che la procedura di negoziazione assistita ricomprende anche la possibilità di addivenire a soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione e divorzio. 31 Tale articolo dispone che l’accordo che compone la controversia venga sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono i quali certificano l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. 32 Il comma 3 del citato art. 5 prevede che, quando le parti, con l’accordo, concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso è necessario che la sottoscrizione del processo verbale di accordo sia autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. 33 L’art. 6 delinea un procedimento articolato in più fasi, i cui tratti caratterizzanti sono da individuarsi nella necessaria presenza di almeno un avvocato per parte e nel coinvolgimento del Procuratore della Repubblica. 34 Il comma 2 prevede che l’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Nell’accordo si deve dare atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e che gli avvocati hanno informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. L’avvocato della parte è anche obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo stesso, dell’accordo munito delle certificazioni di cui all’articolo 5.

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Giurisprudenza

Sicché, il combinato disposto dell’art. 5, co. 3, e dell’art. 6 del d. l. n. 132 del 2014, impone, per procedersi alla trascrizione dell’atto di trasferimento immobiliare (eventualmente) contenuto nell’accordo di separazione o divorzio, l’ulteriore autenticazione delle sottoscrizioni del processo verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, non potendosi riconoscere analogo potere certificativo agli avvocati che assistono le parti. Ciò, ha sottolineato la Suprema Corte, risulta anche in conformità con il disposto dell’art. 2657, co. 1, c.c., secondo cui “la trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente”35.

4. Terza quaestio: l’obbligo di controllo legale sull’accordo. La Suprema Corte ha poi dovuto risolvere la doglianza relativa alla violazione dell’art. 5, co. 2, l. n. 162 del 2014 in materia di negoziazione assistita per avere la Corte d’Appello inteso attribuire al notaio gli obblighi di controllo di legalità in ordine all’accordo raggiunto dai coniugi a seguito della negoziazione assistita, nonostante la norma suindicata attribuisca espressamente tale funzione agli avvocati delle parti. Secondo l’interpretazione effettuata dalla Corte della nomofilachia, però, l’art. 5, co. 2, l. n. 162 del 2014 prevede che gli avvocati certifichino l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico, ma il successivo comma 3 prevede che all’autentica debba provvedere “un pubblico ufficiale a ciò autorizzato” e, pertanto, non necessariamente deve essere un notaio ma anche un cancelliere o un segretario comunale che, dunque, non avrebbe alcun obbligo di controllo di legalità. Si è avuto anche modo di sottolineare che è infondata la prospettazione secondo la quale, poiché l’art. 5, co. 2, del d. l. n. 132 del 2014 attribuisce agli avvocati che certificano l’autografia delle firme l’obbligo del controllo della conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico, tale controllo di legalità formale e sostanziale dell’atto grava sui medesimi anche nelle ipotesi di cui al successivo art. 5, co. 3, e, in tali casi, il notaio non deve compiere alcun controllo, trovandosi in presenza di una c.d. “autentica minore”36.

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Una simile interpretazione è conforme all’orientamento della giurisprudenza della Corte di legittimità che ha costantemente affermato il carattere tassativo della disposizione di cui all’art. 2657 c.c. e che, con riferimento alla trascrivibilità dell’accordo di separazione che riconosca ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni mobili o immobili, ovvero ne operi il trasferimento a favore di uno di essi, ha ritenuto che tale accordo, in quanto inserito nel verbale d’udienza (redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato), assume forma di atto pubblico, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2699 c.c., e solo in quanto tale, dopo l’omologazione che lo rende efficace, costituisce, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c. (si veda Cass. civ., Sez. I, n. 4306 del 1997). In casi simili, infatti, il fatto che l’accordo di separazione o cessazione degli effetti civili del matrimonio raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio non incide sulla necessità che, quando il suddetto accordo comprenda anche un atto di trasferimento immobiliare, ai fini della trascrizione, debba essere autenticato dal pubblico ufficiale a ciò preposto. 36 Nell’Enciclopedia giuridica si evince la definizione di “autentica minore”, secondo la quale quest’ultima consiste nella attestazione da

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Infatti, nel caso di trasferimento immobiliare, ai fini della pubblicità immobiliare37 e della certezza nella circolazione giuridica dei beni, il legislatore ha ritenuto insufficiente sia il potere di certificazione e autenticazione delle firme sia il controllo di legalità da parte degli avvocati che procedono alla negoziazione assistita e, ha ribadito espressamente che, quando nell’accordo è compreso un contratto o un atto soggetto a trascrizione, è necessaria l’autenticazione del processo verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale38 a ciò autorizzato39. L’art. 2657 c.c.40 è strettamente correlato ad altre disposizioni del codice civile, quali quelle che attribuiscono la competenza al ricevimento degli atti pubblici, o all’autenticazione delle scritture private, al notaio o ad altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato (artt. 2699 e 2703 c.c.), e quella che impone al conservatore l’obbligo di rifiutare la trascrizione se il titolo non ha i requisiti prescritti dalla legge (art. 2674 c.c.)41.

parte del notaio della verità della firma apposta da un soggetto su un documento con la mera formula “vera la firma di ... tale è la firma di ... o visto per la verità della firma di ...”, senza porre in essere le attività richieste per l’autenticazione di sottoscrizioni (cosiddetta autentica formale) di cui all’art. 72, l. n. L’autentica minore costituisce una prassi basata su varie disposizioni legislative, utilizzate per certificare la verità della firma su vari documenti, anche al di fuori dei casi previsti dalle disposizioni stesse. Si tratta di una consuetudine praeter legem, ammessa solo quando il contenuto della dichiarazione su cui si connette l’autentica non importi obblighi a carico del dichiarante. Dopo l’entrata in vigore della l. 4 gennaio 1968, n. 15, non è più ammessa l’autentica minore per le istanze da produrre agli organi della P.A., istanze soggette all’autenticazione della sottoscrizione di cui all’art. 20 della citata l. n. 15 del 1968. 37 Si veda, tra tutti, S. Pugliatti, La trascrizione. La pubblicità immobiliare, Milano, 1957, 425; L. Mengoni, La pubblicità immobiliare, in Jus, 1986, 3; G. Petrelli, Pubblicità legale e trascrizione immobiliare tra interessi privati e interessi pubblici, in Rass. dir. civ., 2009, 692. 38 Si veda, a tal punto, lo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato n. 463-2017/C, L’autenticità del titolo per la trascrizione nei registri immobiliari, approvato dalla Commissione Studi Civilistici l’8 novembre 2017, laddove “ (…) dalla stessa emerge, infatti, come, il “sistema” fondato sull’asse atto autentico/pubblicità immobiliare, proprio in ragione del suo connotarsi in termini di “sistema”, non potrebbe che essere fatto oggetto di interventi modificativi che siano anch’essi “di sistema” e non “settoriali” e “asistematici”, come, ad esempio, attribuire il potere di autentica che consente l’accesso ai registri immobiliari a soggetti diversi dal notaio senza intervenire, al contempo, sugli altri profili che sono parte integrante del sistema e che consentono a quest’ultimo di funzionare (…)”. 39 La legge, infatti, non conosce deroghe espresse alla regola della previa autentica delle scritture private ai fini della trascrizione, in quanto la necessità di un controllo pubblico è principio essenziale e cardine del sistema della pubblicità immobiliare e del complesso sistema delle trascrizioni e delle intavolazioni diretto a garantire la certezza dei diritti. Si veda, in tal senso, lo studio del Notariato citato nella nota n. 2, specie 8, laddove “sulla tipologia di atti che potranno trovare spazio in un accordo di negoziazione, va osservato che nella legge di conversione del d. l. n. 132/2014 si è modificato l’inciso dell’art. 5 che prevedeva esclusivamente l’intervento del notaio nel caso in cui l’accordo prevedesse uno degli atti elencati nell’art. 2643 c.c., estendendolo a qualunque atto soggetto a trascrizione. La modifica della norma in sede di conversione è stata quanto mai opportuna in quanto la previsione dei soli atti elencati nell’art. 2643 c.c. avrebbe lasciato fuori dalla regolamentazione normativa eventuali preliminari, atti di destinazione, divisioni, convenzioni matrimoniali, l’assegnazione del godimento della casa coniugale di cui all’art. 337-sexies (già art. 155-quater) c.c. che, al contrario, possono fungere da utile strumento per la soluzione delle crisi coniugali, soprattutto nell’interesse dei soggetti deboli (si pensi all’atto di destinazione) e che, spesso, sono “fisiologici” all’interno di un accordo negoziale di separazione o di divorzio (si pensi alla divisione, all’atto di destinazione o all’assegnazione della casa familiare)”. 40 Sulla trascrizione e, in special modo, sul titolo per la trascrizione, si veda L. Morittu, La trascrizione dei contratti traslativi della proprietà immobiliare, Milano, 1936, 49; R. Nicolò, La trascrizione, Milano, 1973, vol. I, 117; L. Ferri, M. D’Orazio Flavoni, P. Zanelli, Commentario del codice civile. Trascrizione. Artt. 2643-2696, Zanichelli, 1995; L. Ferri, P. Zanelli, Della trascrizione. Trascrizione immobiliare, in Commentario del codice civile a cura di Scialoja e Branca, Roma, 1995, 71; G. Petrelli, Trascrizione immobiliare e legislazione regionale, in Riv. notar., 2008, 744 ss.; G. Petrelli, L’evoluzione del principio di tassatività nella trascrizione immobiliare. Trascrizioni, annotazioni, cancellazioni: dalla “tassatività” alla “tipicità”, Napoli, 2009, 37 ss.; G. Petrelli, Questioni generali e problemi aperti in materia di trascrizione immobiliare, in Riv. not., 2013, 749 ss. 41 Tali norme sono, a loro volta, strettamente correlate con le disposizioni della legge notarile e compongono un quadro normativo articolato da cui emergono i tratti caratterizzanti del sistema di pubblicità immobiliare, anche sotto il profilo delle condizioni cui è subordinata la trascrizione, di un determinato titolo, nei registri immobiliari.

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Giurisprudenza

5. Quarta quaestio: la funzione del notaio. La Corte di legittimità, inoltre, ha risolto la doglianza in merito alla violazione dell’art. 5, co. 3, l. n. 162 del 2014 per avere la Corte d’Appello erroneamente identificato il pubblico ufficiale indicato nella predetta norma con la sola categoria del notaio42. Per il ricorrente, l’art. 5, co. 3, fa riferimento al pubblico ufficiale in relazione all’autentica della sottoscrizione del processo verbale di accordo mentre la Corte d’Appello, nel provvedimento impugnato, afferma che tale attività è riservata al notaio e che dunque non si può considerare un caso di autentica c.d. minore43. Ai fini della trascrizione dell’accordo ai sensi dell’art. 19, co. 14, d. l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in legge 30 luglio 2010, n. 122 il notaio deve attestare la coerenza dei dati catastali con le risultanze dei registri immobiliari e con lo stato di fatto dell’immobile. I dati catastali, infatti, costituiscono elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali del bene44, rilevanti ai fini fiscali e l’omissione della dichiarazione di cui alla norma citata determina la nullità assoluta dell’atto45. La Suprema Corte, a tal punto, ha definitivamente statuito che “ogni qualvolta l’accordo stabilito tra i coniugi, al fine di giungere ad una soluzione consensuale di separazione personale, ricomprenda anche il trasferimento di uno o più diritti di proprietà su beni immobili, la disciplina di cui all’art. 6, d. l. n. 132 del 2014, conv. in l. n. 162 del 2014, deve necessariamente

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Sul punto, si veda il recente contributo di G. Salito, Del notaio e dell’atto notarile, Napoli, 2018. Si veda, inoltre, l’interessante riflessione di L. Siliquini Cinelli, L’essenzialità della funzione notarile nell’era dello sviluppo sostenibile: analisi critica e profili pratico-comparativi di una professione legale, in www.comparazionedirittocivile.it. Ancora, G. Ferri, Il notariato tra antico e moderno, in Historia et ius, 3, 2013, 1-5. 43 Pertanto, il notaio, avendo agito in qualità di mero pubblico ufficiale, non aveva l’onere di rispettare le norme della legge notarile, quali gli artt. 62 e 72 e 138, lett. c), e 147, lett. a). 44 Da ultimo, in tal senso, si veda Cass. civ., sez. II, 14 maggio 2018, n. 11687, secondo la quale “la costante interpretazione degli artt. 2659 e 2665 c.c. conclude che, per stabilire se e in quali limiti un determinato atto trascritto sia opponibile ai terzi, deve aversi riguardo esclusivamente al contenuto della nota di trascrizione, dovendo le indicazioni riportate nella nota stessa consentire di individuare, senza possibilità di equivoci e di incertezze, gli estremi essenziali del negozio ed i beni ai quali esso si riferisce, in maniera che non sia nemmeno necessario esaminare il contenuto del titolo, il quale, insieme con la nota, viene depositato presso la Conservatoria dei registri immobiliari. (…) In particolare, in virtù del richiamo alle indicazioni richieste dall’art. 2826 c.c. contenuto nell’art. 2659, co. 1, n. 4, c.c., alla nota di trascrizione è attribuita la funzione di consentire la inequivoca individuazione (oltre che del titolo trascritto e dei suoi estremi soggettivi, altresì) dei beni cui il titolo si riferisce, compresi proprio i dati di identificazione catastale, come espressamente voluto dall’art. 13 della legge 27 febbraio 1985, n. 52. Per completezza, si veda anche Cass. civ., sez. III, 31 agosto 2009, n. 18892; Cass. civ., sez. II, 14 ottobre 1991, n. 10774; Cass. civ., sez. II, 07 giugno 2013, n. 14440; Cass. civ., sez. II, 11 agosto 2005, n. 16853; Cass. civ., sez. III, 08 marzo 2005, n. 5002; Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2005, n. 368. Tale pronuncia si è occupata in special modo dell’ “itinerante” modifica dei dati catastali, e ha aggiunto che “per il periodo, allora, intercorrente fra la presentazione della denuncia di variazione e l’attribuzione della identificazione catastale definitiva, perché la nota di trascrizione adempia all’onere di contenuto di cui all’art. 2659, comma 1, n. 4, c.c., e così consenta di individuare gli estremi essenziali del bene al quale si riferisce il titolo, è dunque sufficiente l’indicazione del numero e dell’anno del protocollo della denuncia di variazione. (…) E’ quindi piuttosto possibile inserire nella parte libera della nota di trascrizione informazioni pure diverse dagli identificativi catastali (essenzialmente allorché tali dati non si rivelino idonei, come quando la porzione immobiliare non sia ultimata o non risulti ancora censita o frazionata in catasto), che possano tuttavia rivelarsi utili, in un regime di pubblicità immobiliare su base personale, ai fini dell’opponibilità a terzi, nonché della validità della formalità eseguita, in maniera da far prevalere le esigenze della circolazione rispetto a quelle, pure rilevanti, della compiuta identificazione dei cespiti”. 45 La norma ha una finalità pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale, conseguendone la responsabilità disciplinare del notaio, ai sensi dell’art. 28, co. 1, l. 16 febbraio 1913, n. 89.

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integrarsi con quella di cui all’art. 5, co. 3, del medesimo d. l. n. 132 del 2014, con la conseguenza che per procedere alla trascrizione dell’accordo di separazione contenente anche un atto negoziale comportante un trasferimento immobiliare, è necessaria l’autenticazione del verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, ai sensi dell’art. 5, co. 3”.

6. Le conseguenze disciplinari relative al notaio e possibile configurabilità della fattispecie di compromissione del decoro e del prestigio della classe notarile.

Dalle considerazioni precedenti, la Suprema Corte ha fatto discendere la sussistenza dell’illecito disciplinare contestato, in quanto il notaio ricorrente aveva l’obbligo di procedere nelle forme previste dall’art. 2703 c.c.46, con il conseguente obbligo di iscrizione dell’atto nel repertorio e di conservazione e raccolta, nonché quello di effettuare la trascrizione nel più breve tempo possibile47. Con ulteriori due motivi di ricorso, la Corte di legittimità ha dovuto valutare le doglianze relative alla violazione dell’art. 147, lett. a), l. n., in relazione all’art. 2671 c.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto che, con la propria condotta di vita pubblica o privata, il notaio abbia compromesso il decoro ed il prestigio dell’intera classe notarile, con conseguente nullità del decreto della Corte d’Appello, nella parte in cui ha confermato la sanzione ex articolo 147, lett. a), l. n. e la falsa applicazione degli artt. 62, 72 e 138, lett. c), l. n., in relazione agli artt. 5 e 6 della legge n. 162 del 2014 per avere la Corte d’Appello applicato all’accordo di negoziazione assistita dei coniugi le norme della legge notarile relative alle scritture private raccolte o sottoscritte dal notaio, con conseguente nullità delle tre sanzioni confermate dal decreto della Corte d’Appello48. Quest’ultima ha ritenuto con giudizio di merito sottratto al sindacato della Corte di legittimità49 che la condotta della ricorrente abbia compromesso il decoro e il prestigio della classe notarile in quanto, sia pure in una sola occasione, il notaio ha agito in spregio dei

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In tema di autenticazione, si veda D. Ockl, Le scritture private autenticate all’estero e la pubblicità immobiliare, in Studi e Materiali, 2, 2005, 1503; S. Di Meglio, L’atto notarile come strumento per la tutela dei diritti nel processo di cognizione (piena e sommaria), in I quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, consultabile online. 47 Secondo gli artt. 62 e 72 l. n. 89 del 1913 e artt. 2643 e 2671 c.c. 48 Il ricorrente ha evidenziato che l’articolo 147 l. n. è una norma di chiusura del sistema volta a sanzionare una serie indifferenziata di comportamenti non previsti da altre norme e, quindi, condotte non tipizzate, sicché la mancata tenuta e raccolta dell’autentica in oggetto poteva essere sanzionata ex art. 137 legge notarile e non ai sensi dell’articolo 147, lett. a). Peraltro, nessuno svilimento del ruolo del notaio era stato posto in essere dalla ricorrente, sia nei confronti dei coniugi che avevano sottoscritto l’accordo di separazione, sia nei confronti del conservatore. Egli ha aggiunto che l’attività professionale non rientra nelle ipotesi di condotte tenute nella vita pubblica o privata e che l’atto è stato successivamente trascritto senza che la Corte ne tenesse conto. Non vi sarebbe stato, pertanto, alcun pregiudizio neanche potenziale nel comportamento del notaio che non è stato percepito all’esterno come travalicante il proprio ruolo. 49 In tema di inammissibilità delle censure di merito in Cassazione, si veda, ex multis, Cass. civ., Sez. III, 14 luglio 2017, n. 17446; Cass. civ, sez. VI-2, 02 marzo 2018, n. 5001.

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più elementari canoni di diligenza professionale, disattendendo le regole fondamentali poste a tutela del principio di autenticità del titolo della trascrizione, la cui essenziale ragione risiede nell’esigenza di assicurare un adeguato controllo sulla legalità sostanziale dell’atto oltre che sulla capacità e legittimazione delle parti50. Il fatto che la compromissione del decoro e del prestigio della professione sia stata causata da comportamenti che costituiscono a loro volta illeciti disciplinari tipizzati non impedisce il concorso formale tra illeciti, essendo le norme sanzionatorie poste a presidio di beni giuridici distinti ed essendo plurime le violazioni contestate, sia pure nell’ambito di un’unica vicenda fattuale51.

7. Le fattispecie disciplinari coinvolte. Con l’ultimo motivo di ricorso, la Corte si è occupata della violazione dell’applicazione dell’articolo 138, lett. c), l. n., per avere la Corte d’Appello applicato la sanzione in relazione all’autentica cosiddetta minore apposta dal notaio, nonostante la sanzione per tale violazione sia prevista dall’art. 137, co. 1, l. n. e conseguente nullità della sanzione ex art. 138, lett. c), l. n.52 Nel caso di specie, la condotta negligente del notaio, fondata sull’erroneo presupposto che il verbale di accordo autenticato non fosse un atto notarile, si è concretizzata nella diversa fattispecie dell’omessa iscrizione dell’atto a repertorio ex art. 62 l. n., nell’omessa tenuta a raccolta dello stesso, come imposto dall’art. 72 l. n. per le scritture private autenticate soggette a pubblicità immobiliare. Tale condotta ricade nell’illecito disciplinare di cui all’art. 137 l. n. e non in quella di cui al successivo art. 138, lett. c), che presuppone che l’atto sia messo a raccolta dal notaio o sia depositato presso di lui e che, successivamente, venga distrutto o disperso per negligenza nella sua conservazione materiale53.

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Le plurime violazioni nella formazione del titolo della trascrizione riscontrate anche dal conservatore, oltre che dalle parti che si sono viste rifiutare la trascrizione, costituiscono, secondo la Corte d’Appello, un elemento di sicura valenza dimostrativa della compromissione del decoro e del prestigio della classe notarile, atteso l’innegabile svilimento della funzione del notaio. La motivazione della corte di merito è immune, dunque, dalle censure di violazione di legge lamentate dalla ricorrente che sostanzialmente con il motivo in esame richiede un’inammissibile rivalutazione in fatto circa l’effettiva capacità lesiva del prestigio e della funzione notarile riconducibile alla sua condotta. 51 Si consenta rinviare a G. Sicchiero, Atipicità degli illeciti disciplinari notarili: la decisione delle Sezioni Unite, in <www.ilquotidianogiuridico. it>, 4 dicembre 2017. 52 L’art. 138, lett. c), legge notarile si riferisce alla più grave situazione della mancata custodia materiale dell’atto originale con conseguente perdita e definitivo smarrimento dello stesso o di un suo allegato per negligenza imputabile al notaio mentre quand’anche si volesse ritenere che l’autentica in oggetto non rivestiva la forma di autentica minore, ma doveva necessariamente avere quella di autentica formale, essa presentava tutti i requisiti previsti ad eccezione dei numeri di repertorio e raccolta e dunque la fattispecie era eventualmente sanzionabile ai sensi dell’articolo 62 legge notarile e dell’art. 137, co. 1, medesima legge. La norma citata, infatti, dispone che è punito con la sospensione da uno a sei mesi il notaio che non conserva, per negligenza, gli atti da lui ricevuti o presso lui depositati. 53 Va specificato, con le medesime parole della Corte di legittimità, che, nel caso di specie, la restituzione dell’atto ai coniugi ha realizzato l’illecito di cui all’art. 72 l. n., dunque impedisce il sorgere dell’obbligo di conservazione materiale dell’atto. Una diversa interpretazione del rapporto tra i due illeciti comporterebbe un’inammissibile sovrapposizione o concorrenza tra la violazione dell’art. 72, sanzionata dall’art. 137, e l’omessa conservazione di uno o più atti per negligenza, di cui all’art. 138, lett. c.), in modo che al ricorrere della prima,

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8. Conclusioni. Come considerazione di carattere generale e, in questi termini, conclusiva, va osservato che, in sede di negoziazione assistita, sfumano e sono poco rilevanti le problematiche relative alla trascrivibilità degli accordi sottoscritti in sede di separazione consensuale con l’ausilio del cancelliere, peraltro, risolti in senso affermativo in considerazione della natura di atto pubblico del verbale giudiziario formato dal cancelliere stesso54, che, tra l’altro, ha ben sottolineato la pronuncia in esame. Per gli accordi raggiunti in sede di negoziazione assistita, esclusa la loro natura di atti pubblici per l’assenza di verbalizzazione da parte di un pubblico ufficiale, è necessario, come più volte sottolineato, l’intervento del notaio, ai fini della trascrivibilità dell’accordo stesso, e ciò per espressa previsione normativa55. Questi accordi potranno prevedere effetti reali immediati56, essere sottoposti a condicio iuris o a condizione volontaria ovvero avere effetti obbligatori. La specifica causa che caratterizza questa tipologia di atti (identificata con la causa familiare) colloca questi negozi in una categoria intermedia tra gli atti a titolo gratuito e gli atti a titolo oneroso e giustifica l’applicazione di regole diverse rispetto a quelle applicabili ad una donazione57, fermo restando che sarà ben possibile dimostrare che la causa apparente sia simulata e gli atti de quibus siano vere e proprie donazioni dirette ovvero che abbiano le caratteristiche delle liberalità indirette laddove la causa familiare non riesca a giustificare, con ragionevole proporzione, l’attribuzione patrimoniale. La partecipazione del notaio all’accordo che chiude la procedura di negoziazione assistita anche se non obbligatoria, ai fini della validità dell’accordo stesso, in quanto, come si è visto, la norma prevede che l’intervento notarile è necessario “per procedere alla trascrizione dello stesso”, sarà sicuramente opportuno per dare piena efficacia e stabilità agli accordi sottoscritti. Invero, qualora l’accordo venga sottoscritto in assenza del notaio, le parti dovranno in un secondo momento rivolgersi a quest’ultimo affinché proceda all’autenticazione delle sottoscrizioni nelle forme prestabilite, con il rischio che, medio tempore, una delle parti possa avere dei ripensamenti costringendo l’altra ad agire in giudizio ovvero che, sempre medio tempore, le vicende di un coniuge possano in qualche modo vanificare l’assetto patrimoniale concordato58 ovvero che sopraggiunga la morte o l’incapacità di un coniuge e fermo restando che se con l’accordo sono concordati negozi giuridici che richiedano la forma pubblica59 l’accordo di negoziazione assistita dovrà rivestire la forma

ricorrerebbe sempre anche la seconda. Vedi Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1997, n. 4306. 55 Si fa riferimento all’art. 5, co. 3, d. l. n. 132 del 2014, conv. in l. n. 162/2014. 56 Laddove abbiano effetti reali immediati, da un punto di vista causale, troveranno la loro giustificazione nella soluzione della crisi coniugale (separazione e divorzio) essendo sorretti dalla cd. “causa familiare”. 57 Si pensi soprattutto alle future possibili pretese da parte di legittimari, agli obblighi di collazione, etc. 58 Si pensi ad un’ipoteca o un pignoramento iscritto nelle more tra l’accordo ed il successivo atto notarile. 59 Come, ad esempio, l’atto di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c. 54

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Giurisprudenza

dell’atto pubblico sin dalla sua sottoscrizione, ai fini della validità dello stesso. Nell’ipotesi, comunque, che l’accordo conclusivo, in cui sono previsti atti da trascrivere sia perfezionato in assenza del notaio, sarà necessario procedere ad un secondo atto (c.d. negozio ripetitivo) nel quale i coniugi ripeteranno i termini dell’accordo60. Il negozio ripetitivo dell’accordo avrà natura solutoria e causa esterna61 in quanto troverà la sua giustificazione nell’accordo di separazione (o divorzio) e sarà posto in essere per rendere trascrivibile la convenzione conclusiva della negoziazione assistita, in adempimento di un patto espresso assunto dai coniugi o comunque quale presupposto implicito dell’accordo stesso. Sarà, quindi, un negozio che troverà la sua causa nella separazione o divorzio, che dovrà essere richiamata nell’accordo stesso expressis verbis, per dargli la corretta giustificazione causale62. In definitiva, si può affermare che gli avvocati, come stabilisce la norma63, hanno solo il potere di “autografia delle firme”, ma non sono dotati del c.d. “potere certificativo” e spetterà, nella maniera condivisibile con cui si è espressa la pronuncia in commento, al notaio, in qualità di garante della fede pubblica, l’autentica dell’accordo di separazione stipulato in negoziazione assistita avente ad oggetto negozi di trasferimento immobiliare, soprattutto ai fini della successiva trascrizione, ossequiando, dunque, al principio di opponibilità ai terzi64 e alla certezza dei traffici giuridici65. Remo Trezza

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Va ricordato, per inciso, che le firme apposte al primo accordo non possono essere semplicemente “autenticate” mediante mera imputazione della firma ad un determinato soggetto, perché per espressa previsione del secondo comma dell’art. 2703 c.c.: «L’autenticazione consiste nell’attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza. Il pubblico ufficiale deve previamente accertare l’identità della persona che sottoscrive». 61 Da ultimo si veda A.M. Garofalo, La causa: una “storia di successo?” (a proposito delle opere di Vincenzo Roppo sulla causa del contratto), in Jus civile, 2, 2018, 163-225. 62 Sembra riecheggiare la nozione di negozio fondamentale e di negozio di attribuzione patrimoniale riscontrabile in uno specifico atteggiamento della causa negoziale denominato “pagamento traslativo”. A tal proposito, si veda F. Gazzoni, Obbligazioni e contratti, Napoli, 2013, 830-836. 63 Si veda, come già detto, l’art. 5, co. 2, l. n. 162 del 2014. 64 In tal senso, si rinvia a G. Giacobbe, Pubblicità (dir. civ.), in Enc. giur. Treccani, XXV, Roma, 1991, 4; R. Zagami, Nota di trascrizione e automazione delle Conservatorie dei Registri Immobiliari, in Inf. e dir., XXI, vol. IV, 2, 1995, 97-118; A. De Cupis, Pubblicità (dir. civ.), in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, 1005; G. Mariconda, Le pubblicità, Napoli, 2005, 17 ss.; F. Manolita, Il ruolo del tempo nella trascrizione (principio di continuità e criteri di prevalenza), in Rass. dir. civ., 1, 2010, 1-50; G. Frezza, Trascrizione delle domande giudiziali, Artt. 2652-2653 c.c., in Il Codice Civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2014, con nota di commento in Jus civile, 1, 2015, 1-20; R. Pacia, La pubblicità degli atti simulati nei rapporti fra simulato alienante e creditori o aventi causa dal titolare apparente, in Jus civile, 9, 2014, 287-309. Dal punto di vista temporale, qualora sull’immobile trasferito da un coniuge all’altro dovessero intraprendersi azioni esecutive, è bene sottolineare un indirizzo recentissimo, secondo cui “nel nostro ordinamento per la validità inter partes di un trasferimento immobiliare è sufficiente il mero consenso delle parti (sia pure formalizzato all’interno di una scrittura privata), mentre ai fini dell’opponibilità del trasferimento medesimo nei confronti degli aventi causa o dei creditori dell’alienante assume rilievo il regime pubblicitario. E così, laddove risulti trascritto presso i registri immobiliari il pignoramento di un certo immobile, i creditori che partecipano ad una certa procedura esecutiva non possono essere pregiudicati da atti di alienazione aventi ad oggetto quello stesso immobile trascritti dopo il pignoramento (art. 2913 c.c.). L’opponibilità o meno di un certo trasferimento immobiliare nei confronti dei terzi, quindi, dipende esclusivamente dall’anteriorità o meno di una certa trascrizione, la quale costituisce un adempimento del tutto indifferente alla buona fede dell’uno o dell’altro soggetto interessato”. Si veda, per tale ricostruzione sistematica, Trib. Arezzo, 17 gennaio 2020, n. 57. 65 Si veda, tra tanti, A.N. Cimmino, La trascrizione immobiliare nell’attività notarile, Roma, 2013; Aa.Vv., La pubblicità immobiliare e societaria in un moderno sistema di sicurezze, Wolters Kluwer, 2016. Da ultimo, vedi la riflessione dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, pubblicata da D. Chiofalo, Procura Nazionale Antimafia: i notai garantiscono la certezza degli atti e dei traffici giuridici, in Federnotizie, 5 giugno 2019.

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