Dbmf 3/2020

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Saggi

ISSN 1722-8360

www.dirittobancaemercatifinanziari.it

DI PARTICOLARE INTERESSE IN QUESTO FASCICOLO

Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009

Diritto della banca e del mercato finanziario

3/2020

Diritto della banca e del mercato finanziario

Le imprese di investimento nel diritto UE

Informazioni privilegiate e obbligo di disclosure

Ammortamento alla francese

Il credito su pegno negli USA

luglio-settembre

3/2020 anno XXXIV

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Pacini

luglio-settembre

3/2020 anno XXXIV


Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è attualmente coordinato dal prof. Daniele Vattermoli. Nell’anno 2019, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Niccolò Abriani, Lucia Calvosa, Concetto Costa, Giacomo D’Attorre, Giuseppe Ferri jr., Carlo Felice Giampaolino, Gianluca Guerrieri, Marco Maugeri, Massimo Miola, Umberto Morera, Stefania Pacchi, Michele Perrino, Marco Speranzin, Mario Stella Richter jr.


Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria

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SOMMARIO 3/2020

PARTE PRIMA Saggi La riforma apprestata con l’investment firms regulation e directive (ifr/ifd): prime osservazioni ruotanti intorno al nuovo assetto bipolare della regolazione europea e alla nuova definizione di ente creditizio, di Antonella Brozzetti pag. 391 “Madamina il catalogo è questo…”. La disclosure delle informazioni privilegiate, tra regole speciali e disciplina dell’organizzazione d’impresa, di Filippo Annunziata » 427 Agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi tra sistema e problema, di Enrico Ghetti » 465

Commenti Mutui con ammortamento “alla francese” – App. Roma, 30 gennaio 2020 Ammortamento alla francese: equivoci alimentati da semplicismo e pregiudizio, di Roberto Marcelli

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PARTE SECONDA Legislazione Il credito su pegno negli Usa – New York Uniform Commercial Code, art. 9; Code of Alabama, title 5, chapter 19A; New York General Business Laws, art. 5, par. 49; New Hampshire Revised Statutes, title XLI, chapter 444:5; Florida Statutes, title XXXIII, chapter 539

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Your Money and Your Life: how loose legislation and financial needs have made pawnbrokers thriving, di Eugenio Prosperi » 98 Norme redazionali » 123 Codice etico » 129


PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ



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La riforma apprestata con l’Investment firms regulation e directive (Ifr/Ifd): prime osservazioni ruotanti intorno al nuovo assetto bipolare della regolazione europea e alla nuova definizione di “ente creditizio” Sommario: 1. Notazioni introduttive. – 2. La nuova portata del codice bancario europeo (con una nota ad un traduttore “distratto”). – 3. L’ampliamento della nozione di “ente creditizio”. – 3.1. Prove tecniche di “migrazione”: conseguenze per le imprese d’investimento/colossi finanziari e assonanze con altre riforme. – 4. L’assoggettamento alla disciplina bancaria anche per “altre” imprese d’investimento (l’appartenenza al gruppo come discrimine). – 5. Qualche ulteriore riflessione su una riforma di primo acchito “gattopardesca”. – 5.1. Il ruolo dell’Abe e il criterio della proporzionalità; le ragioni della Cmu e un contesto complicato dalla Brexit (l’Europa gioca d’attacco). – 5.1.1. Una inopportuna coincidenza con l’abbandono della riforma bancaria strutturale (una critica al learning by doing). – 5.1.2. La ricerca di un approccio coerente per la regolazione e l’esercizio della vigilanza in sede Ue: quale confine tra banche ed imprese d’investimento? – 5.1.3. (Segue): un ruolo di primo piano per le Autorità di vigilanza europee. – 6. Un brevissimo cenno, per chiudere, all’impatto della novella normativa per il nostro ordinamento.

1. Notazioni introduttive. Il 2019 passerà alla storia come anno di rilievo per il processo di integrazione delle legislazioni riferite al mercato finanziario in quanto sono giunte in porto importanti riforme messe in campo dal legislatore europeo a metà della precedente legislatura, chiusasi poi in quello stesso anno. Successivamente all’ampio processo di “manutenzione” delle riforme bancarie scaturite dalla grande crisi tramite il new banking package del maggio 20191, mediante l’adozione dell’insieme di provvedimenti

1 Di tale processo si è dato in parte conto in Brozzetti, Il pacchetto bancario sul rafforzamento del quadro prudenziale e di gestione delle crisi: la revisione del Meccanismo

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riassumibili con gli acronimi Crr2, Crd5, Brrd2 e Srmr22, ha raggiunto la meta anche un altro canale di riforme, collegato al nuovo cantiere per la costruzione dell’Unione dei mercati dei capitali-Umc (Cmu-Capital markets union)3, con l’emanazione:

unico di risoluzione, secondo pilastro dell’Unione bancaria, tramite il regolamento (UE) 2019/877, apparso su Dir. banc., 2020, II, pp. 43 ss. (cui si rinvia per gli approfondimenti di dottrina); si segnala che le riflessioni che seguono sono parte di uno studio di più ampio respiro. 2 Detti provvedimenti agiscono: a) sul codice bancario dell’Ue, attraverso il reg. (UE) 2019/876 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, c.d. “CRR2”, che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto riguarda il coefficiente di leva finanziaria, il coefficiente netto di finanziamento stabile, i requisiti di fondi propri e passività ammissibili, il rischio di controparte, il rischio di mercato, le esposizioni verso controparti centrali, le esposizioni verso organismi di investimento collettivo, le grandi esposizioni, gli obblighi di segnalazione e informativa e il regolamento (UE) n. 648/2012 (attraverso il quale si è agito a livello di trattamento prudenziale dei rischi, arginandone l’eccessiva assunzione, e di miglioramento dei poteri e degli strumenti di vigilanza); nonché la dir. (UE) 2019/878 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, “c.d. CRD5”, che modifica la direttiva 2013/36/UE per quanto riguarda le entità esentate, le società di partecipazione finanziaria, le società di partecipazione finanziaria mista, la remunerazione, le misure e i poteri di vigilanza e le misure di conservazione del capitale, che potenzia in particolare la vigilanza su base consolidata nel complesso, sul piano oggettivo e soggettivo; b) sul sistema di gestione delle crisi, mediante il reg. (UE) 2019/877 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, c.d. “SRMR2”, che modifica il regolamento (UE) n. 806/2014 per quanto riguarda la capacità di assorbimento delle perdite e di ricapitalizzazione per gli enti creditizi e le imprese di investimento (con alla base l’obiettivo di realizzare una più elevata convergenza della vigilanza in merito agli elementi della struttura patrimoniale così come delineati nel secondo pilastro riferito al c.d. framework di Basilea), e la dir. (UE) 2019/879 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2019, c.d. “BBRD2”, che modifica la direttiva 2014/59/UE per quanto riguarda la capacità di assorbimento di perdite e di ricapitalizzazione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e la direttiva 98/26/CE 296 (con la quale si è agito su uno dei punctum dolens del processo di riforma teso in particolare ad evitare il c.d. bail-out). L’intero pacchetto bancario è funzionale anche al consolidamento della base su cui costruire il terzo pilastro dell’Unione bancaria riguardante la condivisione dei rischi mediante un sistema di assicurazione dei depositi su scala europea. I provvedimenti suddetti sono stati pubblicati sul n. L150 della Gazzetta ufficiale dell’UE del 7 giugno 2019, reperibile al link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri= OJ:L:2019:150:FULL&from=IT. 3 Questa importante riforma ha condiviso il proprio cammino con l’elaborazione del new banking package – che prende le mosse dalla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. “Verso il completamento dell’Unione bancaria”, COM (2015) 587 final, COM (2015) 587 final, Strasburgo, 24 novembre 2015, reperibile al link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:

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a) del reg. (UE) 2019/2033, relativo ai requisiti prudenziali delle imprese di investimento e che modifica i regolamenti (UE) n. 1093/2010, (UE) n. 575/2013, (UE) n. 600/2014 e (UE) n. 806/2014, c.d. “IFR-Investment firms regulation”; b) dalla dir. (UE) 2019/2034, relativa alla vigilanza prudenziale sulle imprese di investimento e recante modifica delle direttive 2002/87/CE, 2009/65/CE, 2011/61/UE, 2013/36/UE, 2014/59/UE e 2014/65/UE, c.d. “IFD-Investment firms directive”4. L’intento dichiarato di tali provvedimenti è di «assoggettare le imprese di investimento a obblighi in termini di capitale, liquidità e altri aspetti prudenziali fondamentali (e al corrispondente regime di vigilanza) che siano consoni alle attività che svolgono, ma comunque sufficientemente rigorosi da apportare, sotto il profilo prudenziale, una risposta solida ai rischi che esse pongono in modo da tutelare la stabilità dei mercati finanziari dell’UE»5. Il presupposto che, sul piano dei requisiti patrimoniali, il codice bancario europeo (in breve: cod. banc. Ue), costituito dalla dir. 2013/36/Ue, Crd4, e dal reg. Ue n. 575/2013, Crr, “catturassero” nel proprio ambito tali imprese, mostrando però scarsa sensibilità ai loro rischi specifici (sul piano della natura, delle dimensioni e della complessità delle attività svolte), ha spinto verso la formazione di un ambiente normativo dotato di maggiore proporzionalità. Il nuovo pacchetto sulle imprese d’investimento ha così introdotto una nuova categorizzazione delle imprese d’investimento impostata sulla distinzione tra quelle di natura sistemica e di tipo bancario (“systemic and bank-like”) che riman-

52015DC0587&from=EN) – poiché scaturisce (i) dalla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali, COM(2015) 468 final, Bruxelles, 30 settembre 2015, preceduta dal Libro verde della Commissione del 18 febbraio 2015 intitolato «Costruire un’Unione dei mercati dei capitali» (COM(2015)0063) nonché (ii) dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 9 luglio 2015 su «Costruire un’Unione dei mercati dei capitali» (2015/2634(RSP), si veda il link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:52015IP0268#ntr1C_2017265IT.01007601-E0001. 4 Da notare che il percorso normativo del pacchetto Ifr/Ifd si è incrociato sino alla fine con quello bancario dato che è stato approvato anch’esso dal Parlamento europeo nell’aprile 2019, ma le nuove regole sono state pubblicate nella GUUE del 5 dicembre 2019 e sono entrate in vigore il 25 dicembre. 5 Si veda la Relazione alla proposta che porterà all’emanazione del reg. 2019/2033, COM (2017) 790 final, 2017/0359 (COD), del 20 dicembre 2017, p. 2 (d’ora in poi Relazione all’Ifr).

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gono attratte nel codice bancario (e quindi sottoposte a vigilanza come banche) e quelle considerate non sistemiche o non interconnesse (“not systemic or not interconnected”), sottratte al medesimo e assoggettate al nuovo regime stabilito con i suddetti provvedimenti. Questa ulteriore ondata di riforma si interseca in larga parte con la revisione dalla regolazione del sistema bancario europeo, ponendosi come un’appendice di grande importanza per il new banking package, in quanto aggiunge modificazione ed integrazioni a Crd4/Crr, Brrd e Srm, investendo talvolta anche le disposizioni appena novellate nel maggio 2019. All’interno del pacchetto costituito da reg. 2019/2033(Ifr)/dir. 2019/2034(Ifd) interessano soprattutto i rispettivi artt. 62, poiché quello dell’Ifd va a modificare il reg. Ue n. 575/2013 dando origine al “Crr3”, quello della dir. 2019/2034 integra invece la dir. 2013/36/Ue, e può essere qualificato come “Crd6”. Nelle pagine che seguono, dopo un inquadramento sul nuovo ambito di applicazione del cod. banc. Ue, con la conseguente ri-delimitazione dei plessi normativi riferiti al comparto delle banche e delle imprese di investimento, si propongono alcune riflessioni di prima lettura su questo nuovo assetto bipolare e intorno ad una delle modifiche di maggior impatto costituita dall’ampliamento della nozione “comunitaria” (rectius, unionale) di “ente creditizio”.

2. La nuova portata del codice bancario europeo (con una nota ad un traduttore “distratto”). Il titolo del codice bancario europeo esplicita la sua nuova portata. In realtà è necessario fare un rilievo al legislatore che con l’art. 62 del reg. 2019/2033, in breve Crr3, al punto 1 modifica il titolo del Crr, riproponendolo però nella stessa versione originaria: «Il regolamento (UE) n. 575/2013 è così modificato: 1) il titolo è sostituito dal seguente: «Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012». Visto il complessivo riassetto, volto ad espungere (seppure, come vedremo, soprattutto in linea di principio) le imprese d’investimento dall’ambito di applicazione del codice bancario europeo, la modifica può infatti giustificarsi solo immaginando che il legislatore intendesse togliere tali imprese dal titolo. Da una breve indagine si capisce come il problema stia nella traduzione italiana dato che nella versione inglese (o france-

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se) dette imprese sono state eliminate6. La stessa amputazione si trova poi anche nella Crd4, in tal senso modificata dall’art. 62, punto 1, della Crd6 che così ne riporta il titolo: «Direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/ CE». La conseguenza della modifica si riversa anzitutto sull’oggetto della Crd4, il cui art. 1 è stato ridefinito dal punto 2 della Crd6 e risulta ora circoscritto ai soli enti creditizi. Parimenti interessanti su questo piano sono poi gli artt. 65, sia del Crr3 sia della Crd67, i quali stabiliscono rispettivamente: a) «Ai fini dei requisiti prudenziali delle imprese di investimento, i riferimenti al regolamento (UE) n. 575/2013 negli altri atti dell’Unione si intendono fatti al presente regolamento” (il 2019/2033); b) “Ai fini della vigilanza prudenziale e della risoluzione delle imprese di investimento, i riferimenti alla direttiva 2013/36/UE negli altri atti dell’Unione si intendono fatti alla presente direttiva» (la 2019/2034). Pertanto, al momento dell’applicazione del Crr3 e della Crd 6 (fissata al 26 giugno 2021) si assisterà ad un significativo punto di svolta per il comparto dei servizi e delle attività di investimento scandito da una maggiore settorializzazione del trattamento e della vigilanza prudenziale ad esso relativo, scardinante l’approccio unificante che, a partire dalla direttiva sull’adeguatezza patrimoniale n. 93/6/Cee sino all’attuale codice bancario europeo, ha tenuto insieme imprese d’investimento e banche. Vedremo tuttavia che il processo non è così tranchant poiché il legislatore europeo del 2019, pur escludendole sul piano formale dall’ambito di applicazione del pacchetto Crr/Crd4 (con il fine di garantire la certezza del diritto ed evitare sovrapposizioni tra diversi plessi normativi), fa sì che una parte delle imprese del comparto rimangano soggette a tale

6 Il punto 1 recita infatti: «the title is replaced by the following: ‘Regulation (EU) No 575/2013 of the European Parliament and of the Council of 26 June 2013 on prudential requirements for credit institutions and amending Regulation (EU) No 648/2012’». La sciatteria della traduzione italiana (riscontrata anche in quella francese) si rileva altresì nella formula che identifica la composizione dei fondi propri lasciata in tedesco nell’art. 9 del reg. 2019/2033 (in merito si veda la rettifica pubblicata sulla GUUE n. L20 del 24 gennaio 2020, p. 26); nell’art. 7, par. 3, è invece rimasto un articolo determinativo di troppo (“una”). 7 È sorprendente la simmetria dei numeri: si è già detto che le modifiche al pacchetto Crr/Crd4 sono contenute nell’art. 62 sia del Crr3 che della Crd6; lo stesso si verifica altresì per il numero degli articoli che vanno a sostituire i riferimenti riguardanti le imprese d’investimento negli altri atti dell’Unione.

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codice per via diretta, attraverso “metamorfosi”, ovvero in via indiretta, mediante deroghe ed esenzioni per le imprese di investimento coinvolte in strutture conglomerali (in quanto appartenenti ad un gruppo, bancario o a dominanza bancaria)8. Con il pacchetto Ifr/Ifd, il legislatore intende rispondere alla necessità di dare maggiore solidità al contesto normativo delle imprese d’investimento. Muove dalla “scontata” diversità di ratio dei requisiti prudenziali per l’uno e l’altro intermediario nonché dalla dominanza nel quadro regolamentare vigente – basato in prevalenza sui lavori del Comitato di Basilea – delle tutele settate sulle banche a favore dei depositanti e della capacità di far affluire credito all’economia. Riconosce quindi la carenza di regimi prudenziali specifici riferiti alle vulnerabilità ed ai rischi propri delle imprese d’investimento, e – il punto è perlomeno singolare dal punto di vista della presa di coscienza – giudica che le attuali esenzioni presenti nel codice bancario, basate proprio sulla diversità dei rischi rispetto a queste ultime, non rispecchino la realtà del comparto. Il legislatore considera altresì i problemi emersi rispetto all’efficacia della stessa supervisione verso le grandi imprese d’investimento con modelli di business e correlati profili di rischi analoghi a quelli bancari (particolarmente attive nell’offerta di “servizi bancari d’investimento” e sul mercato all’ingrosso anche a livello transnazionale). Il punto è interessante in quanto fa emergere come il loro assoggettamento – sulla base della MiFID2 – alla vigilanza prudenziale di singole autorità nazionali, ha reso possibili fenomeni avversi, quindi da eliminare, riferiti sia ai disallineamenti delle legislazioni tra vari paesi sia alle distorsioni concorrenziali rispetto alle stesse banche9. L’osservazione presta però il fianco al rilievo del fallimento dell’armonizzazione massima su cui si è mossa la regolazione del mercato mobiliare nel nuovo millennio10.

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Si v. il considerando n. 50 del Crr3. Vedremo più avanti che la nuova linea di azione volta a differenziare il regime prudenziale delle imprese d’investimento è stata raccomandata e sostenuta dall’Abe. 10 Per inciso, si segnala che siamo di fronte ad una prima ondata di riforma in quanto per il comparto delle attività e dei servizi di investimento la Commissione europea ha avviato una consultazione per la revisione del quadro regolamentare predisposto con la MiFID2 e il MiFIR, ove si prospettano potenziali cambiamenti riferiti però soprattutto alle regole sulla protezione degli investitori. La finalità è di «to strike the right balance between promoting investor participation in capital markets, the competitiveness of the EU’s financial sector and safeguarding the interests of investors», si v. European Commission, Review of the regulatory framework for investment firms and market operators, 17 February 2020 (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/mex_20_275#4); una breve 9

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L’opportuna riorganizzazione del disposto normativo segue la strada dell’introduzione di semplificazioni, in risposta ad un maggiore criterio di proporzionalità, e di una migliore armonizzazione in tutta l’Unione, tramite la scelta del regolamento (ponendosi quindi sulla scia del pacchetto MiFID2/MiFIR). In definitiva, il duplice scopo (i) di precostituire un regime prudenziale specifico (in particolare in materia di capitale, liquidità e di gestione di altri rischi) adeguato alle imprese di investimento ritenute non sistemiche alla luce del criterio dimensionale e dell’interconnessione, nonché (ii) di realizzare una rafforzata prospettiva prudenziale per quelle più grandi con operatività anche transfrontaliera su larga scala, ha fatto sì che con il pacchetto Ifr/Ifd il legislatore abbia riscritto le coordinate di fondo della regolazione di due importanti segmenti del mercato finanziario mediante: – la definizione dei presupposti affinché i colossi operanti nel comparto mobiliare con paradigma imprenditoriale portatore di rischi simili alle banche globali, restassero assoggettati al quadro prudenziale definito dal cod. banc. Ue, assicurando così un level-playing field tra istituti finanziari di grandi dimensioni e a rilevanza sistemica; – l’ampliamento del concetto di “ente creditizio”, al fine di attrarre tali colossi nell’orbita della supervisione applicabile alle banche significative a suo tempo realizzata con il Mvu.

3. L’ampliamento della nozione di “ente creditizio”. Nel contesto descritto si colloca la modifica apportata al cod. banc. Ue dal par. 3, lett. a), del Crr311, volta a rimodulare la definizione di “ente creditizio”12 presente nell’art. 4, par. 1, punto 1, del reg. n. 575/2013. La

presentazione in Carluccio, Verso MiFID III: tra incentivi al mercato e tutele per gli investitori, in dirittobancario.it, marzo 2020. 11 Si ricorda che con questa sigla abbiamo individuato l’art. 62 del reg. 2019/2033, Ifr, che appunto apporta modifiche al Crr. 12 Merita ricordare che questa è la seconda volta che accade nella storia bancaria europea, il precedente ampliamento si ebbe con la direttiva 2000/28/CE del 18 settembre 2000, che modificava la direttiva 2000/12/CE relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (nei fatti il primo codice bancario europeo), frazionando la nozione di ente creditizio prevista all’art. 1, punto 1, co. 1, in due lettere: «a) un’impresa la cui attività consiste nel ricevere depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico e nel concedere crediti per proprio conto; oppure b) un istituto di moneta elettronica ai sensi della direttiva 2000/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 settembre

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disposizione mantiene fermo il connotato di “impresa” che lo contraddistingue, si amplia invece lo spazio operativo consentito, ora delimitato in “una delle attività” indicate alle lettere a) e b) in cui la disposizione risulta ora articolata. Per la lett. a), possiamo dire che nihil sub sole novum, poiché ripropone la consueta definizione di banca peraltro dal cuore antico – dato che risale alla dir. 77/780/Cee, prima direttiva di coordinamento delle legislazioni in materia bancaria – caratterizzata dal collegamento teleologico della raccolta agli impieghi ed ora così riproposto sul piano oggettivo: «raccogliere depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico e concedere crediti per proprio conto»13. La novità a dir poco “dirompente” sta nella lett. b) che attira, appunto, nella definizione di ente creditizio le imprese d’investimento di rilevanza sistemica e di tipo bancario (systemic e bank-like) al fine di assoggettarle ai requisiti propri delle banche fissati ex Crr/Crd4. La nuova categoria di banca, peraltro sovrapponibile alla prima in ragione della possibilità a questa concessa sin dalla seconda direttiva di coordinamento n. 89/646/ Cee di esercitare l’ampio ventaglio delle operazioni ammesse a godere del mutuo riconoscimento14, viene disegnata dal Crr3 nella lett. b) sulla base di questi elementi: – lo svolgimento di una qualsiasi delle attività indicate all’allegato I, sezione A, punti 3) e 6), della MiFID2, vale a dire la «negoziazione per conto proprio» e la «assunzione a fermo di strumenti finanziari e/o [il] collocamento di strumenti finanziari sulla base di un impegno irrevocabile»;

2000, riguardante l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica», direttiva che costituì la prima risposta europea all’emersione di nuovi prodotti di pagamento elettronico prepagati. Si trattò però di una sorta di incidente di percorso in quanto il contesto normativo realizzato non sostenne lo sviluppo di questi ultimi, tanto che con la direttiva 2009/110/CE del 16 settembre, il legislatore ha rivisto il quadro normativo e la vigilanza prudenziale degli istituti di moneta elettronica (imel), riportando la nozione di ente creditizio alla versione originaria così come delimitata nell’anzidetta lett. a); per approfondimenti sul punto, anche di dottrina, si vedano in particolare Bani e De Biasi, Sub art. 114-quater, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, diretto da Capriglione, t. II, Milano, 2018, pp. 1709 ss. e 1729 ss. 13 Si nota una modifica del tutto irrilevante della precedente definizione di ente creditizio: «un’impresa la cui attività consiste nel raccogliere depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico e nel concedere crediti per proprio conto». 14 Si ricorda infatti che ai sensi dell’art. 33 della Crd4 gli enti creditizi possono svolgere tutte le attività presenti nell’allegato I della direttiva, ed operare quindi come banca “universale”, nel rispetto delle sole riserve di legge presenti nell’ordinamento giuridico.

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– la previsione di talune esclusioni, poiché non deve trattarsi di un negoziatore per conto proprio di merci e di quote di emissioni15, di un organismo di investimento collettivo o di un’impresa di assicurazione; – la sussistenza di una delle seguenti condizioni: i) il «valore totale delle attività consolidate dell’impresa è pari o superiore a 30 miliardi» di euro; ii) il «valore totale delle attività dell’impresa è inferiore a 30 miliardi» di euro ma «l’impresa fa parte di un gruppo in cui il valore totale delle attività consolidate di tutte le imprese di tale gruppo (“che individualmente detengono attività totali inferiori a 30 miliardi» di euro «e svolgono una qualsiasi» delle anzidette attività dell’allegato della MiFID2) è pari o superiore a 30 miliardi di euro; oppure iii) il «valore totale delle attività dell’impresa è inferiore a 30 miliardi» di euro e «l’impresa fa parte di un gruppo in cui il valore totale delle attività consolidate di tutte le imprese del gruppo», che svolgono una qualsiasi delle anzidette attività dell’allegato della MiFID2, «è pari o superiore a 30 miliardi» di euro, «ove l’autorità di vigilanza su base consolidata – in consultazione con il collegio delle autorità di vigilanza – decida in tal senso per far fronte ai potenziali rischi di elusione e ai potenziali rischi per la stabilità finanziaria dell’Unione» (in questa seconda ipotesi restano fermi i presupposti della precedente, si prescinde però dalla dimensione individuale delle altre imprese del gruppo e si valorizza invece il ruolo delle autorità competenti cui spetta – lo vedremo subito nel prossimo paragrafo – di presidiare possibili tentativi di elusioni e quindi di arbitraggi normativi, facilitati dalla presenza di gruppi transnazionali come nel caso si specie). Si aggiunge che se l’impresa fa parte di un gruppo di un paese terzo, ai fini dei punti ii) e iii), le attività totali di ciascuna succursale del

15 Si segnala che l’art. 62, par 3, alla lett. k), Ifr, introduce nell’art. 4 del Crr il punto 150 ove è contenuta la definizione di tale negoziatore: trattasi di un’impresa la cui attività principale è esclusivamente la fornitura di servizi di investimento o lo svolgimento di attività di investimento in strumenti derivati su merci o contratti derivati su merci così come individuati nell’allegato I, sez. C, MiFID2: ai punti 5, 6, 7, 9 e 10, per i contratti derivati su merci; al punto 4 per gli strumenti derivati su quote di emissione; e al punto 11 per le quote di emissioni. Per una panoramica sul comparto delle attività e dei servizi d’investimento si possono vedere le opere a contenuto generale più recenti di Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare10, Torino, 2020 nonché i commenti contenuti in Il Testo Unico Finanziario, a cura di Cera e Presti, Bologna, 2020; per una visione “integrata” v. Vella e Bosi, Diritto ed economia di banche e mercati finanziari, Bologna, 2019.

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gruppo di un paese terzo autorizzata nell’Unione sono incluse nel valore totale combinato delle attività di tutte le imprese del gruppo. Nel paragrafo successivo ci soffermiamo su questa rilevante modifica normativa, provando a meglio definirne il senso, seguirà un approfondimento sulla nuova articolazione delle altre imprese d’investimento delineata dall’Ifr. 3.1. Prove tecniche di “migrazione”: conseguenze per le imprese d’investimento/colossi finanziari e assonanze con altre riforme. La modifica subita dalla definizione di ente creditizio trasforma, nella sostanza, il modo di essere delle imprese di investimento. Il legislatore ha fissato una soglia minima rapportata ad un certo paradigma operativo (sintomatico di vulnerabilità e rischi apparentabili a quelli delle banche), ritenendola incompatibile con l’assoggettamento delle stesse al quadro prudenziale e (soprattutto) di supervisione sinora condiviso tra Crr/Crd4 e MiFID216. La vicenda per alcuni tratti ricorda quella delle banche popolari italiane, costrette ad abbandonare la forma cooperativa e a trasformarsi in società per azioni al raggiungimento della soglia di 8 miliardi di euro di attività (applicata a livello consolidato se le stesse facevano parte di un gruppo), poiché anche in questo caso il conseguimento delle grandi dimensioni aveva attirato l’attenzione del legislatore sulle inefficienze del quadro regolamentare e della supervisione17. Si è visto che il Crr novellato sceglie il livello di guardia funzionale a far acquisire la condizione giuridica di “banca” alle imprese d’investimento, operanti su vasta scala nei campi sopra richiamati (negoziazione per proprio conto, assunzione a fermo di strumenti finanziari o collocamento di strumenti finanziari sulla base di un impegno irrevocabile), ad attivi pari o superiori a 30 miliardi di euro considerati a livello in-

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In realtà la dir. 2014/65/Ue entra in gioco per i profili riguardanti l’accesso al mercato, i requisiti in tema di organizzazione e le norme di comportamento a tutela degli investitori. 17 Il riferimento va al d.l. 24 gennaio 2015, n. 3, convertito con la legge 24 marzo 2015, n. 33, che molto ha fatto discutere dottrina e giurisprudenza, la vicenda è stata poi sottoposta anche al vaglio del giudice europeo: per un’ampia ricostruzione dei tratti e dei passaggi della riforma si veda da ultimo la Conclusione dell’Avvocato generale Gerad Hogan, presentata l’11 febbraio 2020, nella Causa C-686/18, su domanda di pronuncia pregiudiziale avanzata dal Consiglio di Stato italiano (http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=016C6164118E16B6A42183C8CC8DEDFE?text=&docid= 223236&pageIndex=0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=7063516).

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dividuale per quelle di rilevanza sistemica o a livello consolidato per quelle di grandi dimensioni (rectius, “non piccole e non interconnesse”). Va segnalato come il valore delle attività superiori a 30 miliardi non sembri casuale dato che eguaglia una soglia già presente nei criteri di “more significant” – fissati dall’art. 6, par. 4, co. 2, lett. i), del reg. Ue n. 1024/2013, sul Mvu – e adottata ai fini dell’assoggettamento di una banca alla centralizzazione della vigilanza nella Bce. Da notare però una differenza non marginale: per l’impresa d’investimento il riferimento va alle attività “consolidate” e quindi al gruppo di cui la stessa è a capo ovvero fa parte; rispetto alle banche risulta quindi più basso, a livello individuale, il parametro della “rilevanza sistemica”. Con riferimento alle ipotesi previste dalle sopraddette lett. ii) e iii) va poi evidenziato che per l’acquisizione dello status di banca da parte delle imprese d’investimento componenti di un gruppo, il legislatore ha posto un discrimine nella collocazione geografica, rispettivamente nazionale o cross-border; lo si evince dalla presenza di più autorità coinvolte nella supervisione “invitate” a collaborare ai fini di tale passaggio, rimesso tuttavia dalle norme nella sfera di competenza dell’autorità responsabile della vigilanza consolidata. In definitiva, la possibilità di traghettare nel comparto bancario riservata anche ad imprese di investimento ritenute significative (sulla base dei criteri visti) nei singoli paesi membri, oppure a seguito di una decisione assunta dall’autorità di vigilanza su base consolidata18, previa consultazione del collegio della autorità di vigilanza, intende arginare i potenziali arbitraggi regolamentari di un quadro normativo di fatto frammentato a livello nazionale e quindi rischioso per la salvaguardia della stabilità del mercato finanziario unico. Peraltro, il fatto che entrino in rilievo sia la significatività delle attività transfrontaliere del gruppo di appartenenza sia l’importanza del gruppo per l’economia dell’Unione, permette di rilevare un altro collegamento con i criteri che all’interno del Mvu si aggiungono a quello dimensionale al fine di attrarre nella vigilanza della Bce le banche “more significant”. Del resto, come si legge nel considerando 38 dell’Ifr, la scelta di accordare lo status di ente creditizio alle «grandi imprese d’investimento» risponde all’obiettivo di «creare sinergie in relazione alla vigilanza sulle attività transfrontaliere del mercato all’ingrosso in un gruppo di pari, promuovendo la parità di condizioni e consentendo una

18 Si segnala che sul punto sia il new banking package che l’Ifr/Ifd introducono innovazioni rispetto alle precedenti definizioni.

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vigilanza uniforme nei vari gruppi». Il legislatore con la definizione delle soglie «in modo combinato per tutte le imprese di investimento che fanno parte dello stesso gruppo», ha voluto anche «ridurre gli incentivi» a strutturare la loro attività in modo tale da «evitare di superare le soglie al di sopra delle quali non si qualificano come imprese di investimento piccole e non interconnesse»19, attribuendo alle autorità il compito di arginare i rischi di elusione, affinché non si creino situazioni di questo tipo, da parte di «gruppi potenzialmente sistemici»20. Nell’insieme il processo è articolato e complesso tanto che il legislatore definisce una fase transitoria di assestamento scandita da rilevanti poteri sul piano della definizione dei dettagli tecnici riservati all’Abe (che ancor più rafforza il proprio ruolo sul piano della formazione delle regole) nonché da spazi di manovra per il legislatore nazionale. Nel pacchetto Ifr/Ifd sono però ravvisabili alcune travature essenziali all’interno dell’inquadramento delle singole categorie di imprese di investimento, individuate dal legislatore attraverso degli indici da cui risulta possibile ricostruire, diciamo così, il passaggio di specie o comunque la riconduzione (meglio: il mantenimento) delle imprese d’investimento nel diritto delle banche.

4. L’assoggettamento alla disciplina bancaria anche per “altre” imprese d’investimento (l’appartenenza al gruppo come discrimine). Nel pacchetto Ifd/Ifr è interessante soffermarsi sul trattamento prudenziale riservato alle imprese d’investimento risparmiate dalla trasformazione in banche, in quanto il legislatore condiziona la loro sorte alle dimensioni assunte o alla appartenenza ad un gruppo.

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Tanto si legge nel considerando n. 18 dell’Ifr; nel considerando n. 17 si suggerisce che le imprese d’investimento piccole e non interconnesse siano quelle «che non negoziano per conto proprio o non si espongono a rischi derivanti dalla negoziazione degli strumenti finanziari, non detengono attività o denaro dei clienti, dispongono di attività inferiori a 1,2 miliardi di EUR sia nell’ambito della gestione discrezionale del portafoglio che nell’ambito di accordi non discrezionali (consulenza), gestiscono ogni giorno ordini dei clienti per meno di 100 milioni di EUR per le operazioni a pronti o ordini dei clienti per meno di 1 miliardo di EUR per gli strumenti derivati, e hanno uno stato patrimoniale inferiore a 100 milioni di EUR, compresi gli elementi fuori bilancio, e ricavi totali lordi annuali derivanti dai loro servizi di investimento inferiori a 30 milioni di EUR». 20 Cfr. il considerando n. 40 dell’Ifr.

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Da notare anzitutto come nel comparto si vada profilando una particolare categorizzazione di tali imprese, che si snoda sulla presenza di limiti qualitativi (in ragione delle attività e dei servizi offerti) e dimensionali (raggiungimento di alcune soglie segnaletiche), ai quali corrispondono i due sistemi giuridici, alternativi, delineati dai pacchetti Crr/ Crd4, più severo ed organico a livello europeo, e Ifr/Ifr, semplificato ma maggiormente frammentato tra i diversi paesi unionali. Connotato peculiare dell’Ifr risulta quello di delineare una nuova articolazione delle imprese d’investimento impostata sull’acquisizione dello status di banca così come richiamata nei precedenti paragrafi, in ragione della rilevanza sistemica, oppure sul mantenimento della propria condizione giuridica di impresa d’investimento ma con possibile riconduzione in modo preferenziale nella vigilanza bancaria su base consolidata (con attrazione quindi nel cod. banc. Ue). A. In effetti, nel definire il proprio ambito di applicazione, l’Ifr fissa taluni parametri di riferimento idonei ad incasellare le imprese d’investimento in tre diverse categorie che restano assoggettate al pacchetto Crd4/Crr. Il legislatore, pur seguendo il solco tracciato per il loro trasferimento nel comparto bancario attraverso la modifica apportata alla nozione di ente creditizio, si muove però su un terreno diverso poiché in questo caso le imprese d’investimento rimangono ancorate al comparto mobiliare. Il processo segue due strade che di seguito indichiamo. – La prima si configura come “deroga” all’applicazione dell’Ifr e ritaglia due fattispecie. I. Abbiamo anzitutto il segmento delle imprese d’investimento cui si applica ex lege il cod. banc. Ue e che restano sottoposte alla vigilanza delle autorità nazionali. L’art. 1, par. 2, del reg. 2019/2033, Ifr, introduce infatti la deroga all’applicazione dei requisiti prudenziali da questo previsti relativamente a grandi imprese d’investimento prive di rilevanza sistemica ma con operatività simile alle banche, riprendendo gli analoghi requisiti fissati nella nozione di ente creditizio con soglie però abbassate e l’aggiunta di taluni dettagli. I punti di partenza sono quindi lo svolgimento dell’attività di negoziazione in conto proprio e di assunzione a fermo di strumenti finanziari e/o di collocamento di strumenti finanziari sulla base di un impegno irrevocabile (con le eccezioni già viste), nonché il rispetto di una serie di condizioni, alternative. Queste ultime sono saldate: (i) alle attività consolidate, che per l’impresa d’investimento interessata devono essere pari o superiori alla soglia di 15 miliardi (si specifica che sono escluse le filiazioni extra Ue), ovvero

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(ii) ad un valore inferiore a tale soglia, ma appartenenza dell’impresa di investimento ad un gruppo, infine (iii) alla decisione della competente autorità di vigilanza rilasciata ai sensi dell’art. 5 della dir. 2019/2034, Ifd. Da evidenziare l’importanza di quest’ultima disposizione in quanto per un verso abbassa ulteriormente la soglia di guardia a 5 miliardi, per altro verso regola la discrezionalità delle autorità competenti nell’assoggettare ulteriori imprese d’investimento ai requisiti fissati da Crr/Crd4, le disposizioni dei quali in tema di requisiti prudenziali mantengono quindi un ruolo fondamentale a presidio della stabilità sistemica. Questo emerge dalle stesse condizioni fissate dall’art. 5 Ifd e giustificate: (1) con l’ipotesi che in caso di fallimento o di una situazione di difficoltà lo svolgimento da parte dell’impresa d’investimento delle attività sopradette su tale scala potrebbe “comportare un rischio sistemico” (par. 1, lett. a); (2) con il fatto di essere un’impresa partecipante a una controparte che si assume la responsabilità di adempiere le obbligazioni finanziarie derivanti dalla partecipazione (lett. b); (3) con la possibile “rilevanza dell’impresa di investimento per l’economia dell’Unione” o dello stato membro (lett. c, punto i); (4) con la significatività delle attività transfrontaliere e dall’interconnessione con il sistema finanziario (lett. c, punti ii e iii). II. Ai sensi del par. 5 dell’art. 1, Ifr, i requisiti del Crr possono altresì essere applicati, previa autorizzazione rilasciata dalle autorità competenti, ad un’impresa d’investimento che svolga sempre le attività sopra dette a patto che siano presenti determinate condizioni. Deve trattarsi di una “filiazione” che: (i) rientra nella vigilanza su base consolidata di una banca, di una società di partecipazione finanziaria oppure mista di cui alle disposizioni sul consolidamento prudenziale previsto agli artt. 11 e seguenti del Crr, (ii) ha informato l’autorità competente (ed eventualmente anche quella su base consolidata), la quale ha accertato che l’applicazione dei requisiti di fondi propri del Crr sia solida, non comporti riduzioni rispetto a quelli previsti dall’Ifr e non venga attuata a fini di arbitraggio regolamentare. Su tale punto va precisato che l’Ifr nella parte due disciplina i fondi propri, con norme sulla loro composizione (art. 9) e sul trattamento delle partecipazioni qualificate al di fuori del settore finanziario (art. 10), norme che in larga parte rinviano alle disposizioni del Crr, introducendo però talune deroghe e/o specificazioni dettate dalla filosofia di fondo dell’Ifr tesa a restringere il proprio ambito soggettivo alle imprese di

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investimento, per tanti aspetti, “marginali” (sul piano delle dimensioni e dell’operatività) in quanto non devono avere – diciamo così – le phisique du rôle per essere attratte nella disciplina bancaria. – L’altra strada che porta all’applicazione delle regole del cod.banc. Ue è indicata dall’art. 6, par. 1, dell’Ifr, dedicato alle esenzioni dall’applicazione dei requisiti su base individuale (esclusi quelli patrimoniali) previsti dall’Ifr stesso; alcune condizioni restano condivise. III. La terza categoria di impresa di investimento è indicata da tale disposizione alla lett. b) sub i), ove si considera sempre un’impresa d’investimento che sia una filiazione e rientri nella vigilanza su base consolidata di una banca, di una società di partecipazione finanziaria oppure mista ai sensi delle anzidette disposizioni del Crr, per la quale si stabiliscono però i seguenti presupposti: a) trattasi di un’impresa di investimento piccola e non interconnessa ai sensi dell’art. 12 Ifr; al riguardo tra le 9 condizioni prefissate si segnalano in particolare quelle relative (i) alle attività gestite – c.d. AUM-assets under management – che devono essere inferiori a 1,2 miliardi di euro, e (ii) al totale delle attività in bilancio e fuori bilancio, poste ad un limite inferiore a 100 milioni; b) è presente il connotato nazionale (l’impresa d’investimento e l’impresa madre sono soggette ad autorizzazione e vigilanza in uno stesso stato membro: lett. c); c) v’è il parere favorevole dell’autorità competente (lett. d); d) sussiste la garanzia di un’adeguata distribuzione dei fondi propri tra impresa d’investimento e impresa madre (lett. e). È interessante soffermarsi su quest’ultimo requisito in quanto il legislatore delinea le condizioni strutturali del gruppo (nel secondo caso interamente collocato in uno stato membro) ed i presupposti che garantiscono i flussi di finanziamento al proprio interno: i) non devono sussistere «rilevanti impedimenti di diritto o di fatto, attuali o previsti, che ostacolino il rapido trasferimento del capitale o il rimborso di passività da parte dell’impresa madre»; ii) previa approvazione dell’autorità competente, l’impresa madre dichiara «di garantire gli impegni assunti dall’impresa di investimento o che i rischi dell’impresa di investimento sono trascurabili»; iii) le procedure di valutazione, misurazione e controllo del rischio dell’impresa madre devono coprire anche l’impresa di investimento; e iv) l’impresa madre deve detenere più del 50 per cento «dei diritti di voto connessi con la detenzione di quote o azioni dell’impresa di investimento o ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza dei membri dell’organo di gestione dell’impresa di investimento».

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Sul piano della disciplina può ancora notarsi come per le imprese d’investimento integrate in un gruppo bancario venga stabilita un’ulteriore esenzione rispetto all’applicazione dei requisiti di liquidità dal par. 3, dell’art. 6, Ifr, con particolare salvaguardie che chiamano in causa la responsabilità della capogruppo nel controllare, sorvegliare ed assicurare sufficienti livelli degli stessi per le imprese interessate nonché la presenza di «contratti» che prevedano una «libera circolazione di fondi» dall’impresa madre. Con riguardo al consolidamento prudenziale previsto però per un «gruppo di imprese d’investimento» (quindi senza connessioni con il comparto bancario), è interessante segnalare che l’Ifr fissa le condizioni per essere assoggettato alle proprie disposizioni prevedendo tuttavia una ulteriore esenzione nell’art. 7, par. 2, che rende applicabili alle imprese d’investimento le norme sui fondi propri contenute nella parte due, titolo II, del Crr, confermando nuovamente un ruolo di contesto normativo di riferimento sostanziale del cod. banc. Ue. Ad un livello più generale, nell’art. 7 va altresì riscontrata la presenza di un approccio improntato alla “proporzionalità” tramite l’attribuzione alle autorità competenti della possibilità di settare la disciplina in materia di requisiti di liquidità, di cui alla parte cinque dell’Ifr, in ragione «della natura, dell’ampiezza e della complessità del gruppo» (par. 4). Su tale scia l’art. 8, rispetto alla «verifica del capitale di gruppo», prende invece in considerazione quelle strutture ritenute «sufficientemente semplici», caratterizzate dall’assenza di «rischi significativi per i clienti o per il mercato» (i quali di per sé giustificherebbero la vigilanza su base consolidata del gruppo nel suo complesso), consentendo alle autorità competenti di autorizzare la presenza di un quantitativo inferiore di fondi propri (par. 4). La flessibilità/discrezionalità attribuita alle autorità competenti va però conciliata con un ruolo centrale di riferimento assegnato all’Abe. Il legislatore stabilisce infatti che delle esenzioni applicate dalle autorità con riferimento all’art. 8, queste debbono informare l’Abe (art. 8, par. 1) che viene così messa nella condizione di conoscere le prassi di vigilanza nazionali adottate; alla stessa spetta poi di elaborare le norme tecniche di regolazione sui dettagli dell’ambito di applicazione e dei metodi di consolidamento per un gruppo di imprese d’investimento; a sua volta alla Commissione è attribuita la delega ad integrare ulteriormente l’Ifr adottando tali norme (art. 7, par. 5). B. In buona sostanza, alla luce di quanto visto, anche le imprese d’investimento non grandi e non sistemiche nonché quelle piccole e non interconnesse escluse in linea di principio dal legislatore dalla portata del cod. banc. Ue (allo scopo di separare il quadro prudenziale sin qui

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vigente con quello nuovo predisposto dal pacchetto Ifr/Ifd) possono essere riagganciate nello stesso nel momento in cui facciano parte di gruppi bancari. Un punto su cui riflettere, è quello della semplificazione del quadro regolamentare reso più rispondente al criterio di proporzionalità, aspetto di grande interesse anche per il comparto bancario alla base dello stesso new banking package del maggio 2019. Merito dell’Ifr è di aver previsto per i gruppi costituiti esclusivamente da imprese di investimento con struttura “più semplice” un controllo dei rischi “attenuato” attraverso il metodo di consolidamento prudenziale centrato in particolare sulla verifica del capitale di gruppo (art. 8, co. 1). Il reg. 2019/2033 si sofferma su molti altri aspetti che definiscono il nuovo regime delle imprese d’investimento. Quello che preme notare, in questa prima lettura, è il fatto che la ridefinizione dell’ambito di applicazione sul piano soggettivo del cod. banc. Ue riferito alle imprese d’investimento fa uscire, se possiamo usare una metafora, le stesse dalla porta (scompaiono dai titoli della Crd4 e del Crr e non sono più ricomprese nella tradizionale nozione di “ente”), ma ad alcune consente poi di rientrare dalla medesima con cambio di vestito – quelle impastate della sostanza delle banche –, mentre ad altre (quelle già integrate, attraverso strutture conglomerali, nel comparto bancario) le fa invece passare dalla finestra. Il richiamo, parziale e disorganico, sin qui svolto rispondeva all’obiettivo di disegnare l’ambito di applicazione del cod. banc. Ue alla luce delle disposizioni dell’Ifr con riguardo ai gruppi bancari aventi le imprese d’investimento al proprio interno. Un punto interessante emerso è che sul piano della struttura giuridica del gruppo, l’Ifr contiene specificazioni dell’attività direzionale dell’impresa di vertice, idonee a garantire funzionalità e stabilità del gruppo, le quali arricchiscono i lineamenti della medesima. In definitiva, l’impressione è di essere, però, di fronte alle linee di fondo di un quadro di riferimento a livello consolidato che, nei fatti, necessita di essere largamente ricostruito. L’aspetto che ad avviso di chi scrive assume particolare rilievo è quello della consapevolezza assunta dal legislatore europeo circa la necessità di comporre anche una disciplina per i gruppi settoriali ad operatività “omogenea”, aderente al fatto regolato, salvaguardando cioè al contempo i punti di approdo raggiunti con la regolamentazione sulle banche. Sul piano del consolidamento prudenziale quest’ultima assurge infatti a pilastro di riferimento anche per il comparto di quelle imprese d’investimento che si sovrappongono alle banche condividendone parte dell’operatività. Non si può non riba-

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dire come il tutto sia figlio della scelta del legislatore del 1989 di aprire al paradigma della banca universale (tramite l’allegato delle attività beneficianti del mutuo riconoscimento presente nella seconda direttiva di coordinamento in materia bancaria), la quale ha poi condizionato la successiva evoluzione normativa del comparto dei servizi d’investimento, rendendo talvolta “residuale” la disciplina a questo riferita.

5. Qualche ulteriore riflessione su una riforma di primo acchito “gattopardesca”. Nei paragrafi che precedono si è visto che il fatto di potersi trasformare in banca o di essere parte della vigilanza consolidata applicata ad un gruppo bancario o di avere un’operatività simile a quella di una banca, fa sì che le imprese di investimento con i connotati descritti restino attratte nelle maglie del cod. banc. Ue. Posto però che il regime prudenziale di quest’ultimo, in fase di revisione peraltro con il pacchetto bancario del 2019 e quindi rafforzato nei confronti delle istituzioni di rilevanza sistemica globale o “domestica”, si sarebbe già potuto applicare alle imprese di investimento con i lineamenti anzidetti, viene da chiedersi quali siano state le ragioni per aver innescato la riforma apprestata con il pacchetto Ifr/Ifd, sancendo in determinati casi anche l’obbligatoria acquisizione dello status di banca. Posto che, in ragione della scelta da parte del cod. banc. Ue del “regolamento” per la definizione dei requisiti prudenziali di banche e imprese d’investimento e del criterio della proporzionalità in esso presente, risulta debole la giustificazione della «disparità di condizioni» idonee ad innescare «arbitraggio regolamentare tra gli enti creditizi e le imprese d’investimento», conseguente a presunte differenze nell’applicazione del quadro prudenziale da parte degli stati membri ovvero di «difficoltà supplementari» per la «effettiva vigilanza prudenziale da parte delle autorità nazionali competenti» rispetto alle grandi imprese d’investimento21, di seguito esponiamo alcuni fatti e taluni ragionamenti che, nella loro concatenazione, provano a dare un senso a quella che di primo acchito può apparire come una riforma “gattopardesca”.

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Cfr. i consideranda nn. 6, 7 e 38 dell’Ifr.


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5.1. Il ruolo dell’Abe e il criterio della proporzionalità; le ragioni della Cmu e un contesto complicato dalla Brexit (l’Europa gioca d’attacco). A. Un punto di partenza da tener presente è che, per la riscrittura della regolazione delle imprese di investimento, il legislatore si è mosso su un sentiero segnato dall’Abe in particolare con l’Opinion del 201622. L’Autorità bancaria europea ha avuto un ruolo importante poiché, nei fatti, ha suggerito alcuni dei canoni relativi all’identificazione delle imprese d’investimento “systemic and bank-like” da mantenere nell’ambito di applicazione del trattamento prudenziale previsto dal cod. banc. Ue. Si è in effetti visto come i criteri scelti siano assonanti con quelli propri delle banche “più significative”. L’importanza sistemica si riscontra infatti nell’interconnessione con il sistema finanziario (che può riguardare la singola impresa, un gruppo o un sottogruppo), nella complessità (che spesso si coniuga con l’ulteriore componente dell’attività transfrontaliera) e, ovviamente, nella scontata similitudine con le attività esercitate dalle banche, facile da imbastire considerato il connotato operativo “universale” che contraddistingue queste ultime ex art. 33 della Crd4. In effetti nel suggerire la scia dei criteri identificativi dei “G-SIIs-Global Systemically Important Institutions” e degli “O-SIIs-Other Systemically Important Institutions” l’Abe ha avuto anche ben presente la coerenza che si sarebbe sviluppata con il framework regolamentare per gli stessi definito23. Questo ha fatto sì che l’Ifr possa oggi appoggiarsi sulle esistenti linee guida e norme tecniche apprestate24 per valutare l’importanza si-

22 Si v. Eba, Opinion of the European Banking Authority on the First Part of the Call for Advice on Investment Firms, EBA-Op-2016-16, 19 October 2016. Il documento (i) risponde appunto alla Call for advice to the EBA for the purposes of the report on the prudential requirements applicable to investment firms, fatta dalla Commissione europea il 13 giugno 2016, ove si richiedeva in particolare di specificare i criteri per identificare la classe di imprese di investimento da assoggettare al cod. banc. Ue, e (ii) segue una prima riflessione sul punto già fatta dall’EBA nel Report on Investment Firms Response to the Commission’s Call for Advice of December 2014, EBA/Op/2015/20, 14 December 2015, ove si raccomandava, appunto, una nuova categorizzazione in tre classi delle imprese di investimento, articolata in quelle sistemiche e “di tipo bancario” (alle quali applicare interamente i requisiti Crd4/Crr CRR), e in altre imprese di investimento, da considerare “non sistemiche” o “non interconnesse”, per le quali predisporre requisiti specifici; ulteriori riferimenti anche più avanti. 23 Si v. EBA-Op-2016-16, Opinion, cit., pp. 2 ss. 24 Si v. il reg. del. (Ue) n. 1222/2014 della Commissione dell’8 ottobre 2014 che integra la Crd4 per quanto riguarda le norme tecniche di regolamentazione per precisare la metodologia per l’individuazione degli enti a rilevanza sistemica a livello globale e per

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stemica di banche e imprese d’investimento e per il conseguente assoggettamento all’intero regime contenuto nel pacchetto Crr/Crd4. Quello che l’Abe non aveva previsto è che il legislatore si spingesse ancora più avanti e ciò realizzasse nella mutata veste di “neo-banca” che le imprese d’investimento coinvolte sono tenute ad assumere25. Riguardo agli enti a rilevanza sistemica, può ricordarsi come la Crd4 si fosse agganciata alla prospettiva regolamentare dei consessi internazionali che, partiti con le istituzioni finanziarie di rilevanza sistemica a livello globale (le “Global sistemically important institutions – G-SIFIs”) avevano poi concentrato l’attenzione sul comparto bancario ed erano passati a definire le banche con tale connotato (le “Global sistemically important banks – G-SIBs”), per arrivare infine a puntare l’attenzione anche sugli intermediari bancari di rilevanza “domestica” (le “Domestic sistemically important banks – D-SIBs”), contenendo così le esternalità negative di queste ultime sul sistema finanziario e l’economia di un paese. Ebbene, va tenuto presente che gli “enti a rilevanza sistemica globale” ridefiniti appunto come “G-SIIs – Global Systemically Important Institutions” dalla Crd4, sin da subito hanno assorbito nella categoria: (i) le banche globali di rilevanza sistemica (G-Sib), (ii) una categoria intermedia di banche, le “large institutions” (collocate tra le G-Sib e le D-Sib), ed altresì, profilo che ora qui interessa maggiormente, (iii) le imprese d’investimento26. L’art. 131 della Crd4 individua i connotati dei GSii sulla base di criteri a carattere sia quantitativo sia qualitativo. Al fine di far emergere il parallelo con quelli adottati nell’Ifr è bene richiamarli:

la definizione delle sottocategorie di enti a rilevanza sistemica a livello globale, nonché ABE, Orientamenti sui criteri per determinare le condizioni di applicazione dell’articolo 131, paragrafo 3, della direttiva 2013/36/UE (CRD) per quanto riguarda la valutazione di altri enti a rilevanza sistemica (OSII), ABE/GL/2014/10, 16 dicembre 2014, nel quale vengono definiti i criteri e gli indicatori da utilizzare per l’assegnazione del punteggio di rilevanza sistemica. Si segnala che al momento il punteggio complessivo per essere designati O-SII deve essere pari o superiore a 350 punti base; sono però previsti possibili innalzamenti o riduzioni finalizzati a tener conto delle specificità del settore bancario nazionale. 25 Qualche dettaglio infra, § 5.1.2. 26 Per approfondimenti mi permetto di rinviare a Brozzetti, “Ending of too big to fail” tra soft law e ordinamento bancario europeo. Dieci anni di riforme, Bari, 2018, dove ho già notato come la scelta dell’acronimo G-Sii può ingenerare confusione con la sigla adottata dagli organismi internazionali per le imprese di assicurazione a livello globale (p. 108), e fornito dettagli sulle singole categorie di soggetti attratti nel disposto regolamentare: si v. pp. 37 ss., 105 ss. e 170 ss.

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«a) dimensioni del gruppo; b) interconnessione del gruppo con il sistema finanziario; c) sostituibilità dei servizi o delle infrastrutture finanziarie forniti dal gruppo; d) complessità del gruppo; e) attività transfrontaliere del gruppo, comprese le attività transfrontaliere tra Stati membri e tra uno Stato membro e un paese terzo». Gli altri enti a rilevanza sistemica (“O-SIIs”) sono inquadrati dalla Crd4 con criteri valutativi a rete più estesa, potendo gli stessi scaturire da uno dei seguenti fattori: «a) dimensioni; b) rilevanza per l’economia dell’Unione o dello Stato membro pertinente; c) significatività delle attività transfrontaliere; d) interconnessione dell’ente o del gruppo con il sistema finanziario». Sul punto va notato che la soglia di rilevanza per gli O-Sii volta a misurare le dimensioni del gruppo poggia sull’indicatore di “esposizione complessiva”27 fissata a 200 miliardi; soglia che, anche se modellata su parametri diversi, risulta particolarmente elevata a fronte dei 30 miliardi prevista dall’Ifr. B. Sempre al fine di comprendere la portata delle modifiche introdotte da quest’ultimo è importante aver presente il criterio di proporzionalità, anche questo già adottato dal Crr ma ritenuto insufficiente dal legislatore del 2019. Il reg. n. 575/2013 attraeva infatti le imprese d’investimento nel proprio ambito di applicazione (ex art. 4, par. 1, punto 2) sulla base però di eccezioni rinvenibili nella «peculiarità dei rischi assunti in relazione all’operatività svolta», nonché nella previsione di «specifiche regole prudenziali per diverse ‘categorie’ di imprese d’investimento», tanto che nei fatti era già possibile distinguere le medesime in tre tipologie: quelle sottoposte integralmente al pacchetto Crr/Crd4 e quelle con un’autorizzazione limitata assoggettate al regime dell’art. 95 oppure dell’art. 96 del Crr28. C. Per tornare al tema che ora ci occupa, possiamo ancora notare come nelle liste dei G-Sii e degli O-Sii pubblicate dall’Abe per il 2019, ci siano, rispettivamente, 36 banche globali (per l’Italia abbiamo la G-Sib Unicredit, presente anche nella lista pubblicata dal Financial stability board, cui l’Ue aggiunge il gruppo Intesa)29 e 202 “enti” tutti però di

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Sul punto si veda l’allegato al reg.del. della Commissione n. 1222/2014. In tal senso si v. Banca d’Italia nella Comunicazione del 31 marzo 2014 – SIM e gruppi di SIM: applicazione della nuova normativa prudenziale europea, spec. § 2.2., p. II.4. 29 Si segnala che per il 2019 la Banca d’Italia ha individuato quali “istituzioni a rilevanza sistemica nazionale” autorizzate in Italia, in aggiunta ai due gruppi indicati nel testo, il Banco BPM; l’anno precedente era presente anche il Monte dei Paschi di Siena. 28

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natura bancaria30. Delle imprese d’investimento sistemiche come tali da inserire nella categoria dei G-Sii/O-Sii e quindi assoggettate alla regolazione “rafforzata” prevista dal cod. banc. Ue non v’è dunque traccia. Il che rende quindi inconsistente il rilievo delle difficoltà riguardanti le grandi imprese d’investimento transfrontaliere sul piano della «effettiva vigilanza prudenziale da parte delle autorità nazionali competenti», cui, per la possibile non coincidenza con quelle creditizie, sarebbe impedito di «ottenere una prospettiva prudenziale complessiva», essenziale per «affrontare in modo efficace i rischi» di tali imprese che, sul presupposto di una vigilanza meno efficace, falserebbero anche «la concorrenza nell’Unione»31. Ciò anche per buona pace del processo di armonizzazione comunitaria della regolazione del mercato mobiliare impostata a livello massimo e del criterio di collaborazione e coordinamento da sempre ritenuto imprescindibile canone informatore e punto di forza dell’ordinamento europeo (ma anche internazionale) in campo finanziario. Se però guardiamo alla realtà del fenomeno considerato in un orizzonte temporale più ampio, tali considerazioni assumono altro spessore. La stessa Abe nell’Opinion del 2016 poc’anzi richiamata sottolineava come l’80 per cento delle attività delle imprese di investimento appartenenti allo Spazio economico europeo fosse controllato da 8 imprese d’investimento in gran parte concentrate nel Regno Unito. Dalla Relazione alla Ifd traiamo poi la notizia che le imprese d’investimento che sarebbero rientrati nella categoria degli enti a rilevanza sistemica a livello globale (G-Sii) o altrimenti a rilevanza sistemica (O-Sii), per le quali la Commissione stessa proponeva il mantenimento del regime fissato nel cod.banc.Ue, erano appunto 8 nel 2017, tutte però – si badi bene – situate nell’area Brexit32. D. Il punto è ovviamente di grande interesse poiché se da un lato consente di prendere atto della irrilevanza attuale del fenomeno per il diritto dell’Ue (ove la maggior parte delle imprese d’investimento sono di piccole e medie dimensioni), dall’altro lato spinge ancor più ad interrogarsi sulla valenza e sugli effetti della riforma apprestata con il pacchetto Ifr/Ifd.

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Il termine “invest” è presente in due enti belgi: Investeringsmaatschappij Argenta, First Investment Bank AD, ed uno inglese: Credit Suisse Investments (UK); si veda https:// eba.europa.eu/risk-analysis-and-data/other-systemically-important-institutions-o-siis-. 31 Si veda il considerando n. 38, Ifr. 32 Si v. Relazione alla Ifd, p. 3, nt. 8.

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– Alla luce di quanto appena visto, la prima risposta plausibile non può che essere quella di un segnale di allerta rivolto alle imprese di investimento “esterne” all’Ue (rectius, inglesi) sistemiche e simili alle banche che intendano (continuare ad) operare nella stessa. In buona sostanza, può sostenersi che l’obiettivo di costruire la Capital markets union abbia portato l’Ue a giocare in difesa (rectius, d’attacco), alzando l’asticella della regolamentazione con l’obbligatoria migrazione dell’impresa d’investimento nel comparto bancario a regime prudenziale e di supervisione non soltanto più rigoroso ma anche più maturo a livello europeo. – Seppure al momento la novella normativa sembra non produrre effetti a livello unionale, resta tuttavia il fatto che, anche alla luce della soglia individuata per lo spostamento delle imprese d’investimento nella categoria delle banche (30 miliardi a livello consolidato), non si possa escludere che la stessa potrà avere un impatto sul settore creditizio europeo. La riforma rischia quindi di provocare un effetto collaterale “indesiderato” dato dall’esasperazione del “bancocentrismo” del sistema finanziario da molto tempo criticato, anche dalle stesse istituzioni europee33. – D’altro canto, se l’assoggettamento alla disciplina del cod. banc. Ue appare come un dato con portata limitata in quanto sul piano fattuale la manovra legislativa mantiene al momento quel sapore “gattopardesco” già avvertito, di diverso spessore è invece l’impatto sul piano della supervisione. I colossi attivi nel comparto dei servizi d’investimento con rilevanza sistemica, integrate in gruppi, soggiaceranno (rectius) continueranno a soggiacere completamente ai requisiti prudenziali, su base individuale e consolidata, e più in generale alla disciplina applicabile alle banche in forza del single rulebook, ma per le imprese di investimento operanti nell’eurozona, aderenti quindi all’Unione bancaria, la rivoluzione assumerebbe portata copernicana, in quanto determinerebbe la loro sottoposizione alla vigilanza su base individuale (come banche) e consolidata (come componenti di gruppi bancari o di conglomerati con settore dominante bancario) così come articolata nel quadro del Meccanismo di vigilanza unico34. Anche qui la conclusione resta scontata se si

33 Sul punto sia permesso il rinvio a Brozzetti, Considerazioni (sparse) su banche e attività bancaria, in Dir. banc., 2016, I, pp. 261 ss., in part. p. 264 ove un richiamo esplicito alla preoccupazione in tale direzione rinvenibile nel Report del giugno 2014 del Comitato europeo per il rischio sistemico. 34 Nella citata Relazione al reg. 2019/2033 si legge che una «evoluzione in questo senso sarebbe peraltro coerente con gli sviluppi normativi registrati in altre giurisdizioni

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tiene a mente l’evoluzione storica della disciplina del mercato finanziario (e penso in particolare a quella italiana) ove scelte e regolazione in campo bancario non solo hanno fatto da battistrada ma sono riuscite anche a mantenere nel tempo la loro forza attrattiva. 5.1.1. Una inopportuna coincidenza con l’abbandono della riforma bancaria strutturale (una critica al learning by doing). Il legislatore europeo mostra consapevolezza delle difficoltà del processo di variazione di status giuridico da parte delle imprese d’investimento ed anche delle cautele necessarie. Diverse disposizioni sono infatti dedicate a delineare procedura e tempi, piuttosto articolati: basti ricordare che il pacchetto Ifr/Ifd entrerà in vigore il 26 giugno 2021, e che l’art. 8-bis della Crd4 (introdotto dalla Ifd) affida all’Abe il compito di elaborare, e di presentare alla Commissione entro il 26 dicembre 2020, i progetti di norme tecniche di regolazione per specificare le informazioni da fornire ai fini del rilascio dell’autorizzazione come ente creditizio alle imprese di investimento rientranti nella riforma, nonché della metodologia di calcolo delle soglie previste (par. 6). Il punto che qui interessa evidenziare è che l’art. 60 Ifr introduce una clausola di riesame affidando alla Commissione il potere di procedere, previa consultazione di Abe ed Esma35, ad un’analisi con presentazione di una relazione con riferimento anche alla modifica di “ente creditizio” apportata al Crr, finalizzata a rilevare “possibili conseguenze negative indesiderate”. La frase si commenta da sola: denota come minimo difficoltà a ragionare su orizzonti temporali ampi, porta inoltre ulteriore acqua al mulino di coloro (tra cui si colloca chi scrive) i quali stigmatizzano que-

(ad es., USA, Svizzera, Giappone) nelle quali, dopo la crisi finanziaria, il trattamento regolamentare e di vigilanza riservato alle imprese di investimento a rilevanza sistemica è andato sempre più allineandosi a quello degli enti creditizi», v. p. 16. 35 Da notare l’utilizzo dell’acronimo italiano per l’autorità settoriale del comparto bancario e quello inglese per il comparto dei servizi d’investimento.

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sto approccio del learning by doing36 che contraddistingue il cammino degli ultimi lustri da parte delle istituzioni europee37. Questo alone di incertezza che ammanta la riforma, fa tornare alla memoria una particolare coincidenza con quanto accaduto rispetto ad altro progetto lasciato cadere. Va notato infatti che l’avvio della discussione sul nuovo regime prudenziale delle imprese di investimento, che poi ha portato all’emanazione del pacchetto Ifr/Ifd, si realizza nel momento in cui è in atto un’importante discussione sulla proposta di riforma strutturale bancaria, volta a separare, all’interno della banca universale, la banca tradizionale dalla banca d’investimento. Sulla scia della Volcker rule statunitense, del Vickers Report inglese e del Liikanen report europeo, il legislatore comunitario nel gennaio 2014 aveva infatti presentato un provvedimento normativo poi incagliatosi nelle sedi istituzionali nella primavera del 2015 e successivamente ritirato nell’autunno del 2017. Ho già avuto modo di approfondire il profilo della rifondazione dei modelli di business tramite la c.d. Bsr-bank structural reform, sottolineandone vantaggi, criticità e difficoltà di realizzazione per il problematico contesto di mercato38, a quanto detto oggi aggiungerei la meraviglia per un’inversione completa di rotta che ha spinto verso il rafforzamento del comparto bancario, ritenuto a quanto sembra contenitore “naturale” per lo svolgimento di attività del comparto mobiliare su vasta scala. È evidente come l’obiettivo di rafforzare l’Unione economica e monetaria anche mediante la creazione di un unico mercato europeo dei capitali,

36 Approccio che ha come diretta conseguenza quello di mantenere uno stato di lavori sempre aperto; qualche rilievo critico in Brozzetti, Il punto della Commissione europea sul quadro normativo applicabile in caso di crisi bancarie: qualche annotazione per la prossima legislatura, in Dir. banc., 2019, II, pp. 91 ss., in part. p. 92 ss. Possiamo far rientrare nella fase del learning by doing anche lo scivolone che ha avuto l’Abe con la vicenda del suo direttore esecutivo Adam Farkas, diventato anche amministratore delegato dell’Association for Financial Markets in Europe (AFME), uno dei più potenti gruppi di lobbying finanziario: si veda la notizia riportata in “Maladministration” to let the Director of the European Banking Authority (EBA) join finance lobby group, Ombudswoman decides, 11 May 2020, reperibile al link https://www.changefinance.org/2020/05/11/pressrelease-ombudsman-adam-farkas-maladministration/?fbclid=IwAR3BR44cnFWlLazqAL d_0XyG9GJN0H75YFed9qqJeZS5hV-d_kLFNfbL8no. 37 Per una acuta analisi dei tratti salienti del processo normativo innescato dalla crisi si veda in particolare Nigro, Il nuovo ordinamento bancario e finanziario europeo: aspetti generali, in Giur. comm., 2018, I, pp. 181 ss. 38 Si v., anche per i necessari riferimenti bibliografici, Brozzetti, “Ending of too big to fail”, cit., in part. pp. 115 ss. e 214 ss.

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che promuova investimenti e favorisca nuove fonti di finanziamento per le imprese, abbia giocato un ruolo di primo piano sul potenziamento dei colossi bancari, ritenuti quindi players indispensabili e di spicco dei meccanismi sottostanti alla Umc. Da ciò emerge anche il grande affidamento (di cui si può discutere) del legislatore europeo circa l’adeguatezza dei meccanismi di salvaguardia introdotti nel sistema bancario dopo la crisi del 2008 per la tutela della stabilità sistemica, sui quali interviene lo stesso new bancking package del 2019. 5.1.2. La ricerca di un approccio coerente per la regolazione e l’esercizio della vigilanza in sede Ue: quale confine tra banche ed imprese d’investimento? La modifica della nozione di ente creditizio apportata dall’Ifr, all’interno di una riforma volta a realizzare un quadro prudenziale e di vigilanza per le imprese d’investimento calibrato sulle dimensioni e le caratteristiche delle medesime, costituisce una sorta di colpo di mano del legislatore europeo che supera l’immaginabile. Siamo di fronte ad una “trasformazione” storica poiché va oltre la totale parificazione, rispetto alla prestazione dei servizi di investimento, tra banche ed imprese d’investimento, portata a compimento dal legislatore europeo con il pacchetto Crr/Crd4, al cui interno con il temine “enti” li racchiudeva ormai entrambi senza distinguo39. Nella sostanza, la presenza di variegati modelli imprenditoriali all’interno del comparto dei servizi e delle attività di investimento ha spinto il legislatore a rispondere all’esigenza di una maggiore proporzionalità, e quindi di una riduzione dei costi, riguardo agli oneri di conformità, per gli operatori di piccole e medie dimensioni, tramite un’operazione congiunta sulla sensibilità al rischio dei requisiti prudenziali applicati e sull’obiettivo di rendere questi ultimi funzionali a garantire una “liquidazione ordinata”40. Il pacchetto Ifr/Ifd introduce, quindi, un’articolata disciplina prudenziale con connotati di flessibilità, idonei cioè ad abbracciare diversi paradigmi operativi, e di adeguatezza ai rischi derivanti

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Nel precedente codice bancario europeo la parificazione veniva effettuata solo dalla dir. 2006/49/CE c.d. CAD-Capital adequacy directive, nella dir. 2006/48/CE, c.d. CRD-Capital requirements directive, la stessa era invece circoscritta a certe parti della medesima. 40 In tal senso si veda la Relazione all’Ifr, p. 9.

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dal profilo commerciale assunto. Il nuovo regime si rivolge alla maggior parte delle imprese d’investimento ed ha come conseguenza la loro sottrazione alle disposizioni del Crr e della Crd4. Questo cambiamento di impostazione faceva seguito alle raccomandazioni dell’Abe41, che nella sostanza chiedeva di lasciare nella disciplina del cod. banc. Ue le imprese più grandi e quelle a maggior rilevanza sistemica, rinviando la loro definizione a successive norme tecniche di attuazione. Nel promuovere il processo legislativo la Commissione europea ha invece seguito una rotta che oltre a privilegiare il livello primario ha anche mutato direzione. Lo scostamento emerge in una Comunicazione del 2017, ove si prospetta il cammino verso un’unica autorità europea di vigilanza dei mercati dei capitali ma si avanza altresì la proposta di «allineare il quadro normativo e di vigilanza di talune grandi imprese di investimento a quello dei grandi enti creditizi», al fine di garantire, fra l’altro, l’assoggettamento di tali imprese stabilite negli stati membri partecipanti all’Unione bancaria «alla vigilanza della Banca centrale europea nelle sue funzioni di vigilanza, garantite dal meccanismo di vigilanza unico»42. La filosofia di fondo appare dunque quella di assicurare a livello regolamentare parità di condizioni tra intermediari ritenuti, diciamo così, “intercambiabili”; sul piano della convergenza in materia di vigilanza emerge invece la forte propensione della Commissione verso la supervisione “diretta” all’interno del processo di integrazione in corso con la costruzione dell’Unione finanziaria ancorata sull’Unione bancaria e su quella dei mercati dei capitali. Come già evidenziato, da un lato il problema della manifestazione di interesse da parte delle imprese del Regno Unito sul trasferimento delle loro operazioni (rappresentanti una quota consistente delle attività totali e del volume operativo dell’intero comparto dell’UE) in particolare verso gli stati membri aderenti all’Unione bancaria, unito, dall’altro lato, al fatto che “gruppi bancari dei paesi terzi hanno nell’UE strutture sempre più complesse che consentono loro di operare tramite soggetti che sfug-

41 Si v. in part. EBA, Discussion Paper. Designing a new prudential regime for investment firm, EBA/DP/2016/02, 4 November 2016; Opinion of the European Banking Authority in response to the European Commission’s Call for Advice on Investment Firms, EBA/Op/2017/11, 29 September 2017. 42 CE, Comunicazione su Intensificare la vigilanza integrata per rafforzare l’Unione dei mercati dei capitali e l’integrazione finanziaria in un contesto in evoluzione, COM(2017) 542 final, Bruxelles, 20 settembre 2017, pp. 10 e s.

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gono alla vigilanza esercitata dalla BCE”43, hanno spinto il legislatore a scegliere un’impostazione normativa che, al fine di ridurre arbitraggi e concorrenze sleali, portasse al solo approdo sicuro esistente costituito dal meccanismo di vigilanza unico. Evidente però anche il rischio, peraltro ben presente al legislatore stesso (tanto che mette in stato di allerta le autorità competenti, tra le quali è ricompresa la stessa Bce)44, che i gruppi diciamo “extra UE” investiti dalla riforma possano riorganizzare il proprio modello di business in modo da non raggiungere le soglie che impongono la conversione in banca45. Il punto è interessante in quanto rende evidente un forte limite del processo di armonizzazione delle legislazioni nazionali nel mercato unico europeo costituito dall’assenza di un’organica legislazione sui gruppi che indebolisce la stessa vigilanza centralizzata nella Bce46. In ogni caso, l’introduzione dell’obbligo di trasformazione in banca sul presupposto della sovrapposizione delle attività d’investimento erogate, anche con una giustificazione gracile quale quella della similitudine dei rischi47 (già fatta propria dal cod. banc. Ue, che infatti mantiene il proprio ruolo di regolazione primaria), prende atto dell’esistenza di un

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Si veda Relazione all’Ifr, 4 e 6. I problemi conseguenti alla Brexit sono stati evidenziati anche in Opinion of the European Banking Authority on issues related to the departure of the United Kingdom from the European Union, EBA/Op/2017/12, 12 October 2017, in part. p. 2. 44 Si veda il considerando n. 39. 45 Stessa preoccupazione per i rischi di elusione e di deleteri arbitraggi regolamentari il legislatore manifesta con riferimento alle grandi imprese d’investimento prive di importanza sistemica “salvate” dalla trasformazione in banca, ma assoggettate ugualmente al cod. banc. Ue, le quali potrebbero strutturare le proprie operazioni in maniera da rimanere al di sotto della soglia dei 15 miliardi di euro ovvero da «limitare indebitamente la discrezionalità delle autorità competenti di sottoporre le imprese di investimento ai requisiti» presenti in tale codice: cfr. il considerando n. 42 dell’Ifr. 46 Sul “neo” della vigilanza consolidata mi sono soffermata nel lavoro “Ending of too big to fail” tra soft law e ordinamento bancario europeo, ecc., pp. 110 ss. e passim. 47 Peraltro sul punto lo stesso legislatore appare in contraddizione nel momento in cui giustifica la realizzazione del nuovo quadro regolamentare per le imprese di investimento, argomentando sulla diversità dei rischi derivanti dal fatto di non accettare depositi né di erogare prestiti, il quale renda le stesse «meno esposte al rischio di credito e al rischio che i depositanti decidano di ritirare i loro soldi con un preavviso breve», si v. Relazione all’Ifr, 2, più avanti, quando deve invece sostenere per le imprese d’investimento a rilevanza sistemica il mantenimento nel regime del codice bancario europeo fa emergere come le attività svolte “le espongono al rischio di credito, principalmente sotto forma di rischio di controparte e di rischio di mercato riguardo alle posizioni assunte per conto proprio, siano esse per i clienti o per loro stesse”, ivi, p. 3.

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confine sempre più labile tra banche e imprese d’investimento in forza del progressivo “tramonto” della banca tradizionale48 ancorata all’intermediazione creditizia, riaprendo anche il dibattito sul concetto giuridico di banca. Seppure è vero che non esiste «una nozione di attività bancaria valida in assoluto, oggettivamente vera e riscontrabile», quanto piuttosto «un taglio della nozione che è fornito dai diversi ordinamenti»49, d’altro canto è evidente come la biforcazione della nozione di banca presente ora nel Crr introduca un vulnus che lascia emergere la possibilità di poter prescindere dal consueto collegamento funzionale della raccolta di risparmio tra il pubblico all’esercizio del credito, aprendo l’ingresso ad un soggetto “banca” settato in primis sulle attività condivise con le banche ma, quantomeno formalmente, tipizzanti il modello imprenditoriale dell’impresa d’investimento50. Il diritto europeo va quindi ad “estremizzare”, rendendola obbligatoria, una scelta che, perlomeno rispetto al nostro Paese, ha registrato nel tempo diversi passaggi di categoria da società di intermediazione mobiliare in banche51, sollevando riflessioni

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Tramonto che, come evidenzia Belli, Corso di legislazione bancaria, t. I, Legislazione bancaria italiana (1861-2010), Pisa, 2010, non vuol dire considerare la banca come «un animale in via d’estinzione», ma invita a tener presente la «progressiva ‘sostituzione dei contenuti’ […] se non addirittura […] di mutazione genetica» che la stessa ha avuto in forza dell’enorme “espansione dell’area dei cosiddetti servizi non connessi all’intermediazione e delle altre attività finanziarie”, cit., p. 26, v. anche nt. 61. 49 Così Antonucci, Diritto delle banche5, Milano, 2012, p. 70, ove l’Autrice sottolinea anche il variare della nozione di attività bancaria (temporalmente e geograficamente) poiché la stessa «si lega a scelte macroeconomiche, di struttura del rapporto economiacredito, nonché a scelte microeconomiche, di organizzazione aziendale degli intermediari». Per un inquadramento generale del tema, ed ulteriori riferimenti bibliografici, si vedano i recenti commenti all’art. 10 del t.u.b. di Capriglione, in Commento al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, diretto da Id., t. I, Milano, 2018, pp. 111 ss.; nonché di Corrente, in Commentario breve al testo unico bancario, a cura di Costi e Vella, Milano, 2019, pp. 67 ss. 50 Va infatti tenuto presente che, ex art. 10 t.u.b., per la banca le attività beneficianti del mutuo riconoscimento rientrano nell’ampio genus delle “altre attività finanziarie” che le banche possono esercitare accanto all’“attività bancaria”. 51 Nella realtà il fenomeno è ampiamente conosciuto, a parte il riassetto delle società di intermediazione mobiliare all’interno dei gruppi di appartenenza (si pensi alla BNL Investimenti SIM trasformata in banca nel 2001) è un dato di fatto anche l’interesse delle società di intermediazione mobiliare verso l’attività bancaria, emblematico il caso dell’evoluzione della SIM Albertini nata nel 1991 e trasformatasi in banca nel 2003 (alcune informazioni in https://www.aidaf.it/ersel-e-nuovo-socio-forte-643-di-banca-albertini/), identico processo registra ad esempio anche la SIM Promos, divenuta banca nel 2004

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sulla portata della nozione giuridica di attività bancaria ex art. 10 del t.u.b.52. Anche se alla luce del mercato unico europeo, contraddistinto da numerosi modelli di business53, oggi sorprenda meno il fatto che il termine banca si possa attribuire a platee di soggetti che si discostano dalla nozione comunitaria di ente creditizio54, è però interessante porre in rilievo come per le imprese d’investimento obbligate a richiedere l’autorizzazione in qualità di enti creditizi, con la conseguente abilitazione a raccogliere depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico e a concedere crediti per proprio conto, il legislatore europeo sostenga che «lo svolgimento di queste attività […] non dovrebbe costituire un requisito necessario affinché le imprese siano considerati enti» creditizi. Il legislatore si premura di precisare altresì che la modifica di ente creditizio introdotta «non dovrebbe pregiudicare i regimi nazionali di autorizzazione attuati dagli Stati membri» conformemente al cod. banc. Ue, e che questi ultimi possono assumere particolari disposizioni «al fine di chiarire le attività che le grandi imprese di investimento che rientrano nella definizione modificata di enti creditizi possono esercitare»55. In buona sostanza la flessibilità concessa potrà essere foriera di ulteriori frammentazioni sul piano tipologico delle imprese attive nel comparto bancario europeo. Al momento, però, le disposizioni normative si preoccupano di rafforzare gli obblighi di segnalazione da parte delle imprese d’investimento (parte sette dell’Ifr), dedicando l’art. 55 a quelli rilevanti ai fini della delimitazione del “nuovo” ente creditizio previsto all’art. 4, par. 1, punto 1, lett. b) del Crr novellato. Il dato che emerge è quello del flusso informativo continuo tra autorità competenti ed Abe, cui è anche attribuito, fra l’altro, il potere di elaborare in consultazione con l’Esma progetti di

(notizie al link https://www.bancapromos.it/it/storia). 52 In merito resta poi sempre valido l’insegnamento di P. Ferro-Luzzi che, su di un piano generale, sottolineava «l’impossibilità […] di giuridicizzare in qualche maniera le caratteristiche dell’attività bancaria nei due versanti della raccolta e dell’erogazione», e consigliava di «privilegiare la sostanza economica sulla forma giuridica», v. Sull’attività bancaria, in La nuova disciplina dell’impresa bancaria, a cura di Morera e Nuzzo, vol. II, L’attività delle banche, Milano, 1996, pp. 11 ss., in part. p. 24. 53 Si v. l’ampio lavoro di Cernov e Urbano, Identification of EU bank business models. A novel approach to classifying banks in the EU regulatory framework, in Eba staff paper series, n. 2, June 2018. 54 Brescia Morra richiama il caso di Mediobanca, autorizzata come banca ma senza «filiali operanti con il pubblico presso le quali raccogliere il risparmio», v. ll diritto delle banche. Le regole dell’attività3, Bologna, 2020, p. 72. 55 Si v. il considerando n 40.

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norme tecniche di regolazione per specificare ulteriormente gli obblighi di segnalazione introdotti, rendendoli funzionali al “controllo efficace delle soglie” che il par. 1, lett. a) e b) dell’art. 8-bis della Crd4 – introdotto dall’art. 62, par. 6, Ifd, e dedicato alle “condizioni specifiche” per il rilascio dell’autorizzazione degli enti creditizi rientranti nella fattispecie di cui sopra – prevede per le imprese d’investimento già autorizzate ai sensi della MiFID2 ed ora obbligate, in ragione della presenza degli “eventi” previsti in tale lettere56, a presentare “tempestiva” domanda di autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria. 5.1.3. (Segue): un ruolo di primo piano per le Autorità di vigilanza europee. Il ruolo assunto dalle imprese d’investimento per l’accesso degli investitori ai mercati dei titoli e dei derivati, attraverso l’ampia gamma di attività e servizi offerti, ha fatto sì che la “perdita” della possibilità di poter contare sulla centralità della piazza finanziaria londinese57 spingesse ancor più verso la realizzazione di un mercato dei capitali più forte per l’Unione europea. La crisi finanziaria in corso e la necessità di promuovere investimenti e sostenere nuove fonti di finanziamento per le imprese hanno reso l’affiancamento dell’Unione dei mercati dei capitali all’Unione bancaria, una delle priorità in vista della creazione dell’Unione finanziaria tra i paesi dell’UE. Le imprese d’investimento, “ingranaggi essenziali” per il legislatore europeo ai fini del “buon funzionamento dell’UMC”58, sono state così poste al centro del problema.

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Le lettere interessate tanto dispongono: «a) la media delle attività totali mensili, calcolata su un periodo di dodici mesi consecutivi, è pari o superiore a 30 miliardi di EUR; o b) la media delle attività totali mensili, calcolata su un periodo di dodici mesi consecutivi, è inferiore a 30 miliardi di EUR e l’impresa fa parte di un gruppo in cui il valore totale delle attività consolidate di tutte le imprese del gruppo che detengono individualmente attività totali inferiori a 30 miliardi di EUR e svolgono una qualsiasi delle attività di cui all’allegato I, sezione A, punti 3 e 6, della direttiva 2014/65/UE è pari o superiore a 30 miliardi di EUR, cifre entrambe calcolate come media su un periodo di dodici mesi consecutivi». 57 Il legislatore europeo nella Relazione sia all’Ifr sia all’Ifd sottolinea la posizione dominante del Regno Unito e quindi il ruolo più marginale di Germania, Francia, Paesi Bassi e Spagna ove si distribuiscono in prevalenza le altre imprese d’investimento europeo. 58 Così a p. 1 di entrambe le Relazioni all’Ifd e all’Ifr.

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L’apertura alla banca universale, sancita con la seconda direttiva di coordinamento in materia bancaria n. 89/646/Cee (la “nonna” della Crd4), ha permesso agli enti creditizi di allargare la propria operatività al segmento delle attività e dei servizi d’investimento, ha indicato un sentiero che ha determinato quella sovrapposizione tra intermediari e scandito, sin qui, l’elaborazione delle regole nel mercato finanziario, la realtà del quale ha evidenziato il forte “bancocentrismo” e il posizionamento maggioritario delle imprese d’investimento dell’Ue su una limitata serie di attività e servizi offerti (consulenza, ricezione e trasmissione/esecuzione ordini, gestione del portafoglio). Va quindi accolta con favore l’impostazione europea improntata su un criterio di maggiore proporzionalità con semplificazione del disposto normativo, reso in effetti con il pacchetto Ifr/Ifd meglio delimitato e risk-sensitive. Il nuovo regime prudenziale e la correlata azione di vigilanza si propongono come più attenti ai modelli imprenditoriali scelti dagli intermediari del comparto, e quindi dovrebbero ridurre i costi di conformità, stimolando così anche l’ingresso di nuovi operatori. Il pacchetto Ifr/Ifd ha alla base un approfondito lavoro dell’Abe sul comparto mobiliare59 e riconosce un ruolo attuativo importante per l’autorità di riferimento del settore bancario, talvolta affiancata anche dall’Esma. Tale rafforzamento si inserisce nella revisione dell’architettura istituzionale realizzata sul finire del 2019 volta a rivedere ruolo e competenze delle autorità di vigilanza60, accentuandone posizione e rilevanza ai fini della costituenda Unione finanziaria.

59 Rispetto al ruolo dell’Abe, in aggiunta a quanto già segnalato, si ricorda che sempre in risposta alla Call lanciata dalla Commissione europea nel giugno 2016, ove si chiedeva consulenza con riferimento al regime giuridico delle altre imprese di investimento – non sistemiche e non interconnesse – definite di classe 2 e 3 (in particolare in merito ai criteri per la loro identificazione e alla progettazione e calibrazione del relativo assetto regolamentare sul piano dei requisiti prudenziali), l’Autorità ha segnato la strada del legislatore nel richiamato documento EBA/Op/2017/11 del settembre 2017. 60 Nell’autunno del 2019 il legislatore europeo ha anche ridisegnato la governance e rafforzato funzioni e coordinamento nell’azione di vigilanza europea con una importante ristrutturazione dell’architettura istituzionale riferita al Sevif-Sistema europeo di vigilanza finanziaria, operativo dal 2011 con un ruolo sempre più attivo nell’armonizzazione delle regole e nella convergenza delle prassi, attraverso: a) il reg. Ue 2019/2175, dedicato alle Aev-Autorità europee di vigilanza a livello microprudenziale, del 18 dicembre 2019 «che modifica il regolamento (UE) n. 1093/2010, che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), il regolamento (UE) n. 1094/2010, che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali), il regolamento (UE) n. 1095/2010, che istituisce l’Autorità europea di vi-

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Si è anche detto che il pacchetto Ifr/Ifd determina un cambiamento storico per le imprese d’investimento di rilevanza sistemica attratte nel comparto bancario al fine di ricondurle nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico e quindi sotto la supervisione della Bce che pertanto vede rafforzare la propria posizione nel mercato finanziario dell’eurozona. È ben noto come l’evoluzione e la mutazione “genetica” registrata dalla Bce con l’istituzione del Mvu abbia sollevato e sollevi questioni in sede Ue. Si osserva, per inciso, che lo stesso Parlamento Europeo nella Relazione sull’Unione bancaria per il 2016, richiamava l’attenzione sulla ripartizione delle competenze tra Bce e Abe mostrando preoccupazione per l’importanza assunta dalla prima e per la conseguente possibilità di divenire “il normatore di fatto per le banche non sottoposte all’MVU”61. Con la revisione normativa del 2019 il rischio pare arginato dall’aumento delle prerogative dell’Abe (e in genere del Sevif)62, ma può dirsi che di

gilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), il regolamento (UE) n. 600/2014, sui mercati degli strumenti finanziari, il regolamento (UE) 2016/1011, sugli indici usati come indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento, e il regolamento (UE) 2015/847, riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi; b) il reg. Ue 2019/2176, del 18 dicembre 2019, che modifica il regolamento (UE) n. 1092/2010, relativo alla vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario nell’Unione europea e che istituisce il Comitato europeo per il rischio sistemico». Con riferimento invece ai profili più direttamente operativi ed in connessione con l’esplosione dell’innovazione e dei progressi tecnologici, merita un cenno anche la revisione del disposto normativo riferito alle imprese di assicurazione e alle imprese d’investimento realizzata con la dir. Ue 2019/2177, sempre del 18 dicembre 2019, che modifica la direttiva 2009/138/ CE, in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (solvibilità II), la direttiva 2014/65/UE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, e la direttiva (UE) 2015/849, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo; la marcata attenzione verso i rischi derivanti da attività di riciclaggio all’interno del sistema finanziario è stata messa in più stretta connessione, sulla base di un approccio unificato, con la vigilanza prudenziale, determinando un rilevante cambiamento di paradigma e un conseguente rafforzamento del ruolo dell’Abe nell’azione di contrasto a tale fenomeno. L’intero filone di riforme dell’autunno 2019 è pubblicato sul n. L334 della Gazzetta ufficiale dell’UE del 27 dicembre 2019, reperibile al link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:L :2019:334:FULL&from=EN 61 V. Parlamento Europeo, Relazione sull’Unione bancaria – relazione annuale 2016 (2016/2247(INI)), 2 febbraio, 2017, https://www.europarl.europa.eu/doceo/ document/A-8-2017-0019_IT.html, punto n. 27. 62 Come evidenziato nel considerando n. 10 dell’Ifd, il legislatore europeo mantiene in capo all’Abe il ruolo di «principale autorità competente per il coordinamento e la convergenza delle prassi di vigilanza» anche «in materia di vigilanza prudenziale sulle im-

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pari passo andrà ad aumentare anche il peso e la responsabilità della Bce nel mercato finanziario che il pacchetto Ifr/Ifd, negli aspetti qui richiamati, ha reso ancor più sbilanciato verso comparto bancario.

6. Un brevissimo cenno, per chiudere, all’impatto della novella normativa per il nostro ordinamento. La transizione dai requisiti previsti dal cod. banc. Ue ai requisiti previsti dal pacchetto Ifr/Ifd pone problemi di adattamento per le imprese di investimento che escono dalla portata del Crr e della Crd4 per essere attratte nel nuovo ambito normativo; il legislatore europeo ha previsto misure transitorie e un periodo di cinque anni a decorrere dalla data di applicazione dell’Ifr (fissata al giugno 2021); ulteriori cautele sono previste per le nuove imprese d’investimento che presenteranno profili analoghi a quelle già esistenti (ma collocate come detto al di fuori dell’Ue) investite dalla riforma63. In definitiva, saremo in presenza di diversi regimi giuridici, che potranno dar luogo ad un clima di incertezza, incrementata anche dall’accennata possibilità attribuita dall’Ifr alla Commissione europea di proporre una marcia indietro rispetto alle innovazioni introdotte. Per quanto riguarda il nostro Paese, è ben noto come con il testo unico bancario del 1993 e poi con quello della finanza del 1998 si sia delineato un quadro normativo ed un modello di vigilanza impostato su una separazione funzionale e finalistica della supervisione tra la Banca d’Italia e la Consob, all’interno però di una collaborazione e di un coordinamento sempre più potenziato. Medio tempore, nell’attesa della completa realizzazione dell’Unione dei mercati dei capitali, tale paradigma dovrà ora rispondere all’obiettivo del legislatore europeo che – consapevole della diversità dei regimi di controllo presenti negli stati membri ove possono esistere autorità competenti diverse per l’esercizio della vigilanza prudenziale sulle imprese d’investimento e quelle competenti per la vigilanza sulla condotta sul mercato – ha previsto un «meccanismo di cooperazione e di scambio di informazioni» su basi armonizzate idonee a rendere la vigilanza tempestiva ed efficace64.

prese d’investimento nell’ambito del Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF)». 63 Cfr. i consideranda nn. 32 e 33 dell’Ifr. 64 Si veda il considerando n. 8 della Ifd, nonché il tit. II, artt. 4-8, cui si aggiunga l’art. 5 della Crd4, così come modificato dalla Crd6.

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Sul piano sostanziale, il fatto che le imprese d’investimento nostrane, le società d’intermediazione mobiliare (Sim), siano state già assoggettate sul piano del trattamento prudenziale alle regole del Crr, per la diretta efficacia dello stesso, già improntate al criterio della proporzionalità, potrà determinare gli adattamenti derivanti dalla rimodulazione del regime prudenziale65, ma a livello di intelaiatura giuridica della regolazione del mercato mobiliare non dovrebbero verificarsi stravolgimenti di rilievo66. Altro potrà essere il discorso sul piano formale, in quanto nel caso (al momento remoto)67 gli intermediari del comparto dovessero rientrare nei parametri fissati dall’art. 4 del Crr, rispetto alla nuova definizione di ente creditizio, sarebbero infatti tenuti ad avviare la procedura per l’ingresso nel settore bancario. Rispetto poi alla realtà conglomerale, il nostro ordinamento è da tempo provvisto di solide normative settoriali sui gruppi, tanto che le Sim sono già attratte nell’orbita di vigilanza su base consolidata della Banca d’Italia sia come componenti dei gruppi bancari sia come imprese capogruppo ex artt. 11-12 del tuf68. La riforma potrebbe avere un forte impatto sul fenomeno regolato (e delle nuove incombenze a carico delle Sim interessate) soltanto nel momento in cui i “cambi di specie” portassero ad un ampliamento del comparto creditizio. In ogni caso, per il settore finanziario nel suo complesso, si tratterebbe di una variazione a somma zero. Nuove sfide si aprono comunque per gli intermediari operanti nel mercato finanziario e per il legislatore, continuamente impegnato nella

65 Sul punto è interessante la Relazione alla Ifd nella parte ove sono riportate le valutazioni dei portatori d’interesse e le valutazioni d’impatto, pp. 8 ss. 66 Si vedano ad esempio le Comunicazioni della Banca d’Italia (emanate previo parere della Consob), SIM e gruppi di SIM: applicazione della nuova normativa prudenziale europea, del 31 marzo 2014, in Boll. vig., n. 3, marzo 2014, p. II.3 ss. (con cui la stesa forniva le prime indicazioni sul piano del nuovo trattamento prudenziale); nonché SIM e gruppi di SIM: modifiche della disciplina sull’applicazione della definizione di default, del 29 luglio 2019, ove ulteriori riferimenti. 67 Come segnalato, sulla base dell’indagine effettuata dall’Abe, nell’ambito dello Spazio economico europeo, per la maggior parte le imprese d’investimento sono mediopiccole e si limitano a svolgere alcune delle attività consentite; per approfondimenti sulle diverse categorie di imprese di investimento suddivise anche per paese (tra cui l’Italia) si v. l’Opinione già citata: EBA/Op/2015/20, pp. 88 ss. 68 Sulle linee direttrici della regolazione dei gruppi anche nel campo del settore dei servizi d’investimento si v. Brozzetti, Concentrazione bancaria da mito a incubo. Il ruolo della regolamentazione rispetto alla forma del gruppo, Pisa, 2011, pp. 61 ss.

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ricerca di assetti normativi stabili; quanto agli studiosi, da anni il tempo di annoiarsi proprio non c’è…

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Abstract Questo scritto si occupa della nuova disciplina prudenziale e di vigilanza sulle imprese d’investimento apprestata nell’autunno 2019 dal legislatore europeo con il pacchetto costituito dal regolamento Ue 2019/2033 e dalla direttiva Ue 2019/2034, c.d. Ifr/Ifd (Investment firms, regulation e directive). L’A. si sofferma sugli aspetti che hanno innovato il comparto mobiliare e l’ambito di applicazione del codice bancario europeo (Crd4/Crr). Si interroga soprattutto sulla portata e sulle conseguenze dell’ampliamento della nozione di ente creditizio nel diritto europeo; propone una lettura attenta alla realizzazione dell’Unione finanziaria, articolata nell’Unione bancaria e nell’Unione dei mercati dei capitali, segnala i rischi di esasperazione del bancocentrismo del sistema finanziario dell’Ue e critica l’approccio del learning by doing del legislatore.

*** This paper examines the new prudential and supervisory regulations on investment firms prepared in autumn 2019 by the European legislator with the package consisting of the regulation (EU) 2019/2033 and the directive (EU) 2019/2034, so-called Ifr/Ifd (Investment firms, regulation and directive). The A. focuses on the aspects that have innovated the securities sector and the scope of application of the European banking code (Crd4/Crr). He has questioned especially on the extent and consequences of the enlargement in European law of the notion of credit institution. He proposes a reading of the reform careful to the realization of the Financial union, articulated in the Banking union and in the Capital markets union; points out the risks of exacerbation of the bancocentrism of the EU financial system and criticizes the legislator’s learning by doing approach.

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“Madamina, il catalogo è questo...”. La disclosure delle informazioni privilegiate, tra regole speciali e disciplina dell’organizzazione d’impresa Sommario. 1. Introduzione. – 2. Informazione privilegiata e obblighi di disclosure: una frontiera mobile. – 2.1. I modi di diffusione delle informazioni privilegiate. – 2.2. I tempi di diffusione delle informazioni privilegiate. – 2.3. Le sanzioni amministrative. 2.4. Disclosure e business judgment rule nel contesto del MAR. 2.4.1. Alcuni profili problematici. Il c.d. “ritardo tecnico”. – 2.5. La disclosure nei gruppi. – 2.6. La disciplina del c.d. ritardo: il rilievo organizzativo. – 2.6.1. (Segue): le informazioni morte... prima di vedere la luce. – 2.6.2. (Segue): una questione controversa: la formazione dei dati contabili. – 2.7. La condotta legittima: eccezione o principio? – 3. Profili di responsabilità per inadempimento degli obblighi di disclosure. – 4. Considerazioni conclusive.

1. Introduzione. Nella celebre aria del Don Giovanni mozartiano “Madamina, il catalogo è questo...” Leporello elenca, all’attonita Donna Elvira (inconsolabile compagna di Don Giovanni, da quest’ultimo abbandonata e tradita) il lungo elenco delle amanti del libertino, da lui scrupolosamente tenuto1. Passa in rassegna, Paese per Paese, il numero delle conquiste di Don Giovanni, mostrando una sorprendente capacità di catalogazione del (davvero!) ampio materiale. L’esercizio classificatorio di Leporello richiama alla mente ciò che sono tenuti a compiere gli emittenti che rientrano nell’ambito di applicazione delle regole di disclosure discendenti dal Regolamento (UE) 596/2014 del 15 aprile 2014 (“Market Abuse Regulation

1 Mozart-Da Ponte, Don Giovanni, 1787, Atto I.5: «Madamina, il catalogo è questo/ delle belle che amò il padron mio;/ un catalogo egli è che ho fatt’io:/ osservate, leggete con me./ In Italia seicento e quaranta,/ in Lamagna duecento e trentuna,/ cento in Francia, in Turchia novantuna,/ ma in Ispagna son già mille e tre./ V’han fra queste contadine,/ cameriere, cittadine,/ v’han contesse, baronesse,/ marchesane, principesse,/ e v’han donne d’ogni grado,/ d’ogni forma, d’ogni età» (omissis) (fonte: Da Ponte, Memorie. I libretti mozartiani, Milano, 1976).

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– MAR”): identificare, gestire, monitorare il complesso universo delle informazioni da comunicare al mercato, nel continuo divenire dell’attività di imprese, a volte di grandissime dimensioni, e connotate da complessi meccanismi di funzionamento. Lo scopo che ci si prefigge con queste note è di indagare i profili organizzativi dell’attività di impresa che emergono dalla disciplina della gestione e della disclosure delle informazioni privilegiate2. Come avremo modo di mostrare, la nuova prospettiva nella quale il MAR colloca la nozione di informazione privilegiata, rispetto a quella recata dalla previgente direttiva UE del 2003, accentua, e sotto vari profili modifica, la dimensione organizzativa della disciplina di cui si discute e, per tale via, solleva varie questioni sia sul piano delle regole speciali introdotte dal MAR, sia sotto il profilo della disciplina generale. L’obbligo dell’emittente di comunicare al pubblico, quanto prima possibile, le informazioni privilegiate che lo riguardano direttamente, sancito dall’art. 17 MAR, è notoriamente volto a soddisfare le esigenze di trasparenza del mercato, allo scopo di convogliare allo stesso le informazioni capaci di influire, in modo significativo, sul processo di formazione dei prezzi: si tratta, dunque, di una prescrizione che si indirizza primariamente verso l’esterno dell’impresa, e che soddisfa interessi precipui del mercato, in linea con la teoria dei mercati efficienti che sottintende l’intero impianto normativo del Regolamento UE. Tuttavia, anche – e, diremmo, soprattutto – in virtù della nuova formulazione del MAR, l’obbligo di disclosure mostra di avere pregnanti ricadute interne sull’attività di impresa e sulla sua organizzazione, da valutarsi nel contesto del più generale dovere di assicurare un adeguato assetto organizzativo. Le interrelazioni tra disciplina speciale, e diritto comune, appaiono, nella materia di cui si discute, dense di conseguenze, in primis con riguardo alle modalità con le quali gli amministratori predispongono adeguati presidi per il rispetto della disciplina della disclosure; in secondo luogo, con riguardo ai profili di responsabilità; infine, relativamente ai fenomeni circolatori delle informazioni all’interno di imprese e gruppi di impresa. In vero, dall’assetto del MAR sembrano potersi ricavare nuove conferme

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Alcune riflessioni, già orientate nella direzione del presente contributo, sono state svolte dall’autore di queste note in precedenti scritti: v. Informazione societaria e organizzazione d’impresa, in Scritti giuridici per Piergaetano Marchetti, Milano, 2011, pp. 1 ss.; Riflessi organizzativi della rinnovata disciplina in materia di market abuse, in Società, n. 2/2016, pp. 169 ss.

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circa il fatto che la gestione delle informazioni privilegiate da parte degli emittenti quotati rileva sia sul piano del rispetto della disciplina speciale, sia in quanto concretizzazione del più ampio dovere degli amministratori di assicurare adeguati assetti organizzativi, ora sancito anche dall’art. 2086 c.c.3. In questo senso, la disciplina della disclosure dell’informazione privilegiata assume, allora, una valenza anche interna.

2. Informazione privilegiata e obblighi di disclosure: una frontiera mobile. Il rapporto tra regole di disclosure delle informazioni privilegiate ed organizzazione d’impresa deve indagarsi muovendo, giocoforza, dalla nozione stessa di informazione privilegiata. In proposito, è noto che il MAR - in vigore dal 3 luglio 2016 – ha ampliato tale nozione, con riguardo alla disciplina degli obblighi di disclosure, rispetto alla Direttiva 2003/6/CE, al fine di ricomprendervi anche le informazioni che – avendo i requisiti richiesti – si manifestano nelle fasi intermedie di un processo prolungato: la questione, e le origini di questa impostazione (risalenti alla nota sentenza resa nel caso Gelt dalla Corte di giustizia UE) sono sin troppo note perché sia utile ritornare sul punto in questa sede4. Nel

3 Nelle presenti note, l’espressione “emittenti quotati” è da intendersi in senso ampio, tale cioè da ricomprendere tutti gli emittenti che sono sottoposti alla disciplina del MAR e, pertanto, sia quelli che hanno strumenti finanziari ammessi alla negoziazione nei mercati regolamentati, sia quelli che hanno strumenti ammessi alla negoziazione negli MTF e negli OTF. Le considerazioni espresse possono anche estendersi agli emittenti titoli diffusi, che sono esclusi dall’ambito di applicazione del MAR, ma che rientrano nell’ambito di applicazione della disciplina interna, in base all’art. 114 t.u.f., come novellato a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento UE. Sul punto, va però osservato che le regole applicabili agli emittenti titoli diffusi risultano ora diverse rispetto a quelle recate dal MAR, in quanto gli obblighi di disclosure non sono, in questo caso, riferiti (anche) alle fasi intermedie di processi prolungati. In sintesi, per gli emittenti titoli diffusi la disciplina nazionale ha mantenuto ferme le regole in vigore anteriormente al MAR, ed in base alle quali la comunicazione delle informazioni privilegiate è richiesta soltanto al verificarsi di un fatto o di un evento, e non anche nelle fasi intermedie del processo che conduce a tale fatto, o evento (cfr. l’art. 116, c. 1-bis t.u.f.). 4 Sentenza della Corte del 28 giugno 2012, Causa C-19/11. In letteratura, su questi profili, ex multis, Di Noia - Gargantini, Issuers at Midstream: Disclosure of Multistage Events in the Current and in the Proposed EU Market Abuse Regime, in ECFR, vo. 9, n. 4, 2012, pp. 484 ss.; Gilotta - Raffaele, Informazione privilegiata e “processi prolungati” dopo la Market Abuse Regulation, in Riv. soc., 1, 2018, pp. 83 ss.

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contesto del Regolamento, gli obblighi di disclosure assumono una veste autonoma, rilevante di per sé, fermo restando che la relativa disciplina soddisfa anche (ma non esclusivamente) funzioni di prevenzione delle condotte di insider trading. L’art. 7, co. 2, MAR, letto in congiunzione con l’art. 17, realizza, pertanto, una dimensione dinamica degli obblighi di informazione, che – in virtù di uno stesso evento, fatto, o circostanza, che non siano a manifestazione istantanea (come, in vero, per la maggior parte degli eventi che connotano l’attività d’impresa) – tendono a frammentarsi, e ad articolari in più fasi, da individuarsi sulla base della natura privilegiata che connota l’informazione che viene a maturare in ciascuna di esse. In tale contesto assumono rilievo, in particolare, la natura precisa dell’informazione quale si presenti anche nelle fasi intermedie di un processo prolungato, nonché la sua idoneità ad incidere in misura significativa sul prezzo degli strumenti finanziari5. L’emittente soggetto agli obblighi di cui all’art. 17 del Regolamento vede, per tale via, articolarsi l’obbligo di informazione continua secondo tratti assai più pervasivi rispetto agli assetti previgenti al MAR, là dove – in base a questi ultimi – la disclosure poteva attendere il verificarsi dell’evento rilevante: ciò comporta specifici, e non secondari impatti sul piano dell’organizzazione dell’attività di impresa, sia a livello individuale, quanto di gruppo. 2.1. I modi di diffusione delle informazioni privilegiate. Nel contesto del MAR (come, in parte, nella Direttiva previgente) gli obblighi di comunicazione delle informazioni privilegiate sono qualificati già sul piano delle modalità di adempimento, con chiari risvolti che incidono sul piano dell’organizzazione d’impresa. Gli emittenti quotati, infatti, non possono adempiere liberamente agli obblighi di disclosure, ma devono provvedervi secondo le regole e gli standard tecnici discendenti dalla normativa di riferimento: la necessità di conformarsi a tali regole colora, dunque, di profili organizzativi la

5 Si veda, a riguardo, la definizione di informazione privilegiata di cui all’art. 7, c. 2 MAR, che si chiude con la precisazione per la quale «nel caso di un processo prolungato che è inteso a concretizzare, o che determina, una particolare circostanza o un particolare evento, tale futura circostanza o futuro evento, nonché le tappe intermedie di detto processo che sono collegate alla concretizzazione o alla determinazione della circostanza o dell’evento futuri, possono essere considerate come informazioni aventi carattere preciso».

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materia di cui si discute, giacché l’informazione privilegiata può dirsi effettivamente e senz’altro disponibile per il pubblico (e, dunque, non più soggetta alle tutele, anche penali, previste dalla legge) là dove essa sia diffusa dall’emittente stesso, secondo gli strumenti ed i parametri indicati dal legislatore UE6. Tali profili incidono, in primo luogo, sui canali - ossia sui mezzi - da utilizzare per la diffusione delle informazioni, e, in secondo luogo, sulle cautele da osservare affinché l’informazione privilegiata sia chiaramente riconoscibile all’esterno, e non abbia a che confondersi con altra comunicazione resa dall’emittente al mercato, ad esempio, per ragioni commerciali. In questo senso, il MAR ha introdotto regole precise, alle quali gli emittenti devono attenersi7. La disclosure

6 È discussa la possibilità di riconoscere natura pubblica, in senso tecnico, ad un’informazione diffusa sul mercato indipendentemente dall’osservanza, da parte dell’emittente, delle regole di cui si discute. Già sul piano logico, la questione, in vero, non dovrebbe porsi: la natura pubblica di una notizia, di un’informazione, è un elemento di fatto, che va verificato nel concreto, soprattutto là dove si valutino le condotte di insider trading, sia sul piano amministrativo, sia su quello penale. Ad esempio, una notizia pubblicata su un giornale quotidiano a diffusione nazionale potrebbe effettivamente essere considerata “pubblica”, e dunque non più soggetta ai divieti di insider trading. Tuttavia, la disciplina sembra muovere in una diversa direzione: v., ad esempio, la posizione della Consob, che – nelle proprie Linee Guida del 2018 – rimarca che «Per i motivi già illustrati, è tuttavia da escludere che l’informazione possa essere considerata pubblica ai sensi di MAR finché la stessa non è comunicata dall’emittente stesso con le corrette modalità» (così, al punto 4.3.2). 7 Nelle proprie Linee Guida, la Consob ricorda che: «7.3.1 L’emittente pubblica l’informazione privilegiata secondo modalità che consentano un accesso rapido e una valutazione completa, corretta e tempestiva dell’informazione da parte del pubblico [articolo 17(1) MAR]; 7.3.2 A tal fine l’emittente ammesso alle negoziazioni su un mercato regolamentato utilizza uno SDIR o procede alla diffusione in proprio delle Informazioni Regolamentate con modalità idonee ad assicurare il rispetto delle previsioni della Direttiva Transparency [articolo 17(1) MAR; articolo 21 Direttiva Transparency]; 7.3.3 L’emittente che non è obbligato ad utilizzare uno SDIR può diffondere l’informazione privilegiata con uno strumento tecnico che permette di: a) diffondere le informazioni: i) senza discriminazioni a una platea il più possibile ampia, ii) gratuitamente, iii) simultaneamente in tutta l’Unione Europea; b) comunicare le informazioni, direttamente o tramite terzi, ai mezzi di informazione sui quali il pubblico fa ragionevole affidamento per l’effettiva diffusione di tali informazioni. La comunicazione avviene tramite un mezzo elettronico che consente di preservare la completezza, l’integrità e la riservatezza delle informazioni in fase di trasmissione e indica chiaramente: i) la natura privilegiata dell’informazione comunicata; ii) l’identità dell’emittente: ragione sociale completa; iii) l’identità del notificante: nome, cognome, posizione presso l’emittente; iv) l’oggetto delle informazioni privilegiate; v) la data e l’ora della comunicazione ai media [articolo 2(1) RE 2016/1055]».

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dell’informazione viene, dunque, organizzata e incanalata secondo forme tendenzialmente prestabilite, che richiedono all’emittente di dotarsi di appositi presidi organizzativi, in difetto dei quali la disclosure non potrà dirsi effettivamente, e correttamente, realizzata. 2.2. I tempi di diffusione delle informazioni privilegiate. In base all’art. 17 MAR, la comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate deve avvenire «quanto prima possibile». La formulazione – che è diversa da quella adottata storicamente nell’ordinamento italiano («senza indugio» – art. 114 t.u.f., nella versione originaria) – non è scevra da numerose difficoltà interpretative che, in questa sede, non si intendono indagare in modo compiuto. Sia sufficiente, per il momento, osservare come quell’espressione debba valutarsi alla luce del contesto complessivo della disciplina, e delle finalità che la ispirano. Da ciò deriva che l’informazione deve essere diffusa al pubblico – diremmo, e concedendoci una piccola licenza – “con estrema rapidità”. Anche sotto questo profilo, emerge chiaramente il rilievo che la disciplina MAR assume sul piano dell’organizzazione interna dell’emittente8. Ed infatti, è nei gangli del complesso sistema organizzativo dell’emittente, delle sue controllate e collegate, che si annidano gli eventi che danno luogo, o potrebbero dar luogo agli obblighi di disclosure. Tale rilievo, per molti versi ovvio, va, tuttavia, costantemente valorizzato tenuto conto sia della complessità dell’organizzazione degli emittenti quotati, sia del fatto che, spesso, tale organizzazione è articolata su strutture di gruppo: emerge così un contesto nel quale il processo di identificazione dell’informazione oggetto della disclosure deve svolgersi avuto riguardo agli eventi e ai fatti che si verificano all’interno del gruppo stesso. Per tale via, è facile che si realizzi una vera propria scissione tra il soggetto in seno al quale sorge l’informazione, ed il soggetto che è tenuta a diffonderla.

Quanto all’identificazione della natura privilegiata dell’informazione così diffusa, si vedano, gli standard tecnici emanati nel contesto del MAR, e richiamati anche dalle Linee Guida Consob. 8 Sotto questo profilo, il tema della gestione delle informazioni privilegiate costituisce un tassello – in vero, centrale – dei più ampi obblighi attinenti all’organizzazione interna che incombono sugli emittenti quotati, in virtù della disciplina speciale ad essi applicabile, anche derivante dai codici di autodisciplina.

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Appare, dunque, indispensabile che l’emittente quotato si doti di presidi organizzativi, sia a livello individuale, sia a livello di gruppo, idonei a consentire l’identificazione, ed il controllo, del processo di genesi, e di manifestazione delle informazioni privilegiate, sebbene non esista, nel contesto del MAR, uno specifico obbligo in tal senso. Il Regolamento, infatti, se, da un lato, esplicita – all’art. 17 – l’obbligo di diffondere l’informazione al pubblico «quanto prima possibile», dall’altro non contempla una disposizione che espressamente obblighi l’emittente ad adottare, a tal fine, adeguati assetti organizzativi (secondo formule che riecheggino, ad esempio, quelle ampiamente diffuse, e da tempo consolidatesi, nella disciplina degli intermediari finanziari, a partire, naturalmente, dalle banche, e che fanno chiaramente riferimento all’obbligo della società di dotarsi di strutture organizzative “adeguate”)9. Indicazioni più precise in tal senso emergono tuttavia, in alcuni Stati membri, dalle Linee guida emanate dalle Autorità di vigilanza competenti, sebbene (formalmente) non vincolanti10. Alla luce di quanto precede, pare possibile affermare che l’obbligo di adottare assetti organizzativi adeguati ad assicurare il corretto adempimento degli obblighi imposti dal MAR, sul piano della gestione e della diffusione delle informazioni privilegiate, trovi il proprio radicamento innanzitutto, e anche, nella disciplina di diritto comune. La formulazione dell’art. 2086 c.c. risulta sufficientemente ampia ed elastica, ed idonea ad includere, nel proprio perimetro, anche i profili di cui si discute, là dove si riferisce alla necessità, per l’imprenditore, di adottare «un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa ...». Nella formula del novellato art. 2086 c.c., la natura e le dimensioni dell’impresa paiono formule idonee a ricomprendere anche gli obblighi che, proprio sul piano organizzativo, derivano dalla destinazione degli strumenti finanziari alla diffusione sul mercato dei capitali e, in particolare, alla negoziazione sulle trading venues, da cui conseguono i relativi obblighi informativi, ora declinati dal Regolamento UE. Nel momento in cui la società decide di rivolgersi al mercato

9 Il tema è emerso nella recente consultazione avviata dall’ESMA il 3 ottobre 2019, su indicazione della Commissione, per l’eventuale revisione del Regolamento MAR (ESMA-70-156-1459). La consultazione si è conclusa il 29 novembre 2019. 10 Si vedano, per l’Italia, le Linee Guida emanate dalla Consob nell’ottobre 2019; per la Francia, la Guide de l’information permanente et de la gestion de l’information privilégiée DOC-2016-08, emanata dall’AMF nel 2018.

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dei capitali, accedendo – per i propri strumenti finanziari – alla negoziazione nelle trading venues, tale decisione assume precipuo rilievo organizzativo: in primo luogo, per lo stesso assoggettamento, che ne deriva, alla disciplina speciale applicabile agli emittenti che richiedono l’ammissione dei propri strumenti finanziari alle negoziazioni nelle sedi ufficiali di negoziazione, e, in secondo luogo, per la necessità di assicurare il rispetto dei principi di trasparenza che presiedono al corretto funzionamento dei mercati. Nel perimetro tracciato dall’endiadi che figura nell’art. 2086 c.c. pare possano allora collocarsi diversi profili, e, tra di essi, proprio quelli dettati da discipline “speciali”, tra le quali rientra – anche per la sua centralità per l’interesse del mercato – quella che attiene agli obblighi di disclosure delle informazioni price-sensitive. Quanto testé osservato, peraltro, si pone in continuità rispetto a ciò che, anteriormente alla novellazione dell’art. 2086, poteva già ricavarsi dall’art. 2381, commi 3 e 5, c.c., in base al quale gli organi delegati curano «l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile», e il consiglio di amministrazione nella sua interezza valuta l’adeguatezza di tale assetto rispetto «alla natura e alle dimensioni dell’impresa». Anche in questo contesto, la «natura» dell’impresa pare senz’altro riferibile – oltre che al settore merceologico, al tipo di attività svolto – anche all’apertura della stessa al mercato dei capitali, con particolare riguardo alla negoziazione dei propri strumenti finanziari nelle sedi di negoziazione ufficiali. 2.3. Le sanzioni amministrative. Il rilievo organizzativo della disciplina degli obblighi di disclosure si apprezza anche sul piano del regime sanzionatorio approntato a seguito dell’entrata in vigore del MAR. L’entrata in vigore del Regolamento UE, e della connessa Direttiva MAD2, ha comportato una rivisitazione dell’impianto sanzionatorio già previsto, in capo all’emittente, in caso di mancato rispetto degli obblighi di comunicazione: le sanzioni a tal fine già previste dalla disciplina previgente sono state ampiamente rimodulate. Il processo di recepimento della Direttiva MAD2 nell’ordinamento italiano è risultato, come noto, particolarmente complesso ed articolato, in virtù dell’asseto che, storicamente, ha connotato, in Italia, i profili sanzionatori degli abusi di mercato. In particolare, ha influito sull’iter di recepimento l’ampio, e in vero notissimo, dibattito conseguente alla decisione resa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Grande Stevens c/Italia, e alla successiva giurisprudenza della medesima Corte sul tema del ne bis in idem, nonché gli ultimi, decisivi, interventi sul punto della Corte di Giustizia dell’Unione. In particolare, l’art. 187-ter.1

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del t.u.f., come novellato dal d.lgs n. 107/2018, ha da ultimo rimodulato l’impianto sanzionatorio nei confronti dell’emittente che non adempie puntualmente agli obblighi di comunicazione discendenti dall’art. 17 MAR, prevedendo una sanzione amministrativa – irrogabile dalla Consob – compresa tra 5.000 e 2.500.000 Euro, o sino al due per cento del fatturato (quando quest’ultimo è determinabile)11. Di rilievo appare il fatto che l’illecito si consuma sia nel caso di omessa comunicazione delle informazioni al mercato, sia nel caso di ritardata comunicazione, nonché nel caso di inosservanza delle norme tecniche di regolamentazione e di attuazione: dunque, ai fini che qui interessano, è sanzionabile anche la condotta dell’emittente che non provveda a dare disclosure dell’informazione nelle forme e con le modalità prescritte, o che vi provveda in ritardo, o in modo insufficiente, o incompleto. Rispetto alla disciplina previgente, risulta evidente l’inasprimento delle sanzioni derivanti dalla violazione della disciplina degli obblighi di informazione continua e, in tale ambito, delle conseguenze che possono derivare là dove l’organizzazione dell’emittente non sia idonea ad assicurare il corretto adempimento degli obblighi di disclosure. Dall’omissione, o dal non esatto adempimento degli obblighi discendenti dall’art. 17 MAR, potrebbero derivare conseguenze ulteriori, là dove la materia di cui si discute interferisca con quella della manipolazione informativa: l’esperienza mostra come non siano estranei al sistema casi di manipolazione informativa per omessa indicazione nei comunicati stampa di dati o elementi ritenuti essenziali, in quanto price sensitive12.

11 Quando le infrazioni sono connotate da scarsa offensività o pericolosità, in luogo delle sanzioni pecuniarie previste dal presente articolo, la Consob, ferma la facoltà di disporre la confisca di cui all’art. 187-sexies, può applicare una delle seguenti misure amministrative: a) un ordine di eliminare le infrazioni contestate, con eventuale indicazione delle misure da adottare e del termine per l’adempimento, e di astenersi dal ripeterle; b) una dichiarazione pubblica avente ad oggetto la violazione commessa e il soggetto responsabile, quando l’infrazione contestata è cessata. 12 Il caso più noto è rappresentato dalla vicenda IFIL-FIAT, nella quale è stata sanzionata la mancata indicazione e successiva conferma dell’assenza di progetti (equity swap stipulato con Merrill Lynch International) finalizzati alla conservazione di una partecipazione pari al 30% in capo allo storico gruppo di comando (la famiglia Agnelli) in occasione dell’aumento di capitale sociale posto al servizio del prestito convertendo con le banche (delibera Consob n. 15760 del 9 febbraio 2007). Ulteriori conferme di questa impostazione si rinvengono nell’ambito di numerose delibere Consob (ex multis, n. 18794 del 5 febbraio 2014; n. 18804 del 18 febbraio 2014; n. 18895 del 23 aprile 2014; n. 18951 del 18 giugno 2014; n. 19415 del 14 ottobre 2015).

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I risvolti organizzativi che conseguono dalle norme sanzionatorie sono, inoltre, da sempre evidenti, là dove le violazioni di cui si discute sono presupposti della disciplina recata dal D. Lgs. n. 231/2001 in tema di responsabilità dell’ente. In questo caso, la predisposizione di adeguati modelli organizzativi funge, infatti, da cardine dell’intera disciplina. 2.4. Disclosure e business judgement rule nel contesto del MAR. In mancanza di una regola specifica, nel contesto del MAR, che imponga espressamente all’emittente di adottare adeguati standard organizzativi per adempiere agli obblighi di disclosure, la scelta circa gli assetti da seguire per assicurare la corretta gestione, e la tempestiva diffusione al pubblico, dell’informazione privilegiata è rimessa alla discrezionalità degli amministratori. Il novellato art. 2086 c.c. ha, in proposito, acceso la discussione circa l’applicabilità, nella materia degli obblighi organizzativi, della c.d. business judgement rule. Ai fini che qui interessano, e senza entrare nel merito di un dibattito che risulta già molto articolato, preme osservare che – indipendentemente dal risultato cui si voglia giungere in merito alla richiamata questione sul piano, per così dire, generale – la disciplina degli obblighi di disclosure riferita alle informazioni privilegiate impone agli amministratori di conseguire uno specifico, e ben determinato risultato (i.e. la diffusione al mercato, quanto prima possibile, delle informazioni privilegiate che riguardino direttamente l’emittente stesso, ovvero – nei casi previsti – il ritardo). Le scelte degli amministratori risultano, dunque, fortemente vincolate al raggiungimento di quell’esito preciso. In proposito, si osserva, in via preliminare, che la valutazione dell’adeguatezza degli assetti organizzativi va realizzata avendo riguardo al soddisfacimento di tale obiettivo, che la legge individua in termini stringenti, chiari e precisi. Siffatta caratterizzazione dell’obbligo di disclosure imposto dal MAR non elide tuttavia, di per sé, l’autonomia decisoria di cui godono gli amministratori nel verificare quale assetto della società (e, se del caso, del gruppo), tra i molti astrattamente immaginabili, sia effettivamente adeguato ad assicurarne il rispetto. Le procedure interne a tal fine utilizzate, così come gli strumenti di volta in volta adottati (ivi inclusi quelli informatici, sovente essenziali ai fini di cui si discute) fanno parte del complesso di tali assetti, e della relativa valutazione, la quale si compendia proprio nella individuazione del modello organizzativo in concreto idoneo a perseguire gli obiettivi della corretta e tempestiva diffusione al mercato delle informazioni price sensitive, anche alla luce della natura e della dimensione dell’impresa. In quest’ottica, la valutazione di adeguatezza degli assetti, se effettuata in sede di giudizio di

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responsabilità dell’emittente (o dei suoi amministratori) per violazione dell’art. 17 MAR dovrà avere riguardo al carattere informato e diligente del processo decisionale che ha condotto alla adozione di un certo assetto organizzativo, in luogo di altri (v. infra par. 3)13. Considerazioni del medesimo tenore valgono anche in relazione alle valutazioni che gli amministratori sono chiamati a compiere nel qualificare una data informazione alla stregua di una vera e propria informazione privilegiata, ovvero nell’identificare il momento preciso in cui essa assume tutti gli elementi propri della relativa definizione. Tuttavia, una volta identificata un’informazione come privilegiata, essa deve essere senz’altro diffusa al mercato “quanto prima possibile”, e, in proposito, non vi è spazio per l’esercizio di alcuna discrezionalità, salvo il ricorso al ritardo (che, però, a sua volta, è condizionato alla sussistenza di precise condizioni oggettive). Si può, pertanto, ritenere che, nella materia di cui si discute, si debba distinguere, da un lato, il rispetto del dovere generale di adeguatezza degli assetti, e dall’altro il soddisfacimento dell’obbligo specifico di comunicare al mercato l’informazione privilegiata, una volta che essa sia stata qualificata come tale in virtù dell’adozione di assetti adeguati. Naturalmente, non muta tale conclusione il rilievo per il quale gli amministratori possono eventualmente decidere di ritardare la diffusione dell’informazione, ricorrendo all’istituto del c.d. ritardo. E ciò in quanto la possibilità di ritardare la diffusione dell’informazione è, a sua volta, subordinata alla sussistenza di precise condizioni che, nuovamente, non consentono l’esercizio di alcuna discrezionalità (ma, semmai, pongono un problema di valutazione della sussistenza del relativi presupposti). 2.4.1. Alcuni profili problematici. Il c.d. “ritardo tecnico”. L’obbligo sancito dall’art. 17 MAR pone non poche questioni applicative e interpretative che sono dense di implicazioni sul piano dell’orga-

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E, del resto, anche chi nega l’applicabilità della business judgement rule alle decisioni sugli assetti, non manca di rilevare che la valutazione di adeguatezza, se effettuata ex post, in termini di responsabilità degli organi, deve «tener conto dei margini di imprevedibilità dei fenomeni economico-finanziari» e deve essere effettuata sulla base di parametri «fortemente variabili in relazione alla tipologia, alle dimensioni, alle caratteristiche dell’impresa e, soprattutto, suscettibili di margini ampi di discrezionalità» (Montalenti, Diritto dell’impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi: appunti, in Giur. comm., 2018, I, pp. 62 ss.).

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nizzazione dell’attività di impresa. Tra le questioni più rilevanti rientrano quelle che attengono al rapporto tra il momento in cui sorge un’informazione privilegiata, e quello della sua diffusione: la formulazione dell’art. 17 MAR, anche tenuto conto delle varianti nelle diverse lingue degli Stati Membri, lascia chiaramente intendere che tra il manifestarsi dell’informazione privilegiata e la sua diffusione può anche trascorrere un certo lasso temporale, pur se (tendenzialmente) molto breve. Sussistono, tuttavia, incertezze in merito alla possibile durata di tale lasso temporale, e al regime al quale l’informazione privilegiata – già formatasi, ma non ancora diffusa – dovrebbe essere soggetta. In particolare, assumono rilievo, quali profili problematici: (i) l’identificazione della possibile “durata” del – pur ristretto – arco temporale che va dall’identificazione o, meglio, dal sorgere di un’informazione privilegiata, alla sua diffusione; (ii) l’identificazione della possibile durata del – pur ristretto – arco temporale che, in ipotesi di ritardo, intercorre tra il venir meno delle condizioni previste dalla relativa disciplina, e la diffusione dell’informazione; (iii) il regime al quale è soggetta l’informazione nell’arco temporale di cui ai precedenti punti (ii) e (iii), e, per tale via, la possibilità di riconoscere, nel sistema, l’esistenza di un ritardo «tecnico» individuabile nel tempo strettamente necessario alla finalizzazione, da parte dell’emittente, degli obblighi di disclosure; (iv) lo status del c.d. registro insider nel medesimo arco temporale. È stato correttamente posto in luce che il MAR declina l’obbligo di disclosure dell’informazione privilegiata adottando una formula diversa da quella seguita sia dalla precedente Direttiva del 2003 («al più presto possibile» – cfr. Art. 6, Direttiva 2003/6/CE), sia dalla formulazione del t.u.f. («senza indugio» – cfr. art. 114). La formula «quanto prima possibile» – ora recata dall’art. 17 del Regolamento UE – è declinata nelle altre lingue dell’Unione con risultati che ne riflettono la traduzione letterale, ma che, inevitabilmente, ne influenzano anche l’interpretazione, già soltanto sulla base del senso letterale che deriva dalla lingua di riferimento: ad esempio, in inglese, «as soon as possible»; in francese «dès que possible»; in tedesco «unverzüglich», termine che ha sostituito, in sede di correttivo al testo, quello utilizzato nella prima versione del Regolamento in tedesco, ossia «so bald wie moglich»; in spagnolo «tan pronto como sea posible». Il fatto, peraltro, che il Regolamento non preveda un termine chiaro e fisso per la diffusione dell’informazione (come invece si rinviene, ad esempio, negli Stati Uniti), in uno con le incertezze terminologiche aggravate dalle sfumature delle diverse versioni linguistiche del testo, fa sì che –

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allo stato – la regola sia applicata in modo non omogeneo all’interno dell’Unione14. In letteratura, così come nella prassi delle Autorità di vigilanza, nessuno pone in discussione, naturalmente, il fatto che la diffusione dell’informazione debba avvenire «rapidamente», essendo questa una conclusione che discende, de plano, dalla stessa ratio della disciplina. Residua, però, spazio per una ricostruzione dell’inciso «quanto prima possibile» cha va dall’estremo per così dire inferiore – e che tende ad annullare ogni distanza temporale tra il sorgere dell’informazione e la disclosure – ad un estremo superiore che, invece, ammette che vi sia un più protratto arco temporale (per quanto breve) entro il quale l’obbligo di comunicazione può essere adempiuto. Il primo estremo – che, in vero, sembra peccare di mancanza di pragmatismo, ed immaginare una realtà perfettamente efficiente che, nei fatti, non può semplicemente esistere – è ben rappresentato, ad esempio, dalla posizione assunta dalla Consob che, nelle proprie Linee Guida, osserva che «la comunicazione avviene entro il lasso temporale necessario per la redazione del comunicato stampa in modo da consentire una valutazione completa e corretta dell’informazione da parte del pubblico e per la sua successiva trasmissione al Sistema per la Diffusione delle Informazioni Regolamentate (“SDIR”) o ai media» (par. 7.1). In questa posizione, emerge, con particolare evidenza, la centralità dei profili organizzativi che si collocano a monte degli obblighi di disclosure. Ed, infatti, tenuto conto della complessità delle dinamiche di impresa, l’estrema compressione dei tempi necessari per adempiere all’obbligo di comunicazione, che vengono ridotti a quelli «necessari per la redazione del comunicato stampa» richiede, giocoforza, che l’emittente sia pronto per la comunicazione in via pressoché istantanea e, dunque, che sia stato in grado di identificare per tempo il sorgere dell’informazione, e seguirla nel suo divenire (con particolare, ma non esclusivo riguardo alle informazioni riferite a processi prolungati). La frontiera mobile della disclosure richiede, dunque, presidi organizzativi adeguati ed efficaci, da adottarsi in tutte le fasi intermedie degli eventi prolungati, pena la diffusione al mercato dell’informazione in modo tardivo, o inadeguato.

14 V., anche per ulteriori riferimenti, Pietrancosta, sub par. B.17.50, in Market Abuse Regulation. Commentary and Annotated Guide, a cura di Ventoruzzo – Mock, Oxford, 2017, il quale cita, tra gli altri, il caso francese, inglese e belga.

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Tuttavia, anche qualora si acceda ad una interpretazione meno rigida del disposto dell’art. 17 MAR – ossia si «distanzi» maggiormente il momento dell’emersione dell’informazione, da quello della sua pubblicazione15 – l’osservazione mantiene intatta la sua valenza: anche in questo caso, appare infatti evidente il rilievo che l’adeguata organizzazione dell’emittente ha per il corretto adempimento degli obblighi di disclosure. Sia che si acceda alla prima, o alla seconda interpretazione, pare comunque possibile individuare, nel sistema, la sussistenza di uno stacco temporale tra il manifestarsi dell’informazione e la sua diffusione al pubblico, in pendenza del quale non deve trovare applicazione la disciplina del ritardo vero e proprio16: stacco brevissimo nella soluzione più rigorista, non così compresso secondo una lettura meno rigida. In tale ristretto arco temporale sembra, allora, possibile riconoscere uno iato che dà luogo a ciò che è possibile denominare “ritardo tecnico”, in quanto tale strettamente funzionale a consentire l’adempimento degli obblighi di disclosure17. In tale iato non dovrebbero, dunque, osservarsi gli adempimenti tipicamente connessi con l’istituto del ritardo vero e proprio e, tra di essi, anche l’alimentazione del c.d. registro insider18.

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Così Lau Hansen, Issuers’ duty to disclose, in Era Forum, vol. 18, n. 1, 2017, p. 30, il quale conferma l’opinione già espressa sul punto nel contesto della Direttiva MAD del 2003: «Paragraph [1] of MAD Article 6 calls for disclosure ‘as soon as possible’. It is important to note that the provision does not call for immediate or prompt disclosure, but allows the issuer some latitude to analyse the development and in timing its disclosure and the content hereof. There can be no doubt that disclosure should be made without unnecessary delay, but the wording chosen makes it clear that the provision strives to balance the interest of the issuer with the need of the market for reliable information» (Id. e Moalem, The MAD disclosure regime and the twofold notion of inside information: the available solution, in Capital Markets Law Journal, 2009, vol 4., n. 3., p. 328). 16 Un discorso diverso riguarda il fatto che l’emittente non proceda all’immediata disclosure, in attesa di disporre di tutti gli elementi utili a rappresentare correttamente il fatto all’esterno, segnalato ed ampiamente argomentato da C. Mosca, Comunicazione selettiva dagli amministratori agli azionisti e presidi a tutela del mercato, in Riv. soc., n. 1/2018, pp. 29 ss., sub par. 7. Qui, in realtà, è forse in discussione anche la questione dell’effettiva precisione dell’informazione, che – come già osservato – è uno dei connotati essenziali della nozione di informazione privilegiata. 17 In questo senso, in dottrina, Gilotta - Raffaele, Informazione, cit, sub par. 7; Gilotta, I tempi di diffusione dell’“informazione privilegiata”, nota a Cass., 14 febbraio 2018, n. 3577, in Giur. comm., n. 4/2019, pp. 798 ss. 18 Il punto, tuttavia, è controverso.

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2.5. La disclosure nei gruppi. Si è già ricordato il rilievo che la nuova disciplina comporta per le dinamiche proprie dei gruppi societari e che ha, come conseguenza, la possibile dissociazione tra la sede, e l’entità giuridica, in cui si manifesta l’informazione privilegiata, e la sede deputata alla sua diffusione al mercato. Questa possibile dissociazione solleva varie questioni: la prima, appare, per così dire, di vertice, ed attiene al rapporto che lega l’emittente quotato alla società controllata, sia essa diretta, o indiretta. Più precisamente, si tratta di stabilire se esista, ed eventualmente quale sia, il fondamento giuridico che, da un lato, consente alla controllante quotata di imporre alla controllata l’obbligo di comunicare (alla controllante) l’avvio di un processo che può condurre al manifestarsi di un’informazione privilegiata (o, il che è lo stesso ai fini che qui interessano, il manifestarsi di un’informazione privilegiata) e, dall’altro, che impone alla controllata di adeguarsi a tale richiesta (nel presupposto, già evocato, che la controllata, di volta in volta interessata, può trovarsi ad un livello anche inferiore della catena partecipativa, intermediato da vari livelli di controllo). La questione, peraltro, non si esaurisce nell’ambito delle dinamiche che connotano i legami di controllo in senso stretto. Possono, infatti, darsi casi in cui un’informazione privilegiata – idonea, in quanto tale, a influire sul prezzo degli strumenti dell’emittente quotato – sorge nell’ambito di una società collegata o, addirittura, di una società nella quale l’emittente detiene una partecipazione anche inferiore alla soglia di collegamento. La price-sensitivity di un’informazione deve, infatti, misurarsi sulla base dell’impatto che l’informazione stessa ha sui prezzi degli strumenti finanziari dell’emittente quotato: si pensi, dunque, ad un emittente che detiene una partecipazione di pochi punti percentuali in un’altra società, ma il cui valore risulta determinante per il proprio assetto economico-finanziario. Un evento rilevante che si verifica nell’ambito della partecipata può, anche in tal caso, essere tale da influire in modo significativo sul prezzo della società partecipante, pur non essendo le due società legate né da un rapporto di controllo, né di collegamento in senso stretto. Un altro caso - da tempo noto, anche al legislatore - è rappresentato dall’ipotesi in cui l’informazione privilegiata sorge nell’ambito del soggetto che controlla l’emittente quotato. Al fine di proporre una possibile soluzione della questione, crediamo che si possano distinguere, quantomeno, quattro situazioni diverse, che possono essere così sistemizzate: a) sussistenza di un rapporto di controllo, sia in via diretta, sia in via indiretta, tra l’emittente quotato e la società nella quale si manifesta l’informazione; b) sussistenza di un

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rapporto di collegamento tra le predette società; c) il caso “speciale” degli intermediari finanziari, soggetti a disciplina prudenziale, in cui un emittente quotato detenga una partecipazione inferiore alla soglia di controllo o, anche, di collegamento, purché superiore alla soglia minima prevista per le cc.dd. “partecipazioni qualificate”; d) il caso dell’emittente quotato, controllato da un soggetto che non ha strumenti quotati (sia esso in forma societaria, o meno), là dove l’informazione price-sensitive sorga in seno al soggetto controllante. Il caso sub a) – sussistenza di un rapporto di controllo, diretto o indiretto, tra l’emittente quotato e la società nella quale matura l’informazione privilegiata – appare, in vero, quello più semplice, se non altro perché già indagato in dottrina: esso è stato risolto ritenendo di poter applicare, nel caso di specie, la disciplina della direzione e coordinamento19. Questa conclusione è, peraltro, espressamente confermata, per quanto possa occorrere, anche dal disposto dell’art. 114, co. 2, t.u.f., come novellato a seguito del MAR20. Il caso sub b) – sussistenza di un rapporto di collegamento, tra l’emittente e una partecipata – non risulta, a quanto consta, affrontato puntualmente, e pone problemi specifici, stante l’impossibilità di seguire, in tale ipotesi, la stessa conclusione agevolmente raggiungibile nel caso di controllo societario. Fermo restando il ricorso a strumenti negoziali (a nostro avviso, sempre possibile nel caso di specie), volti a regolare i reciproci obblighi (tra partecipante e partecipata) per la corretta gestione delle informazioni privilegiate, al di fuori di tale soluzione non pare che si possa riconoscere al partecipante il potere di imporre alla partecipata la comunicazione di informazioni che potrebbero avere un impatto significativo sul prezzo dei propri strumenti finanziari. Vi è, dunque, il rischio che l’emittente quotato non sia in grado, o, meglio, non possa adempiere all’obbligo di disclosure, e ciò in quanto, semplicemente, esso non è in possesso, né è a conoscenza, della sussistenza di un’informazione privilegiata. Si tratta, dunque, di un profilo di rischio specifico, che gli amministratori della partecipante devono adeguata-

19 V., per tutti, Mosca, Comunicazione selettiva, cit., sub par. 11. Si occupa del tema della disclosure selettiva nei gruppi Maugeri, Gruppi di società e informazioni privilegiate, in Giur. comm., n. 6/2017, pp. 907 ss. 20 In base all’art. 114, co. 2, t.u.f. «gli emittenti quotati impartiscono le disposizioni occorrenti affinché le società controllate forniscano tutte le notizie necessarie per adempiere gli obblighi di comunicazione previsti dalla legge e dal regolamento (UE) n. 596/2014. Le società controllate trasmettono tempestivamente le notizie richieste».

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mente valutare e soppesare all’atto dell’assunzione della partecipazione: un profilo che, nuovamente, mostra una chiara valenza organizzativa. Per altro verso, deve osservarsi che anche la società partecipata risulta, in qualche misura, incisa dalla disciplina di cui si discute: il manifestarsi, al proprio interno, di un fatto rilevante, che il mercato dovrebbe conoscere in quanto price-sensitive per gli strumenti della partecipante, dà luogo ad un evidente rischio di non corretta gestione, e di abuso, di informazione privilegiata; vi è, allora, da chiedersi se la partecipata non debba a sua volta predisporre adeguati presidi per la corretta gestione dell’informazione privilegiata in base alla disciplina di diritto comune (artt. 2086 e 2381 c.c.). Se, come crediamo, si nega che sussista - nella fattispecie di cui si discute - in capo alla partecipata l’obbligo di comunicare l’informazione alla partecipante, resta altresì denso di implicazioni il risultato che ne deriva: infatti, per un arco temporale anche molto lungo, il pubblico potrebbe non venire a conoscenza di un’informazione privilegiata maturata nel contesto della partecipata, ma non diffusa secondo le regole del MAR. Con riguardo agli intermediari soggetti a vigilanza prudenziale (caso sub c), si potrebbe ricavare, dal sistema, una soluzione volta a consentire, da un lato, e ad imporre, dall’altro, lo scambio di informazioni tra partecipata e partecipante, funzionale all’adempimento degli obblighi di disclosure in capo al partecipante quotato; e ciò alla luce dei criteri che presiedono all’acquisto, e alla detenzione, di partecipazioni qualificate al capitale dei soggetti vigilati, improntati a principi di sana e prudente gestione. La corretta gestione delle informazioni price-sensitive, inoltre, è strettamente correlata alla corretta informazione del mercato e, per tale via, si accavalla anche con il c.d. Terzo pilastro derivante dagli standard internazionali in materia di vigilanza prudenziale. Infine, e con riguardo alla lettera d), il MAR ha trascurato di disciplinare un profilo che, invece, era originariamente stato regolato nell’ambito del t.u.f., e poi espunto. Qualora, pertanto, si verifichi un fatto, o un evento, nella sfera dell’entità controllante, che potrebbe influire sul prezzo degli strumenti finanziari dell’emittente quotato, quest’ultimo non avrebbe, a rigore, alcun obbligo di procedere alla disclosure della relativa informazione, trattandosi di un’informazione che lo riguarda soltanto in via indiretta. Parimenti, e tranne nel caso in cui il controllante sia, a sua volta, un emittente quotato, nessun obbligo di disclosure graverebbe in capo a quest’ultimo: si pensi, ad esempio, ad un caso abbastanza frequente, ossia all’assunzione di decisioni di rilievo da parte dei partecipanti ad un patto di sindacato, che riunisce una partecipazione di rilievo al capitale dell’emittente. Allo stato, e nel contesto del MAR,

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la soluzione della questione è rimessa – opportunamente – e all’autodeterminazione dei soggetti interessati che, nella prassi, spesso procedono comunque a diffondere l’informazione per il tramite dell’emittente quotato. Le strutture organizzative di quest’ultimo vengono, per tale via, utilizzate per convogliare al pubblico un’informazione riferita al soggetto controllante, ma che è idonea ad influire sui prezzi degli strumenti finanziari della controllata. Vi è, tuttavia, da chiedersi se questo profilo non debba essere riconsiderato, nel contesto dell’annunciata, prossima revisione del MAR. 2.6. La disciplina del c.d. ritardo: il rilievo organizzativo. Nel contesto del MAR, l’istituto del ritardo è stato, giustamente, indicato come uno strumento che fa, per così dire, da contrappeso alla nuova, più allargata nozione di informazione privilegiata (in specie, per ciò che attiene agli eventi a formazione progressiva). Si tratta, come noto, di un istituto che, a certe condizioni, consente all’emittente di ritardare la diffusione dell’informazione privilegiata, realizzando, per tale via, un (delicato) bilanciamento tra le opposte esigenze in gioco. A dire il vero, l’istituto non si è modificato granché nel passaggio dalla Direttiva del 2003 al MAR ma, indubbiamente, ne sono stati meglio precisati i presupposti applicativi, che – in effetti – non erano risultati chiarissimi nel contesto precedente. Peraltro, l’istituto del ritardo si adatta bene a “compensare” gli effetti dei processi dinamici e prolungati di emersione delle informazioni privilegiate e di relativa diffusione al mercato: la “frontiera mobile” della disclosure diventa, per tale via, più facilmente gestibile anche da parte dell’emittente. Non è questa la sede per una disamina compiuta dell’istituto del ritardo, nel contesto delle previsioni del MAR: ciò che più importa è rilevare come anche il ritardo sia connotato da regole che, nuovamente, rilevano sul piano organizzativo. Infatti, tra le condizioni richieste affinché possa ritardarsi la diffusione di un’informazione privilegiata, rileva la capacità dell’emittente di assicurare la riservatezza dell’informazione privilegiata. Secondo quanto ricavabile dalla prassi interpretativa in materia (ivi comprese le Linee Guida emanate dalla Consob), la capacità di garantire la riservatezza si misura, in via prioritaria, sull’adozione di presidi organizzativi volti al raggiungimento di tale obiettivo. Si ritrova, pertanto, il binomio tra gestione dell’informazione privilegiata e profili organizzativi, in una prospettiva che – in questo caso – non è riferita alla gestione del processo che conduce alla divulgazione dell’informazione al pubblico, ma alla gestione del processo che consente di non procedere, in via tem-

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poranea, a tale divulgazione. Il binomio riservatezza-non divulgazione vige, peraltro, sintanto che l’informazione non risulti disponibile per il pubblico, indipendentemente dal fatto che la divulgazione sia avvenuta in via incidentale, o meno. Nel contesto di cui sopra, si pone la questione dei cc.dd. «rumours», che, nuovamente, rinvia ai profili di natura organizzativa. In particolare, là dove i rumours siano rappresentativi di informazioni effettivamente price-sensitive sembra possano darsi soltanto due alternative: la prima è che quelle informazioni si siano diffuse per effetto dell’inidoneità dei presidi organizzativi approntati dall’emittente, e volti a garantire la riservatezza delle informazioni, in pendenza di ritardo; la seconda è che l’emittente non sia stato tempestivo nel diffondere l’informazione al pubblico per ragioni che possono andare dalla mancata pronta identificazione dell’informazione, sino alla vera e propria negligenza (o, nei casi estremi, dolo) nel non identificare e comunicare l’informazione stessa21. 2.6.1. (Segue): le informazioni morte ... prima di vedere la luce. Suscita non poche questioni la questione della “sorte” delle informazioni privilegiate che – in quanto riferite ad eventi a formazione progressiva – muoiono prima di vedere la luce, ossia cessano di avere rilevanza prima della loro comunicazione al pubblico. Il problema si pone poiché, nel caso di processi prolungati, l’emittente potrebbe (legittimamente) sottoporre a ritardo la diffusione dell’informazione privilegiata, in attesa che si verifichino i presupposti per doverla senz’altro comunicare al pubblico: in tale arco temporale, tuttavia, l’informazione potrebbe cessare di esistere in quanto informazione privilegiata, ad esempio perché il processo che aveva dato origine all’informazione si interrompe, e non giunge a compimento, oppure perché – sebbene questo appaia come un caso più raro – la stessa perde di significatività sul piano della possibile rilevanza sui prezzi degli strumenti finanziari. In entrambi i casi, il

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Se i rumours non riflettono informazioni price-sensitive, la questione assume un rilievo differente. In caso di diffusione di rumours che non riflettono informazioni pricesensitive oggetto di ritardo nella diffusione al mercato, l’Autorità di vigilanza può chiedere all’emittente di intervenire per confermare, o smentire la notizia. In epoca antecedente all’entrata in vigore del MAR, invece, l’emittente aveva l’obbligo di intervenire, se i prezzi degli strumenti erano stati oggetto di oscillazioni significative in dipendenza della diffusione degli stessi: in tal senso disponeva il Regolamento emittenti emanato dalla Consob, ma la relativa disposizione è stata abrogata.

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risultato è che, di fatto, il mercato non verrà mai a conoscenza dell’informazione; i prezzi degli strumenti finanziari non avranno mai incorporato la relativa notizia, neppure ex-post, come invece tipicamente accade nel caso di ritardo fisiologico. Allo stato attuale della disciplina, non sembra possano darsi soluzioni che in qualche modo richiedano all’emittente di rendere noto al mercato che un’informazione privilegiata – morta prima di vedere la luce – si è effettivamente manifestata, sebbene la questione sia, allo stato, oggetto di riflessioni nell’ambito della pubblica consultazione avviata dall’ESMA nel mese di ottobre 2019 (ove si discute, in particolare, il ruolo dell’Autorità di vigilanza in tale contesto22). Orbene, con riguardo a questo caso particolare, appare in tutta evidenza la centralità del profilo organizzativo: nella sua manifestazione perfetta, infatti (per tale intendendosi il caso in cui non si verifichino, in pendenza di ritardo, fughe di notizie) il fenomeno descritto è frutto della idoneità dei presidi organizzativi ad assicurare la confidenzialità dell’informazione, per il periodo in cui dura il ritardo, e sino al venir meno dell’informazione privilegiata. La “forza” del presidio organizzativo, proprio dell’istituto del ritardo, consente addirittura di ricacciare nell’oblio un’informazione privilegiata, che si è manifestata, ma che ha cessato di essere tale prima della sua diffusione al mercato. 2.6.2. (Segue): una questione controversa: la formazione dei dati contabili. Permangono zone grigie, nel contesto del MAR, con riguardo al trattamento dei dati contabili di periodo in rapporto alla disciplina delle informazioni privilegiate. Alcuni profili sono stati, in parte, chiariti: ad esempio, quello che attiene ai presupposti che consentirebbero ad un emittente di ritardare la diffusione dei dati contabili stessi, con particola-

22 In particolare, l’ESMA, nel documento di consultazione del 3 ottobre 2019, solleva la questione se, nel caso di cui si discute, l’Autorità di vigilanza debba comunque venire a conoscenza del fatto che l’informazione privilegiata, che sia stata correttamente identificata come tale, e sottoposta a ritardo, perda il suo carattere di significatività, o cessi di esistere, prima della diffusione al mercato: «However, the notification of the delay of disclosure of inside information, where the relevant information loses its inside nature following the decision to delay the disclosure, would enable NCAs to better identify possible cases of insider dealing. Namely, such notification would allow NCAs to monitor any insider dealing or attempted insider dealing conduct occurred in the period in which the information was inside information» (punto 126).

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re riguardo al requisito che consiste nella non ingannevolezza dell’effetto che ne consegue per il mercato23. Ciò detto, resta aperto il problema di valutare il trattamento al quale sottoporre i meri dati gestionali, dotati di rilevanza rispetto al più generale andamento dell’emittente (si pensi, ad esempio, ad un dato riferito al mero fatturato dell’emittente, o ad una voce di rilievo del conto economico, o dello stato patrimoniale, ecc.). In proposito, si potrebbe ritenere che il mero dato gestionale debba seguire le medesime sorti dei veri e propri dati contabili di periodo: esso, dunque, andrebbe sempre trattato alla stregua di un’informazione privilegiata, se dotato dei relativi requisiti, specificamente qualora la sua diffusione al pubblico possa influire sul prezzo degli strumenti finanziari dell’emittente. In senso opposto, si potrebbe invece ritenere che il mero dato gestionale debba essere inquadrato in una più ampia prospettiva, rappresentata dalla predisposizione di dati o situazioni contabili di periodo (relazione trimestrale; semestrale; bilancio): un dato gestionale, apparentemente significativo, potrebbe, infatti, perdere tale requisito se valutato in un contesto più ampio, che sia maggiormente rappresentativo dell’effettivo andamento dell’impresa. In base a questa ricostruzione, il dato gestionale verrebbe a configurare o una fase intermedia di un processo prolungato (teoricamente assoggettabile a ritardo), oppure – secondo, ad esempio, quanto si legge nelle Linee Guida Consob – una mera informazione «rilevante», ma non ancora privilegiata. Le due alternative hanno rilevanti implicazioni sul piano organizzativo: la prima, infatti, appiattisce dati gestionali e dati contabili; la seconda suggerisce che il processo di produzione dei dati gestionali sia identificato alla stregua di un processo a fasi prolungate, che può, o meno, sfociare in una informazione privilegiata. Tra di esse sembra debba privilegiarsi quella che, a fronte dell’interesse del mercato a venire a conoscenza anche del mero dato gestionale, fa prevalere l’esigenza di far sì che il processo di comunicazione al mercato dei dati avvenga in modo ordinato. La diffusione di un dato gestionale, seppure di rilievo, ma non ancora consolidato in un’informazione

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È, infatti, stato chiarito che la possibilità di ritardare la comunicazione al mercato di dati contabili di periodo è subordinata al fatto che il mercato non abbia maturato aspettative distoniche rispetto ai dati di mercato, con l’ulteriore – e, a nostro avviso, importante – precisazione che tali aspettative devono misurarsi rispetto a precedenti informative rese dall’emittente stesso.

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contabile compiuta, anche se non necessariamente certa e definitiva, rischia, infatti, di creare effetti distorsivi. Se, dunque, il dato gestionale è già in sè e per sé considerabile come un’informazione privilegiata, si tratta di un dato che fa parte di un processo prolungato, e dunque l’emittente potrà ritardarne la diffusione secondo le regole generali24. In caso contrario, l’informazione andrà classificata come informazione non privilegiata seppur (per riprendere la tassonomia delle Linee Guida Consob) rilevante. Un tema legato a quanto testé osservato, e che attiene nuovamente ai profili organizzativi, riguarda il processo che potrebbe condurre, in un dato momento, l’emittente a ritenere sussistenti gli estremi per la diffusione al pubblico (anche soltanto) di un mero dato gestionale, o anche di dati emergenti da situazioni contabili non ancora del tutto definitive o approvate dagli amministratori. Sul punto, si è giustamente osservato in dottrina che, là dove si seguisse una lettura eccessivamente rigorosa dell’art. 17 MAR – tale da imporre all’emittente di procedere direttamente, e “quanto prima possibile”, alla diffusione dei predetti dati – si potrebbe manifestare una situazione a dir poco curiosa, rappresentata dal fatto che gli amministratori verrebbero a conoscenza di un fatto di rilievo, di natura gestionale e/o contabile, attraverso il comunicato stampa, anziché nell’esercizio delle loro tipiche funzioni di governance. Il rilievo coglie, effettivamente, nel segno, ma sul punto va osservato che è ormai fatto acquisito che la diffusione delle informazioni privilegiate non deve attendere la valutazione /approvazione/ condivisione delle stesse da parte del Consiglio di amministrazione25.

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Non è agevole identificare esattamente il momento in cui, nel processo di produzione dei dati contabili, il dato gestionale può dirsi effettivamente rappresentativo di un’informazione privilegiata. Per essere tale, il dato deve essere rilevare sul piano della price sensitivity e, dunque, interpretabile in un contesto sufficientemente rappresentativo dell’andamento complessivo dell’attività: si pensi, ad esempio, al dato relativo al fatturato che, certamente, è un’informazione di rilievo, ma che – decontestualizzato rispetto ad altri dati – potrebbe non essere sufficientemente rappresentativo dell’andamento della società. 25 Mosca, Comunicazione selettiva, cit., par. 6: «Il paradosso è ancora più evidente quando la pubblicità riguarda prospetti contabili facoltativi (per esempio le relazioni trimestrali non più obbligatorie che l’emittente può, non solo ovviamente predisporre, ma anche scegliere di divulgare) o dati economico finanziari previsionali. Si deve evitare che queste informazioni (che non necessariamente corrispondono a “eventi” o circostanze” price sensitive, cfr. infra n. 8) siano diffuse al mercato senza avere ottenuto il consenso preventivo degli amministratori, dovendosi tendenzialmente evitare che gli amministra-

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Se il risultato può apparire incongruo, la soluzione del problema risiede nuovamente, a nostro avviso, nella predisposizione di un adeguato processo organizzativo interno26 che sia in grado di monitorare il processo di produzione dei dati gestionali e contabili, e che – al manifestarsi di dati che presentino i requisiti propri dell’informazione privilegiata – contempli la condivisione interna, quantomeno tra gli organi delegati, dell’informazione, e anche del testo del comunicato, prima della sua diffusione al mercato (senza tuttavia andare a scapito della tempestività)27. 2.7. La condotta legittima: eccezione o principio? L’art. 9 del Regolamento n. 596/2014 rappresenta, insieme all’istituto del ritardo, il momento più esplicito dell’emersione del fattore organizzativo nel contesto del MAR. Intitolata “Condotta legittima”, la disposizione declina una serie di ipotesi volte a sterilizzare gli effetti di apparenti violazioni della disciplina – che potrebbero desumersi dalla sussistenza di per sé di un’informazione privilegiata in un dato contesto – e tra le quali rileva, ai fini che qui interessano, soprattutto quella individuata dal primo comma. In particolare, si stabilisce che «[a]i fini degli articoli 8 e 14, dal semplice fatto che una persona giuridica sia o sia stata in possesso di informazioni privilegiate non si desume che tale persona abbia utilizzato tali informazioni e quindi abbia compiuto abuso di informazioni privilegiate sulla base di un’acquisizione o di una cessione

tori possano venire a conoscenza di tali dati contabili solo dalla disclosure al pubblico. Di conseguenza, tra la preparazione e individuazione delle informazioni privilegiate e la successiva divulgazione delle stesse intercorre un intervallo di tempo insopprimibile, necessario per coinvolgere e informare gli amministratori dei dati contabili destinati a pubblicazione, i quali, in ogni caso, dovranno attivarsi per ridurre al minimo il differimento nell’adempimento dell’obbligo di disclosure». 26 In questo senso, da ultimo, Gilotta, I tempi di diffusione, cit., p. 806. 27 Cfr., in questo senso, il noto caso Saipem, riferito ad un ritardo, non giustificato, nella diffusione di un profit-warning. La sentenza della Corte d’Appello di Milano, sez. I, 11 dicembre 2014 (confermata da Cass, 14 febbraio 2018, n. 3577) – chiamata a pronunciarsi avverso la delibera Consob n. 18949 del 18 giugno 2014 – osserva, infatti, correttamente che «ai fini dell’esistenza dell’informazione privilegiata e della sua imputabilità all’ente non sembrano necessari né l’esame, né la condivisione da parte del CdA dei dati che di essa costituiscono l’oggetto» e, successivamente, che «la violazione doveva considerarsi sussistente per la necessità di convocare il CdA, una volta definite le stime, in tempi “ragionevolmente brevi”, ben inferiori ai quindici giorni trascorsi che accrescevano “i rischi di possibili condotte illecite caratterizzate da un possibile utilizzo dell’informazione privilegiata in questione”».

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qualora tale persona giuridica: a) abbia stabilito, attuato e mantenuto disposizioni e procedure interne adeguate ed efficaci e atte a garantire effettivamente che né la persona fisica che ha preso la decisione per suo conto di acquisire o cedere strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono, né nessuna altra persona fisica che possa aver influenzato tale decisione fossero in possesso delle informazioni privilegiate; e b) non abbia incoraggiato, raccomandato, indotto o altrimenti influenzato la persona fisica che ha acquisito o ceduto per conto della persona giuridica strumenti finanziari cui le informazioni si riferiscono». Per certi versi, si tratta di una disposizione che sembra contraddire quanto affermato supra circa l’insussistenza, nel contesto del MAR, quale attualmente formulato, di specifiche norme volte a richiedere espressamente agli emittenti l’adozione di presidi organizzativi specifici. A ben vedere, tuttavia, l’art. 9 è un’eccezione che conferma la regola, poiché la disposizione si limita a regolare un meccanismo presuntivo semplice, che dipende dall’adozione – opzionale – di presidi organizzativi atti a scongiurare il rischio del concreto manifestarsi di un abuso di mercato, in particolare di sfruttamento di informazioni privilegiate28. Il beneficiario di tali presidi, sul piano della contestazione di eventuali illeciti, è – nel caso di cui si discute – la stessa società. È discusso se l’art. 9 – e, in specie, il primo comma – sia una disposizione necessaria e/o che introduca deroghe effettive rispetto alla disciplina di base. Il dubbio sorge in quanto, per certi versi, l’art. 9 sembra non fare altro che consentire, a certe condizioni, di sterilizzare l’elemento sotteso allo stesso illecito di insider trading: se il soggetto che ha operato non era, concretamente, a conoscenza dell’informazione privilegiata, che pur esisteva in quel determinato momento, la condotta

28 È, forse, proprio in questa prospettiva che si deve intendere il senso del par. 5 dell’art. 9, in base al quale si può ancora considerare che vi sia stata una violazione del divieto di abuso di informazioni privilegiate di cui all’articolo 14, se l’autorità competente accerta che vi è stato un motivo illegittimo alla base degli ordini di compravendita, delle operazioni o delle condotte in questione. Per una critica a tale disposizione v. Pietrancosta, Brief Remarks on the Necessary Clarification of Market Abuse Prohibitions in Times of Shareholder Activism, in RTDF, n. 3/2019, pp. 1 ss. il quale osserva: «Tautology is once again at work, this time at national level: behavior defined as legitimate at European level ceases to be so if the national market authority considers that it has been adopted for an illegitimate reason... Not only does this disclaimer carry within it a seed of disharmony between the national solutions that a European regulation is supposed to unify, but because of its scale it potentially ruins the legal certainty offered a priori by the European text» (ivi, p. 6).

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non è punibile29. La questione riporta, dunque, alle radici stesse della nozione di insider trading che presuppone l’utilizzo dell’informazione privilegiata, di cui l’autore della violazione risulti in possesso30. L’art. 9 MAR è generalmente inteso come una disposizione che si indirizza essenzialmente agli intermediari, in specie polifunzionali: ciò si desume dal fatto che la disposizione si riferisce ad ipotesi in cui sono stati acquistati o ceduti strumenti finanziari “per conto” della persona giuridica (la figura di riferimento è, dunque, essenzialmente, quella del trader, che opera nel contesto di un intermediario che è in possesso, in quanto tale, di informazioni privilegiate relative all’emittente). Tuttavia, riteniamo che la disposizione possa considerarsi applicazione di un principio generale, che ha vocazione ad estendersi anche agli emittenti: si pensi, ad esempio, all’acquisto di azioni proprie da parte dell’emittente stesso, o all’ipotesi in cui un esponente aziendale abbia operato sui titoli dell’emittente in un periodo in cui sussisteva, in capo all’emittente stesso, un’informazione privilegiata. In base all’art. 9, il profilo organizzativo tracima così dalla dimensione degli obblighi di disclosure posti in capo all’emittente, a quella della rilevanza delle condotte illecite: due profili distinti, ma strettamente collegati, giacché le modalità organizzative con le quali l’emittente gestisce l’informazione privilegiata sono funzionali sia alla corretta diffusione e comunicazione delle informazioni price-sensitive al mercato, sia alla prevenzione degli abusi.

3. Profili di responsabilità per inadempimento degli obblighi di disclosure. Si è già avuto modo di osservare come la violazione delle regole di disclosure formulate dal MAR comporti l’irrogazione di sanzioni amministrative, salva la sottile linea di demarcazione che spesso connota tali condotte rispetto alla vera e propria manipolazione informativa, e ai conseguenti profili di responsabilità, anche penale.

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Secondo, peraltro, anche l’opinione dell’avvocato generale nel noto caso Spector. Art. 8, co. 1, MAR: «Ai fini del presente regolamento, si ha abuso di informazioni privilegiate quando una persona in possesso di informazioni privilegiate utilizza tali informazioni acquisendo o cedendo, per conto proprio o per conto di terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui tali informazioni si riferiscono». 30

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Il Regolamento MAR non formula, invece, alcuna previsione riguardo alla responsabilità civile dell’emittente per violazione delle regole in materia di comunicazione al pubblico delle informazioni privilegiate, a differenza di quanto si rinviene in materia di responsabilità da prospetto nella corrispondente disciplina UE. Pertanto, nel contesto del MAR, non soltanto non sussiste alcuna disposizione specifica che imponga all’emittente di dotarsi di adeguati presidi organizzativi per poter adempiere agli obblighi di disclosure, ma nulla si prevede con riguardo ai profili di responsabilità, ad eccezione – naturalmente – di quelli sanzionatori di natura amministrativa. Ne deriva che tali questioni restano affidate alla legislazione dei singoli Stati Membri, tra regole di diritto comune e, eventualmente, regimi speciali. In tale contesto, e stante le divergenze che, sul punto, connotano le tradizioni giuridiche degli Stati, non è dunque scontato né che dalla violazione dei precetti del MAR discendano profili di responsabilità nei riguardi degli investitori in capo all’emittente, e/o ai suoi organi sociali, né che tali profili possano inquadrarsi nelle classiche forme di responsabilità che, di volta in volta, potrebbero rilevare. È, infatti, nota la questione – che connota molti campi della disciplina finanziaria – relativa a se la violazione di precetti del diritto dell’Unione possa dar luogo a pretese di natura risarcitoria invocabili sul piano dei rapporti tra privati. In questa sede non intendiamo sviluppare compiutamente l’indagine su profili tanto delicati che, peraltro, andrebbero affrontati in una prospettiva di comparazione con altri ordinamenti, anche in relazione agli aspetti di natura sistematica31. Ciò che, qui, preme porre in luce è, nuovamente, il possibile legame che sussiste tra i profili di responsabilità conseguenti alla violazione dei precetti di cui all’art. 17 MAR, e quelli che attengono all’organizzazione d’impresa. Limitando dunque, in questa sede, il campo di indagine al sistema italiano, non pare porsi il problema – che invece connota altri ordinamenti – della possibile rilevanza, sul piano del diritto privato, dei precetti del MAR: analogamente a quanto si riscontra in altri settori della disciplina del mercato finanziario (in primis, la disciplina MiFID) questi ultimi so-

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V., in questa prospettiva, volta ad approfondire la ratio e la finalità di un sistema di responsabilità dell’emittente e/o dei suoi esponenti per violazione degli obblighi di disclosure, Davies, Damages Actions by Investors on the Back of Market Disclosure Requirements, in Capital Markets Union in Europe, a cura di Busch, Avgouleas, Ferrarini, Oxford, 2018, cap. 15.

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no, infatti, pacificamente da ritenersi come fonti che rilevano tanto sul piano del diritto pubblico, quanto su quello del diritto privato32. L’azione di risarcimento dei danni per asserita mancata disclosure delle informazioni privilegiate, o per ingiustificato ritardo, potrà dunque rivolgersi verso l’emittente e fondarsi direttamente sulla violazione dell’art. 17 MAR. E, del resto, è oggi pacifica, sia nella giurisprudenza di merito, che in quella di legittimità, la responsabilità civile dell’emittente per la omessa, ritardata o inesatta comunicazione di informazioni, sia sul mercato primario, che su quello secondario33. Tale constatazione lascia, tuttavia, irrisolte una nutrita serie di questioni che muovono dall’inquadramento sistematico di tale responsabilità, per poi interessare, di conseguenza, profili di natura processuale, quali il contenuto e l’allocazione dell’onere probatorio tra emittente e investitori. Si tratta, anche in questo caso, di interrogativi la cui ampiezza e complessità impongono uno sforzo di sintesi, funzionale a porre in luce i momenti di contatto con le norme di diritto comune in materia di adeguatezza degli assetti. L’interrogativo di fondo riguarda, come anticipato, la natura della responsabilità dell’emittente, che taluno ha definito “da falsità nei mercati finanziari”34. La riflessione si inscrive nel più ampio dibattito relativo alle difficoltà qualificatorie che la responsabilità per diffusione al mercato di informazioni false, errate o fuorvianti pone, ormai da tempo, all’attenzione degli interpreti. La questione si colloca, infatti, nell’incerto terreno

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V. Della Negra, MiFID II and Private Law, Springer, 2018 nonché – per considerazioni più puntualmente riferite al MAR, e nella prospettiva del diritto olandese – Busch, The private law effect of the EU market abuse regulation, in Capital Markets Law Journal, Vol. 14, n. 3, 196 ss. 33 Tra le molte sentenze di merito si segnalano: Trib. Milano, 11 gennaio 1988, in Giur. comm., 1988, II, 585 ss.; App. Milano, 2 febbraio 1990, in Banca, borsa, tit. cred., 1990, II, 734 ss. (considerato il primo precedente italiano in materia di responsabilità da prospetto); Trib. Milano, 21 ottobre 1999, in Giur. it., 2000, 554 ss. (caso Ferchim, in materia di responsabilità da prospetto e da inesatte informazioni sul mercato secondario); Trib. Milano, 4 novembre 2008, in Società, 2009, 65 ss. (caso Parmalat, in materia di responsabilità del revisore da informazione inesatte); Trib. Milano, 22 luglio 2010, n. 9544 (caso Egerton Capital Limited c. Italease s.p.a.); Trib. Milano, 14 novembre 2013, in Società, 2015, 855 ss. (caso Italease, in materia di inesatte informazioni sul mercato secondario); App. Milano, 15 gennaio 2014, n. 118, in Società, 2016, 849 ss. (caso Italease); Trib. Milano, 24 maggio 2017, n. 5894 (caso UnipolSai). Tra le pronunce di legittimità, v. Cass., 11 giugno 2010, n. 14056, in Società, 2011, 411 (caso Tessival). 34 V. Trimarchi, La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, Milano, 2019, p. 162 ss.

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di confine tra contratto e torto, mal prestandosi ad un inquadramento tradizionale, sia in termini di responsabilità contrattuale, presupponendo, quest’ultima, l’esistenza di un rapporto contrattuale avente ad oggetto la comunicazione dell’informazione, sia in termini di responsabilità extra-contrattuale, non potendosi neppure assimilare il rapporto tra le parti a quello tra estranei35. L’ascrizione all’una o all’altra categoria produce, naturalmente, diverse conseguenze sul piano della disciplina applicabile, che investono i profili dell’onere probatorio gravante sul danneggiato, del termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione, nonché della determinazione del quantum risarcibile36. Tra gli inquadramenti dogmatici elaborati in materia, si è sostenuta la riconducibilità della violazione dell’obbligo di corretta e tempestiva informazione al regime dell’inadempimento di un’obbligazione di fonte contrattuale, mediante ricorso alla nota teoria del contatto sociale qualificato37. Non essendo questa la sede per una compiuta ricostruzione

35 Si veda sul punto C. Castronovo, La nuova responsabilità civile: regola e metafora, Milano, 2018, p. 443, secondo cui ricondurre queste fattispecie «alla responsabilità contrattuale sembra frutto di una enfatizzazione, e ricondurle a quella extracontrattuale si rivela un impoverimento». 36 Valgono, infatti, anche in materia di responsabilità civile, le considerazioni formulate in Sacco, De Nova, Il contratto4, Torino, 2016, p. 1419: «la tipizzazione sarebbe gratuita ed inutile, se non comportasse conseguenze: le quali sono vistose, e sono rappresentate, essenzialmente, dai cosidetti elementi naturali del negozio, cioè da tutti quegli effetti che, pur non dipendendo direttamente dalla volontà delle parti, si reputano conseguenti a tale tipo di contratto, finché le parti non li abbiano esclusi. Ascrivere un contratto ad un tipo piuttosto che ad un altro significa in buona sostanza attribuirgli questi piuttosto che quegli altri effetti naturali». 37 In letteratura, si veda ampiamente, C. Castronovo, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in Scritti in onore di Luigi Mengoni, Milano, 1995, pp. 147 ss.; Faillace, La responsabilità da contatto sociale, Padova, 2004; Manna, Le obbligazioni senza prestazione, in Trattato delle obbligazioni, III, a cura di Garofalo e Talamanca, Padova, 2013, pp. 3 ss.; Piraino, Adempimento e responsabilità contrattuale, Napoli, 2011, pp. 675 ss.; C. Castronovo, Eclissi del diritto civile, Milano, 2015, pp. 128 ss.; da ultimo, in una prospettiva di comparazione, F. Castronovo, La responsabilità da false informazioni comparata: special relationship nel diritto anglosassone, species della responsabilità da contatto sociale nel nostro sistema, in Banca, borsa, tit. cred., 2019, I, pp. 391 ss. Di questa forma di responsabilità “fra contratto e torto” si è fatto applicazione in giurisprudenza con riferimento alla relazione fra medico e paziente (Cass., 22 gennaio 1999, n. 589, in Corr. giur., 1999, 446 ss., con nota di Di Majo, L’obbligazione senza prestazione approda in Cassazione), fra insegnante e allievo (Cass., S.U., 27 giugno 2002, n. 9346, in Resp. civ. e prev., 2002, p. 1022, con nota di Facci, Minore autolesionista,

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delle relative teorizzazioni, pare sufficiente rilevare, ai fini che qui interessano, che – nel caso di non corretta comunicazione di informazioni sul mercato secondario – la rilevanza del contatto sociale, instauratosi tra chi fornisce l’informazione e chi su quell’informazione basa le proprie scelte di acquisto, sarebbe rappresentata dall’affidamento che genera «la presenza sul mercato di soggetti ai quali può rivolgersi il pubblico a fini di investimento»38. Il rilievo è così posto non su di un obbligo di prestazione, ma su obblighi che sorgono «prima e a prescindere da quello di prestazione, in funzione di protezione della sfera giuridica della controparte»39. Tale rilievo impedirebbe di assimilare la responsabilità dell’emittente, per assenza o carenza delle informazioni dovute, alle forme tipiche di responsabilità aquiliana, e giustificherebbe il ricorso al rimedio contrattuale, anche al di fuori (e prima) di un rapporto contrattuale propriamente inteso. Di qui le conseguenze sul piano della disciplina applicabile: l’investitore danneggiato può, infatti, limitarsi a provare l’esistenza del titolo e ad allegare la violazione dell’obbligo informativo; sull’emittente convenuto grava, invece, l’obbligo di fornire la prova liberatoria dell’esatto adempimento40.

responsabilità del precettore e contatto sociale), fra beneficiario e banca trattaria, ovvero fra traente e banca negoziatrice, nel caso di pagamento di un assegno a soggetto non legittimato (Cass., SS. UU., 26 giugno 2007, n. 14712, in Danno e resp., 2008, p. 160), fra mediatore e parte contraente, nella mediazione atipica (Cass., 14 luglio 2009, n. 16382, in Contr., 2009, p. 1085), fra l’ex datore di lavoro e l’ex dipendente per informazioni inesatte (Cass., 21 luglio 2011, n. 15992, in Nuova giur. civ. comm., 2012, 169 ss., con nota di Montani, Tra responsabilità civile e contrattuale: il contatto sociale). 38 Il riferimento corre, naturalmente, alle considerazioni formulate in C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, cit., 605: «Non si tratta di una responsabilità precontrattuale […] perché l’obbligo in questione prescinde dalle situazioni di sollecitazione all’investimento. Come la culpa in contrahendo, essa si inquadra nella categoria più ampia della responsabilità da violazione di obblighi, precisamente di un’obbligazione senza prestazione e perciò nella responsabilità di natura contrattuale, anche nei confronti di soggetti che non si trovino già in relazione con l’emittente come investitori, ma lo diventino in una situazione di assenza o carenza dell’informazione dovuta» (enfasi aggiunta). 39 Ibid, p. 541. L’A. precisa, altresì, che gli «obblighi di protezione o doveri di sicurezza inerenti alla condotta […] diventano veri e propri obblighi nel momento in cui si specificano in relazione a un soggetto determinato» (ivi, p. 484). 40 V. Cass., S. U., 30 ottobre 2001, n. 13533: «in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca [...] per il risarcimento del danno [...] deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto [...] limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa».

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Sono altrettanto note le critiche di ordine generale mosse alla teoria testè richiamata, sulle quali, nuovamente, non è tuttavia opportuno diffonderci in questa sede41. In vero, anche condividendo le premesse teoriche sulle quali si fonda la tesi dell’obbligazione senza prestazione, e sebbene in dottrina acquisti spazio crescente l’opinione che colloca la responsabilità da false informazioni nella categoria della responsabilità contrattuale42, non constano precedenti giurisprudenziali che abbiano ancorato la responsabilità dell’emittente per violazione degli obblighi di disclosure ai presupposti del “contatto sociale”. La ricostruzione non ha, del resto, trovato riscontro nemmeno con riguardo al rapporto tra agenzie di rating e investitori, fattispecie che può ritenersi affine a quella in esame, e rispetto alla quale la “responsabilità da violazione di un obbligo di protezione” è stata espressamente esclusa. In proposito, si è, infatti, osservato che «l’affidamento si forma nell’investitore in considerazione del valore reputazionale delle agenzie di rating e della loro credibilità e competenza tecnica e prescinde da un rapporto di tipo contrattuale o di mero contatto sociale, non venendo l’investitore mai in contatto con le agenzie di cui conosce il giudizio espresso attraverso altri canali»43.

41 Di «fondamento teorico abbastanza stringato e [di] alquanto dubbia consistenza» parla Zaccaria, Der aufhaltsame aufstieg des sozialen kontakts (la resistibile ascesa del «contatto sociale»), in Riv. dir civ., 2013, p. 94, con riguardo all’impianto argomentativo elaborato dalla giurisprudenza che ha fatto applicazione della teoria del contatto sociale. In particolare, l’A. rileva che «la teoria del «contatto sociale», e, prima di lei, quella del «contratto di fatto», dalla quale era stata derivata, appartengono a un’epoca e a un ambiente culturale (del tutto superati) in cui, anche per motivazioni di ordine politico che certamente oggi non saremmo più disposti a condividere — si tratta di teorie che videro la luce all’epoca del nazionalsocialismo —, si tendeva a svilire l’autonomia del singolo anche sul piano dei rapporti fra i privati» (ivi, p. 92). V. altresì, Buffoni, Cronaca di una morte annunciata (ma che stenta a sopraggiungere): le strane sorti dell’obbligazione senza prestazione, in Giur. it., 2008, pp. 872 ss.; Maggiolo, Il risarcimento della pura perdita patrimoniale, Milano, 2003, pp. 187 ss., secondo cui l’affidamento non potrebbe costituire fonte dell’obbligazione. 42 Da ultimo, e per ampi riferimenti, F. Castronovo, La responsabilità, cit., pp. 391 ss. 43 Così, Trib. Roma, 27 marzo 2015, n. 6827. Per ampi riferimenti sulla questione, v. Picciau, Diffusione di giudizi inesatti al mercato finanziario e responsabilità delle agenzie di rating, Milano, 2018, pp. 63 ss. Giova, tuttavia, rilevare che anche chi considera la responsabilità da false informazioni come extracontrattuale non manca di rilevare il tratto che accomuna tale specifica forma di responsabilità con quella contrattuale. Si tratta, in particolare, dell’affidamento, che «postula un collegamento tra due (o più) soggetti: al rapporto contrattuale corrisponde, in ambito extracontrattuale, un collegamento – eventualmente riscontrabile ex post – tra chi fornisce l’informazione e i terzi destina-

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L’interpretazione più tradizionale qualifica, pertanto, la responsabilità in commento alla stregua di responsabilità aquiliana, in senso analogo a quanto avviene per altri casi, anche non espressamente regolati, di omessa o inesatta informazione al mercato44. Ai fautori della natura extracontrattuale della responsabilità dell’emittente non è, tuttavia, sfuggita la gravosità del carico probatorio che ricadrebbe sull’investitore, là dove si facesse applicazione, anche in materia di informazione societaria regolamentata, dei criteri di riparto generalmente previsti in tema di danno aquiliano. Il richiamo ad un regime di responsabilità extracontrattuale si accompagna, così, all’impiego di espedienti argomentativi volti a far ricadere sull’emittente convenuto una parte dell’onere probatorio, secondo soluzioni per certi versi affini a quelle della materia contrattuale45. In tale ottica, non mancano ricostruzioni di ampio respiro, volte ad estendere alla responsabilità da informazione societaria regolamentata i medesimi principi vigenti con riguardo alla responsabilità per informazioni inesatte nel mercato primario, sì da assicurare coerenza ed effettività al sistema della responsabilità da “falsità nei mercati finanziari”46. Ne deriva che l’emittente risponde per colpa, qualora non provi di aver adottato «ogni diligenza allo scopo di assicurare che le informazioni fos-

tari (certae ovvero anche incertae personae) dell’informazione secondo il canone della ragionevole prevedibilità» (Busnelli, Itinerari europei nella “terra di nessuno tra contratto e fatto illecito”: la responsabilità da informazioni inesatte, in Contr. e impr., 1991, II, pp. 566 ss. In giurisprudenza v., ad es., Cass., 14 luglio 2009, n. 16382, in Vita not., 2009, II, 1446). 44 V., sul punto, le considerazioni di Trimarchi, La responsabilità civile, cit., p. 165: «La responsabilità derivante dalla diffusione di informazioni inesatte, o dalla mancata comunicazione al pubblico di informazioni dovute, nell’ambito dell’informazione societaria regolamentata e soggetta a pubblicità, che può riguardare sia la circolazione successiva dei prodotti finanziari, sia i finanziamenti concessi sulla base di quelle informazioni, trova fondamento nel principio espresso nell’art. 2043 cod. civ.». Si vedano, altresì, Macri’, Informazioni privilegiate e disclosure, Torino, 2010, p. 129 e, in epoca meno recente, Busnelli, Itinerari europei, cit., pp. 539 ss. 45 Sul punto, ampiamente, Giudici, Regolazione finanziaria ed esternalità del contratto: i contratti rivolti ai terzi, in Rivista della regolazione dei mercati, 2014, 1, disponibile all’indirizzo: http://www.rivistadellaregolazionedeimercati.it/index.php/saggi-fascicolo-1/paolo-giudici-regolazione-finanziaria-ed-esternalita-del-contratto-i-contrattirivolti-ai-terzi#_ftn87. 46 V. Giudici, La responsabilità civile nel diritto dei mercati finanziari, Milano, 2008, pp. 277 ss., e sul problema dell’estensione della disciplina, alla luce delle differenze tra mercato primario e secondario, ivi, pp. 243 ss., ove ampi riferimenti. Nella stessa direzione Trimarchi, La responsabilità civile, cit., p. 165.

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sero conformi ai fatti e non presentassero omissioni tali da alterarne il senso»47. Effetti analoghi, sotto il profilo della distribuzione dell’onere probatorio, discendono là dove, pur senza ricostruire in ottica unitaria una disciplina della responsabilità da informazione inesatta, ci si affidi all’elaborazione di specifiche presunzioni in favore dell’investitore. Quanto alla prova del nesso di causalità, è pacifica l’opinione secondo cui l’omessa, ritardata o inesatta comunicazione di informazioni price sensitive costituisca causa del danno subito dagli investitori48. La ricostruzione trova, oggi, decisive conferme nella formulazione del MAR, che qualifica l’informazione privilegiata come un’informazione, avente carattere preciso, non ancora resa pubblica, e che – se resa pubblica – «potrebbe avere un effetto significativo sui prezzi degli strumenti finanziari o dei derivati ad essi collegati» (art. 7, par. 1, lett. a, MAR)49. In caso di violazione dell’art. 17 MAR, può pertanto presumersi che il danno subito dagli investitori sia conseguenza diretta del silenzio, del ritardo o dell’inesatta comunicazione da parte dell’emittente, e ciò in quanto i prezzi formatisi sul mercato hanno risentito negativamente della condotta dell’emittente: non si sono, in altri termini, formati correttamente. Chi abbia venduto o comprato i titoli nel periodo interessato dall’omissione, o dalla non corretta informazione, li ha dunque scambiati a prezzi che hanno risentito del deficit di informazione, riconducibile alla condotta dell’emittente. La suddetta presunzione – che, in una prospettiva di diritto comparato, può porsi a raffronto con la nota fraud on the market theory di origine statunitense50 – esonera gli investitori dalla prova del

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E’ agevole cogliere, in tale rilievo, il nesso con l’adeguatezza degli assetti organizzativi interni, che presiedono all’identificazione e alla gestione delle informazioni privilegiate. 48 Ampiamente, Macri’, Informazioni privilegiate, cit., pp. 129 ss.; Perrone, Informazione al mercato e tutele dell’investitore, Milano, 2003, pp. 183 ss. Per un’analisi della giurisprudenza, v. Afferni, Causalità e danno nella responsabilità civile per false informazioni sui mercati finanziari: il caso Italease, in Società, 2015, pp. 874 ss. 49 L’art. 7, par. 4, MAR, chiarisce, poi, che «per informazione che, se comunicata al pubblico, avrebbe probabilmente un effetto significativo sui prezzi […] s’intende un’informazione che un investitore ragionevole probabilmente utilizzerebbe come uno degli elementi su cui basare le proprie decisioni di investimento». Sul carattere legislativo della presuzione relativa alla sussistenza del nesso di causalità, in ragione della materiality dell’informazione privilegiata, Giudici, Informazione privilegiata e responsabilità civile, in Società, 2016, pp. 143 ss. 50 Com’è noto la fraud on the market theory, elaborata dapprima in dottrina e poi

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nesso causalità, e trova fondamento proprio nei doveri di disclosure incombenti sull’emittente51. Quanto poi alla prova dell’elemento soggettivo, si è argomentato che, per certe falsità o omissioni, la colpa sarebbe presumibile, e che vale, in ogni caso, il criterio della ripartizione dell’onere probatorio in base alla “vicinanza della prova”52. Atteso che le informazioni necessarie per la valutazione circa il corretto adempimento degli obblighi di disclosure sono detenute dall’emittente e che, senza la sua collaborazione, non sono accessibili al pubblico degli investitori, o lo sono soltanto con grande difficoltà, è giustificato uno spostamento sul convenuto dell’onere di provare che la violazione dei precetti di cui all’art. 17 MAR non dipende da dolo, o da colpa.

consacrata dalla giurisprudenza della Corte Suprema con la sentenza Basic Inc. v. Levinson, riconosce all’investitore – che abbia compiuto una scelta di investimento o disinvestimento sul mercato secondario a seguito dell’apprendimento di una notizia successivamente rivelatasi falsa – il diritto al risarcimento del danno a prescindere dalla prova dell’affidamento sulla veridicità e attendibilità della notizia. Si tratta di una presunzione semplice, che muove dalla considerazione secondo cui gli investitori fanno affidamento sul corretto funzionamento del mercato, sulla correttezza delle informazioni che gli emittenti rilasciano e, pertanto, sull’influenza che quelle informazioni hanno sui prezzi. L’esonero dalla prova di aver fatto concreto affidamento sull’informazione rivelatasi non vera si fonda, così, sulla presunzione che tale informazione sia stata perfettamente riflessa nei prezzi del titolo al momento della contrattazione; presunzione a sua volta basata sull’assunto che il mercato sia efficiente, quantomeno in forma semi-forte (ampiamente sul punto, Giudici, La responsabilità civile, cit., pp. 256 ss.; Ventoruzzo, La responsabilità da prospetto negli Stati Uniti d’America tra regole del mercato e mercato delle regole, Milano, 2003, pp. 81 ss.). 51 Nel senso indicato nel testo, v., tra gli altri, Trimarchi, La responsabilità civile, cit., p. 166: «[q]uando si tratta dell’informazione societaria regolamentata, che è soggetta a pubblicità, è giustificata anche una presunzione di conoscenza da parte dell’investitore e, dunque, di ragionevole affidamento»; Angelici, Su mercato finanziario, amministratori e responsabilità, in Riv. dir. comm., 2010, I, pp. 1 ss.: «rilevante è fondamentalmente l’influenza della falsa informazione sul prezzo, se si vuol dire la sua concreta materiality». La tesi è consolidata anche in tema di responsabilità da prospetto e di responsabilità da informazioni inesatte dei revisori contabili. Sul tema dell’inesatta revisione del bilancio, in epoca ormai non più recente, v. Bonelli, Responsabilità delle società di revisione nella certificazione obbligatoria e volontaria dei bilanci, in Riv. soc., 1979, p. 969: «nella certificazione obbligatoria dei bilanci [...] il nesso di causalità può ipotizzarsi anche se il terzo non abbia personalmente esaminato la certificazione colposamente erronea o inveritiera (invero la decisione del ‘terzo investitore, socio’ o finanziatore può essere influenzata da valutazioni di analisti finanziari, agenti di cambio, istituti di credito, ecc. a loro volta basate sulla erronea o inveritiera certificazione)». 52 Così, Trimarchi, La responsabilità civile, cit., p. 165.

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È proprio con riguardo all’elemento soggettivo che può, allora, individuarsi un chiaro momento di contatto tra i precetti del MAR e le previsioni di diritto comune che riguardano l’organizzazione dell’impresa. L’emittente potrebbe, infatti, essere chiamato a provare di aver agito con diligenza, dimostrando – inter alia – che la violazione – rappresentata, di volta in volta, dall’omessa disclosure, dal suo ritardo ingiustificato, o dalla diffusione di informazioni inesatte – non è dipesa da un assetto organizzativo insufficiente o lacunoso. L’assenza di presidi organizzativi adeguati ad assicurare la corretta identificazione, gestione e pubblicazione delle informazioni privilegiate rileva, allora, proprio sotto questi profili. Come già anticipato, il ritardo, l’omessa comunicazione, così come la diffusione di informazioni privilegiate errate, imprecise espone a responsabilità non soltanto l’emittente, ma anche i suoi amministratori. E ciò sia verso l’esterno, sia nei rapporti interni con lo stesso emittente. Quanto alla prima eventualità, gli amministratori potrebbero essere chiamati a risarcire, ai sensi dell’art. 2395 c.c., il danno direttamente arrecato al singolo socio o al terzo. L’avverbio “direttamente” presuppone che i danni arrecati dal fatto colposo o doloso degli amministratori non siano il mero riflesso di quelli eventualmente arrecati al patrimonio sociale, ma abbiano investito per via diretta il patrimonio del socio o del terzo53. Tale presupposto potrebbe ravvisarsi nelle ipotesi in cui l’investitore lamenti di aver acquistato (o venduto) un titolo che non avrebbe acquistato (o venduto), o che avrebbe acquistato (o venduto) ad un prezzo diverso, qualora il mercato fosse stato correttamente informato. L’eventuale responsabilità ex art. 2395 c.c. – che ha pacificamente natura extracontrattuale54 – potrebbe comportare l’estensione della responsabilità all’emittente, ai sensi dell’art. 2049 c.c., in virtù dei noti principi di immedesimazione organica55.

53 Ampiamente, sulla distinzione, Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. Dopo la riforma delle società, Milano, 2004, p. 214. 54 In dottrina v., tra gli altri, Ferrarini, La responsabilità da prospetto, Milano, 1986, 154; Perrone, Informazione al mercato, cit., p. 132. 55 In giurisprudenza, si è infatti sostenuto che degli illeciti commessi dai propri dipendenti e/o ausiliari può essere chiamata a rispondere la società nei confronti dei terzi danneggiati, anche a prescindere dal fatto che il dipendente/ausiliario abbia eventualmente agito per scopi estranei alle sue mansioni. In particolare, la Corte di Cassazione ha avuto modo di osservare che «la società, per il principio dell’immedesimazione organica, risponde civilmente degli illeciti commessi dall’organo amministrativo nell’esercizio delle

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A conclusioni diverse deve, invece, giungersi là dove l’azionista-investitore lamenti una perdita di valore delle azioni derivante da una complessiva perdita di valore del patrimonio sociale, a sua volta dovuta ad un illecito compiuto dagli amministratori. L’assenza di un pregiudizio autonomo e distinto rispetto a quello subito dal patrimonio sociale esclude, infatti, l’esperibilità dell’azione ex art. 2395 c.c.56. Ciò, tuttavia, lascia impregiudicata, là dove sussistano i presupposti, l’esperibilità delle azioni disciplinate agli artt. 2392-2394 c.c. In altri termini, la responsabilità civile degli amministratori non si esaurisce sul piano extracontrattuale, ma necessita altresì di una collocazione in prospettiva contrattuale, in relazione alla società. Per quanto qui interessa, qualora la violazione dell’art. 17 MAR derivi dalla mancata adozione di adeguati assetti organizzativi – secondo quanto implicitamente ricavabile dal MAR, ed espressamente dagli artt. 2086 e 2381 c.c. – si ritiene che tale circostanza potrà senza dubbio rilevare sul piano della responsabilità interna degli amministratori. Si noti, peraltro, che alla responsabilità ex art. 2392 c.c. non possono che ricollegarsi le considerazioni, già supra formulate, relative alla portata della business judgement rule con riguardo alla predisposizione di assetti adeguati nella materia di cui si discute57. Ai fini che qui interessano, è sufficiente rimarcare – come già osservato – che l’obbligo imposto dal MAR di diffondere al mercato “quanto prima possibile” le informazioni price sensitive impone agli amministratori di conseguire uno specifico e ben determinato risultato. Il che lascia ben poco spazio ad eventuali margini di discrezionalità, residuando, al più, un margine di valutazione con riguardo alla predisposizione di assetti in concreto adeguati ad assicurare il perseguimento di tale risultato e alla “classificazione” di una data informazione alla stregua di informazione privilegiata. Né tali consi-

sue funzioni, ancorché l’atto dannoso sia stato compiuto dall’organo medesimo con dolo o con abuso di potere, ovvero esso non rientri nella competenza degli amministratori, ma dell’assemblea, richiedendosi unicamente che l’atto stesso sia, o si manifesti, come esplicazione dell’attività della società, in quanto tenda al conseguimento dei fini istituzionali di questa, e tale responsabilità si aggiunge, ove ne ricorrano i presupposti, a quella degli amministratori, prevista dall’art. 2395 c.c.» (Cass., 5 dicembre 2011, n. 25946). Anche in questi contesti, appare evidente il rilievo che – sul piano della valutazione della condotta, dolosa o colposa degli esponenti della società – può rivestire l’adozione di assetti organizzativi adeguati. 56 V. Cass., 23 ottobre 2014, n. 22573; Cass., S.U., 24 dicembre 2009, n. 27346. 57 V. supra, par. 2.4.

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derazioni risultano sconfessate dalla possibilità di ritardare la diffusione delle informazioni, stante la previsione di chiare condizioni a tale fine. In definitiva, sembra possibile osservare che dalla violazione delle regole che presiedono alla disclosure delle informazioni privilegiate, come ora consolidate nel Regolamento UE, possono discendere conseguenze plurime sul piano della responsabilità: in capo all’emittente, in capo agli organi sociali sul versante della responsabilità interna e, anche, là dove ne sussistano i presupposti, in applicazione dell’art. 2395 c.c., nonché dell’art. 2049 c.c. In tutti i vari contesti astrattamente ipotizzabili, la sussistenza di adeguati assetti organizzativi per la gestione e la diffusione delle informazioni privilegiate – secondo gli obblighi che derivano implicitamente dal MAR, ed espressamente dalla disciplina di diritto comune – ci sembra idonea ad assumere rilievo sia sul piano dei fondamenti della responsabilità, sia su quello di eventuali cause esimenti.

Filippo Annunziata Abstract Le modifiche apportate dal Regolamento (UE) 596/2014 alla disciplina degli abusi di mercato e, in particolare, alle regole che presiedono alla diffusione delle informazioni privilegiate da parte degli emittenti ne hanno accentuato, e per certi versi, il rilievo organizzativo. La gestione delle informazioni privilegiate da parte degli emittenti non assume, infatti, una valenza meramente esterna, volta a tutelare dell’efficienza dei mercati, ma presenta anche importanti ricadute interne sull’attività e sull’organizzazione d’impresa. Queste ultime sono da valutarsi alla luce del più ampio dovere degli amministratori di assicurare assetti organizzativi adeguati di cui, tra l’altro, agli artt. 2086 e 2381 c.c. Le presenti note intendono indagare il rapporto tra obblighi di disclosure delle informazioni privilegiate e organizzazione di impresa, avendo riguardo ai diversi momenti di contatto tra le due discipline, anche sotto il profilo della responsabilità dell’emittente e dei suoi esponenti.

*** The amendments made by Regulation (EU) 596/2014 to the Market Abuse Regime (“MAR”) have enhanced the impact of disclosure obligations on the internal organization of listed issuers. Disclosure of price-sensitive information does not only pursue the objective of ensuring market integrity and transparency, but also has important implications on how issuers must frame their own organization in order to comply with the disclosure requirements. These implications are to be assessed in light of the broader duty of directors to ensure adequate internal organizational of the company, pursuant to arts. 2381 and 2086 of the Civil Code. The aim of this paper is to investigate the relationship between disclosure

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obligations under MAR, and the general rules that govern the duty to provide the company with adequate internal organization, by focusing on the interconnection between common corporate law and MAR, including topics related to the liability of the issuer and of its directors.

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Agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi tra sistema e problema Sommario: 1. I problemi del decreto 141/2010 e la disciplina di agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi. – 2. Struttura e funzione del decreto 141. — 2.1. Lo statuto di agenti e mediatori e la disciplina generale della trasparenza bancaria. – 2.2. L’originaria normativa criminale sul riciclaggio e sull’usura. – 2.3. Evoluzione normativa e convergenza di contenuti e struttura. – 3. La disciplina di agenti e mediatori dopo il decreto 141. – 3.1. Sinossi degli istituti di cui agli artt. 128-quater ss. t.u.b.: l’agenzia in attività finanziaria e la mediazione creditizia. – 3.2. L’autonomia giuridica del consulente indipendente del credito. – 3.3. Ulteriori fattispecie. – 3.4. Tratti salienti delle discipline speciali: condizioni di esercizio dell’attività. – 3.5. Attività connesse e strumentali ed il problema della consulenza. – 3.6. Attività compatibili e incompatibili. – 3.7. Il sistema combinato di vigilanza e responsabilità. – 4. Disciplina professionale e disciplina del contratto tra t.u.b. e codice civile. – 4.1. Alcuni elementi delle fattispecie codicistiche: procacciamento, promozione, professionalità e stabilità. – 4.2. Indipendenza ed imparzialità negli artt. 1754 e 1746 c.c. – 4.3. Relazione tra codice e t.u.b.: ausiliarietà e modelli distributivi. – 5. Conclusioni.

1. I problemi del decreto 141/2010 e la disciplina di agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi. Il decreto legislativo 141/20101 ha concentrato parte della disciplina degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi2 nel titolo VIbis del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 3853, e nel farlo ha attirato le critiche

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D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, di attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi (d’ora innanzi “decreto 141”). Nel suo complesso, si tratta dell’intervento più ampio subito dalla disciplina bancaria interna sin dall’emanazione del testo unico (nt. 3). 2 D’ora in poi a questi soggetti, previsti dal nostro ordinamento rispettivamente agli articoli 128-quater e 128-quinquies del t.u.b., si potrà fare riferimento anche solo come “agenti” e “mediatori”, salve le opportune distinzioni da effettuare quando, al paragrafo 4, si studierà la disciplina codicistica. 3 Recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (t.u.b.).

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della maggior parte della dottrina. I più aspri vi hanno riscontrato «stranezze», «incongruenze», «bisticci» e «lapsus»4, giungendo ad affermare che sia stato «scritto coi piedi»5; altri si limitano ad osservare che il quadro normativo creato dal decreto 141 è «sfuocato» ed «incerto»6, causa «perplessità applicative»7 ed ultimamente crea un sistema normativo «molto difettoso»8. A ben vedere le obiezioni non sono solo di stile, ma possono estendersi anche alla struttura di queste disposizioni, tanto per la loro complessità d’insieme9 e per l’ampio uso del rinvio10 anche a normativa ancora da attuare11, quanto per la loro incompletezza. Infatti solo una parte della disciplina primaria fondamentale è reperibile nel titolo VI-bis del t.u.b.: congiuntamente ad essa si devono leggere le norme relitte reperibili nel decreto 141 che, pur non avendo natura transitoria, non trovano spazio nel corpo centrale della legislazione12. Valgono a confermare la scarsa qualità percepita del testo i reiterati interventi correttivi susseguitisi negli ultimi anni13, aventi talvolta l’esclu-

4 Belli e Corvese, Sub artt. 128-quater/128-quaterdecies, in Testo unico bancario. Commentario. Addenda di aggiornamento ai d.lgs. 141/2010 e 218/2010, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina e Santoro, Milano, 2011, p. 125. 5 Belli e Corvese, Sub artt. 128-quater/128-quaterdecies, cit., p. 126. 6 Martelloni, L’agenzia in attività finanziaria dopo la riforma apportata dal d.lgs. n. 169 del 19 settembre 2012, in Riv. trim. dir. econ., suppl. 3/2012, p. 4. 7 Capone, I contenuti della riserva di attività di agenzia in attività finanziaria e mediazione creditizia, Sub art. 128-quater–quaterdecies, in Commento al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, II, a cura di C. Costa, Torino, 2013, p. 1556. 8 Giudici, Promotori finanziari ed agenti in attività finanziaria. Spunti, in Società, banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, diretto da Campobasso, Cariello, V. Di Cataldo, Guerrera e Sciarrone Alibrandi, III, Torino, 2014, p. 2165. 9 Con particolare riferimento al raggruppamento per aree tematiche anziché per provvedimento inciso, De Cristofaro, La nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori e la riforma del t.u. bancario, in Contr., 2010, p. 1043 (che a p. 1045 riferisce di importanti problematiche pratiche che non sono state affrontate dal legislatore). 10 Si veda il rinvio generale ed acritico delle norme sulla trasparenza di cui al titolo VI t.u.b. ad opera dell’art. 128-decies, co. 1, primo periodo t.u.b., introdotto dall’art. 11 del decreto 141 discusso al paragrafo 2.1. 11 Pratica autorevolmente deplorata: Campobasso, Il pegno non possessorio. «Pegno» ma non troppo, in Nuove leggi civ., 2018, p. 704. 12 Ed in particolare gli artt. 12-29 del decreto 141. 13 Dei quattro provvedimenti che hanno inciso sulla disciplina applicabile ad agenti e mediatori successivamente al decreto 141, i primi due hanno avuto natura esplicitamente correttiva (cfr. nt. 14), mentre altri due apportano modifiche necessarie per il coordinamento con altre materie adiacenti oggetto di riforma (v. paragrafo 3).

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siva funzione di rettificare i refusi del testo14. Un’indicazione dello stesso segno giunge dalla frequente necessità di fare riferimento alle misure attuative di rango sub-legislativo, tramite le quali il legislatore ha demandato la fissazione di criteri e prescrizioni di dettaglio al ministro dell’economia e delle finanze, alla Banca d’Italia ed all’organismo preposto alla tenuta degli elenchi di agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi15. Bisogna però riconoscere la difficoltà insita nella collocazione sistematica del titolo VI-bis, stretto com’è tra la disciplina degli intermediari di cui al titolo V e le norme di trasparenza previste dal titolo VI16. Esso risente inoltre di una complessa e frequente interazione con il diritto dell’Unione europea17, toccando anche la regolamentazione di attività distinte, appartenenti a settori diversi del mercato finanziario quali il mobiliare e l’assicurativo18.

14 Si veda ad esempio l’art. 12, co. 1 del d.lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 (“decreto 218” v. infra in particolare nt. 74), che dispone la correzione della prima versione dell’art. 23, co. 3, lett. b), n. 7 del decreto 141. Quest’ultimo nella sua formulazione originale mancava di una preposizione, facendo riferimento ai «nominativi dei dipendenti e dei collaboratori di cui il mediatore creditizio si avvale svolgimento [sic] della propria attività» (corsivo aggiunto). L’art. 10, co. 2 del decreto 218 rettifica un errore di battitura, le doppie virgole di cui all’art. 19, co. 2 del decreto 141, secondo il quale «i componenti dell’Organismo, tra i quali è eletto il presidente, sono scelti, [sic] secondo le procedure definite dallo statuto». Ancora, si è resa necessaria la sistemazione del riferimento al t.u.f come “decreto legislativo 24 febbraio 19998 [sic], n. 58” (corsivo aggiunto) nell’art. 27, comma 1, lett. b) del decreto 141 ad opera dell’art. 14, comma 1 del decreto 218. Questi errori materiali, pur non potendo creare dubbi sul contenuto, rivelano che il testo finale del decreto 141 non è stato oggetto di un’attenta rilettura prima della sua approvazione, e suggeriscono all’interprete uno scrutinio più attento delle altre disposizioni che contiene. 15 Criticamente sull’eccessivo impiego della normativa secondaria per la soluzione dei problemi applicativi della disciplina A. Urbani, Disciplina antiriciclaggio e ordinamento del credito, Padova, 2005, pp. 216 ss. 16 Si pensi, nel primo caso, al corpo della disciplina prevista per gli intermediari mandanti degli agenti (artt. 106 ss.), nonché in particolare per i confidi (art. 112 ss.), e nel secondo a quella applicabile agli intermediari del credito di cui al capo I-bis del titolo V (che costituiscono una categoria aperta nella quale confluiscono espressamente tanto gli agenti in attività finanziaria quanto i mediatori creditizi). È questa situazione che ha portato alla pur criticabile scelta del rinvio secco con clausola di compatibilità di cui all’art. 128-decies, co., primo periodo I, t.u.b. (cfr. nt. 10 e paragrafo 2.1). 17 Come sì vedrà nel prosieguo, si tratta delle direttive sulla trasparenza bancaria, sui servizi di pagamento, sul credito al consumo e sui mutui immobiliari. 18 A questo riguardo si veda la discussione del regime delle incompatibilità affrontata al paragrafo 3.6.

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Dopo avere ricostruito l’ambiente normativo in cui operano agenti e mediatori ed individuato i suoi capisaldi, questo saggio si propone di verificarne l’ambito di autonomia e definire le sue relazioni con la disciplina della trasparenza bancaria e quella prevista dal codice civile per agenzia e mediazione. Una lettura corretta del complesso apparato prescrittivo in esame consentirà di individuare nel sistema principi interpretativi che ne facilitino la comprensione e l’applicazione, valorizzando la distinzione tra diverse tipologie di canali distributivi presenti nella realtà degli affari. Il secondo paragrafo esamina la struttura del titolo VI-bis t.u.b. come introdotto dal decreto 141, alla luce della sua collocazione e dell’evoluzione delle fattispecie che disciplina; isolando le diverse aree tematiche che lo compongono, evidenzia come in esso interagiscano due anime distinte delle quali si deve tenere conto nell’interpretazione delle norme. Il terzo paragrafo isola i tratti caratteristici degli istituti ai quali gli artt. 128-quater ss. t.u.b. si riferiscono, esaminando il contenuto della loro disciplina ed evidenziandone principi ispiratori, tratti comuni e differenze. Il quarto paragrafo attinge alla teoria generale dei rapporti di agenzia e mediazione come impostati dal codice civile per verificare continuità e discontinuità con la normativa speciale, rivalutandone l’importanza per delineare i caratteri delle modalità di distribuzione. Il quinto paragrafo conclude.

2. Struttura e funzione del decreto 141. Il decreto 141 si compone di sei titoli, e, osservandolo nel suo insieme, rivela due distinte aree tematiche. La prima fornisce l’occasio legis, ossia il recepimento della direttiva in materia di credito al consumo e la risistemazione delle materie adiacenti, come previsto dai primi tre titoli: il primo sull’attuazione delle norme previste dalla direttiva 2008/48/CE19, che introduce il capo II del titolo VI del t.u.b. in materia di credito ai consumatori (art. 121 ss.)20; il secondo

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Direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 relativa ai contratti di credito ai consumatori, che abroga la direttiva 87/102/CE, su cui in generale Aa.Vv., La nuova disciplina europea del credito al consumo. La direttiva 2008/48/Ce relativa ai contratti di credito dei consumatori e il diritto italiano, a cura di De Cristofaro, Torino, 2009. 20 Che include, oltre alla definizione dei soggetti e dei contratti ai quali è applicabile (artt. 122 e 123 t.u.b.), la disciplina di protezione del cliente prevista dalla direttiva sui contratti di credito ai consumatori, in materia di pubblicità, di condotta precontrattuale,

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sul coordinamento del titolo VI del t.u.b., ed in particolare del suo capo I, applicabile alla generalità delle operazioni e servizi bancari e finanziari (artt. 115 ss.)21 e il terzo che revisiona il titolo V del t.u.b., dedicato ai soggetti abilitati (artt. 106 ss.)22. La stessa osservazione vale per il titolo quinto-bis, aggiunto successivamente dal d.lgs. 11 aprile 2011 n. 64, che mira alla prevenzione delle frodi nel credito al consumo. La seconda direttrice del decreto 141 è racchiusa nel suo quinto titolo, che preleva le disposizioni particolari dedicate ad agenti e mediatori creditizi sparse per l’ordinamento italiano, modificandole per integrarle nel corpo del t.u.b. Si tratta di una normativa impostata per soggetti, che fornisce una disciplina dettagliata della attività che svolgono. Quest’ultima operazione di sistemazione non era imposta dalla disciplina europea23, ma è frutto dell’iniziativa della legge delega24, e da ciò discende l’autonomia regolamentare di cui il nostro legislatore ha goduto per ridisegnare la materia.

di verifica del merito di credito, delle condizioni del recesso per il cliente, dell’inadempimento dell’intermediario, del rimborso delle somme versate e dello sconfinamento (artt. da 124 a 125-octies t.u.b.). Esso contiene inoltre una disposizione che si applica agli intermediari del credito (sui quali infra, paragrafo 2.1, e nt. 28 per la definizione), ossia l’articolo 125-novies t.u.b., che reca l’attuazione dell’art. 21 della direttiva 2008/48/CE e prevede obblighi di trasparenza in merito ai loro poteri di rappresentanza, alla natura esclusiva o meno dell’incarico e del compenso percepito. 21 Meno, ovviamente, ai contratti di credito previsti dai titoli I-bis, II e II-bis, secondo quanto disposto dall’art. 115, co. 3 t.u.b.; il capo I del titolo V contiene norme sulla pubblicità, sui contratti, su affidamenti e sconfinamenti, su modifiche contrattuali unilaterali e comunicazioni alla clientela, recesso, estinzione anticipata e portabilità (artt. da 115 a 120-quater t.u.b.) discusse, per quanto necessario, al paragrafo 2.1. 22 Recante la disciplina degli intermediari finanziari iscritti all’albo ex art. 106 t.u.b. 23 Lo si ricava chiaramente dai considerando 3, 4 e 9 della direttiva 2008/48/CE; in particolare l’ultimo di questi, prendendo atto delle significative differenze normative tra Stati membri nella trasposizione e nell’attuazione delle materie coperte dalla direttiva 87/102/CE (del Consiglio del 22 dicembre 1986 relativa al riavvicinamento delle disposizioni normative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo) stabiliva che il divieto di introdurre norme nazionali diverse o più stringenti di quelle richieste dalla direttiva «dovrebbe essere applicat[o] soltanto dalle materie armonizzate dalla […] direttiva. Laddove tali disposizioni armonizzate mancassero, ossia nelle aree non armonizzate quali l’agenzia e la mediazione], gli Stati membri dovrebbero rimanere liberi di mantenere o introdurre norme nazionali». 24 La l. 7 luglio 2008, n. 88, legge comunitaria 2008, prevedeva all’art. 33, co. 1, lett. e) di «rivedere la disciplina dei mediatori creditizi di cui alla legge 7 marzo 1996, n. 108 e la disciplina degli agenti in attività finanziaria di cui al decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374, introducendola nel testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993».

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2.1. Lo statuto di agenti e mediatori e la disciplina generale della trasparenza bancaria. A ben vedere, tuttavia, l’indipendenza dell’ordinamento italiano nell’impostare la disciplina di agenti e mediatori conosce delle limitazioni, imposte dalle norme sulla trasparenza a cui è saldamente ancorata. È opportuno pertanto iniziare l’indagine analizzando le caratteristiche di questa connessione. Un primo appiglio positivo si ritrova nell’art. 128-decies, co. 1 t.u.b., che dall’interno del titolo VI-bis t.u.b. rende applicabile ad agenti e mediatori il complesso di disposizioni dedicate alla trasparenza e racchiuse nel titolo VI. t.u.b. «in quanto compatibili». Si tratta di un richiamo generale, che non tiene conto delle distinzioni interne al titolo VI e che richiede una valutazione specifica da parte dell’interprete. Il secondo elemento che mette in luce la profonda connessione tra disciplina di agenti e mediatori e quella generalmente prevista in materia di trasparenza proviene invece dall’interno del titolo VI, e riguarda l’inclusione dei soggetti in parola nella categoria degli «intermediari del credito». La nozione trova la sua radice nel sedicesimo considerando della direttiva 2008/47/CE, dove è previsto che «talune disposizioni [della direttiva in materia di credito al consumo] dovrebbero essere applicate anche alle persone fisiche o giuridiche (intermediari del credito) che, nell’ambito della loro attività commerciale o professionale, dietro versamento di un compenso presentano o propongono contratti di credito ai consumatori, assistono i consumatori esercitando attività preparatorie alla conclusione di contratti di credito oppure concludono contratti di credito con i consumatori a nome del creditore»; il loro contenuto viene normativamente esplicitato dall’art. 3, paragrafo 1, lett. f) della direttiva. Tale riferimento, concordemente con quanto previsto da altre disposizioni contenute nella successiva normativa europea25, avverte che la parte della normativa sulla trasparenza specialmente prevista per il credito ai consumatori26 sarà applicabile direttamente anche ad agenti e

25 La disposizione sarà in gran parte ripresa dall’art. 4, paragrafo 1, n. 5 dalla successiva direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 febbraio 2014 in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifiche alle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del Regolamento UE n. 1093/2010; quest’ultima materia era stata espressamente esclusa dallo spettro d’azione della direttiva 2008/48/CE (e si veda, in questo senso, il quattordicesimo considerando). 26 Si fa riferimento in particolare gli obblighi imposti agli intermediari del credito

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mediatori operanti secondo il diritto nazionale, e quindi non solamente alle banche e agli intermediari finanziari27. I referenti interni di questa norma si trovano oggi sparsi nella disciplina della trasparenza: l’art. 121, co. 1, lett. h) del t.u.b.28 include infatti esplicitamente agenti e mediatori nella nozione di intermediari del credito ai fini della disciplina prevista dall’art. 125-novies per il credito al consumo29; il concetto è definito tramite identica formulazione30 dall’art. 120-quinquies t.u.b., che attrae i medesimi alla più recente31 disciplina del capo I-bis sul credito immobiliare ai consumatori. Questo secondo collegamento risulta più chiaro se lo si inquadra nel contesto del titolo VI che, come si è anticipato, preferisce operare ratione materiae piuttosto che per soggetto, ed è tripartita: contiene una disciplina generale e due statuti speciali. Nei suoi primi tre capi le norme di trasparenza sono graduate a seconda del tipo di «contratto di credito» stipulato32, in base ad una nozione definita diversamente a seconda del

dall’art. 21 della direttiva 2008/48/CE, che riguardano l’informazione sul numero e la qualità degli intermediari rappresentati, sui poteri di rappresentanza da essi conferiti nonché le modalità di remunerazione e l’eventuale indipendenza dell’intermediario del credito. 27 Secondo quanto previsto dalla disciplina italiana all’art. 115, co. 1 t.u.b. 28 Che identifica come intermediari del credito «gli agenti in attività finanziaria, i mediatori creditizi o qualsiasi altro soggetto, diverso dal finanziatore, che nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale svolge, a fronte di un compenso in denaro o di altro vantaggio economico oggetto di pattuizione e nel rispetto delle riserve di attività previste dalla legislazione vigente, almeno una delle seguenti attività: (1) presentazione o proposta di contratti di credito ovvero altre attività preparatorie in vista della conclusione di tali contratti; (2) conclusione di contratti di credito per conto del finanziatore». 29 La disposizione ricalca gli obblighi previsti dall’art. 21 della direttiva 2008/48/CE di cui a nt. 26. 30 Cambia, ovviamente, il contenuto dell’altra definizione, pure inclusa nella fattispecie esaminata, ossia quella di contratto di credito, su cui infra nt. 32. 31 Dall’art. 1, co. 2 del d.lgs. 21 aprile 2016, n. 62. La disciplina prevista per gli intermediari del credito nel capo I-bis del titolo V t.u.b. riprende quella già contenuta nel capo II, ma in maniera più analitica: vi si legge ad esempio il riferimento esplicito al prospetto informativo europeo standardizzato (art. 120-decies, co. 1, lett. g) t.u.b.) ed al calcolo del TAEG (art. 120-decies, co. 3, t.u.b.); ciò avviene a motivo della particolare sensibilità della materia trattata e della generale tendenza all’estensione delle norme di comportamento previste per gli intermediari abilitati anche agli intermediari del credito (in questo senso si può leggere il capo III della direttiva 2014/17/UE, i cui riferimenti si trovano a nt. 25). 32 Tre sono i livelli di applicabilità delle norme del titolo VI dal punto di vista oggettivo: nel capo I, il disposto dell’art. 115, co. 1 t.u.b. riferisce la disciplina della trasparenza alle «attività svolte nel territorio della Repubblica dalle Banche e dagli intermediari finanziari»; nel capo I-bis, invece, la delimitazione si ritrova nella nozione di

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capo nel quale è impiegata33. La normativa è congegnata in modo che il ricorrere dei requisiti per l’applicazione dei capi I-bis (rubricato «credito immobiliare ai consumatori») e II (in materia di «credito ai consumatori») escluda quella generale contenuta nel capo I («operazioni e servizi bancari e finanziari»), secondo quanto previsto dall’art. 115, co. 3 t.u.b. Tale esclusione, tuttavia, non ha natura tassativa, ma è suscettibile di eccezioni qualora le norme del capo I «siano espressamente richiamate». La macchinosa, duplice connessione normativa che si è individuata e che si è tentato di chiarire ha importanti ricadute ermeneutiche. Infatti, qualora l’interprete desideri verificare se una norma in materia di trasparenza bancaria sia applicabile ad agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi, dovrà lasciare da parte momentaneamente le caratteristiche del soggetto per concentrarsi sull’oggetto della sua attività. Innanzitutto, sarà necessario determinare se il contratto di credito oggetto dell’attività dell’agente34 presenti o meno le caratteristiche richieste per l’applicazione di uno dei primi tre capi del titolo sesto. Qualora questa verifica abbia esito positivo procederà ad individuare il novero delle norme applicabili ratione materiae, ed in particolare l’eventuale combinazione tra disposizioni contenute nei capi I-bis o II e quelle previste dal capo I in quanto richiamate35. Dovrà quindi, in ultimo luogo, vagliare la compatibilità delle norme così individuate con l’intera disciplina prevista dal titolo VI-bis36, e solo successivamente potrà confermarne l’applicabilità.

«contratto di credito», che secondo l’art. 120-quinquies, co. 1, lett. c) include i contratti aventi ad oggetto a vario titolo beni immobili, delimitando l’applicabilità della disciplina ad essi relativa in base all’art. 120-sexies, co. 1 t.u.b.; al capo II, infine, la definizione è simile alla precedente in quanto sempre si avvale di una nozione di “contratto di credito” – questa volta ex art. 121, co. 1, lett. c) – che pur essendo sempre centrale per delimitazione dell’ambito di applicabilità delle norme del capo, secondo quanto previsto dall’art. 122, co. 1, è qui ben più ampia, in quanto non limitata a contratti aventi ad oggetto beni immobili. È così dimostrato che la specificità dell’ambito di applicazione delle norme di trasparenza aumenta, risultando massima nel capo I, più ristretta nel capo II e ridottissima nel capo I-bis. Sul rapporto tra questi tre ambiti si veda il prosieguo del testo. 33 Si tratta di una pratica poco commendevole, poiché l’attribuzione di definizioni diverse alla stessa formula in funzione del contesto in cui viene usata crea confusione (il riferimento è sempre agli artt. 120-quinquies, co. 1, lett. c) e 121, co. 1, lett. c) t.u.b.). 34 Tra quelle che possono esercitare, in base agli artt. 128-quater, co. 1 e 128-sexies, co 1 t.u.b., sui quali più oltre al paragrafo 3.1. 35 In base al già ricordato art. 115, co. 3 t.u.b. 36 Secondo quanto previsto dall’art. 128-decies, co. 1, primo periodo, richiamato supra.

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Si deve inoltre riconoscere che la relazione che il legislatore ha instaurato tra i diversi titoli del t.u.b., pur complicata dalla loro disomogeneità strutturale e dalle discrepanze riscontrate tra i rispettivi criteri applicativi, ha avuto non solo l’effetto di avvincere la disciplina per soggetto (del titolo VI-bis) a quella per oggetto (del titolo VI), ma anche di approssimare, per mezzo delle norme applicabili, due categorie di soggetti altrimenti lontane, ossia quelli abilitati all’esercizio delle attività bancarie e finanziarie ex art. 106 t.u.b. e quelli che svolgono attività di supporto37. Questo avvicinamento all’insegna della trasparenza invita ad un coordinamento tra i principî che governano i due diversi ambiti. Un simile coordinamento, tuttavia, non è semplice, non solo per le differenze viste, ma anche poiché, riguardato dall’interno, il titolo VI-bis t.u.b. regola fattispecie disomogenee. Le origini della normativa sugli agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi sono diverse e distanti tanto tra loro quanto dalle attigue disposizioni del t.u.b., e ciò rende necessario studiarne separatamente criteri ispiratori, struttura e contenuti. 2.2. L’originaria normativa criminale sul riciclaggio e sull’usura. La disciplina della mediazione creditizia proviene da quella sull’usura, mentre l’agenzia in attività finanziaria nasce dal decreto per la prevenzione del riciclaggio. Vanno esaminate in ordine. L’art. 16 della l. 7 marzo 1996, n. 108 sull’usura38 delineava, unitamente al d.p.r. 28 luglio 2000, n. 28739, la disciplina applicabile ai mediatori cre-

37 Ossia, per i mediatori creditizi, gli intermediari finanziari ex art. 106 t.u.b. e le banche (secondo quanto previsto dall’art. 128-sexies) oltreché gli istituti di pagamento e di moneta elettronica e le Poste Italiane per gli agenti in attività finanziaria (ex art. 128-quater). 38 Disposizioni in materia di usura, che sostituisce l’originale disciplina esclusivamente penalistica prevista dagli artt. 644 e 644-bis c.p. aggiungendo ad una riformata fattispecie criminosa (confluita nel nuovo art. 644 c.p. ex art. 1) anche alcune misure di diritto privato (ad esempio il nuovo secondo comma dell’art. 1815 c.c. ex art. 4) e di diritto bancario (tra cui, appunto, la disciplina sui mediatori creditizi ex art. 16): un simile approccio “integrato” (Bonora, La nuova legge sull’usura, Padova, 1998, p. 31) consentiva di avvicinare il rimedio criminale ex post ai controlli ex ante già previsti per i mercati finanziari (in generale v. Navazio, Usura. La repressione penale introdotta dalla legge 7 marzo 1996, n. 108, Torino, 1998, passim). Tali controlli, tuttavia, avendo come referenti i soggetti abilitati in via primaria all’esercizio di attività bancaria e finanziaria ai sensi del t.u.b., rischiavano di lasciare al di fuori del perimetro di protezione gli ausiliari che operano mettendo in contatto finanziatore e cliente. 39 D.p.r. 28 luglio 2000, n. 287, recante il regolamento di attuazione dell’art. [1]6 della l. 7 marzo 1996, n. 108.

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ditizi, la cui ratio si inseriva nelle linee portanti dell’impianto normativo del settore: arginare un fenomeno dannoso per il sistema del credito40 garantendo l’affidabilità dei preposti all’attività di mediazione o consulenza nella concessione di finanziamenti da parte di banche ed intermediari finanziari41, secondo quanto previsto dalla tradizionale fattispecie di mediazione usuraria 42 per proteggere tanto il cliente quanto il mercato. Tale disciplina presentava già una struttura alquanto articolata: abbozzava innanzitutto il perimetro dell’attività definendone l’oggetto43, completandolo poi tramite le disposizioni secondarie44; escludeva però dal novero dei soggetti vincolati dalla disciplina tanto le banche, i promotori finanziari e le imprese di assicurazione45 quanto i professionisti ed i fornitori di beni e servizi46. Sottoponeva poi la mediazione a riserva, e ne subordinava lo svolgimento all’iscrizione in un nuovo albo appositamente istituito presso l’allora ministero del tesoro47. Tale iscrizione era

40 Il frequente ricorso alla normativa secondaria ha sollevato problemi di costituzionalità, sui quali Manna, La nuova legge sull’usura, Torino, 1997, e, più recentemente, Marcelli, Usura bancaria ad un ventennio dalla legge: un impietoso bilancio, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, suppl. 4 (particolarmente in senso critico su di una recente giurisprudenza). 41 In questo senso Navazio, Usura, cit., p. 19. 42 Di cui all’art. 644, co. 2 c.p., che prevede una forma autonoma del delitto di usura, c.d. usura indiretta o mediazione usuraria, qualora un compenso usurario sia oggetto della mediazione: cfr. De Angelis, Usura, in Enc. giur., XXXII.1, Roma, 1994, p. 5. 43 È l’art. 16, co. 1 a fare generico riferimento all’«attività di mediazione e consulenza nella concessione di finanziamenti da parte di banche o intermediari finanziari»: nozione meno analitica di quella oggi specificata al primo comma dell’art. 128-sexies t.u.b., sulla quale si veda il paragrafo 3.1. 44 Ai sensi del comma 2, primo periodo dell’art. 16, è il d.p.r. 287/2000 a stabilire che «è mediatore creditizio […] colui che professionalmente, anche se non a titolo esclusivo, ovvero abitualmente mette in relazione, anche attraverso attività di consulenza, banche o intermediari finanziari determinati con la potenziale clientela a fine della concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma». Gli elementi portanti di questa nozione, ossia la professionalità, la non esclusività, l’abitualità, e la messa in relazione di due categorie (aperte e chiuse) di soggetti fornisce l’ossatura della moderna nozione di mediazione creditizia, discussa al paragrafo 3.1. 45 Art. 16, co. 8 l. 108/1996, e sulla relazione tra la figura dell’agente in attività finanziaria e quella del promotore finanziaria nel vigore della precedente disciplina si veda già Santoro, Introduzione, in Le società finanziarie, a cura di Santoro, Milano, 2000, p. 20. 46 Art. 2, co. 3 d.p.r. 287/2000. 47 Artt. 3-5 del d.p.r. 287/2000; ciò avviene nonostante fosse già richiesta, per la generalità dei mediatori, l’iscrizione nei ruoli previsti dall’art. 21 della legge 20 marzo 1913, n. 272, e dalle norme sull’ordinamento delle Camere di commercio, industria e agricoltura, ai sensi della l. 21 marzo 1958, n. 253, recante la disciplina della professione di mediatore.

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condizionata al rispetto dei requisiti di onorabilità previsti dal vecchio art. 109 t.u.b. per gli esponenti aziendali degli intermediari48, mentre quanto alla professionalità era richiesta esplicitamente solo la licenza di scuola media superiore49; era inoltre disposta la cancellazione in caso di perdita dei requisiti di onorabilità o di gravi violazioni degli obblighi di trasparenza50, erano comminate sanzioni penali in caso di abusivismo51 sotto la vigilanza dell’Ufficio Italiano dei Cambi (u.i.c.)52. Per quanto riguarda la compatibilità con altre attività, la legge 108 prevedeva una grande apertura, stabilendo che «l’attività di mediazione è compatibile con lo svolgimento di altre attività professionali» senza alcuna ulteriore specificazione53. Concludeva poi con un duplice collegamento alla disciplina allora vigente in materia di riciclaggio54. Pare che tali disposizioni abbiano impostato un modello normativo di riferimento anche per la disciplina degli agenti in attività finanziaria; lo dimostra la lettura del successivo d.lgs. 25 settembre 1999, n. 37455, che deve essere effettuata unitamente al decreto del ministro dell’economia e

48 L’applicabilità del vecchio art. 109 t.u.b. era espressamente prevista dall’art. 4, co. 1, lett. c) del d.p.r. 287/2000: i requisiti dovevano essere posseduti anche dai soci che esercitano il controllo e da chi svolge funzioni di amministrazione e controllo se il mediatore è una persona giuridica (secondo quanto previsto dall’art. 16, co. 3 della legge 108/1996); in tal caso, in base all’art. 3, co. 2 del d.p.r. 387/2000, l’ente che intenda esercitare l’attività di mediazione deve avvalersi di persone fisiche iscritte all’albo. In tema si veda il nuovo art. 128-septies, co. 1, lett. a) t.u.b., di cui al paragrafo 3.4. 49 In luogo dell’esame previsto dalla disciplina riformata (v. paragrafo 3.4). 50 Art. 16, co. 2, secondo periodo della l. 108/1996, ed era disposta dal ministero del tesoro secondo quanto previsto dall’art. 6, co. 1 del d.p.r. 287/2000. 51 Art. 16, co. 7 e 9 della l. 108/1996. 52 Art. 16, co. 1 della l. 108/1996. Il regime delle nomine previsto dalla disciplina vigente all’entrata in vigore della l. 108/1996 conferiva all’u.i.c. un forte legame con il ministero; ciò diversamente da quanto avverrà poi a seguito all’introduzione nel nostro ordinamento delle regole del sistema europeo di banche centrali (attuato ad opera del d.lgs. 26 agosto 1998, n. 319), volto garantire l’indipendenza dei suoi membri; sulla medesima linea, poi, si svilupperà l’organismo indipendente di diritto privato che sarà previsto dal nuovo regime introdotto dal decreto 141 (su cui al paragrafo 3.7). Sull’importanza e sulla difficoltà di distinguere organi politici ed amministrativi ai fini della vigilanza sul settore dei servizi bancari si veda Costi, L’ordinamento bancario4, Bologna, 2007, pp. 96-98 e 166-169. 53 Art. 16, co. 5 della l. 108/1996. 54 L’art. 16, co. 4 della l. 108/1996 (che sancisce l’applicabilità della disciplina antiriciclaggio) nonché l’art. 7 del d.p.r. 287/2000. 55 Recante l’estensione delle disposizioni in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita ed attività finanziarie particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio, a norma dell’articolo 15 della legge 6 febbraio 1996, n. 52.

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delle finanze del 13 dicembre 2001, n. 48556. Questa disciplina si proponeva di prevenire il riciclaggio di danaro proveniente da attività illecite tramite il sistema finanziario: allo scopo di tutelare l’ordine pubblico nel sistema economico57, essa applicava i principi generali di identificazione e registrazione dei soggetti coinvolti, ed estendeva i criteri di trasparenza e responsabilità della disciplina antiriciclaggio a cui già erano sottoposte le banche anche agli altri soggetti nel mercato58. Le regole sull’agenzia, pur con le modifiche di contenuto necessarie per servire il diverso paradigma negoziale di riferimento59, mantenevano sostanzialmente la medesima struttura. Dopo la definizione della fattispecie di agenzia in attività finanziaria, effettuata di concerto con la disciplina secondaria60 e la sottoposizione a riserva61, erano previsti alcuni requisiti di iscrizione62 che consideravano anche l’onorabilità e la professionalità dei soggetti di riferimento63, i criteri di permanenza64 e i motivi di cancellazione e sospensione cautelare dall’albo65, le sanzioni

56 Recante il regolamento in materia di agenzia in attività finanziaria ex art. 3 d.lgs. 25 settembre 1999, n. 374. 57 Flick, Riciclaggio, in Enc. giur., XXVII.1, Roma, 1991, pp. 2 s. 58 Percepiti come più sfuggenti e difficili da disciplinare: si veda Urbani, (nt. 15), pp. 214 s. 59 Discusso al paragrafo 4.3. 60 Come risulta dall’art. 2, co. 1 del decreto del ministro dell’economia e delle finanze del 13 dicembre 2001, n. 485, richiamato dal combinato disposto degli artt. 3, comma 1 e 1, co. 1, lett. n) del d.lgs. 374/1999, esercita l’agenzia in attività finanziaria chi viene «stabilmente incaricato da uno o più intermediari finanziari di promuovere e concludere contratti riconducibili all’esercizio delle attività finanziarie previste dall’art. 106, comma 1, del testo unico bancario, senza disporre di autonomia nella fissazione dei prezzi e delle altre condizioni contrattuali». 61 Art. 3, co. 1 d.lgs. 374/1999 ed art. 3, co. 1 del d.m.e.f. 485/2001. 62 Questa volta previsti nel dettaglio dalla disciplina primaria: art. 3, co. 3 del d.lgs. 374/1999; la procedura dell’iscrizione è determinata in autonomia dall’u.i.c. secondo quanto previsto dall’art. 3, co. 7 d.lgs. 374/1999. 63 Per i mediatori, quanto all’onorabilità, si tratta dei requisiti ex 109 t.u.b. vecchia formulazione, nonché dal 108 t.u.b. per gli esponenti aziendali e chi detiene il controllo di persone giuridiche, secondo quanto previsto dall’art. 3, co. 3, lett. a), n. 4 e dall’art. 3, co. 3, lett. b) n. 2 del d.m.e.f. 485/2001. Quanto alla professionalità, invece, l’art. 3, co. 3, lett. a), n. 3 del d.m.e.f. 485/2001 richiedeva la licenza di scuola media superiore. 64 Tra cui l’esercizio continuato della professione previsto dall’art. 3, co. 4 del d.m.e.f. 374/1999. 65 Sempre disposta dal ministro competente, come previsto prima dall’art. 3, co. 8 del d.lgs. 374/1999 e poi dall’art. 6 del d.m.e.f. 485/2001.

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penali per l’abusivismo66, le competenze di vigilanza dell’u.i.c.67. Non mancava inoltre la regola di compatibilità, invero più articolata e stringente di quella prevista per i mediatori creditizi68, ed alcune esclusioni69. 2.3. Evoluzione normativa e convergenza di contenuti e struttura. Dall’esame delle discipline previgenti risulta in primo luogo che esse si rifanno a principi ispiratori diversi, perché l’esigenza di regolamentazione che le motiva trova il proprio radicamento in distinte fattispecie delittuose70; entrambe, tuttavia, condividono una finalità pubblicistica, orientata alla tutela del mercato dei capitali e di chi vi opera. Tale scopo comune ha motivato il legislatore a produrle per gemmazione dal corpus della disciplina criminale, giustificando così una normativa privatistica distinta da quella codicistica, il cui orientamento al mercato dei capitali conduce alla protezione indiretta anche del singolo soggetto che vi partecipa. Lo strumento per costruire e consolidare questo forte collegamento tra tutela di interessi privati e pubblici è l’insieme di norme che impongono la registrazione e la pubblicazione di informazioni su soggetti ed operazioni al fine di contrastare l’attività illecita, ossia la disciplina di

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Art. 7, co. 1 del d.m.e.f. 485/2001. Che già poteva avvalersi della Guardia di finanza secondo quanto previsto dall’art. 3, co. 6 del d.lgs. 374/1999. 68 Si tratta innanzitutto dell’art. 6, comma 1 del d.m.e.f. 485/2001 che prevedeva che gli agenti potessero esercitare, oltre alla loro attività primaria, solo quelle «strumentali» in quanto aventi «rilievo esclusivamente ausiliario a quella di agenzia» o «connesse», ossia quelle «accessori[e] che consenta[no] di sviluppare l’attività di agenzia» (per l’esame della disciplina vigente si veda il paragrafo 3.5). Vi era poi l’art. 6, co. 2 del medesimo decreto, che rendeva compatibile con l’agenzia in attività finanziaria l’esercizio della promozione dei «contratti stipulati da banche nell’esercizio delle attività indicate nell’art. 106, comma 1, del testo unico bancario» nonché «altre attività professionali» l’esercizio delle quali richieda la previa iscrizione in albi od elenchi (ibidem). Entrambe queste esclusioni non si applicavano agli agenti in servizi di pagamento, ossia, secondo la definizione di allora, gli agenti iscritti all’albo che «esercitano esclusivamente il servizio di pagamento consistente nel trasferimento di fondi attraverso la raccolta e la consegna delle disponibilità da trasferire» (fattispecie la cui autonomia è discussa al paragrafo 3.3). 69 Di cui all’art. 2, co. 2 del d.m.e.f. 485/2001, che, alle lett. a) e b) esclude dal perimetro della fattispecie tanto la distribuzione di carte di pagamento quanto la promozione e la conclusione di contratti di finanziamento da parte di fornitori di beni e servizi «unicamente per l’acquisto di propri beni e servizi sulla base di apposite convenzioni stipulate con intermediari finanziari». 70 Oggi previste dagli artt. 644 e 648-bis c.p. 67

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trasparenza, di controllo e di responsabilità. Essa dunque si ritrova non solo nel titolo VI, come già si è visto, ma anche alle radici della disciplina che riguarda direttamente agenti e mediatori; costituisce infatti il lato preventivo della tutela penale che opera ex post e può agire d’anticipo sulla condotta criminosa, aumentandone la funzione deterrente. Il percorso che ha condotto dalle singole fattispecie delittuose all’odierna disciplina professionale dimostra pertanto un comune orientamento sia in punto di principio, cioè la tutela strumentale degli interessi privati per un interesse pubblico, sia per quanto riguarda i mezzi, mediante le norme di registrazione e disclosure che rafforzano la connessione già evidenziata in materia contrattuale nel paragrafo precedente. Questa analisi porta a concludere che la disciplina della trasparenza, pur condivisa con altri istituti, è parte integrante dello statuto disciplinare di agenti e mediatori, sia oggi, per le connessioni viste nel paragrafo precedente, sia nella disciplina previgente. In secondo luogo, quanto alla struttura della regolamentazione, si può notare come il primo legislatore già impostasse un nucleo normativo comune per mediazione ed agenzia71. Dopo avere identificato l’attività tracciando il perimetro della fattispecie, la disciplina imponeva barriere all’ingresso, condizioni di permanenza, di compatibilità, di esercizio, il tutto tutelato da un apparato di vigilanza con poteri sanzionatori. La struttura che così si delinea si presenta come una disciplina di categoria avente caratteri corporativi. Tale “disciplina corporativa” costituisce un esempio di regolamentazione di soggetti che meritano un’attenzione giuridica speciale in ragione dell’attività svolta, fondando in questo modo la distinzione tra normativa per soggetti e per attività già notata ed impiegata nel paragrafo precedente. Si deve dunque rilevare, nonostante l’originaria distanza di collocazione dei due statuti, una duplice convergenza. Essa opera sia sotto il profilo del contenuto, in quanto riferita alla protezione dell’interesse pubblico ed alle regole di trasparenza, sia sotto quello della struttura della normativa, che presenta tratti corporativi di rilevante omogeneità tanto per quanto riguarda il merito dell’attività quanto per la vigilanza. Si inizia così ad intuire la differenza di impostazione tra la disciplina di agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi e quella generalmente prevista dal codice civile.

71 Ad eccezione del diverso riparto tra le materie oggetto di disciplina primaria e quelle demandate alle fonti secondarie.

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È ora il momento di considerare i punti di continuità e discontinuità tra le due fattispecie speciali di agenzia e mediazione72 che emergono dall’esame della disciplina vigente.

3. La disciplina di agenti e mediatori dopo il decreto 141. La normativa oggi applicabile ad agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi costituisce il risultato di un complesso collage normativo. I suoi principali elementi si trovano negli artt. 128-quater ss. t.u.b., altri nel decreto 14173, ed il loro esame consentirà di portarne in luce struttura e contenuto precettivo, verificando il senso dell’evoluzione delle norme e dei principi che le ispirano. Bisogna subito notare, però, che il legislatore è intervenuto più volte su parti importanti di queste disposizioni, secondo una variegata sequenza. Vi sono innanzitutto due correttivi, un primo ad opera del d.lgs. 14 dicembre 2010, n. 21874 ed un secondo, messo in atto tramite il d.lgs. 19 settembre 2012, n. 169 75; sono poi seguiti gli interventi di coordinamento necessari per consentire l’attuazione nell’ordinamento italiano della direttiva sui mutui immobiliari ad opera del d.lgs. 21 aprile 2016, n. 7276 e della nuova disciplina europea in materia di riciclaggio, attuata tramite il d.lgs. 24 maggio 2017, n. 9077. La normativa primaria è stata

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Viste alle nt. 44 e 60. Si veda il testo corrispondente a nt. 16 ed il paragrafo 2.1. 74 Che contiene «integrazioni al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, recante attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo IV del testo unico bancario (decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi». 75 Ossia «ulteriori modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, recante attuazione della direttiva 2008/48/CE, relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo V del testo unico bancario in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi». 76 Recante l’«attuazione della direttiva 2014/17/UE, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali nonché modifiche e integrazioni del titolo VI-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sulla disciplina degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi e del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141». 77 Che ha ad oggetto l’«attuazione della direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività 73

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integrata infine da una serie di disposizioni secondarie introdotte dal ministero dell’economia e delle finanze sia tramite decreto, in materia di agenti che svolgono solo servizi di pagamento78 e di organizzazione dei mediatori creditizi79, sia tramite interventi interpretativi puntuali80. Ci si deve concentrare dapprima sulle disposizioni del titolo VI-bis t.u.b. Ve ne sono alcune specialmente previste per l’agenzia in attività finanziaria81 o la mediazione creditizia82, mentre altre sono applicabili ad entrambe83. Ai fini che qui interessano è preferibile considerare il diverso ambito di applicazione principalmente in funzione dei contenuti delle disposizioni piuttosto che della loro collocazione topografica, poiché i raggruppamenti di norme impostati dal legislatore non sono sempre rigorosamente ordinati e possono risultare disomogenei. Così il blocco di definizione delle fattispecie principali, con identificazione dei soggetti considerati in stretto riferimento alle attività da essi esercitate84, si contrappone alla disciplina delle condizioni di esercizio dell’attività e delle incompatibilità, della responsabilità e della vigilanza che ad esse logicamente segue e selettivamente si applica.

criminose e di finanziamento del terrorismo e recante modifica delle direttive 2005/60/ CE e 2006/70/CE e attuazione del regolamento (UE) n. 2015/847 riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi e che abroga il regolamento (CE) n. 1781/2006». 78 Ed in particolare il decreto m.e.f. del 28 dicembre 2012, n. 256, recante il «regolamento concernente le condizioni e i requisiti per l’iscrizione nella sezione speciale dell’Elenco degli Agenti in attività finanziaria da parte degli Agenti che prestano esclusivamente i servizi di pagamento». 79 Il decreto m.e.f. 22 gennaio 2014, n. 31, recante il «regolamento recante attuazione dell’articolo 29 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, concernente il contenuto dei requisiti organizzativi per l’iscrizione nell’elenco dei mediatori creditizi». 80 A queste si farà invece riferimento nel corso della trattazione: cfr. ad esempio le nt. 88 e 212 s. 81 Si applicano all’agenzia in attività finanziaria gli artt. 128-quater; 128-quinquies; 128-novies, co. 2; 128-decies, co. 2, 2-bis e 3; 128-quaterdecies t.u.b. 82 Si applicano alla mediazione creditizia gli artt. 128-quinquies; 128-sexies; 128-septies, co. 2-bis; 128-decies, co. 4 e 5 t.u.b. 83 Si applicano sia all’agenzia in attività finanziaria sia alla mediazione creditizia gli artt. 128-octies, co. 1 e 2; 128-novies, co. 1, 3 e 4; 128-decies, co. 1 e 4-bis; 128-undecies; 128-duodecies; 128-terdecies t.u.b. 84 Di cui agli artt. 128-quater e 128-sexies t.u.b.

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3.1. Sinossi degli istituti di cui agli artt. 128-quater ss. t.u.b.: agenzia in attività finanziaria e mediazione creditizia. Il sistema delineato dagli artt. 128-quater ss. t.u.b. si impernia sulle definizioni generali dell’attività svolta da agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi. Tanto quello di agenzia in attività finanziaria quanto quello di mediazione creditizia rientrano nel novero dei contratti che consentono la cooperazione nell’altrui attività giuridica, meritando al collaboratore il diritto al compenso85; le differenze tra di essi, tuttavia, sono significative. Al centro della distinzione tra le due fattispecie previste dal testo unico vi sono, da un lato, le parole «promuove» e «conclude», di cui all’art. 128-quater, co. 1 t.u.b., e dall’altro «mette in relazione», di cui all’art. 128-sexies, co. 1, t.u.b. Descrivendo la natura fondamentale dell’attività di agenti e mediatori, esse danno conto del contenuto delle diverse tipologie di rapporto giuridico alle quali si riferiscono e riecheggiano le parole usate dal legislatore rispettivamente negli artt. 1742, co. 1 e 1754 c.c.86. Da questi vocaboli si può intuire come nell’agenzia, diversamente dalla mediazione, prevalga l’attivo perseguimento dell’interesse di chi conferisce l’incarico87. Vi sono poi due fondamentali differenze relative all’ambito d’azione dei diversi soggetti. Alla descrizione dell’attività segue la menzione dell’area obiettiva di riferimento della fattispecie, ossia dei rapporti alla cui costituzione tanto gli agenti quanto i mediatori ambiscono a contribuire. Da qui risulta come il raggio d’azione dell’agenzia sia più ampio: in essa sono incluse la «concessione di finanziamenti sotto qualsiasi

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Indipendentemente dal fatto che esso abbia natura di retribuzione o di provvigione, secondo quanto previsto dagli artt. 1742, co. 1 e 1755 c.c. 86 Sui legami della disciplina creditizia con queste disposizioni ci si concentrerà in seguito (paragrafo 4). Per ora è sufficiente ricordare che «promuovere […] la conclusione di contratti» è l’attività dell’agente secondo l’art. 1742, comma 1 c.c., mentre il mediatore «mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare» secondo l’art. 1754 c.c. Da questi vocaboli si intuisce già la differenza tra le due figure in punto di posizionamento dell’interesse dell’agente o del mediatore rispetto a quelli delle altre parti. 87 E questo riferimento è valido per la mediazione c.d. pura, diversa dall’atipica che invece può, nella pratica del negozio ed in affinità con lo schema del mandato, operando su incarico di una parte ed incorporando un assetto d’interessi sbilanciato verso uno dei contraenti (si veda in questo senso da ultima Cass, S. U., 2 agosto 2017, n. 19161, in Giur. comm., 2018, II, 923 ss., con nota di Ippoliti Martini, e prima, tra le tante, Cass. 12 novembre 1981, n. 5982, in Mass. Foro it., 1981, 1499).

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forma»88 o «la prestazione di servizi di pagamento», mentre la mediazione si riferisce solo ai finanziamenti ed esclude i servizi di pagamento89. In secondo luogo va segnalato il riferimento in entrambe le fattispecie al soggetto che presta il servizio finanziario, ossia la parte diversa dall’agente o dal mediatore e dalla generalità del pubblico dei risparmiatori90, che ancora una volta è più ampia per l’agenzia: la mediazione, infatti, include solo banche ed intermediari finanziari, escludendo istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica e Poste Italiane s.p.a.91. Rimangono infine due elementi che distinguono la fattispecie di mediatore creditizio dall’agente in attività finanziaria: il mediatore innanzitutto «svolge la propria attività senza essere legato ad alcuna delle parti da rapporti che ne possano compromettere l’indipendenza»92. Il legislatore del t.u.b. fa propria una nuova formulazione rispetto al vecchio art. 2, co. 2, primo periodo del d.p.r. 287/200093 e, seppure tradisca un collegamento al contenuto dell’art. 1754 c.c., introduce per la prima volta un riferimento molto ampio al concetto di indipendenza94. Esso non è

88 L’indeterminatezza della formula ha motivato un chiarimento da parte del ministero dell’economia e delle finanze, che, con il decreto 2 aprile 2015, n. 53, ha interpretato in senso ampio la locuzione, specificando, al suo art. 2, comma 1, che la riserva di cui all’art. 106, co. 1, alla quale la disposizione in parola fa riferimento, comprende la «concessione di crediti, ivi compreso il rilascio di garanzie sostitutive del credito e di impegni di firma», oltre a ogni tipo di finanziamento erogato nelle forme specificate dal cospicuo elenco che segue. 89 Secondo l’art. 128-sexies, co. 1 t.u.b. 90 Del quale si ha sempre menzione nella formulazione della norma sulla riserva, che ancora all’attività svolta «nei confronti del pubblico» la rilevanza dell’attività ai fini della disciplina in esame: v. artt. 128-quater, co. 2 e 128-sexies, co. 2 t.u.b. 91 Si tratta di una conseguenza del maggior numero di servizi inclusi nei contratti stipulati a seguito dell’opera di agenti in attività finanziaria rispetto ai mediatori creditizi. Ulteriore asimmetria tra le due fattispecie, di portata solo formale, è la menzione che l’art. 128-sexies, co. 1 t.u.b. fa della «potenziale clientela»: il medesimo contenuto semantico deve ritenersi compreso, per i mediatori, tanto nel temine «promuove» di cui all’art. 128-sexies, co. 1 t.u.b., quanto nel riferimento allo svolgimento «nei confronti del pubblico» di cui al successivo secondo comma. 92 Art. 128-sexies, co. 4 t.u.b. 93 Che determinava i confini della fattispecie di mediatore creditizio in base a quanto previsto dall’art. 16, co. 1 della l. 108/1996: cfr. nt. 44. 94 E pare, in particolare, che il riferimento nella disciplina speciale della mediazione creditizia sia più ampio rispetto a quello generalmente previsto dal codice civile. Infatti, anziché di rapporti «di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza» qui siamo davanti a tutti i «rapporti che possano comprometterne l’indipendenza» il legislatore speciale pertanto predilige un approccio rivolto ai risultati più che ai mezzi, formulando la regola come uno standard di comportamento. Per una discussione delle regole di com-

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presente nella norma sull’agente in attività finanziaria, che deve necessariamente agire «su mandato diretto» del suo preponente, impegnandosi a promuoverne attivamente l’interesse95. Il secondo è la menzione della consulenza: l’articolo 128-sexies, comma 1 t.u.b. specifica come l’attività di messa in relazione in cui il mediatore s’impegna possa avvenire «anche tramite attività di consulenza»96. Tale riferimento era comparso già all’art. 16, co. 1 della l. 108/1996, ma era lì formulato in modo che l’attività di consulenza fosse concettualmente paritetica a quella di mediazione, non già una sua specie; vi si prevedeva infatti che «l’attività di mediazione o di consulenza nella concessione di finanziamenti da parte di banche o di intermediari finanziari [fosse] riservata»97, alimentando l’impressione di riferirsi a due generi d’attività distinti. La menzione letterale era stata poi modificata dall’art. 2, co. 1, primo periodo del d.p.r. 287/2000, che pone le due attività in rapporto di subalternità e getta le basi per la definizione oggi vigente. A ben vedere questo modo di strutturare la gerarchia risente di una impostazione a lungo diffusa nel nostro ordinamento, che percepisce la consulenza nelle materie del mercato dei capitali come tendenzialmente strumentale ad operazioni esecutive specifiche98. Ne consegue che la consulenza sarà ricompresa nelle attività principali del mediatore qualora risulti funzionale all’intermediazione di un finanziamento. Non pare tuttavia che questo criterio della strumentalità sia da considerare egemonico nel contesto delle norme che seguono; vi sono piuttosto segnali favorevoli al riconoscimento di autonomia giuridica almeno alla speciale attività di consulenza di cui all’art. 128-sexies, co. 2-bis t.u.b.99.

patibilità nella disciplina bancaria di agenti e mediatori si veda il paragrafo 3.6, mentre per l’indipendenza del mediatore creditizio si può fare riferimento al paragrafo 4.2. 95 Art. 128-quater, co. 1 t.u.b. 96 Corsivo aggiunto. 97 Corsivo aggiunto. 98 Un esempio tradizionale è quello del rapporto tra consulenza mobiliare ed altre attività degli agenti di cambio, che era già presente tanto nella dottrina più risalente (Bianchi, Mercato finanziario e borsa valori, Milano, 1958, pp. 9 ss. e Bianchi d’Espinosa, I contratti di borsa, il riporto, in Tratt. dir. civ., diretto da Cicu e Messineo, XXXV, II, Milano, 1969, p. 120) quanto nei lavori preparatori alla legge 1/1991 (ed in particolare del disegno di legge n. 953 del 23 marzo 1988 dal ministro del tesoro Giuliano Amato, dal titolo «costituzione di società abilitate alla intermediazione in borsa»). 99 Della configurabilità di attività di consulenza differenti da quelle ora descritte come «attività connesse e strumentali» ai sensi dell’art. 128-quaterdecies, co. 3 t.u.b. si dirà al paragrafo 3.5.

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3.2. L’autonomia giuridica del consulente indipendente del credito. L’art. 128-sexies t.u.b. offre un segno della possibile rilevanza autonoma di una fattispecie diversa dalle principali sinora osservate. Il suo comma 2-bis comanda infatti a chi «presta professionalmente in via esclusiva servizi di consulenza indipendente avente a oggetto la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma» l’iscrizione in una sezione speciale del medesimo elenco. Si è detto, in prima approssimazione, che una certa forma di indipendenza è propria della fattispecie di mediazione prevista dal codice civile100, e che di questo carattere partecipi il mediatore creditizio lo conferma l’art. 128-sexies, comma 4101. Il co. 2-bis, nel fare riferimento a «servizi di consulenza indipendente», non esplicita però se qui si dovrà impiegare lo stesso concetto di indipendenza previsto per il mediatore creditizio, come il medesimo co. 4 potrebbe suggerire menzionando congiuntamente le due attività, oppure una nozione più specifica e stringente, da riferire solamente a quella consulenza di cui è imposto l’esercizio esclusivo e separato. Per risolvere il problema bisogna rilevare che, come si avrà modo di vedere approfonditamente più oltre, l’indipendenza di un soggetto è definita tramite regole di incompatibilità, e queste regole rilevano per determinare le caratteristiche della fattispecie. Pertanto, la riflessione sul problema dell’indipendenza del consulente in parola dovrà essere condotta unitamente all’accertamento dell’autonomia dell’attività di consulenza di cui al comma 2-bis rispetto alla mediazione creditizia102. Vi sono, a ben vedere, alcuni argomenti a sostegno della differenziazione tra canoni di indipendenza, nonché dell’autonomia della fattispecie. Un primo argomento, che si ricava dalla lettera della legge, mostra come il legislatore si riferisca in modo rigorosamente distinto all’attività di consulenza di cui all’art. 128-sexies, comma 2-bis rispetto alla media-

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Si veda a questo riguardo nt. 94 e testo corrispondente, nonché il paragrafo 4.2. Che prevede che «il mediatore creditizio ovvero il consulente di cui al comma 2-bis, svolg[a] la propria attività senza essere legato ad alcuna delle parti da rapporti che possano comprometterne l’indipendenza». Si lascia per ora da una parte il problema del rapporto tra quest’ultima nozione, applicabile al mediatore creditizio, e quella codicistica prevista per qualunque mediatore: la si approfondirà al paragrafo 4; essa è infatti questione distinta rispetto a quella della determinazione del contenuto della fattispecie ex art. 128-quaterdecies, co. 2-bis t.u.b., che si risolverà immediatamente nel testo. 102 A questo riguardo si vedano gli approfondimenti al paragrafo 4.2. 101

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zione creditizia. La prima è menzionata, nello stesso articolo, in maniera disgiunta ed autonoma rispetto all’attività principale del mediatore, ossia la messa in relazione di soggetti a scopo di ricavarne una provvigione. Inoltre, se si guarda all’ambiente normativo più prossimo alla disposizione in parola, il legislatore fa riferimento ora al «soggetto di cui al comma 2-bis»103, ora al «consulente di cui al comma 2-bis»104, oppure all’«attività di cui al comma 2-bis»105, ma mai al “mediatore di cui all’art. 2-bis”. Ciò suggerisce che egli sia sì consulente ma non anche mediatore nel senso attribuito al termine dall’art. 128-sexies, co. 1 t.u.b., poiché l’attività che svolge è al contempo più limitata e più specifica106 e la disciplina speciale ad esso applicabile non solo incrementa quella generalmente applicabile ai mediatori, ma la deroga. Non vale obiettare, osservando il locus dell’iscrizione del consulente, che il medesimo co. 2-bis preveda l’iscrizione di entrambi al medesimo elenco. Ciò innanzitutto perché l’iscrizione avviene in una distinta sezione speciale; inoltre perché tale opzione risulta opportuna e giustificata sotto profili diversi da quello della delimitazione delle fattispecie, quale la particolare occasione in cui la disciplina è stata introdotta e considerazioni di economia delle scelte del legislatore, che rendono più ragionevole la tenuta di un elenco unico e di una vigilanza concentrata. Tutti elementi, questi, che non compromettono la separatezza delle fattispecie107. In secondo luogo si può guardare all’indipendenza. Non sono ancora noti i requisiti d’incompatibilità volti a garantire l’indipendenza del consulente di cui all’art. 128-sexies, co. 2-bis t.u.b. poiché il regolamento ministeriale previsto dall’art. 128-octies, comma 1-bis t.u.b. non è stato emanato; chiaro è tuttavia che, se devono essere specificati da una nor-

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Art. 128-sexies, co. 3-bis, primo periodo. Art. 128-sexies, co. 4. 105 Art. 128-octies, co. 1-bis. 106 Non può infatti mettere in relazione i soggetti previsti dalla legge con mezzi diversi dalla consulenza, né può prestare attività diverse dalla consulenza indipendente (art. 128-sexies, co. 3-bis t.u.b.) né una consulenza che non presenti le qualità richieste dalla disciplina applicabile (art. 128-octies, co. 2), come si vedrà più oltre nel testo. 107 La giustapposizione della figura del consulente al mediatore ha ragioni d’opportunità pratica. Il legislatore del decreto 72/2016, che ha introdotto i commi 2-bis e 3-bis dell’art. 128-sexies, si è infatti trovato gli elenchi di agenti e mediatori già impostati dal decreto 141. In un’ottica di economia legislativa, dev’essere parso opportuno giustapporre la nuova figura del consulente indipendente a quella, pur distinta, del mediatore creditizio, considerando che anche quest’ultimo possiede un grado d’indipendenza ed esercita attività di consulenza. 104

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mativa ad hoc, questi requisiti saranno diversi da quelli applicabili ai mediatori creditizi e verosimilmente più rigidi. In questo senso depone il co. 2-bis dell’art. 128-sexies quando specifica che la consulenza deve essere «indipendente» per distinguerla da quella strumentale appena menzionata al comma 1108; inoltre il comma 3-bis dell’art. 128-sexies specifica che il consulente indipendente può prestare «esclusivamente» l’attività di consulenza, norma che pare essere ancora più restrittiva dell’ambito di attività rispetto a quanto previsto per il mediatore creditizio109. Un’altra considerazione a sostegno dell’autonomia della fattispecie perviene dalla presenza di una disciplina ad hoc, prevista dal legislatore per i consulenti indipendenti. La regolamentazione della consulenza in parola risulta peculiare non solo nella misura in cui è contenuta nell’emanando decreto ministeriale già menzionato, che ha l’intento di ottenere che il consulente indipendente agisca «in modo effettivamente indipendente e nell’interesse del consumatore»110, ma già nel t.u.b. con l’art. 128-sexies, co. 3-bis, che lo obbliga ad essere remunerato esclusivamente dal cliente. L’ultimo argomento, di carattere sistematico, si può formulare considerando le norme in materia di credito al consumo, ed in particolare all’art. 120-terdecies t.u.b., che ha introdotto il servizio di consulenza indipendente in parola. Al suo secondo comma la disposizione in parola prevede che «il servizio di consulenza [possa] essere qualificato come indipendente solo se è reso dai consulenti di cui all’art. 128-sexies, comma 2-bis»; il riferimento diretto ai consulenti indipendenti in connessione al servizio di consulenza indipendente corrobora così il nesso tra piano del soggetto e quello dell’attività, supportando l’esposta tesi dell’autonomia della fattispecie. In definitiva queste osservazioni rivelano che l’attività in parola presenta tratti di notevole autonomia, non ultimo un parametro di indipendenza distinto e più rigido rispetto a quello generalmente previsto per la mediazione creditizia. La consulenza indipendente, irrigidendosi, perde la strumentalità che caratterizza invece la consulenza svolta nella prestazione della mediazione creditizia111. Si potrebbe dunque affermare

108 109

Che sarà discussa più oltre al paragrafo 3.5. Che non può essere anche agente in attività finanziaria secondo l’art. 128-octies,

co. 1. 110

Art. 13, co. 1-bis, lett. a) del decreto 141. Pone maggiore enfasi sui tratti di continuità tra le fattispecie di consulente autonomo e mediatore Lacaita, Sub art. 128-sexies, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia4, diretto da Capriglione, III, Padova, 2018, pp. 2465 s. 111

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che quando la consulenza è strumentale all’attività del mediatore, l’indipendenza dalle parti vada intesa in forma debole; in questa situazione è più probabile l’infiltrazione nella relazione di consulenza di interessi ulteriori, che possono interferire con quello del cliente112. L’indipendenza che qualifica la fattispecie di cui all’art. 128-sexies, co. 2-bis, invece, è di tipo forte, ed implica un regime di incompatibilità più rigido e un (tendenziale) maggior distacco rispetto a possibili interferenze d’interesse nel rapporto tra consulente e cliente. Per non confondere dunque quest’ultimo soggetto con il mediatore che presti consulenza strumentale, esso si potrà denominare non solo “consulente del credito”113, bensì “consulente indipendente del credito”. 3.3. Ulteriori fattispecie. Bisogna ora chiedersi se la conclusione alla quale si è giunti per il consulente indipendente del credito, ossia che costituisca una figura giuridica dotata di sostanziali tratti di autonomia, possa essere estesa anche ad ulteriori soggetti previsti dalla disciplina speciale. I candidati sono quattro: gli agenti in servizi di pagamento di cui all’art. 128-quater, co. 6 t.u.b.; gli agenti che prestano attività di consulenza e gestione dei crediti ai fini di ristrutturazione e recupero degli stessi, di cui all’art. 128-quaterdecies t.u.b.; i cambiavalute di cui all’art. 17-bis, co. 1 del decreto 141 nonché i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale di cui all’art. 1, co. 2, lett. ff) del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231114. Pare innanzitutto che debba darsi risposta negativa per le prime due categorie di soggetti. Non costituiscono una fattispecie autonoma anzitutto i c.d. agenti in servizi di pagamento, i quali non promuovono né concludono contratti relativi alla concessione di finanziamenti ex art. 128-quater, co. 6 t.u.b. Infatti nonostante anche a questi soggetti sia riservata una sezione speciale dell’elenco, la loro disciplina si differenzia esclusivamente per una minor rigidità, nella forma dell’assenza del vin-

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Questo problema, con particolare riferimento alla attività di distribuzione, sarà esaminato al paragrafo 4.3. 113 Come invece fa l’Organismo, ad esempio, nella comunicazione n. 10/16 del 9 giugno 2016, disponibile all’indirizzo www.organismo-am.it; questa soluzione rischia la confusione con la figura generale del mediatore, il quale potrà ben svolgere un’attività di consulenza ex art. 128-sexies, co. 1, diversa però, come visto, dalla fattispecie prevista dal suo co. 2-bis. 114 Su cui infra, nt. 165.

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colo di avere un unico mandatario115 e della possibilità di esercitare altre attività116, ma non presenta caratteristiche ulteriori che possano indurre a ritenerla sostanzialmente autonoma. L’attività in parola si risolve piuttosto in una sottospecie dell’agenzia in attività finanziaria generalmente intesa, nella quale deve considerarsi logicamente assorbita. Non sono dotati di apprezzabile autonomia, dal punto di vista della fattispecie, nemmeno gli agenti che prestano attività di consulenza e gestione dei crediti ai fini di ristrutturazione e recupero degli stessi. Innanzitutto la norma che disciplina l’argomento non fa che riservare l’attività in discorso ad una categoria di soggetti già ben definita ed oggetto di autonoma disciplina, ossia gli agenti in attività finanziaria; si tratta, in altre parole, di una riserva di attività rilevante solo dal punto di vista oggettivo, e non da quello soggettivo. Conferma inoltre questa tesi la ratio dell’introduzione della disciplina in questione, che è quella di sottrarre ai mediatori la possibilità di svolgere l’attività, riservandola agli agenti117. Si spiega così la mancanza di una disciplina sostanzialmente differenziata per quell’attività, in accordo peraltro con l’assenza di indici letterali a sostegno di una simile autonomia nelle norme contigue alla disposizione che si discute118. Diverso è il caso delle due ulteriori tipologie di soggetti. Guardando infatti alle norme del decreto 141 che non hanno trovato spazio nel t.u.b., si notano per la prima volta119 le disposizioni contenute in un capo intitolato ad «ulteriori disposizioni di attuazione», che però di mera

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L’esclusione dell’applicabilità dell’art. 128-quater, co. 4 t.u.b. è prevista dal secondo periodo del co. 6 del medesimo articolo. Anche l’applicabilità dell’art. 128-quater, co. 1, secondo periodo t.u.b. è esclusa dal secondo periodo del comma 6 del medesimo articolo. 116 L’inapplicabilità dell’art. 128-quater, co. 1, secondo periodo t.u.b. agli agenti in servizi di pagamento è prevista dal secondo periodo del co. 6 del medesimo articolo. 117 A questo riguardo, in senso critico, Belli e Corvese, (nt. 4), p. 126 e Paracampo, Sub art. 128-quaterdecies t.u.b., in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia4, III, Padova, 2018, p. 2516. 118 Questa conclusione vale dal punto di vista del soggetto. Resta possibile, ovviamente, isolare l’attività dal punto di vista oggettivo: ciò costituisce il presupposto dell’impianto stesso dell’art. 128-quaterdecies, nonché opinione diffusa nella dottrina antecedente il decreto 141 (Sciarrone Alibrandi e Purpura, I mediatori creditizi, in Le nuove regole del mercato finanziario, a cura di Galgano e Roversi Monaco, Padova, 2009, p. 337 e Corvese, Sub art. 17, in La tutela del risparmio, a cura di Nigro e Santoro, Torino, 2007, p. 313) . 119 Se ne discuterà più approfonditamente nel paragrafo 3.6, dedicato alle incompatibilità.

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attuazione non sono, e che rilevano per l’esame degli istituti coinvolti nella disciplina di agenti e mediatori. Innanzitutto l’art. 17-bis, co. 1 del decreto 141 definisce cambiavalute chi negozia «a pronti […] di mezzi di pagamento in valuta», sottoponendo l’attività a riserva ed istituendo un apposito «registro» gestito dall’Organismo per la tenuta degli albi di agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi, ma diverso dagli «elenchi» nei quali agenti e mediatori sono iscritti120. Il resto della disciplina riservata ai cambiavalute, però, differisce sostanzialmente rispetto a quella dedicata ad agenti e mediatori, essendo molto più scarna: ai cambiavalute è fatto solo obbligo di trasmettere i dati relativi alle negoziazioni effettuate 121, e l’abusivismo è sanzionato meno severamente122. Gli elementi di definizione della fattispecie, separati, ed i tratti salienti della sua disciplina, così scarna e distinta da quella di agenti e mediatori, esibiscono un’autonomia tale da consentire di considerare i cambiavalute una fattispecie a sé, non sussumibile né all’interno della categoria degli agenti in attività finanziaria né in quella dei mediatori creditizi. Similmente si deve ragionare per i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale, ossia «ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale»123. Questi soggetti, ai sensi dell’art. 17-bis, comma 8-bis del decreto 141, devono essere iscritti in una sezione speciale del registro dei cambiavalute e sono soggetti ad un obbligo di comunicazione al ministero dell’economia e delle finanze della propria «operatività a livello nazionale»124, pena l’impossibilità di esercitare l’attività125. Non mancherebbero dunque elementi a fondamento della tesi dell’autonomia: certo è che non possono rientrare né nella categoria degli agenti in attività finanziaria, né in quella dei mediatori creditizi.

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Ed a questo riguardo si vedano i riferimenti di cui a nt. 127. La norma è prevista dall’art. 17-bis, co. 3 del decreto 141; il co. 6 prevede invece la sanzione della sospensione in caso di violazione, della cancellazione si occupa il co. 7 e del controllo ministeriale sull’Organismo con riferimento ai cambiavalute il co. 8. 122 Si confronti l’art. 17-bis, co. 5 del decreto 141 per i cambiavalute e l’art. 140-bis t.u.b. per gli agenti in attività finanziaria e i mediatori creditizi; per riferimenti al regime previgente applicabile a questi ultimi si vedano le nt. 51 e 66. 123 Art. 1, co. 2, lett. ff) del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231. 124 Art. 17-bis, co. 8-ter, primo periodo. 125 Art. 17-bis, co. 8-ter, secondo periodo. 121

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Ai fini dell’analisi qui condotta, però, il consulente indipendente in materia creditizia sarà l’unica fattispecie che conviene considerare accanto ad agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi: tra gli istituti dotati di autonomia presenti nel contesto in esame, infatti, è l’unico che all’un tempo condivide con agenti e mediatori parte dell’impostazione di disciplina pur presentando caratteristiche di spiccata autonomia. 3.4. Tratti salienti delle discipline speciali: condizioni di esercizio dell’attività. È ora possibile esaminare le norme applicabili agli istituti rilevanti. Questo passaggio deve essere affrontato nella consapevolezza delle connessioni sistematiche e dell’evoluzione normativa che si sono messe in luce; non stupirà così che il titolo VI-bis non includa una disciplina della trasparenza relativa ai contratti ed ai servizi di cui si occupano agenti e mediatori, già prevista dal titolo VI. La normativa si concentra piuttosto su altri due nuclei principali: il primo stabilisce le condizioni di esercizio dell’attività e la disciplina del soggetto che le svolge, mentre il secondo identifica il regime di vigilanza nonché le responsabilità degli operatori e dei collaboratori. L’indagine deve muovere dalle condizioni di esercizio dell’attività di agenti e mediatori, che presenta un nucleo normativo comune, giustificabile alla luce dell’evoluzione delle rispettive discipline126. Quando esse, definite come visto, sono esercitate nei confronti del pubblico ed in modo professionale, vengono sottoposte a riserva dalle stesse disposizioni che ne delineano la fattispecie127. Tale riserva è governata dall’iscrizione all’elenco, a sua volta tenuto da un apposito Organismo128 che risponde della vigilanza su agenti e mediatori sotto il controllo della Banca d’Italia129.

126

E si veda a questo riguardo l’ultima parte del paragrafo 2.2. Rispettivamente artt. 128-quaterdecies, co. 2 e 128-sexiesdecies, co. 2 t.u.b. 128 Ibidem, e, per la tenuta degli elenchi da parte dell’organismo di vigilanza, si veda l’art. 128-undecies, co. 3 t.u.b. 129 In base a quanto disposto dall’art. 128-terdecies t.u.b., che imposta i criteri generali dell’attività di vigilanza della Banca d’Italia sull’Organismo, i relativi poteri ispettivi e la misura degli eventuali provvedimenti da irrogare, su proposta della Banca d’Italia ma ad opera del ministro dell’economia e delle finanze, qualora si verifichino gravi irregolarità nell’amministrazione o gravi violazioni di legge, in virtù di quanto previsto dal suo terzo comma, tramite lo scioglimento e la ricostituzione dei suoi organi; un simile potere è attribuito direttamente in capo alla Banca d’Italia per la rimozione di uno o più componenti degli organi nel caso di inosservanza dei loro doveri (co. 3). L’Organismo 127

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Numerosi sono i profili condivisi dalle discipline di agenti e mediatori dal punto di vista dell’autorizzazione a cui sono soggetti: sia per i requisiti di professionalità130, inaspriti rispetto alla precedente disciplina131 che per quelli di onorabilità132. Al fine di ottenere e conservare l’iscrizione vi è poi l’obbligo di stipulare una polizza assicurativa per la responsabilità professionale, nonché la necessità di esercitare effettivamente l’attività ed adempiere gli obblighi di aggiornamento professionale133. Differenze significative si riscontrano però sotto il profilo della qualità del soggetto, della struttura del rapporto e dell’attività svolta. Quanto al primo, il mediatore è necessariamente una società di capitali o cooperativa134 mentre l’agente può ben essere persona fisica135; di conseguenza i rispettivi collaboratori soggiacciono a regole diverse, ed in particolare quelli dell’agente persona fisica o costituito in forma di società di persone dovranno necessariamente essere agenti abilitati136. Per quanto riguarda la struttura del rapporto, inoltre, l’analisi della norma conferma che non sussista per il mediatore alcuna subordinazione alle parti che mette in contatto, poiché egli è caratterizzato formalmente come «indipendente»137. Egli non è vincolato, pertanto, dall’obbligo che grava invece sull’agente di assumere un solo mandato, pur con eccezioni138. I

ha inoltre il dovere di trasmettere alla Banca d’Italia sia una relazione annuale sull’attività di vigilanza dell’anno trascorso e un progetto per l’anno in corso (co. 4). 130 Artt. 128-quinquies, co. 1, lett. c) e 128-septies, co. 1, lett. e) t.u.b., tra cui l’esame necessario per l’iscrizione all’elenco. La sussistenza dei requisiti è verificata dall’Organismo prima dell’iscrizione secondo quanto previsto dall’art. 128-undecies, comma 3 t.u.b. 131 Si veda il testo corrispondente a nt. 49. 132 Sempre artt. 128-quinquies, co. 1, lett. c) ed anche art. 128-septies, lett. d) t.u.b. 133 Rispettivamente i co. 1-ter e 1-bis dell’art. 128-quinquies t.u.b. 134 Questo dispone oggi l’art. 128-septies, co. 1, lett. a) t.u.b., diversamente da quanto previsto dalla disciplina previgente e meno restrittiva che consentiva l’accesso anche alle persone fisiche (artt. 3 e 4 del d.p.r. 287/2000). 135 Art. 128-quinquies, co. 1, lett. a) t.u.b. 136 I soggetti dipendenti e collaboratori di agenti in attività finanziaria persone giuridiche e mediatori creditizi, oltre a rispettare i requisiti di onorabilità e professionalità, dovranno superare non già l’esame per l’iscrizione all’elenco dei mediatori, ma una «prova valutativa» (art. 128-novies, co. 1, t.u.b.); il loro elenco dovrà quindi essere trasmesso dall’agente o dal mediatore responsabile all’Organismo (art. 128-novies, co. 3 t.u.b.). 137 Per quanto si possa trattare solo di una forma debole di indipendenza: v. art. 128-sexies, co. 4 t.u.b. il testo corrispondente a nt. 112. 138 La regola generale è fissata dall’art. 128-quater, co. 4, primo periodo t.u.b., e soffre delle eccezioni che riguardano il mandato affidato limitatamente a specifici prodotti, nel cui caso l’agente può, «al fine di offrire l’intera gamma di prodotti o servizi», assumere due ulteriori mandati.

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rapporti che si instaurano, nel contesto delle due fattispecie in esame, tra i soggetti regolamentati e quelli con i quali essi vengono a contatto rispondono così a logiche distinte: diversamente dal mediatore, l’agente è vincolato al mandante e persegue il suo interesse. In terzo luogo, con riferimento all’attività svolta, si deve notare innanzitutto che solo l’agente può promuovere e concludere139 contratti relativi alla prestazione di servizi di pagamento140, così come è l’unico a potere svolgere «attività di consulenza e gestione dei crediti a fini di ristrutturazione e recupero degli stessi» secondo quanto previsto dall’art. 128-quaterdecies t.u.b.141. 3.5. Attività connesse e strumentali ed il problema della consulenza. La disciplina di agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi include inoltre un complesso regime di compatibilità ed incompatibilità con attività diverse che, per la sua articolazione, merita una trattazione specifica. Questa parte della disciplina, essenziale per delineare con precisione il perimetro dell’attività regolamentata, trae origine da fonti variegate, ed è capace di fornire un quadro completo delle relazioni tra le attività considerate, completando quello riservato ai soggetti esaminato in precedenza. Le fonti in parola possono essere suddivise in tre categorie. In primo luogo bisogna considerare la normativa compresa nel titolo VI-bis, che consente ad agenti e mediatori di svolgere le attività «connesse e strumentali»142 a quella tipica sopra delineata143. In continuità con la disciplina previgente144 queste ultime includeranno innanzitutto gli adempimenti materiali strettamente legati da vincolo di strumentalità rispetto alle attività principali, quali la formazione del personale o l’attività pubblicitaria. Più complesso è determinare quali attività di consulenza possano ricadere in questa formulazione, specialmente con riferimento ai mediatori creditizi, problema che legittima l’apertura di una breve parentesi. La

139 In via esclusiva o congiuntamente alla promozione di contratti relativi alla concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, e si veda a riguardo il testo corrispondente a nt. 115. 140 Art. 128-quater, co. 1, primo periodo t.u.b. vs. art. 128-quater, co. 1 t.u.b. 141 La disposizione, nella sua nuova formulazione introdotta dal decreto 141, esclude da quest’ambito operativo i mediatori creditizi; essi erano invece a ciò espressamente abilitati dall’art. 17 della l. 28 dicembre 2005, n. 301. 142 Artt. 128-quater, co. 1, secondo periodo, e 128-sexies, comma 3 t.u.b. 143 Al paragrafo 3.1. 144 Che riferiva di «connessione» e «accessorietà»: nt. 68.

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rilevanza della tematica è resa evidente dalla prassi applicativa di questi istituti, come restituitaci da alcune recenti comunicazioni dell’Organismo145 favorevoli a riconoscere spazio allo svolgimento dell’attività di consulenza da parte dei mediatori anche qualora essa non sia strumentale all’intermediazione nei finanziamenti. Dalla ricostruzione proposta146 è emerso però che l’attività di consulenza del mediatore potrebbe essere strumentale o indipendente. La prima è finalizzata alla messa in relazione per la successiva conclusione dell’affare, ossia la concessione di finanziamenti in qualsiasi forma, costituendo così un possibile elemento dell’attività principale tipica del mediatore. La seconda attività, svolta dal mediatore indipendente del credito di cui all’art. 128-sexies, co. 2-bis t.u.b., invece, è priva di un fine ulteriore rispetto alla prestazione della consulenza147. Logica impone dunque di chiedersi se sia ravvisabile un terzo tipo di attività di consulenza, distinta dalle due appena indicate in quanto non strumentale all’intermediazione del finanziamento, eppur priva del requisito dell’indipendenza intesa in senso forte, ossia quella che rispetta il regime di incompatibilità applicabile al consulente indipendente del credito148. Gli approfondimenti necessari per affrontare compiutamente il problema eccedono l’ambito di questo lavoro; tuttavia anche ad una prima osservazione si nota l’intensità della connessione tra il requisito di indipendenza forte e quello di strumentalità, la quale suggerisce che quando vi sia strumentalità non possa esserci indipendenza forte e viceversa149. Se si accetta l’ipotesi della contrapposizione, si deve concludere che non vi sia spazio per una terza categoria, poiché l’attività non indipendente in senso forte sarà sempre strumentale ad un’altra attività, mentre quella indipendente non lo sarà mai; la consulenza del credito dovrà dunque essere alternativamente strumentale e non indipendente (attività tipica del mediatore ex art. 128-quater, co. 1) oppure non stru-

145 Si vedano in particolare le comunicazioni OAM del 18 aprile 2019, n. 22 e del 10 maggio 2017, n. 16. 146 Al paragrafo 3.1. 147 Si veda il paragrafo 3.2. 148 Come discusso nel testo corrispondente alle nt. 112 e 113. 149 La strumentalità nei confronti di una attività di mediazione implica da parte del mediatore, che pure sia indipendente nel senso debole sopra individuato, un interesse personale nella conclusione dell’affare che risulta difficilmente compatibile con l’indipendenza forte propria del consulente di cui all’art. 128-quater, co. 2-bis t.u.b., di cui al paragrafo 3.2.

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mentale e indipendente (attività che caratterizza il mediatore indipendente del credito di cui all’art. 128-quater, co. 2-bis t.u.b.)150. Esclusa la configurabilità di un terzo genere di consulenza, per proseguire l’analisi bisognerà lavorare esclusivamente all’interno delle categorie individuate. È opportuno concentrarsi in particolare sul concetto di strumentalità nella relazione tra diverse attività151. L’attività principale, infatti, potrebbe essere diversa da quella caratteristica del mediatore creditizio come definita dall’art. 128-sexiesdecies, co. 1 t.u.b. È dunque proprio nell’attività di consulenza strumentale ad una attività diversa da quella tipicamente svolta dal mediatore creditizio che si potrebbe identificare la forma di consulenza in materia creditizia da includere tra le attività connesse e strumentali che il mediatore può porre in essere secondo quanto previsto dall’art. 128-sexiesdecies, co. 3 t.u.b. Facendo ritorno alle opinioni dell’Organismo dalle quali si sono prese le mosse, è ora possibile conferire legittimità concettuale all’ambigua categoria alla quale incidentalmente l’Organismo fa riferimento come consulenza fornita dal mediatore «in via autonoma»152. Non essendosi in questo caso in presenza di indipendenza in senso forte – che richiede l’iscrizione alla sezione speciale ed il rispetto dei particolari requisiti – né di indipendenza in senso debole – propria di qualunque mediatore e quindi priva di valore discretivo –, il termine “autonomia” dovrà leggersi come strumentalità eterologa: autonomia dalla (e dunque non strumentalità alla) attività principale tipica del mediatore creditizio153, benché sempre strumentale ad altra attività.

150 A supporto di questa impostazione, che fa combaciare connessione e strumentalità non lasciando ivi spazio per l’indipendenza intesa in senso forte, vi sono i molteplici elementi testuali che invitano a non estendere eccessivamente la portata applicativa della disposizione legittimante, perimetrandone precisamente l’attività: si pensi, oltre all’art. 128-sexies t.u.b., anche all’art. 128-octies t.u.b. sul regime delle incompatibilità, nonché all’art. 13 del decreto 141. Sotto il profilo storico, inoltre, questo processo di progressiva limitazione e regolamentazione delle attività ancillari all’intermediazione bancaria intesa in senso proprio rispecchia una tendenza consolidata, che si è potuta osservare nel corso del paragrafo 2. 151 Il concetto di strumentalità è presente esplicitamente al terzo comma dell’art. 128-sexies t.u.b.; esso è però, a ben vedere, rintracciabile implicitamente anche al primo comma, nell’«attraverso» con il quale il legislatore fa sì che la consulenza già definita “strumentale” nel testo sia attratta dalla (ed assorbita nella) obbligazione principale del mediatore, ossia la messa in relazione di parti per la conclusione di contratti di finanziamento sotto qualsiasi forma. 152 Circolare OAM n. 22/2019, (nt. 145), 1. 153 In questo senso acquista significato anche il riferimento che ivi si legge nella Cir-

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Se così stanno le cose non si possono condividere le conclusioni dell’Organismo in punto di disciplina, che considera legittimo l’esercizio da parte del mediatore dell’attività di consulenza strumentale eterologa in quanto ricompresa nel novero delle attività «connesse o strumentali»154, ponendo come unica condizione il rispetto del criterio di prevalenza155. Questa affermazione risulta incompatibile con una corretta ricostruzione del contenuto normativo dell’art. 128-sexies t.u.b. che, come si è dimostrato, non può comprendere attività non essenzialmente riconducibili all’esercizio dell’attività primaria, di cui al primo comma. Infatti l’unico esercizio della consulenza consentito dal mediatore è quello della consulenza strumentale omologa, che rientrerà sempre nell’ambito del primo comma stesso. Sarà invece estranea all’ambito di operatività del mediatore, e dunque non consentita, la consulenza in ambiti diversi, ossia la consulenza strumentale eterologa, che non può dirsi né connessa all’attività principale né ad essa strumentale156, come altrove indicato dal medesimo organismo157; ciò sempre che il soggetto in questione non sia

colare OAM n. 22/2019, (nt. 145), 1, quando si fa riferimento a «materie non strettamente riconducibili a quelle previste dall’art. 128-sexies, del t.u.b., quali ad esempio l’accesso ai finanziamenti agevolati». 154 Sia pure, a quanto pare, in termini dubitativi: «il quadro normativo di riferimento sembrerebbe ammettere la prestazione di servizi di consulenza in ambito creditizio anche in forma svincolata ed autonoma rispetto all’intermediazione del finanziamento (dunque in via non strettamente correlata rispetto alla c.d. “messa in contatto”), quali attività meramente “connesse e strumentali” a quella principale» (comunicazione OAM n. 22 del 18 aprile 2019, 2). L’imprecisione di questa formulazione risulta anche dall’uso approssimativo di vocaboli dotati di significativa sovrapposizione semantica: come capire se l’assenza di “stretta correlazione” sia compatibile con il concetto di “connessione” o di “strumentalità” senza inquadrarli nel contesto terminologico di appartenenza? Per alcuni ragguagli metodologici si può leggere, di recente, Murino, Elasticità della lingua e rigore del discorso giuridico in G.C.M. Rivolta, in Giur. comm., 2019, I, pp. 960 ss. 155 Della «attività tipica di mediazione rispetto alla prestazione di servizi di consulenza svincolata» (comunicazione OAM n. 22 del 18 aprile 2019, 2). 156 Questa conclusione rispetta la differenza tra i concetti di strumentalità ricavabili dal primo e del terzo comma dell’art. 128-sexies, già discussi a nt. 151. Infatti il primo si riferisce espressamente alla consulenza, e solamente alla consulenza qualificabile come strumentale all’attività principale del mediatore ed a quest’ultima omologa. Di conseguenza, avendo in precedenza escluso la sussistenza di un terzo genere di consulenza (si veda il testo corrispondente a nt. 150), il concetto di strumentalità di cui al comma 3 non potrà che riferirsi ad attività diverse da quelle di cui al comma 1. 157 Sempre a conforto della strumentalità della prestazione, nel senso della sua tendenziale attrazione da parte della prestazione principale, si deve ricordare la Comunicazione dell’Organismo del 10 maggio 2017, n. 16 che sottolinea come sia necessario per il

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contemporaneamente iscritto ad altro albo previsto da normativa estranea al t.u.b., che consenta di svolgere un’attività di consulenza compatibile secondo quanto previsto dall’art. art. 17 del decreto 141. 3.6. Attività compatibili ed incompatibili. In secondo luogo, proseguendo l’indagine sulle fonti, si devono segnalare i soggetti che, secondo la nuova disciplina158, possono svolgere l’attività riservata pur non essendo agenti in attività finanziaria o mediatori creditizi: essi sono di tre specie. La prima è costituita da quelli disciplinati dal t.u.b. in parti diverse dal titolo VI-bis: è il caso delle banche, degli intermediari finanziari, degli istituti di pagamento e di moneta elettronica159, che svolgono le attività in questione senza che esse possano qualificarsi agenzia in attività finanziaria o mediazione creditizia160. La seconda specie include i soggetti che trovano la propria regolamentazione in ambiti normativi diversi, quali il testo unico della finanza o il codice delle assicurazioni private, che possono coadiuvare i soggetti abilitati nell’attività di promozione e collocamento senza divenire agenti in attività finanziaria: si tratta degli agenti di assicurazione161 e dei promotori finanziari162 – ora consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede163 –, a condizione che il soggetto abilitato ne curi la formazione e rimanga

mediatore accorpare la retribuzione dell’attività di consulenza finalizzata al finanziamento a quella dell’intermediazione per quest’ultimo. 158 Essa prende spunto da quella previgente, che già presentava un articolato regime delle esclusioni per i mediatori (nt. 45, 46 e testo corrispondente) e per gli agenti (nt. 68). 159 Abilitati rispettivamente ex artt. 14, 106, 114-quater e 114-novies t.u.b., iscritti ad un albo separato previsto dall’art. 114-septies t.u.b. (e sulla scorporazione di dette attività dal novero di quelle riservate agli artt. 106 e 107 t.u.b. si veda Baldassarre, Sub art. 23, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento. Commentario al d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, a cura di Mancini, Rispoli Farina, Santoro, Sciarrone Alibrandi, Troiano, Torino, 2011, p. 423). 160 Ex art. 12, co. 1, lett. b) del decreto 141. 161 Iscritti, secondo quanto previsto dall’art. 12, co. 1-ter del decreto 141, nel registro unico degli intermediari assicurativi e riassicurativi ex art. 109, co. 2, lett. a) del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, che operano su mandato diretto di banche ed intermediari finanziari previsti dal titolo V del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. 162 Iscritti, secondo quanto previsto dall’art. 12, co. 1-bis del decreto 141, nell’albo previsto dall’articolo 31 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (ora consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede), che operano per conto del soggetto abilitato che ha conferito loro l’incarico di promotore finanziario. 163 La nuova denominazione è stata introdotta dall’art. 1, co. 39 della l. n. 208 del 28 dicembre 2015 (legge di stabilità 2016).

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responsabile per i danni cagionati nel corso dell’attività164. La terza specie riguarda gli agenti autorizzati in base alla legge applicabile in altri ordinamenti europei, vigilati tramite il punto di contatto centrale165. Si nota, in terzo luogo, che parallelamente a queste ultime regole corrono quelle relative alla compatibilità ed all’incompatibilità di determinate attività, a loro volta suscettibili di essere suddivise in due categorie. Vi sono innanzitutto le incompatibilità previste tra gli istituti di cui al titolo VI-bis del t.u.b., ossia un divieto di contestuale iscrizione negli elenchi di mediatori creditizi ed agenti in attività finanziaria166 che comporta l’impossibilità per gli agenti in attività finanziaria di svolgere la mediazione creditizia e viceversa; tale incompatibilità è estesa anche ai loro collaboratori167. Si trova poi, al di fuori del t.u.b., traccia di una ulteriore specie di incompatibilità168, che in qualche modo approfondisce le regole appartenenti al genere precedente: non possono operare come agenti in attività finanziaria né i mediatori assicurativi né i consulenti finanziari169, così come è proibito agli agenti assicurativi ed ai promotori finanziari svolgere l’attività tipica dei mediatori creditizi170, mentre possono svolgere agenzia in attività finanziaria l’agente assicurativo ed il promotore finanziario171 così come la mediazione creditizia è consentita al media-

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Art. 12, co. 1-bis, ultimo periodo e 1-ter, ultimo periodo del decreto 141. È il caso dell’esenzione prevista dall’art. 128-quater, co. 7 s. t.u.b. per i «soggetti convenzionati e agenti» di cui all’art. 1, co. 2, lett. nn) del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, che recepisce nel nostro ordinamento la normativa europea antiriciclaggio. Essa si riferisce agli agenti in servizi di pagamento operanti per conto di istituti di moneta elettronica o istituti di pagamento aventi sede in altri paesi europei (su cui anche Corvese, Sub art. 33, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento. Commentario al d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, a cura di Mancini, Rispoli Farina, Santoro, Sciarrone Alibrandi, Troiano, Torino, 2011, p. 460). 166 Previsto dall’art. 128-octies, co. 1 t.u.b. 167 Si tratta dell’art. 17, co. 2 del decreto 141, secondo cui «i dipendenti, gli agenti e i collaboratori di banche ed intermediari finanziari non possono svolgere attività di mediazione creditizia, né esercitare, neppure per interposta persona, attività di amministrazione, direzione o controllo nelle società di mediazione creditizia»; similmente va letto anche l’art. 128-octies, co. 2 t.u.b. che vieta ai collaboratori di agenti e mediatori di «svolgere contemporaneamente attività a favore di più soggetti iscritti» e che può essere riferito anche alle relazioni tra i collaboratori di agenti e mediatori. 168 Che non è nuova nel nostro ordinamento, se si considera la clausola di compatibilità della mediazione creditizia con altre attività professionali inclusa nella disciplina previgente (testo corrispondente a nt. 53). 169 Art. 17, co. 4-ter del decreto 141. 170 Art. 17, co. 4-quinquies del decreto 141. 171 Art. 17, co. 4-bis del decreto 141, ora consulente finanziario abilitato all’offerta 165

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tore di assicurazione e riassicurazione ed al consulente finanziario172; rimangono sempre fermi, in caso di svolgimento di attività compatibili, gli obblighi connessi all’iscrizione nei relativi elenchi. Dei tre momenti esaminati, l’ultimo è particolarmente importante. Tracciando il parallelismo con la disciplina di altri settori del mercato finanziario, esso colloca le diverse specie di collaboratori su due piani distinti e paralleli. Essi risultano dall’accostamento, da un lato, di agenti in attività finanziaria, promotori finanziari ed agenti assicurativi, e, dall’altro, di mediatori creditizi, mediatori di assicurazione e consulenti finanziari173. Il punto di vista di questa suddivisione può dirsi “industriale”: è quello della “distribuzione” di “prodotti” tramite “canali”. Consente di mettere in relazione l’area semantica del contratto con quella della gestione aziendale, ricavando la dicotomia portante di quest’ultima: la sua ripartizione in canali captive e non-captive, nei quali operano soggetti ora asserviti ad un mandante, ora dotati di una variabile misura di indipendenza. Si tratta di una prima, importante traccia della matrice che informa l’architettura della regolamentazione del settore. 3.7. Il sistema combinato di vigilanza e responsabilità. Il complesso normativo che pone le condizioni di esercizio dell’attività e che disciplina i vari soggetti trova il suo completamento nel secondo caposaldo della disciplina: le norme relative all’attività di vigilanza su agenti e mediatori, e quelle sul regime di responsabilità per l’attività svolta. La vigilanza sull’attività è organizzata secondo un meccanismo a catena, che muove da un anello di vertice avente natura istituzionale, nel quale si colloca la Banca d’Italia174, passando di seguito sia per l’intermediario mandante (nel solo caso degli agenti) sia per l’Organismo per la tenuta degli elenchi di agenti e mediatori, raggiungendo infine tanto gli agenti e i

fuori sede di cui all’art. 31 t.u.f. 172 Art. 17, co. 4-quater del decreto 141. 173 Si ritiene preferibile qui, per contraddistinguere i collaboratori degli intermediari mobiliari, mantenere la previgente denominazione (v. nt. 163), certamente più esplicita nel mostrare l’omogeneità funzionale delle categorie di cui si discorre. 174 Con il ministero dell’economia e delle finanze che interviene non solo, come visto sopra, nell’emanare normativa di dettaglio, ma anche per irrogare sanzioni, su cui infra nel testo.

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mediatori quanto i loro collaboratori, che costituiscono l’ultimo elemento della filiera. Le cinque posizioni esposte vanno esaminate separatamente. La Banca d’Italia ha innanzitutto penetranti poteri di vigilanza e di intervento sulla struttura e sull’attività dell’Organismo175, il quale dovrà anche comunicare di propria iniziativa alla Banca d’Italia le circostanze di rilievo sorte nel corso della sua attività176. Qui il meccanismo del controllo si complica, poiché da un lato la Banca d’Italia ha anche i ben noti poteri diretti di vigilanza sui mandanti degli agenti177 oltre a poteri di controllo che si appuntano direttamente sull’attività di agenti e mediatori178 che a loro volta hanno il dovere di controllare l’attività dei loro dipendenti e collaboratori179; dall’altro, tuttavia, l’attività è rafforzata

175 Innanzitutto i primi componenti dell’Organismo sono nominati su proposta della Banca d’Italia, che viene inoltre sentita dal ministero dell’economia e delle finanze per approvarne lo statuto (art. 128-undecies, co. 2 t.u.b.); inoltre la Banca d’Italia «vigila sull’Organismo […] con la finalità di verificare l’adeguatezza delle procedure interne adottate dall’Organismo per lo svolgimento dei compiti a questo affidati» (art. 128-terdecies, co. 1 t.u.b.) oltre ad avere ampio accesso alle informazioni disponibili all’Organismo (art. 128-terdecies, co. 2); può infine proporre al ministro dell’economia e delle finanze di «sciogliere gli organi di gestione e di controllo dell’Organismo» (art. 128-terdecies, co. 3, primo periodo) e persino direttamente «disporre la rimozione di uno o più componenti degli organi di gestione e controllo in caso di grave inosservanza dei doveri ad essi assegnati dalla legge, dallo statuto o dalle disposizioni di vigilanza, nonché dei provvedimenti specifici e di altre istruzioni impartite dalla Banca d’Italia, ovvero in caso di comprovata inadeguatezza, accertata dalla Banca d’Italia, all’esercizio delle funzioni cui sono preposti» (art. 128-terdecies, co. 3, terzo periodo). 176 Infatti secondo l’art. 128-terdecies, co. 4 t.u.b. l’Organismo è tenuto ad una comunicazione continua (ossia una «informazione tempestiva») relativa agli «atti [ed] eventi di maggior rilievo relativi all’esercizio delle proprie funzioni», oltre alla relazione annuale ed al piano di attività da trasmettere con cadenza annuale. Queste disposizioni confermano l’inserimento dell’Organismo in una struttura gerarchica che ambisce ad esercitare un efficace controllo pubblico sulla sua struttura corporativa. 177 Ossia i soggetti discussi alla nt. 91 e testo corrispondente, nella misura in cui sono sottoposti alla vigilanza di cui al titolo III del t.u.b. 178 L’art. 128-decies, co. 2, secondo periodo t.u.b, che consente alla Banca d’Italia di «effettuare ispezioni presso l’agente in attività finanziaria, anche avvalendosi della Guardia di Finanza», che si aggiunge al potere di «individua[re] le ulteriori ipotesi di revoca dell’abilitazione degli intermediari del credito (oppure di cancellazione dagli elenchi) per violazioni gravi e sistematiche delle disposizioni previste dal titolo VI, capo I-bis» t.u.b. di cui all’art. 128-duodecies, co. 3-bis t.u.b. 179 È l’art. 128-novies, co. 1 t.u.b. ad affermare che agenti e mediatori «assicurano e verificano, anche attraverso adeguate procedure interne, che i propri dipendenti e collaboratori di cui si avvalgono per il contatto con il pubblico, rispettino le norme loro applicabili, possiedano i requisiti di onorabilità e professionalità […] e curino l’aggior-

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sul versante dell’Organismo, che pure direttamente controlla agenti e mediatori180 e può anch’esso monitorare i dipendenti ed i collaboratori di questi ultimi181. Il sistema si chiude con le norme sulla responsabilità, che avvincono le sorti dell’intermediario vigilato a quelle dell’agente o del mediatore182 come a sua volta l’agente o il mediatore risponde dell’operato del suo dipendente o collaboratore183. Si nota dunque come l’attività di controllo si sviluppi su linee che, pur procedendo tutte dal generale al particolare, risultano essere distinte ed intersecarsi tra loro, facendo in modo che attività di vigilanza e poteri di intervento facenti capo a soggetti distinti coesistano per completarsi in rapporto di sussidiarietà. Da questo variegato quadro d’insieme emerge dunque una disciplina di agenti e mediatori che ha il triplice scopo di rendere vigilabile il loro operato, di responsabilizzarli ed inserirli organicamente nel sistema del testo unico. Il vasto nucleo di norme organizzative e comportamentali comune ad entrambe le fattispecie principali rivela inoltre una certa continuità con la disciplina previgente, confermandone la sofisticata natura corporativa184; è tuttavia innegabile come entrambe siano indirizzate

namento professionale». 180 L’Organismo, infatti, non soltanto gestisce gli elenchi (art. 128-undecies, co. 1 t.u.b.) e di conseguenza verifica la presenza dei requisiti prima dell’iscrizione all’elenco che tiene (art. 128-undecies, co. 3), ma assicura anche «il rispetto da parte degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi della disciplina cui essi sono sottoposti», essendo dotato di importanti poteri ispettivi e di intervento (art. 128-undecies, co. 4 t.u.b.) oltreché sanzionatori (art. 128-duodecies, co. 1 t.u.b.). 181 Ciò è possibile poiché l’art. 128-novies, co. 3 t.u.b. obbliga mediatori creditizi ed agenti in attività finanziaria che non siano persone fisiche o società di persone a trasmettere all’Organismo l’elenco dei propri dipendenti e collaboratori. Si deve ricordare infatti che i dipendenti o collaboratori di agenti persone fisiche o società di persone che hanno contatto con il pubblico sono necessariamente agenti in attività finanziaria e sono in quanto tali già soggetti alla vigilanza dell’Organismo. 182 Poiché «l’intermediario mandante risponde alla Banca d’Italia del rispetto delle disposizioni del titolo VI da parte dei propri agenti in attività finanziaria» ai sensi dell’art. 128-decies, co. 2, primo periodo t.u.b. 183 Agenti e mediatori rispondono non solo «in solido dei danni causati nell’esercizio dell’attività dai dipendenti e dai collaboratori di cui essi si avvalgono, anche in relazione a condotte penalmente sanzionate» (art. 128-novies, co. 4 t.u.b.), ma anche del rispetto da parte loro delle norme sulla trasparenza di cui al titolo VI del testo unico già viste supra (art. 128-decies, co. 5 t.u.b.). 184 Ad ulteriore e definitiva conferma di questo carattere si può infine menzionare l’art. 19, co. 2 del decreto 141, quando prevede che a comporre l’Organismo siano scelti anche all’interno delle categorie degli agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi e

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verso una specificazione in grado di accentuarne tratti differenziali sia in termini di indipendenza (anche tramite l’elaborazione di nuove fattispecie), che di oggetto dell’attività (ambito più ristretto dei mediatori). Rispetto alla disciplina originariamente prevista dall’ordinamento criminale, pertanto, sarà possibile individuare all’interno del movimento concentratore e sistematizzatore operato dal legislatore un duplice andamento. Vi è innanzitutto una persistente differenziazione delle figure ed un aumento del numero e della rigidità dei requisiti previsti tanto per l’accesso alla categoria quanto per il loro operare. D’altro canto, ciò avviene in costanza dei principi di fondo di protezione del mercato, ai quali si aggiunge un forte accento di tutela dell’utente finale nell’ottica della facilitazione della diffusione dei servizi promossi o mediati tipica della legislazione dell’ultimo ventennio. Dalla disciplina penalistica, insomma, si è giunti ad una normativa professionale, che pur mantenendo la struttura corporativa tipica della normativa previgente, anticipa la soglia di tutela del singolo partecipante al mercato che entra in contatto con agenti e mediatori. Si dovranno ora chiarire i rapporti di questi istituti con le fattispecie codicistiche originali di agenzia e mediazione.

4. Disciplina professionale e disciplina del contratto tra t.u.b. e codice civile. Si è mostrato come la natura corporativa della normativa introdotta dal decreto 141185 contribuisca a delineare una disciplina della “professione”186 di agente in attività finanziaria e mediatore creditizio che sia sensibile alle peculiarità pubblicistiche del settore in cui operano, quello del credito. Oltre al livello professionale, tuttavia, vi sono altri due livelli normativi che rilevano per lo svolgimento dell’attività, ma che s’incentrano sulla disciplina del contratto.

che, ai sensi del comma seguente, hanno il potere di redigere il proprio statuto nonché i regolamenti interni (e ciò è di importanza essenziale anche se tali documenti sono soggetti all’approvazione del ministro dell’economia e della finanze, secondo quanto previsto dal co. 4). 185 Paragrafi 2.3 e 3.7. 186 Il vocabolo è usato qui in senso atecnico, e non va confuso con l’accezione del termine “professionalità” discussa al paragrafo 4.1.

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Si devono innanzitutto considerare i contratti che agenti e mediatori mirano a procacciare, che una volta conclusi vincoleranno i beneficiari dell’attività di intermediazione, senza interessare l’intermediario che sia privo di rappresentanza187. Questi contratti sono tipici, differiscono a seconda della figura professionale e sono stati già esaminati188; essi costituiscono, a ben vedere, l’oggetto dell’invito a proporre dell’agente189 o il contenuto dell’affare della cui conclusione il mediatore si preoccupa190, ricoprono forse la posizione «principale»191 ma non valgono a disciplinare la relazione tra agente o mediatore ed intermediario. Il fondamento di quest’ultimo rapporto è sempre negoziale, ma va ricercato in una diversa fattispecie contrattuale, ed il fatto che il legislatore discorra di agenti in attività finanziaria e di mediatori creditizi indurrebbe a ritenere che esso possa ricondursi ad un contratto di agenzia ex artt. 1742 ss. c.c. o ad uno di mediazione ex artt. 1754 ss. c.c.192. La denominazione degli istituti, insomma, invita a qualificarli come specie bancarie dei due generi codicistici di agenzia e mediazione193; qualche verifica su questa circostanza, tuttavia, risulta opportuna e sarà effettuata nel prosieguo. La situazione è dunque la seguente: da un lato il codice disciplina ogni fattispecie di agenzia e mediazione indipendentemente dallo speci-

187 Sulla relazione tra agenzia e mediazione e rappresentanza qui basta ricordare la lettera degli artt. 1752 e 1754, ultima parte c.c. (e salvo il disposto dell’art. 1761 per atti seguenti la conclusione dell’affare ed a esso relativi); osserva che si tratta solitamente di cooperazione materiale più che giuridica con specifico riferimento alla relazione tra mediazione e rappresentanza, Luminoso, La mediazione, in Tratt. dir. civ., già diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, XXXI.3, Milano, 1993, pp. 62 e 159. 188 Si vedano gli artt. 128-quater, co. 1 e 128-sexies, co. 1, t.u.b., nonché nt. 88 e testo corrispondente. 189 Sulla possibilità di qualificare il contenuto dell’attività dell’agente come invito ad offrire Saracini e Toffoletto, Il contratto di agenzia. Artt. 1742-1853, in Il codice civile. Commentario, fondato e già diretto da Schlesinger, continuato da Busnelli, Milano, 2014, p. 9. 190 Ma la cui conclusione non sarebbe oggetto del contratto di mediazione: Giacobbe, Il contratto di mediazione, in Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, XIV, p. 102. 191 Di contratto relativo all’affare come contratto «principale» si discute in Ferrara Jr e Corsi, Gli imprenditori e le società14, Milano, 2009, p. 110. 192 Ma sul problema della contrattualità della mediazione si vedano i riferimenti a nt. 196. 193 Il codice non richiama espressamente la disciplina codicistica per le fattispecie bancarie di agenzia e mediazione. Un richiamo espresso si ritrova invece per aiutare la qualificazione degli ausiliari degli agenti e dei mediatori: in base all’art. 17, co. 4-octies del decreto 141 il termine «collaboratore» sarebbe da intendere, nel contesto del decreto, quale sinonimo di agente ex art. 1742 c.c.

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fico settore di attività, esplicitando la comune radice negoziale di questi istituti; dall’altro diverse leggi professionali stabiliscono uno statuto applicabile a specifiche e più circoscritte categorie di agenti e mediatori individuati ratione materiae, tipicamente in funzione delle caratteristiche dei contratti che concludono. Tra queste ultime si colloca la disciplina del t.u.b. come modificata dal decreto 141. La correttezza di questa ricostruzione è confermata innanzitutto dall’osservazione della disciplina applicabile ad attività di agenzia e mediazione svolte in contesti diversi, che da tempo hanno ricevuto una regolamentazione professionale peculiare giustificata dalla particolarità dell’ambito “merceologico” di riferimento194. A queste disposizioni puntuali fanno da contraltare forme di disciplina professionale più generali, quali quelle previste rispettivamente dalla l. 3 maggio 1985, n. 204 sull’attività dell’agente di commercio e dalla l. 3 febbraio 1989, n. 33 sulla disciplina della professione di mediatore; è quest’ultima a chiarire come essa trovi applicazione unitamente alla disciplina codicistica, ma vada tuttavia disapplicata in presenza di discipline professionali speciali195 che devono pertanto convivere con le sole disposizioni del codice.

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Sarebbe questo il caso della mediazione marittima (di cui alla l. 12 marzo 1968, n. 478, attuata con d.p.r. 4 gennaio 1973, n. 66), dell’agenzia di viaggio e turismo (la cui disciplina si ricava dapprima dalla l. 17 maggio 1983, n. 217, e poi dalla l. 29 marzo 2001, n. 135 e dagli artt. 18 ss. del d.l. 23 maggio 211, n. 79, c.d. codice del turismo), nonché degli agenti di cambio (ai sensi della legge di borsa, l. 30 marzo 1913, n. 272, e poi alle s.i.m. introdotte dalla l. 2 gennaio 1991, n. 1 ed ora disciplinate dal t.u.f.) e per i broker di assicurazione (sui quali dapprima la l. 28 novembre 1984, n. 792 e poi l’art. 109, comma 1, lett. b) del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, c.d. codice delle assicurazioni private o c.a.p.). Si tratta di fattispecie che fondano la struttura dell’attività che disciplinano sullo schema codicistico dell’agenzia o della mediazione. 195 Secondo quanto disposto dall’art. 1 della l. 39/1989, infatti, le norme speciali sulla mediazione sono applicabili esplicitamente «ai mediatori di cui al capo XI del titolo III del libro IV del codice civile, eccezion fatta per gli agenti di cambio, per i mediatori pubblici e per i mediatori marittimi, categorie per le quali continuano ad avere applicazione le disposizioni attualmente in vigore». Implicitamente invece la l. 204/1985 ricalca, sempre all’art. 1, la nozione di cui all’art. 1742 laddove prevede che l’agente di commercio è «stabilmente incaricato […] di promuovere la conclusione di contratti in una o più zone determinate». Dall’esame di queste norme di ampia applicazione si ricava innanzitutto una conferma della compatibilità in via di principio della disciplina civilistica con quella professionale. Dal punto di vista evolutivo, inoltre, si osserva come le discipline professionali abbiano subito una rilevante e costante evoluzione, che tende verso l’intensificazione dei controlli (si pensi al previgente regime di libertà di esercizio della professione di mediatore, sancito dalla l. 21 marzo 1958, n. 253, su cui Alpa, Legge 21 marzo 1958, n. 253. Disciplina della professione di mediatore, in Nuova giur. civ. comm., 1986, II,

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Dello stesso indirizzo paiono le norme del codice che alla disciplina speciale fanno riferimento, come l’art. 1753 che, in un senso, conferma l’applicabilità della disciplina dell’agenzia agli agenti di assicurazione, o l’art. 1765 in materia di mediazione che, nel senso opposto, fa salve le leggi speciali. Le disposizioni contenute negli artt. 1742 ss. si possono dunque inquadrare su di un piano diverso ed almeno in linea di principio compatibile con quello su cui opera la disciplina di cui al titolo VI-bis del t.u.b. 4.1. Alcuni elementi delle fattispecie codicistiche: procacciamento, promozione, professionalità e stabilità. Il dibattito sulle fattispecie generali di agenzia e mediazione è articolato e presenta numerosi punti controversi; non sussiste infatti tra dottrina e giurisprudenza un orientamento univoco per l’inquadramento di tratti importanti di ambo le fattispecie196. È dunque opportuno usare particolare prudenza nel recuperare da questa delicata discussione i passaggi che possono essere utili per l’interpretazione delle fattispecie creditizie oggetto di studio. Un primo elemento che qui interessa è quello relativo alla determinazione dell’obbligazione principale dell’agente e del mediatore, dalla quale enucleare gli elementi tipologici del negozio e dunque verificarne la ricorrenza nella disciplina speciale. Si riscontra tuttavia una marcata asimmetria tra le fattispecie: l’abbondanza di materiale normativo disponibile nella nozione di agenzia di cui all’art. 1742 c.c. si contrappone alla carenza di spunti offerti in questo senso da quella di mediazione di

pp. 195 ss.) nonché all’aumento delle aree oggetto di specifica disciplina professionale ratione materiae (sulle quali si veda nt. 194). 196 I dubbi interpretativi in questione hanno carattere sia essenziale che relazionale: si pensi ad esempio al problema della natura contrattuale della mediazione (Luminoso, La mediazione, in Trattato di diritto civile2, già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni, continuato da Schlesinger, XXXI.3, Milano, 2006, pp. 41 ss., e più recentemente, Giacobbe, Il contratto, cit., pp. 12 ss.: in quest’ultimo caso è indicativo il riferimento alla natura contrattuale del negozio già nel titolo dell’opera), della natura dell’obbligazione principale dell’agente (in generale Trioni, Contratto di agenzia. Art. 1742-1753, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 2006, pp. 37 ss. ma su di essa, per la parte qui rilevante, si veda infra nel testo) e sui confini tra agenzia e mediazione (tra le numerose trattazioni del tema si segnala Toffoletto, Il contratto di agenzia, in Tratt. dir. civ., già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 2008, pp. 97 ss).

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cui all’art. 1754 c.c.197. Punto di partenza comune è certamente la collaborazione all’altrui attività giuridica, che descrive il genere di negozio al quale sia agenzia che mediazione fanno parte198 e vale ad attribuire loro una funzione ausiliaria che più oltre si tenterà di qualificare199. Tale attività può essere precisata facendo ricorso agli ulteriori concetti di procacciamento, promozione, professionalità e stabilità. Il primo elemento del discorso sul contenuto caratteristico dell’attività dell’agente e del mediatore è quello del loro massimo comune denominatore pre-giuridico, che è stato autorevolmente individuato nell’attività materiale di procacciamento d’affari. Essa costituisce, a ben vedere, il più raffinato stadio di specificazione dei concetti di cooperazione nell’attività giuridica: la prestazione di un servizio che ha ad oggetto la conclusione dell’affare il cui riferimento ordinamentale tipico è il contratto200 ed il cui contenuto è quello di renderlo in qualche modo realizzabile, tradendo una connotazione generica di indirizzo verso parti che possano avere interesse al suo perfezionamento. Questo concetto non implica necessariamente l’attività promozionale dell’interesse di una parte, già affrontata in precedenza201, tipica dell’agenzia e non presente nella mediazione202, che si concreta nell’obbligo giuridico203 dell’invitatio ad offerendum rivolta ai potenziali clienti del preponente204. Esaminando l’obbligazione in questione si riconosce come l’attività a cui si riferisce non sia indiscriminata, ma debba riferirsi solamente ad affari quali-

197 Nardi, La mediazione. Artt. 1754-1765 c.c., in Il codice civile. Commentario, fondato e già diretto da Schlesinger, continuato da Busnelli, Milano, 2017, pp. 23 ss., 24. 198 Sotto questa rubrica ricorre l’inquadramento della fattispecie nella sistematica di parte della manualistica (Torrente, Schlesinger, Manuale di diritto privato21, a cura di Anelli e Granelli, Milano, 2013, p. 743), pur non mancando chi preferisce enfatizzare il compimento dell’affare (Galgano, Diritto civile e commerciale, II.2, Padova, 2004, p. 127), la conclusione di un contratto (Ferri, Manuale di diritto commerciale16, a cura di Angelici e Ferri, Torino, p. 837) oppure, in generale, la prestazione di un servizio (Gazzoni, Manuale di diritto privato15, Napoli, 2011, p. 1157). Queste differenze offrono un esempio delle diverse prospettive dalle quali si può studiare la materia. 199 Si veda in particolare nt. 239 e testo corrispondente. 200 Per una traccia di questo sviluppo si veda nt. 198. 201 Al paragrafo 3.1. 202 Ciò a causa del carattere essenzialmente potestativo di quest’ultima, sul quale, tra i tanti, Luminoso, La mediazione, cit. pp. 27 ss. e Nardi, La mediazione, cit., p. 86. 203 Obbligo giuridico non sussistente in capo al mediatore, in capo al quale le obbligazioni sorgono quando «in concreto si adopera per la conclusione del contratto»: Ferrara Jr, Corsi, Gli imprenditori, cit., p. 136. 204 Su cui si veda nt. 192.

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ficabili come convenienti per il preponente alla stregua di quanto disposto dal primo comma dell’art. 1746 c.c.205. L’attività promozionale dell’agente è dunque attività di parte, che rivela un atteggiamento asimmetrico rispetto agli interessi delle parti del contratto da concludere206, che vale a qualificare il procacciamento come obbligazione principale, distinguendolo dalla mediazione che invece non lo presenta207. A distinguere agenzia e mediazione può dunque valere la posizione dell’intermediario rispetto agli interessi delle parti nella conclusione dell’affare: l’agente promuove necessariamente gli interessi della casa, il mediatore risulta invece, almeno potenzialmente208, equidistante dagli interessi di chi conclude l’affare209. Altro elemento discretivo sarebbe quello della stabilità dell’attività dell’agente, che si contrappone all’occasionalità di quella del mediatore. Questo piano del discorso non va confuso con quello relativo alla professionalità. La stabilità è caratteristica che discende dalla relazione dell’agente con il suo preponente e che qualifica la serialità degli atti posti in essere per soddisfare un’obbligazione che ha ad oggetto l’invito ad effettuare offerte per una categoria di negozi in serie determinati210. La professionalità, invece, si riferisce alle modalità obiettive di svolgimento dell’attività tipica, ed è così riferibile tanto quella di agente quanto quella di mediatore211. La professionalità dell’attività si oppone pertanto al con-

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Secondo la condivisibile opinione di Saracini, Toffoletto, Il contratto, cit., pp. 20 ss. Diverso da quello tipico della mediazione, per il quale valgono le riflessioni effettuate in tema di indipendenza al paragrafo 4.2. 207 Non si deve confondere questo requisito con la distinta fattispecie di “procacciatore d’affari”, non disciplinata dal codice, nota alla giurisprudenza ma disconosciuta dalla parte della dottrina, che la riconduce ora all’agenzia, ora alla mediazione: Saracini, Toffoletto, Il contratto, cit., pp. 133 ss. 208 Ossia nella forma di mediazione cosiddetta “pura”, dove l’attività del mediatore non si svolge per incarico di alcuna delle parti; di essa si è già accennato a nt. 87. 209 Ma come quest’ultimo potrà favorire una parte o l’altra entro i limiti della correttezza e delle norme di settore lo si vedrà oltre, al paragrafo 4.2. 210 Si tratta dell’atto di «coopera[re] stabilmente allo sviluppo dell’attività economica di chi lo ha preposto», come si esprime la relazione al codice civile, n. 720. 211 Nel senso fatto proprio dall’art. 2082 c.c., potendo infatti pacificamente essere imprenditore, qualora ne ricorrano i requisiti, tanto l’agente (tra i tanti Galgano, L’imprenditore, Bologna, 1980, pp. 40 ss. e Ghezzi, Del contratto d’agenzia, in Comm. cod. civ., diretto da Scialoja e Branca, 1970, Bologna-Roma, pp., 15 ss.) quanto il mediatore (Iannelli, Mediatori (Ordinamento professionale), in Nov. dig. it., Appendice, vol. IV, Torino, 1983, p. 1218). A quest’ultimo riguardo merita richiamare come il ministero dello sviluppo economico abbia determinato financo i limiti temporali per determinare la sussistenza del requisito della professionalità del mediatore, e la conseguente necessità di 206

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cetto di occasionalità della prestazione, giustificando così l’applicazione di quella che si è qui indicata come disciplina professionale dalle forme corporative. Il primo concetto dunque, non il secondo, vale a distinguere agenzia e mediazione. A questo primo livello di approfondimento si può dunque concludere per una sostanziale continuità tra gli elementi fondamentali di fattispecie codicistica e bancaria. Infatti, se si considerano i fattori appena enucleati, si nota come essi ricorrano anche nel disposto degli artt. 128-quater e 128-sexies t.u.b., giustificando la qualificazione di questi istituti come agenzia e mediazione in senso tecnico, ed indi l’applicabilità della relativa disciplina anche in assenza di un esplicito rinvio normativo212. Una differenza significativa che merita tuttavia un’attenzione particolare213 è relativa alla condizione del mediatore rispetto agli interessi delle parti.

iscriversi al registro delle imprese, mediante l’art. 12 del decreto 26 ottobre 2012, rubricato «mediazione occasionale»: sarebbe da qualificare “discontinua” l’attività del mediatore che l’esercita per meno di sessanta giorni l’anno. Questa disposizione si spiega nell’ottica della necessità di stabilire un confine certo per gli operatori ai fini degli adempimenti formali richiesti dalla legge professionale. Ulteriore rapporto delicato risulta quello tra stabilità e continuità, che, come segnalato da Trioni, Contratto, cit., p. 49, è indipendente dalla quantità effettiva di affari stipulati per intervento del mediatore. 212 In questo senso, pur con riferimento alla previgente disciplina, si veda il riferimento all’applicabilità della disciplina civilistica che si trova nella circolare del ministero dell’economia e delle finanze del 17 aprile 2003, n. 1. 213 Vi sono anche le seguenti differenze di fattispecie, che tuttavia hanno portata più limitata. Innanzitutto (i) la specificazione dei particolari soggetti intermediati e (ii) dei contratti che possono essere oggetto di intermediazione, entrambi imprescindibili per delimitare l’ambito applicativo di queste particolari discipline professionali, nonché (iii) l’aggiunta nella fattispecie d’agenzia prevista dal t.u.b. della menzione della «conclusione» di contratti, giustificabile in funzione della circostanza che vede gli agenti in attività finanziaria possono essere dotati di rappresentanza (osservano che «gli agenti di commercio sono chiamati in pratica anche rappresentanti di commercio», in corsivo nell’originale, Ferrara Jr, Corsi, Gli imprenditori, cit., p. 110, ove ampi riferimenti). Questa ultima menzione, d’altro canto, non vale da sola a limitare l’applicazione della disciplina codicistica agli incarichi conferiti con rappresentanza, ma deve includere l’intera disciplina dell’agenzia: in tal senso pare il ministero dell’economia e delle finanze nella circolare indicata a nt. 212, che includeva nella disposizione sia agenti «che si limitano a promuovere contratti (art. 1742 del codice civile)», sia agenti che «provvedono a concluderli su mandato degli intermediari (art. 1752 del codice civile)» (e solo in quest’ultimo caso divenendo mandatari: Saracini, Toffoletto, Il contratto, cit., pp. 82 ss.). La riflessione vale anche se la circolare è stata emessa in base alla normativa previgente, poiché essa prevedeva, nella delimitazione della fattispecie, il medesimo riferimento alla conclusione dei contratti (si veda nt. 60). In ultimo luogo, (iv) manca nella definizione di mediazione di cui all’art. 1754 c.c. il riferimento alla consulenza come modalità di messa in relazione

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4.2. Indipendenza ed imparzialità negli artt. 1754 e 1746 c.c. L’essenza della figura del mediatore creditizio, della quale già si è discusso considerando la disciplina speciale214 non si afferra senza inquadrare la relazione che intercorre tra l’elenco dei rapporti incompatibili con l’attività di mediatore e la posizione di quest’ultimo rispetto alle parti intermediate: in altre parole il nesso tra la sua indipendenza e la sua possibile parzialità215. L’art. 1754 c.c. elenca i rapporti che sono incompatibili con la mediazione: diversamente dall’agente216 il mediatore non è legato da alcuna delle parti «da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di

delle parti, presente invece nell’art. 128-sexies t.u.b. (da cui la fattispecie di “consulenza strumentale” già discussa al paragrafo 3.5), ma non si deve ritenere che questo elemento abbia una portata sostanziale, essendo molte e variegate le attività che possono essere ricondotte a quella di chi «mette in relazione» anche secondo la nozione codicistica, che pure tace sulla consulenza (in dottrina quest’opinione è dominante, per cui tra i tanti Carraro, La mediazione, Padova, 1960, p. 22; contra, isolato, Catricalà, La mediazione, in Tratt. dir. priv., diretto da Pietro Rescigno, vol. 12*, t. IV, Torino, 2006, pp. 13 s.; in giurisprudenza tra le tante Cass., 5 dicembre 2014, n. 25799, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 454 ss.). 214 Accenni sul tema al paragrafo 3.2. 215 Il rapporto è sufficientemente chiaro nell’opinione della giurisprudenza, secondo cui non solo l’indipendenza, ma l’imparzialità stessa del mediatore, sarebbe un carattere costitutivo della fattispecie (tra le tante Cass., 18 settembre 2008, n. 23842, in Contr., 2009, 365 ss., con nota di Gallo e Cass., 1° luglio 1997, n. 5845, in Contr., 1997, pp. 618 ss.). D’avviso diverso la dottrina dominante: per una impostazione critica Marini, La mediazione. Artt. 1754-1765, in Il codice civile. Commentario, diretto da Schlesinger, Milano, 1992, pp. 53 ss.; l’orientamento si è diffuso sino a divenire maggioritario, come da riferimenti più oltre nel testo ed in nota. Equipara invece il piano dell’«imparzialità» e quello dell’«assenza di rapporti di dipendenza» Minasi, Mediazione (dir. priv.) in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976, p. 41. Non ancora sensibile a questa distinzione era Vivante, Trattato di diritto commerciale, Torino, 1893, I, pp. 279 s., il quale dapprima indicava il canone dell’«imparzialità» come elemento caratterizzante l’azione del mediatore, richiesta dall’essere retribuito da entrambe le parti che mette in contatto, ma portava poi come esempi di parzialità le «false notizie» ed i «consigli insidiosi» che avrebbero come risultato l’«inganno» del contraente. Alla stregua della normativa oggi vigente e d’accordo con la ricostruzione proposta più oltre nel testo, i comportamenti ai quali lì si faceva riferimento si dovrebbero considerare in violazione non soltanto gli obblighi specifici di imparzialità del mediatore, garantiti da regole di incompatibilità, ma anche le più fondamentali norme di correttezza; risulterebbero invece oggi accettabili altri comportamenti, non fraudolenti, che pur favorendo una parte rispetto all’altra rientrino nei limiti della buona fede e degli specifici obblighi imposti dalla disciplina di settore. 216 Come già supra, ad esempio a nt. 95 e testo corrispondente.

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rappresentanza»217. Questa perifrasi varrebbe, nelle parole stesse del legislatore, ad esprimere l’elemento caratteristico della mediazione», ossia «l’indipendenza dell’opera del mediatore»218, della quale già si è accennato219. Tali incompatibilità hanno dunque rilevanza tipologica, poiché presuppongono la qualificazione del rapporto e non ne sono una conseguenza220, valendo così ad isolare la mediazione da ciò che mediazione non è. Il regime di incompatibilità assicura l’indipendenza del mediatore, garantendo la posizione di «equidistanza» rispetto alle parti del contratto da concludere221; ciò denota, sotto il profilo soggettivo, la sua terzietà222. Della terzietà come estraneità all’affare223, non consegue necessariamente l’imparzialità del mediatore224: quest’ultima indica la relazione tra l’attività che in concreto il mediatore esercita e la realizzazione degli interessi delle singole parti dell’affare da concludere225. Il mediatore,

217 Il regime delle incompatibilità è completato dalla disciplina professionale generale di cui all’art. 5, co. 3 della l. 3 febbraio 1989, n. 39 (già a nt. 195), che impedisce l’esercizio della mediazione a chi sia titolare di «a) qualunque impiego pubblico o privato, fatta eccezione per l’impiego presso imprese o società aventi per oggetto l’esercizio dell’attività di mediazione; b) con l’iscrizione in altri albi, ordini, ruoli o registri e simili; c) con l’esercizio in proprio del commercio relativo alla specie di mediazione che si intende esercitare». Per quanto riguarda il particolare regime di incompatibilità applicabile ai mediatori creditizi, si veda il paragrafo 3.6. È interessante notare come la particolare formulazione della normativa professionale possa avere il potere di assorbire quella generale: con particolare riferimento alla l. 39/1989 Perfetti, La mediazione. Profili sistematici ed applicativi, Milano, 1996, p. 70. 218 Si tratta del punto 724 della relazione al codice civile. 219 Ai paragrafi 3.1 e 3.2. 220 Cataudella, Mediazione, in Enc. giur., Roma, 1990, p. 9. 221 In questo senso Visalli, La mediazione, Padova, 1992, p. 42; identifica i partecipanti all’affare da concludere come una unica controparte «plurisoggettiva» del mediatore Varelli, La mediazione, Napoli, 1953, pp. 20 s.; l’attività del mediatore diviene così «pluridirezionale» (Cataudella, Note sulla natura giuridica della mediazione, in Riv. dir. comm., 1978, I, p. 380). 222 In questo senso Giacobbe, Il contratto, cit., p. 64. 223 Luminoso, La mediazione, cit., p. 24. 224 Si ricorda che questa opinione contraddice quella della giurisprudenza maggioritaria: v. nt. 215. 225 In questo contesto, dunque, si può dire che il punto di vista già assunto quando si studiava il piano del rapporto di mediazione, che riconosceva funzionalmente come unica controparte del mediatore l’insieme plurisoggettivo delle parti dell’affare (nt. 221 e testo corrispondente), debba cambiare. Quell’unica controparte va ora considerata nelle sue singole componenti, per potersi porre dal punto di vista di ciascun partecipante all’affare al fine di valorizzare l’unicità degli interessi di cui ciascuno di essi è portatore. In questo modo si potrà verificare come l’interesse personale del mediatore si atteggi nei

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infatti, ben potrebbe favorire una parte rispetto all’altra senza cessare di essere indipendente nel senso fatto proprio dall’art. 1754 c.c.226, ma mantenendosi sempre nei limiti della norma generale di correttezza e degli altri specifici obblighi previsti dalla disciplina applicabile, ed in particolare l’obbligo di trasparenza imposto dall’art. 1759 c.c. 227. Ora, si è detto che l’agente ricopre un ruolo ausiliario, dunque non indipendente nel senso ora indicato, tant’è che agenzia e mediazione risultano, nell’ordinamento bancario, mutualmente incompatibili228. Tale ruolo è naturalmente parziale perché nei termini della questione ora impostata il soggetto, oltre a non essere indipendente rispetto alle parti, è giuridicamente obbligato a promuovere l’interesse del suo preponente nel corso delle negoziazioni229. Emerge così una sostanziale differenza tra agenzia e mediazione, che consiste nella posizione dell’ausiliario nei confronti delle parti: dipendente e necessariamente parziale l’agente, indipendente e non necessariamente parziale il mediatore230. Questa caratteristica viene generalmente condivisa dalle fattispecie bancarie, perché, lo si è detto, esse costituiscono una specie del medesimo genere contrattuale. Bisogna però chiarire in che modo la nozione di indipendenza civilistica, delineata dalle ultime parole dell’art. 1754 c.c., si collochi nello schema dualistico già individuato con riferimen-

confronti di ciascuno, e se sia parziale o meno. Si passa così dall’osservazione generale dell’esecuzione del contratto principale allo specifico punto di vista dell’assetto di interessi che presiede alla formazione del contratto intermediato. 226 In una compravendita, ad esempio, il mediatore potrebbe ben favorire il venditore, considerando che un più alto prezzo di vendita corrisponderebbe ad una provvigione maggiore: in questo senso Nardi, La mediazione, cit., p. 84. Così negando che il mediatore sia imparziale (come fa larga parte della dottrina, tra cui Cataudella, Mediazione, cit., p. 381) non si fa altro che negare che egli sia personalmente indifferente rispetto agli interessi in gioco, e che questa parzialità potrà legittimamente guidare il suo operato qualora rientri nei limiti previsti dalla legge, come specificati subito di seguito nel testo. 227 L’obbligo del mediatore di comunicare «le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, che possono influire sulla conclusione di esso» ha natura «complementare» (Giacobbe, Il contratto, cit., p. 138). Di qui è facile inquadrare la posizione del c.d. mediatore unilaterale, ossia il mediatore che abbia ricevuto l’incarico da una parte (come avviene tipicamente per la parte venditrice nell’intermediazione immobiliare), e che tuttavia mantiene l’indipendenza da essa in virtù della struttura tipica del contratto di mediazione. 228 Art. 128-octies, co. 1 t.u.b. 229 E per la convenienza dell’affare promosso si veda nt. 205 e testo corrispondente. 230 Nozione che già s’era prefigurata al paragrafo 3.1, esaminando le fattispecie di agenzia e mediazione previste dall’ordinamento bancario.

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to all’ordinamento bancario, che distingue l’indipendenza forte, canone elaborato con riferimento al regime di incompatibilità applicabile al consulente indipendente del credito, da quella debole, applicabile alla generalità dei mediatori creditizi231. Pare che l’indipendenza del mediatore come prevista dal codice civile sia più debole di entrambi i regimi di indipendenza previsti dall’ordinamento bancario; essa è infatti presidiata da norme di incompatibilità meno rigide delle altre, riferite ad un numero di rapporti più circoscritto232. Si possono pertanto configurare come tre canoni distinti. Si riscontra così una continuità di fondo della disciplina professionale di agenti e mediatori in ambito bancario rispetto a quella generalmente prevista dal codice anche per quanto riguarda lo schema d’interesse nell’azione negoziale: simmetrico quello del mediatore, asimmetrico quello dell’agente233. 4.4. Relazione tra codice e t.u.b.: ausiliarietà e modelli distributivi. Il raffronto di alcuni elementi della disciplina codicistica con i risultati dell’indagine sull’ordinamento bancario offre alcuni spunti utili con riferimento al modello industriale al quale già si è accennato234. La distribuzione di prodotti tramite canali particolari avviene, nel settore bancario, avvalendosi di ausiliari dotati di diversi gradi di indipendenza. Si può concludere riprendendo innanzitutto la questione dell’ausiliarietà, già emersa sotto più profili. Agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi sono “intermediari del credito”235, e prestano servizi a vantaggio di soggetti che a loro volta svolgono una funzione di intermediazione236. La qualità di intermediari nell’attività di altri intermediari induce a chiedersi se debba ritenersi applicabile, in qualche misura, anche la disciplina riferita agli ausiliari dell’imprenditore commerciale prevista dagli articoli 2203 ss. c.c., specie ora che si è accertata la soggezione

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Come visto al paragrafo 3.2. Lo si è discusso al paragrafo 3.6. 233 Si può leggere in questo senso anche la dottrina che, tornando alle caratterizzazioni generali, qualifica il mediatore come un «ausigliario del commercio, senza padrone, mentre invece lo hanno il commesso, il rappresentante, l’agente di affari»: Vivante, Trattato di diritto commerciale5, Milano, 1922, p. 197. 234 Al paragrafo 3.6. 235 Secondo la definizione di cui alla nt. 28. 236 Quelli previsti dagli artt. 128-quater e 128-sexies t.u.b., discussi nel paragrafo 3.1. 232

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delle fattispecie bancarie alla disciplina codicistica prevista per agenti e mediatori. Alla risposta si giunge considerando che questi soggetti sono sì dotati di una funzione ausiliaria nel sistema della distribuzione bancaria, ma risultano strutturalmente esterni all’organigramma aziendale dell’intermediario. Se si considera la disciplina degli ausiliari dell’imprenditore commerciale prevista dal codice civile nel suo complesso, si nota come essa presupponga invece questa assimilazione strutturale. In secondo luogo, guardando allo spazio di autonomia decisionale ed alla correlativa sopportazione rischio tipico dei procuratori ex art. 2209 c.c., si osserva che essa non corrisponde allo schema organizzativo proprio di agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi: questi ultimi, infatti, manifestano un’autonomia operativa particolarmente marcata237 e sono essi stessi imprenditori238. È pertanto corretto inquadrare agenti e mediatori come «ausiliari autonomi»239 o «collaboratori esterni dell’impresa»240. Di conseguenza l’applicabilità della disciplina dettata per gli ausiliari dell’imprenditore commerciale, ed in particolare dei procuratori, deve essere esclusa in ragione della loro autonomia241.

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Si pensi ad esempio al mediatore, in capo al quale sorgono obblighi giuridici solo quando incominci la propria attività materiale. Questi ragionamenti sono ovviamente esclusi, nel caso dell’agenzia, qualora ricorrano i presupposti per l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato; si ricorda infatti che a distinguere agenzia e lavoro subordinato vale la circostanza per la quale, nel caso di lavoro subordinato, il risultato dell’attività del dipendente «rientra esclusivamente nella sfera giuridica dell’imprenditore, che sopporta il rischio dell’attività svolta», mentre l’agente opera a suo rischio (Cass., 7 febbraio 2013, n. 2937, in www.dejure.it). 238 Si veda la nt. 211. 239 Questa felice denominazione si ritrova, tra altri, in Santini, Il commercio: saggio di economia del diritto, Bologna, 1979, p. 100. 240 Ragiona di «collaboratori esterni dell’impresa» Ferrara Jr, Corsi, Gli imprenditori, cit., p. 102, che possono avere con l’imprenditore un rapporto duraturo oppure occasionale. 241 Questa soluzione non preclude però la possibilità di riconoscere all’attività d’impresa esercitata da agenti e mediatori, qualora ne ricorrano i presupposti, natura ausiliaria: sull’impresa ausiliaria in genere si veda Bione, L’impresa ausiliaria, Milano, 1972, passim, mentre con particolare riferimento all’attività di agenti e mediatori rispettivamente Formiggini, Il contratto di agenzia2, in Trattato dir. civ., diretto da Vassalli, Torino, 1958, pp. 29 ss. e Zanelli, Studi sull’agenzia nel sistema delle imprese ausiliari, Milano, 1970, p. 317; esplicitamente per l’agente, in giurisprudenza, Cass., 17 giugno 1982, n. 3679, in Foro it., Mass., 1982, 771. La distinzione tra l’ausiliarietà del collaboratore dell’imprenditore commerciale ex art. 2209 c.c. e l’ausiliarietà dell’imprenditore alla quale fa riferimento l’art. 2195, comma 1, n. 5 c.c. risulta ancora più chiara se si considera che il procuratore

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Si nota inoltre che, per distinguere i diversi rami della distribuzione, come si è anticipato242, il legislatore ha deciso di impiegare radicate strutture civilistiche, dotandole di regole raffinate in funzione delle loro possibilità operative. Agenzia e mediazione costituiscono, in altre parole, l’archetipo distributivo per il piazzamento di prodotti, “della casa” nel caso degli agenti, di prodotti “non-captive” nel caso dei mediatori. Lo schema dell’agenzia offre così la possibilità di effettuare la distribuzione sulla base di un assetto d’interessi inclinato verso l’intermediario preponente, inficiando necessariamente la sua indipendenza; diversamente quello della mediazione pone l’ausiliario dell’intermediario in posizione più neutra rispetto agli interessi delle parti, pur non potendone assicurare l’imparzialità243. Dato che questo schema tiene in considerazione l’atteggiarsi concreto della relazione tra gli interessi coinvolti, ci si deve chiedere in quale posizione si collochino i consulenti indipendenti del credito. Certo essi non risultano ausiliari della distribuzione, in quanto sprovvisti del momento operativo proprio dell’attività pratica in vista della conclusione dell’affare che invece caratterizza le altre figure, ma in posizione di maggiore indipendenza, e dunque di meno probabile parzialità a favore dei terzi i cui interessi potrebbero infiltrarsi nella relazione consulenziale.

è sovente accostato dalla giurisprudenza al lavoratore dipendente (così Cass., 19 novembre 2014, n. 24650, in www.dejure.it, ma nel senso che la sussistenza di tale rapporto non sia necessaria ai fini dell’integrazione della fattispecie ex art. 2209 c.c. si veda Cass., 27 febbraio 2003, n. 3022, in Not. giur. lav., 2003, 529). Ci si può chiedere infine quale sia la disciplina dei “collaboratori” di agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi che non siano a loro volta agenti o mediatori abilitati secondo la disciplina professionale bancaria; una riposta giunge dall’art. 17, comma 4-octies del decreto 141, il quale stabilisce, questa volta esplicitamente, che «ai fini del presente decreto legislativo per collaboratori si intendono coloro che operano sulla base di un contratto conferito ai sensi dell’articolo 1742 del codice civile»: questi agenti non saranno però sottoposti alla disciplina professionale prevista dal t.u.f., mentre potranno essere soggetti, qualora ne ricorrano i presupposti, alla disciplina professionale degli agenti di commercio di cui alla l. 204/1985 (di cui al paragrafo 4). 242 Al paragrafo 3.6. 243 Secondo la ricostruzione effettuata al paragrafo 4.2.

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5. Conclusioni. L’analisi critica del sistema normativo in cui si collocano agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi ha consentito di risolvere alcuni dei problemi che pongono. Si sono ricostruiti i tratti differenziali delle principali fattispecie coinvolte, rintracciandone storicamente l’evoluzione per giustificarne la disciplina corporativa. Si è così potuto chiarire che la disciplina ha matrice pubblicistica e risulta necessaria alla luce della forma che l’interesse pubblico assume nella intermediazione bancaria. Dopo aver fatto luce sui legami tra disciplina di agenzia e mediazione nell’ordinamento bancario e regole di trasparenza bancaria, si è riscontrata una certa misura di sovrapposizione della disciplina di soggetti intermedianti a livello diverso (primari ed ausiliari) in particolare tramite la categoria degli “intermediari del credito”. Si è anche individuata la consulenza indipendente del credito come fattispecie autonoma, isolando la consulenza strumentale, ad indipendenza debole, da quelle ad indipendenza forte, verificando che esse corrispondono a canoni di incompatibilità diversi e via via più stringenti. Queste differenze sono motivate dalla diversa struttura privatistica di base, alla quale la disciplina professionale si sovrappone e che contestualmente si applica. È l’esame di questa struttura a rivelare come l’impiego degli schemi funzionali di agenzia e mediazione sia finalizzato all’organizzazione della distribuzione dei servizi creditizi; detti schemi forniscono un archetipo concettuale utile tanto per la soluzione dei problemi ermeneutici quanto per la prosecuzione della ricerca in questo settore.

Riccardo Ghetti Abstract Lo studio analizza la disciplina di agenti in attività finanziaria e mediatori creditizi come impostata dal d.lgs. 141/2010. Mettendo ordine nel complesso insieme di norme applicabili, identifica le caratteristiche delle fattispecie coinvolte e studia alcuni problemi posti dalla loro disciplina. Dopo avere chiarito il rapporto degli istituti in esame con le disposizioni dedicate alla trasparenza bancaria, l’analisi storica rivela i principi ispiratori e le linee portanti dell’attuale normativa. L’indagine del diritto positivo, riferita particolarmente alle caratteristiche dell’attività, ai profili di indipendenza, incompatibilità e responsabilità, è condotta in relazione ai principi generali della disciplina codicistica di agenzia e mediazione nonché alle pratiche distributive degli intermediari del settore creditizio.

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This essay studies the Italian law on credit agents and brokers after legislative decree 141/2010. After examining the development and the content of admission and conduct of business rules, these are put in the context of transparency requirements generally applicable to credit intermediaries. Focusing on the legal notions of independence, incompatibility and contractual liability, the article examines links with both the principles of general private law and the practice of the distribution networks in the credit sector.

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Mutui con ammortamento “alla francese” Corte d’appello di Roma, sentenza 30 gennaio 2020; Pres. Gentile; Rel. Delle Donne; X e Y c. Banca Z Contratti bancari – Mutui – Ammortamento c.d. “alla francese” – Interessi anatocistici – Produzione – Esclusione (Cod. civ., artt. 1282, 1283) Contratti bancari – Mutui – Ammortamento c.d. “alla francese” – Indeterminatezza del tasso di interesse – Esclusione – Applicazione di tasso superiore a quello contrattuale – Esclusione (Cod. civ., artt. 1284, 1346; testo unico bancario, art. 117) Il piano di ammortamento di un mutuo costruito secondo il metodo c.d. “alla francese” (cioè con rate di rimborso di importo costante, costituite da una quota interessi decrescente e da una quota capitale crescente) non comporta di per sé la produzione di interessi anatocistici. (1) Il metodo di ammortamento c.d. “alla francese” non produce di per sé né l’indeterminatezza del tasso di interesse né l’applicazione di un tasso di interesse superiore a quello dichiarato nel contratto. (2)

(Omissis) 1. La vicenda che ha dato origine alla lite è stata così narrata nella sentenza impugnata: “Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. gli attori, premesso che in data 09.05.2002 avevano stipulato con Banca Z un contratto di mutuo con garanzia ipotecaria con atto a rogito del notaio XXX Rep. 5292, Racc. 9511,

per un importo di euro 52.000,00 da restituirsi in anni dieci con scadenza finale al 30.06.2012, con la previsione di un tasso mensile iniziale stabilito nella misura del 0,5416% ottenuto dividendo per dodici il tasso nominale annuo del 6,5% con validità per l’eventuale periodo di preammortamento e per le prime 36 mensilità, successivamente a decorrere dal 1 luglio


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2005 il tasso diventava variabile e determinato applicando il parametro di riferimento EURIBOR (art. 5 del contratto in atti), e tasso di mora (ai sensi dell’art. 5.6) pari, alla data della stipula, a 9,50% (6,50% + Spunti percentuali) – considerato che, alla data della stipula del contratto il tasso soglia ai fini dell’usura era pari al 8.34% e ritenuto che, ai fini del computo del tasso effettivo globale, dovesse tenersi conto anche dei tassi moratori, hanno sostenuto l’usurarietà genetica del contratto, chiedendo l’applicazione della sanzione civilistica di cui all’art. 1815, co. 2, c.c., con condanna della convenuta alla restituzione degli importi versati a titolo di interessi. A garanzia del rimborso delle rate di mutuo era stata iscritta ipoteca sull’immobile di proprietà di essi attori sito in Comune di XZY. Gli attori hanno quindi richiesto, in via subordinata, dichiarare che al mutuo de quo andavano applicati gli interessi al tasso legale individuati con riferimento al periodo di ammortamento del mutuo oggetto di causa. Si costituiva in giudizio la banca convenuta chiedendo la reiezione della domanda, eccependo la prescrizione e deducendo, in primo luogo, che il tasso moratorio non poteva essere considerato ai fini dell’individuazione del tasso effettivo globale di cui alla legge n. 108/96. Disposto il mutamento del rito, concessi i termini di cui all’art. 183, sesto comma c.p.c., la causa è stata istruita con le sole produzioni documentali; con ordinanze del 21.09.2016 e del 02.01.2017 il giudice ha disatteso la richiesta di parte attrice all’espletamento di una C.T.U. tecnico contabile, ed ha fissato l’udienza per la precisa-

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zione delle conclusioni; all’udienza del 28.02.2017 le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni e lo scrivente giudice ha tenuto la causa in decisione, assegnando i termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica”. 1.1. Il Tribunale, espletata l’istruttoria necessaria, ha rigettato tutte le domande proposte da X e Y, condannandoli in solido tra loro al rimborso delle spese di lite a favore della Banca Z liquidate in euro 3.000,00 per onorari, oltre 15%. 1.2. A fondamento della decisione, il Tribunale ha posto le seguenti considerazioni: «[… Va preliminarmente ribadito che il presente procedimento ha per oggetto un contratto di mutuo (all. all’atto introduttivo) e pertanto deve sottolinearsi la irrilevanza del deposito degli estratti conto dall’inizio del rapporto come richiesto dagli attori atteso che nel caso in esame non viene in rilievo un rapporto di conto corrente (nel quale hanno operato diverse operazioni, attive e passive al cui esito si è formato il saldo finale) bensì un contatto di mutuo che come tale soggiace ai principi generali in ordine alla prova di cui all’art. 1218 c.c. (è quindi onere del creditore che agisce per l’adempimento la prova della fonte dell’obbligo, nel caso di specie il contratto, e della scadenza dell’obbligazione, potendosi limitare alla mera allegazione dell’inadempimento; compete al contrario al debitore la prova dell’esatto adempimento). Ciò posto, le domande siccome proposte sono infondate. Va premessa la differente funzione degli interessi corrispettivi (remunerazione del capitale mutuato) e degli


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interessi moratori (quale liquidazione forfettaria e presuntiva del danno causato dall’inadempimento o dal ritardo nell’inadempimento dell’obbligazione pecuniaria). Ora. Se è pur vero che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (v. Cass. civ. n. 350/2013), ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, secondo comma, c.c., s’intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, e quindi anche a titolo di interessi moratori, si deve tuttavia osservare che, come ha chiarito la più attenta giurisprudenza di merito, il cui orientamento si condivide, ai fini della verifica del mancato superamento del tasso soglia dell’usura non è corretta l’operazione di “sommatoria” dei tassi di interesse corrispettivo e moratorio previsti contrattualmente, o in un certo momento applicati, al fine di confrontare il risultato con il tasso soglia vigente, né simile operazione ha mai ricevuta l’avallo della Corte di Cassazione nella citata sentenza 9.01.2013, n. 350 (in tal senso v. Trib. Milano, 8.3.2016, Trib. Reggio Emilia 6.10.2015, Trib. Lecce 25.9.2015, Trib. Padova, 27.1.2015, Trib. Milano 3.12.2014, Trib. Udine, 26.9.2014, tutte pubblicate su www.ilcaso.it). In tale ottica – sebbene sia vero che l’articolo 644 codice penale prevede, ai fini della determinazione del tasso di interesse usurario, che debba tenersi conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito – la medesima norma fa comunque anche espresso riferimento alla dazione o

promessa di interessi o altri vantaggi usurari quale “corrispettivo di una prestazione di denaro”, così facendo inequivocabilmente riferimento agli interessi corrispettivi. Quand’anche poi si volesse riferire (ma questo giudice lo esclude), che la verifica del superamento del tasso soglia possa essere effettuata anche con riferimento agli interessi moratori, a tale operazione osterebbe comunque la natura di norma penale in bianco dell’articolo 644 codice penale (norma che demanda la concreta individuazione del tasso soglia alle rilevazioni trimestrali da eseguirsi secondo il procedimento di cui alla legge numero 108/96). Ed infatti, come noto, la norma penale in bianco necessità, per la sua applicazione dell’integrazione della fonte secondaria richiamata. Sarebbe illegittimo, di contra, una norma penale in bianco che, ai fini della sua applicazione, consentisse all’interprete (sia pur esso un giudice) la sua integrazione, ostando alla predetta operazione il principio di tassatività e frammentarietà del diritto penale. Questo il motivo della particolare pregnanza delle modalità con le quali i decreti ministeriali e la Banca d’Italia hanno data concreta applicazione alla norma citata, specificando, in relazione alle rilevazioni trimestrali, cosa debba essere compreso ai fini dell’individuazione del tasso effettivo globale. E, sotto tale profilo, da tale rilevazione rimangono esclusi i tassi moratori (l’esclusione peraltro si converte in un sicuro vantaggio anche per i mutuatari della banca, in quanto l’inclusione dei tassi moratori nelle rilevazioni trimestrali determinerebbe un generale aumento del tasso medio).

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Né può avere rilievo l’indagine, solo conoscitiva, eseguita nel 2002 e pubblicata unitamente al DM relativo al trimestre aprile/giugno 2003, in cui, solo a fini statistici, è stata rilevata una maggiorazione media di 2,1 punti percentuali degli interessi di mora rispetto agli interessi corrispettivi. Premesso che tale indagine ha avuto natura solo conoscitiva, è dirimente la circostanza che la medesima non sia stata più ripetuta (come desumibile dal fato che tale maggiorazione di 2,1 punti percentuali è stata riportata, nei medesimi termini e nella medesima misura, in tutti i successivi decreti fino all’attualità, ciò che rende ragione della deduzione in ordine all’assenza di ogni ulteriore indagine, sia pure conoscitiva, non potendosi credere che negli ultimi 14 anni sempre identica sia stata la maggiorazione media degli interessi moratori rispetto all’interesse corrispettivo). Ciò posto, comunque, con riferimento a tale tipologia di interessi, mancando una rilevazione trimestrale del tasso medio, non è possibile operare nessuna operazione di verifica (mancando uno dei termini da porre in relazione). Nel caso in esame parte attrice, onde sostenere la tesi della usurarietà ritiene che il tasso corrispettivo e quello moratorio andrebbero sommati, e tale tasso, derivante dalla citata sommatoria, dovrebbe considerarsi TEG del contratto. Ma tale operazione deve ritenersi erronea, poiché l’interesse moratorio viene in esistenza solo ipoteticamente, laddove il mutuatario si renda inadempiente all’obbligazione di pagamento delle rate e quindi, in via sostitutiva, di quello corrispettivo e non già in via cumulativa.

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Infatti gli interessi corrispettivi si applicano soltanto sul capitale a scadere, essendo il corrispettivo del diritto del mutuatario a godere della somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale, mentre gli interessi di mora si applicano soltanto sul debito scaduto. Il tasso di mora, dunque, sostituisce il tasso corrispettivo, e pertanto i due tassi non possono sic et simpliciter sommarsi tra loro. Operazione del tutto erronea è quindi quella di applicare l’interesse moratorio all’intero capitale da restituire, in quanto, nel momento genetico della conclusione del contratto, l’unica tipologia di interessi sicuramente dovuta è quella degli interessi corrispettivi mentre, eventuali interessi moratori potranno essere applicati solo nelle ipotesi in cui il mutuatario rimanga inadempiente, e non certo sull’intero capitale mutuato, bensì solo su una frazione di debito non oggetto di adempimento o di tempestivo adempimento…]». 2. Hanno proposto appello X e Y contestando la sentenza di primo grado sotto vari profili e chiedendo, previa riforma dell’impugnata sentenza, accogliere tutte le domande svolte in primo grado e segnatamente: 1) in via principale: accertare e dichiarare che il tasso di mora pattuito pari al 9,50% costituisce tasso usurario in riferimento al tasso soglia del periodo (8,34%) relativo ad operazioni di mutuo ipotecario e per l’effetto, dichiarare l’usura pattizia in relazione alla misura del tasso di mora e conseguentemente dichiarare la conversione del mutuo in mutuo a titolo gratuito con conseguente non dovutezza di tutti gli interessi pagati e quantificati in Euro 19.432,43


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e condannare la banca alla restituzione integrale degli stessi, oltre interessi fino al saldo; 2) in via subordinata: accertare e dichiarare che la previsione del calcolo degli interessi di mora sull’intera rata insoluta comporta l’applicazione di interessi composto che incidono sul costo del capitale nella misura del 18,16% a fronte di un tasso soglia per il periodo di riferimento pari al 8,34% e per l’effetto dichiarare l’usura pattizia in relazione alla statuizione di applicabilità del tasso di mora sull’intero importo della rata e conseguentemente disporre la conversione del mutuo in mutuo a titolo gratuito con conseguente non dovutezza di tutti gli interessi pagati e quantificati, con condanna della banca alla restituzione degli stessi, oltre interessi fino al saldo; 3) in via ulteriormente subordinata: accertare e dichiarare la violazione degli artt. 1283 e 1284 c.c. nonché dell’art. 117 t.u.b. e per l’effetto, dichiarare come dovuti, in luogo degli interessi convenzionali, interessi al saggio legale corrente tempo per tempo in riferimento al periodo di ammortamento del mutuo ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1418, 1346 e 1284 c.c. Ha resistito parte appellata Banca Z formulando preliminarmente eccezione ex art. 348-bis c.p.c. e chiedendo il rigetto dell’appello. 2.1 All’udienza indicata in epigrafe le parti anno precisato le conclusioni e la Corte ha deciso la causa, all’esito della discussione orale, mediante lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione ai sensi dell’art. 353, ultimo comma, c.p.c. Motivi della decisione 3. L’appello, composto di 33 pagine, è articolato in tre motivi.

3.1. Gli appellanti, dopo aver ricostruito (fino a pag. 7 ) le vicende in fatto e processuali, dopo aver lamentato che il Tribunale è pervenuto alla decisione di rigetto di tutte le domande attrici “interpretando in maniera errata e contraddittoria gli elementi di fatto e quelli probatori portati alla sua attenzione” e sottolineato “…la scarsa attenzione mostrata dal GOT…” anche per aver ritenuto irrilevante il deposito degli estratti conto (per i quali i ricorrenti avevano formulato istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c.) poiché oggetto del giudizio era un mutuo e non un conto corrente così dimostrando “…di non aver compreso né il senso né a finalità di tale richiesta” e che i ricorrenti avevano avanzato richiesta di copia di detti estratti per il periodo corrispondente all’ammortamento del mutuo senza che la Banca avesse fornito integrale riscontro ex art. 119 t.u.b., sicché detta declaratoria di irrilevanza da parte del Tribunale dimostrava “la distratta e superficiale lettura degli atti…”, con primo motivo – intitolato “erronea interpretazione della normativa in materia di usura sulla rilevanza dei tassi moratori” (pp. 9/24) – gli odierni appellanti si dolgono della contraddittorietà della motivazione contenuta nella sentenza impugnata in ordine all’applicabilità , anche ai tassi moratori, “del disposto di cui all’art. 644 c.p., reiterando la propria tesi con il richiamo di giurisprudenza di merito e di legittimità (unitamente alla pronuncia n. 29/00 della Corte Costituzionale) e contestando la portata vincolante delle Circolari delta Banca d’Italia. Precisano gli appellanti (v. p. 21 dell’atto di gravame) che esiste un solo tasso soglia e che va esclusa l’esistenza di un tetto di usura “ad hoc” per gli interessi di mora.

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Concludono, quindi, gli odierni appellanti che i1 mutuo deve essere ritenuto o gratuito ex art. 1815 comma 2 c.c., con condanna della banca alla restituzione integrale degli interessi ad essi pagati. 3.2. Col secondo motivo (pp. 24/26) – intitolato “erronea interpretazione della domanda subordinata” – gli appellanti denunciano che il Tribunale sarebbe incorso in un grave errore interpretativo non avendo essi mai sostenuto la tesi della sommatoria o cumulo tra tassi corrispettivi e moratori, avendo piuttosto dimostrato che l’applicazione del tasso di mora sulla intera rata scaduta – comprensiva della quota di interessi corrispettivi – comportava l’applicazione di un tasso effettivo diverso dal quello pattuito e superiore al limite dell’usura. Concludono, quindi, gli appellanti invocando la restituzione di tutte le somme versate a titolo di interessi. 3.3. Col terzo motivo (pp. 26/30) – intitolato “mancata pronunzia sulla contestata violazione dell’art. 117 t.u.b.” – gli appellanti lamentano che il Tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi in ordine alla domanda di violazione di detta norma per indeterminatezza del tasso contrattualmente pattuito e riportano integralmente le allegazioni già svolte nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, concludendo per la sostituzione automatica delle clausole con conseguente applicazione del tasso legale determinato. 4. L’appello è infondato. 4.1. I motivi di gravame, tutti strettamente connessi tra loro, possono essere unitamente delibati. Va, preliminarmente, ricordato il principio secondo il quale “il giudizio

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d’appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata (“novum judicium”) ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata (“revisio prioris instantiae”). Ne consegue che l’appellante assume sempre la veste di attore rispetto al giudizio di appello, e su di lui ricade l’onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale di attore o convenuto assunta nel giudizio di primo grado” (v. Cass. SU, n. 3033/13, e tra le molteplici conformi Cass. n. 20836/l8). Va, ancora, ricordato – sempre in punto di oneri di allegazione e prova a carico dell’appellante – che è consolidato il principio giurisprudenziale secondo il quale la mera produzione ne di documenti in appello non comporta automaticamente il dovere del giudice di esaminarli, atteso che alla produzione si deve accompagnare la necessaria attività di allegazione diretta ad evidenziare il contenuto del documento ed il suo significato (v. Cass. n. 8377/09); pertanto, la dove i motivi di appello sono argomentati mediante il richiamo della documentazione prodotta, è necessaria – ai fini della specificità dei motivi ex art. 342 c.p.c., – l’indicazione puntuale e non generica dei documenti ai quali è affidato il gravame (v. Cass. n. 20287/05), con la conseguenza che in mancanza al giudice resta impedita la valutazione di quei documenti ai fini della decisione (v. Cass. n. 8599/03). Alla luce di tali condivisibili principi, rileva la Corte che nessuno dei profili di doglianza – svolti dagli odierni appellanti – risultano meritevoli di accoglimento.


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Quanto, in primo luogo, alla premessa inerente il mancato accoglimento della istanza ex art. 210 c.p.c. – che sarebbe stata formulata a fronte dell’ inadempimento della banca rispetto alla richiesta ex art. 119 t.u.b. formulata dagli originari ricorrenti – va evidenziato che, a parte la genericità della doglianza e la mancanza di qualsivoglia riferimento documentale, in primo grado il Tribunale, con ordinanza in atti, ha ritenuto – quanta meno implicitamente – fondata la richiesta, stante la carenza di prova circa la tempestività della istanza ai sensi della citata norma. Va, infatti, ricordato che la detta istanza – presentata il 20.11.2013 – non e stata depositata tempestivamente dai ricorrenti, che hanno provveduto solo in corso di giudizio in data 23.9.2016, oltre il termine di decadenza con tutte le preclusioni accertate dal Tribunale. Ne consegue che la doglianza odierna rispetto alla motivazione espressa dal giudice di primo grado nella sentenza è in parte inammissibile e in parte infondata, stante il carattere assorbente della detta tardività della produzione documentale in forza della quale la richiesta ex art. 210 c.p.c. è stata, anche in questa sede, formulata. Con riferimento alla usurarietà originaria del tasso di mora, deve prendersi atto che con la recente sentenza n. 26286/19 la Corte di legittimità ha affermato il seguente principio “Nei rapporti bancari, gli interessi convenzionali di mora, al pari di quelli corrispettivi, sono soggetti alla applicazione della normativa antiusura, con la conseguenza che laddove la loro misura oltrepassi il c.d. “tasso soglia” previsto dall’art. 2

della l. n. 108 del 1996, si configura la cosiddetta usura “oggettiva” che determina la nullità della clausola ai sensi dell’art. 1815, comma 2 c.c. Non è a ciò di ostacolo la circostanza che le istruzioni della Banca d’Italia non prevedano l’inclusione degli interessi di mora nella rilevazione del T.E.G.M. (tasso effettivo globale medio) che costituisce la base sulla quale determinare il “tasso soglia”. Poiché la Banca d’Italia provvede comunque alla rilevazione della media dei tassi convenzionali di mora (solitamente costituiti da alcuni punti percentuali da aggiungere al tasso corrispettivo) è infatti possibile individuare il “tasso soglia di mora” del semestre di riferimento, applicando a tale valore la maggiorazione prevista dall’art. 2, comma 4, della l. n. 108 del 996. Resta tuttavia fermo che dovendosi procedere ad una valutazione unitaria del saggio d’interessi concretamente applicato – senza potere più distinguere, una volta che il cliente è costituito in mora, la parte corrispettiva da quella moratoria – al fine di stabilire la misura oltre la quale si configura l’usura oggettiva, “il tasso soglia di mora” deve essere sommato al “tasso soglia” ordinario (analogamente a quanto previsto dalla sentenza delle Sezioni unite n. 16303 del 2018, in tema di commissione di massimo scoperto)”. Anche a voler pertanto, condividere tali argomenti, ritiene la Corte che nel caso in esame il petitum sostanziale formulato dagli originari ricorrenti rende del tutto irrilevante il ragionamento logico­giuridico che pure viene reiterato nel gravame. Infatti, sin dall’atto introduttivo del giudizio gli odierni appellanti hanno chiesto dichiararsi la gratuità del mutuo e la restituzione degli interessi dagli stessi versati.

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A tale proposito, va ricordato che il mutuo, acceso in data 9.5.2002, è stato estinto anticipatamente in data 10.5.2011, unitamente al conto corrente utilizzato per le operazioni di gestione del mutuo stesso. Ora i ricorrenti oggi appellanti non hanno mai allegato né provato – come pure era loro onere anche in questa sede – di aver esborsato alcuna somma a titolo di interessi di mora, sicché la mera declaratoria di usurarietà del tasso di mora sarebbe priva di alcuna utilità, con conseguente carenza di interesse ex art. 100 c.p.c. in questa sede. In ogni caso, deve aggiungersi che la sopra ricordata sentenza fa, a sua volta, richiamo ad un sistema di calcolo ben preciso – già proposto peraltro dalla banca appellata sin dalla difesa di primo grado – con la conseguenza che l’operazione matematica offerta dai ricorrenti è errata, perché non tiene conto della maggiorazione ex art. 2, comma 4, l. n. 108/96, con l’ulteriore conseguenza che non può affatto dirsi superato il tasso soglia usura per il tasso di mora. Ancora: che la stessa sentenza richiama la pronuncia a Sezioni Unite n. 16303/18 (confermata da Cass. n. 1464/19) che risulta di peculiare importanza nella vicenda in esame, atteso che in essa si fa riferimento – per il confronto – alla commissione di massimo scoperto (alla quale la pronuncia n. 26286/19 assimila il tasso di mora) “applicata” nonché agli interessi corrispettivi in concreto “praticati”; tale operazione, invero, non è possibile nella fattispecie ove non è stato né allegato né tantomeno provato un esborso a titolo di interessi moratori, sicché l’operazione è di fatto impossibile.

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Destituita di fondamento, poi, è la domanda volta ad ottenere la declaratoria di “gratuità” del mutuo, che risulta investire non solo gli interessi moratori, ma anche quelli corrispettivi. A tale proposito su tali questioni la Corte di legittimità si è anche di recente espressa con un orientamento ormai consolidato. Segnatamente, dopo aver riaffermato che l’art. 1 l. n. 108/96 riguarda sia gli interessi corrispettivi che gli interessi moratori (v. Cass., n. 22890/19; Cass., 23192/17; Cass. n. 5598/17; Cass., n. 1748/11; Cass., n. 10032/04; Cass., 5324/03), ha precisato che è nullo il patto con il quale si convengono interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all’art. 2, l. n. 108/96, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali (Cass. n. 27442/18), escludendo, poi, che in tema di conseguenze scaturenti dalla nullità degli interessi di mora usurari possa derivare l’applicazione per detti interessi dell’art. 1815, comma 2, c.c., in ragione della comunque persistente diversità tra interessi corrispettivi e moratori sul piano causale, trovando solo i secondi la propria fonte nell’inadempimento e, pertanto, non potendo ricevere lo stesso trattamento che viene riservato agli interessi corrispettivi, ossia al tipo di interessi cui la norma fa riferimento. Detto principio è stato esplicato più chiaramente dalla pronuncia n. 21470/17 che ha precisato che l’art, 1815 comma 2, c.c., nel prevedere la nullità della clausola relativa agli interessi ove questi siano usurari, intende per clausola la singola disposizione pattizia che contempli interessi eccedenti il tasso soglia, indipendente-


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mente dal fatto che essa esaurisca la regolamentazione dell’entità degli interessi dovuti in forza del contratto e che la sanzione ex art. 1815, comma 2, c.c. non può che colpire la singola pattuizione che programmi la corresponsione di interessi usurari non investendo le ulteriori disposizioni che, anche all’interno della medesima clausola, prevedano l’applicazione di interessi che usurari non siano. Dunque, per gli interessi di mora nulla deve essere restituito perché non vi e prova che qualcosa a tale titolo sia stato pagato dagli appellanti; per gli interessi corrispettivi non può operare una eventuale nullità della clausola pattizia riferita ad altra e distinta voce di interessi, tenuto conto anche della diversa natura tra gli stessi riaffermata dall’orientamento giurisprudenziale sopra ricordato. Condividendo questa Corte i principi sopra ricordati, deve pervenire al rigetto anche del secondo motivo di gravame con il quale viene riproposta la questione del calcolo degli interessi di mora sulla rata composta da sorte capitale e interessi corrispettivi. Trattasi di un prospettato fenomeno “anatocistico”, che non può dirsi configurabile – tanto che la stessa Corte di legittimità con la pronuncia n. 26286/19 ha affermato che quello del “cumulo” tra le due tipologie di interessi e un “falso problema” – proprio in ragione della diversità ontologica dei due tassi in discussione. Residua, a questo punto, la sola questione – proposta in via ulteriormente subordinata – avente ad oggetto la indeterminatezza del tasso contrattualmente previsto perché in realtà – sostengono gli appellanti – con il sistema di ammortamento alla France-

se si perviene all’applicazione di tassi maggiori rispetto a quelli che vengono prospettati nel contratto stesso. Gli appellanti lamentano una omessa pronuncia da parte del Tribunale che, invero, con le argomentazioni tutte svolte nella sentenza ha indicato il ragionamento logico-giuridico in base al quale anche l’ultima domanda attrice risultava infondata, pronuncia che quanto meno deve intendersi formulata in modo implicito Ritiene la Corte che l’ultima doglianza svolta dagli appellanti è in parte inammissibile e in parte infondata. Sotto il primo profilo il motivo di gravame difetta di specificità, in mancanza di alcun esatto riferimento puntuale a documenti o svolgimento dei calcoli in ordine agli interessi effettivamente praticati, sì da poter arguire che questi ultimi sono stati effettivamente superiori al calcolo, anche solo astratto, praticabile sulla base del contratto, al quale, invero, neppure si fa specifico richiamo quale documento allegato, neppure dal punto di vista testuale. Sotto il secondo profilo, gli originari ricorrenti sostengono – sin dal primo grado – che sarebbe stato applicato un interesse composto non previsto dal contatto e che diversi elementi essenziali non sarebbero stati oggetto di specifica informativa e non si evincerebbero in modo esplicito dalla regolamentazione negoziale, non potendosi reputare sufficiente l’approvazione da parte del cliente del piano di ammortamento allegato al contratto. In particolare, essi si riferiscono al regime finanziario in base al quale è stato costruito il piano di rimborso adottato, anche in relazione alle alternative

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possibili ed alla base di calcolo degli interessi, potendo questi astrattamente essere calcolati sulla quota capitale in scadenza, su tutto il capitale in essere o in base a criteri intermedi. A proposito di quest’ultimo punto assume che non è affatto scontato che gli interessi debbano essere pagati sull’intero capitale residuo e che al contrario, nel rispetto dell’art. 1194, comma 2, c.c., in assenza di una pattuizione sulle modalità di pagamento degli interessi, si debba considerare vigente la regola opposta, secondo cui gli interessi non possono che essere riferiti al capitale in scadenza, l’unico che risulti liquido ed esigibile ex art. 1282 c.c. Il risultato sarebbe la mancanza di una costanza della progressività di maturazione degli interessi e della loro proporzionalità al capitale finanziario, proprie del regime dell’interesse semplice, e la presenza, al contrario, di una loro lievitazione esponenziale. Ritiene la Corte che la sentenza impugnata va confermata anche su tale punto, sebbene con le seguenti integrazioni. Come è noto nell’ammortamento alla francese a fronte di un capitale preso a prestito al momento iniziale, il debitore deve corrispondere N rate di importo costante R comprensive di interessi, calcolati al tasso I e la costruzione del piano di ammortamento avviene secondo i seguenti criteri: 1. ciascuna rate costante è costituita da una quota-interessi decrescente e da una quota-capitale crescente; 2. la quota-interessi si ottiene moltiplicando per il tasso I il debito residuo del periodo precedente, tenendo presente che al tempo zero il debito residuo coincide con quello iniziale e, pertanto applicando la formula

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dell’interesse semplice (interessi = Capitale x tasso x tempo); 3. la quota-capitale è la differenza fra la rata del prestito e la quota-interessi dello stesso periodo; 4. il debito estinto alla fine del periodo è dato dalla somma del debito estinto alla fine del periodo precedente e della quota-capitale versata; 5. il debito residuo, che al tempo zero coincide con il debito iniziale si calcola per differenza fra il debito iniziale e quello estinto. Ne consegue che gli interessi vengono calcolati sulla quota capitale via via decrescente per il periodo corrispondente a ciascuna rata, al tasso nominale indicato in contratto e che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti. Così quando le parti hanno inserito in contratto la somma oggetto di mutuo, il tasso di interesse e il numero delle rate, non è più possibile alcun intervento successivo del mutuante, il quale non ha la possibilità di suddividere la rata fra quota capitale e quota interessi, poiché tale suddivisione è già contenuta nella definizione di una rata costante di quel determinato importo. Per queste ragioni la giurisprudenza assolutamente prevalente – rispetto alla quale, va precisato, gli odierni appellanti non hanno offerto alcuna contro-argomentazione, reiterando pedissequamente le allegazioni svolte in primo grado – ritiene che l’opzione per l’ammortamento alla francese non comporti l’applicazione di interessi anatocistici, e che non si pongano problemi di determinatezza delle


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pattuizioni contrattuali, perché una volta raggiunto l’accordo sulla somma mutuata, sul tasso, sulla durata del prestito e sul rimborso mediante un numero predefinito di rate costanti, la misura della rata discende matematicamente dagli indicati elementi contrattuali: il rimborso di un mutuo acceso per una certa somma, ad un certo tasso e con un prefissato numero di rate costanti, può avvenire solo mediante il pagamento di rate costanti di quel determinato importo. La tesi proposta da parte attrice, riprendendo posizioni sostenute nella lettura scientifica, si base sul fatto che il valore della rate è determinato con la formula dell’interesse composto, nella quale si esprime la volontà di rendere equivalente il capitale finanziato al suo valore futuro comprensivo di interessi anatocistici anziché il suo valore futuro calcolato al netto della produttività degli interessi maturati. Ora, è da escludersi qualsivoglia inadempimento o comportamento scorretto da parte della banca – che sembra profilarsi nelle allegazioni degli appellanti – alla luce delle seguenti considerazioni. Il piano di ammortamento, neppure richiamato dagli appellanti nonostante l’onere sugli stessi incombente ma desumibile dalle difese della banca appellata, riporta analiticamente la composizione di ogni singola rata in quota capitale e quota interessi, l’importo del capitale residuo alla scadenza di ciascuna rata, che costituisce la base di calcolo per la determinazione della quota di interesse di ciascuna rata; mentre il totale dovuto dal mutuatario costituisce banalmente il prodotto fra l’importo della rata, che è fisso, ed il numero delle rate, ed il modo ugual-

mente banale, per differenza rispetto al capitale erogato, si può calcolare l’importo totale degli interessi dovuti. Come si vede, il piano di ammortamento fornisce una dettagliata rappresentazione dei costi del finanziamento e delle modalità di restituzione (importo, numero e periodicità delle rate), tanto più che si tratta di mutuo a tasso fisso, il che esclude la configurabilità di un “effetto sorpresa” in fase di rimborso; in particolare la modalità di determinazione della quota di interessi di ciascuna rata (interessi su capitale residuo) è chiaramente determinata; mentre non si vede in base a quale riferimento normativo si possa richiedere la prospettazione di regimi finanziati alternativi non oggetto di proposta né di trattativa, o la discussione critica del regime finanziario applicato. Si deve concludere che gli elementi forniti consentivano l’esercizio della facoltà di verifica della corretta applicazione dei parametri individuati, non essendo stato concretamente prospettato un vizio di formazione del consenso né un materiale impedimento all’esercizio di tale verifica, che l’accettazione del piano di ammortamento ricomprende l’accettazione delle modalità matematico finanziarie di costruzione del medesimo, che comunque sono esplicitate nel contratto, e che l’accettazione dell’applicazione di tali parametri e del loro risultato, trasfuso nel piano di ammortamento, deve ritenersi idoneamente operata dal mutuatario, quale corrispondente ad una valutazione complessiva di convenienza dell’autoregolamentazione degli interessi attuata nel contratto. Infatti secondo l’insegnamento della Corte di legittimità il requisito della determinabilità dell’oggetto del contratto richiede semplicemente che siano identifi-

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cati i criteri oggettivi in base ai quali fissare, anche facendo ricorso a calcoli di tipo matematico, l’esatto contenuto delle obbligazioni dedotte, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità, mentre non rileva la difficoltà del calcolo necessario per pervenire al risultato finale né la perizia richiesta per la sua esecuzione (Cass. n. 25205/14). In sostanza, stabilito nell’accordo delle parti il piano di ammortamento – che costituisce la parte integrante del contratto –, le modalità della sua determinazione, se non contrastanti con la restante disciplina contrattuale, non possono rilavare sul piano dell’invalidità del contratto, né assumono rilevanza giuridica considerazioni basate semplicemente sulla convenienza di un piano di ammortamento basato sull’uno o sull’altro criterio. Venendo ora al punto focale delle contestazioni relative al piano di ammortamento, si deve osservare sul piano generale che quando si fa riferimento a concetti tratti dalla matematica finanziaria è necessario che degli stessi sia esplicitato il riferimento giuridico e che sia individuabile un risultato giuridicamente rilevante conseguente alla loro applicazione. In difetto tale riferimento si risolve nell’impropria invocazione dell’autorità, su una questione eminentemente giuridica, di conclusioni che si assumono scientificamente fondate in un altro ambito del sapere. Nello specifico, sulla quesitone dell’anatocismo – o sommatoria tra le due voci di interesse si è già detto. È evidente, peraltro, poiché l’anatocismo viene fondato solo sulla formula matematica adottata per il calcolo delle singole rate, che in ogni caso manca il suo presupposto essenziale, un pregresso debito per interessi sul

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quale si possa ipotizzare la produzione di ulteriori interessi. La contestazione in effetti si risolve nella mera affermazione della maggiore gravosità del piano di ammortamento determinata dal fatto che gli interessi sono esigibili via via che maturano nel corso dell’ammortamento del mutuo e non al momento della sua estinzione, e dal fatto che la banca non è obbligata a far credito al mutuatario anche del loro importo ma al contrario può fare propria, dal momento in cui il mutuatario è obbligato a corrisponderli, la naturale fecondità del corrispondente importo monetario, che le è reso disponibile per altri impieghi. Tale fenomeno però non ha nulla a che vedere con l’anatocismo ma costituisce una conseguenza naturale delle modalità determinate in contratto per l’adempimento dell’obbligazione del mutuatario, non sussistendo alcun divieto di prevedere l’esigibilità immediata degli interessi maturati nel corso dell’ammortamento, come si desume anche dalle disposizioni del codice civile che dettano una disciplina specifica dell’obbligazione di pagamento degli interessi (art. 1820, art. 2948, n. 4). In conclusione restano valide le ragioni, già esposte, sulla cui base si deve escludere che l’ammortamento alla francese implichi l’indeterminatezza del tasso di interesse, l’applicazione di un tasso superiore a quello dichiarato nel contratto, la violazione del divieto di anatocismo. (Omissis)


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(1-2) Ammortamento alla francese: equivoci alimentati da semplicismo e pregiudizio Sommario: 1. Premessa. – 2. Il tasso ex art. 1284 c.c. e il TAN del finanziamento. – 3. I finanziamenti a rimborso unico a scadenza e con piano di ammortamento alla francese (o a rata costante): il prezzo del finanziamento, l’anatocismo e la trasparenza.

1. Premessa. Nei procedimenti giudiziari relativi ai finanziamenti con ammortamento alla francese, le pronunce che hanno rigettato ogni forma di contestazione risultano fondate ricorrentemente su talune fondamentali argomentazioni, richiamate nella più recente sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 731 del 30 gennaio 2020: i) «la quota-interessi si ottiene moltiplicando per il tasso I il debito residuo del periodo precedente, tenendo presente che al tempo zero il debito residuo coincide con quello iniziale e, pertanto applicando la formula dell’interesse semplice (Interessi = Capitale x tasso x tempo); (...) gli interessi vengono calcolati sulla quota capitale via via decrescente per il periodo corrispondente a ciascuna rata, al tasso nominale indicato in contratto e che gli interessi conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale, ovverosia sul capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti». ii) «non si pongono problemi di determinatezza delle pattuizioni contrattuali, perché una volta raggiunto l’accordo sulla somma mutuata, sul tasso, sulla durata del prestito e sul rimborso mediante un numero predefinito di rate costanti, la misura della rata discende matematicamente dagli indicati elementi contrattuali: il rimborso di un mutuo acceso per una certa somma, ad un certo tasso e con un prefissato numero di rate costanti, può avvenire solo mediante il pagamento di rate costanti di quel determinato importo». Si è dell’avviso che pregnanti perplessità e criticità non vengano compiutamente esaminate, o addirittura risultino ignorate, sulla base di falsi preconcetti matematici e vesti logiche informate ad un ‘semplicismo’ che si arresta alla prima evidenza, equivocandone i nessi giuridici.

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2. Il tasso ex art 1284 c.c. e il TAN del finanziamento. Nella scienza finanziaria il TAN assume contorni definitori non propriamente coincidenti con quelli impiegati sul piano giuridico dal tasso ex art. 1284 c.c. e le risultanze operative non sempre risultano le medesime. Nella matematica finanziaria il TAN esprime il parametro da impiegare nei calcoli, che può essere declinato vuoi in regime semplice, vuoi in regime composto, con esiti diversi per l’ammontare degli interessi. Il TAN è il tasso, nel significato numerico di interesse, per il capitale unitario (o preferibilmente per 100) e per l’intervallo unitario di un anno, che prescinde dalle modalità temporali di pagamento, dal regime finanziario adottato – sia esso proporzionale (semplice) o esponenziale (composto) – e, naturalmente, dagli eventuali oneri, commissioni e spese annessi al finanziamento. Il TAN, da solo, senza l’indicazione dell’algoritmo di calcolo (regime finanziario), non consente di calcolare l’ammontare degli interessi; quest’ultimo, per un medesimo finanziamento, potrà risultare diverso in funzione del regime, semplice o composto, che attiene alle modalità e tempi di pagamento, nei quali interviene il TAN che, quindi, non necessariamente corrisponde al prezzo ex art. 1284 c.c.1. Risulta, invece, assodato che il richiamo al «saggio di interesse .... in ragione d’anno» dell’art. 1284 c.c. prescinde dai tempi nei quali interviene la corresponsione degli interessi ed è riferito esclusivamente alla proporzionalità del monte interessi pattuito al capitale finanziato e al periodo di godimento dello stesso; il tasso ex art. 1284 c.c. caratterizza sul piano economico il concetto di prezzo, richiamando d’appresso il regime semplice degli interessi: come ripetutamente ribadito dalla Cassazione, «le implicazioni economiche delle modalità temporali dell’adempimento sono estranee al contenuto dell’obbligazione»2.

1 «Quando in un regime, cioè in una formula, si sia specificato numericamente il valore del parametro, la formula matematica consente di capitalizzare o attualizzare univocamente per qualsiasi scadenza. Tale formula con parametro precisato si dice legge finanziaria (rispettivamente di capitalizzazione o d’attualizzazione). (...) «l’indicazione del tasso senza l’enfasi sulla formula porta a un’ambiguità ineliminabile perché per precisare una legge finanziaria non basta dire quanto vale il tasso, ma bisogna anche indicare qual è la formula in cui tale tasso va messo, quali sono, cioè, i calcoli da fare». (D’Amico, Luciano, Peccati, Calcolo finanziario, Temi base e temi moderni, Milano, 2018, pp. 7 e ss.). 2 Questo profilo, riferisce Pandolfini, ha formato oggetto di un acceso dibattito in occasione di taluni espropri dell’ENEL per i quali la legge 1643/62 prevedeva gli interessi del 5,50% annuo: «Sussisteva quindi un contrasto tra un tasso annuale e un

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Per un finanziamento ad un anno di € 1000 al TAN del 10%, con interessi calcolati trimestralmente, se questi vengono capitalizzati, il corrispettivo nell’anno si ragguaglia a € 103,8 e il prezzo del finanziamento, espresso dall’art. 1284 c.c., è pari al 10,38%; se, invece, vengono corrisposti trimestralmente, il corrispettivo nell’anno è pari a € 100,0 e il prezzo del finanziamento, espresso dall’art. 1284 c.c., è pari al 10,0%. In altri termini, l’art. 1284 c.c. coglie l’aspetto monetario del corrispettivo effettivamente corrisposto: nel regime composto, solo il pagamento trimestrale di € 25 per € 1000 di capitale rimane coerente con il tasso ex art. 1284 c.c. del 10% del regime semplice, mentre gli interessi, se corrisposti a fine anno si ragguagliano al tasso ex art. 1284 c.c. del 10,38%, non al TAN del 10% impiegato nell’algoritmo di calcolo3. Quando interviene la capitalizzazione periodica degli interessi, il TAN viene ad assumere sistematicamente un tasso inferiore al prezzo ex art. 1284 c.c. Nel regime composto, solo se gli interessi, anziché essere capitalizzati,

tempus solutionis degli interessi infrannuali (semestrali). Si era allora posto il problema se – come sostenuto dall’ente – il riferimento all’anno, cioè l’indicazione della misura del tasso per ogni anno di concessione del capitale, implicasse la determinazione non solo del quantum degli interessi, ma anche del momento di corresponsione di questi ultimi (e quindi se la norma ora menzionata mirasse a garantire un rendimento effettivo annuo pari al 5,50% con conseguente applicazione sule rate semestrali di un tasso del 2,71% circa) ovvero se il riferimento all’anno dovesse intendersi – come sostenuto dagli espropriati – nel senso che occorresse tenere in considerazione soltanto le scadenze relative agli interessi espressamente predeterminate, a nulla rilevando che queste incidessero sul quantum effettivo annuo del tasso d’interesse (cosicché nella fattispecie gli interessi erano dovuti al tasso nominale annuo del 5,50%, nella misura del 2,75% semestrale). La giurisprudenza prevalente, soprattutto di legittimità, ha optato quest’ultima soluzione, argomentando dalla norma di cui all’art. 821, 3° comma, c.c. – che prevede che gli interessi si acquistano giorno per giorno in ragione della durata del diritto – confermando in tal modo la vigenza del principio del tasso d’interesse nominale nel nostro ordinamento (Cass., 25.10.1972, n. 3224, in Rass. giur. en. elettr., 1973, 375; Trib. Roma, 30.11.1966, in Rass. Giur. En. Elettr. 1967, 59; trib. Milano, 10.7.1969, in Rass. giur. en. elettr., 1969, 864; App. Roma, 29.1.1970, in Rass. giur. en. elettr., 1970, 401; Trib. Roma, 19.10.1971, in Rass. giur. en. elettr.,1972, 260; App. Milano, 28.4.1972, in Rass. giur. en. elettr. 1972, 360; App. Roma, 20.6.1974, in Rass. giur. en. elettr., 1974, 803). Si è in tal senso affermato che ‘le implicazioni economiche delle modalità temporali dell’adempimento sono estranee al contenuto dell’obbligazione. La così detta anticipazione, se così si vuole chiamarla, è imposta dalla legge, e all’interprete non rimane che prenderne atto (Cass., 25.10.1972, n. 3224, Rass. giur. en. elettr. 1973,375)» (V. Pandolfini, Gli interessi pecuniari, Milano, 2016, pp. 241 ss.). 3 Rimane così evidente che il regime composto accompagnato dalla capitalizzazione degli interessi induce una maggiorazione anatocistica degli interessi che non trova espressione nel TAN.

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vengono corrisposti ad ogni scadenza periodale, prima del rimborso del capitale, il monte interessi rimane invariato rispetto al regime semplice e il corrispondente TAN viene a coincidere con in prezzo ex art. 1284 c.c.4.

Il prezzo ex art. 1284 c.c. è dato, come per ogni altro prodotto o servizio, dal corrispettivo pagato, mentre i tempi di pagamento attengono ad aspetti distinti e diversi dal prezzo: configurano impegni da onorare che riflettono per il mutuatario costi “figurativi”, non rientranti nel concetto di prezzo ex art. 1284 c.c., rigorosamente aderente all’importo degli interessi corrisposti5.

Il legislatore – tenendo nel debito conto il peculiare e parcellizzato tessuto produttivo nazionale, sostanzialmente banco-centrico nella dipendenza dal capitale e caratterizzato da una modesta emancipazione finanziaria, ha mediato, da un lato l’esigenza di evitare una incontrollata crescita degli interessi nel tempo, che verrebbe a pregiudicare lo stesso sviluppo del paese, dall’altro l’esigenza di accostare il mercato del credito al mercato finanziario, dove rimane di usuale impiego una misura del costo del denaro, informata al regime composto, più funzionale ma poco accessibile alla comprensione dell’operatore retail. È stata perseguita una via intermedia, ponendo il divieto, non all’impiego del regime composto degli interessi, ma alla produzione di interessi su interessi. Si è così consentito l’impiego del regime composto quando questo si caratterizza con il pagamento degli interessi, anticipato rispetto alla scadenza del capitale: in tali circostanze, infatti, il monte interessi non assume la forma della spirale ascendente, tipica dell’evoluzione esponenziale, ma si arresta al valore del regime semplice. In altri termini, rimane legittimato, ove pattuito, il costo, solo “figurativo”, dell’anticipato pagamento degli interessi rispetto alla scadenza del capitale, che, infatti, lascia invariato il costo riveniente dal regime semplice, al quale è informato l’art. 1284 c.c. Certamente si viene a creare una discrasia fra matematica e diritto, ma questo dipende esclusivamente dalla circostanza che il diritto aggiunge alle regole di equilibrio della matematica, altre regole, informate all’equilibrio del contratto e rivolte a temperare gli eccessi di liberismo del mercato. 5 Il tasso composto non è altro che una diversa metrica di espressione del costo del finanziamento che fonde in un’unica aliquota il costo effettivo e il costo figurativo implicito nei tempi di pagamento. Il criterio proporzionale, espresso dall’art. 1284 c.c., esprime, invece, il costo monetario effettivamente corrisposto, tenuto distinto e separato dai tempi di pagamento contemplati in contratto. Rispondono alla metrica del regime 4

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Occorre pertanto prestare attenzione alla distinzione fra il prezzo del finanziamento ex art. 1284 c.c. e il parametro espresso dal TAN impiegato nell’algoritmo di calcolo, rispondendo i due tassi a funzioni diverse, non propriamente coincidenti nell’esito espresso dal tasso stesso. Tuttavia, dopo la rimozione della deroga all’art. 1283 c.c., intervenuta con le modifiche all’art. 120 t.u.b., e l’espresso divieto posto all’impiego del regime composto “con capitalizzazione”, salvo le deroghe previste (finanziamenti in conto corrente), l’ammontare del costo del finanziamento, espresso dal TAN riportato in contratto, se correttamente applicato, viene a coincidere con il tasso ex art. 1284 c.c. Definito, dunque, in contratto il tasso ex art. 1284 c.c., l’obbligazione accessoria rimane univocamente definita nel valore che gli corrisponde nel rapporto proporzionale espresso nella metrica del regime semplice. L’anatocismo si configura se al tasso corrispettivo convenuto in contratto, atto ad individuare l’obbligazione accessoria, si accompagna una metrica diversa che induce una lievitazione accelerata degli interessi, discordante nell’esito finale dal rapporto prescritto dalla norma. Nei contratti di finanziamento viene ordinariamente riportato il valore del capitale finanziato e, per gli interessi convenuti, in luogo dell’ammontare viene riportata, come indicato dalla norma, la misura del prezzo espressa dal tasso corrispettivo: la prescrizione dell’art. 1284 c.c., di fatto, viene sopperita con l’indicazione del TAN; con un ambiguo retaggio storico, si continua ad indicare la misura del costo del finanziamento con il tasso espresso dal parametro matematico (TAN) che, tuttavia, nella circostanza, assume propriamente la funzione di tasso corrispettivo (art. 1284 c.c.)6.

composto il TAE e il TAEG che ‘incorporano’ anche il timing del pagamento o capitalizzazione, fissati convenzionalmente pari al tasso effettivo equivalente finanziariamente al pagamento annuale degli interessi: ad un TAN del 10%, pagato in quattro rate trimestrali, corrisponde un TAE del 10,38%, in quanto si incorpora in questo tasso il reimpiego infrannuale dei pagamenti periodici. Nel tasso composto sono ricompresi gli eventuali frutti ed oneri ‘figurativi’ che non trovano necessariamente espressione in un effettivo pagamento. 6 Successivamente al ’92, la capitalizzazione degli interessi ha visto la portata applicativa ridimensionata dalla giurisprudenza e dallo stesso legislatore del t.u.b. Il revirement della Cassazione sull’anatocismo e il recepimento della Direttiva sul credito al consumo hanno indotto a tralasciare il termine ‘nominale’ ed ora le norme di trasparenza, mutuando la Direttiva sul credito al consumo, prevedono più semplicemente che i contratti riportino «il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati», con la precisazione: «Con particolare riferimento ai tassi di interesse, si richiama quanto pre-

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A causa dell’improprio utilizzo terminologico del TAN in luogo del tasso corrispettivo ex art. 1284 c.c., si riscontra frequentemente un uso promiscuo dei due tassi. Non rimangono affatto immediati ed intuitivi la distinzione ed il rapporto fra tasso ex art. 1284 c.c., TAN, monte interessi e regime finanziario. Come si è mostrato, lo stesso importo degli interessi può essere espresso in una metrica informata al regime semplice o composto, ai quali corrispondono ordinariamente TAN diversi7. Dato che ogni tasso composto può essere espresso nell’equivalente tasso semplice, coerente con il rapporto proporzionale dell’art. 1284 c.c. e viceversa, la criticità dell’anatocismo non interessa né il quantum né la modalità

visto ai sensi dell’art. 120 del T.U». Nel glossario dei termini tecnici della Banca d’Italia il significato del TAN viene ricondotto al tasso corrispettivo; si riporta: «Il TAN indica il tasso di interesse (ossia il prezzo), in percentuale e su base annua, richiesto da un creditore sull’erogazione di un finanziamento». Nell’Allegato 3 delle Norme di Trasparenza è ancor più esplicito il riferimento all’art. 1284 c.c.: si definisce il «Tasso di interesse nominale annuo» come il «Rapporto percentuale, calcolato su base annua, tra l’interesse (quale compenso del capitale prestato) e il capitale prestato». 7 Nel regime semplice il TAN esprime l’effettivo esborso per interessi, mentre nel regime composto, poiché l’algoritmo di calcolo, nel quale viene impiegato il parametro espresso dal TAN, considera, oltre al capitale utilizzato, anche il tempo nel quale interviene il pagamento degli interessi, il TAN viene riferito al montante così che, in presenza di scadenze degli interessi che precedono il loro pagamento, la funzione proporzionale del TAN passa dal capitale al montante, assumendo in rapporto al primo una funzione esponenziale. In presenza di interessi capitalizzati, il TAN del regime composto sarà inferiore al TAN del regime semplice che esprime il medesimo monte interessi. In altri termini, se il TAN è impiegato in regime composto – riferito al montante con capitalizzazione degli interessi – il tasso non esprime gli interessi su interessi, che rimangono insiti nell’algoritmo di calcolo, ma che vanno compresi, invece, nel rapporto di proporzionalità espresso dal tasso ex art. 1284 c.c. Alla base del rendimento composto c’è l’equivalenza al pagamento annuale: il tempo del pagamento viene equivalentemente uniformato al pagamento annuale, cioè il pagamento di € 100 (10%) pagato annualmente, equivale a € 24,1 pagati trimestralmente e a € 1.595 pagati in unica soluzione al termine dei dieci anni. L’equivalenza è ‘consistente’, nel senso che si accosta alla realtà fattuale, solo in un mercato finanziario governato e calmierato dalla concorrenza, dove in ogni momento (a meno delle commissioni) ogni partecipante può raccogliere finanziamenti o impiegare disponibilità finanziarie al 10%. L’equivalenza rimane una mera congettura teorica in un mercato pressoché privo di concorrenza, dove il tasso praticato è frequentemente governato dall’asimmetria contrattuale e informativa. In tale mercato i rapporti di equivalenza finanziaria fra tempistiche di pagamento diverse è preferibile rimetterli, in termini elementari, accessibili e trasparenti, direttamente al prenditore che, in considerazione degli interessi da corrispondere, potrà meglio ‘calzare’ i pagamenti ai rapporti di equivalenze corrispondenti alle proprie esigenze e disponibilità future.

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di pagamento, bensì riguarda l’espressione della pattuizione. Il divieto di anatocismo risponde fondatamente ad un’esigenza di trasparenza, interessando, non tanto l’algoritmo e il TAN impiegati nel calcolo degli interessi alle distinte scadenze di pagamento, quanto la modalità, in corrispondenza al tasso ex art. 1284 c.c., con la quale viene pattuito il costo del finanziamento espresso in contratto8. Il TAN, se impiegato per capitalizzare periodicamente gli interessi, come menzionato, perde la funzione di misura del costo del finanziamento espresso dal prezzo ex art. 1284 c.c. in quanto la lievitazione esponenziale del monte interessi, realizzata dall’algoritmo di calcolo, non trova alcun riflesso nel parametro impiegato (TAN)9. In particolare, nell’ammortamento alla francese (o a rata costante), al TAN indicato in contratto corrispondono due valori della rata e quindi dell’obbligazione accessoria, corrispondenti alla metrica del regime semplice e composto10. Se si impiega la prima, l’obbligazione accessoria assume un valore più basso, corrispondente ad un prezzo ex art. 1284 c.c. eguale al TAN. Se si impiega la seconda – come ordinariamente praticato dagli intermediari finanziari - l’obbligazione accessoria è più elevata per l’effetto anatocistico indotto dal regime composto, che nella circostanza ricomprende la capitalizzazione degli interessi, impiegata nella determinazione del valore della rata: conseguentemente il tasso ex art. 1284 c.c., espresso dall’obbligazione accessoria ricompresa nella rata esplicitata in contratto, risulta più alto del TAN indicato in contratto, impiegato nella costruzione del piano di rimborso e pagamento degli interessi corrispettivi11.

8 Già nel ’92 A. Nigro riconduceva l’anatocismo all’interno della tematica della trasparenza in La legge sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari: note introduttive, in Dir. banc., 1992, I, p. 421). 9 Per un approfondimento, cfr.: Marcelli, Pastore, Valente, TAN, TAE TAEG nei finanziamenti a rimborso in unica soluzione e nei finanziamenti a rimborso graduale, in Banca, borsa, tit. cred., n. 6/2019. 10 I manuali di matematica finanziaria, adeguandosi agli usi uniformemente impiegati sul mercato finanziario, associano ormai l’impiego dell’ammortamento alla francese (o a rata costante) alla capitalizzazione composta, con gli interessi della rata calcolati in regime composto. Ma questa non è l’unica alternativa che la scienza finanziaria offre per i piani a rata costante: è solo un uso o consuetudine negoziale, praticato nel mercato finanziario, trasposto ed ‘imposto’ nei contratti impiegati dagli intermediari bancari nel mercato del credito. 11 La dizione ammortamento “alla francese” riportata nei contratti, richiama nell’uso corrente esclusivamente la tipologia di modello a rata costante: quale che siano le diverse specificazioni che di tale modello offre la scienza finanziaria, nei termini e modalità impiegati, al mutuatario perviene solo ed esclusivamente il concetto di rata costante. Per-

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Pertanto, contrariamente a quanto asserito nella sentenza richiamata, una volta raggiunto l’accordo sulla somma mutuata, sul tasso, sulla durata del prestito e sul rimborso mediante un numero predefinito di rate costanti, la misura della rata non discende matematicamente in maniera univoca dagli indicati elementi contrattuali. A seconda che il tasso pattuito sia impiegato nel regime semplice o composto, matematicamente la misura della rata presenta valori diversi. Considerata la preminenza giuridica (tasso ex art. 1284 c.c.), richiamata dalla sentenza in argomento, sui principi e regole della matematica finanziaria (TAN), subalterni e funzionali alla determinazione della rata, solo ed esclusivamente con il regime semplice si perviene ad un valore dell’obbligazione accessoria coerente con la proporzionalità lineare del tasso ex art. 1284 c.c. indicato in contratto; con l’impiego del regime composto, gli interessi compresi nella rata costante prevista nella pattuizione contrattuale, vengono ad assumere, rispetto al tempo e al capitale, una funzione esponenziale, alla quale corrisponde, matematicamente, una produzione di interessi su interessi, contraria al disposto degli artt. 1283 c.c. e 120 t.u.b.12.

3. I finanziamenti a rimborso unico a scadenza e con piano di ammortamento alla francese (o a rata costante): il prezzo del finanziamento, l’anatocismo e la trasparenza. Nei finanziamenti a rimborso unico alla scadenza – definiti importo (C), durata (N) e tasso – la pattuizione risulta univocamente determinata in ogni aspetto. L’obbligazione accessoria (I) non è espressamente riportata in contratto nel suo ammontare, ma risulta univocamente de-

tanto, la dizione ammortamento ‘alla francese’, nel significato correntemente impiegato, nulla dice del regime finanziario che governa il piano di rientro, né tanto meno indica univocamente il criterio di imputazione adottato. Di riflesso, viene meno quel rapporto di univocità che, con l’accordo fra le parti – esclusivamente circoscritto all’importo del finanziamento, al tasso e alla periodicità delle rate – rende il piano di ammortamento una mera conseguenza matematica, univocamente determinata: questo aspetto viene frequentemente travisato. 12 Occorre altresì rilevare che, prima della legge n. 147/2013 e della successiva n. 49/16 che ha disposto la nuova formulazione dell’art. 120 t.u.b. oggi vigente, l’art. 6 della Delibera CICR 9 febbraio 200 ex lege 342/99 prevedeva e prevede tuttora la specifica approvazione delle clausole di capitalizzazione infrannuale; detto articolo conserva il suo potere dispositivo, traendo la sua fonte, non dall’art. 120 t.u.b., bensì dalle norme di trasparenza espressamente richiamate nella Delibera.

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terminata dal prezzo ex art. 1284 c.c., corrispondente al TAN indicato in contratto che, come menzionato, sopperisce alla prescrizione normativa (artt. 1284 c.c. e 117 t.u.b.). Gli artt. 821, 1284 e 1283 c.c. impongono inequivocabilmente il costo degli interessi proporzionale al finanziamento ricevuto, espresso dall’importo risultante dal regime semplice, da corrispondere, salvo diverso accordo, alla scadenza unitamente al rimborso del capitale. Sotto i menzionati vincoli posti dall’ordinamento, dati i termini della pattuizione, la matematica finanziaria determina univocamente l’importo dell’obbligazione accessoria, ricavata dalla formula del regime semplice: I = C x (1 + N x TAN) – C. Variante legittima. Le parti possono prevedere, ancor prima della scadenza del capitale, il pagamento periodico degli interessi, limitatamente alla quota maturata. Sotto i menzionati vincoli posti dall’ordinamento, la matematica finanziaria determina l’importo di tali pagamenti, con la formula dell’interesse semplice: I = C x (1 + k x TAN) – C, dove k è la periodicità espressa in anni (mensile 1/12 di anno, trimestrale 3/12 di anno, ...). Variante illegittima. Se le parti prevedono alla scadenza il pagamento di un’obbligazione accessoria il cui importo è la risultante dell’impiego del TAN in regime composto, espresso matematicamente dalla formula: I = C x (1 + TAN)N – C, si configurano, congiuntamente, le violazioni degli artt. 1283 e 1284 c.c. Da un lato, l’obbligazione accessoria convenuta in contratto, al tasso indicato dal TAN impiegato in regime composto, perde la proporzionalità lineare con l’obbligazione principale, per assumere uno sviluppo esponenziale con il tempo; dall’altro, il TAN indicato in contratto, assolvendo esclusivamente la funzione di parametro di calcolo, viene ad esprimere un tasso diverso dal prezzo ex art. 1284 c.c. Nella circostanza, si impone la caducazione delle clausole nulle e/o la sostituzione con la clausola legale dell’art. 117 t.u.b., co. 7, c.c. Le risultanze, ancorché più articolate e complesse, rimangono invariate per i finanziamenti con ammortamento alla francese che, parimenti, impiegano il regime composto nella determinazione della rata costante. Anche per i finanziamenti con piano di ammortamento alla francese – definiti importo (C), durata (N), periodicità (k), rata (R) e TAN – gli artt. 821, 1284 e 1283 c.c. impongono il pagamento proporzionale degli interessi, corrispondente all’importo risultante dal regime semplice, da corrispondere, salvo diverso accordo, alla scadenza unitamente al rimborso del capitale. La matematica finanziaria, dall’indicazione del TAN e dal valore della rata indicati in contratto, ne deduce, in via induttiva, l’applicazione del

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regime finanziario, impiegato per determinare il valore dell’obbligazione accessoria inclusa nella rata stessa. Infatti, ogni piano di ammortamento definito sulla rata (compreso quello a rata costante) può essere declinato, impiegando il TAN indicato in contratto, in regime semplice o in regime composto: come menzionato, al primo corrisponderà una rata minore (Rm), al secondo una rata maggiore (RM); quindi, il valore della rata riportata in contratto individua, congiuntamente al TAN, il regime finanziario pattuito in contratto che, attraverso i corrispondenti vincoli di chiusura, viene a presiedere la successiva determinazione del piano di rimborso del capitale e pagamento degli interessi corrispettivi. Se il valore della rata indicato in contratto corrisponde al minore (Rm), risulta accertata la proporzionalità dell’obbligazione accessoria a quella principale e il relativo prezzo ex art. 1284 c.c. risulta coincidente con il tasso espresso dal TAN. Se il valore della rata indicato in contratto corrisponde al maggiore (RM), risulta disattesa la proporzionalità del regime semplice, in quanto il valore espresso dall’obbligazione accessoria esprime, via via rispetto al tempo, valori maggiori, secondo uno sviluppo esponenziale13.

La Tav. 2 mostra come, per il medesimo TAN (10%), il divario fra la rata costante definita in regime semplice e quella definita in regime composto cresce significativamente con la durata del finanziamento.

Marcelli, Pastore, Valente, ‘L’ammortamento alla francese. Il regime composto e l’anatocismo: la verità celata’, in Il Risparmio, 1/19; Marcelli, Ammortamento alla francese: equivoci e pregiudizi. La sentenza del Tribunale di Roma, V. Carlomagno, n. 17766 del 19/9/19, in IlCaso.it. 13

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Rimane assodato che, per il tasso espresso dal TAN riportato in contratto – elemento sul quale si appunta sostanzialmente il consenso e la consapevolezza del prezzo ex art. 1284 c.c. della transazione creditizia – la matematica finanziaria contempla, alternativamente, un monte interesse semplice, che risponde al criterio di infruttuosità degli interessi maturati, ed un monte interessi maggiorato, che risponde al criterio di fruttuosità degli interessi via via maturati14. Nell’ammortamento alla francese (o a rata costante), nelle modalità ordinariamente praticate dagli intermediari, il regime finanziario composto e il corrispondente valore del monte interessi rimangono inespressi, inclusi implicitamente nel valore maggiorato della rata riportata in contratto15. Infatti, solo con l’impiego del tasso quale parametro di calcolo (TAN) in regime composto di capitalizzazione degli interessi, si consegue il valore della rata indicata in contratto, mentre con l’impiego proporzionale del tasso ex art. 1284 c.c. nel regime semplice si perviene ad un valore della rata inferiore. Le modalità di rimborso del capitale e pagamento degli interessi alle distinte scadenze intervengono successivamente alla pattuizione del corrispettivo e, nella circostanza, quali esse siano, per gli stessi vincoli di costruzione dettati dalle variabili indipendenti fissate in contratto, non possono che esprimere, nelle variabili dipendenti risultanti nel piano di ammortamento, l’importo dell’obbligazione accessoria maggiorata, propedeuticamente convenuta in contratto16. Nella numerose sentenze che si sono occupate dell’ammortamento alla francese, come in quella in argomento, risulta invertito il nesso cau-

14 Solo recentemente talune sentenze vengono riconoscendo la presenza del regime composto nella determinazione della rata. (Cfr. Trib. Torino, E. Astuni, 30 maggio 2019). 15 La convenzione esponenziale relativa all’importo dell’obbligazione accessoria rimane inclusa nel valore stesso della rata pattuita, determinata con la formula dell’interesse composto, nella quale si esprime la volontà, questa sì giuridica oltre che matematica, di equiparare al capitale finanziato C, il corrispondente valore futuro, espresso da M = C x (1+i)k, comprensivo di interessi anatocistici, anziché il valore futuro, espresso da M = C x (1+k x i) del regime semplice, che lascerebbe improduttivi gli interessi maturati. Cfr. anche Colangelo, Interesse semplice, interesse composto e ammortamento alla francese, in Foro it., 2015, pp. 469 ss. 16 Il tasso espressivo del prezzo ex art. 1284 c.c., nella finalità del presidio posto dalla norma, viene a coincidere con il TAN impiegato nel regime composto solo se con l’anticipato pagamento degli interessi rispetto alla scadenza del capitale, rimane invariata l’obbligazione accessoria del regime semplice. Tale coincidenza, ordinariamente rispettata nei finanziamenti a scadenza e pur anche nell’ammortamento all’italiana, non si riscontra nell’ammortamento alla francese (Cfr. Tav. 3).

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sale delle variabili interessate, travisando l’accertamento dell’anatocismo, condotto esclusivamente sulle singole modalità di pagamento della rata che, considerate singolarmente, rispecchiano l’impiego del regime semplice, ma nei più generali vincoli, a monte, che presiedono la costruzione del piano rispondono alla legge del regime composto che governa la pattuizione contrattuale17. Del resto, il divieto dell’art. 1283 c.c. è riferito alla convenzione che regola i rapporti contrattuali ed, in particolare, al meccanismo di quantificazione della prestazione accessoria18. Ciò che rileva, ai fini del divieto di anatocismo, è il meccanismo di determinazione dell’obbligazione accessoria pattuita in contratto: una volta definito il valore dell’obbligazione accessoria che gli corrisponde, le modalità ed i tempi di pagamento, per il menzionato principio che presiede l’art. 1284 c.c., risultano irrilevanti. Nell’ammortamento alla francese, tale meccanismo, inespresso nella pattuizione, rimane celato nelle pieghe del valore della rata indicata in contratto, che implicitamente ricomprende anche il valore dell’obbligazione accessoria19.

17 È bene osservare che il regime composto non assume matematicamente una struttura di capitalizzazione continua, ma solo discreta, cioè periodale, nel senso che gli interessi maturano in ragione semplice all’interno di ciascun periodo, fra una scadenza e la successiva; nel periodo unitario, il regime composto coincide con quello semplice, proprio perché, all’interno del periodo, non c’è nulla che si “compone”. 18 Osserva Scozzafava: «Nel linguaggio degli operatori giuridici e della legge, dunque, gli interessi individuano prima di tutto una tecnica di quantificazione di una prestazione e, poi, anche determinati frutti civili, creando così una tale confusione, che la problematica degli interessi è sempre stata una delle più intricate della scienza civilistica. La confusione è accresciuta dal fatto che le norme alcune volte richiamano il termine interessi, per individuare e dettare regole destinate ad incidere sul corrispettivo che il creditore ritrae dai contratti di credito (frutti civili), altre volte, invece, le norme, nel richiamare il termine interessi, individuano e dettano le regole destinate ad incidere su meccanismo di quantificazione di una prestazione. Orbene, in questa seconda categoria di norme va annoverato l’art. 1283 del codice civile, dal momento che in sua assenza ed in mancanza di un’apposita convenzione tra i privati, la modalità di quantificazione che viene individuata con il termine interessi, diventerebbe un meccanismo incontrollabile» (Scozzafava, L’anatocismo e la Cassazione: così è se vi pare, in Contr., 3/2005). 19 I riflessi che ne conseguono sono lucidamente evidenziati da Farina: «in buona sostanza l’anatocismo nell’ammortamento alla francese ed a rata costante si annida secondo l’orientamento di alcuni studiosi di matematica finanziaria nelle modalità di determinazione della composizione della rata connotata dal regime di capitalizzazione composta. Detto regime nei piani di rimborso graduale non solo implica, come in precedenza chiarito, una maggiorazione in termini esponenziali della rata direttamente incidente sul monte interessi, ma comporterebbe l’insorgere sia di un’obbligazione di rimborso del capitale, in misura pari al finanziamento iniziale sia di una (distinta)

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Il fraintendimento nel quale frequentemente si incorre, è ingenerato da una singolare peculiarità matematica dell’ammortamento alla francese che rimane arduo scorgere e può facilmente sfuggire a coloro che non sono particolarmente introdotti alla matematica. La circostanza che, con il regime composto, venga meno, in rapporto al regime semplice, la proporzionalità dell’obbligazione accessoria definita in contratto, non comporta necessariamente che venga meno anche la proporzionalità in rapporto all’obbligazione principale, nei valori periodali, risultanti dalle imputazioni delle rate. Al riguardo, occorre preliminarmente evidenziare un aspetto di apprezzabile complessità ed opacità, che caratterizza ogni piano di ammortamento definito nel valore, costante o meno, della rata (quindi dell’obbligazione accessoria), ravvisabile nell’incompleta definizione dell’obbligazione principale. Infatti, l’obbligazione principale rimane definita in contratto solo per il valore iniziale, mentre rimangono indefiniti i valori periodali della stessa, in essere ad ogni scadenza intermedia, che risultano dipendenti dal criterio di imputazione delle rate, frequentemente omesso nei termini contrattuali dell’ammortamento alla francese. Per contro, per la stessa definizione del prezzo – sia nell’espressione assoluta, data dall’importo dell’obbligazione accessoria, sia nell’espressione relativa, data dalla misura del tasso ex art. 1284 c.c. – rimane determinante l’obbligazione principale, più che per il suo valore originario, per la sua espressione di sintesi data dal finanziamento medio di periodo. È questo il valore assunto a riferimento nell’equilibrio dei termini contrat-

obbligazione di pagamento degli interessi “pari al monte complessivo, già comprensivo dell’anatocismo”. (...) Riteniamo di poter fare nostra l’opinione di autorevole dottrina che in tema di anatocismo ebbe a suo tempo a rilevare che “il divieto di anatocismo (...) non colpisce solo gli accordi preventivi che direttamente stabiliscono la produzione di interessi su interessi, ma anche gli accordi produttivi che abbiano comunque l’effetto di determinare la produzione di interessi su interessi” (A. Nigro, L’anatocismo nei rapporti bancari una storia infinita ?, in Dir. banc., 2001, I, pp. 269 ss., sia pur con riguardo al conto corrente bancario). È quello che parrebbe essere accaduto con il piano di ammortamento alla francese allorché nella determinazione del montante e della rata costante di rimborso oggetto di accordo si sia provveduto a conteggiare gli interessi sulla quota di interessi delle singole rate, anteriormente alla scadenza dell’obbligazione restitutoria del capitale residuo. In questo caso risulterebbe integrata la violazione del precetto imperativo di cui agli artt. 1283 c.c. e 120 t.u.b., a cui farebbe seguito la nullità parziale ex art. 1419 c.c. della pattuizione di interessi con tutte le conseguenze che ne derivano» (Farina, Interessi, finanziamento e piano di ammortamento alla francese: un rapporto problematico, in Contr., 2019, p. 454).

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tuali: obbligazioni di capitale aventi il medesimo valore iniziale, ma un diverso valore medio di periodo, vengono sostanzialmente a costituire, anche per un medesimo flusso di pagamenti periodici, finanziamenti diversi, ai quali corrisponderanno costi differenti. D’altra parte, nel regime composto, a differenza del regime semplice, l’indicazione del TAN nell’ammortamento alla francese, individua l’importo della rata, ma non le distinte imputazioni che la compongono20. Nel rispetto dell’art. 1194 c.c., nel regime composto, possono darsi infinite combinazioni di imputazione a capitale ed interessi, che, al tempo stesso, esprimono una somma pari alla rata costante indicata in contratto e rispettano i vincoli di chiusura del piano21. Tali combinazioni comprendono l’arco delle imputazioni degli interessi che vanno (Cfr. Tav. 3): i) da un estremo, costituito dal pagamento posticipato, e quindi capitalizzato, degli interessi maturati, congiuntamente alla scadenza del capitale di riferimento, cioè a dire, riferiti alla quota capitale in scadenza; ii) all’estremo opposto, costituito dal pagamento anticipato, ad ogni scadenza intermedia, di tutti gli interessi maturati sul debito residuo22. Scelto il criterio di imputazione dell’obbligazione accessoria maggiorata, implicitamente inclusa nella rata aumentata, l’imputazione a capitale viene ricavata per differenza dalla rata stessa, nel rispetto dei vincoli di chiusura, dettati essenzialmente dalle due variabili indipendenti fissate in contratto: l’obbligazione principale definita esclusivamente nel suo valore iniziale e l’obbligazione accessoria inclusa nella rata. Nell’ammortamento alla francese (o a rata costante) – diversamente dall’ammortamento all’italiana (o a quota capitale costante) – con il regime composto, a prescindere dal criterio di imputazione scelto, il valore dell’obbligazione accessoria rimane invariato: non potrebbe essere diversamente, risultando tale valore definito come variabile indipen-

20 Al contrario, nel regime semplice, per definizione, gli interessi vengono corrisposti esclusivamente al momento del rimborso del capitale e la rata, di conseguenza, risulta univocamente determinata anche nella sua composizione. 21 Nel rispetto del principio che «il pagamento fatto in conto capitale e conto interessi deve essere imputato prima agli interessi» (art. 1194, co. 2, c.c.) possono darsi modalità diverse, tutte consentite e finanziariamente corrette, di comporre la rata in quota capitale e quota interessi, evitando che il pagamento del capitale preceda il pagamento degli interessi. 22 Al di fuori di detto arco, da un lato verrebbe meno il rispetto dell’art. 1194 c.c., che prevede il pagamento degli interessi precedentemente o contestualmente alla scadenza del capitale, dall’altro verrebbe meno il principio che possano essere pagati gli interessi solo dal momento in cui vengano ad esistere con il decorso del tempo.

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dente fissata in contratto, condizionante – unitamente all’obbligazione principale originaria - gli stessi vincoli di chiusura ai quali deve necessariamente rispondere il criterio di imputazione prescelto. Al variare del criterio di imputazione adottato, ciò che varia è l’obbligazione principale periodale, e quindi, il suo valore di sintesi, espresso dal finanziamento medio periodale, che in tale tipologia di ammortamento, non è ricompreso fra le variabili indipendenti fissate in contratto, ma rimane definita in allegato, per complemento dal criterio di imputazione degli interessi adottato dall’intermediario23. Appare rilevante cogliere la diversa dinamica pattizia che caratterizza i piani di ammortamento con accordo sull’obbligazione principale (in particolare ammortamento a quota capitale costante) e, distintamente, i piani di ammortamento con accordo sull’obbligazione accessoria (in particolare ammortamento a rata costante). Nei primi la variabile indipendente fissata in contratto è la quota di capitale a rimborso e con essa l’obbligazione principale in essere a ciascuna scadenza intermedia, nei secondi la variabile indipendente fissata in contratto è la rata e con essa l’obbligazione accessoria nel suo valore unitario complessivo. In un caso si fissa la quantità del servizio (obbligazione principale) ed il prezzo unitario (TAN/tasso ex art. 1284 c.c.), nell’altro si fissa il costo complessivo (obbligazione accessoria) ed il prezzo unitario (TAN/tasso ex art. 1284 c.c.). Nell’ammortamento a rata costante è il montante dato dalla somma delle rate, dedotto il capitale finanziato, che consente di determinare l’obbligazione accessoria che solo nella sua unitarietà individua il regime finanziario applicato, nel diverso importo risultante dalla contrapposizione del regime finanziario semplice al regime composto. Nell’opacità dell’inversione dell’obbligazione definita in contratto, la maggiorazione della stessa, rifluente dall’impiego del regime composto, viene conseguita ad un prezzo (TAN/tasso ex art. 1284 c.c.) che nel regime semplice esprime un tasso più alto: la pattuizione viene pertanto ad esprimere la

Mentre nel finanziamento a rimborso unico alla scadenza il valore dell’obbligazione principale rimane invariato, esaustivamente definito nel valore indicato in contratto, nel finanziamento con ammortamento alla francese (o a rata costante) – diversamente anche dall’ammortamento all’italiana (o a quota capitale costante) – tale valore, come menzionato, non viene compiutamente definito in contratto, pur costituendo un elemento essenziale dell’equilibrio economico, sul quale è basato il costo stesso del finanziamento, espresso dall’obbligazione accessoria e dalla relativa misura data dal tasso ex art. 1284 c.c. 23

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medesima incoerenza fra l’obbligazione accessoria e il prezzo espresso dal TAN di un ordinario finanziamento Zero coupon. Risulta del tutto errato e fuorviante ritenere che la contestazione «si risolve nella mera affermazione della maggiore gravosità del piano di ammortamento determinata dal fatto che gli interessi sono esigibili via via che maturano nel corso dell’ammortamento del mutuo e non al momento della sua estinzione»: se così fosse, il monte interessi pagato anticipatamente, dovrebbe risultare inferiore al pagamento degli stessi alla scadenza del capitale di riferimento (cfr. Tav. 3). Risulta al tempo stesso del tutto errato e fuorviante ritenere che il divario fra i costi dei due piani di ammortamento, francese ed italiano, sia riconducibile al più graduale rimborso del capitale dell’ammortamento alla francese, che induce un maggior carico di interessi: si confonde, rovesciandolo, il rapporto fra variabile indipendente e variabile dipendente. Nell’ammortamento alla francese, non è il rimborso più graduale dell’obbligazione principale che incrementa gli interessi corrisposti, bensì è il viceversa, cioè è l’obbligazione accessoria maggiorata, definita in contratto in regime composto, che condiziona i vincoli di chiusura del piano, amplificando, attraverso una sorta di roll over dei rimborsi, l’obbligazione principale di periodo, in misura da esprimere nell’imputazione a pagamento, in regime semplice, il medesimo valore dell’obbligazione accessoria definita in regime composto nella pattuizione24. Si può agevolmente verificare che l’obbligazione principale nel valore del finanziamento medio periodale tende a crescere via via che si accelera l’anticipazione del pagamento degli interessi (cfr. Tav. 3). Più specificatamente, a valore invariato dell’obbligazione accessoria, si riscontra: i) imputazione senza anticipazione alcuna. Con il criterio di imputazione degli interessi maturati, posticipatamente calcolati sulla quota

24 Né è corretto quanto riportato in altre sentenze, che hanno rigettato la presenza dell’anatocismo nell’ammortamento alla francese, sostenendo che «l’utilizzo di un sistema di capitalizzazione composta ricorre ai soli fini della determinazione della quota capitale della rata». Ancora una volta si inverte l’effetto con la causa. L’utilizzo del sistema di capitalizzazione composta è impiegato, nella pattuizione contrattuale, per definire l’obbligazione accessoria, non quella principale che, invece, solo dopo aver raccolto l’assenso sulla rata includente l’obbligazione accessoria maggiorata, rimane determinata nell’allegato, se si adotta il criterio di imputazione sul debito residuo. La determinazione dell’obbligazione accessoria condiziona i vincoli del piano che vengono ad esprimere il medesimo importo della variabile indipendente fissata in contratto, in un caso con la produzione di interessi su interessi, nell’altro con il menzionato roll over dei rimborsi che amplifica l’obbligazione principale di periodo.

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capitale in scadenza, la medesima obbligazione accessoria esprime la palese produzione di interessi su interessi: il valore dell’obbligazione principale rimane prossimo a quello del regime semplice e il tasso ex art. 1284 c.c. (11% nell’esempio di Tav. 3) esprime il corretto rapporto dell’obbligazione accessoria all’obbligazione principale, maggiore del tasso espresso dal TAN (10% nell’esempio); ii) imputazione con anticipazione massima. Con il criterio di imputazione degli interessi maturati, anticipatamente calcolati sul debito residuo, la medesima obbligazione accessoria – composta di interessi primari e secondari - definita nella pattuizione, viene a comprimere nel pagamento il capitale a rimborso di una quota corrispondente alla quota anticipata e maggiorata: reiterato ad ogni scadenza, il roll over dei rimborsi amplifica il valore del finanziamento medio di periodo e con esso la parallela lievitazione degli interessi, restituendo, in ragione semplice (quindi interessi primari), il monte interessi maggiorato stabilito inizialmente in regime composto nella determinazione dell’importo della rata.25 Nel contempo, il rapporto fra le due obbligazioni, entrambe maggiorate, esprime un tasso ex art. 1284 c.c., corrispondente al TAN indicato in contratto (10% nell’esempio di Tav. 3). Nella menzionata pronuncia, trascurando la pattuizione, alla quale fa, invece, espresso riferimento l’art. 1283 c.c., l’attenzione viene circoscritta esclusivamente al pagamento della rata, dal quale, in maniera alquanto semplicistica, si rileva: «gli interessi vengono calcolati sul capitale via via decrescente per il periodo corrispondente a ciascuna rata, al tasso nominale indicato in contratto». Nella circostanza, si inverte il processo di causa-effetto, anteponendo le variabili dipendenti riportate in allegato alla variabile indipendente (obbligazione accessoria) sulla quale è rac-

25 Così operando, l’obbligazione accessoria, ancorché definita nel valore esponenziale rifluente dal regime composto impiegato nella definizione della rata, si viene a comporre nel piano di ammortamento esclusivamente di interessi primari, in un rapporto proporzionale al diverso e più elevato finanziamento medio di periodo. Il roll over dei rimborsi, riflesso nell’obbligazione principale di periodo, per una parte è relativo agli interessi primari corrispondenti al menzionato onere ‘figurativo’ dell’anticipazione, presente anche nell’ammortamento all’italiana, mentre per la parte restante, relativa agli interessi secondari presenti nella rata (indebita maggiorazione), corrisponde all’incremento dell’obbligazione principale, atto a convertirne la natura in primari. Nel menzionato roll over è possibile matematicamente distinguere la componente indebita, propriamente riconducibile alla maggiorazione dell’obbligazione accessoria, definita nella pattuizione e poi distribuita nelle rate, che, maggiorando l’obbligazione principale, riconduce il rapporto proporzionale delle due obbligazioni al TAN contrattuale.

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colto l’assenso contrattuale, operando, di riflesso, la verifica dell’anatocismo nel pagamento, non nella pattuizione. Non ci si avvede che il capitale residuo, cioè il capitale originario detratto l’importo già pagato con la rata o le rate precedenti, viene a dipendere dall’obbligazione accessoria già maggiorata, inclusa nella rata pattuita in contratto. Percorrendo il corretto passaggio logico-matematico, si coglie il rapporto e la direzione del nesso causale, che dalla variabile indipendente fissata in contratto (obbligazione accessoria maggiorata) si riflette nelle variabili dipendenti (debito residuo e interessi imputati nella rata) che compaiono nel piano di ammortamento: l’obbligazione accessoria maggiorata – composta, in regime composto, di interessi primari e secondari – definita nella pattuizione, comporta matematicamente, nei pagamenti alle distinte scadenze, un’imputazione degli interessi reiteratamente maggiorata e, per complemento, un debito residuo maggiorato di un pari importo, che trasmuta gli interessi secondari della pattuizione negli interessi primari del pagamento su un’obbligazione principale parallelamente maggiorata26. Quanto sopra evidenziato mette in luce una criticità dai risvolti giuridici dirimenti: con il regime composto, la pattuizione presenta un’obbligazione accessoria maggiorata rispetto al regime semplice; per detto valore, nel pagamento della rata costante, il rapporto proporzionale, espresso dal tasso ex art. 1284 c.c., verrebbe a dipendere dal criterio di imputazione degli interessi prescelto, contraddicendo il principio stesso dell’art. 1284 c.c. in funzione del quale il tasso rimane indipendente dai tempi e modalità di pagamento dell’obbligazione accessoria. Con riferimento al disposto normativo, ciò che assume rilievo è il tasso ex art. 1284 c.c. che compare nella pattuizione negoziale per la definizione dell’obbligazione accessoria. Le modalità attinenti al pagamento rimangono ininfluenti, sia per i tempi che per l’eventuale calcolo frazionato dell’ammontare da corrispondere: ciò discende direttamente dal concetto di prezzo che la norma ha attribuito al tasso ex art. 1284 c.c.27.

26 Nell’ammortamento alla francese (o a rata costante) si viene a creare una commistione fra pagamento degli interessi e rimborso del capitale per l’effetto di roll over dei rimborsi che, per la parte corrispondente alla maggiorazione dell’obbligazione accessoria, presenta connotazioni del tutto assimilabili al roll over del finanziamento, impiegato in talune circostanze per eludere il presidio dell’anatocismo. 27 Dopo aver convenuto in contratto, ad esempio, per il godimento, per 4 anni del capitale di € 1.000 il corrispettivo di € 400, pari al tasso ex art. 1284 c.c. del 10% – in alternativa all’ordinario pagamento periodico o complessivo degli interessi, in ragione del 10% annuale – le parti potrebbero, ad esempio, pattuire il pagamento corrispondente

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Come riporta Barba, «L’interesse anatocistico si differenzia dall’interesse semplice per il modo di essere computato e in ragione della regola di matematica finanziaria che ne controlla la determinazione quantitativa»28. Ma la determinazione quantitativa é già prestabilita (variabile indipendente) in contratto. La Corte d’Appello non si avvede di un equivoco celato nell’uso improprio del TAN quale prezzo dell’art. 1284 c.c. Infatti, il TAN applicato al debito residuo non è il tasso ex art. 1284 c.c., espresso dall’obbligazione accessoria pattuita in contratto, bensì è il TAN del regime composto corrispondente all’obbligazione accessoria definita in contratto, il cui valore, espresso dal tasso del regime semplice, secondo i principi stessi dell’art. 1284 c.c., risulta più elevato: non è affatto immediato e agevole cogliere il ruolo e la distinzione del prezzo ex art. 1284 c.c. pattuito e del TAN impiegato nel pagamento. Per l’esempio di Tav. 3 alla rata di € 315,47 corrisponde un prezzo, espresso dal tasso ex art. 1284 c.c. del 10,95%, più elevato del TAN (10%) impiegato nel calcolo degli interessi imputati nella rata. Nell’ammortamento alla francese, il tasso espresso dal TAN riportato in contratto, se impiegato in regime composto, non può essere indicativo del prezzo ex art. 1284 c.c., in quanto la corrispondente obbligazione accessoria, pure indicata in contratto, esprime un valore maggiorato rispetto al regime semplice, a prescindere dei tempi e calcoli che interessano il momento del pagamento29. Mutuando la pronuncia della Cassazione n. 2593 del 20 febbraio 2003, si può agevolmente riscontrare che «una somma di denaro mutuata, in un piano di ammortamento alla francese, al tasso d’interesse del dieci

all’interesse semplice del 9,50% nei primi due anni (€ 95 + € 95 = € 190) e il pagamento dell’interesse composto del 10% per il successivo biennio (€ 100 + € 110 = € 210), pervenendo al medesimo importo complessivo stabilito in contratto in ragione semplice: nella circostanza, il diritto matura proporzionalmente al tempo, mentre il pagamento rimane rallentato nel primo biennio e accelerato nel secondo biennio. Ciò che rileva ai fini dell’anatocismo è la metrica impiegata nella pattuizione per definire l’obbligazione accessoria, non la modalità con la quale la stessa viene corrisposta. 28 Barba, Interessi dovuti per effetto dell’inderogabile divieto di anatocismo, in Obbligazioni e contr., 2009, p. 539. 29 Conseguentemente, se nelle imputazioni dei pagamenti alle distinte scadenze, si scomputasse tale indebita maggiorazione degli interessi, imputandola a rimborso del capitale, la rettifica iteratamente effettuata alle scadenze successive, darebbe luogo altresì ad una minore obbligazione principale, espressa nel suo valore medio di periodo, alla quale corrisponderebbe il monte interessi del regime semplice e, per TAN, i vincoli di chiusura del piano esprimerebbero un tasso più basso, cioè il tasso composto che corrisponde al tasso ex art. 1284 c.c. impiegato nel regime semplice per determinare il valore della rata.

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per cento annuo si raddoppia in ventiquattro anni; se invece gli interessi vengono capitalizzati ciò avviene in soli quindici anni circa»30. Nella richiamata sentenza della Cassazione è evidente il riferimento alla lievitazione esponenziale degli interessi che connota e qualifica la pattuizione anatocistica, a prescindere che gli stessi risultino scaduti e divenuti esigibili anticipatamente nel periodo del finanziamento. Accanto all’anatocismo e con esso commisto, nell’ammortamento alla francese (o a rata costante) insorgono rilevanti criticità sul piano della trasparenza. Se il contratto non riporta il regime finanziario e il criterio di imputazione degli interessi, il mutuatario rimane ignaro delle modalità con le quali è determinato il valore della rata e della corrispondente obbligazione accessoria; in particolare, non può agevolmente avvedersi che, con l’impiego del regime composto di capitalizzazione degli interessi e il pagamento anticipato degli interessi maturati ad ogni scadenza sul debito residuo, subisce una doppia penalizzazione. Infatti, il monte interesse corrisposto è quello riveniente dalla capitalizzazione degli interessi – stabilita nella pattuizione e del tutto corrispondente all’ammontare riveniente dall’alternativo criterio d’imputazione degli interessi composti rinviato alla scadenza delle distinte quote capitale –, per giunta corrisposto anticipatamente: l’obbligazione accessoria, infatti, è la medesima in entrambi i criteri di imputazione31.

30 «È stato, infatti, osservato che, una somma di denaro concessa a mutuo al tasso annuo del 5% si raddoppia in vent’anni, mentre con la capitalizzazione degli interessi la stessa somma si raddoppia in circa quattordici anni». (Cass., 20 febbraio 2003, n. 2593). 31 La rata costante incontra un generale gradimento per la semplicità di gestione. Anche il pagamento anticipato degli interessi presenta un apprezzabile favore, per i riflessi contabili e fiscali che ne conseguono. Tuttavia, occorre osservare che nell’ammortamento alla francese (o a rata costante) il carico economico, nelle due tradizionali alternative di imputazione degli interessi, è il medesimo dello Zero coupon. All’anticipato pagamento degli interessi non corrisponde alcuna economia: il monte interessi rimane invariato; per giunta – rispetto all’alternativo criterio di imputazione degli interessi calcolati in regime composto sulla quota capitale in scadenza o all’impiego del regime semplice – nell’impiego del regime composto, associato al criterio di anticipazione del pagamento degli interessi maturati, si realizza in significativo ‘prolassamento’ nel rimborso del capitale, dal quale l’intermediario finanziario trae ulteriori non trascurabili benefici sul piano del trattamento giuridico con riguardo all’ipoteca (art. 2855), alla prescrizione (art. 2948 c.c.), al privilegio (art. 2749) e alla cessione del credito (art. 1263 c.c.). Tuttavia, non si può trascurare che l’anticipato pagamento degli interessi intanto è consentito dall’ordinamento, in quanto configura il medesimo ammontare del regime semplice. Una recentissima pronuncia della Cassazione (Pres. De Chiara, Rel. Fidanza, n. 9141 del 19 maggio 2020), seppur nell’ambito di un rapporto di conto corrente, ribadisce il menzio-

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La determinatezza del valore delle imputazioni a capitale ed interessi si consegue oggettivamente con l’allegato al contratto, che lascia tuttavia indeterminati i criteri che hanno condotto ai valori delle imputazioni stesse: qui si cela la mistificazione che viene subìta acriticamente, apparendo i valori riportati in allegato come univocamente determinati dall’enunciato contrattuale e, di riflesso, viene a mancare ogni ragionevole forma di assenso consapevole32. Anche riconoscendo l’allegato come parte integrante del contratto, si ravvisa l’indeterminatezza nel contrasto fra l’enunciato pattizio, che omette il regime finanziario e il criterio di imputazione, e l’allegato che, senza alcuna ulteriore precisazione, fornisce valori di rimborso e di pagamento degli interessi, penalizzanti la posizione del mutuatario, rispetto all’ordinaria proporzionalità del regime semplice33. Né si può

nato principio: ‘Non vi è dubbio che il debito di interessi, quale accessorio, debba seguire il regime del debito principale, salvo una diversa pattuizione tra le parti che dovrebbe, tuttavia, specificare una modalità di calcolo degli interessi (intrafido) idonea a scongiurare in radice il meccanismo dell’anatocismo’. 32 Cass., 27 novembre 2014, n. 25205 precisa che, il rispetto della norma imperativa, dettata dall’art. 1284 c.c. presuppone la specificazione in contratto del criterio di calcolo con la conoscenza a priori dei dati necessari «per eseguire un calcolo matematico il cui criterio risulti con esattezza dallo stesso contratto. I dati ed il calcolo devono perciò essere facilmente individuabili in base a quanto previsto dalla clausola contrattuale, mentre non rilevano la difficoltà del calcolo che va fatto per pervenire al risultato finale né la perizia richiesta per la sua esecuzione» (Cfr. anche Cass., 15 giugno 2019, n. 16907; Cass., 30 marzo 2018, n. 8028; Cass., 27 novembre 2014, n. 25205; Cass., 7 marzo 1992, n. 2765; Cass., 18 giugno 1992, n. 7547; Cass., 11 novembre 2005, n. 22898; Cass., 2 febbraio 2007, n. 2317; Cass., 29 luglio 2009, n. 17679). 33 In particolare il Codice del Consumo all’art. 21 prevede: «È considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso: (…) d) il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo». Osserva Quarta: «la percepibilità del cliente in ordine alla tecnica di ammortamento prescelta è generalmente rimessa alla materiale allegazione nel contratto di un gruppuscolo di fogli contenenti tabelle ricolme di numeri, indicanti un piano di rimborso rateale con efficacia asseritamente integrativa del regolamento negoziale. (…) non sembra arbitrario dar voce alla sensazione che i piani di ammortamento allegati ai contratti siano avvertiti dalla generalità degli aspiranti mutuatari come dati pressoché neutri, inevitabili, inemendabili». Aggiunge altresì: «Nel contiguo settore dei servizi d’investimento, con riferimento al previgente art. 29 del Regolamento Consob n.

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sostenere che ‘l’accettazione del piano di ammortamento ricomprende l’accettazione delle modalità matematico-finanziarie di costruzione del medesimo’. L’argomentazione addotta evoca d’appresso la circostanza degli addebiti in conto corrente degli interessi che, con l’invio dell’estratto conto, si sosteneva comportassero l’assenso alle condizioni di gestione del rapporto, anche se non esplicitate in contratto34. Al vizio del consenso si associa d’appresso l’effetto sorpresa previsto dall’art. 1195 c.c. e il pagamento della rata, nel rispetto del principio che sottende l’art. 1194 c.c., non può che essere rivolto alla quota capitale in scadenza e agli interessi semplici resi liquidi ed esigibili con essa35.

11522 del 1998 sui temi delle operazioni inadeguate, dei doveri di informazione e delle autorizzazioni “ad agire in deroga”, la migliore giurisprudenza ha chiarito che il fenomeno del c.d. neo-formalismo non può risolversi nella mera precostituzione di documenti spendibili dall’intermediario come prove nell’eventuale sede contenziosa, ma deve consentire in ogni caso una verifica in concreto dell’effettivo ricevimento, da parte del cliente, delle informazioni riguardanti l’operazione e i suoi specifici profili di rischio» (Quarta, Credito irresponsabile e soluzioni al sovraindebitamento. Note su prassi bancarie “riottose al diritto”. tecniche di ammortamento e costi inespressi, in Scritti in onore di Vito Rizzo, Napoli, 2007, pp. 1825 ss.). 34 Nella circostanza risulta assai stridente, da una tabella di valori, distribuiti su più colonne, quand’anche su più pagine, far discendere l’assenso sui criteri di determinazione della stessa. L’allegato, ancorché parte integrante del contratto, non sembra possa riportare condizioni ulteriori non previste nell’enunciato. Che l’esplicitazione dei valori in allegato non dispensi l’intermediario dal fornire i criteri di imputazione lo si evince anche dalla Direttiva sul credito al consumo che esclude addirittura la presenza in contratto del piano di ammortamento, mentre prevede l’indicazione puntuale delle condizioni (Cfr. Corte di Giustizia europea, sentenza ECLI: EU:2016:842). D’altra parte, note queste ultime, risulta ridondante l’allegato, mentre non è altrettanto vero il contrario. 35 In assenza di una diversa e legittima convenzione, l’operatività del criterio di imputazione legale dell’art. 1194 c.c. viene dalla giurisprudenza circoscritta alla contemporanea sussistenza dei requisiti di liquidità ed esigibilità, sia del capitale che degli interessi (Cass., 26 maggio 2016, n. 10941; Cass., 16 aprile 2003, n. 6022; Cass., 27 ottobre 2005, n. 20904; Cass., 20 aprile 9510; Cass., 15 luglio 2009, n. 16448), che si ravvisano, per i piani di ammortamento, per la quota capitale in scadenza, non per il debito residuo. Al riguardo osserva Farina: «la scelta della banca di conteggiare l’importo dovuto a titolo di interessi sulla residua quota di capitale e non su quella che viene a scadenza non pare provare giustificazione nella previsione di cui all’art. 1194 c.c., comma 2. La norma presuppone infatti, in stretta connessione con l’art. 1282 c.c., che siano simultaneamente liquidi ed esigibili tanto il credito per capitale quanto il credito accessorio per interessi. Con riguardo al mutuo proprio l’esistenza di un piano di rimborso esclude in nuce, in assenza di decadenza dal beneficio del termine, che possa parlarsi di esigibilità degli interessi (e del capitale)» (Farina, Interessi, finanziamento e piano di ammortamento alla francese: un rapporto problematico, in Contr., 2019, p. 445).

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La peculiarità insita nell’architettura del piano di ammortamento alla francese (o a rata costante) rimane talmente complessa e nascosta nell’al-

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goritmo di costruzione, che non solo lascia il mutuatario ignaro dell’abuso subito, ma rende anche scarsamente accessibile avvedersi della regola di equivalenza finanziaria che presiede e governa il contratto: ne è prova la serie innumerevole di pronunce che dall’interesse semplice applicato in sede di pagamento, hanno travisato la regola di equivalenza intertemporale che governa il piano, negando il regime composto che, nell’omissione di elementari principi di trasparenza, rimane celato nella pattuizione producendo, indipendentemente dal criterio di imputazione del pagamento prescelto, la lievitazione esponenziale del monte interessi36.

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Abstract Nella sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 731 del 30 gennaio 2020 si rigettano le contestazioni attinenti all’anatocismo e all’indeterminatezza di un contratto di finanziamento con piano di ammortamento alla francese, argomentando l’impiego del regime semplice nel calcolo degli interessi corrisposti e l’univoca determinazione del piano di ammortamento ricavati dagli elementi definiti in contratto. Appaiono trascurate, sia l’elemento di criticità che insorge nella pattuizione con l’impiego del tasso ex art. 1284 c.c. in regime composto, sia le diverse alternative di imputazione degli interessi, alle distinte scadenze, matematicamente consentite dai vincoli di chiusura del piano di ammortamento. Un corretto esame del rispetto degli artt. 1284 c.c. e 1283 c.c., andrebbe, di riflesso, ricondotto ai termini della pattuizione, non a quelli del pagamento.

*** The judgement of the Court of Appeal of Rome n. 731 of 30 january 2020 rejected any dispute concerning compound interest and contractual indetermi-

36 Come mostra la Tav. 3, diversamente dall’ammortamento all’italiana (o a quota capitale costante), nell’ammortamento alla francese (o a rata costante), con la scelta della modalità di imputazione della rata, ordinariamente praticata dagli intermediari, si realizza un singolare paradosso: si anticipa il pagamento di tutti gli interessi che maturano a ciascuna scadenza ma, al tempo stesso, permane anche il maggior onere del regime composto, che vanifica il beneficio che ordinariamente deriva al mutuatario dal pagamento anticipato degli interessi rispetto alla scadenza del capitale (Cfr. Marcelli, Ammortamento alla francese e all’italiana: le conclusioni della giurisprudenza risultano confutate dalla matematica, 2019, in www.assoctu.it).

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nacy of financing with French amortization plan, arguing the use of simple interest regime and the unanbiguous calculation of the amortization plan arising from contractual terms. Seem to be overlooked both critical element that arises in the stipulation with the use of the interest rate ex art. 1284 c.c. in compound calculation, and the different interest imputation options, at each period, that result mathematically consistent with the constraints of the plan. Proper verification of compliance with artt. 1284 e 1283 c.c. should be traced back to the agreement, not to payment terms.

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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni



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Il credito su pegno negli USA Pubblichiamo: - l’art. 9 dell’Uniform Commercial Code, in materia di operazioni garantite; - una selezione di norme di alcuni Stati degli USA, in materia di credito su pegno. Segue un contributo del dott. Eugenio Prosperi, che analizza alcuni aspetti dell’operazione di credito su pegno, come regolata nell’ordinamento statunitense. I New York Laws, UCC – Uniform Commercial Code, Article 9 – Secured Transactions, Part 2 – Effectiveness of Security Agreement; Attachment of Security Interest; Rights of Parties to Security Agreement, Sub Part 1 – Effectiveness and Attachment § 9-203 – Attachment and Enforceability of Security Interests; Proceeds; Supporting Obligations; Formal Requisites.

(a) Attachment.. A security interest attaches to collateral when it becomes enforceable against the debtor with respect to the collateral, unless an agreement expressly postpones the time of attachment. (b) Enforceability. Except as otherwise provided in subsections (c) through (i), a security interest is enforceable against the debtor and third parties with respect to the collateral only if: (1) value has been given; (2) the debtor has rights in the collateral or the power to transfer rights in the collateral to a secured party; and (3) one of the following conditions is met: (A) the debtor has authenticated a security agreement that provides a description of the collateral and, if the security interest covers timber to be cut, a description of the land concerned; (B) the collateral is not a certificated security and is in the possession of the secured party under Section 9-313 pursuant to the debtor’s security agreement;

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(C) the collateral is a certificated security in registered form and the security certificate has been delivered to the secured party under Section 8-301 pursuant to the debtor’s security agreement; or (D) the collateral is deposit accounts, electronic chattel paper, investment property, or letter-of-credit rights, and the secured party has control under Section 9-104, 9-105, 9-106, or 9-107 pursuant to the debtor’s security agreement. II Code of Alabama, Title 5 – Banks and Financial Institutions, Chapter 19A – Alabama Pawnshop Act § 5-19A-7 – Pawnshop charge; amounts in excess of pawnshop charge. Pawnshop charge; amounts in excess of pawnshop charge. (a) A pawnbroker may contract for and receive a pawnshop charge in lieu of interest or other charges for all services, expenses, costs, and losses of every nature but not to exceed 25 percent of the principal amount, per month, advanced in the pawn transaction. III New York Laws GBS – General Business, Article 5 – Collateral Loan Brokers § 49 – Notice of Such Sale; Report. 1. No pledge shall be sold unless written or printed notice of intention to sell with a statement of the article or articles to be sold has been first mailed by letter addressed to the pledgor at the address given at the time of pledging at least thirty days prior to the date of sale […] If the pledge, at such sale, shall be purchased back by the collateral loan broker, the pledgor shall be entitled to redeem same within ten days thereafter by tendering to the collateral loan broker the amount of the loan with the interest due thereon, the amount of the auctioneer’s lawful commission, lawful extra care charges, and the expense of the advertisement of the sale. IV New Hampshire Revised Statutes, Title XLI – Liens, Chapter 444 – Statutory Liens on Personal Property § 444:5 – Disposal of Proceeds. The balance of the proceeds of sale, if any, after payment of the amount of the lien and the reasonable expenses incident to the sale, shall be paid to the general owner or person entitled thereto, on demand.

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Selezione norme Stati USA credito su pegno

V Florida Statutes, Title XXXIII – Regulation of Trade, Commerce, Investments, and Solicitations, Chapter 539 – Pawnbroking 539.001 – The Florida Pawnbroking Act. (2) Definitions. As used in this section, the term: (h) “Pawn” means any advancement of funds on the security of pledged goods on condition that the pledged goods are left in the possession of the pawnbroker for the duration of the pawn and may be redeemed by the pledgor on the terms and conditions contained in this section. (10) Pledged Goods Not Redeemed. – Pledged goods not redeemed by the pledgor on or before the maturity date of a pawn must be held by the pawnbroker for at least 30 days following such date or until the next business day, if the 30th day is not a business day. Pledged goods not redeemed within the 30-day period following the maturity date of a pawn are automatically forfeited to the pawnbroker; absolute right, title, and interest in and to the goods shall vest in and shall be deemed conveyed to the pawnbroker by operation of law; and no further notice is necessary. A pledgor has no obligation to redeem pledged goods or make any payment on a pawn.

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“Your Money and Your Life”: how loose legislation and financial needs have made pawnbrokers thriving

Summary: 1. Introduction. – 2. Pawning Industry: History and Regulations. – 2.1. History. – 2.2. Business. – 2.3. Regulations. – 3. Article 9 of the Uniform Commercial Code. – 3.1. Rationale. – 3.2. Elements. – 4. Applicability of Article 9, UCC, to Pawn Transactions. – 4.1. In re Schwalb. – 4.2. Are pawn transactions regulated as secured transacions? – 5. Conclusions

1. Introduction. «I do not believe in God, or art, or science, or newspapers, or politics, or philosophy» «Then, Mr. Teacher, ain’t there nothing you do believe in? » «Money»1. It has been a little while since I walked all the way up Broadway, as far as the Junction. For those who are not familiar with New York topography, I am not referring to the blinding and shining streets crossing Manhattan, rather to the changing and smelling arterial roads twisting through northern Brooklyn. While wandering through the Bushwick neighborhood, I was amazed by the considerable number of pawnshops I had run into. The area was populated with these small stores, with little signs indicating the goods accepted in exchange. Suddenly, I recalled my grandpa’s post-World War II stories on the practice of pawning personal items to obtain credit. Realizing this business is still thriving outside my country, Italy, was so intriguing that I undertook some research on the subject.

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Dialogue between Sol Nazerman, a pawnbroker, and Jesus Ortiz, Nazerman’s shop assistant, from the movie “The Pawnbroker”, directed by Sidney Lumet in 1964. The film starred Rod Steiger, impersonating a German-Jewish pawnbroker relocated to Harlem, Manhattan, after the Nazi had taken power in Germany and begun the Jewish persecutions.

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It was difficult to find reliable sources, because few academics have carried out research in this field2. Yet, by patiently getting through scattered information I have come up with a fair overview of the business3. This paper aims at going through the pawnbroking activity, spanning its features and regulations, and linking it to the secured transactions’ structure. Following an overview of the main traits of pawnbroking and Article 9 of the Uniform Commercial Code (UCC), the core query this paper aims to address lies in whether pawn transactions fall within Article 9, UCC. Starting from the analysis of the In re Schwalb judgment, this paper purports to probe and analyze in depth the rationale of the decision and unveil the reasons underlying the inclusion of pawn transactions among secured transactions.

2. Pawning Industry: History and Regulations. 2.1. History. To get an idea of the origins of pawn transactions, we should at least go back to the early Middle Ages in Italy, when pawnbroking was

2 Pawnbrokers research had long been neglected by academics, and only recently few authors have been addressing this topic properly. Contrary to this trend, John P. Caskey has been carrying out research on pawnbroking since the late 80s, providing a complete and consistent analysis of the economic and legal aspects of the business. See Caskey, Pawnbroking in America: The Economics of a Forgotten Credit Market, 3 Journal of Money, Credit and Banking, 1991, pp. 85-89, where the Author, recalling a comment from Clark Evans, pointed out there had never been data and statistics on pawnbroking transactions, making that business completely unknown. Furthermore, it was difficult to find out reliable studies. Caskey, Explaining the Boom in Check-Cashing Outlets and Pawnshops, 49 Consumer Fin. L. Q. Rep., 1995, pp. 4-5. With respect to reliable academic contributions prior to John P. Caskey, see Levine, A Treatise on the Law of Pawnbroking as Governed by the Principles of Common Law, and as Modified by the Statutes of the Different States of the United States, and the Ordinances of the Municipalities Regulating Pawnbroking, 1911; Patterson, The Relationship of State and Municipality to Pawnbroking in Europe and the United States, 1899. 3 Caskey, Pawnbroking in America: The Economics of a Forgotten Credit Market, p. 98, where the Author noted that, should there not be a trend reversal, economists would have a partial understanding of credit markets, as millions of Americans have been operating independently of the banking system.

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referred to as Lombard banking. The Lombards (also known as Longobards) conquered northern Italy in the seventh century, bringing civilization and organization to a territory long strained by unceasing raids. Lombard banking can be considered a forerunner of the mount of piety business, which would then take place in the fifteenth century during the Signorie age4, when the House of Medici made its fortunes by undertaking the pawnbroking and money-lending business5. Through this blooming activity the powerful Medici family gained such a prominent position in Florence as to influence politics – three family members became popes – and the Renaissance period, when they would patronize numerous artists. Christianity forbade usury among worshippers, yet this did not prevent Jewish moneylenders from applying interest rates on the money lent – the prohibition was grounded on religious beliefs, hence it was not binding on non-Christians. In response to the flourishing money-lending activities carried out by Jewish people, friars first established organized charities acting as mounts of piety. These entities, organized and operated by the Catholic Church, would provide loans to people in need at an interest rate lower than that applied by banks. People seeking out money could pawn their items in exchange of loans commensurate with the value of the pawned goods; low-income people could thus access credit without being ruled by the overwhelming interests applied by financial institutions. The mounts took on the role of ethical lenders toward the needy who could not afford to bear the actual cost of money and provide proper guarantees. Nonetheless, the reasons underlying the establishment of the mounts of piety are likely to be more political than mutualistic. In an effort to

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In the Italian history, with the decline of the medieval commune system of government, the Signorie started flourishing as the new form of government. Signoria stands for “power of the lord”, a new concept of governing at odds with the former one, the commune or city republic. Once the commune system had collapsed because of wars among the various communes, new lords took power and restored order. The House of Medici that had ruled the city of Florence for almost a century was one of the most renowned families in the Signorie age. 5 The current pawnbrokers’ symbol seems to have been borrowed from the House of Medici’s coat of arms, deemed to be one of the most successful bankers in history. The Medici allegedly borrowed their symbol from the Lombards, who were the inventors of Lombard banking, the earliest form of modern pawnbroking.

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fight back the Jewish monopoly of finance, the Catholic Church ventured into this new form of banking that combined business purposes with aid purposes. The Catholic propaganda contributed to shaping the image of the Jewish banker applying usurer interest rates and taking advantage of needy people, to the extent that Jewish people became the target of common people’s anger and frustrations6. Among the established mounts, Monte dei Paschi di Siena has stood out as the world’s oldest bank, operating for more than five centuries as a private bank, although its original business lied in pawnbroking7. The image of pawnbrokers changed significantly during the late Middle Ages – till then pawnbrokers, mainly depicted as swindlers, had been harshly condemned by Christianity and judged unworthy of the money they would gain, as they would not provide any work or services in exchange of the interests applied8. Pawnbrokers’ sole proceeds came from usury, a broad concept comprehending any kinds of gains generated from moneylending9. Notwithstanding full ostracism of pawnbrokers imposed by Bible-inspired principles, the evolution of trades, coupled with increasing request for money and growing antisemitism, made Catholic Church rep-

6 Boholm, Christian Construction of the Other: The Role of Jew in The Early Modern Carnival of Rome, 24 Journal of Mediterranean Studies, 2015, pp. 37 ff., available at https://muse.jhu.edu/article/671443/pdf. The Author, as an example of how Jews had been targeted over the medieval age, highlights that in Rome, for several centuries, it was mandatory for the city’s Jews to take part in gross and degrading carnival spectacles. In particular, «Jews were used as mounts during mock tournaments on St John’s Day, and stones were thrown at the houses of the Jewish quarter on Good Friday. Fourteenth century records from the Iberian Peninsula systematically describe attacks during Holy Week on Jewish urban communities. In Italian cities, burlesque plays enacted on ox-drawn carriages, often to ridicule Jewish life and customs, were a popular form of carnival entertainment.» 7 Monte dei Paschi di Siena was founded in 1472 as a monte pio (pawn agency), as instructed by the Magistracies of the Republic of Siena, to provide aid to people in need. Following its corporate transformation in 1624, the mount extended its business toward classical banking, which has since then been its core business. More information on the history of Monte dei Paschi di Siena is available at https://www.gruppomps.it/en/ about-us/history.html. 8 Le Goff, Usury, religion and the birth of capitalism in the Middle Ages, 1986, available at https://premodeconhist.wordpress.com/2007/10/14/le-goff-j-1986-usury-religion-andthe-birth-of-capitalism-in-the-middle-ages/. The Author notes that «usury sold what did not exist (unlike a tree it bears no fruits, so a sum lent should be recovered in full but without interest since no ‘harvest was lost’) and thus was considered as a form of theft.» 9 Le Goff, La Bourse et la vie. Economie et religion au Moyen Age, 1986, pp. 11-26.

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resentatives change their minds as to pawnbrokers. Their business thus became better accepted within society, and pawnbrokers were even allowed to keep part of the interests they would charge10. Thanks to the rehabilitation process enacted by the Catholic Church, pawnbrokers, once judged as unforgivable sinners, were no longer unavoidably condemned to Hell. Indeed, the Church came up with the new concept of Purgatory, where souls would purify themselves while waiting to be possibly admitted to Heaven. Hence, as from the late Middle Ages, pawnbrokers began to occupy Purgatory, as a result of the new social judgment11. From Italy, pawnbroking did spread across Europe, eventually reaching the United States (US), where the business is flourishing still today. Conversely, thanks to the increasingly sound welfare measures introduced over time, and due to the social stigma associated with pawnbrokers over the centuries, the latter have been rarer in Europe and regularly mistaken for loan sharks. Shifting our focus toward the US, pawnbrokers have been playing a significant role in dealing with small entrepreneurs and consumers’ credit issues. Due to their lack of both financial resources and either personal or real guarantees accepted by banks, those people have been considering worth relying on these agencies to access credit. Therefore, regardless of whether times have changed, pawnshops have kept their share of customers, who apparently have no other way out. Unlike the European experience – charitable organizations and governments have been running pawnshops as a public service – in the US, pawnbrokers have been almost exclusively privately owned, holding a business purpose12.

10 In the Christian view of moneylending, it was not conceivable to charge any interest on the sum lent. Usury was considered a sin against nature, and pawnbrokers (intended as people who charged interests on the money lent) upon death were supposed to be directly condemned to Hell. 11 Le Goff, La Bourse et la vie. Economie et religion au Moyen Age, pp. 59-77. 12 An exception to the pawnbrokers’ trend is represented by the Provident Law Society, a non-profit organization dedicated to providing needy individuals with short-term cash loans secured by their jewelry and luxury objects. This society is the last mount-of-pietylike organization operating not for profit. More information on the Provident Loan Society is available at https://timesmachine.nytimes.com/timesmachine/1894/12/10/106843631. html?pageNumber=3&auth=login-email. Back in the day there used to be also the Massachusetts Pawner’s Bank of Boston, which was later renamed the Collateral Loan Company, founded in 1859. See Oeltjen, Pawnbroking on Parade, 37 Buff. L. Rev., 1988, p. 760.

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2.2. Business. Based upon the description provided by a famous academic, a pawnshop loan consists in a transaction in which «the broker makes a fixed term loan to a consumer who leaves collateral in the possession of the broker. If the customer repays the loan and all required fees, the broker returns the collateral to the customer. If the customer does not repay the loan by a specified date, the collateral becomes the property of the broker and the customer’s debt is extinguished»13. The features of these kinds of transactions enables identifying the people resorting to pawnshops, mainly consumers and small business owners lacking liquidity for handling both contingent situations and ordinary expenses14. Although few pawnshop consumers’ surveys have been filled out, those available have disclosed the extent to which US consumers resort to pawnshops15. On average, people relying on pawnshop loans have turned out to be mostly poor and poorly educated, without proper means for securing loans with financial institutions16.

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Caskey, Fringe Banking: Check-Cashing Outlets, Pawnshops, and the Poor, 1994, p. 12. Fla. Stat. § 539.001(2)(h) defines “pawn” as «any advancement of funds on the security of pledged goods on condition that the pledged goods are left in the possession of the pawnbroker for the duration of the pawn and may be redeemed by the pledgor on the terms and conditions contained in this section.» 14 In addition to traditional banking, and ordinary and most popular means, a more marginal way of getting credit exists: fringe banking. The latter could include check cashers, cash advancements on tax refunds, pawnshops and more recently car title loans. See Caskey, Fringe Banking: Check-Cashing Outlets, Pawnshops, and the Poor, where the Author points out that, in spite of interest rates and fees substantially higher than those applied by banks, pawnshops’ use, and in general fringe banking’s, has dramatically increased. 15 Hendrickson, The Proliferation of Pawnshops and Check Cashing Outlets: Can Regulation Be To Blame?, International Business & Economics Research Journal, 2002, pp. 41 ff. The Author argues that the Community Reinvestment Act of 1977 (CRA), even though it was intended to protect low-income depositors by actually requiring banks to extend loans to such depositors, eventually brought about some important unintended and harmful consequences for low-income individuals. Notably, it is likely that banks have been shutting down their local branches in low-income neighborhoods to avoid CRA requirements. Data collected from the first quarter of 2000 had showed the implementation of the CRA could explain the growth in pawnshop and check cashing outlets, both of which are extremely expensive forms of intermediation for consumers. 16 Johnson and Johnson, Pawnbroking in the U.S.: A Profile of Customers, 1998. The Authors came up with a refined, survey-based profile of US pawnbrokers’ borrowers, showing that a typical pawner is less educated, less stably employed, and has a higher bankruptcy rate than the average Americans.

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These people have been prevented from accessing general credit markets, as they cannot offer collaterals generally accepted by banks for securing a loan17. Being admitted to a credit facility agreement with a bank traditionally demands specific real guarantees (e.g., lien and mortgages) to make the repayment secured18. In addition, pawn loans are the only source of credit that fails to affect one’s credit score, hence they have no impact on one’s future access to credit19. Unlike pawnshops, banks do not gamble on the possible sale value of pawned collaterals, making banks adverse to accepting collaterals hard to cash out. Furthermore, banks gauge low-income borrowers that are too risky for unsecured credit, as they are less likely to rely on stable incomes and jobs20.

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Martin and Longa, High-Interest Loans and Class: Do Payday and Title Loans Really Serve the Middle Class?, 24 Loyola Consumer Law Review, 2012, p. 561, available at https://ssrn.com/abstract=2145598. The Authors strongly deny the argument that highinterest customers are represented by individuals belonging to the US middle class. In particular, they pointed out that «[a]ll sources other than the industries’ own studies have found the middle-class myth to be just that, a myth. Our own study, though limited in scope, suggests that the 2008 financial crisis has not necessarily changed the demographics for payday loans and other high-cost loans. Rather, these products most likely continue to be used by the same demographic traditionally served, namely the working poor. Given that these individuals have more to lose through high-cost credit than a more middle class clientele would, more effective regulation is warranted». 18 Prager, Determinants of the Locations of Payday Lenders, Pawnshops and CheckCashing Outlets, 45 Review of Industrial Organization, 2015, pp. 21-38. The Author found that alternative financial service providers (AFSPs) are more prevalent in areas where a large percentage of the population is black or lacks a high school diploma. Still, he found that AFSPs generally avoid the poorest areas and areas with high concentrations of Hispanics. Overall, AFSPs would be willing to locate where the demand for their services is likely to be greatest because a significant portion of the population does not qualify for more mainstream (and less expensive) forms of credit. Last, state laws and regulations governing AFSPs play a significant role in determining the number of AFSPs per capita. More stringent limits on the interest rates that can be charged on payday loans (pawn loans) are associated with significantly fewer payday lenders (pawnshops) per capita. 19 Carter, Payday Loans and Pawnshop Usage : The Impact of Allowing Payday Loan Rollover, 2011, p. 1, available at https://my.vanderbilt.edu/susancarter/files/2011/07/ Carter_Susan_JMP_website.pdf. 20 For an insightful and thorough portrait of low-income consumers’ behaviors, see Andreasen, The Disadvantaged Consumer, 1975. In his empirical study of low-income consumers, the Author underscores that this type of consumers, given their unstable sources of income, will less likely honor their debt payment commitments reliably. Moreover, due to their lack of bank accounts, low-income consumers are likely to be rejected in a credit check.

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To assess borrowers’ trustworthiness, pawnbrokers could only count on properly evaluating the collateral and holding it. Absent the system of guarantees surrounding mainstream credit markets, here the guarantee is the pawned good itself, which the borrower can redeem by paying the outstanding debts. Indeed, handing over the collateral is supposed to replace all the due diligence undertaken by banks to possibly grant loans, such as collecting credit rating information on borrowers. Once the pawnbrokers have assessed the collateral’s value, they lend a sum of money commensurate with the value of the pawned goods21. In particular, brokers usually lend a percentage of the value the collateral would gain in the event of sale thereof22. Furthermore, to quantify the loan amount, brokers will also evaluate how easy it will be to sell the collateral should the pawner fail to redeem it – both in terms of general marketability, and taking account of the pool of potentially interested customers23. Average sums usually lent by pawnbrokers amount to USD 75-10024, which confirms the insights as to the cluster of customers and the needs underlying the requests for loans. Together with paying the loan back, pawners are supposed to pay interests on the sum borrowed. Interest rates vary significantly across the US – ranging from States where interests are not capped to those applying interest ceilings pursuant to law. As to the documentation to be compiled by the borrower, the money is lent right after the pawn ticket has been duly filled in and submitted, namely «a receipt for articles taken as a security and acknowledgement that payment has been made»25. As per the New York City Consumer Affairs’ inspection checklist, pawn tickets provided to customers shall include specific information – inter alia, a description of the item pledged or pawned, the amount of money loaned, the interest rate to be paid, the

21 For an overview of the unpredictable economics of pawn shops, see https:// thehustle.co/the-unpredictable-economics-of-pawn-shops/. 22 Caskey and Zikmund, Pawnshops: The Consumer’s Lender of Last Resort, 75 Economic Review, 1990, p. 11. 23 Notwithstanding these evaluations, hearsay evidence has shown that pawnbrokers would rather give the collaterals back to the pawners, instead of attempting to sell them. This is in line with a general trend describing pawnbroking clients as repeat customers, who have almost always pawned the same item (e.g., their wedding ring). 24 Carter & Skiba, Pawnshops, Behavioral Economics, and Self-Regulation, 32 Rev. Banking & Fin. L., 2012, p. 193, available at: https://scholarship.law.vanderbilt.edu/ faculty-publications/1019. 25 For more information on pawn tickets, see https://business.dc.gov/definition/1298.

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maturity date, the name and address of the client, a note as to whether the client claims to be the owner, consignee, or agent of the owner, and a line stating “protected against loss by fire or theft” or the like26. Loans usually last 30-90 days. Should the pledgor fail to repay the principal plus interest after the maturity date (i.e., deadline on which the loan is to be paid back), the collateral would be forfeited, and the pawnbrokers would be entitled to sell it after a span of time has elapsed since the maturity date expired27. 2.3. Regulations. In the United States, pawnbroking is a regulated business. Each State has its own regulations sanctioning pawnbroking activities within respective boundaries. Sometimes, pawnshops are also regulated by local laws that impose, inter alia, limits on loan length, usury ceilings, and shop locations. As to federal laws, most regulations address consumers’ protection, agreements’ transparency, reporting duties, and privacy issues. The Federal Trade Commission and the Consumer Financial Protection Bureau (CFPB) are the federal agencies tasked with overseeing and enforcing those laws to prevent pawnbrokers from acting to the detriment of consumers. Although pawnbroker business was long associated with usurious interest rates and criminal involvement, over recent years these market

26 The New York City Consumer Affairs is tasked with granting pawnbrokers’ licenses to applicants. It is also entrusted with enforcing applicable laws and regulations and inspecting pawnbrokers’ businesses. The pawnbrokers inspection checklist is available at https://www1.nyc.gov/assets/dca/downloads/pdf/businesses/Pawnbrokers.pdf. 27 State and local laws governing pawn transactions provide for a mandatory minimum length of time the pawnbroker must keep the pawned article before selling it. Such provisions aim at achieving two purposes: giving the pawner a wider room to redeem the collateral, and giving law-enforcement authorities enough time to spot and recover stolen goods. For instance, Fla. Stat. § 539.001(10) provides that «[p]ledged goods not redeemed by the pledgor on or before the maturity date of a pawn must be held by the pawnbroker for at least 30 days following such date or until the next business day, if the 30th day is not a business day. Pledged goods not redeemed within the 30-day period following the maturity date of a pawn are automatically forfeited to the pawnbroker; absolute right, title, and interest in and to the goods shall vest in and shall be deemed conveyed to the pawnbroker by operation of law; and no further notice is necessary.» Similarly, Ala. Code § 5-19A-10(b) (pledged goods may be redeemed within 30 days after maturity date of loan).

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operators have been cleaning up their reputation28. Pay-day lenders have taken on the darkest role of credit providers29, to such extent that their businesses have been under scrutiny by the CFPB30. Reasons why regulators have been overlooking pawnbrokers may be grounded on the system of State and local laws regulating the set requirements, and the few mistakes reported while entering pawn loans. Among other things, pawnbroker statutes set out the requirements for registration or licensing of pawnshop owners31, detailed record-keeping

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«While the majority of today’s pawnshops are clean, attractively maintained establishments, the industry has difficulty shaking the “pawnbroker stigma.” The composite image of the pawnbroker is that of a shady, unkempt, overweight character working out of a filthy, run-down, back street hock shop with barred windows – a person who is involved in morally questionable practices, such as providing continuing support to “druggies” and other “low lives” in exchange for pawns of stolen goods.» Oeltjen, Florida Pawnbroking: An Industry in Transition, 23 Fla. St. U. L. Rev., 1996, p. 996, available at https://ir.law.fsu.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1480&context=lr. 29 Regulations have effectively prevented payday loans’ stores from operating in 13 US States and the District of Columbia. Payday lenders make loans of several hundred dollars, usually for two weeks, in exchange for a post-dated check. Fees are set as a percentage of the loan amount or the face value of the postdated check, most often ranging from 15 to 20 per cent, which translates into annual percentage rates of 390 per cent or more. Unlike pawn loans, where the borrower should hand over the collateral to the pawnbroker, to obtain a payday loan, an individual is supposed to have a documented source of income, an address, and a bank account in good standing. Skiba and Tobacman, Paydays Loans, Uncertainty and Discounting: Explaining Patterns of Borrowing, Repayment, and Default, Vanderbilt Law and Econ. Research Paper Series, Paper No. 08-33, August 2008, p. 20, available at http://papers.ssrn.com/sol3/papers. cfm?abstract_id=1319751, in which the Authors documented annualized interest rates for two-week-long payday loans of 468 per cent. 30 Under Obama’s administration, the CFPB aimed at getting rid of the way payday lenders were conducting their business, by adopting stricter rules and criteria to be complied with. Yet, under Trump’s administration, the CFPB, successfully lobbied by the relevant trade group, decided to oust the legal provisions protecting consumers adopted by the former administration. More information on the government’s policy shift is available at https://www.nytimes.com/2019/02/06/business/payday-loans-rules-cfpb.html. As to the proposal of rescinding mandatory underwriting provisions of the regulation promulgated by the CFPB in November 2017, more information is available at https:// www.consumerfinance.gov/policy-compliance/rulemaking/rules-under-development/ payday-vehicle-title-and-certain-high-cost-installment-loans/. 31 See, e.g., Ala. Code §§ 5-19A-11 to –14; Ariz. Rev. Stat. §§ 44-1627 and 44-1628; Cal. Fin. Code §§ 21300 and 21301; Conn. Gen. Stat. §§ 21-40; Fla. Stat. § 539.001(3) to (6); Md. Bus. Reg. Code §§ 12-201 to -210; Rev. Stat. Neb. § 69-202; N.J. Rev. Stat. § 45:22-2; Ohio Rev. Code Ann. § 4727.03.

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fulfilments32, periodic reporting of pawn transactions to law enforcement authorities33, mandatory holding periods that give enforcement authorities the time to spot and recover stolen goods,34 and periodic inspections by police and government oversight agencies. Pawnbrokers are required to report the collaterals received to the competent police station – if some of the collaterals turned out to be stolen, pawnbrokers are supposed to hand them over to the police35. Further, pawnbroker statutes usually provide for a mandatory minimum length of time that a pawnbroker must keep a pawned article before selling it36; and notice obligations on the pawnbrokers before reselling the pawned items37. At times, pawnbrokers are required by law to return to the customers any surpluses they may have gained by reselling the pawned items38.

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See, e.g., Ariz. Rev. Stat. § 44-1624; Colo. Rev. Stat. § 12-56-103; Del. Code § 242313; Fla. Stat. § 539.001(9); Ga. Code § 44-12-132; Ind. Code § 28-7-5-19; Md. Bus. Reg. Code Ann. §§ 12-301 to -304; Va. Code § 54.1-4009. 33 See, e.g., Ariz. Rev. Stat. § 44-1625; Cal. Fin. Code § 21208; Conn. Gen. Stat. §§ 21-43; Ky. Rev. Stat. § 16-715; La. Rev. Stat. § 37:1798; Mich. Stat. Ann. § 446.206; Mo. Rev. Stat. § 367.031; Rev. Stat. Neb. § 69-205; Nev. Rev. Stat. § 646.030; Ohio Rev. Code Ann. § 4727.09; Va. Code § 54.1-4010. 34 See, e.g., Ark. Code § 18-27-204; Cal. Bus. and Prof. Code § 21647; Fla. Stat. § 539.001(16); Md. Bus. Reg. Code Ann. § 12-305 (holding period for precious medal objects); Mo. Rev. Stat. § 367.055; Rev. Stat. Neb. § 69-206; Nev. Rev. Stat. § 646.047; Ohio Rev. Code Ann. § 4727.12; Rev. Code Wash. § 19.60.045. 35 Bos, Carter and Skiba, The Pawn Industry and Its Customers: The United States and Europe, Vanderbilt Law & Economics Working Paper No. 12-26, 2012, p. 7, available at https://ssrn.com/abstract=2149575. 36 Cal. Fin. Code § 21201 (four month retention period); Conn. Gen. Stat. § 2145 (two month retention requirement); D.C. Code § 47-2884.13 (six month retention required unless pawn customer consents in writing); Mich. Stat. Ann. § 446.210 (90day retention requirement); Minn. Stat. § 325J.06 (after 60 days, pawnbroker becomes owner); Rev. Stat. Neb. § 69-209 (four months); N.H. Rev. Stat. § 398:8; N.Y. Gen. Bus. L. § 48 (four months). 37 See, e.g., Mo. Rev. Stat. § 367.521; Ky. Rev. Stat. Ann. § 368.275; Fla. Stat. Ann. § 537.012(3); and N.Y. Gen. Bus. L. § 49. 38 Nehf, Secured Consumer Credit and The Fringe Banking Industry, Secured Transaction Under the Uniform Commercial Code, McDonnell, ed., Bender, 2005, p. 27. The Author, inter alia, reports that Florida, Kentucky, and New Hampshire allow the debtor to get all proceeds in excess of the principal amount of the loan, interest, allowable fees, and reasonable expenses of repossession, storage, and resale. Instead, Mississippi requires the return of eighty-five percent of any surplus, less a USD 100 fee which the lender may retain. In Missouri, the title lender must comply with the resale requirements under Article 9, UCC, applying the proceeds of sale in accordance with § 9-615(a), UCC, and returning any surplus to the debtor. See, Fla. Stat. Ann. § 537.012(5);

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Yet, this practice is unlikely, and pawnbrokers have often kept hold of any exceeding proceeds39. Among applicable regulations, interest rate ceilings deserve specific attention. The notion of usury varies terrifically across the US – the single States are not on the same page as to whether considering interests as usurious or not40. Just by way of example, the Alabama Pawn Shop Act provides that either interests or other charges shall not exceed 25 per cent of the principal amount per month41; conversely, New York General Business Laws42 prescribe that the higher chargeable rates shall amount to four per cent per month43. Nonetheless, albeit State laws regulating usury, pawnbrokers do not fall within the scope of such laws44. Likewise broker-dealers, credit unions, and the like, pawnbrokers are exempted from States’ general usury rules, as: pawnbrokers are often subject to more specialized regulations;

KY Rev. Stat. § 286.10-275; N.H. Rev. Stat. §§ 398:9, 444:5; D.C. Code § 47-2884.15; N.M. Stat. § 56-12-11; N.Y. Gen. Bus. L. § 50; R.I. Gen. Laws § 19-26-11. 39 Carter and Skiba, Pawnshops, Behavioral Economics, and Self-Regulation, p. 197, where the Authors hold that returning any surpluses rarely happens in practice. 40 See Bernhardt and Volkov, Usury and Loan Transfers, 49 Real Prop. Tr. & Est. L.J., Winter 2015, pp. 549 ff., available at https://ssrn.com/abstract=2895801; Smith, The Usury Exemption: Should It Apply to Real Estate Brokers Making Loans? 26 Santa Clara L. Rev., 1986, pp. 403 ff., available at http://digitalcommons.law.scu.edu/lawreview/vol26/iss2/4. Most US States have adopted laws aimed at capping usurious interest rates and curbing predatory lending. Despite the effort, primarily thanks to trade associations’ lobbying, States have excluded certain types of lenders from the scope of the laws governing usury. More particularized laws waiving general usurious ceilings introduced interest rates ceilings specifically applicable to pawnbrokers. In this way, through a specialized legal framework, pawnbrokers are exempted from usury laws. 41 Ala. Code § 5-19A-7 «A pawnbroker may contract for and receive a pawnshop charge in lieu of interest or other charges for all services, expenses, costs, and losses of every nature but not to exceed 25 percent of the principal amount, per month, advanced in the pawn transaction.» 42 N.Y. Gen. Bus. L. § 46. 43 Although the Congress might have under the Commerce Clause the power of federally regulating interest rates, it has never attempted to do so, leaving the States to autonomously regulate usury matters. Consequently, it is difficult to draw a general picture of usury across the US and, courts’ decisions have proved to be ambiguous. 44 Caskey and Zikmund, Pawnshops: The Consumer’s Lender of Last Resort, pp. 5-18. In overseeing pawnbrokers, state regulators are faced with a peculiar trade-off: a high interest rate ceiling provides individuals who are excluded from mainstream credit, with a costly alternative. On the other hand, a lower interest rate ceiling would decrease the cost of the alternative, still making access to pawnshops less convenient.

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they are traditional sources of financing; and their activities are extensively regulated45. As to stolen goods, State laws prescribe that pawnbrokers shall return stolen collaterals to their legitimate owners. In recent times the criminal shadow surrounding pawnbrokers has gradually faded, also thanks to more specific regulations in force and to lenders’ effort to rehabilitate their own jobs. Back then, pawn shops were looking for fall-off-thetruck stuff, focusing their business on fencing. Nowadays, data confirm stolen goods account for a paltry share of the collaterals handed over to pawnbrokers in exchange for loans46.

3. Article 9 of the Uniform Commercial Code. 3.1. Rationale. Several authors questioned the utility and opportunity of secured transactions, either endorsing it or considering it as unhelpful and even detrimental to the other unsecured creditors. Still, secured transactions

45 Oeltjen, Florida Pawnbroking: An Industry in Transition, pp. 1024-1025. Back in the day, with a view to getting around usury ceilings, pawnbrokers used to structure pawn transactions as buy-sell agreements, classifying them as sales rather than loans. According to the buy-sell agreement method, the pawnbroker would purchase an item of personal property from an individual seller through an agreement that gives the seller the exclusive right to repurchase the item within a specified period of time at a higher cost. Anyway, this difference seems to be faded, since buy-sell agreements are now included in the definition of pawns, with the consequence that they are subject to pawnbrokers’ regulations. Oeltjen, Florida Pawnbroking: An Industry in Transition, p. 1025, «[t]he historical use of buy-sell agreements to reduce the necessity for record keeping and to avoid required holding periods is no longer an effective avenue; buy-sell agreements are now expressly included in the definition of “pawn.” That definition makes it clear that buy-sell agreements are pawn transactions subject to pawn and pawnbroker regulations». 46 Caskey, Fringe Banking: Check-Cashing Outlets, Pawnshops, and the Poor, 1994, pp. 37-38, although anecdotal evidence suggests that pawnshops act as fences for stolen items, some evidence shows that only a small fraction of pawned items is repossessed by law enforcement because they were stolen. Conversely, Miles, Markets for Stolen Property: Pawnshops and Crime, (unpublished manuscript presented at the Law and Economics Workshop, at the University of Michigan Law School), January 2008, available at http:// www.law.umich.edu/centersandprograms/lawandeconomics/workshops/Documents/ Winter2008/miles.pdf, where the Author found evidence suggesting that pawnshops do sometimes function as fences for stolen goods.

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eventually took place, becoming a reliant means both for providing loans and repaying them47. Until the early nineteenth century, the pledge was the most widely used secured transaction – namely, the simplest and least formal means that constitutes a possessory form of security interest. Additionally, debtors and creditors began to use non-possessory security interests, which enabled debtors to retain the collateral and keep employing it in producing goods. Absent costs for shipping and delivering the collateral to creditor, debtors widely benefitted from non-possessory devices. Nonetheless, these new devices began to pose problems for third parties, such as other creditors of the same debtor and potential customers interested in buying the collateral. In particular, the parties were concerned with notice requirements to make third parties aware of collateralized goods. The US secured transactions landscape had long been uneven, with a wide array of non-uniform legislations and common law rules. Several inconsistencies arose between the different pieces of legislation, most of which proved outdated and unable to catch up with the new commercial practices. In the mid-twentieth century, the National Conference of Commissioners on Uniform State Laws (NCCUSL) undertook to design a single comprehensive uniform commercial code to promote consistency and harmonization of the various state legal systems48. Thanks to the NCCUSL efforts, in September 1951, the Uniform Commercial Code (including Article 9, regulating secured transactions) was finally passed into law. Over the following years, several States decided to adopt their own versions of Article 9, and by the 1960s all US States had enacted their own respective codes49. Nonetheless, such effort did not lead to

47 For a comprehensive analysis of the secured transactions matter, above all, see White and Brunstad jr., Secured Transactions: Teaching Materials, 2020. See also Whaley and McJohn, Problems and Materials on Secured Transactions, 2017; Brook, Problems and Cases on Secured Transactions, 2016; and Lawrence, Henning, and Freyermuth, Understanding Secured Transactions, 1997. 48 The NCCUSL was established in 1892. It provides states with non-partisan, wellconceived and well-drafted legislation that brings clarity and stability to critical areas of state statutory law. More information on the NCUSSL is available at https://www. uniformlaws.org/aboutulc/overview. 49 Winship, An Historical Overview of UCC Article 9. Unedited text of chapter 3 in Gullifer and Ackseli eds., Secured transactions law reform: principles, policies and practice, 2016; SMU Dedman School of Law Legal Studies Research Paper No. 310. Available at

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adequate uniformity, and a Permanent Editorial Board was established to amend Article 9. In 1972, the Board’s work culminated in a new version of Article 9, subsequently further revised until the latest version adopted in 1998, which is still in force nowadays. As a general matter, Article 9, UCC, applies to any transaction – “regardless of its form”50 – which creates a security interest in personal property. By contrast, security interests in real property are generally regarded as falling outside Article 9 scope of application. A security interest created as per Article 9, UCC, is a lien on personal property intended to secure a credit against the debtor. In the event the debtor fails to pay his/her debt, the lien allows the lender to get hold of the collateral, and eventually sell it and get the proceeds to satisfy the secured obligation. Therefore, in case of default, the creditor, by having secured his/her right, is prioritized against the other creditors with respect to that specific collateral and could retrieve the due money from its sale. Liens could be broken down into possessory and non-possessory security interests51. The former type, the pledge, is the most ancient and simplest form of secured transaction. It implies possession of the collateral from the creditor until the loan has been paid back. For a pledge to be perfected, the borrowers need hand over the collateral to the lenders for securing their debts, until the debt has been extinguished. This could be counterproductive for the debtors, as they may not count on an important piece of their equipment. For debtors to avoid losing possession of their own items prior to their default, new devises were created to secure financing. The latter category does not contemplate that creditors may take possession of the collateral from the borrowers before the borrowers’ default. Mortgages and non-possessory liens are examples of the latter category.

https://ssrn.com/abstract=2811676; Patchel, Interest Group Politics, Federalism, and the Uniform Law Process: Some Lessons from the Uniform Commercial Code, 78 Minnesota Law Review, 1993, pp. 83 ff.; Gilmore, Security Law, Formalism and Article 9, 1968, pp. 659 ff.; Schnader, A Short History of the Preparation and Enactment of the Uniform Commercial Code, 22 University of Miami Law Review, 1967, pp. 1 ff.; Gilmore, Secured Transactions, 1964; Braucher, The Legislative History of the Uniform Commercial Code, 58 Columbia Law Review, 1958, pp. 798 ff.; Lewellyn, Problems of Codifying Security Law, 13 Law and Contemporary Problems, 1948, pp. 687 ff., available at https://scholarship. law.duke.edu/lcp/vol13/iss4/10. 50 § 9-109, UCC. 51 Duncan, Lyons, and Lee Wilson, The Law and Practice of Secured Transactions: Working with Article 9, 2004, p. 22.

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3.2. Elements. Article 9, UCC, breaks down into two Parts – namely, attachment and perfection. The concept of attachment merges with that of enforceability, as a security interest attaches to the collateral once it has become enforceable against the debtor with respect to the collateral52. For a secured party to create enforceable Article 9 security interests, some requirements shall be met (attachment). Notably, some value is required; the debtor must either own the collateral or hold the power to transfer rights in the collateral; and the debtor either has authenticated a security agreement describing the collateral, or the secured party possesses the collateral pursuant to a security agreement53. The security agreement creates or provides for an interest in the debtor’s personal property that secures payment or performance of an obligation. By means of the security agreement, the debtor’s default risks are mitigated. As to the description of the collateral, Article 9 prescribes that «[e] xcept as otherwise provided in subsections (c), (d) and (e), a description of personal or real property is sufficient, whether or not it is specific, if it reasonably identifies what is described»54. This provision is rather vague and makes it difficult to figure out what description could be held acceptable as per Article 9. Too broad descriptions (supergeneric descriptions), such as referring to all the assets owned by the debtor, are for sure not compliant with Article 9. Section 9-108(c), UCC, offers a solution to overcome this interpretative issue; notably, a reasonable description identifies the collateral by (1) specific listing; (2) category; (3) a UCC official collateral type; (4) quantity; (5) computational or allocational formula or procedure; and (6) any other means, whether the identity of the collateral may be objectively determined. Should these conditions be met, the security interest is enforceable against the debtor and third parties. Perfection is a more cumbersome concept. As a rule, four general means of perfection apply – i.e., filing, possession, automatic perfection, and control. Among these methods, the default rule lies in filing a

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§ 9-203(a), UCC. § 9-203(b), UCC. § 9-108(c), UCC.

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financing statement with the competent public office, unless some other ways are permitted or required by law55. A financing statement is a publicly filed piece of documentation (generally a notice) including the information necessary to make the reader aware that the named creditor may claim an interest in the debtor’s specified collateral. It is a skeletal document which must contain information regarding the name of the debtor and the secured party, or his/her representative, and the collateral; yet, it omits any information relating to the parties’ agreements. With respect to specific collaterals, security interest could also be perfected via other means. Security interests in goods (including inventory) may be perfected either through possession or by filing a financing statement, meaning they are alternative ways leading to perfection. Instead, money represents an exception as a security interest may be perfected only through possession. As to possession, the collateral (or its equivalent) needs be handed over to the creditor. With respect to some kinds of intangible collaterals, control is the way to perfection. Perfection enables secured creditors to be positioned higher than unperfected secured creditors in the priorities pecking order, and even higher than general unsecured creditors. As a rule, perfected secured creditors have priority over subsequent lien creditors, namely those who have (pursuant to § 9-102(a)(52) UCC) acquired a lien on the property involved by attachment, levy, or the like; assignees for benefit of creditors; a trustee in bankruptcy; or a receiver in equity. Therefore, in addition to perfection, the timing of perfection matters most, based on which priority against other perfected creditors will be measured. Creditors who had perfected earlier will be prioritized over those who perfected later.

55 In contrast to the general trend, Bradley, Disrupting Secured Transactions, 56 Houston Law Review, 2019. pp. 965 ff. The Author proposes to remove and replace the filing system by means of which secured creditors notify others of their interest in items of collateral, and to start using modern technologies that would allow creditors to stake their claims directly – by means of online “smart” maps or by electronic tags identifying interests in particular items of collateral.

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4. Applicability of Article 9, UCC, to Pawn Transactions. 4.1.. In re Schwalb. In the case In re Schwalb56, the United States Bankruptcy Court, District of Nevada, was questioned on whether title loans (pawn loans having, as collateral, documentation representing collaterals in lieu of collaterals themselves) were subject to Article 9 UCC provisions57. The issue before the Court was peculiar, as the loans at issue did not meet the requirements for considering them pawn transactions as per Nevada State law. The plaintiff arranged for two deals with a pawnbroker without giving him the possession of anything but the documentation certifying the ownership of two vehicles (certificates of title). After the borrower had failed to pay his debts back and redeemed the collaterals, the pawnbroker went to the Department of Motor Vehicles to amend the pawned documents, asking for the former owner’s name to be replaced with his own name as the current owner of the vehicles. The borrower brought a lawsuit against the pawnbroker, who ultimately denied application of Article 9 UCC to the transactions at issue, on the grounds that pawnbroking would be excluded from the scope of the secured transactions law. Further, he claimed that both transactions were traditional pawns, and that he was the sole owner of the vehicles, as the pawner had failed to timely redeem the collaterals. Still, Nevada State and local regulations have not expressly ruled pawnbroking out of the application of Article 9, UCC. Accordingly, the Court held that failing to expressly exclude pawnbrokers from Nevada’s

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In re Schwalb – 347 B.R. 726 (Bankr. D. Nev. 2006). Drysdale and. Keest, The Two Tiered Consumer Financial Services Marketplace: The Fringe Banking System and its Challenge to Current Thinking About the Role of Usury Laws in Today’s Society, 51 S.C. L. Rev., 2000, pp. 589 ff.; Edelman, Aitken and Yballe, The Road Ahead: Emerging Trends in Personal Property Finance, 63 Bus. Law., 2008, pp. 597 ff.; Fox, Fringe Bankers: Economic Predators or A New Financial Services Model?, 30 W. New Eng. L. Rev., 2007, pp. 135 ff.; Hawkins, Regulating on the Fringe: Reexamining the Link Between Fringe Banking and Financial Distress, 86 Ind. L.J., 2011, pp. 1361 ff.; Johnson, The Magic of Group Identity: How Predatory Lenders Use Minorities to Target Communities of Color, 17 Geo. J. On Poverty L. & Pol’Y, 2010, pp. 165 ff.; Lundberg, Comment, Big Interest Rates Under the Big Sky: The Case for Payday and Title Lending Reform in Montana, 68 Mont. L. Rev., 2007, pp. 181 ff. 57

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laws regulating secured transactions would mean that pawnbroking would fall within and be governed by Article 9, UCC. This assumption is grounded on the substantial approach purported by Article 9, UCC, according to which its provisions apply regardless of the form of the transactions and the name the parties could give to those58. Furthermore, other US States have customarily been excluding pawnbroking activities from Article 9 scope of application. These two reasons led the Court to assume that pawnbroking in Nevada would be governed by Article 9, UCC. The Court further held that, although pawnbroking was impliedly exempted from the scope of Article 9, the loans at issue would not be regarded as traditional pawn transactions. Indeed, pawn loans require both a pledge and the delivery of the collateral to the pawnbroker, who needs have the material possession of the collaterals59. Here, the pawnbroker did not get material possession of the collaterals, being only provided with their certificates of title. Although the pawnbroker claimed to have constructive possession of the collaterals by holding their certificates of title, Nevada statutory provisions set forth that a pledge implies possession, which constitutes the transfer of property. The certificates of title, by means of which the pawnbroker was trying to prove his constructive possession, do not bear the characteristics of documents of title as defined in Article 1, UCC. Those documents of title serve the commercial purpose of standing proxy for the goods they represent. They are records evidencing that the person in possession or control of the record is entitled to receive, control, hold and dispose of the record, and the goods the record covers. Conversely, certificates of title serve a different function, being mainly designed for regulatory and anticrime purposes. The Court concluded that as Article 9 UCC, governs both transactions, the pawnbroker would lose his ownership claims as to the collaterals.

58 Clark and Clark, The Law of Secured Transactions Under the Uniform Commercial Code, at 2.02[1][c], 1980, at p. 12-16, «there is no requirement for words of grant. In fact, such a requirement smacks of the antiquated formalism the drafters were trying to avoid». 59 Oeltjen, Florida Pawnbroking: An Industry in Transition, p. 996, «a “pawn”… [is]…a bailment of personal property as security for payment of a debt for which the holders of the property have an implied power of sale on default».

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4.2. Are pawn transactions regulated as secured transactions? In the In Re Schwalb case, the Nevada Court did not take a stand on whether Article 9, UCC, should govern traditional possessory pawns. The Court focused on a peculiar kind of pawn, title loans that do not entail handing over the collaterals to the lender. Absent any insights from the Court on whether traditional pawn transactions are ruled by Article 9, UCC, it is necessary to proceed with a systematic analysis of the pawnbroking activities, and understand where US States have placed this practice within their own legal frameworks. Most US States have enacted specific rules applicable to pawnbrokers by meanwhile excluding this practice from the scope of Article 9, UCC. Several reasons could have led State and local legislators to specifically regulate pawnbrokers – among others, preventing this type of lender from taking advantage of people in need; avoiding as much as possible any criminal influences on this business; and providing a more particularized and precise legal framework for pawnbrokers, in order not to rely exclusively on Article 9 UCC provisions. Cutting down on the impact of criminal activities on pawnbrokers’ business has been one of the main goals of pawnbrokers’ statutes. Those pieces of legislation, far from regulating every single aspects of the relevant business, have been mainly concerned with administrative and criminal issues. Figuring out whether Article 9, UCC, applies (or not) to pawn transactions is a matter of sources of laws hierarchy, and policy decisions. By adopting pawnbrokers’ statutes, US States and municipalities did not want them uniquely to regulate the pawnbroking business. Rather, those statutes were aimed at supplementing and waiving some provisions set in broader pieces of legislation that would be applicable to pawnbrokers. The statutes, whereby adopted, have provided a response from State and local governments to a business that has been growing in recent years. Taking a look at those statutes’ provisions enables detecting they set out criteria and requirements to be met by those willing to undertake pawnbroking. Without any intent of completeness and exclusivity, these rules do not seek to exclude the application of Article 9, UCC, from pawn transactions, rather to establish a relationship among different layers of law.

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Pawnbrokers statutes often override or amend, either explicitly or implicitly, Article 9 UCC provisions60. Conversely, some Article 9 UCC versions adopted by US States fail to apply to pawnbrokers. Those fields seem to be intertwined to such an extent that, apart from their legal effects, it is virtually impossible to figure out whether we are before a pledge or a pawn: both of them consist in a bailment of personal property securing the payment of a debt, for which the holders of the property have an implied power of sale on default61. With regard to current business transactions, it is worth noting that possessory security interests are rather rare, and most of them have arisen out of pawnbroking. The evolution of business transactions has led to updating and improving the system of securities assisting them. Non-possessory securities have been prevailing, by virtue of their undeniable benefits both for borrowers and lenders. In particular, borrowers can keep holding the collaterals while the debt is pending62; and lenders have been opting for forms of security interests that do not provide for any bailment of the collateral, due to the cost associated with deposit and resale of the collateral itself in case of debtor’s default. In this regard, there is further evidence that those who rely on pawns are borrowers failing to hold any financial guarantees other than encumbering tangible assets. Notwithstanding harmonizing attempts from interstate conventions, with a view to aligning different legislations on specific legal matters, pawnbrokers have always got away with that, successfully maintaining their privileged status. The entire industry has benefitted from height-

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Nehf, Secured Consumer Credit and The Fringe Banking Industry, p. 7; Warren, LoPucki, and Lawless, Secured Transactions: A Systems Approach, 2015, p. 133. 61 Oeltjen, Florida Pawnbroking: An Industry in Transition, pp. 996-997, where the Author underscores that, in the business practice, the main differences among pawns and pledges are that pawns are limited to tangible personal property (i.e., goods), whereas pledges may be either tangible or intangible personal property, (e.g., goods or commercial paper and securities). Additionally, Article 9, UCC, provides that a pledge can be used also for securing an obligation different from a loan. 62 Castellano, Reforming Non-Possessory Secured Transactions Laws: A New Strategy?, 78 The Modern Law Review, 2015, p. 611, where the Author states that ÂŤsmall and medium-sized enterprises may gain access to credit by collateralizing tangible or intangible assets that are integral to the operation of their respective businesses through non-possessory security interests while retaining control and continuing to profit from those same assets.Âť

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ened lobbying, such that pawnbrokers were granted exemptions from the more invasive rules otherwise applicable63. For those cases that are not regulated by pawnbrokers’ statutes, Article 9 UCC provisions still apply to pawn transactions. Therefore, the relationship between those laws boils down to a subsidiary and integrative relationship: Article 9, UCC, governs any matters that is not regulated by pawnbrokers’ statutes. Instead, the statutes have priority over Article 9 UCC provisions for every aspect relating to the pawn transactions they already govern64. Hence, should all pawnbroking conditions be met by any parties to the transaction, the provisions of the pawnbrokers’ statute – if any – would have to apply to the transaction, as the latter falls within the scope of the statute. For all and any other issues not set forth by the statutes, Article 9 UCC would apply, acting as a fallback rule. This would also be indirectly confirmed by the holding of In re Schwalb, in which, absent both actual and constructive possession of the collaterals from the pawnbroker, the Nevada Court stated that Article 9 was to apply to the transactions at issue. However, as previously noted, the concerned transactions were title loans, namely a subspecies of loans between pawns and loans65. In this

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Nehf, Secured Consumer Credit and the Fringe Banking Industry, p. 15. In particular, pawnbrokers should not comply with usury ceilings set by US States. General pawn shop statutes usually permit higher interest rates, and could exempt pawn transactions from the redemption, resale, and surplus provisions under Article 9. See also Hooks v. Cobb Ctr. Pawn & Jewelry Brokers, Inc., 241 Ga.App. 305, 309(6), 527 S.E.2d 566 (1999), where a pawn statute overrides usury limits. 64 Oeltjen, Florida Pawnbroking: An Industry in Transition, p. 1026, where the Author underscores that the Florida Uniform Commercial Code states that the pawnbroker laws of chapter 538 «are specifically not repealed and shall take precedence over any provisions of this code which may be inconsistent or in conflict therewith.» According to the Author, the pawnbroker rules apply and take precedence. Therefore, the pawnbroker is entitled, in case of pawner’s default and once the period of redemption has expired, to hold possession of the collateral as payment in full for the debt, despite UCC provisions regarding redemption, compulsory disposition of collateral, and sale of collateral by the secured party. Furthermore, neither notice of sale be required except that printed on the pawn ticket, nor surpluses be due to the debtor, and no deficiency is owing from the debtor. 65 Hawkins, Credit on Wheels: The Law and Business of Audio Title Lending, 69 Wash. & Lee L. Rev., 2012, p. 538. The Author underscores that «[i]n an auto-title loan, a borrower typically takes out a onemonth loan at a high interest rate and gives a security interest to the lender in a vehicle that has no other liens on it. If the borrower defaults on

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regard, should the pawn statutes be construed to require that the lenders take immediate possession of pledged goods, then a car title loan may not qualify as a pawn. Therefore, absent a specific statute regulating title loans, Article 9 UCC rules would apply by default66 – clearly determining that the title loans should then comply with Article 9 UCC requirements, for the lender to have effective and enforceable security interest against the borrower. Policy reasons as well have led to the adoption of specific statutes governing some aspects of pawnbroking. US States, ever more aware of the importance of pawnbrokers as an accessible and quick means of credit, and faced with weighing the actual role of pawnbrokers within society and setting some boundaries to the business, have come up with applicable statutes. Data reveal that notably across US southern States – primarily, low-income people who have been struggling to find other ways to get credit – have long relied on pawnbrokers to cope with both ordinary and extraordinary expenses67. Yet, the spectrum of customers has widened due to the financial crises that hit the country. As pawnbrokers’ business has been thriving, instead of receding, the US States resolved to adopt specific regulations, both to protect customers and make the business more customer-friendly and able to spread.

5. Conclusions. At the end of our journey through the pawnbrokers’ business, I cannot help but acknowledge how powerful and customary pawnbroking still is in the US. Whether it is a matter of necessity for low-income borrowers, or lack of more pervasive and stricter regulations, it is hard to

the loan, the lender has the right to repossess and sell the collateral.» Martin and Adams, Grand Theft Auto Loans: Repossession and Demographic Realities in Title Lending, 77 Mo. L. Rev., 2012, pp. 47-48, «Securing a title loan is easy […] All one needs is a clear title to his or her car and an extra set of keys. Once the customer has filled out the basic paperwork, the borrower gives the actual title to the lender, who holds on to the title until the loan is paid. Some lenders do not perfect their lien in the vehicle by filing in the motor vehicle division of the state.» 66 Nehf, Secured Consumer Credit and the Fringe Banking Industry, p. 16. 67 Caskey, Pawnbroking in America: The Economics of a Forgotten Credit Market, p. 86.

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say. Certainly, pawnbrokers trade associations have been doing a great job, lobbying for legislation favorable to market operators. Except for particular kinds of loans – referring to title loans is painless – which are striving to find out a fitting position within the US legal framework, pawnbrokers may rely on both State and local statutes, and on Article 9 UCC as a fallback rule. Although jurisprudence has never specifically addressed the relationships between pawnbrokers’ statutes and the main piece of legislation regulating secured transactions (Article 9, UCC), structuring those sources of law as complementary sources – with the statutes having priority – would work well. On the law-enforcement side, the government’s focus on challenging fencing has so far brought its outcomes. The number of crimes related to stolen goods has decreased, and, as witnessed by pawnbrokers themselves, people involved in the business have been trying to keep distant from any kinds of misconducts and scandals. This could have a terrible impact on the extent to which potential customers trust pawnbrokers. Nevertheless, further research is vital to better understand this industry, both from a legal and a social perspective. Hence, the biased approach toward pawnbrokers should be given up in favor of a constructive and inquiring attitude.

Eugenio Prosperi Abstract

US pawnbrokers have been gaining momentum, notably among low-income borrowers, who lack proper guarantees for accessing mainstream credit markets. Notwithstanding the social stigma haunting pawnbrokers since the Middle Ages, US States have been rehabilitating them by acknowledging their peculiar and useful role within the society. This paper offers a thorough and up-to-date overview of the pawnbroking activity, spanning its features and regulations, and linking it to the secured transactions’ structure. Drawing upon the reasons of the In re Schwalb judgment, this paper, inter alia, purports to probe and analyze in depth the rationale of the decision and unveil the reasons underlying the inclusion of pawn transactions among secured transactions.

*** I prestatori su pegno statunitensi hanno acquisito rilevanza, in particolar modo nei confronti dei mutuatari a basso reddito, che non sono in grado di fornire le garanzie necessarie per accedere ai mercati del credito tradizionale. Nonostante lo stigma sociale che ha connotato i prestatori su pegno sin dal Me-

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dioevo, gli Stati Uniti li stanno riabilitando, riconoscendone la funzione peculiare e utile all’interno della società. Il presente articolo offre una panoramica puntuale e aggiornata dell’attività di prestito su pegno, analizzandone le relative caratteristiche e la regolamentazione, anche in relazione alla struttura tipica delle operazioni garantite. Attingendo alle motivazioni della sentenza In re Schwalb, questo articolo, tra l’altro, analizza in profondità la logica della decisione, evidenziandone i motivi alla base dell’inclusione dei prestiti su pegno tra le operazioni garantite.

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NORME REDAZIONALI

a. I contributi proposti per la pubblicazione (saggi, note a sentenza, ecc.) debbono essere inviati, in formato elettronico (word), al Direttore responsabile prof. avv. Alessandro Nigro al seguente indirizzo email alessandro.nigro@tiscali.it È indispensabile l’indicazione nella prima pagina (in alto a destra) dell’indirizzo email, per l’invio delle bozze. b. I contributi proposti per la pubblicazione sono preventivamente vagliati dalla Direzione. Quelli che superano tale vaglio vengono trasmessi, in forma anonima, ad uno dei componenti della apposita struttura di revisione, coordinata dal prof. Daniele Vattermoli. Il revisore rimette al coordinatore la sua relazione che, in forma anonima, è trasmessa al Direttore il quale, se la relazione è positiva, autorizza la pubblicazione del contributo.

I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)

II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto

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Norme redazionali

corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. … 4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).

III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile codice di commercio

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c.c. c.comm.


Norme redazionali

Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall. legge cambiaria l.camb. testo unico t.u. testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) t.u.b. testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58) t.u.f. 2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc.

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Norme redazionali

Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur. Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm.

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Rivista della cooperazione Rivista delle società Rivista del diritto commerciale Rivista del notariato Rivista di diritto civile Rivista di diritto internazionale Rivista di diritto privato Rivista di diritto processuale Rivista di diritto pubblico Rivista di diritto societario Rivista giuridica sarda Rivista italiana del leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Vita notarile

Riv. coop. Riv. soc. Riv. dir. comm. Riv. not. Riv. dir. civ. Riv. dir. internaz. Riv. dir. priv. Riv. dir. proc. Riv. dir. pubbl. RDS Riv. giur. sarda Riv. it. leasing Riv. trim. dir. proc. civ. Vita not.

4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesin­ger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cu­ra di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, To­rino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Tori­no, Tratt. soc. per az., diretto da Co­lombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume

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ISBN: 978-88-6995-363-7

€ 25

Il libro è dedicato ai profili generali della materia, ai protagonisti, pubblici e privati, delle suddette relazioni, alle fonti delle norme che tali relazioni governano, alle regole in punto di individuazione del diritto applicabile. I volumi successivi tratteranno del contratto internazionale in generale, dei più importanti tipi di contratti internazionali, dei profili transnazionali del diritto societario e del diritto industriale, della risoluzione delle controversie nel commercio internazionale, dei profili transnazionali del diritto concorsuale e del diritto tributario.


FONDAMENTI DEL DIRITTO COMMERCIALE INTERNAZIONALE – VOLUME 2 Il contratto commerciale internazionale: parte generale - Le garanzie - I pagamenti - I finanziamenti Alessandro Nigro (a cura di) Testi di Giovanni Battista Barillà, Fabrizio Maimeri, Filippo Parrella, Roberta Peleggi, Marco Torsello

ISBN: 978-88-3379-067-1

€ 24 Il presente volume è dedicato al contratto commerciale internazionale, massima espressione dell’autonomia privata e, in quanto tale, componente (talvolta si è parlato di strumento) principale, se non unica, del diritto commerciale internazionale.


I GRUPPI NEL CODICE DELLA CRISI Daniele Vattermoli (a cura di) Prefazione di Floriano d’Alessandro

ISBN: 978-88-3379-189-0

€ 24

Tra le novità più rilevanti recate dal d.lgs. n. 12 gennaio 2019, n. 14, va senz’altro annoverata la previsione di norme specificamente dedicate alla crisi delle imprese appartenenti a un gruppo, colmando così una vistosa lacuna del nostro ordinamento. Nel volume, che raccoglie i contributi di accademici di diverse università italiane, viene offerta una panoramica completa delle questioni interpretative che la disciplina pone e, al contempo, vengono fornite indicazioni in ordine alle prospettive applicative dei nuovi istituti.


DIRITTO DEL MERCATO MOBILIARE Manuale teorico pratico Profili tributari, condotte illecite e sistemi di risoluzione delle controversie Giuseppe Cavallaro (a cura di)

ISBN: 978-88-3379-139-5

€ 35

Il volume offre una panoramica della disciplina del mercato mobiliare alla luce delle più recenti novità normative, regolamentari e giurisprudenziali. Il percorso cognitivo si snoda attraverso l’analisi di temi di diritto classico (quali l’inquadramento sistematico degli istituti di maggiore interesse, i profili fiscali, le condotte penalmente rilevanti e i sistemi di risoluzione delle controversie) senza tralasciare aspetti di maggiore attualità (quali le criptovalute e le Initial Coin Offering) al fine di fornire agli operatori del settore, come agli studenti, una guida operativa di rapida consultazione per la risoluzione di problemi di tipo teorico e applicativo.


CODICE DELLA BANCA E DEL MERCATO FINANZIARIO Luigi Tramontano (a cura di)

ISBN: 978-88-3379-130-2

€ 49

L’opera riporta tutti gli articoli del Testo unico bancario (TUB) e del Testo unico finanziario (TUF), la maggior parte dei quali è corredata con la giurisprudenza più significativa ed attuale, ordinata alfabeticamente e cronologicamente. Lo scopo che il volume si prefigge è quello di consentire agli operatori del settore, nonché agli avvocati, ai magistrati, ai notai, ai commercialisti, ai docenti universitari e a tutti coloro i quali si approcciano alla materia, di comprendere e memorizzare il percorso normativo-giurisprudenziale che contraddistingue le questioni trattate, individuandone anche le soluzioni adottate ovvero gli approdi ermeneutici sinora raggiunti.


IMPRESA E SOCIETÀ Impresa - Società di persone - Società di capitali - Cooperative - Azienda - Consorzi e concorrenza - Disciplina penale Giuseppe Fauceglia (a cura di)

ISBN: 978-88-6995-248-7

€ 130

L’esame della giurisprudenza e degli orientamenti dottrinali più consolidati, oltre che delle Massime dei Consigli Notarili, rende questo Commentario utile per gli operatori del diritto (magistrati, notai, avvocati e consulenti di impresa), oltre che per i dottori commercialisti. Lo sviluppo dei singoli commenti, i numerosi ed articolati richiami alla giurisprudenza più recente, consentono un utilizzo immediato dei risultati raggiunti, non limitati ad un’informazione essenziale, ma alla ricostruzione organica delle singole disposizioni di legge.






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