Antiriciclaggio 3/2020

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ANTIRICICLAGGIO & COMPLIANCE RIVISTA ITALIANA DELL’ANTIRICICLAGGIO Direttore Ranieri Razzante

IN EVIDENZA

COMMENTI

GIURISPRUDENZA

NORMATIVA

Giorgio Spangher, Editoriale Maurizio Arena, Tre questioni aperte in tema di sanzioni antiriciclaggio Sabrina Familiari, Studio Criminologico dei comportamenti a rischio di riciclaggio

N. 3 2020 Luglio/Settembre Rivista trimestrale


COMITATO SCIENTIFICO Dott. Roberto Alfonso – Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano; Gen. D. Pasquale Angelosanto – Comandante Ros Carabinieri; Prof. Avv. Stefano A. Cerrato – Ordinario di Diritto Commerciale – Università di Torino; Cons. Maria Vittoria De Simone – Procuratore Nazionale Aggiunto DNA; Dott. Annalisa De Vivo – Consulente Antiriciclaggio Ufficio di Presidenza CNDCEC; Dott. Davide Diamare – Funzionario Area Giochi- Agenzia Dogane e Monopoli; Dott. Roberto Fanelli – Dirigente Generale Area Giochi- Agenzia Dogane e Monopoli; Prof. Massimiliano Ferrara – Professore Ordinario di Teoria dei Giochi e Matematica per l’Economia presso Università Mediterranea di Reggio Calabria; Prefetto Bruno Frattasi – Direttore Agenzia Beni Confiscati e Sequestrati; Notaio Cesare Felice Giuliani – Presidente CNN; Cons. Alfredo Guardiano – Magistrato V Sez. Penale della Corte di Cassazione; Gen. B. Massimo Ignesti – Esperto di Security Internazionale; Cons. Antonio Laudati – Sostituto Procutatore DNA; Prof. Notaio Giancarlo Laurini – Presidente Corte Nazionale Arbitrale; Dott. Giuseppe Leotta – Sostituto Procuratore Militare presso Procura di Roma; Dott. Marco Levi – Direttore responsabile Rivista231; Dott. Giuseppe Lombardo – Procuratore Aggiunto DDA Reggio Calabria; Prof.ssa Antonella Marandola – Ordinario Procedura Penale Università del Sannio- Benevento; Gen. B. Vincenzo Molinese – Comandante Istituto Superiore Tecniche InvestigativeArma dei Carabinieri; On. Dott. Alberto Pagani – Commissione Difesa Camera dei Deputati; Avv. Alessandro Parrotta – Penalista in Torino, esperto in Reati Finanziari; Prof. Avv. Alessandra Rossi – Ordinario di Diritto Penale – Università di Torino; Cons. Giovanni Russo – Procuratore Nazionale Aggiunto DNA; Dott. Ciro Santoriello – Sostituto Procuratore- Procura di Torino; Gen. B. Gaetano Scazzeri – Comandante Nucleo AntiCorruzione Gdf; Prof. Avv. Giorgio Spangher – Professore Emerito Università La Sapienza di Roma; Prof. Notaio Giuseppe Trimarchi – Associato Diritto commerciale Università Pegaso; Prof. Notaio Camillo Verde – Ordinario di Diritto Privato – Università di Cassino

COMITATO DI REDAZIONE Avv. Antonio Arrotino – Giurista d’Impresa e MLRO; Dott.ssa Marilisa De Nigris – Esperta in programmi di assistenza tecnica in materia di giustizia e sicurezza; Dott. Benedetto Palombo – Esperto in Antiterrorismo; Avv. Marta Patacchiola – Consulente Antiriciclaggio (Coordinatore); Dott.sa Francesca Romana Tubili – Esperta di social media relations; Dott.sa Francesca Urbani – Consulente Privacy e Antiriciclaggio

La collaborazione a Antiriciclaggio&Compliance – Rivista italiana dell’antiriciclaggio è a titolo gratuito.

Segreteria di redazione Gloria Giacomelli ggiacomelli@pacinieditore.it Phone +39 050 31 30 243 - Fax +39 050 31 30 300 Amministrazione Pacini Editore Srl, via Gherardesca 1, 56121 Pisa Tel. 050 313011 • Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it • abbonamenti_giuridica@pacinieditore.it I contributi pubblicati su questa rivista potranno essere riprodotti dall’Editore su altre, proprie pubblicazioni, in qualunque forma. In corso di registrazione presso il Tribunale di Pisa Direttore responsabile Patrizia Alma Pacini


INDICE

Editoriale di Giorgio Spangher

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Osservatorio normativo Marco Letizi, Dalla direttiva 2014/42/UE al Regolamento (UE) 2018/1805. Considerazioni sui più recenti sviluppi del sistema di Asset Recovery e Asset Management nell’Unione Europea »

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Maurizio Arena, Tre questioni aperte in tema di sanzioni antiriciclaggio »

517

Marta Patacchiola, Sulla decisione di istituti bancari di recedere dal contratto di conto corrente per indici reputazionali negativi relativi al cliente »

527

Approfondimenti Sabrina Familiari, Studio Criminologico dei comportamenti a rischio di riciclaggio »

533

Benedetto Palombo, Nigeria: agricoltura, pastorizia, criminalità e jihadismo »

545

Dimitri Barberini, Le nuove tecnologie per le analisi su flussi finanziari applicate a condotte criminali »

557

Giuseppe Coccia, Il finanziamento al sedicente Stato Islamico attraverso l’utilizzo dei servizi informali per il trasferimento dei valori »

577

Giurisprudenza

Mandato d’arresto europeo per reato di riciclaggio e diritto all’equo processo, Cass. Pen., 26/05/2020, n. 15924 (con nota a sentenza di Marina Grazia Ferrara) »

589

Francesca Ricci, Misure di prevenzione e pericolosità generica. Orientamenti giurisprudenziali tra Corte costituzionale e Corte EDU »

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INDICE

Andrea Bernabale, Mafia capitale e principi di diritto in tema di associazione mafiosa »

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Documentazione

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Comitato di Basilea, Linee guida sulla sana gestione dei rischi legati al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo (aggiornamento luglio 2020) »

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CNN, L’identificazione non in presenza fisica nel contrasto al riciclaggio ed al terrorismo internazionale »

637

CNDCEC-CNN-CNF, Nota congiunta in relazione all’identificazione del titolare effettivo in sede di apertura dei conti correnti relativi alle esecuzioni immobiliari da parte dei delegati alla vendita »

639

Agenzia delle Entrate – Guardia di Finanza, Disposizioni di attuazione delle modalità e dei termini relativi alle richieste di informazioni sulle operazioni intercorse con l’estero, sui rapporti ad esse collegate e sull’identità dei relativi titolari »

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Editoriale Scienze forensi ed emergenze epidemiologiche: tra esigenze sanitarie e diritti umani Intervento alla Cerimonia di apertura del Symposium on Court Sciences and Social Governance Rule of Law presso la Zhongnan University of Economics and Law

Giorgio Spangher

L’orizzonte nel quale si devono muovere le riflessioni sul tema delle scienze forensi di fronte alle situazioni emergenziali legate alle situazioni di epidemie sono di teoria generale, legate al bilanciamento tra le esigenze sanitarie, cioè attinenti al diritto alla vita e quelle di altri valori e beni: diritti di libertà, diritti di movimento e soprattutto diritti economici. Il fenomeno dell’emergenza sanitaria e la necessità di tutelare la salute imponendo limiti e vincoli all’attività ordinaria attraverso la quale si estrinsecano i diritti della persona e le ordinate e consolidate funzioni e attività della società impongono di fare delle scelte che devono bilanciare questi diritti con l’esigenza generale e individuale finalizzata di garantire la salute individuale e collettiva, che a ben vedere è il valore della vita dei cittadini.

La risposta a questo interrogativo, il prevalere dell’uno o dell’altro valore e bene o il loro equilibrio, condizionerà molte scelte concrete ed anche nel caso del prevalere del diritto alla vita, potrà essere necessario fare delle scelte: si potrebbe dover scegliere chi curare, ovvero a quale malattia dare la priorità. I settori nei quali questi profili incideranno sono molteplici: accenneremo ad alcuni. La consapevolezza della gravità che la situazione può determinare impone la fissazione di regole di comportamento idonee alla diffusione del pericolo. Possono e devono essere modificate alcune regole di comportamento (presidi sanitari individuali) e collettivi (spostamenti), con la previsione di adeguate sanzioni in caso di mancato rispetto delle regole. Nel contempo, tuttavia,


EDITORIALE

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possono e devono essere assicurate lo svolgimento delle funzioni essenziali per assicurare la continuità dell’azione legata ai servizi fondamentali anche attraverso lo svolgimento degli adempimenti con modalità rinnovate. Per un verso, alcune attività non possono essere interrotte (alimentazione e sicurezza) mentre altre possono essere svolte con modalità nuove. Sotto il primo profilo, andranno definiti i settori essenziali, di cui non si può prescindere, garantendo l’osservanza di regole comportamentali, evitando gli inevitabili rischi per i lavoratori. Sotto il secondo aspetto, bisognerà sviluppare – anticipando o rafforzando quanto già operativo – il telelavoro e lo smart working, tutelandone le modalità e le garanzie. Un profilo decisivo è costituito dalla tutela della salute da parte dei medici e delle strutture ospedaliere. È necessario che siano predisposte buone prassi, regole e protocolli per l’espletamento dell’attività sanitaria, anche al fine di definire i percorsi e gli ambiti sia della responsabilità medica, sia di quella politico-amministrativa, sia di quella tesa ad assicurare la garanzia delle attività economiche che devono necessariamente assicurare lo svolgimento delle funzioni essenziali alla continuità della vita della società civile. È possibile che l’entità del fenomeno renda inadeguata la ordinaria risposta sanitaria e assistenziale, preparata ad affrontare emergenze ordinarie ma non

quelle eccezionali. L’organizzazione sanitaria amministrativa potrebbe essere chiamata a rispondere dell’inadeguatezza dei mezzi a disposizione con possibilità di individuare precise responsabilità anche penali. Analoghi discorsi possono riguardare anche i medici e i sanitari rispetto alla tempestiva impercezione del pericolo e alla predisposizione delle adeguate terapie di prevenzione e di cura. Un aspetto non secondario della situazione epidemica è quello legato alla restrizione della libertà personale all’interno delle strutture penitenziare (carceri) sia sotto il profilo dei condannati, sia in relazione alla custodia cautelare, considerate le dimensioni dell’affollamento e del conseguente accentuarsi dei rischi della diffusione delle malattie. È necessario, non solo garantire la salubrità degli ambienti, ma anche limitare la diffusione del contagio trasferendo i detenuti fuori dal carcere e circoscrivere gli ingressi nei penitenziari, favorendo le misure alternative alla detenzione inframuraria. L’evidenziarsi di una situazione sociale nuova imporrà anche scelte di più ampio respiro, sia nell’immediato, sia nella trasformazione della società; nel medio periodo bisognerà accelerare quanto si era ipotizzato di fare nel lungo periodo. Sarà necessario predisporre aiuti economici e di sostegno per le attività produttive e per i soggetti che dall’emergenza rischiano di non avere risorse adeguate per l’esistenza loro e delle famiglie.


Editoriale

Le possibili negative ricadute economiche connesse alla stasi o al rallentamento dell’economia e delle risorse a disposizione dei cittadini impone un’attenzione particolare al diffondersi delle attività illegali, con conseguente accentuazione dell’usura, dello sfruttamento e quindi del rafforzarsi delle organizzazioni criminali capaci di sfruttare le occasioni di criticità dell’economia legale. Sarà possibile e necessario sviluppare le nuove tecnologie, connesse all’informatizzazione ed alla digitalizzazione, sia per l’attività scolastica e universitaria, sia per quella giudiziaria ed amministrativa.

GIORGIO SPANGHER

Invero, la piena disponibilità di strumenti tecnologici dovrà essere sfruttata al meglio: lezioni svolte a distanza, formazione di banche dati, digitalizzazione della documentazione bibliografica saranno segmenti da sviluppare, da integrare con presenza nei limiti della possibilità di movimento. Ma anche l’attività della giustizia potrà essere svolta da remoto, negli spazi che non precludono il rispetto dei diritti, rendendo la macchina burocratica più efficiente. Resta comunque fondamentale mettere sempre l’uomo a fondamento delle scelte che si devono fare.

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OSSERVATORIO NORMATIVO

Dalla direttiva 2014/42/UE al Regolamento (UE) 2018/1805. Considerazioni sui più recenti sviluppi del sistema di Asset Recovery e Asset Management nell’Unione Europea Marco Letizi

Il tema dell’Asset Recovery, inteso quale complesso processo di identificazione, tracciamento, congelamento e confisca di beni di derivazione illecita, continua ad essere una delle priorità dell’Unione europea. Con la risoluzione del Parlamento Europeo del 10 luglio 2020, avente ad oggetto la politica globale dell’Unione in materia di prevenzione del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo, si evidenzia come, secondo la Commissione, circa l’1% (160 miliardi di euro) del PIL annuale dell’Unione risulta coinvolto in attività finanziarie sospette, quali le attività di riciclaggio connesse all’illecito smaltimento dei rifiuti, corruzione, traffico di armi e di esseri umani, spaccio di sostanze stupefacenti, evasione fiscale, finanziamento del terrorismo ed altre attività illecite pregiudizievoli per i cittadini dell’UE.

Sommario: 1. Direttiva 2014/42/UE del Parlamento e del Consiglio del 3 aprile 2014 relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea. – 1.a Direttiva 1371/2017/U (direttiva PIF). – 1.b. Direttiva 2018/1673/UE. – 2. Regolamento (UE) 2018/1805 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018 relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca. – 3. Indagini finanziarie. – 4. Asset Management nell’Unione europea.


OSSERVATORIO NORMATIVO

1. Direttiva 2014/42/UE del Parlamento e del Consiglio del 3 aprile 2014 relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea

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Negli anni sono stati adottati a livello dell’Unione diversi strumenti volti a contrastare la criminalità organizzata attraverso l’aggressione ai patrimoni criminali. Al riguardo, i principali strumenti di cooperazione europea sono: l’Azione comune 1998/699 sul riciclaggio di denaro e sull’individuazione, il rintracciamento, il congelamento1 o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato; la decisione quadro 2001/500/GAI2 del Consiglio, che impone agli Stati membri di consentire la confisca, di ammettere pene sostitutive per il valore in causa nei casi in cui i proventi diretti di reato non possano essere rintracciati, e di fare in modo che le richieste di cooperazione provenienti da altri Stati membri siano trattate con la stessa priorità

Il termine “congelamento”, sebbene non sia usato nel linguaggio giuridico italiano, viene sistematicamente menzionato nella legislazione europea e può assimilarsi alla nozione di sequestro, inteso quale provvedimento provvisorio da assumere nell’ottica dell’eventuale successiva confisca. 2 Cfr. decisione quadro del Consiglio 2001/500/GAI del 26 giugno 2001, concernente il riciclaggio di denaro, l’individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato. 1

data ai procedimenti nazionali; la decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio3, che armonizza le norme sulla confisca. In particolare, la confisca ordinaria, comprese le pene sostitutive per il valore in causa, deve essere disponibile per qualunque reato punibile con un anno di reclusione. Devono essere esercitabili poteri estesi di confisca per alcuni reati gravi, quando commessi nel quadro di un’organizzazione criminale; la decisione quadro 2003/577/GAI4 del Consiglio, che prevede il riconoscimento reciproco dei provvedimenti di blocco dei beni; la decisione quadro 2006/783/GAI5, che statuisce il riconoscimento reciproco dei provvedimenti di confisca6; la decisione quadro 2007/845/GAI7 del Consiglio relativa allo scambio di informazioni e alla cooperazio-

Cfr. decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio del 24 febbraio 2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato. 4 Cfr. decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio del 22 luglio 2003, relativa all’esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio. 5 Cfr. decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio del 6 ottobre 2006, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca. 6 Sul punto si veda anche la Relazione della Commissione sull’attuazione del principio di reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca del 23 agosto 2010. 7 Cfr. decisione quadro 2007/845/GAI del Consiglio del 6 dicembre 2007, concernente la cooperazione tra gli uffici degli Stati membri per il recupero dei beni nel settore del reperimento e dell’identificazione dei proventi di reato o altri beni connessi. 3


Dalla direttiva 2014/42/UE al Regolamento (UE) 2018/1805

ne tra gli uffici degli Stati membri per il recupero dei beni, che obbliga gli Stati membri ad istituire o designare uffici nazionali per il recupero dei beni in qualità di punti di contatto centrali per facilitare, attraverso una cooperazione rafforzata, il reperimento più rapido possibile dei proventi di reato in tutta l’Unione europea, la comunicazione della Commissione sui proventi da reati del crimine organizzato (2008); il Programma di Stoccolma (2009) e le conclusioni del Consiglio Giustizia e affari interni in materia di confisca e recupero dei beni (2010); la comunicazione della Commissione sulla strategia di sicurezza interna dell’UE (2010); il rapporto del Parlamento Europeo sul crimine organizzato nell’Unione Europea (conosciuto come rapporto Alfano) e la risoluzione conseguente (2011). Nonostante tale prolifica produzione normativa, permanevano ancora diversi elementi di criticità che hanno indotto la Commissione a proporre nel 2012 una direttiva specificatamente dedicata alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione Europea. Le principali criticità afferivano principalmente alla lenta e disomogenea implementazione da parte degli Stati membri della normativa europea in materia di confisca, ad un insoddisfacente livello di armonizzazione tra le legislazioni nazionali e alla conseguente incapacità da parte degli Stati membri di cooperare in modo efficace nell’individuazione,

tracciamento, congelamento e confisca degli assets criminali, alle difficoltà di collaborazione in fase di recupero dei beni e di reciproca assistenza giudiziaria proprio in ragione di un disallineamento tra i modelli di confisca nei diversi Stati membri, nonché al tema della destinazione dei beni confiscati con particolare riferimento alla necessità di promuoverne il riutilizzo sociale. La direttiva 2014/42/UE, adottata dal Parlamento e dal consiglio il 3 aprile 20148 – su proposta della commissione del 12 marzo 2012 – relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea contiene norme minime finalizzate all’armonizzazione della legislazione sul sequestro e sulla confisca in materia penale degli Stati membri, favorendo così la fiducia reciproca e un’efficace cooperazione transfrontaliera. La direttiva 2014/42/UE ha però lasciato deluse alcune delle aspettative suscitate dall’impostazione della risoluzione sulla cri Cfr. direttiva 2014/42/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea. La direttiva è stata approvata con il voto contrario della Polonia e senza la partecipazione al voto dell’Inghilterra – con la conseguente esclusione di un’area di rilievo all’ambito di operatività della direttiva – e della Danimarca, che era stata la principale promotrice della direttiva n. 212/2005 sui poteri allargati di confisca; aderisce invece l’Irlanda ma solo in relazione ai reati contemplati dagli strumenti legislativi cui è vincolata. 8

MARCO LETIZI

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OSSERVATORIO NORMATIVO

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minalità organizzata nell’Unione Europea, adottata dal Parlamento Europeo il 25 ottobre 2011. Dal suo campo di applicazione restano infatti escluse le moderne forme di “processo al patrimonio” quali le misure di prevenzione italiane e le actiones in rem conosciute i numerosi ordinamenti di common law9. La direttiva 2014/42/UE contempla, tra i mezzi più efficaci per contrastare il crimine organizzato, l’individuazione, il congelamento e la confisca dei beni di derivazione illecita, auspicando che l’adozione di norme minime ravvicinerà gli ordinamenti degli Stati membri in materia di congelamento e confisca dei beni, incentivando, in tal guisa, un’efficace cooperazione internazionale. La direttiva in esame evidenzia che i vigenti regimi di confisca estesa dei vari Stati membri e di riconoscimento reciproco dei provvedimenti ablativi, sulla base di quanto contenuto nelle relazioni d’attuazione della Commissione europea afferenti alle decisioni quadro 2003/577/GAI, 2005/212/ GAI e 2006/783/GAI, non sono pienamente efficaci. A proposito dei beni suscettibili di provvedimento ablatorio, con riferimento a quanto indicato al punto 8 della Risoluzione del Parlamento Europeo del 25 otto A. Balsamo, L’amministrazione dei beni confiscati dopo la direttiva europea del 2014 sulla confisca dei proventi da reato, in Marco Letizi, I beni confiscati, procedure di destinazione, best practices e casi concreti di soluzione, Edibank. 9

bre 2011, la Direttiva 2014/42/UE evidenzia la necessità di chiarire il concetto di “proventi di reato”, al fine di includervi i proventi derivanti direttamente da attività criminali, tutti i vantaggi indiretti, fino a comprendere qualsiasi bene, anche trasformato, convertito, in tutto o in parte, in un altro bene, oppure confuso con beni acquisiti lecitamente, sino al valore stimato dei beni confusi, nonché introiti o altri vantaggi derivanti dai proventi da reato o da beni nei quali detti proventi sono stati trasformati o convertiti o nei quali tali proventi sono stati confusi. La direttiva 2014/42/UE si sofferma, altresì, sul concetto di confisca c.d. “estesa” che colpisce anche quei beni i quali, pur non essendo legati ai fatti-reato da un nesso di causalità, si ritiene – sulla base di una serie di elementi – che possano derivare da attività criminali. Sebbene la decisione quadro 2005/212/GAI abbia individuato tre condizioni minime sulla base delle quali gli Stati membri possono valutare di applicare la confisca estesa, di fatto, in sede di recepimento di tale decisione quadro, gli Stati membri hanno optato per scelte diverse mutuando concetti differenti di confisca estesa nell’ambito dei propri ordinamenti interni e ostacolando, in tal guisa, il reciproco riconoscimento dei provvedimenti ablativi. Al riguardo, la stessa Direttiva 2014/42/UE evidenzia la necessità che si proceda ad un’ulteriore armonizzazione delle disposizioni afferenti alla confisca c.d. “estesa”


Dalla direttiva 2014/42/UE al Regolamento (UE) 2018/1805

attraverso la definizione di una serie di norme minime10. Ancora, la direttiva in esame evidenzia che l’attuale quadro normativo dell’Unione europea non prevede norme vincolanti in materia di confisca di beni trasferiti a terzi o acquisiti da terzi. In tal senso, la direttiva precisa che la confisca dovrebbe essere sempre possibile nell’ipotesi in cui si verifichino le seguenti condizioni: • il terzo abbia acquisito beni, in via diretta o indiretta, da un indagato o imputato al fine di evitare che i beni vengano confiscati in capo a quest’ultimo; • il terzo – sia esso persona fisica o giuridica – sapeva o avrebbe dovuto sapere che il trasferi Al punto (21), la Direttiva 2014/42/UE precisa che la “confisca estesa dovrebbe essere possibile quando un’autorità giudiziaria è convinta che i beni in questione derivino da condotte criminose. Ciò non significa che debba essere accertato che i beni in questione derivano da condotte criminose. Gli Stati membri possono disporre, ad esempio, che sia sufficiente che l’autorità giudiziaria ritenga, in base ad una ponderazione delle probabilità, o possa ragionevolmente presumere, che sia molto più probabile che i beni in questione siano il frutto di condotte criminose piuttosto che di altre attività. In tale contesto, l’autorità giudiziaria deve considerare le circostanze specifiche del caso, compresi i fatti e gli elementi di prova disponibili in base ai quali può essere adottata una decisione di confisca estesa. Una sproporzione tra i beni dell’interessato e il suo reddito legittimo può rientrare tra i fatti idonei ad indurre l’autorità giudiziaria a concludere che i beni derivano da condotte criminose. Gli Stati membri possono inoltre fissare un periodo di tempo entro il quale si può ritenere che i beni siano derivati da condotte criminose”. 10

mento o l’acquisizione dei beni aveva lo scopo di evitarne la confisca11. La Direttiva precisa il concetto di “congelamento ai fini di confisca” inteso quale provvedimento ablatorio di natura provvisoria, distinto dalla confisca, fondamentale anche per evitare la dispersione, il deterioramento o il trasferimento dei beni eventualmente da sottoporre a confisca e auspica – ferme restando le disposizioni indicate nella decisione quadro del Consiglio 2003/577/GAI del 22 luglio 2003 – anche in questo caso un riavvicinamento degli ordinamenti giuridici nazionali. In conclusione, sebbene la direttiva 2014/42/UE lasci insoddisfatte talune incoraggianti iniziative introdotte dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2011 sulla criminalità organizzata nell’Unione, essa tuttavia rappresenta una straordinaria occasione offerta agli Stati membri di emendare gli ordinamenti interni con norme che rendano più efficace l’utilizzo della confisca penale ordinaria, della confisca estesa, della confisca in assenza di condanna e della confisca per equivalente e capaci di attenuare – nell’ambito del diritto penale, Il convincimento da parte dell’autorità giudiziaria che emette il provvedimento ablativo nell’ipotesi cui si fa riferimento si deve basare – secondo la Direttiva 2014/42/ UE – “su fatti e circostanze concreti, ivi compreso il fatto che il trasferimento sia stato effettuato a titolo gratuito o contro il pagamento di un importo in denaro significativamente inferiore al valore di mercato”. 11

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civile e fiscale – l’onere della prova in relazione all’origine dei beni nella disponibilità di un soggetto imputato di un reato connesso alla criminalità organizzata. La direttiva 2014/42/UE, in buona sostanza, si propone di rafforzare le norme in materia di confisca estesa12, attenuare l’onere della prova in ordine agli assets di derivazione illecita, armonizzare gli ordinamenti nazionali relativi al congelamento e della confisca dei beni e promuovere il pieno riconoscimento dei provvedimenti ablatori, al fine di prevenire e contrastare le forme più gravi di criminalità organizzata transnazionale nell’Unione europea. La misura ablatoria contemplata all’articolo 4 della direttiva 2014/42/UE è rappresentata dalla confisca, totale o parziale, di beni strumentali e proventi da reato, o di beni di valore corrispondente a detti beni strumentali o proventi, in base a una condanna penale definitiva, che può anche essere pronunciata a seguito di un procedimento in absentia. In altri termini, l’articolo 4 prevede la confisca ordinaria (o penale) e la confisca per equivalente. Sebbene l’articolo 4 sembra escludere dal campo di applicazione della direttiva 2014/42/UE la confisca di prevenzione (non conviction based confiscation), men-

Nella direttiva cui si fa riferimento si assiste ad un rafforzamento dei poteri estesi di confisca tali da prevedere un corpo unico di norme minime che non scende al di sotto delle condizioni stabilite dalla decisione quadro 2005/212/GAI. 12

tre – in caso di sproporzione tra il valore economico dei beni nella disponibilità, diretta o indiretta, del condannato, i redditi dichiarati o le attività economiche dallo stesso esercitate – prevede la possibilità di procedere alla confisca estesa di quei beni che non risultino finanziariamente giustificati e rispetto ai quali esistono delle prove sufficienti tali da indurre l’autorità giudiziaria procedente a ritenere che gli stessi derivino da attività illecite. Al fine di monitorare l’eventuale gestione indiretta di attività economiche o il trasferimento fittizio di beni in favore di prestanome, l’articolo 6 della direttiva in esame prevede la confisca di assets criminali trasferiti in favore di terzi soggetti consapevoli del fatto che il trasferimento o l’acquisizione dei beni era finalizzato ad evitarne l’ablazione, sulla base di fatti e circostanze concreti, compresa la circostanza che il trasferimento dei beni sia avvenuto a titolo gratuito o contro il pagamento di un importo significativamente inferiore al reale valore di mercato del bene. L’articolo 7 della direttiva di che trattasi prevede, altresì, il congelamento dei beni che si presume siano di derivazione criminale quale forma ablatoria prodromica rispetto alla eventuale successiva confisca. In ultima analisi, la direttiva 2014/42/UE esclude la forma di confisca, a tutt’oggi, considerata dagli organismi preposti all’applicazione della legge tra le più efficaci e snelle (non conviction


Dalla direttiva 2014/42/UE al Regolamento (UE) 2018/1805

based confiscation)13, la quale – rilevando quale procedura ablatoria che può svilupparsi in qualsiasi fase del procedimento penale14 ed indipendentemente da esso – rappresenta un ulteriore strumento investigativo volto ad assicurare alla giustizia i beni considerati di derivazione criminale in aggiunta o in alternativa alle altre forme di confisca. Nonostante detto limite applicativo, la direttiva 2014/42/UE resta il provvedimento di riferimento dell’Unione in materia di congelamento e confisca dei beni derivanti da reato. Ad essa, difatti, fanno riferimento sia la direttiva 1371/2017/ UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 luglio 201715 che la

Il tipo di confisca cui si fa riferimento, originariamente utilizzata negli USA, appare sempre maggiormente utilizzato a livello mondiale. Di seguito alcuni degli ordinamenti che hanno introdotto tale provvedimento ablativo: Italia, Irlanda, Regno Unito, Albania, Bulgaria, Slovacchia, Australia, Sudafrica e le province canadesi dell’Ontario e dell’Alberta. A livello europeo, il sistema di confisca in parola è stato oggetto di approfondimento sia dinanzi ai Tribunali nazionali che alla Corte europea dei diritti dell’uomo e si è ritenuto che detta misura ablatoria sia compatibile non solo con i requisiti costituzionali nazionali ma anche con quelli della Corte europea dei diritti dell’uomo purché sia possibile contestarla dinanzi ad un tribunale e che sia emessa da un’autorità giudiziaria nel pieno rispetto dei diritti della difesa e di terzi in buona fede. 14 Diversamente dalla non conviction based confiscation, nel procedimento penale devono necessariamente incardinarsi le altre forme di confisca (ordinaria, estesa e per equivalente). 15 Cfr. direttiva 2017/1371/UE del Parla13

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direttiva 2018/1673/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 ottobre 201816. 1.a. Direttiva 1371/2017/UE (direttiva PIF)

La direttiva 1371/2017/UE, meglio nota come direttiva PIF (Protezione Interessi Finanziari), stabilisce norme minime in materia di definizione dei reati e loro regime sanzionatorio con riferimento alle frodi e alle attività illecite in danno degli interessi finanziari dell’Unione Europea. L’iter di recepimento della direttiva 1371/2017/UE è stato avviato con la Legge n. 117 del 4 ottobre 2019 (“Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2018”) che contiene i principi e i criteri direttivi specifici per l’attuazione della direttiva PIF e si è concluso con l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del 6 luglio scorso, in esame definitivo, del decreto legislativo di attuazione della direttiva PIF.

mento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale. La Direttiva PIF ha abrogato la Convenzione del Consiglio del 26 luglio 1995, redatta sulla base dell’articolo K.3 del Trattato dell’Unione Europea relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità. 16 Cfr. direttiva 2018/1673/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2018 sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale.

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Sulla base delle indicazioni fornite dalla Legge delega attuativa 117/2019, il legislatore ha inteso modificare alcune fattispecie di reato che ledono gli interessi finanziari dell’UE e di inasprire le pene, in alcuni casi, con un aumento di quella edittale massima fino a quattro anni di reclusione (peculato, indebita percezione di erogazioni e induzione a dare o promettere utilità). Le modifiche più rilevanti riguardano oltre che il codice penale, il D.lgs. 74/2000 (reati tributari) e il D.lgs. 231/2001 (responsabilità degli enti), il testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale (Dpr 43/1973) e la legge in materia di aiuti comunitari al settore agricolo (Legge 23 dicembre 1986, n. 898). All’articolo 10 “Congelamento e confisca”, la Direttiva stabilisce che gli Stati membri adottino le misure necessarie per consentire il congelamento e la confisca degli strumenti e dei proventi dei reati di frode in danno dell’Unione previsti dagli articoli 3, 4 e 5 (anche nelle forme dell’istigazione, favoreggiamento, concorso e tentativo), in conformità a quanto statuito dalla Direttiva 2014/42/UE. Nell’ambito applicativo della Direttiva PIF, la confisca opera esclusivamente per i beni derivanti da ipotesi di frode in materia di spese non relative agli appalti, spese relative agli appalti, entrate diverse dalle entrate derivanti dalle risorse proprie dell’Iva ed entrate derivanti dalle risorse proprie dell’Iva.

In materia di entrate derivanti dalle risorse proprie provenienti dall’IVA, l’art. 2, comma 2, stabilisce che la direttiva si applica unicamente ai casi di reati gravi contro il sistema comune dell’IVA che prevedono azioni od omissioni intenzionalmente perpetrate nell’ambito di attività fraudolente transfrontaliere, connesse al territorio di due o più Stati membri dell’Unione e che comportino un danno complessivo pari ad almeno 10 milioni di euro. All’articolo 4, la direttiva 1371/2017/UE prevede altri reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, come il riciclaggio17, la corruzione (attiva e passiva) e l’appropriazione indebita, queste ultime due fattispecie quando commesse intenzionalmente. Il Regolamento (UE) 2017/1939 del 12 ottobre 201718, istitutivo dell’Ufficio del Procuratore europeo (EPPO), nel definire la competenza del nuovo Ufficio europeo di Procura, in via indiretta, fornisce più circostanziati elementi circa il perimetro applicativo della direttiva PIF rispetto alle fattispecie di reato in essa contemplate. Infatti, il Regolamento (UE) 2017/1939 stabilisce che EPPO L’art. 4 della Direttiva PIF prevede il reato di riciclaggio come descritto all’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2015/849/UE riguardante beni provenienti dai reati rientranti nell’ambito di applicazione della stessa direttiva. 18 Cfr. Regolamento (UE) 2017/1939 del Consiglio, del 12 ottobre 2017, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea («EPPO»). 17


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debba avere il diritto di esercitare la propria competenza anche su fattispecie di reato diverse da quelle previste dalla direttiva PIF qualora le stesse risultino non solo inestricabilmente connesse con uno dei reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione ma che comportino, altresì, una sanzione inferiore rispetto a quella del reato contemplato dalla direttiva PIF. La competenza di EPPO può estendersi anche alle fattispecie indissolubilmente connesse a quelle previste dalla direttiva PIF che risultino addirittura prevalenti in termini di gravità del reato rispetto a quelle che ledono gli interessi finanziari dell’Unione purché ritenuti di carattere accessorio in quanto meramente strumentali al reato che lede gli interessi finanziari dell’Unione. In altri termini, tale diverso reato deve essere stato perpetrato allo scopo di creare le condizioni per commettere il reato che lede gli interessi finanziari dell’Unione. 1.b. Direttiva 2018/1673/UE

La direttiva 2018/1673/UE completa e rafforza la Direttiva 2015/849/UE19 attraverso la lotta al riciclaggio mediante il diritto Cfr. Direttiva 2015/849/UE del 20 maggio 2015 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2006/70/CE della Commissione. 19

penale, favorendo una efficace e più veloce cooperazione transfrontaliera tra le competenti autorità. La VI direttiva antiriciclaggio supera le lacune relative alla definizione e al regime sanzionatorio del reato di riciclaggio nell’Unione, introduce norme volte a facilitare la cooperazione giudiziaria e di polizia transfrontaliera, incentiva – a livello nazionale – la cooperazione tra gli organismi deputati all’applicazione della legge, Europol e UIF, consentendo alle competenti autorità di contrastare più efficacemente i crimini transnazionali. Inoltre, la direttiva 2018/1673/ UE attribuisce rilevanza penale alle attività di riciclaggio qualora commesse intenzionalmente e con la consapevolezza che i beni da sottoporre ad ablazione patrimoniale siano derivati da un’attività illecita senza però distinguere necessariamente se gli stessi beni siano derivati direttamente o indirettamente dall’attività criminale, in linea con la definizione più ampia di “proventi di reato” stabilita nella direttiva 2014/42/UE. La direttiva 2018/1673/UE si riferisce ancora alla direttiva 42/2014/UE allorquando all’articolo 9 “Confisca” prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie ad assicurare il congelamento o la confisca dei proventi derivanti dal reato di riciclaggio o dei beni strumentali utilizzati o destinati ad essere utilizzati a tal fine, in conformità a quanto statuito dalla direttiva 2014/42/UE.

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Sebbene in materia di confisca di assets criminali la direttiva 2014/42/UE vincoli la VI direttiva antiriciclaggio, tuttavia quest’ultima sembra superare i limiti applicativi della prima, prevedendo che la Commissione sottoponga alle valutazioni del Parlamento europeo e del Consiglio un report volto ad analizzare la fattibilità e i possibili benefici di introdurre ulteriori norme comuni sulla confisca di beni derivanti da attività criminali anche nell’ipotesi di assenza di una condanna nei confronti di una o più persone specifiche per tali attività. Al riguardo, la direttiva 2018/1673/UE sembra operare un chiaro riferimento a quella forma di confisca conosciuta nei sistemi anglosassoni come non conviction based confiscation che può essere assimilata alla confisca di prevenzione prevista dal Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 15920. Con particolare riferimento al reato di riciclaggio, è importante evidenziare come la direttiva 2018/1673/UE statuisca che il reato di riciclaggio – quando coinvolge beni derivanti dalle fattispecie di reato contemplate dalla direttiva PIF – rientra nell’ambito applicativo di quest’ultima direttiva. 20 Cfr. Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159 “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136”, entrato in vigore il 13 ottobre 2011.

2. Regolamento (UE) 2018/1805 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018 relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca Il Regolamento (UE) 2018/1805 del 14 novembre 2018 del Parlamento europeo e del Consiglio, che entrerà in vigore dal 19 dicembre 2020, sostituisce le previgenti decisioni quadro 2003/577/GAI del Consiglio del 22 luglio 2003 relativa all’esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio e 2006/783/GAI del Consiglio del 6 ottobre 2006 relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca, con il precipuo fine di superare le criticità che hanno impedito il pieno ed efficace utilizzo del mutuo riconoscimento dei provvedimenti di confisca a livello dell’Unione. Con il Regolamento (UE) 2018/1805, il mutuo riconoscimento viene ora imposto con un provvedimento legislativo direttamente applicabile, adottato con la procedura legislativa ordinaria, in ossequio all’art. 82, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Peraltro, il ricorso al Regolamento quale strumento legislativo di immediata applicazione delle norme europee era stato trattato quale uno dei principali topics di approfondimento in seno all’Action Plan pubblicato dalla Commissione il 7 maggio 2020, attesa la recalci-


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tranza di numerosi Paesi membri a recepire le norme dell’Unione. Con il Regolamento (UE) 2018/1805 viene superato il principio cardine del mutuo riconoscimento dei provvedimenti di confisca introdotto con la direttiva 2014/42/UE preferendo quello del “reciproco riconoscimento” indipendentemente dalla realizzata e tanto auspicata armonizzazione. E, pertanto, nell’ipotesi il provvedimento ablatorio da eseguire non venga riconosciuto nell’ordinamento giuridico dello Stato membro di esecuzione, questo ultimo dovrebbe comunque essere in grado di riconoscere e dare esecuzione a detto provvedimento. È evidente l’impatto del Regolamento in termini di politica criminale atteso che il legislatore europeo finisce per avocare a sé una diretta competenza in materia di procedura penale anche solo nei limiti della cooperazione verticale. Detta ingerenza legislativa sembra essere attenuata dal fatto che il provvedimento in esame viene adottato nel rispetto del principio di sussidiarietà – in quanto l’obiettivo principale del Regolamento di che trattasi, ossia il riconoscimento reciproco e l’esecuzione dei provvedimenti di congelamento e dei provvedimenti di confisca può essere efficacemente realizzato solo a livello dell’Unione proprio in ragione del carattere transnazionale delle attività criminali perseguite21 – e della proporzionalità in Detto principio risulta essere stato ul-

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ragione del fatto che il provvedimento in esame si limita a quanto è necessario per conseguire il suo obiettivo. L’art. 3 del Regolamento elenca le 32 fattispecie di reato sanzionate nello Stato di emissione del provvedimento con pena detentiva della durata massima di almeno tre anni, per le quali non è teriormente espanso nella direttiva antiriciclaggio 2015/849/UE ove il legislatore europeo, nelle considerazioni che precedono l’articolato della direttiva, ha sottolineato come le misure adottate solo a livello nazionale o anche a livello dell’Unione, se non vengono considerate nell’ottica di una cooperazione a livello internazionale hanno effetti molto limitati. Le misure adottate dall’Unione nello specifico settore dovrebbero pertanto essere compatibili con – ed almeno parimenti stringenti come – le altre azioni intraprese nei contesti internazionali. Cfr. punto (4) delle considerazioni della direttiva 2015/849/UE (“Money laundering and terrorist financing are frequently carried out in an international context. Measures adopted solely at national or even at Union level, without taking into account international coordination and cooperation, would have very limited effect. The measures adopted by the Union in that field should therefore be compatible with, and at least as stringent as, other actions undertaken in international fora. Union action should continue to take particular account of the FATF Recommendations and instruments of other international bodies active in the fight against money laundering and terrorist financing. With a view to reinforcing the efficacy of the fight against money laundering and terrorist financing, the relevant Union legal acts should, where appropriate, be aligned with the International Standards on Combating Money Laundering and the Financing of Terrorism and Proliferation adopted by the FATF in February 2012 (the ‘revised FATF Recommendations’)”.

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necessaria la verifica della doppia incriminabilità dei fatti. Tale importante scelta compare per la prima volta nel testo della Decisione Quadro 2002/584/ GAI del 13 giugno 2002 relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri. All’articolo 1, paragrafo 2, il legislatore precisa che l’esecuzione del mandato d’arresto europeo si fonda sul principio del riconoscimento reciproco e all’articolo 2, paragrafo 2, statuisce che “Danno luogo a consegna in base al mandato d’arresto europeo, alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro e indipendentemente dalla doppia incriminazione per il reato, i reati seguenti22, quali definiti dalla legge dello Stato membro emittente, se in detto Stato membro il massimo della pena o della misura di sicurezza privative della libertà per tali reati è pari o superiore a tre anni”. I 32 reati elencati all’articolo 2, paragrafo 2, della Decisione Quadro 2002/584/ GAI coincidono con quelli previsti dal Regolamento (UE) 2018/1805 del 14 novembre 2018 con la differenza che mentre nella Decisione Quadro si fa riferimento alla “frode, compresa la frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee ai sensi della convenzione del 26 luglio 1995 relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee” nel Regolamento (UE) 2018/1805, in ragione della Direttiva 2017/1371 del 5 luglio 2017 (Direttiva PIF), che ha abrogato la Convenzione del 26 luglio 1995 a protezione degli interessi finanziari delle Comunità Europee, mentre nel Regolamento del 14 novembre 2018 viene indicata la “frode, compresi la frode e i reati che ledano gli interessi finanziari dell’Unione definiti nella Direttiva 2017/1371”. 22

Nell’ipotesi di fattispecie di reato non incluse nella lista di cui al paragrafo 1, lo Stato di esecuzione può rifiutarsi di eseguire il provvedimento di congelamento o confisca qualora il crimine presupposto non costituisca un illecito penale nello Stato che deve eseguire il provvedimento, come previsto dall’articolo 3, paragrafo 2. Interessante osservare come nell’abrogata decisione quadro 783/2006, e precisamente all’articolo 6, paragrafo 3, per i reati diversi da quelli elencati nella stessa decisione quadro, non solo si ammette come eventuale la doppia incriminabilità dei fatti ma si introduce anche il principio della “doppia confiscabilità” nel senso che “lo Stato di esecuzione può subordinare il riconoscimento e l’esecuzione della decisione di confisca alla condizione che i fatti che danno luogo alla stessa costituiscano un reato che, ai sensi della legislazione dello Stato di esecuzione, consente la confisca, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso ai sensi della legislazione dello Stato di emissione”. I provvedimenti relativi al congelamento o alla confisca di beni devono essere accompagnati da certificati di congelamento o confisca così come disposto, rispettivamente, dagli articoli 4 e 14 del Regolamento. Si tratta di un modello standard che dovrebbe facilitare il riconoscimento del provvedimento e velocizzarne la sua esecuzione. Gli elementi informativi indicati nei certificati riportati negli Alle-


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gati alle abrogate decisioni quadro 2003/577/GAI23 e 2007/783/ GAI24 rispecchiano sostanzialmente quelli indicati nel modello di cui all’Allegato 125 del Regolamento anche se in questo ultimo provvedimento si assiste ad una semplificazione delle procedure rispetto ai due citati abrogati provvedimenti. Con riferimento all’autorità di emissione del provvedimento di congelamento o confisca occorre sottolineare come il Regolamento preveda un organo giurisdizionale, un tribunale o un pubblico ministero competente oppure un’altra autorità competente designata come tale dallo Stato di emissione e che ha competenza in ambito penale a disporre il congelamento o la confisca dei beni. Inoltre, prima di essere trasmesso all’autorità di esecuzione, il provvedimento di congelamento è convalidato da un organo giurisdizionale, un 23 Cfr. Articolo 9 della Decisione Quadro 2003/577/GAI e il relativo Allegato. 24 Cfr. Articolo 4 della Decisione Quadro 2006/783/GAI e il relativo Allegato. 25 L’Allegato 1 del Regolamento (UE) 2018/1805 del 14 novembre 2018 include il “Certificato di congelamento” che risulta diviso in Sezioni. Interessante osservare che, sebbene il certificato accompagnatorio venga intitolato come “Certificato di congelamento”, alla Sezione F vengono richiesti i motivi che hanno dato luogo al provvedimento di confisca, alla Sezione G vengono richieste le informazioni in caso di trasmissione del certificato di confisca a più di uno Stato di esecuzione e, infine, alla Sezione H vengono richieste informazioni circa il procedimento che ha dato luogo al provvedimento di confisca.

tribunale o un pubblico ministero nello Stato di emissione”. Come si è detto in precedenza, nel campo di applicazione della direttiva 2014/42/UE rientra il congelamento e la confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato afferenti alla confisca penale o ordinaria, alle ipotesi di confisca estesa e a quella per equivalente, mentre resta esclusa la confisca di prevenzione. Il Regolamento supera il perimetro applicativo della direttiva 2014/42/UE in quanto si applica a tutti i provvedimenti di congelamento e confisca emessi in seguito a procedimenti connessi ad un reato e non solo i provvedimenti che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2014/42/ UE, includendo anche i provvedimenti emessi in assenza di una condanna definitiva. A parere di chi scrive, il Regolamento dovrebbe applicarsi anche ai provvedimenti emessi in assenza di condanna da un organo giurisdizionale e cioè ad ipotesi di vera e propria actio in rem, di un procedimento autonomo nei confronti dei beni connessi a un reato. Traslando la questione a livello nazionale, i provvedimenti di prevenzione dovrebbero rientrare nell’alveo applicativo del Regolamento non solo in quanto emessi da un organo giurisdizionale ma in quanto soggetti a precondizioni di natura soggettiva e oggettiva che mettono in diretta correlazione i destinatari della misura di prevenzione, definiti “socialmente pericolosi”, con il sospetto che gli stessi appartengano ad un’orga-

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nizzazione criminale di matrice mafiosa, oppure che abbiano perpetrato reati gravi o che vivano abitualmente – in ragione del loro comportamento o del loro tenore di vita – dei proventi da reato, ovvero che siano stati segnalati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unione per il congelamento dei beni sulla base del sospetto che gli stessi possano essere dissipati, nascosti o utilizzati per finalità di terrorismo (precondizioni soggettive); od ancora, che esista una sproporzione tra il valore economico dei beni nella diretta o indiretta disponibilità del sospettato (e dei relativi componenti il suo nucleo familiare) e i redditi dichiarati ai fini delle imposte sul reddito o le attività economiche esercitate dal sospettato o in alternativa (o in aggiunta) la sufficiente prova che i beni derivino da attività criminali (precondizioni oggettive). Con riferimento al prerequisito oggettivo della sproporzione, è importante evidenziare che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 33/201826, abbia precisato come la sproporzione rilevi come “sintomo dell’origine illecita”. Sebbene in detta sentenza le Sezioni Unite abbiano qualificato la misura di prevenzione come misura di carattere amministrativo, a cui si aggiungano le critiche avanzate da una parte della dottrina che evidenzia la mancanza 26 Cfr. Sentenza c.d. “Spinelli”, Cass., Sez. II, sent. 13 marzo 2018 (dep. 27 marzo 2018), n. 14165, Pres. Diotallevi, Est. Ariolli, ricc. Alma e Brulicchio.

nel procedimento di prevenzione delle garanzie proprie del processo penale, tuttavia il legislatore italiano ritiene che il procedimento destinato all’applicazione della confisca di prevenzione rientri nella definizione di procedimento penale. Restano comunque esclusi dall’ambito di applicazione del Regolamento i provvedimenti di congelamento o confisca emessi nel quadro di procedimenti in materia civile o amministrativa. L’articolo 18 “Riconoscimento ed esecuzione del provvedimento di confisca”, al paragrafo 5, prevede che se l’autorità di emissione ha emesso un provvedimento di confisca l’autorità di esecuzione può – adottando le misure necessarie alla sua esecuzione alla stessa stregua di un provvedimento di confisca nazionale emesso da un’autorità dello Stato di esecuzione – decidere di congelare i beni interessati di propria iniziativa, conformemente al proprio diritto nazionale, in vista della successiva esecuzione del provvedimento di confisca. Pertanto, se nello Stato di esecuzione il congelamento è presupposto essenziale per l’esecuzione della eventuale successiva confisca allora ben si potrà eseguire il congelamento anche in assenza di richiesta da parte dello Stato di emissione. Nelle considerazioni che precedono l’articolato (n. 13), il legislatore afferma che “il procedimento in materia penale può comprendere anche indagini penali svolte dalla polizia e da altri servizi di contra-


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sto”. Atteso che il “procedimento in materia penale”, ai sensi dello stesso Regolamento, deve essere inteso quale concetto autonomo del diritto dell’Unione interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea che contempla tutti i provvedimenti di congelamento e confisca emessi in seguito a procedimenti connessi ad un reato e tenuto conto della definizione di “autorità di emissione” di cui all’articolo 2, paragrafo 8, non si capisce quale tipo di provvedimento ablatorio connesso ad un reato possa essere emesso da una forza di polizia o da altro servizio di contrasto ai sensi del Regolamento di che trattasi. L’articolo 24 del Regolamento (UE) 2018/1805, paragrafo 2, consente ad ogni Stato membro la possibilità di designare una o più autorità centrali quali responsabili della trasmissione e della ricezione dei certificati di congelamento e di confisca e della relativa assistenza da fornire alle competenti autorità nazionali per l’identificazione, tracciamento ed esecuzione del richiesto provvedimento ablatorio. Entro la fine dell’anno, la Commissione europea pubblicherà un ulteriore report volto a delineare come le nuove norme europee in materia di Asset Recovery dovranno essere implementate e definire il ruolo degli Asset Recovery Offices (AROs) nell’Unione in modo da poterne valorizzare le potenzialità operative nell’Unione. Con la decisione quadro 2007/845/GAI del 6 dicembre 2007 concernente la cooperazio-

ne tra gli uffici degli Stati membri per il recupero dei beni nel settore del reperimento e dell’identificazione dei proventi di reato o altri beni connessi, il Consiglio europeo intende completare la rete Camden per il recupero di beni criminali (CARIN)27, istituita all’Aia il 22-23 settembre 2004 nel settore dell’identificazione, del congelamento e della confisca dei beni criminali, che affronta peraltro gli aspetti giuridici relativi allo scambio di informazioni tra i diversi AROs in tutti gli Stati membri. L’art. 1 di detta decisione quadro stabilisce che ciascuno Stato membro istituisce un ufficio nazionale deputato all’identificazione dei proventi di reato e altri beni connessi con reati che possono essere oggetto di un provvedimento di congelamento, sequestro o confisca emanato dall’autorità giudiziaria competente nel corso di un procedimento penale o, conformemente al diritto interno dello Stato membro interessato, di un procedimento civile. La stessa decisione quadro, altresì, evidenzia la necessità che si attui un proficuo scambio (anche spontaneo) di informazioni e di best practices28 tra gli AROs di La rete CARIN è supportata dalla Commissione europea e da Europol e comprende esperti di oltre 50 paesi. 27

I suoi compiti sono lo scambio delle migliori pratiche e il miglioramento della cooperazione transfrontaliera tra le diverse forze di polizia. L’articolo 6 della decisione cui si fa riferimento statuisce che “Gli Stati membri assicurano che gli uffici per il recupero dei 28

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diversi Stati membri, al fine di facilitare le attività di recupero dei beni di derivazione illecita, indipendentemente dalla loro natura giuridica. L’ARO richiedente specifica l’oggetto e i motivi della richiesta, nonché la natura del procedimento nel formulario previsto nell’Allegato B alla Decisione quadro 2006/960/GAI del Consiglio del 18 dicembre 2006, relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell’Unione europea incaricate dell’applicazione della legge; in tal senso, devono essere dettagliate tutte le informazioni disponibili riguardanti i beni da ricercare od oggetto del provvedimento ablativo, precisandone la natura, nonché ogni utile informazione sulle persone fisiche e giuridiche che si presume siano implicate. In applicazione dell’articolo 1 della decisione quadro del 6 dicembre 2007, sono stati istituiti 28 AROs suddivisi quasi equamente tra quelli insistenti nell’ambito di un’autorità giudiziaria e quelli presso strutture a carattere multidisciplinare. Peraltro, quasi tutti gli AROs includono due punti di contatto CARIN per ciascun Paese (uno presso l’autorità giudizia-

beni procedano allo scambio delle migliori pratiche sui modi per migliorare l’efficacia degli sforzi degli Stati membri diretti a identificare e reperire proventi di reato e altri beni connessi con reati che possano essere oggetto di un provvedimento di congelamento, sequestro o confisca da parte dell’autorità giudiziaria competente”.

ria e l’altro nell’ambito di forze di polizia). Lo scambio di informazioni tra gli AROs non avviene sempre in via diretta ma tramite diversi canali: CARIN (Belgio, Germania, Spagna e Olanda), Ufficiali di collegamento INTERPOL (Austria, Cecoslovacchia, Germania e Spagna), il network degli Ufficiali di collegamento in servizio presso le varie autorità incaricate di applicare la legge, Financial Intelligence Units (FIUs), gli Ufficiali di collegamento dell’Iniziativa di cooperazione dell’Europa sud-orientale (SECI). Le risultanze derivanti dalle riunioni tenute dagli AROs hanno evidenziato che, a seguito dell’adozione della decisione 2007/845/GAI, è aumentato il numero di richieste di informazioni – anche spontanee – tra gli AROs e, in genere, si è innalzato il livello qualitativo dei riscontri. Tuttavia, nella Relazione della Commissione europea al Parlamento Europeo e al Consiglio del 12 aprile 2011, basata sull’articolo 8 della decisione quadro 2007/845/ GAI del 6 dicembre 2007, vengono segnalati i seguenti elementi di criticità: • la maggioranza degli AROs soffrono di ristrettezze in termini di organico; infatti, solo 6 su 28 hanno uno staff superiore alle 10 unità; • sebbene la principale funzione degli AROs consista nel tracciare e identificare i beni sul territorio, tuttavia la maggioranza degli stessi non dispone di un accesso (diretto o indiretto) ai


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più importanti database tali da consentirgli di conseguire più efficacemente gli obiettivi; • con riferimento all’accesso alle principali banche dati, è emerso che mentre tutti gli AROs hanno la possibilità di accedere ai registri delle imprese, in alcuni Paesi membri non esiste il Registro del catasto immobiliare e un solo ARO ha accesso al registro nazionale dei conti correnti bancari che, peraltro, è presente in soli 5 Paesi membri; • i dati sensibili (ad esempio, conti correnti bancari, email, fax) spesso vengono scambiati tra i vari AROs mediante l’utilizzo di un sistema di comunicazione non totalmente sicuro. Al riguardo, nella Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio dell’Unione Europea del 20 novembre 2008 avente ad oggetto “Proventi della criminalità organizzata. Garantire che il crimine non paghi” viene proposta la possibilità di affidare ad Europol il coordinamento delle attività degli AROs atteso che Europol Criminal Assets Bureau (ECAB), nel 2007, risulta aver supportato oltre 100 indagini finanziarie finalizzate all’individuazione di assets criminali. Lo stesso ECAB ha proposto di valutare la possibilità di utilizzare il sistema di comunicazione SIENA29 di EU-

Secure Information Exchange Network Application (SIENA) è uno strumento di comunicazione di nuova generazione idea29

ROPOL. Nel settembre 2009, Europol ha avviato una fase pilota per l’implementazione del sistema di comunicazione SIENA alla quale hanno partecipato gli AROs di 11 Stati membri30 e nel luglio 2010, gli AROs di 8 Paesi membri31 hanno ricevuto una specifica attività formativa sull’utilizzo di SIENA presso la sede centrale di Europol. Nella Comunicazione in esame viene rimarcata anche l’opportunità di coinvolgere significativamente EUROJUST, al fine di agevolare il reciproco riconoscimento dei provvedimenti ablatori dei beni di derivazione illecita anche in ragione del fatto che, sempre nel 2007 – si legge nel richiamato documento della Commissione Europea – oltre 1000 dei casi trattati da EUROJUST hanno avuto ad oggetto provvedimenti di congelamento, sequestro e confisca di proventi della criminalità organizzata; • solo alcuni AROs risultano essere punti centrali di contatto a livello nazionale per le richieste di mutua assistenza legale avanzate da autorità di altri

to per garantire un rapido, agevole e sicuro scambio di informazioni e di intelligence correlati al crimine organizzato tra gli Stati membri, Europol e i soggetti terzi con i quali Europol ha un accordo di cooperazione. 30 I Paesi cui si fa riferimento sono Belgio, Danimarca, Estonia, Slovacchia, Spagna, Francia, Ungheria, Olanda, Polonia, Svezia, Regno Unito. 31 I Paesi cui si fa riferimento sono Belgio, Danimarca, Estonia, Ungheria, Olanda, Polonia e Regno Unito.

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Stati membri in materia di Asset Recovery; • solo alcuni AROs risultano coinvolti nella gestione di beni congelati e circa la metà di essi non hanno accesso alle statistiche dell’autorità giudiziaria afferenti al sequestro e alla confisca dei beni; • sebbene gli AROs considerino essenziali le financial investigations, in quanto strumentali all’individuazione degli assets di derivazione illecita, tuttavia gli stessi lamentano una carente attività formativa in favore degli investigatori finanziari e, più in generale, una scarsità delle risorse a loro disposizione. Le conclusioni della Commissione Europea indicate nel report sottolineano come l’obiettivo core della decisione 2007/845/GAI di istituire degli AROs capaci di comunicare e cooperare fattivamente sia stato sostanzialmente raggiunto. Nella parte conclusiva del documento, viene richiamata, tra l’altro, la Comunicazione della Commissione Europea al Parlamento Europeo e al Consiglio del 22 novembre 2010 avente ad oggetto “La strategia di sicurezza interna dell’UE in azione: cinque tappe verso un’Europa più sicura”32, nella quale appare par-

La Comunicazione cui si fa riferimento individua le sfide più ritenute più urgenti in materia di sicurezza e propone cinque obiettivi strategici per la sicurezza interna, suddivisi, a loro volta, in specifiche azioni per il periodo 2011-2014; più nel dettaglio: Obiettivo 1 – Smantellare le reti criminali 32

ticolarmente significativo quanto contenuto nella “Azione 3 – Confiscare i beni d’origine illecita” in cui non solo si sottolinea come gli Stati membri, al fine di disincentivare finanziariamente i networks criminali, devono porre in essere tutte le misure possibili per congelare, sequestrare e confiscare gli assets di origine illecita ma anche l’impegno assunto dalla stessa Commissione Europea per presentare una proposta legislativa volta al rafforzamento del quadro normativo dell’UE in materia di confisca e, più nel dettaglio, la possibilità di: • autorizzare un più ampio ricorso alla confisca dei beni trasferiti in favore di soggetti da persona indagata o condannata; • autorizzare un più ampio ricorso alla confisca c.d. “allargata” che colpisce beni che non costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato e tale che non sia necessaria la sussistenza di un nesso di causalità tra il fatto reato e i beni oggetto del provvedimento ablativo; • agevolare il mutuo riconoscimento tra gli Stati membri anche di provvedimenti ablativi non basati sulla condanna del titolare dei beni. Ancora, nelle conclusioni della citata comunicazione, la Com-

internazionali; Obiettivo 2 – Prevenire il terrorismo e contrastare la radicalizzazione e il reclutamento; Obiettivo 3 – Aumentare i livelli di sicurezza per i cittadini e le imprese nel ciberspazio; Obiettivo 4 – Rafforzare la sicurezza attraverso la gestione delle frontiere; Obiettivo 5 – Aumentare la resilienza dell’Europa alla crisi e alle calamità.


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missione ricorda che – al fine di rendere efficace il tracciamento, l’identificazione, il sequestro e la successiva confisca dei beni di derivazione illecita – la decisione quadro 2007/845/GAI ha imposto agli Stati membri la necessità di istituire, almeno un ufficio per il recupero dei beni sul proprio territorio dotato delle risorse e dei poteri necessari, abilitato allo scambio di informazioni ed intelligence. Con la comunicazione al Parlamento Europeo e al Consiglio del 20 novembre 2008, intitolata “Proventi della criminalità organizzata. Garantire che il crimine non paghi”, la Commissione approfondisce l’istituto della confisca evidenziando come quest’ultima: • rappresenti un forte deterrente per le organizzazioni criminali in quanto le priva del potere economico; • impedisca che gli assets criminali vengano reinvestiti in altre attività illecite o nell’economia legale, determinando, in tal guisa, effetti pregiudizievoli in termini di libera concorrenza e sicurezza dei sistemi finanziari; • costituisca uno strumento estremamente utile per individuare i soggetti apicali delle organizzazioni che detengono il potere decisionale; • generi una risorsa economicosociale per gli Stati in quanto gli assets confiscati possono essere destinati per finalità istituzionali, sociali o meramente lucrative, potendo rappresentare un’importante opportunità in termini di redistribuzione

della ricchezza sul territorio, opportunità di lavoro, ecc. In detta Comunicazione, la Commissione non solo delinea sinteticamente il quadro normativo in tema di confisca nell’UE ma approfondisce il tema degli AROs che, secondo la stessa Commissione, rappresentano un presupposto essenziale per realizzare un’azione efficace di contrasto alla criminalità economica e finanziaria mediante il recupero degli assets di derivazione illecita e rendere più agevoli le procedure di blocco, sequestro e confisca degli stessi. Al fine di agevolare lo scambio di informazioni e di intelligence tra gli AROs dei vari Stati membri, nel marzo del 2008, Europol ha organizzato una conferenza insieme ai governi di Austria e Belgio e sostenuta dalla Commissione nell’ambito del programma di finanziamento “prevenzione e lotta contro la criminalità”, avente ad oggetto la creazione e l’organizzazione degli AROs. Sulla base delle conclusioni di CARIN e del lavoro svolto dalla piattaforma ARO, si riportano alcune raccomandazioni per un’organizzazione ed operatività efficienti degli uffici emerse a margine della citata conferenza: • gli AROs dovrebbero avere un assetto multidisciplinare ed essere composti da esperti provenienti da vari settori che mettano a disposizione della struttura le loro informazioni anche in deroga del segreto professionale; • gli AROs, dotati di congrue risorse, dovrebbero raccogliere

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tutti i dati statistici afferenti agli assets in sequestro o confisca e facilitare la successiva amministrazione dei beni qualora la stessa sia stata demandata a terze strutture, collazionando anche da queste ultime i dati d’interesse relativi ai beni; • lo scambio d’informazioni e d’intelligence tra gli ARO dovrebbe perfezionarsi in termini rapidi, rispettando quanto meno i termini imposti dalla decisione quadro 2006/960/GAI e perfezionandosi attraverso un canale sicuro e standardizzato. Inoltre, appare necessario chiarire quali tipologie di informazioni è possibile condividere direttamente tra gli AROs senza l’obbligo di avviare la procedura di richiesta di assistenza giudiziaria e riformulare i certificati accompagnatori ai provvedimenti di sequestro e confisca per renderli di più immediata intelligibilità; • gli AROs dovrebbero avere accesso diretto a tutte le banche dati disponibili33, disporre del blocco temporaneo dei beni

A ciascun ARO dovrebbe essere consentito, oltre che l’accesso ai vari registri centrali nazionali anche alle informazioni afferenti alle decisioni di sequestro e confisca pendenti nell’UE, creando un registro dedicato tale da consentire il monitoraggio complessivo delle procedure ablative e ricavando, in tal guisa, dati utili ai fini statistici sui tempi di esecuzione di detti provvedimenti. A tal proposito, è emerso che i dati disponibili appaiono limitati e provengono, prevalentemente, dai report di valutazione reciproca sulla conformità della legislazione antiriciclaggio pubblicati dal GAFI, dal Fondo Monetario Internazionale e dal comitato Moneyval del Consiglio d’Europa. 33

volto ad evitare la loro dispersione tra il momento della loro individuazione e l’esecuzione del provvedimento ablativo e poter sviluppare attività investigative congiuntamente ad altre autorità; • Europol potrebbe svolgere un ruolo di coordinamento degli AROs e le autorità competenti dei vari Stati membri dovrebbero coinvolgere Eurojust per facilitare il reciproco riconoscimento dei provvedimenti giudiziari ablativi. In tal senso, Eurojust dovrebbe promuovere l’assistenza giudiziaria tra gli Stati membri ed il conseguente riconoscimento dei provvedimenti ablativi, facilitando, in tal guisa, la cooperazione tra gli ARO e le autorità giudiziarie. Nella Relazione della Commissione Europea al Parlamento Europeo e al Consiglio del 12 aprile 2011, basata sull’articolo 8 della decisione 2007/845/GAI del Consiglio dell’Unione Europea del 6 dicembre 2007, concernente la cooperazione tra gli uffici degli Stati membri per il recupero dei beni nel settore del reperimento e dell’identificazione dei proventi di reato o altri beni connessi, vengono elencati gli ARO comunicati dagli Stati membri (vedi tabella).


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Denominazione ARO Polizia criminale federale34 Organo centrale per il sequestro e la confisca (COSC)35 (Legge 26 marzo 2003) Commissione per la determinazione dei beni derivanti da attività criminali (CEPAIA) e Procura Generale Suprema Cipro Unità di contrasto del riciclaggio di denaro (MOKAS- FIU Cipro) Repubblica Ce- Unità di contrasto della corruzione e dei reati finanziari (UOKFK) – Dipartimento ca Cooperazione Internazionale) ( Legge n. 273/08) Danimarca Procuratore dello Stato per i reati economici gravi36 Estonia V Divisione – Dipartimento Investigativo – Polizia Criminale Centrale Finlandia Ufficio Investigativo Nazionale – Divisione di intelligence criminale/Centro di comunicazione Francia Direzione centrale per le indagini penali (PIAC)37 e Agenzia per la gestione e il recupero dei beni sequestrati e confiscati (AGRASC) Germania Polizia criminale federale e Ministero della Giustizia38 Grecia Unità per i reati finanziari ed economici presso il Ministero delle Finanze (Legge n. 3842/10) Ungheria Ufficio investigativo nazionale39 Irlanda Ufficio per i proventi di reato (Legge del 2005) Lettonia Dipartimento di polizia economica del Dipartimento Centrale di Polizia Criminale della Polizia di Stato Lituania Polizia Criminale e Ufficio del Procuratore Generale40 Lussemburgo Parquet du Tribunal d’Arrondissement de Luxembourg – Section éco-fin Paesi Bassi Ufficio del Pubblico Ministero per la confisca dei proventi di reato41 Polonia Unità per il recupero dei beni – Ufficio di polizia criminale – Sede centrale di Polizia Slovacchia Unità di intelligence finanziaria dell’Ufficio di contrasto della criminalità organizzata della Direzione generale delle forze di polizia Spagna Centro di intelligence contro la criminalità organizzata (CICO) e Procura speciale anti- droga presso il Ministero della Giustizia42 Svezia Servizio nazionale di Polizia intelligence criminale e Ufficio nazionale per i reati finanziari43 Regno Unito* Agenzia di contrasto delle forze gravi di criminalità organizzata (SOCA)44 per Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord e Agenzia scozzese di contrasto della criminalità e della droga per la Scozia (SCDEA)45 Malta Nucleo anti-frode nazionale46 Portogallo Gruppo nominato sotto la vigilanza del Ministro della Giustizia ha ricevuto l’incarico di stabilire la struttura dell’ARO Romania ARO sotto la responsabilità de Ministero della Giustizia Slovenia ARO sotto la responsabilità della Procura generale Italia ARO sotto la responsabilità del Ministero dell’Interno

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Stato membro Austria Belgio Bulgaria

34353637383940414243444546

Bunderskriminalamt – Referat “Vermogensabhopfung”. Organe Central pour la Saisie et la confiscation – COSC. 36 Statsadvokaten for Soerlig Okonomisk Kriminalitet. 37 Plateforme d’Identification des Avoirs Criminels (PIAC). 38 Bundeskriminalamt Referat SO 35 “Vermogensabschopfung” e Bundesamt fur Justiz. 39 Nemzeti Nyomozò Iroda. 40 Lietuvos Respublikos Generaline Prokuratura. 41 Bureau Ontnemingswetgeving Openbaar Ministerie – BOOM. 42 Fiscalia Especial Antidrogas. 43 Ekobrottsmyndigheten. 44 Serious Organised Crime Agency – SOCA. 45 Scottish Crime and Drug Enforcement Agency – SCDEA. 46 National Fraud Squad. * I dati sono precedenti all’uscita dall’Unione Europea del Regno Unito. 34 35

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4. Indagini finanziarie

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Le indagini finanziarie costituiscono il nucleo centrale del processo di Asset Recovery e assumono un’importanza fondamentale non solo con riferimento all’identificazione degli assets criminali ma anche per la valutazione econometrica del reato perpetrato, l’acquisizione di più dettagliati elementi informativi sulle attività illecite delle organizzazioni criminali investigate e sui modelli di comportamento assunti da queste ultime. La priorità nella lotta alla criminalità economica è individuare le penetrazioni illecite nell’economia legale, interrompendo i flussi finanziari di origine illegale e privando, in tal guisa, le consorterie criminali delle loro risorse economiche e dei proventi da reato. Per conseguire tale ambizioso obiettivo, lo strumento investigativo più efficace è senza dubbio rappresentato dalla confisca degli assets criminali che però costituisce solo la fase finale del complesso processo di Asset Recovery il cui momento iniziale è rappresentato dall’esecuzione di penetranti financial investigations. In Italia, negli ultimi anni, si è assistito ad un rafforzamento delle financial investigations non solo nell’ottica di monitorare la gestione indiretta di attività economiche ma anche di individuare il trasferimento fittizio di beni in favore di terzi. Nel primo caso, è ora possibile estendere le indagini finanziarie in danno del coniuge, dei figli, dei componenti il nucleo familiare che abbiano convissuto nell’ultimo

quinquennio con il destinatario della misura ablatoria, nonché in danno delle persone giuridiche, in tutto o in parte, nella diretta o indiretta disponibilità del soggetto destinatario. Nel secondo caso, il D.Lgs. n. 21 del 2018 all’art. 512-bis c.p.47 sanziona l’attribuzione fittizia a terzi di titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità allo scopo di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter c.p. L’importanza dello strumento delle financial investigations viene ripetutamente ribadita dalle Istituzioni europee. Nella recente Risoluzione del Parlamento europeo del 10 luglio 2020, e più precipuamente nella parte relativa alla cooperazione tra gli Stati membri, viene accolta con favore la recente istituzione (5 giugno 2020) del Centro Europeo per la Criminalità

47 Il delitto di “trasferimento fraudolento di valori” – di cui all’abrogato art. 12-quinquies, comma 1, Decreto Legge 8 giugno 1992, n. 306 – è stato collocato in seno al codice penale (art. 512-bis c.p.) dal Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 22 marzo 2018) attuativo dell’articolo 1, comma 85, lettera q) della Riforma Orlando (Legge 23 giugno 2017, n. 103). L’art. 512-bis c.p. recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter, è punito con la reclusione da due a sei anni”.


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Finanziaria ed Economica di Europol (EFECC), che concentrerà tutta l’intelligence finanziaria e il know how relativo alla lotta contro i crimini economici in una sola entità con lo scopo di fornire il sostegno operativo agli Stati membri e agli organi dell’Unione nei settori della criminalità finanziaria ed economica e promuovere l’uso sistematico delle indagini finanziarie. Al riguardo, la Commissione sottolinea l’importanza dello sviluppo di financial investigations per tutte le fattispecie di reato che rientrano nella competenza di Europol. Nell’Action Plan del 7 maggio 2020, la Commissione ha lanciato il nuovo network operativo antiriciclaggio denominato AMON (Anti Money Laundering Operational Network) con il compito di facilitare la cooperazione tra le competenti autorità degli Stati membri e incentivare le financial investigations transfrontraliere. A livello internazionale, nel giugno 2012, il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI) ha pubblicato una guida operativa sull’utilizzo delle financial investigations “FATF Report Operational Issues Financial Investigations Guidance June 2012” finalizzata al rafforzamento degli standard operativi delle autorità competenti nella lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo anche mediante la revisione delle raccomandazioni GAFI 30 e 31, che pongono ora le financial investigations come uno degli elementi fondamentali caratterizzanti le raccomandazioni operative e di contrasto del GAFI. Nella guida operativa, il GAFI forni-

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sce utili spunti operativi ai decisori politici e agli stakeholders istituzionali per lo sviluppo efficace delle financial investigations nei rispettivi sistemi AML-CFT.

5. Asset Management nell’Unione europea Le fasi di Asset Recovery – il processo di individuazione degli assets criminali e la loro eventuale futura ablazione – e di Asset Management – amministrazione e destinazione degli assets criminali – appaiono strettamente correlate e potremmo anzi affermare che un sistema normativo nello specifico settore appare tanto più efficiente, almeno nelle sue fasi iniziali, quanto più osmotico risulterà il rapporto tra le due fasi anzidette. Il livello di efficienza del sistema normativo in materia di amministrazione e destinazione di beni sequestrati e confiscati al crimine organizzato si misura, pertanto, già dalla fase di sequestro durante la quale i soggetti istituzionalmente coinvolti nelle attività di Asset Recovery e di Asset Management dei beni devono coordinarsi, al fine di poter massimizzare il recupero degli assets riconducibili ad attività criminali. Se, infatti, è determinante massimizzare l’attività di recupero dei beni, è altrettanto fondamentale amministrare al meglio le risorse recuperate, non solo per evitare di vanificare gli sforzi investigativi profusi da magistratura e forze di polizia, che di per sé implicano un costo per lo Stato, ma anche

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per mantenere il valore economico degli assets e, ove possibile, tentare di accrescerlo affinché gli assets recuperati rappresentino una possibilità d sviluppo socioeconomico e non un’esperienza fallimentare che rappresenta, al di là delle evidenti negative ripercussioni al livello sociale, un vero e proprio danno erariale. L’analisi delle legislazioni speciali in materia di Asset Recovery e Asset Management degli assets ritenuti direttamente o indirettamente riconducibili ad attività criminali ha evidenziato una gradazione del livello di complessità di detti sistemi. In particolare, tanto più la legislazione speciale di riferimento appare strutturata, analitica e, a volte vincolante, quanto più spiccato è il loro grado di sensibilità alla tematica. Ovviamente, non sempre ad un sistema normativo analitico e flessibile corrisponde poi una sua concreta applicazione. Ciò dipende dalla mancanza di una consolidata esperienza normativa e operativa nello specifico settore del Paese considerato o, ancora, da un’assenza di sensibilità e attenzione delle istituzioni di quel Paese rispetto alla materia in quanto non considerato un reale problema (si pensi ad un fenomeno dalle dimensioni assai limitate, presenza di pochi casi) o per un problema culturale. Al di là dei singoli approcci alla materia, la centralità all’Asset Recovery e al management dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata impressa recentemente dall’Unione Europea ha

indotto diversi Paesi, soprattutto quelli in pre-adesione,a legiferare normative speciali in materia e a dotarsi di strutture volte alla gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, al fine di adeguare i propri standards in materia di legalità e sicurezza a quelli dell’Unione. Con riferimento alla oculata e prudenziale gestione dei beni sottoposti a congelamento, ai fini di un’eventuale confisca, la Direttiva 2014/42/UE attribuisce primaria importanza all’Asset Management, non solo esortando gli Stati membri ad istituire degli “uffici centralizzati per la gestione dei beni, una serie di uffici specializzati o meccanismi equivalenti, per gestire in modo efficace i beni sottoposti a congelamento prima della confisca e preservarne il valore, in pendenza della decisione giudiziaria”, ma invitando gli stessi a valutare l’eventuale destinazione dei beni per finalità istituzionali o sociali anche valorizzandoli in seno a progettualità che abbiano, tra l’altro, il fine di prevenire e contrastare il crimine organizzato. Per perfezionare tali procedure di destinazione, la Direttiva di che trattasi impone agli Stati membri di effettuare un preliminare approfondimento circa la natura giuridica dei beni, nonché una valutazione economica di tipo comparativo tra le varie ipotesi di destinazione48. In tema di analisi comparata tra perseguimento del maggior vantaggio economico ed utilità sociale in seno alle procedure di destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Cfr. Marco Letizi, I beni confisca48


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La direttiva 2014/42/UE, all’articolo 10 “Gestione dei beni sottoposti a congelamento e a confisca” prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per garantire l’adeguata gestione dei beni sottoposti a congelamento nell’ottica di un’eventuale successiva confisca, anche mediante l’istituzione di uffici nazionali centralizzati, una serie di uffici specializzati, o meccanismi equivalenti, includendo la possibilità di destinare i beni confiscati per finalità istituzionali o sociali o alla vendita. Il paragrafo 2 del medesimo articolo prevede che i beni sottoposti al congelamento o alla confisca, vengano trasferiti o venduti. L’allocuzione “ove necessario” sembra attribuire alle due menzionate ipotesi di destinazione un carattere secondario, lasciando dedurre che l’ipotesi principale di destinazione sia rappresentata dal mantenimento dei beni al patrimonio dello Stato. Il “trasferimento” deve invece intendersi quale traslazione del diritto di proprietà del bene dallo Stato al patrimonio indisponibile degli enti territoriali per finalità istituzionali o sociali o anche il trasferimento – ove previsto dall’ordinamento nazionale – al mondo dell’associazionismo (enti, associazioni, Onlus, ecc.) per finalità sociali. La “vendita” dei beni deve invece intendersi la cessione dei beni, a titolo oneroso, in favore di terzi. ti. Procedure di destinazione, best practices e casi concreti di soluzione, 2014, Edibank, 87.

Inoltre, al paragrafo 3, la direttiva in esame si sofferma sulla possibilità degli Stati di adottare misure che consentano l’utilizzo dei beni per finalità istituzionali o sociali. Le previsioni di cui all’articolo 10 appaiono estremamente generiche ed omettono un necessario approfondimento delle procedure di destinazione, in ragione della natura giuridica dei beni sottoposti a congelamento o a confisca. Il Regolamento (UE) 2018/1805, all’articolo 28 “Gestione e destinazione dei beni sottoposti a congelamento e a confisca”, affronta la tematica dell’Asset Management nell’ambito del reciproco riconoscimento dei provvedimenti ablatori tra gli Stati membri e della loro emissione ed esecuzione, prevedendo che la gestione degli assets criminali sia demandata alla legislazione dello Stato di esecuzione del provvedimento ablatorio. Al paragrafo 2 dell’articolo 28, v’è un immediato riferimento alla necessità di preservare il valore dei beni sottoposti a congelamento o a confisca. Al riguardo, la norma richiama l’articolo 10 della direttiva 2014/42/UE circa la possibilità di vendere o trasferire i beni congelati. Il paragrafo 3 dell’articolo 28 statuisce che i beni congelati e le somme di denaro derivanti dalla vendita di detti beni rimangano nello Stato di esecuzione del provvedimento ablatorio, fatta salva la possibilità di restituzione alla vittima dei beni congelati, come disposto dal successivo articolo 29, purché siano soddisfatte le condizioni poste al paragrafo 2 di questo ultimo articolo.

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Analogamente, per i beni confiscati, l’articolo 30 stabilisce la restituzione dei beni o una decisione di risarcimento alla vittima. Qualora non sia possibile restituire il bene confiscato alla vittima, ma è stata ottenuta una somma di denaro in conseguenza dell’esecuzione di un provvedimento di confisca, l’autorità di esecuzione del provvedimento ablatorio adotta le misure necessarie per garantire la restituzione, anche in via diretta, di detta somma alla vittima del bene confiscato. La somma da restituirsi alla vittima dovrà essere corrispondente a quella indicata nel certificato e l’eventuale restante importo, se pari o inferiore a diecimila euro, dovrà rimanere allo Stato di esecuzione; diversamente, se superiore a detta soglia, il 50% verrà versato allo Stato di emissione. Ulteriori ipotesi di destinazione dei beni, fatto salvo quanto già statuito per la restituzione del bene o del risarcimento alla vittima, vengono previste al paragrafo 6, dell’articolo 30: • nell’ipotesi il bene venga venduto, la destinazione dei proventi derivanti dalla vendita verrà suddiviso in ossequio alle previsioni di cui al paragrafo 7 del medesimo articolo; • qualora il bene da trasferirsi allo Stato di emissione del provvedimento ablatorio sia una somma di denaro, il trasferimento potrà perfezionarsi solo dopo l’autorizzazione dello Stato di emissione; • nell’ipotesi il bene venga destinato per finalità di interesse pubblico o sociali nello Stato di

esecuzione del provvedimento ablatorio tale utilizzo potrà perfezionarsi solo dopo l’autorizzazione dello Stato di emissione; • ipotesi di destinazione diverse dalle precedenti. Sia la direttiva 2014/42/UE che il Regolamento (UE) 2018/1805 affrontano la complessa tematica della gestione e della destinazione dei beni sottoposti a congelamento o a confisca in modo estremamente generico, rimettendo ai legislatori nazionali ampia discrezionalità che ha determinato una frammentazione giuridica nei vari Stati membri sia con riferimento alla scelta dell’autorità preposta all’amministrazione e alla destinazione dei beni oggetto di ablazione che del corpus di norme che disciplinano le procedure di gestione e destinazione dei beni. Nonostante l’auspicio indicato nell’articolo 10 della direttiva in esame, solo alcuni Stati hanno istituito delle vere e proprie agenzie nazionali deputate alla gestione e alla destinazione degli assets criminali in sequestro e in confisca, in linea con la direttiva 2014/42/UE, mentre altri Paesi hanno adottato delle normative non adeguate alla complessa tematica. In tal senso, l’analisi comparata delle legislazioni speciali a livello dell’Unione in materia di Asset Recovery e di Asset Management ha evidenziato una gradazione del livello di complessità di detti sistemi. In particolare, tanto più spiccato è il grado di sensibilità del legislatore alla tematica di che trattasi, anche con riferimento all’utilizzo per finalità sociali dei


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beni congelati o confiscati, quanto più la legislazione speciale di riferimento appare strutturata ed analitica. In genere, i sistemi di Asset Management più basici sono quelli preminentemente orientati alla vendita o all’affitto dei beni. In alcuni casi, un sistema normativo di Asset Recovery organico e ben strutturato non trova concreta applicazione in ragione della mancanza di una consolidata esperienza normativa e operativa nello specifico settore oppure a causa dell’assenza di sensibilità istituzionale rispetto alla materia in trattazione a volte correlata al limitato numero di procedure ablatorie in ambito penale esperite in quel particolare Stato membro. Al di là dei singoli approcci alla specifica materia, la centralità attribuita dall’Unione europea all’Asset Recovery e all’Asset Management ha indotto diversi Paesi, soprattutto quelli in preadesione all’Unione europea, a legiferare normative speciali in materia e a dotarsi di strutture deputate alla gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, al fine di adeguare i propri standards in materia di legalità e sicurezza a quelli dell’Unione Europea.

Bibliografia Marco Letizi, I beni confiscati. Procedure di destinazione, best practices e casi concreti di soluzione, Edibank. A. Balsamo, L’amministrazione dei beni confiscati dopo la direttiva europea del 2014 sulla confisca dei proventi da reato, in Marco Letizi, I beni confiscati, pro-

cedure di destinazione, best practices e casi concreti di soluzione, Edibank. “Action Plan for a comprehensive Union policy on preventing money laundering and terrorism financing” published on 7 May 2020 by the European Commission. h t t p s : // e c . e u r o p a . e u / i n f o / publications/200507-anti-moneylaundering-terrorism-financing-action-plan_en European Parliament resolution of 10 July 2020 on a comprehensive Union policy on preventing money laundering and terrorist financing – the Commission’s Action Plan and other recent developments https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2020-0204_ EN.html Azione comune 1998/699 sul riciclaggio di denaro e sull’individuazione, il rintracciamento, il congelamento, sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato h t t p s : // e u r - l e x . e u r o p a . e u / l e g a l - c o n t e n t / I T/ ALL/?uri=celex%3A31998F0699 Decisione quadro del consiglio 2001/500/GAI del 26 giugno 2001, concernente il riciclaggio di denaro, l’individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato. h t t p s : // e u r - l e x . e u r o p a . e u / l e g a l - c o n t e n t / I T/ ALL/?uri=CELEX:32001F0500 Decisione quadro 2005/212/GAI del Consiglio del 24 febbraio 2005, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato. https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/ LexUriServ.do?uri=OJ:L:2005:068:00 49:0051:IT:PDF Decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio del 22 luglio 2003, relativa all’esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio.

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h t t p s : // e u r - l e x . e u r o p a . e u / l e g a l - c o n t e n t / I T/ ALL/?uri=CELEX%3A32003F0577 Decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio del 6 ottobre 2006, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca. https://eur-lex.europa.eu/legalcontent/IT/TXT/?uri=uriserv:OJ .L_.2006.328.01.0059.01.ITA Relazione della Commissione sull’attuazione del principio di reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca del 23 agosto 2010. Decisione quadro 2007/845/GAI del Consiglio del 6 dicembre 2007, concernente la cooperazione tra gli uffici degli Stati membri per il recupero dei beni nel settore del reperimento e dell’identificazione dei proventi di reato o altri beni connessi. https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/ LexUriServ.do?uri=OJ:L:2007:332:010 3:0105:IT:PDF Direttiva 2014/42/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014 https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32014L 0042&from=LT Direttiva 2017/1371/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale h t t p s : // e u r - l e x . e u r o p a . e u / l e g a l - c o n t e n t / I T/ TXT/?uri=CELEX%3A32017L1371 Direttiva 2018/1673/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2018 sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32018L 1673&from=EN Regolamento (UE) 2017/1939 del Consiglio, del 12 ottobre 2017, relativo all’attuazione di una cooperazione

rafforzata sull’istituzione della Procura europea («EPPO») h t t p s : // e u r - l e x . e u r o p a . e u / l e g a l - c o n t e n t / I T/ TXT/?uri=CELEX%3A32017R1939 Direttiva 2015/849/UE del 20 maggio 2015 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32015L 0849&from=it Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159 “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136”, entrato in vigore il 13 ottobre 2011 h t t p s : //w w w. g a z z e t t a u f f i c i a l e . i t /a t t o /s e r i e _ g e n e r a l e /c a r i c a D e t t a g l i o At t o /o r i g i n a r i o? a t t o . dataPubblicazioneGazzetta=2011-0928&atto.codiceRedazionale=011G020 1&elenco30giorni=false Decisione quadro 2007/845/GAI del 6 dicembre 2007 concernente la cooperazione tra gli uffici degli Stati membri per il recupero dei beni nel settore del reperimento e dell’identificazione dei proventi di reato o altri beni connessi h t t p s : // e u r - l e x . e u r o p a . e u / l e g a l - c o n t e n t / I T/ LSU/?uri=CELEX%3A32007D0845 Comunicazione al Parlamento Europeo e al Consiglio del 20 novembre 2008, intitolata “Proventi della criminalità organizzata. Garantire che il crimine non paghi” https://eur-lex.europa.eu/legal-content/SL/TXT/?uri=uriserv%3AOJ .C_.2016.208.01.0089.01.ITA&toc=OJ %3AC%3A2016%3A208%3ATOC Relazione della Commissione europea al Parlamento Europeo e al Consiglio del 12 aprile 2011 https://ec.europa.eu/transparency/ regdoc/rep/1/2011/IT/1-2011-206-ITF1-1.Pdf


OSSERVATORIO NORMATIVO

Tre questioni aperte in tema di sanzioni antiriciclaggio

Maurizio Arena

Il sistema sanzionatorio della normativa antiriciclaggio, riformato nel 2017, presenta alcuni profili di interesse e potenziale criticità ancora non compiutamente approfonditi. Dalle sanzioni nei confronti delle persone giuridiche, alle ipotesi di corresponsabilità delle persone fisiche fino al rischio di autoincriminazione connesso alla segnalazione di operazioni sospette. Il contributo vuole sollevare l’attenzione sui temi menzionati che presto arriveranno all’attenzione del Giudice civile in sede di ricorso avverso le sanzioni amministrative.

Sommario: 1. Le sanzioni contra societatem. – 1.1. La responsabilità della persona giuridica nelle Direttive europee. – 1.2. La legge di delega del 2016. – 1.3. Le disposizioni della Legge Antiriciclaggio. – 2. Lo ius superveniens del 2017 e i suoi effetti sulla configurazione dell’illecito amministrativo. - 2.1. Le ipotesi nelle quali è sanzionabile – oltre alla società obbligata – anche la persona fisica. – 3. Nemo tenetur se detegere.


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1. Le sanzioni contra societatem

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Il d.lg. 231/2007 (“Legge Antiriciclaggio” o “L.A.”), nel testo antecedente alla riforma operata dal d.lg. 90/2017, non prevedeva un regime di responsabilità punitiva direttamente ascrivibile agli enti (persone giuridiche, società) destinatari della stessa. In relazione agli illeciti amministrativi previsti, l’ente era, infatti, gravato da un’obbligazione solidale con la persona fisica autrice dell’illecito amministrativo, ai sensi dell’art. 6, comma 3, della legge n. 689/19811. Nella materia che ci interessa, il disposto dell’art. 6 doveva essere integrato con quello dell’art. 59 L.A., secondo cui per le violazioni amministrative indicate agli articoli 57 (tra le quali, in particolare, l’omessa istituzione dell’archivio unico informatico e l’omessa segnalazione di operazione sospetta) e 58 (tra le quali, in particolare, la violazione dei limiti alla circolazione del contante), la responsabilità solidale degli enti di cui al menzionato art. 6 sussisteva anche quando l’autore della violazione non fosse stato identificato ovvero quando lo stesso non fos-

Tale ultima disposizione prevede, per quello che qui interessa, che se la violazione amministrativa è commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica nell’esercizio delle proprie funzioni, la persona giuridica o l’ente è obbligato in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questo dovuta. 1

se più perseguibile ai sensi della legge n. 6892. Il disposto dell’art. 59 non contemplava le violazioni previste nell’art. 56, che erano comunque coperte dal disposto generale dell’art. 6 comma 3 legge n. 689/1981. In definitiva tutti i principali inadempimenti previsti dalla L.A. erano puniti a titolo di illecito amministrativo a carico della persona fisica con connessa e conseguente responsabilità solidale della persona giuridica. Differente il sistema prefigurato a livello europeo. 1.1. La responsabilità della persona giuridica nelle Direttive europee

La I e II Direttiva antiriciclaggio non contenevano particolari riferimenti al sistema sanzionatorio rivolto agli enti. La I Direttiva (1991/308/CEE), all’articolo 14 così recitava: Ciascuno Stato membro prende le misure atte a garantire la piena applicazione di tutte le disposizioni della presente direttiva e, in particolare, stabilisce le sanzioni da applicare in caso di violazione delle disposizioni adottate in esecuzione della medesima. Il cambio di passo avviene – a livello europeo – con la III Direttiva (2005/60). La disposizione ricalca il testo dell’art 8 del d.lg. 231/2001, sulla responsabilità da reato degli enti, ai sensi del quale la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile. 2


Tre questioni aperte in tema di sanzioni antiriciclaggio

Ebbene, secondo l’articolo 39 (grassetto dello scrivente): 1. Gli Stati membri assicurano che le persone fisiche e giuridiche soggette alla presente direttiva possano essere chiamate a rispondere delle violazioni delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della presente direttiva. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive. 2. Fatto salvo il diritto degli Stati membri di imporre sanzioni penali, gli Stati membri provvedono, conformemente al loro diritto nazionale, affinché possano essere adottate le opportune misure amministrative o possano essere inflitte sanzioni amministrative agli enti creditizi e finanziari che si rendono responsabili di una violazione delle disposizioni adottate in attuazione della presente direttiva. Gli Stati membri provvedono affinché dette misure e sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive. 3. Per quanto riguarda le persone giuridiche, gli Stati membri assicurano che esse possano almeno essere chiamate a rispondere delle violazioni di cui al paragrafo 1, commesse a loro vantaggio da qualsiasi persona che agisca a titolo individuale o in quanto membro di un organo della persona giuridica e che detenga una posizione preminente in seno alla persona giuridica, basata: a) sul potere di rappresentanza della persona giuridica, b) sul potere di prendere decisioni per conto della persona giuridica, oppure

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c) sul potere di esercitare controlli all’interno della persona giuridica. 4. Oltre ai casi già previsti al paragrafo 3, gli Stati membri assicurano che la responsabilità delle persone giuridiche possa essere chiamata in causa qualora la mancata sorveglianza o il mancato controllo da parte di una persona tra quelle descritte al paragrafo 3 abbia reso possibile la commissione, a vantaggio di una persona giuridica, di una delle violazioni di cui al paragrafo 1 da parte di una persona sottoposta alla sua autorità. Tale disposizione della III Direttiva non è stata oggetto di recepimento, poiché la L.A. – nel testo originario – nulla prevedeva a proposito, limitandosi allo schema della responsabilità solidale. Nella stessa direzione si è mossa la IV Direttiva U.E. (2015/849), recepita con il d.lg. 90/2017. Secondo l’art. 60: 5. Member States shall ensure that legal persons can be held liable for the breaches referred to in Article 59(1) committed for their benefit by any person, acting individually or as part of an organ of that legal person, and having a leading position within the legal person based on any of the following: (a) power to represent the legal person; (b) authority to take decisions on behalf of the legal person; or (c) authority to exercise control within the legal person Ad ogni modo, l’art. 60 lega la responsabilità dell’ente alle vio-

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lazioni specificamente previste nell’art. 59 comma 1, che riguardano: – l’adeguata verifica della clientela; – la segnalazione di operazioni sospette; – la conservazione dei documenti; – i controlli interni. Il comma 6 dell’art. 60 ripete sostanzialmente il comma 4 dell’art. 39 della III Direttiva: Gli Stati membri provvedono altresì affinché le persone giuridiche possano essere considerate responsabili nei casi in cui il mancato esercizio di vigilanza o controllo da parte di una delle persone di cui al paragrafo 5 del presente articolo abbia reso possibile che fossero commesse le violazioni di cui all’articolo 59, paragrafo 1, a favore di tale persona giuridica, ad opera di una persona soggetta alla sua autorità. Insomma: sia la III che la IV Direttiva prescrivevano agli Stati membri di introdurre una responsabilità punitiva autonoma delle persone giuridiche in relazione alle violazioni commesse a loro vantaggio (for their benefit) dalle persone fisiche indicate. Entrambe le Direttive non sono state recepite sul punto. Il nodo critico risiede nella circostanza che, pur con il mancato recepimento del sistema espressamente voluto dalle Direttive, la nuova L.A. consente l’applicabilità di sanzioni amministrative a carico delle persone giuridiche, in relazione ad infrazioni (necessariamente) commesse dai propri

esponenti aziendali, senza prevedere alcun criterio di collegamento oggettivo tra quelle infrazioni e la persona giuridica. 1.2. La legge di delega del 2016

L’omesso recepimento dell’art. 60 della IV Direttiva risale chiaramente alla legge di delega. L’art. 15 comma 2 legge n. 170/2016 si limita a prescrivere l’introduzione di sanzioni a carico delle persone giuridiche destinatarie della normativa, ma nulla dice sul criterio di imputazione previsto dalla Direttiva. Si consideri in particolare la lettera h), che delega modifiche alla L.A. al fine di (grassetto dello scrivente): omissis. 2) graduare l’entità e la tipologia delle sanzioni amministrative tenuto conto: 2.1) della natura, di persona fisica o giuridica, del soggetto cui è ascrivibile la violazione; omissis. 3) prevedere che, in caso di violazione commessa da una persona giuridica, la sanzione possa essere applicata ai membri dell’organo di gestione o alle altre persone fisiche titolari di poteri di amministrazione, direzione o controllo all’interno dell’ente, ove venga accertata la loro responsabilità; 4) prevedere che, in caso di violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime delle disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela, di segnalazione di operazioni sospette, di


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conservazione dei documenti e di controlli interni, le misure sanzionatorie comprendano almeno: 4.1) una dichiarazione pubblica che individua la persona fisica o giuridica responsabile e la natura della violazione; 4.2) un ordine che impone alla persona fisica o giuridica di porre termine al comportamento vietato e di astenersi dal ripeterlo; 4.3) nel caso in cui l’autore della violazione sia soggetto ad autorizzazione o altro titolo abilitativo, la revoca o, ove possibile, la sospensione dell’autorizzazione ovvero un’altra sanzione disciplinare equivalente da parte dell’autorità di vigilanza di settore o dell’organismo di autoregolamentazione competenti, nel rispetto dei presupposti e delle procedure eventualmente previsti dalla specifica normativa di settore; omissis. 4.5) sanzioni amministrative pecuniarie con un minimo edittale non inferiore a 2.500 euro e con un massimo edittale pari almeno al doppio dell’importo dei profitti ricavati dalle violazioni accertate, quando tale importo può essere determinato, e comunque non inferiore a un milione di euro; 5) fatte salve le misure di cui al numero 4), prevedere, in caso di violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime delle disposizioni in materia di adeguata verifica della clientela, di segnalazione di operazioni sospette, di conservazione dei documenti e di controlli interni, commesse da enti creditizi o finanziari:

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5.1) sanzioni amministrative pecuniarie comprese tra 30.000 euro e il 10 per cento del fatturato ove applicate alla persona giuridica; 5.2) sanzioni amministrative pecuniarie comprese tra 10.000 euro e un massimo di 5 milioni di euro ove applicate alle persone fisiche responsabili; 6) per le violazioni di scarsa offensività e pericolosità commesse da enti creditizi o finanziari prevedere, in alternativa alla sanzione pecuniaria, una dichiarazione pubblica che individua la persona fisica o giuridica responsabile e la natura della violazione e un ordine che impone alla persona giuridica di porre termine al comportamento vietato e di astenersi dal ripeterlo, nonché l’irrogazione di una sanzione pecuniaria maggiorata per la violazione del medesimo ordine; omissis. 8) prevedere che la Banca d’Italia possa irrogare sanzioni, nel rispetto dei principi e criteri direttivi previsti dal presente articolo, per le infrazioni del regolamento (UE) 2015/847 commesse da prestatori di servizi di pagamento e per le infrazioni di altre disposizioni dell’Unione europea direttamente applicabili commesse da istituti di moneta elettronica e da prestatori di servizi di pagamento. omissis. In definitiva la legge-delega dà per assodata la possibilità di irrogare sanzioni amministrative alla persona giuridica destinataria; lo status di persona giuridica incide

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unicamente sul tipo e sul quantum della sanzione ma non sulla – preliminare – imputazione dell’illecito. 1.3. Le disposizioni della Legge Antiriciclaggio

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A sua volta, la nuova L.A., in vigore dal 4 luglio 2017, si limita – sulla base della delega – a prevedere la possibile applicazione di sanzioni amministrative direttamente alla persona giuridica ove destinataria degli obblighi, nulla dicendo sul criterio di imputazione dell’illecito all’ente. La mancanza di tale criterio di imputazione determina – in violazione dell’art. 60 della IV Direttiva – l’insorgere di una responsabilità punitiva per fatto altrui: ogni illecito commesso da una persona fisica incardinata presso l’ente è ascrivibile per ciò solo all’ente stesso, a prescindere dalla sussistenza della c.d. colpa organizzativa. In secondo luogo. non è prevista la possibilità, in favore dell’ente, di ottenere l’esenzione della responsabilità ove dimostri l’adozione e l’attuazione di idonee misure preventive. La compliance antiriciclaggio e antiterrorismo rileva “soltanto” ai fini della quantificazione della sanzione pecuniaria (art. 67), la quale dipende, tra l’altro, “dall’adozione di adeguate procedure di valutazione e mitigazione del rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, commisurate alla natura dell’attività svolta e

alle dimensioni dei soggetti obbligati” (comma 1 lett. g). Salve le eccezioni previste dall’art. 58 e dall’art. 62, valide per i soli soggetti vigilati e per le società di revisione, la nuova L.A. prevede l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie direttamente ed esclusivamente alla persona giuridica destinataria. Lo scopo della IV Direttiva è raggiunto, ma con modalità non rispettose dei suoi dettami e, soprattutto, non idonee a fondare una reale responsabilità della legal entity. Ad avviso di chi scrive, tale sistema deve fondarsi su un adeguato criterio di collegamento tra l’interesse della persona giuridica e l’illecito commesso. In altri termini: la violazione amministrativa deve essere realizzata al fine di avvantaggiare l’ente. Tale oggettiva finalizzazione può anche non procurare un vantaggio concreto all’ente, ma è necessaria (e sufficiente) per ascrivergli l’illecito; la concreta acquisizione del vantaggio rappresenterà piuttosto un elemento aggravatore della risposta sanzionatoria. In questo modo, peraltro, il medesimo ente potrà “dissociarsi” dalla condotta illecita del dipendente. Questo è, innanzitutto, il desideratum della IV Direttiva, all’art. 60, rimasto inattuato. Tale modalità di recepimento della IV Direttiva apre in maniera palese alla responsabilità oggettiva della persona giuridica in materia di antiriciclaggio: ogni viola-


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zione sarà imputabile all’ente, per il solo fatto che a commetterla sia stato un suo esponente. Si tratta di un modus procedendi non rispettoso del principio di colpevolezza e non all’altezza del raffinato disposto del d.lg. 231/2001, già da anni applicato con attenzione dalla giurisprudenza, specie in relazione al criterio di imputazione di cui si è parlato.

2. Lo ius superveniens del 2017 e i suoi effetti sulla configurazione dell’illecito amministrativo Secondo l’art 3 comma 1, L.A., le disposizioni della legge si applicano alle categorie di soggetti individuati nello stesso articolo, siano esse persone fisiche ovvero persone giuridiche. Tra i soggetti obbligati, in altri termini, rientrano persone giuridiche (ad esempio: gli intermediari bancari e finanziari, ai sensi del comma 2) e persone fisiche (ad esempio: i professionisti dell’area economico-legale, ai sensi del comma 4). Se il soggetto obbligato non adempie agli obblighi posti a suo carico può essere sanzionato. Le disposizioni sanzionatorie amministrative sono chiare ed univoche: è punito il “soggetto obbligato” (cfr. artt. 56, 57, 58). La sanzione può essere comminata al solo soggetto obbligato e, pertanto, se il soggetto obbligato è persona giuridica, solo a quest’ultima.

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2.1. Le ipotesi nelle quali è sanzionabile – oltre alla società obbligata – anche la persona fisica

Si consideri il testo dell’art 58, commi 1, 2 e 3: 1. Salvo che il fatto costituisca reato, ai soggetti obbligati che omettono di effettuare la segnalazione di operazioni sospette, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 3.000 euro 2. Salvo che il fatto costituisca reato e salvo quanto previsto dall’articolo 62, commi 1 e 5, nelle ipotesi di violazioni gravi, ripetute o sistematiche ovvero plurime, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 30.000 euro a 300.000 euro. 3. La medesima sanzione di cui ai commi 1 e 2 si applica al personale dei soggetti obbligati di cui all’articolo 3, comma 2 e all’articolo 3, comma 3, lettera a), tenuto alla comunicazione o alla segnalazione, ai sensi dell’articolo 36, commi 2 e 6 nonché ai soggetti tenuti alla comunicazione o alla segnalazione ai sensi dell’articolo 37, comma 3, responsabili in via esclusiva o concorrente con l’ente presso cui operano, dell’omessa segnalazione di operazione sospetta. Il comma 1 prevede la regola: la sanzione si applica al soggetto obbligato, che può essere una persona fisica o una persona giuridica. I commi 2 e 3 configurano due tassative tipologie di eccezione, nelle quali è sanzionabile per omessa segnalazione (oltre alla

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persona giuridica obbligata) anche una persona fisica. La prima eccezione è prevista per i soggetti vigilati e per le società di revisione legale dall’art. 62, commi 2 e 5, che prevedono la sanzionabilità dei “titolari di funzioni di amministrazione, direzione e controllo”3. Va aggiunto che il comma 2 dell’art. 62 consente l’applicazione di sanzioni alle persone fisiche indicate anche in relazione alle violazioni in tema di adeguata verifica e conservazione. La seconda eccezione è quella rappresentata dalla possibilità di applicare la sanzione per omessa segnalazione al personale degli intermediari bancari e finanziari indicato nell’art. 36, commi 2 e 6 nonché ai soggetti tenuti alla comunicazione o alla segnalazione ai sensi dell’articolo 37, comma 3. Si riporta il testo rilevante dei due articoli per completezza: Art. 36. (Modalità di segnalazione da parte degli intermediari bancari e finanziari, degli altri operatori finanziari, delle società di gestione degli strumenti finanziari e dei soggetti convenzionati e agenti). Omissis. 2. Il responsabile della dipendenza, dell’ufficio, di altro punto operativo, unità organizzativa o struttura

La sanzione è applicabile a tali soggetti se, “non assolvendo in tutto o in parte ai compiti direttamente o indirettamente correlati alla funzione o all’incarico, hanno agevolato, facilitato o comunque reso possibili le violazioni”. 3

dell’intermediario o del soggetto cui compete l’amministrazione e la gestione concreta dei rapporti con la clientela, ha l’obbligo di comunicare, senza ritardo, le operazioni di cui all’articolo 35 al titolare della competente funzione o al legale rappresentante o ad altro soggetto all’uopo delegato. Omissis. 6. Il titolare della competente funzione, il legale rappresentante o altro soggetto all’uopo delegato dell’intermediario mandante o di riferimento, o il responsabile del punto di contatto centrale, esamina le segnalazioni pervenute e, qualora le ritenga fondate alla luce dell’insieme degli elementi a propria disposizione e delle evidenze desumibili dai dati e dalle informazioni conservati, le trasmette alla UIF, prive del nominativo del segnalante. Art. 37. (Modalità di segnalazione da parte dei professionisti). Omissis. 3. Per le società di revisione legale, il responsabile dell’incarico di revisione, che partecipa al compimento della prestazione e al quale compete la gestione del rapporto con il cliente, ha l’obbligo di trasmettere senza ritardo la segnalazione di operazione sospetta al titolare della competente funzione, al legale rappresentante o a un suo delegato. Quest’ultimo esamina le segnalazioni pervenute e le trasmette alla UIF, prive del nominativo del segnalante, qualora le ritenga fondate alla luce dell’insieme degli elementi a propria disposizione e delle evidenze


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desumibili dai dati e dalle informazioni conservati. Torniamo alle omesse s.o.s. Salve le eccezioni richiamate dall’art. 58, valide per i soli soggetti vigilati e per le società di revisione, la nuova L.A. prevede l’applicazione di sanzioni amministrative per le omesse segnalazioni direttamente ed esclusivamente alla persona giuridica obbligata. In altri termini: salve le eccezioni menzionate, la fattispecie illecita in astratto è – esclusivamente – l’omessa segnalazione da parte dell’ente obbligato e non più l’omessa segnalazione da parte di persona fisica esponente dell’ente obbligato. Pertanto, nelle ipotesi in cui la contestazione sia stata effettuata, prima dell’entrata in vigore del d.lg. 90/2017, a carico di una persona fisica incardinata presso un ente obbligato (che non è vigilato o società di revisione), deve essere applicato (dal Giudice civile in sede di opposizione al decreto sanzionatorio del MEF) il primo periodo dell’art. 69, comma 1, L.A.: Nessuno può essere sanzionato per un fatto che alla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente Titolo non costituisce più illecito.

3. Nemo tenetur se detegere La segnalazione di operazione sospetta potrebbe esporre il soggetto obbligato ad un rischio di responsabilità penale (id est: ad autoincriminarsi).

MAURIZIO ARENA

Tale riflessione deve considerare, oggi, il sistema introdotto dalla Direttiva 2018/822 (c.d. DAC 6), da poco recepita in Italia. Il decreto legislativo 30 luglio 2020 n. 100, di attuazione della direttiva “DAC 6”, concerne lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale relativamente ai meccanismi transfrontalieri soggetti all’obbligo di notifica. L’intento della Direttiva è quello di rafforzare gli strumenti di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale e, in particolare, quelli mirati a combattere l’utilizzo di meccanismi di pianificazione fiscale aggressiva e di occultamento degli attivi, finalizzati a ridurre le imposte esigibili e a trasferire gli utili imponibili verso regimi tributari più favorevoli. Sono tenuti all’obbligo di comunicazione all’Agenzia delle Entrate del meccanismo transfrontaliero gli intermediari e il contribuente. Secondo la Direttiva, tra gli intermediari rientrano pure le persone “registrate presso un’associazione professionale di servizi in ambito legale, fiscale o di consulenza in uno Stato membro”. Secondo la Relazione illustrativa, tra i soggetti tenuti alla comunicazione rientrano anche i professionisti indicati nell’art 3 comma 4 della L.A., tra i quali dottori commercialisti, avvocati, notai. La Direttiva e il decreto attuativo sanciscono che l’intermediario è esonerato dall’obbligo di comunicazione: a) se prova che le informazioni riguardanti il meccanismo tran-

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sfrontaliero sono comunicate da altro intermediario; b) per le informazioni che riceve dal proprio cliente o ottiene riguardo allo stesso nel corso dell’esame della posizione giuridica del medesimo o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del cliente stesso in un procedimento innanzi ad una autorità giudiziaria o in relazione a tale procedimento. Comunque, queste comunicazioni se poste in essere per le finalità previste dal decreto e in buona fede non costituiscono violazione di eventuali restrizioni alla comunicazione di informazioni imposte in sede contrattuale o da disposizioni legislative; c) qualora dalle informazioni può emergere una sua responsabilità penale. Secondo la Relazione illustrativa, l’esenzione sub b) “attinge nello specifico alla normativa antiriciclaggio” (p. 7) e quella sub c) costituisce una garanzia contro l’autoincriminazione (nemo tenetur se detegere: p. 8). La violazione degli obblighi di comunicazione previsti sarà punibile ai sensi dell’art 10 del d.lg. 471/1997 (normativa sugli illeciti amministrativi tributari), con aumento della metà della sanzione ivi prevista (che è compresa tra euro 2.000 ed euro 21.000). Il sistema (rectius: l’esonero legato al rischio di autoincrimina-

zione) potrebbe ritenersi valido in un contesto del tutto analogo (la normativa antiriciclaggio che ne costituisce, expressis verbis, fonte ispiratrice): in relazione ad un adempimento analogo (segnalazione di operazione sospetta); che può portare a conseguenze analoghe (rischio di autoincriminazione, in quanto l’UIF potrebbe/ dovrebbe inoltrare notitia criminis alla Procura competente ove ravvisasse elementi di reato nella segnalazione di operazione sospetta). Si aggiunga che l’esimente prevista dalla DAC 6 e dal decreto riguarda una normativa che prevede sanzioni tutto sommato modeste, specie se confrontate con quelle previste dal d.lg. 231/2007 per le omesse s.o.s. (che possono arrivare a 300mila euro per le omissioni c.d. qualificate e anche ad importi superiori ai sensi dell’art 58). Del resto, la IV Direttiva antiriciclaggio ribadiva il rispetto dei diritti fondamentali e dei principi riconosciuti dalla Carta, “in particolare il diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare, il diritto alla protezione dei dati personali, la libertà d’impresa, il divieto di discriminazione, il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, la presunzione d’innocenza e i diritti di difesa”.


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Sulla decisione di istituti bancari di recedere dal contratto di conto corrente per indici reputazionali negativi relativi al cliente

Marta Patacchiola

Da tempo è sorto il dibattito circa l’opportunità della decisione di alcuni istituti bancari di recedere unilateralmente dai contratti di conto corrente in seguito all’apprendimento di “rilevanti notizie negative diffuse da mass media” riguardo un cliente, specie se rientrante nella categoria di Persona Politicamente Esposta (PEP). Al fine di fornire una risposta quanto più esaustiva, si condurrà una prima verifica sulle norme del d.lgs. 231 del 2007, come da ultimo modificate dal d.lgs. 125 del 2019, ove sono richiamati gli obblighi della normativa antiriciclaggio su identificazione e monitoraggio della clientela; l’analisi, poi, necessariamente riguarderà anche le norme antiriciclaggio secondarie emanate dalle Autorità di Vigilanza di settore.

Sommario: 1. L’obbligo di adeguata verifica. – 2. L’attribuzione della qualifica di Persona Politicamente Esposta (“PEP”). – 3. Conclusioni.

1. L’obbligo di adeguata verifica La normativa italiana di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo si compone di un complesso di principi, standard, fondati su accordi e convenzioni unanimemente condivise a livello comunitario. La normativa poggia su un sistema di obblighi, rivolti a un’ampia platea di destinatari, intermediari finanziari, imprese non finanziarie e professionisti, ispirati a tre istituti fondamentali: 1) adeguata veri-

fica della clientela con la quale si instaurano rapporti o si effettuano operazioni (customer due diligence); 2) registrazione dei rapporti e delle operazioni e conservazione dei relativi documenti di supporto; 3) segnalazione delle operazioni sospette. Il D.lgs. 231/2007 introduce – come noto – il principio della adeguata verifica della clientela. L’approccio è ispirato alla gestione delle asimmetrie informative: i destinatari della normativa antiriciclaggio non devono limitarsi a


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registrare le informazioni, ma sono tenuti ad avere una conoscenza approfondita del profilo complessivo di un cliente, per essere in grado di cogliere rapidamente eventuali anomalie nel corso della relazione contrattuale. Il principio cui deve ispirarsi l’adeguata verifica della clientela è quello del Know Your Customer (KYC). Detto principio richiede, da un lato, il passaggio dal semplice obbligo di identificazione (consistente sostanzialmente nell’acquisizione di informazioni sull’identità) ad un ampio dovere di verifica, che consiste in un processo composto dal succedersi di molteplici misure. In altre parole, viene esteso il compito della conoscenza del cliente, muovendo dalla mera identificazione verso un continuum nel quale l’applicazione dei presidi antiriciclaggio (raccolta di informazioni, valutazione dell’attività esercitata, rilevazione di fenomeni anomali) accompagna tutto il corso dello svolgimento del rapporto medesimo. Dall’altro, la valutazione del rischio di riciclaggio è adottata quale parametro essenziale per determinare in profondità ed in estensione i compiti di verifica della clientela. Le fasi da seguire nell’espletamento di detto obbligo sono delineate all’art. 18 del D.lg. 231/2007: 1) identificare il cliente e verificarne l’identità sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente; 2) identificare l’eventuale titolare effettivo e verificarne l’identità;

3) ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto continuativo o della prestazione professionale; 4) svolgere un controllo costante nel corso del rapporto continuativo o della prestazione professionale.

2. L’attribuzione della qualifica di Persona Politicamente Esposta (“PEP”) Se, in esito alle prime analisi circa l’identità del cliente, emerge che quest’ultimo ha la qualifica di “PEP”, il soggetto obbligato deve adottare obbligatoriamente delle misure rafforzate di adeguata verifica. Si ritiene PEP, infatti, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. dd), la persona fisica che occupa o ha cessato di occupare da meno di un anno importanti cariche pubbliche, nonché i suoi familiari e coloro che con il predetto soggetto intrattengono notoriamente stretti legami. In particolare, per Persone Politicamente Esposte si intendono: a) Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Ministro, Vice-Ministro e Sottosegretario, Presidente di Regione, assessore regionale, Sindaco di capoluogo di provincia o città metropolitana, Sindaco di comune con popolazione non inferiore a 15.000 abitanti nonché cariche analoghe in Stati esteri;


Sulla decisione di istituti bancari di recedere dal contratto di conto corrente

b) deputato, senatore, parlamentare europeo, consigliere regionale nonché cariche analoghe in Stati esteri; c) membro degli organi direttivi centrali di partiti politici; d) giudice della Corte Costituzionale, magistrato della Corte di Cassazione o della Corte dei conti, consigliere di Stato e altri componenti del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana nonché cariche analoghe in Stati esteri; e) membro degli organi direttivi delle banche centrali e delle autorità indipendenti; f) ambasciatore, incaricato d’affari ovvero cariche equivalenti in Stati esteri, ufficiale di grado apicale delle forze armate ovvero cariche analoghe in Stati esteri; g) componente degli organi di amministrazione, direzione o controllo delle imprese controllate, anche indirettamente, dallo Stato italiano o da uno Stato estero ovvero partecipate, in misura prevalente o totalitaria, dalle Regioni, da comuni capoluoghi di provincia e città metropolitane e da comuni con popolazione complessivamente non inferiore a 15.000 abitanti; h) direttore generale di ASL e di azienda ospedaliera, di azienda ospedaliera universitaria e degli altri enti del servizio sanitario nazionale; i) direttore, vicedirettore e membro dell’organo di gestione o soggetto svolgenti funzioni

MARTA PATACCHIOLA

equivalenti in organizzazioni internazionali. Rientrano in tale categoria anche i loro familiari diretti (il coniuge o le persone legate con unione civile o convivenza di fatto, i figli e le persone a loro legate da unione civile o convivenza di fatto, i genitori) e tutti coloro con i quali tali soggetti intrattengono notoriamente stretti legami (persona fisica che detiene, congiuntamente alla persona politicamente esposta, la titolarità effettiva di enti giuridici, trust e istituti giuridici affini ovvero che intrattiene con la persona politicamente esposta stretti rapporti d’affari ). Tuttavia, occorre precisare che non esiste un elenco ufficiale di PEPs, per cui bisognerà rifarsi a banche dati elaborate da società specializzate. In caso di apertura di un rapporto contrattuale con una PEP, ai sensi dell’art. 25, comma 4, del D.lgs. 231/2007, è necessario applicare misure rafforzate di adeguata verifica della clientela. Ma procediamo con ordine. Come anticipato, in base al rischio, più o meno elevato, gli obblighi di adeguata verifica della clientela possono assumere forme semplificate o rafforzate. In altri termini, la legge prevede i casi in cui i soggetti obbligati sono tenuti ad applicare gli obblighi semplificati di adeguata verifica a determinate categorie di clienti e prodotti che presentano un basso rischio di riciclaggio di proventi di attività criminose o di finanziamento del terrorismo. Di contro, enti e persone soggetti al Decreto n. 231/2007 sono obbligati ad ap-

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plicare obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela, in presenza di un rischio più elevato di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, e poi nei casi specifici riportati in dettaglio nell’art. 25 del Decreto. L’adeguata verifica rafforzata consiste nell’adozione di misure caratterizzate da maggiore profondità, estensione e frequenza, nelle diverse aree dell’adeguata verifica. Ai fini che qui interessano, l’art. 25, comma 4, del D.lgs. 231/2007, sottopone ad un regime rafforzato di adeguata verifica le operazioni, i rapporti continuativi o le prestazioni professionali con persone politicamente esposte. Nello specifico, continua l’articolo in questione, gli enti e le persone soggetti al presente decreto devono: a) stabilire adeguate procedure basate sul rischio per determinare se il cliente sia una persona politicamente esposta; b) ottenere l’autorizzazione dei soggetti titolari di poteri di amministrazione o direzione ovvero di loro delegati o, comunque, di soggetti che svolgono una funzione equivalente, prima di avviare un rapporto continuativo con tali clienti; c) adottare ogni misura adeguata per stabilire l’origine del patrimonio e dei fondi impiegati nel rapporto continuativo o nell’operazione; d) assicurare un controllo continuo e rafforzato del rapporto continuativo o della prestazione professionale.

L’instaurazione del rapporto è, dunque, assoggettata alla richiesta e all’ottenimento dell’autorizzazione da parte di titolari di poteri di amministrazione o direzione ovvero di un loro delegato, adottando altresì quelle misure “adeguate” per stabilire l’origine dei fondi impiegati nel rapporto. A tal scopo, con grado di approfondimento proporzionale al rischio di riciclaggio, si può acquisire una specifica attestazione del cliente, verificandone le informazioni sulla base di documenti pubblicamente disponibili e/o in base ad attestazioni di altri intermediari, ove rilasciate. Ciascun soggetto obbligato, poi, di fronte al rischio ritenuto elevato di esporre la propria organizzazione a pericoli di riciclaggio, innanzitutto, deve segnalare la situazione all’UIF (ex art. 35 del decreto 231), ma poi, fatte le proprie valutazioni, potrà scegliere di chiudere il rapporto in essere con il cliente. Rientra, cioè, nel principio dell’autonomia contrattuale, di stampo privatistico (art. 1322 c.c.), la facoltà di estinguere rapporti in essere in esito ad un mutato interesse nel suo proseguimento. A tal riguardo si segnala, inoltre, che le Disposizioni della Banca d’Italia in materia di adeguata verifica della clientela per il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, del 30 luglio 2019, all’Allegato 2 sui fattori indicativi di un alto rischio di riciclaggio, indicano: “indici reputazionali negativi relativi al cliente, al titolare effettivo e


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all’esecutore. Rileva, tra l’altro, la sussistenza di: procedimenti penali, quando questa informazione è notoria o comunque nota al destinatario e non coperta da obblighi di segretezza che ne impediscono l’utilizzo da parte del destinatario ai sensi del codice di procedura penale”. Il riscontro di tale fattore, tuttavia, a parere di chi scrive, da un lato non può da solo portare alla segnalazione di operazione sospetta, e dall’altro non può comportare, se isolato, alla chiusura del rapporto contrattuale in essere. Vero è che, soprattutto gli intermediari finanziari, presentano delle regole interne, dette policy, nelle quali prevedono casistiche consentite di recesso unilaterale dal rapporto di conto corrente, e tra queste, solitamente, rientra la presenza di un rischio elevato di

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riciclaggio, rilevata in esito dell’esame del profilo del cliente.

3. Conclusioni In conclusione, è da precisare che non si condivide la scelta di molti istituti bancari di provvedere alla chiusura dei rapporti di conto corrente in essere al solo ricorrere di indici reputazionali negativi, peraltro non supportati da una condanna giudiziale definitiva, ma unicamente da notizie mediatiche. Tuttavia, rientrando il suddetto rapporto in un contratto di tipo privatistico, nel quale appunto, ciascuno è libero di scegliere la controparte ed il contenuto delle prestazioni da convenire, laddove una delle parti voglia recedere, salvi i casi di dolo, l’eventuale opposizione potrebbe risultare infruttuosa.

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APPROFONDIMENTI

Studio Criminologico dei comportamenti a rischio di riciclaggio

Sabrina Familiari

Sommario: 1.1. Caratterizzazioni del profilo. – 1.1.1. L’utilizzo improprio di veicoli societari e giuridici. – 1.1.2. I settori economici esposti al rischio di riciclaggio. – 1.2. La tipologia di comportamenti a rischio. – 1.2.1. Comportamenti a rischio di natura fiscale. – 1.2.2. Comportamenti a rischio di natura appropriativa. – 1.2.3. Comportamenti a rischio di natura corruttiva e appropriativa di fondi pubblici. – 2. Conclusioni.

L’analisi operativa che l’Unità di Informazione Finanziaria (nel seguito, UIF) svolge sulle segnalazioni di operazioni sospette consente di individuare quegli elementi ricorrenti e rilevanti per l’individuazione di minacce di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Parimenti, nel quadro delle competenze previste dall’articolo 5 co. 6 del D.Lgs. n. 231/2007, riformato ad opera del D.Lgs. n. 90/2017, il Comitato di Sicurezza Finanziaria (CSF) elabora l’analisi

dei rischi nazionali di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo, il cd. National Risk Assessment (nel seguito, NRA), affinché vengano definite delle priorità per distribuire le risorse necessarie a migliorare il sistema di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo e ottimizzare l’esercizio delle proprie competenze in funzione del livello di rischio riscontrato. Tra i compiti affidati alla UIF rientra anche l’individuazione di specifici settori di operatività o di


APPROFONDIMENTI

condotte da cui siano desumibili anomalie riconducibili a fenomeni criminali al fine di diffondere schemi e modelli di comportamento utili a orientare la selezione delle operazioni da segnalare. Il presente elaborato si focalizzerà su un’analisi criminologica dei comportamenti a rischio di riciclaggio così come illustrati nei Rapporti annuali1 (nel seguito, Rapporto) emessi dalla UIF negli anni dal 2008 al 2019. 1.1.

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Caratterizzazioni del profilo

La UIF analizza la ricorrenza di elementi che, sebbene leciti, possiedono un elevato potenziale rischio di riciclaggio. Questi elementi sono gli strumenti e i canali finanziari utilizzati, i veicoli societari e giuridici, il settore economico di appartenenza, la collocazione geografica dell’operatività, la direzione dei flussi. In ottemperanza all’art. 6, comma 7, lettera b) del D.Lgs. n. 90/2017, la UIF ha diffuso degli schemi e modelli di comportamento anomalo, al fine di agevo-

I Rapporti annuali emessi dalla UIF illustrano l’evoluzione della disciplina internazionale e nazionale in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo e dà conto dell’attività svolta dalla UIF con specifico riferimento all’approfondimento finanziario delle segnalazioni di operazioni sospette, all’analisi dei dati aggregati, all’attività ispettiva, all’accertamento e contestazione delle irregolarità, alla collaborazione internazionale e con l’Autorità Giudiziaria. Fonte: https://uif.bancaditalia.it/pubblicazioni/ rapporto-annuale/index.html 1

lare l’individuazione di operazioni sospette da segnalare, in particolare, per i casi di frodi informatiche (con la comunicazione del 5 febbraio 2010) e di IVA intracomunitaria (con la comunicazione del 15 febbraio 2010) e di abuso di finanziamenti pubblici (con la comunicazione dell’8 luglio 2010). 1.1.1. L’utilizzo improprio di veicoli societari e giuridici

Sul fronte delle strutture societarie utilizzate in modo improprio, un’elevata attenzione è stata riposta nei confronti di quelle strutture idonee a schermare la reale proprietà perché dotate di assetti societari particolarmente articolati e in collegamento con entità estere. Nel Rapporto del 2008, si è voluto riporre attenzione sulle società fiduciarie insediate all’estero. In particolare l’analisi si è concentrata sulla seguente prassi: • iniziale raccolta di fondi da parte di soggetti italiani; • successivo investimento presso intermediari italiani; • disinvestimento e trasferimento della liquidità presso banche estere, su conti correnti intestati ad altre società fiduciarie collocate in Paesi terzi. Nel Rapporto del 2009, numerose segnalazioni hanno per oggetto flussi finanziari movimentati soprattutto in Sicilia e in Calabria, posti in essere fra società veicolo costituite ad hoc nel settore dell’energia eolica e società situate in paesi a regime fiscale privilegiato, scoperte poi essere le


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holding a loro capo. Lo sviluppo di società in questo specifico settore è stato facilitato dalla possibilità di ottenere finanziamenti agevolati e contributi pubblici relativi all’energia, che si prestano a pratiche corruttive. Nel Rapporto del 2010, sono segnalati flussi finanziari di ingente ammontare riconducibili a soggetti operanti nella compravendita di quote, volte alla riduzione delle emissioni inquinanti. Trattasi di movimentazioni finanziarie (di norma coinvolgenti una pluralità di soggetti, alcuni dei quali residenti in paesi esteri) che inducono a sospettare attività di evasione fiscale (cd. “frodi carosello”), quali false fatturazioni al fine di introdurre capitali illeciti nel circuito economico e finanziario. Nel Rapporto del 2012, l’attenzione è riposta sulle strutture del trust, ad alto rischio di riciclaggio. In Italia si sono diffusi i cd. trust interni, ovvero quelli in cui i soggetti coinvolti sono di nazionalità italiana, i beni destinati sono italiani e gli effetti si producono in favore di beneficiari italiani. Le criticità legate a questa struttura societaria sono molteplici e tra queste: la difficoltà da parte degli intermediari finanziari di identificare il titolare effettivo, soprattutto se il trust ha sede all’estero e non è possibile accedere agli atti istitutivi o la possibilità di essere utilizzato per realizzare situazioni di mera interposizione soggettiva per finalità illecite. In relazione alle criticità legate a circostanze soggettive o oggettive, nel 2013 la UIF ha elaborato uno

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schema rappresentativo di comportamenti anomali riconducibili a un utilizzo distorto del trust. Nel Rapporto del 2013, un particolare interesse è rivolto alle attività poste in essere da società di cartolarizzazione, in quanto queste ultime possono essere impropriamente utilizzate al fine di schermare la titolarità effettiva, al pari delle fiduciarie. Le società veicolo, in particolare, si prestano ad essere utilizzate come canale per fittizi trasferimenti di valori mobiliari/immobiliari a favore di soggetti terzi, anche esteri e si prestano a conferire una formale titolarità di attività nell’interesse dei reali conferenti, che risultano poi essere i reali beneficiari di investimenti. Allo stesso modo, le società estere di intermediazione mobiliare sono state prese di mira a causa di una rapida crescita di anomale transazioni in strumenti finanziari effettuate over the counter (nel seguito, OTC) da intermediari residenti. I mercati OTC sono caratterizzati dalla spiccata volatilità del valore di mercato dei titoli, con rilevanti oscillazioni dei prezzi anche nell’arco della stessa giornata. Si tratta di mercati caratterizzati dalla mancanza di regole organiche sul sistema degli scambi. Proprio perché i mercati OTC sono maggiormente a rischio di riciclaggio, rispetto ai mercati regolamentati, la UIF ha elaborato, nel 2016, uno schema rappresentativo da sottoporre all’attenzione degli intermediari finanziari.

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APPROFONDIMENTI

1.1.2. I settori economici esposti al rischio di riciclaggio

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Sotto il profilo settoriale, risulta confermata la rilevanza di alcuni comparti particolarmente esposti al rischio di riciclaggio, nonché al rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata, quali il settore dello smaltimento rifiuti, della produzione di energia eolica e di energia elettrica da fonti rinnovabili, del movimento terra e gestione cave, del “compro-oro”, del mercato mobiliare, dei “caroselli IVA”. Particolare attenzione è riposta, sulla base delle segnalazioni ricevute, ai settori a elevata intensità di capitali pubblici, al settore del gioco e scommesse, alle attività di factoring e alle attività di leasing. Il fenomeno degli abusi nell’erogazione e nella gestione dei finanziamenti pubblici alle imprese è in continuo aumento, con elevati rischi di condizionamento e di inquinamento delle scelte pubbliche e di alterazioni del funzionamento dei meccanismi di mercato. L’attenzione che la UIF rivolge al settore pubblico è legata a un crescente numero di segnalazioni di operazioni sospette per anomalie riscontrabili nell’operatività connessa a concessioni di finanziamenti pubblici, tanto che nel 2010 è stato elaborato uno schema rappresentativo di comportamento anomalo. Con tale schema sono i passaggi di quote societarie e l’ingresso di nuovi soci di maggioranza a destare il sospet-

to, soprattutto successivamente all’assegnazione del contributo. Parimenti, nel medesimo anno (2010), sono state rilevate numerose segnalazioni anche nel settore degli stessi, in connessione a illeciti condizionamenti degli appalti pubblici caratterizzati da un forte ricorso al contante, al fine di rendere difficoltosa la tracciabilità dei flussi finanziari e da una serie di anomali trasferimenti di fondi tra società che, pur essendo formalmente distinti, apparivano spesso riconducibili ad un unico beneficiario economico. Il settore giochi e scommesse ha spesso costituito un importante canale di infiltrazione per la criminalità organizzata, che su esso investe, acquisendo e intestando sale da gioco a prestanome e immettendosi nel sistema economico con capitali illeciti, nascondendoli dietro apparenti vincite. I flussi vengono movimentati con il gioco attraverso la rete fisica e online dai giocatori e da una serie di operatori. Sono state inoltre messe in evidenza segnalazioni sempre più ricorrenti collegate all’utilizzo degli apparecchi Video Lottery Terminal (nel seguito, VLT). Trattasi di vincitori che ricorrono al medesimo gestore, che nascondono un mercato occulto di tickets vincenti, acquistati dai riciclatori in contropartita di un corrispettivo maggiorato. Nei casinò si è diffusa la prassi di acquistare fiches delle quali poi si richiede il cambio in assegni, senza che sia stata posta in essere alcuna attività di gioco.


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L’alto livello di rischio è inoltre determinato dall’utilizzo, nell’attività del gioco, di strumenti di pagamento anonimi, dalla possibilità di alterazione delle apparecchiature di gioco o dall’operatività sul mercato di soggetti privi del titolo concessorio. A fronte dell’elevata vulnerabilità del settore, nel 2013, la UIF ha elaborato due schemi rappresentativi di comportamenti anomali: uno da applicare a tutti i soggetti destinatari degli obblighi antiriciclaggio, l’altro da applicare agli operatori di gioco. In relazione all’operatività connessa alle attività di leasing, la UIF ha elaborato uno schema di comportamento anomalo nel 2011, a causa delle caratteristiche tipiche di questo contratto che contribuiscono a renderlo uno strumento per il riciclaggio di denaro di provenienza illecita. Gli intermediari finanziari devono approfondire la conoscenza del cliente-utilizzatore e devono acquisire informazioni sul fornitore. Negli ultimi anni il ricorso frequente allo schema contrattuale del factoring ha assunto dimensioni significative, tanto che la UIF nel 2012 ha elaborato lo schema rappresentativo di comportamenti anomali per l’operatività connessa con il rischio di frodi nell’attività di factoring. Il coinvolgimento di numerosi soggetti economici aumenta le possibilità di un utilizzo distorto di tale strumento a fini criminali. L’attenzione da parte degli intermediari finanziari deve essere rivolta alle caratteristiche e

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alle finalità economico-finanziarie dell’operazione. Nel Rapporto del 2016 ci si è concentrati su diverse SOS riferite a pratiche anomale in ambito societario di seguito analizzate. Dall’analisi dei bilanci d’esercizio e delle compagini societarie, sono stati individuati comportamenti anomali posti in essere da soci e amministratori di aziende nell’esercizio delle loro funzioni, quali violazioni degli obblighi civilistici al fine di celare perdite d’esercizio e di ricostruire il capitale sociale, talvolta al fine di recare un ingiusto vantaggio ai soci o agli amministratori a danno della società stessa, dei creditori e degli altri soggetti aventi un interesse nella società. Ulteriori prassi messe in atto riguardano l’esposizione in bilancio di fatti non rispondenti al vero e tali da non consentire ai destinatari del bilancio stesso un’adeguata valutazione della situazione patrimoniale ed economica delle società coinvolte. In fase di costituzione di società a responsabilità limitata ovvero di aumento del capitale di tali tipi di società, spesso per importi particolarmente rilevanti, si è verificato che il capitale deliberato e sottoscritto non è stato versato, in quanto gli assegni bancari, tratti anche su conti intestati a terze persone estranee all’assetto societario, non sono mai stati negoziati. Infine, dall’analisi delle SOS relative alla voluntary disclosure, è stato accertato l’utilizzo di fiduciarie estere per occultare capitali all’estero. Le suddette fiduciarie

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APPROFONDIMENTI

sono risultate essere controllate da professionisti italiani attraverso strutture societarie opache che amministrano, per conto di clientela italiana, rilevanti capitali detenuti presso intermediari di paesi esteri. 1.2. La tipologia di comportamenti a rischio

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Nei Rapporti annuali, la UIF ha classificato i comportamenti a rischio più ricorrenti in tre principali categorie: comportamenti di natura fiscale, appropriativa e corruttiva. Tutte e tre le tipologie di comportamenti a rischio ruotano attorno all’assunto che deve esistere sempre una coerenza tra profilo economico-finanziario e operatività posta in essere. 1.2.1. Comportamenti a rischio di natura fiscale

Rientrano in questa fattispecie le operazioni finanziarie relative a condotte preordinate a fenomeni di evasione o frode fiscale. L’evasione fiscale costituisce in Italia un fenomeno di estrema rilevanza, con dimensioni molto più ampie rispetto a quelle degli altri Paesi dell’UE. La violazione delle norme tributarie genera fondi che devono essere reinseriti nel circuito economico legale e l’inserimento dei reati fiscali nel novero dei reati presupposto di riciclaggio ha aumentato l’attenzione sul fenomeno.

I comportamenti messi in atto per consentire la re-immissione di capitale illecito nel circuito legale sono molteplici e ricorrenti negli anni compresi tra il 2008 e il 2019. Tra le modalità prevalenti analizzate risultano: • l’utilizzo irregolare di rapporti bancari intestati a persone fisiche, sui quali transitano operazioni attinenti ad attività economiche d’impresa, ovvero ripetuti girofondi tra conti societari e conti personali, ovvero il reiterato prelevamento di denaro contante finalizzato all’azzeramento della provvista createsi sui rapporti aziendali; • il fenomeno dei cd. “caroselli IVA” è stato oggetto di attenzione da parte della UIF, la quale ne ha evidenziato le anomalie nello schema di comportamento anomalo diffuso il 15 febbraio 2010. Tale fenomeno consente, attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti o attraverso le dichiarazioni fraudolente mediante l’utilizzo di fatture false, di sottrarre ingenti risorse finanziarie all’Erario, assicurando così notevoli profitti alle organizzazioni criminali2;

La frode viene compiuta secondo uno schema ben preciso: i beni senza IVA vengono acquistati da un soggetto residente in un diverso Stato UE e viene rivenduto con IVA a un soggetto nazionale, a prezzi più bassi della media di mercato e senza riversare l’imposta incassata all’erario. I beni così o confluiscono nel mercato al consumo nazionale oppure vengono rivenduti al primo cedente, residente in altro Stato UE. 2


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L’attenzione deve essere riposta dall’intermediario finanziario sulla congruità dei volumi e della frequenza delle transazioni con l’attività economica svolta dal cliente, sulle costituzioni e liquidazioni di imprese nonché sulle aperture, gestioni e chiusure di conti alle stesse intestate, soprattutto qualora l’operatività sia concentrata all’estero. Nel Rapporto del 2016, nell’ambito degli schemi di cd. “frodi carosello” sono stati rilevati, a carattere internazionale, casi di frode perpetrati da imprese multinazionali mediante operazioni intracomunitarie surrettizie, volte a sfruttare il meccanismo del “reverse charge3” e gli arbitraggi normativi connessi alla differenza tra le aliquote IVA applicate nei diversi Stati comunitari. • il fenomeno delle frodi fiscali internazionali è stato oggetto di studio da parte della UIF, che nel 2012 ha elaborato uno schema di anomalia. Si tratta di forme di evasione molto sofisticate che fanno ricorso a complesse triangolazioni o artificiose rappresentazioni dei fatti gestionali, al fine di sottrarre al fisco ingenti flussi finanziari4. Il reverse charge (cd. “inversione contabile”) è un particolare metodo di applicazione dell’IVA che consente di effettuare l’inversione contabile della suddetta imposta direttamente sul destinatario della cessione del bene o della prestazione di servizio, anziché sul cedente. Fonte: https:// www.diritto.it/il-reverse-charge/. 4 Gli intermediari finanziari devono monitorare l’operatività anomala che caratterizza alcuni settori più esposti a tale feno3

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• l’anomalo ricorso al contratto del leasing e del factoring è preordinato alla creazione di indebiti crediti IVA verso l’Amministrazione Finanziaria, tanto che sono stati oggetto di schemi di comportamento anomalo elaborati dalla UIF nel 2011 e 2012; • l’evasione fiscale viene messa in atto anche mediante false fatturazioni emesse da società di comodo a fronte di prestazioni inesistenti o nell’ambito di attività di importazioni/esportazioni fittizie, fornendo apparente causa al trasferimento di fondi a fornitori situati all’estero o al rientro di fondi; • in tema di scudo fiscale, la UIF ha ricevuto una serie di segnalazioni nell’arco degli anni a causa di utilizzi sospetti di somme scudate ovvero a causa di somme rimpatriate provenienti da illeciti diversi da quelli richiamati dall’art. 13 bis del D.L. 78/2009; • nell’arco del 2017, la UIF ha rilevato la ricorrenza di alcuni schemi operativi in cui l’emissione di fatture per operazioni inesistenti è stata funzionale meno, così come enucleati dalla UIF nello schema del 2012: attività di pulizia e manutenzione; attività di consulenza e pubblicitarie; settori dei materiali ferrosi, edile, dell’autotrasporto e del movimento terra, dei metalli preziosi, delle opere d’arte; mercati dei cosmetici; commercio all’ingrosso di olio e grano; scambio di servizi e diritti negoziati su piattaforme informatiche; attività di commercio di autoveicoli, di accessori per auto e di beni a contenuto tecnologico.

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APPROFONDIMENTI

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all’ottenimento di credito dal sistema bancario/finanziario o, semplicemente, a giustificare flussi finanziari preordinati in realtà a regolare transazioni illecite, il tutto a danno degli intermediari finanziari. • Ed è sempre nel corso del 2017 che è stata rilevata una crescente attenzione del crimine organizzato nel mercato degli idrocarburi, le cui prassi operative rilevate sono di carattere evasivo, spaziando dalle frodi nella contabilizzazione dell’acquisto e della vendita del carburante all’interposizione di società che operano in tale settore all’estero (paesi UE ed extra UE), talvolta costituendo false società di export ovvero di cartiere utilizzate per perpetrare le cosiddette frodi carosello. • Nell’arco del 2018 sono state osservate operazioni di cessione di debiti tributari a società che hanno compensato crediti maturati nei confronti del fisco (talvolta inesistenti), dietro compenso, dall’impresa cedente (prassi non ammissibile sul piano fiscale ma che continua a essere praticata). 1.2.2. Comportamenti a rischio di natura appropriativa

In questa tipologia di comportamenti rientrano fattispecie molto diverse fra loro ma accomunate dal comune obiettivo di appropriarsi indebitamente, mediante raggiri o situazioni di difficoltà

economica, delle risorse economiche altrui. A tale ambito possono ricondursi una serie di segnalazioni relative a varie attività. Il fenomeno maggiormente osservato è quello del pishing, tanto che nel 2010 è stato diffuso uno schema relativo alle frodi informatiche, poste in essere da organizzazioni criminali che si impossessano delle credenziali di accesso ai servizi bancari online di clienti inconsapevoli e procedono con bonifici di importo limitato, i cui proventi vengono destinati a beneficiari consapevoli della truffa, che li ritrasmettono tramite il canale del money transfer all’organizzazione criminale. Tale fenomeno è in costante diffusione a fronte degli strumenti di pagamento alternativi che ne favoriscono il perfezionamento. Gli intermediari finanziari devono valutare le informazioni riguardanti l’origine e la destinazione dei fondi e le effettive finalità economico-finanziarie sottostanti alle transazioni, per adempiere correttamente agli obblighi antiriciclaggio. Il fenomeno dell’usura si caratterizza per un’operatività estremamente frazionata, con transazioni di importo unitario contenuto e al di sotto della soglia di rilevazione prevista dalla normativa antiriciclaggio, ripetitiva nel tempo e basata su un utilizzo anomalo di contante o di assegni o titoli cambiari con esito di impagato o insoluto. Si tratta di operatività posta in essere da soggetti in stato di tensione finanziaria o con un profilo economico-finanziario non


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coerente con l’operatività posta in essere. La UIF ha elaborato, nel 2009, uno schema rappresentativo di comportamenti anomali legati al fenomeno dell’usura connessi alle imprese in crisi e, nel 2011, uno schema rappresentativo di comportamenti anomali per operatività riconducibili all’usura. Secondo il primo schema, la criminalità organizzata sfrutta le vulnerabilità di imprese in crisi economica per infiltrarsi. Per tale ragione deve essere monitorata l’evoluzione dei rapporti intrattenuti con soggetti in difficoltà economica o finanziaria, ai fini di un controllo sulle ipotesi di illegale erogazione di prestiti. Il secondo schema sottolinea l’importanza di una corretta individuazione del profilo economicofinanziario del cliente e il continuo aggiornamento delle informazioni, per assicurare un corretto adempimento degli obblighi antiriciclaggio5. Esiste una stretta connessione tra il fenomeno dell’usura e le operazioni di credito su pegno e i “compro oro”: sfruttando la vulnerabilità economica dei clienti in possesso di polizze di prestito su pegno, questi vengono contattati da alcuni “compro oro” per ricevere la proposta di cedere tale polizze, a fronte di una ricevuta, a persone designate direttamente I settori di attività da monitorare sono quelli dell’edilizia, del commercio di autoveicoli usati, del commercio al dettaglio. L’operatività anomala è connessa al volume, alla frequenza delle operazioni e agli strumenti di pagamento utilizzati. 5

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dai “compro oro”; oppure sono gli stessi “compro oro” ad acquistare, a un prezzo più vantaggioso, l’oggetto disimpegnato detraendo dal prezzo quanto anticipato inizialmente. Il fenomeno dell’abusivismo finanziario emerge per operatività contraddistinte da reiterati bonifici in entrata e uscita con causali riconducibili all’intermediazione finanziaria, intestati a soggetti non legittimati e con un profilo economico finanziario non coerente. I cd. “compro oro” sono dei settori ad elevato rischio di riciclaggio, proprio per l’utilizzo fisiologico di contante che caratterizza l’attività. Oltre a numerose segnalazioni per l’utilizzo di ingenti somme di contanti, sono stati rilevati altri comportamenti anomali preordinati a dissimulare il reale ammontare dell’operatività in contanti (giroconti; operazioni di ricariche di carte prepagate intestate agli stessi titolari delle aziende o ai dipendenti delle stesse; il versamento di assegni poi protestati o insoluti). I comportamenti anomali ascrivibili alla sfera dei reati fallimentari sono stati segnalati alla UIF: si tratta di operazioni poste in essere prima dell’apertura di procedure concorsuali finalizzate alla distrazione di liquidità, mediante l’utilizzo di assegni circolari emessi a cifra tonda a nome dell’imprenditore individuale o di esponenti della società per poi essere versati successivamente, anche su conti di altre imprese sempre riconducibili ai medesimi soci. Le somme così versate vengono poi

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trasferite mediante bonifico su conti esteri. Il diffuso utilizzo di polizze assicurative stipulate è utilizzato non per finalità di tutela dal rischio, ma piuttosto come strumento per trasferire ricchezza. Grazie ad un studio condotto nel corso del 2016 sulle SOS provenienti dal settore del money transfer, è stato possibile analizzare lo sviluppo del fenomeno del traffico di migranti e individuare, per ogni rimessa segnalata, le informazioni relative ai dati personali di tutti i soggetti coinvolti nell’operazione (ordinante e beneficiario, nonché singoli agenti presso cui essi hanno rispettivamente operato) al fine di selezionare le transazioni riconducibili a soggetti per i quali sia stato accertato il coinvolgimento in indagini per traffico di migranti al fine di individuarne le caratteristiche soggettive (quali ad esempio le nazionalità prevalenti) e le caratteristiche finanziarie (quali ad esempio gli Stati controparte o la località di esecuzione) e, quindi, verificare se sussiste un modus operandi ricorrente. 1.2.3. Comportamenti a rischio di natura corruttiva e appropriativa di fondi pubblici

La corruzione è uno dei fenomeni più preoccupanti e pericolosi del nostro Paese perché rappresenta il canale attraverso il quale la criminalità organizzata si infiltra nell’apparato pubblico, condizionandone le scelte a danno della collettività.

Gli strumenti utilizzati e le modalità operative sono di per sé neutri e difficilmente riconoscibili come sintomatici di fatti di corruzione, pertanto l’attenzione deve essere riposta sui soggetti coinvolti e sulla loro riconducibilità alla sfera pubblica. I fenomeni corruttivi sono infatti spesso favoriti e accompagnati da illeciti di altra natura, per lo più fiscale, come ad esempio le frodi nelle fatturazioni, funzionali ad occultare rilevanti disponibilità finanziarie da destinare a remunerare pubblici funzionari corrotti. Non solo, anche tramite l’interposizione di società di comodo vengono reperiti i fondi per remunerare finte consulenze dietro alle quali si cela la corruzione di pubblici funzionari. Alcune segnalazioni fanno riferimento a PEP o a persone titolari di poteri decisionali che ricevono fondi mediante contante o bonifici o assegni o altri strumenti d’investimento innovativi che garantiscono l’anonimato (quali mandati fiduciari o catene societarie complesse) in occasione di procedure di aggiudicazione di appalti, controlli fiscali e pratiche urbanistiche. Altre invece vedono PEP appropriarsi indebitamente di fondi di pertinenza di partiti politici per il successivo investimento in conti personali propri o di familiari. Non di minor importanza è l’operatività segnalata come anomala connessa ai conti dedicati, oggetto di uno specifico schema elaborato dalla UIF nel 2010. Si tratta di conti accesi per far confluire i finanziamenti pubblici


Studio Criminologico dei comportamenti a rischio di riciclaggio

agevolati connessi all’esecuzione dei contratti, alla realizzazione degli interventi e alle ulteriori attività al fine di garantirne la tracciabilità dei flussi finanziari. Gli intermediari finanziari devono riporre particolare attenzione all’operatività di questi conti al fine di ottemperare agli obblighi antiriciclaggio. Con riferimento sempre ai finanziamenti pubblici, alcune segnalazioni hanno messo in luce utilizzi incompatibili dei proventi derivanti dai finanziamenti, utilizzando schemi fiduciari o trust esteri o, talvolta, valute virtuali. A causa delle limitazioni poste sull’utilizzo del denaro contante, gli strumenti utilizzati per trasferire illecitamente i corrispettivi a favore di funzionari pubblici infedeli sono quelli della falsa fattura, triangolazioni con soggetti esteri, fittizie compravendite di opere d’arte, acquisto di beni di lusso o di proprietà immobiliari con fondi messi a disposizione, dietro schermatura, dal soggetto corruttore. Nell’arco del 2017 la UIF ha approfondito alcune irregolarità nella gestione di procedure liquidatorie di enti di natura pubblica, rilevando una rete di società dedite ad attività consulenziali che, sinergicamente, hanno offerto prestazioni professionali a favore di imprese in rapporti con la Pubblica Amministrazione o a favore di PEP. L’emissione di tali fatture è stata preordinata all’esecuzione di bonifici da parte di imprese coinvolte in contenziosi amministrativi spesso di valore considerevole.

SABRINA FAMILIARI

2. Conclusioni Il Rapporto ha riconosciuto la UIF come un’unità di intelligence ben funzionante che produce analisi operative e strategiche di importante supporto alle indagini del NSPV e della DIA. Risultati positivi sono stati ottenuti anche sull’assetto istituzionale dell’Unità. Come risulta dai dati raccolti negli anni compresi tra il 2008 e il 2015 e sulla base dei risultati del National Risk Assessment, la minaccia di riciclaggio è molto significativa e risulta amplificata dall’eccessivo uso del contante, dello strumento del bonifico e delle carte prepagate. Nonostante una maggiore consapevolezza dei rischi di compromissione del riciclaggio e nonostante negli anni presi in esame il numero di segnalazioni di operazioni sospette sia aumentato a dismisura, esiste una zona grigia in cui soggetti continuano a celare pratiche di riciclaggio e esistono settori economici in cui facilmente si infiltrano le organizzazioni criminali. Tali pratiche, nell’arco degli anni, non sono mutate, bensì si sono perfezionate, non solo a livello nazionale ma anche a livello mondiale. Seppur all’interno di differenti contesti economici, finanziari e sociali, ovunque si ricicla sempre con le stesse modalità, sempre con gli stessi strumenti finanziari, sempre con gli stessi escamotage. Alla luce delle nuove minacce terroristiche globali, si rimarca la necessità di intensificare gli sforzi per migliorare la capacità di pre-

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venire e combattere il terrorismo, colpendo proprio i canali del suo finanziamento. Come emerge dal Financial Analysis Cases, elaborato dal Gruppo Egmont, fondamentale risulta sempre di piÚ la cooperazione internazionale e lo scambio di informazioni, per un’indagine in comune su segnalazioni di operazioni sospette. Per garantire un

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miglior coordinamento devono essere ampliate le informazioni disponibili alle Financial Intelligence Unit (l’equivalente estero delle UIF) per lo sviluppo di efficaci interventi di intelligence.

Sitografia https://uif.bancaditalia.it.


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Nigeria: agricoltura, pastorizia, criminalità e jihadismo

Benedetto Palombo

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Conflitti tra comunità, bande criminali e jihadisti. – 2.1. Agricoltori e Vigilantes contro Pastori e Banditi. – 2.2. Violenza criminale. – 2.3. Violenza jihadista.

1. Introduzione Il Nord-Ovest della Nigeria, una delle sei zone geopolitiche del Paese, comprende sette dei 36 stati complessivi. Eccoli di seguito elencati: Jigawa, Kaduna, Kano, Katsina, Kebbi, Sokoto e Zamfara. Copre un’area di 216.000 chilometri quadrati circa, ovvero il 25,7 per cento del territorio totale del Paese. I principali gruppi etnici sono gli Hausa e i Fulani, che storicamente condividono forti legami culturali e sono molto mescolati,

oltre ad altri gruppi più piccoli, specialmente nello stato di Kaduna. La popolazione stimata della regione è di 33 milioni di persone (in base ai dati del controverso censimento del 2006), prevalentemente musulmana sunnita. La maggior parte della popolazione (circa l’80%) è costituita da agricoltori, pastori, agro-pastori o piccoli imprenditori. La regione ha notevoli giacimenti di minerali solidi, incluso l’oro, sfruttato da minatori “artigianali” in miniere a cielo aperto.


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Nonostante il suo potenziale economico, il Nord Ovest ha il più alto tasso di povertà in Nigeria. A partire dal 2019, tutti e sette gli stati della zona avevano livelli di povertà superiore alla media nazionale del 40,1 per cento, con in testa Sokoto (87,7 per cento1), Jigawa (87 per cento) e Zamfara (74 per cento). Milioni di persone non hanno accesso all’assistenza sanitaria di base e all’acqua potabile, e la copertura dell’immunizzazione è di gran lunga inferiore agli obiettivi nazionali. L’istruzione formale nel corso dei decenni ha contribuito a un tasso di alfabetizzazione del 29,7 per cento. La zona ha attualmente il maggior numero di bambini non scolarizzati in Nigeria. Oltre a coloro che non frequentano affatto la scuola, milioni di bambini fanno parte del sistema scolastico coranico, con scarse risorse e mal supervisionato, che produce migliaia e migliaia di giovani non qualificati. Proprio come il resto del Paese, la regione soffre anche di una governance locale molto scadente, caratterizzata dalla cattiva gestione dei fondi pubblici. La geografia della regione e le condizioni climatiche pongono serie sfide alle Autorità federali e statali. Gran parte del Nord Ovest è rappresentato dalla savana, ma la regione è anche intervallata da vaste foreste, alcune delle quali

I dati statistici riportati in questo articolo sono tratti dal “National Bureau of Statistics” nigeriano. 1

ospitano migliaia di pastori – per lo più Fulani. Una volta passate sotto la sorveglianza delle Autorità forestali, queste foreste sono diventate gradualmente nascondigli per i criminali, tra cui ladri di bestiame, ladri specializzati in furti sulle grandi arterie, rapitori e coltivatori di cannabis. Nello stato di Kaduna si trova la foresta di Kamuku, diventata, ormai, pericolosa come i boschi dello stato di Borno, dove Boko Haram ha stabilito la sua roccaforte. La regione condivide anche 1.497 km con la Repubblica del Niger, senza che vi siano adeguati controlli e regolamentazioni. I legami storici e culturali tra le comunità di entrambe le parti e i protocolli regionali sulla libertà di movimento hanno creato opportunità per contrabbandieri e criminali. Numerosi attraversamenti illegali, associati alla corruzione pervasiva tra i funzionari di frontiera, consentono il traffico di merci illecite, in primis le armi da fuoco. Negli ultimi quarant’anni, il Nord della Nigeria ha assistito a ondate di violenza, tra cui scontri settari, militanza islamista e violenza elettorale. Dal 1980 al 2010 ha visto numerose rivolte tra cristiani e musulmani e intra-musulmane. Tra il 2011 e il 2015, gli stati di Kaduna e Kano hanno subito molti bombardamenti e attacchi da parte di Boko Haram, in particolare gli attacchi del 20 gennaio 2012 nella città di Kano, che hanno mietuto circa 185 vittime. Nel 2011, l’allora candidato all’opposizione, Muhammadu Buhari, un musulmano dell’estremo nord


Nigeria: agricoltura, pastorizia, criminalità e jihadismo

dello stato di Katsina, perse le elezioni presidenziali a favore di Goodluck Jonathan, un cristiano del Delta del Niger. Scoppiò una protesta in quattordici stati del nord – compresi i sette del nord-ovest citati – degenerata in rivolte etniche e settarie che hanno causato la morte di oltre 1.000 persone e 74.000 sfollati. Nello stato meridionale di Kaduna, una disputa decennale tra Hausa e Fulani, da un lato, e diversi gruppi etnici più piccoli, dall’altro, ha portato a ricorrenti violenze, spesso causando morti. Più di recente, a partire dal 2011 e in accelerazione dal 2014, il Nord Ovest ha anche subito un’ondata di violenza tra pastori – sostenuti da gruppi armati alleati (spesso chiamati “banditi”) – da un lato, e agricoltori – sostenuti da vigilantes della comunità e sponsorizzati dallo Stato – dall’altro. La situazione è stata ulteriormente aggravata dalla proliferazione di bande criminali violente, che prosperano in una regione inondata di armi, in cui le Forze di Sicurezza stentano ad affermarsi. Soprattutto nelle aree rurali, la violenza si è diffusa, con epicentro lo Stato di Zamfara, ed estesa agli stati di Kano, Kaduna, Katsina, Kebbi e Sokoto nel Nord Ovest e nello Stato del Niger, nella Nigeria centro-settentrionale. Non sono disponibili dati accurati sulla mortalità, ma diversi rapporti indicano almeno 8.000 persone uccise dal 2011 ad oggi, prevalentemente nello stato di Zamfara e principalmente negli ultimi cinque anni. I gruppi jiha-

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disti stanno lentamente, ma fermamente, rafforzando la loro presenza nella regione, approfittando della crisi della sicurezza e dell’ondata di criminalità. La Nigeria e i suoi vicini rischieranno sempre di più se il Governo federale e quelli statali, supportati da partner internazionali, non intensificheranno gli sforzi per porre fine alla violenza nel Nord Ovest del Paese. Molti dati riportati in questo articolo sono frutto di “dichiarazioni” ufficiose, a livello federale e statale, rilevati da canali “web” dedicati. Le interviste cui si è avuto accesso si riferiscono agli stati di Sokoto, Zamfara, Kaduna, Katsina e Niger, e la capitale federale, Abuja, in un periodo compreso tra giugno 2019 e maggio 2020.

2. Conflitti tra comunità, bande criminali e jihadisti La violenza che colpisce il Nord Ovest della Nigeria è multiforme, ma gran parte di essa può essere suddivisa in tre categorie principali, che talvolta si sovrappongono: La prima categoria comprende la violenza che oppone principalmente agricoltori sedentari di etnia Hausa – e i vigilantes che agiscono per loro conto –, e pastori itineranti prevalentemente di etnia Fulani – e le milizie loro associate. Le Autorità nigeriane si riferiscono a queste milizie, genericamente, come “banditi”. Que-

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ste milizie operano in modo ampiamente decentralizzato, sotto il controllo autonomo dei comandanti locali. Sono motivati innanzitutto dal combattere a favore dei pastori nelle loro controversie con gli agricoltori, ma molti elementi canaglia hanno un’ulteriore motivazione, rappresentata anche dalle attività criminali che pongono in essere. La seconda categoria comprende la violenza perpetrata da bande criminali coinvolte nel furto di bestiame su larga scala, rapimenti a scopo di riscatto, rapine a mano armata, saccheggi e attacchi a minatori e commercianti di oro. Le Autorità, a volte, si riferiscono anche a queste bande come “banditi”, sebbene in questo articolo saranno considerati gruppi, bande o organizzazioni criminali. Questi gruppi comprendono un mix di individui appartenenti ai Fulani, gli Hausa e altre etnie, e cercano di arricchirsi, piuttosto che proporre un progetto politico o ideologico. Questi gruppi non operano come le milizie; non sono né coerenti né sotto un comando centralizzato. Agiscono anche autonomamente, a volte in rivalità tra loro. La terza categoria – più recente – è rappresentata della violenza che porta a scontri tra forze di sicurezza del Governo e gruppi jihadisti sempre più attivi nella regione. Sebbene non esistano dati attendibili su quanti combattenti della milizia, criminali e ribelli islamisti esistano nella Nigeria nordoccidentale, alcune fonti stima-

no che potrebbero essere oltre diecimila. Altre fonti considerano queste cifre poco aggiornate e per difetto. Nello stato di Zamfara, all’epicentro della violenza nel Nord Ovest, tredici delle quattordici aree del governo locale sono state sito di violenza dei gruppi armati dal 2014 al 2020. A partire dalla fine del 2015, attacchi di gruppi armati alleati dei pastori, vigilantes e gruppi con moventi criminali, si sono diffusi da Zamfara ad altri stati (principalmente Kaduna, Katsina, Sokoto e Niger) con intensità variabile. La violenza in questi stati si è concentrata in aree vicino ai loro confini con Zamfara, o vicino alle foreste dove si sono accampati vari gruppi armati. Nello stato di Katsina, la maggior parte degli attacchi ha avuto luogo in dieci delle 34 aree del governo locale, in particolare a Batsari, Danmusa, Faskari, Kankara e Safana. Nello stato di Sokoto, la violenza è scoppiata in nove delle 23 aree del governo locale, ma principalmente a Gada, Sabon Birni, Goronyo e Isa a nord, insieme a Rabah e Tureta a est. Nello stato di Kaduna, gli attacchi si sono verificati principalmente nelle aree del governo locale Birnin-Gwari, Igabi, Giwa, Kajuru e Chikun. Nello stato del Niger, dieci delle 25 aree del governo locale hanno subito attacchi da parte di gruppi armati itineranti, principalmente a Shiroro, Mariga e Rafi. Mentre la maggior parte degli attacchi negli stati di Zamfara e Kaduna sono riconducibili alle tensioni tra allevatori e pastori, molti


Nigeria: agricoltura, pastorizia, criminalità e jihadismo

incidenti in questi e in altri stati sembrano essere opera di gruppi criminali che si sono moltiplicati poiché la situazione generale della sicurezza si è deteriorata a causa della proliferazione di armi leggere nella regione. Gli attacchi di diversi attori armati (che continuano fino ad oggi) hanno spesso incluso l’incendio di case e fienili, il furto di bestiame, l’espropriazione di proprietà e atti di violenza sessuale. Le donne e le ragazze vengono spesso rapite e violentate da membri del gruppo armato. In alcuni casi, le donne e le ragazze vengono violentate in gruppo in presenza di familiari; in altri casi, gli aggressori minacciano di uccidere padri e mariti se non portano le loro figlie e mogli nei loro campi per essere violentate. 2.1. Agricoltori e Vigilantes contro Pastori e Banditi

I conflitti tra agricoltori e pastori, innescati da controversie riguardanti le risorse idriche e i terreni agricoli, fanno parte della vita nel nord della Nigeria, ma hanno raggiunto livelli critici negli ultimi anni. Storicamente, questi conflitti rappresentavano controversie su piccola scala, poi mediate e risolte dalle Autorità a livello di comunità. Negli ultimi decenni, c’è stata una esacerbazione dovuta a diversi fattori. I primi tra questi sono i cambiamenti nelle condizioni climatiche e ambientali, oltre la crescente pressione demografica.

BENEDETTO PALOMBO

Negli ultimi decenni, l’estremo nord ha visto un sostanziale accorciamento della durata della stagione delle piogge. Le fonti d’acqua diminuiscono e l’aumento della semi-desertificazione o della desertificazione ha ridotto sia i terreni coltivabili che i pascoli. La popolazione in rapida crescita della regione ha nel frattempo aumentato la domanda di terreni disponibili. In assenza di metodi più efficienti, sia per la produzione di colture che per l’allevamento, la desertificazione e la crescita della popolazione hanno intensificato la concorrenza per ottenere un territorio adatto all’agricoltura e al pascolo. La violenza ha quindi accelerato, nell’ultimo decennio, tra i contadini – in gran parte Hausa – e i pastori – prevalentemente Fulani, due popolazioni che vivono a stretto contatto attraverso la Nigeria nord-occidentale. In secondo luogo, il conflitto tra contadini e pastori è stato aggravato da controverse politiche governative che assegnano terreni agli agricoltori (inclusa l’assegnazione di grandi distese agli agricoltori d’élite) a spese dei pastori, in particolare dal 1999, allorché il Paese tornò al regime democratico. Nello stato di Zamfara, il governo ha deciso di liberare grandi foreste e riserve di pascolo nella foresta di Kuyambana e in alcune aree del governo locale di Maru e Zurmi. L’assegnazione della terra agli agricoltori ha anche comportato l’invasione e il blocco dei passaggi del bestiame, e ha creato le condizioni per un maggiore sconfinamento nei terreni agricoli

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da parte dei pastori, oltre a maggiori richieste di risarcimento per le colture danneggiate. Mentre gli agricoltori si lamentavano del fatto che i pastori violassero le loro fattorie e danneggiassero le colture, i pastori protestavano per il risarcimento che dovevano pagare per i raccolti danneggiati, lamentando il fatto che agricoltori, capi distretto, polizia e tribunali tenevano comportamenti non equi a causa della corruzione dilagante. Il palcoscenico era pronto per scontri più mortiferi. In terzo luogo, dato che i conflitti tra allevatori e pastori e gli attacchi a movente criminale si diffondono in tutto il Nord Ovest, molti giovani uomini – soprattutto delle comunità Hausa – si mobilitano sempre più, costituendosi in gruppi di vigilanza per proteggere i loro villaggi. In tal modo, sono diventati essi stessi una fonte di insicurezza. Armati di pistole, machete, mazze e altre armi grezze prodotte localmente, hanno imposto e impongono dure sanzioni agli autori reali o presunti di rapine e incursioni. I vigilantes hanno preso di mira, in particolare, molti Fulani che abitano in città accusandoli di complicità nell’attività criminale. Le “sanzioni” includono arresti arbitrari, torture, confisca indiscriminata di bestiame e uccisioni, con sospettati talvolta fatti a pezzi nei mercati e in altri luoghi pubblici. A volte i vigilantes hanno bruciato gli insediamenti Fulani, costringendo le vittime a fuggire nelle foreste. Le attività e le atrocità dei vigilantes hanno ulteriormente aggravato i rapporti

tra i pastori Fulani e gli agricoltori Hausa. Parallelamente, i Fulani hanno formato delle milizie per proteggere sé stessi e il loro bestiame, e anche per vendicare le atrocità dei vigilantes. Un ex leader di uno dei gruppi della milizia, Hassan Dantawaye, ha dichiarato: “Abbiamo deciso di uccidere almeno 50 persone ogni volta che uno di noi veniva assassinato2”. Questi gruppi hanno raccolto fondi per l’acquisizione di armi da una combinazione di contributi della comunità e una serie di altre attività, tra cui, presumibilmente, il rapimento a scopo di riscatto. Man mano che la violenza aumentava, i gruppi acquisivano sempre più potenza di fuoco e con armi più sofisticate, in gran parte introdotte clandestinamente dal Sahara e dal Sahel attraverso rotte internazionali. Si sono anche procurate armi da altri gruppi armati nella Nigeria nordorientale, tra cui “costole” di Boko Haram, il sedicente “Stato Islamico nella Provincia dell’Africa occidentale” (ISWAP), da personale di sicurezza governativo corrotto, importatori di armi nella Nigeria meridionale e armaioli locali. I gruppi armati alleati dei pastori, inizialmente, seguirono i vigilantes – in prevalenza di etnia Hausa – che essi stessi vedevano come loro principali rivali. Nel

L’intervista rilasciata dal “pentito” Hassan Dantawaye a Maiharaji Altine è reperibile al seguente link: https://punchng.com/ we-decided-to-kill-50-people-for-everyslain-herdsman-head-of-zamfara-banditswho-renounced-violence/amp/. 2


Nigeria: agricoltura, pastorizia, criminalità e jihadismo

tempo, tuttavia, i loro obiettivi arrivarono a includere le comunità che sponsorizzavano i vigilantes, altri villaggi agricoli e persino alcuni insediamenti Fulani considerati non impegnati nella loro causa. I Vigilantes, oltre ad assalire i Fulani abitanti in città, hanno compiuto anche molti attacchi contro i gruppi alleati dei pastori, a volte inseguendoli nelle foreste e razziando i loro campi. Entrambe le parti, frequentemente hanno rapito membri del gruppo rivale, nonché individui o persino famiglie associate ai gruppi. Mentre la violenza si è manifestata tra i vigilantes e i gruppi alleati dei pastori, sempre più persone e comunità – in precedenza non direttamente coinvolte – sono state attratte. Alcuni si sono schierati volontariamente, dando supporto ai combattenti dei loro gruppi etnici; altri sono stati costretti a collaborare in seguito a minacce di rapimento o morte. Nonostante le smentite, alcuni politici locali, emiri e altri leader della comunità nelle aree colpite dalla violenza, secondo i residenti, hanno incoraggiato uccisioni extragiudiziali da parte dei vigilantes, mentre altri hanno aiutato i gruppi armati alleati dei pastori con intelligenza a compiere attacchi o eludere operazioni militari. Nell’ottobre del 2019, un comitato istituito dal Governo dello Stato di Zamfara, ha raccomandato di trovare soluzioni alla violenza, riferendo che cinque emiri e 33 capi distretto sono stati complici degli attacchi dal 2011 al 2019.

BENEDETTO PALOMBO

Un ulteriore fattore che ha aggravato la violenza nel Nord Ovest è la negligenza delle Autorità statali nell’affrontare la crisi. Soprattutto a Zamfara, l’amministrazione del Governatore Abdulaziz Yari (2011-2019) ha mostrato scarso impegno nel risolvere i conflitti, nonostante il deteriorarsi della situazione. Yari, come alcuni altri governatori statali nigeriani, avrebbe trascorso poco tempo nel suo stato, preferendo posizionarsi ad Abuja. Di conseguenza, si presume che le riunioni settimanali del consiglio di sicurezza dello Stato, cruciali per affrontare la crescente violenza, non abbiano avuto luogo regolarmente come sperato. Anche quando Yari si faceva vedere in giro, molti residenti ritenevano i suoi sforzi deboli e sospettavano che fosse politicamente in debito con gruppi armati alleati dei pastori. L’approccio “timido” di Yari potrebbe essere frutto di un calcolo secondo cui nelle aree in cui gli attori armati erano forti, avrebbero potuto determinare l’esito delle elezioni, costringendo i componenti a votare in un modo o nell’altro, come avevano ampiamente dimostrato durante i sondaggi del 2011. A prescindere dalle varie considerazioni, la mancanza di leadership del Governo statale ha svolto un ruolo chiave nel consentire l’escalation e la diffusione della violenza.

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2.2. Violenza criminale

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Negli ultimi dieci anni, il Nord Ovest ha visto un’esplosione di attività criminali, tra la proliferazione di pistole e gli Hausa e i Fulani armati che si danno ad attività come il furto di bestiame, il rapimento a scopo di riscatto, il saccheggio e la rapina ai danni dei cercatori di oro. I gruppi armati criminali tendono a non essere coinvolti direttamente nelle faide tra agricoltori e pastori (e i loro “proxy” armati), ma si concentrano principalmente sulle loro attività illecite. Il furto di bestiame, che storicamente si verifica su piccola scala in molte parti del nord della Nigeria, è diventato più organizzato e intenso nel Nord Ovest dal 2013. Gran parte dei furti viene perpetrata da grandi gruppi criminali, ben armati e con base nella foresta di Kamuku, a Kaduna, la foresta di Falgore, a Kano, la foresta di Dansadau, a Zamfara e la foresta di Davin Rugu, che si estende attraverso gli Stati di Kaduna, Katsina e Zamfara. Spesso, operando con fucili automatici, i ladri di bestiame rubano molte mandrie e uccidono molti pastori. Per difendersi, molti pastori, a loro volta, si sono accaparrati ulteriori scorte di armi che usano anche nella loro lotta contro gli agricoltori. Le bande criminali hanno anche ottenuto profitti impegnandosi in rapimenti a scopo di riscatto e in incursioni nelle comunità per appropriarsi del bottino in tutto il Nord Ovest. Le gang prendono di mira sia individui (in particola-

re agricoltori ricchi e uomini d’affari locali) sia intere comunità. A Zamfara, un comitato costituito dal Governo, ha riferito che oltre 3.600 persone sono state rapite nello Stato tra il 2011 e il 2019. Sebbene alcune persone siano state rapite all’interno dei combattimenti tra gruppi armati alleati dei pastori e vigilantes, molte sono state rapite da bande in cerca di riscatto. Oltre a rapire individui nelle comunità rurali, questi gruppi spesso tendono imboscate ai viaggiatori sulle autostrade, uccidendo coloro che oppongono resistenza o le famiglie che non soddisfano le loro “esigenze”. Inoltre, fanno irruzione e saccheggiano villaggi, demolendo case, bruciando granai e rapendo e violentando donne. In alcuni casi, scrivono lettere ai capi villaggio chiedendo ai residenti di mettere insieme molto denaro per pagarli onde evitare attacchi mortali o l’imposizione di pedaggi agli agricoltori come condizione per accedere ai loro campi. Nel corso degli anni, le bande criminali hanno anche preso sempre più d’assalto e derubato i cercatori d’oro, in particolare a Zamfara, che ha visto un’esplosione nella produzione artigianale di oro in giacimenti sparsi nello Stato. A seguito di un aumento del prezzo del mercato mondiale dell’oro intorno al 2009, legioni di giovani uomini sono stati attratti dall’attività estrattiva dell’oro, che è cresciuta nel centro, ad ovest e nel Nord-Ovest dello Stato, in particolare intorno a Maru, Anka, Malale, Gurmana, Bin Yauri e Oko-


Nigeria: agricoltura, pastorizia, criminalità e jihadismo

lom Dogondaji. L’estrazione artigianale ha fornito posti di lavoro e mezzi di sostentamento a molte popolazioni rurali in queste aree, attirando altri minatori da lontano, come Mali, Burkina Faso, Cina e India, ma ha anche generato un’economia sommersa di trafficanti, spacciatori di droga e prostituzione forzata. La debole regolamentazione del settore dell’oro e la natura, basata sui contanti, delle transazioni nelle regioni aurifere hanno presto attratto l’interesse delle bande armate. Queste bande hanno ucciso oltre 150 persone nella zona nord-occidentale di Zamfara da metà 2016 a metà 2019 nel corso di razzie nei siti di estrazione mineraria, di furti di oro e denaro contante ai danni dei minatori. Poiché le bande continuano a trarre importanti profitti nel bersagliare l’attività di estrazione dell’oro, le implicazioni relative alla sicurezza per Zamfara e il Nord Ovest sono molto significative. Fonti della sicurezza affermano che ci sono frequenti battaglie tra gruppi armati rivali nei giacimenti minerari. La violenza è anche orchestrata da aggressori con lo scopo di spaventare e allontanare i residenti e gli agenti di sicurezza dello Stato dalle aree minerarie per prenderne il controllo, portando, così, ad un ulteriore spostamento delle popolazioni e alla “diluizione” della presenza statale sul territorio. I gruppi criminali utilizzano i proventi di tali incursioni per acquisire più armi e alimentare ancor più le attività criminali.

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2.3. Violenza jihadista

Un terzo ordine di violenza nel nord-ovest della Nigeria coinvolge gruppi militanti islamisti. Dall’inizio del 2019, i governatori statali nella regione hanno lanciato un allarme sull’aumento dell’infiltrazione di jihadisti, legata all’insurrezione originaria, quella di Boko Haram, scoppiata nel nord-est della Nigeria nel 2009. Nel giugno 2019, il comandante di campo dell’operazione “Hadarin Daji”, il generale di divisione Jide Ogunlade, ha dichiarato: “Jihadisti e terroristi si sono ora infiltrati nei ranghi dei banditi che operano nei boschi di Zamfara” e “il banditismo si sta ora dirigendo verso il terrorismo”3. Con la rottura della stabilità a Zamfara e altrove, due rami di Boko Haram si stanno facendo strada nella regione, dove stanno intessendo relazioni più strette con le comunità lese, gruppi armati affiliati a pastori e bande criminali. Il primo è “Jama’atu Ansarul Muslimina Fi Biladis Sudan” (ovvero “Gruppo di Partigiani per i Musulmani nell’Africa nera”), meglio noto come “Ansaru”, un gruppo legato ad al-Qaeda che si è dichiarato indipendente da Boko Haram nel 2012 e ha operato nella Nigeria nord-occidentale fino a quando non è stato in gran parte smantellato dalle Forze di Sicurezza verso la fine del 2016. Tale Tali dichiarazioni possono essere reperite al seguente link: https://allafrica.com/ stories/201906260147.html. 3

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“Gruppo”, ora, sembra tornare alla ribalta. In secondo luogo, la “Provincia dell’Africa occidentale dello Stato islamico” (ISWAP) – un’altra scheggia di Boko Haram nella zona nord-orientale della Nigeria – ha creato collegamenti con le comunità della regione nord-occidentale al confine con il Niger, che, a sua volta, è alle prese con la lotta contro l’insurrezione locale dello “Stato Islamico”. Ansaru, che ha una lunga storia di attività nel Nord Ovest (dove è stato coinvolto in rapimenti di alto profilo di ingegneri espatriati tra il 2012 e il 2013), sta instaurando nuove relazioni con altri gruppi radicali più piccoli nello stato di Zamfara, in particolare nelle aree intorno a Munhaye, Tsafe, Zurmi, Shinkafi e Kaura Namoda. Il gruppo ha anche schierato dei “religiosi” per screditare il governo democratico e gli sforzi di pace del Governo statale; una campagna volta a ottenere il sostegno delle comunità rurali. Sta anche “corteggiando” alcuni dei gruppi armati affinché entrino nei suoi ranghi, anche offrendo o vendendo loro fucili AK-47 a prezzi bassi, forniti dai suoi alleati della qaedista “Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin” (JNIM). Alcuni funzionari della Sicurezza – in maniera ufficiosa e anonima – affermano che “Ansaru” abbia reclutato membri poi inviati in Libia per l’addestramento al combattimento. La “Provincia dell’Africa occidentale dello Stato islamico” (ISWAP), che ha sviluppato cellule

in gran parte della Nigeria settentrionale, sta ora sviluppando anche le “abilità” di numerosi gruppi radicali più piccoli nel Nord Ovest, in particolare offrendo supporto per il sostentamento, compresi stipendi mensili, ad alcuni dei loro membri. Dunque, l’ISWAP è ora il modello per questi gruppi più piccoli. Alcuni di questi ultimi gruppi hanno sede a Magaba, al confine con la Repubblica del Niger, e altri intorno a Dankwo e Derin-Deji, nella zona di Zuru, nello Stato di Kebbi. In linea con i metodi utilizzati nel Nord Est prima della nascita di Boko Haram – dieci anni fa –, l’ISWAP sta anche incoraggiando i “religiosi” – particolarmente critici nei confronti della corruzione e della democrazia – a lanciare un messaggio che risuoni fortemente nelle comunità povere. Secondo indiscrezioni locali, sembrerebbero esistere relazioni transazionali tra ISWAP e altri gruppi armati nel nord-ovest della Nigeria. In realtà, nel 2019, una fonte governativa di alto livello ad Abuja ha dichiarato che le Forze di Sicurezza avevano intercettato comunicazioni che indicavano la consegna di munizioni da parte di Boko Haram o ISWAP ad un gruppo di “banditi”. Alcuni dei fucili sequestrati negli scontri con dei gruppi armati alleati dei pastori, recavano iscrizioni o erano dello stesso modello di quelli usati dal Battaglione di Intervento Rapido del Camerun. Ciò può far pensare che i fucili potrebbero essere stati confiscati ai soldati camerunensi da grup-


Nigeria: agricoltura, pastorizia, criminalità e jihadismo

pi jihadisti operanti nell’area del Lago Ciad, dove le forze nigeriane e camerunensi cooperano per combattere gruppi-propaggini di Boko Haram. Da non sottovalutare anche una serie di attacchi nel Nord Ovest dal 2019, durante i quali gli autori hanno usato slogan religiosi che i jihadisti nel Nord della Nigeria avevano già abbracciato in precedenza. Fonti di Intelligence riportano che alcune delle armi sequestrate ai banditi recavano, incisa, la nota frase “Allahu akbar”. Le persone che hanno subito attacchi da parte del gruppo armato guidato da Halilu Mairakumi riferiscono anche che gli assalitori, a volte, avevano iscrizioni in arabo sul braccio e sulle bandane. In un attacco del gennaio 2020 nello stato di Zamfara, gli uomini armati hanno detto ai residenti di essere in “stato” di jihad. In un attacco dell’8 febbraio 2020 a tre comunità nella zona del Governo locale di Shiroro, nello Stato del Niger, gli aggressori, vestiti di nero, gridavano “Allahu akbar”. L’uso dei simboli e dei comportamenti ora riportati ha, giu-

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stamente, preoccupato i locali riguardo la penetrazione jihadista nella zona. Inoltre, dalla fine del 2019, ISWAP e Ansaru hanno iniziato ad attribuirsi gli attacchi nella regione. A ottobre scorso, l’ISWAP ha rivendicato la responsabilità di un attacco alle truppe nigeriane nello Stato di Sokoto. Il 14 gennaio 2020, quando uomini armati hanno attaccato il corteo dell’emiro Alhaji Umaru Bubaram, uccidendo almeno sei persone e rapendone molte altre, Ansaru ha rivendicato l’attacco. Un’ulteriore conferma del ritorno di Ansaru nella regione c’è stata il 5 febbraio 2020, allorché la Polizia nigeriana ha riferito di aver attaccato un campo che veniva utilizzato da Ansaru e “banditi” nella foresta di Kuduru, nella zona di Birnin Gwari, nello stato di Kaduna, uccidendo oltre 250 membri di gruppi jihadisti e “banditi”. Naturalmente anche Ansaru ha riferito dell’evento, ma ha affermato di aver ucciso o ferito 34 poliziotti. Purtroppo, e con il rispetto dovuto alle Istituzioni, non è chiara la credibilità delle affermazioni di entrambe le parti.

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APPROFONDIMENTI

Le nuove tecnologie per le analisi su flussi finanziari applicate a condotte criminali.

Determinazione di termini economici, individuazione dei principali rischi nell’esercizio del credito e prassi operativa di contrasto Dimitri Barberini

Sommario: Introduzione. - 1. Definizione e struttura di un flusso finanziario. – 1.1. Il Sistema informatico EFTS. – 1.2. Identificazione, registrazione e tracciabilità di una operazione economica. – 2. Rischi nell’attività bancaria e para-bancaria. – 2.1. Reati tributari. Evasione fiscale e frode fiscale. – 2.2. Il Riciclaggio di denaro. – 2.3. Finanziamento al terrorismo. – 3. Minacce all’economia digitale. Criptovalute e Cybercrime. Elementi di rischio e d’investigazione.

Introduzione. Nei primi giorni di marzo dell’anno 2020, l’Agenzia per l’Informazione della Repubblica ha reso pubblico il Bilancio per l’anno 2019 in merito alle attività di contrasto a diversi fenomeni criminali1. Attività d’informazione e contrasto, realizzate dalla stessa

Ministero dell’Interno, Agenzia per la Sicurezza della Repubblica, Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2019, Italia, marzo 2020. 1

intelligence e coadiuvate dai principali organi giudiziali e di vigilanza economica nazionale e internazionale. Su questo documento è necessario soffermarsi per analizzare due capitoli; “Minacce all’economia nazionale e al sistema Paese” e il successivo “Terrorismo Jihadista”. Nella prima sezione di questo primo capitolo, vengono elencati i principali fatti, normativi e sociali, direttamente e indirettamente connessi all’Italia, ma in larga sca-


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la anche a livello internazionale, in grado di costituire una minaccia, come ad es. la guerra de dazi. Proprio per tutelare l’economia da avvenimenti simili, si sono cercati di costruire nuovi sistemi di controllo finanziario, come le nuove procedure sul monitoraggio d’investimenti nel capitale azionario da e verso paesi Esteri. Funzione questa di carattere preventivo da garantire un solido scudo per imprese e società, operanti nel nostro territorio, le quali con il loro fatturato annuale condizionano il PIL (Prodotto Interno Lordo) nazionale. Nella seconda sezione, sempre del medesimo capitolo, vengono elencate, se pur brevemente, la presenza di nuove minacce nazionali: in particolare, l’operatività di alcuni gruppi organizzati che si definiscono come “nuove mafie”, provenienti dall’Est Europa, Sud America e dall’Africa, che per via di fenomeni migratori si sono insediati in Italia. L‘operatività di questi gruppi crea nuove minacce non solo nel mondo economico con la commissione di condotte illecite riconducibili a reati contro il patrimonio, ma anche verso l’ordine e la sicurezza pubblica. Con l’espressione “nuove mafie” si fa riferimento a un modus di agire, che riguarda condotte penali come: intimidazione, spaccio di stupefacenti, prostituzione, agguati, riciclaggio, trasferimento fraudolento di valori etc… Tutti modi analoghi utilizzati dalle già note strutture malavitose originarie del Centro e Sud Italia, le quali, attraverso una rete ramificata di collabora-

tori, operano in tutto il territorio nazionale, arrivando a volte a collaborare, per il raggiungimento dei loro intenti, anche con queste nuove mafie. Altra minaccia rilevata è quella delle “colonie” di cittadini stranieri provenienti per lo più dall’Africa, dal Medio Oriente e dall’Asia, che per finalità di lavoro risiedono nel territorio nazionale. Le motivazioni di questo migrare trovano origine nello stile di vita percepito in Italia, che agevolerebbe il perseguimento di cospicui guadagni e di benessere sociale; fattori interni che causano ogni anno l’aumento di flussi migratori, al solo fine di percepire proventi, anche da attività illecite, da trasferire poi nei paesi di provenienza. Il secondo capitolo prende in esamina la minaccia terroristica di stampo confessionale, legata al Jihadismo Internazionale. Questa minaccia pone due principali problematiche: la prima riguarda fatti interni, come l’attacco e l’uccisione da parte della coalizioni internazionali Nato e USA contro militanti dello Stato del DAESH, fatto accaduto nell’ottobre 2019 ad Abu Bakr al Baghdadi; attività bellica che, anche se a scopo repressivo determina ripercussioni e animi di vendetta nelle principali organizzazioni terroristiche che incitano i centri locali, presenti e operanti in Medio Oriente e Africa a rivendicare e a compiere atti estremi come con i cc.dd. Kamikaze o con il compimento di stragi anche in Occidente. Il successivo tema, affrontato nel secondo capitolo, riguarda l’I-


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talia parte attiva, nella repressione di fenomeni come la propaganda e il finanziamento al terrorismo. Invero, destano molte preoccupazioni questi fenomeni, in quanto diretti in modo non equivoco all’arruolamento di nuovi militanti e all’investimento di beni finalizzati al compimento di atti da costituirne una minaccia. Con il primo fenomeno della propaganda si incitano e si “chiamano” molti soggetti ad aderire con fedeltà alla dottrina Jihadista, così come già segnalato da alcuni anni dall’autorità internazionale (INTERPOL, International Police). È emerso, in realtà, che molti soggetti, attraverso una capillare attività di propaganda, vengono arruolati per mezzo di sistemi informatici (attività c.d. Cyberterrorismo), principalmente su reti private o nel Dark Web, per poi giungere nei centri di addestramento dai quali, una volta indottrinati e addestrati militarmente, rientrano nei loro paesi di origine per rimanere silenziosamente in attesa di indicazioni su future stragi (questi sono communente conosciuti come i cc.dd. Foreign Fighter). Ulteriore problematica sorta in Europa e in Italia riguarda il trattamento di tali soggetti nelle carceri europee che, arrestati per piccoli reati, vengono reclusi in carceri comuni e a motivo dell’assenza di percorsi penitenziari appositamente finalizzati si trovano a contatto con altri detenuti, facilmente condizionabili (c.d. indottrinamento) alle idee proposte dal DAESH diventandone quest’ultimi fedeli adepti.

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Di poi, l’ulteriore difficoltà da gestire, sia sul piano nazionale che internazionale, è l’individuazione e repressione di condotte destinate al finanziamento al terrorismo. Questa condotta penale viene realizzata attraverso la commissione di reati contro il patrimonio e reati informatici, realizzati da soggetti provenienti dal nord- Africa e Medio Oriente, come accertato a seguito di indagini effettuate, anche con la collaborazione di professionisti italiani. Il tutto per ricevere finanziamenti, che successivamente vengono riutilizzati per l’acquisto di armi, stupefacenti e approvvigionamenti da utilizzare per il compimento di atti terroristici. Infine, anche il Comitato di Sicurezza Finanziario (CSF), dipendente dal Ministero di Economia e Finanza, nel 2019, ha manifestato le sue preoccupazioni sull’aumento di attività pericolose che possono determinale reali minacce quali: l’infiltrazione di criminalità organizzata negli apparati pubblici Statali e la fragilità del sistema economico nazionale dovuti all’alto utilizzo del denaro contante, che agevolerebbero il trasferimento di denaro destinato al finanziamento al terrorismo, con conseguente minaccia dell’integrità e stabilità economica e sociale del Paese2.

2 S. Galmarini e AA.VV., L’esposizione ai rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo in Italia, in Diritto Bancario Approfondimenti, luglio 2019. Per approfondimento: Ministero dell’Economia e Finanze, Comitato di Sicurezza

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1. Definizione e struttura di un flusso finanziario

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Con il termine economico “flusso finanziario”, derivante dalla parola flusso (fluxus), si suole intendere “lo scorrere di un fluido” e con la parola finanza (finis) si vuole indicare l’insieme dei mezzi finanziari accessibili al settore pubblico e privato per l’esercizio del diritto di credito. In termini generali, si vuole indicare un Flusso di denaro inserito in un circuito di mercato regolamentato con l’utilizzo di istituti e strutture che rendono possibile l’erogazione di beni e servizi. Questa locuzione viene ricondotta nel settore economicoaziendale all’ambito contabile, ed indica quei rapporti cc.dd. Processi di scambio, espressi nel “flusso di cassa” rappresentato nel documento del bilancio nel c.d. Conto Economico; i flussi poi si distinguono in flussi attivi e passivi con l’ulteriore distinzione tra flussi diretti e indiretti. A volte, la locuzione flusso finanziario trova come sinonimi le parole “operazione economica” o “trasferimento di denaro”. Ogni operazione ha nel suo interno due nuclei, facilmente determinabili: il primo nucleo è l’elemento oggettivo che esprime il contenuto, l’oggetto e la causa dell’operazione in sé, che andrà in un successivo momento a co-

Finanziaria. Analisi nazionale dei rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo, 2019.

stituire il flusso. L’altro nucleo è l’elemento soggettivo che realizza l’operazione, ossia una persona fisica o un sistema informatizzato impostato comunque da una persona incaricata ad inviare o ricevere denaro in modo automatizzato. – Per elemento oggettivi si fa riferimento a: 1) Mezzi di pagamento: contanti, Moneta Blockchain o altri mezzi finanziari 2) Quantità: 100 €, 1.000 €, 100.000,00 €, 1.000.000,00 € etc. 3) Paese di destinazione: prevalentemente, Europa, America e Asia. 4) Natura della spesa: acquisto di un bene, di un servizio o di un semplice trasferimento 5) Traiettoria del flusso: s’intende determinare il percorso che la somma di denaro ha eseguito dall’intestatario giunga al destinatario 6) l’Istituto incaricato dell’operazione: una banca, un ufficio Postale o un Money Transfer 7) Frequenza dei trasferimenti. Per elemento soggettivo si vuole intendere la natura della persona che compie l’operazione e le motivazioni collegate ad essa: 1) settore: privato o pubblico. 2) Interessi: lavoro, famiglia o personale. 3) Persona: giuridica o fisica. Questi due elementi sono necessari per il compimento di qualsiasi operazione economica onde generare un flusso; nel dettaglio, quest’ultimo consente di disegnare un percorso, una rete, una mappa, che in modo univoco indichi e determini una particolare operazione in modo da saper distinguere un trasferimento da un altro


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anche da quelli apparentemente simili. Per la circolazione del denaro sussistono principalmente due canali: il primo detto formale ed è il ricorso a istituti di credito, a intermediari finanziari, enti che sono autorizzati dagli organi di vigilanza nazionali ad operare nella materia. È ormai comune in alcuni Paesi europei l’esercizio del credito erogato anche da istituti come servizi postali e intermediari finanziari non bancari. L’altro canale, molto utilizzato dalle organizzazioni nazionali e internazionali, è detto informale, in quanto si sfruttano vuoti legislativi per occultare o rendere anonimato il trasferimento. 1.1. Il Sistema Telematico Electronic Funds transfer System – EFTS

Come ogni bene, il denaro, nelle sue più svariate forme, ha bisogno di circolare per soddisfare le esigenze più comuni, anche se i contraenti si trovano nei punti opposti del pianeta. Sicuramente non era facile, fin dalle sue origini per il mestiere di banchiere, trasferire denaro nell’epoca dei Romani o nel Medio Evo. Senz’altro ora è più semplice, sicuro e veloce nei tempi. Con l’acronimo EFTS (Electronic Funds transfer System) s’intendono identificare tutte quelle strutture e processi che consentono l’invio di somme di denaro su rete telematica3.

EFT. Glossario dei termini economici in Bankpedia.org. 3

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I sistemi EFTS sono i principali mezzi (macchine) che realizzano in modo automatico l’invio di somme di denaro, principalmente nelle cc.dd. Operazioni on-line, che comprendono le operazioni di prelievo presso gli sportelli ATM (Automated Teller Machine) e il sistema di pagamento POS (Point of Sale). Nel dettaglio, per l’invio del denaro, l’EFTS utilizza una rete telematica di messaggi tra sistemi connessi simultaneamente, notificando il sistema l’avvenuta ricezione della somma di denaro inviata e determinando contestualmente in cassa una compensazione dei processi contabili di accredito e di addebito. Questo sistema viene comunemente utilizzato sia per il trasferimento di poche quantità di euro sia per trasferire in pochi istanti milioni di euro (cc.dd. Operazioni all’ingrosso). Il primo sistema di trasferimento su rete telematica, chiamato Swifth (System Worldwide Interbank Financial Telecommunication), nasce negli anni sessanta ed è tuttora utilizzato su scala internazionale da più di 50 Paesi. Negli anni Ottanta, su input della Comunità Europea, nasce un sistema unificato, che cerca di riunificare tutti i processi bancari, servizi compensativi e gestori di pagamento, in un’unica grande rete in grado di rendere un pagamento eseguibile da uno Stato verso un altro Stato e viceversa. In Italia, solo dopo la metà degli anni ottanta, su indicazione della Banca D’Italia, viene incaricata la SIA (Società per l’automazione) di vigilare e mo-

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nitorare le procedure sul trasferimento di denaro su tali reti. In precedenza, negli anni settanta, esistevano due distinti circuiti: il primo era il circuito STACRI e l’altro il SECETI, più rudimentali rispetto al sistema Swifth, utilizzati esclusivamente per il settore in ambito bancario, per poi unificarsi entrambi nel sistema denominato SITRAD. Ulteriormente, sono intervenute delle modifiche legislative dirette a conglobare tutte le operazione nella Rete Nazionale Interbancaria (RNI); software questo in grado di dividere le somme in due grandi categorie: quelle di piccolo importo e quelle all’ingrosso. Negli anni novanta, la Banca d’Italia rilascia un’applicazione, la BI-REL, per le procedure di regolamentazione in tempo reale dei pagamenti all’ingrosso. Successivo al 2001, con l’adesione dell’Italia all’EURO e all’UEM (Unione Economia e Monetaria dell’Unione Europea), la rete cambia ulteriormente nome, assemblando ulteriori sistemi, quali TARGET, STACRI 2, ACH (aggiunto nel 2015 per i servizi SEPA) e EURO 1; quest’ultimo sistema consente di ricevere e inviare denaro attraverso gli Stati Europei. Questi sistemi vengono vigilati e autorizzati attraverso un apposito albo, gestito dalle Banche Centrali Nazionali. In fine, per assicurare la veridicità di una transazione finanziaria è previsto che nella rete telelamatica vi siano dei filtri di controllo chiamati “Nodi di Pagamento”. Questi ultimi fungono da controlli formali sull’operazione rilevando

se vi siano anomalie di carattere tecnico-informatico. Tant’è che se vi sono errori il sistema respinge l’operazione con l’errore KO; se si verifica l’evento è necessario un intervento manuale da parte di un operatore, se invece non vi sono errori nell’operazione emetterà la dicitura OK, arrivando così automaticamente a destinazione. 1.2. Identificazione, registrazione e tracciabilità di una operazione economica

Quotidianamente, come accennato nel paragrafo precedente in merito alle funzioni del sistema su reti EFTS, avvengono moltissime transazioni economiche. Per poterle distinguere, molti operatori economici, erogatori di servizi di credito come ad es. uffici postali, banche, Trasfer Money, ma in senso più ampio qualsiasi soggetto che realizzi servizi finanziari, necessitano di identificare la transazione effettuata, sia per motivi contabili (emissione di fattura o scontrino) che per acquisizione di informazioni. La locuzione “identificare”, espressa nel suo significato più ampio, vuole indicare quell’insieme di procedure finalizzate all’individuazione di un dato, rispetto alla molteplicità di elementi analoghi. In particolare, l’avvenuta realizzazione di scambio tra il bene e servizio, prodotta dietro un corrispettivo, crea la successiva fase dell’annotazione o c.d. registrazione, tenendo conto della tipologia dei beni e dei dati posti in correlazione tra i contraenti. Fase


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quest’ultima non solo prevista per legge a fini tributari e contabili, ma rilevante per l’emissione di una fattura e scontrino. La funzione di un codice o un numero (a volte alfanumerico), che identifichi l’operazione o il trasferimento di denaro, è simile al “codice a barre” o alla comune “etichetta” presente su tutti i prodotti commerciabili. Per rendere l’idea, si pensi ad esempio alle caratteristiche di identificazione di un prodotto come l’uovo. La normativa vigente prevede, come per tutti i prodotti alimentari che siano identificati, che venga rispettato il principio della trasparenza nei confronti del consumatore. Sull’uovo, data la sua particolare condizione di controllo alimentare cui è sottoposto, è stampato un “codice a barre”, che informa il consumatore finale sulla tipologia, sul trattamento e sulla sua provenienza, distinguendo così il bene da altre uova che possano provenire da zone diverse4. Un codice può identificare anche una struttura o addirittura una persona (fisica o giuridica), come ad esempio per quanto comunemente avviene per “ il codice Fiscale e la partita Iva”. Affrontando ora la questione in ambito economico, esaminiamo ad es. il carnet, ossia il blocchetto degli assegni, composto da due parti, la cd. Matrice e le cc.dd. Figlie. Il carnet, nel suo insieme, viene identificato con un

numero e i singoli assegni con numeri progressivi rimovibili ognuno dalla rispettiva matrice, anch’essa contrassegnata con un numero. Questa soluzione permette di identificare, attraverso ogni singolo foglio e attraverso ogni codice univoco, una singola operazione di trasferimento. In modo analogo ma più complesso per le strutture organizzative facenti parte degli istituti di credito. Queste vengono identificate nella rete bancaria dal codice univoco IBAN (International Bank Account Number), nel suo insieme composto da una sigla nazionale (es. IT, per l’Italia), da un codice c.d. Codice di controllo, a sua volta composto da due cifre e da un ulteriore codice conosciuto come BBAN (Basic Bank Account Number, per l’Italia è composto da 23 numeri). Questo codice è identificativo, in quanto fornisce al cliente informazioni di contenuto universale su un determinato istituto di credito o una sua filiale. All’interno di questo codice vi è una sottosezione composta da quattro ulteriori codici, indicanti delle ulteriori informazioni (CIN – Control Internal Number, ABI – Associazione Bancaria Italiana, CAB – Codice di Avviamento Bancario e una serie di numeri indicante il singolo conto corrente dell’istituto di credito)5. Banca D’Italia, Il conto corrente in parole semplici, in Le guide della Banca D’Italia, Educazione finanziaria, conoscere per decidere, Roma, 2016. 5

4 Ministero della Salute, Ecco perché mangi uova sicure, Roma, 2015.

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Attraverso queste cc.dd. Coordinate bancarie, il cliente, in possesso di un conto corrente, è in grado di depositare o ritirare somme di denaro; anche online con dispositivi, sistemi di autorizzazione e di riconoscimento dell’utente. Trattando ora la tracciabilità delle operazioni con quanto visto in precedenza, è necessario soffermarsi sulla nozione e sul rapporto che esiste con l’identificazione. La definizione di tracciabilità è necessaria acquisirla, per analogia, dall’istituto della logistica aziendale, comunemente conosciuta dal settore agroalimentare o dai trasporti di e-commerce in generale6. L’identificazione risulta però essere una parte singola di questo apparato complesso, infatti, questa agisce su due livelli: il primo identifica, con un codice, ogni singola fase, come per esempio la sola “Preparazione dell’ordine”; il secondo livello invece identifica (attraverso un ulteriore codice) l’unione complessiva di tutte le fasi. La procedura per rilevare il procedimento e il passaggio da una fase ad un’altra è poi chiamata tracciabilità. Per la costituzione di un flusso tracciabile devono sussistere almeno due identificazioni di fase. Per tracciabilità, termine di origine anglosassone (Tracking), si fa riferimento al concetto normativo Comunitario espresso dalle ISO8402 e ISO9000, che consistono in quella serie di pro GS1 Italy, Fondamenti dei sistemi di tracciabilità nell’Agroalimentare, Milano, 2016. 6

cessi volti alla “capacità di risalire alla storia e all’uso… e alla possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un bene…”. La tracciabilità, in sostanza, consiste nel tracciare una serie di processi su beni identificati. Ciò agevola la conoscenza in ogni momento dello stato e della posizione di un bene, iniziando da un’impresa e terminando sino al consumatore finale. Uno schema tipico di tracciabilità: Preparazione dell’ordine il magazzino sta processando l’ordine

In transito trasporto del prodotto

Centro di distribuzione il pacco è arrivato nel centro di distribuzione regionale

In fase di consegna il corriere consegnerà il prodotto nell’arco della giornata

Consegnato il prodotto è stato consegnato al cliente

Per rendere l’idea, si pensi a quanto avviene ad esempio per i servizi di Tracking nel servizio di spedizioni, realizzato da Amazon o Poste Italiane. Infine, per confermare la corretta proceduta di tracciabilità di un bene è necessario realizzare un procedimento ulteriore ed inverso detto Tracing, termine che indica


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una tracciabilità “a ritroso”. Questo sistema inizia dal cliente finale e termina al produttore, seguendo sempre la proceduta c.d. Tracking. Se in entrambe le procedure, le singole fasi risultano essere corrette la procedura d’invio è corretta7. Esaminiamo ora le procedure di Tracing e Tracking nella disciplina economica, e in particolare nei trasferimenti di denaro. Come per quanto avviene attraverso i servizi di Money Transfer, i fornitori di servizi di trasferimento di denaro verso l’estero sono obbligati ad identificare e registrare gli anzidetti elementi oggettivi e soggettivi (analizzati nel paragrafo precedente), che unitamente creano un flusso, identificabile da un codice univoco c.d. MTCN (Money Transfer Control Number) di controllo. In altri casi il flusso è rappresentato da un Reference Number di 8 caratteri e per la natura della transazione anche attraverso un codice CNT (Control Number of Transactions). Per la disciplina bancaria, analogamente a quanto suddetto, il sistema di identificazione di un pagamento è identificato e contrassegnato con il codice denominato CRO “codice di riferimento di operazione”, composto da 11 7 AA.VV., Tracciabilità e logistica: una guida completa. Tutto quello che c’è da sapere, in Mercalux.it. Web: https://www.mecalux.it/blog/tracciabilita-logistica-guida Per approfondimenti: F. Filippi e AA. VV., La logistica, Economia e gestione delle imprese, McGraw-Hill, 2013.

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caratteri, il quale permette di conoscere lo stato del trasferimento. Questo sistema viene utilizzato comunemente per la tracciabilità dei bonifici bancari. Con l’evoluzione normativa e con l’introduzione del sistema di pagamento Europeo SEPA, il codice CRO è stato assorbito dal codice TRN (Transation Reference Number), attualmente in vigore, che si compone di un codice di riferimento per la transazione composto da 30 caratteri8.

2. Rischi all’attività bancaria e para-bancaria. Ogni giorno, ogni ora e minuto vengono realizzate milioni e milioni di operazioni economiche, aventi come scopo il soddisfacimento d’interessi; a questa attività libera si lega in modo inevitabile l’ulteriore attività della circolazione di quantità di capitali innumerevoli e difficilmente quantificabili. Nel nostro ordinamento per la realizzazione delle più comuni operazioni, di compravendita o trasferimento di un bene, si fa riferimento al sinallagma contrattuale (scambio di un bene dietro un corrispettivo, commisurato alla prestazione). Con riferimento all’esecuzione delle obbligazioni pecuniarie vengono utilizzati i cc.dd. Strumenti di pagamento. I modi per la realizzazione di un paga A. Di Bartolomeo, Bonifico Bancario: differenze codice CRO e TRN. Novembre. 2018.

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mento possono essere realizzati attraverso modalità communente conosciute come contanti o pagamenti elettronici (e-payments). Per il contante, in termini generali, s’intende l’utilizzo di moneta tangibile come strumento finalizzato a realizzare un corrispettivo; per “pagamento elettronico” s’intende fare riferimento a tutta quella categoria di prodotti immateriali, principalmente utilizzati nel settore finanziario e bancario, che circolano sulla medesima rete EFTS, e che sono: i bonifici, gli assegni elettronici, l’addebito diretto, il deposito diretto, il servizio di Money Transfer, i portafogli digitali (Wallet), le carte di pagamento (ricomprese anche quelle prepagate) anche comuni sistemi di pagamento, B2P – Banck to peer, come MAV (Incasso Mediante Avviso), Ri.Ba. (Ricevuta Bancaria) e SDD (Addebito Diretto SEPA). Quando questi strumenti vengono utilizzati, attraverso apposite configurazioni, su dispositivi mobile, vengono denominati m-payments. L’ordinamento Italiano, in particolare il Codice Civile, richiede che il bene trasferito, da un soggetto ad un altro, sia privo di vizi onde da considerare il negozio giuridico atto valido. L’“illecità”, rilevata in questa analisi, è tuttavia molto più amplia, perché tiene conto non solo del negozio giuridico concluso ma altresì di tutto il percorso del flusso di denaro: dalla sua origine alla sua fase centrale fino al suo arrivo9. Per approfondimento: L. Frnachi e

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Si parla di un flusso che costituisce minaccia, quando vi è al suo interno, nelle fasi viste in precedenza, un rischio, un sospetto rinvenibile anche nelle finalità (operazione classificata come “Operazione anomala”); motivi, nel negozio giuridico, generalmente non presi in considerazione10. È sufficiente qui la presenza di uno o più dati, oggettivi e soggettivi, definiti “anomali”, perché si possa produrre un pericolo da approfondire in una fase successiva. I dati oggettivi e soggettivi sono deducibili o dalla semplice lettura di essi oppure da quelli acquisiti attraverso specifiche attività investigative. I dati anomali tendono a confondere e occultare, volontariamente, il complesso d’informazioni come sui soggetti, le cause, le modalità e gli strumenti di una possibile attività illecita, in modo da far apparire queste transazioni come comuni operazioni di compravendita o trasferimento di denaro. Detta “patologia” si presenta quando non vi sono i necessari controlli o in casi più gravi con la complicità di professionisti, attraverso la falsificazione di atti, finalizzati a fornire una elusione alla normativa. Tale problema è stato evidenziato per operazioni attive e passive riguardanti, con particolare modo, le attività imprenAA.VV., I quattro codici – “Illiceità della Causa”. Art. 1343 del Codice Civile, Hoepli, 2020. 10 G. Sciancalepore, Le operazioni sospette di Riciclaggio, Giappichelli Editore, 2016.


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ditoriali parabancarie conosciute come Money Transfer11. Per far comprendere meglio l’andamento di un flusso finanziario in relazione ad una anomalia, verranno trattati nei paragrafi successivi tre condotte antigiuridiche, in alcuni casi sono comunemente collegate tra loro “riciclaggi di denaro e finanziamento del terrorismo” e a volte realizzate in modo autonomo da configurare tipologie di reati penalmente perseguibili dagli ordinamenti statali. 2.1. Reati tributari. Evasione Fiscale e frode Fiscale

Nell’ordinamento fiscale Italiano per le comuni operazioni di produzione, acquisto, trasferimento di beni e servizi, la legge prevede in capo sia a persone giuridiche che persone fisiche il pagamento di tributi alle casse dello Stato. Nel suo complesso, la somma a carico dell’operatore economico è costituita da due quantità: la prima è interamente destinata ai processi energetici, ai materiali, alla manodopera e al trasporto (se necessari) sostenuti per la produzione; l’altra restante somma viene invece versata in unità diversa (a seconda della tipologia del bene prodotto) all’Erario. Questa seconda somma è conosciuta

11 L. Bonucci, Le vulnerabilità del sistema finanziario come minacce alla sicurezza nazionale: studio sulle tipologie di finanziamento al terrorismo e analisi del sistema Money Transfer, in CSSII, Gennaio, 2017.

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come gettito d’imposta, espressa con la denominazione tecnica di IVA (Imposta sul Valore Aggiunto). Come desumibile dalle parole, che si aggiunge come un Plus per la produzione del bene o servizio, espressa in percentuali: 4%, 11%, 23 %. Ciò, in modo similare accade per i tributi percepiti dal reddito IRES (Imposta sul reddito delle persone giuridiche, ex IREG) e IRPEF (Imposta sul reddito delle persone fisiche). La ratio di questa imposizione è, facendo ricorso alle Scienze delle Finanze, nel fatto che lo Stato, inteso in senso lato, a fronte di tali tributi eroga alla comunità sociale servizi pubblici essenziali e indivisibili quali: la sanità, l’ordine pubblico, l’educazione etc… Purtroppo accade molto spesso che questa somma venga trattenuta dal contribuente, anche perché non richiesta dal consumatore finale (come nel caso delle imposte sui consumi), causando così una mancata riscossione di quei tributi necessari per il sostentamento della c.d. Spesa Pubblica e servizi essenziali. Queste condotte, nelle sue forme, vengono comunemente commesse o dal contribuente semplice o da organizzazioni criminali, nazionali e internazionali. Si configurano con la realizzazione di queste condotte i cc.dd. Reati Tributari (introdotti da ultimo con D.Lgs. n. 74/2000), nelle particolari forme di Evasione Fiscale e Frode Fiscale. La lieve differenza tra queste due condotte non è da trovarsi nell’elemento soggettivo, in quanto è sufficiente per la loro costituzione la sem-

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APPROFONDIMENTI

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plice previsione e volontà della persona di compiere il fatto (dolo eventuale), ma nelle modalità oggettive rilevabili in sede di accertamento del mancato versamento del tributo. Nell’evasione Fiscale (parziale o totale), in sintesi, si tende a non pagare nulla o almeno si cerca di occultare all’amministrazione finanziaria l’esistenza di una determinata somma. Nel caso della Frode Fiscale, la condotta tenuta dal contribuente consiste nel non veritiero versamento del tributo, attraverso l’occultamento, l’inesistenza e l’alterazione di scritture contabili con artifizi e raggiri, fino a dimostrare il versamento di tributi che in realtà non sono mai avvenuti12. Dalle molteplici attività investigative e giudiziarie realizzate dai vari reparti della Guardia di Finanza, l’analisi dei flussi finanziari risulta essere il primo obiettivo per determinare la provenienza, l’utilizzo e il successivo reimpiego di somme di denaro; dati che non sono facilmente reperibili, poiché come a volte succede queste somme vengono trasferite in luoghi cc.dd. Off Shore (paradisi fiscali). A realizzare questi illeciti sono persone fisiche, giuridiche ma anche organizzazioni criminali nazionali e internazionali, la cui intercettazione spesso richiede la collaborazione di organi giudiziari e amministrazioni finanziarie statali e internazionali.

Guardia di Finanza, Manuale Operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali. Volume 1. Circolare n.1/2018.

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2.2. Riciclaggio di denaro

Il riciclaggio, rubricato al titolo XIII, “dei delitti contro il patrimonio” (art. 648-bis del Codice Penale), rappresenta in questa analisi, sui flussi finanziari, un delitto “perfetto” per le difficoltà cui vanno incontro gli organi investigativi in ordine alla condotta di “trasferimento, occultamento, impiego e sostituzione” di denaro13. Questi elementi rappresentano nel loro insieme condotte anomale. In merito a quanto sopra detto, si è riusciti a determinare una “mappa” delle rispettive azioni finalizzate a “ripulire” il denaro; il percorso si compone di tre fasi: Fase 1) Immersion, ossia la raccolta di fondi proveniente dalla spesa pubblica e privata. Fase 2) Layering, avente lo scopo di occultare, distrarre, trasferire beni dai loro percorsi originali attraverso condotte realizzate sia su canali cc.dd. “formali” che in canali c.d. “informali”. Fase 3) L’integration, consistente nel far integrare i beni, precedentemente trasferiti o convertiti, attraverso appositi settori legali (come in attività imprenditoriali, in ambito societario e immobiliare) o in canali illegali per l’acquisto di armi e droga14.

L. Franchi e AA.VV, I quattro codici – Art. 648-bis –Riciclaggio. Codice Penale, Hoepli, 2020. 14 R. Razzante, La regolamentazione antiriciclaggio in Italia: aggiornato alla delibera della Banca d’Italia 10 marzo 2011 sui controlli antiriciclaggio, prefazione di Piero Luigi Vigna, Giappichelli, 2011. 13


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La dottrina ha definito il reato di riciclaggio, nella sua escalation di fasi, come un “reato presupposto”, ossia un “vettore” per la commissione di ulteriori reati. Il presupposto primario per la configurazione del reato, facilmente deducibile dal dettato normativo, è la necessaria provenienza illecita del bene oggetto di reato (cosa o contante), oltre, che la necessaria presenza di una condotta attiva del soggetto agente, configurabile anche con il semplice dolo eventuale15. La normativa antiriciclaggio Europea (V Direttiva comunitaria UE 2018/843) e quella Italina (d.lgs. 125/2019) hanno presentato molte novità nell’individuazione di nuovi soggetti ricomprendendo nella cerchia dei cc.dd. “Soggetti obbligati”16 i prestatori di servizi di pagamento elettronico e i titolari di piattaforme da giuoco e scommesse online. In fine è prevista una ulteriore fase di armonizzazione di queste nuove misure, attraverso la incrementata collaborazione con gli organi di vigilanza nazionale e internazionale (UIF – Unità di In-

formazione Finanziaria con organi giudiziari territorialmente competenti e forze di polizia economica). L’attività di contrasto alla condotta penale di riciclaggio di denaro trova diverse soluzioni: in primo piano, a livello normativo con il costante aggiornamento sulla limitazione dell’uso del contante. Sul livello della cooperazione, con il rafforzamento della collaborazione tra professionisti e organi di vigilanza di settore facilitando le attività investigative e giudiziarie, da rendere tempestivamente anche per l’accertamento del semplice pericolo di rischio di azioni delittuose. Infine, con l’individuazione costante e aggiornata dell’evoluzione delle anomalie17. Uno dei tasselli critici e complessi di questo immenso apparato sulla disciplina antiriciclaggio è rappresentato dalle novità in ambito Fintech (Finance Tecnology: tecnologia applicata alla finanza), che ha comportato una evoluzione degli strumenti finanziari, in particolare per quanto avviene per le cripto-valute (Blockchain) e per i sistemi ID (Identity Digital:

In alcune particolari circostanze individuate dal giudice, il soggetto che realizza la condotta di riciclaggio, non sempre agisce con dolo, ma anche con la semplice colpa per non aver appurato, con la dovuta diligenza, la provenienza del bene. 16 Sono tutte quelle categoria di soggetti rientranti nell’art. 2 del D.Lgs. 231 del 2007, per le quali la normativa antiriciclaggio ha imposto di procedere con obblighi di adeguata verifica del cliente, nella sua identificazione, nella registrazione e nella conservazione della documentazione in merito ai contraenti e alle operazioni economiche realizzate.

S. De Flammineis, Gli strumenti di prevenzione del riciclaggio, L’esperienza italiana nel quadro della quarta direttiva europea e prime osservazioni sullo schema di decreto attuativo in diritto penale contemporaneo, fasc. 5/2017.

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A. Rossi, Prevenzione del riciclaggio e finanziamento del terrorismo: finalità e novità normative, in Diritto Penale e Processo, Fasc. 1/2018. Camera Dei Deputati. Pagamenti e Antiriciclaggio. Servizio Studi. Roma. Agosto 2020. Web: https://temi.camera.it/ leg18/temi/tl18_antiriciclaggio.html

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APPROFONDIMENTI

Identità digitale) circa la veridicità delle transazioni eco-nomiche e la identificazione dei soggetti che le pongono in essere. In riferimento a quest’ultimo tema, l’Italia si è munita sempre per lo sviluppo di questi temi con un apposito Ministero (Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, pres-so la Presidenza del Consiglio dei Ministri), competente in ambiti tecnologico-informatici. In vero, già da alcuni anni per le relazioni con la pubblica Amministrazione esiste il portale dell’Amministrazione Digitale (AGID – Agenzia per l’Italia Digitale), servizio accessibile attraverso la creazione di un account SPID (sistema Pubblico di identità Digitale). 570

2.3. Finanziamento al terrorismo

La nozione di “finanziamento al terrorismo” è di facile apprendimento, poiché le modalità e gli elementi costituivi della relativa condotta sono rinvenibili in tutti gli ordinamenti penali Statali18. In primis è necessario distinguere le due locuzioni “finanziamento” e “terrorismo”. Iniziando dal termine “terrorismo”, nel nostro ordinamento Italiano questo viene contemplato all’art. 270-sexies del Codice Penale con la seguente disposizione: “Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per

la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia”. Per quanto rilevato, con la locuzione “finanziamento”, in termini generali si vuole intendere l’acquisizione e l’investimento di risorse, di diversa natura, destinate ad una determinata causa. Alla luce di quanto sopra visto, fa riferimento il “finanziamento del terrorismo a quella condotta penale, se pur realizzata in precedenza al fatto, finalizzata all’utilizzo e ausilio di risorse destinate a produrre effetti ricompresi nella nozione di terrorismo”. In particolare, una corretta definizione si rinviene nell’art. 2, comma 6, del D.lgs. 231 del 2007 (normativa Italiana di riferimento sulla prevenzione al reato di riciclaggio di denaro)19 con il quale si afferma: Si evidenzia qui, l’ulteriore presenza è importanza che sussiste tra il binomio penale “riciclaggio” e “finanziamento del terrorismo”, non solo in sede normativa ma anche a volte operativa e in sede di repres19

M. Ferrara e D. Gatta, Lineamenti di Counter-terrorism comparato. In Quaderni di “Centro Ricerca Sicurezza e territorio” – CRST, Pacini Editore, 2018. 18


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“… s’intende per finanziamento del terrorismo qualsiasi attività diretta, con ogni mezzo, alla fornitura, alla raccolta, alla provvista, all’intermediazione, al deposito, alla custodia o all’erogazione, in qualunque modo realizzate, di fondi e risorse economiche, direttamente o indirettamente, in tutto o in parte, utilizzabili per il compimento di una o più condotte, con finalità di terrorismo secondo quanto previsto dalle leggi penali ciò indipendentemente dall’effettivo utilizzo dei fondi e delle risorse economiche per la commissione di condotte anzidette”. Come per quanto suddetto nella condotta di riciclaggio, anche nel finanziamento del terrorismo è possibile determinare attraverso apposita “mappatura” dei processi; una serie di fasi comparate al percorso di un flusso economico, così da consentire non solo una eventuale minaccia ma anche prevenirla: FASE 1) La raccolta (Collection): è il passaggio che avviene tra i fondi (provenienza lecita o illecita) verso un collettore principale. FASE 2) La trasmissione e l’occultamento (trasmission/ dissimulation): in questa fase lo scopo è trasferire il bene attraverso canali cc.dd. “Formali” (istituti di credito, Money Transfer, Change Transfer) o canali cc.dd. “Informali” come il ricorso alla tecnica Hawala. FASE 3) L’impiego (Use): sione, in quanto si prevede l’applicazione delle stesse misure cautelari patrimoniali.

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l’utilizzo della somma per finalità terroristiche20. Per ogni tipo di reato la prevenzione è la principale forma per mitigare qualsiasi rischio. In particolare, per il finanziamento del terrorismo un grande aiuto è dato proprio dalla normativa antiriciclaggio, la quale prevede l’identificazione e la registrazione del titolare e di tutte le operazioni da esso eseguite, fornendo così una sinergia normativa concreta. Per rendere concreto quest’ultimo punto, si richiede inoltre la collaborazione anche di organizzazioni Internazionali, per cui il G.A.F.I (Gruppo di Azione Finanziaria) provvede ad aggiornare costantemente una lista “nera” (Black list) contenete circa 23 Paesi21, che presentano rischi di finanziamento di attività illecite. Di conseguenza, si richiede che per ogni operazione proveniente o inviata verso i Paesi iscritti a questa Black list, l’operazione venga segnalata, sospesa e G.B. Palumbo e R. Razzante, Evasione fiscale, frodi e riciclaggio: le nuove Frontiere della criminalità finanziaria, Filodiritto Editore, 2014. L. Sammuri, Finanziamento al terrorismo internazionale e paradisi fiscali. Financing international terrorismo and tax havens, in Rassegna della Giustizia Militare, Rivista di diritto e Procedura Penale Militare, Roma, Fasc. 4/2019. 21 In data 7 maggio 2020, La Commissione Europea ha aggiornato la “lista nera”, sono stati inseriti in tale lista: Bahamas, Barbados, Botswana, Cambogia, Ghana, Giamaica, Maurizio, Myanmar, Nicaragua, Panama e Zimbabwe; Sono stati rimossi dalla lista: Bosnia-Erzegovina, Etiopia, Guyana, Repubblica Popolare del Laos, Sri Lanka e Tunisia. 20

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sottoposta ad analisi più accurata da parte degli organi di vigilanza finanziaria. Esiste inoltre una ulteriore lista facente riferimento non a Stati bensì a persone e organizzazioni criminali, che quotidianamente viene aggiornata; questa seconda lista fa riferimento a tutti quei soggetti che per appartenenza a gruppi o per il semplice tentativo (o realizzazione) di atti terroristici, sono considerati come “persone pericolose”, ricercati dai principali organi di polizia internazionale (principalmente 22 INTERPOL) . Vi sono anche delle forme cautelari previste per il reato di finanziamento di terrorismo: sono le misure cc.dd. Cautelari patrimoniali e Cautelari personali e altre forme di tipo preventivo, previste dall’ordinamento penale, le quali necessitano di autorizzazione da parte dell’Organo giudiziario. Le misure vengono applicate dopo un’accurata fase di accertamento investigativo, una volta accertata la fondatezza della commissione e partecipazione al reato. L’applicazione di queste arrivano sino a limitare alcuni diritti inviolabili della persona. Come principale forma di “misura cautelare patrimoniale” è senza dubbio il cc.dd. “Congelamento di fondi” (blocco di conti e avvio di accertamenti economico-fiscali)23, con conseguente divieto di trasferimento

di denaro, nonché la confisca e il sequestro di tutti i beni. Per le misure “Cautelari Personali”, si fa riferimento alla pericolosità del soggetto. Presupposto di queste misure è l’attività investigativa di polizia giudiziaria, la quale si basa sulla raccolta di informazioni fornite da intercettazioni (telefoniche, informatiche e telematiche) e pedinamenti, con il supporto di mezzi di geolocalizzazione per la tracciabilità finalizzata all’acquisizione di prove che rilevino il reale compimento o la partecipazione al fatto delittuoso. Accertata l’esistenza della pericolosità, si procederà come comunemente accade all’arresto. Nelle misure, non più cautelari ma preventive, successivamente applicate nella sfera soggettiva personale vi potranno esserci per uno straniero: l’espulsione ove sconterà la pena per il tempo stabilito per quel reato nel paese di origine oppure il divieto di ingresso nel paese (c.d. Entry Bans) oppure il divieto di lasciare un paese (c.d. Travel Bans)24. L’adozione di tali misure patrimoniali e personali, applicate con metodologia (investigativa e operativa), ha lo scopo di prevenire e mitigare il rischio di finanziamento di terrorismo ed è stata applicata, ad esempio, dai reparti dell’antiterrorismo nell’operazione “ZirMoney Transfer”, nell’anno 2019, ove i Carabinieri insieme alla Guar-

Consiglio Dell’Unione Europea, atto n. 2001/931/PESC. 23 Atto del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nr. 1267/1999.

24 M. Ferrara e D. Gatta, Lineamenti di Counter-terrorism comparato, in Quaderni di “Centro Ricerca Sicurezza e territorio”, Pacini Editore, 2018.

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dia di Finanza hanno arrestato 10 persone con l’accusa di finanziamento al terrorismo25.

3. Minacce all’economia digitale. Criptovalute e Cybercrime. Elementi di rischio e d’investigazione Con l’avvento dell’evoluzione tecnologia, i nostri più comuni strumenti stanno cambiando le nostre più comuni abitudini con una presenza continua e costante di dispositivi elettronici (dallo smartphone al Smartwatch o alle cuffie Wireless etc…), che aumentano a volte le funzioni originali degli strumenti stessi. Una delle tante innovazioni prodotte sono indubbiamente le “monete” risalenti alla famiglia Blockchain, con l’utilizzo delle cc.dd. Crypto-valute, frutto di una dematerializzazione virtuale, non contemplata da alcuna norma. Questo strumento non tangibile è visto come un mezzo che vaga nello spazio di internet, destinato a rivoluzionare i futuri pagamenti, con l’intento di sostituire i pagamenti elettronici e in particolare l’utilizzo dello stesso contante. Prima però di individuarne i rischi è necessario fornire, seppur brevemente, una definizione di valuta-virtuale; in primis quella enunciata dalla stessa Banca D’Italia26, Approfondimento: Arma dei Carabinieri, Ufficio Stampa, Operazione “Zir MoneyTransfer”, settembre 2019. 26 Banca D’Italia, Avvertenze sull’utiliz-

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che le ha dichiarate come: “... rappresentazioni digitali di valore non emesse da una banca centrale o da un’autorità pubblica. Esse non sono necessariamente collegate a una valuta avente corso legale, ma sono utilizzate come mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento e possono essere trasferite, archiviate e negoziate elettronicamente; non sono moneta legale e non devono essere confuse con la moneta elettronica …”. Per l’individuazione di una nozione di carattere informatico, si afferma che il loro funzionamento, diverso da ogni “moneta”, avvenga attraverso una struttura concatenante di blocchi (Blockchain: blocchi) collegati tra loro, all’interno dei quali sono presenti dei codici seriali fissi, che consentono lo scambio di dati. È anche di facile intuizione che se viene cambiato il codice seriale di un blocco, a sua volta il blocco precedente non rileva quello successivo e si crea un errore di trasferimento (unica garanzia di affidabilità di un procedimento corretto). L’utilizzo di queste monete avviene in modo virtuale con lo scambio di dati su rete telematica; in particolare, con la rete P2P (Peer-to-peer). Inoltre, è necessario per il completo funzionamento la presenza di un portafoglio elettronico (Wallet) dove poter depositare “virtualmente” la moneta e per l’attività di negoziazione (trading). Questa richiede

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zo delle cosiddette “valute virtuali, Roma, gennaio 2015.

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necessariamente l’intervento di soggetti registrati iscritti all’albo dei cambiavalute (come previsto per l’art. 17-bis d.lgs. 141/2010,) denominati Exchanger, garanti della corretta negoziazione. Le molteplici peculiarità, sopra elencate di questa nuova “moneta”, mostrano una palese pericolosità dovuta dalla forza dell’anonimato. Difatti, con l’utilizzo di particolari Browser come Tor (operante nel Dark Web, il c.d. lato oscuro di internet), si consente di navigare in incognito nella rete, attraverso un alto profilo di sicurezza applicato a scaglioni. La stessa rete permette di occultare i nominativi degli utenti crittografandone i dati: sistema IP (Andress Provider) e rete VPN (Virtual Provider Network). Come accertato da diversi organi di vigilanza internazionale, le valute virtuali sono uno dei principali strumenti per la realizzazione di condotte criminali, dall’investimento di capitali provenienti da illeciti tributari, riciclaggio, fino all’acquisto di armi e droga. La rintracciabilità delle somme di per sé rileva innumerevoli difficoltà nell’individuazione dei rischi, come anche l’anonimato; il lavoro metodologico di rintracciabilità risulta essere ulteriormente più difficile, poiché ostacola l’individuazione del titolare sotto il profilo della legittimità dell’operazione. I relativi accertamenti avvengono attraverso sistemi informatici complessi che rilevano a volte anche la violazione dei sistemi stessi. Per far fronte alla commissione di reati dal 1993, con la legge n. 547,

sono entrati in vigore nel nostro ordinamenti i cc.dd. reati informatici i quali hanno apportato importanti integrazioni al codice penale. Successivamente nel 2008, su impulso Europeo, è stato introdotto negli ordinamenti nazionali anche il reato di cybercrime. Difatti la sostanzale differenza che vige tra l’attività di Computer Crime27 e Cyber Crime è che la prima opera in modo interno al dispostivo della vittima, basti pensare all’accesso abusivo a sistemi telematici e informatici con la successiva acquisizione di dati sensibili per mezzo di virus o malware; la seconda invece opera in un raggio più ampio, in una realtà virtuale detta Cyberpazio. Proprio nel Cyberspazio, cioè la rete internet, vengono commessi svariati e noti reati come es. il Phishing (furto d’identità digitale), le frodi attraverso siti e-commerce, il money muling e, in situazioni più gravi, il cyberlaundering (condotta art. 648-bis c.p.), realizzata per “ripulire” denaro per mezzo di riscatti con Crypto-moneta, e in fine il Cyber Terrorismo28.

27 D. Gambardella, Tecniche di indagine nei procedimenti per i reati informatici In Nuovi quaderni delle comunicazioni ed indagini penali, Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, Fasc. n. 123, Napoli, 2001. 28 L. Picotti, Profili Penali del Cyberlaundering: le nuove tecniche di riciclaggio, in Riv. Tri. Dir. Penale dell’Economia, CEDAM, Fasc. 3-4. Roma, 2018. V. Surace, Il ruolo delle Cryptovalute nel sistema di finanziamento delle organizzazioni terroristiche, in Anallytica for intelligence and security studies, Torino, 2020.


Le nuove tecnologie per le analisi su flussi finanziari applicate a condotte criminali

Gli organi giudiziari e investigativi si sono muniti di esperienza e, con l’evolversi della tecnologia, di apposite conoscenze e hanno potuto così costruire, attraverso riferimenti normativi e processi operativi, le cc.dd. Investigazioni Digitali, che riguardano operazioni informatiche volte a contrastare le attività illecite perpetrate. Le principali attività investigative finalizzate all’accertamento di crimini “Fintech”, riguardano i flussi di fondi di capitale; attività che richiedono perseveranza e competenza nell’individuare percorsi e fatti e che possono svolgere unicamente determinati soggetti per le sole ipotesi tassativamente previste dal legislatore con l’autorizzazione dell’ organo giudiziario e l’ausilio di particolari sezioni di polizia informatica nazionale es. Polizia Postale, ROS – Raggruppamento Operativo Speciale e specifici reparti della Guardia di Finanza. In particolare, le analisi si concentrano nel rilevamento e nell’approfondimento dei dati (Big-data e micro-date) sparsi nella rete, con l’ausilio della tecnologia IA (Artificial Intelligence: Intelligenza artificiale)29. In fine, la principale misura cautelare nei confronti di un soggetto indiziato, dopo la sua identificazione, è l’immediata confisca dei conti economici, sia tangibili che virtuali (es. i wallet), mentre l’inda-

A. Martino, Il GAFI apre all’identità digitale. In Diritto Bancario Approfondimenti. 13 Maggio 2020. 29

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gine risulta più complessa per la ricostruzione di eventuali conversioni (es da BTC a Euro) e per il concreto utilizzo delle somme oggetto di illecito penale30.

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30 N. Gazzili e N. Lorenzini, Le Criptovalute: nozioni ed aspetti di interesse investigativo, in Panorama Tributario e Professionale, Ente Editoriale per La Guardia di Finanza, Fasc. n. 10, ottobre 2019.



APPROFONDIMENTI

Il finanziamento al sedicente Stato Islamico attraverso l’utilizzo dei servizi informali per il trasferimento dei valori

Giuseppe Coccia

Sommario: 1. Introduzione al lavoro. – 2. Importanza e ruolo del denaro contante e dei valori assimilabili. – 3. I servizi informali di trasferimento valori: “Hawala” e similari. – 4. Una sentenza importante. – 5. Breve descrizione generale di Hawala. – 6. L’uso di Hawala da parte dell’ISIS dopo la sconfitta militare. – 7. Brevi considerazioni finali.

1. Introduzione al lavoro Il lavoro di tesi realizzato parte dall’analisi dei fenomeni di riciclaggio di denaro e di finanziamento al terrorismo, sfide rilevanti ed in evoluzione costante. L’analisi continua poi, velocemente, sugli strumenti di contrasto normativi predisposti dal legislatore; lo studio parte da una prospettiva internazionale, passando per un’ottica in ambito regionale (Unione Europea, ad esempio) fino a giungere a soluzioni pragmatiche a livello di

singolo Paese. La conclusione di questo primo aspetto dell’esercizio è che solo un approccio in ottica pragmatica può dare risultati davvero efficaci. Questo perché ai nostri giorni, i flussi finanziari sono sempre più integrati e transfrontalieri per loro natura ed il denaro e gli altri valori equivalenti possono fluire rapidamente, in realtà sempre più spesso istantaneamente, da uno Stato all’altro consentendo alla criminalità organizzata ed ai fiancheggiatori del terrorismo di movimentare


APPROFONDIMENTI

fondi in tutto il globo, abbattendo il rischio di essere individuati dalle Autorità preposte al contrasto di tali fenomeni. La lente investigativa si sposta poi sull’organizzazione del sedicente Stato Islamico, che a seguito della sconfitta militare sul territorio potrebbe cercare di riorganizzarsi allo scopo di poter rispondere con un’azione controffensiva in grado di colpire qualsiasi Paese. Ovviamente tale azione non avverrà mai in campo aperto, con scontri diretti tra coalizione e miliziani, dove l’esito sarebbe già certo, ma secondo le classiche logiche dei fondamentalisti ossia attraverso il ricorso ad attentati isolati ai danni di civili.

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2. Importanza e ruolo del denaro contante e dei valori assimilabili È indubbio che per organizzare qualsiasi atto terroristico servano soldi, anche per il più semplice degli attentati è necessario un minimo di organizzazione e di tempo e in sostanza di denaro, che servirà per le più disparate attività logistiche, sia illecite che lecite (alloggi, spostamenti, noleggi, acquisti ecc). Ritenendo fondamentale presidiare tale settore, sono state elaborate diverse analisi operative da parte delle diverse Amministrazioni preposte a presidio del sistema bancario e finanziario, rivolgendo l’attenzione investigativa nei confronti di soggetti – sia

persone fisiche che persone giuridiche – a rischio di terrorismo, che hanno commesso violazioni alla normativa valutaria. Da quest’attività scaturiscono le riflessioni e le considerazioni che sono esposte lavoro. Diversi studi hanno dimostrato con certezza che il denaro contante ed i valori ad esso assimilabili (oro, diamanti, etc.) rimane il mezzo al quale si ricorre con maggiore frequenza per finalità di finanziamento del terrorismo, in quanto consente agli attori di mantenere il massimo anonimato e di non essere facilmente identificabili. Ecco perché l’analisi di tali aspetti è presente in quasi tutte le indagini in materia di Anti Money Laundering e di Counter Financing Terrorism. La problematica risulta essere assorbente per quanto riguarda quelle attività economiche normalmente caratterizzate da elevato utilizzo di contante e non sono strettamente soggette alle norme in materia di antiriciclaggio e contrasto al finanziamento al terrorismo. Tali attività possono fungere da mezzo estremamente comodo per il riciclaggio di proventi in denaro contante derivanti da attività criminose e anche e soprattutto per i finanziatori del terrorismo, che non hanno tra l’altro il problema – tipico dei criminali –, di dover “ripulire” il denaro per poi reimpiegarlo, anzi in quest’ultimo caso spesso il denaro impiegato per sostenere il terrorismo è di natura originariamente lecita. La valutazione sottolinea altresì il fatto che anche i beni che offrono strumenti simili ai contanti


Il finanziamento al sedicente Stato Islamico

(oro, diamanti ecc.) possono essere reinvestiti anche in modo lecito per poter creare un circuito continuo di alimentazione delle casse dei soggetti vicini alle organizzazioni terroristiche.

3. I servizi informali di trasferimento valori: “Hawala” e similari Accanto ai sistemi cc.dd. formali di trasferimento dei fondi, cioè a quelli che operano all’interno del sistema finanziario regolamentato, sussistono – da tempi anche remoti – dei sistemi “ufficiosi”, operanti totalmente al di fuori dal circuito ufficiale che consentono l’esecuzione di transazioni finanziarie caratterizzate da un elevato grado di opacità. Tali sistemi informali di trasferimento fondi sono ritenuti possibili canali attraverso cui veicolare, anche a fini di riciclaggio/finanziamento del terrorismo, denaro “sporco” o meno; ad essi ci si riferisce anche come Alternative Remittance Systems (sistemi alternativi di trasferimento fondi), ma non di rado, per le dimensioni e le caratteristiche che vengono ad assumere in determinate realtà, essi sono altresì noti come Underground Or Parallel Banking Systems (sistemi bancari sotterranei o paralleli). Gli Alternative Remittance Systems, invero, si fondano su precisi fattori etnici, culturali e storici e, in alcuni casi, hanno origini remote che precedono di alcuni secoli lo sviluppo del sistema bancario occidentale.

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Spesso i sistemi informali di trasferimento di fondi hanno legami con le specifiche aree geografiche in cui si sono sviluppati, in relazione alle quali assumono differenti caratteristiche e denominazioni. Le forme più conosciute di tali sistemi informali sono per l’appunto Hawala, sviluppatosi in Asia meridionale e successivamente diffusosi in tutta l’area mediorientale; l’Hundi, in uso in India prima dell’avvento del sistema bancario convenzionale; il Fei-ch’ien, noto in Cina già alla fine del diciottesimo secolo; il Mercato Nero del Peso, originario inizialmente in America latina e poi estesosi in tutto il continente americano. Nati dunque come fenomeni regionali, i meccanismi informali di trasferimento di fondi sono oggi presenti in ogni parte del mondo in virtù del loro utilizzo da parte delle comunità di immigrati, al fine di effettuare rimesse di denaro nei propri Paesi d’origine. La diffusione su larga scala dei sistemi informali sono, dunque, dovuti ad una molteplicità di ragioni, fra cui vanno annoverate – prime fra tutte – le seguenti: – rapidità con cui vengono movimentate le somme (tempi medi compresi tra 6 - 12 ore); – i costi particolarmente ridotti del servizio (all’incirca compresi tra il 2 ed il 5% delle somme movimentate); – la semplicità di funzionamento; – l’accessibilità anche in mancanza di un rapporto continuativo/ regolamentato con l’intermediario;

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– la possibilità di raggiungere aree geografiche particolarmente remote in cui le banche tradizionali non operano ovvero dove sono presenti conflitti armati o situazioni di instabilità politica; – il totale anonimato delle transazioni, garantito dalla mancanza di obblighi di identificazione della clientela e di registrazione delle relative operazioni. Tanto osservato in generale, il sistema di trasferimento di denaro basato sul “brokeraggio informale” e su relazioni non contrattuali Hawala, quanto al suo funzionamento pratico, prevede che il soggetto che intende trasferire una somma di denaro ad altro soggetto, di norma residente in un diverso Paese, contatta un broker intermediario (c.d. Hawaladar) e gli versa la somma da inviare; l’intermediario locale contatta quindi un suo omologo nel Paese ricevente, dandogli ordine di pagare al soggetto destinatario la somma indicata, trattenendo ovviamente una percentuale a titolo di commissione. La somma versata al destinatario verrà ripagata dal primo al secondo intermediario in un secondo momento, con tempi e mezzi variabili, secondo le circostanze. Tipicamente, i due Hawaladar sono uniti in qualche forma di sodalizio e, più in generale, inseriti in una rete di mediatori e non essendoci tra gli stessi scambio di strumenti cambiari, le transazioni sono basate unicamente sulla fiducia e sull’onore. In aggiunta alle commissioni, i profitti dei mediatori si imperniano altresì sulla cir-

costanza che gli stessi aggirano i tassi ufficiali di cambio. Generalmente poi i fondi entrano nel sistema di trasferimento Hawala con la valuta dello Stato di origine e lo lasciano nella valuta del Paese del destinatario sicché possono essere effettuati a tassi diversi dal cambio ufficiale. Per il fatto che nessuna somma è direttamente trasferita dal mittente al destinatario, il sistema è stato definito Money Transfer Without Money Movement. Dato che i trasferimenti di fondi effettuati tramite il descritto canale sono, per le ragioni anzidette, del tutto informali essi si prestano a una facile elusione delle normative sulla tracciabilità dei flussi finanziari e statisticamente sono sempre più utilizzati per scopi criminali, in particolare per il riciclaggio di denaro ed il finanziamento di attività illecite, tra cui quelle terroristiche. Anche se inizialmente Hawala può svilupparsi come rete effettivamente destinata a soddisfare le esigenze di rimessa personali dei migranti, tale canale, costituendo un solido e costante corridoio di trasferimento di risorse economiche, si presta dunque facilmente ad essere infiltrato o acquisito dalle organizzazioni criminali/terroristiche, per essere dalle stesse gestito e utilizzato quale strumento di mobilizzazione finanziaria. Il sistema Hawala quindi, e gli altri servizi simili informali di trasferimento di valori, rappresentano una minaccia specifica, in particolare nel contesto del finanziamento del terrorismo, per i motivi appena esposti ed in par-


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ticolare – a modesto parere dello scrivente per il caso specifico del finanziamento al terrorismo – per la mancanza della necessità di ripulire “dirty money” da reimmettere nel circuito dell’economia legale. Solitamente tutti gli operatori che prestano la propria attività quali intermediari nei servizi di pagamento, così come definiti all’articolo 4, paragrafo 3, della Direttiva Servizi di Pagamento dovrebbero essere adeguatamente registrati e regolamentati. Tali fornitori dovrebbero quindi richiedere lo status di istituti di pagamento autorizzati oppure, nel rispetto di determinate condizioni, di istituti di pagamento registrati. Hawala e gli altri servizi informali di trasferimento di valori normalmente vengono qualificati come illegali in quanto non sono registrati e non soddisfano nessuno dei requisiti della Direttiva sui Servizi di Pagamento sopra indicata. Questo problema è aggravato dalla difficoltà di rilevare l’esistenza di detti servizi e spesso le operazioni finanziarie e di trasferimento dei valori sono raggruppate tra loro, compensate attraverso importazioni/esportazioni di beni e lasciano un flusso di informazioni a riguardo molto limitato, se non nullo. Si aggiunga a quanto detto che il processo di eliminazione dei rischi (de-risking) può creare terreno fertile per i sistemi informali di pagamento in quanto i clienti respinti dai prestatori di servizi

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finanziari regolamentati potrebbero ricorrere ai servizi illegali di questo tipo.

4. Una sentenza importante È stata analizzata la sentenza 22 marzo 2018 (dep. 18 settembre 2018), n. 400, G.U.P. Ferro, del Tribunale di Palermo, emessa nei confronti di un gruppo di trafficanti di esseri umani. La stessa colpisce anche il sistema di pagamento denominato Hawala, usato dall’ organizzazione criminale. Il lavoro, muovendo dalla fattispecie concreta e dalla soluzione interpretativa fatta propria dal giudice di prime cure ricostruisce, prima facie, i meccanismi e le capacità operative del sistema Hawala. L’arresto giurisprudenziale ha suscitato particolare interesse per avere ritenuto la rilevanza penale del più volte citato sistema di pagamento; in forza del compendio probatorio raccolto, la sentenza giunge a ritenere che gli imputati, in via continuativa, abbiano offerto al pubblico e ad un numero indeterminato di soggetti il servizio di raccolta di denaro e di cambio di valuta, nonché la gestione del successivo trasferimento all’estero, attività certamente vietate dalla legge bancaria indipendentemente dal mezzo virtuale, quale è Hawala, o materiale utilizzato per il trasferimento della moneta.

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5. Breve descrizione generale di Hawala

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Come evidenziato sopra, il fenomeno Hawala e, più in generale, quello dei sistemi di pagamento “informali” ha rilevanza e proporzioni globali; pertanto analizzarne i meccanismi di funzionamento assume importanza cruciale. Il significato attribuito al termine Hawala è essenzialmente (oltre che letteralmente) quello di “trasferimento”, significatività forte che emerge dallo stesso fenomeno giuridico cui il termine corrisponde. Il termine Hawala rappresenta le seguenti posizioni: 1. la circolazione della posizione di debito; 2. la circolazione della posizione di credito; 3. il sistema di pagamenti nel suo complesso. Tale pluralità di significati corrisponde alla diversa realtà dei rapporti giuridici che lo compongono: a. le relazioni fra utenti ed intermediari; b. il rapporto fra gli stessi intermediari incaricati di trasferire il denaro dal pagatore al beneficiario. L’informalità di tale sistema di pagamento è data dalla sua capacità di funzionamento principalmente grazie alle relazioni interpersonali esistenti all’interno della relativa “rete” e alla conseguente fiducia personale intercorrente tra i membri della stessa. Tale struttura è imperniata su vincoli familiari, para-familiari o tribali che innescano meccanismi

di solidarietà capaci di tenere insieme la rete di intermediari degli Hawaladar, garantendo la fiducia e la fidelizzazione degli utenti che a loro si rivolgono. È tuttavia fuorviante assumere che la fiducia sia originata solo ed esclusivamente dall’affidabilità delle persone e non anche dall’effettività delle regole che si traduce in efficienza del sistema Hawala: l’affidabilità degli intermediari è fondamentale ma è parte integrante del complessivo sistema connotato dall’effettività delle regole consuetudinarie e dall’efficienza delle procedure adottate, anch’esse essenziali. È l’assoluta condivisione di tali regole che permette il saldo funzionamento del fenomeno: da essa deriva l’interconnessione di ciascuna delle reti di Hawaladar con le altre, le quali sono dunque tra loro interoperabili. L’esperienza, anche quella processual-penalistica rappresentata dalla sentenza poco sopra riportata, dimostra che il sistema Hawala funziona. Tuttavia, poiché trattasi di sistema visceralmente imperniato sui rapporti fiduciari, la fiducia riposta nella rete Hawala da parte degli utenti si combina con la fiducia che organizzazioni illegali (criminali e terroristiche) ripongono nel sistema. Ciò che, di fatti, è accaduto nel caso di specie, laddove l’organizzazione criminale finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ha asservito il canale di pagamento fiduciario ai propri scopi e, segnatamente, al finanziamento della propria struttura associativa. A livello internazionale si è ben consci di questo


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rischio, quanto meno in relazione all’asservimento del sistema Hawala al finanziamento delle organizzazioni criminali terroristiche. Partendo da questi presupposti si è cercato di capire se il sedicente Stato Islamico utilizzi questo sistema, quanto venga utilizzato a seguito della disfatta militare e se lo stesso possa consentire una riorganizzazione efficace ed una controffensiva – a qualsiasi livello – contro i nemici del Califfato nero. Bisogna innanzitutto partire da quelle che sono le fonti che permettono all’organizzazione terroristica di vivere, evolversi, diffondersi e combattere. La sua forza si fonda su diversi fattori economici di sviluppo caratterizzati dal fatto di essere molteplici, diversificati, ambigui e sotterranei. In connessione con alleanze variabili, tattiche e strategiche, sui territori di invasione – latu sensu intese –, l’I.S. è oggi una minaccia latente ad ampio spettro, in una fase di rimodulazione e rinnovanda alimentazione finanziaria. Nel corso della ricerca, partendo dalle banche che rispettano la Sharia, vengono passati in rassegna ed analizzati i principali fenomeni ed aspetti, tra loro sicuramente interconnessi, che portano ossigeno alle casse dell’Islamic State. Nella mole di dati analizzati dall’Intelligence italiana e dalle Forze di Polizia – trasmessi al Viminale – spiccano due elementi: i foreign fighter italiani ed i detenuti monitorati nelle carceri che partecipano, tra le altre cose, a diffondere e a far conoscere il sistema

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che stiamo analizzando in queste pagine. Una recente operazione “antihawala” coadiuvata dall’Europol ha portato all’arresto di 38 persone e al sequestro di 7 milioni di euro in contanti. Secondo una fonte interna della “Polizia Europea” il gruppo era al servizio di diversi gruppi criminali/terroristici e movimentava/fatturava circa 2 miliardi di euro all’anno. Con il sistema degli hawaladar decine di milioni di persone costituiscono veri e propri spazi offshore, con circuiti economici paralleli che sfuggono ad ogni statistica, un’intera economia offshore che muove miliardi di euro, un flusso informale che non passa attraverso i canali bancari e che sfugge a qualsiasi forma di controllo o rilevazione.

6. L’uso di Hawala da parte dell’Isis dopo la sconfitta militare Oggi l’errore più grande sarebbe dare lo Stato Islamico per totalmente sconfitto. Nel momento in cui l’Isis si è palesato con il controllo del territorio aveva già una forte disponibilità economica. La sconfitta militare è indubbia ma lo scenario attuale non è troppo diverso da quello di pochi anni fa, quando il Califfato urlava al mondo la sua natura parastatale. Ed era questa la sua unicità, nessuna organizzazione terroristica era mai stata in grado di costruire un sistema di welfare così forte, uno Stato sociale e una rete di infra-

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strutture vaste ed al servizio dei militanti. Una scelta strategica che, agli occhi della popolazione sotto il suo controllo, poneva il Califfato al confine tra l’essere entità da temere e soggetto statale vero e proprio, perfetto per imporre tasse agli agricoltori, ai commercianti, ai veicoli in transito, fino ad arrivare a vere e proprie estorsioni ma da cui aspettarsi anche servizi primari quali elettricità e acqua. Non era però soltanto l’apparato burocratico, sotto forma di tasse ed estorsioni, a garantire enormi entrate allo Stati Islamico. Il controllo dei pozzi petroliferi, durato relativamente poco a seguito dell’avvio della campagna militare alleata, generava entrate enormi. La perdita del controllo di Mosul prima e Raqqa poi, e di conseguenza dei giacimenti e delle raffinerie più importanti, costringe ora il Califfato a volgere lo sguardo verso altre fonti di finanziamento. Comprendere come cambierà l’economia del califfato significa capire quale forma prenderà quello che è ancora considerato il gruppo terroristico più ricco al mondo. Una quantità non irrilevante di finanziamenti arrivava già da soggetti privati, localizzati principalmente nei Paesi del Golfo, ed è lecito immaginare che avverrà un rafforzamento di questa linea di finanziamenti”. Uno scenario più che plausibile e non nuovo, “già vissuto con Al-Qaeda dieci anni fa e ancora prima con i Mujahedin afgani nella guerra contro i russi. Questa tipologia di flussi di denaro crea non pochi grattacapi all’antiterrorismo internazionale poiché

si tratta perlopiù di una miriade di trasferimenti di contante di piccole o medie entità, quasi impossibili da rintracciare e tra i metodi maggiormente utilizzati per il trasferimento di queste somme di denaro vi è proprio Hawala. Sono poi posti in evidenza i motivi per cui Hawala principalmente – e tutti gli altri fornitori di servizi simili – possa fornire, allo stato attuale, un supporto fondamentale per il finanziamento al sedicente Stato Islamico, in questa fase così critica per lo stesso, dove le altre “entrate” sono compromesse a seguito della sconfitta militare subita sui territori occupati nella fase espansionistica. Al tracollo sul piano militare ne è seguito, logicamente, anche uno economico. Le ragioni più comuni che, a parere dello scrivente, possono incrementare l’utilizzo di Hawala da parte del “restaurando” I.S.I.S. sono dunque le seguenti: 1. Trasmissione più economica delle somme: Hawala costa molto poco rispetto all’addebito bancario equivalente, si hanno tassi di cambio migliori rispetto alle banche tradizionali e ai Money Transfer ufficiali avendo spese di gestione sostanzialmente più basse. 2. Trasmissione più rapida del denaro: Hawala e altri fornitori di servizi simili hanno una vasta rete di controparti situate in Paesi specifici. La trasmissione del denaro può essere completata in poche


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ore o al massimo in due giorni, in caso di luoghi di destinazione dei fondi particolarmente isolati e privi di agevoli canali di comunicazione o vie di accesso – pensiamo a campi di addestramento di terroristi, a lupi solitari in missione o a covi di “dirigenti” delle cellule terroristiche nascosti in località particolarmente inaccessibili. Nelle stesse posizioni, le banche possono richiedere diversi giorni o in alcuni casi, potrebbero non essere in grado o vedere fortemente compromessa e limitata la capacità di trasmissione di fondi. Uno dei motivi che garantisce una rapida trasmissione di fondi è il fatto che spesso non si trasferiscono le somme per ogni singola transazione con il cliente, bensì si ricorre alla liquidazione netta/compensazione come fanno molti altri tipi di M.V.T.S. 3. Preferenze culturali: I sistemi descritti esistono da molto tempo in alcune aree del Centro dell’Asia, Asia meridionale e Medio Oriente, in alcuni casi da molto tempo prima dell’inizio del moderno settore bancario. Quindi esiste una tradizione culturale per trasferire denaro attraverso tali canali. In molti Paesi sviluppati, tali sistemi sono utilizzati principalmente dai migranti a causa della facilità di accedere a tali sistemi piuttosto che a quelli bancari. Inoltre vi è una condivisione di costumi, stili di vita, linguaggio ed anche diffidenza verso il mondo occidentale e negli usi e costumi dello stesso.

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4. Accesso bancario nei Paesi di ricezione e di invio delle rimesse: In alcuni dei Paesi di ricezione delle rimesse, i sistemi finanziari hanno un livello di sviluppo e di diffusione molto basso. In tali casi, solo Hawala ed eventuali altri fornitori di servizi simili hanno la capacità di fornire somme di denaro in luoghi lontani e remoti dove non esistono canali regolamentati. Paesi come il Nepal, il Pakistan o alcuni Stati del Nord Africa e del Medio Oriente sono buoni esempi di tale situazione. Ed in tutte queste regioni sono presenti formazioni combattenti vicino all’Isis. Gli H.O.S.S.P. sono spesso anche l’unico canale attraverso il quale i fondi possono essere trasmessi in zone di conflitto armato, come in parti della Somalia, in Siria e in Afghanistan, giusto a titolo di esempio. Questi passaggi di rimesse sono il modo più “sicuro”, semplice ed economico per trasferire fondi in questi territori. Aggiungiamo, che in relazione agli Stati di invio delle rimesse, in cui il sistema bancario è sviluppato e l’accesso bancario è più agevole e/o garantito, Hawala è l’unico mezzo disponibile per gli stranieri in condizione di illegalità. 5. Maggiore fiducia nel sistema Hawala: Tale situazione si verifica essenzialmente nei Paesi in cui vi è una mancanza culturale di fiducia verso le banche ed il sistema finanziario tradizionale, in particolare questo fenomeno si riscontra nei cittadini di Stati in cui i clienti delle banche hanno perso somme

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depositate. La limitata comprensione o familiarità con servizi finanziari tradizionali a causa della mancanza di alfabetizzazione finanziaria può essere un altro motivo capace di spiegare questa mancanza di fiducia nei confronti degli istituti finanziari regolamentati. Alla fine anche le già accennate barriere linguistiche rischiano di essere un ostacolo significativo per le popolazioni immigrate.

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6. Evasione dei controlli valutari e sanzioni internazionali: Hawala e gli altri servizi simili permettono di aggirare agevolmente le restrizioni applicate alle operazioni – ad esempio i controlli di cambio oppure le sanzioni internazionali; è chiaro quindi che tali sistemi di pagamento vengano utilizzati anche – stante la propria natura – per aggirare i controlli valutari e/o le sanzioni internazionali per combattere il riciclaggio ed il rischio di finanziamento del terrorismo. 7. Trasferire opacamente i fondi evolvendosi costantemente: I terroristi, quindi, utilizzerebbero Hawala per trasferire fondi perché l’impegno e gli obblighi sono molto meno rigorosi rispetto a quelli richiesti dalle banche e dagli altri istituti finanziari regolamentati. Tale sistema di trasferimento, inoltre, è meno accessibile alle Autorità, o quanto meno richiede sforzi info-investigativi non indifferenti. Pertanto, quando ci sono somme da inviare – anche nei più remoti angoli del globo (zone desertiche, territori in balia

di guerre, montagne quasi inaccessibili) – i titolari di tali fondi, sia di lecita che illecita provenienza, hanno tutto l’interesse ad accedere ai servizi prestati dagli Hawaladar, ben disposti a servirli trasferendo il denaro senza tracciarne in alcun modo il flusso o addirittura falsificando la scarna ed eventuale documentazione disponibile per rendere l’attività delle Autorità più difficile e complessa. Molte indagini di Polizia hanno rivelato che hawaladars e fornitori di servizi simili non gestiscono sistemi “paperless”, come si potrebbe supporre, ma in realtà tengono dei “registri” – una species delle agende per contabilizzare il “nero”, tipiche degli anni ’70 – attraverso i quali riescono a tenere sotto controllo i flussi ed a comprovare la loro reputazione ed efficienza. Tutto ciò a comprova del fatto che Hawala tradizionale e pura è in realtà un mito. Le esperienze investigative nazionali suggeriscono che le entità all’interno della rete adattino la loro struttura e i loro metodi per garantire che i corridoi di rimessa siano gestiti in modo efficiente. Dunque un sistema che si adegua, ed infatti è dimostrato che ormai tale struttura non è solo connessa al puro trasferimento di somme più o meno grandi – Hawala tradizionale pura – ma offre oggi anche altri servizi finanziari come il cambio valutario, prestiti a breve termine, garanzie commerciali, banco di pegni e addirittura, in alcuni Paesi, conservazione sicura dei fondi trasferiti. Tutto questo comporta, tuttavia, che le transazioni gestite da


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Hawala possono essere economicamente competitive all’interno di corridoi ben definiti e specifici. La loro competitività è la più alta dove i clienti devono inviare denaro ad aree in cui i sistemi bancari tradizionali e le catene trovano difficile, costoso o ad alto rischio operare. Quando tali condizioni non sono soddisfatte, il costo di invio di fondi attraverso Hawala e altri fornitori di servizi simili potrebbe in realtà non essere così competitivo, ma questo in tale momento non dovrebbe interessare i gerarchi del califfato nero, oggi la preoccupazione maggiore è fare arrivare i soldi. Ed in certi contesti solo Hawala può garantire questo risultato. Gli Hawaladar quindi, in concorrenza costante tra loro, cercano di accaparrare “clientela” tra i sostenitori del terrorismo costruendosi una “reputazione”, che ovviamente si può perdere facilmente in caso di problemi di trasmissione o ritardi. Quindi oltre che sulla “fiducia” tradizionale, oggi abbiamo un sistema che si è evoluto e che è quasi in grado di recensire i vari fornitori del servizio sulla base delle singole prestazioni erogate. Gli Hawaladar, tra l’altro, sempre più spesso individui relativamente rispettati all’interno della loro comunità di origine – una sorta di colletti bianchi sui generis – sono oggi in realtà altamente visibili all’interno delle collettività che servono e può anche capitare che vi sia una certa “pubblicità” dei servizi offerti, ovviamente sempre limitatamente alle comunità di ori-

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gine o quanto meno tra le etnie di appartenenza.

7. Brevi considerazioni finali Questo breve e schematico lavoro vuole evidenziare chiaramente quanto Hawala e gli altri fornitori di servizi simili possano essere fondamentali alla causa dell’Isis, che oggi più che mai ha la necessità di reperire risorse dai sostenitori e finanziatori, a qualsiasi livello e da qualsiasi posto della terra. Tali gettiti economici sono il frutto di ogni tipo di attività, lecita o illecita, ed è evidente che il modo migliore per “muovere” tanta ricchezza, per quanto detto sopra, sia per lo stato islamico probabilmente il sistema di rimesse che abbiamo analizzato in queste pagine. Hawala, tuttavia, non è da considerare una struttura infallibile e tantomeno deve considerarsi inespugnabile, la possibilità di minarne le capacità ci sono e non sono affatto blande. In sostanza bisognerebbe attaccare il sistema “infiltrandolo” e demolendolo dall’interno, analogamente a quanto accade in materia di stupefacenti e criminalità organizzata, in modo da farlo crollare su se stesso. Questo ragionamento, sicuramente dirompente da un punto di vista normativo – alla stregua di quello fatto, a suo tempo, dal Presidente dell’A.N.A.C. Raffaele Cantone per combattere in modo innovativo la corruzione – permetterebbe di far venire meno l’affidamento nel

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sistema fiduciario su cui si regge Hawala, scoraggiando quindi l’affidamento delle somme di denaro alla rete.

Bibliografia Roberto Mugavero, Ranieri Razzante, Terrorismo e nuove tecnologie, Pacini Editore. Ranieri Razzante, Finanziamento del terrorismo e antiriciclaggio, normativa di contrasto e prassi operativa, Edizione Nuova Giuridica. Ranieri Razzante, Comprendere il terrorismo. Spunti interpretativi di analisi e metodologie di contrasto del fenomeno, Pacini Editore. Ranieri Razzante, Radicalismo, migrazioni e minacce ibride. Analisi e metodologie di contrasto, Pacini Editore. 588

Sitografia www.crstitaly.it http://www.mediterraneaninsecurity. it http://www.airant.it/ https://antidroga.interno.gov.it/ http://direzioneinvestigativaantimafia. interno.gov.it/index.html http://parlamento17.camera.it/156 http://questionegiustizia.it/speciale/2016/1/follow-the-money_sviluppirecenti-del-contrasto-al-finanziamento-del-terrorismo-internazionale_15. php https://www.sicurezzanazionale.gov. it/sisr.nsf/chi-siamo/organizzazione/ dis.html http://www.gdf.it/


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Corte suprema di Cassazione, sez. VI penale, ud. 21/05/2020, n. 15924, dep. 26/05/2020 Presidente Dott. Fidelbo, Relatore Dott. Calvanese Mandato di arresto europeo – Decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002 – M.a.e. in Italia: Legge n. 69 del 12 aprile 2005, pubblicata in G.U. n. 98 del 29 aprile 2005, circolare n. 1-1489/05/DU del 24 giugno 2005 del Ministero della Giustizia – Estradizione – Mutuo riconoscimento- cooperazione internazionale – Divieto di doppia incriminazione – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – CEDU - Equo processo – Associazione per delinquere – Riciclaggio – Diritto ad un giudice indipendente ed imparziale

In tema di mandato di arresto europeo, la Sesta sezione ha affermato che, ai fini del rifiuto della consegna ad uno Stato estero fondato sul pericolo che la persona sia sottoposta ad un procedimento in violazione del diritto ad un equo processo, non è sufficiente la mera denuncia da parte del consegnato di gravi carenze sistemiche rilevate nei confronti dello stato di emissione essendo invece necessario che egli alleghi circostanze specifiche e concrete che possano giustificare anche il mero sospetto del carattere non equo del procedimento. (Fattispecie relativa a richiesta di consegna proveniente dalle autorità giudiziarie polacche per associazione a delinquere e riciclaggio).

(Omissis) Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Venezia disponeva la consegna di M.Y., richiesta dalle autorità giudiziarie polacche con mandato di arresto Europeo, al fine del suo perseguimento penale per i reati di associazione per delinquere in relazione a reati fiscali e di riciclaggio. 2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’interessato, denunciando i

motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p. 2.1. Violazione di legge in relazione alla L. n. 69 del 2005, art. 17, comma 4, e art. 18, lett. t). Il provvedimento cautelare interno, così come il m.a.e., risultano privi di idonea motivazione, quanto all’esposizione degli elementi investigativi sui quali poter effettuare la verifica di idoneità richiesta dalla L. n. 69 del 2005. Esso si limita ad una mera elencazione di asserite fonti di prova, dalle


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quali è impossibile evincere la loro ipotetica valenza indiziaria. Pertanto, nessuna valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ha potuto compiere la Corte di appello. 2.2. Violazione di legge in relazione alla L. n. 69 del 2005, art. 33 e all’art. 26 della decisione quadro 2002/584/GAI. Il ricorrente ha già interamente sofferto il periodo di custodia cautelare per il quale è stata chiesta la sua consegna (un mese di custodia cautelare) e, alla luce delle ragioni esposte nel provvedimento polacco di arresto, risultano oramai superati i pericula libertatis (esigenze istruttorie). 2.3. Violazione di legge in relazione agli artt. 3, 4 e 6 CEDU, art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., art. 1, par. 3, della decisione quadro 2002/584/ GAI. La Corte di appello ha applicato in modo asettico la decisione del 25 luglio 2018 della Corte U.E. che ha chiesto agli Stat membri di effettuare un’indagine mirata in relazione ai m.a.e. emessi dalle autorità giudiziarie polacche onde verificare che sia assicurato al consegnando il diritto fondamentale ad un equo processo. In particolare, la Corte di appello non ha tenuto conto delle successive e recentissime riforme incidenti sulla autonomia ed indipendenza della magistratura polacca e stigmatizzate dalla Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto, che dimostrano il reale rischio che il consegnando sarà sottoposto ad un processo non equo, per la mancanza di terzietà del giudice. Tale rischio era stato anche rappresentato dalla difesa facendo presente come le autorità polacche avessero ottenuto informazioni sul ricorrente attraverso la intercettazione del suo difensore. La risposta della Corte di appello

(si sarebbe trattato di sommarie informazioni raccolte solo al fine di stabilire il luogo in cui il ricorrente si trovava) risulta illogica. 2.4. Violazione della L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. h) e vizio di motivazione. Sono state inviate generiche e non individualizzate informazioni sul trattamento carcerario riservate al consegnando in Polonia e comunque tali da rappresentare una situazione contraria agli standard fissati dalla Corte EDU e dalla giurisprudenza di legittimità, quanto al minimo spazio vitale da riservare al detenuto, tenuto viepiù conto che non sono stati neppure indicati eventuali fattori compensativi. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito illustrati. 2. Il primo motivo va accolto. Va precisato che, relativamente al requisito della “motivazione” del provvedimento cautelare in base al quale il mandato d’arresto Europeo è stato emesso, previsto dalla L. n. 69 del 2005, art. 1, comma 3, e art. 18, lett. q), è oramai consolidato il principio di diritto secondo cui tale nozione non può essere parametrata a quella nozione ricavabile dalla tradizione giuridica italiana, che richiede l’esposizione logico-argomentativa del significato e delle implicazioni del materiale probatorio: pertanto si ritiene sufficiente che l’autorità giudiziaria emittente abbia dato “ragione” del provvedimento adottato (anche se del caso attraverso la puntuale allegazione delle evidenze fattuali a carico della persona di cui si chiede la consegna (Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235349). Alla luce di tale nozione, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito come vada verificato l’altro requisito dei


Mandato d’arresto europeo per reato di riciclaggio e diritto all’equo processo

“gravi indizi di colpevolezza” (L. n. 69 del 2005, art. 17, comma 4), richiesto per la esecuzione in Italia di un mandato di arresto Europeo: la Corte di appello deve verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa, fondato su un compendio indiziario che l’autorità giudiziaria emittente abbia ritenuto seriamente evocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna (Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235348). Questo controllo, come chiarito dalla Suprema Corte nel citato arresto, va condotto sul m.a.e. e sulla eventuale documentazione trasmessa dallo Stato emittente. Ebbene, nel caso in esame, la Corte di appello se da un lato ha correttamente ritenuto di poter svolgere la verifica in ordine ai gravi indizi di colpevolezza sulla base della richiesta cautelare dell’Ufficio della Procura distrettuale che, in merito alla descrizione del compendio indiziario, era stata espressamente richiamata dalla misura cautelare emessa nei confronti del ricorrente, dall’altro tuttavia non ha spiegato come gli elementi indiziari esposti in detto atto fossero stati ritenuti seriamente evocativi delle ipotesi di reato contestate al ricorrente. La Corte di appello si è infatti limitata a constatare che, secondo le autorità giudiziarie polacche, il ricorrente “aveva commesso i reati di cu è stato accusato”. Le carenze della verifica richiesta dalla L. n. 69 del 2005, art. 17, comma 4, impongono pertanto un nuovo esame sul punto da parte della Corte di appello. 3. Non può essere invece accolto il secondo motivo di ricorso. La Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio di diritto,

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secondo cui il termine fissato per l’efficacia della misura cautelare estera posta a fondamento del m.a.e. decorre dal momento in cui la persona richiesta in consegna venga posta concretamente a disposizione dell’autorità giudiziaria dello Stato emittente (Sez. 6, n. 10054 del 26/02/2013, Verticale, Rv. 254822). Nè può rilevare la sussistenza in concreto della esigenza cautelare che ha motivato l’emissione del provvedimento di arresto interno, che resta insuscettibile di verifica da parte dello Stato di esecuzione (Sez. 6, n. 45525 del 20/12/2010, Donnarumma, Rv. 248970). 4. La questione del pericolo che il consegnando sia sottoposto ad un processo non equo nello Stato di emissione risulta affrontata correttamente da parte della sentenza impugnata. 4.1. Va premesso che con sentenza del 25 luglio 2018 la Grande Sezione della Corte U.E., nel proc. n. C-216/18, L.M., ha esaminato, ai fini della esecuzione di un mandato processuale di arresto Europeo emesso da autorità giudiziarie polacche, la situazione venutasi a creare in Polonia a seguito di alcune riforme legislative emanate riguardanti l’organizzazione dei giudici nazionali, che, secondo una proposta motivata della Commissione Europea, presentata nel dicembre 2017 a norma dell’art. 7, par. 1, T.U.E., venivano a minare l’indipendenza del potere giudiziario. A fronte di tali carenze sistemiche, la Corte di Lussemburgo ha stabilito che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, chiamata a decidere sulla consegna di una persona oggetto di un mandato d’arresto Europeo emesso dalle autorità di tale Stato, ai fini dell’esercizio di un’azione penale, deve verificare in modo concreto e preciso se, “alla luce della situazione personale di tale persona, nonchè della natura del reato per cui è perseguita e delle circostanze di

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fatto poste alla base del mandato d’arresto Europeo”, e tenuto conto delle informazioni fornite dallo Stato membro emittente, ai sensi dell’art. 15, par. 2, della decisione quadro 2002/584, vi siano motivi seri e comprovati di ritenere che, in caso di consegna a quest’ultimo Stato, detta persona corra il “rischio reale di violazione del diritto fondamentale a un processo equo” garantito dall’art. 47, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Secondo la Corte U.E., nell’ambito di tale valutazione, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve, segnatamente, “esaminare in quale misura le carenze sistemiche o generalizzate riguardanti l’indipendenza dei giudici dello Stato membro emittente, attestate dagli elementi a sua disposizione, siano idonee ad avere un impatto a livello dei giudici di tale Stato membro competenti a conoscere dei procedimenti cui sarà sottoposto il ricercato”. Se da tale esame risulta che dette carenze sono idonee a incidere su tali giudici, l’autorità giudiziaria di esecuzione deve poi valutare, alla luce delle “specifiche preoccupazioni espresse dalla persona interessata e delle informazioni eventualmente fornite da quest’ultima”, se esistano motivi seri e comprovati per ritenere che detta persona corra un rischio reale di violazione del suo diritto fondamentale a un giudice indipendente e, pertanto, del contenuto essenziale del suo diritto fondamentale a un equo processo, “tenuto conto della sua situazione personale, nonchè della natura del reato per cui è perseguita e delle circostanze di fatto poste alla base del mandato d’arresto Europeo”. 4.2. Ai suddetti principi si è attenuta questa Corte Suprema nel valutare le richieste di consegna di tipo processuale provenienti da autorità giudiziarie polacche.

Si è affermato che la verifica giurisdizionale in ordine al rischio che la persona richiesta dalle autorità polacche sia esposta ad un procedimento in violazione del diritto ad un equo processo va condotta, come richiesto dalla Corte di giustizia, secondo un metodo bifasico: il consegnando deve allegare circostanze concrete che possano giustificare anche il mero sospetto del carattere non equo del procedimento in Polonia nei confronti del ricorrente, sulla base delle quali spetta poi alla Corte di appello effettuare un’indagine mirata, formulando all’autorità di emissione una richiesta di informazioni (Sez. 6, n. 49548 del 3/12/2019, Olszewky, non mass. sul punto). In altri termini, la Suprema Corte ha ritento insufficiente la mera denuncia da parte del consegnando delle pur gravi carenze sistemiche rilevate nei confronti dello Stato di emissione, in quanto da un lato non sarebbe possibile articolare una richiesta generica di informazioni sul rispetto dei principi della CEDU da parte dell’ordinamento giudiziario polacco e dall’altro in ogni caso il rifiuto della consegna deve basarsi su elementi che dimostrino la concretezza del pericolo dedotto. 4.3. Nel caso in esame la Corte di appello ha rilevato che il ricorrente non aveva allegato specifici elementi individualizzanti dai quali poter desumere la sua esposizione al pericolo di un processo non equo. Il che rendeva quindi generica la questione sollevata dal consegnando, considerato viepiù che il procedimento penale – in ragione degli elementi disponibili – non offriva alcun elemento a sostegno della esistenza di un siffatto pericolo. 4.4. Va rilevato peraltro che, dopo la pronuncia della Corte U.E. del 25 luglio 2018, la situazione in Polonia in ordine al


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rispetto dei principi dello Stato di diritto si è ulteriormente aggravata a causa di successive riforme riguardanti l’indipendenza del potere giudiziario, che sono state oggetto di nuovi interventi delle istanze Europee a tutela dei suddetti principi. Tra questi è appena il caso di rammentare la sentenza con la quale la Corte U.E. ha accolto il 24 giugno 2019 un ricorso della Commissione Europea volto a far constatare la contrarietà all’art. 19, par. 1, comma 2, T.U.E. ed in particolare ai principi di inamovibilità e di indipendenza dei giudici, delle riforme intervenute nel 2017 in Polonia con riferimento ai giudici della Corte Suprema (sent. Grande Sezione, causa C-619/18); la ulteriore procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea nell’aprile 2019 nei confronti della Polonia, basata sulla violazione del principio di indipendenza giudiziaria dei giudici e sulla mancanza di garanzie necessarie per proteggere i giudici dal controllo politico; l’ordinanza dell’8 aprile 2020 della Corte U.E., assunta in relazione a tale ultima iniziativa (causa C-791/19 R, Commissione c. Polonia), con la quale è stata disposta la sospensione in via cautelare della legislazione polacca in materia di procedimenti disciplinari nei confronti dei giudici; la nuova procedura di infrazione avviata il 29 aprile 2020 dalla Commissione Europea nei confronti della Polonia in relazione alla legge sulla magistratura entrata in vigore il 14 febbraio 2020. Con tale ultima iniziativa la Commissione Europea ha denunciato che la nuova legge sul funzionamento del sistema giudiziario polacco verrebbe a compromettere ulteriormente l’indipendenza dei giudici nazionali, risulterebbe incompatibile con il primato del diritto dell’U.E. e verrebbe ad impedire ai tribunali polacchi di applicare diret-

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tamente determinate disposizioni del diritto dell’UE a tutela dell’indipendenza giudiziaria e di presentare alla Corte di giustizia domande di pronuncia pregiudiziale su tali questioni (la nuova legge, secondo la Commissione, avrebbe ampliato la nozione di reato disciplinare e quindi aumentato il numero di casi in cui il contenuto delle decisioni giudiziarie può essere qualificato come reato disciplinare, così trasformando il regime disciplinare come sistema di controllo politico del contenuto delle decisioni giudiziarie; essa violerebbe il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un tribunale indipendente e imparziale, in quanto garantisce alla nuova Camera di controllo straordinario e agli affari pubblici della Corte suprema la competenza esclusiva a pronunciarsi su questioni relative all’indipendenza giudiziaria, impedendo ai tribunali polacchi di adempiere al loro obbligo di applicare il diritto dell’UE o di richiedere una pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’UE; essa sarebbe incompatibile con il diritto al rispetto della vita privata e il diritto alla protezione dei dati personali come garantito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE e dal regolamento generale sulla protezione dei dati, in quanto obbliga i giudici di diffondere dati della loro vita privata). 4.5. Ebbene, in ordine ai gravi e recenti sviluppi della situazione in Polonia intervenuti successivamente alla sentenza della Corte di appello, si osserva quanto segue. Il Collegio non ritiene necessario, ai fini della decisione sul mandato di arresto in esame, un ulteriore pronunciamento pregiudiziale della Corte U.E., posto che, come la stessa Corte di Lussemburgo ha rilevato nella sentenza del 25 luglio 2018, fin tanto che l’attuazione del meccanismo del mandato d’arresto Europeo non sia sospesa, ai sen-

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si dell’art. 7, par. 2, T.U.E., nei confronti dello Stato membro che abbia in modo grave e persistente violato i principi fondamentali sanciti dall’art. 2 T.U.E. (il che necessita di una decisione del Consiglio dell’U.E.), la possibilità del rifiuto della consegna va riconosciuta soltanto “in circostanze eccezionali” in cui l’autorità giudiziaria di esecuzione accerti, in esito ad una valutazione concreta e precisa del caso di specie, che vi sono motivi seri e comprovati per ritenere che la persona oggetto di tale mandato d’arresto Europeo corra, a seguito della sua consegna all’autorità giudiziaria emittente, un rischio reale di violazione dei diritti fondamentali. Peraltro, gli elementi sopravvenuti, in particolare successivamente alla sentenza impugnata e alla stessa proposizione del ricorso (l’entrata in vigore il 14 febbraio 2020 della nuova legge sul potere giudiziario), per la loro rilevanza impongono un nuovo esame della questione ai fini della legittimità della consegna. Verifica che deve necessariamente essere effettuata dalla Corte di appello, non potendo questa Corte, pur competente per l’esame nel merito delle questioni devolute alla Corte di appello, sostituirsi a quest’ultima negli apprezzamenti di fatto di nuovi elementi. Va rammentato in ogni caso che, nel giudizio di rinvio, resta sempre preliminare nell’esame della questione l’assolvimento da parte del ricorrente dell’onere di allegare circostanze specifiche e concrete volte ad evidenziare l’impatto della normativa da ultimo sopraggiunta sul suo procedimento penale in Polonia. 5. Quanto al lamentato utilizzo di conversazioni captate tra il difensore ed il suo assistito, va osservato che la risposta fornita dalla Corte di appello non appare illogica, posto che gli elementi utilizzati dagli inquirenti (in ogni

caso al fine del solo rintraccio dell’indagato) non erano stati plausibilmente ottenuti da colloqui intervenuti tra costoro, quanto piuttosto da sommarie informazioni rilasciate dalla convivente del ricorrente e dal predetto difensore. 6. È infondata infine la questione sollevata con l’ultimo motivo. Non appare infatti necessario richiedere informazioni individualizzate sulle condizioni carcerarie in Polonia, risultando sufficienti (tenuto conto viepiù della durata assai breve della custodia cautelare da eseguire in Polonia) quelle generali emergenti dal rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa del 25 luglio 2018, che ha definito accettabili le condizioni materiali degli istituti di custodia di polizia (le celle risulterebbero di sufficiente ampiezza e adeguatamente equipaggiate) e ha soltanto auspicato un miglioramento di quelle penitenziarie (all’epoca comunque dotate di uno spazio di 3 mq. per ogni detenuto, ovvero in linea con la soglia minima dello spazio individuale intramurario stabilito ai fini dell’art. 3 CEDU dalla Corte Europea per i diritti dell’uomo, cfr. tra tante, Sez. 1, n. 41211 del 26/05/2017, Gobbi, Rv. 271087). 6. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata affinchè sia condotto un nuovo esame delle questioni indicata ai p. 2 e p. 4.5 del considerato in diritto, che terrà conto dei rilievi e dei principi sopra evidenziati. La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia. Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di cui alla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.


Mandato d’arresto europeo per reato di riciclaggio e diritto all’equo processo

MARINA GRAZIA FERRARA

Mandato d’arresto europeo per reato di riciclaggio e diritto all’equo processo. Nota a sentenza Marina Grazia Ferrara

Sommario: 1. Questione in fatto. – 2. Questione in diritto. – 3. Mandato di arresto europeo: decisione quadro 2002/584/GAI, esecuzione in Italia ex L. n. 69/2005, iter legislativo, arresti giurisprudenziali e dottrinali rapporto con la violazione del diritto ad un equo processo.

1. Questione in fatto Per un’attenta disamina della Sentenza in oggetto vale prendere le mosse dagli elementi fattuali sui quali si è soffermata la Suprema Corte di Cassazione per poi procedere allo studio dei punti in diritto che risultino pregnanti. La Corte di Appello di Venezia aveva disposto la consegna alle autorità giudiziarie polacche richiedenti, a mezzo di mandato di arresto europeo, di M. Y. affinchè lo stesso potesse essere processato per i reati di associazione per delinquere in relazione ai reati fiscali e di riciclaggio. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia proponeva ricorso in Cassazione il difensore dell’imputato il quale eccepiva

quale primo motivo di ricorso la violazione di legge ex artt.17 comma 4 e 18 let. t) L. n. 69 del 2005 sostenendo l’assenza, tanto nel provvedimento cautelare quanto nel M.a.e, di idonea motivazione sugli elementi investigativi posti a fondamento del provvedimento. Il difensore invero lamentava una mera elencazione di fonti di prova in luogo di una valutazione da parte della Corte di Appello sui gravi indizi di colpevolezza. A mezzo del secondo motivo di ricorso si eccepiva la violazione di legge ex art. 33 della legge n. 69 del 2005 e art. 26 della decisione quadro 2002/584/GAI essendo, eccepiva il ricorrente, già sofferto nella sua interezza il periodo di custodia cautelare in riferimento al quale era stata chie-

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sta la consegna, nello specifico un mese di custodia cautelare. Peraltro, sulla base delle ragioni esposte nel provvedimento di arresto emesso dalle autorità polacche, risultavano completamente superate le esigenze istruttorie (pericula libertatis), così asseriva il ricorrente. Questi adiva altresì la Corte per violazione di legge ex artt. 3, 4, 6 CEDU, 47 Carta dei Diritti Fondamentali dell’U.E., art. 1, par. 3 della decisione quadro 2002/584/ GAI sostenendo che la Corte non avesse tenuto in nessun conto le riforme incidenti sull’autonomia ed indipendenza della magistratura polacca le quali avrebbero certamente impedito al consegnando di essere sottoposto ad un equo processo stante la assoluta mancanza di terzietà del giudice chiamato a decidere. Sottolineava il ricorrente di aver già sottoposto all’attenzione delle competenti autorità la predetta problematica facendo altresì espresso riferimento all’illegittima utilizzazione delle intercettazioni del difensore del consegnando, senonchè il risultato ottenuto dalla pronuncia della Corte di Appello sarebbe stato solo una “illogica” motivazione, così viene definita, circa l’utilizzo delle sommarie informazioni quali mezzo per stabilire ove si trovasse il ricorrente. Da ultimo, si eccepiva la violazione dell’art. 18, lett. h) L. n. 69 del 2005 unitamente al vizio di motivazione stante le generiche e non individualizzate informazioni sul trattamento carcerario cui sarebbe stato sottoposto il consegnan-

do in Polonia, dando per certo che non sarebbe stato garantito neppure il minimo spazio vitale in violazione delle disposizioni della Corte EDU.

2. Questione in diritto Per ragioni di completezza espositiva giova procedere per ordine alla disamina dei singoli motivi di ricorso sui quali la Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi chiarendo fin da subito che il terzo motivo risulta, per i fini che qui ci occupano, di particolare interesse. La Suprema Corte di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso precisando che il requisito della motivazione del provvedimento cautelare posto alla base del mandato di arresto europeo, come da giurisprudenza pacifica, non può essere parametrato alle motivazioni proprie della tradizione giuridica italiana, che, sottolinea la Corte, richiede “l’esposizione logico- argomentativa del significato e delle implicazioni del materiale probatorio”, essendo invece sufficiente che l’autorità giudiziaria emittente abbia nel caso di specie posto a ragione del provvedimento una puntuale allegazione delle evidenze fattuali a carico del ricorrente. Tuttavia, precisa la Corte, il requisito relativo ai “gravi indizi di colpevolezza” ex art. 17 comma IV, legge n. 69 del 2005, indispensabile per l’esecuzione nel territorio italiano di un mandato di arresto


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europeo, necessita di una verifica circa il compendio indiziario ritenuto dall’autorità giudiziaria emittente seriamente evocativo di un fatto di reato imputabile al consegnando e, nel caso di specie, la Corte di Appello non lo ha spiegato. In sintesi, la Corte si sarebbe limitata all’enunciazione dell’assunto in base al quale, secondo le autorità giudiziarie polacche il ricorrente avrebbe posto in essere i reati allo stesso imputati, in assenza quindi della verifica prevista all’art 17 ut supra. Brevemente, per ragioni di completezza, vale precisare che la Corte ha rigettato il secondo motivo di ricorso sottolineando che, come da giurisprudenza unanime1 , il termine per il calcolo della misura cautelare estera su cui si fonda il M.a.e decorre dal momento in cui il consegnando è posto effettivamente e concretamente a disposizione dell’autorità giudiziaria, ovverosia dello Stato emittente, sicché nel caso di specie, non si ravvisava alcuna violazione del dettato normativo. Parimenti dicasi circa la decisione, correttamente vagliata, afferente l’impossibilità da parte dello Stato di esecuzione di valutare in concreto l’esigenza cautelare posta a fondamento del mandato di arresto2. Merita a questo punto particolare attenzione il rigetto del terzo Ex pluris Cass. Sez. VI n. 10054 del 2013. 2 Cass. sez VI, n. 45525 de 2010, Donnaruma. 1

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motivo di ricorso. Invero, seppure la verifica circa il rispetto del diritto ad un equo processo per il consegnando è svolta correttamente dalla Corte di Appello, così statuisce la Cassazione, la questione risulta oggi di particolare interesse quanto alle problematiche giuridiche che vengono in rilievo. In particolare, la Corte riprende una nota sentenza emessa il 25 luglio 2018 dalla Grande Sezione della Corte U.E nel proc. n. C-216/2018 L.M. per mezzo della quale era stata analizzata la riforma legislativa sull’organizzazione dei giudici in Polonia e conseguentemente l’indipendenza degli stessi. Con l’occasione la Corte aveva chiarito che l’autorità giudiziaria competente ad eseguire il mandato di arresto europeo dovesse verificare in concreto se, per il consegnando vi fosse: “alla luce della situazione personale di tale persona, nonché della natura del reato per cui è perseguita e delle circostanze di fatto poste a base del mandato di arresto europeo, il rischio reale di violazione del diritto fondamentale ad un equo processo” dovendo, “esaminare in quale misura le carenze sistemiche o generalizzate riguardanti l’indipendenza dei giudici dello Stato membro emittente, attestate dagli elementi a sua disposizione, siano idonee ad avere un impatto a livello dei giudici di tale Stato membro competenti a conoscere dei procedimenti cui sarà sottoposto il ricercato”. Peraltro, chiosava la Corte, la valutazione va fatta nel rispetto del c.d. metodo bifasico ovverosia tenendo conto delle

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preoccupazioni dell’interessato, perfino, del mero sospetto di una lesione al proprio diritto all’equo processo a causa del venir meno dell’indipendenza dell’organo giudicante, ma, comunque, sulla base delle informazioni fornite dall’autorità emittente su espressa richiesta della Corte di Appello3. Senoché, la Corte ritiene insufficiente, poiché troppo generico, quanto esposto dal ricorrente circa le proprie preoccupazioni di non vedere garantito il diritto ad un equo processo. Seppure risultino evidenti le carenze proprie del sistema polacco, non viene posto l’accento sul pericolo concreto per il ricorrente e questo impedisce anche la formulazione di una richiesta di informazioni sul rispetto dei principi EDU. Tuttavia, nella sentenza in oggetto la Suprema Corte di Cassazione coglie l’occasione per evidenziare come le riforme intervenute sull’ordinamento giudiziario polacco risultino realmente in contrasto con il diritto dell’U.E con precipuo riferimento alle norme poste a tutela dell’indipendenza dei giudici. Punto nodale è l’ampliamento della nozione di reato disciplinare. A seguito della riforma è aumentato il numero di casi in cui il contenuto delle decisioni giudiziarie comporti la sottoposizione ad un procedimento disciplinare da cui deriva una forte riduzione della libertà, appunto dell’indipendenza

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ed imparzialità dei giudici cui consegue direttamente un controllo politico sulle decisioni giudiziarie. Alla nuova Camera di controllo straordinario e agli affari pubblici della Corte Suprema è attribuita la competenza esclusiva sulle questioni afferenti l’indipendenza giudiziaria rendendo impossibile, per i tribunali polacchi, applicare il diritto dell’U.E oppure chiedere una pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’U.E. pena la diffusione di dati personali in violazione della normativa sulla tutela della privacy. Nel caso concreto poi, la Suprema Corte precisa che, alla luce della riforma e quindi dei rischi e delle violazioni che si rendono manifesti, sarebbe stata necessaria una preliminare decisione del Consiglio dell’U.E. sulla violazione da parte dello Stato membro dei principi ex art. 2 T.U.E., successivamente solo se fosse stata sospesa, in forza di tale decisione, l’attuazione dell’iter per il mandato di arresto europeo, allora si sarebbe potuta vagliare l’ipotesi di un rifiuto della consegna. Invero, non risultando questo il caso, resta fermo il dettato normativo in forza del quale la possibilità di un rifiuto della consegna a seguito di mandato di arresto europeo può essere riconosciuta solo in “circostanze eccezionali in cui l’autorità giudiziaria di esecuzione accerti, in esito ad una valutazione concreta e precisa del caso di specie, che vi siano motivi seri e comprovati per ritenere che la persona oggetto di tale mandato di arresto europeo corra, a segui-


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to della sua consegna all’autorità giudiziaria emittente, un rischio reale di violazione dei diritti fondamentali”. Alla luce di tutto quanto esposto ed in particolare dell’intervenuta modifica legislativa polacca, la Suprema Corte di Cassazione chiarisce come si renda doveroso un nuovo esame sulla legittimità della consegna, ma, essendo la riforma un nuovo elemento in fatto, l’unica autorità competente ad effettuare la valutazione non può che essere la Corte di Appello alla quale il ricorrente, a mezzo di un giudizio di rinvio, avrebbe dovuto palesare il nesso tra l’intervenuta riforma ed il proprio processo allegando circostanze concrete e specifiche. Da ultimo, graniticamente la Corte rigetta l’asserita violazione di legge circa l’utilizzo di intercettazioni del difensore unitamente all’attribuzione di illogicità della motivazione e, parimenti, rigetta l’ultimo motivo di ricorso afferente le condizioni carcerarie con un rinvio al rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa del 25 luglio 2018 che definisce accettabili le condizioni materiali degli istituti di custodia di polizia e comunque, le condizioni nei penitenziari. In particolare lo spazio di 3 mq per ciascun detenuto, condizione certo migliorabile, risulta comunque rispettosa della soglia minima di spazio individuale intramurario come stabilito dall’art. 3 CEDU. La sentenza impugnata è quindi annullata con rinvio per un nuovo esame dei punti ut supra

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evidenziati segnando un punto nodale, sembrerebbe quasi un passaggio storico, stante l’apertura alla possibilità di rifiuto della consegna di un cittadino polacco accusato di associazione per delinquere e di riciclaggio.

3. Il mandato di arresto europeo: decisone quadro 2002/584/ GAI, esecuzione in Italia ex L. n. 69/2005, iter legislativo, arresti giurisprudenziali e dottrinali, rapporto con la violazione del diritto ad un equo processo Il mandato di arresto europeo potrebbe essere considerato il primo concreto strumento per la piena operatività in campo penale del principio di mutuo riconoscimento. È una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà4. Vale soffermarsi brevemente sull’iter legislativo, su alcuni aspetti di particolare rilevanza dell’istituto in questione e sulle più rilevanti pronunce giurisprudenziali. Il mandato di arresto europeo, è stato previsto dalla decisione quadro 2002/584/GAI del Consi Definizione ex art. 1 capo I, decisone quadro sul M.a.e.

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glio del 13 giugno 2002 in deroga al noto principio della doppia incriminazione e a quello del divieto di estradizione contemplato in molte Costituzioni europee. All’art. 5 della citata legge infatti è espressamente disposto che nel caso in cui la persona oggetto del mandato di arresto europeo ai fini dell’azione penale sia cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione, la consegna non potrebbe essere rifiutata, ma semmai solo subordinata ad alcune condizioni su cui ci soffermeremo nel prosieguo della nota. In particolare, il consegnando, dopo essere stato ascoltato, deve essere rinviato nello Stato membro di esecuzione per ivi scontare la pena o la misura di sicurezza pronunciata nello Stato membro emittente. La procedura giudiziaria in questione nasce con l’espressa statuizione di essere scevra da valutazioni di tipo politico, aspetto questo che, come si è detto, rileva anche nella sentenza in esame a seguito delle conseguenze delle riforme sulla legislatura polacche che sembrava potessero minare questo aspetto fondante del Mandato di arresto europeo. Caratteristiche fondamentali sono: a) l’instaurazione di relazioni dirette tra le autorità giudiziarie “di emissione” e quelle “di esecuzione” dell’eurordinanza; b) la previsione di un numerus clausus di motivi di rifiuto, obbligatori o facoltativi; c) la sostanziale scomparsa del controllo sulla doppia incrimina-

zione per un ampio catalogo di fattispecie criminose, individuate dall’art. 2, n. 2, della decisione quadro; d) la rapidità e certezza della fase di esecuzione del mandato di arresto europeo, attraverso la predeterminazione di termini massimi per la decisione sulla consegna e per il successivo trasferimento della persona5. L’Attuazione in Italia è affidata alla legge n. 69 del 2005 pubblicata in G.U. n. 98 del 29 aprile 2005, ed entrata in vigore, dopo il periodo ordinario di vacatio legis, il successivo 14 maggio. Il M.a.e. viene definito come una decisione giudiziaria dello Stato membro di emissione ai fini dell’arresto o della consegna da parte di altro Stato membro dell’Unione Europea c.d. di esecuzione di una persona per l’esercizio di funzioni giudiziarie in materia penale o per l’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà personale6. La legge prevede quindi disposizioni in deroga alle norme del Libro XI del codice di procedura penale in materia di estradizione le quali restano applicabili soltanto in via residuale ed entro i limiti di compatibilità7; invece, nei rapporti con gli Stati non facenti parte

Il mandato di arresto europeo nell’ordinamento italiano, intervento all’Incontro trilaterale tra la Corte costituzionale italiana e i Tribunali costituzionali di Spagna e Portogallo, 16 novembre 2012, Lisbona, p. 4-5. 6 Art 1-2, L. n. 69/2005. 7 Art. 39, co.1, L. 69/2005. 5


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dell’Unione Europea8, l’estradizione rimane pienamente applicabile. È possibile distinguere due forme di M.a.e. ovverosia: 1) Il mandato di arresto europeo “processuale” per l’esecuzione di una misura cautelare, anche se adottata al fine di consentire la partecipazione al processo dell’imputato9,ma non anche per la sola sottoposizione ad atti investigativi quali per esempio interrogatori e confronti10 ; 2) Il mandato di arresto europeo “esecutivo” finalizzato all’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale. A questo punto vale interrogarsi sull’autorità competente ad emettere il M.a.e. Lo stesso può essere emesso: La decisione quadro 2002/584/GAI è infatti sostitutiva ex art. 31 di tutte le convenzioni in materia di estradizione precedentemente concluse fra gli Stati membri, e in particolare, della Convenzione europea di estradizione, del 13 dicembre 1957; dell’Accordo tra gli Stati membri delle Comunità europee sulla semplificazione e la modernizzazione delle modalità di trasmissione delle domande di estradizione, del 26 maggio 1989; della Convenzione relativa alla procedura semplificata di estradizione tra gli Stati membri dell’Unione europea, del 10 marzo 1995; della Convenzione relativa all’estradizione tra gli Stati membri dell’Unione europea, del 27 settembre 1996. 9 In caso di procedura passiva, Cass. sez. F., 28 agosto 2008, n. 34574, C.E.D. Cass. Rv 240715-716. 10 Cass. sez. VI, 17 aprile 2007, n. 15970, C.E.D. Cass. Rv 236378.

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• dal giudice che ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere o degli arresti domiciliari, ovvero del Giudice che procede, se diverso, ove si tratti di M.a.e. cd. processuale11 • dal pubblico ministero presso il giudice indicato nell’articolo 665 del codice di procedura penale che ha emesso l’ordine di esecuzione della pena detentiva di cui all’art. 656 del medesimo codice, sempre che si tratti di pena di durata non inferiore a un anno e che non operi la sospensione dell’esecuzione; • dal pubblico ministero individuato ai sensi dell’articolo 658 del codice di procedura penale, per quanto attiene all’esecuzione di misure di sicurezza personali detentive12. L’emissione del M.a.e. è condizionata all’utilizzo di un apposito modello13, deve essere accom-

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Sul punto si era sviluppato un contrasto giurisprudenziale, che ha indotto la Sez. I della Corte di Cassazione a rimettere il ricorso alle Sezioni Unite ex art. 618 c.p.p. con ordinanza del 2.7.2013. Le Sezioni Unite della Corte, all’esito dell’udienza del 28.11.2013, nel risolvere la questione “se la competenza funzionale ad emettere il mandato d’arresto europeo per l’esecuzione di una misura cautelare spetti al giudice che l’ha applicata, anche se il procedimento penda davanti da un giudice diverso oppure al Giudice che procede”, ha statuito che detta competenza spetti “al giudice che procede”. 12 https://www.associazionemagistrati. it/1518/il-mandato-di-arresto-europeo.htm. 11

Approfondimenti giuridici, Documenti ufficiali, 13 febbraio 2014.

“Si precisa che, a seguito dell’entrata in funzione della banca dati europea di se-

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pagnata dalla diffusione delle ricerche, attraverso i servizi di cooperazione internazionale a ciò preposti. In particolare, quando il luogo della residenza, del domicilio o della dimora non è conosciuto e risulta possibile che la persona si trovi nel territorio di uno Stato membro dell’Unione europea, il giudice e il pubblico ministero “di emissione” dispongono direttamente la segnalazione del ricercato nel S.i.s. ai fini del suo arresto sul territorio di uno Stato dell’area Schengen. In questi casi, l’autorità giudiziaria dovrà comunicare di aver ordinato la segnalazione nel S.i.s. al Ministro della Giustizia, affinché questi provveda all’estensione delle ricerche in campo internazionale, attraverso il canale INTERPOL14. Con riferimento invece alla procedura passiva di consegna conda generazione (SIS II), sono state introdotte alcune novità, e segnatamente: abrogazione del formulario M e contestuale modifica del formulario A (le informazioni supplementari di cui agli artt. 28 e 29 della decisione 2007/533/GAI sono quindi contenute unicamente nel formulario A, redatto dal Paese richiedente generalmente in lingua inglese); • obbligo di inserimento nel SIS II di copia scannerizzata del mandato di arresto europeo; • inserimento dei dati dattiloscopici della persona ricercata: foto ed impronte digitali ove disponibili; • possibilità di inserire in SIS II più Mandati di arresto europeo in relazione alla medesima persona” (ibidem nota 8). 14 Vademecum per l’emissione del mandato d’arresto europeo – Ministero della Giustizia Direzione Generale della Giustizia Penale.

in Italia, essendo espressamente disposto che l’Italia dia esecuzione al mandato di arresto europeo solo qualora il fatto delittuoso sia previsto dalla legge italiana come reato, ci si chiede se non ci si trovi di fronte ad una reintroduzione del principio della doppia incriminazione. In realtà il dubbio è fondato, tuttavia, sono state previste delle deroghe, ovvero un elenco di reati (o categorie di reati) per i quali va esclusa la valutazione sulla doppia incriminazione e che comporta un obbligo di consegna, ma anche altri casi, tra i quali quelli afferenti i reati fiscali per i quali la competente Corte di Appello è tenuta a valutare in concreto i limiti edittali. Procedendo per ordine, le 32 categorie di reati per i quali è prevista la consegna indipendentemente dalla doppia incriminazione sono state elencate all’art. 2 paragrafo 2 della decisione quadro nella quale è espressamente disposto quanto segue: “Danno luogo a consegna in base al mandato d’arresto europeo, alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro e indipendentemente dalla doppia incriminazione per il reato, i reati seguenti, quali definiti dalla legge dello Stato membro emittente, se in detto Stato membro il massimo della pena o della misura di sicurezza privative della libertà per tali reati è pari o superiore a tre anni: - partecipazione a un’organizzazione criminale, terrorismo, tratta di esseri umani, sfruttamento sessuale dei bambini e pornografia infantile, traffico illecito di


Mandato d’arresto europeo per reato di riciclaggio e diritto all’equo processo

stupefacenti e sostanze psicotrope, traffico illecito di armi, munizioni ed esplosivi, corruzione, frode, compresa la frode che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee ai sensi della convenzione del 26 luglio 1995 relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, riciclaggio di proventi di reato, falsificazione di monete, compresa la contraffazione dell’euro, criminalità informatica, criminalità ambientale, compreso il traffico illecito di specie animali protette e il traffico illecito di specie e di essenze vegetali protette, favoreggiamento dell’ingresso e del soggiorno illegali, omicidio volontario, lesioni personali gravi, traffico illecito di organi e tessuti umani, rapimento, sequestro e presa di ostaggi, razzismo e xenofobia, furti organizzati o con l’uso di armi, traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti d’antiquariato e le opere d’arte, truffa, racket e estorsioni, contraffazione e pirateria in materia di prodotti, falsificazione di atti amministrativi e traffico di documenti falsi, falsificazione di mezzi di pagamento, traffico illecito di sostanze ormonali ed altri fattori di crescita, traffico illecito di materie nucleari e radioattive, traffico di veicoli rubati, stupro, incendio volontario, reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale, dirottamento di aereo/nave, sabotaggio”. Nella fattispecie concreta che qui ci occupa, trattasi di associazione per delinquere finalizzata a reati fiscali e riciclaggio, tutte fat-

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tispecie perfettamente rientranti tra quelle previste nell’elencazione, sicché si palesa un ulteriore aspetto per il quale la sentenza suscita interesse e forse scalpore15. La normativa, disciplina espressamente anche il rifiuto di consegna, invero, sono previsti casi in cui il rifiuto sia da ritenersi obbligatorio e casi in cui il rifiuto vada considerato facoltativo. Nel dettaglio, i motivi obbligatori sono: – Mancato rispetto del principio del Ne bis in idem, quindi la persona è stata già giudicata per lo stesso reato; – Minori, ovverosia il soggetto non ha compiuto l’età prevista per la responsabilità penale nel paese d’esecuzione; – amnistia nel Paese d’esecuzione. Tra i motivi facoltativi è possibile annoverare alcuni esempi: mancanza di doppia incriminazione per i reati che non siano compresi tra le 32 fattispecie ut supra indicate, prescrizione, procedure già in corso in altro Stato ecc. Orbene, in riferimento al caso concreto, non potendo esaminare in questa sede ogni singola ipotesi, giova porre l’accento sulla violazione del principio dell’equo processo, punto nodale della pronuncia della Suprema Corte. A titolo esemplificativo vale precisare che la legge italiana Cfr punto n. 2 Questione in diritto – motivi di ricorso. 15

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n. 69 del 2005 all’art. 18 sancisce chiaramente la possibilità di una decisione contraria alla consegna in alcuni casi espressamente indicati tra i quali spicca l’ipotesi in cui il reato posto a fondamento del mandato di arresto europeo sia politico, oppure se dagli atti risulti che la sentenza irrevocabile, oggetto del mandato di arresto europeo, non sia la conseguenza di un processo equo condotto nel rispetto dei diritti minimi dell’accusato previsti dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. La legge di esecuzione dell’ordinamento italiano muove le mosse dalle disposizioni generali previste dalla più volte citata decisione quadro sul mandato di arresto europeo, senonché una parte della dottrina, seppure minoritaria, contesta il mutuo riconoscimento e l’esecuzione del mandato nei casi di violazione dei diritti fondamentali. A questo punto vi è da chiedersi se lo stesso discorso sia applicabile in generale per tutti gli Stati Membri visto che, nel caso di specie, la violazione sarebbe stata posta in essere a seguito della riforma sull’ordinamento polacco. Orbene, da una più attenta analisi si evince che, seppure il rifiuto basato sulla violazione del diritto ad un equo processo davanti ad un giudice imparziale non sia espressamente annoverato tra i casi di rifiuto previsti dalla decisione quadro 2002/584, tuttavia la direttiva sull’ordine europeo di indagine penale prevede la possibilità di rifiutare l’esecuzione qua-

lora sussistano seri motivi per ritenere che l’atto di indagine richiesto sia incompatibile con gli obblighi dello Stato di esecuzione ai sensi dell’articolo 6 Trattato sull’Unione Europea (TUE) e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza)16. Peraltro, seppure non sia ammessa la subordinazione dell’esecuzione del M.a.e. ad un vaglio sull’effettiva tutela dei diritti da parte dello Stato membro che ha emesso il mandato17, tuttavia quest’ultimo nasce come pienamente rispettoso dei diritti fondamentali e della CEDU. La problematica giuridica potrebbe essere quindi spostata dalla previsione o meno nella legge di attuazione degli Stati interessati dalla violazione del diritto all’equo processo di quest’ultimo tra i casi di rifiuto seppure non espressamente indicato nella decisione quadro, alla questione del più generale dovere di rispetto del dettato normativo dell’art. 6 CEDU. Sotto questo profilo si palesa uno scenario differente, forse più facilmente sussumibile tra le fattispecie astratte, probabilmente anche più affine ad altre pronunce già sottoposte al vaglio della Grande Corte e, per quanto attiene all’Italia, della Suprema Corte di Cassazione. 16 Https://www.iusinitinere.it/mae-mandato-darresto-europeo-12360, accesso del 30/05/2020 17 Corte di giustizia UE, sentenza del 26 febbraio 2013, Grande Sezione, Melloni, causa C-399/11, ECLI:EU:C:2013:107.


Mandato d’arresto europeo per reato di riciclaggio e diritto all’equo processo

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Invero, già nel 2017 la Commissione aveva adottato una proposta motivata chiedendo al Consiglio europeo di determinare le violazioni dello Stato di Diritto nel rispetto del combinato disposto degli artt. 2 e 7 TUE18 e non mancano arresti giurisprudenziali rispettosi di questo orientamento19. In conclusione, la pronuncia oggetto della presente disamina potrebbe essere considerata come una conferma dell’adesione al rispetto del più generale diritto ad un equo processo anche nella forma del diritto ad un giudice imparziale e, soprattutto, anche qualora il rischio della violazione di un principio fondamentale, sempre da valutare caso per caso, possa comportare un rifiuto di consegna nonostante l’emissione del M.a.e. 605 L’articolo 7 TUE dispone che “su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2 (…) Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2”. L’art. 2 TUE dispone che “l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”. 19 Causa C‑216/18 PPU – Grande sezione. 18



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Misure di prevenzione e pericolosità generica. Orientamenti giurisprudenziali tra corte costituzionale e Corte EDU Francesca Ricci

Sommario: 1. La giurisprudenza costituzionale sulle misure di prevenzione. Prime pronunce. – 2. La Sentenza De Tommaso della Corte EDU. – 3. Le sentenze n. 24 e 25 del 2019 della Corte Costituzionale. – 4. Le nuove esigenze di garanzia. – 4.1. Le misure di prevenzione personali quale presupposto applicativo di quelle patrimoniali. – 4.2. L’ambito di rilevanza specifico delle misure di prevenzione patrimoniali. – 5. Il giudizio di pericolosità e il procedimento di prevenzione.

1. La giurisprudenza costituzionale sulle misure di prevenzione. Prime pronunce Il dialogo costante fra i giudici della Corte costituzionale e i giudici della Corte Europea è testimonianza della intrinseca difficoltà di ricondurre a sistema le misure di prevenzione, nella cornice dell’ordinamento giuridico. A partire dalla sentenza n. 2 del 1956 la Corte Costituzionale1 ha riconosciuto la legittimità costituzionale in via di principio di un sistema di prevenzione dei fatti illeciti, a garanzia dell’ordinato e Corte Cost. sent. n. 2/1956, depositata in cancelleria il 23 giugno 1956, in www. giurcost.org.

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pacifico svolgimento dei rapporti tra i cittadini, sempre che sia rispettato il principio di legalità e assicurata la garanzia giurisdizionale (almeno in via mediata, nel caso delle misure limitative della sola libertà di circolazione applicate dall’autorità amministrativa). La limitazione di determinati diritti riconosciuti dalla Costituzione deriva dal «principio di prevenzione e di sicurezza sociale, per il quale l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti fra i cittadini deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive contro il pericolo del loro


GIURISPRUDENZA

verificarsi nell’avvenire»2. La Con-

sulta parla anche di «ordinato vivere civile, che è indubbiamente la

Cfr. F. Menditto, Misure di prevenzione (personali e patrimoniali) e Costituzione. L’interpretazione costituzionalmente orientata, in Presente e futuro delle misure di prevenzione (personali e patrimoniali): da misure di polizia a prevenzione della criminalità da profitto, in «Diritto Penale Contemporaneo», 23 maggio 2016, p. 11. Fin dall’entrata in vigore delle misure di prevenzione sono stati sollevati numerosi dubbi sulla compatibilità delle misure di prevenzione personali, prima, reali dopo, con i principi fissati dalla Carta valorizzando anche la mancanza di riferimenti a tale istituto sia nel testo, sia nei lavori preparatori. 2

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La dottrina in relazione alla violazione del principio di legalità si è divisa tra quanti ne valorizzano la compatibilità con la Costituzione e quanti, invece, ne suggeriscono la totale incompatibilità. La grande diffidenza per parte della dottrina in materia si è articolata partendo proprio dalla violazione della riserva di legge, quale corollario del principio di legalità, non trovando tali misure espressa menzione nella Carta. Sul punto Cfr. F. Mazzacuva, Le pene nascoste. Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico, Giapicchelli, Torino, 2017, p. 207. Infatti, da un punto di vista strettamente tecnico, il precetto della norma penale emergenziale possiede un carattere specifico, rappresentato dal difetto di tassatività e determinatezza, si rimanda a P. Troncone, La legislazione penale dell’emergenza in Italia. Tecniche normative di incriminazione e politica giudiziaria, dallo stato liberale allo stato democratico di diritto, Jovene, 2001, 180. Sul punto anche S. Moccia, La perenne emergenza, Edizioni Scientifiche Italiane,1997, 27. Appare maggioritaria comunque la prima corrente che riscontra tra i compiti dello Stato quello di prevenire, piuttosto che punire, comportamenti criminosi. Anche per ciò che attiene alla violazione

meta di uno Stato di diritto, libero e democratico». del principio di colpevolezza la dottrina sembra essere divisa: da un lato chi ritiene che non possono esservi dubbi sulla doverosità costituzionale di tali misure, dall’altro chi afferma l’incostituzionalità delle misure di prevenzione, in relazione all’art. 13 Cost. producendo il c.d. «vuoto dei fini». Vedi L. Elia, Libertà personale e misure di prevenzione, Giuffrè, 1962, 32 e ss. Su questa tesi la critica è diretta anche al mancato rispetto dell’art. 27.2 Cost., poiché la presunzione di non colpevolezza mirerebbe a bandire la possibilità che un giudizio di demerito sociale possa basarsi sul mero sospetto. Cfr. A. Mangione, Le misura di prevenzione patrimoniale fra dogmatica e politica criminale, Cedam, 2001, 29-30. Autorevole dottrina ha sostenuto che l’incompatibilità con il principio di legalità, tassatività e colpevolezza potrebbe risolversi con una determinazione più restrittiva delle fattispecie, salvando le ragioni di politica criminale che hanno ispirato la legge 1423/1956, attraverso l’individuazione di situazioni soggettive che racchiudono in sé non tanto un pericolo generico, quanto il pericolo specifico della commissione di reati. Cfr. P. Nuvolone, Legalità e prevenzione, in Giur. Cost., 1964, 197. Si rinvia anche, per un’analisi complessiva, a D. Pulitanò, Relazione di sintesi misure di prevenzione e problema della prevenzione, speciale “delle pene senza delitto”. Estratto da: “Le misure di prevenzione nel sistema contemporaneo: dal bisogno di controllo all’imputazione del sospetto atti del v convegno nazionale dell’associazione italiana dei professori di diritto penale (Milano, 18/19 novembre 2016)”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, 637 ss.


Misure di prevenzione e pericolosità generica

Con la sentenza n. 27 del 1959 la Corte Costituzionale3, in relazione alla questione di legittimità dell’art. 5 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, attinente alle misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità4, confermava la sua posizione circa la compatibilità delle misure di prevenzione con la Carta costituzionale, dichiarando non fondata la questione. La Consulta si è espressa in questi termini: «le due prescrizioni dell’art. 5 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, che sono oggetto della impugnazione e in forza delle quali è fatto divieto al sorvegliato speciale di associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza e di partecipare a pubbliche riunioni, trovano il loro fondamento nelle finalità generali della intera legge. Non vi è dubbio che questa apporti limitazioni notevoli a taluni diritti riconosciuti dalla Costituzione, ma tali limitazioni sono informate al principio di prevenzione e di sicurezza sociale, per il quale l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti fra i cittadini deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive conCorte Cost. sent. n. 27/1959, depositata in cancelleria il 5 maggio 1959, in www.giurcost.org. 4 Trib. Lucca, ordinanza di rimessione del 1° marzo 1958. 3

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tro il pericolo del loro verificarsi nell’avvenire»5. Con l’introduzione delle misure di prevenzione reali, grazie alla Legge Rognoni – La Torre n. 646/1982, il vaglio della Corte Costituzionale nell’interpretazione delle misure di prevenzione si è maggiormente concentrato sulle misure aventi carattere patrimoniale, quali sequestro e confisca, dapprima disposte congiuntamente alle misure di prevenzione personale, come accessorie, e solo a partire dal d.l. n. 92 del 2008, convertito nella L. n. 125 del 2008, irrogate disgiuntamente e in autonomia, nel rispetto peraltro del principio di correlazione temporale6. Il principio secondo cui l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti sociali deve essere garantito, oltre che dal sistema repressivo dei fatti illeciti, anche da un sistema di misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi in avvenire: sistema che corrisponde ad un’esigenza fondamentale di ogni ordinamento, accolta e riconosciuta negli art. 13,16 e 17 della Costituzione viene richiamato anche dalla sentenza n. 23 del 1964. La giurisprudenza si è spinta quindi ad affermare non l’inapplicabilità dell’art. 27.2 Cost. al processo di prevenzione, quanto piuttosto l’insussistenza di qualsiasi violazione di tale presunzione. Anche se tale interpretazione viene ritenuta da parte della dottrina improntata ad un eccessivo formalismo, e mancante di considerare che le misure di prevenzione abbiano natura di sanzioni improprie. Cfr. sul punto F. Bricola, Forme di tutela «ante delictum» e profili costituzionali della prevenzione, in Id., Politica criminale e scienza del diritto penale, Il Mulino, 1997. 6 Il principio di applicazione disgiunta, a seguito della l. 94/2009 ha consentito anche la possibilità di disporre il sequestro 5

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Successivamente, negli anni 2000, la Consulta ha proseguito nel vaglio delle misure di prevenzione, ora con particolare attenzione al rispetto del principio di determinatezza e tassatività7. In particolare, con la sentenza n. 282/2010, la Corte si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, secondo comma, della legge 27 dicembre 1956 n. 1423, come sostituito dall’art. 14 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 1448. Secondo il giudice rimettente la norma si poneva in contrasto sia con l’art. 25, 2° comma, che con l’art. 3 della Costituzione, facendo emergere due profili autonomi e distinti di illegittimità costituzionale. Ad avviso del giudice a quo, in relazione al contrasto con l’art. 25, secondo comma, Cost., l’art. 9 cit., nella parte in cui punisce l’inosservanza della prescrizione prevista nell’art. 5, terzo

e la confisca in tutte le ipotesi in cui non possa essere irrogata la misura personale per mancanza di attualità della pericolosità ovvero sia cessata l’esecuzione determinando “il passaggio da un approccio incentrato sulla pericolosità del soggetto a uno fondato sull’acquisizione illecita del bene da parte di persona che è o è stata pericolosa”, Cfr. F. Fiorentin, Misure di prevenzione personali e patrimoniali in Osservatorio della giustizia penale, Giappichelli, 743 e ss. e Cass. pen. Sez. Un. n. 4880/2015. Si nega la natura afflittiva e punitiva della confisca di prevenzione, ma l’ablazione del bene si giustifica per neutralizzare l’arricchimento ingiusto e ripristinare lo stato quo ante. 7 Si vedano le pronunce della Corte Costituzionale: sent. n. 321/2004; 291/2013 in www.giurcost.org. 8 Ordinanza di rimessione del Tribunale di Trani, sezione distaccata di Andria.

comma, della legge n. 1423 del 1956, cioè di “vivere onestamente, di rispettare le leggi e non dare ragione di sospetti”, avrebbe violato il principio di determinatezza/tassatività, inteso «quale corollario e completamento logico dei principi della riserva di legge e della irretroattività» sanciti dall’art. 25 Cost. Il principio di determinatezza e la conseguente tassatività presuppongono, infatti, la tipizzazione determinata della fattispecie di reato, affinché la condotta sanzionata penalmente possa essere sempre individuata, o, comunque, individuabile con sicurezza. L’obbligo di vivere onestamente, rispettare le leggi e non dare ragione di sospetti sarebbe stato viceversa di carattere troppo generico, concernente tutta la collettività, non riferibile specificamente ad un soggetto. Proprio per questa sua portata generale, l’obbligo indicato non avrebbe potuto individuare una prescrizione a contenuto precettivo, tipico e specifico, della misura della sorveglianza speciale, onde non sarebbe stato possibile riconoscere con precisione la condotta idonea ad integrare il reato di violazione della sorveglianza speciale, dato il carattere vago ed indeterminato degli elementi utilizzati per la tipizzazione della fattispecie. Inoltre, sotto altro profilo, il giudice rimettente riteneva la norma censurata in contrasto con l’art. 3 Cost. per violazione del principio di eguaglianza. La Consulta osservava per contro che, per costante giuri-


Misure di prevenzione e pericolosità generica

sprudenza della stessa Corte, per verificare il rispetto del principio di tassatività e di determinatezza della fattispecie penale occorreva non già valutare isolatamente il singolo elemento descrittivo dell’illecito, bensì collegarlo con gli altri elementi costitutivi del fatto e con la disciplina più ampia in cui esso s’inserisce. Sicché, la prescrizione in esame, se collocata nel contesto di tutte le altre prescrizioni previste dal menzionato art. 5, e tenuto conto che essa è elemento di un reato proprio, assumeva un contenuto più preciso, risolvendosi nel dovere imposto a un determinato soggetto di adeguare la propria condotta ad un sistema di vita conforme al complesso delle suddette prescrizioni, tramite le quali il dettato di «vivere onestamente» si concreta e si individualizza9. A seguito dell’entrata in vigore anche delle misure di prevenzione patrimoniali la dottrina non ha taciuto ulteriori dubbi di compatibilità con il sistema costituzionale Così si esprime la Corte Costituzionale sent. n. 282/2010 www.giurcost.org.

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Più agevole potrebbe essere riscontrare la compatibilità delle misure di prevenzione patrimoniali con i principi costituzionali sanciti dagli artt. 41 e 42 Cost., diritto di iniziativa economia e di proprietà privata, di cui è consentito un sacrificio giustificato dall’utilità generale delle esigenze di sicurezza, ovvero dalla funzione sociale. È evidente che quando la proprietà rappresenti il frutto di attività criminose questa è orientata a scopi antisociali, rendendone legittimo il sacrificio. Cass., sez. I, 10 marzo 1993, Carnana, in Riv. Pen., 1994, 441.

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per l’eccessiva vaghezza che connota tali misure. La compatibilità con la Costituzione potrebbe fissarsi in punto di equilibrio tra la presunzione di innocenza fino a prova contraria e il dovere di uno Stato di diritto di assicurare la tutela del pacifico svolgimento delle relazioni di vita, della sicurezza territoriale e del contesto sociale, di proteggere i diritti inviolabili dell’uomo, quale suo fondamento basilare. Si può concludere che, a fianco ad una “legalità repressiva” di natura penale si accosta una “legalità preventiva”, che necessita però di una modificazione legislativa circa le categorie dei soggetti considerati socialmente pericolosi, queste, infatti, sono “senza confini e si rischia pertanto che nella rete (a strascico) gettata per pescare il colpevole finisca anche l’innocente”10. La posizione del Giudice delle leggi si è attestata, quindi, su un giudizio di “minimizzazione dei costi”, ipotizzando piuttosto un approccio basato sulla reale utilità delle misure. Per i giudici costituzionali, “nella configurazione di tutte le misure limitanti la libertà personale, e dunque anche delle misure di prevenzione, l’esercizio dei diritti costituzionali non può essere sacrificato oltre la soglia minima resa necessaria dalle misure medesime, cioè dalle esigenze in vista delle quali essa sia legit Cit. A. De Lia, La sconfinata giovinezza delle misure di prevenzione, in Archivio Penale, 2017, n. 1, 14.

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timamente prevista e disposta”11. A seguito di questa pronuncia l’obiettivo che la Corte intendeva perseguire era così la formazione progressiva di un parametro valutativo di ragionevolezza e proporzione rispetto al singolo caso concreto, con le relative valutazioni di pertinenza mezzi/fini che esso implica. Dalle considerazioni finora svolte appare evidente che l’iniziale orientamento della giurisprudenza costituzionale fosse diretto al prudente riconoscimento della compatibilità delle misure di prevenzione con i principi della Costituzione, nella consapevolezza della diversità dell’ambito e della disciplina in cui trovano applicazione le misure di prevenzione rispetto al diritto e al processo penale strettamente intesi. Tale interpretazione è però mutata a seguito dell’importantissima pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso De Tommaso v. Italia, del 23 febbraio 2017. Il riconoscimento di una parziale incompatibilità delle misure di prevenzione con la Convezione EDU ha avuto immediate ripercussioni nelle pronunce successive della Consulta e della Corte di Cassazione. La sentenza De Tommaso rappresenta, infatti, uno spartiacque in materia di misure di prevenzione, tracciando un prima e un dopo con riflessi assai significativi nella giurisprudenza interna.

Corte Cost., sent. n. 309 del 2003, in www.giurcost.org.

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2. La sentenza De Tommaso della Corte EDU In passato, anche prima della sentenza De Tommaso, la Corte EDU si è trovata a doversi pronunciare sul tema delle misure di prevenzione personali, nella totale assenza di termini di paragone con altri ordinamenti penali europei, rappresentando le misure di prevenzione un unicum italiano. La giurisprudenza più risalente12 della CEDU ha riconosciuto vari profili di compatibilità tra le misure di prevenzione e i principi della Convenzione e, solo nel 2017, la Corte, in merito alle misure di prevenzione personali, ha evidenziato la non conformità convenzionale in relazione a plurimi aspetti. La Sentenza De Tommaso della Corte EDU13 rappresenta ancora

Possono essere citate ad esempio la sentenza Corte EDU 22 febbraio 1994, caso Raimondo c. Italia. Ancora la sentenza Corte Edu 15 giugno 1999, nel caso Prisco c. Italia in cui si afferma: «Il fenomeno della criminalità organizzata ha assunto in Italia proporzioni preoccupanti. Le associazioni di tipo mafioso si sono espanse al punto che, in determinate zone del territorio, il controllo dello Stato si trova grandemente in difficoltà. I profitti smisurati che le associazioni traggono dai loro traffici illeciti conferiscono loro un potere le cui dimensioni mettono in crisi la supremazia del diritto dello Stato. In tal senso le misure adottate per contrastare questo potere economico, in particolar modo la confisca, sono apparse indispensabili per contrastare efficacemente tali associazioni criminose». 13 Corte EDU, De Tommaso v. Italy, Strasburgo 23 febbraio 2017. Tra i numerosi commenti: F. Viganò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali; 12


Misure di prevenzione e pericolosità generica

oggi un monito per l’ordinamento Italiano, avendo riacceso l’intenso e quanto mai attuale dibattito tecnico-giuridico sulla compatibilità con i principi costituzionali e sovranazionali delle misure di prevenzione con speciale riguardo ai casi di c.d. “pericolosità generica”, ovverosia quella pericolosità fondata sul giudizio probabilistico che il soggetto possa concretamente compiere in futuro azioni delittuose. La legge n. 1423/1956, che rappresenta la base legale delle misure preventive imposte, rispondeva ai diversi requisiti previsti dall’art. 2 del protocollo n. 4 CEDU ad eccezione della prevedibilità perché la legge offriva al giudice un ampio potere discrezionale senza fornire una chiara indicazione della portata e modalità di esercizio di tale discrezionalità. L’imposizione di misure di prevenzione non era stata sufficientemente dettagliata e non era stata accompagnata da adeguate misure contro possibili abusi. Essendo stata formulata in termini vaghi e troppo ampi, la legge non ha soddisfatto i requisiti di specificità stabiliti dalla giurisprudenza della Corte14. Dunque, i giudici della Grande CameA.M. Maugeri, Misure di prevenzione e fattispecie di pericolosità generica: la Corte Europea condanna l’Italia per mancanza di qualità della “legge”, ma una rondine non fa primavera. 14 Cit. F. Menditto, La sentenza De Tommaso c. Italia: verso la piena modernizzazione e la compatibilità convenzionale del sistema della prevenzione, in Diritto Penale Contemporaneo, 26 aprile 2017.

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ra, hanno accertato l’insufficiente adeguatezza della legislazione italiana in materia che, concedendo ampi margini discrezionali al giudice interno, non garantisce al cittadino un’idonea protezione contro indebite ingerenze dell’autorità giudiziaria, privandolo in tal guisa della possibilità di regolare a priori i suoi comportamenti e di consentirgli di orientarsi nel prevedere le conseguenze che possono derivare da una determinata condotta. La contrarietà alla Convenzione è rintracciata nei termini “vivere onestamente e rispettare le leggi” per la loro obiettiva ed estrema vaghezza, nonché per l’ampia libertà decisoria riservata al giudice nazionale. L’assenza dei requisiti di chiarezza, precisione e completezza percettiva precluderebbe al cittadino di comprendere quali condotte dovrebbe tenere e quali dovrebbe evitare per non incorrere nella misura di prevenzione. Poco dopo, alla luce delle risultanze della sentenza De Tommaso, in Italia ad esprimersi sul punto è stata anche la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, sul c.d. caso Paternò. Si legge in sentenza che le prescrizioni del “vivere onestamente e rispettare le leggi” “non impongono comportamenti specifici, ma contengono un mero ammonimento ‘morale‘, la cui genericità e indeterminatezza dimostra l’assoluta inidoneità ad integrare il nucleo di una norma penale incriminatrice. Ed ancora, le norme penali sono norme precettive, in quanto funzionali ad influire sul comportamento dei destinatari,

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ma tale carattere difetta alle prescrizioni di “vivere onestamente e rispettare le leggi”, perché, il loro contenuto, amplissimo e indefinito, non è in grado di orientare il comportamento sociale richiesto. L’indeterminatezza delle due prescrizioni in esame è tale che impedisce la stessa conoscibilità del precetto in primo luogo da parte del destinatario e poi da parte del giudice”. Nello specifico, per ciò che concerne l’obbligo di rispettare le leggi esso “si propone in termini talmente vaghi da presentare un deficit di determinatezza e di precisione che lo rende privo di contenuto precettivo. Si tratta di una prescrizione generale, che non indica alcun comportamento specifico da osservare nella misura in cui opera un riferimento indistinto a tutte le leggi dello Stato: la formula legale che deriva dal richiamo contenuto nell’art. 75, comma 2, d.lgs. 159 del 2011 alla prescrizione di rispettare le leggi non ha la struttura né la funzione di un’autentica fattispecie incriminatrice, dal momento che, da un lato, non consente di individuare la condotta o le condotte dal cui accertamento, nel caso concreto, derivi una responsabilità penale e, dall’altro, attribuisce uno spazio di incontrollabile discrezionalità al giudice”15.

Cass. Sez. Un. Pen., sent. 27 aprile 2017 (dep. 5 settembre 2017), n. 40076, Rv. 270496, in www.italgiure.giustizia.it, le quali, a seguito della pronuncia europea, “sono chiamate ad una rilettura del diritto interno che sia aderente alla CEDU (…)”, con la conseguenza che “solo una lettura

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Una vera e propria “vexata quaestio” e pur se la Corte europea con la sentenza in esame si è occupata solo delle misure di prevenzione personali, e specificamente di quelle relative alla cd. pericolosità semplice, non può ignorarsi che queste misure siano il presupposto di quelle patrimoniali, pur dopo l’introduzione del principio di applicazione disgiunta. Infatti, con la legge di conversione n. 125/2008 si è cercato di superare alcuni dubbi interpretativi circa l’applicazione delle misure patrimoniali disgiunta da quelle personali, rimuovendo i limiti derivanti dal previgente principio di accessorietà e stabilendo la regola della reciproca autonomia applicativa16. Tuttavia, i requisiti per l’irrogazione di una misura a carattere patrimoniale, contenuti nell’art. 16 del codice antimafia, presentano un esplicito rinvio all’art. 4 e dunque all’art. 1 della stessa norma, presupposti quest’ultimi che si riferiscono all’applicazione di misure a carattere personale. Pertanto, la pericolosità generica e comune permangono quale indice tanto per le misure personali che per quelle patrimoniali.

“tassativizzante” e tipizzante della fattispecie può rendere coerenza costituzionale e convenzionale alla norma incriminatrice di cui all’art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, il che inevitabilmente comporta il superamento di una giurisprudenza di legittimità che, fino ad oggi, non mostra di essersi confrontata adeguatamente con tali problematiche”. 16 Cfr. G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Zanichelli, ed. 6a, 2010, 873.


Misure di prevenzione e pericolosità generica

3. Le sentenze n. 24 e 25 del 2019 della Corte Costituzionale Come si accennava poco sopra, dopo una lunga serie di pronunce che legittimavano le misure di prevenzione, sottolineando il rispetto della Costituzione e la compatibilità con la stessa, alla luce del caso De Tommaso, la Corte è stata nuovamente sollecitata a tornare sull’argomento, pronunciando questa volta due sentenze di incostituzionalità. Il nodo cruciale della questione è il concetto di pericolosità generica, da distinguere dagli altri presupposti soggettivi applicativi delle misure di prevenzione. Questa fa riferimento all’art. 1 del Codice delle leggi Antimafia (d.lgs. n. 159/2011), all’art. 4 lettera c) e per connessione logica all’art. 16 lettera a) che disciplina le misure patrimoniali, riprendendo come presupposti soggettivi in esame quelli relativi alle misure personali. La pericolosità in questo caso, ancorata ad un retaggio funzionale delle misure stesse, appare rappresentativa più di una condotta di vita del soggetto proposto che di una pericolosità fattiva ed attuale per ciò che concerne le misure personali, con il rischio di far apparire tali misure come lo specchio del diritto penale d’autore o come vere e proprie pene del sospetto. Il giudizio della Corte Costituzione si è poi esteso anche all’art. 75 della medesima normativa dichiarando troppo vaghe le prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”.

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In particolare, le questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate dalla Corte d’Appello di Napoli, dal Tribunale ordinario di Udine e dal Tribunale ordinario di Padova. L’ambito di applicazione riguarda la sorveglianza speciale e la confisca nei confronti di persona inquadrata tra i soggetti di cui all’art. 1 lettere a) e b) del d.lgs. n. 159/2011; il contrasto degli art. 6, 8, 16, 20 e 24 del d.lgs. n. 159/2011 con l’art. 117 Cost., in relazione all’art. 2 del Prot. n. 4 CEDU e all’art. 1 Prot. addiz. CEDU; I tre ricorsi sono stati riuniti per argomenti in larga misura sovrapponibili. La decisione della Corte Costituzionale del 27 febbraio 2019, in tema di misure di prevenzione e pericolosità generica, rappresenta l’ultimo tassello del processo di adeguamento ai principi espressi dalla Corte di Strasburgo nella sentenza “De Tommaso”17. La Corte dei diritti dell’uomo, infatti, aveva già riscontrato, come sovra delineato, la vaghezza e la genericità delle prescrizioni di “vivere onestamente e “rispettare le leggi” ed aveva perciò affermato la violazione della Convenzione europea. In precedenza, anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza “Paternò’” avevano riconosciuto che queste prescrizioni erano prive di quel contenuto determinato e specifico che sarebbe stato necessario per dare loro un valore precettivo. Corte Cost., sentenze gemelle n. 24 e 25 del 2019, Presidente Lattanzi, Redattori Viganò e Amoroso, in www.giurcost.org.

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In primo luogo, viene ad essere valutato l’art. 1 lettera a). La Consulta ritiene che l’espressione “traffici delittuosi” non sia in grado di indicare con sufficiente precisione quali comportamenti criminosi possano dar luogo all’applicazione della sorveglianza speciale o della confisca dei beni. Convivono tutt’oggi due contrapposti indirizzi interpretativi, che definiscono in modo differente il concetto di “traffici delittuosi”. Da un lato, ad esempio, parte della giurisprudenza, fa riferimento a «qualsiasi attività delittuosa che comporti illeciti arricchimenti, anche senza ricorso a mezzi negoziali o fraudolenti»18, ricomprendendovi anche attività «che si caratterizzano per la spoliazione, l’approfittamento o l’alterazione di un meccanismo negoziale o dei rapporti economici, sociali o civili»19. Altra parte fa riferimento a tutte quelle condotte negoziali latu sensu illecite, ricomprendendovi il commercio illecito dei beni tanto materiali che immateriali o anche concernente esseri viventi. Ulteriormente, nel senso comune della lingua italiana trafficare può assumere il significato di commerciare, poi anche darsi da fare, affaccendarsi, occuparsi in una serie di operazioni, di lavori, in modo affannoso, disordinato, talvolta inutile, e infine, in ambito marinaresco, maneggiare, ma non può Corte di Cassazione, sentenza n. 19995 del 2013 in www.italgiure.giustizia.it. 19 Corte di Cassazione, sentenza n. 11846 del 2018 in www.italgiure.giustizia.it. 18

fondatamente estendersi al significato di delinquere con finalità di arricchimento20. Ne consegue, così, la violazione del principio di legalità, che esige che ogni misura restrittiva della libertà personale o della proprietà dell’individuo si fondi su di una legge che ne determini con precisione i presupposti di applicazione. Con riguardo all’art. 1 lettera b) gli elementi di fatto non possono coincidere solo con meri indizi. Deve per questo sussistere una pregressa pronuncia in sede penale che accerti la pericolosità in concreto del proposto. La Corte, quindi, dichiara l’illegittimità costituzionale nella parte in cui tale norma consente l’applicazione della sorveglianza speciale, con o senza obbligo di soggiorno. Questo trova specifico riflesso nell’art. 4, 1 comma lettera c), essendo l’art. 1 anche presupposto applicativo soggettivo per le misure di natura patrimoniale. Dichiara poi l’illegittimità costituzionale dell’art. 16 d.lgs. 159/2011, nella parte in cui stabilisce che le misure di prevenzione del sequestro e della confisca, disciplinate dagli artt. 20 e 24, si applichino anche ai soggetti indicati dall’art. 1, comma 1 lettera a). Il giudizio 20 Corte di Cassazione, sentenza n. 31209/2015, rv. 264320; Sez. 1, 51469/2017, Bosco; Sez. 6 53003/2017, D’Alessandro. Così Cfr. S. Finocchiaro, Due pronunce della Corte Costituzionale in tema di principio di legalità e misure di prevenzione a seguito della sentenza De Tommaso della Corte Edu, in Diritto Penale Contemporaneo, 4 marzo 2019.


Misure di prevenzione e pericolosità generica

deve, infatti, fondarsi su elementi di fatto, in ossequio al rispetto del ripudio del mero sospetto, come presupposto dell’applicazione delle misure in esame. Di conseguenza l’obiettivo è evitare che anche la confisca si trasformi in una vera e propria pena, comminata fuori dal procedimento giurisdizionale ordinario. La Corte ha perciò ritenuto che questa legge non contenesse disposizioni sufficientemente dettagliate su i comportamenti che potrebbero costituire un pericolo per i consociati. Afferma l’assenza di precisione, determinatezza e prevedibilità della idonea e conforme condotta che deve essere tenuta. Di conseguenza un’amplissima discrezionalità conferita ai Tribunali interni, non idonea a proteggere i soggetti dall’ingerenza arbitraria. Il giudizio di legittimità costituzionale porta, anche, all’abolizione quasi integrale dell’art. 75 d.lgs. n. 159/2011. “Vivere onestamente e rispettare le leggi” sono state considerate condotte eccessivamente generiche e carenti di puntualità. Anche in questo caso il parametro nazionale evocato è il principio di legalità penale, da cui discende il principio di tassatività e determinatezza in materia penale. La Corte ha ricordato che per verificare il rispetto del principio di tassatività o di determinatezza della norma penale occorre non già valutare isolatamente il singolo elemento descrittivo dell’illecito, bensì collegarlo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa s’inserisce. E, in particolare, ha ribadito che «l’in-

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clusione nella formula descrittiva dell’illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti elastici, non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato. La descrizione deve consentire di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile e, correlativamente, permetta al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo» (ex plurimis, sentenze n. 327 del 2008, n. 5 del 2004, n. 34 del 1995 e n. 122 del 1993). “Alle prescrizioni del vivere onestamente e del rispettare le leggi può essere data, però, indiretta rilevanza ai fini dell’eventuale aggravamento della misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Quindi, la giurisprudenza di legittimità ha già compiuto il processo di adeguamento e maggiore conformità ai principi della CEDU.” “L’obbligo ‘di vivere onestamente’ e ‘di rispettare le leggi’ ha, da una parte, l’effetto abnorme di sanzionare come reato qualsivoglia violazione amministrativa e, dall’altra parte, comporta, ove

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la violazione dell’obbligo costituisca di per sé reato, di aggravare indistintamente la pena, laddove l’art. 71 cod. antimafia già prevede come aggravante, per una serie di delitti, la circostanza che il fatto sia stato commesso da persona sottoposta, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale durante il periodo previsto di applicazione della misura. Può, pertanto, pervenirsi alla conclusione che la norma censurata viola il canone di prevedibilità della condotta sanzionata con la limitazione della libertà personale, quale contenuto in generale nell’art. 7 CEDU e in particolare nell’art. 2 del Protocollo n. 4, e rilevante come parametro interposto ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost.”21. La Corte, invece, ha ritenuto sufficientemente precise, e dunque conformi al principio di legalità, le disposizioni che consentono di applicare le stesse misure a chi vive abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose. Secondo la giurisprudenza più recente, infatti, le misure in questione possono essere applicate solo a chi, sulla base di precisi elementi di fatto, si può ritenere che abbia commesso, in un significativo arco temporale, delitti fonte di profitti, che abbiano costituito il suo unico reddito, o quanto meno una componente significativa del Estratto dalla Sentenza della Corte Costituzionale n. 25/2019, Presidente Lattanzi, Redattore Amoroso. 21

reddito. Per le misure di prevenzione patrimoniali deve, altresì, essere considerata la congruenza tra il valore dei beni che si intendono confiscare e l’attività criminosa svolta. Tutti questi elementi devono, dunque, essere dimostrati dal pubblico ministero o dall’autorità di polizia nel procedimento di prevenzione affinché il Tribunale possa applicare la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza o la confisca dei beni presumibilmente acquistati grazie alle attività delittuose e dei quali il soggetto non possa giustificare l’origine lecita. Il ragionamento dei giudici della Consulta muove, dunque, dalla necessità di riscontrare elementi che facciano ritenere pregresse attività criminose da parte del soggetto. La finalità delle misure di prevenzione personali è quella preventiva piuttosto che punitiva, mirando a limitare la libertà di movimento del loro destinatario per impedirgli di commettere ulteriori reati, o quantomeno per rendergli più difficoltosa la loro realizzazione. L’indubbia dimensione afflittiva delle stesse misure, sottolinea la Corte, non è che una conseguenza collaterale di misure il cui scopo essenziale è il controllo, per il futuro, della pericolosità sociale del soggetto interessato, e non la punizione per ciò che egli abbia compiuto in passato. Nulla viene invece detto sulla pericolosità qualificata, altro presupposto soggettivo identificativo delle misure, che fa riferimento a soggetti determinati secondo la restante parte dell’art. 4 del d.lgs. 159/2011. Qui sono collocati gli in-


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diziati di appartenenza alle associazioni di cui all’art. 416-bis c.p., ovvero di commissione dei 21 delitti previsti dall’art. 51, comma 3-bis c.p.p., nonché del delitto di cui art.12-quinquies d.l. n. 306/1992, conv. dalla l. n. 356/1992. (art. 4 lett. a) e b). Per ciò che attiene alla pericolosità sociale, ultimo presupposto applicativo soggettivo, ci troviamo, invece, di fronte, come ha ribadito anche la Corte Costituzionale in precedenti pronunce, all’elemento caratterizzante le misure di prevenzione. L’appartenenza di una persona alle categorie di pericolosità è “condizione necessaria, ma non sufficiente”, essendo richiesta anche una condotta di vita che evidenzi la “pericolosità effettiva ed attuale e non meramente potenziale”. La pericolosità sociale costituisce la predisposizione al delitto anche nei confronti di persona verso cui non si sia raggiunta la prova di reità. Occorre una valutazione globale della personalità del soggetto, da compiersi sulla base di elementi di fatto sintomatici, risultante da tutte le manifestazioni sociali della sua vita e dall’accertamento di un comportamento illecito e antisociale – persistente nel tempo – tale da richiedere una particolare vigilanza da parte degli organi di pubblica sicurezza22. Cass. Pen., Sez. VI, 6 febbraio 2001 (dep. 28 marzo 2001), n. 12511, Gazzetta, in CED Cass., n. 218434; Cass. Pen., Sez. V, 11 luglio 2006 (dep. 14 dicembre 2006), n. 40731, Magrone e altro, ivi, n. 218434. In www.italgiure.giustizia.it. 22

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Con riguardo alle misure di prevenzione patrimoniali il metro valutativo supera la pericolosità sociale del soggetto ed è reso maggiormente oggettivo grazie all’analisi economica delle risorse sproporzionate e non giustificate. Deve sussistere, infatti, una discrasia tra i beni e il reddito dichiarato o l’attività svolta dal soggetto.

4. Le nuove esigenze di garanzia

4.1. Le misure di prevenzione personali quale presupposto applicativo di quelle patrimoniali

Alla luce di quanto sovra delineato si può dire di essere di fronte ad un percorso tassativizzante delle misure di prevenzione. Il recupero di uno dei corollari del principio di stretta legalità è volto alla delimitazione della categoria della pericolosità generica, garantendo il recupero parziale di alcune garanzie proprie del diritto penale del fatto. Anzitutto, ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione di carattere personale, quale presupposto applicativo di quelle patrimoniali, sono necessari elementi che facciano ritenere sussistenti le pregresse attività criminose commesse da parte del soggetto, tesi a una chiara finalità preventiva che guardi al futuro. Si esclude per questo il carattere afflittivo e punitivo. Devono considerarsi legittime in relazione all’art. 13 della Cost. non sussistendo una restri-

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zione alla libertà personale. La misura di prevenzione personale però deve essere applicata solo in presenza di appropriate garanzie quali: a) idonea base legale delle misure in questione; b) necessaria proporzionalità delle misure rispetto ai legittimi obiettivi di prevenzione dei reati. Per le misure di prevenzione patrimoniali, oltre al richiamo degli artt. 1 e 4 del codice antimafia, si deve far riferimento a sufficienti indizi quali la sperequazione tra il tenore di vita e l’entità dei redditi apparenti o dichiarati dei quali il soggetto risulta disporre, possibile frutto di attività illecite o che ne costituirebbero il reimpiego. Questo consente anche una valutazione sulla carenza dell’attualità della pericolosità sociale per le misure di prevenzione patrimoniali in cui la finalità principe resta quella di sottrarre alla criminalità organizzata beni e denaro di origine illecita. La pericolosità, dunque, sarebbe intrinseca alla stessa res e non più riferita alla sola persona fisica. La confisca, quindi, è tesa alla neutralizzazione dell’ingiusto incremento patrimoniale, facendo venire meno il rapporto che lega il soggetto al bene23. 4.2. L’ambito di rilevanza specifico delle misure di prevenzione patrimoniali

Il rischio più attuale è quello di aver eccessivamente allargato Cass. SS. UU. n. 4880/2015, in www.italgiure.giustizia.it. 23

l’ambito applicativo delle misure, snaturando le stesse ragioni per le quali erano state introdotte, sin dal 1982. Con la legge n. 55 del 1990 tali misure erano state estese agli indiziati di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti in materia di stupefacenti e a soggetti indiziati di vivere abitualmente almeno in parte, con il provento dei delitti di estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita o di contrabbando. Ancora di più recente introduzione la l. n. 161/2017 che ha allargato la platea a nuovi destinatari riportati all’art. 1 lettera d) e all’art. 4 del d.lgs. n. 159/2011. Lo strumento, nella sua origine, era specificamente volto a decurtare dal patrimonio della persona quella parte di ricchezza accumulata illecitamente, rispetto alla quale il privato non può vantare alcun titolo di acquisto lecito. Tuttavia, questo stona con la disciplina attuale che include reati di peculato, concussione, corruzione per l’esercizio della funzione e ulteriori gravi reati contro la pubblica amministrazione, truffa aggravata per il conseguimento delle erogazioni pubbliche, ed altri ben più distonici rispetto alla ratio della norma, quali l’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, lo stalking e i maltrattamenti in famiglia24. Questo, quindi, appare in contraddizione rispetto al monito Così la lettera i-ter) modificata dalla l. 69/2019.

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della Corte Costituzionale espresso già per la confisca allargata di selezionare i delitti-presupposto secondo criteri restrittivi, al fine di evitare tensioni sul piano delle garanzie25. Per alcuni autori se da un lato «sembra inimmaginabile auspicare una sua eliminazione dall’ordinamento – essendo considerate uno strumento “d’avanguardia” nella lotta al crimine organizzato ed alla criminalità da profitto, nonché un vero e proprio modello in ambito europeo – sarebbe opportuno un impegno della dottrina verso la ricerca d’idonee garanzie, nel senso di impegnarsi per renderle più conformi alla Carta costituzionale»26. Pur non essen Corte Costituzionale, sent. n. 33/2018 in www.giurcost.org. In particolare, si raccomanda che il catalogo di reati resti saldamente ancorato a «tipologie e modalità di fatti in sé sintomatiche di un illecito arricchimento del loro autore, che trascenda la singola vicenda giudizialmente accertata, così da poter veramente annettere il patrimonio ‘sproporzionato’ e ‘ingiustificato’ di cui l’agente dispone ad una ulteriore attività criminosa rimasta ‘sommersa’». 26 Cit. A. Manna e F.P. Lasivia, Le pene senza delitto: sull’inaccettabile truffa delle etichette, in Archivio Penale, 2017, n. 1, 7. Si tratta di una posizione comune – indubbiamente condivisibile per un verso – espressa nelle relazioni da Dolcini, Bertolino, Pelissero, nel senso di una presa d’atto di uno strumento cui il legislatore difficilmente rinuncerà in futuro. In senso nettamente contrario, v. Migliucci, in Intervento “Delle pene senza delitto”. Misure di prevenzione nel sistema contemporaneo: dal bisogno di controllo all’imputazione del sospetto, V Convegno Nazionale, in A.I.P.D.P., Milano, 18-19 novembre 2016, il quale definisce il sistema della prevenzione “penale” come 25

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do applicabile l’intera disciplina del giusto processo, per limiti genetici delle stesse misure, sarebbe opportuno, in assenza di un fatto di reato, precisare con maggior chiarezza i profili di pericolosità del soggetto proposto. La carenza di questi elementi comporta anche il conseguente pericolo di incorrere in un’eccessiva discrezionalità da parte del Giudice. Gli elementi che egli ha disposizione per decidere sulla pericolosità sono attualmente scarni, tanto che il giudice è chiamato a decidere sulla pericolosità di un soggetto sulla base di sospetti di reato o su comportamenti genericamente sintomatici della stessa. Per questo, sottolinea anche la Corte Costituzionale, il principio di legalità, pur se graduato con diverso rigore, dovrebbe comunque prevedere l’evidenza di elementi presuntivi corrispondenti a comportamenti obiettivamente verificabili, così da dar luogo a fattispecie compiutamente tipizzate e determinate. “L’applicazione di dette misure deve per questo ricollegarsi non a fatti singolarmente determinati, ma ad un complesso di comportamenti che ne costituiscano una ‘condotta’, assunta dal legislatore come indice di pericolosità. Discende, pertanto, dalla natura delle dette misure che nella descrizione delle fattispecie il legislatore debba normalmente procedere con criteri diversi da quelli con cui procede nella determinazione degli elementi costitutivi di una una «finzione inaccettabile».

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figura criminosa, e possa far riferimento anche a elementi presuntivi, corrispondenti però sempre a comportamenti obiettivamente identificabili. Il che non vuol dire minor rigore, ma diverso rigore nella previsione e nella adozione delle misure di prevenzione, rispetto alla previsione dei reati e alla irrogazione delle pene. Nel merito l’espressione ‘oziosi e vagabondi abituali validi al lavoro’ non può essere considerata vaga ed equivoca, essendo obiettivamente identificabile, in base a nozioni di comune conoscenza e tenendo conto delle finalità della legge e delle misure di prevenzione, chi abitualmente non svolge alcuna attività lavorativa o, senza una ragione, non fissa la propria dimora, pur essendo in condizioni di trarre dal lavoro i necessari mezzi di sussistenza”27. Lo stesso indizio, infatti, in materia di prevenzione, non può che essere sfuggente, dovendosi considerare non grave, non preciso e non concordante, altrimenti valutabile come materiale probatorio sufficiente a condannare il soggetto ai sensi del art. 192, 2º comma, c.p.p.28. Estratto da: Corte Cost. n. 23/1964, in www.giurcost.org. 28 In altre parole T. Padovani, Misure di sicurezza e misure di prevenzione, in Giustizia Criminale, Pisa University Press, 2014, 265- 267. 27

5. Il giudizio di pericolosità e il procedimento di prevenzione Come sottolineava Pietro Nuvolone il giudizio di pericolosità deve essere garantito, ma sembrerebbe non poter coincidere con un giudizio di certezza, perché significherebbe rifiutare il concetto stesso di prevenzione29. Pelissero evidenzia che la scelta è da farsi tra “la delegittimazione totale del sistema della prevenzione praeter delictum, percorsa dai difensori ad oltranza delle garanzie penalistiche, soluzione pura, ma lontana dal diritto penale, che deve comunque sporcarsi con la complessità delle forme di criminalità, oppure, affrontare il tema delle misure di prevenzione in una più realistica prospettiva di contenimento entro il sistema delle garanzie penali”30. Il ritratto del diritto vivente appena tracciato mette in luce, allora, l’opportunità di giungere a una soluzione unitaria in termini di qualificazione della natura giuridica degli istituti, e quindi di garanzie costituzionali e convenzionali conseguentemente applicabili31. 29 Cfr. Enc. Dir., Misure di prevenzione e misure di sicurezza, Giuffrè, 1976, volume XXVI, 643 e ss. 30 Cit. M. Pelissero, La “fattispecie di pericolosità”: i presupposti di applicazione delle misure e le tipologie soggettive. I destinatari della prevenzione praeter delictum: la pericolosità da prevenire e la pericolosità da punire, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, (2) 2017, 439 ss. 31 Cit. S. Finocchiaro, La corte costituzionale sulla ragionevolezza della confisca allargata. verso una rivalutazione del con-


Misure di prevenzione e pericolosità generica

L’obiettivo prioritario è, perciò, quello di effettuare un bilanciamento tra i valori costituzionali e l’esigenza della protezione del contesto sociale. Anche con riguardo alle garanzie processuali emergono significativi problemi. Il bassissimo standard probatorio richiesto al fine della applicazione delle misure (un indizio riferibile a condotta neppure produttiva di provento illecito), che risulta di per sé inammissibile e contrario ai principi costituzionali e convenzionali per carenza di determinatezza, prevedibilità e precisione, non viene controbilanciato dalla previsione di una sia pur minima struttura di garanzia, né in fase procedimentale né, soprattutto, nella fase delle indagini. Difatti, l’attività degli inquirenti è del tutto priva della possibilità di controllo da parte di un giudice terzo (il GIP non esiste in materia di prevenzione), può essere esercitata senza rispetto di criteri di alcun genere (non esiste obbligatorietà) ed addirittura senza limiti di durata. L’impronta fortemente inquisitoria ed autoritaria della riforma è ulteriormente evidenziata dalla previsione secondo la quale l’azione di prevenzione può essere esercitata anche indipendentemente rispetto all’azione penale32. Filippi parla cetto di sproporzione?, nota a Corte cost., sent. 21 febbraio 2018, n. 33, Pres. Grossi. 32 Cit. Il Presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane, Avv. Beniamino Migliucci, e Il Segretario dell’Unione delle Camere Penali Italiane, Avv. Francesco Petrelli, in “l’Unione delle Camere Penali”, Il processo di prevenzione e la confisca delle

FRANCESCA RICCI

di misure di carattere sanzionatorio irrogate senza le minime garanzie, con una “giurisdizione solo apparente”, perché la prova è assunta dalla polizia o dal pubblico ministero, con un procedimento caratterizzato da scorciatoie probatorie, mutilazioni della difesa e assenza del contraddittorio33. Lo stesso autore si esprime negativamente circa la conferma delle dette misure anche negli anni successivi all’introduzione del testo costituzionale, in violazione dell’art. 24 secondo comma della Cost. e in collisione con il principio del “giusto processo”, che prescrive il contraddittorio nel momento di formazione della prova. Anche per De Lia si è di fronte ad evidenti carenze di natura sostanziale che si affiancano a quelle di natura processuale, che a detta dell’autore evocano quasi un sistema inquisitorio34. Le critiche sono dirette all’assenza di regole probatorie, consentendo che gli atti di indagine del P.M. e della polizia siano destinati ad essere sempre amgaranzie, Roma, 28 giugno 2017. 33 Cfr. L. Filippi, Il procedimento di prevenzione patrimoniale. Le misure “antimafia” tra sicurezza pubblica e garanzie individuali, Cedam, 2002. In senso fortemente contrario anche Migliucci il quale definisce il sistema della prevenzione “penale” come una «finzione inaccettabile», la cui permanenza nell’ordinamento non può trovare una giustificazione nell’inefficienza del diritto penale classico. 34 Cfr. A. De Lia, Le misure di prevenzione patrimoniali antimafia, in Archivio Penale, n. 1, gennaio-aprile 2017; A. De Lia, La sconfinata giovinezza delle misure di prevenzione, in Archivio Penale, n. 1, 2017.

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missibili ed in quanto tali valutabili come prova del giudice, al fine di applicare la misura di prevenzione. Tuttavia, è bene sottolineare che al proposto viene dato modo di provare la liceità dell’acquisto e di giustificare la sproporzione che vi è tra il reddito dichiarato e il patrimonio posseduto. Il nuovo art. 24 del c.d. Codice Antimafia, infatti, introduce l’espresso riferimento alla impossibilità per il proposto di «giustificare la legittima provenienza dei beni adducendo che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale». La recente espansione normativa, inoltre, ha comportato un distacco dalla finalità principe delle misure di prevenzione, quale la prevenzione della criminalità organizzata, portando l’estensione dell’ambito applicativo ad ogni forma di criminalità, con la perdita, per molteplici fattispecie, delle stringenti garanzie liberali. Questo, in futuro, potrebbe provocare un avvicinamento ancora maggiore delle misure di prevenzione al diritto penale emergenziale, anche in casi non strettamente necessari. Da sottolineare sono anche le similitudini che caratterizzano la confisca nel procedimento di prevenzione e la confisca allargata ex art. 240-bis c.p. (precedentemente art. 12-sexies l. 306/1992), che sembrerebbero ricondurre le due misure ad un unico binario. Per entrambe le misure, la legge n. 161/2017 ha previsto una medesima trattazione prioritaria (art. 132-bis disp. att. c.p.p. e art. 34-ter

d.lgs. 159/2011). Ancora l’analogia di disciplina in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro (comma 4-bis dell’art. 12-sexies), o la possibilità di procedere anche in caso di morte della persona (comma 4-octies dell’art. 12-sexies). Nonché, da ultimo, la previsione della possibilità di applicare la confisca allargata in assenza di una formale condanna, ossia in sede di proscioglimento per prescrizione o amnistia (comma 4-septies dell’art. 12-sexies). Queste analogie potrebbero rappresentare l’opportunità di giungere a una soluzione unitaria in termini di qualificazione della natura giuridica degli istituti, e quindi di garanzie costituzionali e convenzionali conseguentemente applicabili35. Tuttavia, se così dovesse essere, si potrebbe incorrere in una snaturalizzazione dell’istituto in quanto la confisca allargata si caratterizza per essere disposta post delicutm. Il rischio sarebbe quindi quello che per tutelare le garanzie del processo penale sparirebbe il fine preventivo e la tempestività di applicazione, caratteristiche principi delle stesse misure. Parlando di giurisdizionalizzazione delle misure e di idonee 35 Cfr. S. Finocchiaro, La corte costituzionale sulla ragionevolezza della confisca allargata. verso una rivalutazione del concetto di sproporzione?, nota a Corte cost., sent. 21 febbraio 2018, n. 33, Pres. Grossi, Est. Modugno, in Diritto Penale Contemporaneo, 26 febbraio 2018.


Misure di prevenzione e pericolosità generica

garanzie anche nell’ambito processuale, ci si deve auspicare, dunque, una maggiore precisazione dei presupposti applicativi, riducendo anche la vaghezza del giudizio di pericolosità36. L’obiettivo, pur nella consapevolezza che le misure di prevenzione affondano le loro radici nel principio dell’efficacia piuttosto che in quello di precisione, è quello di produrre leggi sempre maggiormente definite. Queste dovranno essere in grado di assicurare a chiunque una percezione sufficientemente chiara ed immediata di possibili condotte contrarie alla legge. Tuttavia, nel ricercare le maggiori garanzie proprie del diritto penale del fatto non si dovrebbe neanche prescindere dal rispettare il fine preventivo con il quale le stesse sono state introdotte e l’ambito applicativo originario al quale le stesse sono dirette.

Sul punto Cfr. anche F. Mantovani, Diritto penale, Cedam, 2015, 853, il quale, pur sostenendo la “necessità sociale” delle misure preventive, ha rilevato che “per evitare che il diritto della prevenzione venga a costituire un diritto penale del sospetto”, le misure stesse debbano essere “affidate agli organi giudiziari ordinari, con una procedura munita delle garanzie giurisdizionali e di difesa non dissimuli da quelle proprie del campo penale”. Si tratta di una posizione comune – indubbiamente condivisibile per un verso – espressa nelle relazioni da Dolcini, Bertolino, Pelissero, nel senso di un impegno verso un “contenimento del rischio” di un vulnus eccessivo alle garanzie penalistiche. 36

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Mafia capitale e principi di diritto in tema di associazione mafiosa

Cassazione penale sez. VI - 22/10/2019 (dep. 12/06/2020), n. 18125 Andrea Bernabale

Sommario: 1. Premessa. – 2. I principi di diritto in tema di associazione mafiosa esposti dalla S.C. – 3. Un “sistema” gravemente inquinato.

1. Premessa Il 22 ottobre 2019 la Corte Suprema di Cassazione ha concluso il processo di “Mafia Capitale”, rendendo noto, nel dispositivo, come le consorterie di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati non costituissero un unicum di delittuosità mafiosa, ma bensì le due erano accomunate da quello che potremmo più sinteticamente definire un pactum sceleris. La Corte di Cassazione ha dunque ripreso il giudizio di primo grado espresso dal Tribunale di Roma, derubricando l’associazione a delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis c.p.) in quella meno grave di associazione a delinquere semplice (art. 416 c.p.), le cui motivazioni sono state rese note lo scorso 12

giugno, nel deposito della sentenza. Ripercorrendo brevemente le tappe che hanno condotto all’esito della sentenza di terzo grado, la vicenda giudiziaria nasce da un’indagine della Procura di Roma del 2014, che aveva individuato in Buzzi (in quanto gestore di diverse cooperative nel settore dell’edilizia e dei servizi) e Carminati (già noto per i suoi trascorsi nella banda della Magliana e per la sua appartenenza ai NAR, gruppo eversivo di estrema destra attivo verso la fine degli anni ‘70) un’associazione mafiosa, capace di connettere un sistema corruttivo istituzionale e imprenditoriale di colletti bianchi (“mondo di sopra”) alla malavita di strada (“mondo di sotto”). Questo sistema, nel


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quale è possibile ricomprendere inter alia numerosi reati di corruzione, turbativa d’asta, estorsioni, riciclaggio e intestazioni fittizie, trovava il suo fulcro proprio nel presunto sodalizio mafioso che la Procura imputava a Buzzi e Carminati, artefici del c.d. “mondo di mezzo”1. L’ipotesi accusatoria avanzata dalla Procura non è stata tuttavia accolta dal Tribunale di Roma, che non ha riconosciuto l’unicità dell’associazione, affermandone invece una duplicità: un’associazione dedita ai reati di usura ed estorsione, e un’altra ai reati contro la pubblica amministrazione, di cui quest’ultima temporalmente successiva alla prima, escludendone quindi elementi di contatto tra le due. Quanto al carattere mafioso delle due distinte associazioni, il giudice di merito ne esclude l’aggravante per entrambe. Per la prima (reati di usura-estorsione), in quanto si tratta di una compagine ristretta e operante in un contesto limitato, della quale non si è riuscita a dimostrare una acquisita capacità di intimidazione; per la seconda (reati contro la pubblica amministrazione) si ritiene invece che questa non abbia fatto ricorso La terminologia impiegante i termini “mondo di sopra”, “mondo di sotto” e “mondo di mezzo”, dal quale peraltro deriva il nome dell’inchiesta, è frutto lessicale dello stesso Carminati, secondo l’intercettazione telefonica del 13/12/2012, nella quale egli stesso espone la funzione connettiva del mondo di mezzo, metaluogo nel quale si incontrano sinergie e interessi criminali di diverso genere. 1

alla forza di intimidazione ma solo a sistematiche pratiche corruttive. Il giudice di primo grado ha peraltro precisato che la c.d. riserva di violenza2 può riferirsi alle mafie delocalizzate solo se derivate da quelle tradizionali, ovvero quelle ritenute storiche e ispiratrici della legge “Rognoni-LaTorre”. Tale derivazione non è stata rinvenuta in sede probatoria e il Tribunale ha pertanto concluso che si trattasse di due associazioni semplici, riconoscendo quindi la configurabilità applicativa dell’art. 416 c.p.3. La sentenza di primo grado viene impugnata in appello, in cui giudice di merito ha invece riconosciuto l’esistenza di un’unica associazione, attribuendo ad essa anche il carattere mafioso, sulla base di acquisite intercettazioni telefoniche e ambientali, nonché documenti che dimostrano l’effettivo ricorso del sodalizio alla carica intimidatoria che deriva dal vincolo associativo, generando le Con “riserva di violenza” o “carica intimidatoria autonoma” si intende la fama criminale che l’associazione sfrutta senza porre in essere ulteriori atti di violenza, facendo ricorso al prestigio criminale e alla pubblica memoria. Sul tema, cfr. G. Turone, Il delitto di associazione mafiosa, Giuffrè, 2008; A. Ingroia, L’associazione, Giuffrè, 1993. 3 Né tantomeno la figura di Carminati può attribuire da sé mafiosità al sodalizio per i suoi trascorsi nella Banda della Magliana e nei NAR, in quanto la prima non fu mai riconosciuta quale associazione mafiosa, mentre la seconda è stata qualificata dal Tribunale come una formazione politica ormai “cancellata dalla storia”, oltreché entrambe difettano per il carattere di attualità. 2


Mafia capitale e principi di diritto in tema di associazione mafiosa

tipiche condizioni di assoggettamento e omertà previste dall’art. 416-bis c.p. La sentenza di appello configura più propriamente il già citato “mondo di mezzo”, dal momento che si ritiene di aver prova del progetto espansionistico di Carminati nell’utilizzo della forza criminale del gruppo di Corso Francia al fine di inserirsi nel settore amministrativo e imprenditoriale in cui operava Buzzi. Quest’ultimo ne avrebbe tratto vantaggio utilizzando a sua volta la fama criminale di Carminati per rafforzare la sua posizione nel settore degli appalti pubblici. Carminati, del resto, avrebbe partecipato agli utili delle cooperative di Buzzi, ottenendo denaro non riconducibile a lui. In contrapposizione al primo giudice, la Corte di appello ha pertanto ritenuto configurabile il delitto di associazione mafiosa, escludendo che questa ipotesi di reato sia fondata solo in presenza di un certo numero di sodali, o in riferimento ad un certo contesto relazionale e territoriale. Si assume, invece, che il carattere mafioso dell’associazione non presupponga un generale controllo del territorio o una generalizzata condizione di assoggettamento e di omertà della collettività, potendo queste caratteristiche riferirsi anche a particolari categorie di vittime o a determinati settori di territorio. La Corte di appello ha quindi ribadito con sentenza l’originaria impostazione accusatoria della Procura, riconoscendo Buzzi e Carminati come i vertici del-

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l’(unica) associazione mafiosa, alla quale erano compartecipi ulteriori esponenti in ruolo di concorrenti esterni. Contro questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione tutti gli imputati.

2. I principi di diritto in tema di associazione mafiosa esposti dalla S.C. La VI sezione della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n.18125/2019, ha quindi ripreso il caso e proceduto a confutare la qualificazione dei fatti propugnata dalla Corte di appello di Roma a vantaggio di quella proposta dal Tribunale di primo grado, riconoscendo l’esistenza di due distinti gruppi criminali, rientranti entrambi nel tipo criminoso dell’associazione per delinquere semplice ex art. 416 c.p. A tal uopo, ha anche fissato alcuni principi di diritto in tema di associazione mafiosa, in particolar riferimento all’applicazione del reato previsto dall’art.416-bis c.p. in realtà territoriali atipiche, ovvero distanti da quelle tradizionali che ispirarono il legislatore del 1982. L’ultimo comma dell’art.416-bis c.p. dispone infatti che, quanto previsto nei commi precedenti, si applichi anche alla camorra, alla ‘ndrangheta e alle “altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatorie del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelle delle associazioni di tipo

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mafioso”4, sebbene la giurisprudenza si sia mantenuta sempre cauta nel considerare “mafie” quelle al di fuori della territorialità tradizionale. Tuttavia, ancorché le disposizioni normative poste al comma 7 della legge in questione pongano le condizioni per rendere possibile riconoscere associazioni mafiose anche al di fuori di un contesto geografico tipico, la Corte ricorda come il reato in questione non sia un reato associativo “puro”, ovvero che si perfeziona sin dal momento della costituzione di una organizzazione illecita, ma vi è necessità che il gruppo faccia un concreto esercizio della forza di intimidazione, ovvero che se ne avvalga. Non può ritenersi sufficiente un semplice dolo intenzionale di farvi ricorso poiché, sebbene si tratti di un reato di pericolo, questo non consente di incriminare le mere potenzialità di un futuro uso del metodo mafioso. Il metodo mafioso costituisce il mezzo, lo strumento, il modo con cui l’associazione persegue gli scopi indicati dalla norma e per tale ragione è necessaria, sempre, la sua concreta manifestazione esterna (pp. 282-283). In tema di associazione per delinquere, il metodo mafioso deve necessariamente avere una sua esteriorizzazione quale forma di condotta positiva, come si evince dall’uso del termine «avvalersi» contenuto nell’art. 416-bis c.p. ed esso può avere le più diverse

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Art. 416-bis c.p., comma 7.

manifestazioni, purché l’intimidazione si traduca in atti specifici, riferibili a uno o più soggetti5. Il metodo mafioso deve così avere necessariamente una sua “esteriorizzazione”, poiché solo attraverso elementi oggettivi sarà possibile ritenere soddisfatta la richiesta della norma con il termine “avvalersi”. La Corte precisa anche che la forza di intimidazione, che deriva da un prestigio e da una fama criminale, deve essere ricondotta non dal prestigio criminale di un singolo associato ma da quella impersonale del gruppo. In altre parole, la caratura criminale di un singolo non può attribuire, da sola, il carattere mafioso all’associazione, ma è casomai il sodalizio che conferisce al singolo associato una certa forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo. L’associazione è quindi mafiosa se il suo prestigio criminale resta intatto anche nel caso in cui siano isolati e sterilizzati i personaggi dotati di fama criminale personale. Così anche il delitto previsto dall’art.416-bis c.p. può sussistere anche in presenza di realtà criminali strutturalmente modeste che esercitino la propria forza di intimidazione in modo oggettivamente limitato, cioè solo su alcune categorie di soggetti e non in

Cass. pen., sez. VI, sent. n. 50064 del 16 settembre 2015, la quale ricalca la scelta lessicale, non casuale, di impiegare “si avvalgono”, in maggior attuazione dei principi di materialità e tassatività dell’art.25 Cost. 5


Mafia capitale e principi di diritto in tema di associazione mafiosa

modo generalizzato, inteso quale territorialità e collettività. Ciò detto, una volta acquisita dalla consorteria una certa capacità intimidatrice, non è sempre necessario il compimento di atti associativi integranti gli estremi della violenza o minaccia quale riflesso empirico dell’avvalimento del metodo mafioso. In mancanza di tali atti, la forza intimidatrice può essere desunta da circostanze obiettive idonee a dimostrare la capacità attuale dell’associazione di incutere timore (p. 286). Ovvero, come v’è stato già modo di affermare nella sentenza della Corte di Cassazione n. 25242/2011, l’integrazione della fattispecie di associazione di tipo mafioso implica che un sodalizio criminale sia in grado di sprigionare, per il solo fatto della sua esistenza, una capacità di intimidazione non soltanto potenziale, ma attuale, effettiva ed obiettivamente riscontrabile, capace di piegare ai propri fini la volontà di quanti vengano a contatto con i suoi componenti6. Ciò tuttavia, non esime dalla dimostrazione che la forza di intimidazione deve essere manifestata e percepita, secondo una dimensione fattuale e che tale dimostrazione non può che essere accertata “caso per caso”. Cass. pen., sez. I, sent. n. 25242 del 16 maggio 2011, nella quale si precisa anche che il condizionamento del soggetto terzo estraneo al sodalizio non deve scaturire necessariamente da specifici atti intimidatori ma esso può essere anche l’effetto del timore che promana direttamente dalla capacità criminale dell’associazione. 6

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Quanto alle mafie delocalizzate, secondo una ricostruzione giurisprudenziale, l’esteriorizzazione non sarebbe invero sempre richiesta. Secondo varie opzioni interpretative, il reato di associazione mafiosa sarebbe configurabile anche nel caso in cui la c.d. cellula non manifesti sul territorio “nuovo” di insediamento il metodo mafioso e la fama criminale da cui essa deriva, in quanto il reato sussisterebbe in presenza della sola prova “dell’essere cellula”. Di tale avviso è stata la Corte di Cassazione con sentenza n.31666/2015, affermando che il reato di cui all’art. 416-bis c.p. sia configurabile – con riferimento ad una nuova articolazione periferica (c.d. “locale”) di un sodalizio mafioso radicato nell’area tradizionale di competenza – anche in difetto della commissione di reati-fine e della esteriorizzazione della forza intimidatrice, qualora emerga il collegamento della nuova struttura territoriale con quella “madre” del sodalizio di riferimento, ed il modulo organizzativo (distinzione di ruoli, rituali di affiliazione, imposizione di rigide regole interne ecc.) presenti i tratti distintivi del predetto sodalizio, lasciando concretamente presagire una già attuale pericolosità per l’ordine pubblico7. In tal caso, non sarebbe dunque necessario parametrare la mafia atipica nei termini che la norma prevede riguardo gli elementi di intimidazione e omertà, giacché Cass. pen., sez.V, sent. n. 31666 del 3 marzo 2015.

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questi sarebbero stati già esternati dalla “casa madre”8. La Corte accoglie solo in parte questa interpretazione, in quanto se è vero che, dimostrato il collegamento tra la cellula madre e la cellula periferica si arrivi a ritenere provata l’importazione della forza intimidatrice, è altresì vero e necessario che i soggetti del nuovo territorio che con il gruppo si relazionano capiscano che il proprio interlocutore è l’associazione mafiosa. Ovvero, è necessario che la cellula faccia capire, con qualunque modo, di essere l’associazione mafiosa, non essendo sufficiente che essa replichi i moduli organizzativi, le regole e i rituali della cellula madre. In modo similare, tali requisiti si applicano alle “altre associazioni” – o “nuove mafie” – previste dall’ultimo comma dell’art. 416bis c.p., le quali anch’esse devono dimostrare, “esteriorizzare” la propria capacità di intimidazione acquisita, e che tale capacità produca un assoggettamento omertoso, nell’accezione prevista dalla norma. Esse possono dunque presentare dimensioni minori in termini di sodali, possono produrre un assoggettamento omertoso selettivo – ovvero su determinati soggetti e su determinati settori o parti del territorio, escludendone necessariamente una dimensione generalizzata e diffusa – ma è pur sempre tassativamente richiesta l’esteriorizzazione del me-

Dello stesso orientamento, Cass. pen., sez. II, sent. n. 24851 del 4 aprile 2017.

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todo mafioso, dal momento che quest’ultimo non può derivarsi da una mafia storica, né tantomeno può essere considerato solo potenziale. Se così non fosse, ovvero se non si necessiti che tutte le associazioni mafiose manifestino concretamente la propria capacità di intimidazione e assoggettamento omertoso, significherebbe costruire in modo dicotomico la tipicità della stessa fattispecie incriminatrice, sollevando dubbi di costituzionalità.

3. Un “sistema” gravemente inquinato In merito al caso di “Mafia Capitale”, la Corte di Cassazione ritiene che i giudici in appello non abbiano coerentemente applicato i principi fin qui esposti, e che non abbiano altresì redatto una motivazione “rafforzata” rispetto alla sentenza di primo grado, ma che si siano limitati a formulare una sentenza peggiorativa di quella redatta dal Tribunale, sulla base delle due decisioni emesse dalla Cassazione in sede cautelare. Queste, oltre a costituire un erroneo termine di riferimento – che doveva essere invece rappresentato dalla sentenza di primo grado – si basavano su elementi che la Corte aveva all’epoca a disposizione e poi smentiti dal Tribunale a seguito di un’attenta ricostruzione. Come già più volte accennato, secondo la Corte di appello, quella di Buzzi e Carminati sarebbe stata


Mafia capitale e principi di diritto in tema di associazione mafiosa

un’associazione di tipo mafioso di nuova formazione, ipotesi respinta in Cassazione per le seguenti motivazioni: la Corte avrebbe dovuto accertare che la nuova formazione mafiosa avesse conseguito una propria fama, autonoma e distinta dalle persone fisiche che la componevano; avrebbe altresì dovuto accertare che l’associazione avesse manifestato in concreto la sua capacità di intimidazione sui soggetti, anche se in maniera selettiva e non diffusa; infine, accertare che questa manifestazione di capacità di intimidazione fosse stata percepita e avesse prodotto un assoggettamento omertoso sul territorio in cui l’associazione era attiva. Per la S.C. è quindi giusta l’interpretazione del Tribunale in primo grado, ove si rilevava la pressoché totale assenza di rapporti tra le attività criminali dei due gruppi9. Quanto all’assenza di condizioni che portino a ritenere mafiose le due associazioni, è evidente che nessuna delle due fosse una derivazione di una mafia tradizionale, quindi delocalizzata. Si sarebbe pertanto dovuto accertare, ex art. 416-bis c.p., comma 7, riguardo le “altre associazioni”, che l’una o l’altra (se non entrambe) le associazioni avessero acquisito una concreta capacità di intimidazione con conseguente assoggettamento omertoso. A tal riguardo, si afferma che Carminati e i suoi Fanno eccezione le figure di Carminati e Brugia, che comparivano nell’uno e nell’altro gruppo. Tuttavia, non si può per essi ritenere che le due consorterie si fossero fuse in un unicum. 9

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associati erano temuti nelle zone contigue a Corso Francia, ma nelle stesse zone, e tanto meno in un territorio urbano più esteso, non fu mai percepita una carica di intimidazione proveniente dalle loro condotte e nessuno si rese conto di un contesto di mafiosità (p. 307). Quanto alla consorteria facente capo a Buzzi, la Corte di appello aveva ritenuto – erroneamente secondo la S.C. – che l’associazione avesse acquisito natura mafiosa in ragione dell’arrivo di Carminati, con la sua capacità di intimidazione ed il suo patrimonio di contatti con la destra politica legata ai suoi trascorsi nei NAR. Tuttavia, come espresso in principio, la qualità criminale del singolo non può in alcun modo conferire mafiosità all’organizzazione intera. In conclusione, per la Corte di Cassazione, la sentenza pronunciata in appello non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto che riguardano gli elementi strutturali del delitto di associazione mafiosa. Ne emerge fattualmente un “sistema” gravemente inquinato e corrotto ma, come precisa la S.C., la criminalità organizzata mafiosa si fonda sostanzialmente sul metus che deriva dalla violenza, dall’intimidazione, dalla costrizione, laddove, invece, la corruzione è un reato che si fonda sull’accordo illecito e paritario tra due persone (p. 326). In virtù della decisione di annullamento senza rinvio della sentenza pronunciata dalla Corte di appello, viene derubricata l’aggravante mafiosa prevista

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dall’art.416-bis c.p. e degli artt. 628 e 629 c.p., in quanto tutte presuppongono l’effettiva previa esistenza di un’associazione mafiosa. La scelta incide anche sul versante penitenziario e delle misure cautelari, in forza delle quali l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Roma ha disposto la scarcerazione di Carminati per decorrenza della durata complessiva massima della custodia cautelare10. Quest’ultima, sottoposta ai limiti dei “due terzi del massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza”, ex art. 304, comma 6, c.p.p. è stata infatti ritenuta scaduta il 7 aprile 2020.

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Tribunale di Roma, Sezione Riesame, ord. 15 giugno 2020.

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DOCUMENTAZIONE

Linee guida sulla sana gestione dei rischi legati al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo (aggiornamento luglio 2020)

Il testo integrale del documento è accessibile sul sito della rivista.

Commento Il Comitato di Basilea ha modificato il documento relativo alla sana gestione dei rischi connessi al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo, al fine di introdurre linee guida sulla cooperazione e lo scambio di informazioni tra le autorità di vigilanza prudenziale e AML/CFT per le banche. Coerentemente con gli scopi e gli obiettivi degli standard emessi dal GAFI e dei principi e delle linee guida pubblicati dal Comitato di Basilea, le integrazioni forniscono ulteriori best practices dettagliate per rafforzare l’interazione e la cooperazione tra supervisori prudenziali e supervisori AML/CFT. Gli orientamenti riveduti includono il nuovo paragrafo 96 nella parte IV (Il ruolo delle autorità di vigilanza) e l’allegato 5 (Interazione e cooperazione tra autorità di vigilanza prudenziale e AML/ CFT). L’allegato 5 stabilisce prin-

cipi specifici, raccomandazioni ed esempi descrittivi, per facilitare una cooperazione efficace ed efficiente in relazione alle procedure relative all’autorizzazione di una banca, alla vigilanza in corso e alle azioni di esecuzione. Descrive inoltre possibili metodi di attuazione, compresi meccanismi per facilitare tale cooperazione a livello giurisdizionale e internazionale. In particolare, le revisioni stabiliscono principi e raccomandazioni per lo scambio di informazioni e la cooperazione in relazione a: (i) procedure relative all’autorizzazione di una banca; (ii) supervisione in corso; e (iii) azioni di controllo. Inoltre, sono previsti possibili meccanismi per facilitare tale cooperazione nel contesto giurisdizionale e internazionale. Si precisa, tuttavia, che le linee guida non sono incluse negli standard di Basilea e sono applicabili solo per quelle giurisdizioni che scelgono di implementarle su base volontaria.



DOCUMENTAZIONE

L’identificazione non in presenza fisica nel contrasto al riciclaggio ed al terrorismo internazionale

Il testo integrale del documento è accessibile sul sito della rivista.

Commento Il documento (STUDIO 2_2020 B) analizza la Guida all’identità digitale, emanata dal GAFI, nel mese di marzo 2020. L’esigenza di tale vedemecum nasce dalla particolare situazione di distanziamento fisico, dovuta alle misure di lockdown per l’emergenza Covid-19. In particolare, lo studio del Notariato analizza i concetti di identificazione e quello di identificazione digitale, soffermandosi sull’accezione “ID digitale”. Nel tempo il termine ha assunto

il significato di tecnologia per affermare e dimostrare la propria identità personale, così come essa risulta dai dati anagrafici pubblici relativi al soggetto interessato, avente la stessa valenza identificativa di un documento di identità tradizionale. Per tale ragione l’ID digitale può essere utilizzata dai notai per le verifiche connesse all’adempimento degli obblighi antiriciclaggio. Si raccomanda di leggere con attenzione le conclusioni dello studio, utile guida, con diverse casistiche, sull’utilizzo dell’identità digitale del cliente nelle procedure connesse all’adeguata verifica.



DOCUMENTAZIONE

Nota congiunta in relazione all’identificazione del titolare effettivo in sede di apertura dei conti correnti relativi alle esecuzioni immobiliari da parte dei delegati alla vendita

Il testo integrale del documento è accessibile sul sito della rivista.

Commento La nota congiunta del Consiglio Nazionale Forense, del Consiglio Nazionale del Notariato e del Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti ed esperti contabili invita l’ABI e la Banca d’Italia a porre fine alla prassi invalsa tra gli istituti bancari di indicare quale titolare effettivo dei conti correnti accesi in occasione delle procedure esecutive immobiliari il professionista delegato alla vendita. Nel documento viene sottolineata, innanzitutto, l’erroneità di una tale scelta, ritenendo più corretto il precedente uso di indicare quale benficial owner il Presidente del Tribunale presso il quale pende la procedura esecutiva. Quest’ulti-

mo veniva indicato come titolare effettivo al posto del giudice delegato per via dei frequenti cambi di sezione o di Tribunale cui sono sovente soggetti i magistrati. Il professionista delegato alla vendita, sostengono i Consigli, non può essere considerata persona dotata di poteri di direzione e controllo nell’ambito delle procedure di vendita, in quanto egli agisce entro precisi parametri fissati dalla legge e dal giudice delegato. Altro soggetto che potrebbe essere indicato, invece, quale beneficial owner è l’esecutato, dal momento che quest’ultimo risulta il destinatario dell’esecuzione stessa.



DOCUMENTAZIONE

Disposizioni di attuazione delle modalità e dei termini relativi alle richieste di informazioni sulle operazioni intercorse con l’estero, sui rapporti ad esse collegate e sull’identità dei relativi titolari

Il testo integrale del documento è accessibile sul sito della rivista.

Commento La Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate hanno siglato un accordo sulle modalità di trasmissione, da parte di soggetti designati (coincidenti con alcune categorie di destinatari della normativa antiriciclaggio), delle richieste su operazioni intercorse con l’estero eseguite per conto o a favore di clienti diversi da quelli per i quali gli intermediari finanziari già forniscono le informazioni ai sensi del decreto legge n. 167 del 1990. In particolare, gli intermediari bancari e finanziari, le società fiduciarie, i cambiavalute e i prestatori di servizi relativi a valute virtuali che intervengono, anche attraverso movimentazione di conti, nei trasferimenti da o verso l’estero di mezzi di pagamento,

sono tenuti a trasmettere all’Agenzia delle entrate, dietro specifica richiesta e secondo le modalità descritte nel Protocollo, i documenti conservati per l’adeguata verifica della clientela. Cioè, essi dovranno inviare i dati acquisiti in occasione dell’adeguata verifica della clientela e le informazioni relative alle operazioni (elencate all’art. 2 del Protocollo), effettuate anche in valuta virtuale, di importo pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che si tratti di un’operazione unica o di più operazioni che appaiano collegate per realizzare un’operazione frazionata e limitatamente alle operazioni eseguite per conto o a favore di persone fisiche, enti non commerciali e di società semplici e associazioni equiparate.



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