Diritti della banca e del mercato finanziario 1/2012

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ISSN 1722-8360

di particolare interesse in questo fascicolo Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009

Diritto della banca e del mercato finanziario

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Saggi

• Crisi finanziaria e banche • La ristrutturazione delle Casse di risparmio in Spagna • Sanzioni Consob e giurisdizione • Il procedimento di composizione delle crisi da sovraindebitamento

gennaio-marzo

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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è coordinato dal prof. Vittorio Santoro. Nell’anno 2011, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Alberto Baccini, Emilio Beltrán, Stefania Pacchi, Antonio Piras, Michele Sandulli, Antonella Sciarrone Alibrandi, Maurizio Sciuto, Giuseppe Terranova, Francesco Vella.


Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria

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Sommario 1/2012

PARTE PRIMA Saggi I limiti del mercato e il fallimento della regolamentazione, di Vittorio Santoro Contro la banca universale e la contabilità di Stato bancaria, di Fabio Merusi La reestructuración de las cajas de ahorros en la crisis del sistema financiero español, di Francisco León Sanz Uso (e abuso) della tutela cautelare nell’istruttoria prefallimentare, di Pasqualina Farina

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Commenti Sanzioni della Consob e giurisdizione – TAR Lazio, 9 maggio 2011, n. 3034; App. Torino, 25 marzo 2011, con osservazioni di A.N. Amministratori di s.r.l. e azione di responsabilità dei creditori – Cass., 21 luglio 2010, n. 17121; Trib. Milano, 18 gennaio 2011 Fondamento ed ambito della legittimazione del curatore ad agire in responsabilità contro gestori e controllori della società fallita (tra lacune normative di diritto societario e principi fallimentari), di Vincenzo Caridi

Fatti e problemi della pratica

Intorno alla crisi economica: fra diritto, finanza ed etica – Intervista a Lucia Calvosa

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PARTE seconda Legislazione Il nuovo procedimento di composizione delle crisi da sovraindebitamento – L. 27 gennaio 2012, n. 3, disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da indebitamento, con osservazioni di A.N. Norme

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PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ



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I limiti del mercato e il fallimento della regolamentazione* 1. Nel momento storico attuale, in cui in Italia si propone di modificare la Costituzione economica quale una delle risposte alla crisi, credo sia utile e preliminare, al fine di svolgere alcune considerazioni sull’efficacia della regolamentazione del mercato, ripensare al saggio di Natalino Irti su L’ordine giuridico del mercato. La tesi di fondo dello studioso è che il mercato non è un luogo naturale bensì un luogo voluto dal legislatore che presuppone la fissazione di alcune regole 1. Quanti e quali regole siano desiderabili è oggetto di aspre contrapposizioni. Irti ritiene che sia un bene che esse siano poche e pro-concorrenziali e inoltre che, in ordine alla loro formulazione, la Pubblica amministrazione, ancorché nella moderna veste di Autorità indipendente, si mantenga il più possibile estranea 2. Il vero giudice del buon funzionamento del mercato è, e deve essere, il consumatore 3. Proprio a tali fini Irti proponeva l’abrogazione del co. 3 dell’art. 41 Cost. che, come noto, prevede la possibilità che la legge disponga programmi e controlli sull’attività economica pubblica e privata 4. Tale sug-

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Il presente lavoro è stato svolto nell’ambito del PRIN 2008TRXFR su “La crisi dei mercati finanziari” 1 Irti, L’ordine giuridico del mercato4, Roma-Bari, 2001. A sua volta, Libonati, Intervento, in Il dibattito sull’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1999, p. 103 ss., precisa che il mercato deve essere libero dal Governo non dalla legge. 2 Irti, L’ordine, cit., p. 101 s. (ma v. anche 114), argomenta: «il diritto del mercato avrebbe il più alto grado di spazialità e il più basso grado di politicità, il più vasto campo di applicazione e la più limitata base di consenso democratico”. 3 Irti, L’ordine, cit., p. 32 e 58. Tuttavia, i consumatori non sono sufficientemente organizzati al fine di tutelare i propri interessi. 4 Secondo Irti il difetto dell’art. 41 Cost. sta nel fatto che da esso non si deduce «né il principio di concorrenza né l’economia di mercato” (L’ordine, cit., p. 94).

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gerimento ha ispirato la proposta di riforma costituzionale lanciata dal ministro Tremonti e poi fatta propria dalla lettera di intenti del Governo italiano alla UE (26 ottobre 2011). Il Governo, per bocca del ministro dell’Economia, aveva messo in cantiere, non solo, la rivisitazione dell’art. 41 Cost. attraverso la soppressione dei co. 2 e 3, ma si era anche ripromesso una liberalizzazione a tutto campo a partire dal mercato del lavoro. Visto dal punto di vista dei partner europei, l’interesse sembra piuttosto rivolto ad altra riforma costituzionale: quella intesa ad introdurre la regola del pareggio del bilancio statale. Difatti, proprio quest’ultima proposta ha seguito un rapida corsia preferenziale ed è stata approvata subito dopo l’insediamento del successivo Governo Monti. In ogni caso, nella lettera di intenti del 26 ottobre, si legge che è stato presentato “un disegno di legge (la cui approvazione è in corso proprio in questi giorni presso la Camera dei deputati) di riforma degli articoli della costituzione relativi alla libertà di iniziativa economica e alla tutela della concorrenza, nonché alla riforma della pubblica amministrazione in funzione della valorizzazione dell’efficienza e del merito”. Si tratta, per la precisione, della Proposta di legge costituzionale n. 3967 della Camera dei deputati, che riformula l’art. 41 Cost. nei termini seguenti: “L’iniziativa economica privata è libera e deve svolgersi in condizioni di concorrenza. Chi la intraprende ne è esclusivo responsabile”. In definitiva, poiché i co. 2 e 3 dell’art. 41 Cost. sono (insieme ai successivi artt. 42 e 43) norme fondanti del welfare state 5, la Proposta rischia di tradursi nella soppressione del welfare, almeno nell’accezione nota all’esperienza italiana così come storicamente si è sviluppata nel secondo dopoguerra. D’altronde, benché non si possano “festeggiare”, come dall’altra parte dell’Atlantico, trenta e più anni di sostanziale deregolamentazione, non vi è dubbio che anche in Europa ha avuto grande successo la filosofia neoliberista che vorrebbe che tutto sia lasciato al mercato, accettando al più un approccio di vigilanza non intrusivo (light touch regulation 6) me-

5 Graziani, Minervini e Belviso, Manuale di diritto commerciale14, Padova, 2011, p. 11 s., sulla scorta di Belviso, Il concetto di «iniziativa economica privata” nella Costituzione, in Riv. dir. civ., 1961, I, p. 149 ss. 6 L’espressione è diffusa in UK, benché non adoperata dal legislatore di quel paese, ma esprime bene un approccio ben più diffuso. Tra i tanti, cfr. MacNeil, The Trajectory of Regulatory reform in the UK in the Wake of Financial Crisis, in European Business Organization LR, 2010, p. 497 ss.; Tomasic, Beyond “Light Touch” Regulation of British

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glio se sostanzialmente attento alle scelte strategiche degli stessi soggetti controllati. Ma la deregolamentazione ha fallito proprio perché si fonda sulle regole che gli stessi amministrati si danno. 2. Un passaggio del ragionamento di Irti particolarmente importante è quello relativo alle cc. dd. Autorità indipendenti7. Dice Irti: “di fronte all’offensiva della neutralità, la politica e le istanze statali si fanno caute e guardinghe. Una sorta di reciproca dissimulazione (‘dissimulazione onesta’, diremmo col secentesco Accetto), onde, l’ideologia dell’economicismo, e degli affari lasciati a se stessi, si veste di neutralità tecnica e invoca le ‘naturali’ leggi del mercato; mentre le istanze statali si celano in nuove forme, più discrete e accettabili. Nascono così e si moltiplicano nei diversi campi dell’economia le ‘autorità indipendenti’ ” 8. La mistificazione è data dal fatto che le Autorità hanno il carattere e i poteri dello Stato ma non la responsabilità, vuoi quella politica in quanto esse sono caratterizzate da un assoluto deficit di rappresentatività, vuoi quella giuridica in quanto spesso i cittadini non possono ricorrere al giudice contro gli atti o (soprattutto) le omissioni di tali autorità in quanto i provvedimenti di queste ultime sono diretti ai soggetti controllati (vale a dire alle imprese) 9. Draghi, commentando le posizioni di Irti, dissente specificamente su tale punto. Egli infatti, da un lato, conviene che le autorità indipendenti sono parte dell’amministrazione dello Stato di cui, dunque, condividono la natura autoritativa e di preminenza rispetto alle imprese private; ma, d’altro lato, aggiunge che le autorità indipendenti possono fare un salto di qualità qualora siano attribuiti “i poteri di amministrazione in materia economica, pure in presenza dei necessari controlli, a organismi che siano espressione degli stessi interessi da amministrare” 10. In altre

Banks after The Financial Crisis, in The Future of Financial Regulation, a cura di MacNeil e O’Brien, Oxford e Portland, Oregon, 2010, p. 103 ss. 7 Fra i sostenitori del potere neutro delle Autorità indipendenti cfr. Manetti, Le autorità indipendenti, Roma-Bari, 2007; si vedano anche i saggi contenuti nel volume D’Alberti e Pajno, a cura di, Arbitri dei mercati. Le Autorità indipendenti e l’economia, Bologna, 2010, p. 156 ss. 8 Irti, L’ordine, cit., p. 35 s.; v. anche Arora, The Global Financial Crisis: A New Global Regulatory Order?, in Journal of Banking Law, 2010, p. 690. 9 V. più in generale Lalli, Indipendenza e controllo giurisdizionale, in Arbitri, cit., p. 156 ss. 10 Draghi, Intervento, in Il dibattito, cit., p. 92 s.

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parole Draghi ritiene che si debba fare affidamento sull’autoregolamentazione. Non so se l’opinione di quest’ultimo sia rimasta immutata, certo sarebbe interessante conoscerla ora che ha assunto la responsabilità di presidente della Banca centrale europea e in ragione del fatto che l’autoregolamentazione è messa sul banco degli imputati quale concausa nella determinazione della crisi economica. 3. Il problema delle autorità indipendenti si pone in maniera amplificata a livello internazionale 11. È noto che i rappresentanti delle autorità che vigilano sui sistemi bancari e finanziari internazionali (Comitato di Basilea, che raccoglie i vertici delle Banche centrali, e IOSCO, che raccoglie i vertici delle Autorità di controllo dei mercati finanziari 12) si riuniscono periodicamente ed elaborano quelle regole che sono alla base della vigilanza creditizia e finanziaria in pratica in tutti i paesi, vuoi perché tali regole sono poi tradotte in norme interne in quei paesi che adottano gli standard internazionali in tali sedi elaborati, vuoi perché, (nei paesi che non riconoscono l’autorevolezza di tali Comitati) sono le grandi imprese, che operano sui mercati finanziari internazionali, ad adottare spontaneamente tali standard 13. Ebbene a livello politico tali Comitati non rispondono a nessuno, men che mai si può dire che rispondano giuridicamente ai governi nazionali, eppure le loro raccomandazioni costituiscono la base di leggi, direttive, regolamenti in ragione del fatto che il mercato chiede regole uniformi a livello internazionale. La dottrina ha bene evidenziato il deficit di rappresentatività politica 14, particolarmente marcato per quei paesi che a livello internazionale o non partecipano a tali Comitati (sia pure attraverso i rappresentanti delle loro Autorità di settore) o sono sulla scena politica internazionale meno forti 15.

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Cfr. Arora, The Global, cit., p. 670 ss. V. Arora, The Global, cit., p. 679. 13 Per un panorama completo, cfr. Slaughter, A New World Order, Princeton, 2004. Adde Wymeersch, Europe’s New Financial Regulatory Bodies, in European Business Organization LR, 2011, p. 5; Leon, La Reestructuración de las Cajas de Ahorros en la crisis del Sistema Financiero Español, in corso di pubblicazione in Dir. banc., 2012, I. 14 Su cui, comunque, cfr. Arora, The Global, cit., p. 691 ss. 15 Ferran e Alexander, Can Soft Law Bodies be Effective? Soft Systemic Risk Oversight Bodies and the Special Case of the European Systemic Risk Board, in Univ. of Cambridge, Legal Studies Research, paper n. 36/2011, http://ssrn.com/abstract=1676140, accesso del 10 gennaio 2012, p. 2 s. Questi due autori si soffermano, in particolare sul Financial Stability Board, succeduto per decisione del G20 al Financial Stability Forum, che vede 12

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La dottrina ha anche sottolineato i pericoli di cattura dei regolatori da parte degli operatori più forti sui mercati internazionali; il risultato può essere anche l’inefficienza degli standard di volta in volta proposti: si consideri, da un lato, le critiche alle regole di Basilea II e III in ordine alla loro prociclicità 16 con la conseguente inadeguatezza a contrastare le crisi finanziarie; dall’altro, e ancora più clamorosamente, il fatto che lo IOSCO aveva provveduto (nel 2004, rivisto nel 2008) ad elaborare un Code of Conduct Fundamentals for Credit Rating Agencies 17, che però si è rivelato del tutto inidoneo a prevenire il coinvolgimento di queste ultime in alcuni loschi affari relativi alla creazione di strumenti finanziari spazzatura. 4. Nonostante ciò, dall’una e dall’altra parte dell’Atlantico, la prima reazione dei legislatori alla crisi economico-finanziaria è stata una copiosa messe di nuovi regolatori 18. Occorre chiedersi se la risposta sia adeguata, posto che secondo alcuni studi una delle cause della crisi è proprio il fallimento dei regolatori 19, vuoi nella veste pubblica di Agenzie indipendenti, vuoi nella veste privata di Organizzazioni di categoria per l’autoregolazione. I maggiori imputati sono proprio queste ultime. Così come dopo la crisi del ’29 il laisser faire cadde rapidamente in disgrazia, oggi non a caso l’autoregolamentazione dei mercati sembra essere stata messa da parte 20. I regolatori pubblici, dal canto loro, investiti da nuovi compiti

la partecipazione delle Banche centrali, Autorità di regolazione e supervisione e, questa volta, anche dei ministri delle finanze. Sembrerebbe, dunque, assicurato un minimo di rappresentanza politica, salvo che tale rappresentanza è quella dei paesi del G20, con pregiudizio di tutti gli altri. Ma da altri si auspicano misure più significative proprio da parte di tali Comitati internazionali, cfr. MacNeal, The Trajectory, cit., p. 523. 16 V. Davies, The Financial Crisis, Cambridge, 2010, p. 42 ss.; Alexander, The Banking Crisis: Regulation and Supervision, in The Future, cit., p. 438; Persaud, Macro-Prudential Regulation, in ibid., p. 448 s.; Boccuzzi, Towards a new framework for banking crisis management. The international debate and the italian model, in Quad. Ric. Giuridica, Roma, Ottobre 2011, p. 27. 17 Cfr. MacNeal, The Trajectory, cit., p. 504 ss. 18 Gorton e Metrick, Regulating the Shadow Banking System, in http://ssrn.com/abstract=1676947, accesso del 10 dicembre 2011; Walker, The Global Credit Crisis and Regulatory Reform, in The Future, cit., p. 202 s. 19 In ordine alle varie e complesse cause economiche v. Davies, The Financial, cit., p. 35 ss. 20 V. Ireland, The Financial Crisis: Regulatory Failure or Systems Failure?, in The Future, cit., p. 93 ss.

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chiedono più risorse e nell’immediato nessuno sembra negarle 21, ma è facile prevedere che appena tali risorse appariranno pesare eccessivamente sui bilanci pubblici esse verranno nuovamente ridotte 22. D’altra parte alle Autorità si fa carico di notevoli aspettative, rispetto alle quali le risorse finiscono per non essere mai sufficienti, sicché esse devono mettere per così dire le mani avanti e circoscrivere il proprio raggio di azione e con esso la responsabilità 23. Oppure, saranno nuovamente costrette, per ridurre i costi della regolazione, a delegare compiti di controllo ad organismi di autoregolazione e ai c.d. gatekeepers 24. Si cade con ciò in una sorte di infinito circolo vizioso. Secondo una studiosa americana, la Omarova, da tale impasse si può uscire promuovendo una selfregulation diversa 25. La strada, d’altra parte, parrebbe obbligata, posto che solo la selfregulation supera i limiti territoriali della regolazione nazionale e, conseguentemente, evita il fenomeno dell’arbitraggio regolamentare, posto che, inoltre, favorisce gli effetti benefici dell’innovazione finanziaria 26. Omarova

21 Cfr. Pan, Understanding, Financial Regulation, in Cardozo Working Paper, n. 329, Aprile 2011, p. 34 ss.; il medesimo a. (a p. 4) afferma: «Across Europe and the United States, national leaders have called for stronger regulation of the financial markets”. V. anche De Benedetto, Indipendenza e risorse delle Autorità indipendenti, in Arbitri, cit., p. 184 ss. 22 In Italia, ad esempio, la legge di stabilizzazione finanziaria (l. 122/2010) e la c.d. legge Salva Italia (art. 23, d.l. 201/2011, conv. in l. 214/2011) hanno imposto sacrifici, molto puntuali, alle autorità indipendenti di fatto ponendone in discussione l’autonomia e diminuendo l’efficacia dell’azione di vigilanza. Cfr. Merusi e Passaro, Le autorità indipendenti2, Bologna, 2011, p. 84 s. Sul punto, prescindendo dall’esperienza italiana, cfr. anche Wilmarth, The Dodd-Frank Act: A Flawed and Inadequate Response to the Too-Bigto-Fail Problem, in Oregon LR, 89, 2011, p. 956. 23 Valga ancora un esempio italiano: il 22 dicembre 2011 la Banca d’Italia ha avvertito che «riceve moltissimi quesiti che riguardano l’interpretazione e l’applicazione della normativa del settore bancario e finanziario” ma che essa non può fornire una guida a tutto tondo, agli operatori per «interpretare e applicare le norme nel modo corretto” e al pubblico le «risposte sulla normativa”; l’aiuto della Banca sarà, pertanto, circoscritto alle «disposizioni in vigore che essa stessa ha emanato o delle quali è competente ad assicurare l’osservanza”. 24 Cfr. Pan, Understanding, cit., p. 34 ss. 25 Cfr. Omarova, Wall Street as a Community of Fate: Toward Financial Industry SelfRegulation, in Univ. of Pennsylvania LR, 2011, p. 411 ss.; ma v. anche Schwarcz, Financial Industry Self-Regulation: Aspiration and Reality, in Univ. of Pennsylvania LR, 2011, p. 293 ss.; critico Zaring, Fateful Bankers, in Univ. of Pennsylvania LR, 2011, p. 303 ss.; Sampford, Adam Smith’s Dinner, in The Future, cit., p. 23 ss. 26 Sui punti di forza e di debolezza dell’auto-regolamentazione e, rispettivamente, dell’etero-regolamentazione cfr. Pan, Understanding, cit., p. 22 ss.

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sostiene che le imprese private siano meglio equipaggiate per monitorare e trattare i propri rischi su scala globale, sia perché sono in grado di ricevere per tempo le informazioni dal sistema, sia perché possono prevenire i rischi sistemici al di là delle giurisdizioni nazionali 27. Ciò che manca al fine di una maggiore efficacia dell’autoregolamentazione, continua l’autrice, è il senso della “Community of Fate” vale a dire una effettiva unità di intenti del tipo di quella che si è sviluppata, sono gli esempi di Omarova, nell’industria nucleare e nell’industria chimica a livello di standard di sicurezza. Tali industrie sono consapevoli di doversi dare regole autolimitative e di doverne controllare la messa in opera per evitare che le loro attività siano del tutto vietate; si tratta, in altre parole, di rendere tali imprese esplicitamente responsabili in ordine agli effetti economici e sociali della loro attività 28. Gli esempi su cui poggiano le argomentazioni della studiosa non sono del tutto felici; infatti, il recente incidente nucleare giapponese fa dubitare dell’efficacia degli standard e, soprattutto, del loro rispetto da parte dei gestori degli impianti. In verità anche nella proposta della Omarova si aggiunge che, per essere effettiva, l’autoregolamentazione deve avvalersi, pur sempre, della forza coercitiva dell’autorità pubblica 29; sicché per tale via viene meno uno dei vantaggi inizialmente prospettati: quello di superare il limite delle giurisdizioni nazionali. La studiosa americana propone, infine, una sorta di ritorno all’antico 30 vale a dire di distinguere le istituzioni creditizie tradizionali (a cui sarebbe consentito raccogliere depositi), che dovrebbero continuare a godere della tutela pubblicistica, rispetto a istituzioni, che trattano prodotti derivati o complessi, alle quali nessuna “protezione” pubblica

27 Cfr. Omarova, Wall Street, cit., p. 417 ss.; ivi ulteriori riferimenti teorici. Adde Davies, The Financial, cit., p. 100 ss. 28 Cfr. Omarova, Wall Street, cit., p. 419. 29 “A ‘pure’ form of self-regulation without any government presence or intervention is not realistic and is not commonly encountered in practice (…). However, the government’s ability to enforce privately made rules and, if necessary, to step in and impose rules directly is critical. To be successful, most self-regulatory systems have to operate ‘in the shadows of the law’ ”, così Omarova, Wall Street, cit., p. 445 ss.; adde Schwarcz, Financial, cit., p. 296. 30 Infatti, Zaring, Fateful, cit., p. 309 esplicitamente afferma che la proposta di Omarova ha quale precondizione il ritorno all’approccio contenuto nel Glass-Steagall Act.

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dovrebbe essere offerta 31. Proprio quest’ultima scelta spingerebbe la seconda categoria ad una autoregolazione efficiente 32. È facile obiettare a tale ultimo argomento che non è possibile sostenere da un lato che la regolamentazione pubblica è fallita in ragione del fenomeno della cattura dei regolatori 33 e, poi, ritenere che sia sufficiente l’autoregolazione, laddove è evidente che proprio in tale prospettiva il rischio di cattura dei regolatori è massimo 34. In verità tale rischio non manca anche a proposito dei regolatori pubblici. Si è sostenuto, infatti, che anche questi ultimi finiscono per proteggere proprio gli interessi dei soggetti regolati 35. Le ragioni di tale fenomeno sembrano dipendere da: 1) il clima culturale favorevole alla deregolamentazione condiviso dall’accademia e dalle stesse autorità di vigilanza; 2) lo scambio di personale al vertice sia delle autorità sia delle imprese private 36; 3) il fatto che le imprese private contribuiscono, in modo significativo, all’attivo di bilancio delle autorità 37. Non tutte tali ragioni giocano lo stesso ruolo dappertutto. Valga una breve considerazione per l’Italia: certamente anche da noi il clima culturale è profondamente mutato, se non altro per riflesso di quanto accade nell’ordinamento europeo. Quanto allo scambio di personale di vertice, il fenomeno, certamente presente 38, gioca un ruolo minore rispetto al caso degli US e dell’UK. Da noi, mi sembra che il problema – non meno gravido di rischi – sia piuttosto quello del passaggio da incarichi politici

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Omarova, Wall Street, cit., p. 474 ss. Omarova, Wall Street, cit., p. 455. Gordon e Muller (Confronting Financial Crisis: Dodd-Frank’s Dangers and the Case for Systemic Emergency Insurance Fund, in Yale J. on Reg., 2011, p. 151 ss.) e Schwarcz (Financial, cit., p. 296) più realisticamente propendono per la creazione obbligatoria di un fondo rischi sistemici a carico di tale seconda categoria di operatori. 33 Omarova, Wall Street, cit., p. 463 ss. 34 In tal senso cfr. Zaring, Fateful, cit., p. 308 s. 35 Cfr. Macey, The Myth of “Regulation”: The Interest Group Dynamics of Regulatory Changes in the Financial Services Industry, in Wash. & Lee L. Rev., 1988, p. 1277 ss.; Georgosouli, Regulatory Interpretation: Conversational or Constructive, in Oxford J. Legal Stud., 2009, p. 361 ss. 36 Cfr. Langevoort, The SEC as Lawmaker: Choices about Investor Protection in the Face of Uncertainty, in Wash. U.L. Rev., 2006, p. 1598 ss. 37 Cfr. Johnson e Kwak, The Wall Street Takeover and the nexte Financial Meltdown, in Bankers, 13, pp. 82 ss., 118 ss., 133 ss.; Igan ed altri, A Fistful of Dollars: Lobbying and the Financial Crisis, in International Monetary Fund, Working Paper, n. 09/287, 2009. 38 Si pensi alle esperienze curricolari dell’ ex Governatore Draghi nel mondo della finanza privata. 32

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alle autorità di regolazione e viceversa 39. Anche per quanto riguarda i finanziamenti ci sono alcune peculiarità italiane: il bilancio di Banca d’Italia è ampiamente autosufficiente 40, mentre quello di Consob, pur essendo autosufficiente, dipende in larga misura dai contributi versati dai controllati quali corrispettivi dei servizi 41. 5. Si diceva che, secondo un’impostazione accreditata, per rimediare al deficit di rappresentatività politica delle Autorità di regolazione, si debba fare ricorso al principio che ne stabilisce l’indipendenza e la neutralità 42. In Europa il principio è persino garantito dai Trattati 43: tanto vale in particolare per la Banca centrale europea che l’art. 130 Tratt. UE (già 108 Tratt. CE) dichiara indipendente sia dalla Commissione sia dai governi nazionali 44. Ma basta leggere le cronache recenti per rendersi conto che si tratta di un mito effimero: Bini Smaghi, consigliere della BCE è stato oggetto di un ultimatum del presidente francese Sarkozy, e alla fine ha ceduto in barba all’art. 130 del Tratt. UE. Ma paesi importanti come la

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Nella prima direzione sono numerosi gli esempi fra i commissari della Consob, per quanto riguarda Banca d’Italia basti pensare alla recente battaglia per la poltrona di Governatore che ha visto, di misura, prevalere un elemento interno all’autorità quale l’attuale Governatore su alternative più squisitamente politiche. Quanto al passaggio dal governo delle Autorità a quello politico sono emblematici i casi di Ciampi e di Dini. 40 A titolo di esempio, nel conto economico della Banca d’Italia per il 2010, le maggiori voci dell’attivo sono costituite da interessi attivi su operazioni di mercato e su somme rivenienti dalla BCE quale compartecipazione proporzionale alla partecipazione di Banca d’Italia al capitale di quest’ultima. Significativa è anche la voce relativa agli interessi su attività finanziarie nelle quali sono state investite le riserve, gli accantonamenti e i fondi speciali della Banca centrale. 41 Cfr. Merusi e Passaro, Le autorità, cit., p. 82. 42 V. supra nt. 7. 43 D’Alberti, Il valore dell’indipendenza, in Arbitri, cit., p. 25, pone ulteriormente in evidenza che l’ «Unione europea impone o favorisce l’indipendenza delle Autorità nazionali”. 44 L’art. 130 del Trattato, infatti, recita: «Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti”.

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Francia non possono tollerare che nel board siedano contemporaneamente due italiani e nessun francese, evidentemente perché non si crede che i consiglieri siano effettivamente indipendenti dagli interessi dei rispettivi paesi di origine. Il mito dell’indipendenza si generalizza in virtù delle recenti scelte dell’ordinamento europeo, ma continua ad avere i piedi di argilla. La creazione di agenzie europee in tutti i settori finanziari fanno mostra di basarsi ancora una volta sull’indipendenza delle stesse 45; nei Regolamenti, infatti, si legge che il presidente ed i membri “agiscono in piena indipendenza ed obiettività nell’interesse esclusivo dell’Unione nel suo insieme, senza chiedere né ricevere istruzioni da parte di istituzioni o organi dell’Unione, dai governi degli stati membri o da altri soggetti pubblici o privati” (v. gli artt. 42 dei regolamenti citati infra sub nn. 2, 3 e 4; v. anche l’art. 7 del regolamento citato infra sub 1). Peccato che l’attenta alchimia di distribuzione delle sedi e delle poltrone smentisca l’assunto di partenza: lo ESRB (European Systemic Risk Board) è stato istituito con Reg. n. 1092/2010 46 e ha sede a Francoforte in ragione della forte connessione con la Banca Centrale Europea, il cui presidente e vicepresidente, infatti, fanno parte del Consiglio dell’ESRB e, inoltre, la BCE funge anche da Segretariato della nuova Agenzia, vale a dire ne svolge l’attività di gestione quotidiana e ordinaria 47; l’EBA (European Banking Authority) è stata istituita con Reg. n. 1093/2010 ha sede a Londra ed ha per presidente un italiano; l’ESMA (European Securities and Markets Authority) è stata istituita con Reg. n. 1095/2010, ha sede a Parigi ed ha per presidente un olandese; l’EIOPA (European Insurance and Occupational Pensions Authority) è stata istituita con Reg. n. 1094/2010, ha sede a Francoforte ed ha per presidente un portoghese 48.

45 Ferran e Alexander, Can Soft Law, cit., in particolare p. 20 ss.; Arora The Global, cit., p. 683 ss.; D’Ambrosio, Le Autorità di vigilanza finanziaria dell’Unione, in Dir. banc., 2011, II, p. 126 ss. 46 Lo ESRB ha il compito di emettere raccomandazioni e avvisi, ma in definitiva non gode di poteri autoritativi, esso inoltre partecipa al procedimento inteso a dichiarare quando si versi in una “situazione di emergenza”. 47 Ferran e Alexander, Can Soft Law, cit., p. 23 ss. 48 Le Autorità citate sub 2, 3 e 4, nel loro insieme, sono denominate ESA (European Supervisory Authorities) con tale acronimo mi riferirò ad esse di qui in avanti.

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In definitiva gli Stati forti si accaparrano la sede e spesso pretendono che il presidente sia a loro gradito. 6. È opportuno, a questo punto, descrivere schematicamente l’articolazione del Sistema europeo di vigilanza finanziaria: esso si compone, da un lato dell’ESRB con funzioni di vigilanza macroeconomica 49, mentre dal punto di vista micro la vigilanza, affidata alle tre ESA 50, si dipana nei sottosistemi bancario, del mercato finanziario e dei fondi pensione/ assicurativo 51. I relativi Regolamenti sono redatti, per scelta deliberata, tutti esattamente negli stessi termini, salvo piccole differenze: si è già detto, ad es., dell’indicazione della sede diversa per ciascuna Autorità. Essi, per altro, fanno ampio rinvio a norme tutte da costruire. È rilevante che, fra le tre Autorità, l’ESMA è titolare esclusiva dei poteri di controllo nei confronti delle Agenzie di rating 52. Il numero delle “nuove” norme, benché decisamente ridotto rispetto a quanto accade negli US 53, è destinato a dilatarsi enormemente, posto che le ESA si devono coordinare con le rispettive Autorità dei ventisette stati dell’Unione, in un gioco di specchi davvero articolato. Pertanto non può stupire che la maggior parte delle disposizioni siano dedicate alle procedure, nel rispetto della complessa costituzione materiale dell’Unione europea 54. Le ESA sono fortemente limitate dal

49 Secondo il considerando 10) del Reg. n. 1092/2010/UE, compito dell’ESRB «dovrebbe essere quello di monitorare e di valutare in tempi normali il rischio sistemico al fine di mitigare l’esposizione del sistema al rischio di fallimento delle componenti sistemiche e di aumentare la resilienza del sistema finanziario agli shock”. 50 V. supra nt. 48. 51 Cfr. Arora, The Global, cit., p. 684 ss. 52 Wymeersch, Europe’s, cit., p. 3; Brescia Morra, Le linee evolutive della disciplina dei controlli pubblici sulla finanza dopo la crisi recente, in L’ordinamento finanziario italiano2, a cura di Capriglione, Padova, 2010, p. 365; Boccuzzi, Towards, cit., p. 134 ss.; MacNeil, The Trajectory, cit., p. 492. 53 V. par. successivo. 54 Wymeersch, Europe’s, cit., p. 8, così sintetizza i principali campi di azione delle nuove Autorità europee: «1. rulemaking; 2. implementation of EU law; 3. emergency powers; 4. conflict resolution; 5. restricting certain financial products”. Cfr. anche D’Ambrosio, Le Autorità, cit., p. 109 ss.; Kost de Sevres e Sasso, The New European Financial Markets Legal Framework: A real improvement? An analysis of Financial Law and Governance in European Capital Markets from a micro and macro economic perspective, in http://ssrn. com/abstract=1855636, accesso del 7 gennaio 2012, p. 8 ss. Kull, Legal implications of the establishment of the European Securities and Markets Authority, in http://ssrn.com/

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Trattato dell’Unione europea: in particolare esse non godono delle facoltà di produrre norme, sia pure secondarie, in quanto affinché ciò accada sarebbe necessaria una specifica disposizione del Trattato UE 55, che ovviamente allo stato manca. Sicché le ESA, ai sensi degli articoli 8, par. 2, dei Regolamenti, possono, essenzialmente, elaborare progetti, esprimere pareri, formulare raccomandazioni, raccogliere dati. I progetti divengono, in particolare, efficaci solo attraverso una decisione formale della Commissione. Compito precipuo delle ESA è quello di verificare che le regole comunitarie siano effettivamente applicate nei diversi stati membri e di sollecitare le Autorità nazionali alla corretta applicazione delle stesse. Ma qualora tali Autorità si mostrino sorde all’adeguamento, non possono intervenire direttamente ma solo sollecitare l’intervento della Commissione, la quale, a sua volta, può comminare sanzioni ai relativi stati. Il sistema come è evidente è farraginoso e dà luogo ad un risultato paradossale: quello di addebitare allo stato l’inadempimento della relativa Autorità di cui tuttavia l’ordinamento europeo e quello statale pure predicano l’indipendenza 56. Anche qui, dunque, il concetto di indipendenza mostra la corda. I limiti dei poteri delle ESA sono evidenti e la letteratura che si è trattenuta su di essi è già ampia 57. Preme, piuttosto, porre in evidenza che nei Regolamenti affiorano alcune “forzature” di tali limiti scaturite dalla volontà di avere strumenti più efficaci per contrastare la crisi in cui ci dibattiamo. Le “forzature” riguardano soprattutto: 1) gli interventi in situazione di emergenza (art. 18 dei Regolamenti); 2) il trattamento degli intermediari systematically important (artt. 23 ss. dei Regolamenti); 3) la delega di compiti e responsabilità da parte delle corrispondenti autorità nazionali (art. 28 dei Regolamenti); 4) proibizione o limiti (temporanei) alle attività pericolose (art. 9, par. 5, dei Regolamenti). 1) Le situazioni di emergenza devono essere dichiarate dal Consi-

abstract=1948071, accesso del 7 gennaio 2012, p. 5 ss.; Fahey, Does the Emperor have Financial Crisis Clothes? Reflections on the Legal Basis of the European Banking Authority, in http://ssrn.com/abstract=1715524, accesso del 7 gennaio 2012, p. 1 ss. 55 Questo è, infatti, l’auspicio della dottrina Wymeersch, Europe’s, cit., p. 8, il quale in alternativa auspica anche il superamento della c.d. dottrina Meroni, vale a dire della risalente interpretazione rigida del Trattato nell’opinione della Corte di Giustizia, v. appunto il Caso Meroni. Casi 9 e 10/56. ECR 11-48, 53-86. ECJ 1958. 56 D’Alberti, Il valore, loc. cit. 57 V. supra i riferimenti nt. 54.

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glio dei ministri che attiva con ciò i poteri “speciali” delle ESA, ma il Consiglio può essere a sua volta sollecitato a tal fine da parte delle ESA o dell’ESRB 58. Una volta dichiarata la situazione di emergenza, le ESA possono anche “adottare decisioni individuali per chiedere alle autorità competenti di prendere le misure necessarie conformemente alla normativa” emergenziale e per assicurare che le imprese dei rispettivi mercati “rispettino gli obblighi fissati in tale normativa” (art. 18, par. 3). È evidente che si tratta di poteri effettivi delle ESA che non trovano un preciso fondamento né nel Trattato né nelle direttive, ciò spiega perché la loro attribuzione sia circondata da cautele e formule di rito: “in casi eccezionali se è necessaria un’azione coordinata delle autorità nazionali per rispondere a sviluppi negativi che possano seriamente compromettere il regolare funzionamento e l’integrità dei mercati finanziari o la stabilità generale o parziale del sistema finanziario nell’Unione…”. 2) L’art. 23, par. 1, a sua volta, dispone che le imprese too big too fail o comunque “che potrebbero comportare un rischio sistemico sono soggett[e] a una vigilanza rafforzata”. Le ESA, ove necessario, intervengono coercitivamente nei confronti di queste ultime, contribuendo e partecipando “attivamente a elaborare e coordinare efficaci e coerenti piani di risanamento e di risoluzione delle crisi, procedure in situazioni di emergenza e misure preventive per ridurre al minimo l’impatto sistemico di un eventuale fallimento” (art. 25). 3) Le autorità nazionali possono, invece, delegare propri compiti e responsabilità alle ESA, con il consenso delle stesse (art. 28, par. 1). Ciò è pienamente conforme alla dottrina Meroni 59, ma contribuirà ad accrescere i poteri effettivi delle nuove Autorità. 4) Le ESA possono “proibire o limitare temporaneamente talune attività finanziarie che mettono a repentaglio il corretto funzionamento e l’integrità dei mercati finanziari o la stabilità generale o parziale del sistema finanziario dell’Unione nei casi e alle condizioni specificati negli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2, oppure, se così richiesto, in caso di necessità dovuta a situazioni di emergenza” (art. 9, par. 5). Anche in tale caso si tratta di un potere compatibile con la dottrina Meroni in quanto conforme con numerose disposizioni esplicitamente richiamate ed elencate nell’art. 1, par. 2.

58 Cfr. Kull, Legal, cit., p. 36 ss.; Wymeersch, Europe’s, cit., p. 3; con specifico riferimento all’ESMA, cfr. Kost de Sevres e Sasso, The New European, cit., p. 19 s. 59 V. supra nt. 54.

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Penso sia facile profetizzare che il processo di travaso di poteri diretti dalle Autorità nazionali alle ESA sarà destinato, nel medio tempo, a svilupparsi ampiamente. Questo riproporrà a livello europeo due problemi che già affliggono le Autorità indipendenti nazionali quelli: 1) dell’ampia discrezionalità di cui godono nell’esercizio dei poteri; 2) dell’eterogeneità dei fini che reggono l’azione delle autorità. I due temi sono evidentemente connessi. La discrezionalità dipende dal fatto che le norme dei Regolamenti si fermano all’indicazione di principi generali, se non generici, con l’effetto di amministrativizzazione delle regole di vigilanza. Basti dare una rapida lettura all’art. 1 dei Regolamenti, che dispone in ordine all’ambito di intervento delle ESA. La lett. b), ad. es., pone gli obiettivi dell’integrità, della trasparenza e dell’efficienza; mentre la successiva lett. e), dispone che si assicuri che il rischio di credito sia adeguatamente regolamentato; ancora, la lett. d) impone di “evitare distorsioni della concorrenza e l’arbitraggio regolamentare che derivano dall’applicazione di prassi di vigilanza diverse, perché si può mettere in pericolo la stabilità finanziaria”; la lett. f) prescrive di “aumentare la protezione dei consumatori” e… potrei ancora proseguire. Da un lato, l’elencazione di obiettivi così numerosi ne indebolisce la prescrittività. Dall’altro, tali formule, nella loro genericità, impediscono che le decisioni amministrative possano essere sindacate davanti al giudice “per l’alto tasso di discrezionalità tecnica” che presuppongono 60. Si aggiunga a ciò l’eterogeneità dei fini e la mancanza di una scala di valori tra l’uno e l’altro. Non è chiaro, in caso di contrasto in concreto dei fini se, ad es., debba essere salvaguardata in modo primario la stabilità, l’efficienza o ancora l’interesse dei consumatori. Anche l’eterogeneità dei fini accresce la discrezionalità delle Autorità, in quanto consente a queste ultime di stabilire, autonomamente, quali siano gli obiettivi prioritari. È probabile, poi, che se si sviluppa un fenomeno di cattura dei regolatori 61 siano sacrificati gli interessi più deboli: quelli dei consumatori, che da arbitri del mercato, come vorrebbe Irti 62, ne diverrebbero vittime sacrificali.

60 Cfr. Minervini, La Banca d’Italia oggi, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, p. 630; nel contesto americano, cfr. Bar-Gill e Warren, Making Credit Safer, in Univ. of Pennsylvania LR, 2009, p. 90. 61 È presente nella letteratura recente l’affermazione che i regolatori sono enti esponenziali degli interessi complessivi degli intermediari controllati. Cfr. PAN, Understanding, p. 40. 62 Irti, L’ordine, cit., pp. 32 e 58.

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7. Negli US si è posto mano ad una complessa legge, Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act del 21 luglio 2010, che conta più di 1.000 articoli nei quali si prevedono innumerevoli studi, consultazioni, scambi di informazioni e soprattutto l’istituzione di nuove Agenzie federali alle quali sarà rimessa la concreta elaborazione delle nuove regole del mercato 63. Gli esperti prevedono enormi costi di gestione di questa complessa macchina, ma per il momento sembra più forte lo shock della crisi che la preoccupazione per i costi 64. Quanto alle soluzioni: anche dal Dodd-Frank Act emerge un’attenzione alle crisi sistemiche con particolare riguardo al monitoraggio delle istituzioni finanziarie maggiori, vale a dire le banche che hanno un attivo almeno pari a 50 miliardi di dollari ovvero alle istituzioni finanziarie, quali le investment banks e le insurance holding companies che siano sistematically important secondo il giudizio del nuovo Financial Stability Oversight Council 65. È una scelta volta a prevenire i rischi connessi alle imprese finanziarie in ragione del fatto che sono quelle che trasmettono i rischi a tutto il sistema. La peculiarità sta nel fatto che la legge non richiede che le istituzioni finanziarie debbano essere qualificate ex ante quali sistematically important, di conseguenza i commentatori hanno potuto osservare che: “if regulators want to take over a struggling bank, they can simply do so as long as they can say with a straight face that it is ‘in default or in danger of default’ and its default could have ‘serious adverse effects’ on stability” 66. In definitiva, da quanto esposto nel paragrafo precedente e nel presente, si può forse trarre una prima indicazione sul trend comune e di fondo degli interventi legislativi a livello internazionale: nel Dodd-Frank Act tutto, o quasi, è rinviato alle decisioni delle Agencies 67, alla regolamentazione secondaria e agli organismi di autoregolamentazione; del pari in Europa, si è visto, i Regolamenti comunitari fanno ampio rinvio alla regolamentazione secondaria. Si aggiunga, inoltre, che altro punto

63 Cfr. Skeel, The New Financial Deal: Understanding the Dodd-Frank Act and its (Unintended Consequences), Univ. of Pennsylvania L. Sch., paper n. 10-21, ottobre 2010. 64 Cfr. Wilmarth, The Dodd-Frank, cit., p. 1018. 65 Cfr. Skeel, The New Financial, cit., p. 5. 66 Cfr. Skeel, The New Financial, cit., p. 7. Adde Wilmarth, The Dodd-Frank, cit., pp. 954 e 993 ss. 67 Cfr. Wilmarth , The Dodd-Frank, cit., p. 1012.

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di forza comune alla legislazione statunitense ed europea è il rafforzamento del controllo sui rischi sistemici. Invece, a me sembra che costituisca forte punto di divergenza l’attenzione che negli US si dedica alla tutela dei consumatori e che non si dedica, con altrettanta forza, in Europa. Negli US il legislatore ha introdotto, mi limito ad alcuni esempi, una protezione rafforzata quando l’investitore abbia più di 62 anni; ha previsto che la SEC paghi premi alle persone che denunciano violazioni delle norme, a patto che la denuncia abbia quale conseguenza il successo in giudizio dell’Authority contro chi ha violato le norme (section 922 del Dodd-Frank Act 68) 69. In Europa, invece, si punta sull’alfabetizzazione finanziaria (art. 9, lett. a) dei Regolamenti) e sul monitoraggio dell’innovazione finanziaria fino a giungere a “proibire o limitare talune attività finanziarie temporaneamente” 70. Ciò che fa la vera differenza, tuttavia, mi sembra sia la soluzione innovativa del governo Obama, vale a dire quella di affidare la protezione degli interessi dei consumatori ad un’Agenzia specifica (Consumer Financial Protection Bureau) 71, sulla base delle evidenze empiriche, emerse in particolare negli studi e nelle proposte di Oren Bar-Gill e Elisabeth Warren, secondo i quali vi è una stretta correlazione tra il grado di stabilità del sistema finanziario e il grado di protezione dei risparmiatori 72. Infatti, se le Autorità di settore, come dimostra il c.d. fenomeno della cattura dei regolatori, sono enti esponenziali degli interessi complessivi degli intermediari controllati, allora la medesima Autorità non

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V. Pan, Understanding, cit., p. 32 ss.; Engel e McCoy, The Subprime Virus. Reckless Credit, Regulatory Failure, and Next Steps, New York, 2011, p. 227 ss. 69 Si veda anche la sec. 1411 del Dodd-Frank Act che impone ai prestatori di assicurarsi che i debitori abbiano la capacità di ripagare i debiti. 70 V. par. precedente. 71 Cfr. Skeel, The New Financial, cit., p. 12; Engel e McCoy, The Subprime Virus, cit., p. 227; Wilmarth , The Dodd-Frank, cit., p. 1053. Per la precisione il Bureau è un’Agenzia indipendente all’interno del Federal Reserve System: v. Elosta, Dynamic Federalism and Consumer Financial Protection: How the Dodd-Frank Act Changes the Preemption Debate, in North Carolina LR, 2011, p. 1286. Anche in Gran Bretagna è stato istituita la Consumer Protection and Markets Authority (CPMA), con caratteristiche, tuttavia, diverse e direi “più tradizionali”, cfr. Ferran, The Break-up of the Financial Services Authority, in Univ. of Cambridge, Legal Studies Research, paper n. 10/04/2010, http://ssrn.com/abstract=1690523, accesso del 5 dicembre 2011. 72 Cfr. Bar-Gill e Warren, Making, cit., p. 6 ss.

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può essere l’efficace tutore degli intermediari e, allo stesso tempo, dei consumatori 73. Al fine di assicurare ai consumatori una protezione adeguata, il legislatore statunitense ha stabilito che il Bureau ha il potere di qualificare un atto o una pratica commerciale quale abusiva, ogniqualvolta ritenga che essa interferisca con la capacità del consumatore di capire i termini o le clausole di un prodotto o di un servizio finanziario 74; si tratta di non riconoscere, nel linguaggio comune oggi prevalente, il bollino blu. La soluzione degli Stati Uniti meriterebbe di essere perfezionata nell’ordinamento di partenza e di essere estesa ad altri ordinamenti per dare un senso aggiornato all’osservazione di Irti: se è vero, come dice quest’ultimo, che il mercato è il luogo dove “i consumatori sono giudici inappellabili”, in Europa manca un pezzo della vigilanza quello specificamente ed esclusivamente deputato alla protezione dei loro interessi. Io credo che le valutazioni e le indagini di un’Autorità, così concepita, ancorché non possano essere destinate a una tutela giudiziaria diretta a favore dei consumatori/investitori, dovrebbero poter essere utilizzate nelle azioni collettive dei privati contro gli intermediari che abbiano venduto prodotti finanziari pericolosi o semplicemente non dotati del bollino blu. In tale senso gli avvisi dell’Authority costituirebbero un incentivo indiretto alle azioni individuali e collettive dei risparmiatori. A tal fine sarebbe, tuttavia, necessario disporre che la documentazione di cui si sia valsa l’Autorità, durante le proprie indagini, siano messe a disposizione dei consumatori, laddove oggi perlopiù accade che le Autorità preposte alla trasparenza dei mercati oppongano ai risparmiatori/investitori, che ne facciano richiesta, il segreto d’ufficio. D’altra parte, benché nella maggior parte degli ordinamenti il giudice, in quanto peritus peritorum, non potrebbe prestare pedissequo ossequio alle opinioni delle Autorità indipendenti, è evidente che il compito del giudice sarebbe facilitato dalla valutazione precedentemente espressa da una tale Autorità di elevato e specifico profilo professionale; in

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Cfr. Pan, Understanding, cit., p. 40 e a Bar-Gill e Warren, Making, cit., p. 90. In particolare, questi ultimi osservano: «These agencies are designed with a primary mission to protect the safety and soundness of the banking system. This means protecting banks’ profitability. Consumer protection is, at best, a lesser priority that consists largely of enforcing Truth-in-Lending disclosure rules”. 74 Cfr. Elosta, Dynamic, cit., p. 1285 ss. Il Bureau deve assicurare che i prodotti e i servizi finanziari destinati ai consumatori siano “fair, transparent, and competitive”.

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altri termini al giudice non resterebbe che la verifica della validità del ragionamento svolto dall’Autorità. Certo maggiore ausilio deriverebbe da una norma esplicita che imponesse al giudice di tenere in debito conto le considerazioni espresse dall’Autorità preposta alla protezione dei consumatori 75.

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75 Tale scelta è stata, infatti, compiuta dal Dodd-Frank Act, v. Elosta, , Dynamic, cit., p. 1297 ss. Coffee Jr., Law and the Market: Impact of Enforcement, in Univ. of Pennsylvania LR, 2007, p. 266 ss. sostiene che, per rendere effettivo l’enforcement dei privati è necessario rendere più facile l’azione di questi ultimi contro gli amministratori delle società intermediarie e contro i c.d. gatekeepers (organi di controllo interno, società di revisione, società di rating e così via).

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Contro la banca universale e la contabilità di Stato bancaria Sommario: 1. La risposta italiana alla crisi economica degli anni Trenta. La distinzione delle banche per tipologia. – 2. L’apertura all’ordinamento internazionale. La comparsa della Banca universale conseguente alle prescrizioni del Comitato di Basilea e della Comunità europea. – 3. Le prescrizioni di Basilea e il ruolo del capitale proprio nelle banche. – 4. Le banche italiane fra le prescrizioni di Basilea e la crisi economica. La degenerazione degli standard di comportamento bancario in “contabilità di Stato” – 5. Dagli standards di comportamento bancario alla pianificazione del socialismo reale. Liberare le banche dalla contabilità di Stato per liberare l’economia, componente strutturale di una rivoluzione economica.

1. La risposta italiana alla crisi economica degli anni Trenta. La distinzione delle banche per tipologia. Di fronte agli sviluppi della crisi economica le banche sono sempre più “assillate” da standard di comportamento imposti dalle Autorità, internazionali, comunitarie e nazionali più varie (da ultimo nell’ordinamento italiano persino i dimenticati prefetti) che le avvolgono in una ragnatela comportamentale assai simile alle regole della contabilità di Stato che disciplina le pubbliche amministrazioni. Per capire che cosa sta succedendo, e che cosa è successo, conviene partire da lontano, dagli effetti sul sistema bancario italiano di un’altra crisi economica, assai simile a quella attuale, se non altro, nelle sue dimensioni globali: la crisi economica degli anni Trenta. Vista la situazione attuale può essere infatti di qualche interesse ricordare come si presentava in Italia la situazione bancaria all’insorgere della crisi degli anni Trenta. Nonostante che ancora oggi si discuta sulle cause della crisi economica che nel 1929 colpì l’intero mondo occidentale, una cosa è certa, che in Italia l’epicentro della crisi era la banca mista e che lo Stato italiano

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riuscì a superare la crisi economica, prima e meglio di altri Paesi, modificando l’ordinamento del credito 1. Come è noto, la banca mista è quella banca che finanzia l’industria partecipando al suo capitale o, più frequentemente, prendendo in garanzia di finanziamenti a lungo termine una parte consistente del suo capitale azionario. Con la conseguenza, in quest’ultimo caso, che, se la società non è in grado di onorare il finanziamento bancario, la banca diventa il principale, o addirittura l’unico, azionista della società industriale. Con l’ovvio risultato che la banca, divenuta proprietaria di titoli azionari non vendibili, quanto meno a breve termine, sul mercato, non recependo più indietro i finanziamenti concessi non è più in grado di restituire i depositi ai risparmiatori, che è quel che è successo in Italia all’inizio degli anni Trenta a seguito dei finanziamenti concessi dalle banche miste alle industrie durante, o immediatamente dopo, la prima guerra mondiale. È sufficiente evocare il noto episodio della Banca di Sconto: un bel mattino, o meglio, un brutto mattino, i depositanti trovarono gli sportelli chiusi perché la banca non aveva più liquidità. È altrettanto nota la geniale soluzione che va sotto il nome di Beneduce, il banchiere consigliere di Mussolini, il quale, ormai al vertice di uno Stato autoritario, poté realizzare l’operazione suggeritagli dal suo consigliere senza alcuna apprezzabile resistenza, anzi, ricevendo da sindacati dell’epoca telegrammi di ringraziamento: una consistente parte della spesa pubblica prevista nel bilancio dello Stato dell’epoca fu destinata (riducendo addirittura lo stipendio ai pubblici impiegati!) all’acquisto delle partecipazioni azionarie detenute dalle banche miste. Le partecipazioni acquistate “temporaneamente” dallo Stato, ma divenute “stabilmente” delle partecipazioni statali perché nessuno era più in grado di acquistarle, furono poi concentrate in un ente pubblico, l’I.R.I., dando così inizio al fenomeno tipicamente italiano, e per molto tempo preso a modello da altri ordinamenti, delle partecipazioni statali 2.

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Per una descrizione delle cause e degli effetti della crisi del 1929 si rinvia a CataLa grande crisi del 1929. Conseguenze politiche ed economiche, Varese, 1976, e a Kindleberger, Storia delle crisi finanziarie, Bari, 1991. 2 Per tali vicende si rinvia a Franzinelli e Magnani, Beneduce, il finanziere di Mussolini, Milano, 2009 e alle memorie di uno dei protagonisti dell’epoca Guarneri, Battaglie economiche fra le due guerre, Bologna, 1988. Per quanto riguarda le partecipazioni statali e la disciplina bancaria, tali fatti sono stati analizzati in tutte le loro implicazioni giuridiche ed economiche dalla ricerca promossa dal Banco di Roma, Banca e industria tra lano,

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E le banche salvate da Beneduce? Riacquistata la liquidità, poterono riprendere a finanziare ogni tipo di attività economica, superando così la crisi dell’economia reale. Ma perché non “peccassero più”, raccogliendo depositi a vista per investire a medio e lungo termine, furono divise in due categorie, le banche commerciali, che raccoglievano a vista, cioè depositi ritirabili in ogni momento, ed erogavano crediti a breve termine, e banche a medio e lungo termine le quali raccoglievano il risparmio con titoli obbligazionari a medio e a lungo termine, in modo da far sì che la raccolta a medio o lungo termine si “baciasse”, come ancora si dice in gergo bancario, con una erogazione del credito di pari durata. Naturalmente con tutte le combinazioni matematicamente possibili di questo fondamentale concetto: raccolta di pari durata rispetto all’erogazione del finanziamento. Va da sé che banche di questo tipo realizzano (o sono vicine a realizzare) quello che è noto come il paradosso di Caprara: se la banca è un mero intermediario fra la raccolta del risparmio e l’erogazione del credito, l’impresa bancaria non ha bisogno di capitale se non di quello minimo per garantire il funzionamento ordinario dell’azienda. E infatti tutte le banche italiane dell’era Beneduce, trasformate di fatto, o create appositamente di diritto, in enti pubblici, avevano solo un fondo di dotazione iniziale che si integrava nel tempo con qualche percentuale degli eventuali utili. Per avere un esempio di banca che funziona ancora così, basta por mente all’Istituto per il Credito Sportivo, ultima banca pubblica “residua” (così la chiama l’attuale t.u.b.) esistente nel nostro ordinamento, tra l’altro venuta all’attenzione delle cronache in questi giorni proprio in relazione al suo carattere “pubblico”. Ulteriore presupposto di un sistema di questo genere è che le banche commerciali e le banche a lungo termine, chiamate anche “istituti di credito speciale”, facciano soltanto le banche, cioè l’intermediario tra la raccolta del risparmio e l’erogazione del credito. Se le banche facessero anche altre cose riemergerebbe la necessità che l’impresa disponesse di un capitale adeguato per garantirla contro i rischi delle attività diverse dalla pura e semplice intermediazione. Conseguentemente l’ordinamento del credito del 1936, varato alla conclusione dell’operazione Beneduce, vietava alle banche di fare cose diverse dalla intermediazione fra raccolta del risparmio ed erogazione del credito.

le due guerre, vol. I: L’economia e il pensiero economico, vol. II: Le riforme istituzionali e il pensiero giuridico, Bologna, 1981.

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2. L’apertura all’ordinamento internazionale. La comparsa della banca universale conseguente alle prescrizioni del Comitato di Basilea e della Comunità europea. Le cose bancarie in Italia stavano così, quando il nostro Paese si è “aperto” all’ordinamento globale, a quello comunitario e a quello “cooperativo di categoria” fra banche centrali e autorità finanziarie di vario tipo dei vari Paesi non solo occidentali che, per quel che rileva per il nostro discorso riferito alle “tipologie” bancarie, si riunisce presso la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea 3. Donde la dizione di Basilea con numeri progressivi delle deliberazioni di indirizzo che il Comitato dei Governatori delle Banche centrali dei Paesi economicamente più importanti via via adotta. Solo che nell’ambito del Comitato di Basilea e nella Unione Europea, che ne segue pedissequamente le orme traducendone gli indirizzi in norme analitiche cogenti per i Paesi dell’Unione, il modello di banca che si è affermato – va detto con il consenso “masochista” della rappresentanza italiana – non è il modello Beneduce, bensì il modello anglosassone della banca universale, cioè il modello dell’impresa bancaria che può fare tutto, raccolta del risparmio ed erogazione del credito senza limitazioni temporali e senza una necessaria interrelazione fa raccolta del risparmio ed erogazione del credito e, soprattutto, anche qualsiasi operazione finanziaria non bancaria. Ne segue che in questo tipo di banca, come in qualsiasi impresa rischiosa, il capitale non è più un elemento irrilevante, o comunque scarsamente rilevante, rispetto ad una attività di intermediazione che ha

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Ci sono, a dire il vero, altri organismi internazionali di normazione diretta o indiretta che incidono sulla disciplina dell’attività bancaria, che in questa sede si tralasciano, ma che nel loro insieme servirebbero comunque a confermare il discorso contrario alla “contabilità di Stato per le banche universali” che si farà nel testo. I più significativi sono: la IOSCO (International Association of Securities Commissions, una associazione fra le autorità di vigilanza); la IASB (International Accounting Standard Board, che si occupa di uniformare i principi contabili); l’IFAC (Intenational Federation of Accounts, che si occupa anch’essa di principi contabili); il Financial Stability Board, emanazione della riunione periodica dei Paesi del c.d. G20, ai quali vanno aggiunti il Fondo Monetario Internazionale e la Banca mondiale. Per la bizantina evoluzione degli organi di vigilanza bancaria, finanziaria ed assicurativa europei si può vedere la asettica descrizione fatta da Carosio, Indagine conoscitiva sugli strumenti di vigilanza europea dei mercati finanziari, creditizi e assicurativi, Audizione presso la 6° Commissione del Senato della Repubblica, 16 dicembre 2009.

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nelle regole della intermediazione la copertura del rischio d’impresa, bensì proprio nella misura del capitale la misura della garanzia contro il rischio dell’attività imprenditoriale. Dall’adozione di questo modello sono derivati i guai attuali ed, in particolare, quelli delle banche italiane. La misura del capitale è diventato il termine di riferimento quantitativo della attività esercitabile, col risultato che più aumenta il rischio di determinate attività, più aumenta la necessità di aumentare in corrispondenza il capitale secondo quanto previsto dalle prescrizioni del Comitato di Basilea e dalle pedisseque traduzioni comunitarie (la direttiva 2006/49/CE “confessa” addirittura nel preambolo che le disposizioni “concernenti l’importo minimo dei fondi propri degli enti creditizi e delle imprese di investimento costituiscono l’equivalente delle disposizioni dell’Accordo quadro del Comitato di Basilea”…).

3. Le prescrizioni di Basilea e il ruolo del capitale proprio nelle banche. Tanto per averne un’idea possiamo provare a tracciare un sintetico diagramma delle prescrizioni partite da Basilea con una “persuasione morale”, ma con prescrizioni cogenti per le banche comunitarie, e perciò anche per le banche italiane, a seguito della loro recezione in direttive comunitarie 4. Come vedremo sono una specie di caccia spasmodica all’aumento di capitale o alla previsione di accantonare mezzi patrimoniali assimilabili al capitale azionario vero e proprio, per garantire un rischio bancario crescente. E va da sé che il capitale investito in attività finanziarie viene sottratto per definizione al finanziamento dell’economia reale. Il Comitato dei governatori delle banche centrali ha prodotto il primo accordo sulla disciplina bancaria nel 1988, sostituito, nel 2004, dal secondo accordo (c.d. Basilea II); successivamente alla crisi finanziaria, la disciplina è stata ulteriormente modificata (Basilea III), anche se non è stata ancora applicata, dovendo andare a regime nel lontano 2019.

4 Le prescrizioni di Basilea fino alla III sono descritte da Tarullo, Banking on Basel. The Futur of International Financial Regulation, Washington, 2008 e da Wood, Governing Global Banking. Financial Globalization, Aldershot, 2005. Naturalmente le singole previsioni degli accordi vigenti o con previsioni di future applicazioni hanno dato luogo ad una letteratura pressoché sterminata in tutti I Paesi interessati.

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L’accordo del 1988 prevedeva che l’ammontare del patrimonio degli istituti bancari dovesse essere pari all’otto per cento delle attività ponderate per il rischio. All’interno di tale disciplina, la rischiosità delle attività bancarie veniva calcolata secondo regole basate su cinque fattori di ponderazione commisurata alle caratteristiche dell’emittente (rischiosità quasi nulla per gli Stati sovrani, del 20% per le attività verso banche multilaterali di sviluppo, del 50% per prestiti garantiti da ipoteca su immobili residenziali, del 100% per le attività verso il settore privato). Tali elementi di valutazione erano tutt’altro che “scientifici”, non solo perché non garantivano un’adeguata corrispondenza al rischio effettivo dell’attività svolta dalla banche, ma anche perché si prestavano a pratiche di “arbitraggio regolatorio” al fine di eludere i requisiti patrimoniali previsti dall’accordo. Fissata la legge trovato l’inganno: le banche trovarono subito una tecnica per portar fuori il rischio dal proprio bilancio, in particolare quello verso il settore privato valutato al 100%, e perciò dal necessario rapporto con il patrimonio nel quale alla fine cominciarono ad esplodere i rischi non coperti da alcuna garanzia, con qualche altra piccola complicazione, come ad esempio quella di scoprire che il debito pubblico di certi Stati (Messico, Argentina) non era proprio pari a zero. La revisione dell’accordo per risolverne gli aspetti problematici ha dato luogo a Basilea II, approvato nel 2004. Il secondo accordo di Basilea in materia di capitale, a differenza del primo che si riduce a poche prescrizioni, è un documento analitico e ponderoso, di oltre duecento pagine. Basilea II si articola in tre parti (c.d. ‘pilastri’), di cui solo il primo riguarda le nuove modalità di calcolo dei requisiti patrimoniali minimi; il secondo riguarda il controllo prudenziale nel suo complesso e il terzo è dedicato ai requisiti di trasparenza. La prima parte è la più ampia e dettagliata, il pilastro portante. Basilea II lascia invariato il rapporto tra patrimonio e attività ponderate per il rischio, ma sostituisce ai coefficienti fissi della disciplina precedente due nuove modalità di calcolo del rischio stesso: nel metodo standard, i coefficienti di ponderazione per il calcolo del rischio delle attività bancarie variano a seconda del rating dei debitori della banca emessi da agenzie specializzate, mentre nel metodo dei rating interni (Internal Rating Based – IRB, a sua volta distinto tra metodo ‘di base’ e ‘avanzato’) la rischiosità dell’attività svolta dalla banca viene misurata sulla base di sistemi di valutazione elaborati e resi pubblici dalla banca stessa. Non è il caso di sottolineare che anche questi metodi si prestano ad interpretazioni soggettive, per lo più viziate da “ottimismo”.

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Basilea II ha subito numerose critiche non appena si è manifestata la crisi economica mondiale. Da più parti si è messa in rilievo l’inadeguatezza delle regole contenute nei “pilastri” per risolvere i problemi via via emergenti. Prima di tutto si è criticato che le regole non erano vigenti, o ancora vigenti, dappertutto. Per i Paesi della Comunità europea hanno cominciato a funzionare nel 2007 quando già la crisi era cominciata. Negli Stati Uniti hanno cominciato a funzionare nel 2010, quando ormai la crisi era già cominciata da un pezzo, favorita, se non determinata, dal mancato rispetto di regole analoghe a quelle suggerite da Basilea II. Ma di Basilea II è diventato soprattutto problematico il sistema di valutazione basato su rating, sia esterni che interni alla banca. Per risolvere tale inefficienza, diventata in più di un caso drammatica per la totale non corrispondenza del rating alla realtà, nel dicembre 2010 è stato raggiunto un nuovo accordo, denominato Basilea III, questa volta sollecitato dai governi dei maggiori Paesi mondiali che si riuniscono nel c.d. G20, che intende rafforzare i requisiti patrimoniali ed in particolare prevenire effetti negativi sul ciclo economico generale. La prima finalità vien perseguita attraverso prescrizioni che modificano la composizione del patrimonio delle banche, al fine di migliorare la ‘qualità’ del patrimonio stesso: viene introdotta una definizione più stringente di capitale delle banche in modo da eliminarne delle componenti fittizie o comunque esposte a sovravalutazioni e viene previsto un innalzamento delle quote di capitale con maggiore capacità di assorbimento delle perdite. Inoltre viene richiesto alle banche di accantonare un cuscinetto di capitale aggiuntivo, cui poter attingere in situazioni di stress finanziario ed economico (capital conservation buffer, pari al 2,5%). Infine, tali coefficienti sono integrati da un indice di leva finanziaria non basato sul rischio (non-risk-based-leverage ratio): si tratta di un indicatore per limitare il livello di indebitamento del settore finanziario, che richiede alle banche di rispettare un rapporto fisso tra le esposizioni finanziarie e il capitale. Il secondo obiettivo viene perseguito tramite un ulteriore cuscinetto anticiclico, che ha lo scopo di proteggere il settore bancario da fasi di eccessiva espansione del credito totale (countercyclical buffer, variabile dallo 0 al 2,5%). Tali previsioni dovrebbero condurre ad aumentare di parecchi multipli il patrimonio effettivo che le banche dovrebbero possedere per far fronte al loro rischio d’impresa. Secondo stime approssimative, ma forse non troppo lontane dalla realtà, il patrimonio delle banche italia-

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ne dovrebbe aumentare in media, alla fine di Basilea III, di circa venti volte 5. Un peso che il già asfittico mercato dei capitali italiano non potrebbe certamente sopportare, tenuto conto che le nuove indicazioni puntano sul capitale vero e proprio, con riduzione al minimo degli equipollenti patrimoniali, anch’essi, peraltro, decisamente “costosi”. All’inizio dell’apertura del mercato bancario italiano secondo le direttive comunitarie, nel 1992, si temeva la calata degli Unni 6. Forse, se Basilea III sarà veramente attivata non sarebbe forse troppo fantasioso pensare a concentrazioni transfrontaliere di banche “finalmente” europee e cioè alla definitiva perdita di un connotato nazionale delle banche italiane. E forse troverà finalmente applicazione la “società per azioni” di diritto europeo, applicata finora dopo tanti anni di discussioni e di studi, proprio ad una banca dell’estremo Nord dell’Europa 7.

4. Le banche italiane fra le prescrizioni di Basilea e la crisi economica. La degenerazione degli standard di comportamento bancario in “contabilità di Stato”. Come è facile constatare tutte le “Basilee” sono caratterizzate da una continua rincorsa fra l’aumento del rischio e l’aumento del capitale proprio, variamente qualificato e variamente composto da componenti che possono comunque fungere da garanzia per nuovi rischi 8. Va da sé che

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Secondo una stima della Deloitte fatta nel 2010 riportata da Il Sole 24 Ore del 12 settembre 2010. 6 Si rinvia in proposito a Merusi, Dalla banca pubblica alla fondazione privata. Cronache di una riforma decennale, Torino, 2000, p. 17 ss. 7 Cfr. in proposito i modesti risultati ottenuti a seguito di studi e progetti protrattisi per qualche decennio e culminati al fine nel disegno di una società di diritto comune europeo che quasi nessuno ha voluto adottare: Capriglione, a cura di, La nuova disciplina della società europea, Padova, 2008. 8 Sui succedanei patrimoniali del capitale, assai variegati e via via modificati, alcuni addirittura per legge e per regolamento dello Stato, v., ad esempio, Galanti e Marangoni, La disciplina italiana dei Covered Bond, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale della Banca d’Italia, Roma, 2007, Dagnino, “Capitale versato” e “strumenti innovativi di capitale” nella disciplina di vigilanza delle banche italiane: il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, in Banca, impresa, soc., 2009, p. 421 ss. e Cusa, Gli strumenti ibridi delle banche, in Banca, impresa, soc., 2010, p. 81 ss.

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tale rincorsa mette in difficoltà un sistema come quello italiano che è appena passato dalla banca pubblica, con fondi di dotazione irrilevanti, a società per azioni private, ma costituite attraverso lo scorporo e il conferimento dell’azienda bancaria da parte degli enti pubblici, poi formalmente trasformati in fondazioni di diritto privato, le quali ancora detengono, da sole o con altre fondazioni associate, la maggioranza delle partecipazioni azionarie nella società bancaria. Gli enti pubblici e il loro omologo di diritto privato, le fondazioni, non sono certamente operatori economici dotati per natura di disponibilità finanziarie impiegabili in progressivi aumenti del capitale delle società partecipate 9. Né d’altro canto è facile reperire sul mercato dei capitali nuovi soci, specie in un periodo in cui investimenti del genere risultano sottratti ad una economia reale in crisi. E ciò vale certamente per il mercato dei capitali italiano, ma anche i nostri vicini europei per il momento non se la passano meglio. Senza contare che in molti casi i nuovi soci non sarebbero neppure graditi. Il caso del Monte dei Paschi è in proposito emblematico tanto da non necessitare di ulteriori commenti. Ma perché aumenta il rischio e perciò la corrispondente garanzia di capitali propri? Perché la banca universale non fa soltanto l’intermediario fra la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito, anzi, in molti casi, poiché la redditività dell’intermediazione è progressivamente calata fin quasi a scomparire, la tentazione è ed è stata quella di dedicarsi ad attività finanziarie di immediata redditività, ma di esito quanto meno fondato su incerti calcoli di probabilità, che in più di un caso hanno fatto perdere di vista il presupposto bancario di partenza per il quale il “futuro finanziario” ha indotto a trascurare, per usare un eufemismo, lo scrutinio sul merito di credito del destinatario dell’operazione 10. Per restare in Italia basti citare le vicende Cirio e Parmalat in cui le banche hanno “assistito” la collocazione di titoli direttamente sul mercato

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Meritano di essere segnalate in proposito le curiose e inconferenti divagazioni di Benassia, Le fondazioni bancarie di fronte alla crisi finanziaria: prime riflessioni, in Banca, impresa, soc., 2009, p. 357 ss. Ma in termini di messa a fuoco dei problemi che ne derivano per le fondazioni v., invece, Calandra Bonaura, Le fondazioni bancarie come investitori di lungo periodo, ibid., 2010, p. 375 ss. 10 Su tale fenomeno insistono particolarmente Colombini e Calabrò, Crisi finanziarie. Banche e Stati. L’insostenibilità del rischio di credito, Torino, 2011.

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senza alcun scrutinio sul merito di credito dei titoli stessi o, per venire a vicende ben più traumatiche, alla vicenda delle crisi bancarie a catena determinate dai subprime statunitensi, in cui il credito originario, poi cartolarizzato, era stato erogato con riferimento a valori immobiliari inesistenti. Senza contare il diffuso passaggio anche di reputati istituti bancari al mercato delle “scommesse”. Nelle più disparate versioni permesse dall’ars combinatoria i contratti derivati altro non sono che una scommessa su di un evento futuro, un contratto aleatorio, che, come tale, non dovrebbe far parte del mondo bancario, ma che il mondo bancario ha largamente praticato perché permetteva introiti aggiuntivi rispetto a contratti bancari a bassa redditività 11. Ma si sa, nelle scommesse c’è sempre qualcuno che perde… o che si rifiuta di pagare la scommessa come stanno facendo i clienti delle banche convinti dalle stesse ad assicurare il loro futuro con un “derivato”. A questo punto, come è noto, qualcuno si è ricordato di Beneduce o lo ha imitato goffamente senza conoscerlo (si allude, ovviamente, a recenti iniziative prima statunitensi, con l’Emergency Economic Stabilization Act, il c.d. Piano Paulson, e, poi, anche, di alcuni Paesi continentali come, ad esempio, gli interventi congiunti di Belgio, Olanda e Lussemburgo nel capitale del gruppo Fortis e in Dexia) 12. Questi imitatori hanno tentato di rimediare alle crisi bancarie, determinate da operazioni finanziarie “avvelenate” perché viziate nei presupposti bancari, occultati da “combinazioni” finanziarie, come le cartolarizzazioni “strutturate” (cioè composte da una pluralità di titoli di riferimento) o i contratti “derivati”, con danaro proveniente dal bilancio dello Stato, non accorgendosi che, se il danaro proveniente dal bilancio pubblico non è danaro vero, come quello a suo tempo usato da Beneduce, bensì a sua volta proveniente dal debito pubblico, la crisi della banca si trasferisce pressoché automaticamente sui titoli pubblici, spostandosi semplicemente da un mercato all’altro… dal mercato bancario a quello dei titoli pubblici, mettendo in difficoltà gli Stati 13.

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Per un esame delle varie implicazioni del fenomeno v., in data non sospettabile di giudizi influenzati dalla crisi economica, Violi, a cura di, Mercati dei derivati, controllo monetario e stabilità finanziaria, Bologna, 2000. 12 Cfr., in proposito, Pisaneschi, Dallo Stato imprenditore allo Stato regolatore e ritorno?, Torino, 2009. Naturalmente sui singoli provvedimenti si è poi sviluppata una vasta letteratura non sempre consapevole delle esperienze passate e della diversità del nuovo contesto operativo. 13 Cfr. Colombini e Calabrò, Crisi, cit.

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Il che induce a pensare che probabilmente più che continuare a discutere su standard finanziari di difficile applicazione, di inevitabile elusione quando non graditi o addirittura impraticabili a livello imprenditoriale, e in ogni caso notevolmente costosi nella gestione aziendale, forse è il caso di ripensare alle regole dell’impresa bancaria… Cioè di ritornare dall’oggetto “universale” al soggetto banca. Forse più che dettare regole che sottraggono finanziamenti all’economia reale bisognerebbe passare ai divieti di attività in modo da favorire il ritorno delle banche alla loro naturale vocazione, cioè di fare solo le banche intermediando direttamente il risparmio con il credito… Le reazioni un po’ scomposte di qualche interessato a proposte del genere è forse un indice che la strada da percorrere è questa… Ma, in un mercato ormai globalizzato e con interessi finanziari consolidati, basti pensare alla “piazza” di Londra che ormai vive solo di operazioni finanziarie e che da un “ritorno bancario” sarebbe quanto meno fortemente ridimensionata, è più difficile trovare la retta via di quanto non lo fosse ai tempi di Beneduce, il quale, per di più, poteva contare sull’amicizia di un dittatore… In un tempo che sembra ormai lontano, il 2008, l’allora Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, intitolava un suo intervento nell’indagine conoscitiva sulla crisi finanziaria internazionale e sui suoi effetti sull’economia italiana, promossa dalla 6° Commissione del Senato (Finanze e Tesoro), “Un sistema con più regole, più capitale, meno debito, più trasparenza”. A distanza di qualche anno, visti i risultati, forse è il caso di pensare a qualche modifica dell’auspicio contenuto nel titolo… Se preso alla lettera tale auspicio potrebbe finire col coincidere con la pianificazione quinquennale sovietica che, come è noto, morì per eccesso di burocrazia e per eccesso di incognite nel calcolo delle probabilità insito nelle prescrizioni di piano e, nel nostro caso, in tutti gli strumenti finanziari non bancari che, come abbiamo visto sopra, hanno “avvelenato” il rapporto fra la raccolta del risparmio e l’erogazione del credito… 14

14 Nel caso conviene lasciare la parola all’attuale Governatore in una lezione accademica pronunciata prima di diventarlo: cfr. Visco, La crisi finanziaria e le previsioni degli economisti, Roma, 2009, p. 16: “In effetti, l’incubazione di questa crisi si è a lungo sviluppata in un ambito che è al di fuori delle capacità conoscitive dei modelli macroeconomici ed è stata caratterizzata da una diffusa opacità sulle effettive condizioni di salute dei mercati e dei singoli operatori. La presenza delle cosiddette attività tossiche nei

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5. Dagli standards di comportamento bancario alla pianificazione del socialismo reale. Liberare le banche dalla contabilità di Stato per liberare l’economia, componente strutturale di una rivoluzione economica. In riferimento alla logica della pianificazione sovietica (o meglio, al fallimento della pianificazione sovietica) non è una boutade per rendere suggestivo il discorso, ma, almeno a nostro parere, una analogia effettiva. Più aumentano le regole sulla attività bancaria, nel suo insieme e con riferimento alle singole operazioni bancarie e finanziarie, più aumentano i vincoli operativi alle banche universali fino a restringerle entro una ragnatela simile a quella che caratterizza la contabilità dello Stato per gli atti amministrativi. E, come è noto, nelle norme di contabilità dello Stato la legalità, cioè la corrispondenza dell’operazione alla norma, prevale, e si sostituisce alla valutazione di opportunità economica dell’operazione. Lo Stato è certamente uno degli attori del mercato 15, ma non si muove secondo la logica del mercato, bensì secondo la logica del principio di legalità, cioè del rispetto di regole predeterminate. Se le regole sul comportamento dello Stato si estendono all’economia, si passa alla pianificazione (non importa se statale o sovranazionale, in tutto o in parte, cioè all’economia predeterminata da regole comunque determinate e determinabili e fra di loro concorrenti) 16. Solo ora si possono apprezzare osservazioni analoghe fatte da una parte della dottrina tedesca quasi mezzo secolo fa, la quale assimilò alle

bilanci delle banche era nota; ma se ne ignoravano la consistenza aggregata e ancora di più la distribuzione tra gli intermediari. Se da un lato ripercussioni macroeconomiche apparivano inevitabili, dall’altro è divenuto possibile valutarle con maggiore precisione solo dopo che la portata delle difficoltà del sistema bancario si è delineata con chiarezza nell’autunno del 2008, creando panico diffuso e aumenti repentini e generalizzati dell’avversione al rischio. Anche la natura globale della crisi si è definita solo in tempi relativamente recenti: inizialmente veniva ritenuto possibile, pur con le dovute eccezioni, che essa potesse rimanere quasi esclusivamente confinata nell’ambito nazionale statunitense, e che le economie emergenti potessero rimanerne relativamente immuni (ipotesi cosiddetta del decoupling, a lungo considerata plausibile da alcuni osservatori). Solo in tempi recenti è divenuto a tutti evidente che ciò non sta avvenendo, che l’intera economia internazionale è in marcato peggioramento”. 15 La citazione di Stiglitz, Il ruolo economico dello Stato, Bologna, 1992, è di rigore. 16 Naturalmente si potrebbe discutere a quale tipo di pianificazione assomiglia di più. Per i vari tipi di pianificazione si rinvia alla schematizzazione di Egerer, Der Plangewährleistungsansprurch, Baden-Baden, 1971.

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pianificazioni la normativa introdotta nell’ordinamento tedesco per assicurare l’equilibrio finanziario (c.d. Stabilitās Gesetz risalente agli anni ’60 del secolo scorso), costante punto di riferimento degli interventi comunitari fino ad oggi 17. Si potrebbe osservare che il fenomeno dell’estensione del principio di legalità all’economia riguarda solo le banche e le operazioni finanziarie, non l’economia reale, che continuerebbe ad essere affidata alla concorrenza in mercati rilevanti. Ma se il finanziamento dell’economia reale dipende da un sistema finanziario pianificato, regolato da una contabilità pubblica, le caratteristiche, i pregi e i difetti delle “leggi sulla contabilità dello Stato”, cioè della regolazione economica, non possono che riflettersi sull’economia reale alterando il funzionamento della concorrenza e dei mercati. Predicare più regolazione e più concorrenza è una contraddizione in termini, se la regolazione non è funzionale alla concorrenza. Insomma, il Comitato di Basilea e gli altri organi di regolazione della finanza globale potrebbero alla fine avere gli stessi effetti della pianificazione dei Paesi del socialismo reale, cioè provocare crisi a ripetizione sull’economia reale 18. A ciò aggiungasi, come nella contabilità di Stato, il costo dell’inevitabile controllo sull’applicazione della regolazione, come accade in tutti i sistemi fondati sul principio di legalità. La vigilanza bancaria nelle sue progressive e sempre più complesse articolazioni, nazionali, comunitarie e mondiali, è un costo di gestione aggiuntivo: ovviamente sottratto ad investimenti sull’economia reale e/o a servizi pubblici primari che solo le organizzazioni statali possono erogare. Studi empirici, ancora molto parziali, ne hanno messo in rilievo l’entità più che notevole e, progressivamente, crescente col crescere della regolazione 19. Ma, se si scende dall’“empireo” globale e nazionale della regolazione e della vigilanza ai costi di gestione delle singole banche, sempre studi recenti, hanno messo in rilievo che i costi di regolazione pesano mediamente per più di un quinto dei costi gestione delle singole banche 20.

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Cfr. in proposito Stern, Grundfragen der globalen Wirtschaftssteuerung, Berlin,

1969. 18

Cfr. in proposito quanto già sostenuto in Merusi, Variazione su crisi economica e regolazione, in Il diritto dell’economia, 2010, p. 623 ss. 19 Cfr. Piatti, I costi della regolamentazione finanziaria per le banche: Italia, Francia e Spagna a confronto, in Banca, impresa, soc., 2011, p. 9 ss. 20 Cfr. sempre Piatti, I costi, cit., p. 37 ss.

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Il che fa dubitare che caricare di nuove regole (esterne, o interne, operative, o di controllo) le banche universali sia la via giusta per far fronte alla crisi dell’economia reale la quale, certamente, non si sviluppa sottraendole finanziamenti da destinare ad aumenti di capitale e ai costi di gestione delle singole banche, cioè a costi simili a quelli richiesti per il funzionamento per la macchina statale. Come uscirne? È sperabile non per “implosione” come è accaduto per l’economia pianificata del socialismo reale e, sembra, in passato, per altri sistemi economici 21, che avevano conosciuto analoghe degenerazioni burocratiche. Forse riportare le banche a fare le banche, cioè ad intermediare soltanto il risparmio col credito, e vietare la cartolarizzazione dei rischi di credito 22, nonché le scommesse finanziarie fatte da banche sul tipo di quelle che si fanno nelle sale corse, potrebbe essere un buon inizio per uno di quei cambiamenti dell’intero sistema economico che uno studioso, immaturamente scomparso, ha definito “rivoluzioni economiche” 23. Perché si realizzi una rivoluzione economica bisogna infatti modificare la struttura del sistema.

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21 È la spiegazione che al momento gode di maggior credito per spiegare il dissolversi del sistema “palaziale” miceneo. 22 Sui profili giuridici della tecnica della cartolarizzazione si rinvia a Carota, Della cartolarizzazione dei crediti, Padova, 2002. E su gli aspetti degenerativi della cartolarizzazione del rischio di credito si rinvia a Merusi, Per un divieto di cartolarizzazione del rischio di credito, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, I, p. 253 ss. E per i profili più strettamente economici a quanto messo in rilevo da Colombini e Calabrò, Crisi, cit. 23 Cfr. la ponderosa analisi di Ortino, La struttura delle rivoluzioni economiche, Bari, 2010. Naturalmente il ritorno all’economia reale e ad un sistema bancario corrispondente al nome non è un’idea originale, ma una proposta avanzata da più parti, anche se con prospettazioni giuridiche ed economiche assai diverse. Cfr., ad esempio, Kling e Schulz, From Poverty to Prosperity, New York-London, 2009, particolarmente significativo poiché proveniente da un “pentito” (Kling), cioè da un economista che ha avuto un ruolo di corresponsabilità nella vicenda dei subprime. Per rimanere alla letteratura giuridica italiana v., ad esempio, Nigro, Crisi finanziaria, banche, derivati, in Dir. banc., 2009, p. 1 ss.

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La reestructuración de las cajas de ahorros en la crisis del sistema financiero español * Sumario: 1. Las cajas de ahorros en el sistema financiero español. – 1.1 El origen histórico de las cajas de ahorros. – 1.2 Las cajas de ahorros en el sistema financiero español hasta la crisis 2007-2008. – 1.3. La naturaleza jurídica de las cajas de ahorros. – 2. Las particularidades de la crisis financiera 2007-2008. – 3. Las insuficiencias de la Ley Concursal para resolver las crisis de las entidades de crédito. – 4. Las insuficiencias de la regulación especial de las entidades de crédito para la solución de las dificultades económicas en la crisis 2007-2008. – 5. Las medidas concursales adoptadas por España en relación con la crisis de 2007-2008. – 6. La creación del FROB y los procesos de integración de las cajas de ahorros (los SIP). – 6.1 Consideraciones generales. – 6.2. Los planes de integración. – 6.3. El procedimiento de reestructuración. –6.4. El saneamiento de las cajas de ahorros. El recurso a los SIP. – 7. La conversión de las cajas de ahorros en bancos.

1. Las cajas de ahorros en el sistema financiero español. 1.1. El origen histórico de las cajas de ahorros. La evolución y desarrollo de las cajas de ahorros se produce en conexión con la aparición de instituciones que se dirigen a evitar la exclusión financiera de grupos sociales con recursos económicos modestos 1. Las primeras normas reguladoras se aprobaron en 1835 y 1839 (Reales

*

Este trabajo se ha realizado en el marco del Proyecto de Investigación sobre “Principales intituciones de la Insolventia. La riforma consursal. Sociedades y Reintegración (DER 2011-29417-C02-02). 1 Aragón, García Villaverde e Santamaría Pastor, El Régimen Jurídico de las Cajas de Ahorros, Madrid, 1991, p. 30 y ss.; Garcìa Villaverde, La mercantilidad de los préstamos de las Cajas de Ahorros, en Revista de la Facultad de Derecho de la Universidad Complutense de Madrid, 1987, 72, p. 255 y ss.; Martínez Soto, ¿Fueron alguna vez las cajas de ahorros sociedades anónimas?, en Cajas de Ahorros: Nueva normativa, coord. Méndez Ávarez Cedrón, 2011, p. 19 y ss.

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Órdenes de 3 de abril de 1835 y de 17 de abril de 1839). Surgieron como entidades de depósito que tenían como objetivo el fomento del ahorro. En un primer momento se les consideró, a los efectos del control por el Ministerio de Gobernación, como establecimientos particulares de beneficencia. La constitución de las cajas de ahorros se hacía por iniciativa privada, con bastante autonomía en cuanto a su organización. Las instituciones promotoras eran diversas, autoridades provinciales, locales, etc. Las cajas de ahorros junto con los montes de piedad desempeñaron un importante papel frente a la usura. Su actividad consistía, fundamentalmente, en la captación de fondos que destinaban a los montes de piedad para realizar operaciones de crédito con garantía pignoraticia. Las imposiciones se encontraban limitadas. Las cajas de ahorros lograron pronto un amplio reconocimiento social, lo que explica que se adoptaran normas de tipo intervencionista. En 1853, se aprobó un Real Decreto, de 29 de junio, con el objetivo de alcanzar una mayor uniformización. Se establecía una modelo de estatutos que debía ser seguido en la constitución de las cajas de ahorros. Se disponía, además, el ingreso de los excedentes de las imposiciones en la Caja General de Depósitos y Consignaciones, creada con la finalidad de invertir en la financiación de deuda pública a largo plazo. Esta medida provocó la desconfianza y generó la retirada masiva de fondos por parte de los depositantes. A partir de 1880 se produjo un cambio en la concepción de las cajas de ahorros. La Ley de 29 de junio de 1880 dio prioridad a la finalidad social de las cajas respecto de la finalidad de beneficencia. Las cajas de ahorros se independizaron tanto desde un punto de vista funcional como institucional de los montes de piedad. Se eliminaron las restricciones impuestas en 1853 y se introdujo un sistema de orientación de las inversiones de los excedentes de las cajas de ahorros hacia fines sociales. Estas reformas permitieron recuperar la confianza y dieron lugar a un importante aumento de las imposiciones. La finalidad financiera de las cajas de ahorros fue impulsada por el Real Decreto Ley de 21 de noviembre de 1929 y por el Decreto de 14 de marzo de 1933, que se consideran la carta magna de la regulación moderna de las cajas de ahorros. En la Exposición de Motivos del Decreto se decía: “aunque investidas de carácter benéfico, atributo indispensable para ser autorizadas, presentan peculiariedades diferenciadoras de las simples fundaciones de beneficiencia generales o particulares, porque no se limitan, como éstas, a atender sus fines con las rentas procedentes de un capital de dotación o de subvenciones que les estén asignadas, sino que, mediante la administración de depósitos ajenos, cuya productivi-

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dad y defensa requieren instrumentos ágiles, obtienen utilidades que les permiten acometer la ejecución de las obras sociales”. Desde entonces, la regulación posterior reforzó progresivamente la función financiera y crediticia de las cajas de ahorros, sobre todo, a partir del Decreto de 26 de julio de 1957. Al mismo tiempo, se procuró mejorar la profesionalización de la gestión y se incrementaron los mecanismos de control por parte de de los poderes públicos. 1.2. Las cajas de ahorros en el sistema financiero español hasta la crisis 2007-2008. España sufrió una importante crisis bancaria entre 1977 y 1983. La solución de la crisis económica de las entidades financieras se inspiró en aquel momento en el modelo desarrollado en Estados Unidos a raíz de la crisis de 1929 con la creación de la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) en 1933 2. Los procedimientos tradicionales de la quiebra se han revelado inadecuados para resolver los problemas de insolvencia de las entidades de crédito. En España, la situación se acentuaba habida cuenta de las deficiencias que presentaba con carácter general el régimen de la quiebra en el Código de Comercio de 1885. En ese momento se creó en España el Fondo de Garantía de Depósitos (FGD) por Decreto de 11 de noviembre de 1977. El régimen fue completado y desarrollado posteriormente por el Real Decreto Ley 4/1980, de 28 de marzo. Se constituyeron tres FGD, el de los bancos, el de las cajas de ahorros y el de las cooperativas de crédito. Al mismo tiempo, en la regulación específica de las cajas de ahorros, se introdujeron una serie de modificaciones en el régimen por el Real Decreto de 27 de agosto de 1977. En el contexto de aquella crisis financiera y en conexión con el desarrollo del Estado de las autonomías de la Constitución de 1978 tuvo lugar una importante reforma de las cajas de ahorros. Con carácter general, el Banco de España favoreció la concentración del sector financiero español y la expansión de la red comercial como instrumento para ase-

2 Esta solución se inspiró en las legislaciones de algunos de los Estados que ya contaban con instrumentos similares (Sánchez Calero, El Fondo de Garantía de Depósitos Bancarios, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 1, p. 7 y ss.). Sobre la introducción de este modelo en Europa, Díaz Moreno, Las perspectivas de protección de depósitos en Italia: el futuro Fondo di Tutela dei Depositi Bancari en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 1987, 26, p. 341 y ss.

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gurar la solvencia de las entidades financieras y crear grupos financieros competitivos a nivel nacional y global. Hasta la crisis 2007-2008, la regulación española de las cajas de ahorros venía determinada por dos elementos. Por un lado, la competencia sobre las cajas de ahorros correspondía fundamentalmente a las Comunidades Autónomas, con independencia de las competencias que tiene reservadas el Estado en relación con la ordenación del crédito (Sentencias del Tribunal Constitucional 48 y 49/1988) 3. Por otro, se produjo un proceso de equiparación funcional e institucional de las cajas de ahorros con las entidades financieras como consecuencia de la bancarización del sistema económico que tuvo lugar en España de manera similar a los países desarrollados. La Ley reguladora de las normas básicas de los Órganos Rectores de las Cajas de Ahorros (LORCA), Ley 31/1985, de 2 de agosto, responde a estos objetivos. La LORCA trata de reforzar los fondos propios de las cajas de ahorros a través de la emisión de cuotas participativas 4. La naturaleza fundacional de las cajas de ahorros impide que puedan emitir acciones. Las cuotas participativas son instrumentos financieros participativos 5 que computan como fondos propios, dan derecho a participar en los beneficios y también, hasta cierto punto, en las decisiones sobre la organización y la gestión de la actividad que desarrolla la caja de ahorros. Al mismo tiempo, la LORCA fortalece las normas sobre gobierno corporativo a partir de la estructura de organización de las sociedades anónimas 6. Las cajas de ahorros tienen una asamblea general y un consejo de administración. El control en las cajas de ahorros, en el modelo más

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Sobre la significación de la regulación autonómica en materia de cajas de ahorros, Rojo, Á lvarez-Manzaneda, La normativa autonómica sobre cajas de ahorros. Un análisis comparado, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 2008, 112, p. 41 y ss. 4 Sánchez Calero, Sobre el régimen de las cajas de ahorros, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 2007, 108, p. 32-34. 5 Aragón, García Villaverde e Santamaría Pastor, El Régimen, cit., p. 407 y ss.; Cañabate, Las cuotas participativas y el gobierno corporativo, en Revista de Derecho de Sociedades, 2005, 24175, p. 175 y ss.; Colino, Por qué no se emiten cuotas participativas?, en La Ley, 2007, 1670, p. 1 y ss. 6 Aragón, García Villaverde e Santamaría Pastor, El Régimen, cit., p. 151; Esteban Velasco, Algunas reflexiones sobre el sistema de gobierno de las cajas de ahorros, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 2007, 108, p. 37 y ss.; Sánchez Calero, Sobre el régimen, cit., p. 31-32.

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extendido, se reparte proporcionalmente entre los representantes de la Comunidad Autónoma, de los Ayuntamientos, de los impositores, de los trabajadores y de los titulares de las cuotas participativas 7. Desde un punto de vista funcional, en coherencia con esta estructura y composición de la titularidad del control, la actividad de las cajas de ahorros se ha dirigido en buena medida a la financiación de actividades y al impulso de proyectos en los que estaban presentes intereses económico-sociales locales y de las Comunidades Autónomas. Las grandes cajas de ahorros han desempeñado también importantes funciones desde la perspectiva de los intereses generales. Entre otros sectores, el papel de las cajas de ahorros ha sido decisivo en conexión con los procesos de privatización en los mercados de las telecomunicaciones, de la energía, etc. La participación de las cajas de ahorros en estos procesos ha favorecido la estabilidad en el control y la salvaguarda de los fines públicos inherentes a esta clase de actividades reguladas. 1.3. La naturaleza jurídica de las cajas de ahorros. Las cajas de ahorros tienen en el Derecho español la naturaleza de una fundación-empresa de carácter especial 8. Dentro de la tipología de las fundaciones, se considera que las cajas de ahorros son fundaciones mixtas, con fines dotacionales y funcionales. Las fundaciones-empresa dotacionales son un tipo de fundaciones que desarrollan una actividad empresarial como medio para la obtención de los recursos que se destinan al servicio de los fines propios de la fundación. Estos fines pueden ser de naturaleza heterogénea, sociales, asistenciales, culturales, etc. Las fundaciones-empresa funcionales son un tipo de fundaciones en las que la actividad empresarial constituye en sí misma la finalidad de la fundación. La estructura fundacional de

7 Fernández Farreres, La presencia de las Administraciones públicas en los órganos rectores de las cajas de ahorros, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 2007, 108, p. 196 y ss. 8 Aragón, García Villaverde e Santamaría Pastor, El Régimen, cit., p. 120- 122; Embid Irujo, Notas sobre la naturaleza jurídica de las Cajas de Ahorros, en Documentación Laboral, 1995, 46, 1995, p. 13-36; Embid Irujo, El ejercicio de actividades empresariales por las fundaciones (fundación-empresa y fundación con empresa): su significado en el régimen jurídico de las Cajas de Ahorros en España, en Perspectivas del sistema financiero, 2007, 91, p. 29-73; Sánchez Calero, Sobre el régimen, cit., p. 30.

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la titularidad de la empresa responde al objetivo de institucionalizar los fines de la actividad empresarial 9. En el Derecho español, la regulación de las fundaciones es bastante restrictiva con las fundaciones-empresa (art. 24 Ley 50/2002, de 26 de diciembre, sobre Fundaciones). Las fundaciones sólo pueden participar en sociedades mercantiles que tengan la responsabilidad limitada, es decir, básicamente, en las sociedades anónimas y en las sociedades de responsabilidad limitada. Las cajas de ahorros son un tipo especial de fundación que tienen como finalidad la realización de la actividad de crédito en interés de los propios impositores (aspecto que aproxima las cajas de ahorros a las cooperativas de crédito). Al mismo tiempo, las cajas de ahorros tienen también una finalidad social, los beneficios obtenidos se destinan al desarrollo de obras sociales, como la promoción de la educación, de la vivienda, de la cultura, etc. La naturaleza fundacional de las cajas de ahorros conlleva una tensión entre el riesgo empresarial inherente a la actividad financiera y la administración del patrimonio fundacional desde la perspectiva de los fines fundacionales que conducen a una gestión prudente y conservadora del patrimonio de la entidad. El carácter fundacional constituye, además, un obstáculo para que puedan acudir a los mercados de valores para emitir capital, es decir, para obtener los recursos propios necesarios para llevar a cabo la actividad crediticia.

2. Las particularidades de la crisis financiera española 2007-2008. Las entidades financieras españolas apenas se han visto afectadas por uno de los problemas que desencadenaron la crisis internacional: la titulización de las hipotecas de riesgo (conocido como “subprime”). El motivo se ha debido a la prudente supervisión del Banco de España. Como es bien conocido, uno de los elementos básicos de Basilea afecta a las titulizaciones y a las garantías colaterales. En el marco de la internacionalización de los mercados financieros resulta necesario establecer una serie de medidas dirigidas a potenciar la fiabilidad y consistencia de las operaciones financieras entre entidades sujetas al control

Valero Agúndez, La fundación como forma de empresa, Valladolid, 1969, p. 100 y ss. 9

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de distintas autoridades regulatorias que realizan su actividad en el ámbito internacional. Entre otras cuestiones, es imprescindible facilitar los préstamos interbancarios para la obtención de liquidez, para lo que es necesario asegurar la calidad de las garantías entregadas por las entidades financieras por los créditos recibidos. Con este objetivo, se adoptaron diferentes medidas, como el recurso a los instrumentos derivados y las garantías colaterales, el aseguramiento de las operaciones sobre valores mediante la contratación de seguros y la confianza en agencias de calificación independientes para la apreciación del riesgo. En un contexto internacional en el que las entidades financieras se encuentran sujetas a diferentes regulaciones, deberes de información y sistemas de supervisión, estas medidas has tratado de dar fiabilidad al sistema y minimizar los riesgos en las operaciones financieras. La crisis ha puesto de manifiesto que se han producido efectos contrarios a los pretendidos a través de instrumentos como los que se acaban de describir. Este problema se ha presentado con especial intensidad en relación con las operaciones de titulización. Ordinariamente, la emisión de los títulos se estructuraban en diferentes tramos, de forma que la entidad de crédito suscribía los tramos de riesgo y vendía en el mercado los tramos que podríamos calificar de seguros, es decir, el porcentaje correspondiente a los posibles fallidos quedaban en el balance del banco, el resto se vendía a inversores. Antes de que se desencadenara la crisis, en determinadas condiciones, cuando la emisión de títulos estaba adecuadamente garantizada y se cumplían determinados requisitos, se llegó a admitir que los títulos emitidos no fueran soportados por el balance de los bancos. La cobertura de los riesgos de las operaciones financieras por estas vías puede haber contribuido a la relajación en el control sustancial y en el análisis de los riesgos inherentes en cada caso concreto por parte de las entidades de crédito y, también, por las autoridades supervisoras. El Banco de España se apartó del criterio más común y obligó a las entidades financieras españolas a mantener en su balance la íntegra emisión de los títulos. El Banco de España consideró que los riesgos de la emisión eran soportados, en realidad, por la entidad crédito como consecuencia de que se quedaba con la titularidad del tramo en que había mayor posibilidad de fallidos. En cambio, las entidades financieras españolas se han visto afectadas, de manera similar a las entidades de otros países, por la adquisición de títulos y de otros activos financieros, como fuente de liquidez, para la cobertura de riesgos o por otras razones. En España, como en los demás países europeos, las entidades financieras son titulares de deuda de

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otros países europeos, también de deuda soberana española. Estos activos se adquirían por considerarse activos seguros, sin embargo, la crisis ha puesto de manifiesto que se trataba de activos de riesgo. En la crisis de las entidades financieras en España 10, uno de los factores específicos más relevantes ha sido el exceso de riesgos asumidos en relación con lo que se conoce como crédito promotor. En España, la expansión del crédito inmobiliario ha venido propiciada por los bajos tipos de interés. Hay que tener en cuenta además que la actividad inmobiliaria ha supuesto hasta la crisis una importante fuente de financiación de las administraciones públicas, en especial, de las administraciones locales y regionales. Precisamente, éste es uno de los factores que ha potenciado el aumento de los precios de los inmuebles. La morosidad en el crédito promotor ha afectado en mayor medida a las cajas de ahorros que al resto de las entidades financieras, por el impulso recibido de las propias autoridades locales y autonómicas a través de sus representantes en los órganos de las cajas. A esto se une la financiación por las cajas de ahorros de proyectos ligados a intereses locales y regionales con una justificación discutible desde la perspectiva del control de riesgos. La crisis ha hecho aflorar este riesgo operacional asumido por las cajas de ahorros en la financiación de operaciones inmobiliarias y de otros proyectos locales y autonómicos. La bajada de los precios en el mercado inmobiliario ha tenido como consecuencia que las garantías de los créditos hayan devenido completamente insuficientes y ha supuesto la falta de cobertura de los riesgos asumidos. Al mismo tiempo, la crisis ha hecho inviables e insolventes las empresas más frágiles, entre las que se cuentan algunos de los proyectos empresariales financiados por las cajas de ahorros. Esta situación ha provocado que las dificultades económicas se extendieran en cadena y que quedará afectado el conjunto de las cajas de ahorros También ha contribuido a la crisis de las entidades financieras la morosidad en los créditos hipotecarios concedidos a particulares, pero este hecho ha tenido un impacto menor en la solvencia del conjunto del sistema financiero. En relación con este tema se ha producido un amplio

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Sobre las particularidades de la crisis financiera española y la manera en la que ha afectado a las cajas de ahorros, Sánchez Calero e Guilarte, El Real Decreto Ley 11/2010 y la «mercantilización» de las cajas, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 2011, 121, p. 173 y ss.

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debate sobre las carencias que presenta la Ley Concursal de 2003 para la regulación de los concursos de las personas físicas y sobre si se debe admitir la liberación de la deuda hipotecaria o, incluso, de la responsabilidad patrimonial del deudor, por la entrega del inmueble gravado a los acreedores. En este sentido, ha habido dos polémicos pronunciamientos jurisprudenciales recientes que afirman la posibilidad de reconocerlo incluso de lege lata, en función de las circunstancias concretas de los supuestos de hecho objeto de enjuiciamiento (Auto de la Sección 2ª de la Audiencia Provincial de Navarra de 17 de diciembre de 2010 y Auto de 26 de octubre de 2010 Juzgado de lo mercantil n. 3 de Barcelona). La Reforma de la Ley Concursal de 2011 ha optado finalmente por no ocuparse de estas cuestiones.

3. Las insuficiencias de la Ley Concursal para resolver las crisis de las entidades de crédito. Las crisis de las entidades financieras plantean en parte problemas similares a la solución de las situaciones de insolvencia de las grandes empresas. El objetivo de política jurídica en esta clase de supuestos se dirige a la conservación de la empresa a través de la reorganización empresarial 11. De acuerdo con la expresión anglosajona que se ha generalizado, la solución de la insolvencia tiene como presupuesto que las grandes empresas son demasiado grandes para quebrar: Too big to fail. En las grandes empresas se produce una alteración de los presupuestos jurídicos respecto de las pequeñas y medianas. En primer lugar, en las grandes empresas parece romperse la correlación entre poder económico y propiedad. Se produce una disociación entre el poder ejecutivo y la titularidad de la entidad. En segundo lugar, la crisis de la gran empresa tiene unas repercusiones sobre los proveedores y clientes que por su magnitud hace que la crisis de la gran empresa alcance a los intereses generales. Finalmente, las grandes empresas, los grupos multinacionales, concentran un poder empresarial, nacional o internacional, que se sustrae a la sujeción derivada del sistema competitivo de ámbito nacional.

11 Girón, Los institutos concursales en el Anteproyecto de Ley Concursal: sus funciones y relaciones”, en Estudios sobre el Anteproyecto de Ley Concursal, Revista de la Facultad de Derecho de la Universidad Complutense, Madrid, 1985, p. 133 y ss.

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La solución a las dificultades económicas de una gran empresa, como las que participan en los mercados financieros, hace necesaria la adopción de medidas extraordinarias con el fin de lograr el saneamiento de la entidad y la continuidad de la actividad de manera solvente y rentable 12. El plan que se ha de llevar a cabo para resolver la crisis presenta una especial trascendencia, suele tener por objeto la refinanciación y la reestructuración de la empresa y ordinariamente va acompañado de un cambio de control, bien de manera directa o indirecta, como consecuencia de una fusión o de otro tipo de modificación estructural o de un aumento o una reducción del capital social. La Ley Concursal de 2003 no ha contemplado instrumentos eficaces para la solución de las crisis económicas de las entidades financieras ni tampoco para resolver las situaciones de insolvencia de las grandes empresas 13. La Ley Concursal pretende favorecer ciertamente la continuidad de la empresa. La Exposición de Motivos manifiesta de forma expresa la voluntad del legislador de dar prioridad al convenio sobre la liquidación como solución al concurso. De acuerdo con esta finalidad, entre otras cuestiones, se contemplan las modificaciones estructurales como objeto del convenio (art. 100.2 LC). Sin embargo, la regulación concursal española resulta, en realidad, inapropiada para resolver la situación insolvencia a través de reestructuraciones empresariales. De hecho la mayor parte de los concursos, casi el 90%, se resuelven por vía de liquidación judicial. Como también manifiesta la Exposición de Motivos, la Ley Concursal se dirige a la satisfacción colectiva de los acreedores; la conservación a través de la reestructuración de la empresa no es el objetivo último pretendido, se promueve como medio para lograr mejores condiciones de quita y espera en el pago de los créditos. De acuerdo con esta finalidad, los instrumentos previstos para la solución del concurso se corresponden con los instrumentos clásicos del Derecho concursal: la liquidación o el convenio, en aquellos supuestos en los que se pueda alcanzar un menor sacrificio de los acreedores a través de la continuidad de la empresa mediante un aplazamiento o una reducción del pasivo. Las insuficiencias que presenta la Ley Concursal explican que las reestructuraciones empresariales se tengan que adoptar normalmente

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Flessner, Sanierung und Reorganisation, Tubinga, 1982. Gondra, Convenio y reorganización en la nueva Ley Concursal a la luz de los modelos de referencia de la experiencia histórico-comparada, en Estudios sobre la Ley Concursal. Libro Homenaje a Manuel Olivencia, Madrid, 2004, p. 4577. 13

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como soluciones preconcursales, en ejecución de acuerdos dirigidos a lograr una refinanciación del pasivo, o a través de operaciones, cuya justificación resulta discutible, como la autorización judicial a la transmisión de unidades de negocio en la fase común del procedimiento concursal (art. 43.2 LC). Respecto del concurso de las entidades financieras, la Ley Concursal contiene escasas normas. Se prevé, por ejemplo, que el Fondo de Garantía de Depósitos (FGD) designe a uno de los administradores concursales (art. 27.2, 2). El contenido de la Ley Concursal es útil para liquidar unidades económicas resultantes de procesos de saneamiento de entidades financieras y una vez realizado este proceso al margen del concurso. Desde que se inició la crisis económica de 2007-2008 no se ha recurrido a la LC en ningún caso. Sí se ha utilizado, en cambio, en conexión con procedimientos de saneamiento de entidades aseguradoras. El saneamiento de las entidades financieras en España se ha hecho al margen de la legislación concursal, a través de la regulación específica de las entidades financieras.

4. Las insuficiencias de la regulación especial de las entidades de crédito para la solución de las dificultades económicas en la crisis 2007-2008. La trascendencia de la actividad crediticia para los intereses generales justifica la sujeción de esta actividad a un marco regulatorio y la supervisión de las entidades financieras a través de organismos reguladores. Se suele expresar gráficamente que, en la regulación de las entidades financieras, se procede por orden inverso, es decir, el diseño normativo parte de la solución de las situaciones de dificultades económicas y, desde esta perspectiva, se establecen las medidas preventivas adecuadas para asegurar la solvencia en el curso de la actividad de la entidad de crédito a partir del momento mismo de su constitución. El objetivo de estas medidas consiste en asegurar que las entidades de crédito cuenten con los recursos propios suficientes para desarrollar su actividad y se encuentran correctamente gestionadas. La regulación se dirige a establecer instrumentos de control de los riesgos operativos, de los riesgos de liquidez y de los riesgos de solvencia. Las técnicas que se emplean han adquirido un importante desarrollo en paralelo con la complejidad creciente y la internacionalización de la actividad financiera. El Comité de Basilea ha impulsado la homogeneización y la profundización de los instrumentos utilizados en materia de recursos

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propios y sobre la supervisión en este marco de internacionalización de los mercados financieros. En el Derecho comunitario, se ha adoptado la Directiva 2006/48/CE de 14 de junio de 2006, relativa al acceso a la actividad de las entidades de crédito y a su ejercicio, y de la Directiva 2006/49/CE sobre adecuación del capital de las empresas de servicios de inversión y las entidades de crédito. El Derecho español se ha adaptado a los textos comunitarios mediante la Ley 36/2007, de 16 de noviembre, por la que se modifica la Ley 13/1985, de 25 de mayo, de coeficiente de inversión, recursos propios y obligaciones de información de los intermediarios financieros y otras normas del sistema financiero desarrollada por el Real Decreto 216/2008, de 15 de febrero, de recursos propios de las entidades financieras, que modifica el Real Decreto 1343/1992, de 6 de noviembre, y, finalmente, por la Circular 3/2008 del Banco de España, de 22 de mayo, sobre determinación y control de los recursos propios de las entidades de crédito 14. El sistema se apoya, por una parte, en la determinación de los requisitos mínimos de capital y de recursos propios con los que debe contar la entidad de crédito para la cobertura de los riesgos asumidos en función del tipo y del nivel de riesgo asociado a las distintas clases de créditos y de los tipos de operaciones 15. Al mismo tiempo, se establece un modelo de supervisión por los bancos centrales a través de la fijación de deberes de información periódica y puntual que permitan el análisis económico financiero y la comprobación del cumplimiento de los requisitos de recursos propios mínimos por la entidad de crédito, así como el control y la evaluación de los riesgos y de la solvencia por la autoridad regulatoria 16. El sistema se completa con medidas de otra naturaleza pero que también contribuyen a reforzar la solvencia de las entidades de crédito, como el régimen de auditoría externo, el sistema

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Modelo de Supervisión del Banco de España, 17-06-2009, in www.bde.es/webbde/ es/supervision/funciones/modelo_de_supervision.pdf; López Pascual, Sebastiàn González, Gestión Bancaria, Madrid, 2009, p. 222 y ss. 15 Art. 6 Ley 13/1985 y arts. 12 y ss. Real Decreto 216/2008. El art. 17 de esta norma reglamentaria preveía que los grupos consolidables de entidades de crédito y las entidades de crédito no integradas en un grupo deberán mantener un coeficiente de solvencia que no podrá ser inferior al 8%. 16 La competencia del Banco de España para la supervisión de las entidades de crédito se encuentra prevista en el art. 7.6 Ley 13/1994 sobre autonomía del Banco de España, art. 43bis de la Ley 29/1988 de Disciplina e Intervención de las entidades de crédito (LDIEC) y art. 9.2 y 10bis Ley 13/1985.

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de garantía de depósito e inversiones o la intervención de otras autoridades públicas como la CNMV. Se establece una obligación de comunicación al Banco de España con carácter inmediato de los grupos consolidables de entidades de crédito o de las entidades de crédito no pertenecientes a uno de estos grupos cuando aprecien un déficit de recursos propios respecto de los mínimos requeridos (art. 11 Ley 13/1985 y arts. 75 y 76 Real Decreto 216/2008). El grupo o la entidad de crédito afectada por esta situación deberá presentar un programa en el que se concreten los planes que hagan posible volver al cumplimiento. El programa tiene que identificar las causas del incumplimiento del nivel de recursos propios exigible y proponer un plan de actuaciones para volver al cumplimiento, que puede referirse tanto a la limitación al desarrollo de actividades que supongan riesgos elevados como a medidas para el aumento del nivel de recursos propios, junto con una estimación de los plazos en los que se va a desenvolver el plan. Corresponde al Banco de España la aprobación del programa en un plazo máximo de tres meses desde su presentación, quien podrá exigir medidas adicionales a las propuestas, con el fin de asegurar el cumplimiento de los requisitos mínimos sobre recursos propios. Si el déficit de los recursos propios computables fuera igual o inferior al 20% resultaría necesaria la aprobación del Banco de España de la propuesta de aplicación de los resultados, en los términos que reglamentariamente se disponen. Si el déficit fuera superior al 20% o los recursos propios básicos descendieran por debajo del 50%, deberá destinar a reservas la totalidad de los beneficios o de los excedentes netos. En caso de dificultades económicas, el modelo de ordenación de la solución de las crisis de las entidades financieras descansa en los FGD. Esta institución tiene por objetivo 17 la confianza en el crédito de las en-

17 García De Enterrìa, La reforma del fondo de garantía de depósitos bancarios, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 1994, 55, p. 569 y ss.; García Villaverde, Instituciones concursales y paraconcursales: el ámbito de la reforma, Estudios sobre el Anteproyecto de Ley Concursal, Revista de la Facultad de Derecho de la Universidad Complutense, Madrid, 1985, p. 189 y ss.; Iglesias Prada, Perfiles generales de las crisis en la Banca española contemporánea, en Revista de Derecho Mercantil, 1984, 171, p. 47 y ss.; Sánchez Andrés, Las crisis bancarias en España. Apuntes sobre su tratamiento hasta la mitad del siglo XX, en Revista de Derecho Mercantil, 1984, 171, p. 7 y ss; Priego, Tratamiento jurídico de las crisis bancarias, en Lecciones de Derecho Bancario y Bursátil, coordinato da Zunzunegui, Madrid, 2001, p. 95 y ss.; Rojo Fernández Río, Las crisis de las cajas rurales,

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tidades financieras mediante el aseguramiento de los depósitos hasta la cuantía establecida y la previsión de instrumentos que permitan resolver las dificultades económicas que puedan atravesar. El FGD cumple la función de solidarizar el riesgo de insolvencia entre las entidades de crédito de forma que se pueda poner remedio a las crisis económicas de la forma más eficiente y sin tener que recurrir a la ayuda pública. Se nutre de las aportaciones de las diferentes entidades en la medida necesaria para atender a los cometidos que tiene asignados. Es menos costoso y favorece más la confianza en el crédito que el FGD proporcione la financiación necesaria para resolver la situación crítica de la entidad sin tener que esperar al momento en el que no pueda atender las órdenes de retirada de depósitos 18. La capitalización de esta financiación convierte al FGD en el principal accionista, de esa forma se encuentra en condiciones de proceder de la mejor manera para resolver la crisis 19. La actuación del FGD se refuerza con las competencias coercitivas y sancionadoras del Banco de España, que pueden llegar a la intervención de la entidad y a la sustitución de los administradores de la entidad 20. La regulación de los FGD se modificó por el Real Decreto Ley 12/1995, y sus normas de desarrollo, por el que se incorpora al Derecho español la Directiva 94/19/CE sobre sistemas de garantía de depósitos. Las medidas sobre recursos propios, control y saneamiento se han revelado insuficientes 21 para solventar las crisis sistémicas, como la desencadenada en 2007/08. Estas medidas se dirigen reforzar la solvencia y a resolver las situaciones de dificultades económicas de las entidades

en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 1985, 17, p. 7 y ss; Rojo Fernández Río, Aspectos civiles y mercantiles de las crisis bancarias, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 1988, 29, p. 113 y ss.; Sánchez Calero, El Fondo de Garantía de Depósitos Bancarios, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 1981, 1, p. 7 y ss. 18 García De Enterría, La reforma, cit., p. 569 y ss.; Iglesias Prada, Perfiles, cit., p. 65 y ss.; Sánchez Calero, El Fondo, cit., p. 55 y ss. 19 Sobre los aspectos societarios, Rojo Fernández Río, Aspectos, cit., p. 119 y ss. 20 Aragón, García Villaverde, Santamaría Pastor, El Régimen, cit., p. 567 y ss.; Jiménez Blanco, en Comentarios a la Ley de Disciplina e Intervención de las Entidades de Crédito, diretto da Fernández, Madrid, 1991, p. 117 y ss.; Villar Palasí, Medidas de intervención y sustitución, ponencia sobre el Proyecto de Ley de Disciplina e Intervención de las Entidades de Crédito, en el coloquio en el que participaron García De Enterría, Sánchez Calero, Fernández, y Broseta, publicado en la Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 1987, 28, p. 730 y ss. 21 Recalde, El papel del “Derecho” en las crisis. Algunos aspectos de la regulación financiera y de las grandes empresas en relación con la economía, Documento de trabajo 150/2009, Fundación Alternativas, 2009, p. 17 y ss.

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financieras singulares. Sin embargo, son ineficaces para resolver las crisis financieras que alcanzan al conjunto de las entidades en un contexto global, incluso con independencia de que cumplan las normas sobre recursos propios y cobertura de riesgos. Por otro lado, en relación con las cajas de ahorros, precisamente, las entidades más afectadas por las crisis, se suscita un doble orden de cuestiones que acentúa la dificultad de resolver la crisis. En primer lugar, se plantea una cuestión de orden constitucional, la competencia de las Comunidades Autónomas en la ordenación y el control de las cajas de ahorros y la significación política de estas entidades para el desarrollo de las economías regionales. En segundo lugar, las cajas de ahorros tienen un problema estructural para la obtención de los recursos propios necesarios para cumplir con los requisitos de solvencia: no tienen la posibilidad de emitir capital y la emisión de cuotas participativas se ha revelado un instrumento ineficaz para alcanzar este objetivo.

5. Las medidas concursales adoptadas en España en relación con la crisis de 2007-2008. Las insuficiencias de la Ley Concursal desde la perspectiva de los intereses de las entidades de crédito han llevado a que se aprueben varias reformas, cuyo contenido viene motivado, al menos en parte, por su significación para el sistema financiero. En este sentido, destacan los instrumentos creados para resolver las dificultades económicas de las empresas sin tener que proceder a la declaración del concurso. La declaración de concurso de las empresas deudoras tiene un reflejo inmediato en la contabilidad y en la apreciación de los recursos propios de las entidades de crédito acreedoras. Con el objetivo de amortiguar este impacto se han tomado diferentes medidas. Se ha flexibilizado la obligación de disolver la sociedad por pérdidas. En diciembre de 2008 se publicó el Real Decreto Ley 10/2008 por el que se adoptaban medidas financieras para la mejora de la liquidez de las pequeñas y medianas empresas, y otras medidas económicas complementarias. Entre éstas últimas se encontraba, en su Disposición Adicional Única, la no computación de las pérdidas por deterioro de valor reconocidas en las cuentas anuales, derivadas del inmovilizado material, las inversiones inmobiliarias y las existencias, a los efectos de la causa de reducción obligatoria de capital o de disolución obligatoria por pérdidas en las sociedades anónimas y en las sociedades de responsabilidad limitada.

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La Ley Concursal se ha reformado en dos ocasiones de manera importante, en primer lugar, por el Real Decreto Ley 3/2009 y, recientemente, por la Ley 38/2011, de 10 de octubre, de reforma de la Ley Concursal 22. El Real Decreto Ley 3/2009 creó los institutos preconcursales para que las empresas pudieran evitar el concurso y resolver las situaciones de dificultades económicas a través de acuerdos de refinanciación. En su concepción inicial, se trataba de acuerdos que tenían por objeto la reestructuración del pasivo, del financiero básicamente, y también del subordinado, que quedaban inmunes a la rescisión concursal. La persistencia de la crisis ha hecho que las empresas no pudieran salir adelante incluso después de haberse refinanciado. La regulación introducida en 2009 ha resultado insuficiente para este nuevo escenario. En 2011 se ha modificado el régimen de estos institutos con la finalidad de reforzar su consistencia mediante la ampliación de las medidas de protección para los casos en los que el deudor no consiguiera solucionar los problemas pese a los acuerdos de refinanciación adoptados. El plazo de la obligación de solicitar la declaración del concurso se ha ampliado (art. 5 bis LC). Este plazo se extiende de dos a seis meses, siempre que el deudor presente una comunicación ante la jurisdicción mercantil en la que manifieste encontrarse en estado de insolvencia y estar negociando un acuerdo con sus acreedores para salir de esta situación. Desde la presentación de la comunicación, se paralizan además las solicitudes de concurso necesario iniciadas por los acreedores. La comunicación es una mera manifestación del deudor dirigida al Juzgado competente. Los efectos de la comunicación se producen con la recepción por el Secretario judicial que se limita a dejar constancia de su presentación. La verosimilitud de la comunicación no es verificada por ninguna instancia, se apoya en la declaración del deudor. Al mismo tiempo se ha creado una vía preconcursal, la de los acuerdos de refinanciación, para que el deudor pueda resolver la situación de dificultades económicas a través de un convenio con sus principales acreedores, normalmente las entidades de crédito, sin tener que proceder a la declaración de concurso (art. 71.6 LC). Este cauce parece haber

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La reforma de 2011 también tiene como objetivos principales la agilización del procedimiento concursal, la reforma de la administración concursal y el reforzamiento de los créditos públicos, la posición de la Hacienda pública y de la Seguridad Social. Asimismo, trata de resolver algunas deficiencias observadas, como, por ejemplo, en materia de responsabilidad concursal.

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recibido la influencia o, al menos, haberse inspirado en el Derecho italiano, de los Convenios de Reestructuración de Deudas (art. 182.bis Legge Fallimentare) y de la excepción a la revocatoria introducida en el art. 67 Legge Fallimentare respecto de esta clase de convenios y de los denominados créditos de saneamiento (letras e) y d), respectivamente, del artículo 67). Existen, sin embargo, diferencias relevantes entre la regulación española y la italiana, tanto desde el punto de vista de su significación funcional como del contenido del régimen establecido. La finalidad de los acuerdos de refinanciación consiste en facilitar la superación de la crisis del deudor mediante un aumento significativo del crédito o bien a través de una modificación de las obligaciones. Los acuerdos de refinanciación han de responder a un plan de viabilidad que razonablemente haga posible la continuidad de la actividad profesional o empresarial y el cumplimiento regular de los compromisos adquiridos con los acreedores. Los acuerdos de refinanciación tienen naturaleza contractual. No son objeto de homologación por los órganos jurisdiccionales. De este modo se pretende evitar la equiparación con el tratamiento de las situaciones concursales tanto desde el punto de vista contable-financiero como desde la perspectiva de la determinación de los recursos propios de las entidades de crédito. El contenido de los acuerdos de refinanciación es variado, la transformación de deuda a corto plazo con intereses elevados en deuda hipotecaria con garantía a largo plazo con intereses más bajos, la unificación de la financiación, la ampliación del crédito con entrega de nuevas garantías para resolver los problemas de liquidez, el recurso a las daciones en pago como fórmula para reducir el pasivo y/o para separar los activos tóxicos de los activos rentables, la adopción de una modificación estructural o la transmisión de unidades empresariales, etc. En caso de concurso, estos acuerdos no pueden ser objeto de rescisión 23. Únicamente cabe la impugnación por otras causas por la administración concursal. El riesgo de rescisión ha sido una de las razones que ha retraído a la banca de acceder a ampliar la financiación o modificar las condiciones de los créditos. El régimen rescisorio concursal español es especialmente riguroso, pues resulta irrelevante la buena fe de la contraparte para rescindir el acto y se subordina el crédito surgi-

23 La acción rescisoria es la correspondiente en el Derecho español a la azione revocatoria del derecho italiano.

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do de la rescisión en los casos de mala fe. La práctica jurisprudencial ha interpretado, además, de forma bastante estricta esta regulación en relación con las operaciones de financiación bancaria. La exención de la rescisoria concursal se amplía tanto a los acuerdos de financiación como a los pagos, al otorgamiento de garantías y a los actos realizados en ejecución de los acuerdos adoptados. Los acuerdos de refinanciación han de cumplir con determinados requisitos para poderse beneficiar de este régimen. Resulta imprescindible que cuente con el refrendo del 60% del pasivo. En la práctica, resulta imprescindible para alcanzar el porcentaje del pasivo exigido la participación de las entidades de crédito, que, por otra parte, son las que están en condiciones de contribuir a la refinanciación mediante la asunción de compromisos de esta clase. Con el fin de evitar abusos en perjuicio de los acreedores que no forman parte del acuerdo de refinanciación pero que se ven afectados en caso de concurso, la razonabilidad del plan de viabilidad y la proporcionalidad de las garantías exigidas se asegura mediante la intervención de un experto independiente designado por el Registrador mercantil. Se requiere, además, que los acuerdos de refinanciación se eleven a escritura pública. La reforma de 2011 de la Ley Concursal introduce una serie de cambios con el objetivo de reforzar la protección de los acuerdos de refinanciación. Con esta finalidad, se establece que tengan la consideración de créditos prededucibles como créditos contra la masa en caso de concurso el 50% de la financiación adicional otorgada en cumplimiento de un acuerdo de refinanciación (art. 84.1, 11º). El 50% restante se califica como créditos con un privilegio general (art. 91.6º). De este modo, se pretende asegurar a las entidades firmantes del acuerdo la recuperación de la nueva financiación otorgada para el mantenimiento de la actividad empresarial, en el caso de que el deudor finalmente concurse. Estas medidas han entrado en vigor de manera inmediata y se aplican a los concursos en tramitación. Al mismo tiempo, se prevé un procedimiento para la homologación judicial de los acuerdos de refinanciación (DA 4ª) con la finalidad de extender su vigencia a las entidades de crédito que no fueran parte de los acuerdos. La homologación tiene como presupuesto el cumplimiento de los requisitos establecidos para los acuerdos de refinanciación (art. 71.6), a los que se añaden una doble exigencia. En primer lugar, han de contar con un respaldo importante de las entidades de crédito, los acuerdos de refinanciación han de haber sido suscritos por las entidades que representen al menos el 75% del pasivo bancario. Al mismo tiempo, han de cumplir con el requisito de fondo de que los acuerdos de refi-

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nanciación no pueden suponer un sacrificio desproporcionado para las entidades que no sean parte de los acuerdos adoptados. La homologación judicial tiene como efecto la aplicación de la espera pactada en los acuerdos de refinanciación a los créditos que no estén asegurados con una garantía real de las entidades financieras que no los hayan suscrito. Asimismo, se paralizan las acciones ejecutivas promovidas por las entidades de crédito durante el tiempo de la espera convenida con un plazo máximo de tres años. El objetivo de la homologación judicial consiste en impedir que las entidades de crédito que no formen parte del acuerdo, con una participación relativamente pequeña en el pasivo financiero, puedan poner en riesgo la viabilidad del acuerdo de refinanciación y la continuidad de la empresa, como consecuencia, por ejemplo, del embargo de los ingresos generados por la actividad empresarial. También se han adoptado otras medidas en la ordenación del procedimiento concursal con el objetivo de fortalecer la posición de las entidades financieras e, indirectamente, favorecer la financiación a las empresas con dificultades económicas y las soluciones preconcursales. Con carácter general se prevé la rescisión, con una presunción de Derecho necesario, respecto de los pagos de obligaciones no vencidas (art. 71.2 LC). La reforma de 2011 ha establecido una excepción para los pagos de créditos con garantía real, en los que se admite que se pueda evitar la rescisión mediante la prueba de que no existe perjuicio (art. 71.3, 3º LC). También se ha reformado en diversas ocasiones la regulación de las garantías financieras para asegurar su consistencia en caso de concurso del deudor (Real Decreto Ley 5/2005 24 y arts. 61 y 62 LC). Las reformas del régimen rescisorio también favorecen las soluciones preconcursales mediante operaciones de refinanciación de las empresas con dificultades económicas, sin necesidad de celebrar acuerdos de refinanciación que cumplan los requisitos del art. 71.6 LC. La desaparición de la presunción de los pagos anticipados de los créditos con garantía real a los efectos de proceder a la rescisión amplia las posibilidades para la extinción de préstamos como paso previo a la obtención de una nueva financiación.

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El Real Decreto Ley adapta el Derecho español a la Directiva 2002/47/CE del Parlamento Europeo y del Consejo, de 6 de junio de 2002, sobre acuerdos de garantía financiera. En la jurisprudencia española se han suscitado problemas fundamentalmente en relación con el tratamiento de los swaps de intereses en el concurso.

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El cauce de los acuerdos de refinanciación resulta especialmente adecuado para empresas fuertemente apalancadas, como suelen ser las empresas del sector inmobiliario, las más afectadas por la crisis. Se trata de una vía que permite a las entidades de crédito decidir si promueven una solución a la situación de dificultades económicas del deudor sin tener que proceder a la declaración de concurso y sin la intervención de un órgano jurisdiccional. Como las negociaciones suelen ser difíciles, se flexibiliza el régimen de la disolución por pérdidas y se permite una ampliación del plazo para solicitar la declaración de concurso. Existe, no obstante, un riesgo ineludible de que el deudor y las entidades de crédito puedan llegar a un acuerdo que sea favorable a sus intereses y que resulte abusivo para los demás acreedores, como consecuencia de la insuficiencia de las garantías previstas para la tutela de los sujetos que no forman parte pero se ven afectados por los acuerdos adoptados. En contraste con el conjunto de medidas que favorecen la posición de las entidades de crédito, la jurisprudencia concursal ha endurecido progresivamente el rigor en la resolución de las cuestiones en que son parte. Se ha considerado que su actuación abusiva justifica la rescisión de operaciones realizadas entre el deudor y la entidad financiera, la pérdida de las garantías y la subordinación de los créditos. Algunas sentencias han llegado incluso a considerar a las entidades de crédito como administradoras de hecho (véanse las Sentencias del Juzgado de Primera Instancia n. 1 de Málaga 160/2011, de 7 de abril y 203/2011, de 26 de mayo) 25. Las insuficiencias de la Ley Concursal para facilitar una solución rápida al concurso y que haga posible la continuidad de la empresa resultan especialmente gravosas para las entidades financieras por el impacto en la contabilidad y en la apreciación de los recursos propios. La crisis económica ha potenciado estas deficiencias que afectan al conjunto de las entidades de crédito. La trascendencia de la situación explica la aprobación de estas reformas encaminadas a facilitar una solución preconcursal mediante un acuerdo entre las entidades financieras principales y el deudor. En un plano de fondo, se echa en falta en España un procedimiento concursal más moderno, adaptado a las necesidades de una economía financiera en la que las cuestiones relativas a la financiación y a las decisiones sobre la reestructuración financiera y empresarial se adopten en el marco de un procedimiento rápido y flexible, que vincule y en el que participen

25 Pulgar Ezquerra, Rescisión concursal y refinanciaciones bancarias, en La Ley, 2009, 7097, p. 1 y ss.

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todos los acreedores con las garantías jurisdiccionales adecuadas, también los que gocen de privilegios especiales, como los acreedores hipotecarios normalmente bancarios, y en el que se reconozca la especial relevancia que tienen los acreedores financieros en las empresas.

6. La creación del FROB y los procesos de integración de las cajas de ahorros (los SIP). 6.1. Consideraciones generales. Las técnicas y los instrumentos empleados hasta el momento con la finalidad de reforzar la solvencia y resolver las situaciones de dificultades económicas que atraviesan las entidades financieras se han revelado insuficientes en las crisis sistémicas, como la desencadenada en 2007. La crisis actual ha alcanzado al conjunto de las entidades en el contexto global de la internacionalización de los mercados financieros. El Banco de España ha desempeñado un papel fundamental en la gestión de la crisis. Desde su inicio se han promovido dos clases de medidas. Por un lado, se han establecido una serie de instrumentos con el objetivo de evitar las crisis futuras del sistema financiero, como el refuerzo de las autoridades de supervisión en colaboración con las instituciones internacionales, el fortalecimiento de la supervisión o la previsión de requisitos más rigurosos en materia de capital. Al mismo tiempo, la excepcionalidad de la situación y la importancia de la crisis ha hecho necesario recurrir al apoyo público de los estados al sistema financiero, bien de manera conjunta o de forma individual. Se han ampliado las coberturas de los sistemas de garantía, se ha fomentado la liquidez de los mercados por el Banco Central Europeo y se ha procedido a la inyección de dinero público en las entidades de crédito con dificultades. En España se ha creado con este objetivo el Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria (FROB) por el Real Decreto Ley 9/2009, de 26 de junio, sobre reestructuración bancaria y reforzamiento de los recursos propios de las entidades de crédito 26. La creación del

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El antecedente a este Real Decreto Ley se encuentra en la intervención de la Caja Castilla La Mancha por el Real Decreto Ley 4/2009, de 29 de marzo, por el que se autoriza la concesión de garantías derivadas de la financiación que pueda otorgar el Banco de España a favor de Caja de Ahorros de Castilla-La Mancha.

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FROB pretende ser coherente con los Principios Comunes de gestión de crisis acordados por los ministros de finanzas de la UE en junio de 2008 27. La reestructuración ordenada bancaria consiste en un procedimiento que se dirige a sanear la entidad de modo que se aseguren los depósitos

27 Exposición de motivos Real Decreto Ley 9/2009. El empleo de fondos públicos para el saneamiento de entidades financieras privadas debe cumplir con lo dispuesto en el régimen comunitario de ayudas estatales públicas (arts. 107 y 108 TFUE, en particular, el art. 107.3, b) y c) y con el de la Política económica y monetaria (art. 123 TFUE que prohíbe la autorización de descubiertos o la concesión de cualquier otro tipo de créditos a los bancos centrales a favor de los gobiernos, las autoridades o los organismo públicos). A raíz de la crisis se han publicado una serie de Comunicaciones en esta materia: Comunicación (2008/C/270/02) sobre la aplicación de normas sobre ayudas estatales a las medidas adoptadas en relación con las instituciones financieras en el contexto de la actual crisis financiera mundial; Comunicación (2009/C 10/03) sobre la recapitalización de las instituciones financieras en la crisis financiera actual: limitación de ayudas al mínimo necesario y salvaguardias contra los falseamientos indebidos a la competencia; Comunicación (2009/C 195/04) on the return to viability and the assesment of restructuring measures in the finantial sector in the current crisis under the State aid rules y Comunicación (2009/C 83/01) sobre marco temporal aplicable a las medidas de ayuda estatal para facilitar el acceso a la financiación en el actual contexto de crisis económica y financiera. Rodrìguez Mìguez, Rescate de entidades financieras y ayudas estatales. Una necesaria relectura del caso Credit Lyonnais a la luz de la actual crisis mundial, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 2010, 117, p. 141 y ss. A pesar de la manifestación de la Exposición de Motivo del Real Decreto Ley 9/2009 acerca del respeto del marco europeo de ayudas públicas, España ha realizado una notificación sobre la creación del FROB a la Comisión el 19 de enero de 2010. La Comisión ha declarado la compatibilidad del FROB con el art. 107.3, b) TFUE en la Decisión de 28 de enero de 2010 (publicada el 9 de marzo de 2010), siempre que se cumplan con las condiciones que en ella se fijan y que tratan de asegurar que las ayudas prestadas a través del FROB sean apropiadas, necesarias y proporcionales (http://ec.europa.eu/ community_law/state_aids/comp-2010/n028-10-en.pdf). En la nota de prensa publicada ese mismo día se dice (http://ec.europa.eu/competition/elojade/isef/case_details. cfm?proc_code=3_N28_2010): “La Comisión Europea ha aprobado hasta el 30 de junio de 2010 el régimen español de recapitalización bancaria, cuyo objetivo es reforzar la solidez y solvencia de las entidades de crédito, de forma que puedan facilitar créditos con normalidad y que se mantenga la confianza en el sistema financiero nacional. La Comisión ha constatado que el régimen se atiene a sus comunicaciones de orientación relativas a las ayudas estatales destinadas a superar la crisis financiera (véase IP/08/1495 e IP/08/1901). En especial, las medidas aprobadas tienen una limitación temporal y de alcance, requieren una remuneración al tipo de mercado e incluyen suficientes incentivos para reembolsar paulatinamente la participación del Estado. Por lo tanto, la Comisión ha concluido que el régimen es un medio adecuado para corregir una grave perturbación de la economía española y que como tal es compatible con el artículo 107.3.b) del Tratado de Funcionamiento de la Unión Europea (TFUE).”

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y se minimicen los costes que conlleva el reflotamiento. Por esta vía 28 se anticipa la solución a la crisis y se evita la solicitud del concurso. Se introduce, además, un proceso para la integración de entidades de crédito para lograr una estructura y dimensión más eficiente que mejore las perspectivas de futuro y la viabilidad a medio plazo. El apoyo del FROB a estos procesos de concentración se justifica en la dificultad para obtener los recursos propios necesarios para llevarlos a cabo. 6.2. Los planes de integración. El FROB puede apoyar los planes de integración de entidades de crédito con el objetivo de mejorar las perspectivas futuras, mediante la realización de procesos dirigidos a aumentar la eficiencia, racionalizar la administración y gerencia y redimensionar la capacidad productiva (art. 9 Real Decreto Ley 9/2009 sobre el FROB). Con esta finalidad, el FROB tiene la posibilidad de adquirir participaciones preferentes convertibles para reforzar los recursos propios de las entidades de crédito participantes en el plan siempre que no se encuentren en una situación de dificultades económicas que hicieran necesario llevar a cabo un procedimiento de reestructuración (conforme al art. 6º Real Decreto Ley 9/2009, sobre el FROB). El plan de integración debe ser elaborado por las entidades de crédito que participen, en él se detallan las medidas específicas y los compromisos que se asumen para alcanzar aquellos objetivos, así como el plazo y el riesgo de la operación. El plan ha de ser aprobado por el Banco de España. En la autorización también se deberá tener en cuenta la necesidad de evitar que se produzcan distorsiones competitivas. El empleo de medios públicos justifica la intervención del Ministerio de Economía y Hacienda, que se puede oponer en el plazo de diez días desde la presentación de la memoria económica de la operación por el FROB. Una vez aprobado el plan, las entidades han de proceder a la adopción de los acuerdos necesarios para llevar a cabo la recapitalización:

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Del Guayo, Previsiones concursales (y paraconcursales) del real decreto-ley núm. 9/2009, de 26 de junio, sobre estructuración bancaria y reforzamiento de los recursos propios de las entidades de crédito, en Revista de Derecho Concursal y Paraconcursal, 2009, 11; Del Guayo, Paraconcursalidad preventiva y entidades financieras: nacionalizaciones bancarias en europa (Northern Rock) y estados unidos (Indymac), en Revista de Derecho Concursal y Paraconcursal, 2008, 9.

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ampliación del capital, emisión de las participaciones, etc., con exclusión del derecho de suscripción preferente y con respeto de los principios que establezca la Comisión Europea sobre los términos y las condiciones de emisión. Las participaciones preferentes convertibles tienen la consideración de recursos propios computables. La entidad emisora asume el compromiso de recomprarlas en los términos comprometidos en el plan de integración. Transcurrido el plazo de cinco años desde el desembolso, el FROB podrá imponer la conversión en el plazo de seis meses. El Banco de España tiene la competencia para autorizar la conversión anticipada en caso de que considere improbable su cumplimiento. También puede ser objeto de modificación y de ampliación por un periodo de hasta dos años más si lo hiciera aconsejable la evolución de la situación económico-financiera, previa aprobación del Banco de España. El FROB tiene la titularidad de los derechos políticos que se deriven de las participaciones que adquiera por la conversión, sin que le resulten aplicables ninguna clase de limitaciones (en los términos que se establecen art. 9.5 por remisión al art. 7º Real Decreto Ley 9/2009 sobre el FROB). La desinversión por el FROB se lleva a cabo en virtud de la recompra por la entidad emisora o mediante la enajenación a terceros conforme a procedimientos que aseguren la competencia. La entidad de crédito designada por el plan de integración ha de remitir al Banco de España un informe con una periodicidad trimestral en el que se detalla el cumplimiento de las medidas contenidas en el plan aprobado. El Banco de España puede requerir la observancia de las disposiciones que considere necesarias para garantizar la efectividad del plan hasta su término. Para facilitar los procesos de integración de las cajas de ahorros se ha modificado la Ley de Modificaciones Estructurales de las Sociedades Mercantiles (LME) en 2009. Esta reforma resultaba necesaria debido a que el ámbito de vigencia de la regulación de las Comunidades Autónomas en materia de cajas de ahorros se extiende en principio a las cajas de ahorros constituidas en la propia Comunidad Autónoma 29. La reforma de 2009 determina la aplicación de la LME a las operaciones de

29 Aragón, García Villaverde e Santamaría Pastor, El Régimen, 481 y ss.; Cañabete, El régimen jurídico de las cajas de ahorros, Madrid, 2006. Las deficiencias del régimen anterior a la reforma fueron destacadas, entre otros, por Rojo Álvarez-Manzaneda, La normativa autonómica sobre cajas de ahorros. Un análisis comparado, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 2008, 112, p. 41 y ss.; Sequeira Martìn, La relevancia de la fusión de las cajas de ahorros, Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 2007, 108, p. 125 y ss.

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reestructuración de las entidades de crédito. De esta manera, desaparece la laguna que había en el Derecho español en una cuestión tan relevante. Las fusiones y los demás supuestos de modificaciones estructurales entre cajas de ahorros de diferentes Comunidades Autónomas o entre cajas de ahorros y bancos que tengan la forma jurídica de sociedades anónimas se han de realizar conforme a lo dispuesto en la LME. No se ha contemplado en la regulación ninguna medida para simplificar el procedimiento de adopción de las modificaciones estructurales de las entidades de crédito que hayan adoptado en ejecución de un plan de integración conforme a lo dispuesto en el Real Decreto Ley 9/2009, tampoco en el supuesto de que el plan prevea que las entidades reciban la ayuda financiera del FROB. La aplicación de determinadas garantías establecidas con carácter general en el régimen de las modificaciones estructurales constituyen un obstáculo para llevar a cabo la reestructuración. En concreto, no parece que tenga mucha justificación que los acreedores y, en particular, los clientes de la entidad de crédito, puedan ejercitar el derecho de oposición en las modificaciones estructurales adoptadas en ejecución de un plan de integración. La supervisión del Banco de España debiera ser garantía suficiente para los acreedores en esta clase de procesos. El encarecimiento potencial de la operación como consecuencia del ejercicio de este derecho se puede traducir en un aumento de la financiación aportada por el FROB. Sin embargo, al no haberse previsto ninguna especialidad, es necesario observar el conjunto de las normas que regulan las modificaciones estructurales. Así se está haciendo también en la práctica, en las operaciones que se han realizado hasta el momento se ha reconocido de manera generalizada el derecho de oposición de los acreedores, sin ninguna restricción. Cuestión diferente es el escaso uso que normalmente hacen los acreedores de este derecho. 6.3. El procedimiento de reestructuración. Cuando por la evolución de los mercados o, incluso, de la propia entidad resultante de la integración no pudiera cumplirse con el plan previsto para la solución de la crisis y la entidad de crédito se encontrara en situación de dificultades económicas, se ha de proceder a la solución de la crisis a través del procedimiento de reestructuración ordenada bancaria. El supuesto de hecho que desencadena el inicio del procedimiento de reestructuración se hace de manera deliberadamente abierta. El Real

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Decreto Ley 9/2009 sobre el FROB lo delimita del siguiente modo (art. 6º.1): “Cuando una entidad de crédito o un grupo o subgrupo consolidable de entidades de crédito presente debilidades en su situación económico-financiera que, en función del desenvolvimiento de las condiciones de los mercados, pudieran poner en peligro su viabilidad”. La situación de dificultades económicas consiste en el deterioro de los activos de la entidad de crédito, grupo o subgrupo consolidable de entidades de crédito, en el déficit de los recursos propios computables, en la falta de capacidad para generar resultados recurrentes o en la falta de confianza externa sobre su solvencia (art. 6.2 Real Decreto Ley 9/2009 sobre el FROB). Desde un punto de vista teleológico-sistemático, la utilización de una formulación relativamente amplia para la delimitación del supuesto de hecho que determina el inicio del procedimiento de reestructuración encontraría justificación en la consideración de este procedimiento en el conjunto de medidas que se dirigen reforzar la solvencia de las entidades de crédito; el Banco de España lleva a cabo una supervisión permanente de las entidades de crédito, se prevén medidas dinámicas de diferente grado de intensidad, en función de la necesidad de asegurar en todo momento el cumplimiento de los requisitos mínimos necesarios de recursos propios, se establece la adopción de programas encaminados a restablecer el cumplimiento en caso de que se produzcan déficit (art. 75 Real Decreto 216/2008 sobre recursos propios de las entidades de crédito), etc. El presupuesto del procedimiento de reestructuración puede ser previo a la situación de insolvencia y también a la insolvencia inminente (art. 2º LC). Ahora bien, incluso en el supuesto de que la entidad de crédito se encontrara en una situación que obligara a la solicitud de concurso, no se impide que se siga el procedimiento de reestructuración. El procedimiento concursal y el procedimiento de reestructuración son procedimientos alternativos para la solución de la crisis de la entidad de crédito. La presentación de un plan de reestructuración bancaria excluye el deber de solicitar el concurso (DA 4ª Real Decreto Ley 9/2009, sobre el FROB). La decisión sobre el procedimiento que se debe seguir en cada caso se debe tomar en función de los distintos intereses implicados, los de la entidad, los de los acreedores, los del FGD y los del FROB y los generales del sistema financiero 30.

A este respecto, el art. 10.3 Real Decreto 2606/1996, sobre los Fondos de Garantía de Depósitos, establece: “3. Al adoptar estas medidas, el fondo tendrá 30

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El inicio del procedimiento de reestructuración se hace, en principio, por iniciativa de la entidad de crédito afectada. Cuando se den los presupuestos de hecho que determinan el inicio del procedimiento de reestructuración, se establece una obligación de la entidad de crédito o del grupo o subgrupo consolidable de información inmediata al Banco de España de la situación de dificultades económicas que puedan afectar a la viabilidad de la entidad (art. 6.1 Real Decreto Ley 9/2009 sobre el FROB). El Banco de España tiene competencia para iniciar el procedimiento de reestructuración en la medida en que aprecie que la entidad o el grupo o subgrupo consolidable se encuentran en situación de dificultades económicas. En este caso, el procedimiento se inicia mediante el envío de una comunicación a la entidad de crédito afectada con el requerimiento de que presente un plan de reestructuración. La presentación del plan por la entidad de crédito se debe hacer en el plazo de un mes desde el envío de la comunicación al Banco de España o desde que el Banco de España lo hubiera exigido. El incumplimiento de estos deberes se califican como una infracción muy grave (art. 4º, p) LDIEC). El plan de reestructuración consiste en acciones dirigidas a reforzar el patrimonio y la solvencia, proceder a una fusión o absorción por otra entidad de reconocida solvencia, la cesión total o parcial del negocio o de unidades económicas a otras entidades. La ejecución del plan se debe iniciar en el plazo de tres meses. El plan puede ser apoyado por el FGD mediante la adopción de las medidas preventivas y de saneamiento que se consideren oportunas. El FROB concede la financiación necesaria al FGD para que puedan acometer sus funciones, en condiciones de mercado y según criterios de utilización eficiente de los recursos públicos. El Banco de España tiene la competencia para la aprobación del plan de reestructuración presentado por la entidad (art. 6.3 Real Decreto Ley 9/2009, sobre el FROB). Además del examen de los aspectos económico-financieros del plan, deberá apreciar si la entidad de crédito o el grupo o subgrupo consolidables presentan deficiencias en la estructura de organización, en los mecanismos de control interno o en los procedimientos administrativos y contables, incluidos los relativos a la gestión y control de los riesgos. En la aprobación del plan, el Banco de España

en cuenta el coste financiero de las mismas a su cargo que se comparará con los desembolsos que hubiese tenido que realizar de optar, en el momento de la adopción del plan, por realizar en lugar de éste el pago de los importes garantizados previstos en el artículo 7”.

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tiene la posibilidad de incluir las modificaciones o medidas adicionales que considere necesarias para asegurar la superación de las dificultades y la viabilidad de la entidad de crédito. Corresponde al Banco de España, además, proceder a la aplicación de las medidas disciplinarias que estime oportunas a las personas que ejercieran cargos de administración en la entidad. La intervención de la entidad tiene como presupuesto que no sea posible resolver la situación de crisis de la entidad de crédito mediante la aprobación del plan (art. 7.1 Real Decreto Ley 9/2009, sobre el FROB), es decir, en aquellos casos en los que no se presente un plan por la entidad de crédito, no se pueda elaborar por la imposibilidad de encontrar una solución satisfactoria, no se considere viable por el Banco de España el plan presentado, se incumpliera de manera grave por la entidad de crédito el plan que hubiera sido aprobado por el Banco de España o las medidas concretas contempladas en el programa aprobado para el restablecimiento de los recursos propios (art. 75 Real Decreto 216/2008 sobre recursos propios de las entidades de crédito). El Banco de España adopta como primera medida la sustitución provisional de los órganos de administración o dirección de la entidad de crédito (art. 7.2 Real Decreto Ley 9/2009 sobre el FROB, que remite al Título III LDIEC) y el nombramiento como administrador provisional al FROB. Desde ese momento, el FROB suministra el apoyo financiero necesario para la continuidad de la actividad de la entidad. En el plazo de un mes, ampliable a seis meses, el FROB ha de elaborar un informe detallado sobre la situación patrimonial y un plan de viabilidad (art. 7.2 Real Decreto Ley 9/2009, sobre el FROB). El examen de la entidad puede dar a conocer irregularidades en la gestión que justifiquen el ejercicio de acciones de responsabilidad o el inicio de expedientes sancionadores o de procesos penales contra los anteriores gestores. El plan contiene medidas de apoyo financiero para el saneamiento de la entidad de crédito como la concesión de garantías, de préstamos en condiciones favorables, de financiaciones subordinadas, la adquisición de cualquier clase de activos o la suscripción o adquisición de valores representativos de recursos propios. Incluye asimismo medidas de gestión para mejorar la organización y los sistemas de procedimiento y control interno de la entidad. La adopción de estas medidas sirven para facilitar procesos de fusión o absorción por entidades de crédito de reconocida solvencia o la cesión total del negocio o de unidades económicas. El plan de reestructuración debe ser aprobado por el Banco de España. Con carácter previo a la aprobación, el Banco de España debe

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solicitar un informe al Ministerio de Economía y Hacienda y a los órganos competentes de las Comunidades Autónomas en el que tengan su domicilio las cajas de ahorros y las cooperativas de crédito. Los informes deben ser emitidos en el plazo de diez días. El FROB debe elaborar además una memoria económica sobre el impacto financiero del plan de reestructuración sobre los fondos aportados con cargo a los Presupuestos Generales del Estado. La memoria económica se debe presentar ante el Ministerio de Economía y Hacienda, quien puede oponerse razonadamente en el plazo de diez días. La autorización del plan de reestructuración por el Banco de España se extiende a las operaciones de fusión, de escisión o de cesión global, a las eventuales adquisiciones de participaciones significativas o a las modificaciones estatutarias o cualquier otra clase de operación societaria sujeta a autorización que se hubiera contemplado en el plan, salvo las autorizaciones exigidas por la legislación en materia de competencia (art. 8 RLD 9/2002 sobre el FROB). El FROB tiene asignadas una serie de funciones bastante amplias y con poderes extraordinarios para proceder al saneamiento de la entidad de crédito. Se encuentra facultado expresamente para la cesión de los depósitos a otra entidad de crédito con la satisfacción de su importe, sin que sea necesario el consentimiento de sus titulares. Previo informe de la CNMV puede trasladar los valores depositados en la entidad por cuenta de sus clientes a otra entidad habilitada para desarrollar esta actividad. En el caso de que el plan de reestructuración contemple la adquisición de activos de la entidad intervenida, el FROB tiene la posibilidad de mantener la gestión o cederla a un tercero o decidir la enajenación mediante procedimientos que aseguren la competencia. En aquellos supuestos en los que el plan de reestructuración contemple una operación “acordeón”, una reducción y un aumento de capital simultáneos en la medida necesaria para proceder al saneamiento de la entidad, la suscripción de acciones o de cuotas participativas por el FROB necesariamente requiere de la supresión del derecho de suscripción preferente. El acuerdo de la Junta general no produce efectos sin la aprobación expresa de los administradores provisionales designados en la adopción de medida de sustitución (arts. 35 y 36 LDIEC). De este modo se asegura el cumplimiento del plan de reestructuración por los órganos de decisión de la entidad afectada. No se aplican al FROB las limitaciones u obligaciones legales para que pueda ejercer el control que no sean aplicables al FGD (art. 7.6 Real Decreto Ley 9/2009 sobre el FROB) y, en concreto, las limitaciones estatutarias a los derechos de asistencia y de voto; en el supuesto de

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adquisición de cuotas participativas de una caja de ahorros, se reconoce al FROB un derecho de decisión en la Asamblea general proporcional al porcentaje que representen las cuotas participativas en el patrimonio neto de la Caja (art. 7.8 Real Decreto Ley 9/2009, sobre el FROB); tampoco tienen vigencia las limitaciones a la tenencia de cuotas participativas (véase, art. 7º.7 Ley 13/1985), ni a la adquisición al capital social de cooperativas de crédito por parte de personas jurídicas ni a la computabilidad de los recursos propios respecto de los valores que el FROB adquiera o suscriba; la exención de OPA que se reconoce a los FGD 31 en las operaciones de saneamiento se extiende a favor del FROB. La última fase del proceso de reestructuración consiste en la desinversión del FROB y en la salida del capital de la entidad intervenida, una vez se haya procedido a su saneamiento. Los activos adquiridos por el FROB deberán ser enajenados por procedimientos que aseguren la competencia. Las condiciones de la subasta de las participaciones de la entidad de titularidad del FROB no tienen que venir únicamente referidas al precio, se pueden introducir otros elementos que aseguren la solvencia y las perspectivas de futuro. El adjudicatario ha de proceder al reflotamiento definitivo de la entidad una vez se haya hecho con el control. La tarea del FROB continúa con la identificación, análisis, valoración, administración, recuperación y liquidación de los activos bancarios asumidos. 6.4. El saneamiento de las cajas de ahorros. El recurso a los SIP. Hasta el momento, el recurso a la intervención de las entidades de crédito con dificultades económicas se ha empleado en pocos casos, únicamente se ha utilizado cuando no cabía una solución de otro tipo que resultara más respetuosa con la autonomía de la entidad y que permitiera resolver la situación con un menor sacrificio. La práctica totalidad de las cajas de ahorros se encuentran en procesos de integración.

31 Alonso Ledesma, Rodríguez e Martínez/Tapia, Opas obligatorias, opas con finalidades específicas y OPAs voluntarias, en Régimen jurídico de las Ofertas Públicas de Adquisición (OPAs), diretto da Benyeto e Largo, Barcelona, 2009, p. 252; De Cárdenas, Supuestos excluidos de la obligación de formular OPA por adquisición del control, en Revista del Mercado de Valores, http://www.uria.com/docs/079ccs.pdf., 2009, p. 9 y ss.; Sánchez Calero, Ofertas Públicas de Adquisición de Acciones, Madrid, 2009, p. 192 y ss.; Zurita, en La regulación de las OPAs, cit., p. 215.

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Estos procesos se han hecho en la mayor parte de los casos con el recurso a las ayudas del FROB. El objetivo de estos procesos ha consistido en redimensionar la organización para aumentar la eficiencia y racionalizar la gestión. Se han llevado a cabo a través de fusiones ordinarias o mediante la creación de Sistemas Institucionales de Protección (SIP), lo que se ha denominado de forma expresiva como fusiones frías. Los SIP son la figura más novedosa. Los SIP se regulan en el art. 80.8 de la Directiva 2006/48/UE sobre acceso y ejercicio de la actividad de entidades de crédito. En el Derecho español han sido regulados por el art. 25 Real Decreto Ley 6/2010 que modifica la letra d) del apartado 3 del artículo 8 de la Ley 13/1985 y en el Título III del Real Decreto Ley 11/2010, de 9 de julio y en la norma 15 de la Circular 3/2008, de 22 de mayo, del Banco de España, a entidades de crédito, sobre determinación y control de los recursos propios mínimos. La creación de un SIP se dirige a reforzar las garantías de liquidez y de solvencia de las entidades que lo integran 32. Implica la constitución de un grupo de coordinación en virtud del cual se establece una estructura de codecisión entre las entidades que participan en el proyecto de integración. El SIP se crea en virtud de un acuerdo contractual de integración por el que se determina la configuración de una entidad central en la que se concentra el negocio bancario, lo que facilita cumplir con los umbrales de recursos mínimos. Al mismo tiempo, de acuerdo con la configuración de los SIP como grupos contractuales, las decisiones se toman en común por todos los sujetos que forman parte del SIP. La creación de un SIP ha de ser autorizada por el Banco de España. La opción por la fusión plena se ha empleado casi siempre en la integración de cajas de ahorros que pertenecen a la misma comunidad autónoma. Se ha utilizado, en cambio, la vía de los SIP en los procesos de integración de cajas de ahorros que tienen su sede en diferentes autonomías. De este modo, las Comunidades Autónomas y las administraciones locales mantienen su influencia en la gestión y en los objetivos del SIP a través de sus representantes en las cajas de ahorros integradas en él.

32

Calvo Vergez, Los sistemas institucionales de protección (SIPs) en el ámbito de las Cajas, Madrid, 2011, p. 41; Paz-Ares e Núñez-Lagos, ¿Qué son los SIPs y qué futuro les espera?, en El Notario del siglo XXI, 2011, 36; Paz-Ares e Núñez-Lagos De los SIP y de su racionalidad como fórmula de integración, en Cajas: nueva normativa, coordinador, Méndez Alvarez-Cedrón, Madrid, 2011, p. 194.

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La pieza clave en la constitución de un SIP es el acuerdo de integración. Se trata de acuerdos de naturaleza contractual que presentan una cierta tipicidad social, en el sentido de que han sido creados por la práctica y de que todos ellos responden a la misma estructura y objetivos. Se puede decir que son contratos atípicos en casi todos sus aspectos, por la singularidad de su finalidad y las particularidades de sus contenidos 33. Los acuerdos contractuales de creación de un SIP cumplen una función similar a los contratos por los que se fijan los términos de los proyectos de fusión en las fusiones típicas. Normalmente, los acuerdos de integración 34 reúnen las notas del concepto genérico de sociedad en sentido amplio y se pueden considerar como una sociedad interna 35. En el SIP tiene que haber necesariamente una entidad central que determine con carácter vinculante las políticas y estrategias de negocio del SIP, así como los niveles y medidas de control interno y de gestión de riesgos. Esta entidad central es la responsable de cumplir los requerimientos regulatorios en base consolidada del SIP. La entidad central puede ser una de las entidades de crédito integradas en el SIP o una entidad participada por todas las entidades y que, a su vez, forme parte del SIP. Cuando las entidades integradas en el SIP sean Cajas de Ahorros, la entidad central ha de tener la naturaleza de sociedad anónima y habrá de estar participada por las Cajas integrantes en al menos un 50% de su accionariado. La consideración de los SIP como grupos contractuales por coordinación presenta particularidades. Las cajas de ahorros integradas en el SIP participan en la entidad central en función del porcentaje del capital que les corresponda según lo pactado en el acuerdo de integración. Al mismo tiempo, cada una de las cajas de ahorros mantiene su autonomía en relación con aquellas actividades que no se transfieren al SIP. El

Paz-Ares e Núñez-Lagos, De los SIP, cit., p. 199. Gómez Jordana, Sistemas Institucionales de Protección (SIP): algunas consideraciones preliminares, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 2010, 120, p. 244-247, distingue entre los SIP sin creación de una nueva entidad o los SIP con creación de una nueva entidad. En el primer caso, considera que el acuerdo contractual tendría una naturaleza atípica, si bien puede adquirir, al menos en parte, la naturaleza jurídica de diferentes figuras asociativas, entre las que señala la del contrato de cuentas en participación y la comunidad de bienes. En el segundo, entiende que se trata de un pacto de socios. 35 Girón Tena, Derecho de Sociedades, Madrid, 1976, p. 30 y ss.; Paz-Ares, en Comentario del Código Civil, diretto da Paz-Ares, Díez-Picazo, Bercovitz, Salvador Coderch, Madrid, 1993, p. 1313-4. 33 34

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acuerdo de integración contiene las obligaciones que asumen cada una de las cajas de ahorros en relación con la entidad central con el objeto de regular el funcionamiento y el desarrollo de la actividad de manera conjunta y coordinada. El compromiso mutuo de solvencia y de liquidez entre las entidades participantes ha de alcanzar como mínimo al 40% de los recursos propios computables de cada una de ellas en lo que se refiere al nivel de solvencia. El compromiso de apoyo mutuo también debe incluir las previsiones necesarias para que el apoyo entre sus integrantes se lleve a cabo a través de fondos inmediatamente disponibles. Asimismo han de poner en común como mínimo el 40% de los resultados. El SIP ha de cumplir los requisitos para que la ponderación del riesgo sea del 0% de las exposiciones que tengan entre sí los integrantes del SIP. La estabilidad de la estructura de funcionamiento creada se asegura mediante el establecimiento de que la duración mínima del SIP sea de 10 años. La salida del SIP de una entidad participante se ha de comunicar con un plazo de preaviso de 2 años. Se pueden establecer penalizaciones a la salida con el fin de promover la estabilidad y la permanencia de las entidades en el SIP. Corresponde al Banco de España la aprobación de la salida de una entidad del SIP, después de verificar que esté asegurada tanto la viabilidad tanto del SIP como de la entidad que lo abandona. En el momento en el que se aprueba el Real Decreto Ley 11/2010, julio de 2010, todavía se confía en las ventajas considerables de las cajas de ahorros al sistema financiero español. Por esa razón, además de regular los SIP, el objetivo de esta norma consiste en introducir las modificaciones necesarias en el estatuto de las cajas de ahorros con la finalidad de fortalecerlas. De acuerdo con este objetivo, se facilita la capitalización de las cajas de ahorros mediante la introducción de una serie de reformas en la regulación de las cuotas participativas para que puedan ser un instrumento atractivo para los inversores 36. A este respecto, se añaden derechos políticos a los derechos económicos que tenían reconocidos hasta este momento. En segundo lugar, se lleva a cabo una

36 Tapia Hermida, Cuotas participativas e instrumentos de deuda obligatoriamente convertibles, en Cajas de Ahorros: Nueva normativa, coordinador, Méndez e ÁlvarezCedrón, p. 145 y ss; Castilla Cubillas, Despolitización de las cajas de ahorros y «test de estrés», en Derecho de los Negocios, 2010, 243, p. 5 y ss, considera que el reconocimiento de los derechos políticos de las cuotas participativas en el Real Decreto Ley 11/2010 resulta todavía insuficiente.

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reforma del régimen del gobierno corporativo de las cajas de ahorros en los aspectos más directamente relacionados con su actividad, con el objetivo de impulsar la profesionalización hasta alcanzar niveles equiparables a los bancos 37.

7. La conversión de las cajas de ahorros en bancos. Como consecuencia de las reformas aprobadas a raíz de la crisis se ha producido la mayor reestructuración del sistema financiero español en la historia económica reciente. Desde enero de 2008 hasta el cierre de 2010 las entidades financieras han reconocido y asumido pérdidas por un valor equivalente al 9% del PIB español. El importe aproximado de la recapitalización llevada a cabo tiene un importe equivalente al 3% del PIB. Este proceso ha afectado de manera especialmente intensa a las cajas de ahorros. En menos de un año se ha paso de 45 entidades singulares, con un tamaño medio de 28.504 millones de euros a 17 entidades con un volumen de activos medios de 75.452 millones de euros. La reducción de cajas de ahorros ha venido acompañada de una reducción del número de sucursales y de los costes de la estructura de organización. Pese a todo, al poco tiempo de aprobarse una reforma de tanto calado como la del el Real Decreto Ley 11/2010, el 9 de julio de 2010, que afecta de manera esencial a los aspectos más básicos del estatuto de las cajas de ahorros, al financiero y al relativo al gobierno corporativo, se hizo patente que las medidas adoptadas eran todavía insuficientes. La gravedad de la situación ha obligado a aprobar un nuevo Decreto-Ley el 18 de febrero de 2011, el Real Decreto Ley 2/2011, para el reforzamiento del sistema financiero. La vía de la reforma del estatuto de las cajas de ahorros estaba agotada. La única solución que quedaba era propiciar la transformación de las cajas de ahorros en bancos. De este modo, desaparecen completamente las restricciones de las cajas de ahorros para acceder a los mercados de valores y obtener los recursos necesarios para cumplir con los requisitos del capital impuestos a las entidades de

37

Sánchez Calero, F. Sánchez Calero e Guilarte, Novedades en el modelo de gobierno corporativo en las cajas de ahorros, en Cajas de Ahorros, cit., p. 115 y ss.; 117 y ss.; Sánchez Calero Guilarte, El Real Decreto Ley 11/2010 y la «mercantilización» de las cajas, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 2011, 121, p. 177 y ss.

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crédito. Ahora bien, esto supone, como es evidente, la definitiva desnaturalización de las cajas de ahorros y su conversión en bancos a todos los efectos 38. Como ya se ha señalado, el Estado español no tiene la posibilidad de obligar a la conversión de las cajas de ahorros en bancos, pues la competencia constitucional en materia de cajas de ahorros corresponde a las Comunidades Autónomas. Por esa razón, el Real Decreto Ley 2/2011 procede de una manera indirecta. La norma anticipa la exigencia de las medidas establecidas en Basilea III en materia de nivel mínimo de capital principal. La observancia de estos requisitos es casi inviable si la entidad de crédito no acude sin restricciones a los mercados de valores para captar los recursos. Obliga, además, a las entidades que no cumplan con el mínimo de capital a elaborar un plan que contenga una estrategia y un calendario que permita observarlo en un plazo relativamente breve. Se autoriza finalmente a las entidades de crédito para que recurran al FROB cuando sea imprescindible para lograrlo. Las deficiencias apreciadas en los acuerdos de Basilea II a raíz de la crisis financiera internacional se han tratado de resolver en Basilea III. Con este objetivo se desarrollan diversos instrumentos encaminados a reforzar la solvencia y la liquidez de las entidades financieras y mejorar la cobertura de riesgos: se aumentan los niveles de calidad, consistencia y transparencia de las exigencias de capital, se reduce la prociclicidad y se promueven colchones anticíclicos, se abordan las cuestiones específicas del riesgo sistémico, se establece un coeficiente de apalancamiento, se introduce un estándar de liquidez internacional (el coeficiente de cobertura de liquidez y el coeficiente de financiación estable neta), etc. Se prevé un calendario para facilitar que la incorporación de estas medidas por parte de las entidades financieras se pueda hacer de manera progresiva y evitar así las consecuencias contraproducentes que se pudieran derivar de una introducción inmediata para el mercado del crédito y para las propias entidades. Por otro lado, la actividad de supervisión de ámbito nacional resulta insuficiente en el contexto de la internacionalización de los mercados financieros. Es necesario establecer cauces de coordinación entre las diferentes autoridades nacionales encargadas de la supervisión 39. En Eu-

38

Sánchez Calero Guilarte, El Real Decreto, cit., p. 176. Coffee e Sale, Redesign the SEC: Does the Tresaury Have a Better Idea?, in www.law. columbia.edu/lawec/, 2008, Working Paper n. 342. 39

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ropa, esta situación se intensifica por el elevado nivel de integración de los mercados financieros en el conjunto de la Unión Europea. De acuerdo con esta finalidad, se ha creado en Europa la Junta Europea de Riesgos Sistémicos, ESRB, y el Sistema Europeo de Autoridades Financieras, ESFS, como estructura de coordinación de las Autoridades Financieras Nacionales. El objetivo de estas instituciones consiste en dotar de estabilidad a los mercados financieros, ya no se pretende únicamente asegurar la solvencia de las entidades financieras sino, además, la estabilidad del conjunto del sistema financiero frente a los riesgos sistémicos 40. Asimismo, se han tomado otra clase de medidas en el ámbito europeo dirigidas a resolver las carencias más relevantes en la ordenación de las entidades de crédito que se han puesto de manifiesto durante esta crisis. En la misma dirección que las propuestas de Basilea III, se ha promovido por la Unión Europea una mejora de la calidad del capital y de los niveles de liquidez de las entidades financiera. Asimismo se han tratado de perfeccionar los mecanismos de control de riesgos, se ha prestado especial atención a la concentración excesiva de riesgos en las entidades financieras para limitar los riesgos sistémicos, a la trasparencia y al control de las estructuras de titulización y, asimismo, a las políticas de remuneración con el objetivo de evitar que se puedan establecer incentivos que puedan tener efectos de potenciar los riesgos de la entidad. Las normas fundamentales aprobadas por la Unión Europea han sido la Directiva 29/111/CE, de 16 de septiembre, por las que se modifican las Directivas 2006/48/CE y 2007/64/CE, lo que respecta a los bancos afiliados a un organismo central, a determinados elementos de los fondos propios, a los grandes riesgos, al régimen de supervisión y a la gestión de crisis, y la Directiva 2010/76/UE, de 24 de noviembre por la que se modifican las Directivas 2006/48/CE y 2006/49/CE, en lo que respecta a los requisitos de capital para la cartera de negociación y las retitulizaciones y a la supervisión de las políticas de remuneración. Las normas comunitarias se han incorporado al Derecho español a través de Ley 2/2011 sobre Economía Sostenible y por la Ley 6/2011, de 11 de abril por la que se modifican la Ley 13/1985, de 25 de mayo, so-

40

Flores Doña, La Junta Europea de Riesgo Sistémico. The European Board of System Risk, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 2011, 121, p. 61 y ss.; Muñoz Peres, El nuevo marco de supervisión financiera europea, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 2010, 118, p. 119 y ss.; Tapia Hermida, El Sistema Europeo de Supervisión Financier, en Revista de Derecho Bancario y Bursatil, 2011, 121, p. 9 y ss.

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bre coeficientes de inversión, recursos propios y obligaciones de información de intermediarios financieros y otras normas que se ocupan de la regulación de los mercados financieros. Especial trascendencia tiene para la reforma de la regulación española de las entidades financieras la normativa de desarrollo de estas leyes que se ha llevado a cabo por el Real Decreto 771/2011, de 3 de junio, por el que se modifica el Real Decreto 216/2008, de 15 de febrero, de recursos propios de las entidades financieras. Esta normativa de desarrollo es la que contiene la especificación técnica de buena parte de las normas comunitarias. Al mismo tiempo, se ha procedido a adelantar la imposición de una parte de las medidas que se recogen en Basilea III. El Real Decreto Ley 2/2011 establece la vigencia inmediata del mínimo de capital principal, que Basilea III prevé que se cumpla a partir de 2013. El capital principal debe ser del 8% del total de las exposiciones totales ponderadas de riesgo (art. 1º). El porcentaje se eleva al 10% para las entidades que no hayan colocado títulos representativos de su capital a terceros al menos en un 20% y cuando presenten un ratio de financiación mayorista superior al 20%. El Banco de España puede requerir a aquellas entidades singulares que no superen las pruebas de resistencia un nivel superior de capital principal. Los componentes que integran el capital principal (art. 2º) se determinan de acuerdo con los criterios fijados en Basilea III. Únicamente son computables como capital principal los siguientes elementos: el capital social de la entidad, las reservas, las primas de emisión, los ajustes positivos por valoración, las participaciones representativas de los intereses minoritarios que corresponden a acciones ordinarias de las sociedades del grupo y, en su caso, los instrumentos computables suscritos por el FROB. Asimismo, se refuerzan las competencias del FROB con el objetivo de que pueda participar en los planes de recapitalización elaborados por las entidades de crédito para lograr los niveles de capital mínimo principal (Título II). Esto supone evidentemente la entrada de fondos públicos en el capital social de las entidades de crédito. La regulación establecida pretende cumplir con la normativa aplicable de la Unión Europea en materia de competencia y con la protección de los recursos públicos. Las medidas de apoyo financiero adoptadas por el FROB consisten en la adquisición de acciones ordinarias o de aportaciones al capital social (art. 9º). El precio de adquisición de los instrumentos financieros suscritos por el FROB se hace conforme a lo dispuesto en un procedimiento que se dirige a asegurar la objetividad de las valoraciones. La suscripción de estos instrumentos financieros por el FROB determina su incorporación ope legis al órgano de administración. La permanencia del FROB en el capital social de la entidad es temporal, no puede

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ser superior a cinco años. La desinversión se ha de realizar a través de procedimientos que aseguren la competencia de forma que se logre la mayor eficiencia en el uso de los recursos públicos. Se establece un calendario de cumplimiento de los requisitos de capital principal por parte de las entidades de crédito con plazos relativamente breves (Disposición Transitoria 3ª). Los nuevos requerimientos han entrado en vigor el 10 de marzo de 2011. La cifra de activos ponderados por riesgo se determina, en principio, por referencia al 31 de diciembre de 2010. Si se realizan operaciones extraordinarias, como la venta de una red de sucursales, esta cifra puede ser ajustada con posterioridad. Las entidades deben informar al Banco de España sobre la ejecución de las operaciones programadas antes del 1 de septiembre. Las entidades que no observen los requisitos de capital mínimo principal en la fecha de entrada en vigor están obligadas presentar un plan de cumplimiento en el plazo de 15 días, para su aprobación por el Banco de España. Las entidades que necesiten recurrir a la ayuda del FROB para alcanzar los niveles de capital mínimo principal deberán presentar un plan de recapitalización en el plazo de un mes desde la presentación del plan de cumplimiento. El plan de recapitalización ha de contener un plan de negocio que incluya mejoras en la estructura de costes y en el gobierno corporativo. El plan de cumplimiento tiene que estar ejecutado antes del 30 de septiembre de 2011. Con la finalidad de facilitar la observancia de los requisitos mínimos de capital principal por parte de las cajas de ahorros, se prevé que puedan proceder a transformarse en bancos. De ese modo, están en mejores condiciones de acudir a los mercados de valores para la obtención de los recursos necesarios. En las normas aprobadas a raíz de la crisis se permite expresamente que las cajas de ahorros puedan desarrollar el objeto propio de la entidad de crédito a través de una entidad bancaria a la que aporten todo su negocio financiero (art. 5º Real Decreto Ley 11/2010). Esta ha sido la opción seguida por la caja de ahorros más importante de España, la Caixa. Las cajas de ahorros que soliciten la ayuda del FROB y que presenten un plan de recapitalización están obligadas a ceder necesariamente la actividad financiera a un banco. En los casos en los que el plan contemple el recurso a los mercados de valores para el cumplimiento de los requisitos mínimos de capital principal, el acuerdo del órgano de la entidad que haya de servir de base a la solicitud de emisión o de negociación de acciones se tiene que adoptar antes del 30 de septiembre de 2011. El Banco de España puede prorrogar excepcionalmente la ejecución del plan hasta el primer trimestre de 2012 cuando así venga

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exigido por el cumplimiento de la normativa del mercado de valores sobre ofertas públicas de ventas de valores. Como se ha señalado, los planes de integración han empleado de manera preferente la vía de la creación de un SIP como instrumento para proceder a la recapitalización de las cajas de ahorros con dificultades económicas. El procedimiento más extendido cabe sintetizarlo por referencia a las etapas principales. El SIP que se constituye tiene la naturaleza de un banco con la forma jurídica de una sociedad anónima. A continuación se procede a la cesión por parte de las distintas cajas de ahorros integradas en el SIP del negocio financiero. La operación se realiza con la ayuda al FROB con el objetivo de obtener los recursos necesarios para resolver las dificultades económicas mediante la reestructuración de la entidad. La entidad bancaria central del SIP adopta seguidamente un acuerdo de segregación por el que se transmite a un banco de nueva creación los activos más solventes y rentables. En la regulación de la segregación en el Derecho español se prevé que la entidad transmitente, en este caso la entidad central del SIP, responde de manera solidaria y subsidiaria de las obligaciones incumplidas por parte de la entidad beneficiaria de la segregación, el banco de nueva creación (art. 80 Ley de Modificaciones estructurales). En cambio, la entidad de crédito beneficiaria de los activos segregados no responde en caso de incumplimiento de la entidad de crédito transmitente. De este modo, se produce una completa separación del banco de nueva creación respecto de los riesgos de dificultades económicas que pueda tener el banco transmitente. El banco que tiene la condición de entidad beneficiaria realiza una oferta pública de venta de valores. El dinero obtenido con la salida a bolsa se destina a sanear la situación económica del banco transmitente. El proceso de saneamiento se completa con la ayuda del FROB. Como consecuencia de estos procesos de reestructuración, puede suceder que las cajas de ahorros vean reducidas su participación de manera importante en el capital de las entidades bancarias en que participen. Cuando su participación no alcance el 50% de los derechos de voto, se prevé que pierdan la condición de entidad de crédito. Esta misma regla se aplica a los casos de control conjunto de una entidad bancaria, como sucede en el caso de los SIP. Las cajas de ahorros quedan transformadas en esos casos en fundaciones de carácter especial que tienen por objeto el desarrollo de la actividad benéfico-social. El patrimonio de la fundación está constituido por las acciones del banco y los dividendos que obtenga se destinan a la obra social. La práctica desaparición de la realización de actividades financieras de forma directa por las cajas de ahorros ha propiciado la integración

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del FGD de los bancos, del FGD de las cajas de ahorros y del FGD de las cooperativas de crédito en un único FGD para el conjunto de los establecimientos de crédito. La medida se ha adoptado el 14 de octubre de 2011 por el Real Decreto Ley 16/2011. La integración de los FGD también pretende que el coste de la reestructuración del sector financiero para el Estado sea menor al poder emplear el FGD de los bancos en el saneamiento de las cajas de ahorros afectadas por la crisis. La norma aprobada se ocupa del establecimiento de la necesaria coordinación entre la actuación del FROB y la actividad que realiza el FGD. De esta forma, si se cumple con el plan previsto, el sector de las cajas de ahorros quedará saneado en el 2011. A partir de esa fecha va a continuar la actividad del FROB en el saneamiento de las entidades en las que se han concentrado los riesgos derivados de la crisis. Pero el núcleo del sector financiero procedente de las cajas de ahorros desarrollará su actividad recapitalizado y con mayores niveles de solvencia, liquidez y control de riesgos, con una estructura de costes más eficientes y mejoras sustanciales en el gobierno corporativo. A pesar de la trascendencia de las reformas que ya se han llevado a cabo, la evolución y la persistencia de la crisis van a hacer necesaria la adopción de nuevas medidas en el sistema financiero español, como la elevación de las exigencias de capital 41. Uno de los problemas que todavía no se ha resuelto de una forma definitiva es el de los activos inmobiliarios que lastran los balances de las entidades de crédito. En relación con esta cuestíon se ha aprobado el real Decreto Ley 2/2012, de 4 de febrero, de saneamiento del sector financiero, por el que se establecen nuevos requerimientos de provisiones y capital adicionales, con el objetivo de dar cobertura al deterioro de los balances bancarios ocasionado por los activos vinculados a la actividad inmobiliaria. También se fijan en esta norma limitaciones a las retribuciones de los administradores y directivos de las entidades de crédito que hayan recibido o necesiten en el futuro ayudas del FROB. También se anuncia la realización de una segunda fase de operaciones de fusión y de integración de los bancos españoles. La crisis está afectando de manera importante a todas las entidades financieras españolas, pero para las cajas de ahorros ha resultado es-

41 Véase la Declaración de la Cumbre del Euro de 26 de octubre de 2011, Anexo II, que contiene diferentes medidas dirigidas a las entidades financieras, entre las que destaca la elevación de la ratio de capital al 9%.

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pecialmente gravosa. Las cajas constituían casi la mitad del sector al inicio de la crisis. La conversión de las cajas de ahorros en bancos tiene importantes consecuencias desde la perspectiva de la financiación de proyectos sociales y de proyectos vinculados a intereses locales y regionales.

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Uso (e abuso) della tutela cautelare nell’istruttoria prefallimentare Sommario: 1. Premessa. – 2. La competenza e l’improponibilità della domanda cautelare prima del deposito dell’istanza di fallimento. – 3. L’istanza di parte. – 4. I presupposti. – 5. La modifica e la revoca. – 6. Il reclamo. – 7. Il contenuto atipico della tutela cautelare in sede prefallimentare secondo la giurisprudenza di merito. – 8. Le misure conservative quale species del più ampio genere della tutela cautelare. – 9. Il contenuto esclusivamente conservativo della tutela cautelare prefallimentare. – 10. Il divieto di misure cautelari dal carattere innovativo rispetto agli effetti propri della sentenza di fallimento. – 11. L’illegittimità della cautela concessa per favorire soluzioni alternative al fallimento.

1. Premessa. Nel sistema concepito dal legislatore del 1942 il procedimento per la dichiarazione giudiziale d’insolvenza avrebbe dovuto essere particolarmente breve 1. Tuttavia, nella prassi, ha finito per assumere connotati

1

Sembra necessario accennare brevemente all’evoluzione storica dell’istruttoria prefallimentare che, nella legge fallimentare del 1942, scontava la nuova concezione pubblicista del fallimento. Per la verità l’impostazione liberale propria del Codice di commercio del 1882 fu additata come la principale causa delle inefficienze dell’allora vigente sistema fallimentare, sicché già la l. n. 995 del 10 luglio 1930, che anticipava in parte i contenuti della successiva l. del 1942, aveva enfatizzato il carattere di pubblico interesse dell’amministrazione fallimentare, affidata al giudice delegato, con l’ausilio di un pubblico ufficiale e, segnatamente, del curatore (più in particolare sulla legge del 1930 v. Bolaffio, Il concordato preventivo, secondo le sue tre leggi disciplinatrici, Torino, 1932; Brunetti, Diritto fallimentare italiano, Roma, 1932, p. 169 ss.). Vennero così accentuati i poteri di vigilanza e di controllo dell’autorità giudiziaria e compresse le facoltà riconosciute fino ad allora ai creditori ed allo stesso debitore. Di qui la scelta del legislatore di privilegiare la celerità e la speditezza del procedimento attribuendo al giudice delegato la semplice facoltà di sentire il debitore. Nel tentativo di enfatizzare la funzione pubblici-

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ben diversi da quelli che aveva in origine, con conseguente dilatazione dei tempi necessari alla sua definizione. L’esigenza di assicurare il diritto alla difesa anche all’imprenditore di cui si chiede la dichiarazione d’insolvenza 2, la nuova concezione del fallimento, inteso come procedura concorsuale dalle finalità non più esclusivamente liquidatorie, ma anche conservative 3 e, infine, il rispetto dei canoni del giusto processo ai sensi

sta dell’istituto fu, inoltre, prescritta per l’atto introduttivo la forma del ricorso a discapito della citazione: non era affatto necessario per il legislatore dell’epoca assicurare sin da subito il rispetto del contraddittorio. Nell’art. 6 della Relazione della legge del 1942 alla Maestà del Re ed Imperatore del Ministro Guardasigilli (Grandi) si chiariva, infatti, che il procedimento per la dichiarazione del fallimento “mantiene (…) le linee che aveva nel codice: ma esso si è in parte modificato, in parte completato in virtù di alcune norme che colmano lacune costantemente lamentate dalla dottrina e della pratica. La semplificazione si ha anzitutto con la eliminazione della forma contenziosa di dichiarazione del fallimento attraverso l’espressa qualifica di ricorso attribuita alla domanda del creditore (art. 6), e la conseguente disciplina dei gravami”. 2 C. Cost., 16 luglio 1970, n. 142 in Dir. fall., 1970, II, 601, con nota di Di Lauro, Illegittimità costituzionale degli artt. 15 e 147 l.fall.; C. Cost., 27 giugno 1972, n. 110, in Dir. fall., 1972, II, 537. Tali principi sono stati ribaditi e meglio sviluppati dalla giurisprudenza di legittimità (v. per tutte Cass. S. U., 7 luglio 1978, n. 3372, in Dir. fall., 1978, II, 568, con nota di D’angelo, Da quale organo giudiziario deve essere sentito l’imprenditore fallendo?); mentre quella di merito, dal proprio canto, ha sempre tentato un bilanciamento tra il diritto di difesa dell’imprenditore insolvente e l’esigenza che il procedimento sommario per la dichiarazione di fallimento si svolgesse in maniera rapida e snella. Sul punto v., senza pretese di completezza, Abete, Prassi fallimentare dei tribunali italiani. L’istruttoria preconcorsuale nella prassi del tribunale di Napoli, in Il fallimento, 2003, p. 716; Bongiorno, La dichiarazione di fallimento, in Le procedure concorsuali – Il fallimento, Trattato diretto da Ragusa Maggiore e Costa, Torino, 1997, I, p. 265; Fabiani, L’istruttoria prefallimentare, in Il fallimento, 1994, p. 491 ss.; Ferro, L’istruttoria prefallimentare, Torino, 2001; Minutoli, L’istruttoria prefallimentare nella prassi dei tribunali e nelle prospettive di riforma, in Dir. fall., 2001, I, p. 960; Panzani, L’istruttoria prefallimentare, in Il fallimento, 1986, p. 286. 3 Il concetto di impresa viene così rielaborato come organizzazione complessa di valori non solo materiali, ma anche di conoscenze e di attività. Matura la convinzione che la vendita atomistica dei beni costituenti il complesso aziendale comporta spesso un’inutile distruzione di risorse: assicurare la continuità aziendale risulta, dunque, essenziale non solo per la migliore tutela dei creditori, ma anche per la conservazione dell’impresa ed il mantenimento dei livelli occupazionali. Tra la dottrina più attenta a tali problematiche v., Bonsignori, Il fallimento sempre più inattuale, in Dir. fall., 1996, p. 697 ss., spec. p. 704; Lo Cascio, Risanamento dell’impresa in crisi ed evoluzione normativa ed interpretativa del sistema concorsuale, in Il fallimento, 2000, p. 42; Minutoli, L’istruttoria, cit., p. 961; E. Ricci, Lezioni sul fallimento, I, Milano, 1992, p. 13. Per quanto riguarda la prosecuzione dell’esercizio dell’attività d’impresa v. Andolina, Liquidazione dell’attivo ed esercizio provvisorio nel fallimento, in Dir. fall., 1978, I, p. 181; Bozza, La vendita dell’azienda nelle procedure concorsuali, Milano 1988, p. 11; Cavallo Borgia, Continua-

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dell’art. 111 Cost. hanno trasformato il “procedimento” regolato dall’art. 15 l.fall. in un vero e proprio “processo”, sia pure sommario 4. In tale contesto autorevole dottrina aveva segnalato che, per fronteggiare in maniera tempestiva la crisi (e assicurare la conservazione della garanzia generica spettante ai creditori ex art. 2740 c.c. oltre alla continuità aziendale ed alla conservazione dei livelli occupazionali 5), occorreva che la tutela cautelare trovasse ingresso nella fase prefallimentare 6: il deposito del ricorso ai sensi dell’art. 6 l.fall. non produce(va), difatti, alcun effetto conservativo o limitativo sul patrimonio dell’imprenditore di cui si chiede(va) il fallimento 7.

zione dell’esercizio dell’impresa nell’amministrazione straordinaria e nelle procedure concorsuali: profili funzionali, in Giur. comm., 1982, I, p. 762; Fimmanò, Fallimento e circolazione dell’azienda socialmente rilevante in Quad. Giur. comm., Milano, 2000, p. 89; Rivolta, L’esercizio dell’impresa nel fallimento, Milano, 1969, p. 421. 4 Il procedimento prefallimentare, privo di un’apposita disciplina, seguiva le regole dei procedimenti in camera di consiglio (artt. 737 ss. c.p.c.), in evidente contrasto con la pienezza del diritto di difesa e con il principio del contraddittorio. Per l’evoluzione del procedimento per l’apertura di fallimento in processo si rinvia a Picardi, Diritto di difesa nell’istruttoria prefallimentare, Milano, 1973; Id., La dichiarazione di fallimento: dal procedimento al processo, Milano, 1974. Su questi temi v., anche, Bongiorno, Il processo di fallimento come normativa senza giudizio (Premesse per una ricerca sulla natura giuridica del fallimento e sulla struttura dell’istituto), in Studi in memoria di Salvatore Satta, I, Padova, 1982, p. 161 ss.; Id., La dichiarazione, cit., p. 266 s. 5 Sulla connessione tra prosecuzione dell’attività d’impresa e misure cautelari o conservative ex art. 15, co. 8, l.fall. e, più in generale, sui temi giuslavoristici nel fallimento, v. Caiafa, La legge fallimentare riformata e corretta, Padova, 2008. 6 Tarzia, La tutela cautelare nelle procedure concorsuali, in Quaderni di giurisprudenza commerciale, Atti del Convegno S.I.S.C.O., Milano, 1989, p. 7 e in Riv. dir. proc., 1990, 673. In arg. v., inoltre, E.F. Ricci, Profili del sequestro giudiziario sui bene ricompresi nella massa attiva fallimentare, in Riv. dir. proc., 1990, 685. In realtà l’art. 195 l.fall. disponeva già per la procedura di liquidazione coatta amministrativa che il tribunale nel dichiarare lo stato d’insolvenza, o con altro successivo decreto, può emettere provvedimenti conservativi nell’interesse dei creditori sino all’inizio della fase di liquidazione. Sulla necessità che il provvedimento conservativo concesso dal tribunale ai sensi dell’art. 195 l.fall. dovesse seguire le regole del codice di rito, v. Bonsignori, voce Liquidazione coatta amministrativa, in Dig. disc. priv., sez. comm., IX, Torino, 1993, p. 111. Anche il vecchio terzo comma dell’art. 146 l.fall. riconosceva al giudice delegato il potere di disporre le opportune misure cautelari laddove autorizzava il curatore a proporre l’azione di responsabilità. In arg. v. C. Cost., 8 maggio 1996, n. 148, in Foro it., 1996, I, 2648 ss., con nota di Fabiani e v. pure Consolo, La Consulta e l’imparzialità del giudice nella tutela cautelare civile in ambito fallimentare, in Dieci anni e sei riforme processuali viste dal Corriere, Milano, 2004, p. 303 ss. 7 Sul punto e sulle differenze con la Insolvenzordnung v. Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, Torino, 2009, p. 60 ss.

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A distanza di anni il suggerimento è stato recepito dal d.lgs. 9 gennaio 2006 n. 5 che, con l’introduzione dell’ottavo comma del novellato art. 15 l.fall., ha attribuito al tribunale adito (per la dichiarazione di fallimento) il potere di pronunciare misure cautelari, più precisamente conservative, a tutela dell’integrità dell’azienda e dei beni che costituiscono la garanzia patrimoniale dei creditori, atteso che il deposito dell’istanza di fallimento non riduce il rischio di comportamenti distrattivi da parte dell’imprenditore. Dopo quattro anni dall’entrata in vigore della riforma, la dottrina e la giurisprudenza di merito hanno offerto spunti interpretativi rilevanti sui presupposti, sul contenuto e sulla tipologia delle misure che possono concedersi; tutti elementi che hanno contribuito a delimitare l’ambito di applicazione dell’ottavo comma dell’art. 15 l.fall. e che, ad evitare un uso distorto dell’istituto, sembra necessario ripercorre.

2. La competenza e l’improponibilità della domanda cautelare prima del deposito dell’istanza di fallimento. Da un punto di vista sistematico, i provvedimenti cautelari concessi in sede prefallimentare vanno considerati come misure cautelari extravaganti, in quanto regolati da una legge speciale e non dal codice di rito civile 8. Più in particolare va detto che il legislatore della riforma, nel ridisegnare il procedimento per la dichiarazione d’insolvenza, si è fatto carico di stabilire soltanto alcuni criteri di carattere generale: a) la competenza del tribunale fallimentare in composizione collegiale; b) l’istanza di parte; c) la strumentalità di tali misure all’esito del giudizio (di merito) che accerta l’insolvenza. Le altre tessere del mosaico, a cau-

8 Caiafa, L’istruttoria prefallimentare: i provvedimenti cautelari e conservativi a tutela del patrimonio e dell’impresa, in Dir. fall., 2008, p. 174; De Matteis, Istanza di fallimento del debitore. L’istruttoria prefallimentare, in Fallimento e altre procedure concorsuali, a cura di Fauceglia e Panzani, Torino, 2009, p. 209; De Santis, Istruttoria prefallimentare e misure cautelari, nota a Trib. Udine 11 luglio 2008, in Il fallimento, 2009, p. 80; Fabiani, Le misure cautelari fra tutela del credito e nuovo fallimento, come tecnica di conquista dell’impresa insolvente, in Temi del nuovo diritto fallimentare, a cura di Palmieri, Torino, 2009, p. 62; Santangeli, Art. 15, in Il nuovo fallimento, a cura di Santangeli, Milano, 2006, p. 79. Di avviso parzialmente diverso Scarselli, Procedimento prefallimentare e procedimenti in camera di consiglio, in Il D.lg. 5/06 di riforma della legge fallimentare, in Foro it., V, c. 181; Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali dopo il d.lg. 12.09.2007, Torino, 2008, p. 34.

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sa della scarna disciplina stabilita dall’ottavo comma dell’art. 15 l.fall., vanno invece individuate nelle disposizioni sul procedimento cautelare uniforme 9, nel rispetto della clausola di compatibilità di cui all’art. 669 quaterdecies c.p.c. 10 e nei princìpi generali che reggono il sistema delle procedure concorsuali. Al riguardo va pure considerato che proprio la particolare natura dell’istruttoria prefallimentare, (finalizzata non tanto alla tutela di diritti soggettivi individuali 11, quanto all’apertura di una procedura concorsuale nella quale confluiscono sia posizioni giuridiche soggettive, sia interessi di carattere pubblicistico 12) esclude che le regole del rito cautelare uniforme possano trovare integrale applicazione. Una prima differenza rispetto alla disciplina del codice di rito, e segnatamente con l’art. 669 quater che prevede la facoltà di delega per l’istruttoria 13, va individuata nella competenza esclusiva del tribunale fallimentare in composizione collegiale. E ciò anche laddove sia stato nominato un giudice relatore a norma del terzo e del sesto comma dell’art. 15 l.fall. 14 Ne consegue che se la tutela cautelare viene chiesta

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È opinione pacifica che le norme sul procedimento cautelare uniforme sono dirette a disciplinare ogni forma di tutela cautelare, anche perché si tratta di una serie di regole “orientate in senso garantistico”: il pensiero di Cipriani, Il procedimento cautelare tra efficienza e garanzie, in Giusto proc. civ., 2006, p. 17, è condiviso anche da Tommaseo, Il fondamento costituzionale della tutela cautelare, in Studi in onore di Carmine Punzi, III, Torino, 2008, p. 416 ss. 10 Né una simile impostazione pregiudica la pronuncia da parte del tribunale fallimentare di provvedimenti atipici atteso che l’istituto di cui all’art. 700 c.p.c. assicurerebbe alla tutela cautelare prefallimentare notevole ampiezza di contenuti. Sul punto v. le considerazioni di Fabiani, nota a Trib. Verona (ord.), 28 maggio 2008, in Foro it., I, 2008, 2027, per il quale nel nostro sistema la tipicità delle misure cautelari viene meno a causa del provvedimento d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. 11 Se non nei limiti del c.d. diritto al concorso di cui è titolare anche il creditore istante. 12 Sebbene sia venuta meno l’iniziativa officiosa dell’autorità giudiziaria, tuttora infatti permane nella disciplina del fallimento una finalità pubblicistica, come dimostra il potere di iniziativa del p.m. di cui all’art. 7 l.fall. 13 Scarselli, Procedimento, cit., p. 181. 14 A conferma di quest’interpretazione è stato precisato (De Santis, Art. 15, in Il nuovo diritto fallimentare, a cura di Iorio e Fabiani, I, Bologna, 2006, p. 329, che il legislatore nell’art. 15 l.fall. fa riferimento ad un giudice relatore e non richiama invece la figura del giudice istruttore di cui al secondo comma dell’art. 669 quater c.p.c. Di qui la conclusione che si tratta di una deroga al principio della “monocraticità della competenza cautelare in corso di causa, di cui all’art. 669 quater c.p.c., che, del resto, prevede esso stesso (al comma quarto) una rilevante eccezione al predetto principio, in

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al giudice relatore, questi deve investire dell’istanza il collegio. Anche l’art. 669 ter (sulla competenza anteriore alla causa), l’art. 669 octies (sul provvedimento di accoglimento) e buona parte dell’art. 669 novies c.p.c. non possono trovare applicazione in sede prefallimentare: non è, infatti, consentita la proposizione di una domanda cautelare ante causam, sia per la particolare collocazione della norma – contenuta nel penultimo comma della disposizione che regola l’istruttoria prefallimentare – sia per la formulazione letterale della stessa che presuppone una “inscindibile associazione” tra tutela cautelare e procedimento prefallimentare 15. Il deposito dell’istanza di fallimento è, dunque, la condizione necessaria per la concessione della cautela, in quanto funzionale alla sentenza dichiarativa ed alla conservazione della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c.

3. L’istanza di parte. L’abolizione della dichiarazione di fallimento d’ufficio 16 comporta che pure l’ottavo comma dell’art. 15 l.fall. subordina la concessione dei provvedimenti cautelari all’istanza di parte 17 e, quindi, di tutti quei soggetti cui la legge fallimentare attribuisce l’iniziativa per la dichiarazione dell’insolvenza; si tratta dei creditori, del pubblico ministero, dello

relazione all’ipotesi in cui la domanda cautelare sia proposta in pendenza dei termini per l’impugnazione, caso per il quale a deciderla deve essere il medesimo giudice (non necessariamente monocratico) che ha pronunziato la sentenza”. Dello stesso avviso Santangeli, Art. 15, cit., p. 80. 15 Così Pagni, La tutela cautelare del patrimonio e dell’impresa nell’art. 15 l.fall., in Il fallimento, 2011, p. 852 ss. Nello stesso senso De Santis, Istruttoria, cit., p. 80; Filocamo, Nonno e Didone, Misure cautelari, in L’istruttoria prefallimentare. Procedimento per la dichiarazione di fallimento: un’indagine giuridico-aziendalistica nella prassi dei tribunali italiani, a cura di Ferro e Di Carlo, Milano, 2010, p. 561 ss.; Fimmanò, L’esercizio provvisorio “anticipato” dell’impresa “fallenda” tra spossessamento cautelare dell’azienda e amministrazione giudiziaria della società, in www.ilcaso.it/opinioni/191-fimmano-01-03-10.pdf. 16 In arg. v. Apice, L’abolizione del fallimento d’ufficio, in Studi in onore di Carmine Punzi, Torino, 2008, V, p. 45 ss. 17 Al riguardo v. Pagni, La tutela, cit., p. 852 ss., che correttamente osserva come in nessun caso il tribunale ha facoltà di disporre misure cautelari d’ufficio e quindi, né “se la misura dovesse servire a proteggere i molteplici interessi in gioco, e non soltanto a tutelare il credito dell’istante, e neppure facendo leva sull’equivoco tra superamento del principio della domanda e sussistenza di un potere generale di cautela, che verrebbe attivato dall’impulso di chi chieda una misura interinale diversa da quella poi concessa dal tribunale”.

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stesso debitore nonché, secondo la giurisprudenza, del curatore del fallimento della società di persone, che abbia richiesto il fallimento in estensione del socio a responsabilità illimitata a norma dell’art. 147 l.fall. 18 La necessità della domanda di parte e la negazione di un potere “officioso” di cautela in capo al tribunale comportano molteplici implicazioni, soprattutto in ordine alla legittimazione del creditore. Al riguardo va osservato che oggi la legittimazione del creditore (sia al ricorso di fallimento, sia all’istanza cautelare) deve essere valutata anche da un punto di vista sostanziale: per il tribunale, difatti, non è irrilevante la prova del credito, in quanto l’insolvenza può essere accertata – e la cautela concessa – solo se il ricorso di fallimento e l’istanza cautelare siano stati proposti da un soggetto titolare di credito privilegiato o chirografario, anche non liquido e non esigibile e, addirittura, contestato in altro giudizio, indipendentemente dalla (futura ed eventuale) ammissione al passivo 19. Pertanto alla rinuncia del creditore al ricorso di fallimento consegue: a) l’improcedibilità dell’accertamento sull’insolvenza 20; b) l’inefficacia

18 Trib. Udine, 11 luglio 2008, cit. in arg. v. pure Montanaro, Il procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Le riforme della legge fallimentare I, a cura di Didone, Torino, 2010, p. 290, ove si avverte che anche il patrimonio dei soci illimitatamente responsabili rientra nella previsione di cui all’ottavo comma dell’art. 15 l.fall. 19 Così Cass., 28 maggio 2010, n. 13086, in Il fallimento, 2010, 1261, con nota di De Santis, Struttura “bifasica” del fallimento, disciplina transitoria delle riforme della legge concorsuale e giusto processo civile. In arg. v., per tutti, Bongiorno, La dichiarazione di fallimento, in Le riforme della legge fallimentare, a cura di Didone, Torino, 2009, p. 309 ss. Di contro, in passato si riteneva che, ai fini della pronuncia di fallimento, fosse irrilevante la desistenza del creditore. Sul punto v. Tedeschi, Della dichiarazione di fallimento, in Comm. Scialoja-Branca, Legge fall., a cura di Bricola, Galgano, Santini, BolognaRoma, 1974, p. 239. 20 Anche se rimane fermo il potere del tribunale di segnalazione dell’insolvenza al p.m.; in tal senso App. Torino, 8 novembre 2010, in Il fallimento, 2011, 330 ss., con nota adesiva di Tiscini, Potere di azione per la dichiarazione di fallimento e potere di segnalazione dello stato di insolvenza: entità eterogenee a confronto; in senso contrario, Cass., 26 febbraio 2009, n. 4632, in Il fallimento, 2009, 521 ss. con nota di De Santis, Segnalazione d’insolvenza, iniziativa fallimentare del pubblico ministero e terzietà del giudice; in Foro it., 2009, I, 1404, con osservazioni di Fabiani; e v. la pure in Riv. dir. proc., 2010, 440, con nota di Marelli, Segnalazione di insolvenza al pubblico ministero da parte del tribunale fallimentare; in Corr. giur., 2009, 925, con nota di Ferro, La terzietà spettatrice del giudice dell’insolvenza. Più in particolare, per il giudice di legittimità, l’iniziativa officiosa deve escludersi non solo nella fase prefallimentare, ma nell’intero ambito concorsuale, in ogni situazione potenzialmente idonea ad aprire il fallimento (così nell’ipotesi di estensione dell’art. 147, co. 4, l.fall. ed in quelle derivanti dalla presentazione di una proposta di concordato o dal suo esito negativo, ai sensi degli artt. 162, co. 2, 173, co. 2 e 180, co. 7, l.fall.).

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del provvedimento cautelare eventualmente concesso che è appunto funzionale alla sentenza dichiarativa. La rinuncia alla sola istanza cautelare non ha invece effetto sulla prosecuzione dell’istruttoria prefallimentare, ma priva di efficacia il provvedimento cautelare eventualmente concesso 21. La domanda cautelare è di solito contenuta nel ricorso di fallimento; tuttavia nulla vieta che venga proposta in un tempo successivo, indipendentemente dal momento in cui si trovi il procedimento prefallimentare. Di qui l’ulteriore corollario che le misure conservative possono essere richieste anche da un soggetto diverso dal creditore ricorrente ex art. 6 l.fall. (o dal pubblico ministero), purché legittimato alla istanza di fallimento. Il rispetto del principio della domanda (art. 99 c.p.c.) e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 c.p.c.) obbligano il ricorrente a specificare in maniera circostanziata il tipo di cautela che si vuole ottenere. Sicché la parte istante non può chiedere genericamente al tribunale di individuare la misura cautelare da applicare nel caso concreto: a ritenere diversamente si finirebbe, infatti, per restituire all’autorità giudiziaria quel potere officioso che il dato normativo le ha negato 22. Si aggiunga che proprio il rispetto dei suddetti principi porta ad escludere che il tribunale possa concedere una cautela diversa da quella richiesta, anche se diretta ad ottenere gli stessi effetti di quest’ultima, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione 23.

21 Di avviso contrario De Cesari e montella, Le misure cautelari e conservative nell’istruttoria prefallimentare, in Riv. dir. proc., 2011, p. 795, e spec. sub nota 14, i quali affermano come i provvedimenti cautelari, una volta concessi su istanza di parte “escano dalla sua disponibilità, e in particolare, che sia irrilevante l’eventuale successiva rinuncia della parte che le ha chieste: ciò proprio perché la loro adozione è stata il frutto di una valutazione positiva della loro utilità ai fini del processo prefallimentare e di quello fallimentare di successiva probabile apertura, e non per il singolo creditore”. 22 De Cesari e montella, Le misure, cit., p. 807; Ghignone, I provvedimenti cautelari e conservativi nell’ambito dei giudizi di dichiarazione di fallimento: prime applicazioni giurisprudenziali, in Giur. comm., 2010, II, p. 505 s.; Marzocchi, I provvedimenti, cit., p. 1189. Ritiene invece che il tribunale fallimentare possa di volta in volta individuare le misure interinali più adatte al caso concreto De Santis, Istruttoria, cit., p. 82. In giurisprudenza, nel senso che il legislatore avrebbe attribuito al tribunale fallimentare “il potere di individuare in concreto la tipologia provvedimentale più idonea a perseguire l’obiettivo di tutela interinale del patrimonio dell’impresa” v., Trib. Sant’Angelo dei Lombardi, 13 settembre 2011, inedita, oltre a tutte le altre pronunce richiamate infra, alla nota 46. 23 V., ad es., Trib. Milano, 25 marzo 2010, cit., che ha negato la sospensione delle azioni esecutive ma ha finito col concedere una misura cautelare parzialmente diversa da quella richiesta, ordinando ai creditori assegnatari di costituire “conti correnti dedicati”

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Pur in difetto di un’esplicita previsione si è ritenuto che al collegio sia consentito disporre la misura cautelare anche inaudita altera parte, laddove il rispetto dei tempi necessari all’instaurazione del contraddittorio pregiudichi l’utilità e l’incisività del provvedimento richiesto 24. Difatti, se la cautela fosse subordinata alla preventiva instaurazione del contraddittorio sarebbe illogico parlare di revoca o di conferma anziché d’inefficacia del provvedimento cautelare al momento della pronuncia di merito 25. Anche se l’esigenza di adottare in tempi brevi una misura conservativa consente al tribunale di pronunciarsi inaudita altera parte, appare sempre necessaria l’attuazione ex post del contraddittorio con le altre parti del procedimento prefallimentare. Pertanto il collegio, con il decreto che dispone la misura cautelare, fissa l’udienza di comparizione delle parti, entro un termine non superiore a quindici giorni; al contempo assegna alla parte istante un termine perentorio non superiore ad otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto a norma del secondo comma dell’art. 669 sexies c.p.c.

4. I presupposti. La natura cautelare per un verso determina la strumentalità di tali provvedimenti alla pronuncia di merito (che accerta l’insolvenza), a norma degli artt. 669 bis e ss. c.p.c.; dall’altro richiede la sussistenza del fumus boni juris e del periculum in mora. Segnatamente il requisito del fumus va individuato nella probabile fondatezza dell’istanza di fallimento 26 e, quindi, nella sussistenza

su cui depositare le somme versate dal terzo debitor debitoris, somme disponibili solo previa autorizzazione del tribunale. 24 Trib. Pavia, 6 luglio 2011, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/6119.php, ha concesso il sequestro conservativo inaudita altera parte, in quanto era stato fissato a breve termine il rogito dell’unico appartamento di proprietà del debitore. Sicché nella impossibilità di convocare il debitore nel termine dimidiato di 7 giorni liberi, il tribunale ha contestualmente fissato l’udienza collegiale per la conferma o la revoca del provvedimento. Dello stesso avviso Trib. Vibo Valentia, 19 marzo 2010, cit. 25 In effetti sembra corretto quell’orientamento secondo cui la concessione della cautela inaudita altera parte costituisce “l’unica modalità compatibile con la struttura procedimentale prevista dalla legge fallimentare”: così Montanaro, Il procedimento, cit., p. 298 s. e la giurisprudenza richiamata alla nota 539. 26 Ovvero, nella “verosimile esistenza del diritto del creditore, e specularmente del debitore, a vedere regolato il rapporto debito-credito nelle forme del concorso” come recentemente evidenziato da Pagni, La tutela, cit., p. 853 ss.

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dell’insolvenza, anche se al riguardo va precisato che il ricorrente – ove si tratti di soggetto diverso dal debitore – non è tenuto a fornire la prova del presupposto soggettivo di cui al secondo comma dell’art. 1 l.fall. per la dichiarazione di fallimento 27. Tuttavia proprio per tale ragione il collegio, nel concedere la cautela inaudita altera parte, ordina al debitore di depositare in cancelleria, prima dell’udienza di comparizione, i bilanci concernenti i tre esercizi precedenti, nonché una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata a norma del quarto comma dell’art. 15 l.fall., avvertendolo che è a suo carico l’onere di dimostrare l’insussistenza dei requisiti dimensionali di cui all’art. 1 l.fall. 28 Il periculum in mora attiene al rischio di depauperamento (sia pure limitato al periodo necessario alla pronuncia di merito) del patrimonio responsabile dell’imprenditore ovvero ad un concreto pregiudizio all’integrità del complesso e dei valori aziendali 29, con conseguente violazione del principio della par condicio creditorum 30. In concreto il periculum in mora finisce per coincidere con la funzione che la misura conservativa è chiamata ad assolvere e che varia di volta in volta in base al contenuto del provvedimento richiesto.

5. La modifica e la revoca. La disciplina dettata dall’art. 669 decies c.p.c. per la revoca o modifica del provvedimento cautelare trova applicazione, sia pure con alcuni adattamenti, nel procedimento per l’apertura del fallimento. Anche se il meccanismo contenuto in tale norma disciplina l’ipotesi che il provvedimento (di cui si chiede la revoca o la modifica) sia stato emesso nel contraddittorio delle parti, sembra corretto quell’orientamento

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Montanaro, Il procedimento, cit., p. 286. Trib. Pavia, 6 luglio 2011, cit. 29 Fabiani, Contratto, cit., p. 59; Inzitari, Sostituzione cautelare dell’amministratore per l’istruttoria prefallimentare ex art. 15, penultimo comma, l.fall., in Dir. fall., 2009, p. 346; Marzocchi, I provvedimenti, cit., p. 1180. Sul punto v. pure Bellè, I provvedimenti cautelari e conservativi a tutela del patrimonio e dell’impresa, in Il fallimento, 2011, p. 5 ss. In giurisprudenza sul problema del mantenimento dei valori aziendali: Trib. Udine, 11 luglio 2008, cit.; Trib. Verona, 28 maggio 2008, cit. 30 Trib. Monza, 11 febbraio 2009, in Il fallimento, 2009, p. 854, con nota di Ferro, La revoca dell’amministratore nell’istruttoria prefallimentare: prove generali di anticipazione dell’efficacia del fallimento successivo. 28

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che riconosce al tribunale fallimentare il potere di adeguare la tutela cautelare concessa inaudita altera parte alla situazione sostanziale sottostante 31. Così come avviene nel procedimento uniforme regolato dal codice di rito, la revoca o la modifica presuppongono, dunque, che le circostanze siano mutate per fatti nuovi ovvero per fatti anteriori che, se conosciuti al momento della pronuncia della misura cautelare, avrebbero condotto il collegio ad una decisione diversa da quella adottata. Laddove non sia pendente il reclamo (ma sull’ammissimiblità di tale impugnazione in sede prefallimentare si dirà meglio nel § successivo), la revoca e la modifica debbono essere chiesti al medesimo tribunale che ha provveduto sull’istanza cautelare. Nella particolare ipotesi che il provvedimento sia stato pronunciato inaudita altera parte e poi confermato, nel corso dell’udienza collegiale e nel rispetto del principio del contraddittorio, nulla osta alla sua modifica (o revoca) anche prima della pronuncia della sentenza di fallimento (o del decreto di rigetto), sempre che sia stata proposta un’esplicita istanza in tal senso 32.

6. Il reclamo. Discorso più complesso deve invece essere fatto per il reclamo cautelare. Parte della dottrina nega l’operatività dell’art. 669 terdecies c.p.c. in sede di istruttoria prefallimentare 33: dopo la pronuncia della sentenza di fallimento non vi sarebbe più alcuna esigenza di reclamare la misura cautelare, confermata o caducata con la decisione di merito. Si è detto, ancora, che quando il tribunale ha respinto il ricorso di fallimento, il reclamo cautelare sembra privo di utilità, poiché il decreto di rigetto della domanda di merito determina comunque la revoca del cautelare (eventualmente concesso), come stabilito dall’ottavo comma dell’art. 15 l.fall. In tale ipotesi il creditore ricorrente, il p.m. e lo stesso debitore possono

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Montanaro, op.loc.cit., p. 306. Blatti, Provvedimenti cautelari nel procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Fallimento & crisi di impresa, 2008, p. 382; De Santis, Istruttoria, cit., p. 85. 33 Celentano, Il procedimento per la dichiarazione di fallimento, in Fallimento e concordati, a cura di Celentano e Forgillo, Torino, 2008, p. 142; Ferro, La revoca, cit., p. 860; Inzitari, Sostituzione, cit., 355; Montanaro, Il procedimento, cit., p. 306 s. 32

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proporre ai sensi dell’art. 22 l.fall. reclamo alla corte di appello contro il decreto di rigetto della domanda di fallimento ed in quella sede può essere nuovamente formulata l’istanza cautelare 34. E si è anche rilevato che l’applicazione dell’art. 669 terdecies c.p.c. in sede prefallimentare, comporterebbe il rischio concreto che, dopo la dichiarazione d’insolvenza (o il rigetto della domanda), il reclamo potrebbe essere non ancora definito, nonostante le esigenze cautelari risultino ormai superate 35. Anche se tali argomentazioni sembrano corrette non si può, tuttavia, ignorare che l’esigenza di contestare il provvedimento cautelare emerge proprio per quelle pronunce che, di fatto, rallentano la definizione dell’istruttoria prefallimentare nel tentativo di favorire eventuali soluzioni negoziali della crisi 36 ovvero di tutte quelle fattispecie caratterizzate da un’istruttoria prefallimentare lunga e complessa 37 o, ancora, quando il provvedimento ha inciso sui diritti di terzi ai quali va riconosciuto il diritto ad impugnarlo 38. Si aggiunga che il reclamo di cui all’art. 669 terdecies c.p.c. può rivelarsi utile anche laddove la tutela concessa non corrisponda a quella domandata 39. Né va trascurato che un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’ottavo comma dell’art. 15 l.fall. (anche in considerazione della pronuncia del Giudice delle leggi che ha dichiarato l’illegittimità della nor-

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Sul punto v. Montanaro, Il procedimento, cit., p. 307. Così Inzitari, Sostituzione, cit., p. 355, il quale avverte che il procedimento prefallimentare, anche se più complesso rispetto al passato, si svolge comunque in un tempo ragionevole; da qui l’inutilità della procedura di reclamo. Infine, continua l’A., a voler riconoscere la reclamabilità del cautelare, in difetto di una specifica competenza, questa dovrebbe essere attribuita alla corte d’appello e si tratterebbe di una “ipotesi ancor meno compatibile con la temporaneità e brevità di durata della cautela”. 36 Al riguardo v. amplius sub §11. 37 De Cesari e Montella, Le misure, cit., p. 797 e, in particolare, la nota 22, ove si prospetta l’ipotesi che l’istruttoria prefallimentare non sia tanto breve da rendere superflua l’impugnabilità del provvedimento; a tale riguardo viene richiamano il caso del regolamento di competenza nell’ambito dell’art. 9 bis l.fall. oppure della questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia UE, per la determinazione della giurisdizione alla luce del Regolamento CE, 29 maggio 2000, n. 1346. 38 De Cesari e Montella, Le misure, cit., p. 798. In arg. v. pure Ferro, I poteri del giudice delegato nell’istruttoria sull’insolvenza, in Il fallimento, 2008, p. 1044, per il quale un limite alla tutela cautelare in sede prefallimentare è costituito proprio dal patrimonio di soggetti terzi, inclusi i gestori o i controllori dell’impresa ma, ciononostante, sostiene l’inimpugnabilità del provvedimento. 39 Pagni, La tutela, cit., p. 853 ss. 35

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ma che vietava il reclamo avverso i provvedimenti cautelari negativi 40) impone il rispetto degli artt. 3 e 24 Cost. in materia di contraddittorio, di motivazione e – soprattutto per quello che qui interessa – di paritaria posizione delle parti nell’esercizio dei propri diritti. In altri termini, anche la disciplina della cautela in sede prefallimentare deve seguire le regole del giusto processo, dove le parti si contrappongono in maniera paritaria; sicché – mutuando i principi affermati dalla Consulta – l’equivalenza degli strumenti processuali nella disponibilità dalle parti “è in rapporto di necessaria strumentalità con le garanzie di azione e di difesa sancite dall’art. 24 Cost., si ché una distribuzione squilibrata dei mezzi di tutela, riducendo la possibilità di una delle parti di far valere le proprie ragioni, condiziona impropriamente in suo danno e in favore della controparte l’andamento e l’esito del processo”. Al fine di bilanciare la concessione del provvedimento cautelare a favore del ricorrente con le esigenze di protezione dell’intimato che può, a sua volta, subire un danno irreparabile 41, sembra, dunque, da preferirsi quell’orientamento che ritiene ammissibile il reclamo ad altra sezione del tribunale avverso la cautela concessa nel corso dell’istruttoria prefallimentare 42. Sul reclamo il collegio provvede con ordinanza non altrimenti impugnabile, ossia sottratta anche al ricorso straordinario ex art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento temporaneo ed inidoneo ad incidere definitivamente sui diritti della parte 43.

40 Si tratta di C. Cost., 23 giugno 1994, n. 253, in Giur. it., 1994, I, 409, con nota di Consolo, Il reclamo cautelare e la parità delle armi ritrovata. In arg. v. pure Consolo, Il reclamo cautelare, la sua struttura e l’art. 3 della Costituzione, in Corr. giur., 1994, p. 376; Vaccarella, Il procedimento cautelare dopo l’intervento della Corte Costituzionale sul reclamo avverso i provvedimenti negativi, in Prime esperienze del nuovo processo cautelare. Atti dell’incontro di studio (tenutosi a Roma 27 maggio 1995), Milano, 1996, p. 55 ss. 41 Tommaseo, Riflessioni sulla tutela cautelare d’urgenza, in Studi in onore di Giuseppe Tarzia, II, Milano, 2005, p. 1493. 42 Bellè, I provvedimenti, cit., p. 9 ss.; De Santis, Istruttoria, cit., p. 85; De Matteis, Istanza, cit., p. 219; Ghignone, I provvedimenti, cit., p. 511; Fabiani, Le misure cautelari fra tutela del credito e nuovo fallimento, come tecnica di conquista dell’impresa insolvente, in Temi del nuovo diritto fallimentare, Torino, 2009, p. 63. 43 Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2010, p. 635. Dello stesso avviso anche la giurisprudenza di legittimità secondo la quale il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111, co. 7, Cost. è proponibile avverso ordinanze o decreti solo quando siano definitivi ed abbiano carattere decisorio. Sicché non è ricorribile il provvedimento emesso in sede di reclamo che ha gli stessi caratteri di provvisorietà (e di non decisorietà) tipici dell’ordinanza oggetto del reclamo, destinato a perdere efficacia con la senten-

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Laddove si aderisca invece all’orientamento che ritiene inammissibile il reclamo, rimane fermo che tutte le statuizioni in materia cautelare possono contestarsi ai sensi dell’art. 26 l.fall., con l’avvertimento però che si tratta di un rimedio di carattere generale che presuppone l’avvenuta dichiarazione di fallimento 44.

7. Il contenuto atipico della tutela cautelare in sede prefallimentare secondo la giurisprudenza di merito. Per quanto concerne il contenuto della tutela cautelare prefallimentare, la giurisprudenza di merito ha interpretato in maniera estensiva l’ottavo comma dell’art. 15 l.fall., ove è previsto che il tribunale possa adottare “provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa” 45. Degli aggettivi “cautelari o conservativi” è stata fornita una lettura estensiva, tanto da ritenere che il legislatore abbia affidato “al tribunale competente per la dichiarazione di fallimento il potere di individuare in concreto la tipologia provvedimentale più idonea a perseguire l’obiettivo di tutela interinale del patrimonio o dell’impresa” 46. Al col-

za di merito e, pur coinvolgendo posizioni di diritto soggettivo, non statuisce su di esse con la forza dell’atto giurisdizionale idoneo ad assumere autorità di giudicato. Così, tra le più recenti, Cass., 27 giugno 2011, n. 14140; Cass., 19 novembre 2010, n. 23504; Cass., 7 giugno 2007, n. 13360, in Dir. prat. società, 2008, 60, con nota di Ferraguto, Natura dei provvedimenti cautelari nel rito societario. 44 Frascaroli Santi, Il tribunale fallimentare, in Trattato di diritto delle procedure concorsuali, diretto da Apice, Torino, 2010, p. 198; Montanaro, Il procedimento, cit., p. 307; Saletti, La tutela giurisdizionale nella legge fallimentare novellata, in Riv. dir. proc., 2006, p. 989; Scarselli, cit., p. 181. In arg. v. pure Caiafa, L’istruttoria, cit., p. 179; De Cesari e Montella, Le misure, cit., p. 797, che seppure come extrema ratio, affermano che il provvedimento cautelare può contestarsi col ricorso straordinario in Cassazione. 45 Molteplici sono i contributi degli Autori che hanno tentato di raccogliere le diverse tipologie di misure cautelari concesse dalla giurisprudenza. Tra i più recenti v. Bellè, I provvedimenti, cit., p. 7 ss.; Cavallini, sub art. 15, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da Cavallini, Milano, 2010, p. 328 ss.; De Santis, La dichiarazione di fallimento, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da Buonocore e Bassi, Padova, 2010, p. 405. 46 Così, ex multis, Trib. Sant’Angelo dei Lombardi, 13 settembre 2011 (inedita); Trib. Novara, 28 aprile 2011, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/5923.pdf. Nel senso che il contenuto della cautela non sia stato predefinito dal legislatore ma vada individuato secondo le esigenze del caso concreto: Trib. Prato, 24 giugno

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legio, dunque, non sarebbe consentita soltanto l’adozione di misure cautelari tipicamente conservative (come il sequestro conservativo 47 e giudiziario 48 o dirette a tutelare le esigenze probatorie nell’ambito del procedimento prefallimentare 49), ma anche provvedimenti atipici dal contenuto: –– a) “anticipatorio”, in quanto diretti a sospendere le procedure esecutive e cautelari in corso 50; –– b) “inibitorio”, perché impediscono al terzo pignorato di dare esecuzione all’obbligo di pagamento in favore del creditore assegnatario 51

2011, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/6576.php. Per Trib. Terni, 3 marzo 2011, cit. la formulazione della norma sembra esprimere “una connotazione tipologica di largo spettro, correlata alla riconosciuta atipicità delle misure cautelari di stampo prefallimentare”. Secondo Trib. Monza, 11 febbraio 2009, cit., non essendo state tipizzate dalla legge, le misure cautelari possono variare dal sequestro conservativo dei beni del debitore o dell’azienda, fino a provvedimenti più invasivi come la sostituzione dell’imprenditore con un custode, al quale deve essere sottoposta ogni decisione di straordinaria amministrazione, o come la semplice inibizione di compiere atti di straordinaria amministrazione o, infine, misure che obbligano l’imprenditore a premunirsi dell’autorizzazione del tribunale per compiere determinate attività. 47 Trib. Pavia, 6 luglio 2011, cit. 48 Sulle problematiche sottese al sequestro giudiziario ogniqualvolta tale cautela abbia ad oggetto un bene di tipo dinamico (come l’azienda o le partecipazioni sociali) e per la necessità di circoscrivere in maniera netta i poteri del custode in quanto una custodia conservativa potrebbe rivelarsi non meno pregiudizievole di una custodia attiva, anche se disposta con le necessarie garanzie, v. Fabiani, Tutela cautelare e rapporti tra imprenditore e amministratore giudiziario dell’impresa, in www.ilcaso.it/opinioni/262fabiani-09-09-11.pdf, p. 9 ss., anche se più avanti, sub § 10 si tornerà sulla legittimità di tali tipologie di provvedimenti. 49 Trib. Monza, 11 febbraio 2009, cit., nella quale è stato conferito apposito mandato all’amministratore giudiziario a collaborare con il c.t.u. nominato “per fornire ogni dato utile alla evasione del quesito”; altra ipotesi di misura cautelare che può concedersi a tutela delle esigenze probatorie potrebbe essere rappresentata dal sequestro della contabilità d’impresa: l’opinione è di De Santis Istruttoria, cit., p. 88. 50 Trib. Busto Arsizio, 28 luglio 2009, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/2027.php. 51 L’arresto cui si fa riferimento è Trib. Monza, 20 novembre 2009, cit., per il quale il tribunale fallimentare – nella impossibilità di disporre la sospensione della procedura esecutiva, in quanto provvedimento di competenza esclusiva del giudice dell’esecuzione – può esonerare temporaneamente il terzo dall’obbligo di pagare al creditore le somme pignorate, affidando la gestione del conto (sul quale sono stati versati tali importi) ad un organo terzo che effettui i pagamenti essenziali per il funzionamento temporaneo dell’attività di impresa. Tale principio è stato confermato da Trib. Milano, 25 marzo 2010 cit., per il quale sebbene l’art. 15, co. 8, l.fall. non possa determinare la sospensione delle procedure esecutive individuali (perché ver-

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oppure ordinano all’imprenditore la sospensione dei pagamenti 52; –– c) “innovativo”, determinando effetti diversi rispetto a quelli propri del fallimento e che incidono sulla struttura organizzativa dell’impresa; si pensi a quella pronuncia che, nell’autorizzare il sequestro dell’intera azienda, dispone la revoca degli amministratori della società debitrice, sostituendoli con un amministratore giudiziale con poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione alla stregua di quanto previsto nella revoca ex art. 2409 c.c. 53 Alla stessa maniera, si può parlare di natura innovativa anche per tutte quelle misure cautelari concesse in sede di istruttoria prefallimentare non tanto in funzione della successiva dichiarazione di insolvenza, quanto piuttosto nel tentativo di individuare soluzioni alternative al fallimento 54.

rebbe anticipato uno degli effetti tipici della sentenza dichiarativa di fallimento quale l’improcedibilità delle azioni esecutive individuali) ha negato la sospensione delle azioni esecutive ma ha finito col concedere una misura cautelare parzialmente diversa da quella richiesta, ordinando ai creditori procedenti di costituire “conti correnti dedicati” su cui depositare le somme versate dal terzo debitor debitoris, somme disponibili solo previa autorizzazione del tribunale. 52 Così Trib. Terni, 18 aprile 2008, a sua volta richiamata da Trib. Terni, 3 marzo 2011, cit. Sulla possibilità che il tribunale fallimentare disponga anche misure di carattere inibitorio nei confronti del debitore come il divieto di compiere determinati atti di gestione o di assetto dell’impresa v., in dottrina, De Matteis, Istanza, cit., p. 212, e Ferro, I poteri, cit., p. 1044, con specifico riferimento ad operazioni di fusione, riduzione o aumento di capitale. 53 Così Trib. Novara, 24 febbraio 2010, in Il fallimento, 2010, 1180, che conserva in capo agli amministratori della società debitrice il solo potere di sottoscrivere e presentare la domanda di concordato preventivo; v. pure Trib. Napoli, 23 giugno 2009, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/2041.php, che ha revocato i componenti del consiglio di amministrazione e designato un amministratore giudiziario, cui ha attribuito i poteri di gestione e di amministrazione ordinaria e – con l’autorizzazione del collegio - di amministrazione straordinaria della società resistente, con il compito di riferire al tribunale ogni sette giorni, sull’attività svolta e i relativi risultati; Trib. Monza, 11 febbraio 2009, cit., che ha ritenuto ammissibile la sostituzione dell’imprenditore con un amministratore giudiziario; Trib. Udine, 11 luglio 2008, cit.; Trib. Verona, 28 maggio 2008, cit. 54 Trib. Novara, 24 febbraio 2010, cit., che, nelle more della decisione di merito, ha differito la chiusura dell’istruttoria affinché il debitore potesse predisporre un piano di concordato preventivo e v., pure, le altre decisioni richiamate infra alla nota 80.

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8. Le misure conservative quale species del più ampio genere della tutela cautelare. L’ottavo comma dell’art. 15 l.fall. riconosce al tribunale fallimentare il potere di pronunciare “provvedimenti cautelari o conservativi”. Sul punto va subito avvertito che i provvedimenti conservativi costituiscono una determinata specie della tutela cautelare; sembra, quindi, che alla congiunzione “o” non possa attribuirsi valore disgiuntivo, in quanto utilizzata dal legislatore in maniera esplicativa ovvero dichiarativa 55. In base alla lettera della legge, nelle more del procedimento prefallimentare la parte istante ha, dunque, facoltà di ottenere provvedimenti cautelari “ovvero”, più precisamente, misure finalizzate alla “conservazione” del patrimonio dell’imprenditore o dell’impresa 56. Alla luce di tali brevi considerazioni non può condividersi quell’interpretazione che riconosce nel dato normativo una contrapposizione tra misure cautelari e conservative, allo scopo di individuare proprio nella generica espressione “provvedimenti cautelari” il potere dell’autorità giudiziaria di disporre misure atipiche. Allo stesso modo l’affermazione che la norma in esame consentirebbe al collegio di utilizzare la propria fantasia in senso creativo non trova conferma in alcuna disposizione; anzi viene smentita sia dalla significativa riduzione dei poteri riconosciuti dal vecchio regime al giudice del fallimento, sia dal principio della

55 In base a quanto si legge nel Grande Dizionario Italiano dell’Uso diretto da De Mauro, Torino, 2000, la congiunzione “ovvero”, che condivide la medesima funzione di “o”, viene impiegata principalmente in maniera esplicativa; ciò sta a significare che i concetti richiamati dalla congiunzione non si escludono affatto, in quanto vengono meglio precisati e chiariti. 56 Giunge a questa conclusione anche Montanaro, Il procedimento per la dichiarazione di fallimento, cit., p. 291, secondo il quale in nessun caso tali provvedimenti potrebbero avere “una funzione propriamente anticipatoria, poiché non è possibile realizzare, soprattutto in confronto dei terzi, gli effetti propri della sentenza dichiarativa di fallimento”. Di avviso diverso Pagni, La tutela, cit., p. 853, secondo la quale il legislatore si è avvalso di una formula ampia. De Santis, Istruttoria, cit., p. 80, ss. parla di “probabile ridondanza del dettato legislativo” e ritiene che stabilire se i provvedimenti adottati dal tribunale fallimentare abbiano in concreto carattere anticipatorio, piuttosto che conservativo, avrebbe una valenza di ordine meramente descrittivo, salvo poi escludere che i provvedimenti del tribunale possano anticipare gli effetti propri della sentenza dichiarativa di fallimento, ma su tale aspetto si dirà meglio in seguito. Nello stesso senso De Matteis, Istanza del fallimento del debitore, cit., p. 212. In arg. v. pure Celentano, I provvedimenti cautelari, in Fallimento e concordati, Torino, 2008, p. 140; Ferro, I poteri, cit., p. 1042; Marzocchi, I provvedimenti, cit., p. 1180 ss.

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domanda, al cui rispetto l’ottavo comma dell’art. 15 l.fall. subordina la concessione della cautela. Nonostante la varietà delle decisioni (e delle motivazioni che le sorreggono), la c.d. atipicità della tutela cautelare sembra rappresentare il comune denominatore tra i diversi provvedimenti concessi dalle corti di merito, e ciò non solo (e non tanto) per una migliore conservazione del patrimonio del debitore, quanto piuttosto nel tentativo di restituire – sia pure in maniera indiretta – al giudice fallimentare parte di quelle prerogative di cui era stato privato in seguito alla soppressione dell’iniziativa officiosa (art. 6 l.fall.) ed alla limitazione dell’iniziativa del pubblico ministero. Come è agevole rendersi conto, la giurisprudenza ha finito per affidare all’ottavo comma dell’art. 15 l.fall. una valenza pubblicistica, ben diversa dall’interesse privatistico della parte istante alla conservazione del patrimonio del debitore.

9. Il contenuto esclusivamente conservativo della tutela cautelare prefallimentare. Oltre a disattendere la lettera della legge, la maggior parte dei provvedimenti cautelari sinora concessi non ubbidisce alle regole fondamentali dell’ordinamento processuale e concorsuale, determinando non pochi guasti ed incertezze nei rapporti intercorrenti tra l’imprenditore, i suoi creditori ed i terzi, in un momento particolarmente delicato e drammatico come quello che precede la (eventuale) dichiarazione di fallimento. Movendo, infatti, dalla tradizionale distinzione tra misure “conservative” (funzionali a cristallizzare la situazione di fatto e di diritto, evitando che venga pregiudicata nel corso del successivo giudizio di merito) e “anticipatorie” 57 (dirette ad anticipare – in tutto o in parte – gli effetti

57 La dottrina processualcivilistica è dell’opinione che i cd. provvedimenti cautelari anticipatori non possano ricondursi ad una categoria autonoma, in considerazione della loro eterogeneità e della conseguente difficoltà ad individuare in maniera esatta dei criteri univoci per distinguere e classificare le singole previsioni normative. In arg. v. Carpi, Provvedimenti interinali di condanna, esecutorietà e tutela delle parti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, p. 634 ss.; Id., La tutela d’urgenza fra cautela, “sentenza anticipata” e giudizio di merito, in Riv. dir. proc., 1985, p. 680 ss.; Comoglio, I provvedimenti anticipatori, in Le riforme della giustizia civile. Commento alla l. n. 353/1990 e alla l. n. 374/1991, a cura di Taruffo, Torino, 1993, p. 301; Frisina, La tutela anticipatoria:

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esecutivi della decisione di merito per assicurarne la piena e concreta utilità 58), il legislatore sembra aver riconosciuto il solo potere cautelare conservativo del tribunale fallimentare, escludendo eventuali provvedimenti anticipatori degli effetti propri della (successiva ed eventuale) sentenza di fallimento 59.

profili funzionali e strutturali, in Riv. dir. proc., 1986, p. 364 ss.; Ghirga, L’application aux mesures provisoires du principe dispositif et du principe de la contradiction en droit italien, in Les mesures provisoires en droit belge, français et italien. Étude de droit comparé sous la direction de Jacques van Compernolle et Giuseppe Tarzia, Bruxelles, 1999, p. 124 s.; Proto Pisani, La tutela cautelare, I provvedimenti cautelari in generale, in La nuova disciplina del processo civile, Napoli, 1991, p. 293 s.; Tarzia, Aspetti processuali dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile automobilistica, in Riv. dir. proc., 1973, p. 643 ss.; Id., Introduzione, in Il processo cautelare, a cura di Tarzia e Saletti, Padova 2008, p. XXIX e XXX. Sulla tutela anticipatoria in generale v. Carratta, Profili sistematici della tutela anticipatoria, Torino, 1997. 58 Secondo altra impostazione le misure cautelari conservative si distinguono dalle misure cautelari anticipatorie, se pongono il ricorrente al riparo dal pericolo di infruttuosità della tutela ordinaria oppure direttamente dalla tardività della stessa: così, Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, p. 36 ss. Tuttavia si discute in dottrina la nozione di provvedimento anticipatorio per il quale trova applicazione la disciplina posta dall’art. 669-octies, co. 6, c.p.c. Per alcuni Autori (v., senza pretesa di completezza, Balena, La disciplina del procedimento cautelare “uniforme”, in Balena e Bove, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, p. 334; Ghirga, Le nuove norme sui procedimenti cautelari, in Riv. dir. proc., 2005, p. 493), dovrebbe riconoscersi natura anticipatoria alle sole misure idonee a determinare effetti almeno parzialmente coincidenti con quelli propri della pronuncia di accoglimento della domanda di merito. Di contro altri Autori (Caponi, Provvedimenti cautelari e procedimenti possessori, in Foro it., 2005, V, c. 137; Menchini, Le modifiche al procedimento cautelare uniforme e ai procedimenti possessori, in Il processo civile di riforma in riforma, a cura di Consolo - Luiso, Milano, 2006, p. 85 s.; Saletti, Il nuovo regime delle misure cautelari e possessorie, Padova, 2006, p. 25 ss.) sostengono che hanno carattere anticipatorio anche quei provvedimenti che, nonostante siano privi di un contenuto analogo a quello che potrebbe avere la sentenza di merito, consentano di ottenere un risultato pratico equivalente a quello conseguibile con quest’ultima pronuncia. Secondo altra diversa impostazione (Luiso e Sassani, Le riforme più recenti del processo civile, Milano, 2006, p. 221), per comprendere se una misura cautelare ha natura anticipatoria, non avrebbe senso confrontare gli effetti del provvedimento cautelare con l’efficacia di accertamento propria della decisione di merito, ma piuttosto la situazione determinatasi a seguito dell’attuazione del cautelare con quella che deriverebbe dall’esecuzione forzata della decisione di merito. Sui caratteri e sui limiti del provvedimento cautelare anticipatorio cfr. pure Frisina, La tutela anticipatoria: profili funzionali e strutturali, in Riv. dir. proc., 1986, p. 364. 59 Né l’ottavo comma dell’art. 15 l.fall. contiene alcun riferimento, sia pure indiretto, all’art. 700 c.p.c., né riproduce l’espressione utilizzata da quest’ultima norma che individua le misure concedibili con quelle idonee ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito.

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E ciò per due ordini di ragioni. Innanzitutto perché la dichiarazione giudiziale d’insolvenza è una pronuncia di accertamento costitutivo che da un lato “accerta” la qualità di imprenditore commerciale (di natura privata e di non piccole dimensioni) e, dall’altro, “apre” il fallimento, determinando una serie di effetti nei confronti del debitore, dei creditori ed alcune categorie di terzi 60. Sicché, aderendo a quell’orientamento che nega la possibilità di anticipare gli effetti delle sentenze costitutive 61, va escluso che il tribunale

60 Così De Semo, Diritto fallimentare, Padova, 1968, p. 157; Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2009, p. 87; Satta, Diritto fallimentare, a cura di Luiso e Vaccarella, Padova 1990, p. 65. Nello stesso senso Pajardi-Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, p. 155; Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, I, Milano, 1974, p. 483. Tuttavia, non sono mancati Autori (Azzolina, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, II, Torino, 1961, p. 315 ss.; Vitale, La dichiarazione di fallimento, Milano, 1967, p. 244) secondo cui si tratterebbe di un provvedimento dalla natura esecutiva o addirittura di un atto di pignoramento sui generis) ed Altri (Calamandrei, La sentenza dichiarativa di fallimento come provvedimento cautelare (a proposito di una recente pubblicazione), in Riv. dir. comm., 1936, I, p. 279) che hanno riconosciuto alla dichiarazione d’insolvenza natura e funzione cautelare. Nega che la sentenza di fallimento abbia un contenuto sanzionatorio Bongiorno, Brevi annotazioni critiche sul contenuto sanzionatorio della dichiarazione di fallimento, in Dir. fall., 1978, p. 484. 61 Più in generale, è stato osservato che la pronuncia costitutiva si fonda sull’accertamento del diritto potestativo ad ottenere la creazione ex novo (come pure l’annullamento o la modificazione dell’assetto preesistente) di rapporti sostanziali (Allorio, L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale e altri studi, Milano, 1957, p. 103 ss.; Attardi, Il giudicato e un recente progetto di riforma, in Riv. dir. proc., I, 1979, p. 257 ss.; Cerino Canova, La domanda giudiziale e il suo contenuto, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da Allorio, Torino, 1980, p. 146 p. ss.; Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, rist. anastatica, Napoli, 1965, p. 181 ss.; C. Ferri, Profili dell’accertamento costitutivo, Padova, 1970, p. 42 ss.; Montesano, Le tutele giurisdizionali dei diritti, Bari, 1981, p. 91 ss.; Proto Pisani, Le tutele giurisdizionali dei diritti. Studi, Napoli, 2003, p. 195 ss.). Dalla sentenza costitutiva scaturiscono, infatti, due effetti di tipo diversi: il primo dal carattere dichiarativo, in ordine all’esistenza del diritto potestativo al mutamento della situazione giuridica sostanziale; il secondo, di tipo costitutivo, in quanto il mutamento viene attuato direttamente nella sfera giuridica sostanziale della parte (Liebman, Manuale di diritto processuale civile. Principi, a cura di Colesanti, Merlin e Ricci, Milano, 2007, p. 77). Alla luce di queste considerazioni è stata, dunque, negata la possibilità di anticipare in sede cautelare gli effetti della sentenza costitutiva, sia perché non sarebbe consentito tutelare una situazione giuridica ancora inesistente (atteso che trova origine esclusivamente nella sentenza costitutiva), sia perché pur circoscrivendo l’oggetto della cautela al solo diritto potestativo, quest’ultimo si riduce ad una mera manifestazione di volontà diretta a modificare la realtà, che non sarebbe suscettibile di ricevere alcun concreto pregiudizio. Di quest’avviso Calvosa, Provvedimenti di urgenza, in Noviss. Dig. it., Torino, 1957, p. 449, per cui il diritto cautelando dovrebbe

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possa concedere - in via cautelare – misure che producono, in concreto, gli effetti tipici della sentenza di fallimento: è innegabile che quando viene proposta l’istanza cautelare, il diritto - da costituire attraverso la pronuncia di merito – è ancora inesistente. Ed anche ad accedere alla tesi che la cautela potrebbe comunque anticipare i soli effetti sostanziali della decisione di merito 62, rimane il fatto che la sentenza di fallimen-

essere già sussistente, perché altrimenti non vi sarebbe da temere alcuna lesione dello stesso; Satta, sub art. 700, Commentario al codice di procedura civile. Procedimenti speciali, IV, Milano, 1959, p. 270, per il quale l’ordinamento non consente la tutela urgente del diritto potestativo sul presupposto che “attraverso le situazioni strumentali si mira a costituire un diritto e la costituzione provvisoria d’un diritto appare inconcepibile e contraddittoria”; Id., Limiti di applicazione del provvedimento d’urgenza, in Foro it., 1953, I, 32, nota a Trib. Milano (ord.), 5 novembre 1952, con la quale i giudici hanno negato la pronuncia di un provvedimento cautelare atipico relativo a una sentenza costitutiva. Dello stesso avviso anche Satta e Punzi, Diritto processuale civile, Padova 2000, p. 822, ove si precisa, in relazione ai diritti potestativi, che è impossibile concepire che possano ricevere un pregiudizio, in quanto “pregiudicato potrà essere il conseguimento del bene in seguito all’accoglimento della domanda, ma la tutela in ordine a questo pregiudizio può essere ottenuta mediante il sequestro giudiziario, non con un provvedimento d’urgenza”. Nello stesso senso del testo per la giurisprudenza di merito v., Trib. Bari, sez. lav., 9 giugno 2008, in www.dejure.giuffre.it; Trib. Modena, 17 febbraio 2006, in www.fondazioneforense.it/upload/oCig01_06MO.pdf; Trib. Marsala, 18 novembre 2004, in Giur. merito, 2005, 531; Trib. Roma, 5 novembre 2003, in Giur. merito, 2004, 457; Trib. Torino, 12 luglio 2003, in Giur. it., 2004, 538, che ribadisce il seguente principio “la tutela urgente deve ritenersi ammissibile solo in presenza di diritti preesistenti alla stessa pronuncia richiesta al giudice, posto che il provvedimento cautelare non deve alterare in alcun modo il momento operativo della pronuncia di merito; quindi le sentenze costitutive non sono suscettibili di tutela urgente, proprio perché si eserciterebbe una funzione strutturalmente anticipatoria che produrrebbe subito quella stessa costituzione del rapporto giuridico che dovrebbe essere presumibilmente introdotta con la sentenza costitutiva, laddove il disposto dell’art. 700 c.p.c. presuppone l’attualità del diritto cautelando”; Trib. Rovereto, 7 agosto 2002, in Giur. it., 2003, 1395; Trib. Fermo, 9 luglio 1993, in Rep. Foro it., 1994, voce “Provvedimenti d’urgenza”, 28. Di avviso contrario, Trib. Roma, 6 luglio 1995 (ord.), in Foro it., 1996, I, 708 ss., con nota di Macario, Determinazione giudiziale del corrispettivo nei contratti di durata e tutela cautelare atipica; Trib. Milano, 30 marzo 1994 (ord.), in Foro it., 1994, I, 1572. 62 Tommaseo, Provvedimenti di urgenza, in Enc. dir., Milano, 1988, p. 872, il quale segnala come in passato i dubbi sulla legittimità della tutela cautelare, rispetto ai diritti che necessitano di sentenze costitutive, derivavano dalla mancanza di una posizione soggettiva connotata dall’attualità (requisito che sarebbe stato soddisfatto solo dalla pronuncia della sentenza), pregiudicando in concreto l’effettività della tutela cautelare di tipo costitutivo. L’oggetto dell’anticipazione, non sarebbe, quindi, la creazione (né la modificazione o l’estinzione) della situazione giuridica, ma solo gli effetti che, sul piano sostanziale, potrebbero prodursi in seguito a quel mutamento. In altri termini

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to, come quella di divorzio e d’interdizione, ha ad oggetto diritti indisponibili ed è caratterizzata da natura costitutiva necessaria e, quindi, non può mai spiegare efficacia retroattiva 63. Ciò sta significare che gli effetti sostanziali della tutela cautelare (ipoteticamente) concessa prima dell’accoglimento della domanda non possono essere ratificati ex post dalla (retroattività della) pronuncia costitutiva 64. In secondo luogo perché da un punto di vista procedimentale la nuova disciplina delle misure anticipatorie, introdotta dall’art. 669 octies, co. 6, c.p.c., risulta incompatibile con le regole stabilite dall’ottavo comma dell’art. 15 l.fall. Si tratta di norme che in nessun caso consentono la pronuncia di una misura cautelare ante causam o comunque destinata a sopravvivere al decreto di rigetto della domanda di fallimento 65: proprio

l’anticipazione si risolve nell’autorizzare l’esercizio di facoltà, contenute nel diritto che potrebbe trovare il proprio fondamento nella sentenza costitutiva. L’opinione è comune a: Andrioli, Commento al codice di procedura civile3, IV, Napoli, 1957, p. 259 ss.; Arieta, Le tutele sommarie. Il rito cautelare uniforme. I procedimenti possessori, in Montesano e Arieta, Trattato di diritto processuale civile, Padova, 2005, p. 582 s.; Merlin, Variazioni sui rapporti tra misura cautelare, sentenza (di accertamento, di condanna o costitutiva) e giudicato favorevole al beneficiario della cautela: un punto trascurato anche nella legge n. 353/1990, in Riv. dir. proc., 1992, p. 962 ss.; Proto Pisani, voce Provvedimenti d’urgenza, in Enc. giur., XXV, Roma, 1991, p. 18. In arg. v. anche Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile. Le tutele: di merito, sommarie ed esecutive, Padova, 2006, p. 322, per il quale va negata l’anticipazione cautelare dell’effetto modificativo sostanziale che perseguono le azioni costitutive, senza escludere che la tutela d’urgenza possa essere azionata per conseguire utilità più circoscritte rispetto a quelle del giudicato costitutivo e della sua stabilità. 63 Tanto che per designare l’insieme degli effetti che il fallimento produce nei riguardi del debitore e che ne costituiscono la condizione giuridica si fa di solito riferimento – sia pure in senso lato – allo status di fallito. In particolare sulla nozione di status, al di fuori della famiglia (coniugio, filiazione) e della comunità statale (cittadinanza), v. Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1978, p. 137, che lo definisce come “formula verbale che riassume una normativa”. 64 V., per tutti, Luiso, Diritto processuale civile, IV, Milano, 2009, p. 178. Di avviso contrario Pagni, La tutela, cit., p. 852 ss., secondo la quale “non si anticipano gli effetti costitutivi della pronuncia di fallimento, ma, piuttosto, si anticipano gli effetti protettivi del patrimonio del fallito che a quella si ricollegano, ex art. 51 l.fall.”. 65 Solo i cautelari c.d. conservativi hanno, difatti, mantenuto il carattere di strumentalità rispetto alla decisione di merito, mentre per quelli anticipatori è stato introdotto il c.d. principio della strumentalità attenuata nel senso che nell’attuale sistema possono rimanere efficaci sine die, nonostante la causa di merito non sia stata instaurata ovvero si sia estinta. Così Punzi, Il processo civile sistema e problematiche, Torino, 2010, p. 52. Sulla strumentalità attenuata v. anche Balena, in Balena e Bove, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, p. 329; Borghesi, Tutela cautelare e strumentalità

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la strumentalità eventuale o attenuata, che ha indotto parte della dottrina a dubitare della stessa natura cautelare della tutela anticipatoria 66, porta indirettamente ad escludere che questa tipologia di provvedimenti possa trovare applicazione in sede di istruttoria prefallimentare. Gli arresti che sospendono le esecuzioni in corso appaiono illegittimi anche per un altro profilo, perché disattendono il principio che la sospensione dell’esecuzione (peraltro di competenza esclusiva del giudice dell’esecuzione ex art. 623, c.p.c.), non può mai disporsi con una misura cautelare “atipica” in presenza di uno strumento “tipico” qual è l’art. 624, c.p.c. 67 Si aggiunga che se il legislatore della riforma avesse inteso anticipare il blocco delle azioni cautelari ed esecutive singolari avrebbe sicuramente adottato anche per il ricorso di fallimento una disposizione dal contenuto analogo a quello dell’art. 168 l.fall. che vieta di iniziare o proseguire azioni esecutive per il periodo che intercorre dalla data di presentazione della domanda di concordato fino all’omologazione. Allo stesso modo debbono ritenersi illegittime quelle pronunce che, nonostante escludano la possibilità di sospendere l’esecuzione a causa del carattere costitutivo della sentenza di fallimento, finiscono, di fatto, per impedire la concreta soddisfazione dei creditori che la hanno legittimamente promossa (o abbiano spiegato intervento) 68. A conferma dell’uso distorto (rectius: abuso) dello strumento cautelare regolato dall’ottavo comma dell’art. 15 l.fall., va pure segnalato che i creditori (ai quali venga impartito l’ordine di costituire “conti correnti dedicati” ove

attenuata: profili sistematici e ricadute pratiche, in Sulla riforma del processo civile – Atti dell’incontro di studio Ravenna 19 maggio 2006, Bologna, 2006, p. 71; Menchini, Le modifiche al procedimento cautelare uniforme e ai processi possessori, in Il processo civile di riforma in riforma, I, cit., p. 72 ss.; Pacilli, Il vincolo di strumentalità a doppio binario tra tutela anticipatoria e tutela di merito nella novellazione del 2005, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, p. 1365; Querzola, La tutela anticipatoria fra procedimento cautelare e giudizio di merito, Bologna, 2006; Saletti, Le misure cautelari a strumentalità attenuata, in Il processo cautelare, a cura di Tarzia e Saletti, Padova, 2008, p. 288 ss.; Verde, Diritto processuale civile. Procedimenti speciali, IV, Bologna, 2010, p. 42. 66 Cipriani, Il procedimento cautelare tra efficienza e garanzie, in Giusto proc. civ., 2006, p. 26 s.; Monteleone, L’evoluzione delle misure cautelari: verso l’introduzione del référé. Osservazioni generali, in La riforma del processo civile, a cura di Cipriani e Monteleone, Padova, 2007, p. 457. In arg. v. pure Carratta, Profili, cit., p. 120 ss., per il quale i provvedimenti d’urgenza sarebbero anticipatori solo in senso improprio. 67 Trib. Busto Arsizio, 28 luglio 2009 cit. 68 Trib. Milano, 25 marzo 2010, cit.; Trib. Monza, 20 novembre 2009, cit.,

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depositare le somme versate dal debitor debitoris) sono soggetti estranei al procedimento di cui all’art. 15 l.fall., né vengono chiamati a parteciparvi, con palese violazione del contraddittorio e del diritto di difesa, nonostante il collegio imponga loro obblighi e conseguenti responsabilità 69. Sempre alla luce di tali considerazioni non può nemmeno condividersi l’affermazione che il sequestro conservativo disposto a norma dell’ottavo comma dell’art. 15 l.fall., oltre ad escludere il rischio di un atto dispositivo del debitore ed a legittimare l’intervento nel processo di esecuzione forzata promosso dal creditore munito di titolo esecutivo, svolgerebbe la particolare funzione di sottrarre il bene all’aggressione esecutiva di terzi: sarebbe infatti diretto ad impedire la prosecuzione, fino alla decisione sul fallimento, dell’espropriazione forzata nel frattempo instaurata 70. Per le medesime ragioni va, inoltre, esclusa la possibilità di anticipare la decorrenza del periodo sospetto relativo all’azione revocatoria fallimentare 71 e quella del termine annuale per la dichiarazione di fallimento che, a norma dell’art. 10 l.fall., decorre dalla data di cancellazione degli imprenditori individuali e collettivi dal registro delle imprese 72.

10. Il divieto di misure cautelari dal carattere innovativo rispetto agli effetti propri della sentenza di fallimento. Anche i provvedimenti che autorizzano il sequestro giudiziario si pongono spesso in contrasto con il disposto dell’ottavo comma dell’art. 15 l.fall., in quanto determinano sulla struttura organizzativa e sulla go-

69 E’, come denuncia Marzocchi, I provvedimenti, cit., p. 1183 ss., quanto accaduto nella fattispecie decisa da Trib. Milano 25 marzo 2010 cit. 70 L’opinione è di Bellè, I provvedimenti, cit., p. 7 ss.; contra Pagni, La tutela, cit. p. 854. 71 Scelta che, per altro verso, configge con la stessa ratio della riforma che ha introdotto significative limitazioni all’ambito di applicazione dell’azione revocatoria fallimentare. Per quanto riguarda la giurisprudenza di merito v. Trib. Sulmona, 11 novembre 2009, ined., che, inaudita altera parte, ha disposto il sequestro giudiziario, con nomina di un custode giudiziario con compiti di amministrazione, di un ramo d’azienda oggetto di contratto di affitto stipulato tra la società debitrice ed altra società meno di sei mesi prima del deposito del ricorso per dichiarazione di fallimento, anche in considerazione della revocabilità del contratto ai sensi dell’art. 67 l.fall. 72 Nello stesso senso De Santis, Istruttoria, cit., p. 82; Santangeli, Art. 15, cit., p. 78.

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vernance dell’impresa effetti diversi rispetto a quelli propri del fallimento: si pensi alla nomina di un curatore speciale o di un custode giudiziario con poteri gestori che limitano quelli dell’imprenditore (o dei soci e degli organi sociali). Va subito osservato che la misura cautelare non può mai determinare effetti più ampi rispetto a quelli propri della (successiva) dichiarazione di fallimento; come pure il potere gestorio e dispositivo attribuito dalla (eventuale) sentenza di fallimento agli organi della procedura concorsuale, attenendo soltanto all’impresa ed al patrimonio sociale, non può interferire con lo strumento societario che è, e rimane, nella esclusiva disponibilità dell’imprenditore (o dei soci e degli organi sociali) 73. Segnatamente il sequestro giudiziario non può incidere sulla titolarità dell’impresa, né può scalfire il potere di disposizione dell’imprenditore 74. Né la revoca dell’organo gestorio e la nomina di un amministratore giudiziario potrebbe ritenersi legittima in forza di quanto stabilito dall’art. 2409 c.c., atteso che tale norma è caratterizzata da una ratio (tutela dei soci e della società) e da presupposti affatto diversi rispetto a quelli propri dell’ottavo comma dell’art. 15 l.fall. 75 Di qui la corretta

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Su queste tematiche Nigro, La riforma organica delle procedure concorsuali e le società, in Dir. fall., 2006, I, p. 79. 74 Nel senso che l’attribuzione al custode dei poteri di amministrazione del patrimonio e di esercizio dell’impresa non può modificare la struttura organizzativa di quest’ultima v., ancora, Pagni, La tutela, cit., p. 854 ss. Di avviso contrario Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2008, p. 54; Vitiello, I presupposti del fallimento, in Le nuove procedure concorsuali, a cura di Ambrosini, Torino 2008, p. 22. 75 Inzitari, Sostituzione cautelare dell’amministratore per l’istruttoria prefallimentare ex art. 15, penultimo comma, l.fall., cit., p. 352. Per completezza va segnalato che la denuncia ed il procedimento regolato dall’art. 2409 c.c. presuppongono la mala gestio degli amministratori a tutela degli interessi dei soci – anche di minoranza – dei creditori e dei terzi che possono essere pregiudicati dall’eventuale depauperamento sociale. In arg., prima della riforma del diritto societario del 2003, Bongiorno, Il procedimento previsto dall’art. 2409 c.c., in Processo civile e società commerciali, Atti del XX Convegno dell’Associazione fra gli studiosi del processo civile, Milano, 1995, p. 129 ss., e in Riv. trim. dir. proc. civ., 1995, p. 515 ss.; Ghirga, Il procedimento per irregolarità nella gestione sociale, Padova 1994; La China, voce “Società (ispezione giudiziaria)”, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. 1152 ss.; Tedeschi, Il controllo giudiziario sulla gestione, in Trattato delle s.p.a., diretto da Colombo e Portale, V, Torino, 1988, p. 189 ss. Dopo la riforma, Canale, Il “nuovo” procedimento previsto dall’art. 2409 c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ. (Numero speciale: diritto e processo commerciale), 2005, p. 72 ss.; Nazzicone, La denunzia al tribunale per gravi irregolarità nel nuovo art. 2409 c.c.: le novità della riforma societaria, in Le società, 2003, p. 1078; Santosuosso, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, p. 150 ss.

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affermazione che la revoca dei componenti del consiglio di amministrazione in carica, con contestuale attribuzione dei poteri di gestione ordinaria e straordinaria ad un amministratore giudiziario 76, costituisca un provvedimento illegittimo, poiché “effettua una crasi del rapporto tra società e impresa” 77. Di contro appare ammissibile la concessione del sequestro giudiziario a norma dell’art. 670 c.p.c. 78 su singoli beni, su complessi di beni o sull’azienda, con contestuale designazione di un custode con poteri di gestione attiva dell’impresa, fermo restando che deve comunque risultare in maniera netta il ruolo che l’imprenditore o gli organi sociali continuano a svolgere 79. Difatti una sostituzione integrale (quale la revoca) dell’organo amministrativo, finirebbe per assurdo per individuare come destinatario del procedimento per l’apertura del fallimento lo stesso amministratore giudiziario, con l’abnorme conseguenza che l’istruttoria prefallimentare proseguirebbe nei suoi confronti e, dichiarato il fallimento, “i residui effetti personali dovrebbero gravare sul soggetto nominato dal tribunale” 80.

Né sembra possibile richiamare la disciplina contenuta nell’art 2476 c.c. in materia di revoca dell’organo amministrativo stabilita per le società a responsabilità limitata che postula l’avvenuta produzione di un pregiudizio al patrimonio sociale, di cui si chiede il risarcimento. Se è vero che in quest’ultima ipotesi è lo stesso legislatore che definisce cautelare il provvedimento di revoca è altrettanto vero che la rimozione dell’organo amministrativo ha un contenuto costitutivo e niente affatto strumentale, se non nella misura in cui evita la prosecuzione delle condotte pregiudizievoli. Su questi temi v. amplius Fabiani, Tutela, cit., p. 14 ss.; Marzocchi, I provvedimenti, cit., p. 1186 ss. 76 Trib. Terni, 13 aprile 2011, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/6575.php; Trib. Novara, 24 febbraio 2010 cit.; Trib. Napoli, 23 giugno 2009, cit. 77 Fabiani, Tutela, cit., p. 23 ss. 78 È comunque innegabile una certa forzatura del dato normativo atteso che tale disposizione presuppone una controversia sulla proprietà o sul possesso. 79 In arg. v. Pagni, La tutela, cit. p. 854 ss., secondo la quale il provvedimento del giudice deve stabilire “con precisione i confini dell’attività rimessa al terzo, ad evitare che si debba discutere se al soggetto in questione siano commessi soltanto atti conservativi, oppure anche quegli atti di gestione che consentano l’incremento della produttività” e v., pure, la nota 27 ove si legge che per l’opponibilità ai terzi del conferimento dei poteri di gestione ad un soggetto diverso dall’organo amministrativo, occorrerà l’iscrizione nel registro delle imprese. 80 Fabiani, Tutela, cit., p. 24. In arg. v. pure D’Orazio, Il procedimento per la dichiarazione di fallimento, in La riforma organica delle procedure concorsuali, a cura di Bonfatti e Panzani, Torino, 2008, p. 96, per il quale l’istruttoria prefallimentare non ha ad oggetto lo scioglimento della società, né la rimozione degli organi sociali che restano in carica anche dopo la dichiarazione di fallimento; Ferro, La revoca, cit., p. 860.

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11. L’illegittimità della cautela concessa per favorire soluzioni alternative al fallimento. Si è visto che nell’attuale assetto normativo la tutela cautelare in ambito prefallimentare si atteggia come strumentale alla dichiarazione di fallimento ed è essenzialmente preordinata alla verifica dei presupposti di fallibilità. L’ottavo comma dell’art. 15 l.fall. non può, pertanto, utilizzarsi per consentire al debitore o ad un terzo soggetto (nominato dal tribunale) di proporre domanda di concordato preventivo (o accordo di ristrutturazione), invocando il blocco delle azioni esecutive e cautelari. Non mancano però talune pericolose aperture della giurisprudenza di merito in tal senso 81. Per quanto concerne il debitore va innanzitutto segnalato che il ricorso ad uno strumento cautelare atipico è illegittimo ogni volta che l’ordinamento preveda un’apposita tutela per una determinata situazione giuridica. Per ottenere il blocco delle azioni esecutive e cautelari

81 Nel senso che i provvedimenti cautelari di cui all’art. 15, co. 8, l.fall. svolgono la funzione di conservare il patrimonio dell’impresa in vista del fallimento e non possono utilizzarsi per anticipare gli effetti derivanti dalla instaurazione di procedure concorsuali diverse, come il concordato preventivo, v. Trib. Monza, 20 novembre 2009, in www. ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/1920.php; Trib. Biella, 9 ottobre 2009, in www.ilcaso. it/giurisprudenza/archivio/1982.php. Parzialmente difforme Trib. Prato, 4 febbraio 2011, con nota di Pacchi, Provvedimento cautelare e conservativo su richiesta del debitore in attesa di un accordo di ristrutturazione, in Dir. fall., 2011, II, 340, che, nel negare il blocco delle azioni esecutive e cautelari, concede termine – nel corso dell’istruttoria prefallimentare – fino a sette giorni prima della data dell’udienza per la presentazione di un accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis “stante l’effettività e serietà delle trattative in corso quali emergono dalla documentazione prodotta”; e, al contempo, nomina un amministratore giudiziale con il compito di salvaguardare i valori aziendali nell’interesse dei creditori fino alla conclusione del procedimento ex art. 182 bis l.fall. (anche al fine di riferire al tribunale in merito allo stato di avanzamento delle trattative per tale conclusione) o, al contrario alla dichiarazione di insolvenza. Di avviso contrario Trib. Novara, 24 febbraio 2010, cit., che, nelle more della decisione di merito, ha differito la chiusura dell’istruttoria affinché il debitore potesse predisporre, come richiesto, un piano di concordato preventivo. Una dilazione sembra essere stata concessa all’imprenditore in crisi al fine di predisporre un piano di concordato preventivo, anche da Trib. Milano, 26 agosto 2010 ined., richiamata da De Cesari e Montella, Le misure cautelari e conservative nell’istruttoria prefallimentare, in Riv. dir. proc., 2011, p. 794, sub nota 13. Più in generale sull’arg. v., invece, App. Milano, 21 giugno 2011, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/6197.php, per la quale la presentazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti non impedisce l’inizio o la prosecuzione di un procedimento per dichiarazione di fallimento.

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è, infatti, sufficiente (e necessario) che il debitore depositi istanza per l’ammissione al concordato preventivo ovvero formuli una proposta di accordo di ristrutturazione, atteso che il sesto comma dell’art. 182 bis l.fall., recentemente novellato, anticipa la protezione dalle azioni esecutive e cautelari già nella fase delle trattative, e quindi ancor prima della formalizzazione dell’accordo. Riconoscere al debitore la facoltà di accedere alla tutela cautelare per la conclusione di accordi o la proposizione di un concordato in sede di istruttoria prefallimentare comporta una evidente forzatura del sistema; ed infatti, procrastinando ulteriormente la dichiarazione di insolvenza si finisce per disattendere – da un lato – la normativa dell’art. 15, ottavo comma, l.fall. e – dall’altro – l’intendimento del legislatore di incentivare l’accesso al concordato preventivo o agli altri strumenti volti alla composizione negoziale della crisi. Né può condividersi un provvedimento che individui nell’amministratore giudiziale, nominato dal tribunale, il soggetto terzo che – in sostituzione del debitore – possa salvaguardare la conservazione dei valori aziendali per concludere un accordo ex art. 182 bis l.fall. o presentare un ricorso di ammissione al concordato preventivo 82: per quanto detto nel paragrafo precedente il commissario giudiziale può svolgere esclusivamente una funzione tutoria, fermo restando che la legittimazione a chiedere l’ammissione alla procedura di concordato (o l’omologazione degli accordi di ristrutturazione) è compito esclusivo del debitore 83.

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Così la recente Trib. Prato, 24 giugno 20011 in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/6576.pdf, che ha attribuito a tale amministratore anche i poteri spettanti all’assemblea di scioglimento della società e di nomina dei liquidatori; e Trib. Prato, 4 febbraio 2011 cit. 83 L’opinione è condivisa anche da Marzocchi, I provvedimenti, cit., p. 1186 ss.

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Sanzioni della Consob e giurisdizione

I TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO, sentenza 9 maggio 2011, n. 3934; Pres. Giovannini, Rel. Caponigro; Crédit Agricole Chevreux s.a. e altro (avv. Riccardo Troiano, Giovanni Carotenuto e Marco Dell’Antona) c. Consob (avv. Fabio Biagianti, Maria Letizia Ermetes e Rocco Vampa) Sanzioni amministrative irrogate dalla Consob – Opposizione – Artt. 133, co. 1, lett. l), 134, co. 1, lett. c), 135, co. 1, lett. c) d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 che attribuiscono la giurisdizione al giudice amministrativo – Illegittimità costituzionale – Manifesta infondatezza (Cost., artt. 3, 24, 25, 102, 103, 113; d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, codice del processo amministrativo, artt. 133, 134, 135) Non è fondata la questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 24, 25, 102, 103 e 113 Cost., sollevata con riferimento agli artt. 133, co. 1, lett. l), 134, co. 1, lett. c) e 135, co. 1, lett. c) del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 che attribuiscono alla giurisdizione del giudice amministrativo i giudizi di opposizione alle sanzioni amministrative irrogate dalla Consob. (1)

II CORTE D’APPELLO DI TORINO, ord. 25 marzo 2011; Pres. Griffey, Rel. Converso, P.M. Rossi; Soc. Z, X, Y c. Consob

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Sanzioni amministrative irrogate dalla Consob – Opposizione – Artt. 133, co. 1, lett. l), 134, co. 1, lett. c), 135, co. 1, lett. c) d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, e art. 4, co. 1, n. 19 dell’allegato, che attribuiscono la giurisdizione al giudice amministrativo – Illegittimità costituzionale – Rilevanza e non manifesta infondatezza – Sussistenza (Cost., artt. 3, 76, 103, 111, 113; d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, codice del processo amministrativo, art. 133, 134, artt. 4, co. 1, n. 19 allegato) È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 76, 103, co. 1, 113, co. 1, 111, co. 2, 7, 8 Cost., sollevata con riferimento agli artt. 133, co. 1, lett. l) e 134, co. 1, lett. c) del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 e dell’art. 4. co. 1, n. 19 dell’allegato che attribuiscono alla giurisdizione del giudice amministrativo i giudizi di opposizione alle sanzioni amministrative irrogate dalla Consob. (2)

I

(Omissis) Fatto e diritto. 1. La Consob, con la impugnata delibera del 5 agosto 2010, ha applicato nei confronti di C SIM S.p.A. una sanzione amministrativa pecuniaria pari ad € 170.000,00. Di talché, le ricorrenti hanno proposto il presente ricorso, articolato nei seguenti motivi: Sull’inesistenza della notifica del provvedimento sanzionatorio a società estinta. La notificazione del provvedimento sanzionatorio sarebbe viziata da inesistenza in quanto indirizzata a soggetto giuridico, la SIM, estinto a seguito della fusione del 29 dicembre 2009. Sull’inesistenza della sanzione conseguente a notifica a soggetto giuridico inesistente. Violazione

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e falsa applicazione art. 7, co. 3, l. 689/1981. La sanzione sarebbe stata applicata nei confronti di C SIM S.p.A. per cui sarebbe viziata da inesistenza in quanto irrogata nei confronti di soggetto già estinto al tempo dell’adozione della delibera. Inesistenza o nullità della sanzione per erronea o falsa applicazione dell’art. 25, co. 3, t.u.f. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Travisamento dei fatti. Ingiustizia manifesta. Il fondamento della presunta violazione da parte della SIM del dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza sarebbe stato erroneamente individuato nell’art. 25, co. 3, anziché nell’art. 21, co. 1, del t.u.f. Le ricorrenti, nell’escludere che il ricorso e la loro costituzione possano intendersi come avente effet-


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to sanante rispetto ai rilevati vizi di nullità ed inesistenza, hanno altresì dedotto censure afferenti al contenuto del provvedimento sanzionatorio impugnato. In particolare, la Consob ha rilevato che la SIM avrebbe dovuto operare una presunzione, in forza di un asserito criterio di ragionevolezza, sulla cui base individuare che le vendite oggetto di contestazione non erano accompagnate dall’effettiva disponibilità/proprietà dei titoli, ma tale affermazione non sarebbe suffragata da alcun elemento di fatto probante, atteso che non risulta esserci alcuna disposizione di normativa primaria o secondaria che individui nella vendita di azioni rappresentanti più del 2% del capitale sociale di una società un elemento presuntivo del fatto che la relativa vendita è effettuata allo scoperto. Inoltre, le vendite effettuate sui relativi titoli nei giorni dell’aumento di capitale di SEAT PG non sarebbero potute essere valutate dalla Sim come vendite allo scoperto in quanto erano le stesse controparti a ritenere che gli ordini introitati fossero assistiti dalla proprietà/disponibilità dei titoli; né l’ammontare degli ordini trasmessi alla SIM avrebbe potuto costituire un indizio sufficiente a concludere che gli stessi non fossero supportati, al momento della trasmissione, dalla proprietà/disponibilità delle relative azioni. Tra l’altro, le ricorrenti hanno fatto presente che la SIM, subito dopo l’introduzione delle nuove disposizioni sul divieto di vendita allo scoperto, si sarebbe immediatamente attivata presso i propri clienti, inviando loro una comunicazione di posta

elettronica finalizzata a raccogliere le conferme circa la conoscenza e debita applicazione della normativa de qua e, comunque, avrebbe posto in essere misure operative costituenti importanti elementi di verifica e di controllo nel rispetto della disciplina applicabile alla SIM. Le ricorrenti hanno infine sostenuto che la Consob, anziché fornire la prova della realizzazione delle vendite allo scoperto, si sarebbe limitata ad indicare che non sussistono “elementi idonei a ricollegare il tardivo regolamento a cause di natura tecnica”, per cui “è da ritenersi” che tali operazioni abbiano violato la normativa. La Consob ha eccepito l’illegittimità costituzionale delle norme del d.lgs. 104/2010, recante l’approvazione del codice del processo amministrativo, ed in particolare degli artt. 133, co. 1, lett. l), 134, co. 1, lett. c), 135, co. 1, lett. c), che hanno attribuito al giudice amministrativo la potestas iudicandi sulla presente fattispecie. Nel merito, con ampia ed articolata memoria, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso. All’udienza pubblica del 6 aprile 2011, il ricorso è stato trattenuto per la decisione. 2. Il Collegio – sia pure rilevando che la Corte d’Appello di Torino, Sezione I Civile, con ordinanza pronunciata all’udienza del 25 marzo 2011, ha proposto la questione di legittimità costituzionale in relazione eventualmente all’art. 44 l. 69/2009 nonché agli artt. 133, co. 1, lett. l), 135, co. 1, lett. c), 134, co. 1, lett. c), d.lgs. 104/2010, nella parte in cui at-

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tribuiscono alla giurisdizione esclusiva amministrativa le controversie relative alle sanzioni amministrative irrogate dalla Consob, ed ancora dell’art. 4, co. 1, n. 19 dell’allegato n. 4 d.lgs. 104/2010, nella parte in cui abroga l’art. 187 septies, co. 4, d.lgs. 58/1998, in quanto apparentemente confliggenti con gli artt. 3, 76, 103, co. 1, 113, co. 1, 111, co. 2, 7, 8 Cost. – ritiene che la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla Consob sia in parte manifestamente infondata, con riferimento all’art. 133, co. 1, lett. l), ed all’art. 4, co. 1, n. 19 dell’allegato 4 d.lgs. 104/2010, ed in parte irrilevante ai fini della decisione della controversia, con riferimento all’art. 134, co. 1, lett. c), ed all’art. 135, co. 1, lett. c). L’amministrazione resistente, nell’evidenziare che il d.lgs. 104/2010, recante l’approvazione del codice del processo amministrativo, ha attribuito alla cognitio del giudice amministrativo le azioni impugnatorie della specie, ha prospettato la lesione: dell’art. 76 Cost. (eccesso di delega) in quanto l’art. 44 l. 69/2009 ha delegato il Governo ad adottare norme “per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali” fissando, tra i principi ed i criteri direttivi, quello di un riordino delle “norme vigenti sulla giurisdizione”, per cui le norme delegate avrebbero dovuto afferire al processo e non alla giurisdizione e nessun ampliamento della giurisdizione amministrativa sarebbe giustificabile in base alla norma di delega anche in assenza dell’indicazione circa i contorni ed i limiti di “nuove” materie da sottrarre al giudice ordinario;

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degli artt. 3, 24, 25, 102, 103 e 113 Cost. (principi dettati dalla Corte Costituzionale in tema di riparto di giurisdizione) in quanto l’applicazione delle sanzioni amministrative, a differenza del potere di vigilanza, costituirebbe il frutto di un’attività vincolata, non residuando alcun margine di discrezionalità amministrativa, sicché, in assenza di posizioni qualificabili come interessi legittimi, non sarebbe giustificabile una norma che attribuisca la giurisdizione al giudice amministrativo. 2.1 L’art. 44 l. 69/2009 – recante la delega al Governo per il riassetto della disciplina del processo amministrativo – ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte Costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele. I decreti legislativi, ai sensi del secondo comma, oltre che ai principi e criteri direttivi di cui all’art. 20, co. 3, l. 59/1997 in quanto applicabili, avrebbero dovuto attenersi, tra gli altri, ai seguenti principi e criteri direttivi: assicurare la snellezza, concentrazione ed effettività della tutela, anche al fine di garantire la ragionevole durata del processo; disciplinare le azioni e le funzioni del giudice riordinando le norme vigenti sulla giurisdizione del giudice amministrativo, anche rispetto alle altre giurisdizioni.


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L’art. 76 della Costituzione stabilisce che l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti. Il Collegio rileva in via preliminare che il sindacato di costituzionalità sulla delega legislativa si esplica attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l’uno relativo alle norme che determinano l’oggetto, i principi ed i criteri direttivi indicati dalla delega, tenendo conto del complessivo contesto di norme in cui si collocano e si individuano le ragioni e le finalità poste a fondamento della legge di delegazione; l’altro, relativo alle norme poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega (ex multis: Corte Costituzionale nn. 112/2008; 170/2007; 54/2007; 280/2004; 199/2003). Inoltre, quando la delega abbia ad oggetto il riassetto di norme preesistenti, questa finalità giustifica l’introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente soltanto se siano stabiliti principi e criteri direttivi volti a definire in tal senso l’oggetto della delega ed a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato (cfr. Corte Costituzionale nn. 170/2007; 239/2003; 354/1998). In altri termini, la delega avente ad oggetto il riassetto di norme preesistenti postula l’introduzione di norme nuove rispetto al precedente sistema legislativo a condizione però che siano stabiliti principi e criteri direttivi volti a definire in tal senso

l’oggetto della delega ed a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato. Nel caso di specie, non sussiste dubbio che, come espressamente indicato nella rubrica del’art. 44 l. 69/2009, la delega al Governo sia stata conferita per il “riassetto” della disciplina del processo amministrativo, sicché la stessa certamente postula la possibilità che il legislatore delegato introduca soluzioni innovative rispetto al sistema legislativo previgente. Tra i principi fissati dal legislatore delegante, come rilevato, è previsto, da un lato, quello di assicurare la concentrazione della tutela, anche al fine di garantire la ragionevole durata del processo, dall’altro, la disciplina delle funzioni del giudice ed in tale ottica è stato, tra gli altri, individuato il criterio di riordinare le norme vigenti sulla giurisdizione amministrativa, anche rispetto ad altre giurisdizione. Pertanto, occorre ritenere che siano stati stabiliti principi e criteri direttivi aventi senz’altro ad oggetto anche la possibilità di innovare le materie di giurisdizione amministrativa esclusiva, attraverso l’ampliamento delle “particolari materie” in cui, ai sensi dell’art. 103 Cost., il giudice amministrativo ha giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione anche dei diritti soggettivi, atteso che, diversamente opinando, non si comprende in cosa potrebbe consistere il riordino delle norme vigenti di cui alla legge delega, nonché idonei a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato in quanto la facoltà per il legislatore delegato di prevedere nuove materie in giurisdizione esclusiva

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richiede che tale previsione debba essere funzionale al perseguimento di uno o più principi stabiliti dal legislatore delegante. Nel caso di specie, non può rinvenirsi alcun eccesso di delega e, quindi, alcun contrasto con l’art. 76 Cost. in quanto il legislatore delegato, con l’art. 133, co. 1, lett. l), del codice del processo amministrativo, nell’estendere la giurisdizione amministrativa esclusiva alle controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, adottati anche dalla Consob – per la quale Autorità, nel regime previgente, ai sensi degli artt. 195 e 187 septies d.lgs. 58/1998, erano devolute alla giurisdizione ordinaria – ha evidentemente voluto radicare la giurisdizione amministrativa esclusiva in ragione della stretta connessione tra potere di vigilanza, costituente già servizio pubblico nei settori di cui all’art. 33 d.lgs. 80/1998, e potere sanzionatorio. Di talché, la previsione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tale materia è finalizzata proprio alla realizzazione della concentrazione della tutela, anche al fine di garantire la ragionevole durata del processo, che costituisce uno dei principi espressamente indicati dalla legge delega. 2.2 Parimenti, si rivela manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 3, 24, 25, 102, 103 e 113 Cost. (principi dettati dalla Corte Costituzionale in tema di riparto di giurisdizione). Il diritto soggettivo è la fondamentale posizione di vantaggio at-

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tribuita ad un soggetto dall’ordinamento in ordine ad un bene della vita e consistente nell’attribuzione al medesimo di una forza concretantesi nella disponibilità di strumenti vari – quali facoltà, pretese, poteri – atti a realizzare in modo pieno e diretto l’interesse al bene, mentre l’interesse legittimo è la posizione di vantaggio attribuita ad un soggetto dall’ordinamento in ordine ad un bene oggetto di potere amministrativo e consistente nell’attribuzione al medesimo di poteri atti ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione della pretesa all’utilità. Gli artt. 103 e 113 Cost. – nel fondare sulla natura della posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio il criterio del riparto di giurisdizione nelle controversie concernenti atti della pubblica amministrazione – pongono il diritto soggettivo e l’interesse legittimo su un piano di assoluta parità, per cui l’interesse legittimo, che al pari del diritto soggettivo è una posizione sostanziale, riceve dall’ordinamento una protezione ugualmente intensa, anche se con modalità per certi aspetti differenti. La previsione di cui all’art. 24 Cost., inoltre, come anche evidenziato dalla sentenza della Corte Costituzionale 6 luglio 2004, n. 204, garantisce alle situazioni soggettive devolute alla giurisdizione amministrativa piena ed effettiva tutela, implicando che il loro giudice “naturale” sia munito di adeguati poteri. Le due posizioni soggettive, la cui sostanzialità è data dal rapporto con un bene della vita, che il titolare mira a conseguire o conservare, preso in considerazione dall’ordinamento e


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perciò protetto (c.d. lato interno), si differenziano nel c.d. lato esterno, ossia nel rapporto con gli altri soggetti dell’ordinamento. In particolare, mentre il diritto soggettivo traduce il rapporto con altri soggetti, ivi compresa eventualmente l’amministrazione pubblica, posti su un piano di parità giuridica e, quindi, disciplinato da norme privatistiche, l’interesse legittimo, in quanto in esso il bene della vita cui si aspira è oggetto di potere amministrativo, si caratterizza per essere la posizione in cui versa il destinatario di un atto, o il soggetto che comunque riveste una posizione differenziata e di qualificato interesse rispetto ad un atto autoritativo emanato da una pubblica amministrazione nell’esercizio del potere pubblico o, anche prima dell’adozione dell’atto, il soggetto che entra in un rapporto giuridicamente qualificato con l’esercizio della funzione amministrativa. L’interesse legittimo, insomma, è una situazione ontologicamente collegata all’esercizio autoritativo ed unilaterale del potere amministrativo, sicché, in presenza di un’attività amministrativa, l’individuazione della natura della posizione giuridica contrapposta postula la verifica della presenza o meno di un potere pubblico nell’esercizio del quale l’amministrazione agisce o dovrebbe agire, dovendosi concludere per la posizione di interesse legittimo quando la matrice dell’agere amministrativo è l’esercizio della relativa funzione con moduli autoritativi, e cioè l’attività procedimentalizzata finalizzata alla tutela di un interesse della collettività, per la posizione di diritto soggettivo quando l’amministrazione, ancorché

per la realizzazione di fini pubblici, non agisce in via autoritativa ma con atti paritetici, di diritto privato, alla stregua di un qualunque altro soggetto dell’ordinamento. La giurisdizione generale di legittimità, nell’ambito della quale vengono in rilievo posizioni di interesse legittimo, è pertanto contrassegnata dalla circostanza che le controversie attengono a fattispecie in cui pubblica amministrazione agisce in via autoritativa, nell’esercizio del potere pubblico ad esso attribuito dalla norma e per la realizzazione del fine collettivo in vista del quale il potere le è stato attribuito, e, nei confronti della relativa attività provvedimentale, è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo. L’art. 7, co. 1, del codice del processo amministrativo, nel prevedere la possibile devoluzione al giudice amministrativo di materie in giurisdizione esclusiva, specifica che la devoluzione ope legis alla giurisdizione amministrativa delle controversie nelle quali si faccia riferimento di diritti soggettivi può riguardare particolari materie concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere posti in essere da pubbliche amministrazioni. Tale disposizione recepisce le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, in particolare con le sentenze 6 luglio 2004 n. 204, 11 maggio 2006 n. 191, 27 aprile 2007, n. 140 e, più di recente, con sentenza 5 febbraio 2010, n. 35, sulla questione dei limiti che il legislatore ordinario deve rispettare nel disciplinare, amplian-

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dola, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La Corte Costituzionale ha tra l’altro evidenziato come debba escludersi che dalla Costituzione non si desumano i confini entro i quali il legislatore ordinario, esercitando il potere discrezionale suo proprio, deve contenere i suoi interventi volti a ridistribuire le funzioni giurisdizionali tra i due ordini di giudici. In particolare, ha rilevato che il vigente art. 103, primo comma, Cost. non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare “particolari materie” nelle quali “la tutela nei confronti della pubblica amministrazione” investe “anche” diritti soggettivi: un potere, quindi, del quale può dirsi, al negativo, che non è né assoluto né incondizionato, e del quale, in positivo, va detto che deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie. Tale necessario collegamento delle “materie” assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive – e cioè con il parametro adottato dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa – è espresso dall’art. 103 laddove statuisce che quelle materie devono essere “particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza

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che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo. Il legislatore ordinario, pertanto, ben può ampliare l’area della giurisdizione esclusiva purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità, per cui, da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice “della” pubblica amministrazione: con violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, Cost.), dall’altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo. In definitiva, il supremo giudice delle leggi ha escluso che la giurisdizione esclusiva possa radicarsi sul dato, puramente oggettivo, della mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio o del normale coinvolgimento nelle controversie di un generico pubblico interesse, mentre può estendersi solo a controversie nelle quali la pubblica amministrazione esercita – sia pure mediatamente, e cioè avvalendosi della facoltà di adottare strumenti intrinsecamente privatistici – un pubblico potere. Il Collegio ritiene che, nel caso di specie, sussistono tutti i presupposti affinché la materia delle controversie


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relative ai provvedimenti sanzionatori applicati dalla Consob potesse essere devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Infatti, si tratta di una “particolare” materia caratterizzata dall’esercizio di pubblici poteri. Il Collegio, anzi, ritiene che, a differenza di quanto prospettato dall’amministrazione resistente, la posizione giuridica dedotta in giudizio dalla ricorrente abbia natura di interesse legittimo e non di diritto soggettivo e che, quindi, la controversia rientrerebbe comunque nella giurisdizione amministrativa generale di legittimità, dovendosi nutrire invece dubbi sulla compatibilità costituzionale della precedente norma attributiva della giurisdizione in materia al giudice ordinario. In proposito, occorre in primo luogo considerare che, sino all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, le controversie relative ai provvedimenti sanzionatori irrogati dalle Autorità amministrative indipendenti erano attribuite alla giurisdizione amministrativa nella loro totalità, ad eccezione di quelle concernenti la Consob e la Banca d’Italia, devolute alla giurisdizione amministrativa con l’entrata in vigore del d.lgs. 104/2010. Inoltre, il procedimento in esito al quale l’Autorità procedente infligge la sanzione amministrativa pecuniaria è caratterizzato dalla c.d. discrezionalità tecnica, vale a dire che postula l’accertamento di un fatto complesso, id est il compimento dell’illecito, sulla base di parametri tecnici non certi ma opinabili, per cui costituisce senz’altro esercizio autoritativo di un pubblico potere, a fronte del quale

come detto sussiste la posizione di interesse legittimo, perché la sanzione è irrogata all’esito dell’accertamento dell’illecito amministrativo e, quindi, dell’esercizio del potere di vigilanza (nella fattispecie in esame, la Consob ha accertato la violazione del combinato disposto delle disposizioni di cui agli artt. 25, co. 3, e 190, co. 2, lett. d-ter d.lgs. 58/1998, delle quali la delibera n. 16813 del 26 febbraio 2009 in materia di vendite allo scoperto di azioni sostanzia strumento di attuazione). Peraltro, la sanzione non è quantificata “a monte”, ma deve essere determinata “a valle”, tanto che l’art. 190, co. 2, lett. d-ter, d.lgs. 58/1998, prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da € 2.500,00 ad € 250.000,00, sicché, nello stabilire la sua misura, l’Autorità compie una ponderazione di interessi pubblici e privati, finalizzata alla scelta della sanzione quantitativamente più proporzionata, che costituisce esercizio di discrezionalità amministrativa. Infatti, ai sensi dell’art. 11 l. 689/1981, nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche, vale a dire che l’Autorità amministrativa procedente deve effettuare una valutazione ed una ponderazione non solo degli interessi pubblici, evidentemente afferenti alla

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gravità della violazione ed all’opera svolta dall’agente per eliminare o attenuare le conseguenze della violazione, ma anche agli interessi privati, connessi soprattutto alle condizioni economiche del trasgressore. In definitiva, il Collegio ritiene che, in ragione della natura soggettivamente ed oggettivamente amministrativa degli atti sanzionatori e, quindi, del loro carattere provvedimentale, sia da escludere in radice un problema di compatibilità costituzionale della norma. D’altra parte, con riferimento al potere di vigilanza, al quale, come evidenziato, il potere sanzionatorio è intrinsecamente connesso, le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con ordinanza 29 luglio 2005, n. 15916, hanno già avuto modo di chiarire che la vigilanza sul mercato mobiliare si esplica mediante l’esercizio di una serie di poteri nei confronti dei soggetti abilitati, diretti ad assicurare che i loro comportamenti siano trasparenti e corretti e che la loro gestione sia sana e prudente, ed hanno evidenziato che la posizione di tali soggetti, rispetto all’Autorità di vigilanza, si puntualizza in situazioni soggettive correlate all’esercizio dei poteri di vigilanza che si configurano, in linea di massima, come interessi legittimi. Di qui, la conseguente giurisdizione del giudice amministrativo quale giudice “naturale” del legittimo esercizio della funzione pubblica. 2.3 Sulla base di tutto quanto esposto, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 133, co. 1, lett. l), del c.p.a. e dell’art. 4, co. 1, n. 19 dell’allegato 4 al d.lgs. 104/2010 (che ha abrogato gli artt. 187 septies, com-

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mi da 4 a 8, e 195, commi da 4 a 8, d.lgs. 58/1998) si rivela manifestamente infondata. 2.4 Il Collegio rileva inoltre che, in relazione all’art. 134, lett. c), del c.p.a., che ha attribuito al giudice amministrativo giurisdizione con cognizione estesa al merito nelle controversie aventi ad oggetto le sanzioni pecuniarie applicate dalle Autorità amministrative indipendenti, la questione di legittimità costituzionale è irrilevante ai fini della decisione della controversia in quanto non sono state avanzate censure afferenti alla quantificazione della sanzione. 2.5 Analogamente irrilevante è la questione di legittimità costituzionale dell’art. 135, co. 1, lett. c), del c.p.a. che ha devoluto alla competenza inderogabile del TAR Lazio, Sede di Roma, le controversie di cui all’art. 133, co. 1, lett. l), atteso che, avendo la Consob sede a Roma, la controversia rientrerebbe comunque nella competenza di questo Tribunale ai sensi dell’art. 13 dello stesso codice. 3. Nel merito, il ricorso è infondato e va di conseguenza respinto. 3.1 Con una prima serie di censure di carattere procedimentale, le ricorrenti hanno dedotto: l’inesistenza della notifica del provvedimento sanzionatorio in quanto effettuato a società estinta a seguito della fusione del 29 dicembre 2009; l’inesistenza della sanzione applicata nei confronti di C SIM S.p.A. in quanto irrogata nei confronti di soggetto già estinto al tempo dell’adozione della delibera. Le doglianze sono infondate. La società che risulta dalla fusione o quella incorporante, ai sensi


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dell’art. 2504 bis c.c., assume i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione. Di talché, la fusione tra società non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo (cfr. Cass. Civ., I, 19 ottobre 2006, n. 22489). Ad ogni buon conto, il principio dell’intrasmissibilità agli eredi delle obbligazioni pecuniarie da illecito amministrativo di cui all’art. 7 l. 689/1981 riguarda la responsabilità delle persone fisiche, mentre, nel caso di responsabilità patrimoniale imputabile alle persone giuridiche, si applica la normativa di cui agli artt. 2740 e ss. del codice civile. Ne consegue che sia la notificazione del provvedimento sanzionatorio alla SIM sia l’irrogazione della sanzione nei confronti della stessa non costituiscono ipotesi di nullità o inesistenza degli atti, atteso che, nella disciplina dettata dalle norme del codice civile in materia di società di capitali successivamente alle modifiche introdotte dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la fusione per incorporazione, come detto, si risolve in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo

D’altra parte, gli atti hanno senz’altro raggiunto il loro scopo, atteso che il soggetto risultante dalla fusione per incorporazione, vale a dire la ricorrente CA S.A. ha espletato una congrua attività difensiva già nel corso del procedimento amministrativo, tanto che, come risulta dagli atti depositati in giudizio dalle stesse ricorrenti, in data 26 aprile 2010 la società CA SA, Succursale di Milano (C SIM S.p.A.) ha formulato istanza di proroga per la presentazione di deduzioni difensive, ha poi prodotto, in data 3 giugno 2010, le proprie deduzioni difensive ed è stata presente all’audizione del 17 giugno 2010. Insomma, anche da un punto di vista sostanziale, non è stato arrecato alcun vulnus al diritto di difesa del soggetto passivo della potestà sanzionatoria. 3.2 Né può assumere rilievo un’eventuale erronea indicazione della norma di legge violata, l’art. 25, co. 3, anziché l’art. 21, co. 1, del t.u.f., risolvendosi tale circostanza in un elemento formale inidoneo, in assenza di profili di carattere sostanziale ovvero di circostanze da cui sia possibile desumere una lesione al diritto di difesa dell’interessato, ad incidere sulla legittimità dell’atto. Infatti, l’art. 25, co. 3, d.lgs. 58/1998 prevede che i soggetti ammessi alle negoziazioni nei mercati regolamentati si comportano con diligenza, correttezza e trasparenza al fine di assicurare l’integrità dei mercati. Analogamente, l’art. 21, co. 1, lett. a), t.u.f. prevede che, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono comportarsi con di-

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ligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati e, ai sensi dell’art. 190 d.lgs. 58/1998, i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione e i dipendenti di società o enti abilitati, i quali non osservano, tra l’altro, le disposizioni previste dall’art. 21 ovvero le disposizioni generali o particolari emanate dalla Consob in base al medesimo articolo, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro duemilacinquecento a euro duecentocinquantamila. Di talché, il riferimento all’una o all’altra norma non determina alcuna variazione sostanziale e non si riverbera sulla legittimità dell’impugnata delibera sanzionatoria. 3.3 Parimenti infondate sono le doglianze relative al contenuto del provvedimento sanzionatorio. In sintesi, può affermarsi che l’essenza della violazione accertata si concreta nella considerazione che le circostanze del caso concreto (volume dei titoli ceduti per conto dei clienti, acquisto dei diritti di opzione, tempistica delle disposizioni impartite) sarebbero state sintomatiche dell’elevata probabilità che si trattasse di “vendite allo scoperto”, il che avrebbe dovuto indurre ad un diverso e ben più elevato grado di diligenza da parte della SIM rispetto a quello riscontrato sulla base delle risultanze agli atti del procedimento e tale valutazione compiuta dall’Autorità procedente non si rivela illogica o basata su un travisamento dei fatti. In particolare, la delibera impugnata, di applicazione di sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti di C Sim spa ai sensi degli artt.

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190 e 195 d.lgs. n. 58/1998, ha fatto riferimento alla delibera Consob n. 16813 del 26 febbraio 2009. Tale delibera, recante misure relative alle vendite allo scoperto di titoli volte ad assicurare l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e l’integrità dei mercati, ha tra l’altro disposto che la vendita di azioni di società oggetto di aumenti di capitale deve essere assistita sia dalla disponibilità che dalla proprietà dei titoli da parte dell’ordinante al momento dell’ordine e fino alla data di regolamento dell’operazione, stabilendo che gli aderenti ai mercati regolamentati italiani adottano tutte le misure e le cautele necessarie al più rigoroso rispetto delle prescrizioni che precedono anche quando trattano ordini provenienti da altri intermediari. Essa è stata adottata: visto l’art. 74, co. 1 e 3, d.lgs. 58/1998, che assegna alla Consob il compito di vigilare sui mercati regolamentati al fine di assicurare la trasparenza, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori adottando, in caso di necessità e urgenza e per le finalità indicate, i provvedimenti necessari; visto l’art. 21, co. 1, lett. a), d.lgs. 58/1998, che richiede ai soggetti abilitati, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessorie, di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; viste le delibere n. 16622, n. 16645, n. 16652, n. 16670, n. 16765 e n. 16781 rispettivamente del 22 settembre 2008, del 1° ottobre 2008, del 10 ottobre 2008, del 29 ottobre 2008, del 30 dicembre 2008 e del 29 gen-


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naio 2009, con le quali la Consob, per garantire la trasparenza, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori, ha adottato misure restrittive in materia di vendite allo scoperto di azioni; considerato il persistere dell’elevata volatilità dei mercati; ritenuto comunque necessario, per evitare che manovre speculative possano avere per effetto una riduzione anomala dei prezzi delle azioni, mantenere un regime restrittivo in materia di vendite allo scoperto. Pertanto, la delibera in questione – per garantire la trasparenza, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori e per evitare manovre speculative che potessero avere quale effetto la riduzione anomala dei prezzi delle azioni – ha disposto il divieto di vendita di azioni di società, oggetto di aumento di capitale, non assistita dalla disponibilità e dalla proprietà dei titoli da parte dell’ordinante al momento dell’ordine e fino alla data di regolamento dell’operazione ed ha imposto agli aderenti ai mercati regolamentati italiani di adottare tutte le misure e le cautele necessarie al più rigoroso rispetto del suddetto divieto, anche in caso di ordini provenienti da altri intermediari. La responsabilità di C Sim S.p.A., in relazione a quanto oggetto di contestazione, è stata accertata, come già fatto presente, in quanto le circostanze del caso concreto (il volume dei titoli SEAT-Pagine Gialle S.p.A. ceduti per conto dei clienti, l’acquisto dei diritti di opzione, la tempistica delle disposizioni impartite) erano sintomatiche dell’elevata probabilità, se non della possibile certezza, che si trattasse di “vendite allo scoperto”

richieste dagli ordinanti, il che avrebbe dovuto indurre C Sim S.p.A. ad un diverso e ben più elevato grado di diligenza rispetto a quello riscontrato sulla base delle risultanze in atti, sostanziantesi nel richiedere la conferma della titolarità e disponibilità dei titoli da parte degli ordinanti, confortata da ulteriori garanzie (es. certificazione della banca depositaria), in assenza delle quali avrebbe dovuto rifiutarsi di dare esecuzione agli ordini di vendita. La Consob ha inoltre ritenuto che la condotta violativa accertata deve ritenersi particolarmente grave ed ascrivibile a C Italia SIM S.p.A. quantomeno a titolo di colpa in quanto: a) la puntuale, tempestiva e sistematica osservanza del divieto di vendita allo scoperto di cui alla delibera n. 16813 del 26 febbraio 2009 rappresentava all’epoca dei fatti oggetto del procedimento – stante la situazione di particolare turbolenza dei mercati finanziari – importante strumento di salvaguardia dell’integrità dei mercati stessi e di tutela degli interessi degli investitori; b) l’accertata operatività illecita è stata posta in essere da C SIM S.p.A., in qualità di operatore ammesso alle negoziazioni sul MTA, nelle giornate del 14 e 15 aprile 2009, per conto di tre clienti professionali per un totale di 7.906.432 azioni pari a circa il 19% del capitale ordinario dell’emittente, la cui esecuzione ha consentito a questi ultimi di conseguire un profitto stimabile in circa € 565.000,00 complessivi; c) C SIM S.p.A. è già stata sottoposta, anche di recente, a provvedimenti sanzionatori Consob in relazione ad analoghe condotte violative.

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Pertanto, sulla base di quanto indicato nonché dei fatti, delle valutazioni e delle motivazioni contenuti nell’atto di accertamento, l’Autorità procedente ha deliberato di applicare nei confronti di C Sim S.p.A., con sede in Milano, una sanzione amministrativa pecuniaria pari a € 170.000,00. Nell’atto di accertamento, nell’ambito delle considerazioni conclusive dell’Ufficio Sanzioni Amministrative, è poi analiticamente indicato che C Sim S.p.A., avrebbe dovuto garantire il rispetto delle prescrizioni vincolanti contenute nella delibera n. 16813 del 26 febbraio 2009 che, date le eccezionali condizioni di mercato, specificavano i generali doveri di diligenza, correttezza e trasparenza previsti dall’art. 25, co. 3, d.lgs. 58/1998, imponendo agli intermediari un grado di diligenza più elevato di quello normalmente richiesto e tale obbligo di diligenza non può intendersi, nel caso di specie, adeguatamente assolto per avere C Sim S.p.A., riposto affidamento nella conformità dell’operato dei propri clienti alla disciplina di settore, in quanto anch’essi intermediari professionali; le valutazioni dell’Ufficio hanno infatti evidenziato che tale obbligo di diligenza, per dirsi correttamente adempiuto, avrebbe dovuto sostanziarsi, stante l’eccezionale congiuntura di mercato, nella puntuale verifica della proprietà e dalla disponibilità dei titoli in capo al cliente, dal momento del conferimento dell’ordine e fino al regolamento dell’operazione, nelle forme necessarie in base alle circostanze del caso concreto e, in ultima istanza, nell’astenersi dal dare esecuzione agli ordini rispetto ai quali la verifi-

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ca fosse risultata impossibile ovvero avesse dato esito negativo. L’Autorità ha dato atto che C Sim S.p.A., ha predisposto una procedura relativa al divieto di vendite allo scoperto articolata in tre diverse fasi: 1) prima della ricezione/accettazione dell’ordine del cliente; 2) tra la data di esecuzione /negoziazione (c.d. trade date) e la data di regolamento (c.d. value date); 3) dopo la value date in caso di fail. Tuttavia, ha evidenziato che la Società non ha comprovato lo svolgimento di una puntuale attività di controllo ex ante sull’operatività dei clienti come descritta nel manuale della procedura né ha documentato l’esistenza di specifiche conferme espressamente conferite dagli ordinanti prima dell’immissione degli ordini di vendita, volte a garantire l’effettiva proprietà e disponibilità dei titoli Invero, premesso che l’affidamento nel corretto operato dei propri clienti non poteva ritenersi di per sé misura sufficiente nell’ottica del più intenso sforzo di diligenza richiesto dalla delibera n. 18613 del 26 febbraio 2009, l’Ufficio Sanzioni Amministrative ha ritenuto che la natura professionale dei clienti, l’attività di mero broker svolta da C Sim S.p.A., (che implica l’impossibilità di avere visibilità dei conti dei clienti finali), la modalità di interconnessione attraverso cui gli ordini di vendita sono stati disposti non potevano ragionevolmente indurre a confidare nel fatto che le proposte di negoziazione ricevute da un altro intermediario presupponessero la proprietà/disponibilità dei titoli oggetto di vendita al momento


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dell’inoltro dell’ordine e fino alla consegna dei titoli; nemmeno poteva costituire fonte di affidamento la dichiarazione della Banca depositaria circa la messa a disposizione delle azioni SEAT-PG rivenienti dall’operazione di aumento a partire dal 17 aprile 2009 considerato che l’emittente, con un comunicato del 7 aprile 2009, aveva ufficialmente comunicato che le azioni rivenienti dalla sottoscrizione dell’aumento di capitale sarebbero state disponibili a decorrere dal 20 aprile 2009 posto che, a fronte dell’accreditamento delle azioni sui conti della banca depositaria alla data del “versamento della liquidità necessaria”, le stesse azioni erano da ritenersi “bloccate” fino all’avvenuta verifica da parte dell’emittente dell’effettivo accredito delle somme relative alla sottoscrizione dell’aumento di capitale. Inoltre, le circostanze del caso concreto – quali il volume dei titoli SEAT-PG ceduti per conto dei clienti, le operazioni di acquisto dei diritti di opzione da parte di Icap Securities Limited, la tempistica delle disposizioni impartite, l’anomalia dell’operazione disposta da Crédit Foncier de Monaco – erano sintomatiche dell’elevata probabilità, se non della possibile certezza, che si trattasse di “vendite allo scoperto”, il che avrebbe dovuto indurre C Sim S.p.A., ad un diverso e ben più elevato grado di diligenza, sostanziantesi nel richiedere la conferma della titolarità e disponibilità dei titoli da parte degli ordinanti, confortata da ulteriori garanzie (es. certificazione della banca depositaria), senza le quali avrebbe dovuto rifiutarsi di dare esecuzione agli ordini di vendita.

Il Collegio – considerato che la ratio del divieto di vendite allo scoperto era quella di evitare, nell’eccezionale congiuntura di mercato nel cui contesto si sono svolti i fatti oggetto del procedimento, speculazioni al ribasso e che la puntuale e tempestiva osservanza del divieto di vendita allo scoperto di cui alla delibera n. 16813 del 26 febbraio 2009 rappresentava all’epoca dei fatti oggetto del procedimento, stante la situazione di particolare turbolenza dei mercati finanziari, un importante strumento di salvaguardia dell’integrità dei mercati e di tutela degli interessi degli investitori – ritiene che la Consob abbia correttamente accertato la violazione delle norme del t.u.f. (art. 25, co. 3, o, secondo la prospettazione delle ricorrenti, art. 21, co. 1), secondo cui gli operatori ammessi alle negoziazioni nei mercati regolamentati, si comportano con diligenza, correttezza e trasparenza al fine di assicurare l’integrità dei mercati, ovvero secondo cui, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati. Infatti, il contesto socio-economico in cui sono venute in essere le circostanze di fatto, che ha indotto l’Autorità ad emanare la delibera n. 16813/2009, imponeva agli operatori una più accentuata diligenza al fine di evitare le cc.dd. vendite allo scoperto. In particolare, a fronte di imponenti ordini di vendita e del ragionevole sospetto della loro carenza di copertura, un soggetto professio-

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nalmente avveduto, quale una SIM, avrebbe dovuto in modo più stringente accertare la effettiva sussistenza della copertura prima di procedere all’esecuzione degli ordini, sicché la violazione ha avuto ad oggetto il concreto mancato espletamento di tali funzioni di controllo ex ante. In altri termini, le circostanze del caso di specie, puntualmente individuate dalla Consob nel volume dei titoli SEAT-Pagine Gialle S.p.A. ceduti per conto dei clienti, nell’acquisto dei diritti di opzione e nella tempistica delle disposizioni impartite, avrebbero dovuto indurre la ricorrente ad effettuare riscontri ben più pregnanti sulla effettiva proprietà e disponibilità dei titoli da parte degli ordinanti rispetto all’invio di comunicazioni sulla normativa applicabile ed alla mera richiesta di conferma al cliente dell’osservanza del divieto di vendita allo scoperto e della disponibilità/proprietà delle azioni oggetto dell’ordine. Di tale insufficienza, è dato esaurientemente conto nell’atto di accertamento, in cui se, da un lato, è evidenziato che nell’ambito dei controlli ex ante, l’addetto al Front Office, quando riceve un ordine relativo ad uno strumento finanziario oggetto di aumento di capitale, deve anche assicurarsi che il cliente abbia l’effettiva disponibilità/proprietà dei titoli oggetto dell’ordine nonché, in caso di dubbio, contattare la Compliance che deve rivolgersi eventualmente al responsabile della compliance dell’ordinante al fine di verificarne la conoscenza della normativa in questione e ricevere conferma circa la stretta osservanza della stessa, dall’altro, è posto in ri-

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lievo che, a fronte dell’adozione di una siffatta procedura, C Sim S.p.A., non ha tuttavia comprovato lo svolgimento, nel caso di specie, di una puntuale attività di controllo ex ante sull’operatività dei clienti come descritta nel manuale di procedura né ha documentato l’esistenza di specifiche conferme espressamente conferite dagli ordinanti prima dell’immissione dei titoli di vendita, volte a garantire l’effettiva proprietà e disponibilità dei titoli. In definitiva – in ragione della particolare turbolenza dei mercati finanziari che aveva indotto la Consob a stabilire, con delibera n. 16813 del 26 febbraio 2009, che la vendita di azioni di società, oggetto di aumenti di capitale, deve essere assistita sia dalla disponibilità che dalla proprietà dei titoli da parte dell’ordinante al momento dell’ordine e fino alla data di regolamento dell’operazione, imponendo agli aderenti ai mercati regolamentati italiani di adottare tutte le misure e le cautele necessarie nonché delle peculiari circostanze del caso concreto che, globalmente considerate, avrebbero dovuto indurre C Sim S.p.A., ad un’attività di verifica ex ante sicuramente più ampia e puntuale di quella posta in essere – non si presenta illogico l’iter argomentativo sulla cui base la Consob ha accertato la violazione del combinato disposto degli artt. 25, co. 3, e 190, co. 2, lett. d-ter d.lgs. 58/1998, delle quali la delibera n. 16813 del 26 febbraio 2009 in materia di vendita allo scoperto delle azioni costituisce strumento di attuazione, ed ha applicato la relativa sanzione amministrativa pecuniaria. (Omissis)


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II (Omissis) Premesso in fatto: che la Consob, con delibera 1/9/2010, n. 17461 e notificata in data 9 settembre 2010, irrogò le seguenti sanzioni: - “al Sig. X sono applicate le seguenti sanzioni: sanzione amministrativa pecuniaria di € 100.000,00, ai sensi dell’art. 187-ter del d.lgs. n. 58/98, della quale è contestualmente ingiunto il pagamento; sanzione amministrativa accessoria, ai sensi dell’art. 187-quater, comma 1, del d.lgs. n. 58/98, per un periodo di mesi due; - al sig. Y sono applicate le seguenti sanzioni: sanzione amministrativa pecuniaria di €. 100.000,00, ai sensi dell’art. 187-ter del d.lgs. n. 58/98, della quale è contestualmente ingiunto il pagamento; sanzione amministrativa pecuniaria di €50.000,00, ai sensi dell’art. 187-quinquiesdecies del d.lgs. n. 58/98, della quale è contestualmente ingiunto il pagamento; sanzione amministrativa accessoria, ai sensi dell’art. 187-quater, co. 1, del d.lgs. n. 58/98, per un periodo di mesi due. È, altresì, ingiunto alla soc. Z, in qualità di obbligato in solido, ai sensi dell’art. 6, comma 3, della legge n. 689 del 1981, di pagare l’importo di €. 200.000,00, quale somma delle predette sanzioni pecuniarie applicate ai Sig.ri X e Y per violazione dell’art. 187-ter del d.lgs. n. 58/98”; che i fatti generatori della sanzione, e costituiti da una serie di operazioni “a doppio incrocio”, si erano svolti fra il 19 febbraio ed il 30 maggio 2007; che, con ricorsi, depositati il 8/11/2010, la soc. Z ed

il sig. X in proprio, da un lato, il sig. Y, dall’altro, proposero impugnazione, con motivi parzialmente comuni, dinanzi a questa Corte territoriale avverso la delibera ridetta, deducendo vari profili di illegittimità; che parte resistente ha sollevato una questione di legittimità costituzionale in relazione alle norme infra richiamate del Codice del Processo Amministrativo; Premesso in diritto: che in data 16/9/2010 è entrato in vigore il d.lgs. 2/7/2010, n. 104, Codice del processo amministrativo, come disposto dall’art. 2, co. 1. Dispongono: l’art. 133, co. 1, lett. l): “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, salvo ulteriori previsioni di legge: … (omissis) … I) le controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, adottati…, dalla Commissione nazionale per le società e la borsa”; l’art. 135, co. 1, lett. e): “Sono devolute alla competenza inderogabile del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, salvo ulteriori previsioni di legge: …(omissis)… e) le controversie di cui all’articolo 133, comma 1, lettera l)”; ed ancora l’art. 134, co. 1, lett. c): “Il giudice amministrativo esercita giurisdizione con cognizione estesa al merito nelle controversie aventi ad oggetto: …(omissis)…

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c) le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, comprese quelle applicate dalle Autorità amministrative indipendenti…”; che, di conseguenza, dalla data suddetta, ex art. 4, n. 19 All. 4 d.lgs. 2010, n. 104, è stato abrogato l’art. 187 septies, co. 4, d.lgs. 1998, n. 58, che fondava la competenza funzionale della Corte d’Appello in tema di sanzioni Consob ed in forza del quale è stato proposto l’odierno giudizio; che, ex art. 5 c.p.c, il momento determinante per la giurisdizione e competenza è costituito dalla proposizione della domanda e così il 8/11/2010; che la novella competenza del giudice amministrativo è stata introdotta in forza della delega contenuta nell’art. 44 legge 18/6/2009, n. 69, secondo cui, per quanto qui rileva: “1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, alfine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte Costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele. 2. I decreti legislativi di cui al comma 1, oltre che ai principi e criteri direttivi di cui all’ articolo 20, comma 3, della legge 15 marzo 1997, n. 59, in quanto applicabili, si attengono ai seguenti principi e criteri direttivi: assicurare la snellezza, concentrazione ed effettività della tutela, anche

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alfine di garantire la ragionevole durata del processo, disciplinare le azioni e le funzioni del giudice: 1) riordinando le norme vigenti sulla giurisdizione del giudice amministrativo, anche rispetto alle altre giurisdizioni; …”. 2. Ritenuto, quanto alla rilevanza, che questa Corte condivide il “costante insegnamento di questa Corte, per cui ‘le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali, ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali’ (ex multis sent. n. 403 del 2007, sent. n. 356 del 1996, ord. n. 85 del 2007)” (così C. Cost. 11 febbraio 2011, n. 49, in motivazione); che, a tale stregua, la rilevanza della questione di legittimità costituzionale appare manifestamente sussistere, da essa dipendendo o la declinatoria di giurisdizione da parte di questa Corte in favore del T.A.R. LAZIO – Sede di ROMA, nel caso di infondatezza della questione di legittimità costituzionale, ovvero la pronuncia sulla domanda di annullamento delle sanzioni ridette, ove la questione fosse fondata; che la chiarezza del quadro normativo dianzi ricostruito non lascia alcuna possibilità ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, atteso che essa si ridurrebbe alla pura e semplice violazione della novella competenza fissata in favore del T.A.R. ridetto, in applicazione di una competenza – quella di questa Corte – ormai abrogata; che tutto ciò dimostra sussistente il requisito di cui all’art. 23, co. 2 lg. 11/3/1953, n. 87. 3. Considerato, quanto alla denunziata illegittimità costituzionale,


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che essa appare interessare molteplici profili, i quali per chiarezza di trattazione giova siano considerati partitamente; 3.1. – quanto all’art 76 Cost., che “Il sindacato di costituzionalità sulla delega legislativa, secondo la giurisprudenza di questa Corte, si svolge attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli concernenti, rispettivamente, la norma delegante (al fine di individuarne l’esatto contenuto, nel quadro dei principi e criteri direttivi e del contesto in cui questi si collocano, nonché delle ragioni e finalità della medesima) e la norma delegata, da interpretare nel significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega (tra le più recenti, sentenze n. 341, n. 340 e n. 170 del 2007)” (così C. Cost. 24 aprile 2008, n. 112, in motivazione); che la novella attributiva di competenza deriva la propria legittimità dall’art. 44, co. 1 e 2 cit; che tuttavia il d.lgs. 2010, n. 104 in parte qua parrebbe non conforme alla delega in quanto essa concerneva il riordino delle “norme vigenti sulla giurisdizione del giudice amministrativo, anche rispetto alle altre giurisdizioni” ed “adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte Costituzionale”, e così con il pieno rispetto della ripartizione di giurisdizionale fra il giudice ordinario e quello amministrativo, quale delineata dall’art. 187 septies, co. 4, d.lgs. 1998, n. 58, sovra riportato, mentre, all’opposto, la norma delegata ha profondamente inciso la precedente ripartizione sotto un duplice profilo: sia sottraendola alle Corti d’Appello, sia concentrandola nella competenza funzionale e ter-

ritoriale in un unico ufficio giurisdizionale; che il riordino delle norme vigenti comporta solamente “le modificazioni strumentali rispetto allo scopo di comporle in un testo normativo unitario” (così C. Cost. 24 aprile 2008, n. 112, in motivazione); che, inoltre, la delega doveva “adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte Costituzionale”, la quale – come si dirà infra secondo un diverso profilo – è esplicitamente intervenuta in materia con la sentenza della Corte Costituzionale 6 luglio 2004, n. 204, statuendo l’illegittimità costituzionale dell’assegnazione al giudice amministrativo di blocchi di materie; che, ancora, la delega avrebbe dovuto attuare la “la ragionevole durata del processo”, mentre la concentrazione presso un unico ufficio giudiziario di tutte le controversie in materia dì Consob, in precedenza distribuite fra le varie Corti d’Appello italiane, appare muovere in senso diametralmente opposto, atteso che la concentrazione, necessariamente, comporta una correlativa diminuzione delle possibilità di rapida decisione; che per tali aspetti, quindi, la novella in esame appare eccedere la delega dianzi considerata; 3.1.1. – ancora quanto all’art. 76 Cost., che, nel caso in cui si potesse intendere il riferimento di cui all’art. 44, co. 2, lett. b) n. 1 cit., non già come una direttiva al legislatore delegato inscritta entro il perimetro della delega di cui al comma precedente – come la Corte ritiene – ma come una autonoma direttiva che concorra a delimitare il perimetro stesso, allora si deve rilevare la assenza di alcuna specificità, della delega; che di conseguenza, ove

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tal norma fosse intesa nel senso denegato da questa Corte, ne conseguirebbe la violazione in sé del canone di specificità fissato dall’art. 76 Cost., con la conseguente questione di illegittimità costituzionale; 3.2 – quanto agli artt. 103, co. 1 e 113, co. 1 Cost., che, seppure potesse essere infondato il precedente profilo, la Corte Costituzionale con la sentenza 6 luglio 2004, n. 204 ha precisato, fissando un triplice limite all’espansione della competenza del giudice amministrativo, che: “Il legislatore ordinario ben può ampliare l’area della giurisdizione esclusiva purché lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre,in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità: con il che, da un lato, è escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice ‘della’ pubblica amministrazione: con violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, Cost.) e, dall’altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo” (in motivazione); che, quindi, si deve trattare di materie particolari che sarebbero comunque devolute alla cognizione del giudice amministrativo, il che, nel caso, avviene solo per il profilo della vigilanza svolta dalla Consob, quando cioè viene in rilievo un aspetto di discrezionalità

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amministrativa, ma non certo per il profilo sanzionatorio, caratterizzato dalla doverosità, sul lato dell’autorità indipendente, e dalla tutela di diritti soggettivi, sul lato del sanzionato, così rispettando la dicotomia interesse legittimo, presente in relazione al primo campo di intervento, e diritto soggettivo, dominante il secondo; che neppure può ritenersi sussistere un’inscindibile relazione fra i due versanti dell’attività complessiva della Consob, atteso che il profilo della vigilanza ben può concludersi senza intervento sanzionatorio e, viceversa, il profilo sanzionatorio dev’essere attuato anche su segnalazione di terzi, in assenza di una attività di vigilanza, così dimostrandosi la solo occasionale connessione fra i due aspetti e quindi la non ricomprensione nell’ambito di quei casi particolari considerati dalla sentenza ridetta; che, in riferimento ai due ambiti di attività della Consob, l’autorità viene in rilievo con differenti compiti e poteri: quello dell’esercizio di un potere amministrativo, quanto alla vigilanza, quello dell’esercizio di un dovere ricorrendone i presupposti, quanto alla sanzione; che, all’opposto, la novella competenza di cui si discute attribuisce al giudice amministrativo una giurisdizione esclusiva unicamente ratione personae, cioè in quanto la Consob è parte della pubblica amministrazione, non in funzione del contenuto degli atti emanati, sul cui fondamento riposa la ripartizione di competenza fra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa, senza che in subiecta materia venga in rilievo alcuna speciale connessione; che solo indirettamente deve esser considerato il bene giuridico protet-


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to dalla sanzione, e costituito dalla tutela del mercato, posto che esso sottende tutto il sistema sanzionatorio nelle sue varie articolazioni e che la tutela del mer­cato costituisce, semmai solo, un generico riferimento al pubblico interesse, non tale da giustificare la sussistenza della “speciale materia” anzidetta; cha tal competenza ripartita fra giudice ordinario e amministrativo è ribadita a chiare lettere dall’art. 113, co. 1 Cost., il quale esplicitamente prevede quella ripartizione di competenza, che di conseguenza non può esser derogata se non a fronte di evidenti ragioni di tutela del cittadino, che nel caso non paiono sussistere; 3.2.1. – ancora quanto agli artt. 103, co. 1 e 113, co. 1 Cost., che nella specie, comunque, si controverte di sanzioni relative ad abuso del mercato commissibili da chiunque, e non solo da soggetti sottoposti alla vigilanza della Consob, sicché la materia relativa esce dall’ambito della vigilanza affidata a quella autorità indipendente, costituendo una competenza unicamente sanzionatorio, e quindi tale da incidere nella materia dei diritti soggettivi, come ritenuto dal diritto vivente (così CASS. CIV. sez. un., 29 novembre 2007, n. 24816); che pertanto, in proposito, non si può neppure ipotizzare l’intrinseco, inestricabile collegamento che possa configurare una “particolare materia”, considerata dall’art. 103 cit; che ciò concorre al profilo di non manifesta illegittimità costituzionale anzidetto; 3.3. – quanto all’art. 111, co, 2, 7 e 8 Cost., che, inoltre, il sistema costituzionale, all’art. 111, co. 7 Cost., configura

un sistema non paritario fra giudice ordinario e giudice amministrativo, con una prevalenza istituzionale del primo, come un’autorevole dottrina non ha mancato di sottolineare, sicché la sottrazione di competenza giurisdizionale al primo deve esser fondata da concrete e corpose ragioni di specialità, nel caso non ricorrenti; che, sotto questa prospettiva, lo spostamento di competenza di cui si discute appare sottrarre alla giurisdizione di nomofilachia della Corte di Cassazione una materia dei diritti soggettivi, configgendo con il disposto dell’art. 111, co. 8 Cost., di cui la presente materia ha goduto per oltre un decennio, atteso il rilievo costituzionale del grado di legittimità, sottolineato dalla stessa Corte Costituzionale, quale elemento integrante i canoni del giusto processo, validi anche per il giudizio amministrativo (così C. Cost. 29 maggio 2009, n. 170, in motivazione), e tenuto conto della rilevanza costituzionale del diritto potenzialmente compromesso, rappresentato dall’incidenza della sanzione sulle potenzialità economiche dei soggetti e delle imprese, tale da incidere sulla effettiva libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41, co. 1 Cost; che, ancora, la concentrazione presso un unico ufficio giudiziario di tutte le controversie in materia di sanzioni Consob appare configgere con il canone costituzionale della ragionevole durata, di cui all’art. 111, co. 2 Cost., atteso che la distribuzione delle delle controversie medesime fra più Corti territoriali assicura una trattazione parallela dei processi, quindi con una minor durata di ciascuno, mentre la concentrazione in un unico ufficio comporta,

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necessariamente, una trattazione in sequenza, che finisce di incidere sulla ragionevole durata di tutti; 3.4. – quanto all’art. 3 Cost., che ciascuno di tali profili di possibile illegittimità costituzionale finisce per impingere, anche, sulla razionalità sia della tutela effettiva dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi, sia della distribuzione degli affari contenziosi fra giurisdizioni diverse, onde ciascuno di essi appare confliggere anche con tal profilo di illegittimità costituzionale; che, ancora, lo spostamento suddetto opera una irrazionale disparità fra quello in esame e la miriade di altri casi in cui la pubblica amministrazione, in condizioni strutturalmente identiche a quelle della Consob, svolge sia una attività di vigilanza che l’esercizio di un potere sanzionatorio, concretizzantesi in una ordinanza-ingiunzione, impugnabile dinanzi al giudice ordinario ex art. 23, Ig. 1981, n. 689 (legge applicabile anche alle sanzioni Consob), come, ad esempio, in materia di giochi d’azzardo leciti, ex art. 110, co. 9 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, emanato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, nella versione introdotta dal comma 525 dell’unico articolo della legge 23 dicembre 2005, n. 266, sanzione irrogata dalla A.A.M.S.; di attività veterinaria, ex art. 36 D.Lgs. 27/1/1992, n. 119, sanzione irrogata dalla A.S.L. competente; di

lavoro subordinato, ex artt. 4 bis co. 2 d.lgs. 21/4/2000, n. 181, introdotto dall’art. 6 c.l. d.lgs. 2002, n. 397, art. 1 Legge 5/1/1953, n. 4, sanzione irrogata dalla DIREZIONE PROVINCIALE del LAVORO, ed in mille altri casi in cui ad un’attività di vigilanza se ne affianca un’altra di natura sanzionatoti a, dotata di una discrezionalità amministrativa la prima e di una doverosità inderogabile la seconda; 4.– ritenuto, conclusivamente, che la questione di legittimità costituzionale relativa agli artt. l’art. 133, co. 1, lett. 1), 135, co. 1, lett. e), 134, co. 1, lett. e) del d.lgs. 2/7/2010, n. 104, nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione esclusiva amministrativa, in generale, e del T.A.R. LAZIO - Sede di ROMA in ispecie, le controversie relative alle sanzioni amministrative irrogate dalla Consob, in quanto apparentemente configgenti con gli artt. 3; 76; 103, co. 1 e 113, co. 1; 111, co. 2, 7, 8 Cost., è manifestamente rilevante e non manifestamente infondata; che deve, quindi, proporsi alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale ridetta, disponendosi la sospensione dei processi riuniti, la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, notificandosi la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicandola ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato. (Omissis).

(1 – 2) A. Il nuovo codice del processo amministrativo (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, modificato recentemente dal d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195), all’art. 133, co. 1, fissa le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: fra tali materie la lett. l) include le “controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori, ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di lavoro privatizzati, adottati” dalle c.d. autorità indipendenti, pun-

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tualmente elencate nella stessa disposizione, fra le quali la Banca d’Italia, la Consob e l’ISVAP. Il successivo art. 134 riconduce fra le materie di giurisdizione estesa al merito “c) le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, comprese quelle applicate dalle Autorità indipendenti”. L’ancora successivo art. 135, infine, devolve alla competenza funzionale inderogabile del TAR del Lazio, fra le altre, “c) le controversie di cui all’art. 133, co. 1, lett. l)”, fra le quali rientrano ovviamente le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti sanzionatori adottati dalle c.d. autorità indipendenti. Il sistema così disegnato non lascia spazio ad incertezze interpretative: la materia delle sanzioni amministrative pecuniarie nel settore lato sensu finanziario rientra nelle materie di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; le opposizioni (ormai: ricorsi) avverso tali sanzioni vanno proposte avanti il TAR del Lazio, la cui cognizione è estesa anche al merito (il che significa, alla luce dell’art. 7 dello stesso codice, che il giudice in questi processi può sostituirsi integralmente all’amministrazione nelle valutazioni di pertinenza di quest’ultima). Tale sistema lascia però spazio a corposi dubbi di incostituzionalità, sotto il profilo, da un lato, dell’eccesso di delega e quindi della violazione dell’art. 76 Cost. e, dall’altro, del contrasto con gli art. 3, 103, 111 e 113 Cost. Dubbi che sono stati affrontati nelle due pronunzie qui pubblicate, le quali – giudicando su di un’eccezione sollevata, in entrambi i casi, dalla Consob – sono giunte a conclusioni divergenti: nel senso della manifesta infondatezza della questione la prima (del TAR Lazio) e nel senso invece della non manifesta infondatezza la seconda (della Corte d’Appello di Torino). B. Per la comprensione dei termini e della portata della questione di costituzionalità oggetto delle due pronunzie è il caso di ricordare che il sistema disegnato dal c.p.a. costituisce – per quanto riguarda le sanzioni che qui specificamente interessano, cioè le sanzioni pecuniarie nel settore finanziario – lo sbocco di una evoluzione normativa che ha seguito percorsi a dir poco incerti. Alle origini, la competenza giurisdizionale in materia di sanzioni pecuniarie in tale settore era attribuita al giudice ordinario, in coerenza con l’idea secondo la quale quel tipo di sanzione (a differenza delle sanzioni ripristinatorie) è destinato solo a garantire il rispetto delle norme poste a tutela dell’interesse pubblico, restando esclusa ogni discrezionalità in ordine alla loro irrogazione ed entrando in giuoco allora soltanto posizioni di diritto soggettivo dell’autore dell’infrazione (idea, per la quale v. per tutte Cass., S. U., 3 febbraio 1989, n. 660, in Foro it., 1989, I, 1076, che è poi alla base della legge generale in materia di sanzioni amministrative pecuniarie, cioè la l. 24 novembre 1981, n. 689, che attribuisce la cognizione in materia appunto al giudice ordinario). E, così, l’art. 90 della legge bancaria del ’36-’38 attribuiva alla Corte d’appello di Roma la cognizione dei reclami contro i decreti ministeriali di applicazione delle c.d. “pene pecuniarie” di cui agli art. 87, 88 e 89 della medesima legge, con disposizione poi ripresa dall’art. 145 t.u.b. del 1993; così l’art. 195 del t.u.f. del 1998, che attribuiva la cognizione delle opposizioni avverso le sanzioni pecuniarie nel settore (sub settore) mobiliare alle Corti d’appello territoriali.

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Questo univoco orientamento ha iniziato ad incrinarsi con l’emanazione del d.lgs. n. 80/1998, che, nel quadro di un ridisegno, in termini di ampliamento, delle aree di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ha ricondotto a tali aree le controversie in materia di pubblici servizi, fra cui sono stati espressamente inclusi “quelli afferenti la vigilanza sul credito, sulle assicurazioni, sul mercato mobiliare”: ha cominciato infatti allora a profilarsi la tendenza a valorizzare il collegamento fra vigilanza e meccanismo delle sanzioni e, quindi, a ricondurre alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche la materia delle sanzioni. A tale tendenza – che aveva trovato accoglimento da parte del TAR Lazio (sentenza 7 settembre 2001, n. 7236, in Foro it., 2002, III, 94) e del Consiglio di Stato (decisione sez. VI, 13 maggio 2003, n. 2533, in Cons. St., 2003, I, 1101); nonché, a livello normativo, nell’art. 6 della l. 5 marzo 2001, n. 57, che aveva previsto la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di sanzioni pecuniarie nel sub settore assicurativo – aveva posto un freno la legge sul risparmio del 2005, che, all’art. 24, co. 5, dopo aver stabilito in generale la competenza giurisdizionale del giudice amministrativo (del TAR del Lazio) per l’impugnazione degli atti adottati dalle autorità indipendenti, aveva espressamente fatto salve le disposizioni previste per l’impugnazione dei provvedimenti sanzionatori dalle diverse leggi speciali (T.U. bancario; T.U. della finanza, ecc.). Ma si trattava, evidentemente, di una tendenza inarrestabile se, pochissimo tempo dopo, l’art. 326 co. 7 del cod. ass. priv. del 2005 ha confermato la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo della cognizione dei ricorsi avverso i decreti ministeriali di applicazione delle sanzioni nel settore assicurativo. Il c.p.a. porta a compimento proprio questa linea evolutiva. L’innovazione da esso recata viene infatti giustificata, nella relazione di accompagnamento, appunto con “la stretta connessione tra potere di vigilanza (costituente già servizio pubblico nei settori di cui all’art. 33, d.lgs. n. 80 del 1998) e potere sanzionatorio”. C. Quella delle sanzioni amministrative nel settore finanziario è materia tanto importante (come dimostra la particolare attenzione ad esso dedicata dal legislatore: e mi riferisco ovviamente alla legge sulla tutela del risparmio del 2005), quanto complessa e delicata, la quale prospetta non pochi e non irrilevanti nodi problematici, che la giurisprudenza finora non è riuscita a sciogliere in modo soddisfacente (mi permetto il rinvio, sul punto, a Nigro, Le Sezioni Unite e la legittimazione all’opposizione dei destinatari delle sanzioni ex art. 195 t.u.f., in Dir. banc., 2009, I, 624 ss.) e la cui considerazione e soluzione dipende anche dalla “sensibilità” del giudice chiamato a conoscerne. Questo significa che i dubbi di costituzionalità oggetto delle due pronunzie qui pubblicate debbono essere sciolti nel più breve tempo e nel modo più esaustivo possibili. Tanto più che tali dubbi si riflettono anche sulla “tenuta” complessiva dei criteri utilizzati dal c.p.a. per individuare le aree della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Detto questo, se, da un lato, è sicuro che entrambe le posizioni espresse dalle due pronunzie sono meritevoli di attenta considerazione; dall’altro, sem-

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bra di poter osservare che, mentre la posizione assunta dalla Corte d’Appello di Torino è sorretta da un itinerario argomentativo lineare, completo e coerente, quella del TAR Lazio è affidata ad un percorso interpretativo caratterizzato da lacune, forzature e contraddizioni. Infatti: nella pronunzia del TAR si sostiene che le controversie nella materia in oggetto “rientrerebbero comunque nella giurisdizione amministrativa di legittimità”; ma si omette completamente di spiegare perché, allora, il c.p.a. le abbia ricondotte alla giurisdizione esclusiva, che è ovviamente cosa diversa dalla giurisdizione generale di legittimità. Ancora: in quella pronunzia si afferma che la discrezionalità tecnica caratterizzante i procedimenti sanzionatori in questione costituirebbe esercizio autoritativo di un pubblico potere e che, d’altra parte, costituirebbe esercizio di discrezionalità amministrativa la determinazione dell’entità della sanzione; affermazioni, entrambe, frutto appunto (quanto meno) di autentiche forzature. Infine: in quella pronunzia si è dichiarata irrilevante la questione di legittimità della disposizione del c.p.a. che attribuisce al giudice amministrativo, in materia, cognizione estesa al merito, rilevando che nel giudizio non erano state sollevate censure afferenti alla quantificazione della sanzione: il che contraddice la tesi secondo cui l’intero procedimento sanzionatorio, non soltanto la “frazione” di esso concernente la determinazione dell’entità della sanzione, sarebbe connotato dall’esercizio di potere discrezionale, la quale tesi dovrebbe portare con sé il corollario che il giudice amministrativo potrebbe sostituire le proprie a tutte le valutazioni dell’autorità procedente. D. Ad avviso di chi scrive, il nodo centrale che la Corte Costituzionale si troverà a dover sciogliere è quello della esatta portata, non in astratto ma con specifico riferimento agli assetti disegnati dalle discipline di sub settore (bancario, mobiliare, assicurativo), della “stretta connessione” – valorizzata dal legislatore del c.p.a. – fra potere sanzionatorio e potere (poteri) di vigilanza spettanti alle autorità, appunto, di subsettore. Ora, non vi è dubbio che, specie negli ultimi tempi, lo strumento delle sanzioni pecuniarie abbia assunto un ruolo importante nella disciplina delle attività di cui stiamo parlando, anche in chiave di tutela di interessi diversi da quelli pubblici tradizionali (mi riferisco, per esempio, alla recentissima modifica del t.u. bancario in punto di trasparenza delle relazioni banca-cliente, nella quale l’anello di chiusura del sistema, ispirato ad esigenze di protezione dei clienti, è rappresentato proprio dalle sanzioni pecuniarie, come alternativa ai tradizionali rimedi civilistici). Non vi è ugualmente dubbio, però, che non può bastare una (semplice) “stretta connessione”, intesa come collegamento estrinseco, fra potere sanzionatorio e potere di vigilanza per attrarre il primo nello stesso ambito di tutela giurisdizionale disegnato per il secondo: come bene ha sottolineato la Corte d’Appello, sono moltissimi, nel nostro ordinamento, i casi in cui il potere sanzionatorio è connesso, anche strettamente, a poteri di vigilanza anche penetranti, restando però sicura l’attribuzione delle controversie concernenti l’esercizio del primo alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario. Occorre dunque qualcosa di più della “stretta connessione”: occorre una vera

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e propria immedesimazione, nel senso che il potere di comminare sanzioni amministrative partecipi ormai della natura di tutti gli altri poteri amministrativi (autorizzatori, ablatori, ecc.) attraverso i quali si svolge l’attività di vigilanza da parte delle autorità ad essa preposte; nel senso, cioè, che quel potere comminatorio sia identico al potere che viene esercitato, per esempio, quando si ponga una banca o un intermediario o un’impresa di assicurazione in amministrazione straordinaria o se ne disponga la liquidazione coatta. È il caso di precisare che collocandosi in una simile prospettiva le Sezioni Unite della Cassazione avevano costantemente escluso che la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 80 del 1998 avesse determinato l’attribuzione al giudice amministrativo della competenza giurisdizionale per le opposizioni avverso i provvedimenti sanzionatori in materia di intermediazione finanziaria e attività creditizia, sottolineando (così la sentenza 15 luglio 2010, n. 16577, in Foro it., 2011, I, 824) che l’irrogazione delle sanzioni “che può avvenire soltanto nei casi tassativamente previsti dalla legge, è espressione di un’attività vincolata che, in quanto tale, non può essere assimilata, pur essendo ad essa strettamente collegata, a quella di vigilanza, le cui modalità non sono invece rigidamente predeterminate, ma… sono lasciate all’apprezzamento delle autorità cui è affidato il compito di salvaguardare la trasparenza e la correttezza dei comportamenti e la sana e prudente gestione dei soggetti abilitati…” (in senso parzialmente diverso v. peraltro, con riferimento alla disciplina delle sanzioni in campo assicurativo, Cass., S. U., 29 novembre 2007, n. 24816, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 882, che aveva ritenuto manifestamente infondata l’eccezione di costituzionalità del prima ricordato art. 6 della l. n. 57 del 2001 in riferimento agli art. 3, 24, 25, 102, 103, 111 e 113 Cost.). Ed è il caso di ribadire che, nella chiave qui prospettata, non si potrebbero valorizzare né la “discrezionalità tecnica” – che è cosa diversa dalla discrezionalità amministrativa – caratterizzante l’accertamento dei presupposti della sanzione, né la determinazione dell’entità della sanzione, la quale tanto poco costituisce esercizio di discrezionalità amministrativa da essere sempre e comunque sindacabile, nel merito, dal giudice anche ordinario (e v. l’art. 23, co. 11, della l. n. 689 del 1981). E. Un ultimo rilievo. Si è detto prima che la considerazione e soluzione dei nodi problematici che la materia prospetta dipende anche dalla “sensibilità” del giudice che sia chiamato a conoscerne. C’è da osservare, a questo proposito, che il giudice ordinario – al quale fino a ieri spettava la competenza giurisdizionale al riguardo – non ha dato, su tale piano, buona prova di sé. Come si è avuto occasione di rilevare nello scritto prima richiamato, a fronte di solenni affermazioni di principio della Corte di Cassazione (secondo la quale il giudizio di opposizione ha come oggetto la verifica della sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito e della pretesa sanzionatoria e in tale giudizio il sindacato del giudice è pieno e può giungere fino alla sostituzione della sanzione irrogata a conclusione della verifica della congruità del provvedimento), la realtà applicativa ha fatto registrare esiti, in termini di giustizia sostanziale, a dir poco

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deludenti. In tale realtà, è accaduto infatti che il giudice di merito (in particolare, la Corte d’Appello di Roma) molto spesso (per non dire quasi sempre) si sia “trincerato” dietro quelli che venivano definiti come “gli accurati accertamenti effettuati dall’organo di vigilanza”, rifiutandosi a priori di vagliarne – come avrebbe potuto e dovuto – l’attendibilità, la completezza, la congruenza, ecc. e pervenendo al rigetto dell’opposizione con motivazioni sovente solo apparenti, in quanto fondate su petizioni di principio. E che la Cassazione, a sua volta, si sia rifiutata quasi sempre di censurare questo modo di decidere, invocando la insindacabilità delle valutazioni del giudice di merito. Sotto questo aspetto, non irrilevante, l’attribuzione al giudice amministrativo (più “attrezzato” del giudice ordinario al sindacato dell’attività provvedimentale della p.a.) della competenza giurisdizionale nelle controversie in questione potrebbe costituire – paradossalmente, a ben vedere – un passo avanti verso l’obiettivo di assicurare la piena giustiziabilità delle sanzioni pecuniarie anche nella materia di cui stiamo trattando. [A.N.]

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Amministratori di s.r.l. e azione di responsabilità dei creditori I CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sezione I civile, sentenza 21 luglio 2010, n. 17121; Pres. Carnevale, Rel. Nappi, P.M. Basile; A.V. c. Fallimento B.R.C.D.F s.r.l. Società a responsabilità limitata – Fallimento – Amministratori – Azione di responsabilità spettante ai creditori sociali – Legittimazione del curatore – Sussiste (Cod. civ., artt. 2392, 2393, 2394; l.fall., art. 146). Il curatore fallimentare è legittimato ad esercitare qualsiasi azione di responsabilità, compresa quella spettante ai creditori sociali, contro gli amministratori di qualsiasi società. (1) II TRIBUNALE DI MILANO, Sezione VIII civile, sentenza 18 gennaio 2011, n. 501; Pres. Perozziello, Rel. Galioto; Fallimento X s.r.l. c. E. C., R. C., D.C. e D s.r.l. Società a responsabilità limitata – Fallimento – Amministratori – Azione di responsabilità spettante ai creditori sociali – Legittimazione del curatore – Sussiste (Cod. civ., artt. 2394, 2394-bis, 2476, 2477, 2485, 2486, 2497, 2487 previgente; l.fall., art. 146) Il curatore fallimentare è legittimato ad esercitare contro gli amministratori di s.r.l. sia l’azione sociale di responsabilità sia l’azione di responsabilità spettante ai creditori. (2) I (Omissis) Svolgimento del processo Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Roma ha confermato

la condanna di A. V. al pagamento della somma di Euro 907.146,54 in favore del Fallimento della B.R.C.D.F. s.r.l., così ribadendo l’accoglimento

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dell’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare nei confronti del convenuto, già amministratore della società fallita. Hanno ritenuto i giudici del merito: a) quale che sia la corretta interpretazione della sopravvenuta nuova disciplina delle società a responsabilità limitata, permane per i fallimenti già dichiarati la legittimazione del curatore fallimentare all’esercizio per conto dei creditori sociali dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori; b) l’azione esercitabile dal curatore fallimentare cumula quelle esercitabili dai soci, dalla società e dai creditori; e nel caso in esame il curatore aveva fatto riferimento anche alla violazione degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale; c) il termine di prescrizione dell’azione spettante al curatore decorre dalla dichiarazione del fallimento, che aveva permesso di accertare l’insufficienza dell’attivo; d) la consulenza espletata in un diverso giudizio estinto è valutabile come prova; e) la consulenza tecnica dimostra l’esistenza di un nesso di causalità tra il comportamento dell’amministratore e il danno lamentato dal fallimento. Contro questa sentenza ricorre ora per cassazione A. V. e propone cinque motivi di impugnazione, cui resiste con controricorso il Fallimento della B.R.C.D.F. s.r.l. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione della l.fall., art. 146, artt. 2476 e 2487 c.c., riproponendo l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del curatore fallimentare ex d.lgs. n. 6 del 2003.

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Sostiene che la l.fall., art. 146, deve ritenersi implicitamente abrogato per le società a responsabilità limitata, perché né l’art. 2476 né l’art. 2487 c.c., richiamano, nel loro nuovo testo, gli artt. 2392, 2393 e 2394 c.c., in materia di responsabilità degli amministratori di società per azioni. Sicché la legittimazione processuale del curatore, che deve esistere al momento della decisione, è venuta meno e la sua carenza deve essere rilevata d’ufficio dal giudice. Il motivo è infondato. La l.fall., art. 146, disciplina obblighi e responsabilità degli amministratori di qualunque tipo di società e nel suo testo originario prevedeva che “l’azione di responsabilità contro gli amministratori, i sindaci, i direttori generali e i liquidatori, a norma degli artt. 2393 e 2394 cod. civ., è esercitata dal curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori”. Precedentemente alla riforma del 2003, le azioni di responsabilità contro gli amministratori di società a responsabilità limitata erano disciplinate dall’art. 2487 c.c., con un richiamo delle norme sulle società per azioni. Sicché non si dubitava della legittimazione del curatore del fallimento di una s.r.l. all’esercizio delle azioni di responsabilità. Il d.lgs. n. 6 del 2003, ha disciplinato autonomamente la responsabilità degli amministratori di s.r.l., eliminando ogni richiamo alla disciplina delle s.p.a. Si discute pertanto se il curatore fallimentare sia ancora legittimato all’esercizio delle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di s.r.l.; e tale questione viene ora proposta dal ricorrente. La questione deve ritenersi tuttavia superata dalla


Amministratori di s.r.l. e azione di responsabilità dei creditori

considerazione che la l.fall., art. 146, nel suo testo originario, era destinato solo a riconoscere la legittimazione del curatore all’esercizio delle azioni di responsabilità comunque esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento agli artt. 2393 e 2394 c.c.. E questa interpretazione risulta ora confermata dallo stesso legislatore, perché il nuovo testo della l.fall., art. 146, come sostituito dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 130, prevede semplicemente che il curatore è legittimato a esercitare le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori, della società fallita. Sicché il curatore può esercitare qualsiasi azione di responsabilità sia ammesso contro gli amministratori di qualsiasi società. 2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2393 e 2394 c.c. Sostiene che l’amministratore giudiziario prima e il curatore fallimentare poi hanno esercitato solo l’azione di responsabilità verso la società, ex art. 2393 c.c., non anche l’azione di responsabilità verso i creditori, ex art. 2394 c.c.. Ma non si è tenuto conto che l’assemblea della società aveva con Delib. 4 giugno 1994, rinunciato all’esercizio dell’azione ex art. 2393 c.c.; ed erroneamente la curatela ritiene che tale rinuncia non sia opponibile al fallimento. Mentre in violazione dell’art. 112 c.p.c., il giudice del merito si è pronunciato anche sull’azione ex art. 2394 c.c., mai proposta. Il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, “l’azione di responsabilità esercitata dal curatore del falli-

mento ai sensi della l.fall., art. 146, ha natura contrattuale e carattere unitario ed inscindibile, risultando frutto della confluenza in un unico rimedio delle due diverse azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c.; ne consegue che, mentre su chi la promuove grava esclusivamente l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombe, per converso, su amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti; pertanto, l’onere della prova della novità delle operazioni intraprese dall’amministratore successivamente al verificarsi dello scioglimento della società per perdita del capitale sociale, compete all’attore e non all’amministratore convenuto” (Cass., sez. I, 29 ottobre 2008, n. 25977, m. 605521). Ne consegue altresì che, quando il curatore “eserciti l’azione di responsabilità contro gli amministratori della società fallita (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 146, comma 2), secondo le norme degli artt. 2392 e 2393 c.c., il contenuto delle azioni contemplate dai detti articoli diventa inscindibile, onde è irrilevante la questione relativa all’asserita conformità dell’operato (anche se illegittimo) dell’amministratore della società fallita alla volontà espressa dai soci del tempo, non essendo tale volontà opponibile al curatore” (Cass., sez. I, 23 giugno 2008, n. 17033, m. 604027), “il quale, esercitando un’azione in favore della massa concorsuale, svolge un’attività diversa da quella che avrebbe potuto svolgere la società”,

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in quanto è “finalizzata al risultato di acquisire all’attivo fallimentare tutto quanto sottratto per fatti imputabili agli amministratori” (Cass., sez. I, 6 dicembre 2000, n. 15487, m. 542477). La società non poteva pertanto rinunciare all’azione esercitatale dal curatore. Né rileva il riferimento all’art. 2393, piuttosto che all’art. 2394 c.c., bensì i fatti che il curatore allega come generatori di responsabilità. E correttamente i giudici del merito a tali fatti si sono riferiti per definire i limiti della domanda proposta. 3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 2697 c.c., quanto all’onere della prova, dell’art. 2949 c.c., quanto al termine quinquennale di prescrizione, e dell’art. 2394 c.c., quanto all’azione di responsabilità vizi della motivazione sul periodo di insufficienza del patrimonio sociale. Premesso che l’azione ex art. 2394 c.c., può essere esercitata quando il patrimonio sociale risulti insufficiente, sostiene che erroneamente i giudici del merito abbiano individuato nella dichiarazione del fallimento, risalente al 1997, la decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore, benché egli fosse cessato sin dal 19 giugno 1991 dalla carica di amministratore. Infatti l’amministratore giudiziale nominato in sua sostituzione aveva evidenziato già nel 1993 l’insufficienza del patrimonio sociale manifestatasi negli esercizi del 1991 e del 1992. Sicché al momento di esercizio dell’azione nel 2000 il termine di prescrizione era già decorso. Il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, “l’azione di respon-

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sabilità proposta dai creditori sociali ovvero, in caso di fallimento della società, dal curatore del fallimento, nei confronti degli amministratori e dei sindaci di una società di capitali è soggetta al termine di prescrizione quinquennale, che inizia a decorrere dal momento in cui il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti e può anche essere anteriore alla data dell’apertura della procedura concorsuale; l’onere di provare che l’insufficienza del patrimonio sociale si è manifestata ed è divenuta conoscibile prima della dichiarazione di fallimento grava sull’amministratore o sul sindaco che eccepisce la prescrizione” (Cass., sez. I, 18 gennaio 2005, n. 941, m. 579312, Cass., sez. I, 22 ottobre 2004, n. 20637, m. 577802). Nel caso in esame il ricorrente deduce che con una relazione del 15 settembre 1993 l’amministratore giudiziale della società aveva già denunciato perdite di esercizio tali da imporre immediati provvedimenti ex art. 2447 c.c., a causa di una grave crisi finanziaria. E sostiene che da questa relazione risultasse già evidente l’insufficienza del patrimonio. Sennonché in giurisprudenza si è già chiarito che l’incapienza patrimoniale, dalla cui conoscibilità dipende la decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, “consiste nell’eccedenza delle passività sulle attività” e “non corrisponde alla perdita integrale del capitale sociale, che può verificarsi anche in presenza di un pareggio tra attivo e passivo, ne’ allo stato d’insolvenza di cui alla l.fall., art. 5, trattandosi di una condizione di squilibrio patrimoniale più grave e definitiva, la cui emersione non coincide


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necessariamente con la dichiarazione di fallimento, potendo essere anteriore o posteriore” (Cass., sez. I, 22 aprile 2009, n. 9619, m. 608227, Cass., sez. I, 25 luglio 2008, n. 20476, m. 605173). Ne consegue che non è censurabile la motivazione esibita dai giudici del merito. 4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 310 c.p.c., lamentando che i giudici del merito abbiano valutato una consulenza tecnica espletata in un procedimento estinto, benché l’estinzione del processo renda inefficaci tutti gli atti compiuti, escluse le sentenze di merito. Il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, “nel processo civile il giudice può trarre argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2, anche dalle risultanze istruttorie di un processo estinto, le quali, se si trovano raccolte nel relativo fascicolo di ufficio, non abbisognano di particolari formalità di produzione od esibizione, per essere prese in considerazione, risultando sufficiente l’istanza della parte interessata e la conseguente acquisizione del suddetto fascicolo d’ufficio agli atti del giudizio” (Cass., sez. III, 4 agosto 2005, n. 16372, m. 584430). In particolare si è precisato che “il giudizio circa l’utilità e la pertinenza di un mezzo di prova rientra nei poteri di valutazione del giudice di merito, il quale può anche utilizzare per la formazione del proprio convincimento prove raccolte in altro giudizio tra le stesse parti” (Cass., sez. un., 8 aprile 2008, n. 9040, m. 602752). Sicché

correttamente, nel caso in esame, il giudice valutò la consulenza espletata nell’ambito di un giudizio avente il medesimo oggetto e al quale il ricorrente aveva partecipato nella medesima veste di convenuto. 5. Con il quinto motivo infine il ricorrente deduce omessa motivazione sul nesso di causalità tra il comportamento addebitatogli e il danno lamentato dal curatore fallimentare. Censura in particolare che i giudici del merito si siano al riguardo richiamati alla consulenza acquisita nel procedimento estinto, che invece nulla diceva al riguardo, mentre in sede penale egli era stato prosciolto. Il motivo è inammissibile. La corte d’appello ha rilevato la genericità della censura proposta con riferimento al tema del nesso di causalità, richiamandosi alla sentenza appellata, fondata sulla consulenza tecnica. Il ricorrente non precisa quali specifiche censure avesse mosso alla sentenza di primo grado. Ma si limita a reiterare la generica censura sul tema della causalità. Il motivo è pertanto inammissibile per difetto di specificità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del resistente, liquidandole in complessivi Euro 7.200,00 di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge. Così deciso in Roma, il 24 giugno 2010. Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

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II Fatto e Diritto Il fallimento X s.r.l., dopo avere ottenuto un provvedimento ante causam di sequestro conservativo, ha convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Milano E. C., R. C. (padre e figlia) e D. C., quali amministratori della X s.r.l., nonché la società D. s.r.l. chiedendo la condanna dei signori C. e C. al ristoro di tutti i danni derivati dall’illegittima prosecuzione dell’attività dopo la perdita del capitale sociale, per distrazione di somme, pagamenti preferenziali, oltre alla condanna di D. s.r.l. al risarcimento del danno per avere percepito pagamenti lesivi della par condicio e per avere beneficiato di investimenti per migliorie sui propri beni, realizzati con risorse economiche provenienti dalla fallita. I convenuti si sono tutti costituiti in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attoree. Il procedimento è stato istruito con consulenza tecnica, e dopo alcuni rinvii motivati dalla pendenza di trattative rivelatesi infruttuose, la causa è passata in decisione all’udienza in data 11.11.2010. Prima di esaminare analiticamente le censure mosse dal fallimento all’operato degli amministratori e di D., vanno risolte due questioni pregiudiziali o potenzialmente assorbenti relative alle domande proposte nei confronti di E. e R. C., e di D. O. Occorre subito esaminare – con riferimento alla posizione degli amministratori – la prima questione pregiudiziale sollevata dai convenuti C. e C. che hanno contestato la legittimazione del curatore ad esperire l’azione di responsabilità. In proposito il Collegio rileva che

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l’azione proposta dal curatore concerne un’articolata vicenda della vita della società che si pone a cavallo tra la disciplina previgente e quella novellata dal d.lgs. n. 3 del 2003, entrato in vigore il 1.1.2004. Ebbene, in ragione del carattere sostanziale, e non meramente processuale, della disciplina in materia di responsabilità degli amministratori, deve considerarsi acquisito dalla società X s.r.l, e dai creditori di questa, ogni diritto maturato mentre era in vigore la precedente disciplina. A ciò consegue che il curatore fallimentare è certamente legittimato a proporre sia l’azione sociale sia quella dei creditori sociali in forza del richiamo delle norme sulla società per azioni nella disciplina della società a responsabilità limitata (combinato disposto dai previgenti artt. 2392-2394-2487 c.c.; 146 l.f.), per i fatti antecedenti al 1.1.2004, data di entrata in vigore della riforma del diritto societario. Anche alla luce della legislazione riformata, tuttavia, deve reputarsi che il curatore sia legittimato all’esercizio dell’azione sociale e dell’azione dei creditori della s.r.l. Certamente non vi sono ostacoli a ravvisare la legittimazione all’azione solidale, posto che essa è espressamente prevista dall’art. 2476 c.c. e 146 l. f., restando irrilevante, ai fini che qui interessano, stabilire se l’azione sociale – in caso di società in bonis – preveda esclusivamente la legittimazione del socio, ovvero anche quella della società. Con riferimento, poi, all’azione spettante ai creditori sociali, si osservi che la nuova formulazione della norma dell’art. 146 l.f. va intesa come volta a ricostituire, attra-


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verso il richiamo a tutte “le azioni di responsabilità contro gli amministratori” quella completezza che in passato attribuiva il richiamo contenuto nel vecchio testo dell’art. 2487 c.c., riportando il sistema a quella coerenza che aveva nella normativa abrogata. Questa interpretazione scongiurerebbe l’illegittimità costituzionale dell’omessa previsione per i creditori delle s.r.l. di una previsione che – analogamente a quanto avviene in forza dell’art. 2394-bis c.c. – consenta in caso di fallimento al curatore di agire anche in nome dei creditori in via esclusiva contro gli amministratori. Se si dovesse opinare diversamente si verificherebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra i creditori di una s.r.l. e quelli di una s.p.a. Ciò deve viepiù indurre l’interprete a ravvisare la legittimazione in capo al curatore anche per l’azione dei creditori sociali, in ragione dell’irragionevole sfasatura tra la disciplina della s.r.l. e quella della s.p.a. La norma di cui all’art. 2394 c.c. deve dunque essere applicata in via analogica alle s.r.l., sicché, in caso di fallimento, il curatore sarebbe legittimato ad esperirla, ed in via esclusiva, ex art. 2394 bis c.c. In altre parole, l’applicazione analogica dell’art 2394 c.c. alle s.r.l. discende dalla constatazione di un vuoto normativo che pare ascrivibile più ad una svista di coordinamento della normativa in tema di s.r.l., piuttosto che ad una specifica scelta legislativa di cui – peraltro – non si trova traccia nella legge delega e nella relazione alla legge. Un’eventuale precisa scelta in questo senso - ossia l’assenza di una disciplina concernente la responsabilità degli amministratori di s.r.l. verso i creditori per la violazione degli

obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio – sarebbe inconciliabile con il sistema di responsabilità degli organi gestori come delineato dalla riforma, dal momento che la disciplina della s.r.l. non sarebbe coordinata con quella di cui agli artt. 2485 e 2486 u.c., con quella dei gruppi, con la regolamentazione della responsabilità dei sindaci. Si osservi a quest’ultimo proposito, che: • il creditore potrebbe agire contro gli amministratori della s.r.l. in stato di scioglimento ex art. 2486 c.c. ma non contro quelli della s.r.l. operativa; • il creditore potrebbe agire contro la controllante della debitrice s.r.l. e contro gli amministratori di quest’ultima (art. 2497 c.c.), ma non contro gli amministratori della s.r.l. qualora essa non fosse soggetta a direzione e coordinamento; • in caso di s.r.l. con collegio sindacale obbligatorio ex art. 2477 c.c. dovrebbe essere applicata la norma di cui all’art. 2407 2° c.c. che richiama l’art. 2394 c.c., sicché i creditori di una s.r.l. con collegio sindacale obbligatorio potrebbero agire contro i sindaci per l’omesso controllo che avrebbe concorso a determinare l’insufficienza del patrimonio sociale, ma non – paradossalmente – contro gli amministratori che l’avrebbero direttamente provocata. Deve quindi concludersi nel senso dell’affermazione della legittimazione del curatore del fallimento di società a responsabilità limitata ad esperire l’azione sociale e l’azione dei creditori sociali. Gli amministratori convenuti hanno inoltre eccepito la prescrizione dell’azione (per l’esame dell’analoga eccezione di D. si rimanda al prosieguo).

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Il fallimento ha dedotto che detta eccezione sarebbe tardiva, perché non è stata formulata nella comparsa di risposta, ed è stata sollevata per la prima volta nella prima memoria di replica. Ebbene, il Tribunale reputa che la questione sia stata tempestivamente prospettata, avuto riguardo al differente testo dell’art. 167 c.p.c. rispetto alla norma speciale dettata dall’art. 4 del d.lgs. n. 5 del 2003, posto che quest’ultima disposizione, applicabile ratione temporis al procedimento per cui è causa, non include le eccezioni in senso stretto tra le facoltà da esercitare a pena di decadenza con la comparsa di risposta. Da ciò deriva che l’eccezione di prescrizione sollevata per la prima volta con la memoria ex art. 7, d.lgs. n. 5 del 2003 non può dirsi tardiva. Sulla questione della prescrizione, è noto che – secondo giurisprudenza costante – l’azione di responsabilità nei confronti di amministratori o sindaci di una società, esercitata dai creditori, ovvero dal curatore fallimentare, è soggetta a prescrizione quinquennale ex art. 2949, 2° comma, c.c., che decorre dal momento della manifestazione dell’insufficienza patrimoniale (si vedano, per tutte, Cass. n. 9815 del 2002 e Cass. Sez. Unite n. 5241 del 1981). Nel caso in esame non è contestato che il dissesto poteva desumersi solo dal bilancio al 31.12.2003, mai pubblicato, sicché l’insolvenza si è manifestata in concomitanza con la dichiarazione di fallimento della società X s.r.l del novembre 2004. Si osservi, anzi, che la stessa difesa C. non ha contestato che l’insolvenza sia stata percepibile all’esterno solo con la dichiarazione di fallimento (si veda, in particolare, il

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contenuto della pag. 5 della comparsa conclusionale, in cui si sottolinea solo la data di cessazione dell’incarico formale di E. O.). In ogni caso, i convenuti non hanno adempiuto l’onere posto a loro carico in ordine all’indicazione, ed alla relativa prova, del diverso momento in cui il dissesto sarebbe divenuto riconoscibile ai terzi. Non rileva, infatti, riguardo ai creditori sociali, ai fini della prescrizione, il momento di cessazione della carica degli amministratori, tenuto conto che esso può venire ad emergenza solo nei rapporti interni tra la società ed i suoi organi (art. 2941 n. 7, c.c.) Considerato dunque che il tracollo è divenuto palese nel novembre del 2004 e che la citazione è stata notificata nel luglio 2008, risulta evidente che per l’azione di responsabilità dei creditori sociali non è maturata la prescrizione. I predetti rilievi rendono superfluo esaminare la questione della prescrizione con riferimento all’azione sociale di responsabilità esercitata dal curatore. Le contestazioni mosse dal fallimento agli amministratori. Il fallimento chiede il ristoro dei danni cagionati al patrimonio sociale destinato alla soddisfazione dei creditori dall’aggravamento del dissesto derivato dalla prosecuzione dell’attività dopo la perdita del capitale sociale, che era stata occultata tramite la falsificazione dei dati di bilancio per gli esercizi dal 1999 al 2002 (mediante sopravvalutazioni delle voci di “immobilizzazioni immateriali” ed “immobilizzazioni materiali”, oltre che, nel 2002, della voce “fondo per rischi ed oneri”), perdita verificatasi alla fine dell’esercizio 1999. L’illegittima prosecuzione dell’attività si risolveva nella gestione della sala da ballo a C. nel


Amministratori di s.r.l. e azione di responsabilità dei creditori

corso della quale sarebbero stati compiuti i denunciati investimenti sui beni appartenenti a D. s.r.l che formavano oggetto dell’affitto d’azienda per € 276.085,20. L’attore ha denunciato inoltre la distrazione della cassa per € 91.301,29 e i pagamenti preferenziali rappresentati dai corrispettivi per l’affitto d’azienda versati a D. s.r.l dal 2000 alla data della dichiarazione di fallimento per € 254.220,73. La distrazione della cassa (€ 91.301,29). La circostanza, desunta dalla relazione del curatore, non è contestata dai convenuti. Non si dimentichi che la ricordata relazione, in quanto formata da pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni (art. 33 l.f.) fa piena prova fino a querela di falso degli atti e dei fatti che egli attesta essere stati da lui compiuti o essere avvenuti in sua presenza (Cass. n. 8704 del 1998), sicché il fatto materiale del mancato reperimento della somma in discorso tra i beni aziendali risulta dunque incontrovertibile. I convenuti, sui quali grava l’onere probatorio dell’impiego di tale somma per fini coerenti con l’attività sociale, hanno taciuto sul punto. Si aggiunga, riguardo ai sigg. C., che in relazione a tale atto distruttivo è intervenuta la sentenza di patteggiamento, con le descritte conseguenze probatorie nell’ambito di questo giudizio (v. capo 1). Sul punto, il Collegio condivide i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo i quali “la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. (cosiddetto “patteggiamento”) costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria,

ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova nel corrispondente giudizio di responsabilità in sede civile”, (tra le tante, si consultino Cass. n. 132 del 2008; n. 9358 del 2005; n. 4193 del 2003). I convenuti C. non hanno ai riguardo allegato alcun argomento che possa indurre il Tribunale a credere che essi si siano indotti ad una simile scelta per ragioni diverse dall’ammissione della propria colpevolezza. Deve per converso sottolinearsi che l’entità della pena applicata agli imputati (tre anni per E. C. e due anni e quattro mesi per la figlia R. depone a favore della consapevolezza e del riconoscimento da parte dei convenuti delle proprie responsabilità penali. L’addebito non può essere riconosciuto nei confronti del sig. C. per le ragioni che saranno illustrate in prosieguo, nella parte dedicata alla posizione del ricordato convenuto. I pagamenti preferenziali (€ 254.220,731). Relativamente ai pagamenti effettuati a D. in violazione della par condicio credito rum e per i quali è intervenuta applicazione della pena ex art. 444 c.p.p nei confronti dei convenuti C. per il reato di cui all’art. 216, terzo comma, l.f., si pone il problema se sia configurabile un danno da pagamento preferenziale per la massa dei creditori, a tutela dei quali il curatore agisce esercitando l’azione ex artt. 2486 c.c. e 146 l.f.

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È certamente vero che la legge stabilisce che il patrimonio del debitore costituisce la garanzia dell’adempimento delle sue obbligazioni (art. 2740 c.c.), e che su tale patrimonio i singoli creditori hanno diritto di soddisfarsi in eguale misura, fatte salve le cause legittime di prelazione. Gli amministratori della società hanno certo l’obbligo di conservare l’integrità del patrimonio sociale e, come si diceva, la violazione di tale obbligo che abbia determinato l’insufficienza del patrimonio a soddisfare tutti i debiti sociali implica la responsabilità risarcitoria verso i creditori sociali. Se poi la società, come nel caso in esame, si trova in stato di scioglimento, gli stessi hanno altresì il dovere di conservare l’integrità ed il valore del patrimonio sociale, e ne rispondono verso i soci, i creditori sociali, e i terzi (art. 2486 c.c.). In ogni caso, se il patrimonio è divenuto insufficiente rispetto alla massa dei debiti gli amministratori sono tenuti, stante il disposto dell’art. 216 citato, ad agire in modo da non ledere la par condicio creditorum. Ne consegue che qualora siano compiuti pagamenti preferenziali si produce, per effetto di questi, un danno specifico nel patrimonio dei singoli creditori rimasti insoddisfatti corrispondente all’incremento della falcidia subita, ossia alla minore misura in cui ciascuno può concorrere sull’attivo liquidato, salve le legittime cause di prelazione. In altre parole, la soddisfazione di un creditore al posto di un altro, che a ciò sia legittimato secondo la corretta graduazione dei crediti, può tutt’al più generare una contesa tra le posizioni soggettive individuali dei singoli creditori, ma non anche un pregiudizio

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per la massa creditoria considerata nel suo complesso, che mantiene comunque la medesima consistenza anche in caso di pagamento preferenziale, qualunque sia il creditore beneficiato dal pagamento lesivo della par condicio tra quelli aventi diritto di partecipare al concorso. Si noti, poi, che tale pregiudizio individuale diretto, verrebbe a delinearsi compiutamente e definitivamente solo con l’esecuzione del riparto finale, e all’esito dell’esperimento infruttuoso o insufficiente di eventuali azioni revocatorie, sicché esso sarebbe imputabile in via immediata e diretta agli amministratori solo se alla sua determinazione non avesse dato causa lo stesso curatore che – ai sensi dell’art. 1227, secondo comma, c.c. – non avesse esercitato per tempo le revocatorie o le altre azioni recuperatorie possibili. Così delineato il pregiudizio connesso alla condotta di bancarotta preferenziale, il pregiudizio extracontrattuale direttamente cagionato nella sfera patrimoniale del singolo creditore, e circoscritto alla differenza tra quanto percepito in sede di riparto e quanto sarebbe stato percepibile in assenza di pagamenti preferenziali, si tratta poi di stabilire chi possa agire per il suo ristoro in caso di fallimento della società: in considerazione della regola generale di cui all’art 81 c.p.c. sembra al Collegio che solo ciascun creditore possa agire contro l’amministratore che abbia cagionato un danno alla propria ragione di credito ex art. 2043 c.c. o ex art. 2395 c.c., poiché nessuna norma ne consentirebbe l’esercizio al curatore. Non vengono in soccorso, a tale riguardo, le norme di cui agli artt. 42 - 43 l.f., secondo le


Amministratori di s.r.l. e azione di responsabilità dei creditori

quali spetta al curatore fallimentare, in ragione del fenomeno del c.d. spossessamento, la legittimazione sostanziale e processuale per l’esercizio e la tutela dei diritti del fallito; non aiuta invocare l’art. 2394 bis c.c. che attribuisce al curatore una legittimazione straordinaria ad agire contro gli amministratori per far valere i diritti dei creditori derivanti dal dovere di cui all’art. 2486 c.c., e dunque per ottenere una tutela del tutto diversa e assorbente rispetto al danno al singolo creditore di cui si discute; non serve far ricorso all’art. 146 l.f. per il quale il curatore può esercitare “le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo o direttori generali e i liquidatori” e quella contro il socio ex art. 2476 comma 7° c.c., ovvero le c.d. azioni di massa, volte alla ricostituzione dell’integrità del patrimonio sociale, ma non le azioni individuali spettanti ai singoli creditori. Si deve quindi concludere che il curatore non è legittimato ad agire per il ristoro del danno subito direttamente ed individualmente dal singolo creditore per effetto della condotta dell’amministratore, e che nella specie non sarebbe comunque possibile, allo stato, definire puntualmente il pregiudizio sofferto dalla massa, in mancanza di ogni specifica deduzione sul punto ad opera dell’attore. Non può essere quindi riconosciuta la voce di danno dedotta dal fallimento per gli intervenuti pagamenti preferenziali. Resta da esaminare il profilo di danno denunciato relativamente all’illegittima prosecuzione dell’attività di rischio dopo il verificarsi della causa di scioglimento.

Il Tribunale reputa che la perdita del capitale sociale al 31.12.1999, l’omessa convocazione dell’assemblea per le iniziative conseguenti, l’occultamento delle perdite tramite falsificazioni in bilancio, e la prosecuzione dell’attività aziendale in forma non conservativa rappresentino circostanze che in causa devono essere tenute per ferme con riguardo al C., perché da questo non puntualmente contestate, ed in quanto la difesa da questo svolta si incentra – come si dirà tra poco – sull’affermazione di non avere mai preso parte all’attività sociale, e dunque si risolve in una dichiarazione confessoria della violazione dei doveri dell’amministratore. Non si dimentichi che dagli atti si ricavano dati di segno contrario a quello indicato dalla parte, che depongono invece per la consapevolezza in capo a detto convenuto dell’andamento negativo dell’impresa, posto che D. C. risulta avere partecipato alle assemblee persino in epoca successiva alla comunicazione delle dimissioni (in tale contesto appare significativo che la rinuncia a proseguire l’incarico, secondo quanto è pacifico, non sia stata oggetto di iscrizione al Registro delle imprese). Ed ancora, la perdita del capitale sociale, le falsificazioni dei dati di bilancio, e la prosecuzione vietata non sono contestate neppure dai convenuti C. nelle note di osservazioni alla CTU; tali fatti vanno poi considerati come riconosciuti in forza dell’intervenuta applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. Si legga in particolare l’imputazione sub 3). Il fallimento ha dunque prospettato – come si diceva – il danno da aggravamento del dissesto dal 31.12.1999 fino alla data della dichiarazione di

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fallimento (novembre 2004) che nel caso in esame – va subito anticipato – ben potrebbe essere determinato con valutazione equitativa nella differenza tra lo sbilancio patrimoniale esistente alla data di perdita del capitale sociale, e quella riscontrabile alla data di fallimento. In passato la giurisprudenza soleva imputare alla responsabilità dell’organo gestorio la differenza tra attivo e passivo fallimentare, ma tale indirizzo è stato poi abbandonato in seguito al rilievo dei profili di inadeguatezza di un simile criterio, che si poteva rivelare erroneo per eccesso – posto che il deficit fallimentare può essere derivato anche da scelte gestionali infelici, notoriamente insindacabili nel merito, e non soltanto da comportamenti colposi degli amministratori – o persino per difetto, tenuto conto che esso non si esaurisce necessariamente nelle perdite derivate dalla mala gestio, e che una parte dei creditori può avere rinunciato all’ammissione al passivo. Da ciò deriva che il risarcimento da porre a carico degli amministratori non può prescindere dalla individuazione nel novero degli atti produttivi di danno, di quelli che concretamente hanno cagionato danno, dovendosi espungere dallo sbilancio fallimentare il deficit patrimoniale che promana da scelte gestionali compiute prima dell’insorgenza della causa di scioglimento e che avevano logorato il capitale, sia quello scaturito da scelte gestionali legittime perché strumentali alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, ancorché in concreto rivelatesi pregiudizievoli per la società. Occorre dunque – in linea generale – compiere uno scrutinio caso per

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caso delle conseguenze patrimoniali imputabili alle singole operazioni poste in essere dall’organo gestorio dopo il verificarsi della causa di scioglimento, al fine di delibare se si sia trattato di operazioni vietate incidenti negativamente sul patrimonio sociale, e nei limiti in cui si sia effettivamente verificata una perdita (in questo senso l’orientamento ormai consolidato del Supremo collegio: si vedano per tutte Cass. n. 2538 del 2005; n. 16211 del 2007 e n. 17033 del 2008). Da ciò deriva che il curatore fallimentare che voglia far valere la responsabilità degli amministratori per violazione del dovere ex art. 2486 c.c. ha l’onere di specificare i singoli atti gestori concretamente adottati dagli amministratori in violazione del ricordato divieto, e di provare il danno derivato da tali comportamenti antidoverosi. Nel passare in modo più stringente a calare i principi ora ricordati al caso che ci occupa, occorre tenere presente che il criterio di determinazione del danno può essere operato in via equitativa, secondo l’illustrato indirizzo giurisprudenziale a cui il Collegio aderisce, in caso di fallimenti di società per le quali si deduce una notevole anteriorità della perdita del capitale rispetto alla dichiarazione di insolvenza. In queste ipotesi si tratta di valutare un complesso di attività, a volte attraverso documentazione contabile non del tutto chiara o completa, con speciale difficoltà nell’individuare in modo sufficientemente circostanziato le operazioni non coerenti con il fine conservativo, sicché si può fare ricorso a criteri presuntivi e sintetici di allegazione e dimostrazione, che si basano sulla verosimiglianza nel caso concreto dell’imputazione causale di


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un certo risultato negativo per il patrimonio sociale. In tali casi, si può dunque ritenere assolto l’onere di allegazione – quando il curatore fallimentare deduce che la perdita del capitale e lo stato di scioglimento della società sono anteriori alla dichiarazione dello stato di insolvenza, o alla formale messa in liquidazione della società, e afferma che gli amministratori hanno proseguito l’attività d’impresa provocando un’ulteriore perdita, ossia superiore rispetto a quella registrata al momento dello scioglimento di fatto, alla luce della differenza tra i netti patrimoniali individuati, da un Iato, alla data di scioglimento di fatto, e, dall’altro, alla data della dichiarazione di fallimento, salvo poi valutare se l’ipotizzato incremento dello sbilancio si sia effettivamente verificato alla luce di una corretta comparazione tra i due dati contabili. In altre parole, giungendo così più direttamente alla valutazione del dissesto di s.r.l, si osservi che le rilevanti difficoltà di valutare il complesso dell’attività vietata svolta dalla società fallita, che ha proseguito a gestire una sala da ballo situata in [Omissis] nell’arco temporale di circa quattro anni (1999-2004), e l’impossibilità di ricostruire i dati con l’analiticità necessaria per individuare le conseguenze dannose riconducibili al comportamento degli amministratori, e segnatamente alle operazioni non coerenti con il fine conservativo, costituiscono la premessa che legittima l’utilizzazione del criterio presuntivo e sintetico della differenza dei netti patrimoniali, che ben può sorreggere una valutazione equitativa del danno (v. Cass. n. 2538 del 2005).

Nel caso di specie il Tribunale ribadisce che in astratto è possibile utilizzare il criterio equitativo della perdita incrementale, ove si consideri che il lungo tempo trascorso tra il momento di integrale erosione del capitale sociale e la data della dichiarazione di fallimento impedisce una minuziosa ricostruzione ex post delle singole operazioni vietate – perché non conservative – depurate del valore dell’eventuale ricavo (art. 2449 c.c. vecchio testo, e art. 2486 c.c. vigente: si noti che l’illegittima prosecuzione dell’attività si è protratta dal 2000 al novembre 2004, sicché le due norme citate, di segno pressoché corrispondente, per la parte che qui rileva, sono entrambe applicabili al caso di specie ratione temporis). È noto che il previgente art. 2449 c.c. contemplava seccamente per gli amministratori il divieto di nuove operazioni, mentre l’attuale art. 2486 c.c. dispone che questi ‘‘conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale”. Si ritiene tuttavia comunemente in dottrina che la diversa formulazione della norma abbia avuto il solo scopo di esplicitare un principio già affermatosi in giurisprudenza, che, in plurime occasioni, aveva spiegato che il divieto doveva riferirsi solo alle operazioni fonte di nuovo rischio d’impresa, e che erano per converso consentiti gli atti di impresa strumentali alla conservazione del patrimonio ed alle necessità inerenti alla liquidazione (si pensi, ad esempio, all’assunzione di costi per il completamento di una commessa in corso, volti ad evitare gli obblighi risarcitoli derivanti dall’inadempimento). Da ciò deriva che ben può essere

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ricercata la determinazione del quantum nel passivo accumulato dopo il momento di raggiungimento del dissesto, vale à dire nella differenza tra i patrimoni netti al 31.12.1999 e alla data del fallimento. Riguardo all’individuazione della data in insorgenza nell’amministratore della consapevolezza del raggiungimento del dissesto (31.12.1999, oppure data di predisposizione del bilancio d’esercizio), basti considerare la linearità delle osservazioni del CTP del fallimento (dr.ssa M.), che traendo evidente spunto dal corso ordinario degli eventi, ha osservato come l’amministratore di una società sia in grado di ben apprezzare l’andamento della gestione nel corso dell’esercizio, dovendo calibrare le proprie scelte operative di acquisto e di spesa di volta in volta, secondo il risultato di gestione conseguito medio tempore, e non è pertanto credibile, in mancanza di deduzioni specifiche che permettano di opinare in senso contrario, che l’esito dell’attività annuale possa essere apprezzato solamente alla chiusura dei conti, ed al momento della redazione della bozza di bilancio. Ciò posto, il dato riguardante lo sbilancio fallimentare, pari ad € 1.320.856, ed è di facile rilevazione, perché non più contestato, a seguito della correzione dell’errore materiale da parte del curatore nel corso del giudizio. Il CTU, a seguito della riclassificazione delle poste di bilancio, e recepite in buona parte le deduzioni del fallimento attore riguardo alle falsificazioni denunciate, ha individuato l’incremento dello sbilancio patrimoniale nell’importo di € 975.655,32 per E.C. (in carica alla data del 31.12.1999)

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ed in € 809.204,19 per gli altri due amministratori, che hanno ricevuto l’incarico dal novembre 2000. Le parti – si ribadisce – non hanno contestato la perdita del capitale sociale, come valutata dal CTU, al 31.12.1999, né la maggior parte delle riclassificazioni operate dal consulente d’ufficio che l’attore aveva ricondotto alle falsificazioni censurate in citazione. Paiono tuttavia condivisibili i rilievi svolti dalla CTP dei convenuti C. (dr.ssa G.), in relazione alla cartella esattoriale 1996, e alle voci “immobilizzazioni materiali nette”. Quanto al primo punto, è pacifico e dimostrato che lo stato passivo include un importo pari ad € 667.119 concernente l’insinuazione del concessionario per la riscossione ESATRI spa a titolo di IVA, IRPEG ed ILOR relative al periodo d’imposta 1996, portate da una cartella esattoriale notificata nel dicembre 2002. La passività, è evidente, inerisce ad un periodo antecedente alla perdita del capitale sociale, e non può pertanto essere considerata causalmente derivata dalla illegittima prosecuzione dell’attività dopo il 31.12.1999 (per E. C., o anche dopo il novembre 2000 per gli altri due amministratori), posto che essa si sarebbe comunque manifestata anche a prescindere dall’insorgere della causa di scioglimento. Neppure può essere presa in considerazione la domanda di condono presentata (e non onorata) nel 2002, poiché tale atto gestorio è stato compiuto in epoca successiva alla liquidazione di fatto (si condividono sul punto i rilievi della CTP dr.ssa G.). Dal dato di sbilancio indicato dal CTU va dunque sottratto l’importo sopra indicato di € 667.119.


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E ancora, va totalmente espunta la voce “immobilizzazioni immateriali nette” per Lire 508.520.093, pari ad € 262.629, che riflette costi capitalizzati non corrispondenti ad attività monetizzabili ai fini della liquidazione, tenuto conto che le due grandezze in considerazione (sbilancio riferito alla data della perdita del capitale sociale – sbilancio della procedura concorsuale) devono essere rese omogenee dal punto di vista dei criteri di valutazione utilizzati. In altre parole, nel momento in cui una società viene a trovarsi in stato di liquidazione – sia pure in via di mero fatto – i suoi elementi patrimoniali devono essere considerati in un’ottica liquidatoria e non secondo la prospettiva di continuazione dell’attività imprenditoriale. Dall’importo indicato dal CTU va dunque detratta l’ulteriore somma di € 262.629. Lo sbilancio patrimoniale si risolve dunque astrattamente - stando ai calcoli del CTU come ora rettificati nell’importo di € 45.907,32 per il solo E. C., per gli altri due amministratori la differenza è evidentemente in positivo. Con riferimento al convenuto C. si noti tuttavia che dovendosi avere riguardo al risultato di gestione riferito alla data del fallimento, occorre includere nel computo dell’attivo anche la somma che figurava nella cassa sociale (€ 91.301,29), posto che tale importo era in astratto compreso nell’attivo fino a quel momento, sebbene conseguito a seguito della prosecuzione vietata dell’attività d’impresa. Da ciò discende che anche per E.C. il confronto tra i patrimoni netti genera un saldo in positivo, tanto da comportare non un incremento, bensì una diminuzione dello sbilancio rispetto alla data di raffronto del 31.12.1999.

Gli investimenti su beni di D. (€ 276.085,20). È incontroverso che la società fallita ha sostenuto costi per effettuare migliorie sui beni inerenti all’azienda presa in affitto da D. s.r.l, società riconducibile alla famiglia C. per l’ammontare complessivo, dal 2000 al 2003, di € 276.085,20. Il curatore ha sostanzialmente denunciato tali investimenti come profilo della condotta di prosecuzione vietata della gestione d’impresa, posto che nella narrativa della citazione, ribadita o non smentita nei successivi scritti difensivi, tali operazioni sono sempre prospettate in collegamento e in unione con l’illegittima attività non conservativa. Il danno lamentato dal fallimento deve però essere limitato al risultato pregiudizievole per X s.r.l degli investimenti di cui si discute. Sul punto occorre ricordare che grava sull’attore l’onere della prova del compimento, da parte degli amministratori, di iniziative di carattere non conservativo del patrimonio sociale, dell’ammontare dei danni e del nesso causale rispetto al che ne è danno asseritamente derivato. Ebbene, nel corso della consulenza tecnica i convenuti non hanno acconsentito – come pure era legittimo ai sensi della disposizione ex art. 198 c.p.c. – a dare ingresso in causa alla documentazione (essenzialmente le fatture relative alle migliorie apportate ai beni aziendali) che il fallimento solo in quella sede ha offerto di produrre, e dalla quale sarebbe forse stato possibile ricavare qualche dato utile per l’accertamento in parola. Il CTU ha potuto dunque solo desumere il dato globale risultante dalla contabilità disponibile, ma non ha potuto individuare le illegittime operazioni

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compiute. Giova ribadire che grava sul fallimento l’onere di allegazione e di prova del fatto che dopo la perdita del capitale sociale, gli amministratori hanno intrapreso l’iniziativa imprenditoriale al di fuori di una logica meramente conservativa, e di indicare quali conseguenze negative sul piano del depauperamento del patrimonio sociale ne sarebbero derivate, al netto dei ricavi conseguiti. Ciò è mancato nella prospettazione attorea, che si è limitata ad attribuire agli amministratori la responsabilità risarcitoria per ogni spesa relativa alle migliorie sui beni dell’azienda presa in affitto. La voce di danno in esame non può dunque essere posta a carico degli amministratori. In conclusione, gli amministratori C. sono tenuti a ristorare il fallimento della complessiva somma corrispondente alla distrazione della cassa per € 91.301,29, importo che - per evitare ogni possibile duplicazione di danno con rifermento a C. – va considerata assorbente, per le ragioni già dette, rispetto alla perdita incrementale dal 31.12.1999 alla data del fallimento. Da tale responsabilità dovrà invece andare esente D. C. per le ragioni che si illustreranno in prosieguo. La posizione degli amministratori. E. C. È incontestato che il convenuto C. è stato amministratore di diritto dalla costituzione della società fino all’anno 2000. La deduzione dell’attore secondo la quale egli sarebbe stato amministratore di fatto fino alla data della dichiarazione di fallimento trova un determinante elemento di sostegno nella sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Milano (v.

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doc. 9 del fallimento). Tra i fatti di cui all’imputazione, oggetto di pena concordata tra l’imputato e il pubblico ministero, è incluso - tra l’altro - il ruolo di amministratore di fatto del sig. C. fino alla data della dichiarazione di fallimento. Oltre al già svolto rilievo sull’entità della pena inflitta al C. deve constatarsi che in atti sono riscontrabili alcuni indici che tendono ad avvalorare il convincimento del ruolo svolto in ambito societario da E. C., quali: - le dichiarazioni rese al curatore dal convenuto C. (pag. 55 della relazione del perito del pubblico ministero); - la lettera inviata al curatore da un creditore della società fallita, che ha indicato in E. C. la persona che si occupava dei rapporti con i fornitori: pag. 42 della relazione ex art. 33 l.f.; - la presenza in azienda in occasione del pignoramento da parte dell’ufficiale giudiziario. R. C. La convenuta ha assunto l’incarico di amministratore di diritto dal novembre 2000 fino alla data del fallimento. D. C. Ha ricoperto l’incarico di amministratore di diritto dal novembre 2000, ed ha rassegnato le dimissioni in data 26,11.2003. Il fallimento chiama D. C. a rispondere di ogni voce di danno, al pari dei convenuti C., imputandogli la violazione del dovere di vigilanza. Il sig. C. nell’ammettere di essersi disinteressato dell’amministrazione, finisce per riconoscere di avere violato il dovere di vigilare sul buon andamento della gestione societaria, e dunque di non essersi adoperato affinché non fossero compiute nuove operazioni. Va tuttavia constatato che a fronte del riconoscimento di responsabilità dei


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sigg. C. riguardo alla distrazione di somme dalla cassa sociale, il sig. C. ha invece contestato di avere preso parte all’illecita sottrazione. Il fallimento, tuttavia, non ha indicato alcun elemento utile alla collocazione temporale della condotta distrattiva, sicché essa non può essere univocamente riconducibile ad un’epoca antecedente alla cessazione dell’incarico del C. La domanda proposta nei confronti di D. deve dunque essere rigettata. La posizione di D. Va ricordato che il fallimento ha chiesto la condanna di D. s.r.l al risarcimento del danno per avere percepito pagamenti lesivi della par condicio, e per avere beneficiato di investimenti per migliorie sui propri beni, realizzati con risorse economiche provenienti dalla fallita. Valgono le osservazioni svolte in precedenza – quanto ai pagamenti preferenziali – sull’assenza di legittimazione del curatore, e comunque di danno per la massa dei creditori globalmente intesa. Riguardo agli investimenti asseritamente effettuati su cose proprietà di D. e segnatamente sui beni aziendali che questa aveva concesso in affitto alla società fallita va esaminata anzitutto l’assorbente eccezione di prescrizione. Non sembra mettere in dubbio che la domanda proposta dal fallimento nei confronti della convenuta D. s.r.l è volta a far valere un ordinario risarcitorio da fatto illecito, e costituisce esercizio dell’azione di risarcimento da responsabilità aquiliana, azione che era già presente nel patrimonio del fallito alla data della dichiarazione di fallimento. Da ciò deriva che il termine di prescrizione quinquennale ex art. 2497 c.c. del

diritto al risarcimento danni da fatto illecito inizia a decorrere dal verificarsi del fatto causativo del danno. Dalla relazione del CTU risulta che alla luce dei dati contabili gli investimenti in parola sono cronologicamente collocabili negli anni dal 2000 al 2003 (per quest’ultimo esercizio nella misura di € 56.214,78). L’atto di citazione è stato notificato nel luglio 2008, sicché l’asserito danno per investimenti eseguiti negli anni 2000-2002 è certamente prescritto. Per l’anno 2003 si deve giungere a conclusione opposta, poiché la convenuta D. s.r.l non ha dato alcuna prova dell’esecuzione delle spese in commento in epoca idonea a fare ritenere fondata la eccezione di prescrizione (v. sull’onere della prova Cass. 17832 del 2002; n. 4295 del 1990). Per detti ultimi investimenti il fallimento ha tuttavia trascurato di offrire una puntuale dimostrazione del carattere pregiudizievole dei fatti censurati, per le ragioni già illustrate, e del quantum del danno cagionato alla massa. La domanda nei confronti di D. S.r.L deve quindi essere respinta. In conclusione, gli amministratori E. e R.C. devono essere condannati in solido al pagamento, in favore del fallimento s.r.l della complessiva somma di € 91.301,29. Su tale somma vanno calcolati la rivalutazione monetaria fino alla data attuale, e gli interessi, ai sensi di legge, dalla data del fallimento fino al momento del saldo effettivo. Ed infatti, l’obbligazione risarcitoria da fatto illecito extracontrattuale, costituisce un debito di valore, non assumendo alcun rilievo, al riguardo, il fatto che l’evento dannoso coincida con la perdita della somma

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di denaro, tenuto conto che nella responsabilità aquiliana – dove l’obbligazione risarcitoria mira alla reintegrazione del patrimonio del danneggiato – viene in rilievo la perdita del valore oggetto della sottrazione del denaro dal patrimonio della società fallita, e ciò di cui è debitore il responsabile del danno non è una data somma di denaro, ma l’integrale risarcimento del danno, di cui la somma originaria costituisce solo una componente ai fini della relativa commisurazione. Ne consegue che l’obbligazione di risarcimento del danno costituisce un’obbligazione di valore sottratta al principio nominalistico, sicché la rivalutazione monetaria va riconosciuta, tenendo conto della svalutazione sopravvenuta fino alla data della liquidazione. E altresì risarcibile il nocumento finanziario (lucro cessante) subito a causa

del ritardato conseguimento della somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno, con la tecnica degli interessi computati non sulla somma originaria né su quella rivalutata al momento della liquidazione ma sulla somma originaria rivalutata anno per anno (sul punto si vedano Cass. n. 5234 del 2006 e n. 4587 del 2009), oltre agli interessi anatocistici ex art. 1283 c.c. – espressamente richiesti dall’attore – a decorrere dalla domanda giudiziale. Va dichiarata l’integrale inefficacia del provvedimento cautelare emesso nei confronti di D. s.r.l e D. C. il sequestro conservativo è inefficace nei confronti degli altri due convenuti per la parte che supera l’importo riconosciuto a credito dell’attore per capitale, interessi e rivalutazione, e spese di lite (art. 669 novies c.p.c.). (Omissis)

(1-2) Fondamento ed ambito della legittimazione del curatore ad agire in responsabilità contro gestori e controllori della società fallita (tra lacune normative di diritto societario e principi fallimentari). 1. Chiamate entrambe a pronunciarsi sulla legittimazione del curatore fallimentare ad agire in responsabilità contro gli amministratori di una s.r.l. assoggettata a fallimento, le sentenze in rassegna prendono conseguentemente posizione su una delle questioni più controverse sollevate dalla riforma del diritto societario, ossia quella della configurabilità, in seno alle società a responsabilità limitata appunto, dell’azione di responsabilità dei creditori verso gli amministratori. In entrambi i casi il problema è risolto facendo perno – nel caso della sentenza della Cassazione, addirittura in maniera esclusiva – sulla formulazione dell’art. 146, co. 2, l.fall. scaturita dalla riforma fallimentare del 2006, la cui ampiezza confermerebbe, sia secondo la Cassazione sia

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secondo il giudice milanese, la legittimazione del curatore all’esercizio dell’azione in parola e, prima ancora, la stessa configurabilità, nelle s.r.l., di un’azione spettante ai creditori sociali alla stregua del diritto societario comune, nonché, secondo la Suprema Corte, anche una sorta di legittimazione generale del curatore ad «esercitare qualsiasi azione di responsabilità contro gli amministratori di qualsiasi società». Ora, l’importanza assegnata nelle sentenze in commento all’art. 146, co. 2, l.fall., e segnatamente alla genericità ed ampiezza della sua nuova formulazione, evidenzia una lettura della citata previsione della legge fallimentare evidentemente condizionata dall’idea secondo la quale a quest’ultima possa essere riconosciuta, anche ovvero soltanto, portata di norma “attributiva”, in quanto idonea ad incidere in maniera determinante sulla legittimazione del curatore fallimentare ad agire in responsabilità contro gestori e controllori della società fallita 1. L’idea, come ho avuto modo di argomentare in altra sede 2, è da respingere in maniera netta, essendo, per un verso, frutto di un equivoco di fondo relativo all’individuazione della ratio che deve essere riconosciuta all’art. 146 nel sistema della legge fallimentare e, per altro verso,

Benché in letteratura il discorso sull’art. 146, co. 2, l.fall. non sia mai rimasto nettamente disgiunto dal riferimento (esplicito o, più spesso, implicito) alla legittimazione del curatore ad agire in responsabilità, la dottrina non si è mai interrogata ex professo sul problema della portata attributiva o meno, né, a maggior ragione, su quello della natura di norma “di fattispecie” o “di disciplina” dell’art. 146, co.2, l.fall. Tuttavia, la riforma societaria del 2003, prima, e la riforma fallimentare del 2006, poi, rispettivamente, in relazione al riassetto del sistema delle azioni di responsabilità verso gli amministratori e al mutamento della formulazione dello stesso art. 146, co. 2, l.fall., hanno costituito terreno fertile per suggestioni interpretative che, seppure cautamente, hanno fatto leva proprio su una supposta portata attributiva della norma fallimentare. Il riferimento è ai cenni dedicati al tema da Rescigno, Rapporti e interferenze tra riforma societaria e riforma fallimentare, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, Bologna, 2007, p. 2125 ss.; nonché alle prospettazioni di Palmieri, Nuovi profili del fallimento delle società, in Temi del nuovo diritto fallimentare, a cura di Palmieri, Torino, 2008, p. 89 ss.; ma v. già Cetra, L’impresa collettiva non societaria, Torino, 2003, p. 391. Per una radicale critica di tutte le interpretazioni che presuppongono il riconoscimento nell’art. 146, co. 2, l.fall. di una norma “di fattispecie”, v. comunque Nigro, La responsabilità degli amministratori nel fallimento delle società, in Sarcina e Garcìa Cruces (a cura di), Il trattamento giuridico delle crisi di impresa (profili di diritto concorsuale italiano e spagnolo a confronto, Bari, 2008; Id., La responsabilità degli amministratori nel fallimento delle società, in Riv. dir. soc., 4/2008, p.759 s.; Id., Responsabilità dei gestori nei confronti delle componenti esterne all’“impresa”, in Dir. banc., 2009, I, p. 368 ss. 2. Caridi, sub art. 146, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli e Santoro, Torino, 2010, p. 1900 ss. 1.

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foriera, specie con riferimento all’ambito della legittimazione del curatore, di interpretazioni suscettibili di risolversi in obiettive forzature dei principi fallimentari. Al riguardo è interessante notare che proprio la nuova formulazione dell’art. 146, co. 2, l.fall. è stata utilizzata, da un lato, per sostenere, indipendentemente dal tipo di società fallita, la legittimazione del curatore fallimentare a far valere la responsabilità degli organi di gestione e controllo tanto nei confronti dell’ente quanto nei confronti dei creditori e, conseguentemente, come è avvenuto nelle sentenze qui pubblicate, per colmare alcune vistose lacune normative lasciate dalla riforma societaria, specie in punto di azioni di responsabilità nella s.r.l. 3, e, dall’altro, addirittura per superare il perimetro della legittimazione del curatore disegnato dall’art. 2394-bis c.c. 4. È dunque il caso di tornare a precisare, per un verso, l’effettiva portata precettiva dell’art. 146 l.fall., chiarendo quale ne sia la ratio nel sistema della legge fallimentare, e, per altro verso, il fondamento e, conseguentemente, l’ambito della legittimazione del curatore fallimentare ad agire in responsabilità contro gestori e controllori della società fallita. 2. Prima di procedere in questo senso, tuttavia, occorre dar conto del fatto che l’art. 146, co. 2, l.fall., come del resto dimostra la panoramica operata dalla sentenza del tribunale milanese, non rappresenta l’unico dato normativo che può essere utilizzato per stabilire se, dopo la stagione di riforma che ha interessato tanto il diritto societario quanto il diritto fallimentare, i creditori e, in caso di fallimento, in luogo di questi, il curatore possano agire in responsabilità nei confronti degli amministratori di s.r.l. Il problema, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, è stato infatti risolto seguendo una pluralità di percorsi interpretativi che prescindono dalla portata precettiva che si ritenga di riconoscere all’art. 146 l.fall. Pur nella loro diversità, tali percorsi interpretativi sono riconducibili essenzialmente a due posizioni. Secondo la prima posizione, caldeggiata soprattutto in dottrina 5, ma

3. Ambrosini, Le azioni di responsabilità, in Amsrsini, Cavalli e Jorio, Il fallimento, Trattato di diritto commerciale, diretto da Cattino, vol. XI, tomo II, Padova, 2008, p. 740; Palmieri, Nuovi profili, cit., p. 91 ss.; Rescigno, Rapporti, cit., p. 2126. 4. V. soprattutto Palmieri, Nuovi profili, cit. p. 91 ss.; nonché, in termini problematici, Rescigno, Rapporti, cit., p. 2125; Cetra, L’impresa, cit., p. 391. 5. Per una panoramica, v. Pasquariello, sub art. 2476, in Commentario breve al diritto delle società, diretto da Maffei Alberti, Padova, 2011, p. 1266 s.

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Amministratori di s.r.l. e azione di responsabilità dei creditori

talvolta accolta anche in giurisprudenza 6, la lacuna oggi riscontrabile nella disciplina delle s.r.l. in tema di responsabilità degli amministratori sarebbe di portata tale da escludere che si possa pensare ad una svista del legislatore societario del 2003 ed anzi sarebbe il frutto della consapevole scelta di sottrarre ai creditori di s.r.l. uno strumento di tutela di cui essi disponevano in base al sistema previgente 7. La tesi fa perno sul dato letterale dell’art. 2476 c.c. e trova una conferma di ordine sistematico nell’autonomia disciplinare conquistata dalla s.r.l. in esito alla riforma, che infatti costituisce l’assunto dal quale, esplicitamente o implicitamente, muovono tutti gli Autori che la sostengono. Così si è affermato che, in assenza di una norma che espressamente lo consenta, l’obbligo di buona amministrazione della società gravante sugli amministratori non è azionabile dai creditori sociali 8, essendo il riconoscimento in capo a questi ultimi di una azione (diretta) verso gli amministratori espressione non già di un principio generale, ma di una peculiarità delle s.p.a. 9, che, come tale, è insuscettibile di essere applicata per via analogica alle s.r.l., tanto più alla luce della connotazione personalistica oggi assunta da queste ultime, alla stregua della quale la responsabilità degli amministratori si configura essenzialmente come affare interno all’ente 10. Secondo questa linea di pensiero, pertanto, nelle s.r.l., oggi, non vi sarebbe più spazio per l’esperibilità di una azione di responsabilità verso gli amministratori da parte dei creditori e, conseguentemente, una volta

E v. le rassegne di Racugno e Loffredo, in Giur. comm., 2011, II, p. 38 e ivi, 2008, II, p. 241; nonché Trib. Torino, 8 giugno 2011, in Il nuovo diritto delle società, n. 19, 2011, con nota di Policaro (per una sintesi, v. anche Di Sarli, in Riv. soc., 2011, p. 1345 s.); Trib. Milano, 12 aprile 2006, in Giur. it., 2006, 2097; Trib. S. Maria Capua Vetere, 18 marzo 2005, in Fallimento, 2006, 190, con commento di Conte; Trib. Napoli, 11 novembre 2005, in Foro it., 2005, I, 2218 7. Così Di Amato, Le azioni di responsabilità nella nuova disciplina della società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 2003, I, p. 299 ss.; nonché, implicitamente, Allegri, L’amministrazione della società a responsabilità limitata dopo la recente riforma, in Santoro (a cura di), La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, Milano, 2003, p. 166 s.; Parrella, sub art. 2476, in La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, vol. III, Torino, 2003, p. 122 ss. 8 In questo senso, in particolare, Di Amato, Le azioni, cit., p. 301. 9. Angelici, Note sulla responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, in Riv. soc., 2007, p.1217 ss. 10. Libonati, Creditori sociali e responsabilità degli amministratori nelle società di capitali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abadessa e Portale, vol. III, Torino, 2007, p. 630. 6.

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intervenuto il fallimento, il curatore non potrebbe subentrare nella legittimazione all’esercizio di una tale azione. Ai creditori non rimarrebbe altro che ricorrere a forme alternative, di rafforzamento del proprio diritto di carattere preventivo, in particolare esigendo il rilascio di garanzie da parte dei soci o il riconoscimento di diritti particolari in relazione alla designazione degli organi gestori 11 ovvero di carattere successivo, in specie utilizzando l’azione di responsabilità extracontrattuale 12. Alla stregua della seconda posizione – che invero trova sempre più consenso sia in dottrina sia in giurisprudenza – dovrebbe invece concludersi, nonostante il mutamento di regime della s.r.l. e nonostante il silenzio serbato sul punto dall’art. 2476 c.c., per la sopravvivenza in queste società di una azione tesa a far valere la responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali, la cui legittimazione, in caso di fallimento, si trasferirebbe in capo al curatore 13.

Proto, L’azione di responsabilità contro gli amministratori nelle società a responsabilità limitata, in Fallimento, 2003, p. 1133. 12. Pasquariello, sub art. 2476, cit., p. 1267; nonché, in giurisprudenza, Trib. Novara, 12 gennaio 2010, in www.novarajus.it; Trib. Roma, 17 dicembre 2008, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, II, 483, con nota di Mozzarelli, La legittimazione del curatore all’esercizio delle azioni di responsabilità contro gli amministratori nella s.r.l. fallita; Trib. Verona, 27 febbraio 2008, in www.ilcaso.it. 13. In giurisprudenza: Trib. Napoli, 11 gennaio 2011, in Società, 2011, 510 ss., con commento di Civerra; Trib. Milano, 22 dicembre 2010, in Società, 2011, 757 ss., con commento di Cassani; Trib. Nola, 1 marzo 2010, in www.ilcaso.it; Trib. Roma, 23 febbraio 2009, in Società, 2010, 97, con nota di Bonavera; Trib. Biella, 21 ottobre 2008, in www. novarajus.it; Trib. Pescara, 15 novembre 2006, in Foro it., 2007, I 2262; Trib. Mantova, 14 settembre 2005, in www.ilcaso.it; Trib. Udine, 11 febbraio 2005, in Dir. fall., 2005, II, 809, con nota di Bianca; Trib. Napoli, 28 aprile e 16 aprile 2005, in Fallimento, 2005, 681 ss., con nota di Proto; in dottrina: Ambrosini, La responsabilità degli amministratori nella nuova s.r.l., in Società, 2004, p. 293 ss., Id., sub art. 2476, in Società di capitali, a cura di Niccolini e Stagno D’Alcontres, vol. III, Napoli, 2004, p. 1602; Cagnasso, sub art. 2476, in Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso e Montalenti, Bologna 2004, p. 1875; Id., La società a responsabilità limitata, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, vol. V, tomo I, Padova, 2007, p. 265 ss.; Rescigno, Rapporti ed interferenze, 2127 ss.; Nigro, Diritto societario e procedure concorsuali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, cit., p. 197; Id., La responsabilità degli amministratori nel fallimento delle società, in Riv. dir. soc., cit., p. 760; Teti, La responsabilità degli amministratori di s.r.l., in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, cit., p. 662 ss.; Mozzarelli, Responsabilità degli amministratori e tutele dei creditori nella s.r.l., Torino, 2007, p. 180 ss. e p. 266 ss.; Abriani, Le azioni di responsabilità nei confronti degli organi della società fallita, in Riv. dir. impresa, 2008, p. 382 ss. 11.

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Le argomentazioni utilizzate per sostenere tale tesi sono prevalentemente di ordine sistematico e fanno leva sulla possibilità di applicare alle s.r.l. la disciplina dettata per le s.p.a. dall’art. 2394 c.c. sulla base di una interpretazione estensiva o analogica di tale norma 14. Secondo questa linea interpretativa, l’art. 2394 c.c. detterebbe una regola connaturale a tutte le imprese ad autonomia patrimoniale perfetta 15, essendo espressione di un principio generale, la cui applicazione può ben prescindere da una esplicita previsione normativa 16. Un principio la cui disapplicazione, anzi, determinando un irragionevole trattamento differenziato dei creditori di s.r.l. rispetto a quelli di s.p.a. 17, è autorevolmente ritenuta idonea a sollevare dubbi di costituzionalità sull’interpretazione letterale dell’art. 2476 c.c. 18. Su questo versante, evidenziando l’incoerenza sistematica di una interpretazione che negasse ai creditori di s.r.l. la possibilità di agire in responsabilità contro gli amministratori, si è ritenuto di riconoscere il fondamento dell’applicazione analogica dell’art. 2394 c.c. alle s.r.l. in una pluralità di indici normativi 19, e segnatamente: - nel combinato disposto degli artt. 2477, co. 5 e 2407 c.c., ai sensi del quale, nei casi in cui il collegio sindacale è obbligatorio anche nelle s.r.l., i creditori di queste ultime possono far valere la responsabilità dei sindaci che non abbiano diligentemente vigilato sull’operato degli amministratori, proprio ai sensi dell’art. 2394 c.c., oggetto di esplicito richiamo nell’art. 2407 c.c.; - nell’art. 2497 c.c., che, in caso di lesione dell’integrità del patrimonio sociale di una s.r.l. soggetta ad altrui attività di direzione e coordinamento, riconosce ai creditori di quest’ultima un diritto di azione verso la società controllante, nonché verso tutti coloro che abbiano concorso al fatto lesivo o ne abbiano tratto beneficio, compresi dunque gli amministratori della controllata;

14. In tal senso, esplicitamente, tra gli altri, Cagnasso, sub art. 2476, in Il nuovo diritto delle società, Commentario diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Bologna, 2004, p. 1890. 15 Ambrosini, sub art. 2476, cit., p. 1606. 16 Galgano, Diritto commerciale. Le società, Bologna, 2009, p. 467. 17 Iozzo, Le azioni di responsabilità nella s.r.l. tra vecchia e nuova disciplina, in Giur. comm., 2005, II, p. 60. 18 Nigro, La responsabilità, cit., p. 760. 19 In giurisprudenza v., recentemente, Trib. Napoli, 11 gennaio 2011, in Società, 2011, 510 ss.; Trib. Milano, 22 dicembre 2011, in Società, 2011, 757 ss

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- negli artt. 2485, co. 1 e 2486, co. 2, c.c., che – dato l’ambito di applicazione della disciplina dello scioglimento e della liquidazione recata dal capo VIII, titolo II, libro V, c.c. – possono essere invocati dai creditori per far valere la responsabilità anche degli amministratori di s.r.l., quando questi vìolino gli obblighi su di essi gravanti al ricorrere di una causa di scioglimento. Sul versante fallimentare, poi, coloro che ammettono un’azione di responsabilità spettante ai creditori anche nelle s.r.l. concludono, generalmente, per la trasmissibilità della relativa legittimazione al curatore. Ciò, anche se, per la verità, i percorsi argomentativi per giungere a questo risultato sono talvolta alquanto diversi, essendo fortemente condizionati dalla natura – surrogatoria o diretta – che si ritenga di riconoscere alla azione spettante ai creditori. Sul punto si tornerà più avanti. Per il momento, basterà rilevare che, mentre chi sostiene la natura surrogatoria di tale azione non trova ostacoli nel giustificare il subentro del curatore 20, coloro che ne riconoscono la natura diretta si trovano di fronte alla obiettiva difficoltà di procedere in tal senso, posto il vincolo di stretta interpretazione che discende dal principio di tipicità dei casi di sostituzione processuale desumibile dall’art. 81 c.p.c. 21. 3. Ma la neutralità dell’art. 146, co. 2, l.fall. rispetto al subentro del curatore nella legittimazione ad esercitare l’azione dei creditori contro gestori e controllori di s.r.l. sottoposta a fallimento, prima ancora che in relazione alle argomentazioni appena sintetizzate, emerge allorché si abbia riguardo alla funzione che a tale norma è assegnata nel sistema della legge fallimentare. Per impostare il discorso nei suoi esatti termini occorre prendere le mosse da una considerazione unitaria della disposizione nella quale la norma in parola è collocata. Sebbene suddiviso in due commi recanti

E v. Nigro, La responsabilità, cit. p. 760, nonché Id., Diritto societario, cit., p. 197. E v. Guizzi, Responsabilità degli amministratori e insolvenza: spunti per una comparazione tra esperienza giuridica italiana e spagnola, in Riv. dir. impresa, 2010, p. 250 s., il quale per superare i limiti imposti alla sostituzione processuale dall’art. 81 c.p.c. è costretto a postulare che l’azione dei creditori, pur se tesa in via diretta a tutelare l’interesse proprio di questi ultimi alla conservazione della garanzia patrimoniale, può ben risolversi in una condanna alla reintegra del patrimonio sociale, quale «riparazione in forma specifica assicurata all’interesse pregiudicato dall’illecito gestorio», così, però, piegando l’azione proprio a quella finalità che essa avrebbe se, in adesione alla tesi avversata dall’Autore in parola, gli si riconoscesse natura surrogatoria. 20. 21.

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Amministratori di s.r.l. e azione di responsabilità dei creditori

ognuno previsioni nettamente distinte, infatti, l’art. 146 l.fall. presenta una ratio unitaria, la quale va ricercata nella finalità di disciplinare quegli aspetti differenziali del fallimento sociale legati al peculiare assetto organizzativo che caratterizza l’impresa esercitata in forma societaria. Più in particolare, entrambi i commi di cui si compone l’art. 146 l.fall. disciplinano le ricadute della dichiarazione di fallimento su alcuni poteri tipici dell’esercizio in forma associata dell’attività di impresa, sicché può sinteticamente dirsi che l’art. 146 l.fall. integra e completa, con riferimento al fallimento delle società, gli effetti dell’apertura della procedura. Così, mentre nel primo comma viene mantenuta in capo agli organi in carica al momento della dichiarazione di fallimento (amministratori o liquidatori), nonostante la perdita da parte di questi ultimi del potere di amministrazione e di rappresentanza esterna (sostanziale e processuale), la rappresentanza legale dell’ente fallito ai fini (interni) della procedura, il secondo comma si occupa di stabilire gli effetti della dichiarazione di fallimento sul potere di decidere la proposizione delle azioni di responsabilità nei confronti di chi ha svolto funzioni di amministrazione e controllo o comunque ha posto in essere singoli atti di gestione della società fallita. Ciò non di meno, il problema della portata precettiva dell’art. 146, co. 2, l.fall. non può ritenersi risolto prima di aver chiarito se la funzione generale testé individuata – come detto, espressione della ratio unitaria della norma – coesista o meno con una funzione specifica, consistente – come diffusamente si ritiene – nell’attribuire al curatore la legittimazione ad agire in responsabilità contro gestori e controllori della società fallita. Ebbene, questo interrogativo merita una risposta negativa. La ratio dell’art. 146 l.fall. non solo è unitaria, ossia comune al primo e al secondo comma, ma è anche esclusiva, nel senso che ad essa non si affiancano altre finalità cui possa essere riconosciuta giuridica rilevanza. In altri termini, l’art. 146, co. 2 si configura come regola meramente procedimentale ed esaurisce il proprio contenuto precettivo nel sostituire all’iter decisionale cui è subordinato l’esercizio delle azioni di responsabilità in materia societaria fuori dal fallimento – iter direttamente o indirettamente dominato dai soci ovvero da singoli creditori, con tutte le conseguenze che tale dominio porta con sé in punto di obiettività della decisione – un meccanismo autorizzatorio tipico della procedura fallimentare, nel quale, oltre al curatore, vengono coinvolti giudice delegato e comitato dei creditori al fine di garantire la coerenza di quella decisione con l’interesse alla massima e paritaria soddisfazione dei creditori, obiettivo imprescindibile di ogni determinazione assunta nella

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prospettiva della esecuzione concorsuale. La legittimazione del curatore fallimentare ad agire in responsabilità contro gestori e controllori della società fallita, nell’art. 146, co. 2, l.fall., è invece semplicemente presupposta, trovando autonomo fondamento, come si dirà meglio più avanti, nei principi fallimentari. A sostegno di questa conclusione possono portarsi almeno tre argomenti. Innanzi tutto, che l’art. 146, co. 2, l.fall. dia per presupposta la legittimazione del curatore emerge con chiarezza alla luce del fatto che l’autorizzazione del g.d., alla quale in tale norma l’azione in giudizio da parte del curatore è subordinata, è da intendersi quale autorizzazione in senso proprio 22, e dunque quale atto che elimina un ostacolo all’esercizio di un potere preesistente in capo al curatore. Il che spiega, peraltro, perché il riferimento agli artt. 2393 e 2394 c.c. contenuto nella versione originaria è sempre stato interpretato non già come il sintomo del fatto che la norma attuasse una selezione delle azioni esperibili dal curatore, ma semplicemente come un rinvio tout court alle azioni sociali e alle azioni spettanti ai creditori contemplate dal diritto comune 23, reso possibile dal ruolo assolutamente centrale ricoperto, sino alla riforma societaria del 2003, dalle azioni di responsabilità contro gli amministratori di s.p.a. In secondo luogo, avendo riguardo alla genesi del riformato art. 146, co. 2, l.fall., si deve rilevare che la sua formulazione, lungi dal costituire espressione di una supposta natura attributiva della norma, come del resto emerge chiaramente dalla Relazione al d.lgs. n. 5 del 2006 24, è il

Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi, cit., p. 102. A questo orientamento fa esplicito riferimento anche la Cassazione nella sentenza in commento, là dove afferma: «la l.fall., art. 146, nel suo testo originario, era destinato solo a riconoscere la legittimazione del curatore all’esercizio delle azioni di responsabilità comunque esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento agli artt. 2393 e 2394». In questi termini, v anche Trib. Napoli, 28 aprile 2004, in Fallimento, 2005, 681 ss., con nota di Proto. 24. Nella parte relativa all’art. 146, la Relazione al d.lgs. n. 5/2006 recita «Il secondo comma, lett. a), adotta una formulazione aperta in virtù della quale è possibile sostenere che le azioni di responsabilità riguardano anche i componenti degli organi sociali della società a responsabilità limitata (…). Quanto agli amministratori della società a responsabilità limitata e al dibattito in ordine alla sussistenza di una loro specifica responsabilità verso i creditori sociali si è preferito, considerato che la delega è muta al riguardo, adottare una formula “aperta” che lasci cioè agli interpreti il compito di stabilire se il curatore possa esercitare nei confronti degli amministratori di società a responsabilità limitata solo l’azione di responsabilità sociale o anche quella verso i creditori». 22

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Amministratori di s.r.l. e azione di responsabilità dei creditori

frutto di una sorta di compromesso tra le esigenze scaturenti dalla riforma societaria 2003 e i limiti imposti dalla delega legislativa in base alla quale il legislatore della riforma fallimentare del 2006 ha operato. Come è noto, l’art. 146, co. 2., l.fall., nella sua attuale formulazione, costituisce l’esito delle modifiche apportate all’originario testo dal d.lgs. n. 5 del 2006 nella precipua prospettiva di adeguare la legge fallimentare al riformato diritto delle società 25. Se, infatti, all’esito della riforma del 2003, il testo dell’art. 146, co. 2, l.fall., per certi versi, richiedeva niente più che un mero adeguamento formale, che desse evidenza sul piano concorsuale ad una sostanza normativa già desumibile dal diritto societario comune, per altri versi, l’articolato (anche se non sempre esauriente) quadro delle responsabilità per atti di gestione e controllo contemplato dal codice civile ne denunciava una vera e propria insufficienza 26. Muovendosi nell’ottica di colmare il gap venutosi a creare, sul punto, tra codice civile e legge fallimentare, il legislatore del 2006 è intervenuto sull’art. 146, co. 2 innanzi tutto al fine di coordinarlo con la realtà normativa del nuovo diritto delle società sul piano semantico. E ciò ha fatto attraverso modifiche di ordine terminologico tese ad adeguare la norma all’ampliata platea dei potenziali destinatari delle azioni di responsabilità connesse allo svolgimento di funzioni, nonché al compimento di singoli atti, di gestione e di controllo. Tuttavia, la frammentazione dei regimi di responsabilità emergenti dal diritto comune richiedeva che l’intervento riformatore si spingesse anche sul piano della identificazione della tipologia di azioni esperibili. Tra le due alternative che gli si prospettavano, ossia quella di operare una elencazione puntuale delle azioni di responsabilità esperibili in esito all’iter autorizzatorio di cui all’art. 146 e quelle di adottare una formula generica, priva di richiami a fattispecie codicistiche, il legislatore della riforma ha optato per una via di mezzo. Ne è derivata una struttura alla stregua della quale l’art. 146, co. 2, l.fall. è oggi suddiviso in due distinte parti, dedicate, la prima, alle tradizionali azioni esperibili, in tutte le società, nei confronti di coloro cui sono demandati la gestione e il controllo, la seconda, all’azione di responsabilità per atti di (etero)gestione esperibili nelle s.r.l., ai sensi dell’art. 2476, co. 7, c.c., nei confronti dei

In argomento, Caridi, Introduzione (Capo X - Del fallimento delle società), in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli e Santoro, cit., p. 1889 s. 26. Per una sintesi del dibattito in argomento, v. Caridi, sub art. 146, in Nigro e Sandulli (a cura di), La riforma della legge fallimentare, Torino, 2006, p. 875 ss. 25.

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soci che abbiano «intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società». La scelta è da ricondurre, per un verso, all’orizzonte operativo entro il quale il legislatore, dato il silenzio della legge delega, è stato costretto a muoversi, e, per altro verso, alla coscienza delle problematiche che si erano poste con riferimento all’ambito di applicazione dell’art. 146, co. 2, l.fall. all’indomani della riforma societaria del 2003. Tramite essa, facendo coesistere una formula aperta, alla quale sono potenzialmente riconducibili tutte le azioni contro i componenti degli organi cui è istituzionalmente attribuita la gestione e il controllo delle società con un riferimento calibrato su una specifica azione diretta a far valere le responsabilità di una peculiare figura di gestori, il legislatore della riforma fallimentare, senza derogare alla neutralità che ha sempre caratterizzato la norma rispetto alle azioni esperibili dal curatore, ha mantenuto l’intervento entro i confini della delega e ha evitato di introdurre ulteriori ostacoli positivi alla configurabilità di alcune azioni non espressamente previste dal diritto societario comune 27. Infine, ad escludere che all’art. 146, co. 2, l.fall. possa oggi essere riconosciuta portata attributiva, in quanto norma rilevante ai fini della legittimazione del curatore ad agire in responsabilità contro gestori e controllori della società fallita, concorre il carattere residuale che il procedimento autorizzatorio ex art. 146, co. 2, l.fall. ha assunto per effetto del radicale mutamento del ruolo del comitato dei creditori nell’ambito degli organi fallimentari e segnatamente in relazione alle ricadute di tale mutamento in punto di decisione delle azioni tese alla reintegrazione del patrimonio del fallito ed in specie delle azioni risarcitorie.

27. Optando per una enumerazione delle azioni di responsabilità esperibili da parte del curatore vi era il rischio concreto di incorrere o in un eccesso di delega, qualora l’elencazione si fosse spinta a colmare le lacune della legislazione di diritto comune (in primis quella relativa all’azione di responsabilità contro gli amministratori di s.r.l. da parte dei creditori), o nell’accentuazione di talune di quelle lacune, qualora ci si fosse limitati ad elencare le sole azioni positivamente previste (e si pensi ancora una volta alle difficoltà che una tale soluzione avrebbe determinato in ordine alla possibilità di sostenere l’esperibilità dell’azione di responsabilità contro gli amministratori di s.r.l. spettante ai creditori). D’altra parte, l’adozione di una formula unitaria avrebbe potuto pregiudicare l’esigenza di estendere l’ambito di applicazione della norma anche a fattispecie di responsabilità connesse al compimento di atti di gestione da parte di soggetti formalmente non facenti parte dell’organo cui è demandata l’amministrazione della società.

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Amministratori di s.r.l. e azione di responsabilità dei creditori

Oggi, infatti, ai sensi dell’art. 104-ter l.fall., le azioni risarcitorie, tra le quali non v’è dubbio che rientrino anche le azioni di responsabilità in materia societaria, prima di essere autorizzate dal g.d., debbono essere inserite nel programma di liquidazione, sottoposto non già al parere, ma all’approvazione del comitato dei creditori. Ora, posto che, come la dottrina più attenta non ha mancato di rilevare, l’approvazione da parte del comitato dei creditori del programma di liquidazione assorbe l’eventuale parere richiesto dalla legge per il compimento dello specifico atto incluso nel programma 28, deve ritenersi che il procedimento autorizzatorio previsto dall’art. 146, co. 2, l.fall. costituisca oggi una applicazione particolare dell’art. 104-ter, co. 6, l.fall., mantenendo dunque rilevanza solo in relazione a quelle azioni di responsabilità che, sussistendo il pericolo che intervengano eventi pregiudizievoli rispetto al loro accoglimento o comunque al loro esito favorevole, sono esercitate dal curatore prima dell’approvazione del programma di liquidazione 29. Ciò detto, evidentemente, perdono di peso tutte quelle letture dell’art. 146, co. 2, l.fall. che, come quella accolta dalle sentenze in commento, fanno leva sulla formulazione della norma per assegnarle la funzione di selezionare le azione di responsabilità esperibili da parte del curatore. Ma se così stanno le cose, se cioè l’art. 146 non rientra tra i referenti normativi che giustificano la legittimazione del curatore ad esercitare le azioni in discorso, configurandosi anzi come una norma meramente procedimentale, perdono di consistenza tutte le questione in qualche modo influenzate dall’idea che la norma in parola abbia solo, o anche, una funzione attributiva. Ed in particolare vengono meno le premesse logiche e giuridiche sulle quali, specie dopo le riforme societaria e fallimentare, sono state costruite quelle ipotesi interpretative alla stregua delle quali, proprio facendo leva sull’art. 146 l.fall., l’ambito della legittimazione del curatore è stato ampliato sino a ricomprendere, per un verso, l’esercizio dell’azione ex art. 2394 c.c. nei confronti degli amministratori di imprese collettive non societarie 30 e, per altro verso, l’esercizio dell’azione ex art. 2395 c.c. 31. Ma vengono meno anche le basi per

Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi, cit., p. 116 e p. 223. Sul rapporto tra l’art.146, co. 2 e l’art. 104-ter l.fall. nell’ottica di cui al testo v. Caridi, sub art. 146, cit., p. 1910 ss. 30 Cetra, L’impresa collettiva, cit., p. 391. 31. Rescigno, Rapporti, cit., p. 2125 s. e, soprattutto, Palmieri, Nuovi profili, cit., p. 91 ss. 28

29.

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riconoscere all’art. 146, co. 2 una funzione integrativa delle lacune del diritto societario comune, in particolare in tema di responsabilità degli amministratori di s.r.l. 32, non potendo trarsi argomento per risolvere la questione della configurabilità, in queste società, di una azione di responsabilità dei creditori e, a maggior ragione, di una azione sociale di responsabilità da una norma di natura procedimentale ispirata solo da esigenze endogene alla legge fallimentare. 4. Una volta chiarito che nell’art. 146, co. 2, l.fall. la legittimazione del curatore fallimentare ad agire in responsabilità contro gestori e controllori della società fallita è semplicemente presupposta, occorre ora individuare i dati normativi sui quali tale legittimazione riposa. Orbene, al riguardo l’interprete deve farsi guidare esclusivamente dai principi fallimentari. La legittimazione del curatore ad agire nei confronti di gestori e controllori della società fallita trova infatti autonomo fondamento, per un verso, nel principio alla stregua del quale il curatore subentra in tutti i diritti e le azioni esercitabili a vantaggio immediato e diretto del patrimonio assoggettato ad esecuzione concorsuale e, per altro verso, nella disciplina di diritto societario comune, che tale principio recepisce negli artt. 2394-bis e 2497, ult. co. c.c. Il criterio di selezione delle azioni esperibili dal curatore è costituito cioè dalla finalità di reintegra del patrimonio sociale, rimanendo invece escluso che egli possa subentrare in quelle azioni esercitabili individualmente ed a proprio diretto vantaggio dal socio, dal terzo o dal creditore che abbiano subito un danno direttamente sul proprio patrimonio. Ora, se non v’è dubbio che lo scopo di reintegrazione del patrimonio della società, qualunque sia il tipo in considerazione, sia connaturale all’azione sociale di responsabilità nei confronti degli organi di gestione e controllo, rispetto alla quale, infatti, la legittimazione del curatore, anche alla luce del disposto dell’art. 43 l.fall., non è seriamente discutibile, non pochi problemi solleva, invece, il riconoscimento di una tale finalità all’azione spettante ai creditori sociali nei confronti dei medesimi organi, non essendo chiaro, sul piano generale, se quest’ultima sia attribuita ai creditori al fine di consentire loro di ottenere la riparazione del danno direttamente subito per effetto della violazione

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Ambrosini, Le azioni di responsabilità, cit., p. 740.


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degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale 33, ovvero se essa, benché esercitabile individualmente dai singoli creditori, abbia la diversa finalità di neutralizzare la diminuzione patrimoniale patita dalla società a cagione delle inadempienze dell’organo gestorio o di controllo, generando allora un vantaggio solo indiretto per coloro che la esercitano 34. Ciò detto, tuttavia, va subito precisato che la rilevata incertezza in ordine alla qualificazione dell’azione spettante ai creditori sociali, per un verso, sul piano applicativo, ha un impatto circoscritto in ordine alla legittimazione del curatore fallimentare, e, per altro verso, a ben vedere, non riguarda che quelle azioni che sono espressamente tese a reagire contro la «lesione dell’integrità del patrimonio sociale», ossia l’azione prevista dall’artt. 2394 e quella prevista dall’art. 2497 c.c. 35. Per rendersi conto della fondatezza di entrambe tali affermazioni occorre muovere dalla considerazione che le azioni di responsabilità in materia societaria positivamente attribuite ai creditori o sono di natura evidentemente diretta, essendo finalizzate a risarcire il danno patito dai creditori, come

In dottrina: Galgano, La società per azioni, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Padova, 1988, p. 297 ss.; Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1999, p. 505; Ferrara Jr. e Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 1999, p. 617; Campobasso, Diritto commerciale. Diritto delle società5, Torino, 2002, p. 352 ss.; Cassottana, La responsabilità degli amministratori, in Le procedure concorsuali. Il fallimento, Trattato diretto da Ragusa Maggiore e Costa, Torino, 1997, p. 799; Bonelli, La responsabilità degli amministratori di società per azioni, Milano, 1985, p. 439 ss.; in giurisprudenza: Cass., 22 ottobre 1998, 10488, con nota di Funari, in Società, 1999, 557; nonché, seppure implicitamente, negando che la sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941, n. 7. c.c. si applichi all’azione di responsabilità dei creditori sociali, Cass., SS.UU., 6 ottobre 1981, n. 5241, con nota di Bonelli, in Giur. comm., 1982, II, 768. 34. Minervini, Gli amministratori di società per azioni, Milano, 1956, p. 329 ss.; G. Ferri, Le società2, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, Torino, 1987, p. 718 ss.; Cottino, Diritto commerciale3, vol. I, tomo II, Padova, 1991, p. 552; Nigro, Le società per azioni nelle procedure concorsuali, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, IV, Torino, 1993, p. 375. In giurisprudenza, da Cass., 28 luglio 2000, n. 9904, in Giur. comm., 2001, II, 221; Cass., 28 febbraio 1998, n. 2251, in Foro it., 1998, I, 3249; Cass., 14 dicembre 1991, n. 13498, in Foro it., 1992, I, 1803; Trib. Milano, 15 novembre 1999, in Giur. it., 2000, 991. 35. Il fatto che le due norme siano ispirate ad un unico modello è sottolineato da Nigro, Responsabilità, cit., p. 367; Rescigno, Rapporti, cit., p. 2129, il quale riconduce l’unità del modello proprio al fatto che entrambe le norme, nel riconoscere ai creditori la titolarità dell’azione di responsabilità, la ricollegano alla «lesione dell’integrità del patrimonio sociale». 33.

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Commenti

nel caso delle azioni tese a far valere la responsabilità degli amministratori per la violazione degli obblighi su di essi gravanti a seguito del verificarsi di una causa di scioglimento (artt. 2485, co. 1, e 2486, co. 2, c.c.) 36, o, in caso di fallimento (nonché di l.c.a. e di amministrazione straordinaria), la relativa legittimazione è espressamente trasferita al curatore (o al diverso organo “gestorio” del procedura”). Così è per l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di s.p.a., prevista dall’art. 2394 c.c., la quale è attribuita al curatore dall’art. 2394-bis c.c. ed è richiamata, unitamente a quest’ultima disposizione, in relazione alla responsabilità dei sindaci (art. 2407 c.c.), degli organi di amministrazione e controllo nei sistemi di organizzazione alternativi (cfr. artt. 2409-decies, 2409-undecies e 2409-novesdecies c.c.) 37, del controllore contabile (cfr. art. 2409-sexies c.c.) e del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili (cfr. art. 154-bis t.u.f.). E così è pure per l’azione di responsabilità spettante ai creditori in relazione all’abusiva attività di direzione e coordinamento della società propria debitrice, prevista dall’art. 2497, co. 1 e 2, la quale è attribuita al curatore dall’art. 2497, ult. co., c.c. Alla luce di siffatto quadro normativo, da un lato, un problema di legittimazione del curatore ad esercitare l’azione spettante ai creditori si pone sostanzialmente solo nella s.r.l. e solo nella misura in cui, come pare preferibile, l’azione spettante ai creditori, pur non essendo positivamente prevista, sia ritenuta comunque configurabile. Dall’altro, dato il carattere fondamentale e dunque inderogabile del sopra individuato criterio concorsuale di selezione delle azioni esperibili da parte del curatore, il fatto stesso che, dopo la dichiarazione di fallimento, le azioni di responsabilità assegnate ai creditori dagli artt. 2394 e 2497 c.c. siano attribuite al curatore esclude che esse possano

36. Nigro, sub art. 2485, in Commentario romano al nuovo diritto delle società, diretto da D’Alessandro, III, Padova, in corso di pubb.; Id., sub art. 2486, ivi. 37. In verità, per quanto riguarda il consiglio di sorveglianza non è rintracciabile alcun richiamo agli artt. da 2393 a 2394-bis: in particolare, l’art. 2409-terdecies, pur individuando i doveri di diligenza che incombono sui consiglieri di sorveglianza non fa menzione dei legittimati all’azione di responsabilità. La questione, tuttavia, ha trovato facile soluzione mediante il richiamo del disposto dell’art. 223-septies, co. 1, disp. att. che estende, in quanto compatibili, ai consiglieri di sorveglianza le norme dettate per i sindaci. E v., sul punto, Bonelli, Gli amministratori di società per azioni dopo la riforma delle società, Milano, 2004, p. 262 s. Risolve il problema proponendo una interpretazione sistematica, che permetterebbe di colmare la lacuna grazie all’interpretazione estensiva dell’art. 2394-bis, Meoli, Crisi ed insolvenza delle società e dei gruppi nel Progetto di riforma fallimentare, in Fallimento, 2005, p. 44, nota 39.

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essere qualificate come azioni dirette al risarcimento dei creditori, confermandone, al contrario, la natura surrogatoria, in quanto azioni tese ab origine alla reintegra del patrimonio sociale 38. Certo, seppure per ragioni diverse, si tratta di surrogatorie sui generis, nel senso che in tali norme il legislatore ha piegato l’ordinaria azione surrogatoria spettante a tutti i creditori, ed in specie a tutti i creditori di imprese collettive, alle specificità strutturali e ai peculiari interessi che vengono in rilievo nel momento in cui quell’azione è esercitata nelle società o nei gruppi di società. In questo senso, si è autorevolmente osservato che con l’art. 2394 si è inteso disciplinare proprio il diritto dei creditori di agire in surrogatoria nei confronti degli amministratori, conformando la relativa azione «nel modo più idoneo per il conseguimento dell’obiettivo avuto di mira, vale a dire, da un lato, con un precisa delimitazione del presupposto (per ridurre il rischio di azioni di disturbo suscettibili di intralciare l’efficiente esercizio della funzione amministrativa); e, dall’altro, con la neutralizzazione delle rinunce da parte della società, per evitare il rischio di facile depotenziamento dell’azione dei creditori attraverso la connivenza fra amministratori e maggioranza» 39. E lo stesso può ripetersi a proposito dell’art. 2497 c.c., che, per un verso, delimita in termini molto simili all’art. 2394 il presupposto dell’azione (legandone l’esercizio alla lesione del patrimonio sociale nonché al fatto che il creditore non sia stato soddisfatto dalla società eterodiretta) e, per altro verso, esclude l’esperibilità dell’azione nei casi in cui questa contrasterebbe con la logica stessa del gruppo di società, espressa nella c.d. teoria dei vantaggi compensativi, la quale riceve positivo riconoscimento nell’ultima parte del dell’art. 2497, co. 1, c.c. Ora, proprio il carattere sui generis delle citate azioni spettanti ai creditori costituisce la giustificazione del perché, nonostante la natura surrogatoria delle stesse, il legislatore ne abbia comunque previsto prima l’attribuzione ai creditori nei citati articoli 2394 e 2497 c.c. e poi la trasmissione all’organo gestorio della procedura concorsuale alla quale eventualmente sia assoggettata la società, nei citati artt. 2394-bis e 2497, ult. comma, c.c. 40.

Nigro, Le società, cit., p. 373 ss.; Id., Responsabilità, cit., p. 370 ss. Nigro, Responsabilità, cit., p. 371. 40. Il che, da un lato, rende non necessaria la giustificazione, riconosciuta all’art. 2394-bis da Nigro, Le società, cit., p. 375, nonché Id., Responsabilità, cit., p. 374, secondo il quale l’attribuzione al curatore dell’azione spettante ai creditori nella citata norma si giustificherebbe anche e proprio con la necessità di sottrarre a questi ultimi 38 39

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Commenti

In conclusione, dunque, si deve ritenere che il curatore possa esercitare tutte le azioni di responsabilità, sociali e dei creditori previste dal diritto societario comune, purché conformi ai principi e alle finalità della procedura, dovendosi invece escludere la sua legittimazione ad esercitare le azioni di responsabilità spettanti ai singoli soci e ai terzi (ai sensi degli artt. 2395, 2476, co. 6 e 7, 2497, co. 1, 2485, co. 1 e 2486, co. 2 c.c.), in quanto tese non già a reintegrare il patrimonio della società, ma solo quello personale dei soggetti che le esercitano. 5. Un’ultima considerazione, in fine, deve essere riservata alle ricadute di quanto sin qui sostenuto sulle questioni affrontate dalle sentenze in commento. Le conclusioni raggiunte non sono infatti prive di rilievo sia in ordine alla configurabilità di un’azione di responsabilità spettante ai creditori anche nelle s.r.l. sia in ordine alla trasmissibilità della relativa legittimazione al curatore. L’aver giustificato, in termini generali, il subentro del curatore nell’esercizio dell’azione di responsabilità spettante ai creditori (ogni qual volta questa trovi il proprio presupposto nella lesione dell’integrità del patrimonio sociale) facendo leva sulla natura surrogatoria dell’azione, non solo consente, come si è già rilevato 41, di affermare senza particolari intoppi la trasferibilità in capo al curatore anche dell’azione di responsabilità dei creditori nei confronti degli amministratori di s.r.l. una volta che di quest’ultima si ammetta la configurabilità ai sensi del diritto societario comune, ma, dati i referenti positivi utilizzati per giun-

«una possibilità di azione che, per essere volta agli stessi obiettivi perseguibili dal curatore con l’azione ex art. 2393, determinerebbe interferenze e sovrapposizioni potenzialmente pregiudizievoli per il proficuo ed ordinato svolgimento della procedura concorsuale»; dall’altro e conseguentemente, sterilizza in radice la critica alla tesi della natura surrogatoria dell’azione spettante ai creditori fondata sulla superfluità dell’art. 2394-bis c.c. (tesi ribadita recentemente da Guizzi, Responsabilità, cit. p. 250). E ciò, sia in generale, non potendosi sostenere l’irrilevanza di quest’ultima norma, data la peculiarità della azione surrogatoria sul cui destino prende posizione, sia con specifico riferimento all’argomento secondo il quale tale superfluità sarebbe dimostrata dal fatto che il risultato di evitare i rischi di una azione concorrente dei creditori (che secondo Nigro, Le società, cit., p. 375; Id., Responsabilità, cit., p. 374 concorre a giustificare l’art. 2394-bis c.c.) potrebbe essere conseguito già in forza dell’art. 51 l.fall., «che precludendo ai creditori di esercitare azioni anche cautelari sul patrimonio del fallito – come oggi testualmente precisato – implica, almeno nell’interpretazione corrente, anche il divieto di esercitare in via surrogatoria i diritti del fallito verso i terzi» (così ancora Guizzi, Responsabilità, cit. p. 250). 41 V. supra, § 1, in fine.

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Amministratori di s.r.l. e azione di responsabilità dei creditori

gere a quella conclusione, rende enormemente più semplice, anche e proprio sul piano del diritto societario comune e nonostante il silenzio serbato sul punto dall’art. 2476 c.c., ammettere l’esperibilità di un tale azione da parte dei creditori quando la società è ancora in bonis.

Vincenzo Caridi

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fatti e problemi della pratica

Intorno alla crisi economica: fra diritto, finanza ed etica Pubblichiamo, per il suo sicuro interesse, l’intervista rilasciata, nell’aprile 2011, al dott. Riccardo Bencini dell’Università di Firenze dalla prof.ssa Lucia Calvosa, all’epoca Presidente della Cassa di Risparmio di S. Miniato S.p.A.

— Diritto —

1. Crisi e corporate governance. “La crisi finanziaria ha posto in discussione i fondamenti del diritto bancario, finanziario ed anche societario. L’attenzione di operatori, politici, studiosi si è, necessariamente, concentrata, in una prima fase, sull’emergenza: il fallimento delle banche, l’uso sconsiderato della leva finanziaria, l’emissione di titoli tossici, le carenze dei controlli delle Autorità di vigilanza, l’uso distorto dei sistemi di remunerazione. Il dibattito su cause, soluzioni, prospettive è ancora aperto […] L’allontanarsi dell’emergenza consente di affrontare, anzi di riaffrontare, anche le questioni che la drammaticità acuta della crisi ha, in qualche misura, posto sullo sfondo ma che in realtà hanno una rilevanza cruciale, quali appunto, le questioni di corporate governance dal sistema dei controlli interni ai conflitti di interesse. Del resto è significativo che uno dei più accreditati rapporti sulla crisi – il Rapporto de Larosiere – apra il capitolo dedicato alla Corporate governance con un’affermazione netta: this is one of the most important failures of the present crisis” (Montalenti, Le operazioni con parti correlate fra efficienza gestionale nei gruppi e rischi di conflitti di interesse; quale disciplina?, in La crisi finanziaria, banche, regolatori, sanzioni, Milano, 2010, p. 136). Ad oltre sette anni dalla sua entrata in vigore, quale è, nel complesso, il suo giudizio sulla riforma del diritto societario, soprattutto nell’ottica dell’impatto sulle banche?

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Fatti e problemi della pratica

Quali fra le novità introdotte dalla riforma sono state adottate dalla Banca da Lei presieduta? Giudico, nel complesso, positivamente la riforma del diritto societario. In ordine all’impatto della stessa sulle banche, ricordo che detta riforma è stata salutata, fin dalla sua entrata in vigore, con favore dall’Autorità di Vigilanza proprio per gli effetti che essa avrebbe potuto esercitare sul sistema bancario. Già nei primi commenti l’Autorità di Vigilanza ha mostrato apprezzamento per quello che è stato definito il “tentativo del legislatore di arricchire l’ordinamento italiano di istituti, mutuati dalle esperienze estere, che rappresentano novità importanti rispetto alla nostra tradizione giuridica e costituiscono i presupposti per un graduale passaggio a un futuro diritto societario europeo” (Frasca, La riforma del diritto societario: impatti sul sistema bancario e sull’ordinamento del credito e della finanza, in Il nuovo diritto societario, Intervento tenuto nell’ambito del Seminario su “Intermediari, Mercati Finanziari e ciclo economico internazionale”, S. Marco - Perugia, 22 marzo 2003). La banche hanno potuto giovarsi, avuto sempre riguardo alla sana e prudente gestione, delle opportunità offerte dalla riforma (basti pensare ai patrimoni destinati e al finanziamento mediante emissione di strumenti finanziari partecipativi). Passando alla realtà della Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A., la banca che presiedo ha adottato il sistema tradizionale che, com’è noto, presenta, quale tratto distintivo, quello della nomina ad opera dell’assemblea degli azionisti sia dei componenti l’organo di amministrazione che dei componenti l’organo di controllo. Tale scelta è stata confermata anche in sede di recepimento della Circolare del 4 marzo 2008 della Banca d’Italia sul governo societario. La redazione del progetto di governo societario ha costituito l’occasione per illustrare le ragioni sottese alla scelta del modello di amministrazione e controllo tradizionale, per descrivere le scelte attinenti alla struttura organizzativa (compiti, poteri e composizione degli organi aziendali; sistema delle deleghe; regime del controllo contabile; sistemi di incentivazione e remunerazione; flussi informativi), ai diritti degli azionisti (in materia di quorum deliberativi e rappresentanza), alla struttura finanziaria (categorie di azioni e limiti alla loro circolazione, strumenti finanziari partecipativi), alle modalità di gestione dei conflitti di interesse (operazioni con parti correlate, obbligazioni degli esponenti aziendali). La redazione del progetto di governo societario ha fornito, inoltre, l’occasione per dare un’adeguata rappresentazione - nell’ottica del grup-

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Lucia Calvosa

po bancario di cui la Cassa è capogruppo – delle modalità di raccordo tra gli organi e le funzioni aziendali delle diverse componenti, con particolare riguardo ai profili relativi al sistema dei controlli. Gli ultimi due interventi in ordine cronologico, effettuati dalla Cassa relativamente alla corporate governance – uno dei quali è peraltro tutt’ora in corso –, hanno riguardato la disciplina attinente alle Parti correlate, così come modificata dalla Delibera Consob n. 17389 del 23 giugno 2010, e la disciplina delle politiche e prassi di remunerazione e incentivazione nelle banche, così come modificata dalla direttiva comunitaria 2010/76/CE. La procedura adottata dalla Cassa in ordine alle operazioni con parti correlate, partendo dalla definizione ed individuazione delle parti correlate – anche nell’ottica del gruppo bancario – ha tracciato l’iter da seguire per le tre tipologie di operazioni con parti correlate (operazioni di maggiore rilevanza, operazioni di minore rilevanza ed operazioni ordinarie), determinando i casi di esclusione ed il regime di trasparenza. Il provvedimento di Banca d’Italia del 30 marzo scorso alla stregua della direttiva 2010/76/CE si inserisce espressamente nelle misure volte a garantire la stabilità ed il buon funzionamento del sistema bancario e finanziario in risposta alla crisi, modificando, ad esempio, sia la componente variabile delle remunerazioni che il sistema incentivante. La Cassa sta lavorando per sottoporre all’Assemblea degli azionisti, entro il prossimo 1° agosto, un documento sulle politiche remunerative conforme alla nuova regolamentazione. Ancora una volta i regulators impongono l’adozione di regole sempre più stringenti onde evitare, auspicabilmente, il ripetersi di comportamenti forieri di ulteriori crisi.

2. Crisi e azione di classe. “Inammissibile. È questo il verdetto che colpisce la prima class action approdata davanti ai giudici. Al Tribunale di Torino è stata depositata ieri l’ordinanza con la quale è stata respinta l’azione collettiva presentata dal Codacons contro Intesa San Paolo. Il Codacons, attraverso l’iniziativa del suo presidente Carlo Rienzi, aveva proposto la class action contro le commissioni di massimo scoperto nei conti correnti […] Il provvedimento, scritto dal presidente del tribunale Luciano Panzani, ha ritenuto però, dopo un’analisi del suo conto e dei relativi accordi con Intesa San Paolo, che il presidente del Codacons non avesse subito alcun danno e che quindi l’azione dovesse essere respinta per carenza di interesse” (Negri,

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Fatti e problemi della pratica

Inammissibile la prima class action, in Il Sole 24 Ore del 5 giugno 2010). Quali strumenti organizzativi la Banca da Lei presieduta ha adottato in via preventiva nella prospettiva di potenziali azioni collettive risarcitorie? La Cassa individua e formalizza procedure operative nel rispetto delle disposizioni normative tempo per tempo vigenti. Nel continuo la Cassa effettua la valutazione del rischio di non conformità alle norme, analizzando ex ante la possibile tenuta delle procedure implementate ed ex post il loro effettivo risultato. La Cassa pertanto si pone nella condizione di rispettare le normative vigenti al fine di non arrecare danno ad alcuno dei clienti cui la stessa si rivolge ed eroga i propri servizi. Visto che l’azione collettiva, come previsto dall’art. 141-bis del codice del consumo, è esperibile da una pluralità di consumatori che versano nei confronti della stessa impresa in situazione identica ovvero di diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali, la Cassa, perseguendo l’obiettivo della massima trasparenza per non arrecare danno al singolo, gestisce indirettamente il rischio verso la collettività di clienti.

3. Crisi e diritto penale. “La vastità della crisi che ha percorso rapidamente l’intero pianeta, la scoperta di una diffusione indiscriminata di comportamenti illegali, l’indifferenza ostentata nei confronti degli interessi della collettività, segnano un crollo così ampio, diffuso e generalizzato da far davvero pensare che le minacce punitive, anche in ordinamenti assai meglio attrezzati del nostro paese, siano poca cosa di fronte alla straordinaria forza delle dinamiche economiche […] Nessuno chiede al diritto penale o comunque alle sanzioni afflittive di intervenire, di espandere il loro raggio di azione, di essere conseguenza di nuovi, inediti precetti” (Alessandri, Delitti e pene nello scenario della crisi, in Giur. comm., 2010, p. 686). Crede sia utile continuare oggi a privilegiare la scelta di una nuova regolamentazione amministrativa, dell’istituzione di nuove autorità internazionali di controllo e di un adeguamento del sistema di verifica dei controllori invece di ricorrere all’impiego della sanzione penale?

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Lucia Calvosa

Le due componenti, a mio avviso, non possono che essere viste come un unico sistema regolamentare/sanzionatorio, dove a fronte di violazioni seguano sanzioni, se del caso anche di carattere penale. L’organismo di vigilanza adottato dalla Banca da Lei preseduta ha mai richiesto alle Funzioni competenti di instaurare eventuali procedimenti disciplinari a carico di soggetti che abbiano violato le misure indicate nei modelli di organizzazione, gestione e controllo? No, a quanto mi consta. — Finanza —

4. Crisi ed informazione finanziaria. “Mi chiedo fino a qual punto l’enfasi che da anni si pone sull’esigenza dell’informazione dell’investitore corrisponda ad un’effettiva esigenza di tutela del risparmiatore e di efficienza del mercato, sul presupposto che solo la compiutezza dell’informazione valga davvero a rendere il mercato efficiente, o se il vessillo dell’informazione non si sia viceversa in qualche misura trasformato in poco più che un idolo del foro. Il cliente non professionale non solo ha minori capacità di fruirne, ma spesso neppure davvero lo desidera e si affida alla professionalità dell’intermediario proprio perché, pur non disdegnando l’investimento finanziario, ritiene più conveniente (o magari anche solo più piacevole) utilizzare il proprio tempo altrimenti che nello studio dei mercati finanziari” (Rordorf, La tutela del risparmiatore: nuove norme, problemi vecchi, in La distribuzione dei prodotti finanziari, bancari e assicurativi, a cura di Antonucci e Paracampo, Bari, 2008, p. 98). La Banca da Lei presieduta è stata interessata in misura significativa dal contenzioso avviato dai risparmiatori rimasti danneggiati dal default degli emittenti di strumenti finanziari negoziati? La Banca è stata interessata dal contenzioso relativo a titoli in default con richieste in linea capitale, registrate negli anni 2005-2010, per circa sei milioni di euro.

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Fatti e problemi della pratica

In caso positivo, quali sono stati i costi sopportati nell’ultimo quinquennio dalla Banca per far fronte a questo contenzioso, ivi compresi quelli per la definizione transattiva delle liti? La Banca ha sopportato per il medesimo periodo, incluse le somme pagate a titolo transattivo, costi per circa due milioni di euro.

5. Crisi e finanziamenti bancari. “A banker is a fellow who lends you his umbrella when the sun is shining and wants it back the minute it begins to rain” (Mark Twain). Quale atteggiamento ha assunto la Banca da Lei presieduta in questo momento di crisi in risposta al costante incremento di richieste da parte delle piccole medie imprese operanti in Toscana? La nostra Banca fin dall’inizio della crisi economica è intervenuta in modo sollecito ed attivo nei confronti delle famiglie e delle imprese presenti sul territorio utilizzando tutti gli strumenti operativi a sua disposizione. Va sottolineato come la conoscenza ed il profondo legame con il territorio abbiano permesso di avvertire con anticipo rispetto ad altre banche i segnali dell’incombere della crisi. Le azioni intraprese sono state di diversa natura, spesso in sinergia con le istituzioni e con le associazioni di categoria. Sono state attivate misure di emergenza per poter sostenere le aziende in difficoltà e per poter tutelare il livello occupazionale (una su tutte il Regolamento Anticrisi della Regione Toscana), ma anche per poter permettere alle famiglie di poter superare il periodo di maggiore crisi (ad esempio con la moratoria sui mutui prima casa). Sicuramente, l’azione che riesce a dare i frutti migliori, perché tempestiva ed oculata, è quella soggettiva, di aiuto quotidiano e costante che scaturisce dalla conoscenza dei clienti e delle dinamiche di un territorio e dei suoi comprensori. Un esempio recente è dato dal rinnovo della convenzione con LP Confidi per permettere aumenti di fido destinati all’acquisto di scorte. La dinamicità della nostra Banca è testimoniata anche dai numerosi accordi stipulati con varie associazioni sia a livello locale che a livello regionale. Abbiamo dato sostegno alle categorie più disparate. Non ultimo, è stato stipulato un accordo con l’Ordine degli Avvocati di Pisa, che verrà replicato a livello regionale.

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Lucia Calvosa

La nostra Banca è stata a fianco delle imprese in questi anni duri svolgendo anche un’azione di consulenza oltre che di sostegno finanziario per poter traghettare le aziende del territorio il prima possibile fuori dalla crisi.

6. Crisi e derivanti. “Il Comune di Firenze annulla in autotutela sei delle 13 operazioni in derivati stipulate dalla Giunta Domenici nel giugno 2006. I sei swap con Merril Lynch, UBS e Dexia, figli di un’unica operazione, sommano nel loro insieme un nozionale da 177 milioni di euro, vale a dire circa il 75% dei derivati di Palazzo Vecchio, e sono da tempo al centro di un braccio di ferro con le banche, che tre mesi fa aveva portato il Comune a sospendere in via unilaterale i pagamenti […] La vicenda di Firenze assomiglia a quella che vede impegnata la Provincia di Pisa, che ha ingaggiato una battaglia legale con Dexia Crediop e Depfa Bank in cui il Tar ha rimandato al giudice ordinario la competenza sull’annullamento dei contratti” (Il Sole 24 Ore del 29 marzo 2011). “Armi finanziarie di distruzione di massa”, per usare le parole di Warren Buffet in quanto titoli “tossici” prodotti dalla cd. “finanza creativa”, oppure utili strumenti finalizzati a gestire l’esposizione ai rischi di mercato o di credito che una banca, un’impresa o un ente pubblico territoriale assume nell’ambito della propria operatività. Quale di queste due opposte prospettive ritiene più rispondente alla realtà? Gli strumenti derivati possono essere utilizzati sia come strumento di copertura sia per aprire posizioni consapevolmente speculative. L’importante è capirne bene le caratteristiche e i rischi. La Banca da Lei presieduta è interessata dall’operatività in derivati? La Cassa di Risparmio di San Miniato utilizza alcune tipologie di strumenti derivati allo scopo di coprire la propria esposizione al rischio di tasso. Per quanto riguarda la clientela interessata ad una riduzione del rischio di tasso sulla propria esposizione debitoria, proponiamo l’acquisto di covered warrant quotati sui mercati regolamentati senza ricorrere ad operazioni over-the-counter. Le altre tipologie di strumenti derivati (ad es. interest rate swap, opzioni, futures sia quotati che over-the-counter) non fanno parte dei prodotti offerti dalla banca alla nostra clientela.

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Fatti e problemi della pratica

In caso positivo, in quale misura? Nei confronti della clientela l’attività è limitata, e riguarda esclusivamente la copertura dei rischi di tasso su esposizioni debitorie. — Etica —

7. Crisi e azzardo morale. I salvataggi pubblici delle banche “sono stati necessari per la stabilità finanziaria, per ragioni macroeconomiche, ma hanno rafforzato l’azzardo morale in modo molto significativo, aumentando il leverage e l’assunzione di rischio delle aziende più grandi”. “Le nostre società democratiche non possono accettare un’altra crisi finanziaria ed il denaro dei contribuenti in futuro non dovrà essere utilizzato in caso di crisi” (estratto del discorso presso Eurofi del Governatore Prof. Draghi, cfr. Bocciarelli, Il salvataggio delle banche ha creato azzardo morale, in Il Sole 24 Ore del 18 febbraio 2001). È favorevole ai salvataggi pubblici di imprese bancarie private in crisi? In linea di principio non sono favorevole ai salvataggi pubblici di imprese private in crisi in ragione delle storture che tali operazioni possono introdurre nel sistema. Ciò nondimeno, la circostanza che ogni singola impresa bancaria faccia parte di un più ampio sistema impone molta cautela nella valutazione di soluzioni che possono apparire estreme – ed anche criticabili – ma che sono talvolta necessarie per evitare il propagarsi della crisi dalla singola impresa bancaria all’intero sistema bancario. Ritengo in ogni caso necessario accompagnare il salvataggio pubblico con un efficace apparato regolatorio e sanzionatorio.

8. Crisi e codici etici. “Al di là della celebrazione declamatoria dell’etica degli affari e della costruzione dei codici di condotta per lo più privi di sanzione, l’esperienza, quantomeno nostrana, mostra che parlare di etica degli affari è sostanzialmente truffaldino in un paese che non conosce l’elemento primario di qualsivoglia etica, ossia il senso della vergogna” (Rossi).

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(Alessandri, Delitti e pene nello scenario della crisi, in Giur. comm., 2010, p. 686). Reputa efficaci i codici etici? Efficaci, ma non sufficienti. Sono mai state registrate violazioni del codice etico dalla Banca da Lei presieduta alle quali sia seguito un procedimento disciplinare interno? Non mi risulta.

9. Crisi ed educazione finanziaria. “La crisi ha evidenziato uno scarso livello culturale degli investitori in materia finanziaria, tale da esporli ad investimenti dei quali non hanno compreso l’effettiva rischiosità. L’unica via di salvezza per il risparmiatore di uscire indenne con i suoi risparmi dalla giungla finanziaria nella quale si è perso è quella di crescere culturalmente e di tutelarsi da sé. L’autotutela diviene così il nuovo imperativo categorico, destinato a dominare la scena finanziaria del prossimo futuro […] L’azione di bombardamento per il risparmiatore ha avuto inizio ed ha già prodotto i suoi effetti: il disorientamento del destinatario” (Paracampo, Educazione finanziaria e protezione dei risparmiatori: miti e realtà, in Analisi giuridica dell’economia, 2010, 2, p. 536). Quale portata attribuisce all’educazione finanziaria? L’evoluzione normativa, la crescente complessità dei mercati, la varietà delle offerte di strumenti di investimento hanno cambiato significativamente gli scenari e le regole di comportamento dei risparmiatori e degli operatori economici. Per orientarsi in questi contesti è più che mai necessario disporre di un bagaglio di nozioni ed informazioni chiare e comprensibili, strumenti indispensabili per operare scelte consapevoli. L’educazione finanziaria è fondamentale: e il ruolo di attore principale è senza dubbio appannaggio quasi esclusivo degli operatori economici quali le banche. Educare il cliente significa renderlo edotto e consapevole delle scelte di investimento: è un compito che, pur impegnativo nell’immediato, dà

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Fatti e problemi della pratica

risultati positivi in termini di accrescimento del valore della relazione Banca-Cliente. Ciò rappresenta, infatti, un presupposto fondamentale per acquisire la maggiore consapevolezza delle potenzialità e dei rischi connessi a qualunque forma di investimento. Il ruolo di vicinanza al territorio in cui opera ha portato la Cassa ad assumere naturalmente anche il ruolo di “formatore/informatore” su temi dell’educazione finanziaria in senso lato. Questa sensibilità si traduce nella gestione dei rapporti con la clientela e nella promozione e vendita dei prodotti con un approccio improntato alla massima chiarezza e trasparenza. La Banca da Lei presieduta ha assunto iniziative in questo campo? Per quanto riguarda le iniziative che nel corso degli anni sono state realizzate in maniera specifica, le stesse possono essere sinteticamente riassunte nelle seguenti: iniziative di carattere informativo: in questo contesto si collocano, ad esempio, quelle relative al cambiamento “epocale” rappresentato dall’introduzione dell’Euro; considerati la portata e l’impatto prodotti, furono effettuate numerose conferenze che coinvolsero sia soggetti privati, di diversa estrazione (clienti e non, pensionati, dipendenti, ecc.), sia, in maniera più mirata, le istituzioni scolastiche, in particolare gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori; eventi rivolti alla clientela relativi alla presentazione di nuovi prodotti finanziari e/o nuove partnership (ad esempio nel gennaio 2010 Convegno su Norvega, maggio 2009 Convegno Private), in occasione dei quali è sempre stato dato ampio spazio alle tematiche relative all’andamento ed analisi dei mercati finanziari, con specifica attenzione al contesto economico; iniziative in collaborazione con Associazioni di categoria e Ordini professionali: nell’ambito dei rapporti istituzionali tenuti dalla Cassa sono state attivate forme di collaborazione per l’organizzazione di convegni a tema (es. Convegno Scudo Fiscale – novembre 2009, Convegno sulla Trasparenza – ottobre 2010); una menzione a parte meritano le iniziative di comunicazione effettuate nell’ambito del Progetto Abi “Patti Chiari”, progetto che ha tra le sue finalità istituzionali proprio quella dell’educazione finanziaria; tra le altre, sono state affrontate le tematiche finanziarie attraverso due progetti specifici, uno rivolto alle Scuole Medie Inferiori, “Io e l’Economia”, e un altro rivolto alle Scuole Medie Superiori, “PattiChiari con l’economia”.

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Entrambe le iniziative hanno consentito alla Cassa di interagire in maniera diretta con i ragazzi per spiegare loro il mondo dell’economia. A queste iniziative è doveroso aggiungere le relazioni ed interventi che spesso sono effettuati dai dipendenti che lavorano in Rete su richiesta di Associazioni o altri soggetti con i quali hanno rapporti diretti, a riprova del ruolo riconosciuto alla nostra Banca di supporto informativo e sostegno ai risparmiatori.

10. Crisi e perdita di fiducia. “Nella società liquida e turbata da una prolungata crisi, la certezza è un’ottima merce” (Antonucci, Declinazione della suitabilty rule e prospettive di mercato, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, p. 738). In quale modo, a Suo avviso, le banche possono recuperare quella fiducia che oggi appare piuttosto diminuita? Trasponendo la nozione di fiducia ai rapporti bancari, si può osservare come comportamenti rispettosi delle regole che le parti si danno al momento dell’instaurazione di ogni singolo rapporto costituiscono la base imprescindibile per la creazione di un rapporto fiduciario. Maggiore fiducia viene guadagnata se, oltre – e al di là – del rispetto di regole formali, le parti di un rapporto si comportano sempre secondo diligenza, trasparenza e correttezza. Ritengo che la fiducia possa essere recuperata con comportamenti virtuosi e responsabili, gli unici che possono mettere in luce il vero ruolo della banca che agisce per servire al meglio l’interesse dei clienti.

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PARTE seconda Legislazione, documenti e informazioni



legislazione

Il nuovo procedimento di composizione delle crisi da sovraindebitamento Il nostro sistema di governo delle crisi patrimoniali delle imprese (e non solo) è – come si sa – un sistema assai articolato e complesso. Oggi si è arricchito di un nuovo strumento, il c.d. procedimento di composizione delle crisi da sovraindebitamento, introdotto dalla l. 27 gennaio 2012, n. 3. È il caso di notare subito che all’emanazione di questa legge – con la quale l’ordinamento italiano si conforma alla linea adottata, già da molto tempo, da altri ordinamenti a noi vicini (in particolare, a quello francese) – si è giunti ancora una volta attraverso un itinerario abbastanza confuso (a tratti addirittura bizzarro), che lascia intravvedere anche successivi interventi normativi, in coerenza del resto con quella “instabilità” che sembra ormai connotare irrimediabilmente la nostra produzione legislativa. Nel 2009 era stata approvata dal Senato la proposta di legge (di iniziativa del sen. Centaro ed altri) che dettava disposizioni, oltre che in materia di usura ed estorsione, sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento. Questa proposta (sulla quale può vedersi, fra gli altri, Girone, Il tentativo del legislatore italiano di allinearsi agli ordinamenti internazionali con un provvedimento in materia di “sovraindebitamento” dei soggetti non fallibili, nonché interventi in materia di usura ed estorsione, in Dir. fall., 2009, I, p. 818 ss.; nonché gli interventi di Pusterla e Di Marzio, in Grandi e piccole insolvenze: dal caso Chrysler alla crisi del consumatore [atti del convegno di Alba del 28 novembre 2009], Torino, 2010, pp. 57 ss. e 61 ss.) è stata trasmessa alla Camera dei Deputati, dove è rimasta più o meno quiescente, e pressoché dimenticata, fino al 2011. Nell’ottobre di questo anno, la proposta è stata approvata, con modificazioni, dalla Camera ed è quindi tornata al Senato, dove è stata assegnata, nel novembre, alla Commissione competente. Contemporaneamente, però, il Governo ha emanato il d.l. 22 dicembre 2011, n. 212, nel quale ha – inopinatamente – riprodotto quasi integralmente

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il contenuto della proposta Centaro (nel testo licenziato, appunto, dalla Camera) in materia di crisi da sovraindebitamento (su questo d.l. v. Fabiani, La gestione del sovra indebitamento del debitore non fallibile (d.l. 212/2011), in www.ilcaso.it; Guiotto, La nuova procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, in Il fallimento, 2012, p. 21 ss.). La (insolita ed incongrua) sovrapposizione non poteva ovviamente sfuggire al momento della conversione in legge del d.l. n. 212: il Governo – la cui gestione della vicenda è stata definita, durante i lavori parlamentari, “isterica e schizofrenica” – ha cercato di evitare la soppressione degli articoli di quel decreto che riproducevano la proposta Centaro, nel frattempo divenuta appunto la legge n. 3/2012, modificandoli profondamente, nel senso, fra l’altro, dell’introduzione sia di una analitica disciplina delle crisi da sovraindebitamento del consumatore sia della previsione di una particolare procedura di liquidazione; ma, alla fine, ha dovuto accettare l’eliminazione pura e semplice della normativa in questione. Il Senato peraltro, in sede di approvazione del disegno di legge di conversione del d.l. n. 212, ha approvato un ordine del giorno con il quale impegna il Governo ad adottare le opportune iniziative legislative, per affrontare le questioni inerenti appunto al sovraindebitamento del consumatore e alla procedura di liquidazione. *** La semplice lettura dell’articolato permette di affermare che il nuovo procedimento (o procedura: la legge usa promiscuamente i due termini) presenta forti affinità, per un verso, con l’istituto disciplinato dall’art. 182-bis l.fall. e, per altro verso, con il concordato preventivo. Come il primo, infatti, si incentra su di un accordo di ristrutturazione dei debiti con una elevata percentuale dei creditori, che vincola solo gli aderenti e deve essere idoneo a soddisfare integralmente i creditori estranei. Come accade nel secondo, l’accordo, da un lato, si realizza all’interno del procedimento e dall’altro, per effetto dell’omologazione, viene sottratto all’applicazione delle regole generali in materia di contratti e sottoposto ad una disciplina speciale in punto di annullabilità e risolubilità. Diverso è – rispetto al procedimento ex art. 182-bis ed al concordato preventivo – il presupposto soggettivo del nuovo procedimento: può esservi ammesso solo chi non è sottoponibile al fallimento, quindi, da un lato, i debitori non imprenditori (non importa se consumatori o no, se soggetti individuali o collettivi) e, dall’altro, gli imprenditori commerciali “sotto soglia” e gli imprenditori agricoli (per quanto riguarda questi ultimi, merita di essere ricordato che tali imprenditori già oggi – a segui-

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to dell’art. 23, co. 43 d.l. n. 98 del 2011 – possono accedere al procedimento ex art. 182-bis: quindi essi, in realtà, finiscono per avere a disposizione due strumenti, in parte analoghi, di composizione del dissesto). Parzialmente diverso è il presupposto oggettivo, che è individuato dalla legge sia nello stato di insolvenza in senso proprio, sia nel (semplice) deficit patrimoniale. Il procedimento è, nelle sue linee essenziali, abbastanza semplice e si snoda attraverso quattro fasi: la fase dell’apertura, con la presentazione, al tribunale ed ai creditori, della proposta di accordo; quella della raccolta delle adesioni a tale proposta da parte dei singoli creditori; la fase dell’omologazione da parte del tribunale; la fase dell’esecuzione dell’accordo. In tutte queste fasi, un ruolo rilevante, per non dire determinante, compete agli “organismi di composizione della crisi”, introdotti dalla nuova disciplina, ai quali la legge affida una serie di importanti compiti, che vanno dall’assistenza al debitore nella predisposizione della proposta e delle eventuali modificazioni, all’attestazione della fattibilità del piano, dalla comunicazione della proposta ai creditori alla raccolta delle adesioni dei medesimi, dal controllo sull’esecuzione del piano alla collaborazione con il debitore ed i creditori per la “buona riuscita” del medesimo. Anzi, si può dire che l’elemento di maggiore originalità del nuovo procedimento è costituito proprio dalla presenza obbligatoria, in un procedimento di composizione di crisi patrimoniali che può riguardare anche imprese (imprese agricole; imprese di minori dimensioni), di un “protagonista” del tutto inedito, quale appunto l’“organismo di composizione della crisi”, con funzioni in parte a loro volta del tutto inedite, ma fondamentali per consentire il raggiungimento degli obiettivi della procedura. È il caso di precisare, da ultimo, che tale procedimento (o procedura: la legge usa promiscuamente i due termini) non può essere qualificato come procedura concorsuale: esso, infatti, non comporta né regolamentazione coattiva dei rapporti debitore-creditori, né imposizione di vincoli sul patrimonio del debitore (salva la limitatissima eccezione costituita dal “blocco” delle azioni esecutive per periodi prefissati e brevi). *** Accanto alle molte novità meritevoli di attenta considerazione, la normativa in questione prospetta, non solo incongruenze e lacune (dovute probabilmente al solito deficit di capacità tecnica), ma anche rilevanti nodi critici. Molti di questi nodi riguardano proprio gli organismi di composizione delle crisi: non si comprende quali enti pubblici possano costituirli; non si

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sa se debbano essere strutture unipersonali o pluripersonali; non si sa se, al di là del problema della loro qualificazione come “organi” del procedimento, i loro componenti debbano considerarsi incaricati di pubblico servizio o addirittura pubblici ufficiali; vi è la singolarità del regime dei compensi (si stabilisce che all’organismo in quanto tale spetti una indennità, mentre nulla può essere corrisposto ai componenti del medesimo; invece è previsto, nell’ambito del regime transitorio, che ai professionisti i quali svolgano le funzioni dell’organismo spetti un compenso); nulla si dice in ordine alla responsabilità dei componenti dell’organismo, e così via. Alcuni di questi interrogativi saranno sciolti dall’apposito regolamento ministeriale di cui la legge ha previsto l’emanazione; ma altri non potranno esserlo (non potrà esserlo, in particolare, quello relativo alla responsabilità, profilo come è evidente di estrema delicatezza, vista la molteplicità dei compiti di cui gli organismi sono attributari). Un altro nodo riguarda la stessa identificazione della categoria dei creditori estranei all’accordo. L’accordo, per essere omologato, deve essere idoneo ad assicurare il regolare pagamento di tali creditori: questa idoneità deve risultare fin dal piano che deve essere allegato alla proposta e di cui l’organismo di composizione deve attestare, da subito, la fattibilità. Diversamente da quanto avviene nel procedimento ex art. 182-bis, in cui i creditori estranei sono quelli che non hanno sottoscritto l’accordo e sono quindi identificati prima ancora che il procedimento abbia inizio, nel nostro caso i creditori estranei risulteranno tali solo in un momento successivo alla presentazione della proposta ed all’ammissione del debitore al procedimento, cioè all’esito della chiusura della fase di raccolta delle adesioni sulla proposta ammessa dal giudice. La proposta, quindi, ed il piano nulla di sicuro potranno aver previsto: al massimo potrebbero essere formulate delle mere ipotesi. C’è da augurarsi che, in sede applicativa, tutti questi ed altri nodi siano sciolti rapidamente ed in modo soddisfacente. [A.N.]

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L. 27 gennaio 2012, n. 3 – Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da indebitamento. IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA promulga la seguente legge: Capo I MODIFICHE ALLA LEGISLAZIONE VIGENTE IN MATERIA DI USURA E DI ESTORSIONE Art. 1 Modifiche alla legge 7 marzo 1996, n. 108 1. All’articolo 14 della legge 7 marzo 1996, n. 108, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo il comma 2, sono inseriti i seguenti: «2-bis. Fermo quanto previsto dal comma 7, l’erogazione dei mutui di cui al comma 2 è consentita anche in favore dell’imprenditore dichiarato fallito, previo provvedimento favorevole del giudice delegato al fallimento, a condizione che il medesimo non abbia riportato condanne definitive per i reati di cui al titolo VI del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, ovvero per delitti contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica, l’amministrazione della giustizia, il patrimonio, l’economia pubblica, l’industria e il commercio, a meno di intervenuta riabilitazione ai sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale. Avverso il provvedimento contrario del giudice delegato è ammesso reclamo al tribunale fallimentare, del quale non può far parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato. 2-ter. Le somme erogate a titolo di mutuo ai sensi del comma 2-bis non sono imputabili alla massa fallimentare né alle attività sopravvenute dell’imprenditore fallito e sono vincolate, quanto a destinazione, esclusivamente all’utilizzo secondo le finalità di cui al comma 5»; b) il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. Il mutuo può essere concesso, anche nel corso delle indagini preliminari, previo parere favorevole del pubblico ministero, sulla base di concreti elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari medesime»; e) al comma 5, primo periodo, dopo la parola: «data» sono inserite le seguenti: «di presentazione della denuncia per il delitto di usura ovvero dalla data»; d) il comma 7 è sostituito dal seguente: «7.1 mutui di cui al presente articolo non possono essere concessi a favore di soggetti condannati per il reato di usura, anche tentato, o per taluno dei reati consumati o tentati di cui agli articoli 380 e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero sottoposti a misure di prevenzione personali o patrimoniali ovvero alla speciale misura di cui all’articolo 34 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. Nei confronti dei soggetti indagati o imputati per taluno di detti reati ovvero proposti per le suddette misure, la concessione del mutuo non può essere consentita e, ove sia stata disposta, è sospesa fino

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all’esito dei relativi procedimenti»; e) al comma 9. la lettera a) è sostituita dalle seguenti: «a) se il procedimento penale per il delitto di usura in relazione al quale il mutuo o la provvisionale sono stati concessi si conclude con provvedimento di archiviazione, salvo quanto previsto dalla lettera a-bis), ovvero con sentenza di non luogo a procedere, di proscioglimento o di assoluzione; a-bis) quando il procedimento penale non possa ulteriormente proseguire per prescrizione del reato, per amnistia o per morte dell’imputato e il giudice debba emettere per tali motivi il provvedimento di archiviazione o la sentenza, in qualsiasi fase o grado del processo, ai sensi dell’articolo 129, comma 1, del codice di procedura penale, quando allo stato degli atti non esistano elementi documentati, univoci e concordanti in ordine all’esistenza del danno subito dalla vittima per effetto degli interessi o di altri vantaggi usurari». 2. All’articolo 15, comma 8, della citata legge n. 108 del 1996, le parole da: «rappresentanti» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «due rappresentanti del Ministero dell’economia e delle finanze, di cui uno con funzioni di presidente, da due rappresentanti del Ministero dell’interno, di cui uno nella persona del Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative anti-racket ed antiusura, da due rappresentanti del Ministero dello sviluppo economico e da due rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. È previsto un supplente per ciascuno dei rappresentanti. I componenti effettivi e supplenti della commissione sono scelti tra i funzionari con qualifica non inferiore a dirigente di seconda fascia o equiparata. La partecipazione alla commissione è a titolo gratuito. Le riunioni della commissione sono valide quando intervengono almeno cinque componenti, rappresentanti, comunque, le quattro amministrazioni interessate. Le deliberazioni sono adottate a maggioranza dei presenti e in caso di parità di voti prevale quello del presidente». 3. All’articolo 16, comma 9, della citata legge n. 108 del 1996, le parole da: «con l’arresto» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «con la reclusione da due a quattro anni». 4. All’articolo 17 della citata legge n. 108 del 1996, dopo il comma 6-bis è aggiunto il seguente: «6-ter. Ove sussistano tutte le condizioni indicate nel comma 1, è consentita la presentazione di un’unica istanza di riabilitazione anche in riferimento a più protesti, purché compresi nello spazio temporale di un triennio». Art. 2 Modifiche alla legge 23 febbraio 1999, n. 44 1. Alla legge 23 febbraio 1999, n. 44, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 3: 1) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. L’elargizione è concessa agli esercenti un’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o comunque economica, ovvero una libera arte o professione, che subiscono un evento lesivo in conseguenza di delitti commessi allo scopo di costringerli ad aderire a richieste estorsive, avanzate anche successivamente ai fatti, o per ritorsione alla mancata adesione a tali richieste, ovvero in conseguenza di situazioni di intimidazione anche ambientale. Per evento lesivo si intende qualsiasi danno a beni mobili o immobili, ovvero lesioni personali, ovvero un danno sotto forma

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di mancato guadagno inerente all’attività esercitata»; 2) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti: «I-bis. Fermo quanto previsto dall’articolo 4, l’elargizione è consentita anche in favore del soggetto dichiarato fallito, previo parere favorevole del giudice delegato al fallimento, a condizione che il medesimo soggetto non abbia riportato condanne per i reati di cui agli articoli 216 e 217 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero per delitti contro il patrimonio, l’economia pubblica, l’industria e il commercio, a meno di intervenuta riabilitazione ai sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale, né sia indagato o imputato per gli stessi reati. In tale ultimo caso la concessione dell’elargizione non è consentita e, ove sia stata disposta, è sospesa fino all’esito dei relativi procedimenti. I-ter. Le somme erogate a titolo di elargizione ai sensi del comma I-bis non sono imputabili alla massa fallimentare né alle attività sopravvenute del soggetto fallito e sono vincolate, quanto a destinazione, esclusivamente all’utilizzo secondo le finalità di cui all’articolo 15. Il ricavato netto è per la metà acquisito dal curatore quale attivo sopravveniente del fallimento, e per la residua metà deve essere impiegato a fini produttivi e di investimento»; b) dopo l’articolo 18-bis è inserito il seguente: «Art. 18-ter (Sostegno degli enti locali alle attività economiche a fini antiestorsivi). - 1. Al fine di sostenere e incentivare la prevenzione e la tutela delle attività economiche dalle richieste estorsive, gli enti locali possono disporre, tramite appositi regolamenti, l’esonero, parziale o totale, dal pagamento o il rimborso, parziale o totale, del pagamento effettuato di tributi locali, tariffe locali e canoni locali, in favore dei soggetti di cui all’articolo 3, comma 1. 2. All’attuazione delle disposizioni di cui al comma 1 gli enti locali provvedono, nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica ad essi assegnati ai fini del patto di stabilità interno, a carico dei propri bilanci»; e) all’articolo 19, comma 1, la lettera d) è sostituita dalla seguente: «d) da tre membri delle associazioni od organizzazioni iscritte nell’elenco di cui all’articolo 13, comma 2. I membri sono nominati ogni due anni con decreto del Ministro dell’interno su designazione degli organismi nazionali associativi maggiormente rappresentativi. Il Ministro dell’interno, su proposta del Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative anti-racket ed antiusura, determina con proprio decreto i criteri per l’individuazione della maggiore rappresentatività»; d) all’articolo 20: 1) il comma 7 è sostituito dal seguente: «7. Le sospensioni dei termini di cui ai commi 1, 3 e 4 e la proroga di cui al comma 2 hanno effetto a seguito del provvedimento favorevole del procuratore della Repubblica competente per le indagini in ordine ai delitti che hanno causato l’evento lesivo di cui all’articolo 3, comma 1. In presenza di più procedimenti penali che riguardano la medesima parte offesa, anche ai fini delle sospensioni e della proroga anzidette, è competente il procuratore della Repubblica del procedimento iniziato anteriormente»; 2) dopo il comma 7 sono aggiunti i seguenti: «7-bis. Il prefetto, ricevuta la richiesta di elargizione di cui agli articoli 3, 5, 6 e 8, compila l’elenco delle procedure esecutive in corso a carico del richiedente e informa senza ritardo il procuratore della Repubblica competente, che trasmette il provvedimento al giudice, o ai giu-

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dici, dell’esecuzione entro sette giorni dalla comunicazione del prefetto. 7-ter. Nelle procedure esecutive riguardanti debiti nei confronti dell’erario, ovvero di enti previdenziali o assistenziali, non sono poste a carico dell’esecutato le sanzioni dalla data di inizio dell’evento lesivo, come definito dall’articolo 3, comma 1, fino al termine di scadenza delle sospensioni e della proroga di cui ai commi da 1 a 4 del presente articolo». Art. 3 Modifica all’articolo 1, comma 881, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 1. All’articolo 1, comma 881, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «fatta eccezione per i soggetti di cui all’articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 giugno 1997, n. 315, per i quali permangono i vincoli di destinazione previsti dalla legge 7 marzo 1996, n. 108». Art. 4 Modifiche all’articolo 629 del codice penale 1. All’articolo 629 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo comma, le parole: «con la multa da euro 516 a euro 2.065» sono sostituite dalle seguenti: «con la multa da euro 1.000 a euro 4.000»; b) al secondo comma, le parole: «da euro 1.032 a euro 3.098» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 5.000 a euro 15.000». Art. 5 Modifica all’articolo 135 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 1. All’articolo 135, comma 1, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, dopo le parole: «passata in giudicato» sono inserite le seguenti: «per reati di usura, riciclaggio nonché». Capo II PROCEDIMENTO PER LA COMPOSIZIONE DELLE CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO Art. 6 Finalità 1. Al fine di porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili alle vigenti procedure concorsuali, è consentito al debitore concludere un accordo con i creditori nell’ambito della procedura di composizione della crisi disciplinata dal presente capo. 2. Ai fini del presente capo, per «sovraindebitamento» si intende una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, nonché la definitiva incapacità del debitore di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni.

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Art. 7 Presupposti di ammissibilità 1. Il debitore in stato di sovraindebitamento può proporre ai creditori, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi di cui all’articolo 15 con sede nel circondario del tribunale competente ai sensi dell’articolo 9, comma 1, un accordo di ristrutturazione dei debiti sulla base di un piano che assicuri il regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo stesso, compreso l’integrale pagamento dei titolari di crediti privilegiati ai quali gli stessi non abbiano rinunciato, anche parzialmente, salvo quanto previsto dall’articolo 8, comma 4. Il piano prevede le scadenze e le modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi, le eventuali garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti, le modalità per l’eventuale liquidazione dei beni. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 13, comma 1, il piano può anche prevedere l’affidamento del patrimonio del debitore ad un fiduciario per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori. 2. La proposta è ammissibile quando il debitore: a) non è assoggettabile alle procedure previste dall’articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni; b) non ha fatto ricorso, nei precedenti tre anni, alla procedura di composizione della crisi. Art. 8 Contenuto dell’accordo 1. La proposta di accordo prevede la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei redditi futuri. 2. Nei casi in cui i beni o i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità del piano, la proposta deve essere sottoscritta da uno o più terzi che consentono il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per l’attuabilità dell’accordo. 3. Nella proposta di accordo sono indicate eventuali limitazioni all’accesso al mercato del credito al consumo, all’utilizzo degli strumenti di pagamento elettronico a credito e alla sottoscrizione di strumenti creditizi e finanziari. 4. Il piano può prevedere una moratoria fino ad un anno per il pagamento dei creditori estranei quando ricorrono cumulativamente le seguenti condizioni: a) il piano risulti idoneo ad assicurare il pagamento alla scadenza del nuovo termine; b) l’esecuzione del piano sia affidata ad un liquidatore nominato dal giudice su proposta dell’organismo di composizione della crisi; e) la moratoria non riguardi il pagamento dei titolari di crediti impignorabili. Art. 9 Deposito della proposta di accordo 1. La proposta di accordo è depositata presso il tribunale del luogo di residenza o sede del debitore. 2. Il debitore, unitamente alla proposta, deposita l’elenco di tutti i creditori, con l’indicazione delle somme dovute, dei beni e degli eventuali atti di disposi-

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zione compiuti negli ultimi cinque anni, corredati delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni e dell’attestazione sulla fattibilità del piano, nonché l’elenco delle spese correnti necessarie al sostentamento suo e della sua famiglia, previa indicazione della composizione del nucleo familiare corredata del certificato dello stato di famiglia. 3. Il debitore che svolge attività d’impresa deposita altresì le scritture contabili degli ultimi tre esercizi, unitamente a dichiarazione che ne attesta la conformità all’originale. Art. 10 Procedimento 1. Il giudice, se la proposta soddisfa i requisiti previsti dagli articoli 7 e 9, fissa immediatamente con decreto l’udienza, disponendo la comunicazione ai creditori presso la residenza o la sede legale, anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata, della proposta e del decreto contenente l’avvertimento dei provvedimenti che egli può adottare ai sensi del comma 3 del presente articolo. 2. Con il decreto di cui al comma 1, il giudice dispone idonea forma di pubblicità della proposta e del decreto, oltre, nel caso in cui il proponente svolga attività d’impresa, alla pubblicazione degli stessi in apposita sezione del registro delle imprese. 3. All’udienza il giudice, in assenza di iniziative o atti in frode ai creditori, dispone che, per non oltre centoventi giorni, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore. La sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili. 4. Durante il periodo previsto dal comma 3, le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano. 5. Le procedure esecutive individuali possono essere sospese ai sensi del comma 3 per una sola volta, anche in caso di successive proposte di accordo. 6. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento. Art. 11 Raggiungimento dell’accordo 1. I creditori fanno pervenire, anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata, all’organismo di composizione della crisi, dichiarazione sottoscritta del proprio consenso alla proposta, come eventualmente modificata. 2. Ai fini dell’omologazione di cui all’articolo 12, è necessario che l’accordo sia raggiunto con i creditori rappresentanti almeno il 70 per cento dei crediti. 3. L’accordo non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso.

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4. L’accordo non determina la novazione delle obbligazioni, salvo che sia diversamente stabilito. 5. L’accordo è revocato di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie. Art. 12 Omologazione dell’accordo 1. Se l’accordo è raggiunto, l’organismo di composizione della crisi trasmette a tutti i creditori una relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento della percentuale di cui all’articolo 11, comma 2, allegando il testo dell’accordo stesso. Nei dieci giorni successivi al ricevimento della relazione, i creditori possono sollevare le eventuali contestazioni. Decorso tale ultimo termine, l’organismo di composizione della crisi trasmette al giudice la relazione, allegando le contestazioni ricevute, nonché un’attestazione definitiva sulla fattibilità del piano. 2. Verificato il raggiungimento dell’accordo con la percentuale di cui all’articolo 11, comma 2, verificata l’idoneità ad assicurare il pagamento dei creditori estranei e risolta ogni altra contestazione, il giudice omologa l’accordo e ne dispone l’immediata pubblicazione utilizzando tutte le forme di cui all’articolo 10, comma 2. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il reclamo, anche avverso il provvedimento di diniego, si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento. 3. Dalla data di omologazione ai sensi del comma 2 e per un periodo non superiore ad un anno, l’accordo produce gli effetti di cui all’articolo 10, comma 3. 4. Gli effetti di cui al comma 3 vengono meno in caso di risoluzione dell’accordo o di mancato pagamento dei creditori estranei. L’accertamento del mancato pagamento dei creditori estranei è chiesto al giudice con ricorso da decidere in camera di consiglio, ai sensi degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. 5. La sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore risolve l’accordo. Art. 13 Esecuzione dell’accordo 1. Se per la soddisfazione dei crediti sono utilizzati beni sottoposti a pignoramento ovvero se previsto dall’accordo, il giudice, su proposta dell’organismo di composizione della crisi, nomina un liquidatore che dispone in via esclusiva degli stessi e delle somme incassate. Si applica l’articolo 28 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. 2. L’organismo di composizione della crisi risolve le eventuali difficoltà insorte nell’esecuzione dell’accordo e vigila sull’esatto adempimento dello stesso, comunicando ai creditori ogni eventuale irregolarità. Sulle contestazioni che hanno ad oggetto la violazione di diritti soggettivi e sulla sostituzione del liquidatore per giustificati motivi decide il giudice investito della procedura.

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3. Il giudice, sentito il liquidatore e verificata la conformità dell’atto dispositivo all’accordo e al piano, anche con riferimento alla possibilità di pagamento dei creditori estranei, autorizza lo svincolo delle somme e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento, delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché di ogni altro vincolo. 4. I pagamenti e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell’accordo e del piano sono nulli. Art. 14 Impugnazione e risoluzione dell’accordo 1. L’accordo può essere annullato dal tribunale su istanza di ogni creditore, in contraddittorio con il debitore, quando è stato dolosamente aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo ovvero dolosamente simulate attività inesistenti. Non è ammessa alcuna altra azione di annullamento. 2. Se il proponente non adempie regolarmente agli obblighi derivanti dall’accordo, se le garanzie promesse non vengono costituite o se l’esecuzione dell’accordo diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, ciascun creditore può chiedere al tribunale la risoluzione dello stesso. 3. Il ricorso per la risoluzione è proposto, a pena di decadenza, entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dall’accordo. 4. L’annullamento e la risoluzione dell’accordo non pregiudicano i diritti acquistati dai terzi in buona fede. 5. Nei casi previsti dai commi 1 e 2, si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Art. 15 Organismi di composizione della crisi 1. Gli enti pubblici possono costituire organismi con adeguate garanzie di indipendenza e professionalità deputati, su istanza della parte interessata, alla composizione delle crisi da sovraindebitamento. 2. Gli organismi di cui al comma 1 sono iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia. 3. Il Ministro della giustizia determina i criteri e le modalità di iscrizione nel registro di cui al comma 2, con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Con lo stesso decreto sono disciplinate, altresì, la formazione dell’elenco e la sua revisione, l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi di cui al comma 4, a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura. 4. Gli organismi di conciliazione costituiti presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura ai sensi dell’articolo 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni,

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il segretariato sociale costituito ai sensi dell’articolo 22, comma 4, lettera a), della legge 8 novembre 2000, n. 328, gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai sono iscritti di diritto, a semplice domanda, nel registro di cui al comma 2. 5. Dalla costituzione degli organismi di cui al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e ai componenti degli stessi non spetta alcun compenso o rimborso spese o indennità a qualsiasi titolo corrisposti. 6. Le attività degli organismi di cui al comma 1 devono essere svolte nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Art. 16 Iscrizione nel registro 1. Gli organismi di cui all’articolo 15, unitamente alla domanda di iscrizione nel registro, depositano presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di procedura e comunicano successivamente le eventuali variazioni. Art. 17 Compiti dell’organismo di composizione della crisi 1. L’organismo di composizione della crisi, oltre a quanto previsto dagli articoli 11, 12 e 13, assume ogni opportuna iniziativa, funzionale alla predisposizione del piano di ristrutturazione, al raggiungimento dell’accordo e alla buona riuscita dello stesso, finalizzata al superamento della crisi da sovraindebitamento, e collabora con il debitore e con i creditori anche attraverso la modifica del piano oggetto della proposta di accordo. 2. Lo stesso organismo verifica la veridicità dei dati contenuti nella proposta e nei documenti allegati, attesta la fattibilità del piano ai sensi dell’articolo 9, comma 2, e trasmette al giudice la relazione sui consensi espressi e sulla maggioranza raggiunta ai sensi dell’articolo 12, comma 1. 3. L’organismo esegue la pubblicità della proposta e dell’accordo, ed effettua le comunicazioni disposte dal giudice nell’ambito del procedimento previsto dal presente capo. Art. 18 Accesso alle banche dati pubbliche 1. Per lo svolgimento dei compiti e delle attività previsti dal presente capo, il giudice e, previa autorizzazione di quest’ultimo, gli organismi di cui all’articolo 15 possono accedere ai dati contenuti nell’anagrafe tributaria, nei sistemi di informazioni creditizie, nelle centrali rischi e nelle altre banche dati pubbliche, nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e del codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti, di cui alla deliberazione del Garante per la protezione dei dati personali 16 no-

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vembre 2004, n. 8, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23 dicembre 2004. 2. I dati personali acquisiti per le finalità di cui al comma 1 possono essere trattati e conservati per i soli fini e tempi della procedura e devono essere distrutti contestualmente alla sua conclusione o cessazione. Dell’avvenuta distruzione è data comunicazione al titolare dei suddetti dati, tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento o tramite posta elettronica certificata, non oltre quindici giorni dalla distruzione medesima. Art. 19 Sanzioni 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da 1.000 a 50.000 euro il debitore che: a) al fine di ottenere l’accesso alla procedura di composizione della crisi di cui al presente capo, aumenta o diminuisce il passivo ovvero sottrae o dissimula una parte rilevante dell’attivo ovvero dolosamente simula attività inesistenti; b) al fine di ottenere l’accesso alla procedura di composizione della crisi di cui al presente capo, produce documentazione contraffatta o alterata, ovvero sottrae, occulta o distrugge, in tutto o in parte, la documentazione relativa alla propria situazione debitoria ovvero la propria documentazione contabile; e) nel corso della procedura, effettua pagamenti non previsti nel piano oggetto dell’accordo, fatto salvo il regolare pagamento dei creditori estranei; d) dopo il deposito della proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti, e per tutta la durata della procedura, aggrava la sua posizione debitoria; e) intenzionalmente non rispetta i contenuti dell’accordo. 2. Il componente dell’organismo di composizione della crisi che rende false attestazioni in ordine all’esito della votazione dei creditori sulla proposta di accordo formulata dal debitore ovvero in ordine alla veridicità dei dati contenuti in tale proposta o nei documenti ad essa allegati ovvero in ordine alla fattibilità del piano di ristrutturazione dei debiti proposto dal debitore è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 1.000 a 50.000 euro. 3. La stessa pena di cui al comma 2 si applica al componente dell’organismo di composizione della crisi che cagiona danno ai creditori omettendo o rifiutando senza giustificato motivo un atto del suo ufficio. Art. 20 Disposizioni transitorie e finali 1. Con uno o più decreti, il Ministro della giustizia stabilisce, anche per circondario di tribunale, la data a decorrere dalla quale i compiti e le funzioni che il presente capo attribuisce agli organismi di composizione della crisi di cui all’articolo 15 sono svolti in via esclusiva dai medesimi. 2. I compiti e le funzioni attribuiti agli organismi di composizione della crisi possono essere anche svolti da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’articolo 28 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, ovvero da un notaio, nominati dal presidente del tribunale o dal giudice da

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lui delegato. Con decreto del Ministro della giustizia sono stabilite, in considerazione del valore della procedura e delle finalità sociali della medesima, le tariffe applicabili all’attività svolta dai professionisti, da porre a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura. 3. Il professionista di cui al comma 2 è equiparato, anche agli effetti penali, al componente dell’organismo di composizione della crisi. 4. Il Ministro della giustizia trasmette alle Camere una relazione annuale sullo stato di attuazione della presente legge. Capo III ENTRATA IN VIGORE Art. 21 Entrata in vigore 1. La presente legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

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Norme redazionali

I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)

II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. …

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Norme redazionali

4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).

III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile codice di commercio Costituzione codice di procedura civile codice penale codice di procedura penale decreto decreto legislativo decreto legge decreto legge luogotenenziale decreto ministeriale decreto del Presidente della Repubblica disposizioni sulla legge in generale disposizioni di attuazione disposizioni transitorie legge fallimentare

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c.c. c.comm. Cost. c.p.c. c.p. c.p.p. d. d.lgs. d.l. d.l. luog. d.m. d.P.R. d.prel. disp.att. disp.trans. l.fall.


Norme redazionali

legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)

l.camb. t.u. t.u.b. t.u.f.

2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale Corte di Cassazione Sezioni unite Consiglio di Stato Corte d’Appello Tribunale Tribunale amministrativo regionale

C. Cost. Cass. S. U. Cons. St. App. Trib. TAR

3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur.

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Norme redazionali

Diritto industriale Diritto dell’informazione e dell’informatica Economia e credito Enciclopedia del diritto Enciclopedia giuridica Treccani Europa e diritto privato Foro italiano (il) Foro napoletano (il) Foro padano (il) Giurisprudenza commerciale Giurisprudenza costituzionale Giurisprudenza italiana Giurisprudenza di merito Giustizia civile Il fallimento Jus Le società Notariato (11) Novissimo Digesto italiano Nuova giurisprudenza civile commentata Nuove leggi civili commentate (le) Quadrimestre Rassegna di diritto civile Rassegna di diritto pubblico Rivista bancaria Rivista critica di diritto privato Rivista dei dottori commercialisti Rivista del notariato Rivista della cooperazione Rivista di diritto civile Rivista del diritto commerciale Rivista di diritto internazionale Rivista di diritto privato Rivista di diritto processuale Rivista di diritto pubblico Rivista italiana del leasing Rivista delle società Rivista giuridica sarda Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Vita notarile

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Dir. ind. Dir. inform. Econ. e cred. Enc. dir. Enc. giur. Europa e dir. priv. Foro it. Foro nap. Foro pad. Giur. comm. Giur. cost. Giur. it. Giur. merito Giust. civ. Il fallimento Jus Le società Notariato Noviss. Dig. it. Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civ. Quadr. Rass. dir. civ. Rass. dir. pubbl. Riv. banc. Riv. crit. dir. priv. Riv. dott. comm. Riv. not. Riv. coop. Riv. dir. civ. Riv. dir. comm. Riv. dir. internaz. Riv. dir. priv. Riv. dir. proc. Riv. dir. pubbl. Riv. it. leasing Riv. soc. Riv. giur. sarda Riv. trim. dir. proc. civ. Vita not.


Norme redazionali

4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesin­ger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cu­ra di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, To­rino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Tori­no, Tratt. soc. per az., diretto da Co­lombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume

IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze e, successivamente, gli estratti.

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Finito di stampare nel mese di Aprile 2012 presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A. Via A. Gherardesca • 56121 Ospedaletto • Pisa Telefono 050 313011 • Telefax 050 3130300 www.pacinieditore.it


Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria Cedola di sottoscrizione q Abbonamento 2012 (4 fascicoli): € 110,00 Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 35,00 Modalità di Pagamento q assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA q versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) q bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 G 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) q a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) q carta di credito q MasterCard q VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma.................................................................

Inviare il presente modulo all’Editore: Pacini Editore SpA via Gherardesca - 56121 Ospedaletto-Pisa Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it • info@pacinieditore.it è possibile acquistare la rivista direttamente sul sito dell’Editore





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