ISSN 1722-8360
di particolare interesse in questo fascicolo
Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009
Diritto della banca e del mercato finanziario
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Saggi
• Le obbligazioni degli esponenti bancari • Gli intermediari finanziari non bancari • Amministrazione straordinaria e vendita di aziende • La disciplina delle crisi bancarie in Spagna
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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è coordinato dal prof. Vittorio Santoro. Nell’anno 2013, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Elisabetta Bertacchini, Marcello Clarich, Antonia Irace, Cinzia Motti, Stefano Pagliantini, Antonio Piras, Michele Sandulli, Maurizio Sciuto, Giuseppe Terranova, Enrico Tonelli, Francesco Vella.
Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria
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Sommario 1/2014
PARTE PRIMA SAGGI Note minime sulla nuova disciplina delle obbligazioni degli esponenti bancari, di Alessandro Nigro L’insolvenza delle società cooperative, tra codice civile e legge fallimentare, di Daniele Vattermoli L’equity crowdfunding tra incentivi al reperimento di capitale di rischio per start up innovative e responsabilità, di Andrea Ottolia I poteri delle autorità di vigilanza in situazioni di crisi degli intermediari finanziari non bancari, di Francesco Ciraolo
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COMMENTI Vendita di azienda “in esercizio” nell’amministrazione straordinaria – Trib. Ancona, 25 luglio 2013; App. Ancona, 28 aprile 2014 La vendita di aziende “in esercizio” nell’amministrazione straordinaria, tra tutela dei creditori e salvaguardia dei complessi produttivi, di Patrizia Santangelo
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PARTE seconda LEGISLAZIONE L’adozione “anticipata” del modello comunitario in materia di crisi bancarie: la nuova disciplina spagnola – Ley 9/2012, de 14 noviembre, de reestructuración y resolución de entitades de crédito, con osservazioni di Clarisa L. Ganigian
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Norme
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redazionali
PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ
saggi
Note minime sulla nuova disciplina delle obbligazioni degli esponenti bancari * 1. La disciplina delle obbligazioni degli esponenti bancari ha sempre costituito fonte di rilevanti problemi interpretativi ed applicativi: lo ha costituito al momento della sua introduzione nel nostro ordinamento, che risale al lontano 1930; lo ha costituito nelle diverse versioni che quella disciplina ha avuto nel tempo; e continua a costituirlo oggi, dopo il recente (del 2012) intervento del nostro legislatore in materia. Si può cominciare con il ricordare che le disposizioni del t.u.b. in argomento, contenute nell’art. 136, erano, prima dell’ultimo intervento a cui si è appena accennato, del seguente tenore: “1. Chi svolge funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso una banca non può contrarre obbligazioni di qualsiasi natura o compiere atti di compravendita, direttamente o indirettamente, con la banca che amministra, dirige o controlla, se non previa deliberazione dell’organo di amministrazione presa all’unanimità e col voto favorevole di tutti i componenti dell’organo di controllo, fermi restando gli obblighi previsti dal codice civile in materia di interessi degli amministratori e di operazioni con parti correlate. 2. Le medesime disposizioni si applicano anche a chi svolge funzione di amministrazione, direzione e controllo, presso una banca o società facenti parte di un gruppo bancario, per le obbligazioni e per gli atti indicati nel comma 1 posti in essere con la società medesima o per le operazioni di finanziamento poste in essere con altra società o con altra banca del gruppo. In tali casi l’obbligazione o l’atto sono deliberati, con le modalità previste dal comma 1, dagli organi della società o banca contraente e con l’assenso della capogruppo.
* Lo scritto costituisce rielaborazione, con l’aggiunta delle note, di parti di due pareri pro veritate.
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2-bis. Per l’applicazione dei commi 1 e 2 rilevano anche le obbligazioni intercorrenti con società controllate dai soggetti di cui ai medesimi commi o presso le quali gli stessi soggetti svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo, nonché con le società da queste controllate o che le controllano. Il presente comma non si applica alle obbligazioni contratte tra società appartenenti al medesimo gruppo bancario ovvero tra banche per le operazioni sul mercato interbancario. 3. L’inosservanza delle disposizioni dei commi 1, 2 e 2-bis è punita con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 206 a 2.066 euro”. Il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, con l’art. 24-ter (inserito in sede di conversione): - ha integrato il co. 1 dell’art. 136, aggiungendo in fine: “è facoltà del consiglio di amministrazione delegare l’approvazione delle operazioni di cui ai periodi precedenti nel rispetto delle modalità ivi previste”; - ha abrogato tout court i commi 2 e 2-bis (dimenticando peraltro, con la ormai consueta sciatteria, di modificare il co. 3, che tali commi continua incongruamente a menzionare). Si è trattato, all’evidenza, di una drastica “potatura”, e quindi semplificazione, della disciplina, la quale però, come si è anticipato, ha lasciato sostanzialmente intatti, o in qualche caso ha riproposto, taluni rilevanti nodi problematici che quella disciplina da tempo prospettava. Mi riferisco, specificamente, - alla portata da assegnare all’avverbio indirettamente utilizzato nel primo comma; - alla portata da attribuire all’inciso finale, “fermi restando gli obblighi previsti dal codice civile in materia di interessi degli amministratori e di operazioni con parti correlate”, sempre del primo comma. Prima di affrontare i due ordini di questioni, è indispensabile tratteggiare, seppur brevemente, l’evoluzione che la disciplina delle obbligazioni degli esponenti bancari ha avuto nel tempo. 2. L’art. 6 r.d.l. n. 1459 del 1930, dopo aver posto al comma 1, per gli amministratori ed i direttori generali di società la regola del divieto, penalmente sanzionato, di contrarre prestiti “sotto qualsiasi forma, sia direttamente, sia per interposta persona” con la società o di farsi rilasciare garanzie dalla stessa, stabiliva, al comma 2, che quella disposizione non si applicava “agli amministratori delle società che hanno per principale oggetto l’esercizio del credito, sempre che essi non abbiano la firma, anche congiuntamente con altri, della società e che le operazioni previste nella prima parte di questo articolo siano state nei singoli casi autorizzate dal consiglio di amministrazione”. La ragione dell’adozione,
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per gli esponenti bancari, di una logica “permissiva” – di “permesso condizionato” 1 – in luogo di quella limitativa adottata nel diritto comune era (e tuttora è) semplice: evitare che la regola di divieto si traducesse in un pregiudizio per la banca, il cui “mestiere” è proprio quello di erogare credito 2, salvaguardando, d’altra parte, l’integrità patrimoniale della banca stessa contro il rischio di lesione derivante dal conflitto di interessi insito in simili rapporti 3. Questa dicotomia è rimasta nella legislazione successiva. Infatti, mentre l’art. 2624 c.c. (vecchio testo) riproduceva il disposto del co. 1 dell’art. 6 r.d.l. del 1930, l’art. 38 l. banc. del 1936-38 riprendeva il disposto del comma 2 di quell’articolo, facendo divieto agli esponenti delle banche di contrarre obbligazioni di qualsiasi natura o di compiere atti di compravendita, «direttamente o indirettamente», con le banche stesse se non con il rispetto di un particolare iter procedimentale: una conforme deliberazione del Consiglio di amministrazione, da assumere all’unanimità e col voto favorevole di tutti i componenti dell’organo di sorveglianza; previsione assistita da sanzione penale (art. 93 stessa legge) 4. A sua volta l’art. 136 del t.u. del 1993, nella sua versione originale, aveva ripreso, al primo comma, la regola posta dall’art. 38, stabilendo che “Chi svolge funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso una banca non può contrarre obbligazioni di qualsiasi natura o compiere atti di compravendita, direttamente o indirettamente, con la banca che amministra, dirige o controlla, se non previa deliberazione dell’organo di amministrazione presa all’unanimità e col voto favore-
1. Per usare l’espressione di Bricola, Gli illeciti rapporti patrimoniali fra dirigenza e azienda di credito, in M. Romano, a cura di, La responsabilità penale degli operatori bancari, Bologna, 1980, p. 126. 2. Nella relazione ministeriale alla legge del 1930 si sottolineava appunto l’opportunità di tener conto delle peculiari esigenze delle aziende di credito “rispetto alle quali non era possibile imporre che i più forti gruppi di industrie che fanno capo all’azienda e dei quali i rappresentanti sogliono perciò far parte del consiglio di amministrazione, si rivolgessero per i propri bisogni, piuttosto che all’azienda di credito a cui erano legate, ad altre aziende diverse e forse concorrenti”. 3. Sull’interesse protetto dalle norme in materia cfr. per tutti Zambusi, L’infedeltà patrimoniale interna degli operatori bancari, Padova, 2005, p. 250 ss., ove gli opportuni riferimenti. 4. Sull’art. 38 l. banc. v. per tutti Costi, L’ordinamento del credito, Bologna, 1986, p. 311 ss. Per i profili penalistici v. specificamente, oltre a Bricola, Gli illeciti rapporti, cit., Bartulli e Flick, in Codice commentato della banca, a cura di Capriglione e Mezzacapo, Milano, 1990, I, p. 1119 ss.
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vole di tutti i componenti dell’organo di controllo, fermi restando gli obblighi di astensione previsti dalla legge”, cioè nell’allora vigente art. 2391 c.c.; aveva, nel secondo comma, adeguato la regola alla realtà dei gruppi bancari, precisando che “Le medesime disposizioni si applicano anche a chi svolge funzioni di amministrazione, direzione e controllo, presso una banca o società facenti parte di un gruppo bancario, per le obbligazioni e gli atti indicati nel comma 1 posti in essere con la società medesima o per le operazioni di finanziamento poste in essere con altra società o con altra banca del gruppo. In tali casi, l’obbligazione o l’atto sono deliberati, con le modalità previste dal comma 1, dagli organi della società o banca contraente e con l’assenso della capogruppo”; aveva confermato, nel terzo comma, il presidio penale, con l’espresso rinvio all’allora vigente art. 2624 c.c. 5. Con la riforma del diritto societario del 2003, la disciplina di diritto comune del conflitto di interessi degli amministratori è, però, mutata: l’art. 2391 c.c. è stato modificato 6 e soprattutto è venuto meno l’originario art. 2624 c.c., con il divieto assoluto in esso previsto 7. Il che ha reso necessarie talune modifiche all’art. 136 t.u.b., che sono state apportate
5.
Sull’art. 136 t.u.b. (testo originario) cfr., in generale e per tutti, Losappio, in Belli ed altri, a cura di, Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Bologna, 2003, p. 2272 ss., ove ulteriori riferimenti. 6 Nel nuovo sistema non c’è più un obbligo generalizzato di astensione: l’amministratore che abbia un interesse (non necessariamente in conflitto) in una determinata operazione della società deve darne notizia agli altri amministratori, precisando la natura, i termini, l’origine e la portata di tale interesse (solo se è amministratore delegato deve anche astenersi dal compiere l’operazione); e la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione. Sul nuovo art. 2391 cfr. per tutti, Giorgianni, Sub art. 2391- 2391-bis, in Commentario romano al nuovo diritto delle società, diretto da d’Alessandro, v. II, t. II, Padova, 2011, p. 115 ss., ove tutti gli opportuni riferimenti. 7. È stato introdotto, invece, un nuovo reato, quello di infedeltà patrimoniale: in base all’attuale art. 2634 c. c. “Gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori che, avendo un interesse in conflitto con la società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni”. Va ricordato che nei confronti del d. lgs. n. 61 del 2002, che ha riformato il diritto penale societario, abrogando in particolare l’art. 2624 c. c., era stata sollevata questione di costituzionalità per l’omessa abrogazione proprio dell’art. 136 t.u.b.: questione che è stata giudicata però manifestamente infondata dalla Corte costituzionale (sentenza 26 novembre 2004, n. 364, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, II, 231, con nota di Seminara, Note sul reato di illeciti rapporti patrimoniali tra dirigenza e banca (art. 136 t.u.b.)).
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con il d.lgs. n. 37 del 2004: in particolare, si è resa necessaria la sostituzione dell’ultimo inciso del primo comma (non più “fermi restando gli obblighi di astensione previsti dalla legge”, bensì “fermi restando gli obblighi previsti dal codice civile in materia di interessi degli amministratori”) e del terzo comma (non più il rinvio all’art. 2624 c.c., bensì la diretta previsione della sanzione: reclusione da uno a tre anni e multa) 8. Ma, soprattutto, il mutamento del regime degli interessi degli amministratori ha comportato, sul piano sistematico, il cambiamento di segno, per così dire, del trattamento delle operazioni fra le banche ed i propri esponenti, che da più favorevole rispetto al regime comune è divenuto più restrittivo 9. In questo già movimentato quadro normativo – nel quale un certo ruolo hanno giuocato anche le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia: peraltro impropriamente, dal momento che nessuno spazio, in realtà, la disposizione lascia a discipline secondarie 10 – si è inserito l’intervento della legge sul risparmio del 2005, il quale, per un verso, non ha toccato nessuna delle previsioni originarie dell’art. 136, con ciò confermando la volontà di conservare un trattamento particolare, diverso e derogatorio rispetto al diritto comune, per le operazioni fra le banche ed i loro esponenti; e, dall’altro, ha inserito in quell’articolo un comma 2-bis che, in una logica “espansiva” della quale si è già avuto occasione in altra sede di trattare 11, ha esteso la disciplina dei commi 1 e 2 anche alle “obbligazioni intercorrenti con società controllate dai soggetti di cui ai medesimi commi o presso le quali gli stessi soggetti svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo, nonché con le società da queste
8.
Su queste modifiche v. specificamente Maggi, Sub art. 136, in Maimeri, a cura di, Il coordinamento della riforma del diritto societario con i testi unici della banca e della finanza, Milano, 2006, p. 273 ss. 9. In questo senso v. anche, fra gli altri, Zambusi, L’infedeltà patrimoniale, cit., p. 185; Troiano, La nuova disciplina dei conflitti di interesse, in Capriglione, a cura di, La nuova legge sul risparmio, Padova, 2006, p. 119. 10. Per la decisa valorizzazione di tali Istruzioni – alle quali attribuisce la portata di “interpretazione autentica della disciplina primaria… almeno a livello pratico-operativo” – in chiave di ricostruzione del sistema anteriore alla l. n. 262/2005 v. peraltro FerroLuzzi, Le “obbligazioni degli esponenti aziendali”; l’art. 136, co. 2-bis t.u.b.; il doppio esercizio delle “funzioni rilevanti”, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, p. 471 ss. (a p. 474, comunque, il giusto rilievo che le disposizioni della Banca d’Italia in materia, alla fine, costituiscono “mere indicazioni”). 11. A. Nigro, Sub art. 8, in La tutela del risparmio, a cura di A. Nigro e Santoro, Torino, 2007, p. 117.
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controllate o che le controllano o sono ad esse collegate” 12 (ed ha modificato, di conseguenza, anche il comma 3 dell’art. 136, includendovi il riferimento anche al nuovo comma 2-bis). Va tenuto presente che il legislatore del 2005 ha anche rafforzato la tutela penale nella materia considerata dall’art. 136: infatti, con l’art. 31 ha introdotto un nuovo art. 2629-bis c.c. che prevede, a carico degli amministratori di società con titoli quotati o diffusi fra il pubblico o di soggetti sottoposti a vigilanza ai sensi (fra l’altro) del t.u.b., il reato di omessa comunicazione del conflitto di interessi, dato dalla violazione degli obblighi previsti dall’art. 2391 13; e, ancora, con l’art. 39 ha raddoppiato le pene previste (fra l’altro) dal t.u.b. e, quindi, quella prevista dall’art. 136. Con il d.lgs. 303/2006, poi, sono state apportate ulteriori modifiche: al comma 1 è stato aggiunto, alla fine, il riferimento agli obblighi previsti dal codice civile in materia “di operazioni con parti correlate” (attuale art. 2391- bis c.c.); è stata sostituita l’ultima frase del nuovo comma 2-bis, espungendo il riferimento alle “società collegate” alle società controllate dai soggetti di cui ai commi 1 e 2 o presso le quali gli stessi soggetti svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo, e sostituendovi la precisazione che “il presente comma non si applica alle obbligazioni contratte tra società appartenenti al medesimo gruppo bancario ovvero tra banche per le operazioni sul mercato interbancario” 14. L’ultimo atto di questa articolatissima vicenda, per ora almeno, è costituito dal prima ricordato d.l. n. 179 del 2012, con il quale si è tornati, in qualche modo, al punto di partenza. L’attuale disciplina delle obbligazioni degli esponenti bancari si riduce, infatti, alla regola-cardine posta dal co. 1 dell’art. 136, che riproduce sostanzialmente l’art. 38 della l. bancaria del 1936-1938. 3. Fatta questa lunga – ma, come si vedrà, indispensabile – premessa si può venire al primo dei due ordini di questioni su cui si intende qui soffermare l’attenzione, vale a dire l’interpretazione da dare all’avverbio “indirettamente”, presente nella norma fin dal testo del 1936.
12. Nella relazione si precisava che “L’estensione alle società – in corrispondenza con l’intervento operato nel co. 4 dell’art. 53 – tende a prevenire l’elusione delle norme attraverso l’interposizione di persone giuridiche”. 13 Sul rapporto fra l’art. 136 t.u.b. e questa nuova norma v. infra, § 4. 14. Sull’art. 136 come modificato dalla l. sul risparmio v., per tutti, l’ampia analisi di De Pra, Le obbligazioni degli esponenti bancari, in Giur. comm., 2008, I, p. 1140 ss., ove ulteriori riferimenti.
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a. Sia nel vigore della l. banc., con riferimento all’art. 38, sia dopo l’entrata in vigore del t.u.b., e quindi con riferimento all’art. 136, le opinioni al riguardo erano profondamente divise. Da un lato, vi era chi riteneva che il termine “indirettamente” fosse da riferire unicamente all’ipotesi dell’interposizione (fittizia o reale) 15, che era poi quella espressamente prevista nell’art. 6 r.d.l. del 1930, da cui come si è detto l’art. 38 immediatamente discendeva, e testualmente ripresa poi dall’art. 2624 a cui l’art. 136 strettamente si connetteva. Dall’altro, vi era chi, con il conforto anche delle già ricordate Istruzioni della Banca d’Italia, che ad un certo punto hanno cominciato ad occuparsi dell’argomento 16, propendeva – ed era questo l’orientamento prevalente - per una lettura meno restrittiva, sostenendo che quel termine dovesse includere anche le ipotesi in cui fosse ravvisabile comunque un interesse sostanziale, nell’operazione con la banca, dell’esponente bancario: le fattispecie su questa base enucleate erano date, in particolare, dalle obbligazioni assunte da società di cui l’esponente fosse socio illimitatamente responsabile 17 e, soprattutto, da quelle assunte da società di
15.
Così, fra gli altri ed in particolare, G. Rossi, Sul significato dell’avverbio “indirettamente” nell’art. 38 della legge bancaria, in Riv. soc., 1979, p. 161ss.; Bartulli e Flick, op. cit., p. 1126. 16. Ci si riferisce all’aggiornamento del 1993 alla circ. n. 4 del 1988, sul quale v. Gianfelici, Obbligazioni degli esponenti bancari alla luce dell’art. 136 della “nuova legge bancaria”: le nuove istruzioni della vigilanza, in Impresa, 1995, p. 2060 ss., poi seguito dalla circ. n. 229/1999, nel cui tit. II, cap. 3, sez. 2, si precisava (e si precisa), al par. 3, che “il divieto e la procedura per la sua rimozione vale anche in tutti i casi in cui obbligato o contraente sia un soggetto legato ad uno o più esponenti aziendali da un rapporto tale che delle sue obbligazioni detto o detti esponenti siano tenuti a rispondere personalmente ed illimitatamente. Tale ipotesi ricorre quando obbligato o contraente sia una: - società semplice o in nome collettivo della quale l’esponente sia socio; - società in accomandita semplice o in accomandita per azioni, della quale esso sia socio accomandatario; - società di capitali di cui l’esponente sia unico azionista”; e, al par. 4, che “La nozione di obbligazione ‘indiretta’ identifica una fattispecie in cui il rapporto obbligatorio, pur se formalmente riferito ad un soggetto – persona fisica (ad es. coniuge o altro familiare dell’esponente) o giuridica – diverso dall’esponente aziendale, di fatto viene ad instaurarsi in capo a quest’ultimo… Nell’ipotesi di obbligazioni contratte da società si ritiene applicabile l’art. 136 del t.u. ove l’esponente aziendale abbia nella società contraente una posizione di controllo ai sensi dell’art. 23 del t.u.”. 17. V. per tutti Pisani Massamormile, Sub art. 136, in Capriglione, a cura di, Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia2, Padova, 2001, p. 1957, ove riferimenti. è il caso di precisare che le istruzioni della Banca d’Italia del 1999, come risulta dal brano riportato alla nt. precedente, non riconducono espressamente l’ipotesi nell’area
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cui l’esponente bancario avesse il controllo 18. Si tendeva comunque ad escludere le ipotesi in cui l’esponente bancario svolgesse soltanto funzioni di amministrazione, direzione o controllo nella società controparte della banca (c.d. mera coincidenza di cariche) 19 20. Il legislatore del 2005 era intervenuto a troncare una parte dei dubbi in materia, stabilendo espressamente, con il nuovo comma 2-bis, l’applicabilità della regola del “permesso condizionato” ad entrambe le ipotesi maggiormente dibattute, sia cioè al caso in cui l’esponente bancario avesse il controllo della società controparte contrattuale della banca sia anche al caso in cui di tale società l’esponente bancario fosse soltanto amministratore, direttore o sindaco21. Il legislatore del 2012 ha espunto dall’art. 136 le previsioni specifiche del comma 2 e, soprattutto, del comma 2-bis. Il che ha fatto “riemergere” il problema della esatta delimitazione della portata dell’avverbio “indirettamente”, nel senso che si potrebbe essere tentati di (tornare a) dare una lettura ampia di tale termine ricomprendendovi anche e proprio le
delle obbligazioni “indirettamente” assunte dall’esponente bancario. Ma dato che, all’evidenza, non si tratterebbe di obbligazioni “dirette”, l’applicabilità della regola del “permesso condizionato”, affermata da quelle istruzioni, postula il loro inquadramento, appunto, in quell’area. Ed in tal senso le istruzioni vengono comunemente interpretate: v. per tutti Costi, L’ordinamento del credito5, Bologna, 2012, p. 678. 18. In giurisprudenza v., fra le altre, Cass. pen., 20 maggio-21 ottobre 1980, in Cass. pen., 1981, 1165; Trib. Milano, 17 luglio 1978, in Giur. comm., 1979, II, 640; Trib. Milano, 18 settembre 1989, in Foro it., Rep. 1990, voce Banca, n. 9; Cass., 12 dicembre 1995, n. 12733, in Le società, 1996, 419. In dottrina v., fra gli altri, Crespi, L’assunzione indiretta di obbligazioni prevista dall’art. 38 della legge bancaria in un recente responso giudiziario, in Riv. soc., 1976, p. 879; Pisani Massamormile, Sub art. 136, cit., p. 1055 s.; Zambusi, L’infedeltà patrimoniale, cit., p. 173, ove ulteriori riferimenti. 19. V. per tutti Molle, La banca dell’ordinamento giuridico italiano2, a cura di Maimeri, Milano, 1987, pp. 240, 562; Calandra Bonaura, in Calandra Bonaura ed altri, La banca: l’impresa e i contratti, in Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Torino, 2001, p. 161 (in entrambi i necessari riferimenti).L’opinione favorevole ad estendere il meccanismo di “permesso condizionato” anche all’ipotesi della semplice coincidenza di cariche era stata sostenuta da La Villa, Art. 38 della legge bancaria e obbligazioni contratte indirettamente, in Giur. comm., 1979, II, p. 641 s. 20. Sulla base, anche qui, delle Istruzioni di vigilanza, si tendeva talvolta a ritenere che obbligazione indiretta dell’esponente bancario si potesse considerare anche quella assunta dal coniuge o da un parente di quello. Cfr., ancora, Pisani Massamormile, Sub art. 136, cit., pp. 1057-1058. 21. Su questo nuovo assetto v. specificamente Costi, L’ordinamento bancario5, cit., p. 677 ss.
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fattispecie non più oggetto di apposita regolamentazione 22. b. A mio avviso, questa tentazione deve essere recisamente respinta: e per diverse (e molto semplici) ragioni. Da un lato, il legislatore del 2012, sopprimendo puramente e semplicemente i co. 2 e 2-bis dell’art. 136, ha voluto inequivocabilmente escludere dal perimetro del “permesso condizionato” le ipotesi da quei commi previste. Non si può certamente pensare, allora, di “recuperare” queste ipotesi per via interpretativa, leggendo estensivamente l’avverbio “indirettamente”. Va sottolineato che l’art. 136 è una norma penale, in quanto tale di stretta interpretazione 23. Dall’altro, il legislatore del 2005 con la stessa scelta di assoggettare ad una apposita regolamentazione le due ipotesi oggetto di dubbi e discussioni aveva altrettanto inequivocabilmente mostrato di ritenere, per un verso, che tali ipotesi non rientrassero di per sé nell’ambito segnato dall’avverbio “indirettamente” 24 e, per altro verso e correlativamente, che tale avverbio dovesse intendersi riferibile sostanzialmente solo ai casi di interposizione. In altri termini, quel legislatore aveva fornito una sorta di “interpretazione autentica” di quell’avverbio, alla quale, allora, si deve rimanere fedeli. Né, in contrario, si potrebbe invocare l’art. 22 dello stesso t.u.b. il quale stabilisce che per partecipazioni “indirette” nelle banche si debbono intendere “le partecipazioni acquisite o comunque possedute per il tramite di società controllate, di società fiduciarie o per interposta persona»: nell’ambito di una medesima legge uno stesso termine ben può avere, a seconda dei diversi contesti, significati differenti.
22.
I termini del problema sono nitidamente delineati dalla circ. ABI serie legale n. 11 dell’8 agosto 2013, che evita però di prendere posizione. 23. È appena il caso di ricordare, sul punto, l’art. 14 delle preleggi, intitolato “Applicazione delle leggi penali ed eccezionali”, il quale perentoriamente stabilisce: “Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”. 24. Né si potrebbe sostenere che con l’introduzione del comma 2-bis quel legislatore avesse inteso soltanto rendere esplicito ciò che era implicito nel primo comma. Perché la tesi del valore meramente ricognitivo potrebbe avere una qualche plausibilità con riferimento all’ipotesi del controllo, visto l’orientamento interpretativo dominante di cui si è già detto (peraltro, le espressioni usate nella relazione e riportate alla nt. 12 parrebbero smentire quella tesi), ma non potrebbe valere per l’ipotesi della mera coincidenza di cariche, che pressoché unanimemente veniva esclusa dall’ambito del permesso condizionato. Ed appare assai difficile concepire il comma 2-bis come norma per una parte meramente ricognitiva e per l’altra innovativa.
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È il caso di aggiungere che tornare a leggere estensivamente il termine “indirettamente” significherebbe anche frustrare lo scopo dell’intervento del 2012. I due commi che sono stati abrogati avevano sollevato (il discorso aveva riguardato soprattutto il comma 2-bis) molti problemi interpretativi25, che in qualche momento avevano rischiato di inceppare gravemente l’attività deliberativa dei consigli di amministrazione delle banche 26: e proprio questi problemi la normativa del 2012 – che si muoveva, ricordiamo, in un’ottica di semplificazione - ha inteso eliminare alla radice. Una lettura (nuovamente) estensiva riproporrebbe allora tels quels quei problemi (fra cui il problema, di non scarso peso, della identificazione della stessa nozione di controllo da assumere 27), con la conseguenza di far ricadere l’art. 136 in un’area di incertezza sicuramente inappropriata ad un precetto penale 28. c. Resta da dire dell’ipotesi delle obbligazioni assunte da società di cui l’esponente bancario sia socio illimitatamente responsabile. Si tratta di un’ipotesi certamente marginale, tant’è che il legislatore del 2005 non ha ritenuto di prenderla in considerazione né per includerla né per escluderla dal perimetro del “permesso condizionato” e che, d’altra parte, spesso non viene neppure considerata dalla dottrina. È da ritenere, comunque, che essa non rientri in quel perimetro: dal punto di vista dell’interesse sostanziale, nel sistema delle società con soci illimitatamente responsabili, non c’è differenza fra soci con e soci senza respon-
25. Sui quali v., per tutti, Ferro-Luzzi, Le “obbligazioni degli esponenti aziendali”, cit., p. 469 ss. 26. Per Cera, Il sistema dualistico e l’ordinamento bancario, in Riv. soc., 2008, p. 927, il procedimento previsto dai commi 2 e 2-bis era da considerare “inefficiente, costoso…, difficoltoso, forse anche inutile”. In senso analogo v. anche Albamonte, Basso, Capone, Marangoni, La vigilanza sulle banche, in Galanti, a cura di, Diritto delle banche e degli intermediari finanziari,Padova, 2008, p. 564 ss.; Brescia Morra, in Brescia Morra e Morera, L’impresa bancaria. L’organizzazione ed il contratto, Napoli, 2006, p. 256 s.; Lembo, L’art. 136 del t.u.b. nella versione integrata dalla cosiddetta legge sul risparmio - Prime e brevi riflessioni, in Dir. banc., 2006, I, p. 455 ss. 27. In base alle Istruzioni della Banca d’Italia si dovrebbe far riferimento alla nozione di controllo di cui all’art. 23 t.u.b. (v. retro, nt.16); ed in tale senso si è orientata larga parte della dottrina: e v. per tutti Pisani Massamormile, Sub art. 136, cit., p. 1057. Ad avviso di chi scrive, tenuto conto dell’incipit dell’art. 23, che esordisce con l’inequivocabile espressione: “Ai fini del presente capo…”, la nozione di “controllo” da assumere sarebbe in ogni caso la nozione di diritto comune di cui all’art. 2359 c.c. 28. Per il giusto richiamo – a proposito dell’interpretazione dell’avverbio “indirettamente” nell’ambito dell’allora vigente art. 38 l. banc. – alle “esigenze di certezza propria della norma penale” v. Bartulli e Flick, op. cit., p. 1126.
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sabilità illimitata (si ricordi, sotto questo aspetto, che i soci illimitatamente responsabili non necessariamente sono amministratori); dal punto di vista dell’imputazione si potrebbe accettare l’idea dell’obbligazione diretta della società come obbligazione indiretta del socio illimitatamente responsabile solo a patto di condividere la tesi di Bigiavi che qualifica tale socio come imprenditore indiretto, tesi però contrastata dalla giurisprudenza e dalla dottrina di gran lunga prevalenti 29 30. d. In conclusione. L’avverbio “indirettamente” è, a mio avviso, da riferire solo ai casi di interposizione (fittizia o reale) di persona, cioè alle ipotesi in cui l’obbligazione sia contratta (rectius: da contrarre) solo formalmente o apparentemente da un terzo, mentre la controparte reale della banca è l’esponente della medesima. 4. Vengo al secondo ordine di questioni, vale a dire la portata da attribuire all’inciso finale del primo comma dell’art. 136: “fermi restando gli obblighi previsti dal codice civile in materia di interessi degli amministratori e di operazioni con parti correlate”. I termini del problema che qui si intende affrontare – e che, è il caso di precisare, non risulta essere mai stato preso in esame, almeno esplicitamente, dalla dottrina 31 e tanto meno dalla giurisprudenza, essendo emerso soltanto in recenti vicende giudiziarie ancora non definite – sono chiari: si tratta di stabilire se gli obblighi menzionati in tale inciso vengano “attratti” da quelli specificamente indicati nella prima parte dello stesso comma e quindi rientrino anch’essi nell’area del “permesso vincolato”, con la conseguente estensione della sanzione contemplata nell’ultimo comma dell’art. 136 anche alla violazione dei medesimi. a. Non c’è dubbio che, ove sussistano i presupposti per l’applicazione nei confronti degli amministratori di una banca sia dell’art. 136 t.u.b.
29.
Sul punto sia consentito di rinviare ad A. Nigro, La disciplina delle crisi patrimoniali delle imprese. Lineamenti generali, in Tratt. dir. priv. diretto da Bessone, Torino, 2012, p. 164 s. 30. Si è prima (nt. 16, 20) ricordato che un’ulteriore fattispecie di obbligazione indiretta viene ravvisata, dalle Istruzioni della Banca d’Italia, nelle obbligazioni contratte con la banca da familiari dell’esponente bancario, almeno in certe ipotesi. In realtà, è da escludere (al di là, ovviamente, dai casi di interposizione) che il rapporto familiare possa di per sè far ipotizzare un interesse sostanziale personale dell’esponente bancario: in senso analogo, fra gli altri, Bartulli e Flick, op. cit., p. 1124. 31. La quale si è occupata di altri profili, in particolare di quelli ai quali si accenna nella nt. 33.
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sia dell’art. 2391 c.c., entrambe le disposizioni debbano essere osservate 32, con il risultato che la deliberazione con la quale si decida il compimento da parte della banca di un’operazione creditizia che veda come controparte un amministratore dovrà, da un lato ed in relazione all’art. 136, essere assunta all’unanimità dal consiglio di amministrazione e ricevere l’adesione da parte di tutti i componenti del collegio sindacale; e, dall’altro ed in relazione all’art. 2391, essere preceduta da una apposita comunicazione da parte dell’amministratore “interessato” ed essere assistita da una adeguata motivazione in punto di ragioni e convenienza per la banca dell’operazione 33. Questo però, ad avviso di chi scrive, non significa affatto che gli obblighi posti dall’art. 2391 vengano ad assumere, per effetto del loro espresso richiamo, la stessa rilevanza di quelli sanciti dalla prima parte dell’art. 136 ai fini del “permesso condizionato”. Le due serie di obblighi, invece, pur nella loro coesistenza, restano distinte, anche e proprio sotto il profilo delle conseguenze che dalla loro violazione possono derivare, nel senso – per quel che qui soprattutto interessa – che solo la violazione della serie di obblighi specificamente indicati nella prima parte dell’art. 136 può far scattare la sanzione penale di cui al terzo comma del medesimo art. 136. b. Le ragioni che depongono in tal senso sono molte. Innanzi tutto, il modo stesso in cui il richiamo agli obblighi posto dall’art. 2391 è stato inserito nell’art. 136, sotto forma, cioè, di semplice inciso (l’espressione “fermi restando gli obblighi previsti dal codice civile in materia di interessi degli amministratori”), dimostra che il nucleo precettivo dell’art. 136 è rimasto in effetti sempre lo stesso, quello fin dall’origine fondato sul meccanismo della deliberazione unanime del consiglio di amministrazione e del voto favorevole di tutti i sindaci. E che l’intento del legislatore, nell’introdurre il richiamo, non è stato quello di ampliare il ventaglio delle “condizioni” necessarie per il “permesso” di contrarre obbligazioni con la banca, bensì puramente e semplice-
32.
Opinione pacifica: v. per tutti Donato e Fabbri, La tutela penale dell’attività bancaria e finanziaria, in Diritto delle banche, cit., p. 1329. 33. Sui problemi che possono derivare dalla sovrapposizione dei due ordini di prescrizioni (per esempio, in termini di impossibilità per l’amministratore interessato di esprimere un voto diverso da quello favorevole) e le relative soluzioni v. Enriques, La disciplina del conflitto di interessi degli amministratori di s.p.a.: novità e raccordo con le disposizioni in tema di obbligazioni degli esponenti aziendali di banche, in Dir. banc., 2003, I, p. 428 ss.; De Pra, Le obbligazioni, cit., p. 1148 ss.
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mente quello di precisare che il rispetto, da parte degli amministratori di banche, delle formalità espressamente contemplate nella prima parte del primo comma dell’art. 136 non è sufficiente a far ritenere rispettate anche le formalità prescritte dall’art. 2391. Sotto questo aspetto, sembra significativo che l’inserimento dell’inciso in questione abbia avuto luogo, come si è visto prima, in sede di coordinamento fra la normativa codicistica e quella del t.u.b., dove il problema che si poneva, evidentemente, non era quello di rafforzare i presidi penali dell’attività bancaria, bensì quello di assicurare il rispetto delle regole codicistiche anche da parte delle società bancarie. In secondo luogo. L’art. 136, fin dall’origine, si è collocato nella logica di un trattamento uniforme degli esponenti bancari sotto il profilo della possibilità di contrarre obbligazioni con la banca. Ritenere che, per gli amministratori di una banca, le “condizioni” necessarie per il “permesso” di contrarre obbligazioni con la medesima comprendano anche le formalità di cui all’art. 2391 significa introdurre una diversità di trattamento con gli altri esponenti (sindaci, direttori generali), che non sembra ragionevole. Quello che definitivamente convince nel senso prima prospettato è, comunque, la constatazione che la violazione dell’art. 2391 c.c. da parte di un amministratore di banca “interessato” è già, come tale, penalmente sanzionata in via autonoma dall’art. 2629-bis c.c., introdotto, come si è rilevato prima, dalla già ricordata l. n. 262 del 2005. Tale disposizione infatti – sotto la rubrica «Omessa comunicazione del conflitto di interessi» – stabilisce: “L’amministratore o il componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati in mercati regolamentati […] , ovvero di un soggetto sottoposto a vigilanza ai sensi del testo unico di cui al d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 […], che viola gli obblighi previsti dall’art. 2391, primo comma, è punito con la reclusione da uno a tre anni, se dalla violazione siano derivati danni alla società o ai terzi”. Essa conferma, quindi, inequivocabilmente proprio che le due serie di obblighi, quella delineata nella prima parte del primo comma dell’art. 136 e quella indicata nell’art. 2391, pur se concomitanti rispetto ad una medesima operazione, restano in ogni caso distinte e lo restano anche e proprio sotto il profilo sanzionatorio: la prima serie è presidiata dalla sanzione penale dell’ultimo comma del medesimo art. 136; la seconda serie è presidiata e dalla sanzione civilistica dello stesso art. 2391 c.c. e dalla sanzione penale del nuovo art. 2629-bis c. c. è appena il caso di sottolineare che non sembra neppure concepibile l’idea che la violazione di un medesimo precetto normativo (nella specie, quello posto dall’art. 2391 c.c.) possa integrare contemporaneamente, a carico dello
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stesso soggetto, gli estremi di due distinti reati (oltretutto, nella specie, strutturati diversamente, quello ex art. 136 configurandosi come un reato di pericolo e quello ex art. 2629-bis configurandosi invece come un reato di danno). c. Il discorso fin qui fatto, sui rapporti fra art. 136 t.u.b. ed art. 2391 c.c., vale mutatis mutandis anche per i rapporti fra art. 136 ed art. 2391bis c.c. in materia di operazioni con parti correlate. Laddove ne ricorrano gli estremi, anche le prescrizioni di quest’ultima disposizione debbono essere osservate – insieme a quelle ex art. 136 ed ex art. 2391 c.c. – nell’iter del procedimento concernente l’assunzione di obbligazioni da parte di esponenti bancari. Ma questo non significa affatto, ancora una volta, che le prescrizioni dell’art. 2391-bis entrino a far parte delle “condizioni” richieste per il “permesso”.
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L’insolvenza delle società cooperative, tra codice civile e legge fallimentare Sommario: 1. Premessa. – 2. L’insolvenza delle cooperative nel sistema del codice civile. Il passaggio dall’art. 2540 pre-riforma al nuovo art. 2545-terdecies. – 3. Segue. La collocazione topografica della norma. L’insolvenza delle società cooperative tra cause di scioglimento e disciplina dei controlli. – 4. Segue. L’«insolvenza» ex art. 2545-terdecies. – 5. Interessi pubblici ed interessi privati nella disciplina della crisi patrimoniale delle società cooperative. L’accertamento dello stato di insolvenza, tra funzione di vigilanza e potere giurisdizionale. – 6. L’insolvenza delle cooperative «che svolgono attività commerciale».
1. Premessa. L’art. 45, co. 1 Cost., com’è noto, stabilisce che: «La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità». La norma costituzionale testimonia l’interesse pubblico sotteso al soddisfacimento delle istanze solidaristiche dei cittadini, elevandolo a principio ispiratore del nostro ordinamento economico-sociale 1. Per il perseguimento di tale obiettivo, anche questo è noto, gli operatori hanno a disposizione lo strumento della società cooperativa – che, a sua volta, può vestire i panni della società per azioni o, in presenza di certe condizioni, della società a responsabilità limitata –, struttura organizzativa necessariamente destinata allo svolgimento dell’attività di impresa 2, sep-
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Sul punto cfr., per tutti, A. Nigro, Rapporti economici. Articolo 45, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, III, Bologna-Roma, 1980, p. 25 ss. 2 Deve ritenersi, cioè, sussistere «una necessaria ed istituzionale coincidenza fra società ed impresa, senza spazio alcuno per ipotesi di “società senza impresa”»: così, da
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pure caratterizzata dalla «gestione di servizio» a favore del socio, nel che si sostanzia lo scopo mutualistico 3. Già da queste battute introduttive risulta del tutto evidente come, nell’universo cooperativo, gli interessi pubblici e quelli privati siano inscindibilmente connessi, giustificando così la speciale regolamentazione che caratterizza non soltanto la fase fisiologica della vita dell’ente collettivo, ma anche – ed è quello che qui più immediatamente interessa – quella patologica. Ed invero, è proprio alla luce della natura “ibrida”, nel senso appena specificato, della funzione assolta nell’ordinamento dalla società cooperativa che trovano fondamento le disposizioni che ne disciplinano lo stato di insolvenza: disposizioni sparse in molteplici e, per alcuni versi, concettualmente distanti plessi normativi – codice civile, l. n. 400/1975 e l.fall. – e che, anche per tale ragione, paiono non immediatamente armonizzabili, contribuendo così a fare di tali enti un unicum nel panorama dei soggetti delle procedure concorsuali (tradizionali) 4. All’analisi delle possibili interferenze tra la disciplina codicistica e quella propriamente concorsuale dello stato di insolvenza delle società cooperative sono dedicate le osservazioni che seguono.
2. L’insolvenza delle cooperative nel sistema del codice civile. Il passaggio dall’art. 2540 pre-riforma al nuovo art. 2545-terdecies. L’analisi prende le mosse dall’art. 2545-terdecies c.c., norma che, in un certo senso, “rompe” il sistema tradizionale del nostro codice civile che, con riferimento alla regolamentazione dell’insolvenza delle imprese
ultimo, A. Nigro, I soggetti delle procedure concorsuali, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli, Luiso e Gabrielli, I, Torino, 2013, p. 96. Il punto verrà comunque ripreso infra, § 6. 3 Sul punto cfr., per tutti, Verrucoli, La società cooperativa, Milano, 1958, p. 56 ss. 4 Va infatti sottolineato che le società cooperative, anche qualora siano sottratte al fallimento (perché esercenti attività agricola o perché di modeste dimensioni, ex art. 1 l.fall.), sono comunque assoggettabili a l.c.a., restando così fuori dall’ambito di applicazione delle procedure concorsuali legate alla crisi da sovraindebitamento. Sul punto, in un’ottica più generale, sia consentito il rinvio a A. Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, Appendice di aggiornamento, 2013, disponibile on line sul sito http://www.mulino.it/edizioni/volumi/appendici/ procedimenti_composizione_crisi.pdf.
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(anche di quelle collettive), si ritrae per lasciare il campo alle leggi complementari e, in primis, ovviamente, al r.d. n. 267/1942. A seguito della riforma del diritto societario del 2003, la disposizione contenuta inizialmente nell’art. 2540 si ritrova, con alcune modifiche, nel nuovo art. 2545-terdecies 5. Nella sua formulazione originaria, tale disposizione prevedeva che l’autorità governativa alla quale spetta il controllo sulla società cooperativa poteva disporre la liquidazione coatta amministrativa della stessa quando le attività della società non fossero risultate sufficienti per il pagamento dei debiti, precisando, altresì, che erano «tuttavia» soggette al fallimento le società cooperative «che hanno per oggetto un’attività commerciale, salve le disposizioni delle leggi speciali». L’attuale formulazione della norma si differenzia dalla precedente, per ciò che: da un lato, v’è l’esplicito richiamo all’«insolvenza» – quale condizione al ricorrere della quale scatta il potere/dovere dell’autorità governativa di porre in l.c.a. l’ente cooperativo –, in luogo dell’insufficienza delle attività rispetto ai debiti 6; dall’altro lato, con specifico riferimento alle cooperative «che svolgono attività commerciale» 7, scompare il «tuttavia» per far posto all’«anche», chiarendo così definitivamente l’assoggettabilità di queste ultime ad entrambe le procedure concorsuali (liquidazione coatta amministrativa e fallimento: c.d. doppio binario) 8;
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Art. 2545-terdecies - Insolvenza «In caso di insolvenza della società, l’autorità governativa alla quale spetta il controllo sulla società dispone la liquidazione coatta amministrativa. Le cooperative che svolgono attività commerciale sono soggette anche al fallimento. La dichiarazione di fallimento preclude la liquidazione coatta amministrativa e il provvedimento di liquidazione coatta amministrativa preclude la dichiarazione di fallimento». 6 Secondo Bonsignori, Il fallimento delle società. Gli aspetti processuali, in Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, X, Padova, 1988, p. 92, l’espressione utilizzata nel vecchio art. 2540 doveva essere interpretata come sinonimo di insufficienza di attivo, non già di insolvenza ex art. 5 l.fall.; di diverso avviso, tra gli altri, Bassi, Le società cooperative, Torino, 1995, p. 313, sulla scorta del dato letterale desumibile dalla rubrica dell’articolo. Peraltro, nonostante la modifica intervenuta, v’è ancora chi ritiene che l’insolvenza di cui all’articolo in commento sia altro rispetto all’insolvenza ex art. 5 l.fall. (sul punto si tornerà infra, § 4). 7 Espressione tecnicamente più corretta rispetto a società cooperative che «hanno per oggetto un’attività commerciale»: sul punto v. più diffusamente infra, § 6. 8 Sugli orientamenti seguiti nel vigore dell’originario art. 2540 c.c. in ordine all’assoggettabilità delle cooperative commerciali “anche” o “solo” al fallimento cfr., per tutti, Bassi, Le società cooperative, cit., p. 313-314.
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dall’altro ancora, e sempre per le cooperative commerciali, viene meno la salvezza delle «disposizioni delle leggi speciali». Quest’ultima modifica potrebbe essere interpretata come volontà del legislatore della riforma di attribuire alla regola del doppio binario la valenza di principio inderogabile applicabile a tutte le società cooperative commerciali, indipendentemente da quanto stabilito, sul punto, dalla singola legge speciale: con la conseguenza che, ad esempio, le banche di credito cooperativo sarebbero assoggettabili (anche) a fallimento, nonostante quanto stabilito dall’art. 80 t.u.b. Tale interpretazione sarebbe però da scartare 9, e per almeno due ordini di motivi. In primo luogo, perché una voluntas legislatoris in tal senso è tutt’altro che evidente – nella Relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 6/2003, non v’è, invero, alcun cenno a questo presunto cambio di indirizzo –, dovendosi, dunque, la disposizione contenuta nell’art. 2545-terdecies ritenersi tuttora recessiva, in quanto generale, rispetto all’eventuale disposizione contraria contenuta nella legge speciale (arg. ex art. 2520, co. 1 c.c.) 10. In secondo luogo, perché non si scorge, invero, alcuna ragione per elevare tale regola a principio assoluto (o elemento tipologico caratterizzante), mentre permangono i motivi che, nel sistema previgente, hanno indotto i legislatori speciali a preferire, per alcune categorie di imprese ed indipendentemente dalla forma giuridica utilizzata per l’esercizio dell’attività economica, la procedura concorsuale amministrativa al fallimento 11. L’ultima modifica recata dalla riforma è rappresentata dal nuovo secondo comma che sancisce il criterio della prevenzione, stabilendo che per le cooperative commerciali per le quali vige la regola del doppio binario,
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Conf., tra gli altri, Bonfante, La nuova società cooperativa, Bologna, 2010, p. 436; De Mari, Le procedure concorsuali, in Le cooperative prima e dopo la riforma del diritto societario, a cura di Marasà, Padova, 2004, p. 754. 10 Per ottenere un diverso risultato, sarebbe stato necessario modellare la disposizione codicistica sulla falsariga dell’art. 194, co. 2 l.fall., che, com’è noto, abrogò le previgenti disposizioni sulla l.c.a., contenute nelle leggi speciali, incompatibili con (alcune di) quelle introdotte dalla legge fallimentare del 1942. 11 Sulle ragioni che hanno spinto il legislatore italiano a preferire, per le imprese che operano nel mercato finanziario (comprese le cooperative bancarie ed assicurative), la l.c.a. al fallimento, sia consentito il rinvio a Vattermoli, Le cessioni «aggregate» nella liquidazione coatta amministrativa delle banche, Milano, 2001, p. 51 ss.
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l’apertura della l.c.a. preclude la dichiarazione di fallimento e viceversa 12. Si tratta, in verità, di una modifica solo formale, giacché identico principio poteva già ricavarsi dalla legge fallimentare e, più in particolare, dagli artt. 2, co. 3 e 196 l.fall. 13. Ciò nonostante, come si vedrà meglio più avanti 14, la presenza del co. 2 dell’art. 2545-terdecies è importante per affermare la possibilità, per l’autorità amministrativa, di accertare autonomamente lo stato di insolvenza delle società cooperative.
3. Segue. La collocazione topografica della norma. L’insolvenza delle società cooperative tra cause di scioglimento e disciplina dei controlli. La disposizione codicistica sull’insolvenza delle cooperative è posta in chiusura della Sezione (la V del Capo I del Titolo VI) relativa alle modifiche dell’atto costitutivo, subito dopo la norma sullo scioglimento e prima di quelle sui controlli. La collocazione topografica della norma in commento sembra risentire pesantemente dell’impostazione tradizionale che individuava nel provvedimento dell’autorità governativa, che consegue all’accertamento dello stato di insolvenza, una causa di scioglimento della società cooperativa; impostazione che portava, altresì, parte della dottrina a ritenere destinata inesorabilmente all’estinzione la società sottoposta alla procedura collettiva amministrativa 15. In verità, come attenta dottrina aveva evidenziato ancor prima della riforma del diritto societario 16, né la dichiarazione di fallimento né il
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Per una critica sia alla regola del doppio binario, sia alla utilizzazione del criterio della priorità temporale per le cooperative commerciali insolventi, cfr. Castiello d’Antonio, La nuova disciplina concorsuale delle società cooperative, in Il rapporto banca-impresa nel nuovo diritto societario, a cura di Bonfatti e Falcone, Milano, 2004, p. 349; Morara, Il sistema dei controlli, in La riforma delle società cooperative, a cura di Genco, Milano, 2003, p. 289. 13 Evidenzia questo aspetto, tra gli altri, Paciello, Commento sub art. 2545-terdecies, in La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, 4, Torino, 2003, p. 215. 14 Infra, § 5. 15 Sostenevano la funzione estintiva della l.c.a., tra gli altri, U. Belviso, Tipologia e normativa della liquidazione coatta amministrativa, Napoli, 1973, p. 184; Andrioli, La liquidazione coatta amministrativa delle aziende di credito, in Riv. banc., 1940, p. 425. 16 Sostengono la funzione esecutiva o satisfattoria della l.c.a., tra gli altri, A. Nigro, Le società per azioni nelle procedure concorsuali, in Trattato delle società per azioni, diretto
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provvedimento di l.c.a. incidono, in quanto tali, immediatamente e definitivamente sul contratto o sul rapporto sociale; impostazione, quest’ultima, che ha trovato esplicita conferma – almeno per le società di capitali – nel nuovo testo dell’art. 2484 c.c. (richiamato, per le cooperative, dall’art. 2545-duodecies), il quale, com’è noto, non contempla più, tra le cause di scioglimento, l’apertura di una delle due procedure concorsuali. Ciò significa che il provvedimento di l.c.a., così come l’eventuale dichiarazione di fallimento per le cooperative “commerciali”, non ha una intrinseca e necessitata valenza dissolutiva della società 17. La disciplina dell’insolvenza delle cooperative sembrerebbe invece inserirsi perfettamente in quella dei controlli 18, considerando che è alla stregua delle risultanze ispettive del ministero o delle revisioni dell’associazione di rappresentanza alla quale l’ente aderisce, che l’autorità di vigilanza 19 adotta il provvedimento di apertura della procedura. La disposizione in commento, in particolare, sembra presentare più di un punto di contatto con l’art. 2545-septiesdecies c.c. – questo sì inserito nella sezione dedicata ai controlli –, norma che consente all’autorità di vigilanza di imporre lo scioglimento della cooperativa per motivi non
da Abbadessa e Portale, 9**, Torino, 1993, p. 311; Bonsignori, Della liquidazione coatta amministrativa, in Comm. Scialoja-Branca. Legge fall., a cura di Bricola, Galgano e Santini, Bologna-Roma, 1974, p. 68. Tale interpretazione trova conferma nella disciplina del concordato di liquidazione delle imprese di assicurazione e di quelle bancarie (e cfr., rispettivamente, artt. 263, co. 2 c.ass. e 94, co. 2 t.u.b). 17 Gli effetti della l.c.a. (o del fallimento) sul contratto e sull’organizzazione sociale debbono essere verificati al termine della procedura: la società si estingue, cioè, soltanto nell’ipotesi in cui tutto il patrimonio dell’impresa collettiva sia stato liquidato e non vi sia la volontà dei soci di ristabilire la piena operatività dell’ente. Sul punto cfr., da ultimo e per tutti, A. Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali2, Bologna, 2012, p. 429-430. 18 In generale, sul sistema dei controlli nei confronti delle società cooperative v., per tutti, Cusa, Il controllo amministrativo sulle cooperative, in Giur. comm., 2012, I, p. 220 ss.; Bonfante, La nuova società, cit., p. 403 ss.; Marano, Vigilanza governativa e controllo giudiziario sulle società cooperative, in Giur. comm., 2004, I, p. 24. 19 L’autorità amministrativa che esercita il controllo sulle cooperative è, di norma, il Ministero dello sviluppo economico, «salvo per le banche popolari, per le cooperative di assicurazione, per i consorzi agrari, per le cooperative edilizie a contributo erariale, per le cooperative con sede nelle regioni a statuto speciale per le quali la vigilanza spetta (…) a soggetti diversi» (così Bonfante, La nuova società, cit., p. 405-406). Più in particolare, il d.P.R. 28 novembre 2008, n. 197, recante il «Regolamento di riorganizzazione del Ministero dello sviluppo economico», assegna la vigilanza sul sistema cooperativo alla “Direzione generale per le piccole e medie imprese e gli enti cooperativi” (art. 7, d.P.R. n. 197/2008).
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necessariamente legati ad una crisi patrimoniale; scioglimento che può anche trasformarsi in liquidazione coatta – ove vi sia, appunto, attivo da liquidare – disciplinata, non a caso, dalla stessa legge che regola la l.c.a. ex art. 2545-terdecies (l. n. 400/1975) 20. Del resto, l’art. 12 d.lgs. n. 220/2002 (contenente “Norme in materia di riordino della vigilanza sugli enti cooperativi”) 21 espressamente stabilisce che «Il ministero, sulla base delle risultanze emerse in sede di vigilanza, valutate le circostanze del caso, può adottare i seguenti provvedimenti: a) (…); e) liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’articolo 2540 (oggi 2545-terdecies) c.c.» 22. Peraltro, nonostante quanto potrebbe far pensare la disposizione testé menzionata, l’autorità di vigilanza, accertato lo stato di insolvenza della cooperativa, non semplicemente “può”, ma “deve” ordinare l’apertura della l.c.a. 23. Si tratta, a ben vedere, dell’unica misura sanzionatoria non discrezionale adottabile dall’autorità 24, ciò che si giustifica considerando che l’insolvenza incide immediatamente sui rapporti esterni all’impresa cooperativa e, in particolare, sui creditori, con possibili ricadute sul tessuto economico in cui opera il debitore (c.d. effetto domino), che è necessario contenere attraverso l’apertura della procedura collettiva amministrativa.
4. Segue. L’«insolvenza» ex art. 2545-terdecies. Si è già avuto modo di osservare come l’attuale formulazione dell’art. 2545-terdecies differisca dall’originario art. 2540 per ciò, tra l’altro, che in
20 Per un quadro generale della l.c.a. delle cooperative ex l. n. 400/1975 cfr., da ultimo, Cannavò, Liquidazione coatta amministrativa e concordato nelle società cooperative, Milano, 2010, passim. 21 Sul quale cfr. Pallotti, La riforma del sistema di vigilanza delle cooperative alla luce del d.lgs. n. 220/2002 (primi approcci operativi), in Riv. dir. impr., 2004, p. 53 ss. 22 L’art. 12 d.lgs. n. 220/2002 ha sostituito l’abrogato art. 11 della c.d. Legge Basevi (d.lg.c.p.s. 14 dicembre 1947, n. 1577), rubricato “Effetti delle ispezioni”, nel quale però non era previsto, tra gli strumenti sanzionatori, il provvedimento di l.c.a. 23 Evidenzia questo aspetto anche Cannavò, Liquidazione, cit., p. 88. 24 Ed invero, sia per la gestione commissariale (art. 2454-sexiesdecies); sia per lo scioglimento forzoso (art. 2545-septiesdecies); sia per la sostituzione dei liquidatori (art. 2545-octiesdecies), è stabilito che l’autorità di vigilanza «può» adottare la relativa misura sanzionatoria. Inoltre, lo stesso art. 12, co. 2 d.lgs. n. 220/2002 stabilisce che tutti i provvedimenti sanzionatori che, ai sensi del precedente co. 1, può assumere il Ministero, debbono essere adottati «sentita la Commissione centrale delle cooperative», ad eccezione, appunto, del provvedimento di apertura della l.c.a., ex art. 2545-terdecies.
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esso viene fatto esplicito riferimento all’insolvenza come condizione al ricorrere della quale scatta l’obbligo per l’autorità di vigilanza di disporre la l.c.a. Occorre ora chiedersi se l’insolvenza di cui fa menzione la norma codicistica coincida o meno con il presupposto oggettivo delle procedure concorsuali disciplinato, in via generale, dall’art. 5 l.fall. La risposta, ad avviso di chi scrive e nonostante alcune voci contrarie 25, non può che essere positiva. Ed invero. Dal punto di vista letterale, va ricordato che nel diritto delle procedure concorsuali (di tutte le procedure concorsuali) il termine “insolvenza” è sempre utilizzato per esprimere il medesimo concetto: ovvero, l’impossibilità per il debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Dal punto di vista sistematico, poi, l’interpretazione qui privilegiata risulta del tutto coerente con l’architettura generale del modello l.c.a. L’insolvenza, invero, è presupposto sufficiente (sebbene non necessario) per l’apertura della procedura amministrativa, determinando il suo accertamento l’obbligo per l’autorità di vigilanza di adottare il provvedimento relativo (come chiaramente emerge, pur se con specifico riferimento all’accertamento giudiziario, dall’art. 195, co. 4 l.fall.): esattamente quanto accade, per le società cooperative, in caso di accertamento dell’insolvenza, ex art. 2545-terdecies.
5. Interessi pubblici ed interessi privati nella disciplina della crisi patrimoniale delle società cooperative. L’accertamento dello stato di insolvenza, tra funzione di vigilanza e potere giurisdizionale. A. Come si è avuto modo di anticipare all’inizio di questo studio, la particolare posizione ricoperta dalle società cooperative nel tessuto eco-
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Per tutti, Bonfatti e Censoni, Manuale di diritto fallimentare4, Padova, 2011, p. 589, secondo i quali il provvedimento ex art. 2545-terdecies potrebbe essere adottato anche in ipotesi di insufficienza dell’attivo; conf. Cannavò, Liquidazione coatta, cit., p. 87-88; Castiello d’Antonio, La nuova disciplina, cit., p. 346. Nel senso del testo, da ultimo, Cusa, Il controllo amministrativo, cit., p. 239, nt. 74, il quale giustamente evidenzia come l’insufficienza di attivo – che riprende l’originaria formulazione dell’art. 2540 c.c. – «potrebbe diventare il presupposto del provvedimento di cui all’art. 2545-septiesdecies c.c., se tale insufficienza potesse ricondursi all’ipotesi in cui la cooperativa non sia più “in condizione di raggiungere gli scopi per cui” è stata costituita»; nonché Pupo, Commento sub artt. 2545 octies-2545 terdecies, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Mafferi Alberti, V, Padova, 2005, p. 2918.
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nomico e sociale del nostro ordinamento giustifica la speciale disciplina della crisi patrimoniale delle medesime; le regole relative all’accertamento dello stato di insolvenza rappresentano, forse, la più chiara testimonianza dell’intreccio di interessi, pubblici e privati, coinvolti dal dissesto dell’ente mutualistico. B. Sin qui si è parlato, genericamente, di “accertamento” dello stato di insolvenza; si è anche detto che l’art. 2545-terdecies, nonostante la sua collocazione topografica, contribuisce in realtà a comporre lo strumentario a disposizione dell’autorità di vigilanza nell’esercizio dell’attività di controllo sulle società cooperative. A ben vedere, tuttavia, alcune delle osservazioni precedenti poggiano su di un assunto ancora non dimostrato, ovvero che l’insolvenza della società cooperativa possa essere accertata (anche) dalla autorità di vigilanza: ed è alla dimostrazione di tale assunto che occorre ora dedicarsi. Se si presta attenzione esclusivamente alla disciplina concorsuale, l’idea che sia la pubblica amministrazione, e non l’autorità giudiziaria, ad accertare lo stato di insolvenza di un’impresa sembrerebbe del tutto estranea al nostro sistema: è il tribunale, invero, che accerta e dichiara lo stato di insolvenza dell’impresa fallita (art. 16 l.fall.); è ancora il tribunale che accerta e dichiara lo stato di insolvenza dell’impresa assoggettabile ad amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, versione “comune” (art. 3 d.lgs. n. 270/1999) e versione “speciale” (art. 4 d.l. 347/2003, convertito con modifiche nella l. n. 39/2004); e, soprattutto, è sempre al tribunale che compete accertare e dichiarare lo stato di insolvenza dell’impresa assoggettabile a liquidazione coatta amministrativa, sia prima (art. 195 l.fall.), sia dopo (art. 202 l.fall.) l’apertura della procedura 26. Per le società cooperative, lo si è detto, la disciplina concorsuale di riferimento è quella contenuta nella l. n. 400/1975, il cui art. 1 così recita: «La liquidazione coatta amministrativa delle società cooperative disposta ai sensi dell’articolo 2540 (oggi 2545-terdecies) del codice civile, la liquidazione delle società cooperative conseguente allo scioglimento della società per atto dell’autorità (…), sono disciplinate dalle norme generali sulla liquidazione coatta amministrativa contenute nel titolo V del regio decreto
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Senza contare, poi, che anche al di fuori della legge fallimentare, alcune leggi speciali espressamente attribuiscono all’autorità giudiziaria il compito di accertare e dichiarare lo stato di insolvenza di specifiche imprese sottoposte a l.c.a. [è quanto accade, ad esempio, per le banche (art. 82 t.u.b.) e per le imprese di assicurazione (art. 248 cod. ass.)].
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16 marzo 1942, n. 267, salvo quanto previsto dalle leggi speciali e – in ogni caso – dalle disposizioni della presente legge». Scorrendo gli articoli successivi è agevole constatare che nessuna norma specifica, in realtà, è dettata con riferimento all’accertamento dello stato di insolvenza: da ciò si desume che gli artt. 195 e 202 l.fall. si applicano anche alle cooperative. La ritenuta applicabilità delle norme che disciplinano l’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza non esclude, però, che vi possa essere anche un accertamento amministrativo di tale stato. In particolare, sembra corretto ritenere che l’autorità amministrativa possa autonomamente accertare lo stato di insolvenza 27, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2545-terdecies, durante l’espletamento dell’attività di vigilanza che, com’è noto, avviene tramite le revisioni cooperative 28 (che hanno sostituito le “ispezioni ordinarie” previste dalla legge Basevi) e le ispezioni straordinarie 29. A convincere di ciò concorre, per un verso, il già ricordato art. 12, lett. e) d.lgs. n. 220/2002, che include il provvedimento di l.c.a. tra gli “Effetti della vigilanza” e che non sembra essere venuto meno a seguito delle modifiche introdotte dalla riforma del diritto societario; e, per altro verso e soprattutto, dallo stesso tenore letterale dell’art. 2545-terdecies c.c. Ed invero.
27 Conf. Giorgi, Commento sub art. 2545-terdecies, in Società cooperative. Commentario, a cura di Presti, Milano, 2007, p. 510; Pupo, Commento sub artt. 2545 octies-2545 terdecies, cit., p. 2919, secondo il quale «la riforma non ha introdotto novità di sorta per ciò che concerne i legittimati all’accertamento dell’insolvenza». Contra, Cotronei, Insolvenza e liquidazione coatta della cooperativa, in Riv. coop., n. 3/2003, p. 19. 28 Le revisioni cooperative sono effettuate o dal Ministero, a mezzo di revisori da esso indicati; oppure dalle Associazioni nazionali di rappresentanza, alle quali l’ente aderisce, a mezzo di revisori da esse indicati (art. 2, co. 2 e 3 d.lgs. n. 220/2002). La revisione cooperativa, oltre alla funzione di fornire agli organi di direzione e di amministrazione degli enti suggerimenti e consigli per migliorare la gestione ed il livello di democrazia interna e quella di accertare la natura mutualistica dell’ente, è finalizzata – ed è ciò che qui più interessa – ad accertare «la consistenza dello stato patrimoniale, attraverso l’acquisizione del bilancio d’esercizio, delle relazioni del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, nonché, ove prevista, della certificazione di bilancio» (art. 4, d.lgs. n. 220/2002). 29 «Le ispezioni straordinarie sono disposte dal Ministero sulla base di programmati accertamenti a campione, di esigenze di approfondimento derivanti dalle revisioni cooperative ed ogni qualvolta se ne ravvisi l’opportunità» e sono eseguite da funzionari del Ministero (art. 8, co. 1 e 2 d.lgs. n. 220/2002); esse hanno ad oggetto l’accertamento, tra l’altro ed ai fini che qui più interessano, della «consistenza patrimoniale dell’ente e lo stato delle attività e delle passività» [art. 9, co. 1 lett. e), d.lgs. n. 220/2002].
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Il primo periodo del co. 1 stabilisce che in caso di insolvenza della società cooperativa (espressione che deve ritenersi riferita, in difetto di ulteriori specificazioni, a qualsiasi cooperativa) 30, l’autorità governativa dispone la l.c.a. 31; il secondo periodo del medesimo comma precisa, poi, che le cooperative commerciali sono soggette anche al fallimento. Ora, se l’accertamento dell’insolvenza fosse di competenza esclusiva dell’autorità giudiziaria, è evidente che le società cooperative commerciali sarebbero soggette, in caso di insolvenza, solo – e non anche – al fallimento 32. Nei confronti di queste ultime, infatti, non potrebbe trovare applicazione il primo periodo della disposizione (difettando, per ipotesi data, il potere di accertamento in capo all’autorità di vigilanza), né potrebbe operare l’accertamento (giudiziario) preventivo dello stato di insolvenza, ex art. 195 l.fall., tale disposizione applicandosi alle sole imprese escluse dal fallimento 33. Peraltro, tale risultato si porrebbe in contrasto non soltanto con il primo comma, ma anche con il criterio della prevenzione richiamato dal secondo comma della disposizione in commento, perché se fosse vero che l’autorità amministrativa non può accertare lo stato di insolvenza e se, conseguentemente, fosse vero, per le ragioni appena esposte, che le società cooperative commerciali sono soggette esclusivamente al fallimento, del tutto inutile sarebbe la regola che disciplina il concorso tra
30 Nello stesso senso Ceccherini e Schirò, Società cooperative e mutue assicuratrici, Milano, 2003, p. 217 ss.; G. Trimarchi, Le nuove società cooperative, Milano, 2004, p. 221. 31 Non deve essere preso in considerazione il passo della Relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 6/2003, nella parte in cui precisa, riferendosi all’art. 2545-terdecies, che la procedura di l.c.a. è esperibile quando le leggi speciali la prevedano, in quanto non tiene conto delle modifiche al testo della norma intervenute nei vari passaggi parlamentari che hanno poi portato all’attuale formulazione della disposizione in commento. Nello stesso senso, evidenziando il vuoto normativo che si determinerebbe rispetto all’insolvenza delle cooperative agricole adottando una diversa interpretazione del passo della Relazione, Pupo, Commento sub artt. 2545 octies-2545 terdecies, cit., p. 2917. 32 Così, infatti, gli autori che negano la possibilità dell’accertamento amministrativo dello stato di insolvenza: Cotronei, Insolvenza, cit., p. 19. 33 Sul punto, da ultimo, Trib. Udine, 10 febbraio 2012, disponibile on line sul sito www.unijuris.it, nella quale è stato respinto il ricorso, presentato dall’autorità di vigilanza (nella specie, la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia), per la dichiarazione dello stato di insolvenza di una società cooperativa che svolgeva attività commerciale, sulla base, proprio, del combinato disposto degli artt. 195 l.fall. e 2545-terdecies c.c. (il tribunale, peraltro, non ha neppure potuto dichiarare il fallimento, in quanto non era stata presentata istanza in tal senso da nessuno dei legittimati ex art. 6 l.fall.).
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le due procedure, un concorso tra le stesse non potendo mai verificarsi. I rilievi che precedono potrebbero, tuttavia, essere superati – recuperando così la coerenza del sistema – sulla base della considerazione che l’autorità amministrativa può assumere, nei confronti delle cooperative commerciali, i provvedimenti ex art. 2545-septiesdecies, che, come si è già anticipato, possono condurre alla l.c.a. dell’ente, senza passare per l’accertamento dell’insolvenza. Se si considera anche questa forma di liquidazione si potrebbe, quindi, dire – ed in effetti è stato detto 34 –, che, nonostante l’impossibilità per l’autorità di vigilanza di accertare autonomamente lo stato di insolvenza, le cooperative commerciali possono essere sottoposte a l.c.a. (ex art. 2545-septiesdecies, appunto) ed “anche” fallire (attribuendo così un significato al primo comma), con la possibilità, dunque, di un concorso tra le due procedure collettive (da regolare secondo il criterio della prevenzione di cui al co. 2). Una tale ricostruzione non può tuttavia essere accolta. La disposizione in commento, invero, si riferisce all’insolvenza della cooperativa (come, del resto, risulta dal testo e dalla stessa rubrica della norma) e tratta dell’accertamento e degli effetti che l’accertamento di tale stato determina, sia in generale, rispetto cioè a tutte le cooperative, sia con specifico riferimento a quelle che svolgono attività commerciale. In altri termini, l’art. 2545-terdecies si occupa della l.c.a. (e del fallimento) solo in quanto diretta conseguenza dello stato di insolvenza della società cooperativa. Quanto sin qui sostenuto trova poi puntuale conferma nei dati offerti dalla prassi, dai quali si desume che le società cooperative, comprese quelle che svolgono attività commerciale, vengono assoggettate a l.c.a. sulla base, proprio, dell’accertamento “amministrativo” dello stato di insolvenza 35. C. Come anticipato, alle società cooperative insolventi debbono ritenersi applicabili – in virtù del rinvio ex art. 1, l. n. 400/1975 – le disposizioni, contenute nella legge fallimentare, che disciplinano l’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza, ossia gli artt. 195 e 202 l.fall. La constatata possibilità per l’autorità di vigilanza di accertare autonomamente tale stato impone, ora, di delineare i rapporti tra le due forme di accertamento.
34 Cotronei, Insolvenza, cit., p. 20, ripreso anche da Bonfante, Commento sub art. 2545-terdecies, in Il nuovo diritto societario. Commentario, a cura di Cottino ed altri, III, Bologna, 2004, p. 2664. 35 Conf. Morara, Commento sub art. 2545-terdecies, in Codice commentato delle nuove società, a cura di Bonfante, Corapi, Marziale, Rordorf e Salafia, Milano, 2004, p. 1068.
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Quello “amministrativo”, si è visto, consegue all’attività di controllo – operata dall’autorità di vigilanza, direttamente o per mezzo delle Associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo, alle quali l’ente vigilato aderisce – e si fonda sulle risultanze della revisione o dell’ispezione straordinaria; quello giudiziario, invece, è adottato – all’esito del procedimento avente ad oggetto, appunto, l’accertamento dell’impossibilità per il debitore di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni – con sentenza dal tribunale del luogo dove la cooperativa ha la sede principale. Il primo può essere oggetto di osservazioni e controdeduzioni, da presentare alla stessa autorità di vigilanza, e, in un momento cronologicamente successivo, di impugnazione in senso stretto, unitamente al provvedimento di l.c.a., dinanzi al TAR competente per territorio; il secondo, sia esso intervenuto prima (art. 195, co. 5, l.fall.) o dopo (art. 202, co. 2, l.fall.) l’apertura della l.c.a., oppure sia contenuto nella sentenza dichiarativa di fallimento (art. 16), può essere oggetto di reclamo in corte d’appello, ex art. 18 l.fall. Quel che più interessa, tuttavia, è la diversità degli effetti che l’uno e l’altro determinano. L’accertamento amministrativo dello stato di insolvenza rileva solo ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2545-terdecies, obbligando l’autorità di vigilanza a disporre la l.c.a. della società cooperativa, con tutto ciò che ne consegue 36, e non determina, dunque, quegli effetti, ulteriori rispetto a quelli prodotti dalla mera apertura della procedura e sui quali ci soffermeremo subito appresso, che la legge fallimentare ricollega direttamente all’accertamento dello stato di insolvenza da parte del tribunale. Per quel che concerne l’accertamento giudiziario, occorre distinguere secondo la natura dell’attività svolta dalla cooperativa: a) per le società cooperative commerciali, l’accertamento può essere “contenuto” nella sentenza dichiarativa di fallimento, ex art. 16 l.fall., emessa anteriormente al provvedimento di l.c.a., nel qual caso, in virtù del criterio della prevenzione, la cooperativa non può più essere assoggettata alla procedura amministrativa; può essere anteriore all’apertura della l.c.a. per quelle cooperative (es. banche) non assoggettabili a fallimento, determinando gli effetti ex art. 195 l.fall.; oppure può essere
36 Conf., seppure implicitamente, Schettini, Le cooperative, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di Ghia, Panzani, Piccininni e Severini, I, Torino, 2010, p. 206.
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accertato successivamente all’apertura della procedura di liquidazione disposta ex artt. 2545-terdecies o 2545-septiesdecies, co. 2 c.c. ed 1, l. n. 400/1975, rendendo applicabili anche a tali procedure le norme in tema di azioni revocatorie fallimentari (art. 203, co. 1 l.fall.) e le disposizioni penali contenute nel Titolo VI della legge fallimentare (art. 237 l.fall.) 37; inoltre, pur se l’art. 2545-terdecies non ne fa menzione, è indubbio che, ricorrendone i presupposti, le società cooperative “fallibili” possano essere assoggettate ad amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, potendo dunque l’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza di queste ultime intervenire ex artt. 3 d.lgs. n. 270/1999 e 4 d.l. 347/2003, anche in tal caso determinando l’impossibilità di aprire la procedura di l.c.a. 38; b) per le società cooperative non commerciali, l’accertamento può essere sia anteriore sia successivo all’apertura della procedura concorsuale amministrativa: nel primo caso, la sentenza deve essere comunicata, entro tre giorni, dal tribunale all’autorità di vigilanza affinché disponga la l.c.a.; nel secondo caso, invece, si producono i consueti effetti di cui agli artt. 203 e 237 l.fall. Resta da chiarire un ultimo punto. Come si è avuto modo di osservare, l’art. 195, co. 1 l.fall. consente l’accertamento (giudiziario) preventivo dello stato di insolvenza soltanto nei confronti delle imprese soggette a «liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento»: ma a quali imprese si riferisce, a quelle che per legge sono assoggettabili esclusivamente a liquidazione coatta amministrativa o anche a quelle che, pur assoggettabili, teoricamente, ad entrambe le procedure, non sono fallibili in quanto di modeste dimensioni, ex art. 1 l.fall. o sotto-soglia, ex art. 15, ult. co. 39 l.fall.?
37 È dunque possibile che lo stato di insolvenza di una società cooperativa venga accertato due volte, la prima dall’autorità amministrativa e la seconda dall’autorità giudiziaria: nello stesso senso cfr., per tutti, Bonfante, La nuova società, cit., p. 439. Non è ben chiaro, peraltro, che cosa accada nell’ipotesi in cui gli accertamenti siano di segno opposto (ossia: accertamento dello stato di insolvenza, da parte dell’autorità amministrativa e accertamento di non sussistenza dello stato di insolvenza, da parte del tribunale). 38 Nello stesso senso, da ultimo, Motti, Le liquidazioni coatte amministrative, in Abriani ed altri, Manuale breve di diritto fallimentare2, Milano, 2013, p. 437 39 Sul punto si segnala, da ultimo, Cass., 22 aprile 2013, n. 9681 (in Banca dati Leggi d’Italia), chiamata a pronunciarsi in ordine alla legittimità dell’accertamento preventivo dello stato di insolvenza di una società cooperativa presentante un ammontare di debiti scaduti e non pagati inferiore a 30 mila euro. Secondo la Suprema Corte, l’art. 15 ult. co.
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Quest’ultima, a parere di chi scrive, è l’alternativa maggiormente convincente. La ragione che giustifica l’impossibilità per il tribunale di (limitarsi a) dichiarare lo stato di insolvenza di alcune imprese risiede, a ben vedere, nella stessa regola del doppio binario e nel connesso criterio della prevenzione. La sentenza di fallimento, com’è noto, è una sentenza di accertamento: sia della qualità di imprenditore commerciale, di non modeste dimensioni, di natura privata; sia dello stato di insolvenza del debitore. La dichiarazione di fallimento non può dunque prescindere dall’accertamento dello stato di insolvenza 40; non può esservi, cioè, un accertamento successivo all’apertura della procedura, come avviene nella l.c.a. Orbene, se un’impresa può essere dichiarata fallita ed essere sottoposta a l.c.a. è evidente che il tribunale non può limitarsi ad accertare, nei suoi confronti, lo stato di insolvenza: o meglio, non può farlo prima che sia aperta la procedura amministrativa, perché quell’accertamento è funzionale all’apertura della procedura giudiziaria e perché diversamente svuoterebbe di contenuto il criterio della prevenzione. Ma se l’impresa che è governata dalla regola del doppio binario non è, nel caso concreto, fallibile – in quanto di modeste dimensioni o presentante un’esposizione debitoria inferiore alla soglia fissata dall’art. 15, ult. co. l.fall. –, allora vengono meno le ragioni che giustificano la limitazione contenuta nell’art. 195 l.fall., in quanto quell’accertamento non può essere funzionale alla dichiarazione di fallimento e non può comunque entrare in giuoco il criterio della prevenzione.
6. L’insolvenza delle cooperative «che svolgono attività commerciale». Per le società cooperative insolventi che svolgono attività commerciale, si è visto, vige la regola del doppio binario, potendo essere assogget-
non si applica alla procedura di l.c.a., atteso che, per un verso, né nella normativa dettata, in generale, in tema di l.c.a. né in quella specifica dettata per le cooperative insolventi, v’è alcun richiamo, diretto o indiretto, alla condizione oggettiva di procedibilità stabilita dall’art. 15, ult. comma; e, per altro verso, la tutela degli interessi pubblici coinvolti nella crisi delle imprese soggette alla procedura concorsuale amministrativa deve ritenersi prevalente rispetto alle esigenze di opportunità e di efficienza economica a cui dà risposta la norma da ultimo menzionata. Per un commento alla sentenza sia consentito il rinvio a Vattermoli, Questioni nuove e vecchi equivoci in tema di società cooperative insolventi, di prossima pubblicazione su RDS. 40 Salvi casi eccezionali, espressamente disciplinati dalla legge, come quello del c.d. “fallimento in estensione” dichiarato nei confronti del socio illimitatamente responsabile della società fallita, ex art. 147 l.fall.
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tate sia a fallimento sia a l.c.a. 41. Occorre ora definire cosa debba intendersi con l’espressione «cooperative che svolgono attività commerciali». Sul punto si registra, soprattutto in giurisprudenza 42, una gran confusione, determinata principalmente dalla sovrapposizione di piani che, invece, dovrebbero rimanere nettamente distinti: quello della struttura; quello dello scopo e, infine, quello dell’oggetto dell’attività dell’ente cooperativo 43. Solo a quest’ultimo, in particolare, occorrerebbe rivolgere l’attenzione per individuare le cooperative cui allude il secondo periodo del co. 1 dell’art. 2545-terdecies 44. Si dovrebbe cioè dire che la cooperativa è commerciale, quando l’attività da essa svolta – concretamente svolta, anche se non contemplata nell’atto costitutivo o nello statuto 45 – ha natura commerciale, ossia, secondo l’interpretazione che si ritiene preferibile, non agricola (ex art. 2135 c.c.) 46. Per il resto, se un ente è qualificabile “società cooperativa”, ai sensi e per gli effetti degli artt. 2511 ss. c.c., nessun dubbio dovrebbe
41 Sulla c.d. regola del doppio binario cfr., oltre agli Autori citati retro (nt. 12), Fauceglia, Luci e ombre nella nuova disciplina delle società cooperative, in Corr. giur., 2003, p. 1393 ss. 42 Una rassegna delle pronunce rese in tema di “commercialità” dell’impresa cooperativa può leggersi in De Mari, Le procedure, cit., p. 747 ss.; ed in G. Trimarchi, Le nuove società, cit., p. 221 ss. 43 Ad alimentare tale confusione è intervenuta, da ultimo, Cass., 22 aprile 2013, n. 9681, cit., nella quale, seppure implicitamente, viene ritenuto che una società cooperativa a mutualità “esclusiva” o “pura”, in quanto svolgente attività di costruzione e vendita di appartamenti a favore dei soli soci, non sarebbe, per ciò stesso, “commerciale”, ai sensi e per gli effetti degli artt. 2545-terdecies c.c. e 195 l.fall. 44 Nello stesso senso, seppure in un’ottica più generale, Piscitello, Modelli organizzativi dell’impresa e fallimento: le imprese societarie, in Aa.Vv., Manuale breve, cit., p. 109. 45 E cfr., per tutte, Cass., 24 febbraio 1986, n. 1104, in Dir. fall., 1986, II, 501. Da questo punto di vista, come si diceva in principio, deve essere salutata con favore la modifica, introdotta con la riforma del 2003, rispetto al testo dell’originario art. 2540 c.c., nel quale si faceva riferimento alle cooperative che avevano «per oggetto» un’attività commerciale. Del resto, anche nel vigore della precedente disciplina la dottrina più attenta non dubitava che ai fini dell’individuazione della cooperativa “commerciale” si dovesse far riferimento (anche) all’oggetto concreto perseguito e non soltanto a quello dichiarato (sul punto cfr., per tutti, Buonocore, Diritto della cooperazione, Bologna, 1997, p. 354); dello stesso avviso anche la giurisprudenza (per gli opportuni richiami cfr. Ceccherini e Schirò, Società cooperative, cit., p. 219, nt. 2). 46 Sui termini generali della questione – che in questa sede non può neanche essere sfiorata – relativa all’individuazione dell’impresa commerciale e sugli orientamenti che, sul punto, si contendono il campo, cfr., per tutti, A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, passim.
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porsi in ordine alla natura imprenditoriale (ex art. 2082 c.c.) dell’attività da essa svolta 47. Così, ad esempio, si dovrebbe dire che la società cooperativa svolge attività di impresa propriamente detta, anche nell’ipotesi in cui destina i beni ed i servizi, da essa prodotti od erogati, esclusivamente ai soci (c.d. mutualità pura). L’idea che, in tal caso, si sarebbe in presenza della c.d. “impresa per conto proprio” 48, come tale non qualificabile come impresa (e men che meno, evidentemente, impresa commerciale), sembra il frutto di un vero e proprio equivoco, quello cioè di ritenere l’ente collettivo ed i soci che lo compongono un unico soggetto di diritto 49. Così, ancora, nessuna interferenza dovrebbe esistere tra la natura dell’attività svolta e lo scopo che attraverso di essa si intende perseguire 50, essendo ormai chiaro, per un verso, che lo scopo lucrativo non rientra tra i requisiti richiesti dall’ordinamento per aversi attività di impresa e, per altro verso, che non v’è affatto incompatibilità tra scopo mutualistico, scopo lucrativo (oggettivo) ed esercizio di attività commerciale 51.
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47 Nello stesso senso cfr., per tutti, Bassi, Le società, cit., p. 315, il quale giustamente evidenzia come «l’attività mutualistica posta in essere dalle società cooperative è, per opzione legislativa, sempre attività di impresa». 48 In tal senso cfr., per tutti, Ceccherini, Mutualità ed attività commerciale nelle cooperative edilizie, in Il fallimento, 1987, p. 867 e, da ultimo, sembrerebbe, Schettini, Le cooperative, cit., p. 195. Per una sintesi della giurisprudenza sul punto cfr. Ruperto (coord.), La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, Articoli 21352246, Milano, 2012, p. 629. 49 Conf., sul punto, Pupo, Commento sub artt. 2545 octies-2545 terdecies, cit., p. 2918, nt. 81, ove ulteriori riferimenti di dottrina, anche contraria. 50 In termini estremamente chiari, sul punto, Genco e Vella, Il diritto delle società cooperative, Bologna, 2011, p. 153: «La commercialità dell’impresa è (…) un attributo che coinvolge esclusivamente l’oggetto sociale, e non è assolutamente connesso allo scopo sociale verso il quale l’attività è orientata (distribuzione degli utili o realizzazione di un servizio mutualistico)». 51 E cfr., da ultimo e per tutti, Marasà, Lucro, mutualità e solidarietà nelle imprese. (Riflessioni sul pensiero di Giorgio Oppo), in Giur. comm., 2012, I, p. 204.
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L’equity crowdfunding tra incentivi al reperimento di capitale di rischio per start up innovative e responsabilità Sommario: 1. Delimitazione soggettiva del crowdfunding e nuovi obbiettivi della disciplina dei mercati finanziari. – 2. Il crowdfunding come mercato primario per strumenti che rappresentano capitale di rischio. – 3. I gestori di “diritto” del portale. – 4. Segue. La qualificazione dell’attività del gestore di diritto. – 5. Segue. Altre attività del gestore di diritto del portale. – 6. Il gestore del portale “iscritto”. – 7. Segue. La qualificazione dell’attività di gestione del portale posta in essere da un gestore iscritto e regimi di responsabilità. – 8. Segue. Gli obblighi informativi e re-sponsabilità del gestore iscritto. – 9. Segue. Attività informativa ulteriore fornita dal gestore iscritto. – 10. Considerazioni finali
1. Delimitazione soggettiva del crowdfunding e nuovi obbiettivi della disciplina dei mercati finanziari. Il sistema dell’equity crowdfunding italiano, introdotto dall’art. 30 d.lgs. 179/2012 e dal relativo regolamento di attuazione della Consob 26 giugno 2013, regola e incentiva la raccolta di capitale di rischio presso un pubblico diffuso di investitori per imprese innovative 1 attraverso speciali piattaforme online (c.d. “portali crowdfunding”) 2. Il campo di applicazione della disciplina italiana è limitato soggettivamente alle c.d.
1
Art. 1, co. - 5 novies t.u.f., introdotto dall’art. 30, co. 1 d.l. 179/2012. Sul fenomeno del crowdfunding e sulle esperienze estere v. Bollettinari, Il crowdfunding: la raccolta del capitale tramite piattaforme on-line nella prassi e nella recente legislazione, in Il nuovo diritto delle società, 2/2013, p. 9 ss.; sui diversi modelli di crowdfunding v. Fregonara, Il crowdfunding: un nuovo strumento di finanziamento per le start up innovative, p. 5 ss. (reperibile presso www.orizzontideldirittocommerciale.it/media/24242/fregonara_e.pdf); Laudonio, La folla e l’impresa: prime riflessioni, p. 3 ss. (reperibile presso http://www.orizzontideldirittocommerciale.it/media/24322/ laudonio_a_def.pdf). 2.
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start up innovative 3: si tratta di società di capitali, società cooperative, di diritto italiano, nonché di società europee residenti in Italia che presentano una serie di requisiti obbligatori cumulativi 4 e/o alternativi 5 e che siano iscritte in un’apposita sezione del Registro delle imprese. Tale delimitazione soggettiva induce ad alcune osservazioni preliminari. Sotto un primo profilo la scelta pare costituire un elemento culturalmente qualificante della disciplina italiana che introduce nella regolamentazione dei mercati finanziari, tradizionalmente rivolti alla capitalizzazione delle imprese e alla tutela degli investitori 6, peculiari
3.
La locuzione start-up innovativa comprende, ex art. 5 - novies t.u.f., anche le “startup a vocazione sociale”, che operano nei settori indicati all’art. 2 co. 1 d.lgs. 155/2006. 4. Ai fini della qualificazione come start up innovativa, la società deve avere in Italia la sede principale dei propri affari o interessi, avere un totale del valore della produzione non superiore a 5 milioni di euro, non distribuire utili, avere come oggetto sociale esclusivo o prevalente la produzione o commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto contenuto tecnologico, non essere costituita a seguito di operazioni straordinarie. 5. L’art. 25 dispone che la società deve essere in possesso di almeno un requisito relativo a spese in ricerca e sviluppo, personale qualificato dipendente o collaboratore a qualsiasi titolo, possesso di creazione a contenuto tecnologico. Su quest’ultimo profilo si fa riferimento al fatto che la società sia “titolare, licenziataria o depositaria” di un titolo di privativa industriale. Il concetto di “depositario” non è pienamente intellegibile ed è forse segno di una svista nella redazione della norma. Esso fa verosimilmente riferimento al caso in cui la start up abbia soltanto depositato la domanda di brevetto. Tale interpretazione pare coerente con il fatto che una società neocostituita difficilmente potrà trovarsi nella condizione di avere già ottenuto un titolo brevettuale. La norma non fa invece riferimento al caso in cui la start up sia titolare di una licenza sulla domanda di brevetto. Mi pare che anche quest’ultima ipotesi debba ritenersi ammissibile, non tanto sulla base di una interpretazione estensiva del concetto di licenza quanto da una lettura complessiva della norma che da un lato include nei regimi di appartenenza rilevanti anche la mera sussistenza di un diritto personale di godimento (nel caso della licenza) e dall’altro include (nel caso della interpretazione qui prospettata) anche la domanda di brevetto. Tale interpretazione sarebbe poi coerente sotto un profilo teleologico con il fine del legislatore di incentivare la realizzazione di rapporti collaborativi tra imprese attraverso spin off e reti di imprese e così valorizzare la possibilità che la start up diventi titolare di licenze anche su mere domande depositate. Tale impostazione “a rete” pare funzionale al modello italiano costituito da piccole e medie imprese spesso in grado di sviluppare innovazioni radicali ma che necessitano di strumenti che facilitino una efficace collaborazione mantenendo bassi costi di transazione. In questo senso è da accogliere positivamente la decisione del legislatore di espungere dalla disciplina la condizione che il capitale della start up sia detenuto per il 51% da persone fisiche. 6. Sulle finalità della regolamentazione dei mercati finanziari v. Capriglione, Finalità della supervisione ed articolazione dei controlli pubblici, in L’ordinamento finanziario italiano, a cura di Capriglione, Padova, 2010, p. 249 ss.
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obbiettivi “verticali” di incentivo alla innovazione. Ciò secondo forse una generale tendenza degli ordinamenti contemporanei a promuovere l’innovazione 7 attraverso strumenti (e nell’ambito di discipline) diversi da quelli tipicamente convergenti con tale obiettivo, come il diritto industriale 8. Sotto un secondo profilo la scelta (del legislatore italiano) di destinare solo alle imprese innovative questo strumento di capitalizzazione si distingue dall’altro modello di regolazione dell’equity crowdfunding (quello statunitense) che è invece “orizzontale” 9 poiché prescinde dal tipo di attività svolta dall’impresa che si rivolge al pubblico dei piccoli investitori in rete 10. Tale scelta presenta di per sé alcuni evidenti profili critici, la cui valutazione non costituisce oggetto del presente lavoro, ma che meritano quantomeno menzione quali (i) la intrinseca difficoltà di affidare a una normativa di settore e a parametri rigidi e scarni l’identificazione del concetto stesso di impresa innovativa; (ii) il fatto di accrescere le già rilevanti asimmetrie informative che caratterizzano la
7.
Si pensi, oltre al caso della disciplina italiana del crowdfunding, anche alla disciplina olandese che incentiva lo stabilimento di imprese innovative attraverso una imposizione fiscale di favore relativa al reddito derivante dallo sfruttamento di diritti di proprietà intellettuale (c.d. patent box). 8. L’uso del termine “convergenza” è (qui volutamente) ambiguo ma pare opportuno in quanto semanticamente idoneo ad includere il riferimento sia al modello europeo della proprietà intellettuale, ove la promozione della innovazione è indiretta e realizzata attraverso un sistema di norme che consente al legislatore una sostanziale libertà nel disciplinare i diritti di proprietà intellettuale, sia al modello statunitense, ove l’espressa funzionalizzazione di tale disciplina alla promozione del Progresso è radicata in una norma costituzionale (l’art. I.8.8 della Costituzione), limita il potere del Congresso di legiferare in tale materia e orienta l’interpretazione dell’intera disciplina sostanziale della proprietà intellettuale che da tale norma costituzionale trae fondamento (con l’esclusione pertanto della disciplina del segreto industriale che è di competenza statale e la disciplina dei marchi per la quale il Congresso legifera sulla base della c.d. Commerce Clause); v. Ottolia, The Public Interest and Intellectual Property Models, Torino, 2010. 9. Sulla regolamentazione del crowdfunding negli USA cfr. Pinto, L’equity based crowdfunding in Italia al di fuori delle fattispecie regolate dal “Decreto Crescita”, in Le società 2013, p. 819. 10. Il tema risulta oggetto di attenzione anche a livello comunitario con particolare riferimento alle PMI; v. Regolamento n. 1287/2013/UE, che nel definire un programma di competitività per le imprese indica, tra le azioni per migliorare l’accesso delle PMI ai finanziamenti, la possibilità di sviluppare altri meccanismi finanziari innovativi, tra cui il finanziamento collettivo (crowdfunding), in base alla domanda del mercato (art. 8, co. 2). Sulla peculiarità della scelta italiana di consentire questa forma di finanziamento solo alle start up innovative v. Laudonio, La folla e l’impresa: prime riflessioni, p. 17, reperibile presso l’indirizzo internet http://www.orizzontideldirittocommerciale.it/media/24322/ laudonio_a_def.pdf.
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negoziazione a distanza e in rete con quelle tipicamente caratteristiche di un’impresa innovativa, per giunta di nuova costituzione 11. Nel presente lavoro si intendono considerare in particolare i profili relativi alla responsabilità dei gestori dei portali di crowdfunding nella disciplina italiana. Con riferimento all’attività svolta da banche e imprese di investimento questa pare doversi ricondurre alla disciplina di settore relativa ai servizi di investimento e al problema della qualificazione dell’attività come collocamento o intermediazione 12. Diversamente, per gli altri soggetti gestori del portale di crowdfunding (c.d. gestori iscritti 13) l’attività comporta la semplice predisposizione di una piattaforma per mettere in contatto investitori e utenti senza la possibilità di sottoscrivere il collocamento e chiudere l’operazione e si pone fuori dal regime di applicazione dei servizi di investimento 14. Questa seconda tipologia di attività pare rientrare nell’ampio genus (che definirei convenzionalmente) degli infomediari 15 digitali fra cui rientrano svariate tipologie di attività online caratterizzate dal fatto (i) di essere attività di intermediazione tra utenti (professionisti e consumatori) di beni (materiali e immateriali) e servizi basate su piattaforme che gestiscono dati; (ii) di essere incentrate nella riduzione di asimmetrie informative e costi di transazione in rete anche attraverso la ideazione di modelli di volta in volta innovativi 16; (iii) di essere idonee a interagire con un utente che può essere ad un tempo fornitore e fruitore di contenuti e servizi. Rispetto agli altri infomediari digitali, tuttavia, il crowdfunding si caratterizza per la presenza di peculiari interessi meritevoli di tutela che giustificano
11. Sull’impatto delle asimmetrie informative in materia di crowdfunding si rimanda a Ferrarini – Ottolia, Corporate Disclosure as a Transaction Cost: The Case of SMEs, in European Review of Contract Law 2013, 9(4), pp. 1-24; sul punto v. infra sub nt. 72. 12 V. infra parr. 3, 4 e 5. 13 V. infra parr. 6, 7, 8 e 9. 14. Il legislatore italiano si è avvalso della facoltà prevista dall’art. 3 co. 1 della MiFID, v. infra sub par. 6. 15. Il termine infomediario che mi pare convenzionalmente adatto per designare la tipologia di attività descritta, viene invece generalmente (ma ancora marginalmente) usato in una accezione diversa e più settoriale per riferirsi alla attività dei soggetti che raccolgono e gestiscono dati (personali) di specifici utenti al fine di consentire loro una più efficiente individuazione di beni e servizi (v. in quest’ultimo senso Hagel – Rayport, The Coming Battle for Customer Information, in Harv. Business Review 1997, 53 ss.). 16. Si pensi alle soluzioni innovative realizzate da infomediari come sistemi di vendita online come eBay e social network come Facebook o Twitter per facilitare la riduzione dei costi di transazione e la interazione tra utenti.
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l’applicazione di norme cogenti le quali a loro volta possono limitare in modo significativo la possibilità per l’intermediario di impostare la propria attività e conformare i propri servizi alle esigenze delle attività in rete 17. Da questa tensione, che è fonte delle maggiori criticità del crowdfunding, dipenderà l’effettiva idoneità di tale strumento a costituire una valida alternativa per il reperimento di capitale di rischio per le imprese innovative.
2. Il crowdfunding come mercato primario per strumenti che rappresentano capitale di rischio Le offerte al pubblico realizzate attraverso il portale on line devono essere dirette a offrire agli investitori strumenti che rappresentino capitale di rischio. Nell’attuare questa indicazione della norma primaria, il regolamento della Consob circoscrive le forme di investimento nella start up innovativa agli investimenti in “strumenti finanziari”. Questa locuzione è intesa nel regolamento in un senso convenzionale differente da quello indicato nel t.u.f. 18 riferendosi qui alle “azioni ed alle quote di partecipazione al capitale sociale previste dal decreto” 19. Considerato che le start up innovative possono assumere anche la forma di s.r.l., il riferimento alle quote rappresentative di capitale è diretto ad includere le quote di s.r.l. 20 Il d.l. n. 179/2012 deroga al principio generale secondo cui le quote di capitale di s.r.l. non possono essere oggetto di offerta al pubblico di quote, prevedendo espressamente che il divieto non vige
17.
La tensione tra la necessità di preservare una particolare libertà nella concezione dei modelli di piattaforme infomediarie rispetto a regole pensate per contesti operazionali diversi è confermata dal fatto che l’attività di alcuni di essi si basi proprio sull’affievolimento della applicazione di talune discipline: si pensi alla parziale disapplicazione della disciplina dei dati personali per alcuni social networks (Ottolia, Privacy e social networks: profili evolutivi della tutela dei dati personali, in AIDA, 2011, p. 360 ss.). Non è pensabile che in materia di equity crowdfunding si possa assistere a una simile “elasticità” di regole cogenti: sia di quelle “speciali” dettate specificamente per il crowdfunding, sia di altre regole generali quali quelle relative alla responsabilità dell’internet provider (su cui v. infra sub par. 9). 18 Cfr. art. 1 co. 2 t.u.f. 19 Cfr. art. 2, lett. h, del Regolamento Consob. 20. Le quali non sarebbero strumenti finanziari ai sensi della definizione dell’art. 1 co. 2 t.u.f. ma prodotti finanziari.
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per le s.r.l. che usufruiscono del regime delle start up innovative 21. Il fatto che tali partecipazioni al capitale non siano incorporate in titoli che hanno i requisiti di legittimazione per circolare attraverso il regime dei titoli di credito, o comunque in strumenti negoziabili, non impedisce che le stesse siano oggetto di questa particolare tipologia di offerta al pubblico22. Infatti i portali non sono mercati di negoziazione di titoli (ove dunque la negoziabilità del titolo è condizione di funzionamento del sistema) ma sono rivolti a collocare gli stessi nella sola fase di immissione iniziale sul mercato o di aumento di capitale 23. Tale interpretazio-
21.
Art. 26, co. 5 d.l. 179/2012. Per le quote di s.r.l. rimane tuttavia il divieto di essere rappresentate da azioni. 22. La raccolta di capitale di rischio attraverso il portale on-line ha ad oggetto prodotti finanziari e consiste in comunicazioni al pubblico contenenti informazioni per la loro sottoscrizione. Essa quindi rientra in linea di principio all’interno della disciplina sulle offerte al pubblico di prodotti finanziari che ruota attorno alla pubblicazione di un prospetto informativo, alla revisione dei bilanci, a particolari modalità di svolgimento dell’offerta nonché alla sottoposizione ad obblighi informativi. L’art. 30 co. 3, d.l. 179/2012 ha introdotto nel t.u.f. un nuovo art. 100-ter diretto a regolare l’offerta al pubblico realizzata attraverso il portale. Esso riguarda le offerte al pubblico condotte esclusivamente attraverso uno o più portali le quali devono avere per oggetto la sottoscrizione di strumenti finanziari (intesi nel senso convenzionale di azioni e quote rappresentative del capitale) emessi dalle start up innovative per un corrispettivo totale inferiore a quello determinato dalla Consob ai sensi dell’art. 100, co. 1, lett. c) t.u.f. La disciplina sull’offerta pubblica stabilisce una serie di situazioni che non ricadono nel suo ambito di applicazione in quanto non ricorre la necessità di offrire adeguata tutela al risparmiatore. Una di queste è proprio l’ipotesi in cui l’ammontare complessivo risulti inferiore a quello fissato dalla Consob (art. 100, co. 1, lett. c) t.u.f.) che attualmente è di 5.000.000 di euro. Nel caso in cui ricorrano tutte le suddette condizioni – l’utilizzo esclusivo del portale on line per la realizzazione dell’offerta; l’oggetto dell’offerta consistente nella sottoscrizione di strumenti finanziari; il corrispettivo totale dell’offerta inferiore a 5.000.000 di euro – le operazioni di raccolta sono sottratte al regime generale in materia di offerte al pubblico di sottoscrizione e sono soggette ad un regime speciale. Le regole previste per l’offerta al pubblico realizzata attraverso portali on-line sono significativamente diverse in quanto si fondano sia su obblighi informativi che su obblighi comportamentali a favore degli investitori. Fra questi ultimi in particolare sono previsti: l’obbligo di sottoscrizione da parte di investitori professionali (o di altre particolari categorie di investitori) di una quota degli strumenti finanziari offerti, quando l’offerta non sia riservata esclusivamente a clienti professionali, e la definizione di strumenti di tutela degli investitori diversi dai clienti professionali nel caso di passaggio del controllo nella start-up innovativa; lo statuto della start-up innovativa deve poi contenere una clausola che attribuisca il diritto di recesso dalla società ovvero il diritto di covendita delle partecipazioni nel caso in cui i soci, successivamente all’offerta, trasferiscano il controllo a terzi che non siano investitori professionali o fondazioni bancarie o incubatori di start-up innovative (art 24). 23. Esso insiste nella fase del c.d. mercato primario e non riguarda invece il mercato secondario e cioè la trattazione di titoli già immessi sul mercato.
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ne pare discendere dalle norme che fanno riferimento alle sole offerte in sottoscrizione e dal fatto che nei diversi adempimenti relativi alle offerte al pubblico effettuate attraverso il portale si presuppone sempre un rapporto diretto tra gestore dello stesso ed emittente 24. Il riferimento contenuto nella disciplina primaria (relativa ai gestori di portali) agli ordini di compravendita di strumenti 25 potrebbe trovare giustificazione nell’ipotesi in cui l’operazione di offerta sia rivolta interamente a un collocatore professionale che sottoscriva il titolo con l’impegno di offrirlo successivamente sul mercato. Rilevata così la indifferenza della scelta dello strumento giuridico con cui è rappresentata la partecipazione, il divieto di incorporazione in un’azione non esclude però che, al fine di facilitare le operazioni connesse all’offerta del crowdfunding, le quote di s.r.l. possano essere rappresentate dai c.d. certificati di quota. Si tratta di un fenomeno che si è già presentato nella prassi operativa in cui la società emittente rilascia un certificato che ha una mera funzione probatoria della qualità e della misura della partecipazione del socio 26. La condizione che gli strumenti che possono costituire oggetto di una offerta sul portale appartengano alla categoria del “capitale di rischio” rileva sotto due profili. (i) In primo luogo deve escludersi che possano essere oggetto di offerta attraverso il portale tutte quelle figure di strumenti finanziari ascrivibili alla figura dei titoli di debito. È questa una particolarità del modello italiano di crowdfunding rispetto ad analoghe esperienze sulla raccolta di capitale attraverso la rete: la disciplina del crowdfunding contenuta nel JOBS Act statunitense fa riferimento alle transazioni riguardanti l’offerta o la vendita da parte di un emittente di “securities”, termine che secondo la definizione contenuta nell’art. 2 (a) 1 del Securities Act del 1933 comprende sia titoli azionari che obbligazioni, nonché anche opzioni, certificati di deposito, security based swap. (ii) Sotto un ulteriore profilo la locuzione “capitale di rischio” assume un significato ristretto e circoscritto dalla Consob alle sole azioni e quote rappresentative del capitale 27. Tale definizione rende problematica l’applicazione dell’offerta attraverso crowdfunding a tipologie di strumenti di raccolta di capitale che non determinano una partecipazione al capitale
24. Si pensi ad esempio che le informazioni da pubblicare sull’offerta sono rese dall’emittente, cfr. art. 13, co. 2, del Regolamento Consob; v. anche nuovo art. 100 - ter t.u.f. 25 Cfr. art. 50-quinquies t.u.f. 26. Bianchi, Feller, Art. 2468, in Commentario alla riforma delle società, a cura di Marchetti, Milano, 2008, p. 311. 27 Art. 2, lett. h, Regolamento Consob.
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sociale inteso in senso proprio, e non attribuiscono di conseguenza agli investitori la qualifica di soci, pur essendo forme di partecipazione al rischio d’impresa nel senso che il soggetto sopporta in modo pieno il rischio di perdita del valore apportato alla società. La riconduzione di tali strumenti al capitale di rischio segue quel filone dottrinario che descrive la struttura finanziaria della società sulla distinzione tra capitale di rischio e capitale di credito 28 e che, sulla base di precisi dati normativi 29, individua l’elemento discriminante tra capitale di rischio e capitale di credito non facendo perno sulla formale attribuzione della qualifica di socio derivante dal titolo quanto sulla partecipazione al rischio d’impresa derivante dalla configurazione giuridica dei titoli. Sono così titoli di rischio quelli che non attribuiscono un diritto alla restituzione dell’apporto; sono titoli di debito quelli che attribuiscono tale diritto anche se condizionato nei tempi e nell’entità dall’andamento economico della società. Seguendo questa impostazione si potrebbero ampliare i confini degli strumenti attraverso cui raccogliere capitale di rischio ricomprendendovi anche gli strumenti finanziari partecipativi di cui all’articolo 2346 u.co. c.c. che costituiscono il paradigma concettuale dello strumento di raccolta di capitale di rischio non costituito da azioni. Una delle possibili applicazioni per incentivare la raccolta di capitale per iniziative innovative potrebbe essere l’istituzione di patrimoni destinati cui collegare l’emissione di specifici strumenti finanziari di partecipazione che sarebbero idonei a valorizzare non tanto il profilo della capitalizzazione del soggetto quanto dell’attività (innovativa).
3. I gestori di ”diritto” del portale L’attività di gestione del portale, nonché la raccolta degli ordini e il perfezionamento della sottoscrizione possono essere svolti da banche e imprese di investimento autorizzate ai relativi servizi di investimento in quanto legittimate per principio all’esercizio di attività riconducibili nell’alveo dei servizi di investimento (da qui “gestori di diritto” dei portali crowdfunding).
28.
Costi, Strumenti finanziari partecipativi e non partecipativi, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Abbadessa e Portale, Torino, 2006, vol. I, p. 729 ss. 29. Si pensi all’art. 2325-bis c.c. sulle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e all’art. 2447-ter c.c. sull’emissione di strumenti finanziari di partecipazione all’affare di patrimoni destinati.
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Per questi soggetti il d.l. 179/2012 ed il connesso regolamento Consob non prevedono alcuno specifico onere poiché evidentemente quando esercitano attività riconducibili a servizi di investimento (cui è riconducibile l’attività di gestione del portale) 30 essi sono già di diritto assoggettati alle relative regole stabilite dal t.u.f. 31. Queste ultime saranno poi applicabili al rapporto tra gestore e investitori a seconda del tipo di servizio finanziario posto in essere 32. Saranno applicabili in particolare il regime previsto dagli artt. 21 ss. t.u.f. sullo svolgimento dei servizi e delle attività d’investimento e dagli artt. 26 ss. del connesso regolamento intermediari 33 nonché il regime applicabile di tutela dell’investitore, secondo le innovazioni introdotte nel nostro ordinamento dall’attuazione della direttiva Mifid 34, differenziato a seconda della tipologia di servizi di investimento 35 ed a seconda della categoria dell’investitore come a) cliente al dettaglio; b) cliente professionale; c) controparte qualificata. Nel caso del crowdfunding, in considerazione del fatto che lo strumento di raccolta è rivolto ad un pubblico di risparmiatori diffusi per importi di modeste dimensioni sarà applicabile il regime del cliente al dettaglio: e così in particolare graveranno sul gestore gli obblighi informativi in
30.
La disciplina specifica in tema di crowdfunding non si applica pertanto ai gestori di diritto. La Consob ha tuttavia raccomandato, in considerazione delle peculiarità di questo sistema di raccolta di capitali, che “la disclosure resa agli investitori in merito all’attività di gestione del portale ed alle caratteristiche delle operazioni di investimento in start up innovative dovrà tenere conto delle prescrizioni contenute negli artt. 14, 15, 16 del regolamento” sulla raccolta di capitali tramite portali on-line (Comunicazione Consob n. 0066128 del 1° agosto 2013). Questo significa che anche i gestori di diritto dovranno rendere le suddette informazioni richieste per i gestori iscritti. Gli obblighi informativi richiesti dalla disciplina sui servizi di investimento dovranno quindi essere integrati nell’eventualità in cui coprano tutte le informazioni richieste per il crowdfunding. I gestori di diritto sono anche tenuti ad acquisire una serie di informazioni dal cliente che si distinguono a seconda che essi esercitino consulenza e gestione di portafogli oppure un servizio di investimento diverso da questi. 31. In questo senso si esprime chiaramente la Consob affermando che i rapporti tra gestori e investitori seguono le regole stabilite dal t.u.f. per lo svolgimento dei servizi di investimento. Questa posizione è riportata nel documento di consultazione Consob del 29 marzo 2013, 6 ss. (reperibile presso http://www.consob.it/main/regolamentazione/ consultazioni/index.html). 32. Sui caratteri della operatività dei gestori di diritto v. Fregonara, cit., p. 12 ss.. 33 Si tratta del regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007. 34 Direttiva 2004/39/CE. 35. Per una ricostruzione del regime v. Gabrielli, Lener, Mercati, strumenti finanziari e contratti di investimento dopo la Mifid, in I contratti del mercato finanziario, a cura di Gabrielli e Lener, Torino, 2011, p. 33.
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ordine all’intermediario e ai servizi prestati 36, alla salvaguardia degli strumenti finanziari e delle somme di denaro della clientela 37, alla natura e ai rischi degli strumenti finanziari 38, ai costi per la prestazione del servizio 39.
4. Segue. La qualificazione dell’attività del gestore di diritto Il gestore di diritto potrà effettuare l’attività di crowdfunding nelle diverse modalità in cui si possono effettuare i servizi di investimento indicati dall’art. 1, co. 5 del t.u.f. 40. La qualificazione dell’attività del gestore può tuttavia rilevare ai fini della individuazione del regime di responsabilità cui questi potrà essere sottoposto in merito alle informazioni rese dagli emittenti. Si potrebbe infatti sostenere che, nel caso di qualificazione dell’attività come ricezione e trasmissione di ordini, e pertanto come mera attività di intermediazione, l’autonomia che caratterizza la prestazione conduca a escludere una responsabilità del gestore per le informazioni rese dall’emittente, fatte salve quelle che il gestore sia evidentemente in grado di conoscere come non veritiere e fatto salvo l’obbligo di far conoscere a tutte le parti le circostanze che possono influire sulla conclusione dell’affare o sulla sua conclusione dello stesso a condizioni diverse da quelle ipotizzate41. Diversamente, nel caso di attività di collocamento, le informazioni predisposte dall’emittente potranno essere considerate proprie (anche) dell’intermediario gestore il quale sarà gravato da una
36
Art. 29 Regolamento Intermediari. Art. 30 Regolamento Intermediari. 38 Art. 31 Regolamento Intermediari. 39 Art. 32 Regolamento Intermediari. 40. In base all’art. 1, co. 5 t.u.f. nella nozione di “servizi e attività di investimento” rientrano, quando hanno per oggetto strumenti finanziari: a) la negoziazione per conto proprio; b) l’esecuzione di ordini per conto dei clienti; c) la sottoscrizione e/o collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente; d) il collocamento senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente; e) la gestione di portafogli; f) la ricezione e trasmissione di ordini; g) la consulenza in materia di investimenti; g) La gestione di sistemi multilaterali di negoziazione. 41. Cass., 15 marzo 2006, n. 5777. Le circostanze sono quelle conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, v. Cass., 24 ottobre 2003, n. 16009, in Foro It. 2004, I, 455, con nota di Caputi. 37
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obbligazione di risultato in merito alla veridicità e correttezza di tutte le informazioni comunque rese dall’emittente. Questa conclusione deriverebbe dal regime di responsabilità previsto dal t.u.f. in tema di offerta al pubblico di prodotti finanziari. Esso infatti nell’individuare i soggetti responsabili in caso di falsità o inesattezze del prospetto aggiunge alla naturale responsabilità dell’emittente, dell’offerente e del garante anche la responsabilità dell’intermediario responsabile per il collocamento 42. Questa responsabilità non è limitata alla sfera di informazioni di competenza propria dell’intermediario ma si estende a tutte le informazioni del prospetto 43. Per la dottrina 44 la responsabilità discende dal ruolo assunto dall’intermediario che è chiamato a controllare e verificare la verità, completezza ed esattezza di tutte le informazioni fornite dai soggetti coinvolti nell’offerta. La giurisprudenza di merito ha ravvisato un’attività di collocamento qualora l’offerta dello strumento finanziario sia effettuata “a condizioni standardizzate, rivolte al pubblico in genere o a determinate categorie di investitori nell’ambito di un’operazione destinata ad una moltitudine indistinta di soggetti” 45. Si individua così un’attività di collocamento in presenza di una offerta al pubblico che tale rimarrebbe anche in caso di esenzione dagli obblighi di prospetto, come accade nel caso del crowdfunding. L’autorità di vigilanza 46, già nel contesto della disciplina precedente alla Mifid, si era espressa nel senso che mentre l’attività di collocamento consiste nell’offrire in sottoscrizione o vendita valori mobiliari in base ad un impegno assunto nei confronti dell’emittente e del venditore, nella raccolta di ordini l’intermediario si limita a ricevere e trasmettere gli ordini della clientela senza svolgere alcuna attività di promozione o di offerta dei relativi valori mobiliari e senza essere incaricato
42
Art. 94, co. 9. In questo senso v. Righini, L’offerta pubblica di vendita e sottoscrizione di prodotti finanziari, in Trattato di diritto privato a cura di Rescigno, Torino, 2011, vol. 16, p. 525. 44 Righini, id. 45. Trib. Milano, 3 Giugno 2008; cfr. in dottrina Lupi, Servizi e attività d’investimento, negoziazione per conto proprio, market maker, gestione di portafogli, ricezione e trasmissione di ordini, servizi accessori, in Il testo unico della finanza, a cura di Fratini e Gasparri, Torino, 2012, p. 56 ss., secondo cui il collocamento si distingue “per la sua natura promozionale o propulsiva, che presuppone un accordo con l’emittente per cui il collocatore agisce, funzionale ad un’offerta avente caratteristiche standardizzate nell’ambito di operazioni di massa”; inoltre può avere “ad oggetto anche la sottoscrizione sul mercato primario e non solo la vendita sul secondario”, v. Lupi, Servizi, cit., p. 56 ss. 46 Comunicazione Consob n. BOR/RM/94009777 del 26 ottobre 1994. 43.
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dall’emittente del collocamento degli stessi. Essa aveva ancora affermato che il collocamento si caratterizza per un accordo tra emittente (o offerente) e intermediario collocatore finalizzato all’offerta al pubblico a condizioni di prezzo e di tempo predeterminate 47. La caratteristica del mediatore sarebbe, in questa impostazione, l’imparzialità intesa tuttavia nella sua forma più assoluta e rigorosa di assenza di ogni vincolo di mandato, di prestazione d’opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto che renda riferibile al dominus l’attività dell’intermediario 48. L’attività dei portali crowdfunding verosimilmente priva di qualsiasi tipo di negoziazione con un pubblico indistinto sarebbe necessariamente attività di collocamento. Questa impostazione pare principalmente consistere in una politica della interpretazione volta a garantire un regime di responsabilità più favorevole agli investitori. E’ tuttavia opportuno non prescindere dai criteri generali di qualificazione degli atti negoziali e verificare caso per caso se l’attività posta in essere dal gestore del portale non sia invece in concreto caratterizzata da quella indipendenza rispetto alle parti che costituisce elemento qualificante del contratto di mediazione. Ciò in particolare si verificherebbe nel caso in cui gestore del portale svolgesse l’attività senza essere legato ad alcuna delle parti da rapporti di collaborazione, dipendenza e rappresentanza. Non è necessario un parametro di imparzialità assoluta e non pare così doversi escludere che sussista una mera mediazione nel caso in cui l’intermediario operi su incarico e nell’interesse di una sola delle parti o sia incaricato da una di esse a rappresentarlo negli atti di esecuzione del contratto 49. L’offerta sul portale presuppone per principio un rapporto contrattuale tra emittente e gestore che disciplina i vari profili dell’offerta, ma la mera pubblicazione dell’offerta sul portale corredata dagli elementi informativi idonei per la conclusione di un contratto di sottoscrizione non necessariamente consiste in una forma di promozione dello strumento finanziario. Ben può pertanto qualificarsi come mediazione il caso del gestore di diritto del portale che riceva dall’emittente l’incarico di predisporre la sottoscrizio-
47
Comunicazione Consob DAL/97006042 del 9 luglio 1997. Cfr. S. Gnoni, Ricezione trasmissione di ordini, in L’attuazione della Mifid in Italia, a cura di D’Apice, Bologna, 2010, p. 235. 49. Cfr. Campobasso, Diritto Commerciale, Milano, 2013, p. 97 ss.; tuttavia la Consob ha qualificato come collocamento e non come raccolta ordini l’attività dell’intermediario di proposizione e collocazione di titoli in base ad un formale mandato (cfr. Comunicazione n. BOR/RM/94009777). 48.
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ne e non svolga alcuna attività di promozione ma solo di selezione in base a criteri oggettivi stabiliti ex ante. Infine, sotto un ulteriore profilo, non pare sussistere in questo ambito il solo interesse alla tutela degli investitori ma anche del gestore (di diritto) del portale. Il riconoscimento in capo a quest’ultimo, in presenza dei suddetti elementi di neutralità, della natura di mediatore determinerebbe la applicazione di un regime di responsabilità decisamente meno rigoroso e si risolverebbe in definitiva nella imposizione anche nei confronti degli emittenti di costi di transazione meno gravosi così pervenendo a una soluzione coerente con gli obbiettivi della disciplina che proprio attraverso la riduzione di simili costi intende promuovere l’accesso da parte delle imprese innovative a questa forma alternativa di raccolta di capitale di rischio.
5. Segue. Altre attività del gestore di diritto del portale Anche se l’attività tipica del crowdfunding non è di per sé assimilabile alla consulenza o alla gestione di portafogli, non è con queste incompatibile e ben si può configurare il caso in cui il portale del gestore di diritto sia organizzato in modo da rendere anche questo tipo di servizi. In tal caso le informazioni da richiedere sono quindi quelle funzionali a valutare l’appropriatezza dell’investimento 50. È evidente che al riguardo si debba distinguere tra l’attività che può essere svolta dal portale (la quale come detto è circoscritta alla raccolta di capitale di rischio di imprese start up innovative) e quella che può essere svolta dai gestori dei portali e che trova i limiti nel regime istituzionale proprio della figura (nel caso delle banche, ad esempio, saranno le attività bancarie, le attività di investimento cui sono autorizzate le attività connesse e strumentali che possono esercitare). Peraltro, la possibilità che il gestore fornisca servizi potrebbe consentire a questi ultimi di predisporre sistemi di negoziazione di un mercato secondario dei titoli sottoscritti nel portale così almeno in parte riducendo il problema derivante dalla potenziale illiquidità dell’investimento attraverso crowdfunding.
50.
Cfr. artt. 41 e 42 del Regolamento Intermediari. Nel caso in cui il gestore offra anche un servizio di consulenza o gestione di portafogli lo stesso deve acquisire le informazioni relative all’adeguatezza dell’investimento di cui agli artt. 39 e 40 del Regolamento Intermediari.
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6. Il gestore del portale “iscritto” Se l’attività di gestione di un portale quale esercizio online di servizi di investimento rientrerebbe per sua natura nelle attività riservate a banche o gli altri intermediari autorizzati all’esercizio dei servizi di investimento, la reale portata innovativa del d.l. 179/2012 è quella di attribuire la possibilità di svolgere tale attività anche a soggetti diversi rispetto a quelli che svolgono istituzionalmente servizi di investimento ed in base a un regime semplificato rispetto a quello ordinario51. Tali soggetti, iscritti in un apposito registro tenuto dalla Consob52 (da qui “gestori iscritti”), possono infatti a determinate condizioni53 gestire i portali in deroga alle norme del t.u.f. relative alla prestazione dei servizi di investimento54 nonché a quelle sulla promozione e collocamento a distanza dei servizi e attività di investimento55. I gestori iscritti non potranno perfezionare la sottoscrizione degli ordini (che dovrà essere portata a termine da una banca o ad un’impresa di investimento) e si limiteranno alla raccolta online degli stessi. Peraltro nel caso in cui l’ammontare della sottoscrizione rimanga entro certe soglie56, la banca o l’impresa di investimento che provvederà al perfezionamen-
51.
Per un’analisi dello svolgimento dell’attività di equity crowdfunding fuori dal perimetro di applicazione della disciplina qui esaminata, v. Pinto, L’equity based crowdfunding in Italia al di fuori delle fattispecie regolate dal “Decreto Crescita”, in Le società 2013, p. 823. 52 Art. 50-quinquies t.u.f. 53. I soggetti diversi da banche e imprese di investimento che intendano esercitare l’attività di gestione del portale on-line di raccolta di capitale di rischio di start up innovative devono essere iscritti ad un apposito registro tenuto dalla Consob. L’iscrizione nel registro è condizionata dal rispetto di una serie di requisiti (tra cui la forma di società di capitali o cooperativa, la sede legale e amministrativa in Italia, il possesso di requisiti di onorabilità e professionalità, un oggetto sociale conforme alla natura del portale). 54. Si tratta delle norme sui criteri generali nella prestazione di servizi di investimento (art. 21 t.u.f.); sulla separazione patrimoniale degli strumenti finanziari e delle somme appartenenti ai clienti (art. 22 t.u.f.); sui contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento (art. 23 t.u.f.); sul servizio di gestione di portafogli (art. 24 t.u.f.); sull’attività di negoziazione nei mercati regolamentati (art. 25 t.u.f.); sui prodotti finanziari emessi da banche e imprese di assicurazione (art. 25-bis t.u.f.). 55 Art. 32 t.u.f. 56. Le soglie sono indicate all’art. 17 c. 4 del Regolamento Consob 18592/2013: “a) gli ordini siano impartiti da investitori-persone fisiche e il relativo controvalore sia inferiore a cinquecento euro per singolo ordine e a mille euro considerando gli ordini complessivi annuali; b) gli ordini siano impartiti da investitori-persone giuridiche e il relativo controvalore sia inferiore a cinquemila euro per singolo ordine e a diecimila euro considerando gli ordini complessivi annuali”.
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to dell’operazione non sarà soggetta agli obblighi previsti dalla MiFID. L’eventuale superamento di tali soglie rileverà pertanto solo a livello di maggiori costi di transazione per l’intermediario 57 (banca o impresa di investimento) ma non ai fini dell’esenzione del gestore iscritto dalla riserva di attività prevista dalla MiFID. Al fine di realizzare l’ampliamento delle categorie di soggetti legittimati all’esercizio di attività potenzialmente rientranti tra quelle qualificabili in termini di servizi di investimento, il legislatore italiano si è evidentemente avvalso della facoltà prevista dall’art. 3 co. 1 della MiFID di esentare dall’applicazione della stessa quei soggetti che: a) non sono autorizzati detenere fondi o titoli appartenenti a clienti; b) non sono autorizzati a prestare servizi di investimento (tranne la ricezione e trasmissione di ordini e l’attività di consulenza); c) nell’ambito della prestazione di tali servizi sono autorizzati a trasmettere gli ordini solo a una serie tassativa di soggetti fra cui banche e imprese di investimento. La previsione della direttiva di una facoltà di esentare dalla riserva di attività tali soggetti dimostra fra l’altro, a contrario, che la mera mancanza del perfezionamento dell’ordine in capo a un gestore di una piattaforma di crowdfunding non varrebbe di per sé a esentarlo dagli obblighi MiFID.
7. Segue. La qualificazione dell’attività di gestione del portale posta in essere da un gestore iscritto e regimi di responsabilità Una volta esentata l’attività del gestore iscritto del portale di crowdfunding dall’applicazione della disciplina MiFID sui servizi di investimento, non pare rilevare la eventuale possibilità di qualificare tale attività come collocamento o intermediazione, posto che tali categorie (di cui all’art. 1, co. 5, t.u.f.) sono volte essenzialmente a definire il perimetro di applicazione del regime di riserva di attività 58 e dello statuto normativo applicabile ai soggetti ivi rientranti: regime da cui il gestore iscritto è esentato per principio.
57. Al di sopra delle soglie l’intermediario nel perfezionare il contratto deve operare nel rispetto della disciplina sui servizi di investimento (art. 17 co. 3 del Regolamento Consob). Questo comporta che troveranno applicazione le regole sullo svolgimento dei servizi di investimento previsti nel t.u.f. In particolare il rapporto sarà regolato in base al tipo di servizio di investimento che l’intermediario offrirà all’investitore in sede di perfezionamento dell’ordine di sottoscrizione. 58 V. Lupi, Servizi, cit. 45.
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Questa impostazione presenta un diretto riflesso in ordine ai profili di responsabilità in cui incorre il gestore iscritto. La responsabilità del gestore iscritto non dovrà discendere dal sistema della disciplina dei servizi di investimento ma, da un lato, dagli specifici obblighi previsti dalla disciplina speciale 59 contemplata dall’articolo 50-quinquies e 100-ter del t.u.f. nonché dal regolamento Consob 26 giugno 2013, dall’altro, dalla qualificazione degli ulteriori comportamenti tenuti dal gestore nell’espletamento della propria attività 60.
8. Segue. Gli obblighi informativi e responsabilità del gestore iscritto La disciplina del crowdfunding pone specifici obblighi informativi e di comportamento in capo al gestore iscritto 61 volti a tutelare gli investitori consentendo a questi di compiere scelte di investimento consape-
59
V. infra par. 8. V. infra par. 9. 61. V. artt. 13, 14, 15 e 16 del Regolamento Consob 26 Giugno 2013. In particolare il gestore “iscritto”, chiamato a condurre il procedimento di collocamento fino al momento di perfezionamento dell’ordine che spetta all’intermediario, deve adempiere ad una molteplicità di obblighi di comportamento. Questi deve operare con diligenza, correttezza e trasparenza; deve evitare che gli eventuali conflitti di interesse incidano negativamente sugli interessi degli investitori e degli emittenti e deve assicurare la parità di trattamento dei destinatari delle offerte che si trovino in identiche condizioni (art. 13 co. 1 Regolamento Consob). Così in particolare il regolamento prevede che l’accesso alle sezioni del portale ove è possibile aderire alle offerte sia limitato ai soggetti che abbiano risposto a un questionario sulle caratteristiche e i rischi dell’investimento in start up innovative e abbiano dichiarato la sostenibilità della perdita dell’investimento (art. 15 Regolamento Consob). Si tratta evidentemente di una previsione volta a tutelare la posizione degli investitori simulando con percorsi on line i processi di conoscenza delle caratteristiche degli investimenti e di valutazione della posizione personale in ordine all’adeguatezza dell’investimento che nelle forme di collocamento tradizionale sono poste in essere dagli intermediari. Inoltre, gli ordini di adesione alle offerte devono essere trattati in maniera rapida, corretta ed efficiente, registrati in modo pronto e accurato e trasmessi secondo la sequenza temporale con la quale sono stati ricevuti (art. 17 regolamento Consob). Il gestore deve infine assicurare agli investitori diversi dagli investitori professionali il diritto di recedere dall’ordine di adesione, entro sette giorni dalla data dell’ordine. Sugli strumenti di tutela del sottoscrittore e sui diritti di informazione v. Capelli, L’equity based crowdfunding e i diritti del socio (reperibile presso www.orizzontideldirittocommerciale.it/media/24090/capelli_i.pdf). 60
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voli 62. Alcune informazioni provengono (e sono generate) dal gestore del portale mentre altre sono pubblicate da questi sul portale ma sono fornite dagli emittenti. Nelle prime rientrano le informazioni afferenti la gestione del portale 63 e quelle sull’investimento in start up innovative64;
62. Gli obblighi informativi in capo ai gestori non si esauriscano con quelli individuati dal Regolamento Consob dovendo essere evidentemente integrati con quelli derivanti dalla disciplina del Codice del Consumo che dedica una serie di norme relative alla commercializzazione a distanza di servizi finanziari nei confronti dei consumatori (artt. 67-bis ss. del Codice di consumo). Rilevano qui in particolare le informazioni che devono essere fornite in fase precontrattuale ai sensi degli artt. 67-quater ss. del Codice del Consumo in base al quale devono essere fornite al consumatore, prima che esso sia vincolato da un contratto a distanza, informazioni sul fornitore, sul servizio finanziario, sul contratto a distanza e sul ricorso. Il presupposto di applicazione della disciplina è che vi sia una commercializzazione a distanza di servizi finanziari verso i consumatori (art. 67-bis del Codice di consumo) e in particolare che il contratto sia concluso con una tecnica a distanza. Certamente l’attività di collocamento realizzata attraverso il portale deve essere considerata una forma di commercializzazione a distanza di servizi finanziari che per le sue caratteristiche si rivolge anche a consumatori. In realtà nel caso di portale gestito da un gestore “iscritto” il perfezionamento del contratto non può essere posto in essere dal gestore ma è affidato ad una banca o ad un’impresa di investimento. In questa logica mentre l’ordine di adesione da parte dell’investitore non può che essere esercitato a distanza, il perfezionamento dell’ordine potrebbe avvenire non a distanza ma presso una sede dell’intermediario. Nel caso in cui il perfezionamento dell’ordine avvenga con un contatto diretto con l’intermediario, pare doversi ritenere che non trovi applicazione la disciplina sull’informazione precontrattuale dei contratti finanziari a distanza. Il rapporto tra questo complesso di norme e le disposizioni in materia bancaria, finanziaria e assicurativa è regolato nel senso che queste ultime sono fatte salve, quando non sono espressamente regolate. In linea di principio vi dovrebbe essere un’applicazione congiunta delle norme del codice del consumo sulla commercializzazione a distanza di servizi finanziari e delle norme previste in ambito finanziario. Sul tema dell’applicazione alle operazioni di crowdfunding della disciplina relativa alla contrattazione on line riferita a strumenti finanziari v. Fregonara, cit., 28 ss.. 63. Le informazioni relative alla gestione del portale riguardano sia le modalità scelte dal gestore per strutturarne l’attività, sia gli assetti proprietari della società “iscritta” (v. art. 14 del Regolamento Consob). Tra queste rilevano le modalità di selezione delle offerte e le misure di gestione dei conflitti di interesse. 64. Le informazioni da fornire relative all’investimento in strumenti finanziari di startup innovative riguardano le peculiarità connesse in linea generale a tale tipo di investimento finanziario. Esse hanno per oggetto: a) il rischio di perdita dell’intero capitale investito; b) il rischio di illiquidità; c) il divieto di distribuzione di utili, le deroghe al diritto societario e quelle al diritto fallimentare che caratterizzano queste società; d) il trattamento fiscale degli investimenti; e) i contenuti tipici di un business plan; f) il diritto di recesso di cui godono gli investitori (v. art. 15 del Regolamento Consob).
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nelle seconde rientrano le informazioni relative alla singola offerta 65. La distinzione fra queste due categorie di informazioni rileva ai fini del regime di responsabilità. In particolare, secondo il principio per cui la responsabilità è da imputare all’autore dell’atto da cui deriva il danno, sussisterebbe una responsabilità del gestore “iscritto” per le informazioni di sua pertinenza rientranti pertanto nella prima categoria, mentre sussisterebbe una responsabilità del solo emittente per le informazioni false, non veritiere o lacunose da questi comunicate al gestore, che abbiano influenzato in modo pregiudizievole l’investitore. Pare doversi escludere che sussista per il gestore del portale una responsabilità anche per le informazioni fornite dall’emittente secondo il più ampio e peculiare criterio di imputazione applicabile in materia di collocamento di strumenti finanziari. Secondo quest’ultima impostazione, in tema di offerta al pubblico di prodotti finanziari, il t.u.f. 66 individua tra i soggetti responsabili in caso di falsità o inesattezze del prospetto, non solo l’emittente, l’offerente ed il garante, ma anche appunto l’intermediario responsabile per il collocamento. Questa responsabilità non è limitata alla sfera di informazioni di competenza propria dell’intermediario ma si estende a tutte le informazioni del prospetto 67. Responsabilità che discende dal ruolo assunto, secondo il legislatore, dall’intermediario di “garante” delle informazioni fornite che è chiamato a controllare e verificare la verità, completezza ed esattezza di tutte le informazioni fornite dai soggetti coinvolti nell’offerta 68. L’attribuzione al gestore del portale di un regime di responsabilità del tipo di quella degli intermediari tipici che operano nei mercati finanziari costituirebbe certamente elemento di particolare garan-
65.
Il gestore deve infine pubblicare una serie di informazioni relative a ciascuna offerta. Tra queste assumono un particolare rilievo: a) la descrizione dell’emittente, del progetto industriale, del relativo business plan; b) la descrizione degli organi sociali e del curriculum vitae degli amministratori; c) la descrizione degli strumenti finanziari oggetto dell’offerta; d) la descrizione delle clausole statutarie che intervengono in caso di cessione delle partecipazioni di controllo (quali le modalità per la fuoriuscita dall’investimento, la presenza di patti di riacquisto, le clausole di lock up e le put option a favore degli investitori; e) le condizioni generali dell’offerta; f) le informazioni sulla quota eventualmente già sottoscritta da parte degli investitori professionali o delle altre categorie di investitori; g) l’indicazione delle banche e delle imprese di investimento che intervengono per completare le operazioni; h) le informazioni sui conflitti di interesse connessi all’offerta (v. art. 16 e allegato 3 del Regolamento Consob). 66 Art. 94, co. 8-9. 67 In questo senso v. Righini, L’offerta, cit., p. 525. 68 Righini, L’offerta, cit., p. 525.
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zia a favore degli investitori e potrebbe da taluno essere ravvisato nella tutela dell’affidamento degli investitori che partecipano al crowdfunding. Questa qualificazione sembra doversi escludere per una serie di motivi: (i) in primo luogo il sistema di collocamento attraverso il portale del gestore iscritto pare corrispondere a una forma di intermediazione ove il gestore si pone in una posizione di indipendenza e neutralità rispetto all’investimento proposto. Il gestore crea il contatto tra investitore ed emittente ma non propone uno specifico investimento né partecipa alla redazione dei documenti forniti all’investitore. In particolare, è fatto espresso divieto al gestore di pubblicare raccomandazioni riguardanti gli strumenti finanziari oggetto delle singole offerte atte ad influenzare l’andamento delle adesioni 69. (ii) Non pare peraltro che una diversa interpretazione possa discendere dalla lettera dell’art. 13 co. 2 ai sensi della quale “il gestore rende disponibili agli investitori, in maniera dettagliata, corretta, chiara, non fuorviante e senza omissioni, tutte le informazioni riguardanti l’offerta che siano fornite dall’emittente”. La norma non prevede evidentemente un dovere di verifica sostanziale delle informazioni riferite dall’emittente né altro obbligo specifico di vigilanza: la natura dettagliata, corretta, chiara e non fuorviante non costituiscono infatti caratteri sostanziali delle informazioni comunicate ma attengono al modo in cui il gestore deve comunicare e riportare le stesse sul portale. Tale obbligo, relativo pertanto a una modalità di svolgimento della attività di comunicazione, prescinde da (e non impone) un’attività di valutazione e verifica delle informazioni. (iii) Si pongono infine gli argomenti precedentemente esposti sub par. 4 con riferimento ai gestori di diritto.
9. Segue. Attività informativa ulteriore fornita dal gestore iscritto Nonostante la qualificazione dell’attività del gestore come neutra e indipendente conduca ad escludere l’applicazione del regime di responsabilità tipica del collocamento di strumenti finanziari, oltre all’inadempimento degli obblighi informativi specificamente previsti dalla disciplina del crowdfunding potranno emergere ulteriori profili di responsabilità derivanti da comportamenti discrezionali del gestore. (i) Il gestore sarà responsabile delle ulteriori informazioni che lo stesso intenda fornire al portale. Poiché gli obblighi informativi previsti dal
69
Art. 13, co. 2, del Regolamento Consob.
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regolamento Consob sono da intendersi quale requisito minimo per il gestore, quest’ultimo potrà anche ampliare il novero di informazioni da rendere disponibili agli investitori a condizione di non violare il divieto di effettuare raccomandazioni atte ad influenzare l’andamento delle adesioni alle singole offerte. A tale fine le informazioni dovranno essere inserite attraverso metodologie standardizzate individuate ex ante dal gestore al fine di evitare di fornire raccomandazioni indirette che paiono doversi ritenere vietate al pari di quelle dirette ed esplicite. Il gestore potrà così fornire, direttamente nel portale o attraverso link ipertestuali, informazioni macroeconomiche relative al settore di attività dell’emittente, rankings relativi alle prestazioni ed al successo di iniziative di soggetti coinvolti o altre informazioni da cui l’investitore possa trarre conoscenza indiretta della bontà dell’investimento. In tale ambito, che rientra in parte anche nel ruolo di education che potrà essere svolto dal gestore, potranno emergere ipotesi di responsabilità nel caso di divulgazioni di informazioni non corrette o fuorvianti. (ii) Il gestore potrà poi essere responsabile per le informazioni predisposte dagli emittenti nel caso in cui intenda espressamente verificarne la veridicità e completezza anche al fine di rendere più credibile e competitivo l’utilizzo della propria piattaforma. Medesimo effetto dovrebbe avere il caso in cui il gestore dichiari di selezionare i potenziali emittenti sulla base di una valutazione discrezionale che farà nascere l’affidamento su caratteristiche intrinseche delle società proposte. Tale responsabilità non sussisterà invece nel caso in cui la selezione sia svolta attraverso la applicazione di una serie di regole oggettive comunicate ex ante e applicate non discrezionalmente. A tale tipologia di selezione deve ricondursi la norma del regolamento che espressamente prevede che siano pubblicate sul portale le procedure di selezione delle offerte. (iii) Il gestore potrà essere in ogni caso responsabile, in virtù del criterio di imputazione applicabile anche nello schema negoziale della mediazione, per non aver comunicato alle parti possibili informazioni che siano pregiudizievoli della conclusione dell’affare o idonee a modificarne il contenuto. (iv) Il gestore potrà infine strutturare la propria piattaforma in modo tale da mettere a disposizione strumenti o spazi nei quali i terzi investitori o emittenti possono interagire, diffondere informazioni e caricare contenuti di vario genere. In tal caso il gestore iscritto pare potersi qualificare come provider ai sensi dalla direttiva 2000/31/CE essendo soggetto che presta un servizio (anche) consistente nella memorizzazione di informazioni fornite dal destinatario del servizio. La applicazione della disciplina sul commercio elettronico non determina l’applicazione
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di un regime speciale di responsabilità quanto un regime di esenzioni da responsabilità rispetto a illeciti compiuti da terzi destinatari dei servizi. In particolare il gestore del portale non è tenuto ad alcun obbligo di sorveglianza sulle informazioni trasmesse o memorizzate dai destinatari del servizio (potranno considerarsi sia gli investitori che gli emittenti) né alcun obbligo di ricercare attivamente eventuali illeciti. La esenzione da responsabilità riguarderà i casi in cui il gestore, coerentemente con l’impostazione del safe harbour di cui all’art. 16 d.lgs. 70/2003, non abbia alcun controllo dei dati memorizzati né contribuisca alla scelta, o alla formazione dei file essendo tali dati ascrivibili al destinatario del servizio che li carichi sulla piattaforma 70. Sia nell’ipotesi in cui il gestore iscritto assuma oneri informativi o presti servizi ulteriori rispetto a quelli previsti dal regolamento, si potrà così determinare un’estensione del potenziale perimetro della responsabilità degli stessi. Tale implicazione potrebbe disincentivare questi soggetti dal fornire ulteriori informazioni e servizi e determinarli a conformarsi alle prescrizioni minime imposte dalla disciplina: ciò secondo quella tendenza verso una progressiva neutralità ed assoluta impersonalità del servizio che ha caratterizzato le esperienze del mercato di altri intermediari online come gli internet provider interessati a godere delle esenzioni di responsabilità previste dalla direttiva 2000/31/CE. Questa prospettiva assume tuttavia nel contesto del crowdfunding una particolare criticità. Se il problema delle asimmetrie informative tra emittente e investitore caratterizza il settore delle offerte di strumenti finanziari, nel caso di imprese neocostituite che operano in settori innovativi (le c.d. start-up innovative) questo si presenta ancora più acuto. Tali imprese sono difficili da valutare e da monitorare. Si tratta di società che per definizione operano nei campi dell’innovazione nei quali l’interesse della società a non divulgare informazioni risponde ad esigenze e interessi strategici della stessa impresa 71. Inoltre, anche laddove le informazioni sul contenuto innovativo della impresa siano oggettivate e pubblicate (per esempio attraverso la disclosure della protezione brevettuale) la comprensione del vantaggio determinato dalla portata innovativa della impresa non è
70.
Sulla portata dell’esenzione ex art. 16 ss. d. lgs 70/2003 nel diverso contesto della violazione di dati personali in una piattaforma online per la visualizzazione di contenuti video cfr. Cass. pen., 3 febbraio 2014, n. 5107. 71. V. Gilotta, Trasparenza e interesse societario al segreto: quale equilibrio? in AGE, 2013, p. 260.
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semplice da interpretare per un utente il cui investimento individuale è fra l’altro di modesta entità. Le conseguenze di tali peculiari asimmetrie sono poi accentuate dalla illiquidità dell’investimento dovuto al fatto che il portale di crowdfunding non prevede un mercato secondario attraverso il quale cedere la partecipazione acquisita. Quest’ultima, soprattutto nel caso in cui si tratti di quota di s.r.l. di minoranza potrà avere una non facile negoziabilità. In un ecosistema in cui la scelta della piattaforma di crowdfunding su cui investire dipenderà dal successo degli investimenti procurati alla comunità, diviene essenziale per il gestore valorizzare e predisporre strumenti volontari atti a ridurre asimmetrie informative, consentire all’utente l’accesso a fonti di informazione e di analisi ed operare così migliori scelte di investimento 72. In questo contesto pertanto lo spazio di manovra del gestore, nella organizzazione della architettura del portale, dovrà necessariamente tenere conto dell’esigenza di favorire, da un lato, investimenti di successo predisponendo maggiori strumenti di informazione e selezione e di preservare, dall’altro, la neutralità necessaria a evitare un regime di responsabilità più oneroso.
10. Considerazioni finali La ratio complessiva della disciplina in tema di portali online con riferimento ai gestori iscritti è stata quella di ampliare i tradizionali canali di finanziamento a disposizione delle imprese – nel caso specifico quelle operanti nei settori ad alta innovazione tecnologica – con l’intervento di nuovi operatori, diversi dagli intermediari tradizionali. Tale ampliamento, accompagnato dalla riduzione dei costi di transazione sia per i gestori iscritti 73 sia per gli intermediari di diritto (quantomeno per attività
72. Cfr. sul punto Ferrarini – Ottolia, cit., ove si analizza, fra l’altro, il ruolo che, in un contesto destrutturato ed imprevedibile come quello delle star up innovative, possono avere i meccanismi volontari di disclosure anche indiretta, in sostituzione (o a parziale integrazione) di sistemi individuati ex ante di mandatory disclosure. 73. Con riferimento ai gestori iscritti la stessa relazione al disegno di legge di conversione del d.l. 179/2012 afferma che per questi operatori sono previsti: “oneri autorizzativi e regolamentari semplificati rispetto a quelli generalmente applicabili per i soggetti che svolgono servizi di investimento e un regime derogatorio degli obblighi di comportamento e della disciplina della promozione e collocamento a distanza di servizi e strumenti finanziari”.
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di collocamento sotto soglia), sia così indirettamente per gli emittenti, dovrebbe determinare maggiori incentivi al ricorso al reperimento di capitale attraverso il crowdfunding. Inoltre la gestione dei portali da parte di soggetti iscritti che non svolgono altre attività di natura finanziaria non solo amplia i concorrenti sul mercato con beneficio per le imprese emittenti e per gli investitori ma può ridurre i possibili conflitti di interesse che invece potrebbero riguardare i gestori di diritto. Questi ultimi infatti per un verso possono avere prodotti alternativi da offrire ai clienti rispetto alle partecipazioni proposte mediante crowdfunding e per altro verso possono offrire titoli di start up in cui sono coinvolti come finanziatori bancari. è tuttavia da notare che la raccolta di capitale di rischio attraverso il portale gestito dalle imprese iscritte nell’albo Consob che superi le soglie rilevanti, sarà assoggettata tanto agli obblighi di diligenza, correttezza e trasparenza previsti in capo al gestore iscritto del portale quanto agli obblighi previsti in capo alle banche o alle imprese di investimento che perfezioneranno la operazione in ragione dei presunti servizi di investimento prestati. Si determinerà in tal caso un regime che sarà nel complesso più oneroso rispetto a quello applicabile nel caso in cui il portale on line sia gestito da banche o imprese di investimento. La differenza tra i costi di transazione complessivi dei due sistemi potrà verosimilmente portare a una concentrazione dei collocamenti che superino le soglie dell’art. 17 co. 3 attraverso portali dei gestori di diritto.
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I poteri delle autorità di vigilanza in situazioni di crisi degli intermediari finanziari non bancari. Uno sguardo d’insieme * Sommario: 1. Premessa. La riforma del titolo V del t.u.b. e la riscrittura delle regole in materia di crisi degli intermediari finanziari. – 2. La disciplina della crisi degli intermediari non bancari ante d.lgs. n. 141/2010. La legge delega n. 88/2009. – 3. La so-spensione degli organi amministrativi e di controllo. – 4. La revoca dell’autorizzazione ed i provvedimenti ad essa conseguenti. – 5. Considerazioni conclusive.
1. Premessa. La riforma del titolo V del t.u.b. e la riscrittura delle regole in materia di crisi degli intermediari finanziari. I profondi mutamenti registrati nel contesto socio-economico degli ultimi anni, l’affermarsi di nuove e sempre più sofisticate forme di intermediazione finanziaria, incentivate anche dal processo di liberalizzazione e di integrazione dei mercati, e, da ultimo, le drammatiche conseguenze della crisi economica internazionale, hanno contribuito a palesare la necessità di una disciplina più razionale e più efficace dell’attività degli intermediari finanziari non bancari o “residuali”, espressione dal significato polivalente, usualmente riferita al variegato universo di soggetti, diversi dalle banche, operanti sul mercato dell’erogazione del credito (ovvero, secondo altra e ormai desueta locuzione, nella vasta e indefinita area del “parabancario”) 1.
* Il presente lavoro è destinato agli Atti del Convegno in ricordo di Franco Belli Sistema creditizio e finanziario: problemi e prospettive (Siena, 9-10 maggio 2013). 1. Sulla nozione di intermediario “residuale” (ossia l’intermediario finanziario atipico, diverso dalla banca, attivo sul versante della concessione del credito, svincolata, in linea di principio, dalla raccolta di risparmio fra il pubblico) e sull’evoluzione normativa in materia, v. Belviso, Gli “intermediari finanziari” (tra storia e nomenclatura), in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Belli ed altri, Bologna, 2003, vol. II, p. 1785 ss. (e p. 1791 ss. in partic.) In argomento, inoltre, di sicuro interesse risultano a tutt’oggi, specie in chiave di indagine storica, i saggi contenuti nel volume curato da Restuccia, L’attività parabancaria. Esperienze e prospettive, Milano, 1987.
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A tali concomitanti esigenze si ricollega, dunque, la recente e corposa riforma del titolo V del t.u.b. (Soggetti operanti nel settore finanziario), realizzata con l’emanazione del d.lgs. n. 141/2010 di recepimento della direttiva 2008/48/CE sul credito al consumo 2. L’attuazione delle norme comunitarie sui contratti di credito ai consumatori, in altri termini, ha fornito al legislatore italiano l’occasione per un intervento di ben più ampia portata, volto ad approntare strumenti idonei al governo di una realtà complessa e di primaria rilevanza, quale l’intermediazione finanziaria non bancaria, caratterizzata da indubbi aspetti di opacità e da vistose carenze regolamentari. In questo contesto, l’intervento riformatore del 2010, da tempo auspicato, si è dispiegato lungo precise direttrici 3: la puntuale delimitazione, sul piano oggettivo, dell’ambito di operatività riservata agli intermediari finanziari non bancari (oggi circoscritto all’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma 4); il superamento, sul piano soggettivo, della perniciosa distinzione fra le tipologie di intermediari contemplati dalla normativa previgente, ottenuto mediante l’istituzione del nuovo albo unico ex art. 106 t.u.b. (accessibile unicamente ai soggetti in possesso di requisiti non dissimili da quelli previsti per le banche, che siano garanzia di solidità patrimoniale e di idoneità professionale), in luogo degli elenchi, generale e speciale, previsti nella vecchia formulazione degli artt. 106 e 107
2
Per completezza, ricordiamo altresì che ulteriori modifiche al titolo V sono state apportate con il d.lgs. n. 45/2012 e con il d.lgs. n. 169/2012. 3. In generale, sulla ratio e sui contenuti della riforma del titolo V del t.u.b. si veda Antonucci, L’intermediazione finanziaria non bancaria nel d.lgs. 141/2010. Profili di sistema, in Riv. trim. dir. ec., 2011, 1, p. 29; Greco, Prime riflessioni sulla riforma degli intermediari finanziari, in Dir. banc., 2011, n. 4, p. II, p. 213; Capriglione, Commento sub art. 106, in Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, diretto da Capriglione, Padova, 2012, III, p. 1379; Rispoli Farina, Gli intermediari non bancari disciplinati dal Testo Unico Bancario: alcune considerazioni generali alla luce della disciplina “riformata”, in Dir. banc, 2013, 1, p. I, p. 55. 4. L’art. 106 t.u.b. prevede inoltre che gli intermediari possano: a) emettere moneta elettronica e prestare servizi di pagamento, oppure prestare solo servizi di pagamento; b) prestare servizi di investimento; c) esercitare le altre attività loro eventualmente consentite dalla legge, nonché attività connesse e strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dalla Banca d’Italia. In sostanza, la nuova disciplina fa perno sull’attività (nei confronti del pubblico) di concessione dei finanziamenti, oggi assunta nel regime generale delineato dagli artt. 106-110 t.u.b., fatte salve alcune disposizioni particolari per gli operatori del microcredito (art. 111) e per i confidi (art. 112).
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t.u.b. 5; conseguentemente, il riordino, in termini di razionalizzazione e di riqualificazione, dell’intero mercato dell’offerta di credito, interessato, per effetto della riforma, da una notevole contrazione del numero degli operatori autorizzati (dipendente dall’inasprimento delle condizioni d’accesso previste dalla legge) 6; infine, sotto il profilo più strettamente disciplinare, l’assoggettamento di tutti gli intermediari non bancari a forme di vigilanza (regolamentare, informativa, ispettiva) più intense e penetranti, plasmate su quelle previste per le banche, di tal che può ritenersi definitivamente maturato il passaggio dal precedente sistema di controlli per larga parte “cartolari” (orientati, cioè, ad una semplice verifica di regolarità, specie sotto il profilo del perdurante possesso dei requisiti richiesti per l’iscrizione all’elenco generale) ad una vera e propria supervisione prudenziale, di applicazione generalizzata (e non più esercitata, come in precedenza, sui soli intermediari “sistemici”) 7. A quest’ultimo proposito, vale la pena di precisare che l’intensificazione dei controlli sugli intermediari non bancari – giustificati, in origine, soprattutto da fini pubblicistici di contrasto del riciclaggio 8 – trova oggi più compiuta spiegazione nella crescente importanza assunta da
5.
Come è noto, l’esistenza di due distinti elenchi era funzionale all’espletamento di forme di controllo di diversa natura ed intensità, posto che solo gli intermediari ex art. 107 (numericamente assai inferiori a quelli di cui all’art. 106) venivano assoggettati, in quanto portatori di rischio sistemico, ad una sorta di vigilanza prudenziale (v. più avanti nel testo). La “diffusa qualificazione degli intermediari del Titolo V come near banks” si situerebbe all’origine della scelta di sopprimere i vecchi elenchi, estendendo a tutti gli intermediari vigilati il più rigoroso regime collegato all’iscrizione nel preesistente elenco speciale (Antonucci, L’intermediazione, cit., p. 38 ss.). 6 In argomento v. ancora Antonucci, L’intermediazione, cit., p. 35 ss. 7. Sul processo di graduale omogeneizzazione delle regole applicabili a banche e intermediari finanziari non bancari (ovvero sulla “bancarizzazione” degli intermediari finanziari), intrapreso già in epoca antecedente al d.lgs. n. 141/2010, v. Pellegrini, La svolta disciplinare degli intermediari finanziari non bancari. Da un riscontro di regolarità alla “supervisione”, in Scritti in onore di Francesco Capriglione, Padova, 2010, I, p. 285. 8. Le attività “parabancarie”, invero, si prestano facilmente ad una reimmissione dei capitali di provenienza illecita nei normali circuiti economici, che inquina il sistema finanziario, distorcendone i meccanismi di funzionamento, e rappresenta fonte di potenziale instabilità del mercato. Sul punto v. Belviso, Gli intermediari, cit., p. 1793, ove l’a. mette bene in luce come la normativa antiriciclaggio (sviluppatasi sul finire del secolo scorso, a partire dalla l. n. 197/91) abbia offerto al legislatore l’occasione per coniugare fini di lotta alla criminalità con l’esigenza di sottoporre a controllo pubblico gli intermediari finanziari ancora privi di disciplina, in nome del buon funzionamento del mercato finanziario; Clemente, Commento sub art. 106, in Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, diretto da Capriglione, Padova, 1994, p. 543.
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tali soggetti nell’attuale sistema economico; nelle strette interconnessioni esistenti tra gli stessi e gli altri operatori del mondo bancario e finanziario; nella pericolosità – non scevra, al pari del fattore in precedenza indicato, da serie conseguenze sistemiche – insita nelle attività da essi svolte; nella possibilità che porzioni consistenti di rischio vengano trasferite dal settore bancario a quello finanziario (tradizionalmente meno regolamentato e meno sorvegliato); nella necessità, non da ultimo, di tutelare i soggetti (clienti) che vengono a contatto con detti operatori. Da qui, dunque, l’esigenza di vincolare (anche) gli intermediari non bancari a modelli comportamentali che ne garantiscano innanzitutto la sana e prudente gestione, preservando, al contempo, la stabilità complessiva, l’efficienza e la competitività del sistema finanziario (finalità oggi sancite dall’art. 5 t.u.b.) 9. Ebbene, nella medesima logica si colloca anche l’integrale riscrittura delle regole in materia di gestione delle crisi degli enti finanziari, che in questa sede ci prefiggiamo di analizzare, nel convincimento che si tratti – come le recenti cronache dimostrano – di un argomento di centrale rilevanza, nell’ambito delle novellate disposizioni sull’intermediazione non bancaria. Occorre solo precisare, prima di addentrarci nella trattazione, che prescinderemo volutamente da un puntuale e circostanziato esame dei singoli, e assai numerosi, problemi interpretativi connessi alle misure di governo delle crisi che verranno prese in considerazione. Il nostro scopo, invero, è cercare di valutare, attraverso una visione d’insieme delle nuove disposizioni in subiecta materia, l’effettiva coerenza del quadro disciplinare in oggetto rispetto a quegli obiettivi di razionalizzazione delle regole e di efficienza del settore dell’intermediazione finanziaria, perseguiti dal legislatore con i suoi più recenti interventi.
9. Esigenza fortemente avvertita, del resto, anche in sede internazionale, ove è stata riconosciuta, sulla scia degli eventi degli ultimi anni, l’urgenza di controlli ad ampio raggio su ogni possibile forma di intermediazione finanziaria, allo scopo di evitare la temuta riemersione di quei sistemi finanziari “paralleli”, che così ampia parte hanno svolto nella genesi e nella propagazione della recente crisi (lo ricorda Masera, La crisi globale: finanza, regolazione e supervisione alla luce del Rapporto de Larosière, in Scritti in onore di Francesco Capriglione, cit., II, p. 1133, ricapitolando i principi chiave dal noto documento del febbraio 2009, posto a base della riforma della vigilanza finanziaria europea attuata nel 2010. Sul sistema bancario ombra v., di recente, Adrian, Ashcraft, Shadow Banking: A Review of the Literature, ottobre 2012, FRB of New York Staff Report No. 580, reperibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=2175144; in prospettiva economica, v. anche Bakk-Simon et al., Shadow Banking in the Euro Area: An Overview, settembre 2011, ECB Occasional Paper No. 133, su SSRN: http://ssrn.com/abstract=1932063).
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2. La disciplina della crisi degli intermediari non bancari ante d.lgs. n. 141/2010. La legge delega n. 88/2009. Per una migliore intelligenza delle nuove disposizioni in tema di crisi degli intermediari non bancari, reputiamo possa essere utile una breve descrizione del regime normativo antecedente alla citata riforma del titolo V. Anche sotto il profilo in esame, invero, le vecchie norme prevedevano una disciplina differenziata per gli intermediari iscritti nell’elenco generale ex art. 106 e per quelli iscritti invece nell’elenco speciale ex art. 107. Se per i primi, infatti, vigeva un regime sanzionatorio impostato essenzialmente sul potere di cancellazione dall’elenco, spettante al Ministro dell’Economia e delle Finanze su proposta dell’UIC 10, al venir meno delle condizioni per l’iscrizione o al ricorrere di gravi violazioni di legge o di regolamento (a riprova della rilevanza, ai fini di un intervento autoritativo, anche delle c.d. crisi di legalità), per i secondi era prevista, oltre alla cancellazione dall’elenco speciale in forza di provvedimento della Banca d’Italia 11, la sottoposizione alle procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa, ancorché limitatamente ai soli intermediari autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento o che avessero acquisito fondi con obbligo di rimborso per un ammontare superiore al patrimonio. Si badi inoltre che, ai sensi del vecchio art. 111 t.u.b., la cancellazione dall’elenco generale implicava per l’intermediario l’imbocco di un’alternativa obbligata: la convocazione dell’assemblea dei soci, per deliberare la modifica dell’oggetto sociale (o altre iniziative conseguenti al provvedimento), o la liquidazione volontaria della società 12.
10. Si rammenta che, in seguito a d.lgs. n. 231/07, la Banca d’Italia è subentrata nella gestione dei rapporti giuridici di cui era titolare l’UIC, contestualmente soppresso. Pertanto, ogni riferimento all’UIC contenuto in leggi o atti normativi deve oggi intendersi riferito alla Banca d’Italia. 11. La legge precisava, peraltro, che la cancellazione dall’elenco generale non potesse avere luogo senza la preventiva cancellazione dall’elenco speciale. Per l’individuazione dei presupposti per la cancellazione dall’elenco speciale v. d.m. 17 febbraio 2009, n. 29, artt. 15 e 17, ove un ulteriore rinvio alle Istruzioni della Banca d’Italia. 12. Già all’indomani dell’entrata in vigore del t.u.b., i primi commentatori rilevavano che, mentre l’ipotesi della modifica dell’oggetto sociale non poneva particolari problemi (essendo ovvio che, una volta cancellato dall’elenco, l’intermediario non potesse più svolgere attività finanziarie), troppo generico risultava il riferimento alle “altre iniziative conseguenti”, da leggere come comprensivo di soluzioni non formalizzate, quali, ad es.,
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Il regime sopra delineato dava adito, tuttavia, ad ampi margini di insoddisfazione, cui il legislatore – già più volte intervenuto – si proponeva di porre definitivo rimedio mediante la legge delega n. 88/2009. Nell’enunciare i principi e i criteri direttivi per il Governo, l’art. 33, lett. d), prevedeva, in particolare, la rimodulazione della disciplina delle attività e dei soggetti operanti nel settore finanziario, tra l’altro attraverso la rideterminazione dei requisiti per l’iscrizione (al fine di consentire l’operatività nei confronti del pubblico soltanto ai soggetti che assicurassero affidabilità e correttezza dell’iniziativa imprenditoriale), la previsione di strumenti di controllo più efficaci, ma anche l’introduzione di sanzioni e di forme di intervento effettive, dissuasive e proporzionate, quali il divieto di intraprendere nuove operazioni e il potere di sospensione, con contestuale rafforzamento del potere di cancellazione. In virtù di siffatta delega, il citato d.lgs. n. 141/10 è giunto ad operare, di fatto, una riscrittura integrale del titolo V del t.u.b. 13, concernente, come si diceva, anche le norme in materia di crisi degli intermediari. Lungi, infatti, dal limitarsi a riprodurre le previgenti disposizioni, o a consolidare i preesistenti poteri delle autorità di settore (specie quello di cancellazione, come richiesto dalla delega), il legislatore delegato ha preferito disegnare ex novo il regime disciplinare delle crisi, dichiarandolo applicabile, come già accennato, alla generalità dei soggetti iscritti al nuovo albo unico ex art. 106. Oggi, dunque, le nuove regole in materia vertono sostanzialmente sulle diposizioni degli artt. 113-bis (Sospensione degli organi di amministrazione e controllo) e 113-ter (Revoca dell’autorizzazione), cardini di un sistema sanzionatorio costruito attorno a misure di intensità crescente, sulle quali ci soffermeremo nei successivi paragrafi.
3. La sospensione degli organi amministrativi e di controllo. Se si eccettuano i provvedimenti straordinari di cui agli artt. 78 e 79
l’eventuale richiesta di fallimento della società, o la ricostituzione (in determinate ipotesi) delle condizioni per una reiscrizione nell’elenco (così, Criscuolo, Commento sub art. 111, in Commentario al Testo Unico, diretto da Capriglione, cit., p. 570). 13. Operazione che avrebbe peraltro comportato, secondo alcuni, il superamento dei limiti imposti dal legislatore delegante, con conseguenti problemi di incostituzionalità del nuovo dettato normativo (cfr. Giusti, Passalacqua, Commento sub art. 113-ter, in Commentario al Testo Unico, diretto da Capriglione, cit., III, p. 1515).
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t.u.b. – cui può essere riconosciuta, come noto, anche una (generica) valenza di prevenzione rispetto a situazioni di crisi degli enti interessati 14 –, la prima delle vere e proprie misure di gestione delle crisi applicabili agli intermediari finanziari non bancari è quella disciplinata dal nuovo art. 113-bis, norma che prevede la sospensione degli organi amministrativi e di controllo dell’ente e la loro sostituzione, per un periodo massimo di sei mesi, con uno o più commissari, muniti dei poteri di amministrazione dell’ente medesimo. Si tratta, com’è agevole rilevare, di una misura, denominata nel corpo della norma come “gestione provvisoria”, sostanzialmente ricalcata sull’omonima procedura applicabile alle banche (art. 76 t.u.b.), della quale la prima replica, con alcune interessanti varianti, sia i presupposti che gli effetti. Anche in questo caso, invero, il provvedimento de quo può essere adottato dalla Banca d’Italia in presenza di gravi irregolarità nell’amministrazione o di gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative e statutarie che regolano l’attività dell’intermediario, purché in concorso con ragioni di urgenza. L’avvio della procedura, inoltre, dà anche qui luogo ad una sorta di spossessamento dell’imprenditore – attuato tramite una cesura, sia pure attenuata e temporanea, tra l’impresa e i suoi organi ordinari di amministrazione e controllo – che consente di annoverare la misura in esame tra le c.d. gestioni coattive 15.
14. Per economia di trattazione, ai c.d. provvedimenti straordinari (applicabili anche agli intermediari finanziari non bancari, in virtù del richiamo operato dall’art. 110 t.u.b.) non potrà essere dedicata, in questa sede, specifica attenzione. Va tuttavia precisato che essi possono comunque inquadrarsi nel “sistema dei poteri di vigilanza finalizzati alla prevenzione e alla risoluzione delle situazioni di patologia bancaria”, essendo riconducibili al “complesso strumentario a disposizione della Banca d’Italia per il trattamento sintomatico delle situazioni di crisi”, arricchito di “nuove possibilità di intervento, graduate in ordine alla natura e alla rilevanza dell’anomalia” (così, De Polis, Argentesi, Commento sub art. 78, in Commentario al Testo Unico, diretto da Capriglione, cit., II, p. 947). 15. Per una disamina dei caratteri della gestione provvisoria e per un inquadramento dell’istituto fra le gestioni coattive di impresa (ancorché in presenza di uno spossessamento “attenuato” dell’imprenditore), mi permetto di rinviare a Ciraolo, Il modello della gestione provvisoria nella crisi dell’impresa bancaria, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, p. 54 (e, in part., p. 60 ss.). Contra, A. Nigro, Commento sub art. 76, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Belli ed altri, cit., p. 1226, che ravvisa invece nell’istituto una semplice sostituzione di organi, attuata tramite un inserimento coattivo nell’organizzazione dell’ente di soggetti esterni, limitatamente alla sola funzione amministrativa.
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Va dato atto, tuttavia, che nelle intenzioni del legislatore la gestione provvisoria degli intermediari finanziari si pone, oggi, quale unica procedura “speciale” adottabile per fronteggiare eventuali crisi aziendali reversibili, essendo venuta meno, rispetto al regime previgente, ogni possibilità di ricorso all’amministrazione straordinaria 16. Il dato impone alcune riflessioni, che si appuntano, in particolare, sulla funzione attribuibile alla procedura in questione. Richiamando, invero, l’esperienza relativa agli enti creditizi, si può ricordare come l’individuazione dello scopo della gestione provvisoria abbia costituito, sin dalla legge bancaria del 1936-38 (cui si deve l’introduzione dell’istituto nel nostro ordinamento), oggetto di nutrito dibattito, avendo la dottrina di volta in volta riconosciuto a detta misura una funzione ispettivo-cautelare, di accertamento della situazione aziendale, o di anticipazione dell’amministrazione straordinaria (assumendosi, in particolare, che la procedura in esame rappresentasse una mera fase preliminare di quest’ultima), transitando per la singolare tesi – contrastata da insuperabili ragioni letterali – dell’esistenza di una duplice forma di gestione provvisoria (autonoma la prima, strumentale all’amministrazione straordinaria la seconda), nascosta fra le pieghe dell’unica, stringata norma di legge in materia 17. Malgrado l’ampia varietà delle opinioni espresse (ciascuna delle quali in grado di cogliere, a nostro avviso, solo una parte dell’essenza del fenomeno), si può tuttavia affermare che il dibattito dottrinario si sia principalmente consolidato, nel tempo, intorno al tema della (presunta) strumentalità della gestione provvisoria rispetto alla procedura “maggiore” dell’amministrazione straordinaria, essendosi da più parti ritenuto – ricorrendo, talora, ad argomentazioni fondate anche su palesi forzature del dato normativo – che la prima misura risponda all’esigenza di approntare un rimedio di carattere immediato e temporaneo, legittimato dall’urgenza di intervenire, in vista (ed in funzione) della successiva adozione della seconda (donde la sostanziale identità, altrimenti non giustificabile, dei presupposti delle medesime) 18.
16. Possibilità ammessa dal vecchio art. 107, co. 6, per i soli intermediari iscritti nell’elenco speciale, se autorizzati all’esercizio dei servizi di investimento, o se destinatari di fondi con obbligo di rimborso per un ammontare superiore al patrimonio. 17. Per le opportune indicazioni bibliografiche, mi sia consentito rinviare ancora una volta al mio Il modello della gestione provvisoria, cit., p. 55 ss. 18. In questo senso v. A. Nigro, Commento sub art. 76, cit., pp. 1227-1228 (il quale propende per la tesi della strumentalità, sostenendo tuttavia che la gestione provvi-
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Come in altra sede dimostrato, a noi pare, tuttavia, che l’interprete non possa spingersi oltre la ricostruzione della procedura in esame in termini di cautelarità e di neutralità, dovendosi rifuggire da ogni affermazione di strumentalità (quanto meno necessaria) della gestione provvisoria rispetto all’amministrazione straordinaria 19. In altre parole, a nostro giudizio la gestione provvisoria rappresenta una mera misura d’urgenza, preordinata innanzitutto ad arginare, attraverso un’immediata sospensione dalle funzioni degli organi amministrativi e di controllo, il rischio che una situazione già compromessa degeneri irreparabilmente (da qui, dunque, il riconoscimento della sua natura lato sensu cautelare 20), ma al contempo utilizzabile, in concreto, per vari ed eterogenei fini: una volta insediatosi (per le ragioni anzidette), infatti, l’organo straordinario potrebbe indirizzare la propria attività verso un accertamento più approfondito della realtà aziendale, verso la prevenzione di un aggravamento della crisi, verso il risanamento dell’ente in difficoltà (si rifletta sulla possibilità, ammessa dallo stesso legislatore, di un ritorno alla gestione ordinaria), o ancora verso la predisposizione di procedure ben più incisive (come comprova il possibile sbocco della gestione provvisoria in amministrazione straordinaria o in liquidazione coatta amministrativa). In sintesi, per quanto sia vero che la gestione provvisoria delle banche si traduca quasi sempre, di fatto, in una fase anticipatoria dell’amministrazione straordinaria, non può per converso affermarsi che tale sia, in astratto, l’inderogabile funzione della procedura, che sembra invece possedere natura autonoma e finalità al tempo stesso più ampie (ossia, come già precisato, genericamente cautelari) e più articolate (data la rilevata possibilità di piegare detta procedura – cau-
soria rappresenti una fase non tanto preparatoria, bensì di accertamento e di verifica della effettiva sussistenza e consistenza dei presupposti ex art. 70 t.u.b.), nonché, da ultimo, Blandini, Commento sub art. 76, in Commentario al Testo Unico, diretto da Capriglione, cit., II, pp. 934-5 (ove però, alla successiva p. 936, si accenna incidentalmente all’autonomia della procedura). Sul carattere autonomo della gestione provvisoria insiste invece Restuccia, L’amministrazione straordinaria delle aziende di credito, Milano, 1983, p. 183 ss. 19. Ciraolo, Il modello, cit., p. 58 ss.; Bavetta, La gestione provvisoria delle banche, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, I, p. 369 ss. 20. Mancherebbe, infatti, il nesso di strumentalità necessaria rispetto ad un’altra misura o procedura a carattere definitivo (della quale la prima tenderebbe ad anticipare e assicurare gli effetti), proprio delle misure cautelari come intese nella comune accezione processual-civilistica.
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telare – al raggiungimento di svariati obiettivi concreti). La gestione provvisoria, in sostanza, si conferma procedura a sé stante, destinata solo in via eventuale a sfociare in un provvedimento di diversa consistenza. Ciò premesso, rimane comunque da verificare se le considerazioni sin qui svolte, con diretto riferimento alla disciplina delle banche, si attaglino anche alla variante della gestione provvisoria prevista per gli intermediari non bancari dall’art. 113-bis cit. Al riguardo, va innanzitutto rilevato che non appare pertinente al caso di specie, per ovvie ragioni, la controversa tesi della gestione provvisoria quale fase prodromica o anticipatoria dell’amministrazione straordinaria: quest’ultima, infatti, a seguito della novella del 2010 non risulta più applicabile agli intermediari “residuali”, il che risolve alla radice, per un verso, il problema del rapporto sussistente tra le due procedure, confermando, al contempo, il carattere autonomo del provvedimento in esame. È più utile sottolineare, invece, come la procedura in parola si distingua dall’omologa procedura ex art. 76 t.u.b. in forza di due specifici elementi (essendo per il resto strutturata e disciplinata in modo essenzialmente analogo, anche in virtù di un espresso richiamo, con il limite della compatibilità, ai co. 2 e 4 dell’art. 76 cit.): a) il requisito dell’urgenza (che appare qui sprovvisto, tuttavia, della connotazione di “assolutezza” propria della misura prettamente bancaria); b) il termine di durata (esteso fino ad un massimo di sei mesi, in luogo dei due previsti per le banche). Orbene, attribuendo ai suddetti elementi distintivi la debita rilevanza, riteniamo di poter giungere alle seguenti affermazioni: a) la gestione provvisoria ex art. 113-bis si caratterizza per un raggio d’azione più esteso rispetto a quello dell’analoga procedura bancaria, potendo essere disposta non soltanto nell’ipotesi “estrema” dell’assoluta urgenza, ma anche quando l’intervento dell’autorità di controllo appaia necessitato da un’urgenza di provvedere non qualificata; b) la maggiore durata della procedura induce ad enfatizzarne, in confronto alla misura ex art. 76 t.u.b., la funzione di potenziale risanamento della situazione aziendale, tanto più che: 1) è stata soppressa, come dianzi precisato, la possibilità che l’intermediario finanziario venga sottoposto ad amministrazione straordinaria (misura alla quale viene per diffusa opinione riconosciuta, com’è noto, una finalità principalmente risanatoria e di superamento della crisi reversibile, mercé l’eliminazione
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delle relative cause 21); 2) il termine di sei mesi si sposa meglio con la possibilità di addivenire alla soluzione della crisi in atto (eventualità che risulta sotto questo profilo agevolata) e con l’auspicabile ritorno alla gestione ordinaria (previsto dalla norma), rappresentando un lasso di tempo forse eccessivo per una procedura meramente interlocutoria e cautelare, ma senz’altro più adatto, per converso, a risolvere le difficoltà (gravi) in cui versa l’intermediario. Alla luce delle superiori considerazioni, si può affermare che le peculiari caratteristiche della gestione provvisoria ex art. 113-bis t.u.b. consentono di affrancarla in parte dalla funzione cautelare attribuibile all’omonima procedura bancaria, per ravvisare una sorta di partecipazione della medesima alle finalità (risanatorie) tipiche dell’amministrazione straordinaria. Si assiste, in altri termini, ad una torsione del modello originario di provenienza, che troverebbe giustificazione, come osservato in dottrina, nella volontà legislativa di conciliare l’esigenza di proporzionalità nella gestione della crisi degli intermediari (art. 108, ultimo comma, t.u.b.) con la necessità di efficacia e di flessibilità dello strumentario a disposizione della Banca d’Italia 22.
21.
Anche con riferimento all’amministrazione straordinaria, invero, sono state formulate tesi quanto mai eterogenee, che le attribuiscono di volta in volta finalità sanzionatorie, cautelari, ispettive, miste e finanche neutre (in quest’ultimo senso v. Ferro-Luzzi, Le imprese bancarie in amministrazione straordinaria, in Riv. dir. comm., 1989, p. 358 ss.; ID., Commento sub art. 57, in Codice commentato della banca, a cura di Capriglione e Mezzacapo, Milano, 1990, I, p. 268 ss., secondo il quale la procedura in esame si presterebbe ad applicazioni diversificate, in quanto caratterizzata dalla neutralità sia nei fini che nei contenuti). L’opinione maggioritaria, tuttavia, resta comunque quella della procedura con finalità di risanamento dell’ente (e di superamento di uno stato di crisi reversibile e transitorio): per la dimostrazione di tale assunto v., per tutti, A. Nigro, Disciplina della crisi. Considerazioni generali, in Testo unico, a cura di Belli ed altri, cit., p. 1129 ss. (ove copiosi richiami bibliografici), nonché Desiderio, Commento sub art. 80, in Testo Unico Bancario. Commentario, a cura di Porzio ed altri, Milano, 2010, p. 689. Per una lettura in parte divergente, che tiene conto delle concrete applicazioni pratiche dell’istituto (ove frequentemente si riscontra una riallocazione della proprietà dell’impresa che consente, anche nei casi di grave patologia aziendale, di salvaguardare l’integrità del patrimonio organizzativo e produttivo dell’ente, nonché i livelli occupazionali), v. Capriglione, Comm. sub art. 70, cit., II, p. 875, il quale mette in luce come alla logica del risanamento aziendale (inteso, sticto sensu, come ripristino della produttività e redditività dell’impresa) si contrapporrebbe, sul piano concreto, quella del recupero al sistema dell’unità in crisi (da intendere come salvaguardia del complesso produttivo o di parti di esso, attuata specialmente attraverso forme di fusione dell’ente commissariato con altre entità del settore). 22. In questo senso De Benedetto, Commento sub art. 113-bis, in Commentario al Testo Unico, diretto da Capriglione, cit., III, p. 1500, la quale muove tuttavia da premesse, in
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Resta aperto, tuttavia, il giudizio – che ci riserviamo di formulare nelle conclusioni del presente lavoro – circa l’effettiva rispondenza della disciplina ai fini che il legislatore ha inteso perseguire e, di riflesso, in merito al regime complessivo della crisi degli intermediari finanziari, come delineato a seguito del d.lgs. n. 141/2010.
4. La revoca dell’autorizzazione ed i provvedimenti ad essa conseguenti. La seconda misura adottabile in situazioni di crisi degli intermediari non bancari consiste nella revoca, ad opera della Banca d’Italia, dell’autorizzazione all’esercizio delle attività di natura finanziaria (art. 113-ter t.u.b.). La norma presenta un contenuto piuttosto articolato, che muove dall’individuazione dei presupposti del provvedimento di revoca (identificabili, in sostanza, con le medesime ipotesi, connotate dalla gravità di grado eccezionale, previste per la liquidazione coatta amministrativa delle banche 23), per poi approdare all’indicazione delle relative conseguenze. Queste, in particolare, si ravvisano nell’immediato scioglimento della società di intermediazione finanziaria e nella susseguente apertura di una “comune” fase liquidatoria, destinata tuttavia a svolgersi sotto l’occhio vigile dell’autorità di settore (il co. 3 della disposizione in commento precisa, invero, che l’intermediario è tenuto a presentare alla Banca d’Italia, entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di revoca dell’autorizzazione, il programma di liquidazione, e che l’organo liquidatore deve trasmettere alla Banca d’Italia riferimenti periodici sullo stato di avanzamento della liquidazione; il co. 4 prevede invece l’applicazione degli artt. 96-quinquies e 97 t.u.b., in materia di liquidazione ordinaria delle banche). Avrà invece luogo la procedura di liquidazione coatta amministrativa (nella medesima forma prevista per le banche), nel caso in cui: i)
ordine alle finalità delle procedure di gestione provvisoria e di amministrazione straordinaria, in parte difformi da quelle qui enunciate. 23. Per un’approfondita disamina dei presupposti oggettivi della liquidazione coatta amministrativa delle banche, si veda, anche per ulteriori richiami bibliografici, Bonfatti, Commento sub art. 80, in Commentario al Testo Unico, diretto da Capriglione, cit., II, p. 980 ss.
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la Banca d’Italia accerti l’insussistenza dei presupposti per un regolare svolgimento della procedura di liquidazione ordinaria 24; ii) l’intermediario sia stato autorizzato all’esercizio dei servizi di investimento, abbia acquisito fondi con obbligo di rimborso per un ammontare superiore al patrimonio, o versi in accertato stato di insolvenza ai sensi dell’art. 82 t.u.b. (non occorrendo, in tali ipotesi, nemmeno il preventivo avvio di una liquidazione ordinaria). Da questa breve descrizione, si evince come la disciplina in esame ingeneri rischi di sovrapposizione fra diverse fattispecie, ostacolando una compiuta e coerente ricostruzione del quadro normativo applicabile nelle ipotesi di revoca dell’autorizzazione ex art. 113-ter. In proposito, un primo rilievo riguarda, ad esempio, la nozione stessa di revoca (dell’autorizzazione), quale emergente dalla norma in commento. Come osservato in dottrina, infatti, essa si caratterizza per una valenza spiccatamente sanzionatoria, che consente di distinguere il provvedimento in questione dalla revoca tout court, cui fa invece riferimento
24. Accertamento che dovrebbe trovare la sua naturale esecuzione nel momento in cui, verificatasi una causa di scioglimento, l’ente debba porsi in liquidazione (cfr. art. 96-quinquies, applicabile anche agli intermediari finanziari), benché la norma non sembri escludere, nella sua perentoria formulazione, che esso possa intervenire anche in un momento successivo. Resta poi da chiarire cosa si intenda per “mancata sussistenza dei presupposti per un regolare svolgimento della procedura di liquidazione”. La formula – di tenore analogo a quelle contenute negli artt. 96-quinquies e 97 t.u.b. – richiama alla memoria, in virtù del generico riferimento ad una situazione di irregolarità, i presupposti delle procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa. Non a caso, in tema di banche, è stato rilevato che l’obbligo di comunicare alla Banca d’Italia il verificarsi di una causa di scioglimento della società (introdotto nel nostro ordinamento in attuazione dell’art. 11.1, dir. 2001/24/CE) deve intendersi finalizzato a consentire all’autorità di vigilanza di verificare l’inesistenza dei presupposti per un provvedimento di gestione della crisi, più idoneo, rispetto alla comune liquidazione, a tutelare gli interessi, anche di ordine pubblicistico, che gravitano attorno all’attività di intermediazione finanziaria (Capolino, Coscia, Galanti, La crisi delle banche e delle imprese finanziarie, in Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, a cura di Galanti, Padova, 2008, pp. 1002-1003; Zappasodi, Commento sub art. 96-quinquies, in Commentario al Testo Unico, diretto da Capriglione, cit., II, p. 1268, ove si ricorda come la stessa dir. 2001/24/CE preveda, al 18° considerando, che la liquidazione volontaria sia possibile solo se l’ente creditizio risulti solvibile; Antonucci, Diritto delle banche, Milano, 2012, p. 320). In quest’ottica, particolare importanza assumerebbe, nel caso degli intermediari finanziari, il riscontro di una situazione di insolvenza (in quanto presupposto per la l.c.a.), mentre, per altro verso, l’emersione di irregolarità nell’amministrazione e/o di violazioni di legge potrebbe rilevare ai fini di un eventuale provvedimento di revoca dell’autorizzazione (sul punto v. anche più avanti nel testo).
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l’art. 107, co. 3, t.u.b. Ed invero, mentre la prima (revoca-sanzione) rappresenta una peculiare reazione dell’ordinamento a fronte del riscontro di irregolarità di particolare gravità 25, la seconda rientra nello schema tipico dell’atto di autotutela in via amministrativa, adottabile al venir meno dei requisiti cui l’atto revocato (nella specie, l’autorizzazione) è subordinato 26. Il rinvio alla normativa secondaria contenuto nell’art. 107, co. 3, per l’individuazione dei “casi di revoca” dell’autorizzazione, non dovrebbe dunque ritenersi esteso (né, per converso, essere di pregiudizio) alle fattispecie previste dall’art. 113-ter, che risultano, d’altro canto, già delineate con precisione dalla stessa norma di legge (salvi i problemi interpretativi, non dissimili da quelli concernenti le banche, in ordine al significato dei singoli presupposti e alla quantificazione del relativo grado di gravità 27). Entrambe le predette forme di revoca si distinguono, poi, dalla fattispecie – per così dire complementare, in quanto posta anch’essa su un piano lato sensu sanzionatorio 28 – della decadenza del provvedimento autorizzatorio, che si verifica allorquando l’intermediario non abbia iniziato (ovvero, secondo le previsioni finora vigenti, abbia interrotto per un prolungato periodo di tempo) l’esercizio dell’attività per la quale era stato in origine autorizzato (art. 107, co. 3) 29. Effetto ora espressamente previsto, peraltro, anche per l’ipotesi in cui abbia avuto luogo l’iscrizione, nel registro delle imprese, degli atti che deliberano o dichiarano lo scioglimento della società di intermediazione finanziaria (v. combinato disposto art. 113-ter, co. 4, e 96-quinquies t.u.b.).
25. La revoca-sanzione esprime, in sostanza, un biasimo di eccezionale intensità in ordine all’amministrazione dell’ente e all’(in)osservanza delle disposizioni vigenti, o comunque, più in generale, un giudizio di sopravvenuta inidoneità dell’ente ad esercitare l’attività in precedenza autorizzata, senza mettere in pericolo gli interessi tutelati dall’ordinamento (Costi, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012, pp. 843-844, il quale evidenzia, tuttavia, come il suddetto giudizio di inidoneità – e, dunque, il provvedimento di revoca - possa dipendere, in alcuni casi, da mere circostanze obiettive, che nulla hanno a che vedere con comportamenti censurabili del soggetto autorizzato). 26. In argomento v. Giusti, Passalacqua, Commento sub art. 113-ter, cit., p. 1505. 27 Sul punto si rinvia alla dottrina indicata alla nt. 21. 28. Nello specifico, invero, la “sanzione” non sarebbe necessariamente riconducibile a comportamenti illegittimi dell’ente finanziario, o a responsabilità personali ascrivibili agli esponenti aziendali. Per analoghe considerazioni, riferite al provvedimento di revoca dell’autorizzazione, v. supra, nt. 25. 29. La decadenza rappresenterebbe, pertanto, la necessaria presa d’atto di comportamenti riferibili alla volontà non della P.A. (come nel caso della revoca), ma dello stesso imprenditore (così, Desiderio, Commento sub art. 80, cit., p. 686).
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La similitudine fra le summenzionate fattispecie (decadenza e revoca), accomunate dal verificarsi di una causa dissolutiva della società e dall’apertura della fase estintiva dell’ente 30, alimenta peraltro il dubbio circa la possibilità di pronunciare la revoca-sanzione (ovviamente, laddove se ne riscontrino i tassativi presupposti 31), nei confronti di un intermediario che sia già stato colpito dalla decadenza. Il tema è stato affrontato, seppur di rado e con esiti radicalmente divergenti, in sede sia dottrinaria che giurisprudenziale. Ed invero, alla tesi, elaborata dalla giurisprudenza, secondo cui l’intervenuta caducazione del provvedimento autorizzatorio precluderebbe la successiva revoca-sanzione (stante il “difetto di potere” correlato alla già maturata decadenza) 32, si contrappone l’opinione dottrinaria in base alla quale il provvedimento di revoca-sanzione potrebbe anche sostituire quello di decadenza, in precedenza assunto 33.
30. Fermo restando, ovviamente, che lo scioglimento integra in un caso il presupposto, nell’altro l’effetto del provvedimento sanzionatorio (nell’ordine, di decadenza e di revoca). 31. È diffusa opinione, invero, che la revoca-sanzione non possa avere luogo al di fuori delle specifiche ipotesi previste dal legislatore, tanto più che attinente all’esercizio della fondamentale libertà di iniziativa economica (Costi, L’ordinamento, cit., pp. 843-845; Desiderio, Commento sub art. 80, cit., p. 686, contrario al riconoscimento di una “potestà revocatoria generale”). 32. Più in particolare, la S.C. ha affermato – sia pure con riferimento ad un contesto normativo assai diverso dall’attuale – che la decadenza dell’autorizzazione (rilasciata, nello specifico, ad una compagnia di assicurazioni) consuma il potere di revoca della p.a., dal momento che quest’ultimo provvedimento, ove adottato, risulterebbe viziato da una radicale carenza di potere (Cass., S.U., 27 gennaio 1999 n. 4; Cass., S.U., 6 febbraio 2003, n. 1810, con nota critica di Russo, Sul rapporto tra i provvedimenti di decadenza e di revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività assicurativa, in Nuova giur. civ. comm., 2004, p. 152. All’orientamento in questione sembrano invece aderire Giusti, Passalacqua, Commento sub art. 113-ter, cit., pp. 1506-1507 e 1511). In altri termini, la Corte di legittimità ha statuito che la decadenza consegue automaticamente al verificarsi di determinati fatti (quali, nel caso degli intermediari finanziari, la mancata operatività dell’ente o la liquidazione volontaria) e che l’autorità di settore non possa che prendere atto di tale accadimento (riconducibile, peraltro, all’esercizio di un diritto soggettivo dell’imprenditore), attraverso un provvedimento meramente ricognitivo (o ad efficacia dichiarativa), idoneo ad impedire ogni altra pronuncia in ordine all’atto caducato (contra, Volpe Putzolu, Commento sub art. 240, in Commentario breve al diritto delle assicurazioni, a cura di Volpe Putzolu, Padova, 2010, p. 736, secondo la quale l’accertamento della decadenza avrebbe, nel Codice delle assicurazioni, carattere non meramente ricognitivo, bensì costitutivo). 33. Quest’ultima tesi, formulata con specifico riferimento alla disciplina delle banche, presuppone che, in certi casi, l’intendimento di liquidarsi (con conseguente estinzione dell’autorizzazione, una volta effettuata l’iscrizione nel registro delle imprese ex art.
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Il punto merita una precisazione, che giovi ad inquadrare la questione da una più corretta angolazione. A ben vedere, infatti, ciò che preoccupa gli studiosi non è tanto che la decadenza dell’autorizzazione possa ostacolare il provvedimento di revoca in sé e per sé considerato, quanto che la decadenza valga persino ad impedire – come affermato dalla S.C. – l’avvio della liquidazione coatta amministrativa, quale procedura che alla revoca-sanzione si accompagna 34. Non si tollera, in breve, che la decadenza possa costituire un escamotage per eludere l’intervento delle autorità di vigilanza in situazioni di crisi degli intermediari e l’adozione delle misure allo scopo predisposte. Ora, a prescindere dalla fondatezza di simili timori 35, non può certo sfuggire che i rischi sopra rappresentati non sembrano comunque
96-quinquies) possa mascherare una situazione di crisi meritevole di un più incisivo intervento di vigilanza (i.e., revoca e liquidazione coatta amministrativa), che, diversamente opinando, risulterebbe inammissibile (cfr. Desiderio, Commento sub art. 80, cit., p. 692). In simili circostanze, invero, sussisterebbe un interesse dell’ordinamento ad adottare comunque il provvedimento di maggior rigore sanzionatorio (revoca), dati gli effetti, di speciale intensità e rigore, che ad esso conseguono (l’estinzione obbligata dell’ente, attraverso una peculiare procedura, preordinata a soddisfare interessi anche di rango pubblicistico). In termini analoghi, ma con riferimento alla disciplina del settore assicurativo, Russo, Sul rapporto, cit., p. 155, il quale rileva che “affermare la prevalenza dell’elemento volontaristico (dell’impresa di dismettere l’attività assicurativa), rispetto alle istanze di tutela sottese al sistema sanzionatorio, costituirebbe un’evidente forzatura interpretativa la cui principale, e davvero deprecabile, conseguenza sarebbe di consentire ad imprese in difficoltà di sottrarsi con un semplice artifizio alla vigilanza dell’ISVAP”. 34. La revoca pronunciata in conseguenza del riscontro delle gravissime anomalie previste dalla legge, infatti, postula l’adozione della l.c.a., pur essendo concepibili, come sovente rilevato in letteratura, alcune ipotesi di l.c.a. senza revoca e – caso assai più controverso – di revoca senza l.c.a. (su tale problematica v., oltre agli autori citati alla nota 31, Bonfatti, Commento sub art. 80, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Belli ed altri, cit., II, p. 1279; ID., Commento sub art. 80, in Commentario al testo unico, diretto da Capriglione, cit., II, pp. 976-977, ove l’a. sottolinea come la revoca dell’autorizzazione sia possibile anche in mancanza di un giudizio di riprovevolezza circa la condotta dell’ente, con la conseguenza che, in simili ipotesi, al provvedimento ablativo non farebbe seguito la l.c.a.). 35. Ci limitiamo ad osservare, in argomento, che il t.u.b. non sembra affatto precludere la possibilità di disporre (la revoca e) la liquidazione coatta amministrativa nei confronti di banche già incorse nella decadenza dell’autorizzazione. Basti pensare che l’art. 80 (applicabile, peraltro, anche agli intermediari finanziari, ai sensi dei commi 5 e 6 dell’art. 113-ter) prevede che la l.c.a. venga disposta anche nei confronti di banche in liquidazione ordinaria (la cui autorizzazione, quindi, risulterebbe già decaduta).
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riguardare la generalità degli intermediari ex art. 106 36, posto che, relativamente ai medesimi, la revoca dell’autorizzazione non prelude necessariamente alla liquidazione coatta amministrativa: l’ordinamento, anzi, prevede che, nelle circostanze di eccezionale gravità previste dall’art. 113-ter, l’espulsione dell’ente dal mercato sia attuata, di norma, attraverso una procedura “volontaria” (la liquidazione ordinaria), ritenuta ugualmente idonea ad assicurare la tutela degli interessi in gioco. In quest’ottica, dunque, si potrebbe concludere che l’adozione del provvedimento di revoca, in luogo di quello di decadenza, si rivelerebbe di fatto priva di qualsiasi utilità pratica, addivenendosi in entrambi i casi alla liquidazione ordinaria dell’ente, peraltro sotto il perdurante controllo pubblico sullo svolgimento della procedura, esercitato dalla Banca d’Italia 37. Eppure, ad una più attenta analisi, ci si accorge come, in realtà, il ricorso all’uno o all’altro provvedimento sanzionatorio possa non risultare indifferente, rispetto agli interessi che l’ordinamento protegge. È stato osservato, ad esempio, che il soggetto incorso nella decadenza dell’autorizzazione potrebbe anche sopravvivere, modificando il proprio oggetto sociale, laddove l’art. 113-ter impone comunque, per i casi di revoca ivi previsti, l’estinzione dell’ente (tramite liquidazione ordinaria o liquidazione coatta amministrativa) 38. Ed ancora, mentre si ipotizza che la decadenza non sia idonea ad impedire la successiva revoca dello stato di liquidazione (giacché il legislatore riconoscerebbe, in questo caso, l’interesse del soggetto a ripren-
36. Con la significativa eccezione degli intermediari di cui al comma 6 dell’art. 113-ter, equiparati, quanto al regime della crisi irreversibile, agli enti creditizi. Sul punto si veda anche quanto precisato infra, nel testo e nt. 44. 37. V. artt. 113-ter, co. 3, 96-quinquies e 97 t.u.b. In generale, sul tema dei limiti di applicabilità delle norme della legge bancaria alle banche in liquidazione volontaria, si leggano le approfondite riflessioni di Bonfatti, Commento sub art. 97, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Belli ed altri, cit., II, p. 1642 ss. 38. Nel t.u.b., infatti, non è più presente una disposizione analoga a quella del vecchio art. 111, che prevedeva, per l’ipotesi di cancellazione dell’intermediario dall’elenco generale, la convocazione dell’assemblea per deliberare la modifica dell’oggetto sociale o la liquidazione volontaria (v. supra, par. 2). L’analisi delle disposizioni dell’ordinamento finanziario, inoltre, dimostra che, laddove il legislatore ha inteso consentire, in alternativa allo scioglimento dell’ente, la modifica dell’oggetto sociale, lo ha precisato espressamente: v. ad es. art. 75, co. 3, t.u.f., o art. 94, co. 2, t.u.b. (disposizione della quale, peraltro, viene da taluno posta in dubbio l’applicabilità agli intermediari finanziari: Giusti, Passalacqua, Commento sub art. 113-ter, cit., pp. 1513-1514).
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dere l’attività in origine prescelta 39) 40, si dubita che tale eventualità sia ammissibile in ipotesi di revoca-sanzione (atteso che, nella fattispecie, la liquidazione esulerebbe dalla disponibilità dei soci, in quanto riconducibile, nella sostanza, ad una decisione della p.a.) 41. Infine, non ci si può esimere dal considerare che, a differenza della decadenza, la revoca-sanzione può implicare, in ragione degli specifici fatti che ne legittimano l’adozione (gravissime irregolarità gestionali o violazioni di legge, previsione di perdite patrimoniali di eccezionale gravità, o insolvenza dell’intermediario), l’applicazione di ulteriori sanzioni, anche di natura penale, a carico dell’intermediario e degli esponenti aziendali 42.
39. Più in generale, si può osservare che le norme in tema di revoca dello stato di liquidazione (art. 2487-ter c.c.) mirano a contemperare l’interesse dei soci alla ripresa dell’attività sociale e quello dei creditori sociali, che potrebbero ritenersi, a seconda dei casi, avvantaggiati dalla revoca e dal ripristino della naturale vocazione all’utile dell’ente, ovvero pregiudicati nelle proprie ragioni di credito (potendo in quest’ipotesi proporre opposizione alla revoca della liquidazione). 40. V. ad es. Galanti, La liquidazione volontaria, in La nuova legge bancaria, a cura di Ferro-Luzzi e Castaldi, Milano, 1996, II, p. 1530, nt. 724, il quale evidenzia tuttavia la necessità che, in simili casi, la banca si munisca di una nuova autorizzazione per la ripresa dell’attività (in quanto evento equiparabile all’avvio dell’attività stessa). Contra, COSTI, L’ordinamento, cit., p. 846, il quale, muovendo dall’assunto - invero contrastato dal chiaro enunciato dell’art. 96-quinquies – che la liquidazione volontaria non comporterebbe la perdita dell’autorizzazione, ma una semplice “paralisi” della medesima, sostiene che la revoca della liquidazione permetterebbe alla società di riprendere l’esercizio dell’attività bancaria in forza dell’originario provvedimento autorizzatorio. 41. Ai sensi dell’art. 2487-ter c.c., infatti, la revoca dello stato di liquidazione può avvenire, con delibera dell’assemblea dei soci, “previa eliminazione della causa di scioglimento”. Nella fattispecie, rammentiamo che la liquidazione dell’ente dipende dall’accertamento di fatti gravissimi e dalla conseguente revoca dell’autorizzazione (provvedimento con spiccate connotazioni sanzionatorie e pubblicistiche), sicché l’integrale rimozione della causa di scioglimento ad opera dell’assemblea risulta a nostro avviso impossibile. Del resto, anche prima della riforma dei diritto societario, la dottrina era propensa a ritenere l’irrevocabilità della liquidazione determinata da provvedimento dell’autorità governativa (tipicamente, in caso di liquidazione coatta amministrativa), stante la presenza di un interesse pubblico all’eliminazione dell’ente, sotteso all’adozione del provvedimento stesso, che renderebbe lo scioglimento non disponibile da parte dei soci (Niccolini, Scioglimento, liquidazione ed estinzione della società per azioni, in Tratt. soc. per az. diretto da Colombo e Portale, 7***, Torino, 1997, p. 658 ss.) 42. Si può assumere, quindi, l’esistenza di un interesse a “certificare” tramite la revoca (e a rendere successivamente pubbliche, mediante gli adempimenti previsti dall’art. 113-ter, co. 2) alcune gravissime anomalie nella gestione o nella situazione economica dell’ente (fermo restando, peraltro, che l’accertamento di tali fatti potrebbe avvenire anche in altro modo).
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Da quanto osservato si desume, dunque, che anche nel caso in esame la messa in liquidazione volontaria (con correlata decadenza dell’autorizzazione) potrebbe rappresentare, per l’intermediario finanziario che abbia commesso gravissime irregolarità, un espediente per sottrarsi al provvedimento di revoca ex art. 113-ter ed alle conseguenze che ne discendono (ancorché non identificabili, si ribadisce, con l’inevitabile avvio della liquidazione coatta). A noi pare, pertanto, che proprio in virtù della sua indubbia valenza sanzionatoria e dell’ampio ventaglio di interessi che è preordinata a soddisfare (anche solo in via mediata), la revoca meriti di “prevalere” sul provvedimento di decadenza (specie se in esso possano ravvisarsi, come specificato, finalità elusive delle norme sulla revoca stessa). In questa logica, si potrebbe quindi ipotizzare che quest’ultimo, ancorché tacito o automatico 43, possa essere legittimamente sostituito, per le ragioni sopra esposte, da un provvedimento espresso di revoca 44. Sul piano pratico, peraltro, va dato atto che le disposizioni del t.u.b. consentono comunque un adeguato componimento del problema in discussione. Ed invero, il paventato pericolo che l’intermediario eluda la revoca dell’autorizzazione provocandone artatamente la preventiva decadenza (cessando di operare o ponendosi in liquidazione volontaria), è scongiurato, in concreto, dal menzionato potere della Banca d’Italia di rilevare la mancanza dei presupposti per un regolare svolgimento della liquidazione (art. 96-quinquies): un ipotetico accertamento in tal senso – legato, ad esempio, al riscontro di gravissime irregolarità o all’emersione di uno stato di insolvenza – ostacolerebbe, infatti, l’iscrizione nel registro delle imprese dell’atto di scioglimento della società, prevenendo l’automatico avverarsi della decadenza (che verrebbe in questo caso anticipata dalla revoca-sanzione).
43. La decadenza, invero, potrebbe avere luogo in via del tutto automatica allo spirare di un termine o al verificarsi di determinati fatti, come ad es. previsto, nell’ottica della semplificazione dei procedimenti amministrativi, dalla normativa di vigilanza applicabile alle banche (v. provvedimento del 5 dicembre 2007), con riferimento al caso in cui l’ente non abbia iniziato ad operare entro un anno dal rilascio dell’autorizzazione. 44. In questa direzione sospinge, peraltro, anche un argomento di tenore letterale: l’art. 113-ter, infatti, prevede che la revoca dell’autorizzazione possa essere disposta dalla Banca d’Italia su richiesta motivata (anche) degli organi della liquidazione ordinaria (vale a dire, una volta che l’ente sia stato già privato dell’autorizzazione ex art. 96-quinquies).
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L’art. 96-quinquies, in altre parole, fornisce la chiave per un’equilibrata soluzione del problema, giacché, alla luce di tale norma, l’eventualità che la revoca-sanzione si sovrapponga alla decadenza finisce, di fatto, col perdere concretezza 45. Pur nondimeno, sarebbe auspicabile che il legislatore provvedesse a fare maggiore chiarezza sul punto, introducendo nel t.u.b., ad esempio, una disposizione analoga a quella in atto dettata dall’art. 240 del Codice delle assicurazioni (laddove si prevede, in particolare, che l’Autorità di settore, chiamata a pronunciare la decadenza dell’autorizzazione, valuti invece di proporre al Ministro la revoca dell’autorizzazione medesima, in presenza dei presupposti per la liquidazione coatta amministrativa). La norma in commento va apprezzata, di contro, per avere opportunamente allineato i poteri di concessione dell’autorizzazione ai poteri di revoca della medesima, attribuendo anche questi ultimi alla Banca d’Italia (con l’eccezione, pare, dei casi indicati dal co. 6, ove si rinvia alle norme sulla procedura di l.c.a.). Pur lasciando aperta, infatti, l’annosa questione relativa al grado (e al tipo) di discrezionalità riconoscibile in capo all’autorità di vigilanza nell’adozione del provvedimento di revoca 46, possono qui ritenersi superati, quanto meno, i dubbi interpretativi che la dottrina ha avuto occasione di affrontare, con riferimento alla l.c.a. delle banche, in relazione alla prevista ripartizione di competenze tra Banca d’Italia e Ministro dell’economia (essendo controverso, ad esempio, se questi, quale autorità decidente, sia vincolato – ed eventualmente in che misura – alla proposta formulata dalla Banca d’Italia 47). Del pari, è stata giudicata con favore l’introduzione di una netta cesura tra la revoca dell’autorizzazione e la liquidazione coatta amministrativa (nel senso che la prima, nel caso degli intermediari non bancari, non sarebbe
45.
Salvo il caso, che dovrebbe essere risolto secondo i criteri sopra indicati, delle gravissime irregolarità emerse e riscontrate dopo la messa in liquidazione volontaria attuata con il placet della Banca d’Italia. 46. Costi, L’ordinamento, cit., p. 848, è per la sostanziale doverosità del provvedimento (di l.c.a.), nelle ipotesi in cui risultino accertati i relativi presupposti; contra, Desiderio, Commento sub art. 80, cit., p. 688; in arg. v. anche Bonfatti, Commento sub art. 80, cit., p. 996 ss., ove ulteriori richiami bibliografici. Più in generale, sul tema della discrezionalità nell’ambito dell’ordinamento finanziario, Carriero, Discrezionalità amministrativa e mercati finanziari, in Dir. banc., 2012, 2, p. 229 ss. 47. Bonfatti, Commento sub art. 80, cit., p. 995; sulla ratio di un doppio potere di valutazione, Desiderio, Commento sub art. 80, cit., pp. 685-6.
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ineluttabilmente seguita dalla seconda) 48. Anche in questo caso, invero, il dettato normativo consente di appianare i dubbi, ingenerati dalla disciplina delle banche, circa l’esistenza di un legame biunivoco tra i due provvedimenti sopra citati, o, viceversa, circa la loro reciproca autonomia 49.
5. Considerazioni conclusive. L’analisi sin qui condotta ci consente ora di formulare un giudizio complessivo sulla nuova disciplina in materia di gestione delle crisi degli intermediari non bancari. Un primo ordine di considerazioni può rivolgersi alla gestione provvisoria, nella particolare variante prevista dall’art. 113-bis. Come sopra accennato, nell’opera di rinnovamento del regime delle crisi delle non-banks, il legislatore si sarebbe attenuto ad un criterio di proporzionalità, che, in ragione della natura e delle attività degli intermediari non bancari, lo avrebbe indotto ad assegnare alla gestione provvisoria, e solo ad essa, quella funzione di risanamento (o più genericamente, se si preferisce, di soluzione della crisi reversibile) di norma attribuita all’amministrazione straordinaria. Procedura, quest’ultima, che è stata ritenuta evidentemente esorbitante, rispetto alle esigenze da soddisfare nel caso specifico. Ora, è indubbio che, nel settore bancario, la gestione provvisoria per anni relegata in una sorta di limbo – abbia avuto, negli ultimi tempi, un inatteso e ripetuto impiego (da taluni motivato col richiamo ai correttivi – invero opportuni -adottati con d.lgs. n. 342/99 50) 51. Nondimeno, la pur sempre rara applicazione dell’istituto trova fondamento nella presenza di alcuni limiti, che sembrano caratterizzare anche la procedura “gemella” ex art. 113-bis.
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Giusti, Passalacqua, Commento sub art. 113-ter, cit., p. 1516. V. la dottrina indicata alla nt. 34. 50. Ci si riferisce, in particolare, alla possibilità – apprezzata da Capolino, Coscia, Galanti, La crisi delle banche, cit., pp. 908-909 – di affidare la gestione provvisoria anche a soggetti diversi dai funzionari della Banca d’Italia. 51. Tra gli esempi più recenti, Banca di Credito e Risparmio di Romagna S.p.A. (2008), BCC di Aversa (2008), Sedici Banca S.p.A. (2009), Banca di Credito dei Farmacisti S.p.A. (2010), Mobilmat Istituto di Moneta elettronica S.p.A. (2010), Banca UBAE S.p.A. (2011), Credito Aretuseo Banca di Credito Cooperativo Società Cooperativa (2012), Banca delle Marche S.p.A. (2013). 49
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In particolare, al legislatore è stata da più parti rimproverata la scarsa coerenza impiegata nel dosaggio tra presupposti, finalità ed effetti della procedura, ritenendosi che, in situazioni di comprovata gravità, l’adozione di una semplice misura d’urgenza, avente effetti limitati (sospensione, anziché scioglimento, degli organi amministrativi e di controllo) e, peraltro, durata relativamente breve, integri una forma di intervento poco incisiva e di scarsa efficacia, dovendosi in casi simili preferire la più intensa, e ben più proficua, misura dell’amministrazione straordinaria (preceduta, se del caso, dalla nomina di un commissario provvisorio ex art. 71, co. 5, t.u.b.) 52. Ebbene, a noi pare di poter affermare che, per quanto apprezzabili, le peculiarità (in termini di presupposti e durata) della procedura ex art. 113-bis non siano idonee a risolvere – perlomeno, non del tutto – gli inconvenienti sopra lamentati. Anche la misura in esame, invero, mantiene una sorta di ambiguità di fondo, che la colloca, come si è visto, a cavallo tra i provvedimenti cautelari (con i quali condivide il presupposto dell’urgenza) e le procedure più direttamente volte al risanamento della situazione aziendale (delle quali difettano, tuttavia, i caratteristici e più radicali effetti). Né può bastare, a sostegno delle recenti scelte legislative, invocare un generico criterio di proporzionalità, che renderebbe sufficiente la gestione provvisoria, in considerazione della tipologia di soggetti interessati (intermediari residuali) e delle (più circoscritte) attività dagli stessi svolte (erogazione di finanziamenti, disgiunta dalla raccolta del risparmio). Per confutare tale assunto, invero, è sufficiente osservare che l’introduzione dell’albo unico ex art. 106 comporta che in esso debbano registrarsi anche gli intermediari aventi volumi di attività particolarmente significativi e/o rilevanza sistemica (in breve, i soggetti di cui al vecchio elenco spe-
52. Per tali ragioni, in dottrina è da tempo auspicata una modifica dei presupposti della gestione provvisoria in termini di sospetto di sussistenza di gravi irregolarità, violazioni, ecc., affinché l’istituto possa essere utilizzato più per prevenire il verificarsi o l’aggravarsi di eventuali distorsioni o pregiudizi a carico della banca, che non per cercare di ovviare, in un tempo presumibilmente insufficiente, a fatti di conclamata gravità (Bavetta, La gestione, cit., p. 361 ss.). Nello sforzo di conferire coerenza al sistema (che prevede due procedure distinte – la gestione provvisoria e l’amministrazione straordinaria – per la composizione di uno stesso tipo di crisi), invece, altri sostengono – con inevitabile forzatura del dato normativo – che alla base della gestione provvisoria dovrebbe porsi una sommaria delibazione dei fatti previsti dall’art. 70, la cui effettiva consistenza andrebbe poi verificata nell’ambito del procedimento medesimo (Nigro, Commento sub art. 76, cit., p. 1228, nt. 26).
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ciale ex art. 107), rispetto ai quali si pongono, come si è potuto notare (par. 1), esigenze di intervento non difformi da quelle concernenti le banche. Specialmente in questi casi, dunque, l’eliminazione dell’amministrazione straordinaria (sostituita da una gestione provvisoria appena rinforzata rispetto a quella delle banche) si rivela una scelta poco opportuna, giacché situazioni gravemente pregiudizievoli per l’intermediario potrebbero non essere accompagnate da quell’adeguata capacità di reazione, di cui la procedura maggiore ha dato, negli anni, ottima prova. Come di recente osservato, invero, non sembrano ipotizzabili situazioni (in particolare, sub specie di irregolarità nell’amministrazione) di gravità tale da impedire che la loro cessazione e rimozione non possa conseguirsi attraverso la (sola) amministrazione straordinaria, in virtù degli intensi effetti del provvedimento e degli ampi poteri esercitabili dai commissari 53. L’esame del nuovo titolo V, in breve, dimostra che, quanto ai profili qui considerati, il legislatore non ha inteso portare fino in fondo quel processo di tendenziale equiparazione fra banche ed intermediari finanziari, testimoniato a chiare lettere dall’assimilazione fra le rispettive modalità di vigilanza (art. 108 t.u.b.). La materia della crisi, invero, è stata disciplinata adottando una discutibile tecnica di costruzione “a mosaico” 54, che consta di continui richiami parziali alla disciplina delle banche, forieri di inevitabili difficoltà esegetiche. Ciò appare con ancor maggiore evidenza, del resto, se si esamina l’istituto della revoca dell’autorizzazione ex art. 113-ter, norma che introduce una singolare forma di “liquidazione ordinaria sotto controllo pubblico” (frutto di una contaminazione fra le finalità privatistiche – soddisfacimento degli interessi dei creditori e dei soci – tipiche della liquidazione ordinaria e gli obiettivi di stampo pubblicistico – cessazione dell’attività di impresa, per ragioni di contrarietà all’interesse generale – che contraddistinguono la liquidazione coatta amministrativa), priva tuttavia, a nostro avviso, di una piena e convincente giustificazione. Sotto tale aspetto, invero, il regime che ne deriva risulta incoerente e frammentario.
53. Tra questi, ricorda Bonfatti, Commento sub art. 80, cit., II, p. 982, la rimozione del direttore generale e del management della banca; la revoca delle deleghe, dei poteri e delle autonomie conferiti a dirigenti e funzionari della banca; lo scioglimento dei rapporti con le società del “gruppo”; l’eliminazione delle situazioni di conflitto di interessi; l’adozione di politiche di contenimento del rischio, ecc.. 54 L’espressione è di Rispoli Farina, Gli intermediari, cit., p. 76.
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Incoerente, perché la prima forma di liquidazione si apre, in sostanza, al ricorrere dei medesimi presupposti oggettivi della liquidazione coatta amministrativa, sicché non si comprende per quale ragione, in simili circostanze, questa non possa avere luogo immediatamente (tanto più che l’ordinamento non ne esclude in toto l’applicazione 55, riconoscendo dunque all’attività degli intermediari non bancari quei profili di rilevanza pubblicistica che legittimano l’adozione della procedura concorsuale speciale 56). Frammentario, perché per alcuni soggetti contemplati dall’art. 113-ter è prevista direttamente la procedura di liquidazione coatta amministrativa, senza possibilità di procedere attraverso la revoca dell’autorizzazione con successiva liquidazione “controllata”, così introducendosi – senza che, ribadiamo, ne sia del tutto chiaro il motivo – regole differenziate per enti pur sempre iscritti nel medesimo albo unico. L’impressione che se ne trae, in conclusione, è di una disciplina priva di linearità e, per certi versi, persino più debole rispetto a quella applicabile nel regime previgente (laddove, quanto meno gli intermediari di cui al vecchio art. 107, co. 6, venivano sottoposti, con gli opportuni adattamenti, alle procedure di matrice bancaria). Un più consistente modellamento della nuova disciplina delle crisi su quella prevista per le banche – con integrale estensione agli enti ex art. 106 t.u.b. delle procedure di gestione provvisoria, di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa, precedute, se del caso, dai provvedimenti straordinari e fatto comunque salvo il limite della compatibilità – avrebbe consentito, a nostro avviso, di conferire al
55.
Si rammenta, in proposito, che la l.c.a. è dichiarata applicabile alla generalità degli intermediari finanziari (anche se diversi da quelli indicati dal comma 6 dell’art. 113-ter), nelle ipotesi di irregolare svolgimento della liquidazione ordinaria o di conclamata insolvenza. 56. Vale la pena di ricordare che la l.c.a. può essere definita come un particolare strumento di tutela di alcuni settori economici a rilevanza pubblicistica, operante attraverso l’eliminazione delle imprese ritenute inidonee a (o immeritevoli di) esercitare ulteriormente la propria attività, in conseguenza del verificarsi di determinate anomalie. Nel caso di specie, considerata l’indubbia rilevanza economico-sociale assunta dalle attività di intermediazione finanziaria (v. par. 1), non è difficile ravvisare dei profili di interesse pubblico, tali da giustificare l’espulsione forzata dal mercato degli enti non più meritevoli. E si badi – ad ulteriore riprova dell’incoerenza di fondo delle scelte legislative – che se tali esigenze sussistono, ciò si verifica non solo nelle ipotesi di insolvenza, ma anche in situazioni di irregolarità eccezionalmente gravi, tanto più che queste possono costituire, come noto, il preludio di future situazioni di default (Costi, L’ordinamento, cit., p. 802).
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nuovo regime un maggior grado di coerenza e di efficacia, senza con ciò mortificare, al contempo, le naturali ed ineliminabili differenze fra operatori bancari e finanziari.
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Vendita di azienda ”in esercizio” nell’amministrazione straordinaria I Tribunale di ANCONA, dec. 25 luglio 2013; Pres. rel. Edi Ragaglia; Ricorrenti MPS Gestione Crediti Banca S.p.A. et al. Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi – Vendita di azienda “in esercizio” – Ritenuta violazione dei criteri di stima dei complessi produttivi trasferiti – Lesione di diritti soggettivi dei creditori ipotecari – Giurisdizione del giudice ordinario – Sussiste. (D.lgs. n. 270/1999, artt. 62, 63 e 65) Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi – Vendita di azienda “in esercizio” – Inderogabilità dei criteri di stima dei complessi produttivi trasferiti – Violazione – Conseguenze – Nullità dell’operazione di cessione – Disapplicazione delle autorizzazioni amministrative alla cessione. (D.lgs. n. 270/1999, artt. 62 e 63; L. n. 2248/1865, all. E, art. 5; C.c., art. 1418)
Nelle operazioni di vendita di aziende in esercizio, ex artt. 62 e 63 d.lgs. n. 270/1999, occorre distinguere le impugnazioni del provvedimento di autorizzazione alla vendita, da quelle dei provvedimenti che attengono alla fase più propriamente liquidatoria. Con riferimento agli atti autorizzativi, il creditore si trova a vantare solo una posizione di interesse legittimo, in quanto tali atti sono frutto di valutazioni discrezionali nell’esercizio del potere di direzione ed indirizzo proprio della pubblica amministrazione; al contrario, le controversie afferenti la fase di liquidazione dei beni soggiacciono alle regole generali, in virtù delle quali è riconosciuta al creditore la piena tutela del diritto, permanendo anche nella procedura di amministrazione straordinaria il fondamentale interesse dei creditori alla liquidazione del patrimo-
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nio del debitore ad un prezzo quanto più possibile vicino a quello di mercato. (1) Nell’ipotesi di cessione di aziende e/o di rami di azienda in esercizio, la durata della correzione reddituale è determinata dalla legge e, in particolare, dal primo comma dell’art. 63 d.lgs. n. 270/1999 che, indipendentemente dagli impegni specificamente assunti dal cessionario, fissa nei due anni successivi alla stima l’arco temporale della correzione stessa. Il limite del biennio non è un termine neutro per i creditori, come tale esso non appare derogabile in loro danno, né può ritenersi rimesso alla libera determinazione delle parti nella regolamentazione degli accordi negoziali per la cessione dell’azienda. In caso di violazione dei criteri posti dall’art. 63, co. 1, la vendita del complesso aziendale è nulla, ai sensi dell’art. 1418 c.c. ed il giudice ordinario deve procedere alla disapplicazione dell’atto amministrativo di autorizzazione alla cessione, ai sensi dell’art. 5 l. n. 2248/1865, all. E. (2) II CORTE D’APPELLO DI ANCONA, dec. 28 aprile 2014; Pres. rel. Stefano Formiconi; Reclamanti Antonio Merloni S.p.A. in amministrazione straordinaria et al. Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi – Vendita di azienda “in esercizio” – Ritenuta violazione dei criteri di stima dei complessi produttivi trasferiti – Lesione di diritti soggettivi dei creditori ipotecari – Giurisdizione del giudice ordinario – Sussiste. (D.lgs. n. 270/1999, artt. 62, 63 e 65) Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi – Vendita di azienda “in esercizio” – Inderogabilità dei criteri di stima dei complessi produttivi trasferiti – Violazione – Conseguenze – Nullità dell’operazione di cessione – Disapplicazione delle autorizzazioni amministrative alla cessione. (D.lgs. n. 270/1999, artt. 62 e 63; L. n. 2248/1865, all. E, art. 5; C.c., art. 1418) Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi – Vendita di azienda “in esercizio” – Criteri di stima dei complessi produttivi trasferiti – Derogabilità sulla base delle modifiche intervenute con la l. n. 9/2014 – Esclusione (D.lgs. n. 270/1999, artt. 62 e 63; D.l. n. 136/2013, art. 9, co. 2-bis)
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Nelle operazioni di vendita di aziende in esercizio, ex artt. 62 e 63 d.lgs. n. 270/1999, la compresenza di plurimi interessi, anche di natura pubblica, non legittima la conclusione che gli atti degli organi della procedura possano far venir meno i diritti, fra cui quelli del ceto creditorio, degradandoli ad interessi legittimi, dato che ciò comporterebbe, in concreto, una surrettizia disapplicazione dell’articolo 65, rendendolo di fatto inoperante, attraendo nell’ambito pubblicistico tutta l’attività connessa alle operazioni di realizzo del patrimonio delle imprese assoggettate ad amministrazione straordinaria. (3) Il legislatore, attraverso gli artt. 62 e 63 d.lgs. n. 270/1999, ha inteso stabilire puntuali prescrizioni per la salvaguardia di una pluralità di interessi (dei creditori; dei lavoratori; alla conservazione del patrimonio produttivo, salvaguardando la funzionalità operativa aziendale); tali vincoli costituiscono un limite al potere discrezionale del commissario straordinario e del Ministro competente nell’espletamento della procedura diretta all’alienazione dei beni dell’impresa insolvente. Evidente, pertanto, è la violazione di legge – con conseguente nullità della vendita ex art. 1418 c.c. e disapplicazione degli atti amministrativi di autorizzazione alla medesima –, allorché venga presa in considerazione, ai fini della stima dei cespiti, la redditività negativa per un quadriennio, anziché per il biennio previsto dalla legge. (4) L’interpretazione “autentica” dell’art. 63, co. 1, fornita a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 9/2014, secondo cui il valore come determinato ai sensi di legge non costituisce un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita, non significa che tale limite rappresenta un parametro che possa essere pretermesso o del quale si possa fare a meno ai fini di una consapevole ponderazione degli interessi in gioco, di cui la stima costituisce uno degli indefettibili elementi di riscontro. La possibilità di discostarsi dal valore di stima concerne la fase della cessione, che presuppone una valutazione del compendio redatta secondo legge e non legittima un prezzo base errato in quanto non conforme alle disposizioni della vigente normativa, rappresentando il valore così assunto un dato imprescindibile. (5) I (Omissis) pronunciando sui ricorsi rispettivamente promossi ex art. 65 d. lgs. n. 270/1999, da MPS Gestione Credi-
ti Banca S.p.A., depositato in data 19 novembre 2011; nonché da Unicredit Credit Management Bank S.p.A., Banca delle Marche S.p.A., Banca Popolare di Ancona
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S.p.A., Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana S.p.A., Banca CR di Firenze S.p.A. e Banca dell’Adriatico S.p.A., depositato in data 15 febbraio 2012; rilevato che la ricorrente MPS Gestione Crediti Banca S.p.A. ha domandato al Tribunale di Ancona, ritenuta la propria competenza, di “dichiarare, rilevata la violazione degli arti. 62, 63 e 55 del sopraindicato decreto legislativo, la nullità ai sensi dell’art. 1418 del c.c. ovvero l’annullabilità e la conseguente inefficacia nei confronti della Banca istante, delle operazioni di cessione del complesso aziendale intraprese, in evidente pregiudizio dei creditori ammessi allo stato passivo nella Categoria Ipotecari, dai Commissari straordinari della Antonio Merloni S.pA. in Amministrazione Straordinaria nei confronti di QS Group S.p.A, nonché dell’eventuale contratto preliminare di trasferimento di azienda ove già concluso, oltreché di ogni eventuale ulteriore atto conseguente e successivo, con seguente disapplicazione da parte di codesta Autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248/1865. all. E, delle eventuali autorizzazioni amministrative rilasciate, su richiesta dei Commissari straordinari medesimi, dal Ministero dello Sviluppo Economico, le quali, stante l’accertata violazione dei diritti soggettivi, possono e debbono essere sindacate dal Giudice incidenter tantum nella presente sede ordinaria”; che, analogamente, anche gli istituti di credito Unicredit Credit Management Bank S.p.A., Banca delle Marche S.p.A., Banca Popolare di Ancona S.p.A., Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana S.p.A., Banca CR di Firenze S.p.A. e Banca dell’Adriatico S.p.A., hanno chiesto al
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Tribunale adito, “rilevata la violazione degli arti. 55, 62 e 63 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (come successivamente emendato), accertare e dichiarare la nullità ai sensi dell’art. 1418 c. c., ovvero l’annullabilità e la conseguente inefficacia nei confronti dei ricorrenti, della cessione del complesso aziendale effettuata con atto 27/12/2011 a rogito notaio Mariconda, intercorso tra i Commissari straordinari della Antonio Merloni S.p.A. da un lato e J.P. Jndustries S.pA. - QS Group S.p.A. dall’altro lato, in quanto in evidente pregiudizio dei creditori ammessi allo stato passivo nella Categoria Ipotecari, nonché di ogni eventuale ulteriore atto conseguente e successivo, con conseguente disapplicazione da parte di codesta Autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865, all. E, delle autorizzazioni amministrative rilasciate, su richiesta dei Commissari straordinari medesimi, dal Ministero dello Sviluppo Economico, le quali, stante l’accertata violazione di diritti soggettivi, possono e debbono essere sindacate dal Giudice incidenter tantum nella presente sede ordinaria”; dato atto dell’intervenuta costituzione: a) dell’Antonio Merloni S.p.A. in Amministrazione Straordinaria; del Ministero dello Sviluppo Economico; della QS Group S.p.A. e della J. P. Industries S.p.A. che preliminarmente hanno eccepito l’inammissibilità del ricorsi, per difetto di legittimazione e d’interesse ad agire; nonché conseguentemente eccepito il difetto di giurisdizione; nel merito si sono opposti al ricorso richiedendone il rigetto, contestando le ragioni delle ricorrenti; ribadendo che la procedura di AMS si è regolarmente svolta sotto la direzione e la vigilan-
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za degli organi preposti, nel rispetto delle autorizzazioni rilasciate dal competente Ministero delle Attività Produttive, che le operazioni di vendita si sono correttamente svolte sia in ragione della regolarità della procedura di individuazione dell’acquirente, sia di determinazione del prezzo operato tenuto conto del fatto che è stata operata la cessione di un’azienda in esercizio e della possibilità di considerare ai fini della determinazione del prezzo di cessione la redditività negativa in ragione del periodo garantito di mantenimento del livello occupazionale; b) del Comitato Operai Metalmeccanici Umbri e di alcuni lavoratori: G.T., F.F., I.M., E.L., S.M., M.M. e M.B., S.P., che hanno spiegato atto di intervento adesivo della posizione delle ricorrenti richiedendo la declaratoria di nullità o annullabilità, inefficacia del contratto di cessione, contestando altresì il mancato rispetto del mantenimento dell’effettivo livello occupazionale, della prosecuzione di attività, risultando al contrario che l’attività non viene svolta da parte della società acquirente e che i lavoratori sono stati assunti solo formalmente, in quanto la maggior parte è stata posta da subito in cassa integrazione; che il numero degli assunti è di molto inferiore a quello di cui all’impegno; c) della FIOM CGIL della Provincia di Ancona, della FIM CISL di Ancona ed altri lavoratori che hanno spiegato atto di intervento adesivo delle ragioni dell’Antonio Merloni in A.S, richiedendo il rigetto del ricorso. Disposta nel corso del giudizio, con ordinanza del 19-24/7/2012, la riunione dei due procedimenti pendenti, in ragione dell’identità delle
questioni poste e ritenuta l’identità del petitum, per aver le parti richiesto pur impugnando atti diversi, il preliminare, nell’un caso, il contratto definitivo, nell’altro, la dichiarazione di nullità, ovvero annullabilità e conseguente inefficacia delle operazioni di cessione del complesso aziendale. - Esaminati gli atti e viste le memorie e la documentazione depositata; in ragione delle conclusioni spiegate, l’oggetto del presente giudizio è diretto all’accertamento e se del caso alla successiva dichiarazione di nullità o invalidità e inefficacia del contratto di cessione del complesso aziendale, e ancor prima dello stesso contratto preliminare, intercorso tra i commissari straordinari della A. Merloni, da un lato, e la J.P. Industries spa – QS Group spa, dall’altro; rimangono, invece, estranee al presente giudizio di impugnazione ex art 65 d.lgs. dell’atto di cessione le questioni afferenti il mancato rispetto dell’impegno assunto al mantenimento dei posti di lavoro e all’effettiva prosecuzione dell’attività lavorativa (come meglio indicate negli atti di intervento dei lavoratori), coinvolgendo il diverso profilo di valutazione di un eventuale inadempimento degli acquirenti. Rilevano, al contrario, le conclusioni svolte nell’intervento ad adiuvandum per la dichiarazione di nullità, annullabilità e/o inefficacia del contratto per la violazione a norme imperative. Rilevato che gli odierni ricorrenti hanno eccepito la nullità del contratto di trasferimento dell’azienda, così come del preliminare di vendita del complesso aziendale A. Merloni Spa in AS, ravvisando le ipotesi di nullità nella violazione di norme imperative, in particolare nella errata applicazio-
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ne dei criteri dettati dagli artt. 62 e 63 d.lgs. n. 270/99, per aver proceduto alla determinazione del prezzo di cessione valorizzando la circostanza, contraria alla realtà dei fatti, che l’azienda A. Merloni ceduta fosse un’azienda “in esercizio” e in conseguenza determinandone il valore ad un prezzo vile, applicando il correttivo reddituale negativo, pur in assenza del presupposto dell’essere in esercizio, e per di più considerando il badwill per un periodo di quattro anni nonché per aver proceduto alla cessione dell’intero complesso aziendale, comprendente una quantità di beni sproporzionata rispetto alle eventuali esigenze di continuità aziendali che l’acquirente si era impegnato a garantire, esorbitando il perimetro di cessione di cui al contratto da ogni ragionevole esigenza di tutela dell’interesse pubblico concorrente con i diritti dei creditori, ingiustificatamente lesi e sacrificati dalla realizzata operazione di cessione. Rilevato che il Tribunale ha ritenuto opportuno procedere ad accertare, mediante conferimento di incarico ad un CTU nominato nell’esercizio dei poteri conferiti in base al rito ai sensi dell’art. 737 e ss. c.p.c., se la cessione abbia operato il trasferimento di un’azienda o meno in esercizio, al fine di verificare i presupposti fattuali per l’esatta individuazione dei criteri di determinazione del valore e di conseguenza del prezzo di cessione, in base ai parametri indicati dalla disciplina dettata agli artt. 62 e 63 di d.lgs. n. 270/99; posto che l’alienazione dei beni da parte del commissario straordinario deve essere effettuata secondo quanto previsto all’art. 62 e solo in presenza di un ramo di azienda, “in
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esercizio”, può trovare applicazione il successivo art. 63, applicato nel caso qui in esame. In detta ultima ipotesi il prezzo di cessione viene a subire, ed ha di fatto subito, l’incidenza negativa del costo di recupero della redditività, stimata, per altro, con riferimento al quadriennio successivo alla cessione. Verifica condotta attraverso il riscontro dell’effettivo livello occupazionale impiegato durante la gestione dell’amministrazione straordinaria; dell’esatto numero dei dipendenti occupati ed impiegati con continuità nel ciclo produttivo; attraverso la verifica dell’effettiva prosecuzione dell’attività produttiva e lo svolgimento dell’attività caratteristica dell’impresa; escludendo che fosse stata svolta solo una saltuaria e temporanea attività produttiva; verificata, altresì, l’effettiva organizzazione dei mezzi di produzione impiegati, pur in maniera ridotta, nel ciclo produttivo; l’esistenza di un rapporto funzionale e necessario tra i beni oggetto di trasferimento ed il mantenimento in esercizio dell’azienda o del ramo ceduto, così da giustificare o meno la contestata cessione dei numerosi beni rispetto alle necessità del mantenimento della produzione. - Sulla questione di giurisdizione. La resistente principale, Antonio Merloni SpA in AS, ha eccepito il difetto di giurisdizione del tribunale adito, posto che le doglianze espresse dalle Banche atterrebbero a posizioni giuridiche qualificabili esclusivamente come interessi legittimi e non già come diritti soggettivi, con giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo. Il tribunale adito risulterebbe privo, nel caso ora in esame, di potestas iudicandi avendo la parte dedotto la lesione di un interesse generale al corretto svol-
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gimento delle operazioni di cessione dei complessi aziendali, eccezione e doglianza non riconducibile a posizioni di diritto soggettivo. II diritto di credito nei confronti dell’Antonio Merloni spa che qualifica la posizione soggettiva delle banche non è nel caso in contestazione: le creditrici sono già state ammesse al passivo della Merloni in a.s., “non pongono il credito a sostegno della loro pretesa, bensì contestano l’osservanza da parte degli Organi della Procedura di amministrazione straordinaria – non solo i Commissari Straordinari, ma anche l’Autorità di Vigilanza – della disciplina recata dagli art. 55, 62 e 63 d.lgs. n. 270 del 1999. Le ricorrenti invocano il rispetto di norme che pongono una serie di vincoli affinché l’alienazione dei beni dell’impresa insolvente avvenga con modalità tali da salvaguardare gli interessi dei creditori, gli interessi dei lavoratori e il più generale interesse alla tutela e alla conservazione del patrimonio produttivo. Le Banche si fanno portatrici di uno di questi interessi; vantando perciò una posizione soggettiva inconfutabilmente qualificabile come interesse legittimo”. A tal fine osservano che ove le operazioni di vendita fossero annullate (non certo dal Giudice ordinario) per il mancato rispetto di regole procedimentali, ciò non comporterebbe né il riconoscimento del diritto di credito delle Banche, né la soddisfazione integrale di quel diritto di credito, né una maggiore soddisfazione di esso (tenuto conto di quelli che sono stati gli esiti di mercato della gara svolta dai Commissari). Il diritto delle Banche verrebbe qui in rilievo solo in forma mediata. L’interesse delle Banche risiederebbe nella verifica dell’osservanza, da parte
dei Commissari, delle norme volte a salvaguardare l’interesse (tra gli altri) dei creditori, i quali aspirano ad una vendita dei beni dell’impresa in amministrazione straordinaria che consenta il “miglior realizzo”. Ciò che prevale e che caratterizza la posizione giuridica soggettiva delle ricorrenti è l’interesse affinché la vendita dei beni dell’impresa in A.S. sia gestita secondo le disposizioni del d.lgs. n. 270 del 1999: norme che, come detto, assolvono ad una funzione di tutela che si colloca su un livello diverso e superiore rispetto alla semplice esigenza di tutela individuale di un singolo creditore. Una funzione di interesse pubblico alla quale corrisponde una posizione di interesse legittimo. Ritiene a tal fine il tribunale che non sia dubitabile che la posizione tutelata e fatta valere dalle banche ricorrenti integri una posizione di diritto soggettivo e non già di mero interesse legittimo, sostanziandosi nel diritto a vedere conservata la garanzia patrimoniale del proprio debitore, rappresentata dal valore dei cespiti attivi; è interesse di ogni creditore a che il patrimonio del debitore conservi il suo valore; che dalla vendita dei beni del debitore insolvente venga ricavato un prezzo quanto più possibile vicino a quello di mercato; che la vendita avvenga nelle forme più vantaggiose quindi nel rispetto di tutta la normativa diretta a garantire tale fondamentale interesse (Cass., sez un., n. 12247/09). Contrariamente a quanto sostenuto dalle parti resistenti, le ricorrenti lamentano la violazione del loro diritto di credito, asseritamente leso, in conseguenza della svendita del patrimonio mobiliare ed immobiliare
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riferibile all’impresa Merloni, in conseguenza di una errata procedura di determinazione del prezzo e del valore dei cespiti operata in violazione di norme di legge che ha inciso sul valore di realizzo determinando una lesione diretta del loro diritto di credito. Lamentano di essere stati lesi, nel diritto a vedere conservata la garanzia patrimoniale, per effetto di una sottovalutazione dei cespiti patrimoniali componenti l’attivo, in conseguenza di un processo valutativo inficiato da macroscopiche violazioni di legge che ha condotto a determinare il prezzo di cessione di un’intera azienda in 10 milioni di euro, pur in presenza di un compendio immobiliare gravato da un debito ipotecario di oltre 130 milioni di euro. Posizioni certamente qualificabili come diritti soggettivi, non già di mero interesse, degni di ottenere una tutela diretta, azionabili dinanzi al giudice ordinario ai sensi dell’art. 65 d.lgs. 270/99. A tal proposito si osserva che la norma da ultima richiamata, che prevede che “contro gli atti e i provvedimenti lesivi di diritti soggettivi, relativi alla liquidazione dei beni di imprese in amministrazione straordinaria, è ammesso ricorso al tribunale in confronto del commissario straordinario e degli altri eventuali interessati”, è volta proprio a garantire la corretta formazione del procedimento di autorizzazione della vendita, accordando tutela a quei creditori, o ad ogni altro soggetto interessato alle operazioni di vendita del compendio di una società in amministrazione straordinaria, che vedano leso il proprio diritto in ragione di atti e provvedimenti che determinano una diretta ricaduta sulle prospettive di soddisfacimento.
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La distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi dovrà essere condotta e va condotta, nei casi concreti, con riguardo alle finalità che la norma a cui si ricollega l’atto impugnato intende perseguire. Così vanno distinte le impugnazioni del provvedimento di autorizzazione alla vendita, da quelle dei provvedimenti che attengono alla fase più propriamente liquidatoria. Con riferimento agli atti autorizzativi, il creditore si trova a vantare solo una posizione di interesse legittimo, in quanto tali atti sono frutto di valutazioni discrezionali, nell’esercizio del potere di direzione ed indirizzo proprio della pubblica amministrazione, finalizzato al perseguimento dei preminenti interessi pubblicistici della procedura di amministrazione straordinaria, frutto di valutazioni e scelte, mediati dalla comparazione dei diversi interessi in gioco, propri dell’ambito dell’attività discrezionale, ricadenti in quelle strategie di liquidazione destinate a realizzare il fine preposto di salvaguardia degli interessi generali che hanno giustificato la stessa scelta legislativa di affidare la gestione della procedura concorsuale delle grandi imprese all’autorità amministrativa. Al contrario, le controversie afferenti la fase di liquidazione dei beni, soggiacciono alle regole generali a fronte delle quali è riconosciuta al creditore la piena tutela del diritto, permanendo anche a fronte di una procedura di amministrazione straordinaria, così come in ogni altra procedura concorsuale, in capo ai singoli creditori il fondamentale interesse alla liquidazione del patrimonio del debitore e al soddisfacimento dei creditori, così che “dalla vendita dei beni del debitore insolvente venga ricavato un prezzo
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quanto più possibile vicino a quello di mercato” (attinente alla fase liquidatoria); che “l’attivo ricavato venga ripartito nel rispetto del principio della par condicio creditorum” (attinente alla fase di ripartizione dell’attivo); che “la vendita avvenga nella forma più vantaggiosa e, quindi, nel rispetto di tutta la normativa diretta a garantire tale fondamentale interesse” (Cass., Sez. un., n. 12247/09). Ove si lamenti, come nel caso in esame, che la valutazione non è coerente con la stima del complesso medesimo, in ragione degli obblighi imposti all’acquirente; che risultino viziati i criteri di scelta del contraente; violate le regole imposte dagli artt. 62 e 63, d.lgs. n. 270/1999 e ciò a prescindere dall’invalidità dei precedenti atti amministrativi; viziato il criterio di determinazione del corrispettivo di cessione e delle sue modalità di pagamento; violati gli atti autorizzativi del Ministero e, prima ancora, il programma di cessione dei complessi aziendali autorizzato ai sensi degli artt. 57, primo co., e 62, primo co., del sopra citato d.lgs. quale condizione necessaria per il compimento dei successivi atti di alienazione, nonché la stessa congruità dei valori attribuiti ai beni facenti parte del complesso aziendale ceduto, le banche ricorrenti sono legittimate ad agire e a richiedere tutela del diritto asseritamene leso. Ciò, ancorché in quest’ultima circostanza la possibilità di impugnare gli atti di liquidazione, come autorevolmente sostenuto, sia strettamente collegata all’obiettivo della procedura di mantenere l’unità operativa del suddetto complesso aziendale, il quale è destinato a prevalere sull’interesse particolare del singolo creditore al sod-
disfacimento delle proprie ragioni di credito mediante un maggior realizzo, derivante dalla cessione atomistica dei singoli cespiti, com’è tra l’altro provato dall’esclusione dei creditori dalla votazione del programma (App. Milano, 22 aprile 2004). L’illegittimità dell’autorizzazione alla vendita, in presenza di violazioni nella fase di attuazione delle modalità della liquidazione, atte ad incidere sui diritti dei creditori, possono essere direttamente rilevate dal giudice ordinario in sede di decisione del ricorso proposto ai sensi dell’art. 65 d.lgs. n. 270/1999, il quale, previa disapplicazione dell’atto, è autorizzato a decidere sulla situazione di diritto soggettivo dedotta e, conseguentemente, sull’impugnabilità e sulla validità dell’atto di liquidazione posto in essere dal commissario straordinario, senza che sia indispensabile la preventiva impugnazione ed annullamento degli atti amministrativi che ne costituiscono il presupposto di validità (Cass., 26 maggio 2006, n. 12646). L’art. 65 d.lgs. n. 270/1999 ripropone, attraverso la riserva riconosciuta al tribunale per gli atti ed i provvedimenti lesivi di diritti soggettivi, la ripartizione di competenze – fondata sulla natura e consistenza della posizione giuridica fatta valere in giudizio ed, in particolare, sulla situazione giuridica asseritamente lesa e sull’atto reclamato – tra giudice ordinario, cui spetta la tutela dei diritti soggettivi riguardanti la legittimità dei provvedimenti adottati dal commissario straordinario a seguito dell’autorizzazione dell’autorità di vigilanza, e giudice amministrativo, cui compete invece l’impugnazione degli atti amministrativi autorizzativi della vendita. I cre-
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ditori che si ritengano pregiudicati possono, quindi, adire sia il TAR per ottenere l’annullamento degli atti amministrativi, facendo valere il proprio interesse legittimo al corretto svolgimento della fase amministrativa della procedura antecedente alla vendita; sia il tribunale, impugnando ex art. 65 d.lgs. n. 270/1999 gli atti ed i provvedimenti lesivi di diritti soggettivi. Situazione che si è verificata nel caso in esame, ove alcune delle banche qui ricorrenti hanno impugnato dinanzi al TAR Lazio gli atti autorizzativi ritenuti lesivi della loro diversa posizione di interesse legittimo. Trattasi di un’autonoma iniziativa che non preclude la possibilità di proporre il diverso ricorso al giudice ordinario fondato su altri presupposti. L’eccezione di carenza di giurisdizione va respinta. Va peraltro ribadito, ai fini del riconoscimento della giurisdizione del giudice qui adito, che già il TAR del Lazio, sezione terza-ter, chiamato a pronunciarsi sul ricorso proposto dall’Unicredit Credit Management Bank S.p.A. ed altri contro il Ministero dello Sviluppo Economico ed Antonio Merloni S.p.A. in Amministrazione straordinaria, nei confronti di QS Group S.p.A. e J.P. Industries S.p.A., cui sopra si è già fatto riferimento, in cui erano stati impugnati gli atti della procedura, richiedendo l’annullamento delle manifestazioni di volontà, delle operazioni della procedura, del contratto preliminare e di ogni atto connesso, nonché la declaratoria di nullità ed inefficacia del contratto definitivo, ha dichiarato, con sentenza del 25 ottobre 2012, il proprio difetto di giurisdizione a favore dell’autorità giudiziaria ordinaria, affermando che spettano al giudice ordinario, le do-
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glianze che “pur implicando censure relative alla legittimità di provvedimenti dei commissari e del ministero, riguardano specificamente il subprocedimento di liquidazione del complesso aziendale”, ivi incluse quelle attinenti “alla formazione del contratto di vendita di cui si contesta l’adeguatezza del prezzo e la legittimità delle previste modalità di pagamento, la regolarità delle garanzie, la scomposizione dell’oggetto con l’attribuzione agli immobili di un valore del tutto irrisorio”. Controversie che in conformità all’orientamento espresso “dalla più recente giurisprudenza di legittimità (Cass, civ.; Sez. Un., 27 maggio 2009, n. 12247) incidono su posizioni di diritto non già di mero interesse” (Tar Lazio sez 3, 25 ottobre 2012). L’interpretazione già esposta dal giudice amministrativo, condivisa e fatta propria da questo Collegio, conferma il principio che “la giurisdizione va individuata alla stregua degli ordinari criteri di riparto, onde rileva la posizione giuridica fatta valere in giudizio (secondo una massima consolidata, il petitum sostanziale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio e individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazioni” (Cass. civ., Sez. Un., ord. 27 febbraio 2012, n. 2926), e che “l’iniziativa giudiziale in esame mira a rimediare alla pretesa lesione dell’interesse delle ricorrenti alla migliore soddisfazione dei crediti vantati (come d’altronde attestato dal
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ripetuto riferimento, nell’atto introduttivo, al principio del “migliore realizzo”) – (Tar Lazio, sez terza ter 25 ottobre 2012)”. Procedendo nella disamina delle questioni di merito, diviene essenziale individuare quali siano i principi ed i criteri dettati dalla legge per le operazioni di vendita dei beni ed in particolare delle aziende di una società ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria, contestandosi nel caso in esame proprio i criteri di scelta e le modalità, presupposto della denunciata lesione del diritto di credito delle odierne ricorrenti. La vendita dei complessi aziendali nelle procedure di amministrazione straordinaria è disciplinata agli artt. 62, 2 co., e 63 d.lgs. n. 270/99, che stabiliscono le modalità della vendita nonché i criteri di determinazione del prezzo. L’art. 62 costituisce il precetto generale in tema di alienazione di beni nell’ambito delle procedure come quelle che qui interessa; precetto, quello in esame, destinato quindi a trovare applicazione anche in relazione alle vendite di aziende e/o di rami d’azienda, e ciò a prescindere dal fatto che l’azienda stessa, o un suo ramo, sia, al momento della stipula del relativo contratto in esercizio, ovvero soltanto potenzialmente idonea all’esercizio dell’attività economica d’impresa, stante l’espressa previsione di cui al secondo comma, lì ove si stabilisce che per la vendita di aziende o di rami d’azienda qualora il valore sia superiore a lire 100 milioni, è necessario l’espletamento di idonee forme di pubblicità; imponendo al commissario giudiziale di rispettare le modalità ivi indicate in ogni caso in cui pro-
ceda alla vendita di un’azienda e ciò a prescindere dal fatto che l’azienda sia o meno in esercizio al momento della stipula del relativo contratto di cessione. La previsione di cui al seguente art. 63 è diretta, invece, ad introdurre una disciplina speciale applicabile nel solo caso in cui la vendita interessi aziende “in esercizio”, consentendo in tale ipotesi che la valorizzazione degli aspetti di conservazione dell’impresa possa pregiudicare i diritti dei creditori, in ragione di interessi generali, economici e sociali ritenuti preminenti, la cui individuazione è riservata alla potestà discrezionale dell’autorità amministrativa, tutela accordata a scapito dei diritti e degli interessi delle altre parti coinvolte nella procedura. Il combinato disposto degli articoli esaminati consente di individuare nell’articolo 63 una norma di carattere eccezionale applicabile, solamente, nei casi in cui ci si trovi in presenza di un’azienda non solo formalmente ma sostanzialmente in esercizio, vale a dire in presenza di un’attività economica organizzata in cui l’azienda rileva non già quale complesso di beni unitario, funzionalmente organizzato per l’esercizio dell’impresa, di per sé idoneo a consentire lo scopo in vista del quale il coordinamento dei medesimi permette l’inizio ovvero la prosecuzione dell’attività imprenditoriale, bensì quale strumento operativo che consente l’esercizio dell’attività economica caratteristica dell’impresa che la rappresenta. Il concetto “di esercizio” che connota l’azienda nel momento in cui si debba determinarne il valore o disciplinare le modalità della vendita di un compendio aziendale in una procedu-
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ra di amministrazione straordinaria, è sinonimo di dinamismo, di “esercizio dell’attività di impresa”; esso è svincolato dal concetto più in generale di going concern, come tale l’essere “in esercizio” può essere ravvisato anche in presenza di un’azienda che operi producendo perdite, o, addirittura in presenza di un’azienda in momentanea situazione di stop produttivo. Ciò che rileva, sotto un profilo più propriamente giuridico, è la riferibilità ed imputabilità del complesso dei rapporti giuridici ancora in essere all’attività di impresa, rappresentativa proprio di quell’organizzazione; così che, rispetto ai terzi, il complesso di beni funzionalmente organizzati per l’esercizio dell’impresa sia identificativo dell’inizio ovvero della prosecuzione dell’attività imprenditoriale già svolta. Il discrimen “azienda in esercizio” o “non in esercizio”, utilizzata dallo stesso legislatore agli artt. 62 e 63 d.lgs. 270/99, è determinante sia al fine dell’individuazione del valore economico del complesso aziendale da trasferire, sia quanto alle modalità e condizioni cui assoggettare la vendita, presupponendo non solo la presenza e l’esistenza di un complesso di beni e di un’attività caratterizzante l’esercizio di un’impresa ancora in essere (la presenza di una attività produttiva è il presupposto ontologico della stessa ammissione e dà giustificazione alla prosecuzione di una procedura di amministrazione straordinaria), ma anche la capacità dell’impresa, attraverso la cessione dell’intera azienda o di uno specifico settore aziendale, ove si preveda il trasferimento di un solo ramo, di continuare a svolgere l’attività caratteristica attraverso lo sfruttamento di quel complesso funzionale
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che deve essere, come richiesto dalla norma, per tal fine “in esercizio”. Solo nell’ipotesi di cessione di un’azienda “in esercizio”, proprio per la necessità che venga proseguito l’esercizio dell’attività imprenditoriale caratteristica per un periodo di tempo minimo prefissato in “almeno un biennio”, condizione ritenuta essenziale per garantire la salvaguardia degli interessi economici e sociali, nella determinazione del prezzo di cessione, incide la redditività negativa, vale a dire che si dovrà tener conto nel valutare l’azienda dell’incidenza delle perdite attese per il periodo futuro e della carenza parziale o totale di remunerazione del capitale, in ragione delle difficoltà che incontrerà sul mercato un’impresa sottoposta a procedura concorsuale. Ed in vero, come affermato dal CTU, pag. 228 della perizia: “il primo comma del sopra citato art. 63 d.lgs. n. 270/99, prescrive, che ‘Per le aziende e i rami di azienda in esercizio la valutazione effettuata a norma dell’articolo 62, comma 3, tiene conto della redditività, anche se negativa, all’epoca della stima e nel biennio successivo’, con ciò compiendo un preciso riferimento affinché la valutazione delle aziende in esercizio - qual è, nel caso di specie (omissis) la Antonio Merloni S.p.A. in Amministrazione straordinaria – sia effettuata avendo riguardo alla redditività, anche se negativa, al momento della stima e nei due esercizi successivi. A dover essere quantificato è, quindi, non il valore patrimoniale “astratto” dei beni aziendali, ma l’effettivo valore di mercato dell’azienda in funzionamento, operando, qualora sussista una redditività negativa, uno “sconto” sul valore assoluto di quest’ultima,
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suscettibile di poter essere distribuito sulle singole poste dell’attivo. Il criterio di determinazione del corrispettivo di cessione delineato dall’art. 63 d.lgs. n. 270/1999, assicurando il posizionamento sul mercato del bene ad un prezzo valido e concorrenziale, consente di evitare il meccanismo dei ribassi tipico delle vendite coattive e, conseguentemente, di individuare gli acquirenti realmente interessati all’azienda, lasciando peraltro intendere che con il programma di cessione possano essere trasferiti anche complessi aziendali che, pur avendone le potenzialità, non abbiano ancora raggiunto il riequilibrio economico e che il compito del Commissario straordinario sia soprattutto quello di liberarsi dei cd. “rami secchi” e di reperire un “acquirente”. La disciplina dettata all’art. 63 d.lgs. 270/99 per la vendita di aziende o rami d’azienda in esercizio è dettata a tutela delle finalità conservative del patrimonio produttivo; finalità, il cui perseguimento, rappresentando uno scopo di primaria importanza per tutti i creditori coinvolti nella crisi, giustifica gli ulteriori sacrifici e l’impiego di nuove risorse che la continuazione dell’impresa impone. L’obiettivo dell’Amministrazione straordinaria è, in effetti, la salvaguardia del “patrimonio produttivo” e conseguentemente del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’attività di impresa, quale bene comune o, meglio, fattore di ricchezza per la collettività, il cui valore può essere incrementato attraverso la continuazione dell’impresa stessa. L’Amministrazione straordinaria assume, infatti, una “funzione dinamico-conservativa” nell’ambito della
quale il destino del complesso produttivo si deve intrecciare con quello del ceto creditorio, i cui diritti possono essere sacrificati esclusivamente in presenza di comprovate prospettive di recupero dei valori dell’impresa. Ripercorso brevemente quanto affermato dalle parti ricorrenti e resistenti nelle loro memorie conclusionali, tenuto conto dell’esito della CTU i presupposti da cui muovere sono i seguenti: - Antonio Merloni S.p.A. in Amministrazione straordinaria, per come emerge dalla Consulenza Tecnica d’Ufficio depositata in data 30 maggio 2013, era da considerarsi – con riferimento tanto alla data, 6 aprile 2009, di presentazione del Programma di Cessione, quanto a quella, 27 dicembre 2011, di stipula del contratto di cessione con la J.P. Industries S.p.A. (società nominata da QS Group S.p.A. quale terzo designato) – azienda sostanzialmente e non formalmente in esercizio, ai sensi dell’art. 63 d. lgs. n. 270/1999, con la conseguenza che la valutazione economica del ramo d’azienda “aggregato” oggetto dell’impugnato contratto di trasferimento doveva essere effettuata – al pari di quanto avvenuto – nel rispetto del primo comma dell’art. 63 d.lgs. n. 270/1999; - il trasferimento operato con il contratto di cessione stipulato, in data 27 dicembre 2011, fra la J.P. Industries S.p.A. e l’Antonio Merloni S.p.A. in Amministrazione straordinaria ha riguardato la cessione di tre autonomi rami della predetta azienda – identificabili nei complessi aziendali di Santa Maria, Maragone e Gaifana – nonché di taluni assets “minori” – i marchi ARDO e SEPPELFRICKE e le partecipazioni detenute in Meccano società
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consortile per azioni ed in Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana S.p.A. – che le parti contraenti, tuttavia, in ragione dell’autonomia contrattuale loro spettante, hanno ritenuto opportuno individuare nel suddetto atto di cessione alla stregua di un unico ramo d’azienda che il CTU convenzionalmente ha definito “aggregato”. Quanto al perimetro di cessione tutti i beni trasferiti astrattamente possono ritenersi funzionali al trasferimento dell’azienda in esercizio. Non è possibile individuare in modo specifico la sussistenza di un eventuale rapporto di strumentalità fra i beni oggetto di cessione ed il mantenimento in vita del complesso aziendale alienato, così che nessun giudizio può esprimersi sulla congruità o meno del perimetro di cessione dei beni trasferiti. La problematica dell’esatta individuazione del perimetro si traduce e si riduce in realtà in una questione di determinazione del relativo corrispettivo. “Altrimenti detto, i livelli di riassunzione stabiliti dal cedente e dal cessionario all’atto del trasferimento sono destinati a ripercuotersi sulla determinazione del succitato badwill, nel senso che ad un ridotto regime di operatività, in termini di maestranze, prospettato dal cessionario nell’ambito del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali corrisponderà un badwill minore e, conseguentemente, un prezzo superiore. Se così stanno le cose, passaggio fondamentale al fine di fornire una risposta la più esauriente possibile al quesito” – di quale fosse il valore dell’azienda ceduta a seconda che si fosse riscontrato che fosse o meno in esercizio – “diviene la determinazione del valore economico del ramo d’azienda oggetto di cessione (come
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riferito dal CTU)”. Ciò che rileva è che a fronte della cessione del suddetto perimetro il cessionario corrisponda un prezzo congruo scontando, laddove il ramo d’azienda ceduto dovesse risultare, al pari del caso di specie, in esercizio, un adeguato badwill. L’azienda è stata venduta al prezzo di 10 milioni di euro, era stata stimata dal Prof. Laghi – a seguito dell’incarico conferito dai Commissari Straordinari ex art. 62, terzo comma, d.lgs. n. 270/1999, in €. 12.257.940,00, considerando un badwill (il valore della redditività negativa) con riferimento ad un periodo di quattro anni e non anche con riferimento all’epoca della stima ed al biennio successivo al pari di quanto disposto dall’art. 63, primo co., d.lgs. n. 270/1999. Il valore economico del complesso aziendale oggetto del contratto di trasferimento impugnato, è stato stimato dal CTU prof. Mandrioli, tenuto conto del badwill rapportato al periodo del biennio come previsto dalla norma, in complessivi €. 54.306.000. In base alle verifiche eseguite dal CTU e alle conclusioni dallo stesso raggiunte, che il Collegio condivide in quanto esaustive, basate su criteri logici e fondate da motivazioni coerenti e scevre da errori giuridici, deve ritenersi dimostrato che l’Antonio Merloni Spa alla data della presentazione del piano e della stipula del contratto di cessione rispondeva ai requisiti di un’impresa sostanzialmente e non solo formalmente in esercizio, ciò in ragione dei volumi dei ricavi, degli ordini evasi, delle ore di lavoro effettivamente svolte, del numero di dipendenti effettivamente impiegati nel ciclo produttivo, dei contratti conclusi; che astrattamente i beni ceduti
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possono ritenersi funzionali alla prosecuzione per il periodo concordato dell’attività di impresa, trattandosi per altro degli stessi beni già impiegati nell’attività produttiva della Merloni spa, riferibili all’impresa e caratteristici dell’attività svolta; che corretto è stato il richiamo ed il riferimento ai criteri dettati dell’art. 63; che la scelta di aggregare l’intero complesso dei beni, pur potendo alcuni beni mantenere un’autonomia nella destinazione, deve ritenersi in questa sede insindacabile, in quanto propria degli ambiti di autonomia riconosciuta alle parti contraenti; che il problema dell’aggregazione dei beni con riferimento alla loro strumentalità si traduce nella verifica della congruità del prezzo di cessione rapportato e commisurato al valore effettivo dei beni trasferiti, in ragione della qualità, quantità e stessa potenzialità ad essere suscettibili di autonoma destinazione; che non rileva il fatto che siano stati trasferiti più beni di quelli che appaiono necessari per la prosecuzione dell’attività, rileva il fatto se siano stati pagati, vale a dire che sia stato considerato sul prezzo finale il loro valore: che è pertanto sindacabile e rileva la correttezza del criterio con cui si è pervenuti alla determinazione del prezzo; che a tal fine, nel caso concreto, in ragione delle considerazioni e delle conclusioni cui è pervenuto il perito nominato, ampiamente condivise dal Collegio, deve ritenersi riscontrato ed accertato che il valore dei beni alienati è stato sottostimato, in ragione di una non corretta applicazione dei criteri normativi di determinazione del prezzo, addivenendo alla determinazione di un prezzo di cessione pari ad un quinto del reale valore di stima.
A fronte di un valore dell’azienda già prudenzialmente indicato in 54 milioni di euro, la cessione è avvenuta al prezzo di 10 milioni di euro, così che il valore di cessione si trova in un rapporto di 1 a 5,4 rispetto al valore di stima. Con una disposizione da considerarsi di carattere generale, come già detto, e, quindi, valevole per tutte le cessioni di beni – ivi comprese quelle di aziende e/o rami di azienda, siano essi in esercizio oppure no, il terzo comma dell’art. 62 d.lgs. n. 270/1999 – richiamato dal primo comma dell’art. 63 del medesimo decreto legislativo stabilisce: che il valore dei beni sia preventivamente accertato da parte di uno o più esperti nominati dal Commissario straordinario, al fine di garantire che l’alienazione avvenga sulla base del principio del migliore realizzo nel rispetto, tuttavia, dei criteri generali stabiliti dal Ministro dello Sviluppo Economico (tra i quali spiccano gli indirizzi di politica industriale, la tutela dei livelli occupazionali e l’utilizzo del calcolo della redditività negativa per le aziende o rami di azienda in esercizio), della salvaguardia dell’unità operativa dei complessi aziendali e degli interessi dei creditori. Nelle vendite dei grandi complessi aziendali nelle procedure di AS, la prassi applicata evidenzia che la valutazione degli assets interessati dalle operazioni di cessione avviene dopo che sia stato individuato l’oggetto della vendita, il perimetro di cessione, in base alle offerte pervenute. Il termine “preventivamente” usato all’art 62 dal legislatore, viene inteso nel senso che la quantificazione del valore dei beni oggetto di cessione avvenga prima del momento del loro trasferimento, una volta che sia stato identificato l’ogget-
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to della compravendita da parte del Commissario Straordinario, in sede di predisposizione del programma, ovvero ad opera del possibile futuro cessionario, attraverso la presentazione di una manifestazione di interesse all’acquisto, in modo tale che possa essere appurata la congruità del prezzo offerto. Quest’ultima ipotesi è stata quella che si è verificata nel caso di specie, ove la preventiva valutazione del ramo d’azienda da cedersi non è stata effettuata in sede di predisposizione, da parte dei Commissari Straordinari, del documento programmatico della Procedura, presentato in data 6 aprile 2009, bensì in occasione dell’offerta vincolante formulata da QS Group S.p.A. in data 19 settembre 2011, e ciò “al fine di valutare”, come indicato dai Commissari stessi nella richiesta di autorizzazione all’aggiudicazione del complesso aziendale facente capo ad Antonio Merloni S.p.A. in Amministrazione straordinaria “la congruità del prezzo”, mediante la stima da parte del Prof. Enrico Laghi, di “ciascuno degli assets compresi nell’offerta vincolante di QS Group”. Le modalità di individuazione dell’oggetto della cessione, nonché dello stesso perimetro, non appaiono sindacabili in questa sede non ravvisandosi violazioni al dettato normativo. Nell’impossibilità di determinare, all’epoca della redazione del Programma di Cessione ed in relazione ai complessi industriali italiani della Società, uno specifico ramo d’azienda o, meglio, un perimetro che avrebbe potuto rappresentare, anche in ragione delle manifestazioni d’interesse già pervenute, l’oggetto di un’eventuale futura cessione, i suddetti Commissari
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straordinari hanno, in effetti, rimandato la valutazione anzidetta al momento della presentazione di un’offerta vincolante che circoscrivesse in modo definito il succitato perimetro. Nel suddetto Programma di Cessione l’organo amministrativo della Procedura precisa, infatti, alle pagine 139 e 140, che “con riferimento alle attività del Gruppo relative al settore degli elettrodomestici l’articolazione dei complessi oggetto di cessione non potrà che essere definita a seguito di un processo di approfondimento nel corso del quale assumerà un ruolo centrale la valutazione dei piani industriali che ciascun offerente sarà chiamato a presentare. Tale processo dovrà necessariamente articolarsi secondo uno schema aperto alla progressiva delimitazione dei complessi oggetto di interesse particolare da parte dei potenziali acquirenti. L’analisi del mercato consente, in sostanza, di escludere che vi sia una polarizzazione netta, tale per cui si possano predefìnire perimetri da costituire in lotti sui quali chiamare una procedura competitiva. In realtà, sebbene vi siano rami – coincidenti o no con legal entities non giova qui approfondire – che hanno suscitato interessi più puntuali, non mancano nemmeno interessi di più lata estensione. Dunque, una valutazione comparativa potrà essere operata solo quando queste più ampie manifestazioni abbiano assunto un maggior grado di puntualità e di determinazione, e quando anche le proposte relative a singole frazioni abbiano consentito di identificare i contenuti obiettivi di ciascuna. […] Insomma, sembra inevitabile, nelle condizioni date, impostare una procedura competitiva
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«a oggetto aperto», che assuma come perimetro massimo la Business Unit costituita dalla AAM. e dalla Asko e che non escluda, tuttavia, offerte anche di minore estensione”. Nell’ipotesi di cessione di aziende e/o di rami di azienda in esercizio, al pari di quella che caratterizza la fattispecie in esame, come ricordato ai fini della determinazione del valore dell’azienda, la durata della correzione reddituale è determinata dalla legge ed, in particolare, dal primo comma dell’art. 63 d.lgs. n. 270/1999 che, indipendentemente dagli impegni specificatamente assunti dal cessionario di cui al secondo comma del medesimo art. 63, fissa nei due anni successivi alla stima l’arco temporale della correzione stessa. Si legge infatti: “Per le aziende e i rami di azienda in esercizio la valutazione effettuata a norma dell’articolo 62, comma 3, tiene conto della redditività, anche se negativa, all’epoca della stima e nel biennio successivo”, con ciò compiendo un preciso riferimento affinché la valutazione delle aziende in esercizio – qual è, nel caso di specie, in forza dei risultati della perizia, la Antonio Merloni S.p.A. in Amministrazione straordinaria – sia effettuata avendo riguardo alla redditività, anche se negativa, al momento della stima e nei due esercizi successivi. A dover essere quantificato è, quindi, come già in precedenza ricordato, non il valore patrimoniale “astratto” dei beni aziendali, ma l’effettivo valore di mercato dell’azienda in funzionamento, operando, qualora sussista una redditività negativa, uno “sconto” sul valore assoluto di quest’ultima, suscettibile di poter essere distribuito sulle singole poste dell’attivo. I creditori non solo devo-
no sopportare i costi della gestione commissariale, ma sono non dimeno costretti a corrispondere all’acquirente una “dote”, allo scopo di ripagarlo di perdite future del tutto eventuali, con conseguente deprezzamento del valore dell’azienda. Tuttavia, in contropartita al beneficio del così detto “sconto” sul prezzo, il legislatore ha imposto all’acquirente di “obbligarsi a proseguire per almeno un biennio le attività imprenditoriali e a mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazionali stabiliti all’atto della vendita”. Sconto richiesto per la necessità, ritenuta preminente, di mantenere inalterati per il biennio successivo alla cessione, i pregressi livelli occupazionali, addossando tale onere al ceto creditorio. L’impegno dell’acquirente a proseguire per almeno un biennio le attività imprenditoriali, mantenendo inalterati i livelli occupazionali stabiliti all’atto della cessione, si riflette sulla valutazione dell’azienda oggetto di cessione, la quale, come espressamente previsto dal primo comma dell’art. 63 d.lgs. n. 270/1999, deve tener conto del badwill generato dalle inefficienze conseguenti alla difficoltà a recuperare l’equilibrio economico finanziario per un periodo individuato a prescindere, come dagli specifici impegni concordati con l’acquirente stesso, nel biennio successivo alla cessione. Tale limitazione temporale è volta infatti a contemperare, da una parte, gli obiettivi di mantenimento del complesso industriale e della forza lavoro e, dall’altra, gli interessi dei creditori che, seppur “spossessati” dalle originarie garanzie ipotecarie, trovano un riconoscimento nel limite temporale stabilito dalla norma.
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In definitiva, quindi, la valutazione effettuata ai sensi dell’art. 63, primo co., d.lgs. n. 270/99 deve tenere necessariamente conto delle previsioni di legge e, quindi, della redditività nei limiti del biennio successivo alla stima. Ritiene il collegio che il limite del biennio di riferimento per il calcolo della così detta “dote” indicato e considerato dal legislatore non è un termine neutro per i creditori, come tale esso non appare derogabile in loro danno, né può ritenersi rimesso alla libera determinazione delle parti nella regolamentazione degli accorti negoziali per la cessione dell’azienda. Né tanto più, detto termine, può ritenersi parametrato al corrispettivo all’impegno dell’acquirente a garantire i livelli occupazionali per un periodo maggiore al biennio. Lo sconto sul prezzo, pur rispondendo ad esigenze di mantenimento della competitività dell’azienda sul mercato, non può essere posto a carico dei creditori oltre un certo limite; a tal fine è lo stesso legislatore a predeterminarlo e ad ancorarlo alla data della stima e del biennio successivo; né può rilevare la considerazione che ragioni di opportunità consentano di valutare la redditività negativa per un periodo maggiore in vista di possibili vantaggi compensativi nell’ottica della salvaguardia di quegli interessi superiori qual è l’occupazione. In definitiva non è rimesso alla discrezionalità del piano industriale e agli accordi tra acquirente e cessionario il parametro di determinazione di stima del badwill da portare a deconto del prezzo di cessione: le disposizioni degli artt. 62 e 63, più volte richiamate, disciplinano le attività preparatorie e autorizzatorie che
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impongono al commissario straordinario e al Ministero dello Sviluppo Economico una serie di vincoli diretti a salvaguardare una pluralità di interessi tra cui, accanto a quelli generali di salvaguardia dell’unità produttiva e dei livelli occupazionali, altresì quello dei creditori (“...con gli artt. 62 e 63 il legislatore ha posto una serie di vincoli.... diretti a salvaguardare una pluralità di interessi: quello dei creditori; quello dei lavoratori, nonché l’interesse generale alla conservazione del patrimonio produttivo salvaguardando l’unità operativa dei complessi aziendali” Cass. S.U 12247/09). Il cessionario deve impegnarsi a sopportare la disorganizzazione e diseconomicità della azienda ceduta per un periodo almeno pari allo “sconto” o “dote” concessa: ove poi il cessionario intenda predisporre un piano industriale di maggiore respiro temporale (anche al fine di rendere la propria offerta più competitiva), sarà suo rischio ed onere sostenerlo. La norma, infatti, pretende un impegno pari al periodo di sconto concesso, oltre il quale il soggetto privato deve sopportare il rischio in proprio e non a scapito dei creditori, dovendosi altrimenti ipotizzare un’ingiustificata alterazione dei valori di vendita a discapito dei diritti dei creditori. L’interesse dei creditori viene a concorrere, in ogni caso, nel bilanciamento delle diverse esigenze e se pur ritenuto non preminente, non può essere interamente sacrificato. L’errata valutazione dei beni oggetto di cessione è idonea a determinare la lesione dei diritti soggettivi dei creditori, in particolare degli ipotecari che hanno visto completamente azzerata la loro garanzia rappresentata da innumerevoli complessi immobiliari,
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in grado di consentire, ove autonomamente alienati, un valore economico sicuramente più elevato e di conseguenza più remunerativo del diritto di credito vantato. Vale la pena di rilevare che nel caso di specie è stato applicato un dato correzionale di quattro anni, determinando cosi il valore finale dell’azienda in €. 12,2 milioni; che la cessione è avvenuta al prezzo di 10 milioni di euro, il tutto a fronte di un valore stimato dal CTU in 54 milioni di euro ove fosse stato correttamente applicato il criterio del badwill a due anni. La rilevanza della differenza tra prezzo di cessione ed effettivo valore, non può trovare giustificazione alcuna nella considerazione che non vi erano altri acquirenti, non potendosi esimere il Collegio dal rilevare che l’Amministrazione Straordinaria non impone ai Commissari Straordinari di vendere comunque e sempre ad un qualsiasi prezzo i beni che compongono l’attivo. Se durante la procedura di Amministrazione Straordinaria si dovesse riscontrare la mancanza di un acquirente disponibile ad offrire un corrispettivo sostanzialmente allineato – ancorché con ribassi ragionevoli – al valore oggetto di stima, è verosimile ritenere che a non poter essere proseguito sia il programma di cessione medesimo, attesa l’assenza di acquirenti ad un prezzo congruo. Ne conseguirebbe che, giunti alla scadenza del termine del programma di cessione (e delle sue eventuali proroghe), la procedura dovrebbe essere convertita in fallimento ex art. 70 d.lgs. n. 270/1999; conversione che, peraltro, dovrebbe essere disposta anche allorquando, in qualsiasi momento nel
corso della procedura, si dovesse riscontrare l’impossibilità di alienare i beni aziendali nel termine previsto dall’art. 27 d.lgs. n. 270/1999 se non atomisticamente e, pertanto, attraverso la disgregazione dei complessi produttivi. La determinazione del valore, considerando una correzione reddituale a quattro anni, a scapito dei diritti dei creditori in palese violazione delle disposizioni che disciplinano la vendita dell’azienda in esercizio di cui all’art. 63 d.lgs. n. 270/1999, realizza un’ipotesi di nullità del contratto per violazione di legge. La vendita del complesso aziendale è nulla ai sensi dell’art. 1418 c.c. per palese violazione di norma di legge, secondo l’insegnamento dettato dalla Corte di Cassazione, sez. un., n. 12247/09, che ha affermato che le disposizioni che disciplinano la liquidazione dei beni dell’impresa insolvente nell’ambito dell’amministrazione straordinaria, tra le quali rientra altresì l’art. 63, hanno il carattere di norme imperative alla cui violazione consegue la nullità e non la mera inefficacia dell’attività negoziale conclusa con la procedura di vendita, nella specie il contratto di compravendita di azienda. Ciò posto, ritiene il collegio che la scelta di un arco temporale di quattro anni utilizzato per la determinazione del badwill sia stata operata in aperta violazione di norma inderogabile di legge diretta a tutelare, altresì, il diritto dei creditori, il cui sacrificio non può essere portato oltre un determinato limite, in presenza per altro di una scelta alternativa che avrebbe garantito in caso di cessione dei singoli cespiti il realizzo del valore di mercato. La imperatività delle norme in oggetto (gli artt. 62 e 63 d.lgs. n.
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270/1999) è volta a contemperare una pluralità di interessi fra i quali anche quelli del ceto creditorio: “dette disposizioni, essendo poste a tutela di interessi generali, dell’economia e di categorie di persone, che vengono in considerazione, intrecciandosi tra loro, in una medesima vicenda, non ammettono una difforme regolamentazione e, pertanto, costituiscono sicuramente un limite inderogabile al potere discrezionale sia del commissario straordinario che del Ministero dell’industria nello espletamento delle attività richieste per pervenire all’alienazione dei beni dell’imprenditore insolvente. Si può, pertanto, fondatamente ritenere che tali disposizioni, in quanto inderogabili per i su esposti motivi hanno il carattere di norme imperative, alla cui violazione deve essere ricollegata la nullità dell’attività negoziale conclusiva della procedura di vendita (nel caso di specie il finale contratto di compravendita del complesso aziendale), ai sensi dell’art. 1418 c.c., e la illegittimità degli atti prodromici (programma di cessione del complesso aziendale e autorizzazioni ministeriali alla esecuzione del programma ed alla vendita di detto complesso). La violazione delle disposizioni in parola, infatti, non consente di realizzare l’assetto degli interessi in gioco voluto dal legislatore, e la lesione di detti superiori interessi, frustrando le finalità della procedura di amministrazione straordinaria, non può non ritenersi sanzionata, traducendosi come detto nella violazione di norme imperative, se non con la sanzione di nullità (trattasi di una ipotesi di nullità virtuale)”. Cass Sez. U. già citata. A giudizio della Suprema Corte, infatti, “l’alienazione dei beni da parte
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del commissario straordinario, deve essere effettuata come previsto dal succitato art. 62, non solo in conformità delle previsioni del programma e con forme adeguate alla natura dei beni, ma anche con forme finalizzate al migliore realizzo e, se si tratta, come nel caso di specie, di vendita di un complesso aziendale, previo espletamento di idonee forme di pubblicità. Il valore dei beni deve essere preventivamente determinato da un esperto al fine di stabilire qual è il prezzo che deve essere richiesto e portato a conoscenza di potenziali acquirenti che intendano partecipare alla gara per l’acquisto del bene. Il commissario giudiziale è tenuto a rispettare le modalità summenzionate sia che venga posta in vendita una azienda non più in esercizio, sia che venga posta in vendita un’azienda in esercizio. Se viene posta in vendita una azienda in esercizio, il commissario straordinario, in ossequio a quanto disposto dall’art. 63, è tenuto a rispettare, oltre gli obblighi di cui sopra, anche i seguenti obblighi ulteriori: 1) nell’affidare all’esperto l’incarico di determinare il valore del bene, dovrà richiedere allo stesso di tenere conto, nella determinazione del valore del bene, della redditività dell’azienda, anche se negativa, all’epoca della stima e nel biennio successivo; 2) dovrà informare i potenziali acquirenti dell’obbligo, che sono tenuti ad assumersi, di proseguire le attività imprenditoriali per almeno un biennio e di mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazionali stabiliti all’atto della vendita”. Nel caso in esame l’atto è nullo perché l’art. 63 d.lgs. n. 270/1999 è norma imperativa in ogni sua disposizione, in ogni suo comma, perché nell’assetto sistema-
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tico della disposizione nel suo complesso quella norma serve a tutelare (richiedendo una stima e limitando il badwill al biennio) ed a contemperare il trasferimento del complesso aziendale in funzionamento e, quindi, la sua conservazione con gli interessi del ceto creditorio. Detto altrimenti, avere una perizia di stima che limiti il badwill ad un biennio consente di contemperare l’interesse alla conservazione del complesso produttivo con le esigenze del ceto creditorio, il quale ha diritto a che la vendita avvenga ad un valore congruo; che l’atto posto in essere si possa definire vendita e che il prezzo pagato si possa qualificare come corrispettivo effettivo. Nel caso specifico, il prezzo offerto non si è discostato del 20% dal valore di stima a base della vendita, bensì è addirittura inferiore al 20% dell’effettivo valore di stima dell’azienda, come correttamente valutato dal CTU secondo i criteri di legge sopra esposti; il che vale ad attestare, a parere del collegio, che il limite del biennio introduce un criterio di valutazione che costituisce norma inderogabile di legge, la cui violazione è suscettibile di produrre effetti di tale gravità da condurre necessariamente alla sanzione della nullità del contratto. Con riferimento alle eccezione di non conferenza della citata sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite del 27 maggio 2009, n. 12247 al caso di specie si possono trarre i seguenti rilievi: è la stessa Suprema Corte che afferma, a) “l’alienazione dei beni da parte del commissario straordinario, deve essere effettuala come previsto dal succitato art. 62, non solo in conformità delle previsioni del programma e con forme
adeguate alla natura dei beni ma anche con forme finalizzate al migliore realizzo e, se si tratta, come nel caso di specie, di vendita di un complesso aziendale, previo espletamento di idonee forme di pubblicità”, b) “il valore dei beni deve essere preventivamente determinato da un esperto al fine di stabilire qual è il prezzo che deve essere richiesto e portato a conoscenza di potenziali acquirenti che intendano partecipare alla gara per l’acquisto del bene”, c) “con gli artt 62 e 63 il legislatore ha posto una serie di vincoli (osservanza dei criteri generali dettati dal Ministero dell’Industria, accertamento preventivo del valore dei beni da liquidare, adozione di sistemi di pubblicità idonei per i beni immobili le aziende ed i rami di azienda di valore superiore a cento milioni ecc.) diretti a salvaguardare una pluralità di interessi: quello dei creditori; quello dei lavoratori, nonché l’interesse generale alla conservazione del patrimonio produttivo salvaguardando l’unità operativa dei complessi aziendali”; d) “dette disposizioni essendo poste a tutela di interessi generali dell’economia e di categorie di persone, che vengono in considerazione, intrecciandosi tra loro, in una medesima vicenda, non ammettono una difforme regolamentazione”, Secondo il Collegio: a) la violazione delle norme dettate in tema di determinazione del badwill equivale a non rispetto di una forma di vendita finalizzata a raggiungere il miglior realizzo: b) ove il badwill fosse stato determinato in modo corretto, il prezzo richiesto e portato a conoscenza dei potenziali acquirenti sarebbe stato di
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54 milioni di euro e non di 12 milioni di euro; c) risulta violato un vincolo diretto a salvaguardare, nell’ambito della pluralità degli interessi, quello dei creditori: non aver valutato, come prevede l’art. 63, primo co., d.lgs. n. 270/1999, il badwill con riferimento al biennio finisce per comportare una violazione di quella norma diretta a tutelare, nell’ambito della pluralità degli interessi, quello del ceto creditorio: d) gli artt. 62 e 63 d.lgs. n. 270/1999 pongono un limite inderogabile al potere discrezionale del Commissario straordinario e del Ministero dello Sviluppo Economico. La rilevata violazione di norme imperative relative ai criteri di determinazione del valore è atta ad inficiare l’intera operazione di vendita per illiceità, ed è dunque idonea a far dichiarare la nullità sia del contratto preliminare, sia dell’atto definitivo di trasferimento intercorso tra A. Merloni, da un lato, e la J.P. Industries Spa – QS Group Spa con ogni conseguenza di legge. Le conclusioni cui si è pervenuti assorbono ogni altra questione ed eccezione sollevate dalle parti. La riscontrata illegittimità del contratto per violazioni di norme imperative, travolge altresì l’autorizzazione rilasciata dal Ministero alla stipula dell’atto di cessione in favore della J.P. Industries Spa- QS Group Spa, che va in questa sede disapplicata. In tale situazione si deve procedere alla disapplicazione dell’atto amministrativo ai sensi dell’art. 5 l. n 2248 del 1865 allegato E; nel caso di specie il giudice è tenuto, in relazione al contenuto della domanda formulata dalle Banche ricorrenti, creditrici ipotecarie, ad indagare, con sindacato da effet-
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tuare in via incidentale, se il comportamento lesivo del diritto soggettivo, vantato dalle Banche summenzionate, trovi una qualche valida giustificazione nelle autorizzazioni rilasciate dal Ministero, come preteso dalle parti. Risultando accertato, per tutto quanto detto, che le norme che disciplinano le modalità di vendita e che danno rilievo agli interessi che devono essere salvaguardati sono norme di carattere inderogabile, di fronte alle quali si arresta il potere discrezionale della P.A. La pubblica amministrazione non poteva autorizzare la vendita di un complesso aziendale in ragione di un prezzo determinato applicando un badwill calcolato su di un periodo temporale di quattro anni, in violazione ad una precisa disposizione di legge che lo delimita al biennio successivo, con il conseguente effetto di determinare il prezzo di cessione ad un valore rappresentativo un quinto di quello corrente ove fosse stata correttamente applicata la percentuale di sconto, con evidente danno per i creditori che hanno visto azzerata la garanzia patrimoniale del debitore e preclusa ogni possibilità di vedere soddisfatto il credito. L’atto autorizzativo rilasciato è, a sua volta viziato sia per violazione di legge, in quanto la P.A. ha travalicato i limiti del proprio potere discrezionale, nonché altresì per eccesso di potere nel travisamento dei fatti perché basato sul presupposto della congruità dell’offerta di acquisto. Va infatti rilevato come l’autorizzazione del Ministero dello Sviluppo Economico del 18 ottobre 2011 n. 0195023 fondi la propria decisione sulla base “delle considerazioni svolte in ordine alla congruità dell’offerta vin-
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colante di QS Group S.p.A, che prevedendo un corrispettivo ‘a corpo’ di euro 10.000,000,00 si discosta di circa il 20% dalla sommatoria dei valori indicati nelle perizie del Prof. Enrico Laghi (effettuate in data 19 settembre 2011 per i complessi aziendali di Maragone, Santa Maria e Gaifana e per il marchio ÀRDI ed in data 18 aprile 2011 per il marchio Seppelfricke) e dei valori economici indicati nel parere del Prof. Enrico Laghi relativo alle partecipazioni detenute in Meccano S.p.A. ed in Carifac (in data 26 settembre 2011)”, prendendo atto, poco, dopo, “di quanto precisato in ordine al fatto che non risulta opportuno un nuovo tentativo di gara e considerato d’altro canto che la precaria continuazione della gestione dell’impresa determinerebbe una perdita del suo valore espresso dal mercato e che quindi lo scostamento del prezzo rispetto ai valori di perizia di circa il 20% appare tutto sommato accettabile anche nella considerazione dell’assunzione dell’impegno occupazionale”. Rileva indiscutibilmente il fatto che il prezzo offerto non si è discostato del 20% del valore di stima, bensì come già detto, è cinque volte inferiore al corretto valore di stima dell’azienda. Va di conseguenza ordinata al Direttore dell’Agenzia dell’Entrate competente di procedere alle rettifiche ed integrazioni conseguenti alla presente decisione. In ragione della complessità delle questioni trattate, della rilevanza dei profili interpretativi, nonché della particolarità delle tematiche in assenza di precedenti giurisprudenziali specifici, vanno compensate tra le parti le spese di lite; le spese di CTU, come liquidate in separato decreto, vanno poste a carico dei resistenti principali soccombenti: Antonio Merloni S.p.A.
in Amministrazione Straordinaria; Ministero dello Sviluppo Economico; QS Group S.p.A. e J.P. Industries S.p.A. Visti gli artt. 62 e ss. d.lgs. n. 270/1999; P.Q.M. il Tribunale definitivamente pronunciandosi sui ricorsi promossi rispettivamente da MPS Gestione Crediti Banca S.p.A., depositato in data 19 novembre 2011, nonché da Unicredit Credit Management Bank S.p.A., Banca delle Marche S.p.A., Banca Popolare di Ancona S.p.A., Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana S.p.A., Banca CR di Firenze S.p.A. e Banca dell’Adriatico S.p.A., depositato in data 15 febbraio 2012, DICHIARA la nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c. della cessione del complesso aziendale effettuata con atto del 27/12/2011 a rogito notaio Mariconda, intercorso tra i Commissari straordinari della Antonio Merloni S.p.A., da un lato, e J.P. Industries S.p.A. - QS Group S.p.A., dall’altro, nonché la nullità del precedente contratto preliminare stipulato tra le stesse parti, di ogni eventuale ulteriore atto conseguente e successivo, con conseguente disapplicazione ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865, all. E, delle autorizzazioni amministrative rilasciate, su richiesta dei Commissari straordinari medesimi, dal Ministero dello Sviluppo Economico. (Omissis) II (Omissis) nei procedimenti riuniti nn. 385 e 408/2013;
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considerato in fatto con ricorso, ai sensi del decreto legislativo n. 270/1999, depositato il 19 novembre 2011, la S.p.A. M.P.S. Gestione Crediti, in nome e per conto della S.p.A. Banca Monte dei Paschi di Siena, anche quale incorporante la cessata S.p.A. Banca Toscana, chiedeva all’adito Tribunale di Ancona che fosse dichiarata, rilevata la violazione degli articoli 62, 63 e 55 del citato decreto legislativo, la nullità, ai sensi dell’articolo 1418 c.c., ovvero l’annullabilità e la conseguente inefficacia nei confronti della banca istante delle operazioni di cessione del complesso aziendale, effettuate in pregiudizio dei creditori ammessi allo stato passivo nella categoria “ipotecari”, nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria della S.p.A. Antonio Merloni, oltre che di ogni ulteriore atto conseguente e successivo, con disapplicazione, ai sensi dell’articolo 5 della legge 2248/1865 all. E, delle autorizzazioni amministrative rilasciate dal Ministero dello Sviluppo Economico, le quali, stante l’accertata violazione di diritti soggettivi, potevano essere legittimamente sindacate dal giudice ordinario incidenter tantum; con successivo ricorso depositato il 15 febbraio 2012 la S.p.A. Unicredit Credit Management Bank, quale mandataria della S.p.A. Unicredit, la S.p.A. Banca del le Marche, la S.p.A. Banca Popolare di Ancona, la S.p.A. Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana, la S.p.A. Banca CR Firenze e la S.p.A. Banca dell’Adriatico formulavano le medesime richieste già avanzate dalla S.p.A. M.P.S. Gestione Crediti; instaurato il contraddittorio, la S.p.A. Antonio Merloni in amministrazione straordinaria, in persona
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dei Commissari straordinari, nel costituirsi, avanzava eccezioni attinenti al difetto di giurisdizione del Tribunale adito e di interesse delle banche ricorrenti, sostenendo, comunque, nel merito, la perfetta osservanza da parte degli organi preposti alla procedura delle norme dettate in materia di vendita di beni immobili facenti parte del patrimonio di un’impresa sottoposta ad a. s. Si costituivano in entrambi i procedimenti la S.p.A. QS Group e la S.p.A. J.P. Industries, quali cessionarie del complesso aziendale de quo (cessione avvenuta in data 27 dicembre 2011), che invocavano, in via preliminare, l’inammissibilità e l’improcedibilità dei ricorsi per difetto di giurisdizione del Giudice ordinario in favore di quello amministrativo, in quanto proposti a tutela di interessi legittimi e non di diritti soggettivi; nel merito contestavano le richieste delle ricorrenti in ordine alla prospettata violazione degli articoli 62 e 63 del decreto legislativo n. 270/1999 con riferimento alle modalità di vendita dell’azienda, alla asserita illegittimità della scelta dell’acquirente, all’ipotizzata erronea valutazione del complesso aziendale oggetto di cessione ed alla presunta incongruità del relativo prezzo, nonché all’inosservanza degli obblighi delle società acquirenti riguardanti la prosecuzione delle attività imprenditoriali, la salvaguardia dell’unità operativa aziendale ed il mantenimento dei livelli occupazionali; con comparsa in data 9 maggio 2012 il Ministero dello Sviluppo Economico si costituiva instando per il rigetto dei ricorsi, dopo aver eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice adito e la propria
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carenza di legittimazione passiva, deducendo la sostanziale assenza di altri potenziali acquirenti e la conseguente irrealizzabilità di un maggior prezzo di cessione e, comunque, la mancanza di obiettivi riscontri circa la possibilità di un miglior realizzo; contestava tutte le censure mosse dagli istituti di credito ricorrenti in ordine all’intera operazione effettuata dai Commissari straordinari nel rispetto delle vigenti disposizioni di legge; si costituivano in giudizio, altresì, il Comitato Operai Metalmeccanici Umbri nonché i Sig.ri (…), già dipendenti della S.p.A. Antonio Merloni, che spiegavano intervento adesivo riportandosi a tutte le conclusioni rassegnate dai ricorrenti istituti; disposta la riunione dei procedimenti per evidenti ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva, il Tribunale, con ordinanza del 19-24 luglio 2012 disponeva l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio; con memoria del 27 luglio 2012 la Fiom Cgil della provincia di Ancona interveniva in giudizio, così pure intervenivano, in data 6 agosto 2012, la Fim Cisl di Ancona, i Sig.ri (…) in adesione delle ragioni della S.p.A. Antonio Merloni in a. s.; in data 22 maggio 2013 interveniva pure il Sig. (…) che deduceva l’invalidità delle operazioni di cessione; esaurita l’attività istruttoria ritenuta necessaria ai fini della decisione, fra cui l’espletamento di c.t.u., il Tribunale di Ancona, con provvedimento del 20 settembre 2013, dichiarava la nullità, ai sensi dell’articolo l418 c.c., della cessione del complesso aziendale in questione, effettuata con atto del 27 dicembre 2011 a rogito notaio Mariconda ed intercorsa tra i Commissari straordinari della S.p.A. Antonio Mer-
loni in a. s. e la S.p.A. J.P. Industries nonché la S.p.A. QS Group, oltre che la nullità del precedente contratto preliminare stipulato tra le stesse parti, di ogni ulteriore atto conseguente e successivo, disapplicando, ai sensi dell’articolo 5 della legge 2248/1865 all. E, le autorizzazioni amministrative rilasciate, su richiesta dei medesimi Commissari, dal Ministero dello Sviluppo Economico; compensava tra le parti le spese di lite ponendo definitivamente quelle di c.t.u. a carico della S.p.A. Antonio Merloni in amministrazione straordinaria, del Ministero dello Sviluppo Economico e delle società acquirenti; a tali statuizioni il Tribunale era pervenuto, previo riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario sul presupposto che la pretesa di cui si invocava la tutela e fatta valere dalle banche istanti integrasse una posizione di diritto soggettivo e non già di mero interesse legittimo, essendo configurabile, nel caso in esame, un diritto di credito, oltre che un vero e proprio diritto a vedere conservata la garanzia patrimoniale del debitore, affermando: a) l’intervenuta violazione del diritto azionato, risultato sacrificato a causa di una errata valutazione dei beni oggetto di cessione; b) l’inderogabilità del criterio in base al quale, nella determinazione del valore dell’azienda ai fini della alienazione, secondo la disciplina stabilita dall’articolo 63 del decreto legislativo n. 270/1999, la redditività negativa poteva essere calcolata solo con riferimento al biennio successivo alla stima; c) la conseguente nullità del contratto di cessione per calcolo della redditività negativa con riferimento ad un arco temporale superiore al biennio stabilito dalla
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legge; d) la disapplicazione del provvedimento autorizzativo emesso dal Ministero dello Sviluppo Economico derivante dalla invalidità di una stima calcolata in relazione all’anzidetto parametro travalicante i due anni; e) la correttezza della valutazione compiuta dal nominato consulente tecnico d’ufficio; f) la mancanza di congruità del prezzo su cui era intervenuto l’accordo dei contraenti rispetto al valore stabilito dal c.t.u.; avverso tale decisione, con ricorso ai sensi degli articoli 65, secondo comma, decreto legislativo n. 270/1999 e 739 c.p.c., la S.p.A. Antonio Merloni in a.s., in persona dei Commissari straordinari, ha proposto reclamo chiedendone l’annullamento, la revoca o la riforma, invocando la declaratoria di inammissibilità ovvero il rigetto, in quanto infondate in fatto e in diritto, di tutte le domande e le eccezioni proposte dalle banche ricorrenti nonché quelle delle altre parti intervenute in giudizio che hanno condiviso la posizione processuale assunta dagli istituti medesimi; avverso lo stesso decreto del Tribunale di Ancona del 20 settembre 2013 veniva proposto analogo reclamo da parte della S.p.A. QS Group e della S.p.A. J.P. Industries le quali concludevano, in via pregiudiziale, affinché fosse dichiarata la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, con conseguente rimessione alla Consulta e sospensione del giudizio ex articolo 23 della legge 87/1953, dell’articolo 63, comma primo, del decreto legislativo n. 270/1999 che, ove fosse ritenuto norma imperativa, verrebbe a contenere una vera e propria fonte eteronoma contrattuale che imporrebbe la fissa-
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zione di clausole prescindendo completamente dalla volontà delle patti (che, sarebbero costrette a proporre e ad accettare un prezzo non determinato in ragione delle concrete condizioni di mercato) con conseguente evidente ingiustificata compromissione dell’autonomia privata e violazione degli articoli 1, 2, 3 e 41 della Costituzione; nel merito instavano per l’accoglimento del reclamo e, in riforma del decreto impugnato, per la reiezione dei ricorsi proposti; in subordine invocavano una diversa regolamentazione in ordine alle spese di consulenza tecnica d’ufficio, nel senso che le stesse fossero poste a carico delle ricorrenti in primo grado ovvero del Ministero dello Sviluppo Economico e della S.p.A. Antonio Merloni in amministrazione straordinaria; si costituivano, con unica memoria, la S.p.A. Unicredit, la S.p.A. Banca delle Marche, la S.p.A. Banca popolare di Ancona, la S.p.A. Veneto Banca, in qualità di soggetto incorporante la Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana, la S.p.A. Banca CR Firenze e la S.p.A. Banca dell’Adriatico che contestavano il fondamento del gravame riportandosi, in sostanza, alle argomentazioni svolte dai primi giudici; svolgevano reclamo incidentale subordinato in relazione alla normativa applicabile alla cessione aziendale nell’ambito della disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, che non era quella ex articolo 63 del più volte menzionato decreto legislativo n. 270, bensì quella di cui all’articolo 62 della medesima normativa, dovendosi ritenere intervenuta, nel caso in esame, plurima violazione di legge posta, in modo inderogabile, a tutela di interessi sociali e
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non dei soli creditori; in tale contesto riproponevano la domanda alternativa formulata nel ricorso ex articolo 65 del citato decreto legislativo, chiedendo, rilevata la violazione degli articoli 55, 62 e 63, che fosse accertata e dichiarata, se non la nullità ai sensi dell’articolo 1418 c.c., l’annullabilità e la conseguente inefficacia nei confronti delle banche deducenti, della cessione del complesso aziendale in questione in quanto in evidente pregiudizio dei creditori ammessi allo stato passivo nella categoria ipotecari, con disapplicazione delle autorizzazioni amministrative rilasciate che, stante l’accertata violazione di diritti soggettivi, ben potevano essere sindacate dal giudice ordinario incidenter tantum; veniva, infine, chiesta la riforma del capo relativo alla disposta regolamentazione delle spese di lite in termini di integrale compensazione nel senso che tali oneri gravassero su controparte; la S.p.A. Banca Monte dei Paschi di Siena, nel costituirsi a sua volta, domandava la conferma del provvedimento impugnato rifacendosi alle argomentazioni poste dal Tribunale a sostegno della pronunciata nullità; si costituivano, altresì: a) il Ministero dello Sviluppo Economico che tornava ad eccepire il difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria e la propria carenza di legittimazione passiva ed a dedurre l’infondatezza dei ricorsi proposti dagli istituti di credito istanti con accoglimento del reclamo della S.p.A. Antonio Merloni in amministrazione straordinaria; b) la Fiom Cgil della provincia di Ancona che concludeva per la declaratoria di difetto di giurisdizione del Tribunale ordinario a favore del Giudice amministrativo e, nel
merito, per “l’annullamento, la revoca o la riforma” del provvedimento impugnato; c) la Fim Cisl di Ancona che instava per l’accoglimento dei preposti reclami ed il rigetto di quello incidentale condizionato avanzato dagli istituti bancari; d) T.G., F.F., M.I., L.E., M.S., M.M. e B.M. che, per contro, domandavano il rigetto dei gravami; ritenuto in diritto deve essere esaminato con priorità, per evidenti ragioni di ordine logico giuridico, il motivo attinente alla reiterata eccezione di difetto di giurisdizione già sollevata nella precedente fase processuale; in proposito si sostiene che, pur in presenza di un diritto soggettivo di credito delle banche ricorrenti, la pretesa azionata si fonda sul lamentato mancato rispetto di una serie di regole dirette a far sì che l’alienazione dei beni dell’impresa insolvente possa avvenire con modalità tali da salvaguardare una pluralità di interessi, vale a dire quello generale diretto alla conservazione del patrimonio produttivo, quello della tutela dell’occupazione, quello dei dipendenti delle imprese in crisi, quello privato dei creditori di cui le banche si sono fatte portatrici, configurando, in tal modo, una posizione soggettiva qualificabile come semplice interesse legittimo: invero se il Tribunale avesse fatto corretta applicazione del criterio di riparto della giurisdizione avrebbe dovuto rilevare che l’atto reclamato si sostanziava in una valutazione discrezionale fondata su una ponderazione di interessi e rimessa alla discrezionalità amministrativa a fronte della quale la situazione giuridica asseritamente lesa non poteva che rappresentare un mero interesse legittimo; in sostanza le banche, pur incontestabilmente ti-
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tolari di un diritto soggettivo, hanno azionato un procedimento in cui si dolevano dell’asserita violazione di regole procedimentali poste a presidio di interessi pubblici, collettivi e privati, con particolare riferimento all’articolo 63 del decreto legislativo n. 270/1999, il quale non conferisce un diretto rilievo alla posizione dei creditori, che neppure viene menzionata, per cui, in tale prospettiva, il diritto soggettivo degli istituti di credito non poteva che ritenersi degradato a interesse legittimo; anche il “diritto a vedere conservata la garanzia patrimoniale del debitore” si traduce in un interesse all’osservanza dei criteri di liquidazione dei beni dell’impresa debitrice in conformità alle prescrizioni di legge, di modo che il diritto alla garanzia patrimoniale spettante ai creditori si affievolisce per assumere la consistenza di interesse legittimo; osserva la Corte, in proposito, che l’articolo 65 del decreto legislativo n. 270/1999 stabilisce che “contro gli atti e i provvedimenti lesivi di diritti soggettivi, relativi alla liquidazione dei beni di impresa in amministrazione straordinaria, è ammesso ricorso al Tribunale”: con tale norma si è inteso riservare, dunque, al giudice ordinario le controversie riguardanti la lesione di diritti soggettivi in ordine alla fase liquidatoria procedimentale; nel caso in esame, indubbio essendo che l’impugnata vendita del complesso aziendale nell’ambito dell’amministrazione straordinaria della S.p.A. Antonio Merloni attenga alla fase della liquidazione, occorre verificare se si sia in presenza di una (prospettata) lesione di diritti soggettivi, così come preteso dalle banche ricorrenti, ovvero di semplici interessi legittimi, come
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vorrebbero le reclamanti; va considerato, in proposito, che il menzionato articolo 65 ha introdotto una disposizione che appare escludere la degradabilità dei diritti soggettivi dei creditori ammessi al passivo della procedura a meri interessi legittimi, essendo chiaro l’intento del legislatore, attraverso tale norma, di assicurare la piena tutela a coloro che vantino diritti soggettivi nell’ambito di una procedura la cui gestione, sia pure rimessa, in sostanza, agli organi nominati ed all’autorità di vigilanza, non per questo deve andare esente da presìdi a tutela dei soggetti titolari di diritti, che ricomprende anche le conseguenze derivanti su tali posizioni da una vendita che si assuma antieconomica, sotto il profilo dell’inadeguatezza del prezzo di realizzo, da intendere in senso lato, comprendente, fra l’altro, il valore dei beni oggetto di cessione, le modalità di pagamento previste, le garanzie offerte e tutto ciò che attiene al ricavato dall’alienazione, atteso che tale aspetto ben può configurare quella lesione del menzionato articolo 65 che garantisce, attraverso le modalità previste dalla norma, le posizioni giuridiche fatte valere e riconosciute (in sede di accertamento al passivo) come diritti soggettivi, tra i quali rientrano i diritti di credito, peraltro assistiti, nella specie, da garanzie reali, di modo che la procedura possa svolgersi in maniera che tali posizioni non siano compromesse da violazioni di legge nel processo determinativo delle condizioni di vendita, di cui il legislatore ha colto tutta la sua rilevanza accordando tutela giudiziaria agli aventi diritto nel caso in cui non fossero rispettati i criteri dettati in proposito, potendo compromettere, una loro eventuale omissione o altera-
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zione, il soddisfacimento delle pretese tutelate, configuranti, come detto, veri e propri diritti soggettivi; in tale contesto non trova fondamento l’assunto per cui la compresenza di plurimi interessi, anche di natura pubblica, legittimerebbe la conclusione che gli atti degli organi della procedura possano far venir meno i diritti, fra cui quelli del ceto creditorio, degradandoli a interessi legittimi, dato che ciò comporterebbe, in concreto, una surrettizia disapplicazione dell’articolo 65, rendendolo di fatto inoperante, attraendo nell’ambito pubblicistico tutta l’attività connessa alle operazioni di realizzo del patrimonio delle imprese assoggettate ad amministrazione straordinaria; neppure possono costituire un valido supporto alla tesi sostenuta dalle reclamanti i precedenti giurisprudenziali citati: né il T.A.R. Lazio 13 dicembre 2006 n. 14251 che, in materia di legittimità della procedura di vendita di beni di impresa in amministrazione straordinaria, fa un semplice riferimento alla prevalente interpretazione giurisprudenziale circa il tradizionale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione giuridica fatta valere in giudizio; né il T.A.R. Lazio 2 novembre 2006 n. 11613 che, in definitiva, riconosce “che la controversia concernente l’autorizzazione ministeriale alla liquidazione del complesso aziendale rientra nella competenza giurisdizionale del giudice amministrativo, mentre ricade in quella del giudice ordinario la controversia relativa al subprocedimento di liquidazione del complesso aziendale instaurata dal creditore che, temendo le conseguenze di una vendita antieconomica, contesti l’adeguatezza del prezzo
e la legittimità delle previste modalità di pagamento, la regolarità delle garanzie, la scomposizione dell’oggetto con l’attribuzione agli immobili di un valore del tutto irrisorio; controversia quest’ultima intesa ad ottenere tutela piena di diritto soggettivo e, dunque, la posizione giuridica fatta valere al riguardo va parimenti qualificata come diritto soggettivo pieno”; né il T.A.R. Lombardia 16 giugno 2004 n. 2420 la cui decisione è stata riformata dal Consiglio di Stato (12 aprile 2005 n. 1674 alla quale ha aderito T.A.R. Lazio 2 luglio 2012 n. 6011) che ha affermato il principio per cui “se resta confermata la giurisdizione del Tribunale amministrativo regionale in ordine all’impugnazione dell’autorizzazione ministeriale, adottata in via autoritativa, alla vendita dei beni dell’impresa e di cui al primo motivo di merito del proposto ricorso, altrettanto non può dirsi per quanto concerne le restanti doglianze che, pur implicando censure relative alla legittimità dei provvedimenti dei commissari e del Ministero, riguardano specificamente il subprocedimento di liquidazione del complesso aziendale per il quale … spettava al creditore una tutela piena di diritto soggettivo … Di modo che la posizione giuridica fatta vedere al riguardo dalla banca ricorrente – contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale amministrativo regionale – andava qualificata come diritto soggettivo pieno, la cui tutela spettava alla giurisdizione del giudice ordinario”; anche T.A.R. Lazio 20 novembre 2012 n. 9549, pronunciata fra le stesse parti di cui al presente procedimento, ha concluso in termini sostanzialmente analoghi nell’affermare che una contraria interpretazione “significhe-
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rebbe svuotare di significato le norme sul riparto … e rendere di fatto inoperante l’articolo 65 d.lgs. 270/99”; del resto la Suprema Corte (cfr. Cass. Sez. un. 122 47/2009) è intervenuta, affermando i principi di diritto di cui si dirà, in una fattispecie, analoga a quella in esame, riguardante una controversia diretta a far dichiarare la nullità dell’atto di compravendita di un complesso aziendale alienato nell’ambito di una procedura di amministrazione straordinaria, proprio perché ritenuto lesivo del diritto soggettivo vantato da un istituto bancario creditore nei confronti dell’impresa insolvente; per quanto riguarda il difetto di legittimazione passiva eccepito dal Ministero dello Sviluppo Economico è sufficiente rilevare che, nella presente controversia, diretta a far dichiarare la nullità dell’atto di compravendita del complesso aziendale della S.p.A. Antonio Merloni in a.s. perché ritenuto lesivo di diritti soggettivi di credito, le parti direttamente coinvolte sono le banche ricorrenti, in quanto titolari di diritti di credito e di garanzia ipotecaria di cui si assume l’avvenuta lesione, la S.p.A. Antonio Merloni in amministrazione straordinaria, in qualità di venditrice, nonché le società che si sono rese acquirenti del complesso, a cui deve aggiungersi il Ministero dello Sviluppo Economico come soggetto che ha emanato gli atti di autorizzazione alla esecuzione del programma di vendita ed alla conclusione del contratto di cessione, dei quali il giudice, nell’ambito di un giudizio incidentale, è tenuto ad indagare gli effetti in relazione all’oggetto dedotto in giudizio (la lesione del diritto soggettivo delle banche e la invalidità dell’atto di compravendita, che si assume lesivo di tale diritto).
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Venendo all’esame dell’ulteriore motivo di impugnazione costituito dall’erronea interpretazione ed applicazione della disciplina riguardante la cessione di azienda in esercizio di imprese in amministrazione straordinaria, si contesta, in particolare, l’affermazione fatta dal Tribunale circa il carattere eccezionale dell’articolo 63 del decreto legislativo n. 270/1999, norma che, per contro, rappresenterebbe la disciplina generale in tema di cessione di aziende in esercizio, esprimendo nel modo più compiuto e più concreto i principi ispiratori di tutta la legislazione in materia di amministrazione straordinaria ai fini della salvaguardia del patrimonio produttivo, della continuità aziendale e della tutela dell’occupazione, espressione della prevalenza degli interessi pubblici su quelli privati; si sostiene, parimenti, l’erroneità della tesi secondo la quale il menzionato articolo 63 sarebbe norma di carattere imperativo con la conseguenza che qualunque deviazione dai criteri stabiliti da tale disposizione comporterebbe la nullità del successivo contratto di cessione: a tal proposito non vi sarebbe alcun argomento testuale e logico che autorizzi una siffatta interpretazione, l’unico obbligo sancito al riguardo essendo individuabile nella prescrizione di cui al secondo comma, ove si afferma che “l’acquirente deve obbligarsi a proseguire per almeno un biennio le attività imprenditoriali e a mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazionali stabiliti all’atto della vendita”; si assume, altresì, che la pronuncia resa dalle Sezioni unite della Suprema Corte (12247/2009), più volte richiamata dal Tribunale, che ne ha riportato anche larghi stralci di moti-
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vazione, sarebbe riferibile ad un caso profondamente diverso da quello in esame, pervenendo alla conclusione della nullità del contratto nel ritenere che oggetto della vendita non era, nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici di legittimità, un complesso aziendale in esercizio, per cui avrebbe dovuto trovare applicazione non l’articolo 63 cit. bensì l’articolo 62, ravvisando un’ipotesi di illiceità dell’oggetto poiché il travisamento della natura dei beni della cessione incide sulla scelta della disciplina applicabile al rapporto negoziale; in ogni caso l’interpretazione fornita dai primi giudici avrebbe trasformato, in pratica, i criteri stabiliti dall’articolo 63 in un meccanismo automatico portante alla individuazione di un prezzo di cessione assolutamente inderogabile, tesi inaccettabile in quanto negatrice di qualunque spazio alla discrezionalità amministrativa, con conseguente frustrazione delle finalità della legge ed insuccesso delle procedure, condannando al fallimento la maggior parte delle grandi imprese in crisi (di ciò si era reso consapevole lo stesso Tribunale allorché, nell’iter motivazionale del provvedimento impugnato, aveva ammesso, pur affermando l’inderogabilità dei criteri di legge, la presenza di “ribassi purché ragionevoli”); in realtà nell’articolo 63, terzo comma, cit. troverebbero spazio parametri diversi (l’affidabilità dell’offerente, il piano di prosecuzione, attraverso la riattivazione o riconversione, dell’attività imprenditoriale e la garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali) nell’ambito dei quali l’ammontare del prezzo è soltanto uno degli elementi di riferimento non avente, peraltro, carattere determinante né preclusivo, dovendosi considerare che l’interes-
se dei creditori è subordinato ad interessi superiori che informano tutta la legislazione sulla crisi delle grandi imprese, richiedendosi una ponderazione affidata alla discrezionalità amministrativa giustificata dall’obiettivo di politica del diritto che la legislazione vigente in materia si prefigge, vale a dire l’esigenza di consentire la conservazione dell’attività produttiva, il mantenimento e il rilancio della residua capacità industriale che l’azienda è in grado di esprimere; ritiene la Corte che anche tale motivo, nella sua articolazione complessiva, sia privo di fondamento dovendosi considerare, a tal proposito, che, nel menzionato arresto, le Sezioni unite della Cassazione hanno affermato un principio di carattere generale nell’evidenziare che il legislatore, attraverso gli articoli 62 e 63 del decreto legislativo n. 270/1999, ha inteso stabilire puntuali prescrizioni per la salvaguardia di una pluralità di interessi (dei creditori, dei lavoratori, alla conservazione del patrimonio produttivo salvaguardando la funzionalità operativa aziendale); tali vincoli costituiscono un limite al potere discrezionale del Commissario straordinario e del Ministero competente nell’espletamento della procedura diretta all’alienazione dei beni dell’impresa insolvente – precisandosi, in proposito, che “le norme che disciplinano le modalità di vendita e che danno rilievo agli interessi che devono essere salvaguardati sono norme di carattere inderogabile di fronte alle quali si arresta il potere discrezionale della P.A.” – la cui violazione comporta la nullità dell’attività negoziale conclusiva della procedura di vendita ai sensi dell’articolo 1418 c.c. e la illegittimità di tutta l’attività
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pregressa sostanziatasi in atti finalizzati alla realizzazione dell’alienazione (così Cass. Sez. un. cit. con riferimento al programma di cessione del complesso aziendale nonché alle autorizzazioni ministeriali alla esecuzione del programma stesso ed alla vendita di detto complesso); sotto tale profilo va considerato che il primo comma dell’articolo 63 cit. prevede espressamente che la valutazione dell’azienda in esercizio “tiene conto della redditività, anche se negativa, all’epoca della stima e nel biennio successivo”, con ciò imponendo un vincolo nella determinazione del valore da porre a base della futura scelta dell’acquirente, costituendo esso uno dei parametri di riferimento stabiliti dalla legge, posto che, a voler ritenere il contrario, si consentirebbe una valutazione che, senza tener conto della redditività o in base ad un diverso arco temporale, resterebbe affidata ad una discrezionalità degli organi della procedura pressoché assoluta; evidente, pertanto, appare la violazione di legge operata allorché l’esperto incaricato dai Commissari straordinari ha preso in considerazione nel proprio elaborato la redditività negativa per un quadriennio anziché per il biennio previsto dalla legge, e, dunque, attuando una parametrazione manifestamente incompatibile con il dettato normativo; in altri termini il criterio che il legislatore ha stabilito al fine di pervenire ad una corretta stima del complesso aziendale non può essere derogato facendo riferimento a differenti parametri valutativi. Trattandosi, quello in esame, di un elemento fondamentale dell’attività di cessione in sede procedurale che non può non essere rispettato proprio al fine di
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addivenire a quell’equo contemperamento dei vari interessi in gioco riconosciuti dalla legge come meritevoli di tutela nell’ambito della procedura in questione: la correttezza del metodo per addivenire alla individuazione del valore dei beni oggetto di cessione, dalla quale non si può prescindere al fine di valutare la congruità delle offerte di acquisto, costituisce garanzia di un procedimento di alienazione rispondente ai criteri di legge nel rispetto dei diritti coinvolti; nella specie i Commissari straordinari hanno utilizzato, nella loro valutazione determinativa in senso positivo della manifestazione di volontà di vendita, una perizia che non prevede il limite del biennio stabilito dal primo comma dell’articolo 63 cit. giungendo ad una evidente sopravvalutazione del c.d. badwill (redditività negativa), con conseguente deprezzamento dei beni oggetto di cessione: significativo appare, in proposito, il valore effettivo dei complessi aziendali stabilito dal c.t.u. nominato nel procedimento svoltosi davanti al Tribunale, che è pervenuto ad una stima quasi cinque volte superiore rispetto a quella di cui all’elaborato peritale posto a base della cessione oggetto di controversia, ove sono stati utilizzati risultati relativi ad esercizi riferiti ad un periodo temporale diverso da quello prescritto, con conseguente impossibilità di una puntuale valutazione, che si basa su dati forniti correttamente, da parte dei Commissari straordinari e dell’autorità di vigilanza circa l’offerta pervenuta; in siffatto contesto non sembra possa avere sostanziali riflessi la novella - in ordine alla quale le parti, in ossequio al principio del contraddittorio, hanno avuto modo di depositare
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memorie contenenti osservazioni, nel cui ambito può ritenersi rientrare il parere del prof. Onida fatto proprio dalla memoria depositata dalla difesa della S.p.A. Antonio Merloni in a.s. in data 31 marzo 2014, e di svolgere repliche in sede di discussione – rappresentata dall’articolo 11, comma 3 quinquies della legge 21 febbraio 2014 n. 9, di conversione del decreto legge 23 dicembre 2013 n. 145, nella parte in cui inserisce nell’articolo 63 del decreto legislativo n. 270/1999 un comma 2 bis, secondo cui “l’articolo 63 del decreto legislativo 8 luglio 1999 n. 270 si interpreta nel senso che, fermi restando gli obblighi di cui al comma 2 e di valutazione discrezionale di cui al comma 3, il valore determinato ai sensi del comma 1 non costituisce un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita”; nel caso in esame ciò che rileva ai fini della decisione non é il fatto che il valore determinato ai sensi del primo comma dell’articolo 63 non costituisca un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita, quanto piuttosto, come si è appena visto, l’inadeguatezza della perizia svolta nell’ambito della procedura de qua che non ha osservato i criteri stabiliti dalla menzionata norma pervenendo ad una stima del valore dei cespiti notevolmente inferiore a quello stabilito mediante c.t.u. sulla base dei parametri legislativi; invero la possibilità di discostarsi dal prezzo di vendita concerne la fase della cessione che presuppone una valutazione del compendio redatta secondo legge e non legittima un prezzo base errato in quanto non conforme alle disposizioni della vigente normativa, rappresentando il valore cosi assunto un dato imprescindibile;
d’altronde il nuovo dettato secondo cui il valore come determinato ai sensi di legge non costituisce un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita, non supporta minimamente l’affermazione per cui tale limite rappresenta un parametro che possa essere pretermesso o del quale, comunque, si possa fare a meno ai fini di una consapevole ponderazione degli interessi in gioco di cui la stima, come visto, costituisce uno degli indefettibili elementi di riscontro; per completezza motivazionale va anche sottolineato come il fatto che il valore di stima non costituisca un limite inderogabile vale a configurare, pur sempre, come regola la corrispondenza tra stima e prezzo di vendita, per cui la possibilità di discostarsi dalla prima si configura come un’eccezione del sistema che deve trovare rispondenza nell’indicazione di un prezzo la cui formazione deve avvenire in piena sintonia con i criteri normativamente stabiliti, in maniera tale da consentire ai Commissari straordinari di valutare compiutamente il da farsi sulla base di una puntuale informazione degli elementi costitutivi dei parametri da porre a fondamento della foro decisione; la conclusione cui si è pervenuti consente di ritenere irrilevante ai fini della presente decisione la prospettata questione di legittimità costituzionale della anzidetta normativa per contrasto con gli articoli 3, 97, 42, 117, primo comma, e 77, secondo comma, della Costituzione, peraltro subordinata alla ritenuta applicabilità alla fattispecie della previsione normativa in questione che, per le ragioni anzidette, deve escludersi; le svolte argomentazioni consentono, altresì, di reputare manifestamen-
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te infondata l’ulteriore questione di legittimità costituzionale dell’articolo 63 cit. per contrasto con gli articoli 1, 2, 3 e 41 della Costituzione in quanto tale norma imporrebbe la fissazione di un prezzo che non potrebbe divergere dal risultato della stima condotta in conformità ai criteri stabiliti da detta disposizione rappresentando una compressione non giustificata dell’autonomia privata, atteso che, nel caso in esame, non si tratta di imposizione di un determinato valore di cessione, bensì di una corretta formazione di uno degli elementi da valutare onde pervenire ad una puntuale considerazione di tutti gli interessi di cui va tenuto conto nell’esercizio del potere discrezionale sia dei Commissari straordinari sia del Ministero nell’espletamento delle attività richieste nell’ambito dell’alienazione dei beni dell’impresa insolvente; sotto altro aspetto si deduce l’erroneità dell’affermazione contenuta nel decreto impugnato per cui la violazione del diritto soggettivo delle banche consisterebbe nella lesione del loro interesse a che “la vendita avvenga nella forma più vantaggiosa”, posto che la procedura di cessione dei complessi aziendali attuata dai Commissari straordinari e sfociata nel contratto di vendita del 27 gennaio 2011 non ha, secondo l’assunto, in alcun modo leso l’interesse dei creditori al miglior realizzo né in astratto né in concreto: sotto il primo profilo la maggiore vantaggiosità non si può giudicare esclusivamente in base alla misura della soddisfazione del diritto dei creditori laddove la legge prende in considerazione, oltre alla tutela di questi ultimi, una serie di altri interessi concomitanti e prevalenti, vale
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a dire la salvaguardia del patrimonio produttivo, la prosecuzione dell’impresa, il mantenimento dell’occupazione, la cui valutazione, attraverso un’attività comparativa, viene affidata alla discrezionalità amministrativa; dal punto di vista concreto l’asserita errata procedura di determinazione del valore dei beni non ha influito sulla competitività della gara, sulla selezione dei potenziali acquirenti, sulla formazione del prezzo, sul valore di realizzo: la scelta dell’acquirente e le condizioni della cessione, nella fattispecie, sono state il frutto di una procedura assolutamente regolare sia dal punto di vista formale sia da quello sostanziale, nella formulazione di un programma ad oggetto aperto, nella previsione di una cessione singola o congiunta ed anche non contestuale degli assets costituenti il complesso aziendale in questione, attraverso una adeguata pubblicità su quotidiani a diffusione nazionale e internazionale al cui esito non favorevole hanno fatto seguito quattro manifestazioni di interesse per il gruppo Merloni giunte tardivamente, a seguito delle quali, previe le debite autorizzazioni, si è fatto luogo ad una nuova procedura di vendita con ulteriore pubblicità pervenendo, infine, a rendere al Ministero dello Sviluppo Economico e al Comitato di sorveglianza un’articolata informativa sulle offerte ricevute, riferendo dettagliatamente in ordine alla preferenza da accordare all’offerta formulata dalla S.p.A QS Group, indicando in maniera analitica e documentata le condizioni iniziali, le condizioni migliorative e le ulteriori condizioni ottenute successivamente alla ricezione dell’offerta, tenendo conto degli aspetti industriali del piano, di quel-
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li economico-finanziari anche sulla scorta delle perizie redatte dall’esperto nominato ai sensi dell’articolo 61 del decreto legislativo 270/1999; dunque la scelta dell’acquirente e le condizioni della cessione sono state il frutto di una selezione competitiva aperta e trasparente, ampiamente ed adeguatamente pubblicizzata al cui esito l’offerta presentata dalla S.p.A. QS Group è risultata l’unica suscettibile di favorevole considerazione, di modo che l’obiettivo del “miglior realizzo”, contemperato con le preminenti esigenze di mantenimento dei livelli occupazionali e di salvaguardia della continuità imprenditoriale, è risultato pienamente soddisfatto grazie anche al miglioramento delle condizioni contrattuali (trasfuse sia nel contratto preliminare, sia nel contratto del 27 dicembre 2011) ottenute a seguito di ulteriori trattative grazie all’impegno dei Commissari straordinari; al fine di pervenire ad una corretta decisione al riguardo è opportuno partire dal principio affermato da Cass. Sez. un. 12247/2009 per cui “innanzitutto va evidenziato che nelle procedure concorsuali, aventi quale finalità la liquidazione del patrimonio del debitore ed il soddisfacimento dei creditori sul ricavato, rilevano due fondamentali interessi dei creditori, che sono propri di ciascun creditore anche singolarmente considerato: 1) l’interesse a che dalla vendita dei beni del debitore insolvente venga ricavato un prezzo quanto più possibile vicino a quello di mercato; 2) l’interesse a che l’attivo ricavato venga ripartito nel rispetto del principio della par condicio creditorum. Il primo interesse attiene alla fase liquidatoria ed il secondo alla fase di ripartizione dell’attivo;
in particolare il primo interesse fonda la pretesa di ogni singolo creditore a che la vendita avvenga nella forma più vantaggiosa e, quindi, nel rispetto di tutta la normativa diretta a garantire tale fondamentale interesse”. Detti interessi vengono in considerazione anche nella amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, che è anch’essa una procedura concorsuale (il d.lgs. n. 270 del 1999, art. l, recita: “l’amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente”), e soprattutto nella ipotesi in cui la finalità del riequilibrio economico delle attività imprenditoriali venga perseguita tramite la procedura di predisposizione ed attuazione di un programma di cessione di beni aziendali … L’alienazione dei beni da parte del commissario straordinario deve essere effettuata come previsto dal succitato articolo 62, non solo in conformità delle previsioni del programma e con forme adeguate alla natura dei beni, ma anche con forme finalizzate al miglior realizzo e, se si tratta, come nel caso di specie, di vendita di un complesso aziendale, previo espletamento di idonee forme di pubblicità. Il valore dei beni deve essere preventivamente determinato da un esperto al fine di stabilire qual è il prezzo che deve essere richiesto e portato a conoscenza dei potenziali acquirenti che intendono partecipare alla gara per l’acquisto del bene”; in definitiva il menzionato articolo 62 tutela espressamente l’interesse dei creditori al maggior realizzo essendo elemento imprescindibile, giova ribadirlo, anche se non inderogabile, la valutazione dell’esperto nominato dai Commissari onde verificare la congruità delle offerte ricevute o
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da ricevere: tale valutazione, in considerazione della rilevanza dei beni oggetto di cessione, è stata oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore che ha imposto precise indicazioni in ordine agli elementi che debbono costituire il parametro di riferimento per l’ausiliare, l’importanza delle cui indicazioni non è sfuggita ai Commissari straordinari che, al fine di pervenire alla richiesta di autorizzazione all’aggiudicazione del complesso aziendale de quo, hanno preso a base la relazione svolta dal tecnico da loro incaricato che ha stimato il valore del complesso in € 12.257.940, a fronte del quale, tenuto conto che lo scostamento del prezzo offerto rispetto ai valori di perizia era limitato a meno del 20%, sono pervenuti ad una valutazione positiva in ordine a detta aggiudicazione, con ciò rendendo palese che il vizio della stima, di cui si è detto sopra, ha influenzato in maniera determinante siffatta valutazione rendendola, almeno in parte, inficiata in quanto formulata sulla base di una non corretta determinazione del prezzo di cessione che costituisce uno dei parametri fondanti una puntuale comparazione degli interessi che, come visto, vengono in considerazione in sede di dismissione dell’attività aziendali nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi impresi in crisi; d’altronde sostenere che la cessione sarebbe, comunque, avvenuta secondo le modalità più vantaggiose per i creditori e che l’errata stima del valore dell’azienda non avrebbe, in sostanza, avuto rilevanza di sorta in carenza di offerte migliori di quella ritenuta congrua, significherebbe svalutare completamente il riferimento,
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pur considerato dal legislatore (ex articolo 62, ultimo comma, del decreto legislativo n. 270/1999), costituito da detto valore così come risultante dalla relazione dell’esperto nominato a tal fine e, in definitiva, legittimare la cessione sulla base di offerte completamente disancorate da detto valore con evidente violazione di puntuali disposizioni di legge; la stessa giurisprudenza di legittimità sopra citata (Cass. Sez. un. 12247/2009), da cui questa Corte non ritiene di doversi discostare in assoluto difetto di ragioni che costituiscano valido supporto alla contraria tesi, ha affermato il principio per cui la violazione delle disposizioni in parola non consentendo di realizzare l’assetto degli interessi in gioco voluto dal legislatore e determinando la lesione di diritti superiori frustando le finalità della procedura di amministrazione straordinaria non può non ritenersi sanzionata, traducendosi nella violazione di norme imperative, se non con la sanzione di nullità: “dette disposizioni, essendo poste a tutela di interessi generali, dell’economia e di categorie di persone, che vengono in considerazione, intrecciandosi tra loro, in una medesima vicenda, non ammettono una difforme regolamentazione e, pertanto, costituiscono sicuramente un limite inderogabile al potere discrezionale sia del Commissario straordinario che del Ministero dell’industria nello espletamento delle attività richieste per pervenire all’alienazione dei beni dell’imprenditore insolvente. Si può, pertanto, fondatamente ritenere che tali disposizioni, in quanto inderogabili per i su esposti motivi, hanno il carattere di norme imperative, alla cui violazione deve essere ricollegata la nullità dell’attività
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negoziale conclusiva della procedura di vendita (nel caso di specie il finale contratto di compravendita del complesso aziendale), ai sensi dell’art. 1418 c.c e la illegittimità degli atti prodromici (programma di cessione del complesso aziendale e autorizzazioni ministeriali alla esecuzione del programma ed alla vendita di detto complesso)”; in siffatto ambito l’inserimento nell’articolo 63 del decreto legislativo 270/1999 del comma 2 bis nell’affermare che la determinazione del valore operata dall’esperto nominato non costituisce un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita, ribadisce, peraltro, che tale valore deve essere determinato ai sensi del comma primo della medesima disposizione la cui portata vincolante ai fini del modus procedendi per l’individuazione del valore medesimo resta sostanzialmente confermato: viene ribadito che la stima deve seguire i criteri indicati dalla legge pur potendo gli organi della procedura discostarsi dal prezzo di cessione cosi stabilito che non costituisce un dato invalicabile; trattasi di due aspetti che concernono due diverse fasi svolgentisi in ambito procedurale, la prima riguarda la verifica della quantificazione sotto l’aspetto monetario del complesso oggetto di cessione, mentre la seconda attiene al momento della alienazione di cui il valore di stima dei beni costituisce una delle componenti (della quale il legislatore ha voluto affermare la non vincolatività) da prendere in considerazione ai fini di una corretta formazione del procedimento affinché gli organi della procedura possano avere un’esatta cognizione della realtà fattuale di riferimento onde pervenire
ad una determinazione coerente in merito; del resto il procedimento di liquidazione dei beni si inserisce in un contesto di tutela dei diritti soggettivi vantati dai creditori e in relazione ad esso la legge impone l’adozione di una determinata procedura di cessione che deve avvenire in relazione alla condizione dei beni di cui viene imposta la stima nel rispetto dei criteri e dei limiti espressamente indicati, dovendosi aver riguardo alla circostanza che, quelli inerenti alle imprese assoggettate alla procedura di amministrazione straordinaria sono, in genere, complessi immobiliari di grandi dimensioni la cui acquisizione, ove si intenda venderli unitariamente, interessa un ambito assai limitato di acquirenti, per cui appare essenziale una valutazione strettamente aderente a quanto il legislatore ha inteso imporre in proposito, non ritenendo sufficiente quella competizione che la presenza di numerosi concorrenti potenziali, in genere, determina il miglior realizzo in sede di liquidazione concorsuale dell’attivo patrimoniale o di asta pubblica; né a tale conclusione è utilmente opponibile, a sostegno della irrilevanza della violazione dei criteri di stima fissati dall’articolo 63 del decreto legislativo 270/1999, quanto stabilito dall’articolo 105 L.F., così come novellato dal decreto legislativo 5/2006, il quale prescrive che nell’ambito della procedura fallimentare “la liquidazione dei singoli beni è disposta quando risulta prevedibile che la vendita dell’intero complesso aziendale, dei suoi rami, di beni o rapporti giuridici individuali in blocco non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori”, sia perché l’articolo 63 cit. è norma speciale la cui
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applicazione prevale sulla normativa di carattere generale (la cui diversità, anche di “ratio”, è desumibile da quanto già esposto), sia perché i Commissari straordinari nella richiesta di autorizzazione all’aggiudicazione del complesso aziendale hanno riferito che se da una parte “altre manifestazioni di interesse, mai seguite da proposte vincolanti, pervenute in questi anni alla procedura testimoniano un sostanziale disinteresse del mercato all’acquisizione del complesso aziendale”, dall’altra “… la dismissione in linea di discontinuità di singoli asset pur consentendo il conseguimento di un prezzo (complessivamente) superiore rispetto a quello offerto da QS group S.p.A., non consentirebbe un recupero dell’impresa al tessuto produttivo …” così prospettando, in sostanza, una minore soddisfazione dei creditori in caso di vendita in blocco; del resto la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi non deve necessariamente concludersi con la cessione dell’azienda a qualsiasi prezzo, indipendentemente dalla stima stabilita in conformità agli articoli 62 e 63 del decreto legislativo n. 270/1999, che costituisce un’effettiva tutela dell’interesse fondamentale al miglior realizzo dell’attivo patrimoniale aziendale, considerato che ove risulti impossibile vendere i beni ad un valore congruo non potrà che prendersi atto della situazione venutasi in tal modo a creare con impossibilità di procedere nel programma di cessione e conseguente conversione della procedura in fallimento ai sensi dell’articolo 70 del citato decreto legislativo; a sostegno dei reclami viene, altresì, reiterata l’eccezione tendente a
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dimostrare, sotto altro profilo, che le condizioni della cessione del complesso aziendale della S.p.A. Antonio Merloni non hanno leso in modo alcuno gli interessi e i diritti dei creditori: si sostiene che la valutazione economica redatta dall’esperto nominato in sede procedurale non ha minimamente influito sulla formazione del prezzo offerto dal mercato e, in particolare, del prezzo proposto dalla S.p.A. QS Group non avendo, a seguito della pubblicazione effettuata dai Commissari straordinari di un disciplinare della procedura di vendita, nessun altro concorrente formulato domanda di acquisto ad un prezzo superiore; d’altronde l’impegno di mantenere i livelli occupazionali per un quadriennio era più favorevole rispetto a quello minimo previsto di un biennio: trattasi di miglioramento delle condizioni contrattuali nell’interesse della continuità produttiva e della occupazione senza comportare alcuna riduzione del ricavato di vendita non essendosi verificato alcuno “sconto” in proposito a discapito dei creditori; si osserva al riguardo che, nella richiesta di autorizzazione all’aggiudicazione del complesso aziendale datata 29 settembre 2011, una delle ragioni poste a base della richiesta medesima, oltre ai prospettati livelli occupazionali in rapporto alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale e alle garanzie offerte in caso di inadempimento degli impegni assunti, era costituita dal fatto che l’offerta pervenuta da parte della S.p.A. QS Group è stata ritenuta congrua in quanto la stessa poteva giustificarsi in considerazione dello scostamento, ritenuto “modesto” e dunque accettabile, di circa il 20%, dalla sommatoria dei valori indicati in
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perizia relative all’azienda, ai marchi e alle partecipazioni detenute; a fronte di una ben diversa valutazione largamente superiore fatta dal nominato c.t.u. (pari ad oltre € 54.300.000) appare evidente come sia venuta meno o, comunque, sia stata profondamente alterata una delle componenti che il legislatore ha indicato doversi valutare ai fini della cessione essendo stata basata la richiesta su un valore di riferimento completamente diverso da quello risultato corretto; in tale contesto ovvia appare la considerazione per cui, se si dovesse prescindere da una congrua valutazione dei beni ben si potrebbe omettere l’espletamento di complesse ed onerose valutazioni di stima, le quali diverrebbero inutili ove si partisse dal presupposto che, comunque, il tutto è rimesso alla migliore offerta, anche minima, proveniente dal mercato del cui ristretto ambito, peraltro, nel caso in esame, si è detto; si contesta, ancora, la valutazione così come operata dal consulente tecnico d’ufficio che, “ignorando la realtà e seguendo… ipotesi teoriche” è pervenuto ad una stima “dimenticando che, nonostante tre procedure di vendita largamente pubblicizzate”… non era mai stata ricevuta “alcun offerta che si avvicinasse. sia pure lontanamente, al valore stimato dal c.t.u.”; in ogni caso il Tribunale si è supinamente adagiato alle conclusioni di quest’ultimo senza fornire risposta e senza neppure prendere in esame le critiche formulate dai consulenti di parte; manifestamente erronea si presenta, altresì, la valutazione dei complessi immobiliari essendo stata adottata una metodologia valutativa incoerente con la disciplina dell’amministrazione straordinaria, senza preoc-
cuparsi del valore di mercato dei cespiti sulla base di parametri coerenti con la finalità dell’indagine, essendo totalmente irrilevante il costo di costruzione o ricostruzione degli immobili, atteso che siffatto approccio valutativo, da considerarsi inidoneo, ha trascurato completamente ogni considerazione sulla funzionalità e sulle caratteristiche specifiche dei cespiti e ogni contesto di mercato, notoriamente depresso e radicalmente cambiato negli ultimi anni, tanto più in presenza di immobili di dimensioni notevoli con un mercato funzionale alla specifica attività produttiva svolta dal gruppo Merloni; si deduce, in ogni caso, l’erroneità della valutazione compiuta dall’ausiliare d’ufficio che, in ogni caso, sarebbe stato necessario avesse riguardato un orizzonte temporale quadriennale, in linea con quanto riportato dall’esperto nominato dai Commissari straordinari nel proprio elaborato, arco temporale di riferimento che risulterebbe più corretto stante i complessi interventi di ristrutturazione e rilancio dell’azienda e la garanzia dell’aggiudicatario di proseguire l’attività imprenditoriale unitamente al mantenimento dei livelli occupazionali per lo stesso periodo; inoltre, per quel che attiene alla stima del costo del capitale, si critica la scelta del tasso di attualizzazione senza considerare minimamente il contesto di crisi in cui si trovava la società debitrice, pervenendo alla determinazione di un tasso ben diverso da quello adottato dal c.t.u. da reputare “del tutto inaccettabile e decontestualizzato con riferimento ad un’impresa in amministrazione straordinaria”, tra l’altro riconoscendo validità a determinati parametri e pervenendo, tuttavia, all’applicazione di un tasso di gran lun-
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ga inferiore considerando una depurazione della componente inflattiva indimostrata rispetto ai dati di riferimento, senza considerare il rischio specifico di impresa stimato in misura “irrazionale” nonché riportando dati “che risultano assolutamente non verificabili”; quanto al processo di determinazione dei redditi prospettici si denunciano come “distorsive della realtà e dei risultati che verosimilmente l’azienda ceduta era in grado di produrre, le previsioni del c.t.u. in ordine al fatturato prospettico per l’esercizio n+2” con particolare riferimento all’ipotesi relativa al raggiungimento di un livello di ricavi pari a 52 milioni, con un incremento, pertanto, del 16% rispetto all’esercizio precedente essendo inverosimile un siffatto incremento in un periodo in cui le condizioni generali del sistema economico sono peggiorate; del resto i dati consuntivi indicati dallo stesso ausiliare mostrano come il trend del fatturato sia chiaramente negativo ed in forte calo in evidente contrasto con le proiezioni elaborate dallo stesso c.t.u., il quale evidenzia tassi di crescita del fatturato di alcune aziende che afferma essere competitrici della S.p.A. Antonio Merloni che, tuttavia, oltre a non essere quantitativamente comparabili con l’incremento del 16%, non tiene conto che le predette aziende operano in ambito internazionale con sedi in tutto il mondo e, pertanto, non paragonabili a quella in amministrazione straordinaria da ritenere “prevalentemente domestica”; inoltre appare incoerente l’elaborato oggetto di esame laddove, da un lato, sostiene che il badwill debba essere calcolato solo su un biennio come prescritto dalla normativa vigente e, dunque, con valutazione ex ante e, dall’altro, basa le proprie valutazioni
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sulla sola quota di personale che l’offerente si è impegnato a prendere in carico adottando, pertanto, un approccio ex post; va premesso, in linea generale, per quel che concerne l’affermazione secondo cui il Tribunale si è del tutto conformato alla relazione del c.t.u. senza neppure prendere in esame le considerazioni svolte dai c.t. di parte, che la consulenza tecnica d’ufficio ha la finalità di aiutare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, tanto che, come tale, è mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti per essere affidato al prudente apprezzamento del giudice del merito; ciò posto, è orientamento della giurisprudenza di legittimità più che consolidato quello secondo cui, qualora sia stata disposta una c.t.u. e il giudice ne condivida i risultati, questi non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento, atteso che la decisione di aderire alle risultanze della consulenza implica valutazione ed esame delle contrarie deduzioni delle parti, mentre l’accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce motivazione adeguata (cfr. per l’affermazione del principio Cass. 10202/2008: Cass. 3881/2006); in siffatto ambito la consulenza tecnica d’ufficio può costituire fonte oggettiva di prova quando si risolva in uno strumento non solo di valutazione tecnica ma anche di accertamento di situazioni di fatto rilevabili soltanto mediante il ricorso a determinate cognizioni tecniche; in altri termini l’autorità giudiziaria può affidare al consulente tecnico anche l’incarico di accertare i fatti dedotti in controversia e
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le relative risultanze consentono al giudice, ove egli ritenga di condividerle, di non esporre in modo specifico ed articolato le ragioni che lo abbiano indotto a far propri gli argomenti esposti nella perizia essendo sufficiente che la motivazione adottata, attraverso opportuni richiami all’elaborato, lasci desumere che le contrarie deduzioni delle parti sono state ritualmente disattese dato che, in tal caso, l’obbligo della motivazione è assolto con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso; si osserva ulteriormente, in proposito, che la consulenza di parte, ancorché confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio, con la conseguenza che il giudice, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con esso incompatibili e conformi al parere del proprio consulente (v. Cass. 2063/2010; Cass. 5687/2001; Cass. 5151/1998); svolte tali considerazioni, va rilevato, comunque, che le prospettate eccezioni di illogicità e contraddittorietà di cui risulterebbe affetto l’elaborato peritale de quo non appaiono fondate: quanto alla scelta del metodo individuato nel cosiddetto “costo di costruzione”, lo stesso è stato giustificato dalla mancanza di significativi raffronti con compravendite di immobili analoghi nelle zone interessate, in considerazione della particolare rilevanza dei beni costituenti il complesso aziendale della S.p.A. Antonio Merloni, per cui un risultato basato su una parametrazione di tal genere si sarebbe rivelato fuorviante perché
non rispondente a riscontri obiettivi; in ogni caso quanto sostenuto in sede di reclamo è stato oggetto di puntuali controdeduzioni nel supplemento di relazione svolto dal coadiutore del nominato consulente tecnico d’ufficio, allegato alla relazione di stima; quanto alla determinazione dei tassi da applicare, il medesimo c.t.u. ha precisato tutte le regioni che lo hanno indotto alla individuazione del tasso adottato ai fini della determinazione del valore nell’ambito dell’incarico demandatogli, avendo avuto modo di rilevare che il tasso rappresenta soltanto una delle componenti da considerare in un complesso processo valutativo al cui interno la contestazione di un singolo parametro non è in grado, di per sé, di compromettere l’intera analisi essendo la scelta, appunto, determinata da una pluralità di dati da cui non può essere estrapolato un elemento come a sé stante, occorrendo analizzare l’intero processo e la coerenza dell’operazione valutativa sotto tutti i profili coinvolti; circa il contesto di crisi in cui si è trovata la società insolvente, di esso il c.t.u. ha dimostrato di essersi fatto carico anche in sede di determinazione della redditività negativa prospettica, avendo modo di evidenziare che “tanto in dottrina quanto nella prassi professionale … risulterebbe errato riflettere le previsioni di perdite sia nella redditività attesa, sia nel calcolo del costo del capitale perché così facendo si finirebbe per ampliare oltremodo ed ingiustificatamente il badwill, duplicando parte degli effetti”; a ciò aggiungasi che del tutto indimostrato è l’impatto che comporterebbe la sostituzione del tasso da applicare nell’ambito della valutazione del
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complesso aziendale in argomento dovendosi considerare l’entità del fattore correttivo; in ordine al prospettato incremento del 16% del livello dei ricavi con riferimento al secondo anno oggetto di stima non può reputarsi inattendibile il riferimento fatto dal c.t.u., a soli fini di riscontro, ai tassi di crescita del fatturato di altri grandi complessi industriali i cui prodotti interessano il medesimo segmento di mercato essendo, comunque, gli stessi indicativi dell’andamento congiunturale da rapportare a quello della società interessata; in definitiva deve ribadirsi il principio per cui la discrezionalità degli organi della procedura non poteva essere esercitata legittimamente e coerentemente sulla base di una stima condotta in violazione dei criteri stabili dalla legge, con specifico riferimento alla previsione del maggior periodo di computo del correttore relativo alla redditività negativa commisurato ad un quadriennio anziché al previsto biennio: si è già detto, in proposito, che la discrezionalità dei Commissari straordinari non può giustificare l’ampliamento del valore del badwill con riferimento ad un periodo temporale
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superiore a quello di legge e potenzialmente indefinito, ciò comportando un elemento di arbitrarietà evidente, incidendo sulla valutazione dei cespiti e, dunque, in via direttamente proporzionale sulla congruità del corrispettivo da versarsi da parte dell’offerente, con conseguente compromissione dell’esigenza primaria di contemperamento di tutti gli interessi coinvolti che possono essere correttamente valutati soltanto allorché gli stessi siano individuati in conformità alle prescrizioni di legge; in altri termini gli organi preposti alla procedura ben possono addivenire alla vendita di beni aziendali anche ad un prezzo inferiore a quello determinato in sede peritale, come lo stesso legislatore ha indicato introducendo l’articolo 2 bis del decreto legislativo 270/1999, tuttavia l’esame deve avvenire sulla base del “valore determinato ai sensi del comma 1” fornendo adeguata motivazione con riferimento a tale indice in caso di discostamento, la cui mancata considerazione ben potrebbe condurre anche ad una diversa determinazione; le esposte considerazioni consentono di ritenere assorbito il reclamo incidentale proposto (Omissis).
Patrizia Santangelo
(1-5) La vendita di aziende “in esercizio” nell’amministrazione straordinaria, tra tutela dei creditori e salvaguardia dei complessi produttivi. 1. La controversia decisa con i provvedimenti qui pubblicati scaturisce da una vendita di un’azienda “in esercizio” nell’ambito dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, impugnata da un gruppo di banche creditrici (vantanti ipoteche su alcuni dei beni rientranti nell’oggetto del contratto traslativo), in quanto ritenuta effettuata in violazione degli artt. 55, 62 e 63 d.lgs. 270/1999. Il prezzo di vendita del complesso aziendale, calcolato applicando l’avviamento negativo riferito ai quattro esercizi successivi a quello di vendita, sarebbe risultato, invero, notevolmente inferiore a quello di mercato, così privando, di fatto, i creditori ipotecari della garanzia patrimoniale assicurata dal valore dei cespiti sui quali insistevano le cause legittime di prelazione. Al giudice adito, ex art. 65 d.lgs. n. 270/1999, le ricorrenti (alle quali si sono aggiunti, con intervento adesivo, un’organizzazione sindacale e taluni lavoratori in proprio) hanno dunque chiesto che venisse dichiarata la nullità – per contrarietà a norme imperative (art. 1418, co. 1 c.c.), appunto –, ovvero l’annullabilità e comunque l’inefficacia, nei loro confronti, delle operazioni di cessione del complesso aziendale, previa disapplicazione, ex art. 5 l. n. 2248/1865, all. E, delle autorizzazioni amministrative alla vendita rilasciate, su richiesta dei commissari straordinari, dal Ministero dello Sviluppo Economico. Le doglianze concernevano, più in particolare, il fatto che, secondo le ricorrenti, oggetto del contratto di vendita sarebbe stata un’azienda non in esercizio, di talché ad essa si sarebbe dovuto applicare la disciplina recata dall’art. 62 – nel quale non v’è alcun riferimento alla redditività negativa –, non già quella del successivo art. 63; ed in ogni caso, anche volendo considerare in funzionamento il complesso dei beni ceduti, la vendita si sarebbe comunque dovuta ritenere illegittima, atteso che l’art. 63, co. 1 espressamente limita al biennio successivo a quello della stima il periodo da prendere in considerazione per l’inserimento, nel prezzo di cessione, del c.d. badwill. Le censure hanno inoltre riguardato l’estensione dell’oggetto della cessione, che secondo le creditrici era esorbitante rispetto alle eventuali esigenze legate alla continuità aziendale. Di contro, la società in amministrazione straordinaria, il Ministero dello Sviluppo Economico e la cessionaria dei complessi aziendali (nonché alcune organizzazioni sindacali ed altri lavoratori in proprio che hanno
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spiegato intervento adesivo) hanno resistito adducendo, preliminarmente, il difetto (di legittimazione e di interesse ad agire delle banche ricorrenti e) di giurisdizione del giudice adito; e, nel merito, la legittimità e la correttezza delle operazioni di vendita compiute dagli organi della procedura, con riferimento sia all’individuazione del cessionario sia alla determinazione del prezzo di cessione, la redditività negativa essendo stata calcolata in ragione del periodo garantito di mantenimento del livello occupazionale. 2. A. a) La prima questione affrontata dal tribunale di Ancona concerne il lamentato difetto di giurisdizione del giudice ordinario. La società in amministrazione straordinaria ha sostenuto che, nella specie, le banche ricorrenti non avrebbero posto a base dell’impugnazione il loro diritto di credito – essendo le stesse già ammesse al passivo, come creditori ipotecari, della procedura – quanto, piuttosto, la lesione di un interesse generale al corretto svolgimento delle operazioni di cessione dei complessi aziendali, al fine di addivenire al miglior realizzo della massa attiva; doglianza che, non essendo legata in via immediata al diritto di credito, qualificherebbe la posizione delle ricorrenti quali titolari di un interesse legittimo, la cui tutela è rimessa alla giurisdizione del giudice amministrativo. Sul punto, il tribunale marchigiano, richiamando – tra le altre – la sentenza delle sezioni unite della Cassazione n. 12247/2009 (precedente che, come si vedrà più avanti, ha pesato non poco nella decisione, nel merito, della controversia de qua), qualifica invece, e senza alcun margine di dubbio, la posizione delle ricorrenti come di diritto soggettivo, sostanziandosi nel diritto a vedere conservata la garanzia patrimoniale del proprio debitore, affermando che “è interesse di ogni creditore a che il patrimonio del debitore conservi il suo valore; che dalla vendita dei beni del debitore insolvente venga ricavato un prezzo quanto più possibile vicino a quello di mercato; che la vendita avvenga nelle forme più vantaggiose, quindi nel rispetto di tutta la normativa diretta a garantire tale fondamentale interesse”. D’altra parte, proseguono i giudici, l’art. 65 d.lgs. n. 270/1999 – rubricato “Impugnazione degli atti di liquidazione” –, espressamente stabilendo che “Contro gli atti e i provvedimenti lesivi di diritti soggettivi, relativi alla liquidazione dei beni di imprese in amministrazione straordinaria, è ammesso ricorso al tribunale in confronto del commissario straordinario e degli altri eventuali interessati” (co. 1), non fa altro che riconoscere in capo ai creditori che si ritengano lesi dalle operazioni di vendita il diritto di reagire dinanzi al giudice ordinario, proprio al fine di eliminare gli effetti degli atti illegittimamente posti
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in essere dagli organi della procedura che hanno ricadute (negative) sulle loro prospettive di soddisfacimento. Discorso diverso, sempre secondo il tribunale, deve invece essere condotto per quel che attiene all’impugnazione del provvedimento di autorizzazione alla vendita del Ministero, rispetto al quale il creditore vanta una mera posizione di interesse legittimo, il rilascio dell’autorizzazione coinvolgendo le valutazioni discrezionali della pubblica amministrazione. Peraltro, conclude sul punto il tribunale, pur non potendo il giudice ordinario dichiarare l’illegittimità dell’atto amministrativo di autorizzazione alla vendita, ben potrebbe disapplicarlo – senza, dunque, la necessità della preventiva impugnazione dello stesso dinanzi al giudice amministrativo –, qualora sia accertata la violazione delle disposizioni che governano la cessione dei cespiti aziendali (ed il conseguente vulnus ai diritti soggettivi dei creditori) 1. b) Nel merito, poi, diverse sono le questioni risolte dal tribunale. b1. Il primo punto affrontato è stato quello della disciplina applicabile alle operazioni di vendita. Su di un piano astratto, i giudici ritengono che l’art. 62 d.lgs. n. 270/1999 – rubricato “Alienazione dei beni” – rappresenti la disposizione a carattere generale nella disciplina relativa alla vendita di azienda nell’ambito dell’amministrazione straordinaria, come dimostrerebbe l’espresso riferimento a tale fattispecie traslativa contenuto al co. 2. La disposizione generale, sempre secondo i giudici, deve essere poi integrata con il contenuto precettivo del successivo art. 63 (da considerarsi, quindi, norma speciale), qualora l’azienda oggetto del contratto sia “in esercizio”: in questa ipotesi, invero, verrebbe consentito, attraverso la previsione dello “sconto” sul prezzo di cessione rappresentato dalla redditività negativa nel biennio di riferimento, “che la valorizzazione degli aspetti di conservazione dell’impresa possa pregiudicare i diritti dei creditori, in ragione di interessi generali, economici e sociali ritenuti preminenti, la cui individuazione è riservata alla potestà discrezionale dell’autorità amministrativa, tutela accordata a scapito dei diritti e degli interessi delle altre parti coinvolte nella procedura”.
1. Nella sentenza viene richiamata anche Cass., 26 maggio 2006, n. 12646 (in Banca dati Leggi d’Italia Professionale), nonché TAR Lazio, sez. III-ter, 25 ottobre 2012, quest’ultima resa proprio tra le parti in causa, nella quale il giudice amministrativo ha appunto affermato che “spettano al giudice amministrativo le doglianza che pur implicando censure relative alla legittimità di provvedimenti dei commissari e del ministero, riguardano specificamente il subprocedimento di liquidazione del complesso aziendale”.
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b2. Ciò premesso, occorreva dunque verificare se, sul piano concreto, l’azienda ceduta dai commissari straordinari fosse o meno in esercizio al momento della conclusione del contratto. Nella specie, secondo il tribunale – premesso che il concetto di “esercizio” impiegato nell’art. 63 è sinonimo di “dinamismo”, di “esercizio dell’attività di impresa” – il complesso di beni oggetto dell’atto traslativo doveva effettivamente ritenersi in esercizio; e ciò, si legge nella pronuncia, “in ragione dei volumi dei ricavi, degli ordini evasi, delle ore di lavoro effettivamente svolte, del numero di dipendenti effettivamente impiegati nel ciclo produttivo, dei contratti conclusi” durante la procedura. b3. Risolto questo primo punto, bisognava stabilire se tutti i beni ceduti fossero funzionali allo svolgimento dell’attività di impresa, oppure se, al contrario e come sostenuto dalle banche ricorrenti, il perimetro dell’oggetto del contratto traslativo fosse esorbitante rispetto alle esigenze della continuità aziendale. Anche su questo secondo aspetto il tribunale dà torto alle banche ricorrenti, sulla base della duplice considerazione che, per un verso, i beni ceduti potevano astrattamente ritenersi funzionali alla prosecuzione, per il periodo concordato, dell’attività di impresa; e, per altro verso, “il problema dell’aggregazione dei beni con riferimento alla loro strumentalità si traduce nella verifica della congruità del prezzo di cessione rapportato e commisurato al valore effettivo dei beni trasferiti, in ragione della qualità, quantità e stessa potenzialità ad essere suscettibili di autonoma destinazione”, con la conseguenza, allora, che non sarebbe rilevante il fatto che siano trasferiti più beni di quelli necessari per la prosecuzione dell’attività, ma che di tali beni sia stato pagato, dal cessionario, il giusto prezzo. b4. Restava da affrontare, infine, l’ultima e decisiva questione: posto che l’azienda era in esercizio e che la scelta del perimetro dell’oggetto del contratto traslativo è insindacabile, in quanto rientrante nell’autonomia riconosciuta alle parti contraenti, occorreva verificare se i commissari straordinari avessero correttamente applicato i criteri di valutazione dei cespiti ceduti, secondo quanto indicato dall’art. 63 d.lgs. n. 270/1999. Sul punto, i giudici – dopo aver premesso che la vendita era avvenuta seguendo il consolidato orientamento della prassi, in virtù del quale la disposizione contenuta nell’art. 62, co. 3 (richiamato dall’art. 63, co. 1), ai sensi della quale “Il valore dei beni è preventivamente determinato da uno o più esperti nominati dal commissario straordinario”, viene interpretata nel senso che la quantificazione del valore dei beni oggetto della cessione avviene prima del momento del trasferimento, ma dopo la manifestazione dell’interesse all’acquisto da parte del potenziale cessionario dei beni medesimi –, sulla scorta delle risultanze della CTU
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disposta al fine, tra l’altro, di valutare la congruità (della stima operata dal consulente nominato dai commissari straordinari e, a cascata) del prezzo finale di cessione dei complessi aziendali trasferiti (pari a circa 10 milioni di euro), ha dichiarato nulla la vendita, in quanto effettuata in violazione dell’art. 63, co. 1 d.lgs. n. 270/1999. In particolare, i commissari – e, prima, il consulente da essi nominato – avrebbero sottovalutato i beni ceduti (circa 12 milioni contro i circa 54 milioni di euro stimati dal consulente nominato dal tribunale), frutto dell’applicazione dello “sconto” rappresentato dalla redditività negativa al tempo della stima e nel quadriennio (non già nel biennio, come stabilito dalla norma da ultimo richiamata) successivo. Secondo il tribunale – che sul punto ripercorre per larghi tratti la già richiamata decisione assunta dalle sezioni unite della Cassazione (la n. 12247/2009) –, la limitazione temporale stabilita nell’art. 63, co. 1 non può essere derogata dalle parti, atteso che la stessa è volta a contemperare “da una parte, gli obiettivi di mantenimento del complesso industriale e della forza lavoro e, dall’altra, gli interessi dei creditori che, seppur ‘spossessati’ dalle originarie garanzie ipotecarie, trovano un riconoscimento nel limite temporale stabilito dalla norma”. D’altra parte, aggiungono i giudici, a diversa soluzione non potrebbe giungersi neanche adducendo l’inesistenza di altri potenziali interessati all’acquisto: se, infatti, durante la procedura di amministrazione straordinaria con cessione dei beni dovesse mancare un acquirente disponibile ad offrire un corrispettivo sostanzialmente allineato al valore di stima dei medesimi, la conseguenza sarebbe quella di ritenere non proseguibile il programma di cessione, con conversione della procedura in fallimento, ex art. 70 d.lgs. n. 270/1999. B. A circa sei mesi di distanza dalla decisione resa dal tribunale di Ancona, sulla questione si è poi pronunciata la corte d’appello territorialmente competente, che ha confermato in toto la statuizione del giudice di primo grado. E ciò, nonostante nelle more fosse intervenuta – e proprio per (tentare di) ribaltare, con la tecnica della legge ad hoc, l’esito di quel giudizio – la l. n. 9/2014, che ha aggiunto un nuovo co. 2-bis all’art. 9 del d.l. n. 136/2013 (conv. con l. n. 6/2014), ai sensi del quale “L’articolo 63 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, si interpreta nel senso che, fermi restando gli obblighi di cui al comma 2 e le valutazioni discrezionali di cui al comma 3, il valore determinato ai sensi del comma 1 non costituisce un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita”. a) Nel giudizio di appello viene in primo luogo riproposta la questione della carenza di giurisdizione del giudice ordinario, avendo le
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banche, secondo la società in a.s., fondato il loro ricorso sull’asserita violazione di regole procedimentali poste, in realtà, a presidio di interessi pubblici, collettivi e privati, come dimostrerebbe il fatto che la posizione dei creditori non sarebbe neppure menzionata dall’art. 63 d.lgs. n. 270/1999. Sul punto, la corte, nel fare proprie le argomentazioni svolte dai giudici di primo grado, osserva inoltre che la compresenza di plurimi interessi, anche di natura pubblica, coinvolti nelle operazioni di vendita nell’ambito dell’a.s., non si traduce nella degradazione dei diritti soggettivi dei creditori a meri interessi legittimi; anche perché, contrariamente, si giungerebbe ad una surrettizia disapplicazione dell’art. 65, “rendendolo di fatto inoperante, attraendo nell’ambito pubblicistico tutta l’attività connessa alle operazioni di realizzo del patrimonio delle imprese assoggettate ad amministrazione straordinaria”. b) Nel merito, poi, la corte, nel confermare nella sostanza i risultati ai quali era giunto il tribunale in ordine alla non derogabilità dei criteri di valutazione posti dall’art. 63, co. 1, si sofferma sulle novità recate dalla l. n. 9/2014, ritenendo che la novella – che, a differenza di quanto erroneamente riportato nel testo della decisione, non ha riguardato (almeno formalmente) il d.lgs. n. 270/1999 – non abbia introdotto elementi rilevanti ai fini della decisione della controversia. E ciò in quanto l’art. 9, co. 2-bis d.l. n. 136/2013, di “interpretazione autentica” dell’art. 63, co. 1 d.lgs. n. 270/1999, non consentirebbe affatto di stravolgere i criteri di valutazione posti da quest’ultima disposizione – con la conseguenza, dunque, che ai fini che qui specificamente interessano la redditività negativa deve continuare ad essere considerata soltanto per il biennio successivo a quello della stima –, limitandosi, più modestamente, a legittimare i commissari straordinari a fissare un prezzo finale di cessione che si discosta dal valore che discende, appunto, dall’applicazione di quei criteri. Sulla base di tali premesse, la corte giunge così ad affermare che: “invero, la possibilità di discostarsi dal prezzo di vendita concerne la fase della cessione che presuppone una valutazione del compendio redatta secondo legge e non legittima un prezzo base errato in quanto non conforme alle disposizioni della vigente normativa, rappresentando il valore così assunto un dato imprescindibile”. 3. I risultati delle decisioni dei giudici anconetani paiono sostanzialmente convincenti e le argomentazioni delle motivazioni, pur non senza qualche forzatura, chiare ed esaustive. A. Nessun dubbio, in primo luogo, che la competenza giurisdizionale, nella controversia de qua, spettasse al giudice ordinario.
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Come più volte affermato dalla giurisprudenza 2 e come sostenuto dalla dottrina maggioritaria 3, invero, la ritenuta illegittimità degli atti di vendita posti in essere dal commissario straordinario, avendo dirette ricadute sulle possibilità di soddisfacimento endoconcorsuale degli aventi diritto sul patrimonio del debitore, impinge immediatamente su diritti soggettivi di questi ultimi, aprendo così la strada – come del resto risulta dallo stesso tenore letterale dell’art. 65 d.lgs. n. 270/1999 – alla tutela giurisdizionale ordinaria 4. B. Nel merito, le questioni affrontate nei provvedimenti qui commentati, seppure d’abord circoscrivibili alla sola fase di liquidazione dei beni nell’ambito del programma di cessione, assumono, in verità e ad una più attenta analisi, una portata ben più ampia, coinvolgendo finanche la funzione ultima da riconoscere alla procedura concorsuale della grande impresa insolvente. Ma procediamo con ordine.
Cfr., per tutte e da ultimo, Cass., 27 maggio 2009, n. 12247, in questa Rivista, 2010, I, 142 con osservazioni di Caridi; in Il fallimento, 2010, 302 con nota di Marelli, Nullità della vendita di azienda nell’amministrazione straordinaria; in Corriere giur., 2009, 900, con nota di Carbone, Contratto di compravendita stipulato dal commissario in sede di amministrazione straordinaria. Per ulteriori riferimenti si veda, altresì, Commentario breve alla legge fallimentare6, a cura di Maffei Alberti, Padova, 2013, p. 1833 ss. 3. A. Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali2, Bologna, 2012, p. 472 ss.; A. Patti, La tutela dei diritti dei creditori nell’amministrazione straordinaria, in Il fallimento, 2000, p. 263. 4. Diversa era la situazione nel vigore della abrogata legge Prodi, là dove l’art. 1 l. n. 391/1988 aveva attribuito tutte le controversie relative alle vendite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, al quale dunque ci si doveva rivolgere per la tutela delle posizioni sia di interesse legittimo sia di diritto soggettivo. Nella Relazione al d.lgs. n. 270/1999 si precisa che la soluzione prescelta si conforma «ai principi generali dell’ordinamento in materia di riparto della giurisdizione». Sul cambio di indirizzo operato con la c.d. Prodi-bis, cfr., per tutti, Panzani, Cessione d’azienda in relazione al programma del commissario, in Il fallimento, 2000, p. 1078 ss., il quale, peraltro, ritiene che la tutela dei diritti soggettivi dinanzi al giudice ordinario possa in concreto essere fatta valere soltanto «dopo che si è conclusa la fase procedimentale relativa alla determinazione del prezzo di vendita ed all’individuazione dell’acquirente e sono intervenuti il parere del comitato di sorveglianza e l’autorizzazione del Ministero dell’Industria, vale a dire certamente la fase di maggior rilievo»; tanto che, prosegue l’Autore, «può apparire dubbio che i creditori dell’impresa insolvente possano impugnare davanti al giudice ordinario atti e provvedimenti relativi alla liquidazione dei beni, lamentando la lesione di un loro diritto soggettivo». In realtà, così non è, atteso che, come giustamente evidenziato dal tribunale e dalla corte d’appello di Ancona – e prima, dalle sezioni unite della Corte di Cassazione – anche l’errata applicazione dei criteri di stima dei complessi aziendali oggetto del trasferimento può incidere negativamente sui diritti soggettivi dei creditori. 2.
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a) Il primo ostacolo affrontato dai giudici ha riguardato la qualificazione dell’oggetto della cessione (azienda – recte: tre rami di azienda – “in esercizio” o meno). Preliminarmente, occorre precisare che, in realtà, a dispetto del dato letterale ricavabile dall’art. 63, co. 1, ciò che rileva non è il fatto che l’azienda (o il ramo) sia “in esercizio”, quanto, semmai, che sia proseguita, durante la procedura, l’attività economica, ossia l’impresa, del debitore insolvente 5. In tale ottica, allora, bene ha fatto il tribunale ad affermare – come si è avuto modo di anticipare – che l’espressione “azienda in esercizio” deve essere interpretata come, appunto, “esercizio dell’attività di impresa”. Il fatto, quindi, che nella specie l’attività economica fosse continuata – seppure parzialmente – impiegando il complesso di beni oggetto della cessione, giustifica la ritenuta applicabilità al contratto di vendita della disciplina recata dall’art. 63 6.
5. Si tratta di un’altra ipotesi di utilizzo, giuridicamente atecnico, del termine azienda (impiegato, sembrerebbe, come sinonimo di impresa) che si riscontra, da ultimo, anche nell’art. 186-bis l.fall. con riferimento alla fattispecie “concordato (preventivo) con continuità aziendale”, là dove è evidente che la continuità, di nuovo, deve essere riferita all’impresa, non già al complesso di beni dal debitore organizzati per il suo esercizio. Sul punto cfr., per tutti, A. Nigro e Vattermoli, Commento sub art. 186-bis, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Commento per articoli, a cura di A. Nigro, M. Sandulli e Santoro, Torino, 2014. 6. è opportuno sottolineare che il fatto che l’azienda ceduta sia da riferire ad un’impresa in esercizio comporta, oltre alla possibilità di inserire nel prezzo di cessione la redditività negativa (art. 63, co. 1): a) l’obbligo per il cessionario di impegnarsi a proseguire per almeno un biennio le attività imprenditoriali mantenendo, per il medesimo periodo di tempo, i livelli occupazionali stabiliti nell’atto di vendita (co. 2); b) che la scelta dell’acquirente dipenda non soltanto dal prezzo offerto, ma anche dell’affidabilità dell’offerente e del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali da questi presentato, anche con riguardo alla garanzia dei livelli occupazionali (co. 3); c) la possibilità, alle condizioni poste dall’art. 47 l. n. 428/1990, di convenire il passaggio solo parziale dei lavoratori alle dipendenze dell’acquirente (co. 4); d) l’esclusione, salva diversa pattuizione, della responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle aziende cedute, anteriori al trasferimento. Alcune di queste disposizioni, in realtà, sembrano potersi (anzi, doversi) applicare anche in caso di cessione di un’azienda “non in esercizio”: così è a dirsi, in particolare, per quel che attiene alla possibilità di un trasferimento solo parziale dei lavoratori e alla non applicabilità della responsabilità ex art. 2560, co. 2 c.c. in capo al cessionario dell’azienda. Non è un caso, d’altra parte, che tali regole abbiano trovato ingresso, a seguito della riforma del 2005-2007, nell’ambito della vendita di azienda (indipendentemente se in esercizio o meno) nel fallimento, ex art. 105, co. 3 e 4 l.fall. (sul punto cfr., per tutti, Vattermoli, Commento sub art. 105, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A. Nigro, M. Sandulli e Santoro, II, Torino, 2010, p. 1454 ss., Fimmanò, Commento sub art. 105, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio e coordinato da
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Sul punto, l’unico passaggio non pienamente convincente è quello nel quale il tribunale afferma che l’azienda può essere considerata “in esercizio”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 63, co. 1, anche qualora si trovi in “momentanea situazione di stop produttivo”: in realtà, sembrerebbe potersi dire che se c’è interruzione della produzione, non può esservi esercizio di attività economica e, conseguentemente, non può trovare applicazione l’art. 63 d.lgs. n. 270/1999. è l’azienda – però “non in esercizio” – che ben può sussistere nonostante non sia attualmente (ossia, al momento della cessione) in funzionamento, essendo a tal fine rilevante “la potenzialità dei beni ceduti a costituire lo strumento per l’esercizio (anche se successivo al trasferimento) di una determinata impresa” 7. b) Qualche approfondimento ulteriore avrebbe forse meritato, poi, la questione – seppure assorbita, in fondo, dall’accoglimento del motivo principale di ricorso – della ritenuta irrilevanza dell’estensione dell’oggetto della cessione a beni (nella specie, immobili gravati da ipoteche) non riconducibili al perimetro del ramo d’azienda ceduto. Come si è osservato, sul punto il tribunale ha affermato che ciò che conta (ed occorre, quindi, verificare), non è tanto se gli organi della procedura abbiano allargato l’oggetto della vendita, includendovi beni non funzionali all’esercizio dell’impresa, quanto se, per tali beni, il cessionario abbia pagato il giusto prezzo. Un tale modo di ragionare, invero, non è pienamente convincente, almeno non lo è se calato nella fattispecie de qua. Qui, infatti, non va dimenticato che la legge consente di tenere in conto, nella determinazione del prezzo finale di cessione, di un elemento negativo associato alla continuità di impresa: il che, potenzialmente – ma, poi, anche concretamente, come dimostra il caso in esame –, potrebbe condurre ad un risultato in cui la redditività attesa superi, in termini assoluti, il valore stimato dei beni che compongono il ramo d’azienda. In tali casi, è evidente che i beni non funzionali all’esercizio dell’attività di impresa (e, comunque, non rientranti nel perimetro del ramo d’azienda ceduto), pur se correttamente “prezzati”, svolgano la
Fabiani, II, Bologna, 2007, p. 1731 ss.). Prendendo spunto dalla disposizione dettata per il fallimento, va infine aggiunto che non sembra dubbio che le parti possano convenire che il cessionario si accolli, a titolo di pagamento (di parte) del prezzo di cessione, alcuni debiti risultanti dallo stato passivo della procedura, sempre che ciò non si traduca in una violazione della par condicio creditorum (arg. ex art. 105, co. 9 l.fall.). 7. Così Vattermoli, Commento sub art. 105, cit., p. 1458. In giurisprudenza cfr., per tutte, Cass., 27 febbraio 2004, n. 3973, in Giur. it., 2004, 1197.
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funzione di “ammortizzatore” o di “ristoro” per il cessionario, assorbendo parte delle perdite associate al badwill 8 non coperte dal valore degli altri beni: ed è tale spostamento di valore, a danno dei creditori ipotecari ed a favore dell’acquirente, che i giudici avrebbero dovuto giustificare, non trovando spiegazione nella necessità di assicurare la prosecuzione dell’attività economica. c) Si arriva così al core delle decisioni commentate, concernente la natura (derogabile o meno) dei criteri di stima posti dall’art. 63, co. 1, d.lgs. n. 270/1999 e che, come anticipato, coinvolge anche questioni di più ampio respiro, quale la funzione giuridicamente rilevante da riconoscere alla procedura de qua. Nei decreti pubblicati è ricorrente, quasi fosse un leitmotiv, l’affermazione secondo la quale, nell’ambito della procedura ex d.lgs. n. 270/1999, coesisterebbero, sostanzialmente, due interessi potenzialmente divergenti, che andrebbero dunque opportunamente contemperati: quello dei creditori concorrenti ad ottenere il massimo soddisfacimento possibile delle loro pretese economiche, per un verso; e quello dell’economia in generale alla conservazione degli organismi produttivi c.d. viables (al quale viene associato quello, psicologicamente e socialmente più rilevante, della salvaguardia dei livelli occupazionali), dall’altro 9. I giudici, sulla scorta dell’insegnamento da ultimo impartito dalla più volte citata sentenza a sezioni unite della Cassazione, escludono, del tutto correttamente, che la continuità aziendale – o, se si preferisce, la conservazione in funzionamento degli organismi produttivi dell’impresa decotta – possa assurgere a funzione esclusiva della Prodi-bis: ciò che, come si è avuto modo di anticipare, ha consentito loro di ritenere, in prima battuta, inderogabili i criteri di valutazione dei complessi produttivi stabiliti dal primo comma dell’art. 63 e, in seconda battuta, nulla, per contrarietà a norme imperative, la vendita effettuata in violazione, appunto, di quei criteri. Diversamente, se fosse cioè stata accolta la linea degli organi della procedura, nessun ostacolo al trasferimento avrebbero
Secondo la dottrina aziendalistica, nel concetto di badwill ricadono sia le perdite attese per il futuro, sia la carenza, anche solo parziale, di remunerazione del capitale investito. Sul punto cfr., per tutti, Guatri e Bini, Nuovo trattato sulla valutazione delle aziende, Milano, 2009, p. 598 ss. 9. In generale, sui diversi interessi coinvolti nella gestione della crisi delle imprese e sui meccanismi utilizzati, nelle diverse procedure concorsuali, per il loro contemperamento cfr., per tutti, Jorio, Le procedure concorsuali tra tutela del credito e salvaguardia dei complessi produttivi, in Giur. comm., 1994, I, p. 492 ss. 8.
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potuto frapporre i creditori “espropriati” dinanzi alle esigenze – le uniche, per ipotesi data, giuridicamente rilevanti – legate alla salvaguardia della continuità aziendale 10. Forse, però, i giudici avrebbero potuto (e, a parere di chi scrive, dovuto) spingersi anche oltre, perché se è vero che nei provvedimenti qui commentati viene giustamente richiamata l’esigenza di salvaguardare l’interesse dei creditori concorrenti; è del pari vero che dalla lettura degli stessi si ricava la netta impressione che i giudici siano portati a ritenere che, su un piano generale, rispetto a quella esigenza, l’interesse alla conservazione degli organismi produttivi, assicurata dalla liquidazione aggregata delle aziende in esercizio, sia destinato a prevalere 11. In realtà, sembra maggiormente coerente con i principi fondamentali che governano le procedure concorsuali e con l’impianto complessivo dell’amministrazione straordinaria, la tesi di chi, pur in presenza dell’enunciazione contenuta nell’art. 1 d.lgs. n. 270/1999 12, ritiene che “le
È opportuno segnalare come, a fronte di un progressivo affermarsi, in dottrina e nella giurisprudenza di merito, dell’orientamento che vede nella continuità aziendale il nuovo “totem” da venerare, il giudice di legittimità tenti di porre un argine ricordando – a parere di chi scrive, del tutto correttamente – che in tanto la prosecuzione dell’attività economica può essere un obiettivo da perseguire, in quanto non si traduca in uno svantaggio per i creditori concorrenti. Sul punto, oltre a Cass., sez. un., n. 12247/2009, di cui si è più volte fatto cenno, risultano di un certo interesse anche Cass., 22 aprile 2013, n. 9675 e Cass., 6 febbraio 2013, n. 2782 (entrambe disponibili on line sul sito www.ilcaso. it), intervenute con riferimento al concordato di liquidazione nella l.c.a., affermando (la seconda) che «In tema di concordato nella liquidazione coatta amministrativa, l’interesse pubblico alla prosecuzione dell’attività d’impresa giustifica la scelta, non sindacabile dai creditori sociali, di preservare nella liquidazione l’unità dell’azienda, ma non anche la sottrazione alla liquidazione di tutto o parte dell’attivo per destinarlo alle necessità della prosecuzione dell’impresa insolvente, che comporterebbe un ingiustificato sacrificio delle ragioni dei creditori, cui resterebbe addossato l’onere finanziario della ricapitalizzazione dell’impresa insolvente, e, a favore dell’impresa, l’attribuzione di un beneficio non altrimenti riconosciuto nella materia fallimentare». 11. Nella decisione di primo grado, invero, si legge – richiamando, sul punto, il precedente di App. Milano, 22 aprile 2004, in Dir. fall, 2004, II, 759 ss., con nota di Bertacchini, Conservazione dei complessi aziendali in amministrazione straordinaria e ragioni dei creditori ipotecari: tendenze evolutive e rischio di impresa – che «l’obiettivo della procedura di mantenere l’unità operativa del (…) complesso aziendale, (…) è destinato a prevalere sull’interesse particolare del singolo creditore al soddisfacimento delle proprie ragioni di credito mediante un maggior realizzo, derivante dalla cessione atomistica dei singoli cespiti, com’è tra l’altro provato dall’esclusione dei creditori dalla votazione del programma». 12. Ai sensi del quale: «L’amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente, con finalità conservative del patrimonio 10.
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finalità conservative del patrimonio produttivo costituiscano solo la funzione immediata della procedura, mentre la funzione mediata, lo scopo ultimo, di essa sia costituita dal soddisfacimento dei creditori” 13. Spunti in tal senso possono trarsi dalla disciplina della chiusura della procedura, ove emerge chiaramente come l’interesse prioritariamente perseguito dall’a.s. sia proprio quello dei creditori 14: diversamente opinando, infatti, sarebbe difficile spiegare l’ipotesi di chiusura per soddisfacimento integrale di questi ultimi [ex art. 74, co. 2, lett. a)] 15, nonostante (in teoria) il mancato risanamento dei complessi produttivi dell’impresa in crisi ed il blocco definitivo dell’attività economica. La verità è che, anche in questa procedura – così come in tutte le altre che animano il settore dell’ordinamento dedicato alla disciplina della crisi
produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali». 13. A. Nigro, La disciplina delle crisi patrimoniali delle imprese. Lineamenti generali, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, XXV, Torino, 2012, p. 287, che riprende concetti dall’A. già espressi in Id., L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza: cenni introduttivi, in Nuove leggi civ., 2000, p. 139. Nello stesso ordine di idee, ma con specifico riferimento all’ipotesi in cui sia stato adottato l’indirizzo di cessione, Oppo, Diritti e interessi nella nuova disciplina dell’insolvenza delle “grandi imprese”, in Riv. dir. civ., 2000, II, p. 519 ss. Per l’opposta soluzione cfr., per tutti, Abriani, in Diritto fallimentare. Manuale breve2, Milano, 2013, p. 81, per il quale, nell’amministrazione straordinaria «la conservazione dell’impresa e la ricollocazione sul mercato delle sue parti ancora vitali non si configura come mero strumento funzionale alla ricerca delle migliori opportunità di proficua liquidazione del patrimonio del debitore, ma assurge ad obiettivo primario della procedura»; e, soprattutto, Meo, Il risanamento finanziato dai creditori. Lettura dell’amministrazione straordinaria, Milano, 2013, p. 5, secondo il quale: «La finalità conservativa del patrimonio produttivo, che costituisce il cardine dichiarato dell’istituto, è perseguita liberando d’autorità il compendio produttivo dall’orpello dei debiti anteriori. I creditori sono individuati, formalizzati e isolati in un luogo sterile dell’unitario e inscindibile patrimonio di funzionamento dell’impresa, e in tal modo messi in condizione di non nuocere. Attenderanno, senza interloquire, gli esiti del processo per vedersi assegnare quanto rimane. La concorsualità della procedura è l’opposto di quella propria delle procedure tradizionali: non è la finalità della procedura, è il mezzo perché la procedura raggiunga il suo fine, diverso e anteriore rispetto alla definizione dei diritti dei creditori». 14. La rilevanza dei possibili modi di chiusura della procedura ai fini dell’esatta individuazione della funzione ultima da riconoscere all’amministrazione straordinaria era stata evidenziata, seppure con specifico riferimento alla l. n. 95/1979, da Vassalli, I casi di chiusura della procedura di amministrazione straordinaria, in L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, Milano, 1989, p. 124 ss. 15. Ma poi anche, ed a ben vedere, per mancanza di domande di ammissione al passivo, ex art. 74, co. 1, lett. a).
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delle imprese –, ciò che occorre evitare è che «il nobile sogno della continuità aziendale» 16 si traduca, per i creditori, «in un autentico incubo» 17. d) Come anticipato, i giudici della corte d’appello si sono infine trovati ad affrontare l’ulteriore questione generata dalle modifiche, intervenute dopo la pubblicazione del decreto del tribunale, che hanno riguardato l’“interpretazione autentica” dell’art. 63, co. 1 d.lgs. n. 270/1999, ora offerta dal nuovo art. 9, co. 2-bis d.l. n. 136/2013 (aggiunto dalla l. n. 9/2014). Si è trattato dell’ennesimo tentativo di sovvertire, con la mai troppo deprecata tecnica della legge ad personam, l’esito di un giudizio ritenuto, da qualche esponente politico, non allineato agli interessi in quel momento perseguiti 18. Al di là delle critiche sul metodo utilizzato, non sembra dubbio che la volontà del legislatore fosse quella di sganciare i commissari straordinari (in particolare quelli del caso Merloni) dai vincoli imposti dall’art. 63, co. 1, consentendo loro di introdurre nel calcolo della stima dei complessi produttivi la redditività negativa futura, anche oltre il biennio normativamente stabilito. La corte d’appello, invece, sembrerebbe non aver colto tale intenzione e, comunque, non ritiene che la stessa si sia tradotta, sul piano letterale, in una disposizione che consenta agli organi della procedura di superare i criteri di stima stabiliti, per le aziende in esercizio, dalla disposizione “interpretata”.
16. Così, rispetto al concordato preventivo, Terranova, Il concordato «con continuità aziendale» e i costi dell’intermediazione giuridica, in Dir. fall., 2013, I, p. 25, nt. 4. 17. Vattermoli, Concordato con continuità aziendale, absolute priority rule e new value exception, di prossima pubblicazione su Riv. dir. comm., p. 5 (nt. 21) del dattiloscritto di cui si è potuto avere visione per gentile concessione dell’Autore. I possibili rischi, per i creditori, legati all’operare dello sconto rappresentato dal badwill erano già stati evidenziati, con riferimento all’abrogata amministrazione delle grandi imprese in crisi, da Bozza, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in Il fallimento, 1993, p. 922. 18. È forse opportuno ricordare che l’attuale art. 63, co. 1 ha il proprio antecedente specifico nell’art. 6-bis l. n. 95/1979, il quale era stato, a sua volta, “interpretato autenticamente” dalla l. n. 212/1984, e proprio in reazione ad una pronuncia del giudice amministrativo (TAR Veneto, Sez. Venezia, 9 marzo 1984, n. 95, in Giur. it., 1985, III, 73), che aveva ritenuto che nella valutazione dei complessi aziendali si potesse tener conto della sola redditività positiva; con la l. n. 212/1984, invece, è stato precisato che nel prezzo di cessione si sarebbe potuto calcolare anche il badwill. Sui termini della questione cfr., per tutti, M. Rescigno, Norme urgenti ed amministrazione straordinaria: la legge 9 giugno 1984, n. 212, in Giur. comm., 1987, I, p. 556 e G. Tarzia, L’alienazione dell’azienda nell’amministrazione straordinaria, in Riv. dir. proc., 1991, p. 319.
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Più in particolare. Secondo la corte, per comprendere i termini della questione posta dalla novella occorre distinguere tra, da un lato, la stima del valore dei beni da cedere, operata “preventivamente” dal consulente dei commissari; e, dall’altro, la determinazione, da parte di questi ultimi, del prezzo finale di cessione. Rispetto al primo termine della questione, nessuna modifica si sarebbe prodotta per effetto dell’interpretazione autentica, che invece rileverebbe, sempre secondo i giudici, soltanto rispetto alla fase successiva, relativa all’individuazione dell’acquirente, nella quale i commissari, adeguatamente motivando – anche ai fini dell’ottenimento dell’autorizzazione da parte del Ministro competente –, ben potrebbero allontanarsi, nella fissazione del prezzo finale di cessione, dal valore di stima. Anche in questo caso, a ben vedere, si assiste ad una forzatura – se questo, infatti, fosse stato il risultato perseguito dal legislatore, non vi sarebbe stato bisogno di un intervento ad hoc 19 –, ma è una forzatura che, in fondo e per quanto osservato in precedenza, deve essere salutata con favore. Patrizia Santangelo
19. Indicazioni in tal senso possono trarsi, seppure nell’ambito di un discorso più generale, da Maffei Alberti, La liquidazione nell’amministrazione straordinaria, in Dir. fall., 2003, I, p. 1727.
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PARTE seconda Legislazione, documenti e informazioni
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L’adozione ”anticipata” del modello comunitario in materia di crisi bancarie: la nuova disciplina spagnola Con la “Ley de reestructuración y resolución de entidades de crédito”, n. 9/2012 del 14 novembre 2012 (in BOE n. 275 del 15 novembre 2012, pp. 79604 ss.), l’ordinamento spagnolo si è dotato di una disciplina delle crisi bancarie definibile all’avanguardia (per un primo commento alla legge cfr., per tutti, Vicent Chuliá, La Ley 9/2012, de 14 de noviembre, de reestructuración y resolución de entidades de crédito, y la sociedad de gestión de activos procedentes de la reestructuración bancaria, in Revista de derecho concorsual y paraconcorsual, n. 18/2013, pp. 23 ss.). Il testo che appresso si pubblica rappresenta, infatti, il più completo ed articolato intervento normativo in materia; nonché, la prima applicazione, a livello interno, del modello comunitario contenuto nella Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sul risanamento e la risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento, del 6 giugno 2012. L’anticipo, rispetto alla traduzione in diritto positivo del “modello” al quale dichiaratamente si ispira la l. n. 9/2012, non è peraltro il frutto di una libera scelta del legislatore iberico. Certo, l’insolvenza degli intermediari finanziari, caratterizzata dal c.d. effetto contagio, esige una regolamentazione ad hoc, rispetto a quella da riservare all’insolvenza delle imprese di diritto comune, ciò che in fondo già di per sé giustifica (avrebbe giustificato) la novità legislativa. E ciò, a maggior ragione in un Paese quale la Spagna, dove gli interventi legislativi miranti a prevenire ed a comporre la crisi dell’impresa bancaria hanno sovente assunto la forma e la sostanza di risposte puntuali a problemi concreti generati da eventi patologici già verificatisi (sul punto cfr., per tutti, Vattermoli, La gestione delle crisi bancarie in Spagna, in questa Rivista, 2000, I, pp. 434 ss.). Nella specie, però, le ragioni di questo intervento precoce sono da rintracciare altrove. Come emerge dal preámbulo della legge, infatti, l’adozione della stessa rientra nelle condizioni imposte dall’Unione Europea per consentire alla Spagna di usufruire del programma comunitario di assistenza al settore finanziario domestico (condizioni contenute nel “Memorándum de Entendimiento sobre condiciones de política sectorial financiera”, firmato dal Governo spagnolo nel luglio del 2012).
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Ciò in quanto, come si dirà meglio infra, il modello comunitario – e, di conseguenza, la nuova disciplina spagnola – ribaltando la filosofia del “too big to fail”, che per lungo tempo ha caratterizzato gli interventi statali di salvataggio (bail-out) degli enti creditizi, si fonda ora sull’opposto principio della minimizzazione dei costi per i contribuenti; costi che, secondo il nuovo approccio (chiaramente percepibile nell’istituto del c.d. bail-in), debbono essere sopportati, in primis, dagli azionisti e, in un secondo momento ed eventualmente, dai creditori di rango più basso dell’ente in crisi. Il fatto di aver anticipato l’entrata in vigore della disciplina di fonte comunitaria produce inevitabilmente degli inconvenienti: primo fra tutti, quello di imporre al legislatore spagnolo di apportare alla legge le modifiche che dovessero rendersi necessarie in virtù dei cambiamenti che il testo assunto come modello potrebbe soffrire nel passaggio da Proposta a Direttiva vera e propria. La legge si pone, dunque, sin dalla sua nascita come uno strumento a carattere provvisorio: nello stesso preámbulo si osserva, invero, che «cuando en el ámbito de la Unión Europea se acuerde un texto final de directiva sobre rescate y resolución de entidades de crédito, la presente norma será adaptada a la nueva normativa». *** L’obiettivo ultimo della legge è, come si è già in parte anticipato, l’individuazione del punto di equilibrio tra, per un verso, la salvaguardia della stabilità del settore finanziario spagnolo, potenzialmente posta in pericolo dalla crisi anche di un solo ente creditizio, ciò che richiede, in alcune occasioni, l’intervento – sotto forma di ausili pubblici – dello Stato; e, per altro verso, la tutela dell’efficienza del mercato del credito, che impone di ridurre al minimo i costi per la collettività dei contribuenti, così da rendere attuale il rischio di perdite per la proprietà ed i creditori di rango più basso della banca insolvente (in tal modo contrastando il fenomeno noto con l’espressione “moral hazard”). Nella ricerca di tale punto di equilibrio è in primo luogo indispensabile selezionare i casi in cui l’intervento pubblico si rende opportuno o necessario. A tal fine, nella legge si distingue tra “actuación temprana”, “reestructuración” e “resolución” (che corrispondono all’“intervento precoce”, al “risanamento” ed alla “risoluzione” di matrice comunitaria), espressioni che designano, al contempo, sia la procedura applicabile all’ente in crisi, sia il grado di difficoltà economica (o, in alcuni casi, organizzativa) in cui lo stesso versa e sia, infine, lo strumentario a disposizione dell’autorità di vigilanza per porvi rimedio. a) In tale ottica, è opportuno sottolineare come l’intervento pubblico rappresenti una misura ordinaria (e, quindi, non eccezionale) soltanto nell’ambito della reestructuración. Come si evince dall’art. 13, invero, tale procedura si caratterizza, per un verso, per la richiesta, da parte dell’ente creditizio, di sostegno finanziario pubblico e, per altro verso, per l’esistenza di elementi oggettivi che rendano ragionevolmente prevedibile la restituzione, nei modi e nei termini stabiliti dalla legge stessa, delle somme ottenute in prestito. Il che, peraltro, non significa che l’ausilio pubblico sia imprescindibile: tra gli strumenti utilizzabili,
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infatti, v’è anche la cessione di attività o passività ad una “sociedad de gestión de activos” di cui agli artt. 35-38 della legge (art. 15). Discorso diverso per le altre due procedure. b) La “resolución” (termine che rappresenta un vero e proprio neologismo per l’ordinamento iberico) si applica in caso di crisi irreversibile dell’intermediario finanziario. Più in particolare, si intende in crisi irreversibile l’ente che: non rispetta (o ragionevolmente si prevede che non rispetterà nel breve periodo) i requisiti di solvibilità; presenta (o ragionevolmente si prevede che presenterà nel breve periodo) un deficit di bilancio; non può adempiere regolarmente (o ragionevolmente si prevede che non potrà adempiere regolarmente nel breve periodo) le obbligazioni esigibili (art. 20). In tale ipotesi, dunque, non dovrebbe esservi spazio per un sostegno pubblico alla banca in crisi: la stessa, anzi, dovrebbe essere assoggettata alle procedure concorsuali di diritto comune (ossia al concurso de acreedores, disciplinato dalla Ley concursal). Eppure, in alcune circostanze, per l’Autorità di Vigilanza è preferibile rinunciare all’applicazione, nei confronti dell’ente insolvente, del concurso de acreedores a favore, appunto, della procedura di risoluzione di cui agli artt. 19 e ss. della l. n. 9/2012, nell’ambito della quale sono previsti specifici strumenti di composizione della crisi, ulteriori rispetto alla mera (liquidazione e successiva) distribuzione endoconcorsuale del patrimonio dell’ente insolvente (tra i quali, ad esempio, la cessione totale o parziale delle attività, diritti o passività ad un ente-ponte; la cessione totale o parziale delle attività, diritti o passività ad una società di gestione degli attivi; nonché, in ogni caso, la sostituzione dell’organo amministrativo). Ma non solo: è ben possibile, infatti, che il Banco de España, valutando gli effetti pregiudizievoli per il sistema finanziario derivanti dalla “risoluzione ordinata” della crisi in cui versa l’intermediario, decida di sottoporre quest’ultimo alla procedura di ristrutturazione, aprendo così la strada per un finanziamento pubblico anche nei confronti di enti che, per ipotesi data, non sono viables. c) In ultimo, la actuación temprana rappresenta la procedura applicabile alle banche che si trovano in una situazione di crisi, patrimoniale o organizzativa, temporanea e che presentano, al loro interno, le risorse sufficienti per il superamento della condizione di disequilibrio (art. 6.1). Orbene, tra gli strumenti utilizzabili nell’ambito di tale procedura, tra cui spicca il “plan de actuación”, è ricompreso anche il ricorso ai finanziamenti pubblici, sotto forma di sottoscrizione di strumenti finanziari convertibili in azioni (art. 9, lett. f). Si tratta, però, di una misura eccezionale – per la cui concessione è necessario il parere favorevole del “Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria” (FROB, sul quale v. più diffusamente infra) – che può essere adottata soltanto rispettando la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato e, soprattutto, soltanto qualora sussistano condizioni oggettive tali da far ragionevolmente presumere che la banca sarà in grado, nel breve periodo (comunque non superiore a due anni), di ammortizzare il finanziamento ricevuto. ***
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L’autorità competente a gestire le procedure di ristrutturazione e di risoluzione è il FROB (art. 52.1). Si tratta di un ente di diritto pubblico, dotato di personalità giuridica, istituito nel 2008; è finanziato per il 75% dal bilancio dello Stato e dalle rimanenze del Fondo per l’acquisizione di attività finanziarie, mentre il restante 25% proviene dai diversi fondi di garanzia dei depositi delle banche, delle casse di risparmio e delle cooperative di credito; è amministrato da una Comisión Rectora, composta da nove membri, quatto dei quali nominati dal Banco de España (tra i quali il vice governatore, Presidente di diritto della commissione: art. 54). La legge disciplina il regime giuridico del FROB nel Capitolo VIII (artt. 5270). Nell’esercizio delle sue funzioni il FROB è assoggettato alle norme di diritto privato, salvi i casi in cui esercita le potestà amministrative che la l. n. 9/2012 (o un’altra legge) espressamente gli attribuisce. È opportuno sottolineare come, in alcune circostanze, il FROB è legittimato ad imporre agli azionisti dell’ente in crisi alcune misure straordinarie, la cui adozione competerebbe, secondo le regole di diritto societario, all’assemblea dei soci (tra cui, ad esempio, l’aumento del capitale sociale della banca). [Clarisa L. Ganigian]
Ley 9/2012, de 14 de noviembre, de reestructuración y resolución de entidades de crédito. PREÁMBULO I Según la ya clásica definición contenida en el artículo 1 del Real Decreto Legislativo 1298/1986, de 28 de junio, sobre Adaptación del Derecho vigente en materia de Entidades de Crédito al de las Comunidades Europeas, la peculiar naturaleza de estas entidades de crédito deriva de su forma de captación de pasivos, consistente en «recibir fondos del público en forma de depósito, préstamo, cesión temporal de activos financieros u otras análogas que lleven aparejada la obligación de su restitución». La aplicación de dichos pasivos «por cuenta propia a la concesión de créditos u operaciones de análoga naturaleza» es la otra cara de la moneda de su labor de intermediación financiera, pero no es exclusiva de las entidades de crédito, a pesar de la denominación que les es propia. Por otro lado, las entidades de crédito tienen un papel clave en la economía, en la medida en que facilitan la circulación del crédito al resto de sectores de actividad productiva y a los ciudadanos. Este aspecto, sumado a la complejidad del sistema financiero y al hecho de que algunas entidades individualmente consideradas tienen importancia sistémica debido a su tamaño y a las relaciones que mantienen dentro del sector, exige contar con procedimientos eficaces y flexibles, que permitan garantizar la estabilidad del sistema financiero, con el menor coste posible para el conjunto de la sociedad.
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Estas peculiaridades de las entidades de crédito requieren que toda medida de supervisión o de regulación de las mismas vaya ante todo encaminada a dar seguridad al público del cual la entidad capta su pasivo, y por ende a preservar la estabilidad del sistema financiero. A su vez, estas necesidades justifican que determinadas situaciones de inviabilidad transitoria de entidades de crédito deban ser superadas mediante la inyección de fondos públicos. La finalidad principal de estas inyecciones es la salvaguarda de los ahorros y depósitos de todos aquellos clientes que, de otro modo, en caso de que estos apoyos faltaran y que debiese procederse sin más a la liquidación de la entidad de crédito, podrían perder una parte importante de su patrimonio. Una vez admitida la necesidad de apoyos financieros públicos en determinados casos, es preciso que la normativa destinada a regularlos guarde el necesario equilibrio entre la protección del cliente de la entidad de crédito y la del contribuyente, minimizando el coste que tenga que asumir el segundo con el fin de salvaguardar al primero, y sin olvidar que en la mayoría de los casos coinciden en los ciudadanos una y otra condición. El mayor equilibrio se consigue cuando los fondos públicos inyectados pueden ser recuperados en un plazo razonable por medio de los beneficios generados por la entidad apoyada. Por todas las razones anteriores, los poderes públicos deben prestar un apoyo decidido, aunque equilibrado, a la viabilidad de las entidades de crédito, y deben regular la forma y los casos en que se produce dicho apoyo, que supone necesariamente una modulación de los principios de universalidad y de «pars conditio creditorum» que rigen los procedimientos de insolvencia. Existen numerosas ocasiones en las cuales determinadas debilidades transitorias de las entidades de crédito pueden ser superadas mediante la inyección de fondos públicos, evitando así la liquidación de la entidad y la mera división del activo entre el pasivo y la asunción proporcional de pérdidas entre todos los acreedores. Estos son los supuestos de reestructuración de entidades de crédito. Existen también otras ocasiones en las cuales la inviabilidad definitiva de las entidades de crédito no debe ser resuelta simplemente mediante la referida división, sino que conviene previamente segregar las partes sanas de la entidad, e incluso también las más perjudicadas, con el fin de que la aplicación del procedimiento de insolvencia ordinario se lleve a cabo únicamente respecto al remanente, si lo hubiere. Nos encontramos en tales casos ante los supuestos de resolución, verdadero neologismo en nuestro ordenamiento jurídico, pero que expresa de forma clara lo que se pretende: resolver de la mejor forma posible una situación de inviabilidad de una entidad de crédito. Finalmente, existen otros supuestos en los cuales las dificultades que atraviesan las entidades de crédito son de carácter mucho más leve que las anteriores y pueden ser corregidas mediante determinadas medidas, cuya finalidad básica es asegurar que la entidad de crédito recobra su estabilidad y alcanza plenamente todos sus requerimientos regulatorios, evitando la necesidad de inyectarle fondos públicos o haciéndolo únicamente de forma excepcional y transitoria. Se trataría de los supuestos de actuación temprana.
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Sobre esta triple distinción (actuación temprana, reestructuración y resolución) descansa la estructura de la presente Ley, destinada a regular de forma clara y eficaz cada uno de dichos casos, los instrumentos y medidas que puedan adoptarse respecto a cada uno de ellos, y los efectos que puedan producir dichos instrumentos y medidas. II Todo lo dicho anteriormente se ha manifestado con particular intensidad en la actual crisis financiera, que ha afectado de manera tan relevante a las entidades de crédito, y ha puesto de manifiesto la necesidad de contar con un marco robusto y eficaz de gestión de crisis bancarias, de manera que los poderes públicos dispongan de los instrumentos adecuados para realizar la reestructuración y la resolución ordenada, en su caso, de las entidades de crédito que atraviesan dificultades. Son numerosas las iniciativas y las actuaciones que en muchos ámbitos se han llevado a cabo en los últimos años, encaminadas precisamente a promover una adaptación de los mecanismos de reestructuración y resolución a las nuevas necesidades detectadas a raíz de la crisis económica. En noviembre de 2011, en el marco del G-20, la Junta de Estabilidad Financiera aprobó el documento «Elementos fundamentales para el Régimen de Resolución Efectivo de Instituciones Financieras», en el cual se delimitan los aspectos esenciales para el establecimiento de un adecuado régimen de resolución de entidades. Este documento tiene como objetivo promover un marco legal y operativo que facilite a las autoridades la reestructuración o resolución de entidades financieras de una manera ordenada sin exponer al contribuyente a la asunción de pérdidas derivadas de las medidas de apoyo, y asegurando la continuidad de los elementos vitales de la entidad. En él se contemplan, además, una serie de instrumentos de resolución que, según acordó la Junta, es conveniente que estén a disposición de las autoridades de resolución de los Estados. En una línea similar, los informes del Fondo Monetario Internacional sobre el sistema financiero español, publicados a lo largo de este año en el contexto del Programa de Evaluación del Sistema Financiero, al tiempo que valoran de manera positiva el funcionamiento de la arquitectura institucional española de reestructuración, detectan la posibilidad de mejoras y sugieren que se ponga a disposición de las autoridades públicas un conjunto de instrumentos de reestructuración y resolución que les permita afrontar potenciales situaciones de crisis bancaria. Ya en el ámbito de la Unión Europea, se han dado pasos decididos para establecer un marco común de resolución de entidades financieras que amplíe los instrumentos de resolución que tengan las autoridades competentes, y que establezca mecanismos de coordinación entre las autoridades de los Estados Miembros. El carácter global del sistema financiero y, en particular, de la actividad de crédito, así lo justifica. Con fecha de 6 de junio de 2012, la Comisión Europea lanzó una propuesta de directiva por la que se establece un marco para el rescate y la resolución
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de entidades de crédito y empresas de servicios de inversión, que contiene un amplio catálogo de medidas a adoptar, en una primera instancia, para evitar que una entidad de crédito llegue a una situación de inviabilidad que ponga en riesgo la estabilidad del sistema financiero, y, en una segunda instancia, para proceder a la resolución ordenada de las entidades no viables. Todo ello con el objetivo de minimizar el riesgo para la estabilidad financiera, y bajo el principio de que son los accionistas y los acreedores los que, en primer lugar, deben asumir los costes de la resolución. A la hora de elaborar la presente Ley se han tenido en cuenta, como no podía ser de otra manera, todas estas iniciativas, de forma que su contenido acoge gran parte de las recomendaciones en ellas incluidas, e implica una sustancial reforma del esquema español de reestructuración y resolución de entidades de crédito existente hasta la fecha. En todo caso, en el momento en que se avancen los trabajos desarrollados en los foros internacionales y, especialmente, cuando en el ámbito de la Unión Europea se acuerde un texto final de directiva sobre rescate y resolución de entidades de crédito, la presente norma será adaptada a la nueva normativa. III La aprobación de esta norma se enmarca, por otra parte, en el programa de asistencia a España para la recapitalización del sector financiero, que nuestro país ha acordado en el seno del Eurogrupo y que se ha traducido, entre otros documentos, en la aprobación de un Memorando de Entendimiento. En primer lugar se establece el régimen de reestructuración y resolución de entidades de crédito, reforzando los poderes de intervención del Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria (FROB). Junto a ello, se incluyen ejercicios de subordinación de pasivos con carácter volontario y obligatorio para aquellas entidades para las que se haya abierto un procedimiento de reestructuración o resolución. Finalmente, se prevé la posibilidad de constituir una sociedad de gestión de activos procedentes de la reestructuración bancaria, que se encargue de la gestión de aquellos activos problemáticos que deban serle transferidos por las entidades de crédito. De manera adicional, en el Real Decreto-ley 24/2012, de 31 de agosto, del que trae causa la presente Ley, tras acordarse por el Pleno del Congreso de los Diputados su tramitación como tal, se adelantó el cumplimiento de algunas medidas que el Memorando de Entendimiento prevé para fechas posteriores, lo cual obedece a diferentes razones. En primer lugar, la inclusión de estas medidas facilita la configuración de un sistema normativo homogéneo y coherente, considerándose inapropiado, por cuestiones sistemáticas, que su regulación se haga en instrumentos separados. Por otro lado, su entrada en vigor siguiendo los procedimientos legislativos ordinarios en los plazos previstos, era igualmente de difícil ejecución, por lo que parecía recomendable incluirlas en una única norma en vez de aprobar varias con carácter sucesivo. Finalmente, aunque las medidas no sean exigibles hasta fechas posteriores, la inclusión en esta Ley permite a los
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destinatarios comenzar a preparar su aplicación. De acuerdo con estos criterios se han introducido, entre otras, las medidas que se citan a continuación. Se modifica la estructura organizativa del FROB para evitar conflictos de interés generados por la participación del sector privado en la Comisión rectora, a través del Fondo de Garantía de Depósitos de Entidades de Crédito. Se incluyen medidas para mejorar la protección a los inversores minoristas que suscriben productos financieros no cubiertos por el Fondo de Garantía de Depósitos de Entidades de Crédito. Por último, se modifican los requerimientos y la definición de capital principal con los que deben cumplir los grupos consolidables de entidades de crédito así como las entidades no integradas en un grupo consolidable, estableciéndose un único requisito del nueve por cien de las exposiciones ponderadas por riesgo que deberán cumplir a partir del 1 de enero de 2013. El conjunto de medidas previsto en esta Ley supone un reforzamiento extraordinario y sin precedentes de los mecanismos con que contarán las autoridades públicas españolas de cara al reforzamiento y saneamiento de nuestro sistema financiero, dotándolas de instrumentos eficientes para garantizar el correcto funcionamiento del sector crediticio. IV Señalado lo anterior, resulta conveniente pasar a analizar los aspectos más novedosos o significativos de esta Ley, teniendo en cuenta la estructuración por capítulos de la norma. El capítulo I contiene disposiciones de carácter general, una referencia al objeto de la norma y unas definiciones de los conceptos más relevantes que se utilizan en la Ley. En particular, se define el término «resolución» debido a la novedad que supone la utilización de este concepto en nuestro ordenamiento jurídico, que tradicionalmente ha optado por el concepto de reestructuración. Se ha introducido este nuevo término por dos motivos fundamentales. Primero, porque la propuesta de directiva europea sobre la materia, y los documentos de referencia a nivel internacional, utilizan la expresión «resolución». Segundo, porque la Ley distingue entre procedimientos de reestructuración y resolución, refiriéndose este último a los procesos en que la entidad de crédito no es viable y es necesario proceder a su extinción ordenada con las mayores garantías para los depositantes y para la estabilidad financiera. Por otro lado, este Capítulo introduce una serie de objetivos y principios de la reestructuración y resolución ordenada de las entidades crédito que deberán informar todo el proceso, tales como evitar efectos perjudiciales para la estabilidad del sistema financiero, asegurar la utilización más eficiente de los recursos públicos, o garantizar que los accionistas y los acreedores subordinados sean los primeros en asumir pérdidas teniendo en cuenta el orden de prelación establecido. El capítulo II está dedicado al procedimiento de actuación temprana, en línea con la propuesta de directiva de la Comisión Europea que estamos refiriendo. Las entidades que deberán adoptar estas medidas serán aquellas que
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no cumplen o es razonable que no cumplan los requisitos de solvencia, pero es previsible que puedan superar esta situación de dificultad por sus propios medios o a través de un apoyo financiero excepcional mediante instrumentos convertibles en acciones. Dado que las medidas de actuación temprana se integran con claridad dentro de las funciones de supervisión que corresponden al Banco de España, es esta institución quien tiene un protagonismo claro en esta fase inicial, y por lo tanto, le corresponde decidir sobre qué entidades han de adoptar las medidas de intervención temprana, a cuyos efectos deberá elaborarse un plan de actuación que permita paliar la situación de debilidad en la solvencia. Durante esta fase el Banco de España puede exigir la sustitución de los miembros del consejo de administración, en el caso de que se produzca un deterioro significativo de la situación de la entidad. Los capítulos III y IV regulan los procesos de reestructuración y resolución ordenada de las entidades de crédito, siendo el criterio fundamental para la aplicación de uno u otro el de la viabilidad de la entidad. En ambos procesos, es el FROB el que asume la responsabilidad de determinar los instrumentos idóneos para llevarlos a cabo de forma ordenada y con el menor coste posible para el contribuyente. No significa ello una alteración de las competencias supervisoras, que seguirán correspondiendo al Banco de España, lo cual justifica su intervención en los procedimientos de reestructuración y resolución. Así, el proceso de resolución se aplicará a entidades que no son viables, mientras que el proceso de reestructuración se aplicará a entidades que requieren apoyo financiero público para garantizar su viabilidad, pero que cuentan con la capacidad para devolver tal apoyo financiero en los plazos previstos para cada instrumento de apoyo en la propia Ley. En ambos casos se prevé la elaboración de un plan, ya sea de reestructuración o resolución, que deberá ser aprobado por el Banco de España, así como una regulación específica de los instrumentos de reestructuración o resolución que podrán ser aplicados. En relación con los instrumentos de resolución, se ha tenido de nuevo en cuenta la propuesta de directiva que sobre la materia ha presentado la Comisión Europea, incluyéndose la venta de negocio de la entidad a un tercero, la transmisión de activos o pasivos a un banco puente, o la transmisión de activos o pasivos a una sociedad de gestión de activos. En el caso de que se abra el proceso de resolución, además, se deberá proceder a la sustitución del órgano de administración. El capítulo V prevé los instrumentos de apoyo financiero que podrán ser otorgados a las entidades de crédito, incluyendo, entre otros, instrumentos de recapitalización, ya sea mediante la adquisición de acciones ordinarias o aportaciones al capital social o de instrumentos convertibles en las acciones ordinarias o aportaciones al capital social. Este Capítulo introduce disposiciones sobre el cálculo del valor económico de la entidad y sobre el régimen de la adquisición por el FROB de los instrumentos de recapitalización.
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En todo caso, la aplicación del Capítulo V se realizará teniendo en cuenta el principio de minimización de los recursos públicos en los procesos de reestructuración y resolución de las entidades de crédito. El capítulo VI prevé la posibilidad de que el FROB ordene a la entidad de crédito correspondiente el traspaso de los activos problemáticos a una sociedad de gestión de activos. Así, el primero de los artículos de este Capítulo hace referencia a la delimitación de esta potestad y alude de manera genérica a las características básicas que definirán a esta sociedad que se constituiría como una sociedad anónima. En un artículo posterior, se hacen algunas precisiones sobre el régimen de transmisión y valoración de los activos que se transfieren, remitiéndose a un desarrollo posterior la regulación específica de estos extremos. La sociedad de gestión de activos se constituye como un instrumento que permitirá la concentración de aquellos activos considerados como problemáticos, facilitando su gestión. El capítulo VII introduce disposiciones sobre las acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y deuda subordinada que aclaran la cuestión de quién debe financiar las medidas de reestructuración y de resolución de una entidad bancaria. El principio del que se parte es que los accionistas y acreedores han de sufragar los gastos de la reestructuración o resolución, antes que los contribuyentes, en virtud de un principio evidente de responsabilidad y de asunción de riesgos. En consonancia, se establecen mecanismos voluntarios y obligatorios de gestión de instrumentos híbridos de capital, que afectarán tanto a las participaciones preferentes como a la deuda subordinada. Corresponde al FROB acordar la aplicación de estas acciones e instrumentarlas en los términos que permite la Ley, valorando la idoneidad de su aplicación. Conviene explicitar en este punto que, de acuerdo con el principio de responsabilidad y asunción de riesgos, el hecho de que una entidad de crédito pueda haber recibido apoyo financiero por razones de urgencia antes de la adopción expresa de una decisión sobre su reestructuración o resolución, no impedirá que el FROB, posteriormente, imponga acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada, siendo el objetivo de estas medidas, como acabamos de referir, que el coste a asumir por los contribuyentes sea el menor posible. El capítulo VIII establece el régimen jurídico del FROB, constituyendo una de las novedades más importantes a este respecto la modificación de la composición del órgano de gobierno del fondo. En primer lugar, se ha suprimido la participación que de acuerdo con la normativa anterior tenían las entidades de crédito en representación del Fondo de Garantía de Depósitos de Entidades de Crédito, ante la posibilidad de que generase situaciones de conflicto de interés, y se ha creado la figura de un Director General, que ostentará las competencias de carácter ejecutivo del Fondo. Además, se introducen reglas sobre la cooperación y coordinación entre el FROB y otras autoridades competentes, nacionales o internacionales, en términos similares a las ya existentes para instituciones como el Banco de España.
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Este capítulo contiene igualmente una referencia a las facultades del FROB en los procesos de resolución, que pueden tener carácter mercantil o administrativo; y se hace una referencia al carácter ejecutivo de las medidas de resolución, que no necesitarán el consentimiento de la junta o asamblea general, o de los accionistas, para su aplicación. El interés público presente en los procesos de reestructuración y resolución, que busca salvaguardar la estabilidad del sistema financiero, justifica la ejecutividad de estas medidas de resolución. El capítulo IX introduce finalmente, disposiciones relativas al régimen procesal de impugnación de las decisiones que adopte el FROB. Se parte de la distinción entre las decisiones y acuerdos adoptados por el FROB en el ejercicio de facultades mercantiles, que se impugnarán de acuerdo con las normas previstas para la impugnación de acuerdos sociales con las especificidades previstas en esta Ley, y los actos dictados en el ejercicio de sus facultades administrativas, que serán impugnados en vía contencioso administrativa con las especialidades previstas en este capítulo. Finalmente, en sus disposiciones adicionales y finales, la Ley introduce otro tipo de medidas de carácter heterogéneo, pero también de importancia, exigidas por el Memorando de Entendimiento, para la mejora del funcionamiento del mercado financiero. Así, por un lado se prevén medidas de protección del inversor, de manera que la Ley da respuestas decididas en relación con la comercialización de los instrumentos híbridos y otros productos complejos para el cliente minorista, entre los que se incluyen las participaciones preferentes, con el fin de evitar que se reproduzcan prácticas irregulares ocurridas durante los últimos años. Además, se intensifican los poderes de control que tiene la Comisión Nacional del Mercado de Valores en relación con la comercialización de productos de inversión por parte de las entidades, especialmente en relación con los citados productos complejos. Por otro lado, la Ley contribuye a realizar una clara separación entre las funzione atribuidas al Banco de España y al Ministerio de Economía y Competitividad en materia de autorización y sanción de las entidades de crédito, transfiriéndose al Banco de España aquellas funciones que antes correspondían al Ministerio de Economía y Competitividad. Otro aspecto de relevancia contenido en esta Ley es la modificación de los requerimientos de capital principal con los que deben cumplir los grupos consolidables de entidades de crédito así como las entidades no integradas en un grupo consolidable que establece el Real Decreto-ley 2/2011, de 18 de febrero, para el reforzamiento del sistema financiero. Concretamente, los requisitos actuales del ocho por cien con carácter general, y del diez por cien para las entidades con difícil acceso a los mercados de capitales y para las que predomine la financiación mayorista, se transformarán en un único requisito del nueve por cien que deberán cumplir a partir del 1 de enero de 2013. No sólo se modifica el nivel de exigencia de capital principal, sino también su definición, acompasándola, tanto en sus elementos computables como en sus deducciones a la utilizada por la Autoridad Bancaria Europea en su reciente ejercicio de recapitalización.
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CAPÍTULO I Disposiciones generales Artículo 1 Objeto Esta Ley tiene por objeto regular los procesos de actuación temprana, reestructuración y resolución de entidades de crédito, así como establecer el régimen jurídico del Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria, en adelante «el FROB» o «el Fondo», y su marco general de actuación, con la finalidad de proteger la estabilidad del sistema financiero minimizando el uso de recursos públicos. Artículo 2 Definiciones 1. A los efectos de esta Ley se entiende por: a. Actuación temprana: El procedimiento aplicable a una entidad de crédito cuando, de conformidad con lo previsto en el capítulo II, incumpla o existan elementos objetivos conforme a los que resulte razonablemente previsible que no pueda cumplir con los requerimientos de solvencia, liquidez, estructura organizzativa o control interno, pero se encuentre en disposición de retornar al cumplimiento por sus propios medios, sin perjuicio del apoyo financiero público excepcional y limitado previsto en el artículo 9.f) de esta Ley. b. Reestructuración: El procedimiento aplicable a una entidad de crédito cuando, de conformidad con lo previsto en el capítulo III, requiera apoyo financiero público para garantizar su viabilidad y resulte previsible que dicho apoyo será reembolsado o recuperado de acuerdo con lo previsto en el capítulo V, o cuando no pudiera llevarse a cabo su resolución sin efectos gravemente perjudiciales para la estabilidad del sistema financiero. c. Resolución: El procedimiento aplicable a una entidad de crédito cuando, de conformidad con lo previsto en el capítulo IV, esta sea inviable o sea previsible que vaya a serlo en un futuro próximo, y por razones de interés público y estabilidad financiera resulte necesario evitar su liquidación concursal. 2. Estos procedimientos tendrán como fin garantizar la continuidad de las funciones esenciales de la entidad, preservar la estabilidad financiera y asegurar su viabilidad a largo plazo de acuerdo con los principios y objetivos previstos en los artículos 3 y 4 de esta Ley. Artículo 3 Objetivos de la reestructuración y resolución Los procesos de reestructuración o de resolución de entidades de crédito
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perseguirán los siguientes objetivos, ponderados de forma equivalente y según las circunstancias presentes en cada caso: a. Asegurar la continuidad de aquellas actividades, servicios y operaciones cuya interrupción podría perturbar la economía o el sistema financiero y, en particular, los servicios financieros de importancia sistémica y los sistemas de pago, compensación y liquidación. b. Evitar efectos perjudiciales para la estabilidad del sistema financiero, previniendo el contagio de las dificultades de una entidad al conjunto del sistema y manteniendo la disciplina de mercado. c. Asegurar la utilización más eficiente de los recursos públicos, minimizando los apoyos financieros públicos que, con carácter extraordinario, pueda ser necesario conceder. d. Proteger a los depositantes cuyos fondos están garantizados por el Fondo de Garantía de Depósitos de Entidades de Crédito. e. Proteger los fondos reembolsables y demás activos de los clientes de las entidades de crédito. Artículo 4 Principios de la reestructuración y resolución 1. Los procesos de reestructuración y resolución estarán basados, en la medida necesaria para asegurar el cumplimiento de los objetivos recogidos en el artículo anterior, en los siguientes principios: a. Los accionistas, cuotapartícipes o socios, según corresponda, de las entidades serán los primeros en soportar pérdidas. b. Los acreedores subordinados de las entidades soportarán, en su caso, pérdidas derivadas de la reestructuración o de la resolución después de los accionistas, cuotapartícipes o socios y de acuerdo con el orden de prelación establecido en la legislación concursal, con las salvedades establecidas en esta Ley. c. Los acreedores del mismo rango serán tratados de manera equivalente salvo cuando en esta Ley se disponga lo contrario. d. Ningún acreedor soportará pérdidas superiores a las que habría soportado si la entidad fuera liquidada en el marco de un procedimiento concursal. e. En caso de resolución de una entidad, de conformidad con lo establecido en el artículo 22 de esta Ley, los administradores serán sustituidos. f. En aplicación de lo dispuesto en la legislación concursal, mercantil y penal, los administradores de las entidades responderán de los daños y perjuicios causados en proporción a su participación y la gravedad de aquellos. 2. Al objeto de la aplicación de los principios mencionados en el apartado anterior, y a efectos de determinar el reparto adecuado de los costes de reestructuración o resolución al que se refiere el Capítulo VII, el FROB no se considerará en ningún caso incluido entre los accionistas, cuotapartícipes, socios o acreedores a los que se refiere dicho apartado.
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Artículo 5 Valoración 1. Con carácter previo a la adopción de cualquier medida de reestructuración o de resolución y, en particular, a efectos de la aplicación de los instrumentos previstos en esta Ley, el FROB determinará el valor económico de la entidad o de los correspondientes activos y pasivos sobre la base de los informes de valoración encargados a uno o varios expertos independientes. 2. El objetivo de la valoración será determinar el valor económico de la entidad o de los correspondientes activos y pasivos de manera que puedan reconocerse las pérdidas que pudieran derivarse de la aplicación de los instrumentos que se vayan a utilizar. Esta valoración servirá de base siempre que se conceda apoyo financiero público a una entidad. 3. La valoración se sujetará al procedimiento y se realizará de conformidad con los criterios que determine con carácter general el FROB, mediante acuerdo de su Comisión Rectora, siguiendo metodologías comúnmente aceptadas. La valoración tomará como base las proyecciones económico-financieras de la entidad, con las modificaciones y ajustes que consideren procedentes los expertos designados por el FROB, y deberá tener en cuenta las circunstancias existentes en el momento de aplicación de los instrumentos que se vayan a utilizar y la necesidad de preservar la estabilidad financiera. En ningún caso se tendrán en cuenta para la determinación del valor económico de la entidad los apoyos financieros públicos recibidos o que se vayan a recibir del FROB, y que este hubiera desembolsado en virtud de cualquier tipo de asistencia financiera a una entidad. 4. El FROB solicitará informe previo al Banco de España sobre el procedimiento y criterios de valoración a los que se refiere el apartado anterior. 5. A los efectos que corresponda conforme a la normativa tributaria, se entenderá por valor de mercado el valor económico al que se refiere este artículo. CAPÍTULO II Actuación temprana Artículo 6 Condiciones para la actuación temprana 1. Cuando una entidad de crédito, o un grupo o subgrupo consolidable de entidades de crédito, incumpla o existan elementos objetivos conforme a los que resulte razonablemente previsible que no pueda cumplir con los requerimientos de solvencia, liquidez, estructura organizativa o control interno, pero se encuentre en disposición de retornar al cumplimiento por sus propios medios, sin perjuicio del apoyo financiero público excepcional previsto en el artículo 9.f) de esta Ley, el Banco de España podrá adoptar todas o algunas de las medidas establecidas en este capítulo.
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Reglamentariamente, se podrán precisar los indicadores objetivos que habrán de emplearse para determinar la presencia de las condiciones previstas en el párrafo anterior. 2. Las medidas contenidas en este capítulo serán compatibles con las previstas en la normativa vigente en materia de ordenación y disciplina. No obstante, no procederá la revocación de la autorización de una entidad de crédito, desde el momento en que aquella haya presentado un plan de actuación, salvo que dicha revocación tuviese carácter sancionador. Artículo 7 Plan de actuación 1. Cuando una entidad de crédito o un grupo o subgrupo consolidable de entidades de crédito se encuentre en alguna de las circunstancias descritas en el artículo anterior, la entidad, o la entidad obligada del grupo o subgrupo consolidable, informará de ello con carácter inmediato al Banco de España. En el plazo de quince días desde la notificación anterior, la entidad presentará al Banco de España un plan de actuación en el que se concreten las acciones previstas para asegurar la viabilidad a largo plazo de la entidad, grupo o subgrupo consolidable sin necesidad de apoyos financieros públicos. El plan deberá detallar, asimismo, el plazo previsto para su ejecución, que no podrá exceder de tres meses, contados desde su aprobación, salvo autorización expresa del Banco de España. 2. Sin perjuicio de lo dispuesto en el apartado anterior, cuando el Banco de España tenga conocimiento de que una entidad de crédito o un grupo o subgrupo consolidable de entidades de crédito se encuentra en alguna de las circunstancias descritas en el artículo anterior, requerirá al órgano de administración de la entidad para que examine la situación y le presente, en el plazo de quince días, el plan de actuación. 3. El plan de actuación se someterá a la aprobación del Banco de España, el cual podrá requerir las modificaciones o medidas adicionales que considere necesarias para garantizar la superación de la situación de deterioro a la que se enfrenta la entidad. La aprobación del plan exigirá informe favorable del FROB, en caso de que la entidad solicite apoyo financiero público, el cual deberá ser evacuado en el plazo improrrogable de diez días. El plazo para la aprobación definitiva del plan de actuación será de un mes a contar desde su presentación por la entidad. Artículo 8 Contenido del plan de actuación 1. El plan de actuación deberá incluir, además de un análisis de la situación de la entidad, un plan de negocio que, de manera proporcional y adecuada a las concretas circunstancias de aquella, incluya al menos los siguientes puntos:
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a. Objetivos específicos relativos a la eficiencia, rentabilidad, niveles de apalancamiento y liquidez de la entidad, grupo o subgrupo consolidable. b. Compromisos específicos en materia de solvencia. c. Compromisos específicos de mejora de su eficiencia, racionalización de su administración y gerencia, mejora de su gobierno corporativo, reducción de costes de estructura y redimensionamiento de su capacidad productiva. d. En el caso de que la entidad solicite apoyo financiero público, los términos en que este se va a prestar, de conformidad con lo previsto en el artículo 9.f) de esta Ley, y las medidas que hayan de implementarse para minimizar el uso de recursos públicos. 2. El Banco de España podrá, mediante Circular, aprobar reglas y principios generales concretando los objetivos y compromisos a los que se refiere el apartado anterior. 3. Si, como consecuencia de la evolución de la situación económico-financiera de la entidad o del desenvolvimiento de las condiciones de los mercados, se advirtiera que el plan de actuación no puede cumplirse en los términos en que fue aprobado, la entina podrá solicitar al Banco de España una modificación de dichos términos. La modificación del plan de actuaciones deberá ser informada previamente por el FROB en caso de que la entidad hubiese solicitado apoyo financiero público de conformidad con lo previsto en el artículo 9.f) de esta Ley. Artículo 9 Medidas de actuación temprana Desde el momento en que el Banco de España tenga conocimiento de que una entidad de crédito o un grupo o subgrupo consolidable de entidades de crédito se encuentra en alguna de las situaciones descritas en el artículo 6.1 de esta Ley, podrá adoptar las siguientes medidas: a. Requerir al órgano de administración de la entidad para que convoque, o bien convocar directamente si el órgano de administración no lo hace en el plazo requerido, a la junta o asamblea general de la entidad, así como proponer el orden del día y la adopción de determinados acuerdos. b. Requerir el cese y sustitución de miembros de los órganos de administración o directores generales y asimilados. c. Requerir la elaboración de un programa para la renegociación o reestructuración de su deuda con el conjunto o parte de sus acreedores. d. Sin perjuicio de lo previsto en la letra siguiente, adoptar cualquiera de las medidas establecidas en la normativa vigente en materia de ordenación y disciplina. e. En caso de que las medidas anteriores no fueran suficientes, acordar la sustitución provisional del órgano de administración de la entidad conforme a lo previsto en el artículo siguiente. f. Con carácter excepcional, y cumpliendo al efecto con la normativa española y de la Unión Europea en materia de competencia y ayudas
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de Estado y tratando de minimizar el uso de recursos públicos, requerir medidas de recapitalización de las previstas en el artículo 32 de esta Ley, en las que el plazo de recompra o amortización de los instrumentos convertibles en acciones no exceda de dos años, en cuyo caso el plan de actuación requerirá informe favorable del FROB y quedará sometido a lo previsto en los capítulos I, V y sección 2.ª del capítulo VIII de esta Ley. Esta medida solo resultará aplicable cuando existan elementos objetivos que hagan razonablemente previsible que la entidad vaya a estar en condiciones de comprar o amortizar los instrumentos convertibles en los términos comprometidos y, en todo caso, en el citado plazo máximo de dos años. Cualquier otra medida de recapitalización requerida por la entidad que no pueda cumplir con los anteriores requerimientos, solo podrá ser prestada dentro de un proceso de reestructuración o de resolución de los previstos en los capítulos III y IV de esta Ley. Artículo 10 Sustitución provisional del órgano de administración como medida de actuación temprana 1. El Banco de España podrá acordar la sustitución provisional del órgano de administración, de conformidad con el procedimiento establecido en el título III de la Ley 26/1988, de 29 de julio, sobre Disciplina e Intervención de las Entidades de Crédito, y con las especialidades previstas en este capítulo. 2. La sustitución provisional acordada al amparo de este artículo se mantendrá en vigor durante el plazo de un año. No obstante, este plazo podrá renovarse por periodos iguales hasta tanto se lleven a cabo las operaciones en que se concrete el plan de actuación. Artículo 11 Seguimiento del plan de actuación e información al Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria 1. Con periodicidad trimestral, la entidad remitirá al Banco de España un informe sobre el grado de cumplimiento de las medidas contempladas en el plan de actuación. El Banco de España dará traslado del informe al FROB. 2. Al objeto de que el FROB ejerza las competencias previstas en esta Ley, el Banco de España le informará: a. Cuando una entidad de crédito o un grupo o subgrupo consolidable de entidades de crédito se encuentre o existan elementos objetivos conforme a los que resulte razonablemente previsible que se vaya a encontrar en alguna de las circunstancias descritas en el artículo 6.1 de esta Ley. b. De la aprobación definitiva del plan de actuación, incluyendo, en su caso, las modificaciones o medidas adicionales requeridas por el Banco de España. c. De la finalización de la situación de actuación temprana.
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3. El Banco de España podrá requerir la adopción de las medidas necesarias para asegurar el cumplimiento del plan de actuación. 4. Procederá la apertura del proceso de reestructuración o de resolución cuando concurra alguna de las siguientes circunstancias: a. Si finalmente no fuera posible superar la situación de deterioro de la entidad y se presentara alguna de las circunstancias conforme a las que proceda la reestructuración o la resolución de la misma. b. En el plazo a que se refiere el artículo 7.2 de esta Ley, la entidad no presente el plan de actuación exigido o haya manifestado al Banco de España la imposibilidad de encontrar una solución viable para su situación. c. El plan presentado no fuera viable o se revelase insuficiente, a juicio del Banco de España, para superar la situación de debilidad a la que se enfrenta la entidad, o no se aceptasen por esta las modificaciones o medidas adicionales requeridas por el Banco de España. d. Se incumpliera gravemente por la entidad el plazo de ejecución o las medidas concretas contempladas en el plan de actuación o cualquiera de las medidas de actuación temprana impuestas por el Banco de España, de modo que se ponga en peligro la consecución de los objetivos de la actuación temprana. 5. Desde la aprobación del plan de actuación, el FROB podrá requerir al Banco de España toda la información relacionada con la entidad o su grupo o subgrupo consolidable que sea necesaria para preparar una eventual reestructuración o resolución. El FROB podrá, asimismo, realizar durante esta fase de actuación temprana las actuaciones necesarias para determinar el valor económico de la entidad a efectos de lo dispuesto en los artículos 5 y 30 de esta Ley. Artículo 12 Finalización de la situación de actuación temprana Cuando la entidad de crédito deje de encontrarse en las circunstancias descritas en el artículo 6.1 de esta Ley, el Banco de España declarará finalizada la situación de actuación temprana. CAPÍTULO III Reestructuración Artículo 13 Condiciones para la reestructuración Procederá la reestructuración de una entidad de crédito cuando esta requiera apoyo financiero público para garantizar su viabilidad y existan elementos objetivos que hagan razonablemente previsible que dicho apoyo será reembol-
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sado o recuperado en los plazos previstos para cada instrumento en el capítulo V. Asimismo, se podrá prever la reestructuración de una entidad de crédito sin la presencia de los elementos objetivos anteriores, cuando la resolución de la entidad produciría efectos gravemente perjudiciales para la estabilidad del sistema financiero en su conjunto, de modo que resulta preferible su reestructuración a efectos de minimizar el uso de recursos públicos. La gravedad de los efectos perjudiciales a los que se refiere el párrafo anterior, será determinada por el Banco de España en función de criterios como el volumen de las actividades, servicios y operaciones que la entidad presta sobre el conjunto del sistema financiero, su interconexión con el resto de entidades o las posibilidades de contagio de sus dificultades al conjunto del sistema financiero en caso de resolución. A los efectos de determinar si una entidad se encuentra en alguna de las circunstancias descritas en el primer párrafo se tendrá en cuenta igualmente la situación del grupo del que, en su caso, forme parte. Artículo 14 Plan de reestructuración 1. Cuando una entidad se encuentre en alguna de las circunstancias descritas en el artículo anterior, informará de ello con carácter inmediato al FROB y al Banco de España y, en plazo de quince días a contar desde la citada notificación, les presentará un plan de reestructuración en el que se concreten las medidas previstas para asegurar la viabilidad a largo plazo de la entidad. El plan deberá detallar, asimismo, el plazo previsto para su ejecución, que no podrá exceder de tres meses, desde su aprobación, salvo autorización expresa del FROB. 2. Sin perjuicio de lo dispuesto en el apartado anterior, cuando el Banco de España tenga conocimiento de que una entidad se encuentra en alguna de las circunstancias descritas en el artículo 13 de esta Ley, requerirá al órgano de administración de la entina que examine la situación y presente, en el plazo de quince días, el plan de reestructuración. 3. El FROB, antes de acordar la elevación del plan de reestructuración al Banco de España para su aprobación, podrá requerir las modificaciones del plan presentado o las medidas adicionales que considere necesarias para garantizar la superación de la situación de deterioro a la que se enfrenta la entidad y asegurar los objetivos y principios señalados en los artículos 3 y 4 de esta Ley. 4. El plan de reestructuración será sometido a la aprobación del Banco de España, que lo valorará en el marco de sus competencias como autoridad responsable de la supervisión de la solvencia, actuación y cumplimiento de la normativa específica de las entidades de crédito y de sus competencias en relación con la promoción del buen funcionamiento y estabilidad del sistema financiero y los sistemas de pagos. El plazo para la aprobación del plan de reestructuración será de un mes a contar desde su presentación por la entidad.
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5. Con carácter previo a la aprobación del correspondiente plan de reestructuración, el Banco de España solicitará informe a los órganos competentes de las Comunidades Autónomas en que tengan su domicilio las cajas de ahorros y, en su caso, las cooperativas de crédito involucradas, que deberá ser remitido en el plazo de diez días. 6. La aprobación por el Banco de España del plan de reestructuración determinará que las concretas operaciones mediante las que se instrumente la reestructuración, incluidas las eventuales adquisiciones de participaciones significativas y las modificaciones estatutarias que, en su caso, se produzcan como consecuencia de dichas operaciones, no requieran ninguna autorización administrativa ulterior en el ámbito de la normativa de las entidades de crédito. 7. Asimismo, el FROB elevará al Ministro de Hacienda y Administraciones Públicas y al Ministro de Economía y Competitividad una memoria económica en la que se detalle el impacto financiero del plan de reestructuración presentado sobre los fondos aportados con cargo a los Presupuestos Generales del Estado. Sobre la base de los informes emitidos por la Secretaría General del Tesoro y Política Financiera y por la Intervención General de la Administración del Estado, el Ministro de Hacienda y Administraciones Públicas podrá oponerse, motivadamente, en el plazo de cinco días hábiles desde que le sea elevada dicha memoria. Artículo 15 Instrumentos de reestructuración 1. Los instrumentos de reestructuración son: a. El apoyo financiero en los términos previstos en el capítulo V. b. La transmisión de activos o pasivos a una sociedad de gestión de activos. 2. El FROB podrá adoptar los instrumentos anteriores individual o conjuntamente. Artículo 16 Contenido del plan de reestructuración El contenido del plan de reestructuración incluirá, además de los elementos previstos en el artículo 8 de esta Ley para los planes de actuación, los instrumentos de reestructuración que se vayan a implementar de los previstos en el artículo 15. Además, incluirá un análisis de la situación de la entidad conforme al que se justifique, o bien su capacidad para que el apoyo financiero público solicitado pueda ser recuperado o reembolsado en el plazo previsto para cada instrumento o, en caso contrario, los efectos gravemente perjudiciales para la estabilidad del sistema financiero que generaría su resolución. Asimismo, deberá recoger las medidas que hayan de implementarse para minimizar el uso de recursos públicos y, en particular, las acciones de gestión de los instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada que se vayan a realizar, para ase-
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gurar un adecuado reparto de los costes de reestructuración de la entidad conforme a los objetivos y principios establecidos en los artículos 3 y 4 de esta Ley. El plan de reestructuración habrá de contener una mención al plazo de reembolso o recuperación del apoyo financiero que en su caso se hubiera proporcionado. El FROB podrá incluir, a propuesta del Banco de España, cualquier medida de actuación temprana, en los planes de reestructuración. Artículo 17 Seguimiento del plan de reestructuración e información al Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria 1. Con periodicidad trimestral, la entidad remitirá al FROB y al Banco de España un informe sobre el grado de cumplimiento de las medidas contempladas en el plan de reestructuración y de su situación de liquidez. 2. Al objeto de que el FROB ejerza las competencias previstas en esta Ley, el Banco de España le informará: a. Cuando tenga conocimiento o existan elementos objetivos conforme a los que resulte razonablemente previsible que una entidad de crédito no vaya a efectuar el reembolso de los apoyos financieros públicos dentro de los plazos previstos o vaya a incumplir cualquier otra medida de reestructuración. b. De la aprobación definitiva del plan de reestructuración. c. De la finalización de la situación de reestructuración. 3. El Banco de España o el FROB podrán requerir la adopción de las medidas necesarias para asegurar el cumplimiento del plan de reestructuración y, en todo caso, el Banco de España podrá ejercer las potestades del artículo 9 de esta Ley, y si finalmente no fuera posible superar la situación de deterioro de la entidad o el apoyo financiero público no fuera reembolsado o recuperado en los términos comprometidos o si, a juicio del Banco de España, los efectos perjudiciales para la estabilidad del sistema financiero que impedían la resolución resultaran ya insuficientes, el Banco de España procederá a la apertura del proceso de resolución de la entidad de conformidad con lo previsto en el capítulo IV. 4. Durante todo el proceso de reestructuración, el FROB podrá requerir a la entina toda la información, relacionada con la entidad o su grupo o subgrupo consolidable, necesaria para preparar una eventual resolución. Artículo 18 Finalización del proceso de reestructuración Cuando la entidad de crédito deje de encontrarse en las circunstancias descritas en el artículo 13 de esta Ley, el Banco de España declarará finalizado el proceso de reestructuración.
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CAPÍTULO IV Resolución Sección 1.ª Presupuestos de resolución Artículo 19 Condiciones para la resolución 1. Sin perjuicio de lo dispuesto en los artículos 11.4 y 17.3 de esta Ley, procederá la resolución de una entidad de crédito cuando concurran, simultáneamente, sobre ella las dos circunstancias siguientes: a. La entidad es inviable o es razonablemente previsible que vaya a serlo en un futuro próximo. b. Por razones de interés público, resulta necesario o conveniente acometer la resolución de la entidad para alcanzar alguno de los objetivos mencionados en el artículo 3 de esta Ley, por cuanto la disolución y liquidación de la entidad en el marco de un procedimiento concursal no permitiría razonablemente alcanzar dichos objetivos en la misma medida. 2. Asimismo, procederá la resolución de una entidad de crédito cuando, además de la circunstancia prevista en la letra b) del apartado anterior, concurra alguna otra de las siguientes: a. En el plazo del artículo 14.2 de esta Ley, la entidad no presente el plan de reestructuración exigido o haya manifestado al Banco de España la imposibilidad de encontrar una solución viable para su situación. b. El plan presentado no fuera adecuado, a juicio del Banco de España, en los términos previstos en el artículo 14 de esta Ley, o no se aceptasen por la entidad las modificaciones o medidas adicionales requeridas. c. Se incumpliera por la entidad el plazo de ejecución o cualquiera de las medidas concretas contempladas en el plan de reestructuración, de modo que se ponga en peligro la consecución de los objetivos de la reestructuración. Artículo 20 Concepto de entidad inviable 1. Se entenderá que una entidad de crédito es inviable si: a. La entidad se encuentra en alguna de las siguientes circunstancias: i. la entidad incumple de manera significativa o es razonablemente previsible que incumpla de manera significativa en un futuro próximo los requerimientos de solvencia; o, ii. los pasivos exigibles de la entidad son superiores a sus activos o es razonablemente previsible que lo sean en un futuro próximo; o, iii. la entidad no puede o es razonablemente previsible que en un futuro próximo no pueda cumplir puntualmente sus obligaciones exigibles.
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b. Y no es razonablemente previsible que la entidad pueda reconducir la situación en un plazo de tiempo razonable por sus propios medios, acudiendo a los mercados o mediante los apoyos financieros a los que se refiere el Capítulo V. A los efectos de considerar que una entidad de crédito es inviable o es razonablemente previsible que vaya a serlo en un futuro próximo, se tendrá en cuenta igualmente la situación financiera del grupo del que, en su caso, forme parte. 2. Los criterios previstos en el apartado anterior serán desarrollados reglamentariamente. Sección 2.ª Procedimiento de resolución Artículo 21 Apertura del proceso de resolución Cuando una entidad resulte inviable conforme a lo previsto en el artículo anterior y no resulte procedente la reestructuración, el Banco de España, de oficio o a propuesta del FROB, acordará la apertura inmediata del proceso de resolución, dando cuenta motivada de su decisión al Ministro de Economía y Competitividad y al FROB. Asimismo, el Banco de España informará sin demora de la decisión adoptada a la entidad y, en su caso, a la autoridad de la Unión Europea responsable de la supervisión del grupo eventualmente afectado y a la Autoridad Bancaria Europea. Artículo 22 Sustitución del órgano de administración como medida de resolución 1. Tras la apertura del proceso de resolución conforme a lo previsto en el artículo anterior, el Banco de España acordará la sustitución del órgano de administración de la entidad al amparo de lo establecido en la Ley 26/1988, de 29 de julio, sobre Disciplina e Intervención de las Entidades de Crédito, con las especialidades previstas en esta Ley, y designará como administrador de la entidad al FROB, que, a su vez, nombrará a la persona o personas físicas o jurídicas que, en su nombre, ejercerán las funciones y facultades propias de esa condición. El Banco de España podrá no sustituir al órgano de administración de la entidad en aquellos supuestos extraordinarios en los que, a la vista de la composición del accionariado o del órgano de administración de la entidad en el momento de la apertura del proceso de resolución, no resulte necesario proceder a dicha sustitución para garantizar el adecuado desarrollo del proceso de resolución y, en particular, cuando el FROB esté en disposición de controlar el órgano de administración de la entidad en virtud de los derechos políticos de que disponga.
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2. La medida anterior se mantendrá en vigor hasta que se complete el proceso de resolución. 3. En su condición de administrador de la entidad, el FROB tendrá como objetivo promover las soluciones y adoptar las medidas necesarias para resolver la situación en que se encuentra la entidad y velar por sus intereses, siempre de conformidad con los objetivos y principios previstos en los artículos 3 y 4 de esta Ley. Artículo 23 Plan de resolución 1. En el plazo de dos meses desde su designación como administrador o, en el caso de que posea una participación que le otorgue el control del órgano de administración de la entidad, desde que se le comunique la apertura del proceso de resolución, el FROB elaborará un plan de resolución para la entidad o, en su caso, determinará la procedencia de la apertura de un procedimiento concursal. En este último caso, el FROB se lo comunicará inmediatamente al Banco de España, al Ministro de Economía y Competitividad y al Fondo de Garantía de Depósitos de Entidades de Crédito. A petición razonada del FROB, el Banco de España podrá ampliar el citado plazo de dos meses hasta un máximo de seis. 2. El plan de resolución deberá recoger, al menos, el siguiente contenido: a. Las condiciones sobre las que se sustenta la apertura del proceso de resolución conforme a lo previsto en el artículo 19 de esta Ley. b. Los instrumentos de resolución ya implementados o que tenga previsto implementar el FROB, y las facultades de que pretenda hacer uso a tal efecto, así como los compromisos adoptados para minimizar el uso de recursos públicos y las eventuales distorsiones a la competencia que pudieran resultar de tales instrumentos y facultades. c. Las medidas de apoyo financiero que vaya a implementar el Fondo de Garantía de Depósitos de Entidades de Crédito conforme a la normativa correspondiente. A estos efectos, el FROB, conforme al principio de utilización más eficiente de los recursos públicos, podrá otorgar financiación, en condiciones de mercado, al Fondo de Garantía de Depósitos de Entidades de Crédito a fin de que este pueda acometer las funzione que tiene atribuidas. d. La valoración económica de la entidad o de sus correspondientes activos y pasivos. e. Las acciones de gestión de los instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada que se vayan a realizar. f. El plazo máximo de ejecución. 3. El Banco de España, con carácter previo a aprobar el correspondiente plan de resolución, solicitará informe a los órganos competentes de las Comunidades Autónomas en que tengan su domicilio las cajas de ahorros y, en su caso, las cooperativas de crédito afectadas, que deberá ser remitido en el plazo de diez días.
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4. El plan de resolución será sometido a la aprobación del Banco de España, que lo valorará en el marco de sus competencias como autoridad responsable de la supervisión de la solvencia, actuación y cumplimiento de la normativa específica de las entidades de crédito y de sus competencias en relación con la promoción del buen funcionamiento y estabilidad del sistema financiero y los sistemas de pagos. Las modificaciones posteriores del plan de resolución que pueda acordar el FROB, para la implementación de nuevos instrumentos o para la modificación de los ya incluidos, serán sometidas al mismo procedimiento de aprobación por parte del Banco de España. 5. La aprobación por el Banco de España del plan de resolución determinará que las concretas operaciones mediante las que se instrumente la resolución, incluidas las eventuales adquisiciones de participaciones significativas y las modificaciones estatutarias que, en su caso, se produzcan como consecuencia de dichas operaciones, no requieran ninguna autorización administrativa ulterior en el ámbito de la normativa sobre entidades de crédito. Artículo 24 Medidas preliminares El Banco de España, cuando aprecie indicios fundados de la posible concurrencia de las condiciones para la resolución, con carácter previo a la eventual apertura de un proceso de resolución y con el objeto de reducir o eliminar los obstáculos que durante este pudieran presentarse, podrá acordar las siguientes medidas: a. Requerir la suscripción de contratos de prestación de servicios para asegurar la efectividad de los de carácter crítico, ya sea con entidades del grupo o con terceros. b. Requerir la limitación de las exposiciones de la entidad a nivel individual y agregado. c. Imponer requisitos de información específicos o regulares adicionales, incluyendo, entre otros, el mantenimiento de archivos y registros específicos y detallados de las operaciones financieras y acuerdos de compensación contractual a los que se refiere la sección 2.ª del capítulo II del título I del Real Decreto-ley 5/2005, de 11 de marzo, de reformas urgentes para el impulso a la productividad y para la mejora de la contratación pública. d. Requerir la desinversión de determinados activos. e. Requerir la limitación o cese de determinadas actividades que viniera desarrollando o que proyectara desarrollar en el futuro. f. Restringir o impedir el desarrollo o venta de nuevas líneas de negocio o productos. g. Requerir cambios en la estructura legal u operativa de la entidad, grupo o subgrupo consolidable, reduciendo su complejidad, con el objetivo de que los servicios críticos puedan ser legal y económicamente separados de otros servicios mediante la adopción de medidas de resolución.
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Sección 3.ª Instrumentos específicos de resolución Artículo 25 Instrumentos de resolución 1. Los instrumentos de resolución son: a. La venta del negocio de la entidad. b. La transmisión de activos o pasivos a un banco puente. c. La transmisión de activos o pasivos a una sociedad de gestión de activos. d. El apoyo financiero a los adquirentes del negocio, al banco puente o a la sociedad de gestión de activos cuando resulte necesario para facilitar la implementación de los instrumentos anteriores y para minimizar el uso de recursos públicos. 2. El FROB podrá adoptar los instrumentos anteriores individual o conjuntamente. 3. Si se aplicaran de manera parcial los instrumentos de resolución, una vez realizada la transmisión parcial del negocio o de los activos y pasivos, la entidad se disolverá y liquidará en el marco de un procedimiento concursal. Artículo 26 Venta del negocio de la entidad 1. El FROB podrá acordar y ejecutar la transmisión a un adquirente que no sea un banco puente de: a. Las acciones, cuotas participativas o aportaciones al capital social o, con carácter general, instrumentos representativos del capital o equivalente de la entidad o convertibles en ellos, cualesquiera que sean sus titulares. b. Todo o parte de los activos y pasivos de la entidad. 2. La transmisión a la que se refiere el apartado anterior se realizará en representación y por cuenta de los accionistas de la entidad, pero sin necesidad de obtener su consentimiento ni el de terceros diferentes del comprador, y sin tener que cumplir los requisitos de procedimiento exigidos en materia de modificaciones estructurales de las sociedades mercantiles. Se realizará, asimismo, en condiciones de mercado teniendo en cuenta las circunstancias del caso concreto. 3. Las limitaciones u obligaciones legales mencionadas en las letras a), b) y d) del artículo 33.1 de esta Ley tampoco resultarán de aplicación a las personas o entidades que, en ejecución de lo establecido en el correspondiente plan de resolución, hayan adquirido las acciones, cuotas, aportaciones o instrumentos. 4. Para determinar el importe resultante de la transmisión que deba abonarse a la entidad o a sus accionistas, se deducirán del precio de venta los gastos, administrativos y de cualquier otra naturaleza, incurridos por el FROB, incluyendo el coste de los instrumentos de apoyo financiero que este hubiera
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podido adoptar de conformidad con lo dispuesto en el artículo 28 de esta Ley, que se reembolsarán previamente al propio FROB con cargo al precio de venta. 5. El FROB podrá aplicar este instrumento de resolución en una o varias occasione y a favor de uno o varios adquirentes. 6. Para seleccionar al adquirente o adquirentes, el FROB desarrollará un procedimiento competitivo con las siguientes características: a. Será transparente, teniendo en cuenta las circunstancias del caso concreto y la necesidad de salvaguardar la estabilidad del sistema financiero. b. No favorecerá o discriminará a ninguno de los potenciales adquirentes. c. Se adoptarán las medidas necesarias para evitar situaciones de conflicto de interés. d. Tomará en consideración la necesidad de aplicar el instrumento de resolución lo más rápido posible. e. Tendrá entre sus objetivos el maximizar el precio de venta y minimizar el uso de recursos públicos. 7. Cuando, en los términos previstos en el artículo 68 de esta Ley, el desarrollo del procedimiento al que se refiere el apartado anterior pudiera dificultar la consecución de alguno de los objetivos enumerados en el artículo 3 y, en particular, cuando se justifique adecuadamente que existe una seria amenaza para la estabilidad del sistema financiero como consecuencia de la situación de la entidad o se constate que el desarrollo de dicho procedimiento puede dificultar la efectividad del instrumento de resolución, la selección del adquirente o adquirentes podrá realizarse sin necesidad de cumplir con todos los requisitos de procedimiento indicados en el apartado anterior. La justificación de este procedimento singular de selección se comunicará a la Comisión Europea, a efectos de lo establecido en la normativa en materia de ayudas de Estado y defensa de la competencia. Artículo 27 Banco puente 1. El FROB podrá acordar y ejecutar la transmisión a un banco puente de todo o parte de los activos y pasivos de la entidad. 2. A efectos de lo dispuesto en este artículo se considerará banco puente a una entidad de crédito, incluida en su caso la propia entidad en resolución, participada por el FROB, cuyo objeto sea el desarrollo de todas o parte de las actividades de la entidad en resolución y la gestión de todo o parte de sus activos y pasivos. El banco puente deberá cumplir con las normas de ordenación y disciplina aplicables a las entidades de crédito y estará sometido al mismo régimen de supervisión y sanción. 3. El valor total de los pasivos transmitidos al banco puente no podrá exceder del valor de los activos transmitidos desde la entidad o desde cualquier otra procedencia, incluyendo los relativos al apoyo financiero al que se refiere el artículo 25.1.d) de esta Ley.
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4. El FROB podrá aplicar este instrumento en una o varias ocasiones y a favor de uno o varios bancos puente, así como transmitir activos y pasivos de un banco puente a la entidad o a un tercero. 5. El banco puente será administrado y gestionado con el objetivo de venderlo, o bien vender sus activos o pasivos, cuando las condiciones sean apropiadas y, en todo caso, en un plazo máximo de cinco años desde su constitución o adquisición por el FROB. La venta del banco puente o de sus activos o pasivos se realizará en condiciones de mercado y se desarrollará en el marco de procedimientos competitivos, transparentes y no discriminatorios. El resultado de la venta corresponderá al banco puente o a sus accionistas, según corresponda, con deducción, en su caso, de los mismos gastos señalados en el artículo 26.4 de esta Ley. 6. El banco puente cesará en su actividad como tal transcurrido un año desde que deje de estar participado por el FROB, o desde que se traspase la totalidad o la mayor parte de sus activos y pasivos a otra entidad y, en todo caso, en un plazo máximo de seis años desde su constitución. En caso de que el banco puente deje de resultar operativo como tal, el FROB procederá a su liquidación, siempre y cuando ostentase la mayoría del capital social. 7. La creación y gestión del banco puente perseguirá la utilización más eficiente de los recursos públicos y minimizar los apoyos financieros públicos, teniendo en cuenta la necesidad de asegurar la estabilidad financiera. A tales efectos, se podrá adoptar esta medida por razones de urgencia, en los términos previstos en el artículo 68 de esta Ley. CAPÍTULO V Instrumentos de apoyo financiero Artículo 28 Instrumentos de apoyo financiero 1. El FROB podrá adoptar instrumentos de apoyo financiero en la medida necesaria para alcanzar los objetivos enumerados en el artículo 3, tomando en consideración los principios enumerados en el artículo 4 de esta Ley. Con carácter previo a la decisión de adopción de instrumentos de apoyo financiero a los que se refiere este artículo, el FROB elevará al Ministro de Hacienda y Administraciones Públicas y al Ministro de Economía y Competitividad una memoria económica en la que se detalle el impacto financiero de ese apoyo sobre los fondos aportados al FROB con cargo a los Presupuestos Generales del Estado. Sobre la base de los informes que emitan al efecto la Secretaría General del Tesoro y Política Financiera y la Intervención General de la Administración del Estado, el Ministro de Hacienda y Administraciones Públicas podrá oponerse, motivadamente, a la adopción de
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dichos instrumentos de apoyo financiero en el plazo de cinco días hábiles desde que le sea elevada dicha memoria. 2. El apoyo financiero del FROB podrá concretarse, entre otras, en una o varias de las siguientes medidas: a. El otorgamiento de garantías. b. La concesión de préstamos o créditos. c. La adquisición de activos o pasivos, pudiendo mantener su gestión o encomendarla a un tercero. d. La recapitalización en los términos previstos en el artículo 29 de esta Ley. Según se trate de procesos de reestructuración, de conformidad con lo previsto en el capítulo III, o de resolución, de conformidad con lo previsto en el capítulo IV, las medidas de apoyo financiero antes mencionadas podrán adoptarse en relación con la entidad, las entidades de su grupo, el adquirente al que hace referencia el artículo 26 de esta Ley, un banco puente o una sociedad de gestión de activos. En cualquier caso, se entenderá que resultan beneficiarias de los apoyos enumerados anteriormente, tanto las entidades que los reciban directamente como aquellas otras que se encuentren controladas por las anteriores. 3. Cuando el FROB proceda a enajenar los activos o pasivos que haya podido adquirir de conformidad con lo previsto en la letra c) del apartado 2 de este artículo, la enajenación deberá realizarse a través de procedimientos que aseguren la competencia. 4. En el supuesto de que las entidades que reciben apoyo financiero conforme a lo previsto en este Capítulo hubieran emitido previamente instrumentos convertibles suscritos por el FROB, deberán proceder, si así lo solicita el FROB, a su inmediata conversión en acciones ordinarias o aportaciones al capital social en los términos previstos en las correspondientes escrituras públicas de emisión. En caso de que las correspondientes entidades sean cajas de ahorros, adoptarán necesariamente el régimen previsto en la Disposición adicional quinta del Real Decreto-ley 2/2011, de 18 de febrero, para el reforzamiento del sistema financiero, en materia de acuerdos relativos a su participación en el banco a través del cual desarrollen, en su caso, su actividad como entidad de crédito. 5. La utilización por parte del FROB de instrumentos de apoyo financiero no reducirá las pérdidas derivadas de la reestructuración o la resolución que corresponde soportar a los accionistas, cuotapartícipes o socios y acreedores subordinados de conformidad con lo previsto en esta Ley y en especial, tomando en consideración los principios enumerados en las letras a) y b) del artículo 4.1. 6. A efectos de la aplicación de la Ley 22/2003, de 9 de julio, Concursal, los credito del FROB serán considerados créditos con privilegio general. 7. El otorgamiento de garantías por parte del FROB quedará sujeto a los límites que al efecto se establezcan en las correspondientes leyes anuales de Presupuestos Generales del Estado.
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Artículo 29 Instrumentos de recapitalización 1. El FROB podrá suscribir o adquirir, en las condiciones establecidas en este Capítulo, los instrumentos que se detallan a continuación emitidos por aquellas entidades que, en el marco de lo dispuesto en los capítulos III y IV, necesiten apoyo financiero: a. Acciones ordinarias o aportaciones al capital social. b. Instrumentos convertibles en los instrumentos mencionados en la letra a). La suscripción o adquisición se hará de conformidad con los principios ycriterios que el FROB pueda establecer al efecto, previo informe del Banco de España. 2. Estos instrumentos serán computables en todo caso como recursos propios básicos y como capital principal, sin perjuicio de su especial tratamiento en relación con las acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y deuda subordinada previstas en el capítulo VII. No les serán de aplicación las limitaciones legalmente establecidas para la computabilidad de los recursos propios y del capital principal, ni será obbligatorio que coticen en un mercado secundario organizado. 3. El FROB podrá anticipar en forma de préstamo el precio de suscripción o adquisición de los instrumentos a los que se refiere este artículo en los términos previstos en el apartado 3 de la Disposición adicional quinta del Real Decreto-Ley 21/2012, de 13 de julio, de medidas de liquidez de las Administraciones públicas y en el ámbito financiero. Artículo 30 Valor económico de la entidad y pago de los instrumentos de recapitalización 1. El precio de suscripción, adquisición o conversión de los instrumentos de recapitalización se fijará aplicando al valor económico de la entidad el descuento que resulte aplicable de acuerdo con la normativa de la Unión Europea en materia de competencia y ayudas de Estado. La fijación del precio de suscripción, adquisición o conversión se realizará previo informe de la Intervención General de la Administración del Estado relativo al cumplimiento de las reglas de procedimiento aplicables para su determinación. 2. El pago del precio de suscripción o adquisición de los instrumentos a los que se refiere este artículo podrá realizarse en efectivo o mediante la entrega de valores representativos de deuda pública, de valores emitidos por la Facilidad Europea de Estabilización Financiera o por el Mecanismo Europeo de Estabilidad, o de valores emitidos por el propio FROB. Asimismo, el FROB podrá satisfacer dicho precio mediante compensación de los créditos que ostente frente a las correspondientes entidades. 3. Para ser beneficiarias de la actuación del FROB prevista en este artículo,
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las cajas de ahorros deberán traspasar previamente su actividad financiera a un banco con arreglo a lo dispuesto en los artículos 5 ó 6 del Real Decreto-ley 11/2010, de 9 de julio, de órganos de gobierno y otros aspectos del régimen jurídico de las cajas de ahorros, en el plazo máximo de tres meses desde la fecha en la que se les notifique la aprobación del plan de reestructuración. Asimismo, si la entidad solicitante de la actuación del FROB prevista en este artículo fuera un banco participado conjuntamente por cajas de ahorros conforme a lo dispuesto en el artículo octavo.3 de la Ley 13/1985, de 25 de mayo, de Coeficientes de Inversión, Recursos Propios y Obligaciones de Información de los Intermediarios Financieros, aquellas deberán traspasar toda su actividad financiera al banco y ejercer su actividad con arreglo a lo dispuesto en los artículos 5 ó 6 del Real Decreto-ley 11/2010, de 9 de julio, en el plazo máximo de tres meses desde la fecha en la que se les notifique la aprobación del plan de reestructuración. Artículo 31 Acciones ordinarias o aportaciones al capital social
1. Con anterioridad a la adquisición por el FROB de acciones ordinarias o la realización de aportaciones al capital social, la entidad deberá adoptar las medidas necesarias para que dicha adquisición o aportación suponga una participación en su capital social que se ajuste al valor económico de la entidad resultante del proceso de valoración. 2. El régimen jurídico del FROB no se extenderá a las entidades de crédito por él participadas de conformidad con lo previsto en este artículo, que habrán de regirse por el ordenamiento jurídico privado que resulte de aplicación. 3. La suscripción o adquisición de estos instrumentos determinará, en todo caso, por sí misma y sin necesidad de ningún otro acto o acuerdo, salvo la notificación correspondiente al Registro Mercantil de los votos que le corresponden, la atribución al FROB de los derechos políticos correspondientes y su incorporación al órgano de administración de la entidad emisora. El FROB nombrará a la persona o personas físicas que ostenten su representación a tal efecto y dispondrá en el órgano de administración de tantos votos como los que resulten de aplicar al número total de votos su porcentaje de participación en la entidad, redondeado al entero más cercano. A efectos de lo previsto en el apartado séptimo del artículo 5 del Real Decreto-ley 11/2010, de 9 de julio, de órganos de gobierno y otros aspectos del régimen jurídico de las cajas de ahorro, no se tendrá en cuenta la participación del FROB en el capital social de una entidad. 4. A fin de asegurar una mayor eficiencia en el uso de los recursos públicos y cumpliendo al efecto con la normativa española y de la Unión Europea en materia de competencia y ayudas de Estado, la desinversión por el FROB de los instrumentos a los que se refiere este artículo se realizará mediante
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su enajenación a través de procedimientos que aseguren la competencia y dentro de un plazo no superior a los cinco años a contar desde la fecha de su suscripción o adquisición. El FROB podrá adoptar cualquiera de los instrumentos de apoyo financiero a los que se refiere el artículo 28 de esta Ley para apoyar el procedimiento competitivo de desinversión. El FROB podrá concurrir junto con alguno o algunos de los demás socios o accionistas de la entidad a los eventuales procesos de venta de títulos en los mismos términos que estos puedan concertar. 5. La enajenación se realizará previo informe de la Intervención General de la Administración del Estado, relativo al cumplimiento de las reglas de procedimento aplicables para su ejecución. Asimismo, los procesos de desinversión de participaciones significativas llevados a cabo por entidades de crédito controladas por el FROB, de conformidad con los correspondientes planes de reestructuración y resolución, a través de participaciones directas o indirectas, y con independencia de que dichas entidades estén sujetas al Derecho privado, serán objeto de informe del Ministerio de Hacienda y Administraciones Públicas en lo relativo a su adecuación a los principios de publicidad y concurrencia. Corresponderá a la Comisión Rectora del FROB la delimitación del concepto de participación significativa. Artículo 32 Instrumentos convertibles en acciones ordinarias o aportaciones al capital social 1. En el momento de la adopción del acuerdo de emisión de estos instrumentos, la entidad emisora deberá aprobar los acuerdos necesarios para la ampliación de capital o la suscripción de aportaciones al capital en la cuantía necesaria. 2. La entidad deberá comprometerse a comprar o amortizar los instrumentos suscritos o adquiridos por el FROB tan pronto como esté en condiciones de hacerlo en los términos previstos, y en todo caso en un plazo no superior a cinco años. Además, el acuerdo de emisión deberá prever la convertibilidad de los títulos por decisión unilateral del FROB si, antes del transcurso del plazo de cinco años, el FROB, previo informe del Banco de España, considera improbable, a la vista de la situación de la entidad o su grupo, que su recompra o amortización pueda llevarse a cabo en ese plazo. Artículo 33 Régimen especial de la suscripción o adquisición por parte del FROB de los instrumentos de recapitalización 1. Cuando el FROB suscriba o adquiera cualquiera de los instrumentos de recapitalización señalados en los artículos anteriores, no le resultarán de aplicación: a. Las limitaciones estatutarias del derecho de asistencia a las juntas o asambleas generales o del derecho a voto.
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b. Las limitaciones a la adquisición de aportaciones al capital social de cooperativas de crédito. c. Las limitaciones que la ley establece a la computabilidad de los recursos propios y del capital principal, o, con carácter general, las limitaciones establecidas en cada momento en relación con los requerimientos de solvencia. d. La obligación de presentar oferta pública de adquisición con arreglo a la normativa sobre mercados de valores. 2. Cuando el FROB suscriba o adquiera aportaciones al capital social de una cooperativa de crédito, el quórum de asistencia a la asamblea y las mayorías necesarias para la adopción de acuerdos se calcularán, y los derechos de voto se atribuirán, en proporción al importe de las aportaciones respecto al capital social de la cooperativa. 3. En caso de que se acuerde la supresión del derecho de suscripción preferente de los accionistas, no será necesaria la obtención del informe de auditor de cuentas exigido por el texto refundido de la Ley de Sociedades de Capital, aprobado por el Real Decreto Legislativo 1/2010, de 2 de julio. Asimismo, en caso de que se emitan los instrumentos a los que se refiere el artículo 29.1.b) de esta Ley, tampoco será necesario el informe de auditor de cuentas exigido por la Ley de Sociedades de Capital, sobre las bases y modalidades de la conversión. Artículo 34 Conversión y desinversión de los instrumentos convertibles en acciones ordinarias o aportaciones al capital social 1. Transcurridos cinco años desde el desembolso o adquisición sin que los títulos hayan sido recomprados o amortizados por la entidad, el FROB podrá solicitar su conversión. El ejercicio de esta facultad deberá realizarse, en su caso, en el plazo máximo de seis meses contados a partir de la finalización del quinto año desde que se produjo el desembolso o adquisición. Si como consecuencia de la evolución de la situación económico-financiera de la entidad o del desenvolvimiento de las condiciones de los mercados no pudieran cumplirse los objetivos establecidos en el plan de actuación, de reestructuración o de resolución, podrá extenderse el plazo mencionado en el párrafo anterior hasta dos años más. 2. La entidad y sus accionistas adoptarán los acuerdos y realizarán las actuaciones necesarias para asegurar que la conversión, cumpliendo al efecto con la normativa de la Unión Europea en materia de competencia y ayudas de Estado, se realiza en condiciones de mercado y competencia y de acuerdo con el valor económico de la entidad, de conformidad con lo establecido en el artículo 30 de esta Ley, debiendo a tal efecto instrumentar las operaciones de transmisión de acciones o aportaciones o de reducción de capital, ya sea por compensación de pérdidas, constitución o incremento de reservas o devolución del valor de aportaciones, que resulten oportunas.
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La conversión se realizará previo informe de la Intervención General de la Administración del Estado, relativo al cumplimiento de las reglas de procedimento aplicables para su ejecución. 3. Sin perjuicio de cualesquiera otras acciones y responsabilidades, en caso de incumplimiento por parte de la entidad o de aquellos de sus accionistas que tengan la condición de entidad de crédito de la obligación establecida en el apartado anterior, el Banco de España podrá acordar, siempre que no se hubiese producido ya, la sustitución de los órganos de administración o dirección de la entidad emisora, y de los de quello de sus accionistas que tengan la condición de entidad de crédito, hasta que se complete la operación de conversión. En tal caso será designado administrador el FROB, que, a su vez, nombrará a la persona o personas físicas que, en su nombre y en ejercicio de las funciones y facultades propias de esa condición, adoptarán los acuerdos y realizarán las actuaciones necesarias para dar efecto a la conversión. En su calidad de administrador, el FROB tendrá todas las facultades para adoptar los acuerdos y realizar las actuaciones necesarias para completar la conversión, estén o no previstas en los estatutos de la entidad emisora y de aquellos de sus accionistas que tengan la condición de entidad de crédito y de los que también hubiera sido designado administrador. 4. En caso de que finalmente se produzca la conversión de los instrumentos a los que se refiere este artículo en acciones ordinarias o aportaciones al capital social de la entidad, resultará de aplicación a los nuevos instrumentos lo dispuesto en los artículos 31 y 33 de esta Ley. CAPÍTULO VI Sociedad de gestión de
activos
Artículo 35 Sociedad de gestión de activos 1. En los términos previstos en esta Ley, el FROB podrá, con carácter de acto administrativo, obligar a una entidad de crédito a transmitir a una sociedad de gestión de activos determinadas categorías de activos que figuren en el balance de la entidad o a adoptar las medidas necesarias para la transmisión de activos que figuren en el balance de cualquier entidad sobre la que la entidad de crédito ejerza control en el sentido del artículo 42 del Código de Comercio, cuando se trate de activos especialmente dañados o cuya permanencia en dichos balances se considere perjudicial para su viabilidad, a fin de dar de baja de los balances dichos activos y permitir la gestión independiente de su realización. 2. Reglamentariamente se determinarán los criterios para definir las categorías de activos a los que se refiere el apartado anterior en función de, entre otros, la actividad a la que estuviesen ligados, su antigüedad en balance y
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su clasificación contable. En función de estos criterios, el Banco de España precisará para cada entidad los activos susceptibles de ser transmitidos. 3. La sociedad de gestión de activos, que será sociedad anónima, se regirá por lo dispuesto en esta Ley y en la normativa que la desarrolle y, supletoriamente, por lo dispuesto en el texto refundido de la Ley de Sociedades de Capital, aprobado por el Real Decreto Legislativo 1/2010, de 2 de julio, y demás normas del ordenamiento jurídico privado. Reglamentariamente se determinarán los aspectos relativos a la estructura organizativa de la sociedad de gestión de activos y sus obligaciones de gobierno corporativo. 4. La sociedad podrá emitir obligaciones y valores que reconozcan o creen deuda sin que le resulte de aplicación el límite previsto en el artículo 405 de la Ley de Sociedades de Capital. 5. A los efectos de la regulación contenida en este capítulo, la referencia a activos comprenderá también los pasivos que sea necesario transmitir. Artículo 36 Régimen de la transmisión de activos 1. La transmisión de los activos a la sociedad de gestión de activos se realizará sin necesidad de obtener el consentimiento de terceros, mediante cualquier negocio jurídico y sin tener que cumplir los requisitos exigidos en materia de modificaciones estructurales de las sociedades mercantiles. Tampoco serán oponibles a esta transmisión las cláusulas estatutarias o contractuales existentes que restrinjan la transmisibilidad de las participaciones, no pudiendo exigirse ninguna responsabilidad ni reclamarse ningún tipo de compensación basada en el incumplimiento de tales cláusulas. 2. Con carácter previo a la transmisión, la entidad de crédito realizará los ajustes de valoración de los activos a transmitir según los criterios que se determinen reglamentariamente. Con igual carácter previo a la transmisión, el Banco de España determinará el valor de los activos sobre la base de los informes de valoración encargados a uno o varios expertos independientes. La valoración se llevará a cabo a través del procedimiento y de conformidad con los criterios a que se refiere el primer párrafo de este apartado, siguiendo metodologías comúnmente aceptadas y en coherencia con el procedimiento de valoración al que se refiere el artículo 5 de esta Ley. Dichas metodologías deberán ser coherentes y adecuadas para proporcionar una estimación realista de los activos, y además deberán maximizar el uso de datos observables y limitar los no observables tanto como sea posible. A los efectos de lo dispuesto en la Ley de Sociedades de Capital, la valoración anterior sustituirá la realizada por experto independiente. 3. El FROB podrá exigir que, con carácter previo a su transmisión a la sociedad, los activos se agrupen en una sociedad o se realice sobre ellos cualquier clase de operación que facilite la transmisión.
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4. La transmisión de activos estará sometida a las siguientes condiciones especiales: a. La transmisión no podrá ser, en ningún caso, objeto de rescisión por aplicación de las acciones de reintegración previstas en la legislación concursal. b. Para la transmisión de créditos que tengan la consideración de litigiosos, no resultará aplicable lo dispuesto en el artículo 1535 del Código Civil. c. La sociedad adquirente no quedará obligada a formular una oferta pública de adquisición con arreglo a la normativa sobre mercados de valores. d. La transmisión de activos no constituirá un supuesto de sucesión o extensión de responsabilidad tributaria ni de Seguridad Social, salvo lo dispuesto en el artículo 44 del Texto Refundido de la Ley del Estatuto de los Trabajadores, aprobado por el Real Decreto Legislativo 1/1995, de 24 de marzo. e. La sociedad de gestión de activos no será responsable, en el caso de que se produzca la transmisión, de las obligaciones tributarias devengadas con anterioridad a dicha transmisión derivadas de la titularidad, explotación o gestión de los mismos por la entidad transmitente. f. En caso de que se aporten derechos de crédito a la sociedad de gestión de activos, la entidad de crédito no responderá de la solvencia del correspondiente deudor, y en caso de que la transmisión se lleve a cabo mediante operaciones de escisión o segregación, no resultará aplicable lo dispuesto en el artículo 80 de la Ley 3/2009, de 3 de abril, de modificaciones estructurales de las sociedades mercantiles. Artículo 37 Régimen sancionador de la sociedad de gestión de activos y sustitución provisional del órgano de administración 1. Sin perjuicio de la aplicación del régimen de responsabilidad establecido por la Ley de Sociedades de Capital, la sociedad de gestión de activos, así como quiete ostenten cargos de administración o dirección en la misma, que infrinjan las normas que determinan su régimen jurídico incurrirán en responsabilidad administrativa sancionable por el Banco de España con arreglo a lo dispuesto en el título I de la Ley 26/1988, de 29 de julio, de Disciplina e Intervención de las Entidades de Crédito, con las especialidades previstas en este artículo. 2. Constituyen infracciones muy graves de la sociedad de gestión de activos: a. La realización de actividades ajenas a su objeto social que pongan en peligro la consecución de los objetivos generales legalmente establecidos para ella en esta Ley y en su normativa de desarrollo, salvo que tenga un carácter ocasional o aislado. b. Carecer de la contabilidad exigida legalmente o llevarla con irregularidades esenciales que impidan conocer su situación patrimonial y financiera.
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c. El incumplimiento de la obligación de someter sus cuentas anuales a auditoría de cuentas conforme a la legislación vigente en la materia. d. La negativa o resistencia a la actuación inspectora, siempre que medie requerimiento expreso y por escrito al respecto. e. El incumplimiento de sus obligaciones de transparencia, salvo que tenga un carácter meramente ocasional o aislado. f. La falta de remisión al Banco de España de cuantos datos o documentos deban remitírsele o requiera en el ejercicio de sus funciones, o su falta de veracidad, cuando con ello se dificulte la apreciación de la situación patrimonial y financiera de la sociedad. A los efectos de esta letra, se entenderá que hay falta de remisión cuando esta no se produzca dentro del plazo concedido al efecto por el órgano competente al recordar por escrito la obligación o reiterar el requerimiento. g. El incumplimiento de las demás obligaciones exigibles de conformidad con lo previsto en esta Ley y en su normativa de desarrollo, salvo que esta conducta tenga un carácter meramente ocasional o aislado. h. Las infracciones graves cuando durante los cinco años anteriores a su comisión hubiera sido impuesta a la sociedad de gestión de activos sanción firme por el mismo tipo de infracción. 3. Constituyen infracciones graves de la sociedad de gestión de activos: a. La realización de actividades ajenas a su objeto social que pongan en peligro la consecución de los objetivos generales legalmente establecidos para ella en esta Ley y en su normativa de desarrollo, siempre que no tengan la consideración de muy grave. b. El incumplimiento meramente ocasional o aislado de sus obligaciones de transparencia, mediando requerimiento previo de la autoridad supervisora. c. La falta de remisión al Banco de España de los datos o documentos que deban remitírsele o que requiera en el ejercicio de sus funciones, así como la falta de veracidad en los mismos, salvo que ello suponga la comisión de una infracción muy grave. A los efectos de esta letra se entenderá que hay falta de remisión cuando la misma no se produzca dentro del plazo concedido al efecto por el órgano competente al recordar por escrito la obligación o reiterar el requerimiento. d. El incumplimiento de las normas vigentes sobre contabilización de operaciones y sobre formulación de balances, cuentas de pérdidas y ganancias y estados financieros de obligatoria comunicación al órgano administrativo competente. e. El incumplimiento de las obligaciones de gobierno corporativo y las relativas a la estructura organizativa de la sociedad de gestión de activos impuestas por esta Ley o su normativa de desarrollo. f. El incumplimiento meramente ocasional o aislado de las demás obligaciones exigibles de conformidad con lo previsto en esta Ley y en su normativa de desarrollo mediando requerimiento previo de la autoridad supervisora.
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4. Las infracciones previstas en este artículo darán lugar a las siguientes sanciones: a. Por la comisión de infracciones muy graves: multa por importe de hasta el 0,01% del valor total de los activos gestionados por la sociedad o hasta 1.000.000 euros si aquel porcentaje fuera inferior a esta cifra. b. Por la comisión de infracciones graves: multa por importe de hasta el 0,01% del valor total de los activos gestionados por la sociedad, o hasta 500.000 euros si aquel porcentaje fuera inferior a esta cifra. 5. Con independencia de la sanción que corresponda imponer a la sociedad de gestión de activos por la comisión de infracciones muy graves, podrán imponerse las siguientes sanciones a quienes ejerciendo cargos de administración o dirección en la misma sean responsables de la infracción: a. multa por importe de hasta 500.000 euros; b. suspensión en el ejercicio del cargo por plazo no superior a tres años, o c. separación del cargo con inhabilitación para ejercer cargos de administración o dirección en la sociedad de gestión de activos por un plazo máximo de cinco años. 6. Adicionalmente, cuando existan indicios fundados de que la sociedad de gestión de activos se encuentre en una situación de excepcional gravedad que ponga en peligro el cumplimiento de los objetivos que tiene legalmente encomendados, el Banco de España podrá acordar la sustitución provisional de su órgano de administración, de conformidad con el procedimiento establecido en el Título III de la Ley 26/1988, de 29 de julio, sobre Disciplina e Intervención de las Entidades de Crédito. Artículo 38 Régimen de supervisión de las sociedades de gestión de activos 1. Corresponderá al Banco de España supervisar: a. El cumplimiento del objeto exclusivo de la sociedad de gestión de activos con el fin de identificar desviaciones del mismo que pongan en peligro la consecución de los objetivos generales legalmente establecidos para ella. b. El cumplimiento de los requisitos específicos que se establezcan para los activos y, en su caso, pasivos que se hayan de transferir a la sociedad de gestión de activos. c. El cumplimiento de las normas referidas a la transparencia y a la constitución y composición de los órganos de gobierno y control de la sociedad de gestión de activos previstas en su normativa reguladora, así como las relativas a los requisitos de honorabilidad comercial y profesional de los miembros de su consejo de administración. 2. A los efectos de las funciones de supervisión asignadas en el apartado anterior, el Banco de España podrá: a. realizar las inspecciones y las comprobaciones que considere oportunas en el marco de las funciones previstas en el apartado anterior y, b. requerir a la sociedad de gestión de activos cuanta información resulte
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necesaria para desarrollar sus funciones, incluso recabar de ella los informes de expertos independientes que considere precisos. El acceso a las informaciones y datos requeridos por el Banco de España se encuentra amparado por el artículo 11.2.a) de la Ley Orgánica 15/1999, de 13 de diciembre, de protección de datos de carácter personal. CAPÍTULO VII Gestión
de instrumentos híbridos
Sección 1.ª Acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinadas Artículo 39 Acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada 1. Los planes de reestructuración y de resolución a los que se alude en los capítulos III y IV de esta Ley, deberán incluir la realización de acciones de gestión de los instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada que tengan emitidos las entidades de crédito a las que corresponden dichos planes, para asegurar un adecuado reparto de los costes de reestructuración o de resolución de la entidad conforme a la normativa en materia de ayudas de Estado de la Unión Europea y a los objetivos y principios establecidos en los artículos 3 y 4 y, en particular, para proteger la estabilidad financiera y minimizar el uso de recursos públicos. 2. Las acciones que incluyan los planes de reestructuración y de resolución a los efectos del apartado anterior podrán afectar a las emisiones de instrumentos híbridos, como participaciones preferentes u obligaciones convertibles, bonos y obligaciones subordinadas o cualquier otra financiación subordinada, con o sin vencimiento, obtenida por la entidad de crédito, ya sea de forma directa o a través de una entidad íntegramente participada, directa o indirectamente, por aquella. 3. Las acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada podrán afectar a todas o a parte de las emisiones o financiaciones a las que se refiere el apartado anterior, pero deberán tener en cuenta el distinto orden de prelación que puedan tener entre sí las emisiones. Artículo 40 Tipos de acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada 1. Las acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada podrán consistir, entre otras medidas, en:
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a) Ofertas de canje por instrumentos de capital de la entidad de crédito, sean acciones, cuotas participativas o aportaciones al capital. b) Ofertas de recompra de los valores, ya sea mediante su abono directo en efectivo o condicionado, conforme a su valor actual, a la suscripción de acciones, cuotas participativas o aportaciones al capital de la entidad o a la reinversión del precio de recompra en algún otro producto bancario. c) Reducción del valor nominal de la deuda. d) Amortización anticipada a valor distinto del valor nominal. 2. Las medidas del apartado anterior serán de aceptación voluntaria por parte de los inversores. En particular, las de los apartados c) y d) requerirán el consentimiento previo de los inversores para la modificación de la emisión que corresponda, conforme a lo previsto en los términos y condiciones de cada una. La entidad deberá promover, en su caso, las modificaciones a los términos de la emisión que faciliten las acciones previstas en su plan de reestructuración o de resolución, según corresponda. Las medidas del apartado anterior podrán ir acompañadas de otras modificaciones de los términos de las emisiones afectadas y, en particular, de la introducción del carácter discrecional del pago de la remuneración. 3. A las entidades de crédito referidas en el artículo 39.1 de esta Ley, para las que las acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada no alcancen un adecuado reparto de los costes, se les aplicará lo previsto en la Sección 2ª del capítulo VII de la presente Ley. Artículo 41 Valor de mercado 1. Las acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada tendrán en cuenta el valor de mercado de los valores de deuda a los que se dirigen, aplicando las primas o descuentos que resulten conformes con la normativa de la Unión Europea de ayudas de Estado. 2. A efectos de acreditar el valor de mercado, la entidad solicitará la elaboración de, al menos, un informe por un experto independiente. Artículo 42 Publicidad de las acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada 1. Una vez aprobado el plan de reestructuración o de resolución y con suficiente antelación con respecto a su ejecución, las acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada serán anunciadas mediante hecho relevante, publicadas en la página web de la entidad y, en su caso, en el boletín de cotización del mercado en el que los títulos estén admitidos a negociación. En el caso de que la entidad de crédito no esté obligada a la elaboración de un folleto informativo, de conformidad con el artículo 30 bis de la Ley 24/1988, de 28 de julio, del Mercado de Valores y
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normativa concordante, ésta deberá elaborar y poner a disposición de los inversores afectados un documento informativo que contenga todos los datos necesarios para que estos puedan valorar adecuadamente la conveniencia de aceptar la propuesta de la entidad. 2. Para el caso de que la aceptación de la acción de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada implique la contratación o suscripción de nuevos productos bancarios o financieros, la entidad deberá diseñar un procedimiento de aceptación de la oferta que permita el cumplimiento de la normativa específica en materia de protección de inversores. Sección 2.ª Acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada por el Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria Artículo 43 Gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada por el Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria 1. En los términos previstos en esta Sección el FROB acordará, con carácter de acto administrativo, acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada en el caso de las entidades de crédito referidas en el artículo 39.1 de esta Ley para las que se haya elaborado un plan de reestructuración o de resolución, incluyéndolas en dicho plan, si estimase que son necesarias para alcanzar alguno de los siguientes objetivos: a. Asegurar un reparto adecuado de los costes de la reestructuración o la resolución de las entidades de crédito, conforme a la normativa en materia de ayudas de Estado de la Unión Europea y tratando de minimizar el uso de los recursos públicos. b. Preservar o restaurar la posición financiera de las entidades de crédito que reciban apoyo financiero del FROB. 2. Las acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada que acuerde el FROB serán vinculantes para las entidades de crédito a quienes van dirigidas, para sus entidades íntegramente participadas de forma directa o indirecta a través de las cuales se haya realizado la emisión, y para los titulares de los instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada. En la medida en que dichas acciones de gestión tengan por objeto asegurar un reparto adecuado de los costes de reestructuración o resolución, quedan excluidos de dichas acciones de gestión los instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada u otras financiaciones subordinadas que el FROB hubiera suscrito, adquirido u otorgado directa o indirectamente en virtud de la presente Ley, independientemente de si han sido suscritos con anterioridad a dichas acciones.
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Artículo 44 Contenido de las acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada que acuerde el FROB 1. El FROB determinará qué emisiones o partidas de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada se encuentran dentro del ámbito de aplicación de la acción de gestión, debiendo respetar, en esa determinación, el distinto orden de prelación que puedan tener entre sí las emisiones, independientemente del momento temporal en que estas se hayan producido. No se podrán imputar proporcionalmente más pérdidas a los titulares de valores que tengan mejor rango que otros, y en cualquier caso, será preciso que los accionistas, cuotapartícipes o socios de la entidad de crédito hayan asumido pérdidas hasta donde fuera posible. A los efectos de lo previsto en este Capítulo no se considerará al FROB entre las personas a las que se refiere el artículo 93.2 de la Ley 22/2003, de 9 de julio, Concursal. 2. Las acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada que podrá acordar el FROB conforme a lo previsto en esta Sección, serán una o varias de las que se indican a continuación: a. El aplazamiento, la suspensión, la eliminación o modificación de determinados derechos, obligaciones, términos y condiciones de todas o alguna de las emisiones de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada de la entidad en el sentido del artículo 39.2 de esta Ley. Las modificaciones podrán afectar, entre otros, a: 1.º El pago de intereses. 2.º El reembolso del principal. 3.º Los supuestos de incumplimiento. 4.º La fecha de vencimiento. 5.º Los derechos individuales o colectivos de los inversores. 6.º El derecho de solicitar la declaración de un incumplimiento. 7.º El derecho a exigir cualquier pago relacionado con los valores. b. La obligación de la entidad de recomprar los valores afectados al precio que determine el propio FROB. El FROB estará facultado para diseñar el procedimiento de recompra, sin que el precio de recompra total de cada una de las emisiones pueda exceder de su valor de mercado y las primas o descuentos que sean conformes con la normativa de la Unión Europea en materia de ayudas de Estado. En cualquier caso, los inversores recibirán un importe no inferior al que habrían recibido en caso de liquidación de la entidad en el marco de un procedimiento concursal. Asimismo, el FROB podrá estipular que el pago del precio de recompra se reinvierta en la suscripción de acciones, cuotas participativas o aportaciones al capital social, según corresponda, o que dicho pago se realice en especie mediante la entrega de acciones o cuotas participativas disponibles en autocartera directa o indirecta de la entidad.
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c. Cualquier otra actuación que la entidad de crédito afectada podría haber realizado a través de una acción de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada. 3. A efectos de ejecutar las medidas que correspondan conforme al apartado anterior, el FROB podrá adoptar los acuerdos sociales y realizará las actuaciones que fueran necesarias, al amparo de lo dispuesto en el artículo 63 de esta Ley. Asimismo, será de aplicación lo dispuesto en el artículo 65.1 de la misma. Artículo 45 Criterios de valoración El Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria deberá valorar la idoneidad y el contenido de la acción de gestión que vaya a acordar en función de los siguientes criterios: a. La proporción que representan los instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada de la entidad con respecto al total de activos de esta. b. El importe de las ayudas públicas percibidas o que vaya a percibir la entidad y su forma de instrumentación y, en particular, si la entidad ha recibido o va a recibir apoyo financiero en forma de capital social. c. La proporción que representan las ayudas públicas percibidas o comprometidas con respecto a los activos ponderados por riesgo de la entidad. d. La viabilidad de la entidad de crédito sin dichas ayudas. e. La capacidad actual y futura de la entidad de crédito para captar recursos propios en el mercado. f. El importe que recibirían los titulares de instrumentos híbridos de la entidad de crédito y de deuda subordinada en caso de disolución y liquidación de esta y a falta de ayudas públicas. g. El valor de mercado de los instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada a los que vaya a afectar la acción. h. La efectividad obtenida o que podría obtener una acción de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada llevada a cabo por la entidad. i. El grado de probabilidad con que los inversores aceptarían voluntariamente las medidas previstas en el artículo anterior, teniendo en cuenta, además, el perfil mayoritario de las inversiones en cada una de las emisiones a las que vaya a afectar la acción. Artículo 46 Aprobación de la acción de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada La acción de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada será aprobada por el FROB, que la remitirá, junto a una memoria con las razones que justifican su adopción, al Banco de España.
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Artículo 47 Publicidad y fecha de efectos del acuerdo del FROB 1. El FROB deberá notificar con carácter inmediato a la entidad de crédito afectada y al Ministerio de Economía y Competitividad la ejecución de la acción de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada acordada. El contenido del acuerdo correspondiente se publicará en el «Boletín Oficial del Estado» y en la página web del propio Fondo. 2. La entidad de crédito afectada deberá asegurar el conocimiento del contenido de la acción acordada por el FROB por los inversores afectados por ella, mediante la publicación de la acción en su página web y, en su caso, como hecho relevante en la página web de la Comisión Nacional del Mercado de Valores y en el boletín de cotización de los mercados en los que los valores afectados estén admitidos a negociación. 3. El acuerdo surtirá efectos desde la fecha de su publicación en el «Boletín Oficial del Estado». Artículo 48 Modificación de una acción de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada 1. En cualquier momento, en caso de que concurran circunstancias excepcionales, el FROB podrá, conforme al procedimiento previsto en el artículo 46 de esta Ley, modificar una acción de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada. A estos efectos, se entenderá que concurren circunstancias excepcionales si persiste una situación de inestabilidad de la entidad o existe una amenaza inminente para su estabilidad o para el sistema financiero en su conjunto, y el Banco de España estima que es conveniente modificar los términos de la acción para afrontar mejor dicha situación. 2. La modificación que se acuerde será aprobada de conformidad con el procedimiento previsto en el artículo 46 de esta Ley, será publicada de conformidad con lo dispuesto en el artículo 42, y producirá efectos desde la fecha de su publicación en el «Boletín Oficial del Estado». Artículo 49 Derechos de los inversores afectados por una acción de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada 1. Fuera de lo dispuesto en el artículo 71 de esta Ley, los titulares de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada afectados no podrán iniciar ningún otro procedimiento de reclamación de cantidad con base en un incumplimiento de los términos y condiciones de la emisión correspondiente, si dichos términos han sido afectados por una acción de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada acordada por el FROB y la entidad está cumpliendo con su contenido.
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2. Fuera de lo dispuesto en el artículo 73 de esta Ley, los titulares de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada afectados no podrán reclamar de la entidad ni del FROB ningún tipo de compensación económica por los perjuicios que les tubiera podido causar la ejecución de una acción de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada. Artículo 50 Derechos de terceros Las acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada que sean acordadas por el FROB, así como las actuaciones de la entidad de crédito dirigidas al cumplimiento de las mismas, no podrán ser consideradas como una causa de incumplimiento o vencimiento anticipado de las obligaciones que mantenga la entidad de crédito con terceros distintos de los referidos en el artículo anterior. En consecuencia, las acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada no modificarán, suspenderán ni extinguirán las relaciones de la entidad de crédito con terceros, así como tampoco otorgarán nuevos derechos ni impondrán nuevas obligaciones a la entidad de crédito frente a aquellos. En particular, las citadas acciones de gestión de instrumentos híbridos que sean acordadas por el FROB, así como las actuaciones de la entidad de crédito dirigidas al cumplimiento y ejecución de las mismas, no podrán alegarse por terceros como un supuesto de alteración del rango del orden del pago de la deuda de la entidad, a efectos de su invocación para el ejercicio por los mismos de acciones procesales. En consecuencia, las acciones de gestión de instrumentos híbridos no modificarán, suspenderán ni extinguirán las relaciones de la entidad de crédito con terceros, asì como tampoco otorgarán nuevos derechos ni impondrán nuevas obligaciones a la entidad de crédito frente a aquellos. Artículo 51 Régimen sancionador Este capítulo VII tendrá la consideración de normas de ordenación y disciplina a los efectos de la Ley 26/1988, de 29 de julio, sobre Disciplina e Intervención de las Entidades de Crédito. En particular, se considerará infracción muy grave el incumplimiento o la obstaculización de la ejecución de una acción de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada acordada por el FROB. Tendrá la misma calificación la revelación o difusión por cualquier medio de los términos y condiciones de una propuesta de acción de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada antes de que sea efectivamente acordada por dicho Fondo. La entidad de crédito afectada por la acción responderá de las actuaciones de cualquiera de sus entidades íntegramente participadas que sean emisoras de los valores incluidos dentro del ámbito de aplicación de la acción.
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CAPÍTULO VIII Reestructuración Ordenada Bancaria
Sección 1.ª Naturaleza y régimen jurídico Artículo 52 Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria 1. El FROB tendrá por objeto gestionar los procesos de reestructuración y resolución de las entidades de crédito. 2. El FROB es una entidad de Derecho público con personalidad jurídica propia y plena capacidad pública y privada para el desarrollo de sus fines, que se regirá por lo establecido en esta Ley. 3. El FROB quedará sometido al ordenamiento jurídico-privado, salvo que actúe en el ejercicio de las potestades administrativas conferidas por esta Ley u otras normas con rango de ley. Las medidas de reestructuración o resolución de entidades de crédito que adopte el FROB se comunicarán, en su caso, a la Comisión Europea o a la Comisión Nacional de la Competencia, a efectos de lo establecido en la normativa en materia de ayudas de Estado y defensa de la competencia. 4. El FROB no estará sometido a las previsiones contenidas en la Ley 6/1997, de 14 de abril, de Organización y Funcionamiento de la Administración General del Estado, ni le serán de aplicación las normas generales que regulan el régimen presupuestario, económico-financiero, contable y de control de los organismos públicos dependientes o vinculados a la Administración General del Estado, salvo por lo que respecta a la fiscalización externa del Tribunal de Cuentas, de acuerdo con lo dispuesto en la Ley Orgánica 2/1982, de 12 de mayo, del Tribunal de Cuentas, y al sometimiento del régimen interno de su gestión en el ámbito económico-financiero al control financiero permanente de la Intervención General de la Administración del Estado conforme a lo previsto en el capítulo III del título VI de la Ley 47/2003, de 26 de noviembre, General Presupuestaria. El FROB no estará sujeto a las disposiciones de la Ley 33/2003, de 3 de noviembre, del Patrimonio de las Administraciones Públicas. 5. El personal del FROB será seleccionado respetando los principios de igualdad, mérito, capacidad y publicidad, y estará vinculado a este por una relación de Derecho laboral. Sin perjuicio de lo anterior, el personal funcionario que vaya a prestar servicios en el FROB podrá hacerlo en la situación de servicios especiales. Los gastos del personal de dicho fondo y de sus directivos se someterán a los límites previstos para las entidades del sector público estatal. 6. El FROB tendrá, a efectos fiscales, el mismo tratamiento que el Fondo de Garantía de Depósitos de Entidades de Crédito. 7. El FROB podrá contratar con terceros la realización de cualesquiera actividades de carácter material, técnico o instrumental que resulten necesarias para
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el adecuado cumplimiento de sus funciones, ajustándose a los principios de publicidad y concurrencia, salvo en casos excepcionales y urgentes. Artículo 53 Financiación 1. El FROB dispondrá de las dotaciones que se realicen con cargo a los Presupuestos Generales del Estado. 2. Adicionalmente, para el cumplimiento de sus fines, el FROB podrá captar financiación emitiendo valores de renta fija, recibir préstamos, solicitar la apertura de créditos y realizar cualesquiera otras operaciones de endeudamiento. Los recursos ajenos obtenidos por el FROB, cualquiera que sea la modalidad de su instrumentación, no deberán sobrepasar el límite que al efecto se establezca en las correspondientes leyes anuales de Presupuestos Generales del Estado. 3. El patrimonio no comprometido del Fondo deberá estar materializado en deuda pública o en otros activos de elevada liquidez y bajo riesgo. Cualquier beneficio devengado y contabilizado en sus cuentas anuales se ingresará en el Tesoro Público. El servicio de caja del FROB se llevará a cabo por el Banco de España con el que suscribirá el oportuno convenio. Artículo 54 Gobierno del Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria 1. El FROB será regido y administrado por una Comisión Rectora integrada por nueve miembros: a. Cuatro miembros designados por el Banco de España, uno de los cuales será el Subgobernador, que ostentará la Presidencia de la Comisión Rectora. b. El Secretario General del Tesoro y Política Financiera, que ostentará la Vicepresidencia de la Comisión Rectora y sustituirá al Presidente en sus funciones en caso de vacante, ausencia o enfermedad. c. El Subsecretario de Economía y Competitividad. d. El Presidente del Instituto de Contabilidad y Auditoría de Cuentas. e. El Director General de Política Económica. f. El Director General de Presupuestos. Asistirán, asimismo, a las sesiones de la Comisión Rectora, con voz pero sin voto, un representante designado por el Interventor General de la Administración del Estado y otro por el Abogado General del Estado-Director del Servicio Jurídico del Estado. La Comisión Ejecutiva del Banco de España designará a los tres miembros de la Comisión Rectora distintos del Subgobernador. El Director General del FROB podrá asistir a las sesiones de la Comisión Rectora, con voz pero sin voto. Asimismo, la Comisión Rectora podrá au-
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torizar la participación en sus sesiones de observadores, siempre que tal participación no genere conflictos de interés que puedan interferir en el desarrollo por el FROB de las funciones previstas en esta Ley. La propia Comisión Rectora establecerá los términos en que ha de desenvolverse la participación de estos observadores que, en todo caso, carecerán de voto y quedarán sometidos al deber de secreto. 2. Las funciones de Secretario de la Comisión Rectora serán ejercidas por la persona que esta designe conforme a lo previsto en el Reglamento de régimen interno del FROB. 3. Los miembros de la Comisión Rectora cesarán en su condición de tales por las causas siguientes: a. Cese en los respectivos cargos. b. Cese acordado por la Comisión Ejecutiva del Banco de España, en el caso de los miembros designados por dicha Comisión diferentes del Subgobernador. 4. La Comisión Rectora se reunirá cada vez que sea convocada por su Presidente, por propia iniciativa o a instancia de cualquiera de sus miembros. Estará, asimismo, facultada para establecer su propio régimen de convocatorias. 5. A la Comisión Rectora le corresponde adoptar las decisiones relativas a las potestades y funciones atribuidas al FROB, sin perjuicio de las delegaciones o apoderamientos que considere conveniente aprobar para el debido ejercicio de las mismas. En todo caso, no serán delegables las siguientes funciones: a. Las funciones atribuidas al FROB para la aprobación de los planes de reestructuración y resolución de entidades y las acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada. b. La aprobación de la decisión de realizar las operaciones de financiación previstas en el artículo 53.2 de esta Ley. c. La aprobación de las cuentas anuales del FROB que se remitirán anualmente al Ministro de Economía y Competitividad y a la Intervención General de la Administración del Estado para su integración en la Cuenta General del Estado y su traslado al Tribunal de Cuentas, así como del informe que debe elevarse al Ministro de Economía y Competitividad para su remisión a la Comisión de Economía y Competitividad del Congreso de los Diputados. 6. Para la válida constitución de la Comisión Rectora a efectos de la celebración de sesiones, deliberaciones y adopción de acuerdos, será necesaria la asistencia al menos de la mitad de sus miembros con derecho de voto. Sus acuerdos se adoptarán por mayoría de los miembros asistentes, teniendo voto de calidad el Presidente en caso de empate en el número de votos. 7. La Comisión Rectora aprobará un Reglamento de régimen interno del FROB donde se recogerán las reglas esenciales de su actuación en el ámbito económico, financiero, patrimonial, presupuestario, contable, organizativo y procedimental. Las normas recogerán las líneas básicas de su política de
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propiedad sobre las entidades de crédito a las que haya aportado apoyo financiero público e incluirán mecanismos internos de control del gobierno del FROB. Estas normas se asentarán sobre los principios de buena gestión, objetividad, transparencia, concurrencia y publicidad. Artículo 55 Director General del Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria 1. El FROB contará con un Director General que desarrollará las funciones ejecutivas, de dirección y gestión ordinaria del Fondo, y cuantas otras le delegue la Comisión Rectora. Será nombrado y separado por real decreto del Consejo de Ministros, a propuesta del Ministro de Economía y Competitividad y previa consulta al Gobernador del Banco de España, entre personas con capacidad, preparación técnica y experiencia suficientes para desarrollar las funciones propias de este cargo. 2. Corresponderá al Director General del FROB el ejercicio de las siguientes funciones: a. Impulsar y supervisar todas las operaciones que conforme a esta Ley deba ejecutar el FROB. b. Dirigir la gestión ordinaria, económica y administrativa del FROB. c. Formular, someter a verificación por auditor de cuentas y elevar para su aprobación por la Comisión Rectora las cuentas anuales del FROB. d. Proponer a la Comisión Rectora la adopción de las decisiones que a esta le corresponden conforme a lo previsto en esta Ley, sin perjuicio de que la Comisión Rectora pueda también adoptarlas de oficio. e. Ejecutar los acuerdos de la Comisión Rectora y cuantas funciones le delegue esta, de acuerdo con lo previsto en el artículo 54.5 de esta Ley. f. Rendir cuentas a la Comisión Rectora del ejercicio de sus funciones. Artículo 56 Control parlamentario 1. Con periodicidad trimestral, el Presidente de la Comisión Rectora del FROB comparecerá ante la Comisión de Economía y Competitividad del Congreso de los Diputados, con el fin de informar sobre la evolución de las actividades del FROB y sobre los elementos fundamentales de su actuación económico-financiera. Adicionalmente, el Presidente de la Comisión Rectora del FROB comparecerá, en las condiciones que determine la Comisión de Economía y Competitividad del Congreso de los Diputados, para informar específicamente sobre las medidas de reestructuración o de resolución implementadas por parte de dicho Fondo. 2. La Comisión Rectora elevará a los Ministros de Hacienda y Administraciones Públicas y de Economía y Competitividad un informe trimestral sobre
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la gestión y actuación del FROB, donde se dará debida cuenta, entre otros aspectos, de las actuaciones de carácter económico y presupuestario de mayor impacto acometidas por el FROB durante el citado periodo. El Ministro de Economía y Competitividad dará traslado de dicho informe a la Comisión de Economía y Competitividad del Congreso de los Diputados. Artículo 57 Cooperación y coordinación con otras autoridades competentes nacionales 1. El FROB colaborará con las autoridades que tengan encomendadas funciones relacionadas con la supervisión, la reestructuración o la resolución de entidades financieras, en particular, con el Banco de España, la Comisión Nacional del Mercado de Valores, la Dirección General de Seguros y Fondos de Pensiones, las autoridades designadas por las Comunidades Autónomas para realizar alguna de tales funciones, el Consorcio de Compensación de Seguros, el Fondo de Garantía de Depósitos de Entidades de Crédito y el Fondo de Garantía de Inversiones. A tal efecto podrá concluir con ellas los oportunos convenios de colaboración, así como solicitar cuanta información sea necesaria para el ejercicio de las competencias que tiene atribuidas. Asimismo, el FROB facilitará a las autoridades a las que se refiere el párrafo anterior la información que resulte necesaria para el ejercicio de sus competencias conforme a la normativa vigente. 2. En caso de resolución de entidades de crédito que pertenezcan a un grupo o conglomerado financiero: a. El FROB, al adoptar las medidas y ejercitar las facultades que, al efecto, le confiere esta Ley, minimizará el impacto que dichas medidas y facultades puedan tener eventualmente en el resto de las entidades del grupo o conglomerado y en el grupo o conglomerado en su conjunto. b. El Banco de España y el FROB, cada uno en el marco de sus respectivas competencias, asumirán la función de coordinadores de la resolución cuando el Banco de España tenga encomendadas las funciones de vigilancia y supervisión del grupo consolidable en que se integre la entidad dominante del conglomerado o, en su defecto, de la propia entidad dominante considerada individualmente. Artículo 58 Cooperación y coordinación con otras autoridades competentes internacionales 1. En el ejercicio de sus competencias y, en particular, en caso de reestructuración o de resolución de entidades de crédito que pertenezcan a grupos internacionales, el FROB colaborará con las instituciones de la Unión Europea, incluyendo la Autoridad Bancaria Europea, y las autoridades extranjeras que
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tengan encomendadas funzione relacionadas con la supervisión, la reestructuración o la resolución de entidades financieras, pudiendo a tal efecto concluir con ellas los oportunos acuerdos de colaboración, así como intercambiar información en la medida necesaria para el ejercicio de las competencias que tienen atribuidas en relación con la planificación y ejecución de medidas de actuación temprana, de reestructuración o de resolución. En particular, el FROB podrá participar en los colegios de autoridades de resolución que puedan establecerse para asegurar la necesaria cooperación y coordinación con autoridades de resolución extranjeras. 2. En caso de que las autoridades extranjeras competentes no pertenezcan a un Estado miembro de la Unión Europea, el intercambio de información exigirá que exista reciprocidad, que las autoridades competentes estén sometidas a deber de secreto en condiciones que, como mínimo, sean equiparables a las establecidas por las leyes españolas y que la información sea necesaria para el ejercicio por la autoridad extranjera de funciones relacionadas con la supervisión, reestructuración o resolución de entidades financieras que, bajo su normativa nacional, sean equiparables a las establecidas por las leyes españolas. La transmisión de información reservada a las autoridades mencionadas en el párrafo anterior estará condicionada, cuando la información se haya originado en otro Estado miembro de la Unión Europea, a la conformidad expresa de la autoridad que la hubiera revelado, y la información podrá ser comunicada únicamente a los efectos para los que dicha autoridad haya dado su conformidad. 3. En caso de resolución de entidades de crédito que pertenezcan a un grupo o conglomerado financiero que opere también en otros Estados miembros de la Unión Europea y cuya supervisión consolidada no corresponda a autoridades españolas, antes de declarar la apertura de un proceso de resolución, el Banco de España consultará a la autoridad de la Unión Europea responsable de la supervisión consolidada del grupo al que pertenezca la entidad. El Banco de España podrá no llevar a cabo la consulta citada en el párrafo anterior en caso de urgencia, o cuando entienda que la consulta puede comprometer la eficacia de las correspondientes medidas. En estos casos informará sin demora a la autoridad competente de las medidas adoptadas. El Banco de España promoverá las actuaciones necesarias que faciliten la adopción de una decisión conjunta con las autoridades de resolución de otros Estados miembros de la Unión Europea. 4. En caso de resolución de entidades de crédito que pertenezcan a un grupo o conglomerado financiero que opere también en otros Estados miembros de la Unión Europea, el FROB, al adoptar medidas y ejercitar las facultades que, al efecto, le confiere esta Ley, minimizará los efectos perjudiciales que tales medidas y facultades puedan tener eventualmente en la estabilidad del sistema financiero de la Unión Europea y, en particular, en la de los Estados miembros de la Unión Europea donde opera el grupo o conglomerado.
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Artículo 59 Deber de secreto 1. Los datos, documentos e informaciones que obren en poder del FROB en virtud de las funciones que le encomienda esta Ley tendrán carácter reservado y, con las excepciones previstas en la normativa vigente, no podrán ser divulgados a ninguna persona o autoridad, ni utilizados con finalidades distintas de aquellas para las que fueron obtenidos. Este carácter reservado cesará desde el momento en que los interesados hagan públicos los hechos a los que los datos, documentos e informaciones se refieren. 2. Las autoridades y personas que, de conformidad con lo dispuesto en los artículos anteriores, puedan recibir información del FROB, así como los auditores de cuentas, asesores legales y demás expertos independientes que puedan ser designados por el FROB en relación con la planificación y ejecución de medidas de actuación temprana, reestructuración y resolución, quedarán también obligadas a guardar secreto y a no utilizar la información recibida con finalidades distintas de aquélla para la que les fue suministrada. 3. Sin perjuicio de lo dispuesto en el artículo 58.1 de esta Ley, serán de aplicación al FROB con carácter supletorio las disposiciones sobre confidencialidad y secreto aplicables al Banco de España y, en particular, las establecidas en el artículo 6 del Real Decreto Legislativo 1298/1986, de 28 de junio, sobre adaptación del derecho vigente en materia de entidades de crédito al de las Comunidades Europeas, y en el apartado 1 de la Disposición adicional quinta del Real Decreto-ley 21/2012, de 13 de julio, de medidas de liquidez de las Administraciones públicas y en el ámbito financiero. Artículo 60 Aplicación de la normativa de competencia En el ejercicio de sus competencias, el FROB y el Banco de España minimizarán las distorsiones que sus medidas puedan provocar en las condiciones de competencia, cumpliendo al efecto con la normativa española y de la Unión Europea en materia de competencia y ayudas de Estado. A tal efecto, el FROB y el Banco de España colaborarán con la Comisión Europea proporcionándole la información necesaria en el marco de los procedimientos de autorización previstos en la normativa de la Unión Europea en materia de competencia y ayudas de Estado. Artículo 61 Adopción de recomendaciones internacionales En el ejercicio de sus competencias y siempre que no resulten contradictorias con las disposiciones de esta Ley y la normativa vigente, el FROB podrá tomar en consideración las recomendaciones, directrices, normas técnicas y demás iniciativas que se desarrollen a nivel internacional en el ámbito de la
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reestructuración y resolución de entidades de crédito y, en particular, las adoptadas por la Comisión Europea y la Autoridad Bancaria Europea. Sección 2.ª Facultades del Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria Artículo 62 Facultades del Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria El FROB ejercerá las facultades necesarias para la aplicación de los instrumentos y medidas previstos en esta Ley. Dichas facultades serán de naturaleza mercantil o administrativa. Artículo 63 Facultades mercantiles El FROB ejercerá las facultades que la legislación mercantil confiere con carácter general: a. Al órgano de administración de la entidad, cuando asuma tal condición. b. A los accionistas o titulares de cualesquiera valores o instrumentos financieros, cuando el FROB haya suscrito o adquirido tales valores o instrumentos. c. A la junta o asamblea general en los supuestos en los que esta obstaculice o rechace la adopción de los acuerdos necesarios para llevar a efecto las medidas de reestructuración o de resolución, así como en los supuestos en que por razones de extraordinaria urgencia no sea posible cumplir los requisitos exigidos por la normativa vigente para la válida constitución y adopción de acuerdos por la junta o asamblea general. En tales supuestos, se entenderán atribuidas al FROB todas aquellas facultades que legal o estatutariamente pudieran corresponder a la junta o asamblea general de la entidad y que resulten necesarias para el ejercicio de las funciones previstas en esta Ley en relación con la reestructuración y resolución de entidades de crédito. Artículo 64 Facultades administrativas generales El FROB dispondrá de las siguientes facultades de carácter administrativo, además de las restantes previstas en esta Ley: a. Determinar el valor económico de la entidad o de sus correspondientes activos y pasivos, a efectos de la aplicación de las medidas e instrumentos previstos en esta Ley. b. Requerir a cualquier persona cualquier información necesaria para preparar y adoptar o aplicar una medida o instrumento de reestructuración o de resolución.
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c. Ordenar la transmisión de las acciones, cuotas participativas o aportaciones al capital social o, con carácter general, instrumentos representativos del capital o equivalente de la entidad o convertibles en ellos, cualesquiera que sean sus titulares, así como de los activos y pasivos de la entidad. d. Realizar operaciones de aumento o reducción de capital, y de emisión y amortización total o parcial de obligaciones, cuotas participativas y cualesquiera otros valores o instrumentos financieros, así como las modificaciones estatutarias relacionadas con estas operaciones, pudiendo determinar la exclusión del derecho de suscripción preferente en los aumentos de capital y en la emisión de obligaciones convertibles, incluso en los supuestos previstos en el artículo 343 de la Ley de Sociedades de Capital, o emisión de cuotas participativas. e. Realizar acciones de gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada. f. Determinar los instrumentos en que se concreten las medidas de reestructuración o resolución, incluyendo, en particular, las que supongan modificaciones estructurales de la entidad, las de disolución y liquidación de la entidad. g. Disponer de forma inmediata, previo informe de la Comisión Nacional del Mercado de Valores, el traslado de los valores depositados en la entidad a otra entidad habilitada para desarrollar esta actividad, incluso si tales activos se encuentran depositados en terceras entidades a nombre de la entidad que presta el servicio de depósito. A estos efectos, el FROB, en su condición de administrador de la entidad, adoptará las medidas necesarias para facilitar el acceso de la entidad a la que vayan a cederse los depósitos de los valores o su custodia a la documentación y registros contables e informáticos necesarios para hacer efectiva la cesión. h. Ejercitar, en relación con la transmisión de valores, instrumentos financieros, activos o pasivos de la entidad, todas o alguna de las facultades siguientes: i. Obligar a la entidad y al adquirente a facilitar la información y asistencia necesarias. ii. Requerir a cualquier entidad del grupo al que pertenezca la entidad a que proporcione al adquirente los servicios operativos necesarios para permitir a este operar de manera efectiva el negocio transmitido. Cuando la entidad del grupo ya viniera prestando dichos servicios a la entidad, continuará prestándolos en los mismos términos y condiciones, y, en caso contrario, los prestará en condiciones de mercado. Artículo 65 Carácter ejecutivo de las medidas 1. Los actos administrativos dictados por el FROB para la aplicación de los
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instrumentos previstos en los capítulos III y IV de esta Ley así como de los acuerdos adoptados al amparo del artículo 63 apartado c), serán inmediatamente eficaces desde su adopción sin necesidad de dar cumplimiento a ningún trámite ni requisito establecidos, normativa o contractualmente, sin perjuicio de los requisitos previstos en esta Ley y de las obligaciones formales de constancia, inscripción o publicidad exigidas por la normativa vigente, a cuyos efectos será suficiente una certificación del acto administrativo o del acuerdo correspondiente, sin necesidad de contar con informes de expertos independientes o auditores. 2. La ejecución de dichos actos tampoco podrá verse afectada por las normas sobre secreto bancario. Artículo 66 Otras condiciones aplicables La adopción de cualquier medida de actuación temprana, de reestructuración o de resolución, no constituirá por sí misma un supuesto de incumplimiento ni permitirá por sí misma a ninguna contraparte declarar el vencimiento o resolución anticipada de la correspondiente operación o contrato, o instar la ejecución o la compensación de cualesquiera derechos u obligaciones que se deriven de la operación o del contrato, teniéndose por no puestas las cláusulas que así lo establezcan. No obstante lo dispuesto en el párrafo anterior, la contraparte podrá declarar, en los términos y condiciones establecidos en el correspondiente contrato, el vencimiento o resolución anticipada del contrato o la correspondiente operación como consecuencia de un supuesto de incumplimiento anterior o posterior a la adopción o ejercicio de la correspondiente medida o facultad y no vinculado necesariamente con esta. Artículo 67 Condiciones aplicables a las operaciones financieras y acuerdos de compensación contractual 1. A las operaciones financieras y acuerdos de compensación contractual a los que se refiere el capítulo II del título I del Real Decreto-ley 5/2005, de 11 de marzo, de reformas urgentes para el impulso de la productividad y para la mejora de la contratación pública, resultará de aplicación lo dispuesto en el artículo 70.3 de esta Ley en relación con cualquier proceso de actuación temprana, reestructuración o resolución. Asimismo, en los procesos de resolución resultará de aplicación a estas operaciones y acuerdos lo dispuesto en los párrafos segundo y tercero del artículo 70.3 aun cuando el FROB no hubiera hecho uso de la facultad de suspensión a la que se refiere este artículo. En consecuencia, la apertura del proceso de resolución, así como la adopción de instrumentos de resolución o el ejercicio de las facultades necesarias para
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ejecutar dichos instrumentos desde dicha apertura y hasta la ejecución del plan de resolución, no constituirán por sí mismos un supuesto de incumplimiento ni permitirán por sí mismos a las contrapartes de las correspondientes operaciones y acuerdos declarar su vencimiento o resolución anticipada, o instar su ejecución o la compensación de cualesquiera derechos u obligaciones relacionados con dichas operaciones y acuerdos, salvo si finalmente la operación o acuerdo no es transmitido al adquirente o banco puente. 2. En los casos en que se transmita únicamente parte de los activos y pasivos de la entidad, el FROB adoptará las medidas necesarias para la consecución de los siguientes fines: a. Evitar la resolución, novación o transmisión de únicamente parte de los activos y pasivos que pueden ser compensados en virtud de un acuerdo de garantía financiera con cambio de titularidad o de un acuerdo de compensación contractual a los que se refiere el Capítulo II del Real Decreto-ley 5/2005 antes mencionado, o de un acuerdo de compensación; b. Permitir que las obligaciones con garantía pignoraticia y los activos que las garantizan sean transmitidos conjuntamente o permanezcan ambos en la entidad; c. Evitar la resolución o novación del acuerdo de garantía pignoraticia si ello conlleva que la correspondiente obligación deja de estar garantizada; d. Evitar la resolución, novación o transmisión de únicamente parte de los activos y pasivos cubiertos por acuerdo de financiación estructurada, excepto cuando afecten únicamente a activos o pasivos relacionados con los depósitos de la entidad. 3. Las operaciones mediante las que se instrumenten las medidas de resolución, incluyendo, entre otras, los instrumentos enumerados en el artículo 25 y en el capítulo VI de esta Ley, así como la gestión de instrumentos híbridos de capital y de deuda subordinada, no serán rescindibles al amparo de lo previsto en el artículo 71 de la Ley 22/2003, de 9 de julio, Concursal. Artículo 68 Medidas de urgencia Por razones de urgencia y a fin de garantizar los objetivos previstos en el artículo 3 de esta Ley, el FROB podrá: a. Adoptar, previamente a la aprobación del correspondiente plan de reestructuración o de resolución, los instrumentos previstos en las letras a) y b) del artículo 25.1 de esta Ley y los instrumentos de apoyo financiero en los términos previstos en el capítulo V de esta Ley, así como, en el marco de lo establecido en la normativa española y de la Unión Europea en materia de competencia y ayudas de Estado y teniendo en cuenta el principio de la utilización más eficiente de los recursos públicos y la minimización de los apoyos financieros públicos, proporcionar liquidez a la entidad de carácter transitorio hasta la aprobación del correspondiente plan.
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Ley 9/2012, de 14 de noviembre
La ejecución de dichas medidas deberá ser autorizada por el Banco de España que las valorará en el marco de las competencias a las que se refieren los artículos 14 y 23 de esta Ley, según corresponda, siendo de aplicación lo previsto en los apartados 6 y 5, respectivamente, de dichos artículos. b. Emplear un procedimiento de estimación del valor económico de la entidad en el que no se recaben informes de expertos independientes, a los efectos de la valoración a la que se refiere el artículo 5 de esta Ley y para la aplicación de medidas de reestructuración y resolución. Artículo 69 Publicidad 1. El FROB realizará las actuaciones necesarias para dar publicidad a las medidas adoptadas en virtud de los capítulos III y IV de esta Ley y, en particular, a la aplicación de los instrumentos de resolución y al ejercicio de las facultades correspondientes, con la finalidad de que estas puedan ser conocidas por los accionistas, acreedores o terceros que pudieran verse afectados por las correspondientes medidas. 2. Sin perjuicio de lo dispuesto en el apartado anterior, el FROB notificará las medidas adoptadas a la entidad, al Ministerio de Economía y Competitividad y al Banco de España. Asimismo, cuando resulte procedente, el FROB informará de las medidas adoptadas a la Autoridad Bancaria Europea y a la autoridad de la Unión Europea responsable de la supervisión del grupo eventualmente afectado. 3. Durante la preparación de las medidas de reestructuración y de resolución y, en particular, mientras se lleva a cabo la valoración a la que se refiere el artículo 5 de esta Ley y durante las fases de estudio o negociación de cualquier operación en la que pueda concretarse la aplicación de alguno de los instrumentos de resolución, la entidad quedará eximida de la obligación de hacer pública y difundir cualquier información que pueda tener la consideración de información relevante a efectos de lo dispuesto en el artículo 82 de la Ley 24/1988, de 28 de julio, del Mercado de Valores. Artículo 70 Facultades de suspensión de contratos y garantías 1. El FROB podrá suspender, con carácter de acto administrativo, cualquier obligación de pago o entrega que se derive de cualquier contrato celebrado por la entina por un plazo máximo que se inicia con la publicación del ejercicio de esta facultad hasta las cinco de la tarde del día hábil siguiente. Lo previsto en el párrafo anterior no resultará de aplicación a los depósitos abiertos en la entidad. 2. Sin perjuicio de lo dispuesto en el Capítulo VII de esta Ley, el FROB podrá, con carácter de acto administrativo, impedir o limitar la ejecución de
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garantías sobre cualquiera de los activos de la entidad por el periodo de tiempo limitado que el FROB considere necesario para alcanzar los objetivos de resolución. 3. El FROB podrá, con carácter de acto administrativo, suspender el derecho de las contrapartes a declarar el vencimiento o resolución anticipada o a instar la ejecución o compensación de cualesquiera derechos u obligaciones relacionados con las operaciones financieras y acuerdos de compensación contractual a los que se refiere el capítulo II del título I del Real Decreto-ley 5/2005, de 11 de marzo, como consecuencia de la adopción de cualquier medida de resolución, reestructuración o actuación temprana, por un plazo máximo que se inicia con la publicación del ejercicio de esta facultad hasta las cinco de la tarde del día hábil siguiente. En el caso de medidas de resolución, aunque hubiera finalizado dicho plazo, si los activos o pasivos a los que se refieren las correspondientes operaciones financieras y acuerdos de compensación contractual han sido transmitidos a un tercero, la contraparte no podrá declarar el vencimiento o resolución anticipada o instar la ejecución o compensación de los derechos u obligaciones relacionados con dichas operaciones y acuerdos si los activos y pasivos han sido transmitidos de conformidad con los instrumentos de resolución. No obstante lo dispuesto en el párrafo anterior, la contraparte podrá declarar, en los términos y condiciones establecidos en los correspondientes acuerdos de garantía o de compensación contractual, el vencimiento o resolución anticipada de dichos acuerdos o las correspondientes operaciones e instar su ejecución o la compensación de los derechos u obligaciones relacionados con dichas operaciones y acuerdos como consecuencia de un supuesto de incumplimiento anterior o posterior a la transmisión y no vinculado con esta. CAPÍTULO IX Régimen procesal (Omissis)
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I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)
II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. …
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4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).
III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile c.c. codice di commercio c.comm. Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall.
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legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)
l.camb. t.u. t.u.b. t.u.f.
2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur.
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Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm. Rivista della cooperazione Riv. coop. Rivista delle società Riv. soc. Rivista del diritto commerciale Riv. dir. comm. Rivista del notariato Riv. not. Rivista di diritto civile Riv. dir. civ. Rivista di diritto internazionale Riv. dir. internaz. Rivista di diritto privato Riv. dir. priv. Rivista di diritto processuale Riv. dir. proc. Rivista di diritto pubblico Riv. dir. pubbl. Rivista di diritto societario RDS Rivista giuridica sarda Riv. giur. sarda Rivista italiana del leasing Riv. it. leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Riv. trim. dir. proc. civ. Vita notarile Vita not.
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4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cura di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, Torino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume
IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze.
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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria Cedola di sottoscrizione - Abbonamento 2014 (4 fascicoli): € 110,00 Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 35,00 Modalità di Pagamento ☐ assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA ☐ versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 G 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) ☐ carta di credito ☐ MasterCard ☐ VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma.................................................................
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