Diritto della banca e del mercato finanziario 1/2015

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Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009

Diritto della banca e del mercato finanziario

1/2015

Saggi

ISSN 1722-8360

di particolare interesse in questo fascicolo

• L’attività delle banche e i suoi confini

• Il sistema europeo di vigilanza

• La trasparenza bancaria

• Sovraindebitamento e composizione delle crisi

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gennaio-marzo

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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è coordinato dal prof. Vittorio Santoro. Nell’anno 2014, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Laura Ammannati, Concetta Brescia Morra, Oreste Cagnasso, Marcello Clarich, Antonia Irace, Marco Miletti, Stefano Pagliantini, Antonio Piras, Andrea Pisaneschi, Vincent Ribas, Marilena Rispoli, Antonella Sciarrone Alibrandi, Maurizio Sciuto, Andrea Tina, Francesco Vella.


Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria

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SOMMARIO 1/2015

PARTE PRIMA Saggi Dalla banca alla banca, di Alessandro Nigro Le nuove norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana in materia di credito e risparmio, di Gaetano Armao Il recepimento del Sistema Europeo di Vigilanza Finanziaria nell’ordinamento italiano: l’impatto sull’architettura di vigilanza bancaria, di Gennaro Rotondo The objectives and the future of financial regulation in a worldwide context, di Maria Elena Salerno Trasparenza bancaria: dal bisogno di protezione al bisogno di efficienza, di Luca Bonzanini

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Commenti Questioni vecchie e nuove in materia di procedure di sovraindebitamento – Trib. Pistoia, 19 novembre 2014; Trib. Asti, 18 novembre 2014, con osservazioni di D.V.

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PARTE SECONDA Documenti e informazioni Gli organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento – D.M. 24 settembre 2014, n. 202 – Regolamento recante i requisiti di iscrizione nel registro degli organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento, con osservazioni di Alessandro Nigro

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Norme

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redazionali



PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ



SAGGI

Dalla banca alla banca * Sommario: I. Premessa. – II. Il problema e le sue soluzioni. – III. Notazioni sulla proposta di regolamento. – IV. Conclusioni.

I. Premessa. 1. «La crisi finanziaria, che è iniziata nel 2007 come crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti, è sfociata in una piena crisi economica ed ha posto rilevanti sfide politiche in Europa. Pur non costituendo la sola fonte di problemi, il settore bancario è stato il cuore della crisi. Passi significativi sono stati compiuti per accrescere le capacità di resistenza delle banche, ma esse rimangono altamente vulnerabili agli shocks e ancora sono percepite come troppo grandi o troppo sistemiche per fallire. Per di più il mercato unico per l’attività bancaria si sta frammentando, perché le banche hanno cominciato a ripiegare verso i loro mercati domestici e le autorità competenti hanno preso provvedimenti volti ad assicurare la stabilità finanziaria domestica». Non sono, queste, parole mie. Sono le parole con cui inizia il rapporto finale del gruppo di esperti voluto dalle autorità comunitarie, presieduto da Liikanen, e incaricato di stabilire – cito ancora testualmente – se «riforme aggiuntive direttamente mirate alla struttura delle banche potrebbero ridurre ulteriormente la probabilità e l’impatto di defaillances, assicurare meglio la continuazione di funzioni economiche vitali e proteggere meglio i vulnerabili clienti retail». Rapporto finale, che risale all’ottobre 2012, la cui conclusione più importante è quella della necessità di imporre una separazione legale, nell’ambito dei gruppi bancari,

* Testo della relazione svolta al Convegno su «Banche e attività bancaria nel TUB: qualche riflessione su un ventennio di regolamentazione, immaginando il ‘futuribile’», tenuto a Siena il 19-20 settembre 2014.

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fra certe attività finanziarie particolarmente rischiose – fra le quali la negoziazione per conto proprio su valori mobiliari e prodotti derivati e certe altre attività finanziarie anch’esse strettamente legate al mercato di valori mobiliari e strumenti derivati – e l’attività di banca di deposito. Quello che, almeno per me, è decisamente sorprendente è che si sia dovuti arrivare all’ottobre 2012 per prendere coscienza dell’esigenza di ripensare a fondo l’intero assetto strutturale dell’attività bancaria e, più in genere, dell’attività delle banche e, in questo quadro, ripensare a fondo il modello stesso della banca universale. Non amo particolarmente le autocitazioni. Ma non posso fare a meno di ricordare qui un mio scritto dell’inizio del 2009, nel quale mi ero occupato della crisi finanziaria e delle banche. In quello scritto, dopo aver rilevato che dalla crisi avrebbero dovuto trarsi importanti insegnamenti, osservavo come il primo di tali insegnamenti era, come è, che le banche non sono imprese come tutte le altre, le quali, da un lato, non possono essere equiparate a imprese finanziarie di altro tipo e, dall’altro, necessitano di un corpus di regole particolari che salvaguardi l’interesse collettivo (se non si vuole definirlo pubblico) implicato dalla loro attività tipica. Precisavo che diretto corollario di tale insegnamento era, come è, che le banche non possono essere lasciate libere di fare tutto ciò che ritengono opportuno nel loro interesse in nome della “autonomia imprenditoriale”. Dicevo di non ritenere accettabile che intere economie vengano poste in pericolo solo perché le banche di quei paesi hanno ingolfato se stesse ed il sistema con mutui ad alto rischio e con titoli “tossici”; né che interi settori essenziali della vita civile vengano privati di risorse pubbliche solo per l’esigenza di “ripatrimonializzare” quelle banche. E concludevo nel senso che la linea maestra ormai doveva ritenersi quella di costringere le banche a tornare a concentrarsi sul loro oggetto tipico, cioè l’attività di raccolta del risparmio e di erogazione del credito: una linea da percorrere a tutti i livelli, interno e comunitario, con estrema decisione e con interventi drastici. Quindi, in particolare: – separando rigorosamente l’attività bancaria e l’attività di intermediazione finanziaria da riservare a soggetti distinti dalle banche e con esse non collegate; – ponendo rigorose regole agli investimenti delle banche, che debbono ricavare profitti dall’attività tipica e non dalla gestione (rivelatasi oltretutto “fallimentare”) di strumenti finanziari. Già nel 2009, dunque, era o avrebbe dovuto essere chiaro che la prima misura da assumere al fine di assicurare la stabilità del sistema bancario era appunto quella di rivedere il modello stesso di banca. È sorprendente, allora, che, a livello europeo, il tema sia emerso così tardi

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e sia emerso come tassello complementare rispetto alla strada, che si è nel frattempo percorsa, dell’affinamento della regolamentazione del settore bancario attraverso in particolare, la riarticolazione delle autorità di vigilanza ed il perfezionamento degli strumenti di intervento nelle crisi. Meglio tardi che mai si potrebbe dire. E forse è vero. Resta però che in questi anni – perduti – la crisi finanziaria è divenuta crisi economica, che alla crisi delle banche si è accompagnata la crisi del debito sovrano, e che le banche ancora non riescono a svolgere appieno le loro funzioni. E quello che avrebbe potuto essere risolutivo se tempestivo non è detto che resti tale se tardivo. E resta ancora che il concepire l’intervento sulla struttura delle banche in chiave complementare rispetto agli interventi sull’assetto della vigilanza e sui meccanismi di soluzione delle crisi significa cadere in una patente illogicità: è fin troppo ovvio, mi pare, che sia l’assetto della vigilanza sia i meccanismi di soluzione delle crisi rappresentano un posterius rispetto al modo in cui alle banche è consentito o imposto di svolgere la loro attività.

II. Il problema e le sue soluzioni. 2. Fatta questa forse troppo lunga premessa, entro nel vivo del tema, o problema, che è quello, per dirla in breve, dello scioglimento del rapporto, nell’ambito dell’attività delle banche, fra attività bancaria in senso stretto e attività finanziaria (o certi tipi di attività finanziaria). Ricordato che già gli Stati Uniti, con la c.d. Volcker rule, erano intervenuti in materia, si può cominciare con il precisare meglio le conclusioni del rapporto Liikanen. Ho già detto che la conclusione più importante cui si perviene in tale rapporto è quella della necessità di imporre una separazione legale tra certe attività finanziarie particolarmente rischiose, da un lato, e l’attività di banca di deposito, dall’altro; separazione – è questa la precisazione fondamentale – da attuare attribuendo le une e le altre ad entità distinte nell’ambito del medesimo gruppo bancario. Più esattamente: –.la negoziazione per conto proprio e altre attività legate alla negoziazione dovrebbero essere obbligatoriamente assegnate ad una entità giuridica distinta, denominata “entità negoziatrice”, nell’ambito del gruppo bancario; – .la separazione sarebbe obbligatoria solo se le attività da separare rappresentino una parte importante dell’attività della banca o se il loro volume possa essere considerato importante dal punto di vista della stabilità finanziaria;

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– le banche più piccole sarebbero comunque esentate dall’obbligo di separazione; – tutte le attività bancarie diverse da quelle oggetto dell’obbligo di separazione potrebbero essere mantenute dall’entità di cui i depositi garantiti costituiscono una delle fonti di finanziamento (la «banca di deposito»); – la banca di deposito e l’«entità negoziatrice» potranno operare nell’ambito dello stesso gruppo, dovendo però la prima essere posta sufficientemente al riparo dai rischi in cui può incorrere l’entità negoziatrice. La separazione – che, si rileva nel rapporto, consentirebbe di conservare, dal punto di vista operativo, i vantaggi del modello della banca universale – ha come obiettivo di fare in modo che «le attività del gruppo – cito testualmente – che sono vitali per la società (essenzialmente la raccolta di depositi e la fornitura di servizi finanziari ai settori non finanziari dell’economia) siano più sicure e meno legate ad attività di negoziazioni ad alto rischio e di limitare l’esposizione, implicita o esplicita, del contribuente ai rischi incorsi dai componenti del gruppo che esercitano l’attività di negoziazione». Si aggiunge che la separazione nell’ambito del gruppo – cito ancora testualmente – «è la risposta più diretta alla complessità e interdipendenza delle banche. Questa separazione non avrebbe semplicemente per effetto di semplificare e rendere più trasparente la struttura dei gruppi bancari: essa favorirebbe anche la disciplina nell’ambito del mercato, la vigilanza sul medesimo e, in definitiva, il risanamento della banche e la risoluzione delle loro defaillances». 3. La linea indicata dal rapporto Liikanen ha ispirato, da un lato, taluni legislatori nazionali e, dall’altro, il legislatore comunitario. A. Quanto ai primi, mi riferisco al Banking Reform Act inglese del 2013; al Gesetz über das Kreditwesen tedesco come modificato da una legge dell’agosto 2013 in materia anche e proprio di Abschirmung von Risiken degli enti creditizi e dei gruppi; alla legge francese 26 luglio 2013, n. 672, di separazione e regolazione delle attività bancarie; e infine alla legge belga del 25 aprile 2014. Le soluzioni adottate da queste normative, pur non identiche, sono abbastanza omogenee. a. Nel Banking Act inglese, detto in estrema sintesi, innanzi tutto si distingue fra – attività riservate alle banche c.d. “recintate” (ring-fenced), le quali poi si esauriscono nella raccolta di depositi da singoli e da piccole e medie imprese;

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– attività che non possono essere svolte dalla stessa entità che svolge le attività riservate, le quali si esauriscono poi nella negoziazione per conto proprio, detta anche trading proprietario. La legge autorizza il Tesoro ad adottare, con normative secondarie, criteri di esenzione dalla “recinzione” sia sul piano soggettivo, sia su quello oggettivo. Il che è stato fatto. In particolare, sul piano soggettivo, è stato stabilito che la “recinzione” o segregazione non opera per le istituzioni che raccolgano depositi per meno di 25 miliardi di sterline. Sul piano oggettivo, si è profilato un orientamento favorevole a rendere possibile alle banche “recintate” lo svolgimento delle c.d. attività ancillari (per esempio, la gestione del proprio rischio di portafoglio). Si prevede, in secondo luogo, che entrambi i tipi di attività possano essere svolte nell’ambito dello stesso gruppo purché da parte di entità distinte giuridicamente, economicamente e operativamente. b. Nella legge tedesca, detto anche qui in estrema sintesi, si stabilisce: –.che le istituzioni creditizie possano svolgere certe attività di negoziazione solo attraverso una entità separata; – .che la separazione o “sussidiarizzazione” è necessaria: quando le attività di trading da parte dell’istituzione creditizia o del gruppo superi certe soglie; o quando l’A.V. ritenga le attività di trading troppo rischiose per la solvibilità dell’istituzione creditizia; – che nel primo caso la segregazione opera solo per il trading proprietario, mentre le attività di market making e le transazioni per favorire l’attività dei clienti sono esenti; – .che nel secondo caso la segregazione riguarda sia il trading proprietario sia ogni altra attività di negoziazione valutata come ugualmente rischiosa. c. In base alla legge francese, –.la separazione e segregazione è necessaria quando l’attività di negoziazione superi certe soglie, da fissare con decreto del Consiglio di Stato; – .la separazione riguarda la negoziazione per conto proprio (con talune eccezioni: attività di market making, ecc.); –.la segregazione si traduce nell’attribuzione delle attività separate a un’apposita “filiale” del gruppo; –.le entità segregate che svolgano attività di trading non possono raccogliere depositi, né effettuare servizi di pagamento. d. La legge belga, infine, stabilisce: – .che, a partire dal 1 gennaio 2015, è fatto divieto a tutti gli établissements de crédit di diritto belga i quali raccolgano depositi o emettano titoli di credito e siano “coperti” dal sistema nazionale di tutela dei de-

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positi di esercitare attività di negoziazione per conto proprio, sia direttamente sia tramite filiali belghe o straniere; –.che sono sottratte al divieto a certe condizioni ed entro certi limiti le attività di market makimg, di gestione delle liquidità, ecc.; –.che le attività in questione, le quali superino i limiti fissati, possono essere trasferite in tutto o in parte a “entità di negoziazione”, collegate alla banca ma esterne al perimetro di consolidamento del gruppo, restando i rapporti fra tali entità e la banca assoggettati a una disciplina particolare. B. Quanto all’Unione, la Commissione ha presentato nel febbraio del 2014 una articolata proposta di regolamento contenente «misure strutturali volte ad accrescere la resilienza degli enti creditizi dell’UE». a. Due sono le regole fondamentali prospettate nella proposta, che si applicano: –.agli enti creditizi e imprese madri identificati come enti sistemici; –.agli enti creditizi o imprese madri o succursali che abbiano per tre anni consecutivi attività totali di almeno 30 miliardi di euro. e attività di negoziazione di almeno 70 miliardi o almeno il 10% delle attività sociali. La prima regola è data dal divieto per gli enti creditizi e i gruppi di svolgere attività di negoziazione per conto proprio e attività collegate. Tale divieto non si applica: –.agli strumenti finanziari emessi da amministrazioni centrali degli Stati membri; –.quando l’entità creditizia utilizza il proprio capitale nel quadro della gestione di disponibilità liquida. La seconda regola è data dalla separazione delle attività di negoziazione in generale, tali essendo considerate tutte quelle diverse dalle operazioni di raccolta, di prestito ecc. e tali essendo in particolare le attività di supporto agli scambi, le attività di investimento, la negoziazione di derivati diversi da quelli ammessi per la gestione di disponibilità liquide, ecc. Questa regola – a differenza del divieto – scatta non automaticamente ma sulla base di una determinazione ad hoc dell’autorità competente, la quale deve verificare sistematicamente lo svolgimento delle attività in questione da parte dei vigilati, i quali sono obbligati a fornire tutte le informazioni necessarie, e può (e in certi casi deve) imporre, appunto, la separazione ove ritenga che vi sia minaccia alla stabilità finanziaria dell’ente o per il sistema finanziario nel suo complesso. Se viene imposta la separazione, le attività separate possono essere svolte solo da un’entità del medesimo gruppo «che sia giuridicamente, economicamente ed operativamente separata dall’ente creditizio di ba-

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se», entità che assume il nome di «entità dedicata alla separazione» ed alla quale è imposto – direi ovviamente – il divieto di raccogliere depositi coperti dal sistema di garanzia dei depositi e di fornire servizi di pagamento. Apposite prescrizioni hanno ad oggetto proprio le modalità organizzative concernenti appunto la separazione, nel quadro dell’esigenza di assicurare, da un lato, l’effettività della separazione e, dall’altro, la trasparenza, rispetto al mercato ed alla clientela, della medesima. Completano la proposta, innanzi tutto, alcune regole in materia di derivati e di remunerazione del personale degli enti creditizi; in particolare, si stabilisce: – .quanto ai derivati, che l’ente creditizio di base che sia stato oggetto di una decisione di separazione, da un lato, può, nel quadro della gestione prudente del suo capitale, della sua liquidità e dei suoi finanziamenti, utilizzare solo derivati su tassi di interesse, su cambi e su crediti ammissibili alla compensazione tramite controparte centrale, in funzione della copertura del rischio globale del suo bilancio; e, dall’altro, può vendere alla propria clientela derivati del tipo appena menzionato solo quando lo scopo della vendita sia la copertura del rischio e i fondi propri dell’ente a fronte del rischio di posizione non superino una certa percentuale del suo requisito patrimoniale a fronte del rischio complessivo; –.quanto alla remunerazione, che la politica, in materia, delle entità interessate dalla disciplina sia tale da non incoraggiare, ma anzi da prevenire, l’esecuzione di attività vietate cioè la negoziazione per conto proprio. E, in secondo luogo, la previsione di sanzioni e altre misure amministrative per la violazione del divieto di negoziazione per conto proprio e per la manipolazione delle informazioni da fornire all’autorità competente. b. Come appare evidente da quanto ho appena detto il legislatore comunitario, pur traendo anch’esso ispirazione dal rapporto Liikannen, da questo rapporto si discosta su di un punto cruciale, quello concernente l’attività di negoziazione per conto proprio, oggetto di semplice separazione per quel rapporto (nonché per quei legislatori nazionali che ne hanno seguito la linea: Gran Bretagna, Germania, ecc.) e, invece, di un drastico divieto per la proposta di regolamento (seguita, in questo, dal Belgio).

III. Notazioni sulla proposta di regolamento 4. La proposta di regolamento comunitario meriterebbe una analisi molto più approfondita di quanto sia possibile in questa sede. In questa

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sede debbo limitarmi ad alcune notazioni, per così dire, di vertice. A. In primo luogo. Mi parrebbe del tutto condivisibile la scelta del legislatore comunitario di cui ho appena detto, quella cioè di prevedere un vero e proprio divieto, per le banche e per i gruppi creditizi, di svolgere attività di negoziazione di strumenti finanziari in proprio. Da un lato, perché rispetto a tale attività non può valere la giustificazione addotta nel rapporto Liikanen a sostegno della scelta della semplice separazione o segregazione delle attività finanziarie, vale a dire l’esigenza di consentire alle banche di continuare ad offrire alla clientela, a livello di gruppo, l’intera gamma dei servizi creditizi e finanziari: non può valere perché il trading proprietario ha a che fare solo con l’interesse della banca e nulla ha a che fare con la clientela della medesima. Dall’altro, perché, diversamente da quanto si è mostrato di ritenere nel rapporto Liikanen e dai legislatori nazionali intervenuti sul tema, il problema dello “scioglimento” dell’intreccio attività bancaria – attività finanziaria “rischiosa” non attiene solo alla esigenza di evitare che della “protezione” (in senso lato) assicurata alla prima si approfitti anche con riferimento alla seconda, con pregiudizio fra l’altro per le risorse pubbliche e quindi, in definitiva, per i contribuenti; ma attiene anche alla esigenza di assicurare che le banche svolgano il loro mestiere. Le banche non nascono per raccogliere depositi da impiegare poi in qualsivoglia modo: le banche nascono per raccogliere depositi da impiegare nell’erogazione del credito. Tenuto conto di tutto questo e tenuto conto anche di quanto si legge nello stesso preambolo della proposta di regolamento (dove, al considerando 15°, si giustifica il divieto di acquistare e vendere strumenti finanziari per conto proprio «in quanto tale attività ha un valore aggiunto limitato o nullo per il bene pubblico ed è intrinsecamente rischiosa»), si potrebbe arrivare a dire che sussiste una ontologica incompatibilità fra attività bancaria e negoziazione per conto proprio nella quale si impieghi il denaro proveniente dalla raccolta (diverso è, ovviamente, il discorso per la negoziazione funzionale alla gestione della liquidità derivante da mezzi propri). Se così dovesse essere – e per me così è – si potrebbe giungere perfino a sostenere che il legislatore comunitario è stato troppo “timido” nel circoscrivere il divieto sia sul piano soggettivo che su quello oggettivo. L’incompatibilità ontologica, infatti, sussiste (o sussisterebbe) quali che siano le dimensioni della banca e quali che siano gli strumenti finanziari oggetto della negoziazione per conto proprio. B. In secondo luogo. Sia il rapporto Liikanen, sia i legislatori nazionali sia, per quel che

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ora interessa, la proposta di regolamento individuano nella segregazione delle attività di negoziazione rispetto all’attività bancaria la chiave di soluzione del problema dello “scioglimento” del connubio fra i due tipi di attività. Ora, vi è da dubitare, in realtà, che l’attribuzione dei due tipi di attività ad entità diverse di un medesimo gruppo possa rappresentare una soluzione a perfetta tenuta. Certo, questo assetto consente di allocare opportunamente i rischi e le relative protezioni. Ma esso non impedisce interferenze nello svolgimento delle distinte attività, né impedisce possibili ricadute negative – sotto il profilo, per cominciare, reputazionale – delle vicende di una entità del gruppo su altre entità o sull’intero gruppo. D’altra parte, il gruppo è uno strumento di coordinamento delle attività di soggetti distinti sul piano giuridico, tanto da arrivare, di regola, a configurare in termini economici un’unica impresa. Se, rispetto a un’entità del gruppo – nella specie, la c.d. «entità dedicata alla separazione» – vengono, per volontà della legge, recisi tutti i collegamenti giuridici, economici ed operativi con le altre entità, rischia di venir meno la stessa ragion d’essere dell’appartenenza di quella entità al gruppo. C. In terzo luogo. Al di là di quanto si è appena detto, sono in ogni caso certamente meritevoli di condivisione sia la scelta di adottare, quanto alle attività da segregare, una nozione negativa, di tipo residuale, delle attività di negoziazione, in ciò discostandosi, per esempio, dalla normativa francese o tedesca: una scelta che consente di evitare in partenza, o comunque di ridurre fortemente, incertezze altrimenti prospettabili. E sia la previsione, a monte, di una verifica sistematica delle attività in questione da parte dell’autorità competente, che di per sé può avere anche una utile funzione di scoraggiamento delle tendenze a potenziare quelle attività. D. Infine. Degna di nota è l’attenzione dedicata dalla proposta ai derivati e alla remunerazione del personale. Ricordo che fra le cause della crisi finanziaria sono stati annoverati sia l’”abuso” dei derivati sia le politiche di remunerazione degli amministratori e degli alti dirigenti delle banche e che l’Unione europea è già intervenuta in queste materie, rispettivamente, con il regolamento n. 648/2012 e con la direttiva n. 36/2013. Opportunamente, la proposta che stiamo considerando integra tali discipline, che senz’altro meritano di essere rafforzate, in particolare quella concernente i derivati. Debbo qui ribadire un mio profondo convincimento: ed è che, al di là di ogni regolamentazione dei derivati in quanto tali, alle banche, a tutte le banche, dovrebbe essere rigorosamente precluso l’investimento in simili strumenti. Come ho detto altra volta, è “tragico” che proprio le

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banche, le quali dovrebbero avere nel loro codice genetico la gestione ed il controllo del rischio, siano cadute vittime di un inadeguato controllo dei rischi assunti investendo in titoli “tossici”. Ove non si voglia aderire ad una simile drastica misura, quanto meno si deve limitare l’operatività delle banche in derivati esclusivamente ai derivati con funzione di copertura: che è poi la strada imboccata dalla proposta di cui ci stiamo occupando.

IV. Conclusioni. 5. Mi avvio a concludere. Credo che a questo punto risulterà chiaro il significato del titolo dato alla mia relazione. Con l’espressione ellittica «dalla banca alla banca» ho inteso indicare il processo evolutivo che oggi si va svolgendo: dalla banca “universale” alla banca “recintata” o, se si preferisce, dalla banca “larga” alla banca “stretta”. Di questo processo il regolamento proposto dalla Commissione europea costituisce (costituirà, quando approvato) un primo fondamentale passaggio. Solo un primo, sottolineo, perché altri passaggi dovranno seguire se si vorrà essere coerenti fino in fondo con l’idea che il cuore dell’attività delle banche – di tutte le banche, indipendentemente dalle loro dimensioni – la ragion d’essere della loro esistenza sia l’attività bancaria in senso stretto, tutto il resto essendo un “collaterale” che può essere gestito dalla banca liberamente solo finché non ponga in crisi l’esercizio della funzione creditizia.

Alessandro Nigro

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Le nuove norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione siciliana in materia di credito e risparmio * 1. La regolazione ed il dispiegarsi della competenza in materia di credito e risparmio della Regione siciliana, sopratutto se letta in termini diacronici, offre la cifra del divenire dell’autonomia speciale in un ‘ordinamento sezionale1, sottoposto nel tempo ad una ‘rottura’2 in esito all’evoluzione connessa al trasmigrare della materia dal livello statale a quello europeo ed al profondo mutamento subito dal mercato bancario a seguito delle politiche di privatizzazione, liberalizzazione e despecializzazione. La disciplina bancaria, infatti, proprio per il recepimento della normativa comunitaria: non solo ha subito una forte evoluzione in termini di liberalizzazione e privatizzazione, ma, sopratutto, è stata progressivamente sottratta alla competenze legislativa ed amministrativa della Regione prima, e dello Stato poi, per divenire una materia a prevalente regolazione europea. Le nuove norme di attuazione in materia di credito e risparmio, approvate con il d.lgs. 29 ottobre 2012, n. 205, offrono, dopo sessant’anni, un quadro regolativo coerente con l’ordinamento bancario statale e con le regole di matrice europea in un contesto di collaborazione istituzionale rafforzata con la Banca d’Italia e le competenze di vigilanza dell’Eu-

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Questo saggio sviluppa la relazione di sintesi tenuta al Convegno di studi La riforma delle norme di attuazione dello statuto siciliano in materia di credito e risparmio D.lgs. n. 205/2012, svoltosi a Palermo presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi, il 19 aprile 2013. 1 Il riferimento è d’obbligo alla ricostruzione di Giannini, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1995, pp. 198 ss. 2 Così Pisaneschi, Credito e risparmio, in Dizionario di diritto pubblico, a cura di Cassese, Milano, 2006, p. 1687.

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rosistema, consentendo così all’amministrazione regionale di utilizzare l’attribuzione dallo Statuto in materia e, nel contempo, riconoscendo la funzione di un importante istituto quale l’Osservatorio regionale sul credito che la Regione siciliana ha introdotto, per prima, nel nostro Paese. 2. Al fine di sostenere lo sviluppo economico dell’Isola lo Statuto della Regione siciliana (approvato con legge costituzionale n. 2 del 1948) ha previsto che «entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato, l’Assemblea regionale può, al fine di soddisfare alle condizioni particolari ed agli interessi propri della Regione, emanare leggi, anche relative all’organizzazione dei servizi», su alcune materie, tra le quali la disciplina del credito, delle assicurazioni e del risparmio (art. 17, lett. e). In applicazione della disciplina statutaria, il d.P.R. 27 giugno 1952, n. 1133, recante “Norme di attuazione dello Statuto siciliano in materia di credito e risparmio”, ha dettato le disposizioni attuative della previsione statutaria attribuendo, sia sul piano organizzativo che su quello funzionale, competenze analoghe a quelle previste dall’allora vigente legge bancaria del 1936-38 per gli organi statali3. Viene così istituito il Comitato regionale per il credito ed il risparmio, composto dall’Assessore per le finanze, che lo presiede, e dagli Assessori per i lavori pubblici, per l’agricoltura e le foreste, per l’industria e commercio; e si prescrive, tra l’altro (art.1) che l’Assessore per le Finanze della Regione eserciti le competenze spettanti al Ministro per il Tesoro e al Governatore della Banca d’Italia, in riferimento (art. 2) a: a) ordinamento di istituti ed aziende di credito operanti esclusivamente nel territorio regionale; b) autorizzazione alla costituzione e alla fusione degli istituti ed aziende di cui sopra; c) autorizzazione all’apertura, al trasferimento, alla sostituzione ed alla chiusura nel territorio regionale dei medesimi istituti ed aziende; d) autorizzazione all’apertura, al trasferimento, alla sostituzione ed alla chiusura nel territorio regionale di sportelli di istituti ed aziende

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Fondamentale, per una panoramica sulla disciplina del credito nelle regioni, risulta il lavoro di Saitta, La disciplina del credito e del risparmio nelle regioni, Milano, 1974. Con specifico riferimento alla Regione siciliana si vedano altresì Maisano, Mazzarella, a cura di, Problemi e prospettive del credito nella Regione siciliana, Milano, 1986 e Belli, a cura di, Credito e regioni a statuto speciale. Il caso siciliano, Milano, 1986.

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di credito aventi la sede centrale in Sicilia, ma operanti anche fuori dal territorio regionale. Il dispiegarsi della competenza in materia ha consentito alla Regione, almeno sino alla fine agli anni ’80, di svolgere un ‘protagonismo direttivo’ sul sistema bancario regionale, i cui effetti tuttavia non hanno corrisposto alle aspettative di crescita economica4. Al contrario, l’esercizio tale competenza ha favorito alcune debolezze proprie del modello italiano di gestione del credito, a partire dall’eccessiva atomizzazione del settore, poi rapidamente costretto a confrontarsi con la prorompente integrazione delle regole e dei mercati imposta dalla convergenza degli ordinamenti europei. Una prima conclusione può già trarsi: la normativa di attuazione, sebbene abbia visto la luce prima del Trattato di Roma, nacque comunque datata, avendo pedissequamente recepito la visione dirigistica originaria della legge bancaria del 36-38 che intendeva strutturare un governo ‘politico’ del credito (a partire dall’espansione territoriale delle banche) connotato che progressivamente, con il recepimento della normativa comunitaria che interviene dalla fine degli anni ‘705, perderà sino all’adozione del Testo unico bancario del 1993 e delle sue modifiche ed integrazioni. E questo ha certamente svolto effetti non virtuosi sull’evoluzione del sistema creditizio regionale6. La previsione statutaria ha trovato un riferimento all’art. 47 della Costituzione che, al primo comma, prevede che la Repubblica «incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme» e «disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito». Ed infatti il riferimento alla Repubblica ha consentito una lettura multilivello nella regolazione del credito7.

4 In merito si veda il contributo di Busetta, Di Gregoli, Evoluzione del sistema creditizio e suoi effetti sulle condizioni di accesso al credito delle imprese: l’opportunità dei consorzi fidi, in Sicilia 2015, a cura di Busetta, Napoli, 2009, pp. 241 e ss. nonché Id., Il mercato del credito dal locale al globale, Napoli, 2011, passim. 5 Sulla quale v. Mazzini, Il declino dei poteri delle Regioni a Statuto speciale in materia creditizia nella prospettiva del completamento dl mercato interno europeo, in le Regioni, 1991, pp. 963 ss. 6 Per una completa ricostruzione del fenomeno di v. Busetta, L’evoluzione del sistema creditizio meridionale: una descrizione delle principali modifiche, in Banche e sud: una storia spezzata, a cura di Busetta, Milano, 2007, pp. 127 e ss. 7 Per un commento all’art. 47 Cost. v. per tutti Merusi, Art. 47, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, Tomo III, Bologna-Roma, 1980, pp. 153 e ss. e Amorosino, Principi ‘costituzionali’, poteri pubblici e fonti normative in tema di mercati finanziari, in Id., Manuale di diritto del mercato finanziario, Milano, 2008, pp. 10 e ss.

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Già sul finire degli anni ’70 i pregnanti poteri di conformazione del mercato del credito conferiti dalla legge bancaria del 36-38 vengono incisi dalla c.d. prima direttiva comunitaria in materia bancaria, 77/80/C.E.E. del 12 dicembre 1977, recepita nell’ordinamento interno dal d.p.r. 27 giugno 1985, n. 350; seguita poi dalla riforma delle banche pubbliche8, dalla seconda direttiva comunitaria in materia bancaria 89/646/C.E.E. del 15 dicembre 1989, recepita con il d.lgs. 14 dicembre 1992, n. 481, per giungere sino al Testo Unico Bancario (t.u.b.) del 1993 e, in sede comunitaria, alla direttiva 2000/12/CE del 20 marzo 2000 sull’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio (c.d. banking code) ed alla direttiva 2006/48/ CE del 14 giugno 2006, nella quale è confluita la disciplina relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi ed al suo esercizio. Il testo unico bancario, in esito all’evoluzione normativa richiamata, riconduce lo svolgimento delle funzioni pubblicistiche alla vigilanza prudenziale sul sistema bancario, con l’obiettivo di garantire la «sana e prudente gestione» dell’intermediario (art. 14, co. 2 t.u.b.) e consacra il principio di imprenditorialità dell’attività bancaria (art. 10, co. 1 t.u.b.), determinando così la conclusione di ogni tentativo di funzionalizzazione dell’attività bancaria9. Da ciò discende, poi, la titolarità delle attribuzioni in materia di vigilanza prudenziale sugli enti creditizi10, anche a carattere regionale, compete allo Stato – e per esso alla Banca d’Italia – e non alla Regione, quand’anche a statuto speciale, spettando a quest’ultima solamente un potere residuale e formale da esercitarsi previo parere vincolante dell’Autorità di vigilanza11.

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L. 30 luglio 1990, n. 218 e d.lgs. 20 novembre 1990, n. 356 e s.m.i. Cfr. Borrello, Il controllo del credito, in Trattato di diritto amministrativo – Diritto amministrativo speciale, a cura di Cassese, Milano, 2003, tomo III, pp. 2791 ss. 10 Come noto, le banche operanti sul territorio nazionale, giusta il vigente ordinamento bancario, si dividono in: banche sotto forma di S.p.A.; banche popolari; banche di credito cooperativo; istituti centrali di categoria; filiali di banche estere. Le prime comprendono: gli istituti di credito di diritto pubblico, le banche di interesse nazionale, le casse di risparmio e le banche popolari che hanno assunto la forma di società per azioni, nonché tutte le banche con raccolta a medio e lungo termine. Le seconde sono quelle che non hanno assunto la forma di S.p.A., le terze sono le ex casse rurali artigiane, gli istituti di categoria, infine, includono anche gli istituti a prevalente attività di rifinanziamento. 11 V. Copolino, in Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, a cura di Galanti, 9

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Il mercato bancario, da mercato ‘controllato’ diviene così aperto e concorrenziale, a livello europeo, assoggettato alla vigilanza prudenziale di stabilità ed efficienza delle competenti Autorità bancarie dei paesi d’origine, secondo i principi dell’home country control e del mutuo riconoscimento, in attuazione delle libertà economiche sancite dal diritto comunitario12. Di conseguenza le funzioni di vigilanza sull’attività bancaria, in forza del principio di sussidiarietà ascendente, non possono che essere allocate a livello statale13. Ed è di tutta evidenza che tale profondo mutamento dell’ordinamento bancario abbia inciso insieme alle trasformazioni del mercato bancario nazionale (privatizzazione degli istituti di credito di diritto pubblico, delle banche di interesse nazionale e delle casse di risparmio, ampi processi di concentrazione, despecializzazione), sulle competenze delle regioni a statuto speciale14. Il primo significativo intervento legislativo della Regione siciliana in materia risale al 1989. È infatti con la l.r. 16 gennaio 1989, n. 1 che la Regione siciliana provvede al recepimento della direttiva comunitaria n. 77/780 in materia creditizia – recepimento già definito a livello statale con il d.P.R. n. 350 del 1985 – con un intervento legislativo che rimane tra i pochi direttamente correlati alla normativa europea15. Già a seguito di questo primo intervento normativo, che pur limitandosi ad una mera trasposizione a livello regionale delle innovazioni regolative all’attività bancaria introdotte dal citato d.P.R. 350 del 1985,

Padova, 2008, pp. 216 e ss. 12 Su tali ormai consolidate linee di tendenza si veda, di recente, Napolitano, L’intervento dello Stato nel sistema bancario e i nuovi profili pubblicistici del credito, in Giorn. dir. amm., 2009, pp. 429 e ss. 13 Montedoro, Laguardia, Risparmio e banche locali, in Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali-Parte speciale, a cura di Corso e Lopilato, Milano, 2006, pp. 36 ss. 14 In tal senso cfr. Gesmundo, Credito e Regioni nel T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, in Banca, impresa, soc., 1994, pp. 37 ss., Costi, L’ordinamento bancario, Bologna, 2001, pp. 162 e ss., in merito alla Regione siciliana ci si permette di richiamare anche il mio contributo L’intervento finanziario della Regione a sostegno del sistema bancario siciliano, in Riv. giur. mezzogiorno, 1992, pp. 105 e ss. 15 Su tali profili, oltre alla dottrina citata, sia consentito rinviare al mio contributo Le competenze della Regione siciliana in materia di credito e risparmio di fronte al l’armonizzazione comunitaria degli ordinamenti bancari nazionali, in Le direttive comunitarie in materia bancaria e l’ordinamento italiano, a cura di Brozzetti e Santoro, Milano, 1990, p. 273 e ss. e dottrina ivi citata

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si determinava l’erosine diretta (ad opera della inferenza di questa sulle norme di attuazione delle pronunce della Corte costituzionale, ed effetto dell’armonizzazione comunitaria dell’ordinamento regionale in materia) ed indiretta (con una strutturale mutazione del mercato bancario siciliano nel quale si moltiplicavano gli intermediari non aventi sede in Sicilia, anche attraverso una serie significativa di fusioni per incorporazione che ha fortemente ridotto il novero della banche regionali delle competenze regionali16. Il testo unico bancario del 1993 definisce compiutamente l’adeguamento del diritto interno a quello europeo e contiene una specifica disposizione – l’art. 159 – riferita alle Regioni a statuto speciale17 che nel precisare che le valutazioni di vigilanza sono riservate alla Banca d’Italia, specifica poi che nei casi in cui i provvedimenti disciplinati dal t.u.b. sono attribuiti alla competenza delle regioni sulla base del rispettivi Statuti di autonomia e correlate norme di attuazione statutaria, la Banca d’Italia esprime, a fini di vigilanza, un parere vincolante. La stessa norma prevede, poi, che nei casi in cui i provvedimenti previsti dagli articoli 14, 31, 36, 56 e 57 del medesimo Testo unico siano attribuiti alla competenza delle regioni, «la Banca d’Italia esprime, a fini di vigilanza, un parere vincolante»; mentre sono inderogabili e prevalgono sulle contrarie disposizioni già emanate le norme dettate dai commi 1 e 2 nonché dagli articoli 15, 16, 26 e 47, ferme restando, peraltro le, competenze attribuite agli organi regionali nella materia disciplinata dall’art. 26. La disposizione del Testo unico si chiude poi con l’indicazione alle regioni a statuto speciale, «alle quali sono riconosciuti, in base alle norme di attuazione dei rispettivi statuti, poteri nelle materie disciplinate dalla direttiva n. 89/646/CEE, provvedono a emanare norme di recepimento della direttiva stessa nel rispetto delle disposizioni di principio non derogabili contenute nei commi» dianzi indicati.

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In merito sia permesso un ulteriore rinvio ad un mio scritto: La disciplina delle fusioni bancarie nelle Regioni a statuto speciale, in Banca, impresa, soc., 1989, pp. 283 e ss. 17 Per una disamina della portata della norma richiamata si vedano Condemi, Commento all’art. 159, Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia 2, a cura di Capriglione, Padova, 2001, I, pp. 1242 e ss.; Lucarini, La competenza legislativa concorrente delle Regioni in materia bancaria e finanziaria tra legislazione statale e comunitaria, in Il diritto privato regionale nella prospettiva europea, a cura di Calzolaio, Milano, 2006, p. 281 e ss.

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Ma è con la sent. n. 224 del 1994 che la Corte ha provveduto ad una ricostruzione dell’ordinamento bancario scaturente dal t.u.b. nel prisma delle prerogative statutarie della Regione18, addivenendo alla conclusione del sostanziale venir meno dei poteri regionali in materia bancaria. Il Giudice delle leggi ha così ritenuto mutato “l’originario presupposto” che era sullo sfondo delle competenze delle Regioni e Province a statuto speciale e, in questo nuovo quadro, ha valutato la legittimità del t.u.b. e, in particolare, dell’art. 159, a fronte delle (preesistenti) competenze delle Regioni a statuto speciale, da rileggere alla luce della spettanza centrale del potere di vigilanza bancaria (anche nella sua versione “prudenziale”). L’evoluzione del mercato bancario da mercato “guidato’ e chiuso a mercato ‘regolato’19 non poteva non incidere profondamente sulla disciplina regionale della materia e di ciò essa ha dovuto tenere conto, senza possibilità di deroga, dei principi dell’ordinamento europeo20. Per la Regione siciliana la descritta giurisprudenza adeguatrice delle competenze regionali arriva con la sentenza del Giudice delle leggi n. 102 del 1995 che ha statuito sui poteri già attribuiti alla stessa circa lo stabilimento di succursali di banche nel territorio della medesima regione in quanto non rispondenti al quadro della nuova disciplina del credito conseguente al recepimento di norme comunitarie. In particolare, la sentenza da ultimo richiamata, è stata pronunciata sul ricorso con il quale la Regione siciliana aveva sollevato conflitto di attribuzione circa la spettanza “allo Stato, e per esso alla Banca d’Italia, di avocare a se ogni potere di vietare lo stabilimento di succursali di banche nel territorio della Regione”. Il Giudice delle leggi ha dichiarato “cessati i poteri già attribuiti in materia alla Regione” e ciò in quanto i poteri deliberativi e consultivi in materia di sportelli bancari, già affidati dalle norme di attuazione “non appaiono rispondenti al quadro della nuova disciplina del credito conseguente al recepimento della direttiva CEE 646/89”. Infatti, secondo

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Sulla quale v. per tutti in Banca, borsa, tit. cred., 1994, II, pp. 597 e ss., con nota di Marzona, Il riordino del sistema bancario: le Regioni a confronto con una nuova statualità. 19 Sintesi puntuale coniata da Cassese, Dal mercato ‘guidato’ al mercato ‘regolato’, in Banc., 1986, 2, pp. 5-6. 20 Così Mazzini, Le norme del T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia sui poteri delle Regioni a statuto speciale al vaglio della Corte Costituzionale, in Dir banc., 1995, I, pp. 416 e ss.

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l’orientamento interpretativo della Corte, il controllo in generale sulla struttura organizzativa e sulla espansione territoriale delle aziende di credito, se da un lato risulta del tutto svuotato di contenuti, in quanto vi è stato uno spostamento dello scopo dei controlli da quello di verifica delle modalità di strutturazione del mercato a quello di accertamento della stabilità e dell’efficienza dei soggetti che in esso operano21, dall’altro, tende sempre di più ad uniformarsi ad un “modello europeo” basato sul riconoscimento dell’eguale dignità dei controlli di vigilanza prudenziale all’interno di un mercato unico concorrenziale anche nel settore del credito22. Il controllo sulla struttura organizzativa e sulla espansione territoriale delle banche non può, conseguentemente, più atteggiarsi quale verifica delle modalità di strutturazione del mercato, ma piuttosto è finalizzato all’accertamento della stabilità e dell’efficienza dei soggetti che in esso operano, uniformandosi ad un “modello europeo” basato sul riconoscimento dell’eguale dignità dei controlli di vigilanza prudenziale all’interno di un mercato unico concorrenziale. In base alla richiamata giurisprudenza costituzionale vanno considerati principi fondamentali quelli dettati dalla normativa nazionale di settore di recepimento del diritto comunitario23.

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Nel complesso, la situazione della normativa che stabilisce l’ambito dei poteri regionali di intervento sui temi del credito e delle banche, diversa tra Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale, e ancora tra queste stesse al loro interno, alla luce di esigenze unitarie più volte riconosciute in materia, ha indotto la Corte costituzionale (sentenza 525/1990) a ritenere «pressante... l’esigenza di un riesame sistematico dei poteri regionali (e provinciali) in materia di credito sia al fine di rendere coerente il complesso corpo normativo esistente nel settore, sia, con specifico riferimento alle autonomie differenziate, al fine di eliminare le profonde e spesso ingiustificate disparità di disciplina tra regione e regione. Siffatto riesame si palesa tanto più urgente alla luce delle attuali vicende evolutive del sistema bancario italiano, caratterizzate da un generale ampliamento dei mercati creditizi, il quale è legato, in particolare, all’inserimento degli istituti di credito italiani nella più ampia cornice della Comunità economica europea». 22 Per una disamina della giurisprudenza costituzionale in merito si v. Pianesi, Banche e Regioni. Profili della competenza regionale in materia bancaria nel nuovo assetto costituzionale, in www.federalismi.it, 7/2008, al quale si rinvia anche per ulteriori riferimenti in dottrina. 23 Va ricordato che nella declinazione della portata delle sentenza che sin dalla sua prima pronuncia – la n. 59 del 1958 – ritenne incostituzionale l’intera legge regionale della Sardegna del 1956, precisando che la funzione creditizia dovesse essere considerata da lungo tempo – e non soltanto in Italia – di pubblico interesse immediato, in tutta la sua estensione, perché la circolazione creditizia influisce decisamente sul mercato

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Va inoltre ricordato che la riforma costituzionale del 2001 della parte II al Titolo V ha assegnato alle Regioni a Statuto ordinario la competenza (concorrente ex art. 117, co. 3) in tema di casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale, ricorrendo, con molte critiche in dottrina24, ad una serie di tipologie da più di un decennio in profonda trasformazione, quando non addirittura obsolete. Sono comprese fra le funzioni amministrative trasferite alle regioni

monetario, che è (al tempo) nazionale con la conseguente ineludibilità di una disciplina rigorosamente unitaria. Il principio della distribuzione funzionale del credito, che è proprio della legge bancaria e che è in armonia col sistema delle autonomie regionali, ammette che sia adeguato l’ordinamento giuridico alle esigenze locali, secondo la diversità dei bisogni. Anche prima della legge bancaria non mancavano, del resto in Italia, ricorda ancora la Corte nella prima pronuncia in materia, fiorenti istituti di credito la cui disciplina statutaria doveva essere approvata da enti locali; e vi sono tuttora istituti di credito di diritto pubblico, sui quali gli enti locali esercitano vari poteri, col pieno rispetto della legge bancaria. Ma la Corte ritiene «ovvio che i poteri della Regione non possono escludere i poteri che la legge conferisce agli organi statali (artt. 5 e 28 della legge bancaria – allora vigente) circa l’istituzione e l’ordinamento degli enti e delle aziende di credito». Se la Regione sarda – osserva la Corte – potesse a suo beneplacito istituire ed ordinare tutti gli enti e tutte le aziende bancarie di carattere regionale con assoluta discrezionalità nel proprio interesse, «verrebbe violato il principio fondamentale della cura unitaria della funzione creditizia, che deriva dall’esigenza di garantire la sicurezza del risparmio e di assicurare l’ordine monetario su base nazionale e che è caratteristico della vigente legge bancaria». 24 In merito, si vedano tra gli altri Montedoro, Ordinamento comunitario, governo del credito e regioni a statuto speciale dopo l’approvazione del testo unico della legge bancaria, in Foro amm., 1995, 3, pp. 534 e ss.; Atelli, Prime note sul diritto bancario regionale dopo la riforma del titolo V della Costituzione, in Le società, 2002, pp. 22 ss.; Costi, Regioni e credito: i profili istituzionali, in Banca, impresa, soc., 2003, pp. 15-16; Pisaneschi, Considerazioni sulle competenze regionali in materia di credito, in Banca, impresa, soc., 2006, pp. 19 e ss. e, più recentemente, La Porta, La competenza legislativa regionale in materia bancaria tra principi comunitari e interessi locali, in Le regioni, 2011, I, pp. 1139 e ss., M. Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina, Santoro, Testo unico bancario. Commentario, 2010, Milano, pp. 1341 e ss.; Costa, Pappalardo, sub art. 159, in Commento al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Costa, Torino, 2013, pp. 1780 e ss. Si tratta di una competenza, quella in materia bancaria, che – in termini diversi – era già propria delle Regioni a Statuto speciale. È noto che le altre Regioni non disponessero, prima del 2001, di tale possibilità di intervento: nella seconda stagione del trasferimento di competenze alle Regioni, il d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, emanato in attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382, è intervenuto, all’art. 109, nel diverso (e circoscritto) tema delle agevolazioni al credito.

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nelle materie di cui al decreto anche quelle concernenti ogni tipo di intervento per agevolare l’accesso al credito nei limiti massimi stabiliti in base a legge dello Stato, nonché la disciplina dei rapporti con gli istituti di credito, la determinazione dei criteri dell’ammissibilità al credito agevolato ed i controlli sulla sua effettiva destinazione. Mentre resta ferma la competenza degli organi statali relativa all’ordinamento creditizio, agli istituti che esercitano il credito, alla determinazione dei tassi massimi praticabili dagli istituti25. In disparte, infine, le questioni inerenti le c.d. fondazioni bancarie26, ormai pienamente ricondotte alla competenza statale. Nella redazione del testo delle norme di attuazione si è tenuto conto, altresì, della giurisprudenza in materia di fondazioni di origini bancarie, non contemplando tali soggetti perché, appunto, a partire dalla sentenza n.300 del 2003 la Corte Costituzionale27, superando la propria precedente pronuncia n. 342 del 2001 (favorevole alla Regione siciliana, che aveva rivendicato, sulla base dell’art. 4 del d.P.R. n. 1133 del 1952, la propria competenza in materia di approvazione di modifiche statutarie riguar-

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Giova ricordare che nella delega della c.d. legge Bassanini (l. 15 marzo 1997, n. 59) il previsto trasferimento alle Regioni e agli enti locali escludeva i compiti e le funzioni riferibili a materie espressamente riservate allo Stato, tra le quali quelle riconducibili a «moneta, perequazione delle risorse finanziarie e sistema valutario», non invece agli enti creditizi. In attuazione della delega è stato emanato il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Successivamente la legge 16 giugno 1998, n. 191 (Modifiche ed integrazioni alle L. 15 marzo 1997, n. 59, e L. 15 maggio 1997, n. 127), promulgata e pubblicata dopo l’emanazione e l’entrata in vigore del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 ha sostituito l’art. 1, comma 3, lettera h), della legge n. 59 del 1997, riformulando questa disposizione nel senso che dal conferimento di funzioni alle Regioni e agli enti locali sono escluse non solo quelle riconducibili alla materia “moneta, perequazione delle risorse finanziarie e sistema valutario”, ma anche quelle afferenti alla materia “banche”. 26 In merito, in termini generali, si rinvia, anche per una compiuta rassegna dell’ormai copiosa dottrina in materia, a Morbidelli, Le attività delle fondazioni tra diritto pubblico e diritto privato, in Fondazione e banche. Modelli ed esperienze in Europa e negli Stati Uniti, a cura di Cerrina Feroni, Torino, 2011, pp. 1 e ss. nonché Pastori, Zagreblelsky, Fondazioni bancarie: una grande riforma da consolidare, Bologna, 2011, passim. Con riguardo alle questioni inerenti le fondazioni bancarie nella Regioni a statuto speciale sia consentito richiamare il mio contributo: Fondazioni bancarie e poteri delle Regioni ad autonomia differenziata, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, II, pp. 1 e ss. 27 Sulla quale v. Clarich e Pisaneschi, nel Commento pubblicato su il Giorn. dir. amm., 2003, n. 12, pp. 1266 e ss., Napolitano, Le fondazioni di origine bancaria nell’“ordinamento civile”: alla ricerca del corretto equilibrio tra disciplina pubblica e autonomia privata, in Corr. Giur., 2003, pp. 1576 e ss., Atelli, Con la fine dell’attività creditizia la potestà regionale non è giustificata, in Guida al diritto, 2003, n. 39, pp. 90 ss.

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danti una fondazione bancaria), ha consolidato l’orientamento secondo cui, queste non rientrano più nell’ambito della materia del credito, ma in quella dell’ordinamento civile, comprendente la disciplina delle persone giuridiche di diritto privato che l’art. 117, secondo comma, della Costituzione assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. 3. Il d.lgs. 29 ottobre 2012, n. 205, come si accennava in premessa, chiude un negoziato ultraventennale tra Regione e Stato in materia ed offre alla Regione, dopo sessanta anni, un nuovo quadro regolativo coerente con il vigente ordinamento statale ed europeo in materia bancaria28. Analogamente alle previsioni delle precedenti norme di attuazione si individua nell’Assessorato regionale dell’economia – Dipartimento delle finanze e del credito – che è succeduto all’Assessorato al bilancio e le finanze giusta la l.r. 19 del 2008 ed il conseguente d.P.R.sic. n. 12 del 2009, la competenza nell’adozione dei provvedimenti previsti dalle disposizioni vigenti nelle seguenti materie: a) autorizzazione all’attività bancaria, alla trasformazione, fusione e scissione delle banche a carattere regionale; b) modificazione degli statuti delle banche a carattere regionale; c) decadenza e sospensione dei soggetti che svolgono nelle banche a carattere regionale funzioni di amministrazione, direzione e controllo, in relazione al difetto dei requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza di cui all’articolo 26 del t.u.b. (art.1). L’esercizio delle funzioni regionali, si ribadisce altresì, deve comun-

28 Per la redazione di un nuovo schema di norme di attuazione in materia di credito e risparmio che consentisse di superare una empasse che svolgeva effetti pregiudizievoli soprattutto sul mercato è stato istituito, nel 2010, in seno all’Assessorato per l’economia, un Comitato di esperti, senza oneri per l’Amministrazione. A seguito degli approfondimenti svolti è stato elaborato, con la finalità di sostituire le norme di attuazione approvate con il d.P.R. 1133 del 1952, un nuovo testo che: ha individuato le attribuzioni in capo alla Regione siciliana, consistenti nell’adozione dei provvedimenti previsti dalle disposizioni vigenti in materia di autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria, trasformazione, fusione e scissione delle banche aventi sede legale e filiali esclusivamente nel territorio regionale, modificazione degli statuti delle stesse banche, requisiti dei soggetti che svolgono nelle predette banche funzioni di amministrazione, direzione e controllo; ha legato l’acquisizione dei dati trasmessi dalle banche all’Assessorato regionale dell’economia al loro utilizzo nell’ambito dell’attività espletata dall’Osservatorio regionale dei prodotti e servizi bancari, finalizzata alla conoscenza dell’attività delle banche regionali e della loro evoluzione strutturale, dell’andamento dei tassi di interesse applicati in Sicilia e, più in generale, dell’andamento del credito in Sicilia e dell’evoluzione del sistema creditizio siciliano.

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que svolgersi in coerenza con i poteri attribuiti dall’ordinamento alla Banca d’Italia e specificati, in particolare, dall’art. 6 dello stesso decreto e che l’adozione dei provvedimenti nelle materie di cui al co. 1 è subordinata al rilascio del parere obbligatorio e vincolante, a fini di vigilanza, da parte della Banca d’Italia. D’altra parte è poi lo stesso art. 6 del testo in commento che, nel confermare che restano di competenza esclusiva della Banca d’Italia le valutazioni e le attività di vigilanza anche nei riguardi delle banche a carattere regionale, introduce una norma di chiusura che fa da ‘cerniera’ con il t.u.b. ed alla stregua della quale, per quanto non previsto nelle disposizioni del decreto o con esse non in contrasto, «si applicano nella Regione le disposizioni statali in materia di disciplina dell’attività bancaria e sono competenti gli organi previsti da dette disposizioni». Una delle principali novità, almeno per l’ordinamento regionale siciliano, si rinviene all’art. 1, co. 3, che offre la definizione normativa di “banche a carattere regionale”. Giusta la richiamata disposizione sono quindi banche regionali quelle «che hanno la sede legale in Sicilia purché non abbiano più del 5% degli sportelli al di fuori della regione, la loro operatività sia localizzata nella regione e, ove la banca appartenga a un gruppo bancario, anche le altre componenti bancarie del gruppo e la capogruppo presentino carattere regionale ai sensi delle presenti disposizioni». L’esercizio di una marginale operatività al di fuori del territorio della Regione, su conforme valutazione della Banca d’Italia, non fa venir meno il carattere regionale della banca. L’esercizio delle competenze regionali differenziate, tenuta in debito conto la profonda evoluzione dell’ordinamento, va correlato alla nozione di banca regionale. Ed in questo senso un utile riferimento si rinviene nelle specifiche previsioni delle norme di attuazione in materia di credito e risparmio dello Statuto del Trentino-Alto Adige e dalle conseguenti (art. 2 del d.P.R. 234/1977), su cui la dottrina fa leva per giungere alla conclusione che sono regionali le banche che abbiano sede legale e sportelli esclusivamente nel territorio regionale, anche se facciano impieghi fuori della Regione, pur avendo il proprio centro preminente dell’attività di impresa solo nella stessa29. Va poi ricordato che in attuazione delle previsioni dell’art. 1, co. 4, l. 5 giugno 2003, n 131 (legge c.d. La Loggia), è stato emanato il d.lgs.

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Così Cassese, Mercati finanziari, Stato e Regioni, in Banca, impresa, soc., 2003, p. 6.


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18 aprile 2006, n. 17130 secondo il quale: «ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, la potestà legislativa regionale concorrente in materia bancaria si esercita nei confronti delle banche a carattere regionale» (art. 2, co. 1). Il decreto riconduce l’esercizio della potestà regionale nell’ambito della regola generale della devoluzione alla competenza (esclusiva) statale della materia del credito e della materia finanziaria, riconoscendo spazi circoscritti di intervento regionale limitatamente alle banche a carattere regionale, categoria individuabile su una serie di indici rivelatori indicati dallo stesso art. 2 del d.lgs. n. 171/2006 «l’ubicazione della sede e delle succursali nel territorio di una stessa regione, la localizzazione regionale della sua operatività, nonché, ove la banca appartenga a un gruppo bancario, la circostanza che anche le altre componenti bancarie del gruppo e la capogruppo presentino carattere regionale ai sensi del presente articolo». La norma, poi, precisa che «l’esercizio di una marginale operatività al di fuori del territorio della regione non fa venir meno il carattere regionale della banca» (co. 2) ed attribuisce alla competenza della Banca d’Italia «la localizzazione regionale dell’operatività» (co. 3)31. Nel solco di tale orientamento si colloca la previsione contenuta nelle norme di attuazione che, all’art. 1, co, 3, dispone che «sono banche a carattere regionale le banche che hanno la sede legale in Sicilia purché non abbiano più del 5 per cento degli sportelli al di fuori della Regione, la loro operatività sia localizzata nella Regione e, ove la banca appartenga a un gruppo bancario, anche le altre componenti bancarie del gruppo e la capogruppo presentino carattere regionale ai sensi delle pre-

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Recante: “Ricognizione dei principi fondamentali in materia di casse risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale”. 31 Cfr. Giorgianni, Tardivo, Manuale di diritto bancario, Milano, 2006, pp. 24 e ss. Si tratta di previsione coerente con quanto precisato dalla Corte costituzionale già nella sentenza n. 525 del 1990 nella quale ha precisato che «i poteri delle regioni o delle province autonome sono naturalmente delimitati dai confini dell’interesse regionale o provinciale sotteso alle competenze legislative e amministrative delle stesse e poiché, sotto il profilo spaziale, quei confini coincidono, in via di principio, con i limiti del rispettivo territorio, la mancanza nelle norme statutarie (o in quelle di attuazione) di qualsiasi precisazione circa l’ambito di estensione dell’attività degli enti sottoposti alle proprie competenze deve essere interpretata attraverso “una lettura rigorosa” vale a dire nel senso restrittivo di circoscrivere i poteri di nomina dell’ente regionale (o provinciale) agli istituti di credito che limitano la propria attività di erogazione dei servizi bancari all’interno del territorio dell’ente autonomo titolare di quei poteri».

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senti disposizioni. L’esercizio di una marginale operatività al di fuori del territorio della Regione, su conforme valutazione della Banca d’Italia, non fa venire meno il carattere regionale della banca». Piuttosto che l’introduzione di un rigido criterio di demarcazione delle rispettive competenze ha prevalso, proprio nell’ottica collaborativa che pervade il testo normativo in esame, una logica di cooperazione anche nelle individuazione delle dimensione regionale della banca. Trova conferma anche nel nuovo testo delle norme di attuazione in materia di credito e risparmio la previsione sull’Albo regionale delle banche (art. 2), istituito presso l’Assessorato regionale dell’economia - Dipartimento delle finanze e del credito, nel quale sono iscritte le banche aventi sede legale nella Regione, prevedendosi altresì che ogni iscrizione è comunicata alla Banca d’Italia. Nell’Albo vengono annotate per ogni banca le seguenti indicazioni: a) la denominazione; b) la forma giuridica assunta, la data di autorizzazione all’attività bancaria e gli estremi della relativa pubblicazione ai sensi delle vigenti disposizioni; c) la sede centrale e quella degli sportelli. Al secondo comma dell’art. 2 si prescrive poi alle banche regionali di trasmettere apposita comunicazione per ogni variazione intervenuta sui dati indicati. Una delle principali innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 205 del 2012 concerne la disciplina dell’Osservatorio regionale sul credito, già istituito ai sensi dell’art. 83 della l.r. 26 marzo 2002, n. 2, ed adesso consacrato nella normativa di attuazione statutaria (art.3). L’Osservatorio, giova ricordarlo, è una struttura che consente il monitoraggio delle condizioni bancarie praticate in Sicilia a famiglie ed imprese e di assumere iniziative conseguenziali nel confronto costante con il sistema bancario operante nell’Isola. Sulla base delle rilevazioni di tale Osservatorio l’Amministrazione regionale dell’Economia presenta periodici bollettini che consentono di monitorare l’andamento del credito nella Regione. L’approntamento della rilevazione dei dati avviene attraverso la Banca d’Italia che deve fornire all’assessorato regionale dell’economia i dati concernenti l’operatività delle banche aventi sede legale in Sicilia, aggregati per tipologia di banca, e quella di tutti gli sportelli bancari presenti; i dati forniti garantiscono il flusso informativo che la Regione ha acquisito sino all’entrata in vigore del decreto. Al fine di stabilire puntualmente il contenuto, le modalità ed i termini di trasmissione dei dati è prevista la definizione dell’accordo tra la Ban-

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ca d’Italia e l’Assessorato regionale dell’economia che, invero, ad oggi non risulta ancora sottoscritto. In ogni caso i dati in questione, giusta la richiamata normativa di attuazione. sono forniti entro i limiti previsti dall’ordinamento in materia di segreto d’ufficio e di segreto relativo alle informazioni statistiche riservate raccolte dal SEBC32. Infine, in termini innovativi rispetto alla generale disciplina attuativa degli statuti regionali in materia, l’art. 4 del decreto, con una norma di principio, sancisce che l’Assessorato regionale dell’economia-Dipartimento delle finanze e del credito e la Banca d’Italia: «collaborano, nell’esercizio delle rispettive competenze sulle banche a carattere regionale, ferma restando la titolarità dei poteri attribuiti dalla vigente legislazione bancaria». La competenza all’esercizio di funzioni sulle banche regionali ha un proprio riferimento anche con riguardo ai provvedimenti straordinari sulle banche a carattere regionale. A norma dell’art. 5 del decreto legislativo in commento, infatti, per le banche a carattere regionale i provvedimenti riguardanti lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo, la revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria e la liquidazione coatta amministrativa, nei casi previsti dal t.u.b. «sono adottati, ove la Banca d’Italia ne faccia proposta, con decreto dell’assessore regionale per l’economia». Da ricordare, infine, che le disposizioni contenute nel d.P.R. n.1133 del 1952 vengono espressamente abrogate, differendosi soltanto l’abrogazione dell’art.8 al momento nel quale la Banca d’Italia e l’Assessorato Regionale dell’Economia avranno definito l’accordo relativo alle modalità di trasmissione dei dati sull’andamento del credito in Sicilia. È poi previsto che in attuazione dell’art.3 le due amministrazioni interessate definiscano uno specifico accordo che fissi modalità e termini di

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La scelta del testo condiviso nel negoziato tra la Regione e la Banca d’Italia – poi recepita nel testo delle norme di attuazione statutaria – assicura il vantaggio di incidere in misura marginale sull’organizzazione e sull’attività di queste ultime che, nel settore considerato, già esercitano le attribuzioni amministrative previste dal testo in questione. Gli obblighi informativi stabiliti da quest’ultimo attengono al flusso di dati statistici che la Banca d’Italia, tra i cui compiti essenziali vi è quello della raccolta, produzione e pubblicazione di informazioni statistiche, fornirà alla Regione siciliana, alla quale peraltro trasmette già il flusso di dati c.d. BASTRA, concernente l’intero settore creditizio; tale obbligo fa venire meno il corrispondente obbligo attualmente gravante sulle banche aventi sede in Sicilia, di trasmissione delle segnalazioni statistiche relative allo loro operatività (c.d. flusso PUMA2), i cui dati sono accessibili, ai fini delle elaborazioni statistiche curate dalla Regione, attraverso un apposito “programma informatico”.

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trasmissione dei dati relativi all’andamento del credito in Sicilia. Soltanto a seguito della stipula di tale accordo verranno modificate le attuali modalità di acquisizione dei dati da parte dell’Assessorato dell’Economia della Regione siciliana. ​L’articolo 10 rimanda, con una norma di chiusura che si aggiunge a quella in precedenza richiamata con riguardo ai compiti della Banca d’Italia, alla normativa statale per quanto non previsto nelle medesime norme di attuazione, richiamando le funzioni di ispezione e verifica esercitate dalla Banca di Italia. Poiché esso fa espressamente riferimento ad attività dall’Istituto di Vigilanza riconducibili alle funzioni da esso esercitate in via esclusiva, nonché ai principi fondamentali determinati dalla legislazione statale33. La norma prevede, infine, che tra l’Assessorato regionale dell’Economia e la Banca d’Italia sia perfezionato un accordo relativo alla trasmissione del flusso informativo necessario per le finalità dell’Osservatorio. 4. Questo il quadro sintetico della normativa di attuazione statutaria del 2012. V’è tuttavia da chiedersi se su tale nuovo assetto non refluisca l’avanzato stato di definizione del processo di creazione del sistema unico di vigilanza sulle banche, pietra miliare dell’unione bancaria che già avviato sin dal 2010 con la riforma dell’ordinamento finanziario europeo che ha istituito il SEVIF (Sistema europeo delle autorità di vigilanza). Tale sistema attribuisce alla BCE competenze in materia di vigilanza macroprudenziale accanto alla quale vengono istituite tre nuove autorità per il controllo sulle banche (EBA) - istituita dal regolamento (CE) n 1093/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010 ed ha assunto tutti i compiti esistenti del comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria (CEBS) - nonché quella sui mercati (ESMA) e quella sulla assicurazioni (EIOPA), adesso converge su un’unica istituzione per la vigilanza sullo svolgimento dell’attività bancaria in ambito regionale europeo trovando nell’unitarietà della funzione di controllo la condizione essenziale per una «sana e prudente gestione». Si prospetta, quindi, un meccanismo di vigilanza unico (cd. SSM: Single Supervisory Mechanism) sugli enti creditizi stabiliti negli Stati mem-

33 Sul ruolo dell’Autorità di vigilanza bancaria alla stregua delle previsioni costituzionali, con interessanti profili anche di diritto comparato si rinvia al lavoro di Siclari, Costituzione e autorità di vigilanza bancaria, Padova, 2007, pp. 213 e ss.

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bri dell’eurozona ed affidato alla BCE. A tal fine il 12 settembre 2012 la Commissione europea ha presentato un pacchetto di provvedimenti relativi all’Unione bancaria, approvato il 13 dicembre successivo dal Consiglio europeo così articolato: - la comunicazione “Una tabella di marcia verso l’Unione bancaria” (COM (2012) 510 def. - la proposta di regolamento che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (COM (2012) 511 def.)34; - la proposta di regolamento recante modifica del regolamento n. 1093/2010, che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea) per quanto riguarda l’interazione di detto regolamento con il regolamento che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (COM (2012) 512 def.). In base al nuovo modello la BCE sarà competente a svolgere compiti specifici di vigilanza prudenziale degli enti creditizi stabiliti negli Stati membri la cui moneta è l’euro (Stati membri partecipanti), con la finalità di promuovere la sicurezza e la solidità degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario35. La BCE assolverà tali compiti nel quadro del SEVIF e in stretta cooperazione con le autorità di vigilanza nazionali e l’ABE. Si realizza in tal guisa il superamento del modello della vigilanza nazionale armonizzata, cui si era sinora ispirata la legislazione europea, accedendo alla realizzazione di una vera e propria European Banking Union, caratterizzata da una vigilanza pienamente integrata a livello sovranazionale36. Ed infatti, la crisi dei debiti sovrani e di gran parte delle economie

34 Si può consultare in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri= COM:2012:0511:FIN:IT:PDF 35 In merito vi è già un’articolata dottrina, tra gli altri si vedano: Sarcinelli, L’Unione bancaria europea, in Banca, impresa, soc., n. 3-2012, pp. 333 e ss.; Mancini, Dalla vigilanza nazionale armonizzata alla Banking Union, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale, Roma, 2013, pp. 8 e ss.; Capriglione, L’Unione Bancaria Europea. Una sfida per un’Europa più unità, Torino, 2013, nonché la relazione di Clarich, La vigilanza bancaria tra ordinamento nazionale e ordinamento europeo, al Convegno organizzato dalla Banca d’Italia, Verso la vigilanza unica in Europa, Roma, 17 giugno 2013, in corso di pubblicazione. 36 Sulla complessa prospettiva v., tra i primi commentatori, Micossi, L’Unione bancaria in costruzione, in Prove di Europa unita. Le istituzioni europee di fronte alla crisi, a cura di Amato e Gualtieri, Bagni a Ripoli, 2013, pp. 113 e ss..

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europee ha fatto emergere le criticità insite nel lento processo di unificazione europea37 mettendo in evidenza, con riguardo all’integrazione bancaria e finanziaria, l’inadeguatezza del modello ormai consolidato della vigilanza armonizzata, introdotto, insieme al principio dell’home country control, dalle direttive europee, che avevano iniziato a disciplinare il settore bancario a partire dalla fine dalla dine degli anni ’70. L’esigenza di una profonda revisione di tale sistema si è manifestata con l’incedere dell’integrazione dei mercati finanziari europei. Sono sorte, infatti, in molti Paesi dell’Unione imprese bancarie sovra-nazionali con dimensioni che travalicavano le effettive possibilità di controllo delle singole Autorità nazionali e dei Comitati delle Autorità Europee di vigilanza38. Anche se il percorso, per molti versi appare controverso e non privo di elementi di incertezza, effetti di un lungo e complesso compromesso tra gli Stati39. Se appare assai improbabile che vi possa essere una incidenza sulle funzioni attribuite alla regione in materia di credito e risparmio, stante la nitida linea di demarcazione delle competenze tracciata dalle norme di attuazione del 2012, non possono revocarsi in dubbio le sicure refluenze sulle competenze della Banca d’Italia disegnate dal t.u.b. Ed infatti l’attività di vigilanza, almeno con riferimento ad alcune tipologie di banche, viene prevalentemente attratta a livello centrale europeo, divenendo così una funzione multilivello40. Questo certamente imporrà una profonda rivisitazione del t.u.b., e, probabilmente, pur se in termini meno incisivi, anche delle appena pubblicate norme di attuazione dello Statuto siciliano in materia di credito

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Chiti, La crisi del debito sovrano e le sue influenze per la governance europea, i rapporti tra Stati membri, le pubbliche amministrazioni, in Riv. it. dir. pubbl., Commenatario, 2013, n. 1, pp. 1 e ss. 38 Si vedano in merito Napolitano, La risposta europea alla crisi del debito sovrano: il rafforzamento dell’Unione economica e monetaria, in Banca, borsa, tit. cred, 2012, pp. 747 e ss.; Chiti, Le architetture istituzionali della vigilanza finanziaria, in Uscire dalla crisi. Politiche pubbliche e trasformazioni istituzionali, a cura di Napolitano, Bologna, 2012, pp. 157 e ss., Guarracino, Dal meccanismo di vigilanza unico (SSM) ai sistemi centralizzati di risoluzione delle crisi e di garanzia dei depositi: la progressiva europeizzazione del settore bancario, in Riv. trim dir. ec., 3/2012, pp. 199 ss. 39 Così Vella, Le vie del compromesso del sistema bancario europeo, in http://www. lavoce.info/le-vie-del-compromesso-sul-sistema-bancario-europeo/. 40 Si veda, per una puntuale ricostruzione della normativa in materia, il dossier del Senato, Il nuovo pacchetto sull’unione bancaria nel quadro della regolamentazione dei servizi finanziari, XVI legislatura

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e risparmio. Sicché lo scenario normativo che dopo la novella del 2012 sembrava definito è destinato a subire un nuovo riordino nella rafforzata prospettiva dell’integrazione bancaria europea. L’attuazione delle funzioni regionali, adesso riconnesse in termini più stringenti alla cooperazione con la vigilanza bancaria (statale ed adesso anche europea), come precisato profondamente ridisegnate nella nuova prospettiva dell’ordinamento bancario europeo, potrà disvelare le ragioni del permanere di una competenza regionale o invece relegarle ad un formalismo che ben presto le condannerà all’oblio. Gaetano Armao

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Il recepimento del Sistema Europeo di Vigilanza Finanziaria nell’ordinamento italiano: l’impatto sull’architettura di vigilanza bancaria Sommario: 1. Vigilanza sui mercati finanziari e riforme europee: tra crisi finanziaria e complessità dei modelli di riferimento. – 2. Il Sistema europeo di vigilanza finanziaria (Sevif): cenni generali. – 2.1. Funzioni e riparto delle competenze tra le autorità europee. – 3. Attuazione della direttiva 2010/78/UE: i criteri di delega. – 3.1. Segue. Le modifiche apportate al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. n. 385/1993 - t.u.b.). – 4. Il recepimento del Sevif e le implicazioni per l’architettura di vigilanza bancaria italiana. Il problema del coordinamento tra autorità europee e autorità nazionali. – 4.1. Segue. L’impatto delle norme europee sul t.u.b. e sull’architettura di vigilanza: simmetrie e asimmetrie con lo “schema europeo”. – 4.2. Segue. Alcune considerazioni de iure condendo: verso la fine del residuo sistema di governo politico del credito.

1. Vigilanza sui mercati finanziari e riforme europee: tra crisi finanziaria e complessità dei modelli di riferimento. Il processo di costruzione e il concreto avvio dell’Unione bancaria1 hanno catalizzato, per evidenti motivi, l’attenzione degli studiosi e delle istituzioni facendo passare per alcuni versi in “secondo piano” la “pri-

1 Come è noto, i tre “pilastri” che compongono l’Unione bancaria (cfr. Van Rompuy, Towards a Genuine Economic and Monetary Union, Conclusioni del Consiglio del 28/29 giugno 2012, Bruxelles, 26 giugno 2012) sono: il Meccanismo di vigilanza unico (SSM); il Meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie (SRM); il Sistema europeo di garanzia dei depositi (SGD). Il secondo è disciplinato dal Regolamento n. 806/2014 che entra in vigore nel 2016, anche se la piena operatività del meccanismo è prevista per il 2018. La realizzazione del terzo pilastro ha subito un ridimensionamento verso una mera armonizzazione dei sistemi nazionali di garanzia dei depositi bancari, rispetto all’idea federalista di partenza; il sistema è regolato dalla direttiva 2014/49/UE, che modifica le direttive 2009/14/CE e 94/19/CE. Infine, il primo pilastro è l’unico compiutamente

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ma” fase della riforma europea dei meccanismi di vigilanza sui mercati finanziari, già realizzata e recepita negli ordinamenti nazionali, ossia la costituzione del Sistema europeo di vigilanza finanziaria (nel prosieguo “Sevif”). Difatti, con specifico riguardo all’attuazione di tale corpus normativo nei sistemi degli Stati membri, la dottrina ha analizzato le modifiche apportate alla disciplina interna in chiave di dinamiche funzionali e operative senza riuscire ad approfondire appieno le implicazioni per le architetture di vigilanza statali proprio in ragione dei molteplici problemi e interrogativi sorti con all’avvio dell’Unione bancaria (sebbene si tratti di riforma, quest’ultima, attinente al solo settore bancario). Eppure già dall’attuazione delle disposizioni del Sevif si possono ricavare precise indicazioni sull’impatto ordinamentale del processo europeo di riforma dei controlli sui mercati finanziari, specie per un ordinamento come quello italiano, in cui l’articolazione della vigilanza presenta assetti peculiari e “originali”.

realizzato e operativo: il Regolamento del Consiglio n. 1024/2013 (entrato in vigore nel 2013) dispone che a decorrere dal 4 novembre 2014 alla BCE sono ufficialmente affidati i compiti di vigilanza prudenziale sulle banche europee c.d. “significative”, mentre le autorità nazionali continuano a vigilare sulle altre banche, secondo linee guida stabilite dalla stessa BCE. In dottrina v., ex multis, Rispoli Farina, Verso la vigilanza unica europea. Stato dell’arte, in Innovazione e diritto (www.innovazionediitto.it), 2012, 6, pp. 2 ss.; Mancini, Dalla vigilanza nazionale armonizzata alla Banking Union, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale della Banca d’Italia, n. 73, Roma, settembre 2013, passim; Ciraolo, Regolamento UE n. 1024/2013 sul meccanismo unico di vigilanza e l’unione bancaria europea. Prime riflessioni, in Amministrazione in cammino (www.amministrazioneincammino.luiss.it/?p=22503), 5 luglio 2014, pp. 35 ss.; Miraglia, L’unione bancaria: una nuova architettura nella governance del credito in Europa, in Dir. banc., 2014, I, pp. 237 ss.; Draghi, Building the bridge to a stable European economy, Speech by the President of the European Central Bank at the annual event organized by the Federation of German Industries, Berlino, 25 settembre 2012; Baglioni, Bongini, Lossani, Nieri, Verso l’Unione bancaria europea: disegno istituzionale e problemi aperti, in Banca, impr. soc., 2012, 3, p. 314; Constancio, Towards a European Banking Union, Amsterdam, 7 settembre 2012 (in www.ecb.int); Id., Sull’istituzione di un meccanismo unico di sorveglianza, il primo pilastro della Union banking, Bruxelles, 31 gennaio 2013 (in www.ecb.int); Schoenmaker, The Financial Trilemma, in Tinbergen Institute Discussion Paper, n. TI 11-019/DSF 7, Amsterdam, gennaio 2011; Santoro, Tonelli, La crisi dei mercati finanziari: analisi e prospettive, Milano, 2012, vol. I; ibid., vol. II, Milano, 2013; Ferrarini, Chiarella, Common Banking Supervision in the Eurozone: Strenghts and Weaknesses, in ECGI Law Working Paper No 223/2013, 1 August 2013 (in ssrn.com/abstract_id=2309897); Affinita, L’attuazione dell’Unione Bancaria europea: il Meccanismo di vigilanza unica e il Meccanismo unico di risoluzione delle crisi. Profili generali, in Innovazione e diritto (www.innovazionediritto.it), 2013, 5, pp. 65 ss.; Russo, Vella, I cardini dell’Unione bancaria, in LaVoce.info, 10 settembre 2012.

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Il sistema bancario-finanziario italiano si connota, infatti, per un composito modello di vigilanza2, frutto di stratificati interventi normativi e con molteplici elementi di differenziazione teorica per ciascuno dei comparti in cui si suole suddividere – specie a fini di regolamentazione – il mercato dell’intermediazione finanziaria3. Ad una architettura

2 Com’è noto, in ambito bancario si riscontrano, al contempo, una vigilanza per attività e tratti propri della vigilanza per soggetti, con competenze regolamentari del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR), del Ministro dell’economia e delle finanze e della Banca d’Italia. L’applicazione della disciplina antitrust vede una prevalente competenza dell’Autorità garante della concorrenza del mercato (Agcm) oltre a una gestione parzialmente congiunta (con la Banca d’Italia) di alcune procedure relative alle concentrazioni bancarie. Nel comparto assicurativo prevale il modello della vigilanza per soggetti, ma vengono previste competenze regolamentari anche di Banca d’Italia e Consob, rispettivamente per i prodotti bancario-assicurativi e per quelli destinati ai mercati dei servizi di investimento (precipuamente con riferimento alle assicurazioni del “ramo vita”). Con riferimento al controllo antitrust è prevista la competenza dell’Agcm, previo parere consultivo dell’Ivass. Discorso analogo vale per il settore previdenziale, nel cui ambito il controllo (secondo un prevalente modello per soggetti) spetta alla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip), con talune attribuzioni di controllo e regolamentari alla Consob, per i profili di “finanziarietà” connessi all’operatività dei fondi medesimi. Il settore dell’intermediazione mobiliare, infine, è caratterizzato tendenzialmente da un sistema di vigilanza per finalità, ma non è esclusa la previsione del modello “per soggetti”, come avviene quando sia una banca a svolgere servizi di investimento, nel qual caso la competenza è della Banca d’Italia. Quest’ultima vigila con riguardo alla stabilità patrimoniale, al contenimento del rischio e alla sana e prudente gestione; la Consob, con riferimento alla trasparenza e alla correttezza dei comportamenti di mercato, mentre la disciplina della concorrenza è attribuita all’Agcm, senza la previsione di pareri da parte delle due autorità di settore. Dall’assetto del t.u.f. rimane estraneo il Cicr che pertanto non ha, in tale ambito, formali attribuzioni regolamentari. V., nella vasta letteratura sul tema, Monaci, La struttura della vigilanza sul mercato finanziario, Milano, 2007, passim; Brescia Morra, Le forme della vigilanza, in L’ordinamento finanziario, a cura di Capriglione, 2005, cit., p. 192; Cesarini, Parente, Commento sub art. 53, in Testo Unico Bancario. Commentario, a cura di Belli, Losappio, Rispoli Farina e Santoro, Milano, 2010, p. 470; Adamo, La vigilanza sull’attività bancaria, Napoli, 2003, part. pp. 50 ss. 3 Sebbene sotto il profilo economico il settore finanziario si presenti unitario, dal punto di vista giuridico permane una differenziazione per “comparti”: bancario, mobiliare, assicurativo, previdenziale. Su questi aspetti v., diffusamente, Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2014, part. capp. II e III; nonché Costi, Il mercato mobiliare, Torino, 2013, passim; da ultimo, specificamente sulla tenuta del “sistema” del t.u.b. a seguito dell’avvio dell’Unione bancaria v. AA.VV., Dal Testo unico bancario all’Unione bancaria: tecniche normative e allocazione di poteri, Atti del Convegno tenutosi a Roma il 16 settembre 2013, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale della Banca d’Italia, Roma, marzo 2014; Affinita, Le nuove competenze della BCE. Le implicazioni dell’Unione bancaria per la disciplina del TUB, in Innovazione e diritto (in corso di pubblicazione), 2014, passim.

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istituzionale di controllo soggettivamente sovradimensionata si affiancano “residui” del c.d. “governo [politico] del credito”4 e una produzione normativa – soprattutto primaria – a volte ridondante e di frequente afflitta da scarsa qualità tecnica oltre che dalla carenza di una adeguata prospettiva sistemica5. Considerata, inoltre, la difficoltà a realizzare riforme di impatto significativo sui meccanismi di regolazione del sistema economico italiano – si ricordano, ad esempio, i vari ed infruttuosi tentativi di riordino delle autorità amministrative indipendenti – si auspicava che un impulso alla razionalizzazione dei controlli sui mercati finanziari potesse giungere dall’ordinamento europeo, essendo emersa – secondo molti – una netta correlazione tra le vicende della crisi finanziaria6 e l’inefficacia di alcune componenti dei controlli prudenziali7. Invero, le politiche di armonizza-

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Cfr. Porzio, Il governo del credito, Napoli, 1976. Per una completa analisi del sistema italiano di vigilanza sul mercato finanziario, prima della crisi finanziaria, v. Monaci, La struttura della vigilanza, cit., passim; v. anche Vella, Le autorità di vigilanza. Non è solo questione di architetture, in Dir. banc., 2007, I, pp. 195 ss. 6 Senza pretese di esaustività, sulla genesi e sulle vicende della crisi finanziaria v., nella ormai cospicua letteratura giuridico-economica, Carriero, La crisi dei mercati finanziari: disorganici appunti di un giurista, in Dir. banc., 2009, pp. 197 ss.; Rispoli Farina, Rotondo, Introduzione. La crisi dei mercati finanziari tra effetti della globalizzazione e fallimento della regolamentazione, in La crisi dei mercati finanziari, a cura di Rispoli Farina e Rotondo, Milano, 2009, pp. 1 ss. e v. altresì i contributi ivi raccolti; Carmassi, Di Noia, Micossi, Banking Union: a federal model for the European Union with prompt corrective action, Ceps Policy Brief, n. 282, 2012; Napolitano, Zoppini, Le autorità al tempo della crisi, Bologna, 2009; Signorini, L’unione bancaria, Audizione tenuta presso la 6a Commissione del Senato (Finanze e Tesoro), Roma, 24 ottobre 2012 (in www. bancaditalia.it); Capriglione, Crisi a confronto (1929 e 2008); Barucci, Messori, Oltre lo shock: quale stabilità per i mercati finanziari?, Milano, 2009; Onado, I nodi al pettine. La crisi finanziaria e le regole non scritte, Bari, 2009; Wolf, Fixing global finance (forum on constructive capitalism), The Johns Hopkins University Press, 23 settembre, 2008; Reinhart, Rogoff, Is the 2007 U.S. sub-prime financial crisis so different? An international historical comparison, NBER Working Paper No. 13761, gennaio 2008; Posner, A failure of capitalism: the crisis of ’08 and the descent into depression, Harvard University Press, maggio 2009; Scipione, Prime riflessioni sulla legittimità delle OMT e sul ruolo della BCE alla luce di una recente sentenza della Corte costituzionale tedesca, in Dir. banc., 2014, I, pp. 183 ss. 7 Sulle connotazioni e il ruolo della vigilanza prudenziale nell’assetto della vigilanza europea, si v. BCE, Il ruolo delle banche centrali e la vigilanza prudenziale, in www. ecb.int; nella vasta letteratura sul tema, v. Valentini, voce Vigilanza, in Enc. Dir., vol. XLVI, Milano, 1993, pp. 703 ss.; Merusi, Vigilanza e vigilanze nel Testo Unico, in AA.VV., Il testo unico bancario: esperienze e prospettive. L’ordinamento bancario e creditizio 5

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zione “minima” e il principio dell’home country control si erano da tempo dimostrati inadatti ad assicurare durevolmente la stabilità del sistema finanziario europeo8, rendendo necessario puntare verso la realizzazione di una struttura sovranazionale di vigilanza dotata di poteri adeguati, in prospettiva, ad assicurare l’equilibrio sistemico dell’U.E., secondo le linee divisate dal Rapporto de Larosière9. Intenti che si sono tradotti nella prima risposta “aggregata” dell’Unione Europea alla crisi, ossia la creazione del Sevif10, sistema che nasce dalla “conversione” istituzionale delle preesistenti autorità di “terzo livello” previste dal metodo “Lamfalussy” e secondo il modello della “comitologia”11.

dopo la riforma: nuove regole e nuovi intermediari, Roma, 1996; Rispoli Farina, a cura di, La vigilanza sul mercato finanziario, Milano, 2005, passim; Brescia Morra, Morera, L’impresa bancaria. L’organizzazione e il contratto, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da P. Perlingieri, Napoli 2006; Ghetti, Vigilanza, vigilanze, in Vigilanze economiche. Le regole e gli effetti, a cura di Bani, Giusti, Padova, 2004, pp. 18 ss.; Amorosino, Tipologia e funzioni delle vigilanze, in Vigilanze economiche, a cura di Bani, Giusti, cit., pp. 26 ss. 8 Obiettivo reso più pressante per salvaguardare anche l’Unione monetaria; in tal senso, Costi, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012, p. 138; situazione poi acuita dalla crisi del 2008, come puntualmente evidenzia Mancini, Dalla vigilanza, cit., p. 7; sull’evoluzione del principio di home country control e sulla vigilanza in generale v. Porzio, Le imprese bancarie, Torino, 2007. 9 Il rapporto rappresenta il risultato del lavoro di un gruppo di esperti incaricati dalla Commissione europea e guidati da Jacques de Larosière (ex governatore della Banca di Francia). Il rapporto delinea i tratti principali della possibile risposta istituzionale alla crisi finanziaria, senza ipotizzare però una modifica dei trattati, ma fondandosi sull’art. 105 TFUE. Cfr. The High-Level Group on financial supervision in the EU, Chaired by Jaques de Larosiere, Report, Brussels, 25 febbraio 2009; in argomento, v. Capriglione, Globalizzazione, crisi finanziaria e mercati: una realtà su cui riflettere, in Ghidini ed altri (diretta da), Concorrenza e mercato. Antitrust, regulation, Consumer Welfare, Intellectual Property, Milano, 2012, p. 876; Rossi, Intervento di apertura, in AA.VV., Dal Testo unico bancario all’Unione bancaria, cit., pp. 10 ss.; Masera, La crisi globale: finanza, regolazione e vigilanza alla luce del Rapporto de Larosière, in Riv. trim. dir. ec., 2009, 3, pp. 147 ss.; Ferrarini, Chiarella, Common Banking, cit., pp. 5 ss. 10 Va ricordato che il primo significativo impulso all’avvio del processo di realizzazione di una vigilanza bancaria unica è venuto dal Consiglio europeo nella riunione del 28-29 giugno 2012, sopra citata; sul punto v. Capriglione, Mercato regole democrazia. L’UEM tra euroscetticismo e identità nazionali, Torino, 2013, pp. 71 ss.; Antonucci, Commento sub art. 6 (Rapporti con il diritto dell’Unione europea e integrazione nel Sevif), in Commento al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Costa, Torino, 2013, p. 43; Mancini, Dalla vigilanza, cit., p. 2. 11 Come è noto, si tratta di meccanismi fondati sull’articolazione della disciplina bancaria europea in una serie di atti e provvedimenti di diversa natura normativa e vincolatività; specificamente sul modello di comitologia v. Godano, Comitato consultivo bancario, in

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Purtuttavia, già a prima vista, gli aspetti salienti della nuova vigilanza disattendono l’auspicio di una semplificazione del sistema domestico dei controlli “indotta” dall’esterno. Il Sevif, difatti, non soltanto ripropone la “abituale” tripartizione del mercato finanziario (banche, intermediari mobiliari, assicurazioni/fondi previdenziali) – con la previsione di un’autorità per ciascun segmento – ma fraziona ulteriormente le componenti di vigilanza in macro e micro prudenziale, istituendo un apposito organismo che si occupa della prima (il Comitato per il controllo sul rischio sistemico). Si delinea in tal modo una vera e propria “rete” di soggetti europei e nazionali che governa i mercati finanziari dell’U.E.12 e che verrà implementata dal progressivo realizzarsi dell’Unione bancaria. Profili di eccessiva complessità regolamentare e procedurale, tuttavia, sono stati evidenziati in varie sedi, così come presenta ancora nodi da sciogliere la concentrazione del livello macroeconomico di politica monetaria e della vigilanza prudenziale in capo ad unico soggetto istituzionale13. Circostanze che, unite allo sfumato impatto decisionale delle autorità europee – quasi prive com’è noto di poteri coercitivi – potrebbero incidere sulle capacità e sui tempi di risposta alle contingenze dei mercati e, soprattutto, pregiudicare l’uniformità degli indirizzi generali di vigilanza laddove prevalgano logiche “locali” o meramente politiche14. A questi non irrilevanti problemi di coordinamento con (e tra) i sistemi nazionali, posti dal Sevif, si vanno a sommare quelli derivanti dall’avvio dell’Unione bancaria15 che richiede l’implementazione di vari gradi

Diritto bancario comunitario, a cura di Alpa e Caprligone, Torino, 2002, pp. 338 ss.; mentre specificamente sulle criticità dei comitati di terzo livello, v. Antonucci, Il credito di ultima istanza nell’età dell’euro, Bari, 2003, pp. 205 ss.; Sabbatelli, Il nuovo volto dei comitati di terzo livello, in AA.VV., Scritti in onore di Francesco Capriglione, Padova, 2010, I, pp. 259 ss. 12 Così, Guarracino, Supervisione bancaria europea. Sistema delle fonti e modelli teorici, Padova, 2012, pp. 34 ss.; v. anche Antonucci, Commento sub art. 6, cit., p. 49. 13 Si v. sul punto la recente decisione della BCE, On the implementation of separation between the monetary policy and supervision functions of the European Central Bank (ECB/2014/39), 17 settembre 2014, relativa alle modalità istituzionali e organizzative di separazione della funzione di politica monetaria da quelle di vigilanza prudenziale. 14 Nella fattispecie espresse da Consiglio d’Europa ed Ecofin; a conferma di ciò parla di “bizantinismi” Antonucci, Commento sub art. 6, cit., p. 49; e v. anche Id., Principio punitivo e tolleranza nella risposta europea alle crisi bancarie, in AGE, 2010, 2, pp. 466 ss. 15 Su cui v., ex multis, Rispoli Farina, Verso la vigilanza unica europea. Stato dell’arte, in Innovazione e diritto (www.innovazionediritto.it), 2012, pp. 12 ss.; Barbagallo, La vigilanza bancaria tra presente e futuro, intervento al Seminario su “Vigilanza bancaria

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di relazione funzionale tra la Banca Centrale Europea (BCE, in seguito), le autorità nazionali16 e il Sevif medesimo. Si va delineando, in sostanza, un apparato “multilivello” che deve confrontarsi con l’arduo limite di partenza consistente nel far interagire tra loro architetture di controllo differenti – quella europea e quelle dei singoli Stati membri – ovvero modelli istituzionali nati in momenti diversi e con finalità in parte distinte (il Sevif e l’Unione bancaria). Premesso, dunque, che la cornice di riferimento del sistema di vigilanza europea sui mercati finanziari è ancora in profonda evoluzione e, soprattutto, che occorrono ancora tempo e riscontri applicativi per valutare tutte le implicazioni per le strutture e le procedure di controllo nazionali, il presente lavoro si propone di analizzare l’incidenza sull’assetto italiano di vigilanza bancaria del recepimento17 del Sevif (realizzato con il d.lgs. n. 130/2012, di attuazione della direttiva 2010/78/UE). Più specificamente, oggetto di considerazione, in questa sede, è l’assetto di vigilanza come ridisegnato nel t.u.b. a seguito dell’integrazione con il Sevif, al fine di verificarne gli elementi di “allineamento” alla costruzione europea ovvero gli eventuali fattori di discontinuità o asimmetria, senza tralasciare – ove possibile – talune considerazioni prospettiche con riguardo alle interazioni con il processo di creazione dell’Unione bancaria.

2. Il Sistema europeo di vigilanza finanziaria (Sevif): cenni generali. Preliminarmente, è opportuno accennare, seppure in estrema sintesi, ai caratteri generali del Sevif, con specifico riguardo al riparto delle

e correttezza nelle relazioni con la clientela”, Roma, 23 gennaio 2014, Università LUISS (in www.bancaditalia.it), passim; Signorini, L’armonizzazione europea della regolamentazione bancaria: Autorità bancaria europea e autorità di vigilanza nazionali, Intervento all’Università Cattolica di Milano, 27 marzo 2014; Vella, Le vie del compromesso del sistema bancario europeo, in LaVoce.info, 2 luglio 2012. 16 Il problema del coordinamento tra autorità di controllo nei sistemi dove coesistono una pluralità di vigilanti era già avvertito in ambito interno da tempo; sul punto v. Belli, Coordinamento e collaborazione tra autorità, in La tutela del risparmio, a cura di Nigro e Santoro, Torino, 2007, pp. 417 ss.; per un’accurata analisi dell’architettura di vigilanza europea dopo l’attuazione del Sevif, v. Ferrarini, Chiarella, Common Banking, cit., passim. 17 Oltre alle modifiche relative al Sevif, sono state recepite nell’ordinamento italiano le norme relative al pacchetto CRD IV/CRR IV (regolamento e direttiva concernenti controlli prudenziali e regolamentazione di banche e intermediari finanziari).

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competenze tra le autorità che lo compongono, rinviando per i necessari approfondimenti alla letteratura sull’argomento 18. Ai sensi del d.lgs. n. 130/2012, il Sevif è composto: dal Comitato europeo per il rischio sistemico (Cers o Esrb); dall’Autorità bancaria europea (Abe o Eba); dall’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Aesfem o Esma); dall’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (Aeap o Eiopa); dal Comitato congiunto delle Autorità europee di vigilanza (Comitato congiunto o Esfs); dalle autorità di vigilanza degli Stati membri19.

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V., ex multis, i contributi di D’Ambrosio, Le autorità di vigilanza finanziaria dell’Unione, in Dir. banc., 2011, I, pp. 109 ss.; Mancini, Dalla vigilanza, cit., pp. 7 ss.; Ciraolo, Il processo di integrazione del mercato unico dei servizi finanziari dal metodo Lamfalussy alla riforma della vigilanza finanziaria europea, in Dir. ec., 2011, 2, pp. 415 ss.; con specifico riguardo al settore assicurativo, Garonna, Indagine conoscitiva sugli strumenti di vigilanza europea dei mercati finanziari, creditizi e assicurativi, Audizione presso la 6a Commissione Finanze e Tesoro del Senato della Repubblica, Roma, 12 gennaio 2010. 19 Il primo acronimo si riferisce al nome italiano delle autorità e organismi componenti il Sevif, il secondo a quello inglese. Il Cers è stato istituito dal regolamento UE n. 1092/2010; l’Abe con regolamento UE n. 1093/2010; l’Aesfem con regolamento UE n. 1095/2010; l’Aeap con regolamento UE n. 1094/2010; il Comitato congiunto è disciplinato dall’art. 54 di ciascuno dei regolamenti citati; le autorità nazionali competenti sono specificate all’art. 1, par. 2, dei regolamenti. Sul punto v. l’art. 1, c. 1, lett. d-bis, t.u.f., introdotta dal d.lgs. n. 130/2012. Successivamente il regolamento istitutivo dell’Abe è stato modificato dal Regolamento n. 1022/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, in relazione all’attribuzione di “compiti specifici alla Banca centrale europea ai sensi del regolamento del Consiglio (UE) n. 1024/2013 (pubblicato in G.U.U.E., 29 ottobre 2013, n. L 287). Quanto alla struttura delle autorità europee, il Cers è composto di un consiglio generale, un comitato direttivo, un segretariato, un comitato scientifico consultivo e un comitato tecnico consultivo (art. 4, reg. n. 1092/2010); ciascuna autorità si compone di: a) un consiglio delle autorità di vigilanza, cui sono affidati tutti i compiti principali quali l’adozione degli atti istituzionali, l’approvazione del bilancio, l’adozione del programma di lavoro, la nomina del presidente; b) un consiglio di amministrazione che ha il compito di proporre al consiglio delle autorità il programma di lavoro annuale e pluriennale, ha competenze in materia di bilancio e altri compiti amministrativi, nomina la commissione di ricorso; c) un presidente, che rappresenta l’autorità ed è incaricato di preparare i lavori e presiedere il consiglio delle autorità e il consiglio di amministrazione; d) un direttore esecutivo, che si occupa della gestione dell’autorità e prepara i lavori del consiglio di amministrazione. Il comitato congiunto dei presidenti delle autorità assicura l’uniformità intersettoriale per quanto attiene (tra l’altro) ai conglomerati finanziari, ai prodotti di investimento, alle misure di contrasto al riciclaggio, allo scambio di informazioni con il Cers e così via a diversi altri profili di coordinamento. Vi è poi un organismo congiunto delle tre autorità di vigilanza, la Commissione di ricorso che ha il compito di decidere in merito al contenzioso contro gli

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Come si accennava, il Sevif ha introdotto una nuova tassonomia delle componenti teoriche dei controlli sui mercati finanziari, prevedendo una bipartizione tra vigilanza macro prudenziale20, spettante al Cers, e vigilanza micro prudenziale21, di competenza delle tre autorità “settoriali”. La vigilanza micro prudenziale prevede, in prospettiva, un criterio di riparto di competenze “per finalità”, distinguendo tra stabilità finanziaria delle banche, delle assicurazioni e delle principali istituzioni finanziarie, da un lato, e vigilanza sulla correttezza delle condotte e sul mercato, dall’altro. Le tre autorità micro prudenziali operano sostanzialmente a fini di coordinamento dei sistemi nazionali, pur svolgendo compiti ulteriori, quali la mediazione con effetti vincolanti tra le autorità nazionali, l’emanazione di standard di vigilanza comuni, l’adozione di decisioni tecniche direttamente applicabili ai soggetti vigilati22 e, inoltre, l’autorizzazione e il controllo diretto su specifici organismi transnazionali, quali le agenzie di rating e i gestori delle strutture post trading. Alle autorità europee non sono attribuiti compiti di vigilanza “diretta”, secondo una scelta motivata dall’esigenza di rispettare il principio di sussidiarietà e che trova fondamento nella stessa base giuridica dell’architettura di vigi-

atti adottati dalle autorità dell’Unione in sostituzione di quelle nazionali, ai sensi degli artt. 17, 18 e 19 di ognuno dei regolamenti istitutivi. 20 I poteri del Cers si esplicano attraverso raccomandazioni che non hanno natura vincolante, ma sono inserite in un articolato sistema di enforcement: emanata la raccomandazione (in relazione al c.d. risk warning), le autorità destinatarie (europee o nazionali) devono comunicare il seguito dato alla stessa o motivarne il mancato seguito (sistema c.d. comply or explain). Nella procedura non manca un passaggio “politico” con il coinvolgimento del Consiglio Ecofin; cfr. Antonucci, Commento sub art. 6, cit., p. 50; per un’accurata analisi delle implicazioni regolamentari della vigilanza macroprudenziale, anche in chiave comparata con l’ordinamento statunitense, v. Napoletano, Legal aspects of macroprudential policy in the United States and in the European Union, in Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, n. 76, Roma, giugno 2014. 21 La vigilanza micro prudenziale prevede, in prospettiva, un criterio di riparto di competenze “per finalità”, distinguendo tra stabilità finanziaria delle banche, delle assicurazioni e delle principali istituzioni finanziarie, da un lato, e vigilanza sulla correttezza delle condotte e sul mercato, dall’altro. A livello microeconomico, all’Abe è rimesso (al pari delle altre autorità settoriali) il compito del rafforzamento della vigilanza qualificato dalla fissazione di standard tecnici obbligatoriamente comuni (c.d. single rulebook), realizzando così interventi volti a ridurre gli ambiti di incertezza e discrezionalità rinvenibili nella normativa comunitaria, al fine di conseguire un indirizzo regolamentare unitario; cfr. Troiano, L’architettura di vertice dell’ordinamento finanziario europeo, in Elementi di diritto pubblico dell’economia, a cura di Pellegrini, Padova, 2012, pp. 558 s. 22 V., in argomento, Pellegrini, L’architettura di vertice dell’ordinamento finanziario europeo: funzioni e limiti della supervisione, in Riv. trim dir. ec., 2012, 2, pp. 67 s.

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lanza finanziaria della U.E.23. Il funzionamento del sistema è supportato dal richiamo all’obbligo – per le diverse “anime” che lo compongono – di cooperare con fiducia e pieno rispetto reciproco, garantendo lo scambio di informazioni utili e affidabili24, mentre le singole autorità sono tenute ad esercitare la funzione di controllo secondo gli indirizzi della U.E. nelle materie indicate dalle direttive di comparto, dovere valido del resto anche per le autorità nazionali. Quanto alla concreta attribuzione di competenze alle autorità del Sevif, va fatto un rapido cenno al dibattito relativo ai limiti posti dalla c.d. “dottrina Meroni”25. In base a tale orientamento giurisprudenziale, non possono essere delegati poteri discrezionali ad autorità diverse dalle istituzioni previste dai Trattati. Possono invece essere conferiti a soggetti diversi – quali ad esempio le agenzie (e quindi le autorità del Sevif)26 – competenze esecutive, definite e limitate che permangano però sempre sotto la supervisione del delegante. Ciò implica che la delega non dovrebbe riguardare attribuzioni di natura discrezionale il cui contemperamento con altre sfere funzionali è suscettibile di alterare l’equilibrio istituzionale fissato nei Trattati europei. Il problema si è posto in particolare con riferimento all’Abe27 in quanto – soprattutto a seguito dell’avvio

23 Per un’analisi dell’operatività del principio di sussidiarietà in ambito bancario in relazione alla pervasività della produzione normativa europea (prima dell’avvio del processo di riforma della vigilanza sui mercati finanziari), v. Sabbatelli, La supervisione sulle banche. Profili evolutivi, Padova, 2009, pp. 237 ss. 24 In applicazione del principio di leale cooperazione ai sensi dell’art. 4, co. 3, t.u.e. 25 Denominazione che deriva da un leading case del 1956, relativo alla regolamentazione del Trattato CECA, ma applicato estensivamente anche alla Comunità europea; per quadro dell’orientamento relativo al principio “Meroni”, v.: Corte giust., 13 giugno 1958, causa 9/56, Impresa Meroni & Co., Industrie Metallurgiche s.p.a., in Racc., 1958, 11 ss.; Id., 13 giugno 1958, causa 10/56, Impresa Meroni & Co., Industrie Metallurgiche s.p.a., in Racc., 1958, 51 ss.; Id., 12 luglio 2005, in cause riunite C-154/04, The Queen, ex parte Alliance for Natural Health, e C-155/04, The Queen, ex parte National Association of Health Stores, in Racc., 2005, 6451 ss.; Id., 26 maggio 2005, in causa C-301/02 P, Carmine Salvatore Tralli contro Banca Centrale Europea, in Racc., 2005, 4099 ss. 26 Amplius, per un più recente approfondimento sulle dinamiche di creazione delle “agenzie” nel contesto ordinamentale europeo, v. Chiti, Le trasformazioni delle agenzie europee, in Riv. trim. dir. pubbl., 2010, pp. 57 ss. 27 Il problema si è posto più di recente anche con riferimento all’Aesfem, seppure con riguardo all’attribuzione di poteri normativi di carattere speciale ed eccezionale. Difatti, al fine di armonizzare l’azione delle autorità nazionali in materia di vendite allo scoperto (c.d. short selling), l’art. 28 del Regolamento (UE) 236/2012 ha attribuito all’Aesfem il potere di emanare provvedimenti restrittivi delle vendite allo scoperto. Le posizioni critiche verso questa soluzione si fondano proprio sulla circostanza che poteri

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dell’Unione bancaria – essa svolge sostanziali funzioni di regolazione nell’ambito di un’azione di coordinamento, su basi paritarie, con la Commissione e gli Stati membri, oltre ad avere la facoltà di esercitare, in determinati casi, poteri di tipo decisorio sia nei confronti delle autorità domestiche che di singole banche o gruppi bancari28. Per tale motivo, alcuni hanno ritenuto che il regolamento istitutivo dell’Abe (1093/10, cit.) eluda il divieto posto dalla “dottrina Meroni”, realizzando una sorta di esercizio in condivisione di poteri regolamentari con la Commissione, e riproponendo pertanto il perdurante problema di una modifica delle

di intervento diretto sul mercato sono attribuiti esclusivamente alle istituzioni previste dai Trattati. Su ricorso del Regno Unito del 2012 (che chiedeva l’annullamento dell’art. 28 per contrasto con i Trattati), la Corte di Giustizia, con sentenza del 22 gennaio 2014, si è invece pronunciata sulla conformità ai Trattati europei del potere attribuito all’Aesfem di limitare e vietare le vendite allo scoperto. La Corte ha argomentato sulla base dell’art. 114 TFUE che consente all’U.E. di adottare misure funzionali all’armonizzazione del mercato interno, anche ove tali misure non rientrino tra le competenze espressamente attribuite dalle norme. In sostanza, afferma la Corte, il potere normativo generale resta attribuito alle sole istituzioni europee previste dai Trattati, mentre all’Aesfem è attribuito un potere direttamente vincolante, ma non di carattere generale; si tratta di un potere esercitabile solo in situazioni di emergenza, temporalmente limitato e comunque diretto a perseguire specifici obiettivi di coordinamento e armonizzazione delle normative nazionali, il cui esercizio inoltre è legittimo solo se i provvedimenti adottati rispetto i limiti indicati dalla Corte: amplius, cfr. Corte di Giustizia, Grande Sezione, 22 gennaio 2014, nella causa C-270/12, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord contro Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea; v. anche considerazioni svolte nelle Conclusioni dell’Avvocato Generale Niilo Jääskinen, 12 settembre 2013, Causa C-270/12, di segno opposto alla decisione della Corte. Ovviamente tale decisione, pur riguardando l’Aesfem, è destinata ad incidere anche sulle sfere funzionali delle altre autorità del Sevif, poiché concerne la questione dei poteri in concreto esercitabili delle stesse; sul valore di precedente delle sentenza della Corte, v. Calzolaio, Il valore di precedente delle sentenze della Corte di giustizia, in Cardozo Electronic Law Bulletin (www.jus.unitn.it/cardozo/ review/2009/calzolaio.pdf), 2009, passim; specificamente, sulla sentenza in questione, v. Rulli, Lo short selling e i poteri dell’Esma, in FcHUb (www.fchub.it), 2014; Morettini, La Corte di Giustizia difende i poteri di intervento d’urgenza attribuiti all’ESMA, in Osservatorio AIR (www.osservatorioair.it), 2014. 28 Difatti, l’Abe ha, tra l’altro, il compito di garantire pratiche uniformi di vigilanza, attraverso la predisposizione del c.d. Single Handbook (manuale di definizione di standard tecnici comuni), oltre a quello di predisporre il Single Rulebook (di matrice più specificamente regolamentare). Entrambi questi atti sono essenziali per il controllo e la gestione del mercato, soprattutto con riguardo agli Stati fuori dall’Unione monetaria che decidono di non aderire neppure all’SSM; sul punto v. Affinita, L’attuazione dell’Unione Bancaria europea: il Meccanismo di vigilanza unica e il Meccanismo unico di risoluzione delle crisi. Profili generali, in Innovazione e diritto (www.innovazionediritto.it), 2013, 5, pp. 65 ss.

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disposizioni dei Trattati29. 2.1. Funzioni e riparto delle competenze tra le autorità europee. Venendo all’ambito di azione delle singole autorità europee, le rispettive competenze sono definite nei regolamenti istitutivi30, con riferimento sia al tipo di potere attribuito, sia al perimetro applicativo del medesimo31. Il criterio di ripartizione delle attribuzioni delle autorità micro prudenziali risulta essere di tipo soggettivo, in taluni casi “corretto” da quel-

29 Ovvero della ridefinizione di un concetto di “indipendenza” connotato da più ampi margini di autonomia e discrezionalità del soggetto interessato; in argomento, per un’analisi di taglio generale, v. Chiti, Natalini, a cura di, Lo spazio amministrativo europeo, Bologna, 2012, passim; per un quadro delle posizioni dottrinali, nell’ambito del dibattito sull’applicazione della dottrina “Meroni” alle autorità del Sevif, v. Guarracino, Supervisione bancaria europea. Sistema delle fonti e modelli teorici, Milano, 2012, part. pp. 104 ss.; Griller, Orator, Everything under control? The “way forward” for European agencies in the footsteps of Meroni doctrine, in European Law Review, 2010, 1, pp. 3 ss.; Majone, Dilemmas of European Integration. The Ambiguities & Pitfalls of Integration by Stealth, Oxford University Press, New York, 2005, pp. 89 ss.; Mancini, Dalla vigilanza, cit., pp. 13 s.; Capolino, Il Testo unico, cit., pp. 68 s.; Affinita, L’attuazione, cit., pp. 68 ss.; Napolitano, L’Agenzia dell’energia e l’integrazione regolatoria europea, in La regolazione dei mercati di settore tra Autorità indipendenti nazionali e organismi europei, a cura di Bilancia, Milano, 2012, p. 167; Perassi, Verso una vigilanza europea La supervisione sulle agenzie di rating, in AGE, 2012, 2, p. 421; in chiave critica nei confronti della dottrina “Meroni”, v. Chiti, L’organizzazione amministrativa comunitaria, in Trattato di diritto amministrativo europeo, a cura di Chiti, Greco, Milano, 2007, I, pp. 445 ss. 30 Si vedano, rispettivamente, l’art. 1 di ciascuno dei regolamenti, citati in nota 14 con riguardo alle autorità del Sevif. 31 Poteri (indicati nel Capo secondo di ogni regolamento) che consistono: nella redazione di progetti di norme tecniche di regolamentazione (art. 10) e nell’elaborazione di norme tecniche di attuazione (art. 15); nell’adozione di orientamenti o nella formulazione di raccomandazioni indirizzate alle autorità nazionali (art. 16); nell’adozione di atti in sostituzione delle autorità nazionali nei casi previsti dagli artt. 1, 18 e 19 dei regolamenti. per un’accurata analisi della natura e della tipologia di decisioni assunte dalle autorità di supervisione (anche se con riguardo all’SSM), v. ancora D’Ambrosio, Due process and safeguards of the persons subject to SSM, supervisory and sanctioning proceedings, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale della Banca d’Italia, Roma, n. 74, dicembre 2013. Con riguardo alle attribuzioni delle autorità europee si è posto, malgrado la prevalente natura non vincolante dei poteri attribuiti alle stesse, il problema della tutela giudiziale dei soggetti interessati; sul punto v. Van Cleynenbreugel, Judicial protection against eu Financial Supervisory Authorities in the wake of regulatory reform, in Elsa Malta Law Review, 2012, II, pp. 231 ss.

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lo funzionale, ma la situazione non è sempre lineare. Dalla direttiva 2006/49/CE e dai regolamenti istitutivi sembra ricavarsi che la vigilanza prudenziale su banche e s.i.m. rientri nella competenza pressoché esclusiva dell’Abe. Non è così, invece, per quanto attiene al settore dei fondi d’investimento, integralmente ricondotto alle competenze dell’Aesfem, nonostante in esso siano presenti tratti riconducibili alla vigilanza prudenziale. Vi sono poi alcune competenze che si pongono al di fuori della normativa di armonizzazione, ma che risultano strumentali e, quindi, necessarie “per assicurare l’applicazione effettiva e coerente” della disciplina (si fa riferimento, ad esempio, a governance, revisione contabile, informativa finanziaria). Negli ambiti funzionali attribuiti trasversalmente a tutte le autorità di vigilanza, i rispettivi regolamenti prevedono la facoltà di esprimere posizioni congiunte o atti comuni o, ancora, di istituire appositi sottocomitati. Non incidono, invece, nel definire il campo di competenze di ciascuna autorità le finalità perseguite, anche tenuto conto del fatto che, secondo i regolamenti32, i controllori devono proteggere l’interesse pubblico contribuendo alla stabilità e all’efficacia del sistema finanziario, a beneficio dell’economia, dei cittadini e delle imprese dell’U.E.33. Pare delinearsi, in sostanza, un sistema di attribuzioni complesso e che configura un’architettura di controllo, specie in punto di riparto di funzioni e poteri di vigilanza, non sempre “comunicante” con i modelli nazionali; neppure del tutto, ad esempio, con quello italiano che, tuttavia, appare tra quelli che presentano più spiccati elementi di affinità con

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Cfr. co. 5 dell’art. 1 dei reg. Abe e Aesfem e comma 6 dell’art. 1 del reg. Aeap. Le autorità, in particolare, contribuiscono a: migliorare il funzionamento del mercato interno, con particolare riguardo a un livello di regolamentazione e di vigilanza valido, efficace e uniforme; garantire l’integrità, la trasparenza, l’efficienza e il regolare funzionamento dei mercati finanziari; rafforzare il coordinamento internazionale della vigilanza; impedire l’arbitraggio regolamentare e promuovere condizioni di concorrenza; assicurare che il rischio di credito e altri rischi siano adeguatamente regolamentati e vigilati; assicurare che l’assunzione di rischi in relazione ad attività nel settore delle assicurazioni e della previdenza sia adeguatamente regolamentata e oggetto di opportuni controlli; aumentare la protezione dei consumatori. Si tratta, evidentemente, di obiettivi comuni ai diversi comparti del mercato finanziario e per questo non idonei a fungere da criterio di riparto di competenze. I profili relativi ai requisiti d’indipendenza e di trasparenza delle autorità, la loro struttura, il regime degli atti e della responsabilità nei confronti dei terzi sono disciplinati nei singoli regolamenti istitutivi; in argomento v., per un’ampia analisi dei poteri delle autorità europee, D’Ambrosio, Le autorità, cit., passim. 33

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lo schema del Sevif. Per altro verso, si ritiene non sussista una connessione tra i modelli di vigilanza (accentrato o plurisoggettivo) prescelti in ambito nazionale e riforma della vigilanza U.E.: il frazionamento, attuato in ambito europeo, delle funzioni di vigilanza non è condizionato o collegato alla necessaria presenza di un determinato schema istituzionale (uno o più regolatori/ controllori), dal momento che le competenze attribuite alla BCE e al plesso Sefiv/Commissione realizzano una morfologia dei controlli non comparabile con le dinamiche dei sistemi interni. Viene meno, in altri termini, la relazione diretta tra architettura di vigilanza dei singoli Stati – basata su criteri di attribuzione delle competenze di varia natura (per soggetti, finalità o attività) – e sistema europeo fondato, come si diceva, sulla distinzione tra macro e micro vigilanza prudenziale. Circostanza, questa, che farebbe passare in secondo piano il dibattito sulla scelta del controllore unico (che ha visto diversi ordinamenti fare retromarcia a seguito degli effetti della crisi, come avvenuto nel Regno Unito, ad esempio)34, in quanto lo spostamento degli equilibri decisori e regolamentari al livello della U.E. rende sostanzialmente neutro il modello interno di controllo adottato purché risulti funzionale ad un’efficiente “interazione” con l’ambito europeo.

3. Attuazione della direttiva 2010/78/UE: i criteri di delega. La disciplina italiana di attuazione del Sevif35 reca una serie di modifiche normative aventi a oggetto il coordinamento funzionale delle autorità nazionali con quelle omologhe degli altri Stati membri e, soprattutto, con le autorità europee di vigilanza; essa introduce, altresì, alcune misure concernenti la valutazione degli effetti dell’azione di controllo nell’intera area dell’U.E.

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Per un quadro sul dibattito relativo all’alternativa tra regolatore unico e regolatori multipli, v. Camilli, Clarich, La Vigilanza in Europa alla prova della Crisi, Luiss, Ceradi, Roma dicembre 2008, pp. 14 ss.; in merito alle implicazioni giuridiche del modello unificato di regolazione, v. Mwenda, Mvula, A framework for unified financial services supervision: Lessons from Germany and other European countries, in Journal of international banking regulation, 2003, pp. 35 ss. 35 Gli Stati membri dell’U.E. erano tenuti a emanare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di attuazione della direttiva 2010/78/UE entro il 31 dicembre 2011 (art. 13).

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La delega legislativa italiana è contenuta nella l. 15 dicembre 2011, n. 21736 i cui criteri direttivi – indicati all’art. 15, co. 137 – sono stati implementati dal decreto legislativo 30 luglio 2012, n. 130, per la cui elaborazione il Ministero dell’economia si è confrontato con le autorità nazionali competenti in materia di intermediazione finanziaria38. La linea metodologica seguita nell’estensione del testo si fonda, condivisibilmente, su alcuni parametri (fondamentali, ma non sempre tenuti in debito conto nella redazione delle leggi italiane): introduzione nella normativa vigente delle modifiche strettamente necessarie al recepimento della direttiva e in linea con la terminologia adottata dal legislatore europeo; stretta conformità alla legge delega, senza introdurre sanzioni o altre disposizioni non previste dalla direttiva e dalla delega; utilizzo nei diversi testi normativi di termini e nozioni uniformi alla versione italiana della disciplina europea, quindi con acronimi e definizioni in lingua italiana; laddove possibile e nel rispetto delle diversità presenti in ciascun testo normativo vigente, utilizzo della

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L. comunitaria per il 2010, pubblicata nella G.U. n. 1 del 2 gennaio 2012; la delega doveva essere esercitata entro quattro mesi (ossia il 17 maggio 2012) dalla data di entrata in vigore della legge comunitaria, il 17 gennaio 2012. 37 I criteri sono i seguenti: tenere conto dell’integrazione del sistema di vigilanza nazionale nel nuovo assetto del settore finanziario dell’U.E. e dell’istituzione e dei poteri delle autorità europee, del Comitato congiunto, nonché del Cers; prevedere che le autorità nazionali competenti possano cooperare, anche mediante scambio di informazioni, con le autorità europee, il Comitato congiunto, le autorità competenti degli altri Stati membri e il Cers e adempiano agli obblighi di comunicazione stabiliti dall’ordinamento europeo; prevedere che le autorità nazionali tengano conto della convergenza in ambito europeo degli strumenti e delle prassi di vigilanza; tenere conto dei regolamenti U.E. che stabiliscono i casi in cui le autorità europee possono chiedere informazioni, previa istanza debitamente giustificata e motivata, direttamente ai soggetti vigilati in ambito interno; tenere conto delle disposizioni dell’U.E. che prevedono la possibilità di delega di compiti tra le autorità nazionali e tra le stesse e le autorità europee; tenere conto della natura direttamente vincolante delle norme “tecniche” di attuazione e di regolamentazione adottate dalla Commissione europea; tenere conto delle raccomandazioni formulate nelle conclusioni del Consiglio dell’U.E. del 14 maggio 2008 affinché le autorità nazionali prendano in considerazione gli effetti della loro azione in relazione alle eventuali ricadute sulla stabilità finanziaria degli altri Stati membri, anche avvalendosi degli opportuni scambi di informazioni con le autorità europee e degli altri Stati membri. 38 In particolare, il Ministero si è avvalso della collaborazione della Banca d’Italia per la redazione degli artt. 1, 2, 3, 4 e 7, della Consob per l’art. 2, dell’Ivass per gli artt. 4 e 5 e della Covip per l’art. 6. Il decreto, inoltre, rispetta la disposizione contenuta nell’art. 14, comma 24-bis, della legge 28 novembre 2005, n. 246, introdotto dall’art. 15, comma 2, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (legge di stabilità 2012), secondo cui «gli atti di recepimento di direttive comunitarie non possono prevedere l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse».

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formulazione della norma più lineare e uniforme39. In sostanza, l’approccio teorico adottato in sede di recepimento disegna un modello di integrazione tra ordinamenti europeo e interno articolato su più livelli che vanno dalle norme quadro generali fino alle prassi di vigilanza, esprimendo in tal modo un’opzione teorico-giuridica che alla (pacifica) primazia del diritto europeo affianca l’ulteriore criterio della “armonia” con il medesimo, quale regola d’azione per le autorità nazionali40. La flessibilità di tale riferimento consente alle autorità interne di individuare i percorsi più idonei a realizzare un’efficiente integrazione tra le due sfere di sovranità41. 3.1. Segue. Le modifiche apportate al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. n. 385/1993 - t.u.b.). Il d.lgs. n. 130/2012 ha modificato in più punti il t.u.b., a partire dalle norme definitorie di cui all’art. 142. Un primo intervento sostanziale si riscontra all’art. 4, comma 3, t.u.b., sebbene non direttamente attinente alla riforma della vigilanza europea, essendo volto ad adeguarne la formulazione alla legge sul risparmio (l. n. 262/2005)43 nella parte in

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V. la Relazione di accompagnamento allo schema di decreto legislativo, pp. 5 ss. Cfr. Predieri, Commento sub art. 6, in Commentario al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Capriglione, Padova, 2001, 1, p. 48; Antonucci, Commento sub art. 6, cit., pp. 45 s. 41 Rimuovendo così situazioni che comportano l’effetto, giuridico o economico, di pregiudicare le banche nazionali nello scenario europeo e operando per la migliore integrazione delle regole e delle prassi di vigilanza; in tal senso, Antonucci, Commento sub art. 6, cit., p. 46, con riguardo alle modifiche al t.u.b. ma il discorso può senz’altro estendersi anche agli altri comparti del mercato finanziario, in primo luogo a quello dei servizi di investimento. 42 Al cui co. 1, è stata inserita la lett. h-bis) recante la definizione di “Sistema europeo di vigilanza finanziaria” con l’elencazione degli organismi che lo compongono, definizione che ricalca quella fornita dall’art. 2 dei rispettivi Regolamenti istitutivi delle autorità europee. Sulle prospettive di riforma del t.u.b. v. anche le considerazioni di Costi, Il Testo Unico Bancario, oggi, in AA.VV., Dal Testo unico bancario all’Unione bancaria, cit., pp. 24 ss.; sul vigente art. 1 t.u.b., v. Costa, Commento sub art. 1, in Commento al testo unico, a cura di Costa, cit., pp. 1 ss. 43 Difatti, nel parere della VI Commissione Finanze della Camera dei deputati sullo schema di decreto legislativo (n. 130/2012) si legge che la modifica dell’art. 4, co. 3, t.u.b., nel punto in cui si riferisce ai poteri attribuiti al Governatore della Banca d’Italia, è di natura meramente formale, dettata unicamente dall’esigenza di rimediare al mancato allineamento di tale disposizione alla l. n. 262/2005. 40

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cui dispone che gli atti precedentemente emanati dal Governatore della Banca d’Italia rientrano ora nella competenza collegiale del Direttorio (art. 19, co. 6)44. Modifiche più significative si rinvengono all’art. 6 t.u.b. che è stato quasi interamente riscritto per tener conto del contesto in cui si trovano ad operare le autorità creditizie e specie la Banca d’Italia, a seguito del recepimento della vigilanza europea. La norma, pur essendo stata oggetto di un percorso evolutivo bruscamente accelerato dalle vicende della crisi, continua a svolgere il suo ruolo di “collante” funzionale tra l’ambito europeo e i sistemi degli Stati membri45. L’impostazione metodologica che connota la legge delega si coglie proprio nella riscrittura della norma, rispetto alla quale l’abituale tecnica di delegificazione del t.u.b. diviene lo strumento per consentire la piena integrazione operativa della Banca d’Italia nel Sevif. Non si è ritenuto necessario, ad esempio, esplicitare il raccordo con gli standard di norme tecniche elaborati dall’Abe, rispetto ai quali il comma 1 dell’art. 6 già dispone con clausola generale46. In considerazione della eterogeneità degli obblighi informativi nei confronti delle istituzioni che fanno parte del Sevif, il legislatore italiano ha optato per un riferimento complessivo all’intera gamma degli stessi (con la modifica del co. 2 dell’art. 6 t.u.b.). Nel medesimo quadro normativo è

44 Tale norma stabilisce che: «La competenza ad adottare i provvedimenti aventi rilevanza esterna rientranti nella competenza del governatore e quella relativa agli atti adottati su sua delega sono trasferite al direttorio. Agli atti del direttorio si applica quanto previsto dal comma 5. Le deliberazioni del direttorio sono adottate a maggioranza; in caso di parità dei voti prevale il voto del governatore. La disposizione contenuta nel primo periodo non si applica, comunque, alle decisioni rientranti nelle attribuzioni del Sistema europeo di banche centrali». 45 Così, Antonucci, Commento sub art. 6, cit., p. 44, la quale evidenzia anche come l’art. 6 registri un mero adeguamento al riconoscimento di personalità giuridica unica all’U.E. (definitivamente confermato dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, in vigore dal 1° dicembre 2009), che supera il dualismo logico e disciplinare Comunità europea/Unione europea avviato dal Trattato di Maastricht nel 1993. Di conseguenza, ai sensi del Trattato di Lisbona, le denominazioni “Unione” o “UE” sostituiscono le locuzioni “Comunità” o “CE” e il termine “comunitario” viene convertito sistematicamente in “dell’Unione”, ibidem; sul previgente art. 6 v., Maimeri, Commento sub art. 6, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi, Porzio, Santoro, Bologna, 2003, pp. 9 ss.; Predieri, Commento sub art. 6, in Commentario al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Padova, a cura di Capriglione, 2001, I, pp. 48 ss. 46 Cfr. Antonucci, Commento sub art. 6, cit., pp. 51 s.

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stato inserito un riferimento agli adempimenti informativi nei confronti di “altre” autorità e istituzioni indicate dalla disciplina europea, ossia eventualmente diverse da quelle che compongono il sistema europeo. Nel ribadire l’appartenenza della Banca d’Italia al Sevif, la norma (art. 6, co. 3, t.u.b., testo novellato) dispone che l’autorità italiana partecipi alle attività del sistema tenendo conto della «convergenza degli strumenti e delle prassi di vigilanza in ambito europeo». Inciso che sembra diretto, in qualche modo, a circoscrivere l’ambito applicativo di uno dei criteri di delega [quello di cui all’art. 15, co. 1, lett c) della legge n. 217/2011] al fine di evitare un contrasto con i principi dettati al comma 1 dell’art. 6 t.u.b. e, in particolare, con quello dell’armonia. Sempre nella medesima disposizione vengono raggruppati due ambiti procedurali direttamente connessi al Sevif (art. 6, co. 4). Il primo concerne l’integrazione con gli ordinamenti nazionali mediante un meccanismo di ripartizione e delega di funzioni, delineato dal regolamento istitutivo dell’Abe e considerato uno strumento utile per prevenire la sovrapposizione dei compiti di vigilanza e promuovere la cooperazione. Il secondo si sostanzia nella possibilità di fare ricorso allo strumento della binding mediation per risolvere le controversie tra autorità nazionali, ossia ai poteri decisionali riconosciuti alle autorità europee nei limiti strettamente definiti dalla legislazione settoriale, quale rimedio ultimo nei casi in cui l’impossibilità di giungere a un accordo fra le autorità nazionali possa minare il funzionamento del sistema47. Gli ambiti di collaborazione inter-sistemica, come sopra delineati, vengono estesi a tutte le componenti soggettive del Sevif, laddove in precedenza erano previsti con riferimento alle sole autorità di vigilanza degli altri Stati membri (art. 7, co. 6, t.u.b.). In merito alle competenze di vigilanza regolamentare, è previsto che la Banca d’Italia possa autorizzare le banche all’utilizzo di sistemi interni di misurazione dei rischi per la determinazione dei requisiti patrimoniali (art. 53, co. 2-bis, t.u.b.). Nel caso di banche sottoposte alla vigilanza di altro Stato membro, ove non si pervenga ad una decisione congiunta entro 6 mesi dalla domanda di autorizzazione, le autorità nazionali hanno la facoltà di avvalersi della richiamata mediazione gestita dall’Abe48. Quanto al controllo sui gruppi bancari, è stato ampliato il novero dei

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Cfr. Antonucci, Commento sub art. 6, cit., pp. 52 s. Analoga disposizione è stata introdotta, in materia di vigilanza regolamentare consolidata, con l’aggiunta del co. 2-bis all’art. 67 t.u.b. 48

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destinatari ai quali l’autorità italiana deve dare tempestiva comunicazione delle situazioni critiche potenzialmente lesive della liquidità e della stabilità del sistema finanziario interno (o di altro Stato membro) rilevate nell’esercizio della vigilanza consolidata: accanto al Ministero dell’economia vengono specificamente menzionate l’Abe e il Cers (art. 69, co. 1-ter, t.u.b.). Ancora, viene esteso esplicitamente l’obbligo delle autorità creditizie italiane di tener conto degli effetti dei propri atti sulla stabilità del sistema finanziario degli altri Stati membri interessati (art. 69, co. 1-quinquies)49, sebbene tale norma fosse stata introdotta già in sede di recepimento della direttiva 2009/111/CE (c.d. CRD II)50. Infine, nell’art. 79 t.u.b., anziché introdurre un richiamo specifico all’Abe e al Cers – come previsto nella disciplina europea – il legislatore italiano ha optato per l’elisione della frase finale della norma che imponeva la comunicazione all’autorità competente del Paese di origine delle misure cautelative adottate nei confronti di banche della U.E. operanti in Italia. Gli obblighi di informativa nei confronti delle autorità europee, al pari di quelli previsti verso gli altri controllori nazionali, sono in ogni caso ricompresi nella clausola generale di cui all’art. 6, co. 2, t.u.b.

4. Il recepimento del Sevif e le implicazioni per l’architettura di vigilanza bancaria italiana. Il problema del coordinamento tra autorità europee e autorità nazionali. Delineato il quadro delle principali modifiche apportate al testo unico bancario, occorre ora procedere ad analizzare l’impatto fattuale della riforma sull’architettura di vigilanza bancaria italiana, essendo evidente come l’integrazione con il Sevif dia lo spunto – già a prescindere dai futuri sviluppi dell’Unione bancaria – per alcune considerazioni sulle implicazioni concrete e prospettiche, nonché indicazioni sulla possibile via da seguire per meglio rapportarsi ai cambiamenti in atto nel sistema europeo dei controlli sui mercati finanziari.

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Sul punto v. le raccomandazioni formulate dal Consiglio dell’U.E. il 14 maggio 2008. È la direttiva 2009/111/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009 che modifica le direttive 2006/48/CE, 2006/49/CE e 2007/64/CE per quanto riguarda le banche collegate a organismi centrali, taluni elementi dei fondi propri, i grandi fidi, i meccanismi di vigilanza e la gestione delle crisi. 50

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Le connotazioni soggettive e strutturali dell’architettura italiana di controllo, cui si è accennato supra, pur presentando sufficienti margini di funzionalità alla prova dei fatti, rischiano di creare ostacoli alla piena interazione con il Sevif – oltre che, di conseguenza, al percorso di realizzazione della vigilanza bancaria unica – specie in termini mancata sinergia tra sistemi. D’altra parte, l’“esistenza” stessa delle autorità europee fa sorgere immediate istanze di coordinamento della loro azione con quella delle autorità nazionali, dal momento che il Sevif rappresenta un complesso potestativo destinato ad incidere su una sfera di attribuzioni che finora rientravano nella sovranità statale. Sul punto, appare condivisibile l’opinione secondo cui le competenze regolamentari delle istituzioni europee (su impulso delle componenti del Sevif) si configurano alla stregua di interventi normativi di livello sovraordinato rispetto a quelli regolamentari nazionali, inserendo di fatto un “gradino intermedio” tra la normativa primaria (europea e statale) e le norme secondarie delle autorità domestiche51. Ne consegue che già il recepimento del Sevif realizza un ampliamento del novero delle fonti di governo dei mercati finanziari accentuandone viepiù la caratteristica struttura a “geometria variabile”52. Posizioni differenziate si registrano, invece, quanto all’incidenza sulla sovranità statale di riforme come quella del Sevif. Vi è, infatti, chi ritiene che il Sistema europeo – sia con riferimento all’esercizio della potestà normativa che al concreto intervento nei confronti dei soggetti vigilati – vada a incidere sull’autonomia statale nella definizione delle linee guida dell’azione di vigilanza pubblica. Tale conclusione implica il superamento dell’ipotesi di modalità “congiunte” nell’esercizio del potere di controllo da parte delle autorità nazionali53, dal momento che le scelte normative effettuate in ambito europeo non sono più imputabili alle autorità interne bensì al Sevif, organismo altro e ad esse sovraordinato54.

51 Così, Pellegrini, L’architettura, cit., pp. 68 s., la quale evidenzia come il conferimento di competenze agli organi di controllo europeo – determinando una ulteriore erosione dei compiti spettanti alle istituzioni nazionali – ha dato vita alla traslazione di prerogative che fino ad oggi hanno caratterizzato il tradizionale paradigma dello Stato sovrano; a specificazione del concetto di sovranità v. Giannini, Sovranità, in Enc. dir., Milano, vol. XLIII, pp. 224 ss. 52 Sul tema v., amplius, Spena, Gimigliano, Le fonti del diritto bancario, Milano, 2003. 53 In tal senso, invece Troiano, op. cit., pp. 552. 54 In altri termini, la necessaria rilevanza che deve essere ascritta ad una funzione che esprime la ratio e la volontà di un organismo europeo non può essere sminuita

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Quanto precede troverebbe conferma anche nella considerazione secondo cui lo schema organizzatorio delle autorità europee deve ritenersi espressione di un meccanismo di coordinamento e di armonizzazione dei poteri di vigilanza, sovente diseguali, delle banche centrali nazionali55. Ciò in quanto solo attraverso la cessione di sovranità diviene possibile rendere omogenee realtà diverse e, dunque, pervenire ad una unione “sostanziale” a fondamento delle decisioni assunte in ambito europeo56. Per altro verso, autorevole dottrina, rinviene tra le componenti della costruzione europea (anche se con specifico riguardo al Single Supervisory Mechanism, primo pilastro dell’Unione bancaria) un modello organizzativo di partecipazione delle istituzioni interne a sistemi di integrazione che realizza un ampliamento della sovranità a seguito dell’estensione delle competenze statali ad un ambito territoriale più vasto. In altri termini, caratteristica essenziale di tale sistema composito è la presenza di più soggetti che restano titolari di una parte dei loro precedenti compiti e poteri, ma entrano in un organismo più articolato nel quale sono tenuti a cooperare, mentre conferiscono le proprie funzioni. Si riproduce in sostanza l’approccio c.d. di “shared sovereignty” che pone limiti all’esercizio della sovranità, ma ne allarga anche il campo di azione, prima limitato al territorio nel quale la sovranità si estendeva: «le autorità nazionali di vigilanza sono, quali parti del meccanismo europeo, private di alcune funzioni, limitate in altre; ma possono far sentire la propria voce, come parti del sistema, anche in zone, territori, aree nelle quali non potevano prima intervenire»57.

da tentativi volti a rivalutare le competenze (residue) di autorità domestiche destinate sempre più ad assumere un ruolo meramente esecutivo rispetto alle decisioni assunte in sede europea, sia pure col loro concorso partecipativo; v. Pellegrini, L’architettura, cit., pp. 69 s. Ad esempio, il Consiglio direttivo della BCE, conglobando a livello centrale le funzioni monetarie dei paesi aderenti, non si limita a “rappresentare la sommatoria del potere decisionale dei singoli partecipanti”, ma esprime la sintesi del pensiero dell’U.E. che si determina attraverso un processo dialettico delle autorità nazionali presenti nelle istituzioni e che agiscono non come meri rappresentanti degli Stati membri o delle banche centrali di appartenenza, “ma a titolo diverso avendo di mira la realizzazione dell’interesse comune in un contesto globale”; cfr. Pellegrini, Banca centrale nazionale e Unione Monetaria Europea, Bari, 2003, pp. 205 ss. 55 Cfr. Merusi, Stato e mercato: convergenze e divergenze nei diritti amministrativi in Europa, in Dir. Unione eur., 2000, p. 500, il quale osserva come non tutte le banche centrali siano uguali e di conseguenza diversi siano i poteri che esercitano. 56 Cfr. Pellegrini, L’architettura, cit., pp. 70 s. 57 Cfr. Cassese, La nuova architettura finanziaria europea, cit., p. 21.

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4.1. Segue. L’impatto delle norme europee sul t.u.b. e sull’architettura di vigilanza: simmetrie e asimmetrie con lo “schema europeo”. Alla luce di quanto precede, si può sostenere quindi che il recepimento della vigilanza europea ha prodotto un rilevante impatto sul t.u.b. – a prescindere dalle possibili conseguenze messe in evidenza da alcuni con riguardo alla realizzazione dell’Unione bancaria58 – che si traduce, in prospettiva, nell’esigenza di rimodulare l’attuale assetto delle autorità creditizie. Anzitutto, si profilano ampi tratti di incongruenza rispetto al sistema europeo nell’attribuzione al CICR e al Ministro dell’economia59 di autonome funzioni di vigilanza regolamentare; in altri termini, risultano essere di fatto incompatibili con l’assetto europeo i seguenti profili normativi del t.u.b.: 1. il potere del CICR di emanare deliberazioni cui devono conformarsi le disposizioni adottate dalla Banca d’Italia, nonché quello di decidere dei reclami presentati contro i provvedimenti di vigilanza adottati dalla stessa (art. 9 t.u.b., peraltro inutilizzato); 2. il potere del Ministro dell’economia di determinare con regolamento i requisiti di onorabilità dei partecipanti al capitale delle banche (art. 25 t.u.b.) o i requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza degli esponenti bancari (art. 26 t.u.b.). In questi due casi gli indirizzi regolamentari provengono dalle autorità del Sevif e sono tradotti in norme dalle istituzioni dell’U.E., per cui a maggior ragione non troverebbe spazio l’intervento di autorità “politiche” nel dettare gli indirizzi generali delle norme di vigilanza; 3. il potere del Ministro di adottare, su proposta della Banca d’Italia, i

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Così, ad esempio, Merusi, Il ruolo della BCE, relazione tenuta al Convegno in ricordo di Franco Belli su “Sistema creditizio e finanziario: problemi e prospettive”, Siena 9 e 10 maggio 2013; Mancini, Dalla vigilanza, cit., p. 38; il quale afferma che tale esigenza prospettica nasce dal fatto che il Sistema di vigilanza europeo con a capo la BCE risulta rigorosamente basato sull’assoluta indipendenza e finalizzato ad assicurare una vigilanza “libera da considerazioni estranee all’ottica prudenziale” (così, come dispongono l’art. 19 e il considerando 12 del regolamento istitutivo dello SSM). 59 Un discorso analogo potrebbe farsi, peraltro, per le competenze assegnate alle Regioni da alcuni Statuti speciali (ad esempio, Valle d’Aosta e Sicilia) le quali, pur non potendo definirsi a rigore incompatibili con il nuovo ordine europeo, finirebbero per rendere arduo il rispetto dei tempi procedimentali, soprattutto in caso di valutazione di domande di acquisto o cessione di partecipazioni qualificate al capitale di enti creditizi.

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provvedimenti di amministrazione straordinaria o di liquidazione coatta amministrativa di una banca (artt. 70 e 80 t.u.b.)60; in questo caso, l’incongruenza è prospettica in quanto i provvedimenti di risoluzione delle crisi bancarie rientreranno nelle competenze della BCE in collaborazione con le autorità locali, quindi anche in questo caso, non vi sarà più margine per un filtro – seppure formale – di tipo politico; 4. in definitiva, ogni fattispecie attributiva di potere regolamentare o para-normativo a soggetti diversi dalla Banca d’Italia, nella sua veste di autorità di vigilanza settoriale61. Un ulteriore profilo di “disallineamento” dell’assetto italiano di controllo rispetto al Sevif attiene all’unitarietà della “funzione” di vigilanza62. Nella costruzione europea tale funzione viene scomposta in diverse componenti, assegnate a sistemi di autorità distinti: regolamentare, di controllo, di risoluzione delle crisi, macro prudenziale. La vigilanza regolamentare sulle banche spetta al complesso Abe/Commissione, che si coordina con il SSM; per gli altri comparti la competenza spetta, invece, all’asse Sevif/Commissione, secondo la distinzione tra competenze macro e micro prudenziali. Se ne ricava che l’impostazione seguita dal legislatore europeo si inserisce appieno nella tendenza a mantenere se-

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Per quanto attiene al potere del Ministro dell’economia e delle finanze di adottare, su proposta della Banca d’Italia, i provvedimenti di amministrazione straordinaria o di liquidazione coatta amministrativa di una banca (artt. 70 e 80 t.u.b.), l’incompatibilità con il nuovo assetto del diritto europeo non sarebbe determinato, in realtà, dal regolamento istitutivo del SSM che non intacca la competenza nazionale prevista in materia di risoluzione delle crisi bancarie e la conseguente imputazione dei relativi oneri alle finanze e ai contribuenti dei singoli Stati, ma dal regolamento istitutivo del Single Resolution Mechanism e del Single Bank Resolution Fund, che conferiscono i relativi compiti alla Commissione europea, su proposta di un Comitato, che dovrebbe essere composto da esponenti della BCE, della stessa Commissione europea e delle autorità nazionali; cfr. Mancini, Dalla vigilanza, cit., p. 38. 61 Quali, ancora, il potere del Ministro dell’economia in qualità di presidente del CICR di adottare provvedimenti d’urgenza che poi devono essere ratificati dal collegio; ovvero le “comunicazioni” al mercato del Governatore che, pur non essendo direttamente vincolanti, assumono spesso valenza interpretativa cui i soggetti vigilati possono difficilmente sottrarsi. 62 Altri aspetti di incongruenza riguardano, altresì, i possibili rallentamenti nei meccanismi decisionali; la natura e la stratificazione dei poteri preordinati all’esercizio della vigilanza; le priorità degli interessi tutelati dalla funzione di controllo; in tal senso, anche Mancini, Dalla vigilanza, cit., p. 39, sebbene con riferimento ai futuri sviluppi della Banking Union.

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parate funzioni regolatorie e di vigilanza63. Si prefigura, dunque, un modello europeo di marcata complessità – per alcuni versi affine a quello italiano, per altri meno – che (in teoria) potrebbe consentire di conservare un assetto di controllo su banche, intermediari finanziari e mobiliari parcellizzato fra differenti autorità nazionali. Tuttavia, proprio questa connotazione del modello europeo dovrebbe spingere i legislatori nazionali a predisporre sistemi quanto più possibile efficienti e strumentali alle esigenze di tempestività decisionale proprie della vigilanza sui mercati finanziari. La necessaria fase di interlocuzione tra livello nazionale e ambito europeo rischia, infatti, di essere rallentata da un esercizio poco “fluido” della funzione di controllo negli ordinamenti interni64. In ogni caso, qualunque sia la soluzione scelta, sembra evidente che il concetto di vigilanza – in special modo di quella bancaria – come concepito nell’ordinamento italiano, appare destinato a subire profondi mutamenti, soprattutto in punto di architettura dei controlli65. La “scomposizione” della funzione di vigilanza in ulteriori sottocategorie e in base a finalità differenti da quelle “tradizionali”, come prospettata dal sistema europeo, crea profili di criticità legati a potenziali manifestazioni disomogenee dell’azione statale di controllo, permanendo il rischio, al limite, dell’adozione di misure contrastanti. L’esigenza di garantire un’azione unitaria dell’apparato di vigilanza europeo, specie nei momenti di tensione sui mercati, rappresenta quindi uno degli obiettivi più complessi da perseguire per assicurare un efficiente funzionamento del Sevif, anche tenendo conto dello squilibrio tra ampiezza dei compiti affidati e sistema di enforcement e sanzionatorio a disposizione delle autorità europee. Il sistema, infatti, è il risultato di un evidente compromesso raggiunto nel tentativo di rilanciare il processo di integrazione europea in uno dei momenti forse più difficili per la U.E. e al cui miglioramento si tenderà anche attraverso l’implementazione del progetto di Unione bancaria66.

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Il che rischierebbe, da un lato, di minare la credibilità del Single Supervisory Mechanism e, dall’altro, di ostacolare l’adozione delle migliori regole tecniche di vigilanza in Europa, così Mancini, Dalla vigilanza, cit., pp. 39 s. 64 Cfr. Mancini, Dalla vigilanza, cit., p. 40; v. anche Teixeira, The regulation of the european financial markets after the crisis, in Europe and the Financial Crisis, a cura di Della Posta, Talani, Basingstoke, UK, 2011, pp. 9 ss. 65 Cfr. Mancini, Dalla vigilanza, cit., p. 42. 66 Sul tema, v. Sabbatelli, Tutela del risparmio e garanzia dei depositi, Padova, 2012,

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4.2. Segue. Alcune considerazioni de iure condendo: verso la fine del residuo sistema di governo politico del credito. È possibile, a questo punto dell’analisi, pervenire ad alcune (seppure non esaustive) conclusioni67 in ordine alle possibili modifiche da apportare all’architettura di vigilanza bancaria italiana. Dovendo affrontare, nel breve periodo, il delicato passaggio della revisione dell’assetto dei poteri di vigilanza e dei meccanismi di controllo sulle banche, sarebbe opportuno, come accennato, procedere al sostanziale superamento del modello che vede la compartecipazione di componenti politiche ai processi di regolazione del settore bancario o quanto meno provvedere a modificare i profili funzionali della vigilanza al fine di renderli più “armonici” con la disciplina europea68. Per quanto concerne il CICR, la soluzione più efficace dovrebbe consistere nella sua elisione con il conseguente passaggio di competenze regolamentari alla Banca d’Italia69, anche tenendo conto del fatto che istanze critiche verso la figura del Comitato provengono sia da recenti tendenze ordinamentali, sia da una parte della dottrina persino già in occasione dell’emanazione del t.u.b.70. Va ricordato, ad esempio, che

pp. 223 s.; Antonucci, Commento sub art. 6, cit., p. 51. 67 In senso parzialmente conforme a quanto affermato nel presente paragrafo, Capriglione, Le amministrazioni di controllo del mercato finanziario. La particolare posizione della Banca d’Italia, in Riv. trim. dir. econ., 2011, 1, pp. 1 ss.; Sepe, Il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio tra Presente e Futuro, in Riv. elett. dir. econ., manag., 2011, 1, pp. 22 ss. 68 Cfr. Pellegrini, L’architettura, cit., pp. 68 s. 69 Di diverso avviso è Sepe, Il Comitato, cit., p. 29, il quale ritiene che dovrebbero essere trasferite al Ministro dell’economia le competenze deliberative del CICR che coinvolgono soggetti diversi da quelli vigilati, come è il caso delle competenze in materia di raccolta del risparmio non bancaria (art. 11 t.u.b.) e di trasparenza bancaria (Titolo VI del t.u.b.), in considerazione della rilevanza generale della disciplina; considera invece la funzione di alta vigilanza del Cicr “evidentemente incompatibile” con la necessaria indipendenza delle autorità di vigilanza richiesta dal SSM, Rossi, Intervento di apertura, cit., p. 14; nello stesso senso anche Costi, Il Testo Unico, cit., pp. 44 s.; e Capolino, Il Testo unico bancario e il diritto dell’Unione Europea, in AA.VV., Dal Testo unico bancario all’Unione bancaria, cit., pp. 65 s. 70 Nel senso del superamento del ruolo del Cicr già dopo l’emanazione del t.u.b. v. Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, pp. 260 ss.; Id., Corso di Legislazione bancaria italiana (1861-2010), Pisa, 2010, p. 250 ss.; Minervini, Il vino vecchio negli otri nuovi, in La nuova legge bancaria, a cura di Rispoli Farina, Napoli,

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sono state espresse in sede internazionale perplessità sulle possibili interferenze che il CICR (in quanto composto da ministri) possa determinare nello svolgimento di una funzione (la vigilanza) che dovrebbe avere carattere precipuamente tecnico71. È stato rilevato, per altro verso, che il processo di evoluzione dell’architettura di controllo, connotato da una sempre più diffusa trasposizione di scelte regolamentari a livello europeo, finisce col privare di rilievo sistemico la funzione di indirizzo normativo del CICR72. In definitiva, il potere di delibera del Comitato conserverebbe il solo ruolo di dare “copertura politica” alle proposte della Banca d’Italia o di “controllo” sulla conformità delle stesse rispetto alla disciplina europea73. Quanto alla funzione di “alta vigilanza in materia di credito e di tutela del risparmio”, sarebbe opportuno preservarla – a mio avviso – seppure riferita strettamente allo svolgimento dell’attività bancaria, anche in ragione delle problematiche emerse nel corso della crisi con riguardo al ruolo delle banche e ai salvataggi delle stesse effettuati utilizzando risorse finanziarie pubbliche74. In aggiunta, va detto che nell’ordinamento

1995, pp. 11 ss.; si v. altresì Antonucci, Diritto delle banche, Milano, 2012, p. 37 ss.; Merusi, Commento sub art. 2, in Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, diretto da Capriglione, Padova, 2012, I, pp. 16 ss. 71 V. Pareri della BCE, 11 maggio 2005 (CON/2004/16), 3 novembre 2006 (CON/2006/51), 18 giugno 2007 (CON/2007/17); e FMI “Detailed assessment of compliance with the Basel Core Priciples for effective banking supervision”, Aprile 2004, IMF Country Report n. 04/133. 72 La dottrina aveva già evidenziato come il potere normativo del CICR, svolgendosi precipuamente su proposta della Banca d’Italia, non fosse più da considerare di carattere generale, né potesse esercitarsi su iniziativa autonoma o con l’adozione di provvedimenti di carattere particolare, ma resti finalizzato al perseguimento delle finalità previste dall’art. 5 t.u.b., v. Capolino, in Galanti, a cura di, Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, Padova, 2007, pp. 174 ss.; nel senso sopra prospettato v. specificamente, Draghi, Indagine conoscitiva sulle questioni attinenti all’attuazione della legge 28 dicembre 2005, n. 262, Senato della repubblica, 6° Commissione permanente, 26 settembre 2006, n. 9. 73 Cfr. Sepe, Il Comitato, cit., p. 26, il quale evidenzia come la subalternità della regolamentazione nazionale rispetto a quella comunitaria andrà sempre più rafforzandosi per effetto della piena implementazione del modello Lamfalussy per la produzione normativa comunitaria e con l’entrata a regime del Sevif. 74 Di opinione contraria è Sepe, Il Comitato, cit., p. 27, secondo cui il permanere del riferimento all’alta vigilanza del CICR, in un’ottica unitaria della funzione di vigilanza, non risponde all’integrazione dei diversi comparti del mercato finanziario che appare ispirata al principio di una ripartizione per “soggetti” delle competenze di vigilanza, laddove (seppure con vistose eccezioni) l’ordinamento italiano professa e tende verso una

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creditizio esistono già numerosi indici normativi che attestano la specialità dell’attività bancaria e, dunque, del soggetto che è autorizzato a svolgerla, connotazione che si traduce in numerose deroghe al diritto comune e in limitazioni all’autonomia privata di impresa sia della banca stessa, sia – talora – dei soggetti che vi entrano in contatto75. Infine, una componente di controllo di matrice “politica” dovrebbe essere funzionale a preservare l’interesse generale allo svolgimento dell’attività bancaria, ciò in quanto la raccolta (e la tutela) del risparmio e l’esercizio del credito devono essere – o ritornare a essere – strumentali allo sviluppo del sistema economico reale e al benessere sociale. Per tali motivi, una funzione di “alta vigilanza” andrebbe conservata, riassegnandola ad esempio al Ministro dell’economia, in una sorta di “supervisione sistemica” sulle banche dalla quale dovrebbe essere esclusa – si ribadisce – ogni concreta attribuzione di poteri regolamentari, sempre nell’ottica di evitare profili di incompatibilità e interferenze con la vigilanza europea, ma soprattutto poiché la previsione di livelli “intermedi” di regolazione/controllo tra l’ambito nazionale e quello europeo viene definitivamente privata di legittimazione dal Meccanismo unico di vigilanza dell’Unione bancaria. Analogo discorso può farsi quanto all’esigenza di sedi istituzionali di raccordo e scambio d’informazioni tra autorità indipendenti e sfera “politica”. Si tratta di un coordinamento di certo prezioso al fine di elaborare posizioni nazionali coerenti, condivise e, pertanto, più agevolmente sostenibili in sede europea, ma non sembra che tale ruolo possa essere ricondotto ancora al CICR. Il Ministro dell’economia76, infatti, potrebbe ricoprirlo più efficacemente anche avvalendosi delle forme di collegamento attualmente previste dall’ordinamento, ma senza che gli venga attribuita (anche in questa ipotesi) alcuna competenza regolatoria o di vigilanza in senso stretto, sempre per i motivi di cui si è appena detto.

ripartizione per “finalità” delle competenze di vigilanza; sugli aspetti legati ai salvataggi bancari con l’impiego di denaro pubblico e alle molteplici problematiche agli stessi connesse, v. diffusamente Scipione, Prime riflessioni, cit., passim. 75 Si pensi, ad esempio, alla disciplina del gruppo bancario, della vigilanza, informativa, delle partecipazioni al capitale delle banche, tutte disposizioni che prevedono incisive deroghe applicative delle normative di riferimento anche nei confronti di soggetti non sottoposti al controllo delle autorità creditizie; in chiave critica rispetto a questa connotazione della legislazione bancaria italiana v. Antonucci, Diritto delle banche, cit., passim. 76 Favorevole, invece, in questo caso a traslare tali attribuzioni del CICR al Ministro è Sepe, Il Comitato, cit., p. 28.

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Eventuali canali di interazione tra le autorità di vigilanza nazionali e l’organo politico potrebbero realizzarsi, ad esempio, in sede del Comitato per la salvaguardia della stabilità finanziaria (istituito dalla legge n. 262/2005) che già svolge tale ruolo su base convenzionale con un’attenzione tendenzialmente volta alla dimensione sistemica. Bisogna solo far sì che si tratti di meccanismi di coordinamento neutri dal punto di vista delle attribuzioni di vigilanza regolamentare ovvero che non tentino di replicare in ambito nazionale la dicotomia tra vigilanza macro e micro prudenziale che appare poco significativa a livello di singolo Stato membro. In definitiva, sarebbe senza dubbio opportuno che un sistema di controllo complesso e funzionalmente sovradimensionato (in termini di soggetti, competenze e modelli teorici di riferimento) – come quello italiano – tendesse verso una netta semplificazione per realizzare una più efficiente integrazione con quello europeo, piuttosto che mirare alla mera conservazione dello status quo o adattarsi a soluzioni di palese compromesso. Il modello nazionale dovrebbe acquisire una sua coerenza interna con l’attribuzione – si è detto – di competenze regolamentari alle sole autorità di controllo per allinearsi al quadro normativo europeo dove anche i provvedimenti ablativi nei confronti dei soggetti verranno adottati secondo logiche “accentrate” in punto di individuazione degli interessi da tutelare nella gestione delle crisi e delle fasi patologiche di mercato. Più in generale, le eventuali competenze di organismi politici – laddove se ne decida la “sopravvivenza” – dovrebbero tener conto del contesto “vincolato” (la “rete” di controllori europei e nazionali) in cui sono inserite le singole autorità domestiche, in modo da evitare ingerenze dei governi nell’interazione tra i vari livelli di vigilanza sui mercati finanziari. Ove si ritenga condivisibile tale conclusione – e la si consideri applicabile anche al ruolo del Ministro così come delineato dal t.u.f. – si potrebbe realizzare l’importante obiettivo di una sostanziale omogeneizzazione della struttura di vigilanza prudenziale/regolamentare del t.u.b. e del t.u.f., il quale ultimo appare più razionale e già meglio “configurato” ad interagire con il Sevif. La Banca d’Italia e la Consob (per la quale è già così in buona parte) potrebbero adottare, quindi, gli spettanti provvedimenti normativi e di vigilanza senza attenersi a un indirizzo previamente fissato da organismi interni di matrice politica77 e senza le

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Cfr. Sepe, Il Comitato, cit., p. 29.


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interferenze derivanti da una ridondante molteplicità di interventi in fase di produzione regolamentare. Per altro verso, sebbene la struttura dei controlli delineata nel t.u.f. risulti, come accennato, più razionale in chiave di coordinamento delle funzioni di vigilanza, va ricordato che i servizi di investimento sono espressamente esclusi dall’Unione bancaria, il che rappresenta probabilmente un vulnus nel percorso europeo di unificazione dei controlli, dal momento che la genesi della crisi attuale deriva proprio dal settore dei prodotti finanziari strutturati piuttosto che da quello bancario tout court. La riforma della vigilanza e l’Unione bancaria, in conclusione, rappresentano un evidente passo in avanti nel processo di integrazione europeo78, ma costituiscono ancora un terreno di sperimentazione su cui misurarsi per definire i destini concreti dell’U.E. Certo, la ulteriore frammentazione della funzione di vigilanza e dei correlati poteri, sopra descritta, sembra delineare un’architettura dei controlli ben più articolata e complessa di quella dello scenario di partenza e il cui buon funzionamento appare legato a numerose variabili79. Sarà necessario, pertanto, intervenire sui punti di fragilità e discontinuità del sistema, quali, ad esempio, l’esclusione dei servizi di investimento dall’armonizzazione massima, la “doppia velocità” nell’adesione alle riforme della vigilanza e così via, anche sulla base dei primi riscontri applicativi. Quanto all’architettura italiana di vigilanza, è più che evidente che potrà rapportarsi in modo efficiente al progetto europeo solo attraverso una radicale semplificazione strutturale e procedurale: occorre cioè razionalizzare i meccanismi di funzionamento dei controlli; rendere più celeri e trasparenti i processi di produzione regolamentare; ridurre il novero delle autorità e dei soggetti competenti in ambito nazionale. In questo modo, il sistema italiano può essere in grado, anzitutto, di interagire

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Come mette in evidenza, con riguardo all’Unione bancaria, Vella, Le vie del compromesso, cit.; e nello stesso senso anche id., Crisi bancarie: così l’Europa cerca di gestirle, in LaVoce.info. 15 aprile, 2014; è opinione comune infatti che il processo di integrazione debba passare anche attraverso la realizzazione effettiva di un mercato unico dei servizi finanziari – secondo l’approccio utilizzato per il Sevif, per intenderci – attraverso la predisposizione di norme omogenee e funzionali ad un sistema trasparente, competitivo e conforme ai principi generali dell’ordinamento U.E.; in tal senso, v. il Libro bianco della Commissione per i servizi finanziari per il periodo 2005-2010, COM (2005) 629, pp. 4 ss.; così, anche Ciraolo, Il processo, cit., pp. 415 s.; Zorzi, La disciplina europea dei servizi finanziari, in Il contratto telematico, a cura di Ricciuto e Zorzi, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbl. dell’econ., diretto da Galgano, Padova, 2002, XXIII, pp. 288 ss. 79 Cfr. Mancini, Dalla vigilanza, cit., pp. 44 s.

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efficacemente con l’ordinamento europeo e, non da ultimo, di gestire al meglio i cambiamenti in corso fornendo il suo contributo sostanziale alla realizzazione di un obiettivo cosĂŹ importante qual è la vigilanza unica sui mercati finanziari.

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The objectives and the future of financial regulation in a worldwide context Table of contents: 1. Preface: outline of the work. – 2. Historical reasons for international financial regulation. – 3. The Objectives and the Economic Rationale for Financial Regulation – 3.1. Systemic risk and prudential standards. – 3.2. Information asymmetries risk and conduct of business regulation. - 4. The risk-based regulatory technique for financial markets and financial institution. – 5. Justifications for and Range of Financial Regulation related to the renewed target of Financial Stability. – 6. Justifications for and Range of Financial Regulation related to the need for Competition. – 7. Range and Nature of Regulation according to the Better Regulation Standards. – 8. Global Financial Regulation Reforms. – 9. Conclusion: the Future Model of Financial Regulation in an International Context.

1. Preface: outline of the work. It is generally accepted that the construction of a sound global economic framework lies on an uneasy balance between the power of national governments and the global nature of the markets. In fact, the assignment of an excessive power to governments could achieve situations of protectionism and autarchy, while the recognition of too much freedom to the markets could potentially be a source of a world economy characterised by instability and lack of social and political consensus. However, the choice between the national power of governments and the global nature of market – or between national regulation and market freedom – should be considered not as an alternative but as complementary: the strength of global markets depends on the strength of their governance, which could be achieved by the intervention of public organisations and government supervision. In other words, a regulatory framework constructed at the international level and implemented on a global scale could be an effective tool to reach an adequate compromise between the national regulatory authority, on the one hand, and the globalisation of markets, on the

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other, since international regulation should aim to address the regulatory choices made by individual nations. This certainly does not mean that all the discipline in financial matters needs to be harmonised, but at least the phenomena that have systemic importance should be regulated in the same manner on a global scale. Only the presence of a minimum of internationally standardised rules would potentially be able to reconcile the progress of market globalisation – or rather the progress of a rational market globalization1 – with the regulatory independence of individual states2. The international global turmoil3 confirms once again the previous statement, or, at least, it shows that the Anglo-American idea of self-

In this regard Rodrik Dani, in his famous book titled The Globalization Paradox: Democracy and Future of the World Economy (New York - London, 2011) talks about “A Sane Globalization”. 2 For an in-depth analysis of this topic, see Stiglitz, Risk and Global Economic Architecture: why full financial integration may be undesirable, in National Bureau of Economic Research, 2010 February. 3 The crisis triggered by the collapse of the U.S. subprime mortgage market since 2007, culminated in 2008 with the Lehmans Brothers’ scandal, and devastated global financial markets and the real economy of The US and Europe. Much has been discussed about the diagnosis of crisis: Greespan, The Age of Turbolence, New York e London, 2007; Tett, Fool’s Gold: The Inside Story of J.P. Morgan and How Wall St. Greed Corrupted Its Bold Dream and Created a Financial Catastrophe, London, 2010; FSA (Financial Services Authority), The turner Review: A Regulatory Response to the Global Banking Crisis, 2009 March; Kolb, Lessons from the Financial Crisis: Causes, Consequences, and Our Economic Future, Chichester, 2010. In a recent review, Howard Davies identified thirty-nine different causes from the prevailing literature (Davies, The Financial Crisis: Who is to Blame?, Cambridge, 2010), ranging from the macro to the micro, from global imbalances and loose monetary policy to the practices of US mortgage brokers, credit rating agencies and testosterone-fuelled bankers. Regulation was not the sole cause of the crisis, but it certainly had a role to play. Failings were made by governmental regulators and by market institutions at the global, EU and national level, ranging from transnational regulatory committees to financial institutions and their internal corporate governance structures, and an accepted narrative quickly emerged as to just what the main regulatory failures were. See: FSF (Financial Stability Forum), Report of the Financial Stability Forum on Enhancing market and Institutional Resilience, 2008, in www.financialstabilityboard.org/wp-content/uploads/r_0810.pdf; FSB (Financial Stability Board), Improving Financial Regulation - Report of the FSB to G20 Leaders, 2009, in www.financialstabilityboard.org/2009/09/r_090925b/; FSA (Financial Services Authority), The Turner Review: A regulatory response to the global banking crisis, 2009, in www.fsa.gov.uk/pubs/other/turner_review.pdf; de Larosière Group, The High-Level Group on Financial Supervision in the EU - Report, 2009, in www.ec.europa.eu/internal_ market/finances/docs/de_larosiere_report_en.pdf. 1

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regulated financial markets is not only wrong, but it is also highly damaging4. Therefore, currently there is a broad agreement on the need for a more rigorous and appropriate regulation of financial system to promote and maintain financial stability, although there are different opinions about the nature and the degree of this regulation. In addition, there may be many reasons, in an increasingly globalised world, for this regulation also to be globalised – at least in relation to financial phenomena characterised by the so-called systemic risk and according to the institutional and cultural features of individual states –, complying itself to the standards and the principles elaborated at international and multilateral level5. The following three arguments are the most compelling. Firstly, there is the increasing risk of adverse global spillovers, causing states of financial instability, which overcome national boundaries6. Second, there is the need to ensure a level playing field for financial intermediaries and, thus, prevent the so-called regulatory arbitrage, which would have the negative effect of moving the business from countries with stricter regulations to those with less restrictive regulations. Finally, there is the need to reduce the political influence on regulators and give them a certain level of independence. While these considerations are right in absolute terms, there are both technical and political difficulties in relation to the nature, the range, and the time necessary in establishing and implementing multilateral discipline on financial regulation and supervision area7. These difficulties

4 Akyüz , Policy Response to the Global Financial Crisis: Key Issues for Developing Countries, in Research paper of the South Centre, 2009, p. 17. 5 The standards are rules widely accepted as good principles, practices or guidelines in a specific area subject to regulation. 6 During the last decades, the growth of cross border financial intermediaries has accompanied increasing international financial integration. These financial links have become particularly strong among a small number of nations and a relatively small number of large financial institutions (systemically important financial institutions or SIFIs) which drove many of them. Most of these institutions are large and extremely complex, with numerous subsidiaries in different countries, which are difficult to manage. On the one hand, the growth of financial integration gives many benefits (economies of scale and scope and, thus, more efficiency, efficient allocation of liquidity and capital, trade facilitation and transfer of technologies and experiences cross borders), but, on the other hand, the global financial crisis has highlighted that these close links may have severe and destructive contagion effects across markets and borders, allowing the financial crisis to enlarge rapidly. 7 About this topic, see Llewellyn, The Economic Rationale for Financial Regulation,

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depend overall on the internal weaknesses of the international financial regulatory system, both in terms of the architecture of institutions and international committees, their mutual interrelation and composition, and in terms of financial rules themselves. The global financial crisis highlighted the Bretton Woods institutions’ (the International Monetary Fund, World Bank, and World Trade Organisation) inability to deal with the increasing complexity, extension, and size of the global financial system. The rulemaking and supervision activities were substantially made on a national basis, and the existing international financial standards, due to their “soft law” nature, proved ineffective and “weak in the face of global financial institutions and crushed the real economy8”. This work aims at advancing the feasible future framework of financial regulation in the global context, identifying what seems to be – at least for the moment – the best model of financial regulation to assure a sound governance of global financial markets and, thus, a more crisisresistant global financial system. This model should represent the most reasonable and feasible solution to the political “financial trilemma”9, which states that financial stability, financial integration and national financial policies are conflicting. It is possible to combine any two of the three objectives but not all three: one has to give. In fact, financial integration of markets implies more freedom or lack of regulation (free regulation), and, consequently it compromises financial stability; national regulatory autonomy (territorial regulation) obstructs financial integration; financial stability, pursued by international guidelines (global or universal regulation) limits national autonomy10. Therefore, assuming

in FSA Occasional Paper, 1999, April; Randall, The Economic Rationale of Financial Market Regulation, in Financial Policy Forum, Special Policy Report 12, 2002 December; Brunnermeier, Crocket, Goodhart, Persaud, Shin, The Fundamental Principles of Financial Regulation, in ICBM International Center for Monetary and Banking Studies, Geneva Reports on the World Economy, 2009, 11, in www.princeton.edu/~markus/ research/papers/Geneva11.pdf.; Davies and Green, Global Financial Regulation. The Essential Guide, Cambridge (UK) and Malden (USA), 2010, pp. 7 ss. 8 Barr, Who’s in Charge of Global Finance?, in Georgetown Journal of International Law, 2014, 45(4), pp. 971 ss., especially p. 971. 9 Schoenmaker, The Financial Trilemma, in 111 Economics Letters, 2011, pp. 57 ss.; Rodrik, The Globalization Paradox: Democracy and the Future of the World Economy, New York, 2012, pp. 184 ss. 10 Rodrik, How far will international economic integration go?, in Journal of Economic Perspectives, 2000, 14, pp. 177 ss., applies the general trilemma in an international context. As international economic integration progresses, the policy domain of nation states has

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that free regulation has to be neglected, we are seeking to identify the best combination of national and global regulation to ensure a better governance of globalised financial markets, namely the extent to which one can go without obstructing the progress of the other. The structure of the Article is as follows. 1. Firstly, the work deals with the debate on the objectives and the rationale for financial regulation according to the main narratives in financial law and to the risk based regulatory technique11. In this connection, the task is to outline the macro perspective assumed by the key objective of “financial stability� in the aftermath of the crisis12. 2. Then, the analysis gives an overview of the initiatives taken on a worldwide scale13 to reform the global financial regulation, or rather the set of financial standards elaborated at the international level and widely accepted as good principles, practices, or guidelines in a given area of regulation or in a given sector of financial market. The conclusion is that, despite the many reforms that have been and are now underway, many weaknesses remain, especially from the angle of the concrete implementation of these reforms at the national level14. 3. Therefore, in conclusion the Article suggests a model of financial regulation adoptable in the worldwide context, which could contribute to ensure a better governance of integrated financial markets, and, thus, a better resilience of the global financial system to future turmoil15.

2. Historical reasons for international financial regulation. Preliminarily, it is necessary to recall that the need for a regulation standardised at the international level arose from a multiplicity of, often interconnected, historical facts occurring in the financial field by the mid-1970s. The period between World War II and the 1970s is often

to be exercised over a much narrower domain and global federalism will increase. The alternative is to keep the nation state fully alive at the expense of further integration. 11 See especially Section No. 3. 12 See Section No. 5. 13 Promoted by the world’s most important political powers (especially at the G-20 London and Pittsburgh Summits) and implemented by the main international financial institutions (especially the BCBS, the IOSCO and the IAIS). 14 See Section No. 8. 15 See Section No. 9.

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called the period of “financial repression” due to the protectionist national measures adopted during the Great Depression. All financial systems around the globe were heavily regulated, or mainly in government hands and, thus, there was a weak integration of financial market and a parallel strong and easy control of capital movements. For those reasons, there was no need for international financial regulation. From the mid-1970s on, financial liberalisation triggered many changes that drastically altered the face of the financial system and the nature of its operations, determining the growing need for the development of a financial regulatory framework standardised as much as possible on a global scale. In particular, the modifications concerned, firstly, the progressive blurring of boundaries among previously clearly delineated financial subsectors, such as banking, securities markets, and insurance globalisation, with increasing competition among them16. Secondly, they regarded the globalisation of capital markets and consequently the increasing amount of cross-border capital flows and crossborders financial institutions17. In addition, there was the birth of new channels of financial intermediation due to the creation of a wide range of unregulated investment vehicles, such as hedge funds and private equity, on the one hand, and the appearance of new financial instruments characterised by different level of complexity in transferring all types of risk, on the other. The shape of global capital markets also changed with the growth of a small number of dominant huge institutions represented by either investment banks18 or stock exchanges19. At the same time, the multipolarity of the global economy increased, as economic activity was no longer dominated by the United States and

16 Quintyn, Principles versus Rules in Financial Supervision – Is There One Superior Approach?, in QFinance, in www.qfinance.com/financial-regulation-best-practice/ principles-versus-rules-in-financial-supervisionis-there-one-su?full. 17 For an empirical investigation into identifying the potential “drivers” of international financial integration including policy on capital controls, the level of economic and educational development, economic growth, institutional and legal environment, trade openness, financial development and tax policy, see Vinh Vo, Daly, The determinants of international financial integration, in Global Finance Journal, 2007, 18, pp. 228 ss. 18 Most of them are headquartered in US but they are able to exert their presence all over the world, such as Citygroup and HSBC. 19 Historically the market places were protected and represented national identities, but, by the end of the past century, there was the domain of a small number, such as New York and London Stock Exchanges.

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the Europe, but also by markets once considered emerging20. All these matters – integration of financial subsectors, globalisation of financial markets, concentration in financial industry, new intermediation channels and products, multipolarity of the real economy – outlined the inadequacy of the existing international financial organisations and global financial regulation to handle them. In fact, we could argue that the improvements in the global financial governance framework were not able to follow the developments of global financial market and the real economy, so the international financial regulatory system and the global financial system had not changed in parallel.21 In addition and in sharp contrast with the financial repression period22, financial institutions’ governance has become a crucial variable in guaranteeing the success of these liberalised and globalised financial systems and in preventing financial stability in this new environment. Before suggesting the regulatory changes that might realistically be made to improve the efficiency in regulating and supervising the integrated financial market, it is necessary to understand: .– what outcome it is trying to secure through financial regulation, that is the objectives of regulation; .– why financial markets and financial institutions need to be regulated, that is the rationale for financial regulation23; and

See Davies and Green, Global Financial, cit., pp. 7 ss. For example, after the Asian financial Crisis in the late 1990s, some attempts were made to overcome the failings of the global regulatory framework. In particular, the international community and international organisations (the IMF, the World Bank, the OECD, and the BIS) undertook efforts to reform the international financial architecture. These efforts included: the establishment of the Financial Stability Forum (FSF), with the aim to coordinate the existing regulatory structures; the creation of a new Group of Twenty (G20) process for finance ministers and central bank governors; improvements of information transparency and disclosure; the adoption of international standards and codes; stronger financial regulation through the Basel Committee on Banking Supervision; the introduction of collective action clauses in new sovereign bond issues as part of private sector involvement; and reforms of IMF surveillance, liquidity support, conditionality, and governance. Nevertheless, in spite of those improvements, the global financial regulatory system remained inadequate to deal with the real state of capital and financial markets. 22 When financial sector behaviour was largely prescribed, and financial institution governance, therefore, was left with only a few degrees of freedom. 23 However, it needs to outline that some academic liberals are sceptical of the benefits of regulation. See, for instance: Dowd, The Case for Financial Laissez-Faire, in Economic Journal, May, 1996, 106(436), pp. 679 ss.; Benston, Regulating Financial 20 21

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– when a regulatory intervention may be considered adequate, that is the degree and the nature of financial regulation. To answer to these questions, we recall the economic rationale for regulating financial markets and financial intermediaries and the regulatory technique known as the “Risk-based Supervision Approach”.

3. Objectives and Economic Rationale for Financial Regulation. Before examining the objectives, the economic rationale for, and the adequate level and nature of regulation in financial markets, we must define “financial regulation” and “financial supervision” in order to set the scene. The expression “financial regulation” identifies the regulatory framework at the base of the processes of authorising, regulating and supervising financial institutions and financial markets. Financial regulation is the foundation of “financial supervision”. Financial regulation covers a wide range of areas, such as accounting, bank capital requirements, money laundering, investors’ protection and so on. Financial supervision encompasses the following activities: –– .Licensing: the granting of permission for a financial institution to operate within a jurisdiction; –– .Oversight: the monitoring of asset quality, capital adequacy, liquidity, internal controls and earnings; –– .Enforcement: the application of monetary fines or other penalties to those institutions which do not adhere to the regulatory regime, and; –– .Crisis management: including the institution of deposit insurance schemes, lender of last resort assistance and insolvency proceedings24.

Markets: A Critique and Some Proposals, Hobart Paper, 135, London, 1998; Benston & Kaufman, The Appropriate Role of Bank Regulation, in Economic Journal, 1996, 106, pp. 688 ss.; Kane, Foundations of Financial Regulation, mimeo, Boston College, 1997. 24 In the classic essay of Llewellyn, The Economic, cit., p. 6, the Author distinguishes between regulation, monitoring and supervision. Regulation consists in the establishment of specific rules of behavior, monitoring consists in observing whether the rules are obeyed, and supervision is the more general observation of the behavior of financial firms. For some suggestions for reviewing the Llellyn’ original work, in order to take account of major changes in instruments, markets, institutions and regulation, including

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The objectives of financial regulation and supervision underlined by leading authors25 and regulators are too many and changing over time. However, it is possible to identify three core objectives of financial regulation: systemic stability (or integrity of financial markets), solvency of financial institutions, and investors’ protection. It is essential to underline that, above all in the aftermath of the global financial crisis of 2008-09, financial stability is being emphasised as a key regulatory objective26. The reason is that financial stability “is a potentially broad concept whose malleability may prove constructive in defining a new approach to financial regulation27”, related to the need to monitor risk allocation at the macro level. This increasing demand arises from the wide belief that the crisis, or rather the spreading of the crisis might be attributed to the lack of an organised framework designed to do so. The regulatory objective of “financial stability” may no longer be limited to micro-prudential regulation, investor protection, or market discipline, but it may be used for a macro prudential regulation concerning the financial system as a whole. Therefore, “regulatory resurgence and governance will assume the role of making choices or interventions in the name of ‘financial stability’28”, especially intended as “systemic stability”. Once the objectives of financial regulation have been identified (the solvency of financial institutions, consumers’ protection, systemic stability), the economic literature29 outlines the rationale for regulating financial institutions and markets. It starts from the evidence that a number of systemic externalities (deficiencies, vulnerabilities and disturbances, in

a change in the nature of systemic risk, which have occurred since his paper was written, see Herring, Schmidt, “The Economic Rationale for Financial Regulation” Reconsidered An Essay in Honor of David Liewellyn, House of Finance, April, 2012, in http://safefrankfurt.de/uploads/media/Herring_Schmidt_Llewellyn_Financial_Regulation_Paper_ Reconsidered.pdf. 25 See: Anspinwall, Conflicting Objectives in Financial Regulation, in Challenge, 1993, 36, pp. 53 ss.; Goodhart and others, Financial Regulation: Why, How and Where Now?, London, 1998, pp. 4 ss.; Cranston, Principles of Banking Law2, Oxford, 2003, pp. 66 ss; Benjamin, The narrative of Financial law, in Oxford Journal of Legal Studies, 2010, pp. 787 ss. 26 See, for example, G-20, Global Plan Annex: Declaration on Strengthening the Financial System, April 2, 2009, in http://www.g20.org/documents/g20_summit_declaration.pdf and the FSB Reports available on the website www.financialstabilityboard.org. 27 Adenas & Chiu, The Foundations and Future of Financial Regulation – Governance for Responsibility, Abingdon, Oxon, 2014, p. 21. 28 Adenas & Chiu, The Foundations, cit., p. 29. 29 Llewellyn, The Economic, cit.

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one word contagion) generated by financial activities could undermine financial stability in financial markets30. The private operators alone cannot address these externalities and, thus, financial regulation needs to prevent or mitigate their potential negative effects. This statement represents the basic economic rationale for regulating financial markets and financial institutions31. Nevertheless, the opinions about the adequate level and the appropriate nature of regulatory interventions are too diverse. In connection with the first point – the adequate level of regulation –, the economic approach rejects the two extremes: the model of a rigid state control on the financial system (that generates an intrusive regulation and damage to competition) and the model of the free market without any regulatory intervention (that generates wild behaviours). Between the two extremes, there is a large range of regulation, given the infinite choice of combinations, and, thus, a reasoned choice needs to be made. In principle, the range of regulation to set is justified when it is able to reach a suitable trade-off between safety and soundness of financial markets assured by regulation, on the one hand, and risk taking allowed by the lack of regulation, on the other. The criterion used for the choice of a suitable degree of regulation consists of a cost-benefit analysis. Therefore, a regulatory intervention is justified when costs imposed on financial institutions and the market by this intervention are less than expected benefits32. However, there are some problems in the application of such criterion as the costs are usually quantifiable more easily and earlier than benefits. The benefits can only be forecasted or they often are for politicians alone. Concerning the appropriate nature of regulatory interventions, we argued that financial regulation aims at preventing risks and solving states of crisis to maintain financial stability. Therefore, the financial regulatory framework designed to contain risks and to solve financial intermediar-

30 Llewellyn, The Economic, cit., pp. 13 ss. For an in-depth discussion on the concept of externalities, see Dodd, The Economic Rationale of Financial Market Regulation, in Financial Policy Forum, Special Policy Report 12, December, 2002, pp. 4 ss. 31 See: Dodd, The Economic, cit.; Brunnermeier, Crocket, Goodhart, Persaud, Shin, The Fundamental, cit., pp. 18 ss. 32 For example: the incidence of bank or insurance failure might be reduced by increasing capital requirements, but correspondingly returns to depositors and policy holders will be reduced; the types of investments offered to the public might be restricted, but correspondingly opportunity to diversify portfolio into more profitable assets will be constrained.

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ies and markets’ defaults is instrumental in reaching financial stability. The presence of financial risks in financial markets and the need to prevent and contain them represent the economic rationale for financial regulation and supervision. In addition, in connection with each economic risk that regulation has to face, the economic literature establishes, in general, the appropriate nature of financial regulation. In principle, within the financial market, there are two main economic risks justifying regulation for financial stability: systemic risk (systemic externalities) linked to business, and information asymmetries risk connected to financial transactions33. Economic theory indicates two generic types of regulation and supervision to face each one of these risks: respectively, prudential standards designed to safeguard the solvency of financial intermediaries, and conduct of business rules directed to investors’ protection34. We are going to analyse the two categories of risk and corresponding specific regulation separately. 3.1. Systemic risk and prudential standards. Interconnections and relationships among financial institutions and between financial intermediaries, on the one hand, and the real economy, on the other, are potential sources of systemic risk35 for the possible contagious effect of institutional failure in the financial sector36. It is clear

Goodhart, How should we regulate the financial sector?, in Turner, Haldane, Wolley, Wadhwani, Goodhart, Smithers, Large, Kay, Wolf, Boone, Johnson, Layard, The Future of Finance and the theory that underpins it, in London School of Economics and Political Science, 2010, pp. 165 ss., especially 167 ss. More exactly, Llewellyn, The Economic, cit., pp. 9 s. identifies seven components of the economic rationale for financial regulation and supervision: 1) potential systemic problems associated with externalities (a particular form of market failure); 2) the correction of other market imperfections and failures; 3) the need for monitoring of financial firms and the economies of scale that exist in this activity; 4) the need for consumer confidence which also has a positive externality; 5) the potential for GridLock, with associated adverse selection and moral hazard problems; 6) moral hazard associated with the revealed preference of governments to create safety net arrangements: lender of last resort, deposit insurance, and compensation schemes; 7) consumer demand for regulation in order to gain a degree of assurance and lower transactions costs. 34 Llewellyn, The Economic, cit., p. 10. 35 Systemic risk is a developing concept, which has not yet an univocal and objective definition. 36 See, for example, Allen, Babus and Carletti, Financial connections and Systemic Risk, in NBER Working Paper, 16177, 2010, in www.nber.org/papers/w16177; Beville, 33

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that the financial system is prone to episodes of instability and contagion as it becomes more liberalised and international. The traditional systemic risk argument relates to the banks’ special position in the payments network – arising from their role in maturity transformation and liquidity provision –, that might cause a domino effect37 on others financial and non-financial institutions38. At the current time, this argument may be extended to all types of financial institutions, bank and non-banks. In general, the collapse or insolvency of one or several financial intermediary generates potential externalities (costs) for the financial system as a whole and for the real economy39, which are unlikely to be internalised. To prevent and mitigate the external costs for the financial sector and the real economy related to the contagion effect, financial regulation should encompass a crucial role, even if it is often difficult to establish whether an individual intermediary failure could be systemic or not. In principle, financial regulators must intervene to reduce the incidence of systemic crisis, but, at the same time, they must intervene without excessively constraining the functionality of the markets, business and transaction40. Therefore, regulatory intervention is justified when it is able to

Financial Pollution: Systemic Risk and Market Stability, in Florida State Law Review, 2010, 36, p. 245 ss; Scott, The Reduction of Systemic Risk in the United States Financial System, in Harvard Journal of Law and Public Policy, 2010, 33, pp. 673 ss.; Kane, Redefining and Containing Systemic Risk, 2010, in http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_ id=1603323; Kawai & Pomerleano, Regulating Systemic Risk, in ADBI Working Paper, 189, 2010; De Nicolo & Kwast, Systemic Risk and Financial Consolidation: Are they related, in Journal of Banking and Finance, 2002, 26, pp. 861 ss. 37 Banks’ central position in payments systems represents the classic systemic risk argument exposed by Bagehot (Lombard Street: A Description of the Money Market, London) in the faraway 1873. 38 Adenas & Chiu, The Foundations, cit. pp. 31 s. tell that the domino effect may be the result of “real contagion” or “information contagion”. The former refers “to negative effects spreading to financial institutions, which are connected to the failing institution through counterparty default, or other transactional connections. […] ‘Information contagion’ refers to negative effects spreading to financial institutions due to the perceptions of weaknesses, whether justified or otherwise, and such perceptions of weaknesses can result in asset prices declines, seizure of activity, etc., which would then affect the real viability of those institutions”. 39 In fact, the crisis of a bank can affect not only depositors and stakeholders, but also taxpayers, which might support the cost of a bailout (fiscal cost). For the effects or the potential effects that failures in the financial sector could have on the real economy, see Kawai & Pomerleano, Regulating, cit.; Kane, Redefining, cit.; De Nicolo & Kwast, Systemic, cit. 40 See Davies and Green, Global Financial, cit., p. 16.

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find a suitable trade-off between the soundness of the financial system (firstly, through making institutions robust and resistant to failure, or alternatively, containing and resolving failure to mitigate its impact) and the freedom of financial markets and financial institutions. Prudential standards represent the appropriate type of financial regulation to prevent systemic risk and, thus, to guarantee the stability of the financial system, because they aim at safeguarding the solvency of financial intermediaries making them more robust and resistant to failure. Their use in facing systemic risk is justified by the existence of potential losses and costs related to the domino effect. In particular, the literature refers to two main costs: the cost of externalities and the cost of the lender of last resort41. The former is the potential cost related to the domino effect produced by a bank failure (externalities). Normally a financial intermediary does not internalise (cover) the potential external costs for the economy arising from its possible failure. Therefore, the existence of potential externalities justifies the enforcement by regulation of larger reserves than those provided by internal managers and shareholders, which usually take account of the risk of the internal losses (if they fail) alone, in terms of lost jobs, lost reputation and lost shareholders value. The second – cost of lender of last resort – is the potential cost suffered by the lender of last resort when a domino effect arises from a bank failure. This cost justifies the enforcement of prudential standards, as it is cheaper than potential intervention of lender of last resort due to the domino effect. Prudential standards comprise both quantitative and qualitative requirements. Quantitative prudential standards include capital requirements, which provide a cushion against losses and increase market confidence mitigating pro-cyclical actions, and liquidity requirements designed to reduce the institutions’ vulnerability to shocks. Qualitative prudential standards include adequate management and control frameworks directed at increasing information flows to supervisors by managers and controllers allowing them to make an informed assessment. Concerning the dimension of prudential regulation, we have to ask if prudential supervision should be different or, on the contrary, common between various states. There is persuasive evidence that globalised financial markets and cross-border financial institutions require, as much

Llewellyn, The Economic, cit., pp. 15 ss.; Davies and Green, Global Financial, cit., pp. 17 ss. 41

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as possible, standardisation of prudential rules at the international level, for at least two fundamental reasons. The first is the need for competitions equality among cross borders financial institution to ensure them a level playing field. The second is the need for competitive equality among countries’ financial regulation to avoid or mitigate the so-called “regulatory arbitrage”. In this connection, we recall that regulatory competition is a phenomenon in law, economics and politics, arising from the desire of lawmakers to compete with another at regulatory level, in order to attract businesses or other actors to operate in their jurisdiction. This phenomenon might generate a “regulatory convergence” towards two opposed regulatory frameworks. In fact, states should attempt a race to the top, towards the strictest regulatory framework or, on the contrary, a race to the bottom, towards the most permissive regulatory framework, with all potential negative effects in terms of over-regulation in the former case or under-regulation in the second42. 3.2. Information asymmetries risk and conduct of business regulation. The information asymmetries risk is the second main risk existing in the financial market and justifying the need for financial regulation. The identified regulatory intervention to prevent this type of risk is the conduct of business regulation, which aims at investors and shareholders’ protection. The information asymmetries might concern substantially two types of situation: the economic state of a company or the terms of investment contracts43. In the first case, shareholders have less knowledge of the real economic situation of the company in which they invest than managers do. Thus, managers could use this knowledge to their advantage or they could easily hide the eventual bad state of the company and even leave the company. To solve the potential conflict of interests between managers, on the one hand, and shareholders, stakeholders and, in general, investors, on the other, the private solution based on the presence of credit rating agencies is insufficient and inefficient overall44. Therefore,

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In the case of no race, diversity among regulatory system remains. For an in-depth discussion, see Llewellyn, The Economic, cit., pp. 21 ss. 44 In fact, rating agencies should aim at giving an independent assessment of an investment risk. Instead, they do not usually provide the investors’ interests, as they are 43

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there is a strong justification for rules against the abuse of insider trading or the imposition of mandatory disclosure as appropriate regulatory tools to overcome these market failures45. In fact, they provide with an “informed” environment for decisions in securities and collective investment products46. In the second case, investors, specifically retail investors, have a poor knowledge of investment contracts proposed by a firm, especially when stipulated through financial intermediaries. Financial intermediaries provide a range of services including execution, investment advice and portfolio management for clients, which create a principal-agent relationship, the nature of which is often fiduciary47. Therefore, to mitigate agency problems related to this type of relationship, legal interventions for prescribing intermediaries’ conduct of business rules (fiduciary duties) could avoid abuse of their superior knowledge and client’s trust invested in them48. Concerning the dimension of conduct of business regulation – national or international– , we can give the same answer as for prudential regulation due to the international dimension of the financial markets. The need for a minimum standardised regulation also in this field arises

paid by the firms whose soundness they assess. See Mathis, MacAndrew, and Rochet, Rating the Raters: Are reputation concerns powerful enough to discipline rating agencies?, in Journal of Monetary Economics, 2009, 56, pp. 657 ss. 45 The arguments supporting mandatory disclosure apply not only on the primary market where acquisitions are made directly from investment products issuers, but also on the secondary market. See: Kahan, Securities law and the Social Costs of “Inaccurate” Stock Prices, in Duke Law Journal, 1992, 41, pp. 977 ss.; Gordon & Kornhauser, Efficient Markets, Costly Information and Securities Research, in New York University Law Review, 1985, 60, pp. 761 ss.; Fox, Rethinking Disclosure Liability in the Modern Era, in Washington University Law Quaterly, 1997, 75, pp. 903 ss. 46 See: Coffee, Market Failure and the Economic Case for Mandatory Disclosure System, in Virginia Law Review, 1984, 70, pp. 717 ss.; Fox, Rethinking, cit., pp. 903 ss.; Cage, Regulating Through Information: Disclosure Law And American Health Care, in Columbia Law Review, 1999, 99, pp. 1701 ss. 47 Easterbrook & Fischel, Contract and Fiduciary Duty, in Journal of Law and Economics, 1993, 36, pp. 425 ss.; Cooter & Freedman, The Fiduciary Relationship: Its Economic Character and Legal Consequences, in New York University Law Review, 1991, 66, pp. 1045 ss. 48 See: Köndgen, Rules of Conduct: Further Harmonisation?, in Ferrarini, European Securities Markets: Investment Services Directive and Beyond, London, 1994, pp. 118 ss.; Chiu, The Nature of a Financial Investments Intermediary’s Duty to his Client, in Legal Studies, 2008, 28 (2), pp. 254 ss.

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from the fact that, in a globalised context, issuing firms could evade domestic conduct of business rules by operating in another country through subsidiaries, which sell their financial investment products back to their domestic market. Therefore, it is essential for a common approach to conduct of business regulation to have, for instance, a common definition of insider information or of retail investor, in order to ensure the same level of protection across borders to investors and shareholders.

4. The Risk-Based regulatory technique for financial markets and financial institutions. Amongst the “new governance” regulatory method for financial markets and financial institutions49, the Risk-based Regulation and Supervi-

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Regulators have a wide range of options to design regulation. These range from no regulation to self-regulation to co-regulation to market-based instruments to statebased regulation with various options in between. What they must do is consider these regulatory options and assess the costs and benefits of each one. What they must not do, however, or only do as a last resort, is propose ‘command and control’ (CAC) regulation: detailed legal rules backed by criminal sanctions overseen by a government agency, although CAC is still strongly prevalent in financial regulation in many places (Baldwin, Regulation: After Command and Control, in Keith (ed.), The Human Face of Law: Essays in Honour of Donald Harris, Oxford, 1997, pp. 65 ss.; Gunningham, Kagan & Thornton, Social License and Environmental Protection: Why Businesses Go Beyond Compliance, in Law and Social Inquiry, 2004, 29, pp. 307 ss.; Baldwin, Better Regulation: The Search and the Struggle, in Baldwin, Cave and Lodge (eds), Oxford Handbook on Regulation, Oxford, 2010, pp. 259 ss.). Amongst the examples of ‘new governance’ regulatory techniques performed by governments around the world as well as by transnational committees of regulators and private actors, notable are: principles based regulation, risk based regulation, meta-regulation, enrolling gatekeepers, and market based regulation. Many countries affected also have ‘better regulation’ processes of consultation and cost-benefit/impact analyses. For an in-depth discussion on the features and failings of these model, see: Black, Decentring Regulation: Understanding the Role of Regulation and Self Regulation in a “Post-Regulatory” World, in Current Legal Problems, 2002, 54(1), pp. 103 ss.; Scott, Regulation in the Age of Governance: The Rise of the Post Regulatory State, in Jordana and Levi-Faur (eds), The Politics of Regulation: Institutions and Regulatory Reforms for the Age of Governance, Cheltenham, 2004, pp. 45 ss.; Black, Enrolling Actors in Regulatory Processes: Examples from UK Financial Services Regulation, in Public Law, 2003, pp. 62 ss.; Gray & Hamilton, Implementing Financial Regulation: Theory and Practice, Chichester, 2006; Ford, New Governance, Compliance and Principles-Based Securities Regulation, in American Business Law Journal, 2008, 45, pp. 1 ss.; Black, Learning from Failures: ‘New Governance’ Techniques and the Financial Crisis, 2011, in www.csls.ox.ac.uk/documents/ DesigningRegulationnov2011.pdf; Adenas & Chiu, cit., pp. 75 ss.

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sion Approach seems to take inspiration from the economic rationale for financial regulation. A number of regulators have implemented this regulatory technique50. The Risk-Based approach is a regulatory technique, which is fast gaining recognition as the preferred approach to supervision over that of the traditional approach called CAMELS (Capital adequacy, Asset quality, Management, Earnings, Liquidity and Sensitivity to market risks). The traditional approach focuses largely on determining the current financial condition of a financial intermediary, based on historical financial data and on quantifying a financial institution’s current problems by audit, like examination procedures. By contrast, the Risk-Based approach focuses on qualifying problems by identifying poor risk management practices as this approach places strong emphasis on understanding and assessing the quality of risk management systems in financial intermediaries that are in place to identify, measure, monitor and control risks in an appropriate and timely manner51. This approach is intended as a structured, forward-looking regulatory process aimed at: – .identifying the most critical, present and future, risks to which in-

50 Many countries accept this approach, such as UK, Canada, and Australia. Hutter, The Attractions of Risk-based Regulation: accounting for the emergence of risk ideas in regulation, London, 2005, in http://grammatikhilfe.com/researchAndExpertise/units/ CARR/pdf/DPs/Disspaper33.pdf; Black, The Development of Risk-based Regulation in Financial Services: Canada, the UK and Australia - A Research Report, London, 2004: ECRC Centre for the Analysis of Risk and Regulation LSE, www.lse.ac.uk/collections/ law/staffpublicationsfull text/black/riskbasedregulationinfinancialservices.pdf; Black, The Emergence of Risk-based Regulation and the New Public Risk Management in the UK, in Public Law, 2005, pp. 512 ss.; Black, The Development of Risk Based Regulation in Financial Services: Just “Modelling Through”?, in Black, Lodge and Thatcher (eds), Regulatory Innovation: A Comparative Analysis, Cheltenham, 2005; Hutter & Lloyd Bostock, Reforming Regulation of the Medical Profession: The Risks of Risk-based Approaches, Health, Risk and Society, 2008, pp. 69 ss.; Black & Baldwin, Really Responsive Risk Based Regulation, in Law and Policy, 2010, 32(2), pp. 181 ss.; Black, Learning from Failures, cit., pp. 5 s. In addition, Risk-based supervision concepts are embedded in the Basel Committee on Banking Supervision Core principles for effective banking supervision and are part of the IMF and World Bank’s Financial Sector Assessment Programs (FSAPs) of countries. 51 However, Risk based regulation, like any regulatory technique, has its own weaknesses and pathologies. Like all techniques of regulation, it can be done badly or it can be done well. All too often, regulators can focus too much on analysing the risks and too little on acting in response to them. For an in-depth analysis about weaknesses and strengths of various regulatory techniques, see Black, Learning, cit.

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dividual financial institutions, specifically bank, and the financial system as a whole are exposed to highlight incipient problems; – .assessing the risk management policies and practices used to mitigate risk and; – .focusing supervisory resources (including examination time) based on the risk characteristics of the institutions and markets to facilitate prompt intervention/early corrective actions. Risk-based regulation seeks to define regulatory interventions by using the parameters of economic resources, efficiency, and cost-benefit analyses. It is considered as a preventive or pre-emptive approach52, because it aims at defining appropriate regulatory actions on the basis of an ex ante identification, measurement and assessment of private and social risks supported by individual financial institutions or by financial industry in general, having regard to the regulator’s resources53. Overall after the crisis, international financial policy makers and regulators have often used this regulatory technique to establish the appropriate degree and nature of financial regulatory interventions54.

5. Justifications for and Range of Financial Regulation related to the renewed target of Financial Stability. We argued that, after the recent global financial crisis, “financial stability” has become the new ideological objective and rationale for financial regulation and supervision. In fact, the global financial crisis has highlighted the need for regulating and supervising financial risks at the macro level and the regulatory objective of “financial stability” is so broad as to be able to include not only micro-prudential but also macro-prudential regulatory tasks55. Consequently, nowadays the traditional approach to systemic regulation, which implicitly assumes that we

See, Wierner, Whose Precaution After All? A Comment on the Comparison and Evolution of Risk Regulatory System, in Duke Journal of Comparative & International Law, 2003, 13, pp. 207 ss. 53 For a critical analysis of Risk based approach, see Adenas & Chiu, cit., pp. 78 ss. The Authors sustain this approach could allow the regulated to play a perhaps too significant role in governance and to exert significant influence over the regulator’s actions. 54 For more details, see Section 8. 55 Bieri, Regulation and Financial Stability in the Age of Turbolence, in Kolb (ed), Lessons from the Financial Crisis, Hoboken NJ, 2010, pp. 327 ss. 52

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can make the system as a whole safe by simply trying to make sure that individual banks are safe, has become unsustainable56. However, until now there is not a good and unambiguous definition of this expression – or certainly to give a quantitative measurement of57 –, in either positive or negative terms, of “financial instability”58. Thus, “there is considerable heterogeneity in the way central banks pursue financial stability objectives59” and the degree of financial regulation depends on the extent regulators give to its meaning. Indeed, only recently a number of national financial regulators and supervisors60 as well as international financial organisations included financial stability within institutional objectives they must reach. For example, the regulatory objective of “financial stability” was added to the list of legislative objectives for the renewed Financial Stability Board (FSB) in 2009. Art. 1 of its Charter states: “the FSB will address vul-

Brunnermeier, Crocket, Goodhart, Persaud, Shin, The Fundamental, cit., foreword. Goodhart, Some New Directions for Financial Stability?, Per Jacobsson lecture Zurich, 27 June 2004, in www.bis.org/events/agm2004/sp040627.htm. 58 Different definitions of financial stability have been provided, ex multis, by Crockett, Why is financial stability a goal of public policy?, in Maintaining Financial Stability in a Global Economy, Federal Reserve Bank of Kansas City, 1997, pp. 7 ss., in www. kc.frb.org/publicat/sympos/1997/pdf/s97crock.pdf; Mishkin, Anatomy of Financial Crisis, in National Bureau of Economic research Working Paper, 3934, 1991; Mishkin, Global Financial Instability: Framework, Events, Issue, in Journal of Economic Perspective, 4, 1999, 13, pp. 3 ss.; Schinasi, Defining Financial Stability, IMF Working Paper WP/04/187, October 2004, pp. 1 ss. Schinasi identifies a small number of key for developing a working definition of financial stability. The first principle is that financial stability is a broad concept, including different aspects of finance (infrastructure, institutions, and markets). A second principle is that financial stability not only implies that finance adequately fulfills its role in allocating resources and risks, mobilising savings, and facilitating wealth accumulation, development, and growth; it should also imply that the systems of payment throughout the economy function smoothly. A third principle is that the concept of financial stability relates not only to the absence of actual financial crises but also to the ability of the financial system to limit, contain, and deal with the emergence of imbalances before they constitute a threat to itself or economic processes. A fourth important principle is that financial stability be couched in terms of the potential consequences for the real economy. A fifth principle is that financial stability be thought of as occurring along a continuum. For an in-depth analysis about different approaches to Financial Stability, see Davies, Two Cheers for Financial Stability, Group of Thirty, Washington, 2006, in www.group30.org/images/PDF/WT09%20Two%20Cheers.pdf. 59 Osterloo & De Haan, Central Banks and Financial Stability: A Survey, in Journal of Financial Stability, December 2004, 1, pp. 257 ss. 60 For example, the UK FSA, Financial Services Act 2010 amending the Financial Services and Markets Act 2000. 56 57

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nerabilities affecting financial systems in the interest of global financial stability”61. Once again we have an institutional precept, but not an identified meaning of financial stability or, at least, of vulnerabilities which can compromise financial stability (financial instability). The reason for this lack might be that the measurement or objective quantification of stability or instability is difficult to achieve, given the dynamics and the uncertainty of variables affecting the continuum62. Broadly, financial stability, or rather financial instability occurs “when certain vulnerabilities or suboptimal situations should be regarded as no longer tolerable in the system”63. But, the tolerance for market instability and institutional failure may be different from country to country, from time to time, and the broad definition could surely be used by regulators to justify a very discretional (wide or a lax) range of regulatory interventions in the financial market. Thus, to avoid the risk of over-regulation and excessive protectionism or, on the contrary, the risk of under-regulation and regulatory arbitrage, it would be better to attempt to identify some general guidelines for regulators’ actions rather than an unambiguous definition of financial stability or financial instability64. In principle, financial regulation in the name of financial stability should be justified only where a singular phenomenon of crisis (of a financial institution or in the price markets) could have damaging consequences for the sector as a whole (for depositors, investors or policyholders) in terms of confidence loss. To decide a regulatory intervention in the name of financial stability, financial regulators should pursue the following criteria: a) they should have regard to the interests of the financial system as a whole b) they should be conscious of long-term benefits of creative destruction c) they should be careful about fixing limits and aims of regulatory intervention. These criteria could be helpful to regulators in finding a correct balance between financial regulation in the name of financial stability and the field of freedom left to financial markets and institutions.

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pdf.

FSB Charter 2012, in www.financialstabilityboard.org/wp-content/uploads/r_120809.

Schinasi, Defining Financial Stability, in IMF Working Paper WP/04/187, 2004, pp. 1 ss. 63 Adenas & Chiu, cit., p. 27. 64 Davies and Green, Global Financial, cit., pp. 26 s. 62

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6. Justifications for and Range of Financial Regulation related to the need for Competition. Financial regulation means to limit risk taking by safeguarding the security of financial markets and, thus, financial stability. Otherwise, the freedom of risk taking guarantees more competition among financial intermediaries and, thus, as suggested both by economic theory and empirical evidence, more business efficiency65. Therefore, there is a general trade-off between regulation and competition or between the two objectives of financial stability and business efficiency in financial markets. In principle, policies that enhance competition, which is likely to have a significant positive impact on growth, could also have a negative impact on the stability of the financial system66. Alternatively, prudential regulation, the vital role of which for financial stability has been empowered, could also curtail competition. The question is: how much regulation could Governments set in order not to limit competition excessively? In other words, which criteria could they adopt in order to overcome the conflict between regulation and competition? In this connection, a particular issue linked to the international dimension of the financial sector is a good example of the tension between regulation and competition. Regulation is usually implemented on a national level and, thus, nation states often use it to block the access by foreign firms and intermediaries to provide a higher level of protection either of the domestic market or national investors67. The effect

See e.g. Allen & Gale, Competition and financial stability, in Journal of Money, Credit and Banking, 2004, 36, pp. 433 ss.; De Serres, Kobayakawa, Sløk and Vartia, Regulation of Financial Systems and Economic Growth, in OECD Economics Department Working Papers, 506, 2006; Jayaratne & Strahan, The Finance-Growth Nexus: Evidence from Bank Branch Deregulation, in Quarterly Journal of Economics, No. 3, 2006, 111, pp. 639 ss.; Stiroh & Strahan, Competitive Dynamics of Deregulation: Evidence from U.S. Banking, in Journal of Money, Credit and Banking, 2003, 36. 66 However, some empirical cross-country evidence would seem to suggest that it does not. Schaeck, Čihák and Wolfe, Are More Competitive Banking Systems More Stable?, in Journal of Money, Credit and Banking, 2009, 41, pp. 711 ss., find a positive relationship between bank competition and banking system stability. Looking into the possible channels of this correlation, Schaeck, and Čihák, Banking Competition and Capital Ratios, in IMF Working Paper, 07/216, 2007, document that bank capitalisation of European banks is higher in more competitive environments. 67 See Davies and Green, Global Financial, cit., pp. 28 s.; Jayaratne & Strahan, Entry 65

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produced is anti-competitive. There is not a general solution to the tensions between regulation and competition, which is to say between the need of investors’ protections and the freedom of action and movements of foreign financial firms. Usually each country undertakes evaluations referring to reasonable prudential standards and denies the access when foreign intermediaries are below this level. Until now, there have not been international arrangements to define the reasonableness of standards on an objective basis, therefore evaluation of accepting or rejecting foreign financial firms is made case by case on the basis of home country regulation. The conflict between regulation and competition cannot be solved once and for all. We hope future international arrangements will set rules, which should be able to make regulation and competition complementary, as “in many respects regulation versus competition is a false dichotomy”68

Restrictions, Industry Evolution, and Dynamic Efficiency: Evidence From Commercial Banking, in Journal of Law and Economics, 1998, 41, pp. 239 ss. Indeed, Beck, DemirgüçKuntAsli and Levine, Bank Concentration, Competition, and Crises: First Results, in Journal of Banking and Finance, 2006, 30, pp.1581 ss., present preliminary evidence that banking systems with more restrictions on entry and conduct are more vulnerable to systemic banking distress. Surveying the existing empirical evidence, Beck, Bank Competition and Financial Stability: Friends or Foes?, Policy Research Working Paper, 2008, 4656, argues that, even though theoretically the link between competition in financial markets and stability is ambiguous, and in spite of some conflicting empirical evidence, the literature mostly points to a positive relationship between competition and stability in the banking system. In particular, measures that reduce contestability, such as entry restrictions, would seem to undermine rather than to strengthen the stability of the banking sector. 68 For many examples of complementarities between regulation and competition, see Llewellyn, The Economic rationale, cit., pp. 46 ss. Rudiger, Jens, Fabrice, Prudential Regulation and Competition in Financial Markets, in OECD Economics department Working Paper, 735, 2009, do not even support the view that there is a general tradeoff between stability-oriented regulatory policies and competition in banking and insurance. The Authors, basing on survey information on financial market regulation, construct policy indicators for eight areas of prudential banking regulation, in addition to indicators for the insurance sector. The results do not support the view that there is a general trade-off between stability-oriented regulatory policies and competition in banking and insurance. Only few trade-offs are identified, with some areas of prudential regulation – most notably the strength of the banking supervisor – even associated with greater competition in banking. Overall, the results suggest that stability-enhancing regulatory reform does not necessarily come at the expense of competition.

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7. Range and Nature of Regulation according to the Better Regulation Standards. The increasing number and complexity of regulation impose the application of a new regulatory method to policymakers, known as “Better Regulation” Principles. In principle, the aims of this regulatory policy making process are preventing rules from failing to meet targets accurately or at unacceptable cost and estimating ex ante the impact of new rules. The OECD published its set of principles for ‘better regulation’ in 198569, and the international committees of financial regulation also have principles for good regulation in their particular areas (banking, securities, insurance)70. In addition, in the wake of the crisis the OECD published its own recommendations for ‘good regulation’ of the financial sector71. The EU has its own set of better regulation principles, which apply on a cross-government basis72, as do many individual countries. All these principles share certain core elements, reflecting a broad consensus on what ‘better regulation’ is. These include the following principles: – regulatory tasks should be decided by independent regulatory agencies; – regulators should be accountable and not have conflicts of interest; – a singular problematic phenomenon should be regulated by le-

69 Indeed, the first set of OECD policy recommendations for regulatory reform was endorsed in 1997. They have provided guidance to member countries to improve regulatory policies and tools, strengthen market openness and competition, and reduce regulatory burdens. The Special Group on Regulatory Policy approved the new Principles at its 4th meeting on 15 March 2005, and the Council of the OECD endorsed them on 28 April 2005. They have been successively updated. OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development), OECD Guiding Principles for Regulatory Quality and Performance, 2005, in www.oecd.org/fr/reformereg/34976533.pdf. 70 For example: BCBS (Basle Committee on Banking Supervision), Core Principles of Effective Banking Supervision, 2006, in www.bis.org/publ/bcbs129.pdf. 71 OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development), Policy Framework for Effective and Efficient Financial Regulation, 2010, in www.oecd.org/ finance/financial-markets/44362818.pdf. 72 European Commission, Smart regulation in the European Union, Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions. COM, 543 final, 8 October 2010.

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gislative tools only if it is proved not to be solved by non-regulatory solutions (competitions or codes of conduct) or by one-off regulatory interventions (thematic or catalytic work) – processes of formulating regulation should be transparent and open to consultation of involved operators at all stages of regulatory processes; – all proposals should be subject to regulatory impact analyses (such as cost or risk-benefit assessments or ‘burden reduction’ assessments) to make an ex ante evaluation of regulatory effects; – there should be post-implementation reviews based on an ex post evaluation of regulatory effects73. Ultimately, the “better regulation” process is structured on six phases: proposal planning, impact analysis, consultation, final proposal, implementation, review74. However, although ‘better regulation’ principles may even help to create good regulatory procedures, they do not guarantee a good regulation75. In theory, they are surely laudable, but the extent to which they really lead to a better regulation depends on the skills, culture and resources of those implementing them, and the political context in which they are performed76.

Baldwin, Better Regulation, cit. For a discussion of the application of quality regulation principles by financial regulators, as well as the role of discipline in terms of consultation, transparency, and impact assessment in the way financial regulations is being developed, see Black & Jacobzone, Tools for Regulatory Quality and Financial Sector Regulation, a Cross-country Perspective, in OECD Working Papers on Public Governance, 16, 2009. 75 As Hood et al.’s excellent analysis of the Dangerous Dogs Act demonstrated, compliance with the government’s PACTT principles (proportionality, accountability, consultation, transparency and targeting) are perfectly compatible with badly designed legislation. See Baldwin, Hood and Rothstein, Assessing the Dangerous Dogs Act: when does a regulatory law fail?, in Public Law, 2010, pp. 282 ss. 76 For example, the difficulty with impact assessments, one of the key planks of the better regulation agenda, is that they are open to quite considerable manipulation. Benefits may be difficult to calculate, and/or may relate to things that have nonmonetary value. In the case of risk-benefit assessments, where probabilities and impacts are uncertain, changes in assumptions as to the likelihood of a risk crystallising or the nature and extent of the impact if it did can have profound effects on the overall assessment. As a result, impact assessments can be manipulated to provide justifications for decisions that have already been made. See Radaelli and De Francesco, Regulatory Impact Assessment, in Baldwin, Cave and Lodge (eds), Oxford Handbook of Regulation, Oxford, 2010, pp. 279 ss. 73 74

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Therefore, following the suggestions of a leading Author77, it is possible to identify five core elements of which regulators need to take account when designing regulation. This identification aims not at guaranteeing the best regulatory technique, but at least at mitigating some of the more obvious failures. The first is the institutional and political context of the main regulatory makers (state or non-state), including their institutional tasks, their political ambitions, and their level of independence to take regulatory decisions. The second factor is the institutional context of regulatory takers, including their motivation for compliance or non-compliance, their incentive structures, their organisation, and their own regulatory capacities, the structure of the market in which they operate and their position within it. The third factor is the strategies or ‘technologies’ of regulation used and their rationale. In this connection, there needs to be a strong degree of coherence between policy assumptions and regulatory responses to ensure that they do not impose conflicting requirements on regulatees, or indeed regulators, or result in unwanted effects. Fourthly, regulatory designers need to ensure that regulators can be responsive to the performance of the concrete situation they are regulating78. Finally, the regulatory system has to be dynamic and adaptable, to prevent regulatory failures, or at least to face them quickly. Regulators must be able to recognise and evaluate unexpected consequences and effects of the regulatory regime. “Unintended consequences and regulatory failures, by their nature, will always occur. But unless these complexities are recognised at the outset, regulatory reform is bound to over-promise and under-deliver.79”

8. Global Financial Regulation Reforms. After the 2007-2009 worldwide crisis, the international financial regulatory framework has been reformed taking account the regulatory objective of “financial stability” from a macro-prudential perspective con-

Black, Learning, cit., pp. 14 ss. One of the critical failures of banking supervision across the globe was that it was significantly out of step with developments in the financial markets. 79 Black, Learning, cit., p. 15. 77 78

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cerning the financial system as a whole, namely intended as “systemic stability”. In addition, these reforms have been made by using the riskbased approach to regulation and supervision, and according to the better regulation standards, in the attempt to achieve the best compromise between the need for regulating financial markets and financial intermediaries to safeguard systemic stability, on the one hand, and the need for competition (free market) to improve the efficiency of the financial system, on the other. In this connection, we must remind that, during the period of financialisation (i.e. financial liberalisation) and deregulation, the private financial sector (individual and institutions in the financial sector) has had the main role in risk allocation. Post-crisis, policymakers have realised that the governance of risks in the financial sector by private operators has not been socially optimal80. Thus, there has been a strong movement towards an optimal management of financial risks, as the negative situations apparent during the global financial crisis may be attributed to the lack of an organised framework to monitor risk allocation at macro level81. After the global crisis, academics and policymakers approximately agree that financial regulation needs to move in a macro-prudential direction to safeguard the stability of the financial system as a whole82. At the same time, there is a common consensus that the structure of in-

80 Czarniawska (ed.), Introduction, in Organising in the face of Risk and Threat, Cheltenham, 2009. This considerations, looming large in the regulatory agenda, have fostered the establishment of new institutions to preserve financial stability (in the EU, the European Systemic Risk Board; in the US, the Financial Stability Oversight Council), or the strengthening of the powers of existing ones (the Bank of England has been assigned full responsibility for macro-prudential policy). 81 Brunnermeier, Crocket, Goodhart, Persaud, Shin, The Fundamental, cit., foreword; Masahiro Kawai, Reform of International Financial Architecture: An Asian Perspective, in ADBI Working Paper Series, 167, 2009, pp. 4 s. in http://www.adbi.org/files/2009.11.24. wp167.reform.international.financial.architecture.pdf. 82 For example: Brunnermeier, Crocket, Goodhart, Persaud, Shin, The Fundamental, cit.; Kenneth, Baily, Campbell, Cochrane, Diamond, Duffie, Kashyap, Mishkin, Rajan, Scharf-stein, Shiller, Song, Slaughter, Stein, and Stulz, The Squam Lake Report: Fixing the Financial System, Princeton, 2010; Hanson, Kashyap, and Stein, A Macroprudential Approach to Financial Regulation, in Journal of Economic Perspectives, 2011, 25 (1), pp. 3 ss. Bank of England, The Role of Macroprudential Policy: A Discussion Paper, November 2009, in http://www.bankofengland.co.uk/publications/Documents/other/financialstability/ roleofmacroprudentialpolicy091121.pdf; IMF, Key Aspects of Macroprudential Policy, June 2013, in http://www.imf.org/external/np/pp/eng/2013/061013b.pdf; BIS, Macroprudential Policy - a literature review, in BIS Working Papers, 337, 2011.

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ternational institutions and committees involved in financial field needs to be improved and empowered to promote a wider and effective implementation of an international standards regime at the national level, as the crisis exploded despite the existing international financial standards83. In fact, in sharp contrast with other international regimes like trade or environmental law, international financial standards are not based on treaties and formal international organisations, but they have the nature of “soft law” standards, designed by informal international networks composed of national regulators – so-called “transnational regulatory networks” (TRNs). In addition, the development of these standards is highly changeable and variable: detailed rules like the Basel accords on bank capital adequacy long cohabited with negligible progress in areas like insurance, hedge funds, and credit rating agencies. Academic opinion on the effectiveness of these standards also varies substantially. The traditional wisdom is that the current, informal system of International Financial Standards allows regulators to respond effectively and flexibly to new market and technological challenges84. However, in light of the financial crisis, scepticism is growing85 and some leading legal and

83 In fact, the construction of an international standard regime dates back to the 1988 Basel accord on bank capital standards but above all to the 1997-1998 Asian financial crisis. At that time, the G7 policy makers launched an ambitious effort to develop and promote international financial standards in a wider range of sectors. Therefore, international standards were created or endorsed for banking supervision, securities, insurance, payment, system, corporate governance, accounting and auditing. 84 See, e.g., Brummer, Soft Law and Global Financial System: Rule Making in the 21st Century, Cambridge, 2012, pp. 63 ss.; Brummer, How International Financial Law Works (And How It Doesn’t), in Georgetown Law Journal, 2011, 99, pp. 257 ss.; Brummer, Why Soft Law Dominates International Finance - And Not Trade, in Journal of International Economic Law, 2010, 13(3), pp. 623 ss.; Cho Sungjoon & Kelly, Promises and Perils of New Global Governance: A Case of the G20, in Chicago Journal of International Law, 2012, 12, pp. 491 ss.; Karmel & Kelly, The Hardening of Soft Law in Securities Regulation, in Brooklyn Journal of International Law, 2009, 34, pp. 883 ss.; Yadav, The Spectre of Sisyphus: Re-making International Financial Regulation After the Global Financial Crisis, in Emory International Law review, 2010, 24, pp. 83 ss. 85 See Tarullo, Banking on Basel: The Future of International Financial Regulation, Washington, 2008; Arner & Taylor, The Global Financial Crisis and the Financial Stability Board: Hardening the Soft Law of International Financial Regulation?, in UNSW Law Journal, 2009, 32(2), pp. 488 ss.; Greene & Boehm, The Limits of “Nameand-Shame” in International Financial Regulation, in Cornell Law Review, 2012, 97, pp. 1083 ss.; Pan, Challenge of International Cooperation and Institutional Design in Financial Supervision: Beyond Transgovernmental Networks, in Chicago Journal of International Law, 2010, 11, pp. 243 ss.; Verdier, Transnational Regulatory Networks

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economic commentators have even called for a Single World Financial Authority – a formal, treaty-based organisation to regulate international finance86. For these reasons, in the aftermath of the international turmoil87, many initiatives have been taken on a global scale so far with a view to strengthening the international financial architecture and the international financial standards regime. Really, debates on the reform of the international financial governance system began in the aftermath of the Asian crisis, but they led to limited progress88, as those reforms were inadequate and incomplete89. The outbreak of the global financial crisis of 2007-2009 renewed the discussion on the international financial regulatory system reform and a variety of reform proposals were made at international level. The International Monetary Fund (IMF)90 summarised the initial lessons of the global financial crisis in three areas:

and Their Limits, in Yale Journal of International Law, 2009, 34, pp. 113 ss.; Zaring, International Institutional Performance in Crisis, in Chicago Journal of International Law, 2010, 10, pp. 475 ss.; Anderson, Squaring the Circle? Reconciling Sovereignty and Global Governance through Global Government Networks, in Harvard Law Review, 2005, 118, pp. 1255 ss. 86 See, e.g., Boone & Johnson, Will the Politics of Global Moral Hazard Sink Us Again?, in Turner, Aldane, Woolley, Wadhwani, Goodhart, Smithers, Large, Kay, Wolfe, Boone, Johnson, Layard, The Future of Finance and the theory that underpins it, 2010, pp. 247 ss.; Eatwell & Taylor, A World Financial Authority, in Eatwell & Taylor (eds.), International Capital Markets: System in Transition, New York, 2002, pp. 17 ss.; Pan, Challenge, cit., pp. 249 ss.; Eichengreen, Out of the Box Thoughts About the International Financial Architecture, in IMF Working Paper, 116, 2009, pp. 18 ss. 87 The reform of the financial governance framework after a crisis is not a novelty. In fact, financial regulation is usually imposed in reaction to some prior crisis. For example: the modern banking regulation was developed after the 1929 crisis; the Basel Commitee on Banking Supervision was created after the Herstatt bank collapse in 1974; the Financial Stability Forum was founded after the Tequila and Asian crises. 88 Such progress includes: strengthening the international framework through the creation of such fora as the G20 and the FSF; enhancing information transparency and promoting best practices; improving financial regulation through the reform of the Basel Capital Accord; introducing collective action clauses in new sovereign issues, and implementing some reforms of IMF operations. 89 For an analysis of the Asian crisis and an early proposal for global institutional reform, see generally Eichengreen, Toward a New International Financial Architecture: A Practical Post-Asia Agenda, Washington DC, 1999. 90 IMF, Initial Lessons of the Crisis, February 6, 2009, in https://www.imf.org/external/ np/pp/eng/2009/020609.pdf.

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– .lack of effective financial regulation, which was not equipped to see the risk concentrations and flawed incentives behind the financial innovation boom; – .failure of macroeconomic policies, which did not take into account the build-up of systemic risks in the financial system and in housing markets and; – .a weak global financial architecture, where a fragmented surveillance system compounded the inability to see growing vulnerabilities and links. During the London Summit in April 2009, in line with the commitments made in the Washington Summit (November 2008)91, the G20 leaders identified92 five reforming areas linked to a concrete action plan for their implementation: 1) strengthening transparency and accountability; 2) enhancing sound regulation; 3) promoting integrity in financial markets; 4) reinforcing international cooperation, and; 5) reforming international financial institutions, most importantly the IMF. After the London Summit, the successor of the Financial Stability Forum, the Financial Stability Board (FSB), at the request of the G20, proposed some measures to be implemented globally in order to reduce systemic risk: (i) strengthening capital, liquidity and risk management in the financial system; (ii) enhancing transparency and valuation; (iii) changing the role and uses of credit ratings; (iv) strengthening the authorities’ responsiveness to risks, and; (v) putting in place robust arrangements for dealing with stress in the financial system93. The essential principle inspiring these initiatives to reform the global financial regulatory system94 – as the G20 Declaration on Strengthening

91 G-20, Declaration - Summit on Financial Markets and the World Economy, Nov. 15, 2008, in http://www.g20.org/documents/g20_summit_declaration.pdf. 92 G-20, Global Plan Annex: Declaration on Strengthening the Financial System, April 2, 2009, in http://www.g20.org/documents/g20_summit_declaration.pdf. For an overview of the G20 reform measures taken during the annual Summits, see Eernisse, Banking on Cooperation: the Role of the G20 in improving the International Financial Architecture, in Duke Journal of Comparative & International Law, 2012, 22, pp. 239 ss., particularly 243 ss. 93 The FSB Reports are available on the website www.financialstabilityboard.org. In particular, see the first FSF Report on Enhancing Market and Institutional Resilience, 7 April 2008, and the FSB Report on Improving Financial Regulation, 25 September 2009. 94 Concerning the Global Financial Architecture, after the 2009 reform, there is a governance structure that consists of three entities: the G20 summit which is a restricted self-appointed group of heads of state and government, which has taken up the mission of strengthening, reforming, and overseeing the overall functioning of the international

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the Financial System reports – is the following: “[...] all systematically important financial intermediaries, markets and instruments should be subject to an appropriate degree of regulation and oversight.” In addition, the FSB, in its Reports, recommends that financial supervision should not only be exercised institution by institution (micro-prudential supervision), but it should also encompass the good functioning of the whole financial system (macro prudential supervision)95.

financial architecture; the IMF, with its permanent, treaty-based system, and universal membership (188 countries), which focuses on the surveillance and implementation of international financial standards; the Financial Stability Board (FSB), created by the G20 in 2009 as the successor to the Financial Stability Forum (FSF), which has the challenging task of coordinating the standard-setting process, overseeing the standard-setting bodies and the implementation of the G20’s ambitious program of global financial regulatory reform. For more details, see, for example: Barr, Who’s in Charge, cit.; Malcom, Reforming the Global Architecture of Financial Regulation. The G20, the IMF and the FSB, in CIGI Papers, 42, 2014, p. 1 ss.; Matthew, Reframing International Financial Regulation After the Global Financial Crisis: Rational States and Interdependence, not Regulatory Networks and Soft Law, in Michigan Journal of International Law, 2014, 36, pp. 59 ss.; Avgouleas, Rationales and Designs to Implement an Institutional Big Bang in the Governance of Global Finance, in Seattle University Law Review, 2013, 36, pp. 321 ss.; Salerno, Il Sistema di Regolamentazione Finanziaria Globale: potenziali scenari dopo la crisi finanziaria internazionale, in Dir. banc., I, 2013, pp. 123 ss., particularly 128 ss.; Cho & Kelly, Promises and Perils of New Global Governance: A Case of the G20, Brooklyn Law School, Research Paper, 243, 2012, pp. 490 ss.; Black, Restructuring Global and EU Financial Regulation: Character, Capacities, and Learning, in Wymeersch, Hopt, Ferrarini (eds.), Financial regulation and Supervision. A Post - Crisis Analysis, Oxford, 2012, pp. 3 ss., specifically pp. 19 ss.; Schinasi & Truman, Reform of the Global Financial Architecture, in Peterson Institute for International Economics, Working Paper Series, 1014, 2010. However, as regards the international financial structure, the reforms “appear to be an enhancement of the existing structure based on the trinity of the revived G20, a reformed IMF, and an enhanced FSF, rather than a complete restructuring of the international financial system along the lines of a New Bretton Woods. There is still no prospect for a global financial authority (in the field of financial regulation, prudential supervision and jurisdiction), a development which is not realistically attainable in the present state of the world and may not even be desirable”. Giovanoli, The Reform of International Financial Architecture after the Global Crisis, in International Law and Politics, 2009, 42, pp. 81 ss., particularly pp. 122 s. 95 “The micro-prudential approach focuses on the health of individual institutions, essentially assuming that, if each institution is healthy, the system will be healthy. Issues of interdependence are given little attention and risks are taken as exogenous. This approach is essentially static in nature. […].The macro-prudential approach to prudential regulation rather focuses on the stability of the financial system as a whole, and has both a static (cross-sectional) and a dynamic (timevarying) dimension. The former dimension recognises the interdependencies in the financial system and the diverse ways in which

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Some of the key reforms of financial regulation, assumed on the base of these initiatives, can be summarised as follows96: – .Adoption of Basel III capital requirements, including a countercyclical capital buffer and a surcharge for globally systemically important financial institutions (G-SIFIs); – .Agreement reached on one of two liquidity standards - the Liquidity Coverage Ratio (LCR); – .Some progress on reducing too-big-to-fail, with the identification of G-SIFIs, domestically systemically important banks (D-SIBs), higher capital adequacy requirements and more intense supervision, and some reforms of national resolution schemes (including bail-in instruments) so that failing institutions can be resolved without wider disruptions; – Enhancements to the “securitisation model”; – Adoption of principles for sound compensation practices; – Agreement in principle on similar treatment of some types of financial transactions· under U.S. Generally Accepted Accounting Principles (GAAP) and International Financial Reporting Standards (IFRS); – .Some closure of data gaps, e.g., the beginning of the harmonised collection of improved consolidated data on bilateral counterparty and credit risks of major systemic banks (for the major 18 G-SIBs and 6 other non-G-SIBs from 10 jurisdictions) – Some OTC derivatives reforms97.

the actions of individual institutions can feed back on the health of others.[…].” White, The Prudential Regulation of Financial Institutions: Why Regulatory Responses To The Crisis Might Not Prove Sufficient, in The School of Public Policy, SPP Research Papers, 2013, 6, p. 1 ss., particularly 8 s. Using the distinction between macro - and micro-prudential supervision, Masciandaro, Vega Pansini, Quintyn, The Economic Crisis: Did Financial Supervision Matter?, in IMF Working Paper, 261, 2011, https://www.imf.org/external/pubs/ ft/wp/2011/wp11261.pdf, explore to what extent two separate institutions would allow for more checks and balances to improve supervisory governance and, thus, reduce the probability of supervisory failure. For an in-depth anlaysis on the involvement of central bank in financial supervision, see Green, The Relationship between Micro-Macro Prudential Supervision and Central Banking, in Wymeersch, Hopt, Ferrarini (eds.), Financial regulation, cit., pp. 57 ss. 96 For more details, see the latest FSB Progress Report to the G20 Brisbane Summit, Overview of Progress in the Implementation of the G20 Recommendations for Strengthening Financial Stability, 14 November 2014, in http://www.financialstabilityboard. org/wp-content/uploads/Overview-of-Progress-in-the-Implementation-of-the-G20Recommendations-for-Strengthening-Financial-Stability.pdf. 97 For a depth analysis, see Davis, Regulatory Reform Post the Global Financial Crisis: An Overview and critical analysis of these reforms, 2011, in http://www.apec.org.au/

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As a whole, the number of the reforms adopted and in progress is impressive. However, now the major issue remains the proper implementation of the International Financial Standards, which are generally characterised as soft laws, and they are not compulsory under international law98. In other words, the effectiveness of the new rules is strictly related to the extent to which they are implemented; this is essentially left to the discretion of the various single jurisdictions. In addition, we recall that, after the global financial crisis, national governments and regulators have given their own tailored regulatory responses, creating confusion and complicating the task of achieving stronger international coordination and harmonisation of financial rules99. Hence, the statement of a variety of incentives designed to encourage their implementation. Near to the market incentives (the expectation that market participants will take into account in their credit and pricing decision the degree and quality of implementation of International Financial Standards in a given country), there are official incentive, such as: the assessment by the IMF and the WB through the Financial Sector Assessment Programs (FSAPs) and the Reports on the Observance of Standards and Codes (ROSCs)100; the standard setting bodies and the FSB peer pressures and peer reviews; the commitment of FSB members to implement the International Financial Standards and to undergo FSAPs and peer reviews with respect to the Interna-

docs/11_CON_GFC/Regulatory%20Reform%20Post%20GFC-%20Overview%20Paper.pdf. For a critical analysis of the reforms, see Claessens & Kodres, The Regulatory Responses to the Global Financial Crisis: Some uncomfortable Questions, in IMF Working Paper, 2014, 46, pp. 1 ss. 98 For more details about the legal nature of IFSs, see: Avgouleas, Effective Governance of Global Financial Markets: an Evolutionary Plan for Reform, in Global Policy, 2013, 4 (suppl. 1), pp. 74 ss.; Brummer, How International Financial Law Works, cit, pp. 257 ss. 99 See Davies, Unfinished Business: an Assessment of the Reforms, in Wymeersch, Hopt, Ferrarini (eds.), Financial regulation, cit., pp. 48 ss., particularly, pp. 53 s. 100 The FSAP and ROSC initiative (jointly conducted by the IMF and the World Bank) should promote long-term financial sector reform. The IMF could assess financial sector robustness through: bilateral country consultations and surveillance (see, IMF, Bilateral Surveillance Over Members’ Policies Executive Board Decision, June 15, 2007, in http:// www.imf.org/external/np/sec/pn/2007/pn0769.htm#decision) and a range of “financial soundness indicators” (see, IMF, Financial Soundness Indicators (FSIs) and the IMF, Nov. 30, 2011, in http://www.imf.org/external/np/sta/fsi/eng/fsi.htm); and multilateral surveillance involving ongoing analysis of global and regional trends, multilateral consultations on global imbalances, various Early Warning System (EWS) models, and data quality and dissemination channels.

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tional Financial Standards; counter measures for non-cooperative jurisdictions101.

9. Conclusion: the Future Model of Financial Regulation in an International Context. The analysis about the renewed objectives of financial regulation in a macro-prudential perspective and the reforms made also taking account of this new perspective suggests the following conclusion. Beyond the market incentives and the official incentives (FSAPs, ROSCs, peer reviews and peer pressures), a crucial point to face to reach a worldwide implementation of the reformed framework of International Financial Standards concerns the correct and clear settlement of the regulatory area to be left to the international regulation. In this connection, the best solution should be able to strike an appropriate balance between international and national regulation of global markets. In principle, the combination between these two dimensions (national and international) of financial regulation could lead to two diametrically opposed governance models of integrated financial markets: a globalised model or a de-globalised model. The universal approach presumes a full globalisation of financial regulation in every area of the financial market. This outcome should arise from strengthened codes and guidelines, their vigorous implementation and tighter collaboration between regulators. According to this approach, the globalisation of financial regulation should keep pace with the integration of global markets. However, it seems rather unrealistic due to the reluctance of countries to give a part of their sovereignty to a single global political authority. In addition, it even appears undesirable for many reasons: because a system of “one-size-fits-all” international standards could cause the loss of regulatory flexibility to respond to local conditions; for the suppression of possible healthy regulatory experimentations or competitions, and; for the removal of regulatory authority and accountability102.

For more details, see Giovanoli, The Reform, cit., pp. 119 ss. See for example: Rodrik, The Globalization, cit.; Tarullo, Banking, cit., p. 252; Brunnermeier, Crocket, Goodhart, Persaud, Shin, The Fundamental, cit.; Davies, Global Financial Regulation after The Credit Crisis, in Global Policy, 2010, 1, p. 185 ss.; Rottier 101

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The territorial approach presumes a full de-globalisation of financial regulation. This outcome should arise from the protection of their own financial system by each country, and the implementation of the local reforms that are inconsistent with those ones of other countries. According to this approach, financial regulation would not follow the integration of global markets. Therefore, this approach must surely be neglected because it is limited to national borders, it obstructs globalisations of financial markets and it is unable to face defaults arising from cross-border financial intermediaries and markets failures. In conclusion, at least at present, it should be preferable an intermediate model of financial regulation in the worldwide context, which can be defined as a modified universal approach103. This approach presumes more collaboration among national supervisors and regulators respecting single country sovereignty104 rather than an unrealistic global standardisation of detailed financial rules. On the one hand, it should give much supervision and regulation power to national authorities to improve domestic regulation, and, on the other hand, it should assure a minimum of global financial regulation through International Financial Standards, with the purpose to maintain financial stability in the rationally globalised financial market105. At the same time, the implementation of the delimited framework of international standards should as much as possible became binding, through a wider participation of nations to the international rule making process, stronger market and official incentives, more cooperation among national regulators and supervisors. At least for the moment, the modified universal approach to financial regulation based on a thin layer of international cooperation super-

& Nicolas, Not All Financial Regulation is Global, in Peterson Institute for International Economics, PB10-22. 2010, pp. 1 ss. 103 Claessens, Herring, and Schoenmaker, A Safer World Financial System: Improving the Resolution of Systemic Institutions, in Geneva Reports on the World Economy, International Center for Monetary and Banking Studies (ICMB), 2010. The Authors relate the three models to the progress of regulation on Financial Institutions Resolution in an International Context (pp. 83 ss.). 104 Black, Restructuring, cit., p. 47, outlines “the need for greater coordination, but it is in addition to recognize that going forward, regulators need different types of information and different ways of interpreting it […]. That requires two interrelated strategies: creating linkages between the component parts of the organizational structure to enable information to flow through whilst at the same time making it more resilient, and cresting scope for greater imagination, experimentation, and challenges […].” 105 Rodrik, A plan B for Global Finance, in Economist, 12 march 2009.

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imposed on strong national regulation than the attempts to construct a complete global regulatory and supervisory framework seems to be more realistic and perhaps even more desirable106. In fact, it could lead to a concrete implementation of the harmonised rules, which should ensure an efficient and rational globalisation and integration of financial markets107. Currently, only the intermediate approach could represent a sound, or at least a feasible solution to the trilemma of the world economy among international financial regulation, national financial regulation and free regulation. Coming years will provide the answer.

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106 In this connection, Stiglitz, Risk and Global Economic architecture: Why Full Integration may be Undesirable, in NBER Working Paper Series 15718, 2010, in http:// www.nber.org/papers/w15718, says: “[…] full integration is not in general optimal. Indeed, faced with a choice between to polar regimes, full integration or autarky, autarky may be superior.” 107 For more details see Salerno, Il Sistema, cit., pp. 164 ss.

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Trasparenza bancaria: dal bisogno di protezione al bisogno di efficienza Sommario: 1. Premessa. – 2. Punti di attenzione della normativa sulla trasparenza bancaria. – 2.1. Scarsa sistematicità. – 2.2. Formalismo. – 2.3. Banca come organizzazione complessa. – 2.4. Certezza del diritto e stabilità delle contrattazioni. – 2.4.1. Anatocismo. – 2.4.2. Usura. – 3. Banca come impresa. – 3.1. Interventi autoritativi sui prezzi: le commissioni. – 3.2. Il regime delle spese. – 4. Conclusioni.

1. Premessa. In questo lavoro1 verranno presentate alcune riflessioni su alcune aree critiche della normativa sulla trasparenza bancaria, nonché su possibili modifiche evolutive della stessa, con l’obiettivo di ricercarne una maggior efficienza, nell’ambito di un auspicabile sereno e ponderato confronto fra tutti gli attori coinvolti. Laddove per ricerca di maggior efficienza si intende sia una verifica dell’effettivo raggiungimento dello scopo perseguito dal legislatore (di solito una maggior tutela della clientela), sia una considerazione dei connessi costi di sistema sopportati per raggiungere tale scopo, nella misura in cui lo stesso sia stato raggiunto. Nel far ciò – alla luce di quelle che paiono ragionevoli esigenze di interesse generale (di tutti i soggetti coinvolti: banche, clienti, sistema) – si svilupperanno alcune osservazioni in due macro aree: da un lato si forniranno diversi esempi di possibili miglioramenti della normativa e, dall’altro lato, si cercherà di verificare come è possibile raggiungere

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Contenuti ripresi e ampliati dall’intervento alla tavola rotonda “La sfida di una relazione semplice e trasparente per un mercato efficiente del credito” (tenutasi nell’ambito del convegno “Credito al credito”, organizzato dall’Associazione Bancaria Italiana a Roma il 28 e 29 novembre 2013). Ovviamente le opinioni espresse non sono riferibili alla banca presso la quale svolgo le mie mansioni.

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nell’industria bancaria un’armonizzazione tra libero mercato e impatto della regolamentazione2. La prima macro-osservazione nasce dal ricordo del confronto (fatto negli anni ’80) tra le astratte motivazioni delle molte sentenze che allora legittimavano i cd. “interessi uso piazza” e la reale assenza di quegli accordi interbancari (che forse nemmeno avrebbero potuto esistere) ai quali era demandato fissare per relationem tali interessi. Da quella discrasia tra reale operatività bancaria ed assetto normativo/giurisprudenziale nasceva (oltre ad una sensazione di disagio per la facilità con cui le motivazioni di alcune sentenze a favore delle banche venissero ripetute acriticamente) la consapevolezza di quanto bisogno ci fosse allora di trasparenza bancaria. Ed è quasi pleonastico rammentare che, quando oggi si parla di trasparenza, la si deve intendere in tutte le accezioni che essa ha (e ha assunto nel tempo): formale (in termini di completezza e conoscibilità delle condizioni contrattuali, fino alla garanzia o verifica della loro avvenuta comprensione da parte del cliente, il che consente pure, in presenza di formati standardizzati per la presentazione di tali condizioni, una maggiore confrontabilità delle stesse e quindi una maggiore concorrenza tra banche); sostanziale (in termini di riequilibrio dei poteri delle parti, qualora ovviamente vi sia un contraente debole da proteggere); organizzativa (che rappresenta il lato, per così dire, “interno” di tale normativa, visto che spesso, senza che il cliente ne abbia “esternamente” una diretta percezione, vengono modificate le regole procedurali/decisionali delle banche); di stabilità (in considerazione della capacità di tale normativa di incidere sui rischi legali e reputazionali di una banca)3. Da allora molta normativa è stata emanata, tanto che il legislatore ha correttamente inserito nelle finalità istituzionali di Banca d’Italia anche

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Sulla rilevanza della relazione tra gli artt. 47 e 41 Cost., nonché sul tema dei «reciproci rapporti tra il carattere di impresa dell’ente creditizio, inquadrato in un progetto di apertura del mercato verso un clima – che dovrebbe essere – diffusamente concorrenziale e la necessità di una legislazione di settore che, pur fornendo un efficace sistema di tutela e controlli, non finisca per “ingessare” l’autonomia contrattuale degli operatori bancari» si veda Inzitari e Dagna, Commissioni e spese nei contratti bancari (validità, usura, tasso-soglia), Padova, 2010, p. XV; Mirone, Sistema e sottosistemi nella nuova disciplina della trasparenza bancaria, in Banca, borsa, tit. cred., 2014, I, p. 394 ricorda correttamente come la nuova finalità della trasparenza in capo alla vigilanza di Banca d’Italia dovrebbe essere strumentale, tra l’altro, all’efficienza del sistema. 3 Tra le ultime opere (con ricca bibliografia) su questa materia si veda Civale, a cura di, La trasparenza bancaria, 2013, Milano.

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la trasparenza e la correttezza dei rapporti con la clientela4, venendo così a svolgere la funzione di garanzia di trasparenza, per così dire, preventiva, rispetto alle possibile “cadute” del mercato e/o del sistema giudiziario. Il problema semmai è che troppa normativa è stata emanata, spesso in modo disorganico, a volte più per il desiderio di fornire una veloce risposta ad una richiesta sociale, o all’esigenza mediatica di pubblicizzare un “segnale”, che non a seguito di ponderate valutazioni di politica e tecnica legislativa. Il risultato è stato un prodotto normativo che non sempre – anche a causa di molti interventi comunitari scollegati tra loro – ha brillato per coerenza tecnica, così che a momenti di ottima sistemazione normativa si sono alternati frequenti iniezioni di disomogeneità sistematica, con durature fasi di profonda incertezza interpretativa ed applicativa. È palese come tutto ciò abbia prodotto (e ancora introduca) irrazionalità all’interno dei processi decisionali e gestionali delle banche, con maggiori costi sistemici e (spesso) nessun vantaggio per la clientela. Per tali motivi sarebbe auspicabile che il prossimo passaggio evolutivo della normativa sulla trasparenza bancaria potesse concentrarsi sul duplice fronte del miglioramento tecnico della normativa e dell’attenta verifica di quali norme siano veramente utili, in termini sia di reale efficacia (nel rispondere concretamente alle esigenze di tutela della clientela), sia di efficienza (in considerazione dei costi che, rispetto allo scopo, crea direttamente a carico della banca ed indirettamente a carico della clientela)5. Il tutto dovrebbe poi essere contestualizzato alla luce di alcuni punti essenziali (probabilmente banali ma che è opportuno ricordare): 1) la banca è un’impresa – con le relative implicazioni reddituali/ patrimoniali/di stabilità, dove ogni costo non può che riflettersi più o meno indirettamente sulla clientela – e, al tempo stesso (si pensi anche ai gruppi bancari), un’organizzazione sociologicamente complessa, con

4 Si vedano, da ultimo, le ricostruzioni di Maimeri, Il controllo amministrativo delle clausole dei contratti bancari: vecchie questioni e nuove prospettive, in Dir. banc., 2013, I, p. 565, e Carriero, Vigilanza bancaria e tutela del consumatore: obiettivi e strumenti, in Dir. banc., 2013, I, p. 577, con lucido esame del nuovo ruolo dell’A.B.F. 5 «L’analisi costi/benefici… deve essere… concepita come uno strumento la cui utilità principale è quella di costringere ad esplicitare di volta in volta i fini perseguiti ed a ragionare sugli inevitabili effetti che il ricorso alle diverse misure atte al perseguimento di questi fini inevitabilmente produce»; così Denozza, La trasparenza garantita nei mercati finanziari: “prolegomeni” ad un’analisi costi/benefici, in Banca, impresa, soc., 2007, p. 181.

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impatti sulla clientela e sull’intero sistema economico tali da richiedere necessariamente una specifica regolamentazione; 2) il peculiare rapporto contrattuale banca-cliente è caratterizzato sia da uno squilibrio di informazioni/poteri che dalla necessaria standardizzazione tipica dei rapporti di massa, con le soluzioni necessariamente generalizzate che dovrebbero segnarne la gestione; 3) da ciò deriva una rafforzata necessità di (tendenziale) certezza del quadro normativo e stabilità dei connessi rapporti economici, il cui obiettivo deve ovviamente essere la tutela della clientela, ma al tempo stesso (oltre al fatto di non frustrare inutilmente le esigenze reddituali dell’impresa-banca) anche la possibilità di gestire in modo imprenditoriale, razionale e preventivo i rischi legali. Diversamente pensando, si rischiano di ipotizzare soluzioni spesso irrealizzabili e incapaci di operare sulla massa dei rapporti contrattuali (di milioni di clienti in contemporanea), ma solo – quando si riesce – su singoli individui (lasciandone altri “scoperti” e non protetti), e che fanno aumentare incredibilmente i tempi e i costi (a danno di tutti).

2. Punti di attenzione della normativa sulla trasparenza bancaria. 2.1. Scarsa sistematicità. Fin qui ci si è avvalsi di concetti generali e, per non correre il rischio di farli sembrare vuoti, si formuleranno degli esempi sintetici (non potendo ovviamente entrare nel merito di ogni singola problematica) con l’obiettivo di evidenziare alcune costanti di metodo. In merito al tema della moltiplicazione delle fonti normative basterà ricordare come ai contratti bancari “classici” si affianchino molti altri sotto-settori normativi6 che tendono paradossalmente a rendersi sempre più autonomi, invece che più coordinati tra loro. Il rischio – che ormai è già diventato realtà (grazie anche al contributo di un legislatore comunitario non sempre attento) – è la parcellizzazione di normative scoordinate

6 Si pensi ai servizi di investimento, al credito ai consumatori, al credito fondiario, ai servizi di pagamento, alla commercializzazione a distanza di servizi finanziari, ai contratti negoziati fuori dai locali commerciali, alle pratiche commerciali scorrette (la qualificazione delle quali è veramente molto ampia, se non generica), al commercio elettronico, alla moneta elettronica, alla portabilità dei mutui, ecc., fino alla recente direttiva sui contratti di credito relativi ad immobili residenziali. Sul tema si veda l’acuta analisi di Mirone, Sistema, cit.

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e la moltiplicazione di istituti giuridici simili ma diversamente disciplinati, nonché la creazione di lacune e sovrapposizioni normative7 dalle quali non può che derivare un’estrema difficoltà interpretativa ed applicativa, anche su settori alquanto “sensibili” per la stessa clientela quali, ad es., lo ius variandi. In questa catena consequenziale, all’opacità interpretativa corrisponde l’incertezza dell’agire imprenditoriale e, quindi, maggiori rischi e maggiori costi a fronte della necessità di apportare ripetute modifiche contrattuali (dall’esito incerto), di effettuare continui interventi su milioni di rapporti contrattuali in essere, di modificare complesse procedure organizzative ed aggiornare programmi informatici, di ripetere iniziative di formazione a favore dei dipendenti bancari, ecc.; tutti costi che, in una logica imprenditoriale, non possono che riflettersi sui prezzi dei servizi a carico della clientela. Ricordare un esempio di scarsa sistematicità (e spesso scarsa qualità) del testo normativo crea (purtroppo) l’imbarazzo della scelta, ma la “vittoria” può essere agevolmente attribuita all’art. 2-bis del d.l. n. 185/2008 sulla famosa commissione di massimo scoperto (“c.m.s.”). Pur nella sintesi dell’analisi, si può partire dalla domanda: vi era bisogno di maggior trasparenza sulla c.m.s.? La risposta può facilmente essere positiva, visto che allora si stava discutendo di temi fondamentali quali la causa legittimante di tale commissione e le sue implicazioni con l’usura, però il problema che qui si vuole evidenziare è che il citato art. 2-bis (e la lunga “coda” normativa che ne è seguita) ha prodotto – per confusione tecnica e a volte per una sorta di iconoclastia antibancaria – un periodo di (costosa) incertezza cui si è riusciti ad attribuire un qualche senso (con l’art. 117-bis t.u.b. e la conseguente delibera CICR/decreto MEF) solo a metà del 2012, e quindi a più di 3 anni e mezzo di distanza da quando si sarebbe potuta trovare una soluzione al tema della c.m.s.. Nel frattempo si sono accavallati i più diversi interventi normativi e persino le dimissioni dei vertici dell’ABI. La problematica procedurale (aggiuntiva a quella originaria sostanziale della c.m.s.) divenne dunque la stessa norma che, invece di fornire una soluzione al problema socio-economico che avrebbe dovuto risolvere, invece di proteggere la clientela fornendo chiarezza

7 In quest’ottica, la regola fissata dall’art. 115, co. 3, t.u.b. non aiuta. Dolmetta, Gli interventi normativi sul contenuto economico dei contratti bancari, in CARISMI-Cassa di Risparmio di San Miniato, Nuove regole per le relazioni tra banche e clienti. Oltre la trasparenza, atti del convegno tenutosi a San Miniato il 22-23/10/2010, 2011, Torino, p. 57, ipotizza anche una «responsabilità risarcitoria a carico del legislatore negligente per opacità».

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su tale commissione e consentire velocemente alle banche di adeguarsi, venne espressa accavallando frasi spesso senza costrutto, disciplinando (senza che fosse chiaro il confine) commissioni diversissime tra loro8, scritte in forma negativa (con l’incipit: “sono nulle le clausole…”) senza però che fosse sempre chiaro quale fosse la clausola “positiva” lecita, costruendo la norma su una struttura logica di regola-eccezione (“sono altresì nulle… salvo che…”) in cui la regola era a volte meno chiara dell’eccezione e in cui si sommavano elementi contenutistici spesso pleonastici, se non irrilevanti o fuorvianti9. Ad una lettura imparziale era invece abbastanza “chiaro” (l’uso delle virgolette è obbligatorio) che in quella congerie di elementi normativi scoordinati, l’unica vera, positiva novità (soprattutto per i clienti) era la possibilità di costruire – come auspicato dalla stessa Banca d’Italia – una commissione “proporzionale all’importo e alla durata dell’affidamento richiesto” e, soprattutto, omnicomprensiva. Qualità, quest’ultima, che semplifica molto la struttura di costo, facilita sia la comprensione da parte del cliente che la comparabilità delle offerte (e quindi la concorrenza tra banche). Il tutto fu poi esacerbato da una campagna mediatica che pubblicizzava la morte della c.m.s. quando invece la norma stessa la (ri)legittimava10, senza peraltro chiarire i pregressi radicali dubbi sul fondamento causale della commissione ed anzi smentendo taluna precedente giurisprudenza. Per non parlare di quella sorta di “perla” legislativa (il d.l. n. 78/2009, convertito dalla l. n. 102/2009) che, nell’introdurre un cap legislativo al valore di una – si badi – diversa commissione (cioè la c.a.), esordì con la frase: “allo scopo di accelerare e rendere effettivi i benefici derivanti dal divieto di commissione di massimo scoperto…”. Abbiamo quindi assistito al paradosso di un legislatore che crede di aver dettato un “divieto di cms” che invece non ha mai previsto (avendo semmai fat-

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La c.m.s. e la cd. commissione di affidamento, o di messa a disposizione di fondi (useremo l’acronimo “c.a.”). Diversità sostanziale non sempre evidenziata nella pur approfondita disamina di Inzitari e Dagna, Commissioni, cit., in cui (p. 74 e 109) si adombra anche l’introduzione di commissioni a fronte di “presunti” servizi bancari. 9 Si pensi ai parametri in tema di corrispettivo “predeterminato”, alla necessità di un “patto scritto” (peraltro “non rinnovabile tacitamente”), o di un “rendiconto” (da anni già presenti nel t.u.b.), per non dire di un oscuro “recesso” del cliente. 10 Difatti se, in base alla norma, era nulla la c.m.s. in presenza di certi parametri (saldo debitore per meno di 30 gg. consecutivi ed utilizzi in assenza di fido) ne conseguiva la validità della c.m.s. stessa nel rispetto di tali parametri. Per osservazioni critiche generali su questa norma cfr. Porzio, La commissione di massimo scoperto e le mutazioni della legislazione bancaria, in Dir. banc., 2010, p. 595.

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to il contrario) e che – di conseguenza – impone un limite massimo al prezzo di una commissione diversa. Non c’è stato da stupirsi che, prima del vero e proprio divieto legislativo11, quasi tutto il sistema bancario avesse già abbandonato la c.m.s. non tanto per contrarietà della stessa alla legge quanto per incomprensibilità della relativa disciplina ed avesse concentrato il proprio interesse sulla “nascente” auspicata c.a. È altrettanto palese come un contesto di sinuosità normativa e consequenziale confusione interpretativa/applicativa come quello appena brevemente tratteggiato abbia costituito un ottimo terreno di coltura per chi ricercasse i costi del contenzioso in sé, più che i reali interessi della clientela bancaria. Il citato articolo 2-bis ha molto probabilmente rappresentato un ottimo esempio di come una norma non dovrebbe essere scritta e, soprattutto, di come possa essere solo fintamente protettiva della clientela, aumentando solo il contenzioso e i correlati costi, ingenerando incertezza nelle fonti di reddito delle banche ed inserendo irrazionalità sia nei processi di gestione imprenditoriale che nel sistema. Di fronte a interventi normativi come questi si rafforza più che mai la preferenza per processi strutturati di confronto con le associazioni dei consumatori, in una sorta di “neo-contrattualismo bancario”, finalizzati, quanto meno, a fissare chiaramente quali diritti siano attribuibili ai clienti e come le banche debbano concretamente riconoscerli. In quest’ottica non possono che essere salutate con favore iniziative quali il progetto “Trasparenza Semplice” ed i protocolli comuni dell’A.B.I. con le associazioni di consumatori. Ovviamente anche la tecnica legislativa delle consultazioni preventive rappresenta un’ulteriore ottima soluzione. 2.2 Formalismo. Altri esempi di norme che rischiano di perdere molta della loro efficacia/efficienza – se non di essere addirittura controproducenti – sono rinvenibili nelle disposizioni che traducono le esigenze di trasparenza in termini di esasperazione degli obblighi formali in capo alle banche – ma in realtà a carico degli stessi clienti – raggiungendo il paradosso (peraltro in alcuni casi già dimostrato dalla psicologia cognitiva) per cui l’eccesso di informazione formale diventa disinformazione12. In fondo

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Con il d.l. n. 201/2011 (cd. Salva Italia) e la relativa legge di conversione n. 214/2011. Per non dire della circostanza che l’informazione verbale è più incisiva sulla mente

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tutta la normativa sulla trasparenza “sostanziale” nasceva nel 1992 proprio dalla constatazione che la consueta “doppia firma” di approvazione specifica richiesta dagli artt. 1341 e 1342 c.c. costituisse un inutile formalismo, privo di reali effetti protettivi. A tanti anni di distanza, le istanze che giungono dalla clientela (e, sperabilmente, da un po’ di analisi comportamentale degli esseri umani) sono chiaramente nel senso della semplificazione sia della struttura che del linguaggio della documentazione informativa e contrattuale, nonché della riduzione delle pagine da leggere (per quei pochi che le leggono) e delle firme da apporre. Paradossalmente, moltissimi clienti chiedono oggi alle banche – lamentandosi del contrario – di non essere sommersi da così tanti documenti da leggere e da firmare. La realtà – ne siamo consapevoli – è più complicata rispetto a queste osservazioni generali (così come non si può arretrare rispetto all’esigenza di fornire un’informativa esaustiva, fosse anche per il cliente più esigente) e Banca d’Italia è intervenuta positivamente su questo fronte di semplificazione del linguaggio comunicazionale delle banche, ma qualche ulteriore riflessione andrebbe meglio sviluppata, con maggior realismo rispetto a quanto fatto finora, nei confronti di quella maggioritaria massa di clienti per la quale va ricercato un (difficile) equilibrio tra rilevanza/essenzialità dell’informazione e comprensibilità della stessa. Posto che il cliente medio spesso non ha la concreta possibilità né volontà di comprendere appieno le molte e tecniche clausole contrattuali standardizzate (forse più destinate a un pubblico tecnico-legale che dovrà viverle nel concreto), con le relative implicazioni in termini di allocazione dei rischi (il che getta una luce sinistra sulla reale capacità protettiva dello strumento informativo)13, sarà forse più utile concentrarsi sulle poche, essenziali e confrontabili comunicazioni relative alle previsioni contrattuali che consentano alla clientela di qualificare e distinguere (per la concorrenza) i servizi offerti, lasciando, ad es., la fornitura delle restanti informazioni alla richiesta del cliente. In quest’ottica, alcune disposizioni e tendenze interpretative sembrano purtroppo andare in direzione contraria; si pensi: – all’art. 125-bis, comma 3, t.u.b. (che, in caso di offerta contestuale

umana di quella scritta; il che, a tacere dei problemi giuridici che crea, apre sicuramente prospettive interessanti, ad es., sulle potenzialità (e connesse responsabilità) dei contratti di consulenza eseguiti de visu. 13 Con la conseguente necessità di ricercare altri strumenti integrativi di protezione della clientela; cfr. Pardolesi, Clausole abusive nei contratti dei consumatori. E oltre?, in Foro it., 2014, V, p. 11.

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di più contratti di credito non “collegati”, richiede che il consenso del consumatore vada acquisito distintamente per ciascun contratto attraverso documenti separati). Siamo dunque ancora alla moltiplicazione dei documenti e delle firme come strumento di tutela; – oppure alle disposizioni di Banca d’Italia sull’obbligo di raccogliere l’attestazione del cliente (di consegna di un esemplare del contratto) tramite una sottoscrizione ulteriore rispetto a quella della firma del contratto. Ciò nonostante, tale istruzione di vigilanza aiuta a superare quel pernicioso filone giurisprudenziale, anch’esso venato di inutile formalismo (ed assai poco protettivo in termini sistemici della clientela), secondo il quale è nullo il contratto bancario stipulato “per corrispondenza”, qualora la banca non sia in grado di fornire la prova della propria accettazione scritta o della ricezione dell’accettazione da parte del cliente (una sorta di “terza copia” contrattuale), malgrado quel medesimo contratto sia stato eseguito per molti anni da entrambe le parti. Può infatti ritenersi – in considerazione proprio della funzione protettiva della forma scritta nei confronti della clientela, supportata con la sanzione della nullità relativa – che sia sufficiente per considerare perfezionata tale forma (e quindi il contratto) la sola copia firmata dal cliente, bastando per la banca l’esecuzione del contratto14; – oppure si pensi al formalismo del richiedere che il documento di sintesi contenente la parte economica di un contratto bancario costituisca il frontespizio del contratto medesimo, laddove ciò sembrerebbe, per un verso, poco consono con la struttura di “corrispondenza” di un contratto (solitamente tale documento di sintesi costituisce infatti un allegato, ovviamente quale parte integrante, del contratto medesimo)15

14 Cfr. Trib. Reggio Emilia, 14 maggio 2013, con nota (ricca di riferimenti giurisprudenziali) di Pirovano, Sul requisito della forma scritta per i contratti bancari: le posizioni di dottrina e giurisprudenza, in Corr. giur., 2014, p. 63; Cass., 12 luglio 2011, n. 15293, in Contr., 2012, 369; Cass., 22 marzo 2012, n. 4564; Trib. Milano 12 novembre 2013 e 25 marzo 2011; Trib. Venezia 7 dicembre 2012 e 8 luglio 2013. Sul tema si vedano le lucide considerazioni di Mirone, Sistema, cit., p. 405, ove si evidenziano i rischi di un eccessivo formalismo con effetti controproducenti per la stessa clientela o il sistema (se non di veri e propri “abusi della normativa di protezione”). Similmente, è quasi sorprendente come non si considerino le implicazioni sistemiche – quanto meno in termini di certezza del diritto e dei traffici commerciali, per non dire di stabilità dell’ordinamento finanziario – connaturate al rischio di veder dichiarata, dall’oggi al domani, la nullità della quasi totalità dei contratti bancari in essere in Italia. 15 Per di più il d.d.s. è redatto per prassi in forma standardizzata e modulare, così da poter essere agevolmente “staccato” dal contratto principale e comparato con gli altri

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o, per altro verso, rischierebbe di tradursi in una mera duplicazione di tale allegato; – oppure a quell’altra diffusa tendenza giurisprudenziale che, su più fronti (si pensi all’invio degli estratti conto, delle comunicazioni relative alle segnalazioni nelle centrali rischi, o all’esercizio dello ius variandi, ecc.), nega validità alle comunicazioni postali effettuate dalle banche (purtroppo ancora necessarie poiché non tutta la clientela si è trasferita, e forse mai si trasferirà completamente, su rapporti con modalità informatiche) a fronte della semplice negazione del cliente di averle ricevute, anche in questi casi, spesso, malgrado l’esistenza di moltissime comunicazioni effettuate, con le stesse modalità, negli anni di esecuzione del contratto e mai contestate16. Anche in questa fattispecie di valenza generale potrebbe essere giunto il tempo di concepire, nell’ambito dei contratti di massa, un particolare regime di presunzioni su tali comunicazioni, o comunque altre soluzioni che non si traducano necessariamente in un rallentamento burocratico dell’operatività. 2.3. Banca come organizzazione complessa. L’osservazione – già anticipata – circa la qualificazione delle banche quali organizzazioni complesse può sembrare pleonastica o, peggio, velata da un celato intento giustificatorio. In realtà, se ci si pone nell’ottica della ricerca di una comune efficienza della trasparenza bancaria, ci si avvede di come la più banale conseguenza di tale qualificazione delle banche sia rappresentata dal fatto che la modifica dell’organizzazione struttural-funzionale della banche stesse richieda tempo ed implichi costi rilevanti (soprattutto se le modifiche sono ripetute spesso a causa della scarsa intelligibilità delle norme); costi che ha senso sopportare soltanto se (e nella misura in cui) siano strettamente funzionali al reale raggiungimento di uno scopo poiché, per esigenze imprenditoriali, essi non potranno che riflettersi, più o meno direttamente, sui costi dei prodotti e servizi. Se dunque è vero che, a fronte di una nuova norma, una banca necessita di un minimo periodo di tempo per interpretarla (sembra banale, quasi offensivo, ma come abbiamo appena ricordato

d.d.s. inviati periodicamente con i rendiconti. 16 Così come parrebbe poco verosimile, se non contrario a buona fede, che un cliente non riceva/affermi di non ricevere mai delle comunicazioni dalla banca e non segnali il problema alla banca stessa.

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purtroppo così non è), per immetterla nei propri processi decisionali, soprattutto all’interno di un articolato gruppo societario, e per trasformarla in nuovi contratti, nuove procedure organizzative, nuove direttive al personale, nuovi programmi informatici, ecc., ecco dunque apparire l’intrinseca inidoneità per questa normativa (salvo casi molto specifici) dello strumento del decreto-legge, caratterizzato dall’immediata/ravvicinata entrata in vigore dello stesso. Operando diversamente si rischia di dettare norme (temporaneamente) inapplicabili non per luciferina volontà vessatoria delle banche ma per concreta irrealizzabilità delle norme stesse, così come si genererà sempre una massa critica di contratti – cioè quelli stipulati tra la formale entrata in vigore della norma e la concreta (ma posticipata, per quanto fattiva) applicazione della stessa da parte delle banche – caratterizzata da un elevatissimo (ma ineliminabile) rischio di contenzioso, in grado di aumentare solo i costi gestionali senza apportare alcun beneficio sistemico alla clientela. In sostanza: la fissazione di ragionevoli periodi di entrata in vigore delle nuove norme favorisce la generale e stabile applicabilità delle stesse a tutela di tutta la clientela bancaria, riduce i costi di applicazione (fornendo alle banche quel minimo di tempo necessario per individuare le soluzioni operative più efficienti, senza percorrere rischiose e costose soluzioni contingenti) e persino allontana il rischio di eventuali volontà dilatorie. Dal medesimo punto di vista, quando una nuova norma si relaziona con un’organizzazione imprenditoriale complessa che gestisce una contrattazione di massa, si pone sempre il tema del se e come adeguare i (milioni di) contratti in essere, così che, di conseguenza, la nuova norma deve necessariamente contenere una disciplina di diritto transitorio che sia ovviamente specifica e comprensibile, poiché alle tipiche problematiche di applicazione di ogni novella sembra veramente poco sensato aggiungerne altre, a volte ancor più complesse delle prime, inerenti alla gestione dei contratti in essere. Similmente, se la nuova norma primaria richiede – come quasi sempre accade nella materia bancaria, visto il pervasivo tecnicismo della stessa – l’intervento di una o più regolamentazioni secondarie, si presenta una secca alternativa: o la norma primaria è semplice, chiarissima e, come si suol dire, self executing (il che vale a dire, concretamente, scritta bene e con poche implicazioni operative), oppure la norma primaria non può che entrare in vigore insieme a quella secondaria, poiché diversamente si avrebbe la efficacia giuridica meramente formale di un precetto che però i soggetti obbligati non potrebbero (nemmeno volendo) rispettare, non sapendo come inserirlo in un preesistente e complesso contesto legal-organizzativo, con il consueto corollario, ormai già sperimentato,

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di maggiori rischi, maggior contenzioso, maggiori costi, nessun effetto protettivo generalizzato della clientela17. Va da sé, infine, che quando il legislatore è così avveduto da dettare un realistico regime di entrata in vigore, dipendente dalla normativa secondaria, e prevedere sia delle tempistiche scaglionate per la concreta applicazione della nuova disciplina, sia l’estensione di quest’ultima ai contratti in essere (solitamente con un termine ad hoc), è bene allora che quello stesso legislatore rispetti, nello scrivere tale normativa secondaria, i tempi che si è dato. Anche in questo caso i confini tra l’ovvietà e la realtà sono labili, ma l’esperienza (si pensi a quanto accaduto per l’attuazione dell’art. 117-bis t.u.b.) ha purtroppo fatto registrare anche questa esigenza. Pochi spunti pratici è utile che siano tenuti in considerazione: da un lato, il non applicare in modo generalizzato una nuova disciplina anche ai contratti in essere comporta, salvo casi particolari, il duplice effetto negativo di limitare la tutela della clientela ed obbligare le banche ad una gestione multipla e parallela (molto più costosa ed a volte impossibile) di diverse versioni di un’unica massa di contratti; dall’altro lato, la soluzione di una trattativa individuale tra la banca ed ogni singolo cliente (meglio: i milioni di essi) risulta concretamente impraticabile, poiché comporta tempi lunghissimi (tanto che, a volte, la normativa è nel frattempo nuovamente cambiata e si dovrebbe iniziare l’intero processo da capo), lascia “scoperti” (e spesso non tutelati) molti rapporti con delle inevitabili “code” problematiche, è vissuta come un fastidio da tutta la clientela, è irrazionale in termini di gestione aziendale poiché obbliga la banca a parallelizzare diversi sistemi gestionali di uguali contratti, crea spesso un costoso e sterile contenzioso e risulta infine (inutilmente) dispendiosa. Quando poi la problematica della “complessità” dell’organizzazione bancaria e dell’impatto delle nuove normative sui contratti in essere si coniuga con le peculiarità della contrattazione di massa, si presenta in tutta la sua rilevanza l’ulteriore tema della (limitata) possibilità per le banche di modificare unilateralmente i contratti in essere (il cd. ius variandi)18. Che nel diritto civile lo ius variandi, pur essendo variamen-

17 Da questo punto di vista, le recenti decisioni Trib. Milano 25/3/1015 e 3/4/2015, laddove negano la necessità di una delibera del CICR per l’effettività del divieto di anatocismo (fino al punto di intravedere contrasti con il principio di separazione dei poteri dello Stato), oltre che discutibili in punto di diritto e di sociologia del diritto, paiono un po’ avulse dalla realtà. 18 Si vedano, tra i molti, Sciarrone Alibrandi e Mucciarone, La pluralità delle normative

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te rintracciabile, rappresenti uno strumento abbastanza eccezionale e delicato, a maggior ragione nell’ambito di un rapporto già asimmetrico quale quello bancario, è ben comprensibile, così come, consequenzialmente, è palese che esso richieda tutele particolari: a riprova di ciò si pensi, avendo in mente la disciplina attuale (art. 118 t.u.b.), al processo per cui ad una (iniziale) tutela formal-procedurale (essenzialmente attinente al preavviso, alle modalità di comunicazione alla clientela e al recesso) se ne sia aggiunta una sostanziale, rappresentata dal requisito legittimante del giustificato motivo, i cui confini però meriterebbero di essere serenamente ripensati19. Come anticipato in apertura di questo scritto, non è possibile addentrarsi nelle molte considerazioni che potrebbero essere sviluppate in ordine a questo istituto, salvo rammentare, con estremo dispiacere, l’incongrua proliferazione di specifiche e dissimili norme in tema di ius variandi (per oggetto, soggetto e altre particolarità)20, che certo non ha aiutato né la gestione razionale dell’impresa, né tantomeno la clientela, la quale gradirebbe godere di un quadro chiaro ed univoco dei propri diritti. Ciò che vale la pena evidenziare è la necessità (nell’interesse comune, non unilaterale delle banche) di avvalersi dello ius variandi se si vuol raggiungere l’obiettivo di praticare soluzioni efficienti e generalizzate, col duplice effetto positivo di minori costi e della garanzia di applicazione/tutela omogenea a tutta la clientela. Il punto problematico non dovrebbe essere se applicare lo ius variandi (a fronte di tutte le modifiche normative), bensì – in una logica di contemperamento degli interessi – quale disciplina rappresenti un punto di equilibrio tra l’informazione/tutela del cliente e l’esigenza (comune a banche e clienti) di una gestione operativa che coniughi applicazione generalizzata con minori costi. In quest’ottica, ad esempio, che le modifiche normative (di solito, in questa materia, a maggior tutela della clientela) costituiscano un giustificato motivo dovrebbe essere ormai un punto ovvio ed assodato, e non dovrebbe esserci bisogno per ogni nuova legge, di una specifica norma che ricordi la possibilità di avvalersi dell’art. 118 t.u.b., per di più ricorrendo a formule sempre leggermente diverse, a seconda della perizia o

di ius variandi nel T.U.B.: sistema e fratture, nonché Olivieri, Usi e abusi del ius variandi nei contratti bancari, entrambi in Ius variandi bancario: sviluppi normativi e diritto applicato, a cura di Dolmetta e Sciarrone Alibrandi Milano, 2012. 19 Cfr. Tavormina, Ius variandi e contratti bancari, in Giur. Comm., 2013, I, p. 309. 20 Sulla diversità di disciplina tra i servizi bancari tradizionali e i servizi di pagamento v. anche Mirone, Sistema, cit., p. 397.

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della memoria del redattore, e che ogni volta generano defatiganti quanto inutili discussioni e costosi contenziosi. Anche la tesi per cui l’art. 118 t.u.b. è utilizzabile solo per modificare clausole esistenti e non per introdurne di nuove mostra ormai alcuni limiti concettuali ed applicativi, non solo perché tale distinzione nella realtà non sempre è chiara, dovendosi a volte confrontare situazioni disomogenee, ma soprattutto perché non sempre l’effetto è maggiormente tutelante per i clienti (in termini di costi di sistema). Impedire il ricorso all’art. 118 t.u.b. in questi casi21 rischia a volte di tradursi in una difesa di retroguardia, non in grado di fornire una maggior protezione alla clientela (nel suo complesso). Più efficace ed efficiente sarebbe invece, pur in presenza di modifiche unilaterali, che il legislatore (o l’autorità di vigilanza) si interessi del come una determinata nuova normativa venga innestata nei rapporti in essere, di quali siano i contenuti ed effetti sostanziali su tali rapporti contrattuali. I limiti di applicazione dell’istituto dello ius variandi andrebbero forse considerati e valutati in ottica più ampia del singolo rapporto atomistico banca-cliente, poiché tale istituto coinvolge aspetti sistemici di omogeneità (anche in termini di tutela) dell’insieme dei rapporti contrattuali, nonché di stabilità della banca e del sistema22. Intrapresa questa strada, non sarebbe nemmeno scandaloso (pur nella consapevolezza di dover cercare un ponderato punto di equilibrio) discutere della possibilità, ad es., di considerare alcune cause “interne” alla banca quale giustificato motivo (soprattutto qualora ciò si traduca in un miglioramento, razionalizzazione o omogeneizzazione del servizio offerto), oppure introdurre unilateralmente servizi aggiuntivi all’interno di rapporti preesistenti (ad es. dei c.d. conti “a pacchetto”), spesso graditi (quanto meno in termini di facoltà di scelta) dalla clientela, ovviamente purché si trovino le modalità per garantire l’effettiva informazione/ consapevolezza di quest’ultima e la facoltà di recedere senza alcun costo. Oppure ragionare insieme sulla possibilità (e i limiti) di considerare, nell’ambito dei costi industriali rilevanti ai fini dello ius variandi, i costi e i mancati guadagni derivanti proprio dalla sopravvenienza di nuove

21 Si pensi (volendo proprio fare l’esempio più difficile di modifica unilaterale) a quanto è accaduto con l’introduzione (a seguito di una legge) della c.a. in sostituzione della c.m.s., dove era palese, per un verso, la distanza formale tra la preesistente disciplina normativa/contrattuale e quella nuova, ma anche, per altro verso, la finalità sostanziale della nuova normativa a favore di tale sostituzione, a favore dei clienti. 22 Mirone, Sistema, cit., p. 413, fornisce un esempio di interpretazione che sullo ius variandi sa svincolarsi dall’ottica limitante della tutela (apparente) del singolo cliente.

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normative (che comunque finirebbero per riflettersi indirettamente ed in modo generalizzato sui clienti); alla fine si tratterebbe di discutere su un criterio (più equo?) di allocazione dei costi tra la clientela (lo ius varianadi consente infatti di distribuire i nuovi maggiori costi sulla più ampia massa dei rapporti in essere e non solo su quelli di futuro perfezionamento). Gli stessi confini concettuali dei fattori che costituiscono, o meno, giustificato motivo potrebbero essere ripensati, quanto meno con maggior elasticità, in funzione dei reali (ed auspicabilmente assenti o giustificati) costi “di uscita” sopportati dal cliente per cambiare banca (dopo il recesso a seguito di una modifica unilaterale) e, in buona sostanza, in funzione del grado di reale concorrenza nel settore bancario23. 2.4. Certezza del diritto e stabilità delle contrattazioni. 2.4.1. Anatocismo. Altri due esempi, ancora di calda attualità, sono in grado di ricordare l’importanza di un valore tanto basilare (che dovrebbe essere presupposto e consolidato) quanto di essenziale rilevanza: la certezza del diritto e i suoi riflessi nella gestione razionale di un’impresa. Come vedremo, la frequente incapacità del legislatore di dettare discipline precise (a causa sia dell’elevato tecnicismo della materia, sia della ricerca ondivaga di un compromesso socio-politico, congelato nella vaghezza e scarsa qualità del testo normativo, a volte venato persino di demagogia) unita al consequenziale eccesso di discrezionalità della giurisprudenza, anch’essa a volte inadeguata nel comprendere i complessi meccanismi e portati sistemici della materia bancaria (che invero meriterebbe poche sedi specializzate), crea spesso una miscela pericolosa. Il primo esempio viene dall’annoso tema dell’anatocismo dove, pur cercando di prescindere dai fiumi di inchiostro spesi sull’argomento24, è difficile negare che, a fronte

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A ben guardare, poi, se il giustificativo motivo è dato solo da fattori oggettivi ed esterni alla banca – quindi generali – ne consegue che essi valgono per tutte le banche e, nella sostanza, che limitano la concorrenza sui prezzi, potendo la stessa esplicarsi solo nella quantificazione della modifica unilaterale, all’interno dell’ambito consentito dal relativo giustificato motivo oggettivo. 24 Mi sia solo consentito esprimere molto velocemente il mio punto di vista con qualche esempio, consapevole che meriterebbe ben altre disamine giuridiche (andando infatti ad intaccare la natura stessa del contratto di conto corrente, delle registrazioni, la distinzione dal conto corrente ordinario, ecc.) e consapevole altresì che esso è molto vicino

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del problema pratico (comprensibile e facilmente risolvibile) di riequilibrare il quadro dei diritti/obblighi delle parti in tema di frequenza degli addebiti/accrediti in c/c a titolo di interessi, si è assistito ad un tale parossistico livello di conflitto, tra banche e clienti ed addirittura tra poteri

a quello già autorevolmente e lucidamente più volte esposto da P. Ferro Luzzi, Le opzioni ermeneutiche dell’ambito semantico; l’anatocismo arriva alla Corte Costituzionale, in Riv. dir. priv., 2000, p. 734.). In estrema sintesi, ci si basa sulla constatazione radicale – e soprattutto molto più conforme alla realtà operativa – per cui l’addebito in c/c (di un debito del cliente per interessi, o per altro titolo: si pensi all’addebito di una rata di mutuo) equivale a pagamento del correlato debito (lo stesso può specularmente dirsi per l’accredito in conto di un debito della banca per interessi, come normalmente avviene per i conti creditori), e dunque tale registrazione non è altro che una modalità di pagamento del relativo debito, con conseguente modifica del saldo del c/c (il quale ultimo rappresenta un diverso rapporto e un diverso titolo giuridico rispetto a quello da cui scaturiva il primo debito). Riprendendo l’esempio di prima sulla rata di mutuo ipotecario, l’addebito in c/c della stessa estinguerà il debito del cliente a titolo di mutuo e, a seconda della situazione del conto, ridurrà il saldo creditore dello stesso od aumenterà quello debitore in caso di apertura di credito/sconfino. In ogni caso, se il cliente non dovesse rimborsare il saldo debitore del proprio conto, la banca potrà agire in forza di quest’ultimo rapporto e non certo azionando l’ipoteca che assiste il mutuo. Se ciò è palese per il debito rappresentato dalla rata di mutuo non si comprende perché non possa valere per il debito per interessi derivante dall’apertura di credito operante su altro conto, o sullo stesso conto di addebito. Che poi ogni addebito/accredito in conto ne modifichi il relativo saldo, sul quale calcolare gli (eventuali) interessi creditori/debitori per il futuro, è un’ovvia e “naturale” conseguenza del funzionamento intrinseco ad ogni conto corrente, che non si vede per quale logica operativa/economica/giuridica debba essere alterato. E che l’addebito sul conto di un debito per interessi sia una forma di pagamento dello stesso è anche pragmaticamente comprovato dal fatto che se su quel conto non maturassero (come possibile) interessi probabilmente nessuno negherebbe tale effetto solutorio, poiché non si porrebbe nemmeno un dubbio di anatocismo. Detto ciò, non ha nemmeno più molto senso discettare di anatocismo, di interessi su interessi, né tanto meno di operatività di usi [normativi o negoziali, quasi risibili, ci sia consentito osservare, nel mondo bancario del XXI secolo; cfr. comunque in termini critici Di Pietropaolo, Osservazioni in tema di anatocismo, in Nuova giur. civ. comm., 2001, II, p. 96, nonché Scozzafava, L’anatocismo e la Cassazione: così è se vi pare, in Contr., 2005, p. 221], o di decorrenza della prescrizione secondo tesi dispendiose e per fortuna già abbandonate anche in sede fallimentare. Cfr. Morera, Sulla non configurabilità della fattispecie “anatocismo” nel conto corrente bancario, in Riv. dir. civ., 2005, p. 17). Si potrà obiettare che è stato lo stesso sistema bancario, con le proprie norme contrattuali e tentativi di lobbying, a seguire questa impostazione (sbagliata), il che probabilmente è vero, ma perseverare oggi e anzi incrementare l’errore (come pare fare la nuova legge n. 147/2013) non risolverà il problema, parendomi palmare che l’art. 1283 cod. civ. è incompatibile con l’operatività bancaria (cfr. Cabras, La capitalizzazione degli interessi nel conto corrente bancario: l’equivoco della sineddoche, in Giur. comm., 2000, I, p. 348).

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dello Stato25 – invero poco onorevole per tutti gli attori coinvolti – il cui duplice effetto finale, del tutto sproporzionato rispetto ai reali bisogni sociali e ai costi causati, è sostanzialmente stato, da un lato, un’applicazione retroattiva – addirittura senza limiti temporali verso il passato26 – di un mutamento interpretativo della Cassazione (non importa ora entrare nel merito di tali decisioni o della veridicità degli assunti fattuali considerati)27, malgrado decenni di precedenti diverse sentenze alle

25 Si pensi alla motivazione di Corte Cost. n. 78/2012 – con la quale è stata dichiarata l’incostituzionalità del d.l. n. 225/2010 (di interpretazione autentica dell’art. 2935 c.c.) – secondo la quale la norma non rispettava le “funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario” (con Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, che commenta: «Detto in soldoni: alla magistratura non si attenta; gli arresti della Cassazione non si possono combattere a colpi di leggi retroattive. Le regole del gioco, in definitiva, valgono per tutti i soggetti che allo stesso partecipano»). Sul rapporto tra potere giudiziario e legislativo sono state scritte biblioteche di filosofia e sociologia del diritto e non è utile riprenderle qui, così come si potrà sicuramente discutere sul come il legislatore sia intervenuto su questa materia, ma il negare in principio che lo stesso possa intervenire con regole generali a mettere ordine ad un disordine legislativo e giurisprudenziale sembra onestamente mettere Montesquieu a testa in giù. Che poi il duplice intento deflattivo del contenzioso (soprattutto in Italia, dove le cause civili presentano le note anomalie statistiche) e di restaurazione della certezza del diritto non sia stato colto e valorizzato nemmeno dalla Corte Costituzionale, è circostanza che lascia perplessi. Allo stesso modo ci si potrà serenamente chiedere: se è vero che la legge dispone (di solito) solo per l’avvenire ed è altrettanto vero che i giudici devono interpretare la legge, ma che nei fatti contribuiscono altresì a crearla, perché mai dunque quella retroattività parzialmente consentita al legislatore dovrebbe essere illimitatamente ammessa ai giudici? Non è un po’ paradossale che i limiti posti giustamente al legislatore dalla Corte Costituzionale e da quella di Strasburgo in tema di retroattività (essenzialmente per tutelare l’affidamento) non siano rispettati dalla medesima giurisprudenza? Se è vero – riprendendo l’espressione usata dall’A. sopra citato – che le “regole del gioco” (dell’anatocismo) erano sbagliate (il che è sempre possibile), può il giocatore-giudice che ammette (fin troppo serenamente) di aver sbagliato a valutare tali regole (e che, parlando di usi, ha addirittura contribuito a creare tali regole) rimettere in discussione tutti i “giochi” giocati per decenni? In definitiva, chi ha veramente violato le regole del gioco? 26 Si pensi alle sentenze che fanno decorrere la prescrizione dall’estinzione del conto corrente (il che potrebbe avvenire a decenni di distanza dalle movimentazioni esaminate, o non avvenire mai) o che, in assenza della produzione (da parte della banca) di documentazione anteriore al 10° anno, “azzerano” interpretativamente il saldo del conto. In questi casi si potrebbe parlare di giurisprudenza “creativa” (o “distruttiva”) dei numeri di un saldo di c/c. Cfr. Cass., 12 luglio 2013, n. 17263. 27 L’ABI ha addirittura ricordato una prima sentenza della Cassazione del 1894, con il che la giurisprudenza conforme sarebbe superiore al secolo. In sostanza, coloro che si sono affezionati alla tesi dell’uso bancario in deroga all’art. 1283 c.c. (e non sono tra

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quali i traffici commerciali si sono ovviamente allineati sulla base di un legittimo affidamento. Dall’altro lato, si sta assistendo a una surrettizia alterazione della quotidiana operatività del contratto di conto corrente, con una disciplina giuridica che pare discostarsi pericolosamente dallo stesso fenomeno socio-economico che vorrebbe regolamentare. Onestamente pare poco realistico coprirsi gli occhi di fronte ai costi sistemici di una tale moltiplicazione incontrollata del contenzioso28 (al quale per fortuna le banche non hanno contribuito, pur avendo titolo per chiedere ai propri clienti la restituzione degli effetti anatocistici a loro favore sui conti attivi)29, con conseguente mutamento del quadro normativocontrattuale ed instabilità dei rapporti economici, persino a decenni di distanza, tali da instillare tensioni in grado di impedire sia una corretta previsione degli eventi/costi/ricavi imprenditoriali, sia una razionale gestione dei rischi operativi; per non parlare delle ulteriori difficoltà per le banche a causa dei rallentamenti delle procedure esecutive per il recupero dei loro crediti (particolarmente in questa fase economica). Instabilità e tensioni che inevitabilmente si traducono in maggiori costi generalizzati30 e in restrizioni alla concorrenza a livello comunitario;

quelli) potrebbero paradossalmente affermare che proprio la Cassazione ha contribuito a creare tale uso. Per non dire del fatto che è stata provata l’erroneità dell’affermazione dei giudici circa l’inesistenza di usi registrati prima della cd. NBU dell’ABI del 1952, o la circostanza che la stessa prima legge n. 154/1992 sulla trasparenza bancaria citava la capitalizzazione degli interessi. Ma, si ripete, non sono queste le argomentazioni interessanti, soprattutto in questo momento. Difatti, anche dando per assodato ed accettato un cambiamento del “sentire” da parte della giurisprudenza e/o del legislatore, ciò che è in discussione è la metodologia utilizzata ed i riflessi su situazioni pregresse. 28 Sarebbe interessante anche poter confrontare tutti i costi di tale contenzioso con il valore delle restituzioni effettuate. Rolfi, Le sezioni unite e l’anatocismo: non è tutto oro quello che luccica, in Corr. giur., 2011, p. 825, parla di «mass actions… perché in questo contenzioso ad essere tutelata non è nessuna classe, ma semmai un certo interesse ad ampliare il contenzioso medesimo». 29 In ciò si dissente quindi dalla tesi di Tanza, Anatocismo bancario: le novità introdotte dalla legge di Stabilità 2014, in www.altalex.com, 18/2/2014, secondo il quale Cass. S.U., 3 dicembre 2010, n. 24418 avrebbe dichiarato la legittimità dell’anatocismo annuale in favore del cliente e la nullità invece di qualsiasi anatocismo in favore delle banche. 30 Con il che i clienti-consumatori (di solito con conti creditori) finiscono per “pagare” (se dovessero subire dalla banca una richiesta di restituzione degli interessi anatocistici accreditati, o comunque a fronte dell’aumento del prezzo complessivo dei c/c indotto dai costi del contenzioso anatocistico a carico della banca) gli importi restituiti ai clientiimprese/professionisti (che più facilmente hanno conti debitori). Sto tanto insistendo sull’inutilità di alcuni costi sistemici e del correlato aumento dei prezzi alla clientela, non

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contesto, quest’ultimo, nel quale sarebbe bene inquadrare molte delle problematiche della trasparenza bancaria, anche al fine di evitare discriminazioni a rovescio. Purtroppo, per quel poco che oggi si riesce ad intravedere, anche la nuova legge n. 147/2013 (mutando l’art. 120 t.u.b. e attribuendo una generica delega al CICR in tema di “produzione di interessi”)31 pare ripetere molti dei difetti strutturali sopra segnalati (in punto di genericità delle previsioni, entrata in vigore, diritto transitorio, raccordo con la normativa secondaria, ecc.), laddove a fronte di un’oscura revisione dei modelli giuridici ed operativi dell’attività bancaria non si riesce ad intravedere un sostanziale vantaggio per la clientela32. È infatti quasi pleonastico osservare come tutto ciò comporterà rilevantissimi impatti e costi sul sistema bancario: al momento è difficile fare delle stime realistiche, ma non è difficile immaginare che nel giro di qualche anno l’unità di misura per calcolare i mancati introiti ed i costi organizzativi delle banche saranno i miliardi di euro, i quali difficilmente non potranno non riflettersi sui costi dei (nuovi?) servizi. Ciò che infatti appare illogico non è che una nuova normativa (o un nuovo indirizzo giurisprudenziale) abbia dei costi – se questi sono giustificati da un superiore interesse pubblico

tanto perché non possa essere opportuna, in alcuni casi, una “socializzazione” dei costi/ rischi su tutta la clientela, al fine di evitare una “concentrazione” degli stessi su singoli soggetti deboli o sfortunati (cfr. il sempre valido lavoro di Gambaro, Perché si vessa il cliente. Note ed appunti di un itinerario tra i modelli occidentali, in Analisi economica del diritto privato, a cura di Alpa ed altri, Milano, 1998, p. 212), quanto perché, nel caso qui esaminato dell’addebito in c/c di un debito per interessi, non si intravede alcun contenuto vessatorio, né bisogno di generalizzazione dei costi 31 Senza ulteriore qualificazione. 32 Al di là dell’ambigua terminologia usata dalla norma (non si riesce infatti a comprendere come nella stessa frase si possa discutere contemporaneamente di interessi “capitalizzati” che non producono ulteriori interessi), rimangono al momento incomprensibili i meccanismi giuridici, organizzativi e contabili utilizzabili per raggiungere lo scopo che la norma sembra prefigurarsi. Forse la creazione di conti paralleli infruttiferi sui quali far transitare i movimenti bancari a titolo di interessi? Ma quali regole organizzative e giuridiche (di imputazione dei pagamenti, risoluzione, ecc.) dovrebbero disciplinare i rapporti tra questi due conti nella quotidiana ed articolata operatività? Per non dire del fatto che non si vede perché mai debbano essere inventati cervellotici sistemi alternativi di funzionamento organizzativo, contabile ed informatico del conto corrente solo per gli addebiti a titolo (totale o parziale) di interessi. Forse perché questo finto anatocismo è visto come una sorta di costo “nascosto”? Ma che un addebito/accredito per interessi sul conto modifichi il relativo saldo (aumentandolo se debitore/creditore) e quindi l’importo sul quale calcolare nuovi interessi, è circostanza vera e ovvia per qualsiasi altro addebito/accredito, per qualsiasi altro titolo e causale.

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ritenuto tale dal legislatore – bensì che abbia dei costi inutili.Sempre più pare configurarsi una contrapposizione preconcetta tra una sorta di “crociata anti-anatocistica” e alcuni principi, verrebbe da dire, della “meccanica” dell’operatività bancaria (soprattutto del conto corrente), della matematica finanziaria e del diritto finanziario. Prima o poi, infatti, si dovranno fornire delle risposte ad alcune domande basilari quali: è “giusto”/corretto/equo/socialmente e finanziariamente sensato che un debito scaduto (sia della banca che del cliente), a titolo di interessi, non produca interessi?33 La metodologia di matematica finanziaria degli interessi composti è ancora lecita in Italia? Con quali modalità e strumenti dovranno essere gestiti e pagati/riscossi i debiti/crediti della clientela bancaria per interessi? Perché l’addebito/accredito in c/c di un debito/ credito del cliente per interessi non può avere valore solutorio (almeno verso la banca creditrice)?34 Se un debito del cliente (o della banca) per interessi non può essere pagato tramite addebito (accredito) in c/c, quali altri strumenti di pagamento35 si potranno utilizzare?36 Ed ancora: avrà

33 A maggior ragione quando il creditore è una banca, cioè un’impresa il cui oggetto sociale è prestare professionalmente denaro e farlo fruttare. 34 Più in generale si vedano Sciarrone Alibrandi, L’interposizione della banca nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria, Milano, 1997; Sciarrone Alibrandi, L’adempimento dell’obbligazione pecuniaria tra diritto vivente e portata regolatoria indiretta della Payment Services Directive 2007/64/CE, in Il nuovo quadro normativo comunitario dei servizi di pagamento. Prime riflessioni, a cura di Mancini e Perassi, in Banca d’Italia, Quaderni di ricerca giuridica, 2008, n. 63; Olivieri, Compensazione e circolazione della moneta nei sistemi di pagamento, Milano, 2002; Santoro, L’efficacia solutoria dei pagamenti tramite intermediari, in Il diritto del sistema dei pagamenti, a cura di Carriero e Santoro, Milano, 2005, p. 65. 35 Solo moneta legale in contanti (prelevata da sotto il materasso ma non da quel c/c)? Forse assegni/bonifici (però tratti/provenienti da c/c diversi)? Ma quale differenza c’è tra il pagare un debito per interessi (verso la banca A) tramite un bonifico o un finanziamento proveniente dal c/c del cliente presso la banca B, o tramite un addebito presso il medesimo c/c presso la banca A sul quale il debito per interessi si è generato? I clienti non potranno più pagare le rate dei propri finanziamenti tramite addebito in c/c? Le banche non potranno più accreditare in conto gli interessi maturati sugli strumenti finanziari depositati? È palmare, al riguardo, quanto queste domande siano anacronistiche ed avulse dalla realtà. Il pagamento tramite addebito in c/c di qualsiasi debito, anche per interessi scaduti, è connaturato all’essenza del c/c ed è infatti una comodità per il cliente e non una vessazione. 36 È quasi pleonastico, a questo punto, il dissenso da alcune tesi recentemente esposte quali: 1) la posizione di Anzelmo, Cala il sipario sull’anatocismo bancario? (in Italia Oggi, 13/2/2014, p. 40) che, a mio avviso, trae erronee conclusioni dal criterio dei pagamenti solutori/ripristinatori utilizzato dalla Cassazione per fissare la decorrenza

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ancora senso per le banche offrire una forma di finanziamento flessibile (e gradita dalla clientela) quale l’apertura di credito? Con queste osservazioni non si vuole evidentemente negare il fatto che la frequenza della scadenza di un debito per interessi ed il connesso addebito in conto corrente (quale forma di pagamento) possano ingenerare fenomeni (alla lunga distorsivi) di interessi composti, ma se questo è il punto problematico dal quale comprensibilmente sorge una concreta esigenza di tutela della clientela, allora il problema attiene alla determinazione equitativa/minima di tale frequenza37, il che non ha però nulla a che fare con il preteso anatocismo connesso all’operatività del contratto di conto corrente. 2.4.2. Usura. L’ultimo esempio di grave incertezza normativa ed imprenditoriale può essere riservato alla fitta problematica dell’usura. Anche qui, pur senza analizzare nel dettaglio le diverse tesi avanzate in relazione ai molti punti aperti su questa materia (si pensi, ad es., agli elementi di costo da considerare nel calcolo dei tassi rilevanti, al momento cronologico da tenere in considerazione per i calcoli ed i paragoni da effettuare coi tassi usurari, all’usura sopravvenuta, agli interessi di mora, ecc.), sembra veramente illogico prescindere da due punti fermi: 1. in qualsiasi confronto tra il tasso contrattuale e quello usurario (vista la metodologia genetica di quest’ultimo) è imprescindibile basarsi

della prescrizione al diverso fine di decidere se una rimessa in c/c debba essere, o meno, solutoria del debito (scaduto) per interessi del cliente, ovvero ripristinatoria del saldo dell’apertura di credito in c/c; il tutto senza riprendere l’art. 1194 c.c.; 2) il dubbio di Tanza, Anatocismo, cit., circa la possibilità (ma sembra più un desiderio dell’A. verso la risposta negativa) che si possano ancora addebitare in c/c “remunerazioni, commissioni e spese varie”. Con il che si farebbe forse prima a sostenere (non è chiaro su quali basi giuridiche e soprattutto per quale reale interesse del cliente) che sul c/c (cioè sul contratto tra il cliente e la banca) si possono addebitare i movimenti di denaro per qualsiasi causale ma non – paradossalmente – quelli per pagamenti a favore della banca. 37 Posto che anche il principio attualmente in vigore di pari periodicità della scadenza degli interessi creditori/debitori risponde ad una logica politica ed equitativa, ma non di necessità giuridica e nemmeno di reale tutela della clientela (vista la fisiologica “forbice” tra tassi attivi e passivi, che potrebbe esacerbarsi in presenza di una frequenza eccessiva di capitalizzazione); la reale tutela è infatti nella fissazione di una durata minima del periodo di scadenza/addebito degli interessi. Anche in questo caso non vi è molto da aggiungere alle parole di P. Ferro Luzzi, Una nuova fattispecie giurisprudenziale: “l’anatocismo bancario”; postulati e conseguenze, in Giur. comm., 2001, I, p. 5.

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sull’omogeneità/simmetria degli addendi, altrimenti si produce un assurdo logico-matematico prima ancora che giuridico ed economico: per un verso, non ha senso comparare somme composte da elementi differenti e, per altro verso, l’attuale normativa (primaria) sull’usura basata su tale comparazione ha senso (ed è legittima/costituzionale) nella misura in cui è integrata e oggettivizzata dalla normazione secondaria. I fattori considerati nel calcolo del t.e.g. contrattuale devono quindi essere necessariamente gli stessi (non uno di più, non uno di meno) di quelli considerati da Banca d’Italia nella rilevazione, tempo per tempo, del tasso medio, come peraltro ripetuto espressamente nei d.m. di pubblicazione del t.e.g.m.38. Dopo di che è ovviamente lecita ogni interpretazione in merito alla validità della normativa secondaria di Banca d’Italia in base alla gerarchia delle fonti, ma se si ritiene (diversamente da quanto previsto da Banca d’Italia, ma ipoteticamente in modo corretto) che un addendo avrebbe dovuto essere aggiunto al calcolo del t.e.g. (che sia la c.m.s., l’interesse di mora, il costo assicurativo, o qualunque altro)39,

38 Questa regola è infatti chiaramente esplicitata (se mai ce ne fosse bisogno, vista la palmare logicità della stessa) nei decreti ministeriali di pubblicazione del t.e.g.m. (dove all’art. 3, co. 2, si afferma che «le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art. 2, comma 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, si attengono ai criteri di calcolo delle “istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura” emanate dalla Banca d’Italia»), ma non si comprende il motivo per cui molte sentenze non la considerino. Allo stesso modo, tali d. m. non dovrebbero poter essere del tutto disattesi nell’interpretazione della norma primaria sull’usura per ragioni di gerarchia delle fonti (come invece è stato fatto per le istruzioni di Banca d’Italia), poiché ciò inficerebbe la stessa validità dell’art. 644 c. p. quale norma penale in bianco. Sui dubbi (anche di costituzionalità) generati da questa legge, v. anche P. Ferro Luzzi e Severino, Quella mobile soglia dell’usura, su Il Sole-24 Ore, 2/8/2011. In favore dell’omogeneità tra t.e.g. e t.e.g.m. v. anche Coll. Coord. A.B.F. 19 marzo 2014. 39 Con qualche limite di buon senso. Si pensi agli interessi di mora, l’inclusione dei quali nel t.e.g. parrebbe tutt’altro che scontata, vista la diversa funzione (sanzionatoria)/ natura giuridica (di pre-quantificazione del danno eventuale) degli stessi rispetto agli interessi corrispettivi. Per non dire del fatto che l’inclusione degli stessi nella rilevazione statistica dei tassi medi porterebbe solo ad un innalzamento dei tassi usurari. Ma anche se si volessero considerare, ad es. per evitare il reato di mera pattuizione (con il necessario adeguamento del t.e.g.m.), pare che il limite del buon senso sia onestamente superato in quelle situazioni in cui, giusto per fare un esempio, a fronte di un tasso corrispettivo del 5% ed un interesse moratorio dell’8% (cioè con una maggiorazione moratoria del 3%), alcuni ritengono che il t.e.g. sia del 13%. In realtà, molto più semplicemente, se si vuole evitare il problema (possibile e reale) di tassi moratori eccessivi, è molto più rapida la soluzione della riduzione equitativa degli stessi, senza scomodare l’usura.

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allora i numeri del nuovo parametro usurario devono necessariamente cambiare, dovendosi sommare al tasso pubblicato sulla Gazz. Uff. il valore (medio) del nuovo addendo. Il nuovo calcolo/confronto potrà non essere facilmente ricostruibile, ma non è ignorando tale aspetto che si risolve il dilemma di fondo40; 2. qualunque soluzione si voglia trovare a questo tematica (ammesso che il problema sia l’usura e non, come si sospetta, un altro), la disciplina normativa dovrà essere stabile41, sia per le già tante volte ricordate esi-

Considerazioni non dissimili potrebbero farsi sulla considerazione degli effetti anatocistici ai fini dell’usura: in sostanza si potranno anche “depurare” (diminuendoli) i cd. numeri debitori all’interno della consueta formula t.e.g.= interessi x 36.500/numeri debitori, il che evidentemente porterà ad un innalzamento del t.e.g., ma permangono le consuete obiezioni per cui: 1) (in via immediata) siffatto nuovo t.e.g. non può essere confrontato con un (minore) t.e.g.m. pubblicato che tale “depurazione” non includa; 2) (in via mediata) ciò porterà ad un innalzamento dei tassi nominali di mercato (e quindi dei t.e.g.m.) che dovranno essere pagati dalla clientela. 40 Anzi, l’alternativa pare essere l’incostituzionalità della norma primaria. A voler poi essere rigorosi, ogni modifica alle componenti da sommare nel calcolo del t.e.g.m. dovrebbe considerare anche l’elemento cronologico dato dal periodo di tempo che intercorre tra 1) il momento in cui le banche inviano i dati numerici in base alla nuova metodologia di calcolo e 2) il momento di pubblicazione del t.e.g.m. basato sulle nuove rilevazioni statistiche, poiché solo in quest’ultimo momento le banche dovrebbero comparare i t.e.g. dei propri finanziamenti quantificati utilizzando le nuove metodologie di calcolo. 41 Purtroppo anche qualche intervento di Banca d’Italia, seppur con l’intento di chiarire le regole operative, ha contribuito a confondere un po’ le acque; si pensi al comunicato del dicembre 2005 sulla metodologia di conteggio della c.m.s. (allora esclusa dal computo del t.e.g. ma rilevata come media); al comunicato del 20/4/2010 sul credito revolving, dove si richiamano, anche per gli interessi di mora, meccanismi di blocco automatico delle procedure informatiche, non chiarendo però quali regole applicare (rileva il momento di stipulazione o di pagamento?); oppure al comunicato del 3/7/2013 in tema sia di interessi moratori, sia di usura sopravvenuta, dove si ipotizzano macrotipologie di finanziamenti con diversi momenti di verifica dei tassi, ma senza considerare la legge di interpretazione autentica. Non si vede infatti da quale ragionamento sia legittimata, sul punto, una distinzione (in sostanza) tra finanziamenti ed aperture di credito in c/c. Forse la diversa base di calcolo nella rilevazione dei tassi medi (solo i finanziamenti accesi nel periodo vs. tutti i c/c in essere)? Al di là delle diverse modalità di erogazione (unica per i mutui vs. continuata per le aperture di credito), questa distinzione operata da Banca d’Italia pare motivata da una tendenziale (rispettivamente) in/variabilità delle condizioni economiche, ma non si comprende come possa giustificare il confronto trimestrale dei tassi contrattuali delle aperture di credito con quelli usurari nel tempo, in spregio alla legge di interpretazione autentica. Si veda anche, su tutta questa materia, l’accorato grido di dolore di Tavormina, Banche e tassi usurari: il diritto rovesciato, in Contr., 2014, p. 1., con ricche note di giurisprudenza.

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genze di certezza del diritto e di razionale programmazione imprenditoriale, sia perché, vertendosi in materia di diritto penale, si sta giocando con la reputazione e la vita delle persone (tread softly because you tread on my life, verrebbe da dire, parafrasando Yeats). Con il che, sempre più ci si convince che il reato di usura non sia lo strumento giuridico corretto per proteggere la clientela su questa problematica. Ferme queste premesse, il legislatore sarà ovviamente libero di decidere – in modo auspicabilmente ponderato, uscendo dalla palude di una giurisprudenza totalmente imprevedibile e a volte incomprensibile – se vuole confermare o meno la legge di interpretazione autentica n. 394/2000 (pensata proprio per risolvere ed eliminare ogni conflitto giurisprudenziale sul punto, per il passato ed il futuro, sul piano sia civile che penale), poiché qualunque cittadino (prima ancora che un soggetto imprenditoriale finanziario giustamente preoccupato di stabilizzare le proprie fonti reddituali) non può che rimanere disorientato di fronte al fatto che tale legge, per di più confermata dalla Corte Costituzionale, sia troppo spesso “dimenticata” da giudici, PM, ABF e CTU, in una sorta di giurisprudenza “creativa per omissione/elusione”. E – si badi bene – non si sta affermando che tale legge debba necessariamente essere l’unica soluzione corretta e percorribile, bensì che ogni impresa ha il diritto di sapere, visto che tale legge ora esiste, se e come debba considerarla nel programmare il proprio agire e, quindi, se il tasso contrattuale debba essere confrontato col tasso usurario soltanto nel momento della stipulazione del contratto, come dice la legge, oppure, come operano molti interpreti e giudici/ABF, anche in occasione di ogni pagamento e, in quest’ultimo caso, se il parametro del confronto debba essere il solo tasso usurario iniziale oppure tutti i tassi usurari periodicamente pubblicati; se questo confronto sia diverso per mutui e aperture di credito. È pertanto prioritario che venga stabilito definitivamente quali addendi debbano essere considerati nel t.e.g.m. (e di riflesso nel t.e.g.), quali regole seguire in caso di discrasie42 e se tali regole valgono per tutte le tipologie di contratti bancari, poiché pare del

42 Le banche devono o no confrontare i tassi via via percepiti nel tempo dai propri debitori con quelli usurari periodicamente pubblicati? Se la risposta dovesse essere positiva (auspicabilmente con qualche logica motivazione), per quali tipologie di rapporti? In caso di violazione, il tasso contrattuale si azzera, è quello legale, oppure rientra nei limiti del tasso usurario? Se un addendo va aggiunto nel calcolo del t.e.g., quando e come apportare i dovuti aumenti anche al t.e.g.m.? Senza questi chiarimenti tecnici la normativa rimarrà sempre incompleta.

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tutto illogico (oltre che poco legale e distorsivo della concorrenza) che le banche italiane debbano rinunciare in via preventiva e cautelativa a rilevanti percentuali dei propri introiti poiché non è rintracciabile un quadro giuridico (non si dice sicuro, ma almeno) comprensibile di riferimento, per di più costantemente sotto la spada di Damocle di aver compiuto un reato senza volerlo e saperlo. Si ponderino le conseguenze soggettive dell’includere nel t.e.g. tutte le voci di costo a carico del cliente, anche se corrisposte a terzi, poiché è incongruo immaginare che debbano essere tutte a carico dei corrispettivi delle sole banche43. Deve essere infine affermato chiaramente – tramite legge formale e non mera interpretazione – se ha senso parlare di usura sopravvenuta e quindi se lo strumento contrattuale del finanziamento a tasso fisso sia ancora lecito in Italia o debba invece essere indicizzato (al ribasso) ai tassi usurari tempo per tempo vigenti. Soluzione, quest’ultima, che nella sostanza sta azzerando l’affidamento fatto dalle banche nella stabilità dei propri assetti contrattuali, sta inficiando una razionale e preventiva pianificazione giuridica, economica e dei rischi, se non contribuendo a compromettere la stessa stabilità del sistema finanziario e la connessa tutela del risparmio44. Il tutto, però, con la piena consapevolezza degli effetti sul mercato che tali risposte avranno anche in termini di stabilità degli intermediari

43 Dal punto di vista del cliente, infatti, è comprensibile che si sia passati (quale nuova politica legislativa) da una visione del t.e.g. quale remunerazione della banca ad una che invece includa tutti i costi a carico del cliente, a prescindere da quali siano i soggetti che ne hanno beneficiato (banca, assicurazione, notaio, perito, poste, ecc.); per converso, pare incongruo che, in caso di violazione del tasso usurario, gli oneri della riconduzione del t.e.g. nei limiti di legge, se si desidera concedere il finanziamento, siano sostanzialmente richiesti solo alle banche, poiché così facendo si starebbe imponendo ad una sola categoria imprenditoriale di ridurre i propri corrispettivi per lasciar spazio a quelli di altri soggetti economici. Né, al riguardo, varrebbe l’obiezione che le banche sono, o dovrebbero essere, convenzionate con tali altri soggetti terzi, al fine di concordare le relative tariffe, sia perché non è detto che vi siano o debbano esserci tali convenzioni, sia perché il cliente può rivolgersi comunque a soggetti non convenzionati. Ed ancora: tale compressione della remunerazione delle banche potrebbe risultare insufficiente in relazione al maggior profilo di rischio dei clienti “marginali”, con la conseguenza che le banche sarebbero indotte a non erogare finanziamenti a questi clienti “marginali” ed essi sarebbero consequenzialmente espulsi dal mercato legale del credito, col rischio di affidarsi alle pericolose “cure” dei veri usurai criminali. 44 Sarebbe poi interessante verificare l’applicazione della tesi dell’usura sopravvenuta (pensata nell’apparente intento di tutelare la clientela) ai finanziamenti concessi dallo Stato o alle obbligazioni a lungo termine sottoscritte dai cittadini/investitori.

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finanziari e delle moltissime operazioni creditizie già stipulate. Di certo appare difficilmente sostenibile oltre la situazione di un’intera classe imprenditoriale – abbastanza rilevante nel sistema economico quale quella bancaria e che non può che osservare le disposizioni normative di quel peculiare legislatore delegato che è anche la propria autorità di vigilanza (fino al livello più basso della gerarchia delle fonti: fino alle FAQ, ai comunicati stampa e alla moral suasion) – lasciata in preda alla più completa incertezza normativa e all’unica soluzione (come oggi avviene) di ridurre d’iniziativa le proprie fonti reddituali nella speranza (peraltro priva di sicurezza) di non commettere un reato45. Riduzione che infatti rappresenta una sorta di “costo industriale dell’incertezza giuridica” e che viene conseguentemente pagato da tutta la clientela. A oggi si profilano quotidianamente davanti ai nostri occhi due considerazioni che paiono consolidarsi: la prima che una legge, nata per fornire una sorta di “certezza matematica” ad un reato46, ha finito invece per creare una situazione di massima incertezza (col massimo della pena), pericolosa per le persone e costosa per le imprese (e quindi anche per la clientela tutta), fermo restando che sarebbe interessante verificare, a cavallo tra la criminologia e il diritto finanziario, se e in che misura la legge sull’usura, oltre a disciplinare di fatto in via amministrativa il mercato legale del credito, abbia veramente diminuito l’usura criminale, quella vera (di coloro che, per intenderci, non recuperano i crediti con i decreti ingiuntivi). La seconda considerazione è che tutta questa paradossale situazione non sembra avere molto a che fare con la trasparenza bancaria e la tutela della clientela. Se invece la volontà del legislatore è comprensibilmente, per un verso, di evitare quelle situazioni di tensione sociale che si sono più volte presentate qualora, a fronte di radicali mutamenti del mercato, alcune tipologie di finanziamenti sono diventate troppo gravose nel tempo, dando spesso luogo a processi di “rinegoziazioni di massa” col sistema bancario, nonché, per altro verso, di individuare consequenzialmente

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Anche le argomentazioni che finora hanno escluso il perfezionamento del reato per assenza dell’elemento psicologico (rappresentato dalla volontà delle banche di adeguarsi alla normativa secondaria) potrebbero infatti mutare in futuro. 46 Certezza matematico-normativa che, come si è visto, si è sfaldata strada facendo, ma che forse già nel suo impianto presentava qualche crepa concettuale, ad es. laddove rimetteva il calcolo di alcune voci di costo da includere nel t.e.g. a delle “stime” delle banche, in quanto tali voci erano connesse ad eventi futuri ed incerti dipendenti dal comportamento del cliente.

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una soluzione strutturata e preventiva a siffatti fenomeni di sovra-indebitamento, soprattutto dei consumatori, allora sarebbe meglio avere il coraggio di chiamare i problemi col loro nome, di abbandonare lo strumento penale del reato di usura, di aprire una fase di consultazione pubblica su un testo di legge primaria e di cercare una soluzione il più possibile socialmente condivisa a tale problema (rinegoziazione imposta, o altra), secondo regole certe e prevedibili. Avendo anche presente che, qualunque sia lo strumento utilizzato (consiglieremmo quello civile o amministrativo, e non penale)47, esso rischierebbe di nascere menomato o gravido di effetti distorsivi qualora non venisse inquadrato in un’ottica comunitaria. In uno Stato di diritto lo strumento per un siffatto legittimo obiettivo di politica legislativa (a prescindere da quanto sia condivisibile o dai suoi possibili contenuti, ma che certamente avrebbe un rilevante impatto economico) dovrebbe essere la legge primaria e non una mera interpretazione basata sul (seppur fondamentale) canone di buona fede, finora tirato come un elastico fino al punto di alterare la natura del contratto voluto dalle parti (trasformando un mutuo da tasso fisso a variabile indicizzato all’usura) e fino a chiedersi quale sia il confine tra legge ed equità (non su un caso specifico ma su un intero fenomeno socio-economico). Per non dire del fatto che una soluzione a questo problema esiste già e si chiama, per un verso, concorrenza e, per altro verso, libera possibilità del cliente di cambiare banca nel tempo (si pensi ad es. alla portabilità)48.

3. Banca come impresa. 3.1. Interventi autoritativi sui prezzi: le commissioni. Al quadro sin qui tratteggiato resta solo da aggiungere, come pura impressione, che dall’Arbitro Bancario Finanziario non sempre si è percepita quella sensibilità economico-giuridica a siffatte tematiche e,

47 Senza dire del fatto che il processo in corso di distorsione degli effetti civili sottesi alla metodologia di individuazione del reato di usura ha portato ad inventare persino il termine di “usura bancaria”, la cui sola esistenza, oltre a non risolvere minimamente il rischio criminale, parrebbe istituzionalmente offensiva. 48 Come giustamente ricorda Civale, Il contenzioso bancario e finanziario, Roma, 2014.

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in particolare, a considerare le implicazioni sistemiche a medio/lungo termine di alcune proprie decisioni, che invece – proprio per il contesto genetico e la posizione nel sistema di tale organismo – molti si aspettavano. Ma proprio perché l’iniziativa dell’ABF è lodevole, così come sarebbe auspicabile un’estensione della stessa al settore dei servizi di investimento e delle assicurazioni, ci si limita ad osservare che sarebbe un vero dispiacere vedere alcune decisioni dell’ABF non osservate dalle banche a causa di una loro, per così dire, “inconciliabilità sistemica” per contrasto con alcuni ragionamenti di cui sopra. La seconda macro-considerazione è rappresentata, come anticipato, dalla constatazione che la banca è un’impresa, come tale alla legittima ricerca di un lucro. Se così è, senza troppi infingimenti, dovrebbe esserci – e dovrebbe essere ponderato – un confine concettuale tra la trasparenza bancaria (seppure nell’accezione più ampia e sostanziale sinora intesa) e il fenomeno dei prezzi bancari imposti (nel massimo) per legge. Si pensi, ad es., al limite dello O,5% trimestrale (dell’affidamento) per la c.a., oppure all’art. 117-bis t.u.b. che limita la c.i.v. ai soli costi (e nemmeno a tutti) di un’istruttoria “veloce”, eliminando quindi concettualmente, malgrado il nome di “commissione”, la possibilità di lucro; oppure ancora alle altre molte norme (peraltro scoordinate tra loro) che qualificano alcune voci di prezzo di prodotti bancari in termini di rimborsi spese, limitandoli quindi ai costi effettivi, o specificano che certe attività/comunicazioni devono essere gratuite per la clientela49.

49 Si vedano ad es.: l’art. 127-bis, co. 1, t.u.b. (le banche non possono addebitare al cliente spese per informazioni/comunicazioni richieste dalla legge e trasmesse con strumenti telematici); l’art. 127-bis, co. 2 e 3, t.u.b. (il contratto può prevedere che, se il cliente chiede comunicazioni ulteriori, o più frequenti, o con strumenti diversi da quelli previsti dal contratto, le spese sono a carico del cliente, fermo restando che esse sono adeguate e proporzionate ai costi effettivamente sostenuti dalla banca); l’art. 127-bis, co. 4, t.u.b. (per i finanziamenti la banca può chiedere il pagamento di spese di istruttoria per la consegna di documenti personalizzati); l’art. 126-ter t.u.b. (nei soli servizi di pagamento tutte le comunicazioni dovute per legge e con qualsiasi tecnica di trasmissione sono gratuite, mentre per le comunicazioni “ulteriori” sopra citate si possono chiedere spese conformi ai costi effettivi; si consideri che tutto ciò vale per consumatori/microimprese, mentre è derogabile per soggetti diversi); l’art. 119, co. 4, t.u.b. (il cliente può ottenere la documentazione delle operazioni degli ultimi 10 anni, col rimborso dei costi di produzione); l’art. 3, d.lgs. 11/2010 sui servizi di pagamento: per l’adozione di misure preventive e correttive non si possono addebitare spese, salvo poche eccezioni (rifiuto giustificato della banca di eseguire un ordine di pagamento, revoca dell’ordine del cliente, attività di recupero dei fondi dopo un ordine inesatto del cliente) e comunque

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A questo proposito sarebbe interessante conoscere, in considerazione dei rilevanti impatti di queste norme sul sistema reddituale delle banche, quali ragionamenti, quali perizie di costi industriali del sistema bancario, quali valutazioni politico-economiche del “giusto profitto” siano stati seguiti dal legislatore per imporre a degli imprenditori privati il cap della c.a. allo 0,5% trimestrale50. Per di più tramite un decreto-legge: in base a quali esigenze di necessità ed urgenza? Si ritiene forse che nel settore bancario non ci sia sufficiente concorrenza per garantire prezzi di mercato equi? Nel far ciò non si sta indirettamente riavvicinando (a tanti anni di distanza dalla legge Amato) l’attività bancaria all’ambito dei servizi pubblici con tariffa? In che misura ciò è conforme alla nostra Costituzione e, soprattutto, ai trattati europei (visto che un prezzo imposto, implicando un giudizio tra qualità del servizio e remunerazione, di fatto limita la concorrenza)? Inoltre non sempre appare chiara la ratio seguita dal legislatore quando ha qualificato un determinato costo per il cliente in termini di rimborso spese commisurato ai costi effettivi (e non invece come commissione), o quando, a maggior ragione, ha imposto che una certa attività bancaria (che pur evidentemente comporta dei costi industriali) debba essere gratuita (per quello specifico cliente coinvolto), poiché tutto ciò ha significato (verso quel cliente e per quella voce di costo) azzerare concettualmente/vietare per legge il lucro della banca; quest’ultima, infatti – nel presupposto (non sempre pacifico) che abbia un sistema di contabilità industriale con un buon grado di granularità – al meglio potrà coprire i costi ma non guadagnare. Prima dell’emanazione di siffatte disposizioni sarebbe invece utile partecipare ad una fase di pubblica consultazione nella quale interrogarsi, tra l’altro, sull’attribuzione nominalistica (ma sostanziale) della qualifica di “spesa” piuttosto che di “com-

nei limiti dei costi (ancora tutto è derogabile per macro-imprese/professionisti); gratuite sono anche le informazioni precontrattuali e le comunicazioni di modifica unilaterale ex art. 118 t.u.b. (art. 127-bis t.u.b.), le estinzioni anticipate di mutui immobiliari (art. 120ter t.u.b.), la portabilità dei finanziamenti (art. 120-quater t.u.b.), la cancellazione di ipoteche (art. 40-bis t.u.b.), ecc. Sul tema delle spese bancarie cfr. anche Sciuto, Il costo dell’informazione bancaria, in Dir. banc., 2011, p. 599, e Mucciarone, La liceità delle “spese secondarie” nelle operazioni bancarie: l’impatto della direttiva 2007/64/CE sui servizi di pagamento, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I, p. 62. 50 Cfr. Bani, a cura di, Il “giusto” prezzo tra Stato e mercato, Torino, 2009 (e in particolare lo scritto di Martelloni) nonché P. Ferro Luzzi e Olivieri, Le (nuove?) commissioni bancarie (prime riflessioni in margine alla delibera CICR n. 644/2012), in Banca, borsa, tit. cred., 2012, I, p. 609, con la successiva Postilla, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, I, p. 34.

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missione”, così da poter valutare, caso per caso, se l’attività prestata dalla banca inglobi o meno quella sorta di “valore aggiunto imprenditoriale” tale da giustificare un guadagno. In quest’ottica, si può avanzare anche un dubbio: si è certi che la c.i.v. – la quale, malgrado il nome, non è una commissione ma un mero rimborso spese, per definizione parziale e quindi inferiore ai costi reali, in quanto limitata alla fase della cd. istruttoria “veloce”51 – non comporti, nello svolgimento di tale istruttoria veloce da parte della banca (oppure, aggiungeremmo, nell’assunzione del rischio e/o dei costi finanziari connessi alla concessione dello scoperto/extrafido) un valore aggiunto degno di trasformarla in una (vera) commissione (alla quale corrisponde un servizio reso dalla banca con corrispondente utilità per il cliente)? Ed ancora: in forza di quale ragionamento gli affidamenti “classici” possono avere due forme di remunerazione (interessi e c.a.) ed invece gli scoperti/extrafido una sola forma (interessi, seppur maggiorati, a fronte di un simile ed anzi maggior rischio)52? In fondo, seguendo quel ragionamento usato a suo tempo per (cercare di) legittimare la c.m.s., la banca “tiene a disposizione” dell’intera clientela la media degli scoperti/extrafidi, con i relativi costi finanziari, e quindi ha la stessa esigenza di remunerazione insita nella c.a.. Come abbiamo detto, negare alla c.i.v. la qualifica di fonte reddituale comporta un restringimento delle fonti reddituali della banca ai soli interessi, il che è sicuramente trasparente per la clientela (anzi, volendo si potrebbe fare ciò per qualunque servizio/prodotto bancario: d’ora in poi esisterebbe solo il tasso d’interesse), però non è (non sarebbe) un po’ troppo rigida e restrittiva come politica legislativa imprenditoriale? Lo stesso CICR/d.m., in uno specifico passaggio delle sue istruzioni sulla c.i.v.53, è un po’ contraddittorio poiché, da un lato, afferma che la

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E sempre che la banca abbia un sistema di contabilità industriale così raffinato da consentirle di censire tutti i suoi costi per micro-processi, altrimenti non potrà che operare per stime in difetto (fermo restando che non sono comunque rilevanti gli ulteriori costi di gestione, monitoraggio, ecc., connessi agli sconfinamenti). In sostanza il nome della c.i.v. qualifica anche il fondamento causale della stessa. 52 Salvo che la volontà del legislatore sia – surrettiziamente – di disincentivare le banche a concedere sconfinamenti (in favore invece di modalità strutturate e formali di veri e propri affidamenti); il che può avere una logica, salvo poi non contrastare con la facile accusa verso le banche di essere poco elastiche e disponibili ad adattarsi alle mutevoli esigenze della clientela. 53 Art. 4, co. 6, lett. c), d.m. n. 644 del 30/6/2012.

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c.i.v. remunera la (meglio: rimborsa le spese della) istruttoria, ma poi nega il diritto di richiedere la c.i.v. se lo scoperto non è concesso dalla banca, anche se quest’ultima ha comunque sopportato i costi dell’istruttoria veloce (che difatti ha poi condotto a negare lo scoperto)54. La ratio di tale soluzione è facilmente comprensibile (cioè non gravare il cliente di costi per servizi non goduti) però in fondo essa denota implicitamente che la c.i.v. è pensata come una vera forma di remunerazione dello scoperto (da cui la regola che essa viene pagata dal cliente solo se tale scoperto viene effettivamente concesso); ma se la c.i.v. è pensata come remunerazione della banca allora è contraddittorio limitarla ai soli costi ed andrebbe strutturata come una vera e propria commissione. 3.2. Il regime delle spese. Come anticipato, altre considerazioni possono essere tratteggiate in merito alle attività che la banca deve svolgere gratuitamente, senza nemmeno poter chiedere uno specifico rimborso spese. Una premessa è d’obbligo: limitare il rimborso spese ai costi effettivamente subiti dalla banca è perfettamente sensato, anche perché, se così non fosse, avremmo un arricchimento senza causa, oppure, all’opposto, un vero servizio che meriterebbe di essere remunerato (tramite un corrispettivo). Anzi, a voler essere rigorosi, le spese (quali costi industriali) dovrebbero essere comprese nel corrispettivo della banca. Chiedere uno specifico rimborso spese (per una determinata attività, a un singolo cliente) ha senso se tali spese non sono preventivabili in anticipo (ad es. nella frequenza o nell’importo), quanto meno con una certa stabilità statistica, oppure perché derivano da una (eventuale) precipua richiesta di un singolo cliente (a maggior ragione se sono spese che la banca ha incontrato per svolgere un’attività con terzi): non sono quindi spese generalizzabili (in quanto spese non ordinarie)55.

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Allo stesso modo non è chiaro (se non per generici motivi equitativi) perché la c.i.v. non sia dovuta (art. 4, comma 6, lett. b) se lo sconfinamento è causato da un addebito/pagamento a favore della banca. E qui salta agli occhi una strana differenza di trattamento: a fronte infatti della medesima operazione (addebito in conto), quando si parla di anatocismo viene (incongruamente) negata la natura di pagamento a favore della banca, mentre quando si tratta di negare l’applicazione della c.i.v. non si è alzata alcuna voce contraria a siffatta qualificazione dell’addebito quale pagamento; cfr. P. Ferro Luzzi e Olivieri, Le (nuove?) commissioni, cit.. 55 Né, diremmo, pre-quantificabili in contratto. Malgrado il livello di dettaglio

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A maggior ragione, il fatto che un’attività debba essere gratuita, pur generando ovviamente dei costi industriali, comporta sostanzialmente (salvo voler discettare di un “originale” divieto legislativo di lucro) una diversa allocazione di tali costi sulla clientela, laddove, se per la banca fosse invece possibile chiedere uno specifico rimborso spese, essi ricadrebbero sul singolo cliente beneficiario dell’attività prestata, mentre se l’attività è gratuita i costi ricadono (indirettamente) sulla generalità della clientela. Il che probabilmente ha senso se tali costi sono comunque generalizzabili oppure la scelta legislativa sottende una valutazione valoriale finalizzata a incentivare a tal punto una certa attività (ad es. incrementare la concorrenza, o tutelare il singolo cliente in specifiche fattispecie) da ritenere corretto che i relativi costi siano distribuiti su tutti i clienti e non solo sui singoli interessati. Da questo punto di vista, volendo fare degli esempi, si può comprendere sia 1) il divieto di chiedere il rimborso delle spese per le informazioni/comunicazioni dovute per legge, poiché i relativi costi (certi e facilmente calcolabili) possono agevolmente rientrare nei costi industriali generalizzabili, salvo non comprendere il motivo per cui tale divieto in un caso (art. 127-bis, comma 1, t.u.b.) si riferisca solo alle comunicazioni telematiche e in un altro caso (art. 126-ter t.u.b. sui servizi di pagamento) operi per tutte le modalità di comunicazione56, sia 2) il motivo per cui, a fronte di specifiche e (per così dire) atipiche richieste di un singolo cliente57, la banca possa chiedere, a quel determinato cliente, un rimborso spese. Un po’ più difficile è invece comprendere perché alcune norme sulla

dell’analisi, un’impostazione che discerna le remunerazioni dai costi e le diverse tipologie di questi ultimi non pare essere stata seguita nell’introduzione e nel complessivo lavoro di Inzitari e Dagna, Commissioni, cit., trovandosi spesso problematiche diverse affrontate congiuntamente. 56 Differenza giudicata priva di spiegazione razionale da Mirone, Sistema, cit., p. 396. 57 Le c.d. comunicazioni ulteriori, o più frequenti, o da realizzare con strumenti diversi da quelli previsti nel contratto. Resterebbe semmai da comprendere meglio cosa si intenda per comunicazioni “ulteriori” (forse di contenuto ulteriore, più dettagliato, o comunque diverso rispetto a quello standardizzato e dovuto per legge), oppure con strumenti “diversi da quelli previsti dal contratto”: anche qui, facendo fatica ad immaginare che una banca sia obbligata a comunicare con un proprio cliente tramite qualunque modalità (per quanto strana) egli possa scegliere, sembra ragionevole indurre che anche queste modalità di comunicazione, ulteriori e da rimborsare specificamente, debbano comunque essere previste dal contratto (cioè essere preventivate e concretamente realizzabili dalla banca). Oppure sono richieste che la banca non è obbligata a rispettare.

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“gratuità” (leggi: sulla distribuibilità generalizzata dei relativi costi) di certe attività siano derogabili in presenza di (macro)imprese e professionisti (e perché mai nei servizi di pagamento). Se è corretto che il criterio (oggettivo) legittimante delle predette norme si basa sulla generalizzabilità dei costi, non si vede perché distinguere tra categorie di clientela, visto che quest’ultimo elemento discretivo (soggettivo) solitamente risiede in un maggiore/minore bisogno di protezione del soggetto considerato58. Il legislatore ritiene forse che micro-imprese e consumatori non sarebbero in grado di comprendere quelle clausole contrattuali che ponessero a loro carico un onere di rimborso spese (pur sempre commisurato ai costi effettivi)? Sicuramente l’assenza di clausole siffatte (che peraltro non parrebbero avere alcuna portata vessatoria) semplifica la struttura di costo del servizio bancario e quindi la comprensibilità dello stesso, ma giustifica anche un incremento indiretto dei prezzi per i consumatori (e non solo)59. Onestamente non si percepisce una particolare esigenza di tutela dei consumatori su questo punto, sembrando più corretto seguire una sola logica: o quella oggettiva dei costi, sopra indicata, o quella soggettiva delle categorie di clientela. Allo stesso modo, non è

58 A conclusioni simili pare giunto (se abbiamo ben compreso) anche Mucciarone, La liceità, cit., anche se c’è l’impressione che quella che pare essere la sua tesi cardinale sul punto (e cioè che «proibire le spese per attività non caratterizzanti [l’operazione] significa mantenere sulla banca il rischio di non coprire i corrispondenti costi; e ciò stimola all’esatto adempimento dell’obbligazione principale») rischi, come si suol dire, di provare un po’ troppo. Per un verso, perché la visione del divieto di recuperare i costi quale incentivo all’esatto adempimento potrebbe essere applicata anche alle cd. attività straordinarie/evitabili dal cliente, il che però parrebbe eccessivo. Per altro verso, perché quella visione sembra superare una certa misura di correlazione tra attività svolta dalla banca e relativo costo/remunerazione, e quindi, in fondo, una misura di proporzionalità della “sanzione”; detto con altre parole, non vi è certezza che, se il corrispettivo è separato dalle spese, queste possano essere tutte recuperate anche dalla banca inadempiente (forse dipende da qual è l’obbligazione non adempiuta) e pertanto che la loro gratuità (=inclusione nel corrispettivo) incrementi per definizione la qualità del servizio. Parrebbe preferibile un criterio di generalizzabilità industriale delle spese, ma la differenza è sottile e forse, in fondo, stiamo approvando la medesima soluzione con parole diverse. 59 Se infatti la banca può chiedere delle spese a macro-imprese/professionisti, ma non a consumatori/micro-imprese, la conseguenza è che i costi industriali delle attività svolte a favore di queste ultime categorie si traducono in aumenti dei prezzi dei servizi pagati da tutte le categorie di clientela, comprese le macro-imprese/professionisti; infine, che queste ultime categorie debbano sopportare, oltre ai costi ad esse direttamente attribuibili, anche (in parte) i costi di attività svolte a favore dei soli consumatori/microimprese potrebbe non sempre risultare equo.

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facile comprendere perché la derogabilità delle suddette normative possa consentire di superare lo stesso limite dei costi e, a parità di attività, includere un lucro, trasformando la voce di costo in una commissione; probabilmente ciò potrebbe risultare più logico in presenza di quelle richieste “ulteriori” della clientela (a prescindere dal fatto che provengano da consumatori o imprese) che richiedono la strutturazione di un particolare servizio di elaborazione a “valore aggiunto” di determinate informazioni da parte delle banche. Sulla problematica della “gratuità” di alcune attività svolte dalle banche grava, vista anche la frequenza con cui tali norme vengono emanate, un’altra considerazione, inerente sia alla tempistica di inserimento nell’ordinamento di siffatte norme, sia agli effetti di queste ultime sui rapporti contrattuali esistenti. Se è infatti normale che la “gratuità” di alcune attività, pur sempre gravate di costi industriali, non può che riflettersi, in una logica imprenditoriale, sui prezzi del servizio a carico di tutta la clientela, ne dovrebbe conseguire che: 1) o la banca sa in anticipo che determinate attività devono essere gratuite per il singolo cliente, così da poter considerare ed includere i relativi costi nel corrispettivo dei rapporti futuri (generalizzati, o specifici al servizio/prodotto interessato), oppure 2) l’introduzione ex novo di una siffatta normativa in un preesistente quadro normativo e contrattuale/commissionale delle banche che tale “gratuità” non prevede (e nel quale pertanto quelle determinate attività, nei contratti in essere, erano a pagamento) comporta dei mancati guadagni sui contratti in essere che richiedono di essere recuperati. Ne consegue la necessità di considerare queste nuove normative60 alla stregua di un giustificato motivo ex art. 118 t.u.b.; diversamente il consequenziale incremento dei prezzi opererebbe solo sul ristretto ambito della nuova clientela, con maggiori aumenti marginali, e onestamente ciò non parrebbe né equo, né protettivo verso quei pochi clienti. La regola invece secondo la quale devono essere gratuite le comunicazioni alla clientela, ai sensi dell’art. 118 t.u.b., di variazioni unilaterali delle condizioni contrattuali (benché tali variazioni non siano oggettivamente preventivabili), sembra fondarsi su una sorta di “contrappasso” equitativo,

60 Salvo, in linea generale, voler qualificare la normativa sulla trasparenza bancaria finalizzata non (solo) alla maggior tutela della clientela ma (anche) alla diminuzione degli introiti delle banche, il che però, evidentemente, muterebbe il quadro concettuale di riferimento.

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visto che tale ius variandi è solitamente sfavorevole per il cliente. L’ultimo esempio di norme sulla “gratuità” è quello in tema di chiusura (anche per estinzione anticipata) di mutui/rapporti e di portabilità dei finanziamenti; in questi casi, ferma restando una certa (consueta) disomogeneità normativa, l’intento del legislatore pare essere di favorire comprensibilmente la mobilità della clientela e quindi la concorrenza, potendo valere le considerazioni sopra svolte in merito sia alla necessità per le banche di preventivare i relativi costi e includerli nei corrispettivi dei corrispondenti servizi, sia alla possibilità di ricorrere allo ius variandi.

4. Conclusioni. Come detto in sede di apertura, abbiamo voluto fornire degli spunti di riflessione (alcuni a favore delle banche, altri contro le stesse e speriamo molti a favore di tutti), confidando che si aprano dei momenti di sereno confronto. Le osservazioni critiche qui formulate non comportano assolutamente un giudizio negativo sulla trasparenza bancaria, ma al contrario si fondano sulla fiducia verso evoluzioni migliorative della stessa; si pensi, ad es., ad una maggiore standardizzazione – e concentrazione – delle informazioni essenziali da fornire alla clientela (non dimenticando l’utilità di sinergie tra diritto e psicologia, contro le trappole d’irrazionalità che la mente umana tende a se stessa), al fine di favorire la loro confrontabilità e la concorrenza tra banche; oppure al tema dell’“adeguatezza” dei contratti bancari classici/finanziamenti61 che andrebbe anche contemperato con la prospettiva (di cui molto si parla, ma non facile né rapida da attuare) dell’“educazione finanziaria” della clientela, la quale, a fronte di un maggiore livello di consapevolezza, comporterebbe anche la comprensione ed accettazione da parte della clientela stessa di una maggiore dose di rischi e, quindi, di una possibile minore tutela giuridica. Affrontare queste nuove prospettive con spirito

61 Tema molto delicato, dovendosi stabilire se e quali regole la banca debba seguire, diverse e ulteriori rispetto a quelle già esistenti di sana e prudente gestione, senza sfociare in generalizzati, non formalizzati, rischiosi (e gratuiti?) servizi di consulenza. Difatti, se nel mondo dei servizi di investimento (dove questa regola già opera da anni) può patologicamente venir meno l’investimento del cliente, nel settore dei finanziamenti può prodursi una sorta di “doppio danno” alla banca, rappresentato dal passaggio “in sofferenza” del finanziamento e dal correlato possibile risarcimento dei danni.

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laico e volto alla creazione di un’architettura normativa piÚ efficiente e armonizzata non potrà che apportare benefici sistemici.

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Questioni vecchie e nuove in materia di procedure di sovraindebitamento I TRIBUNALE DI PISTOIA, decreto 19 novembre 2014; Giud. est. Garufi Procedure di sovraindebitamento – Accordo di composizione della crisi – Collegamento con altra procedura concorsuale – Fattispecie Procedure di sovraindebitamento – Accordo di composizione della crisi – Società con soci illimitatamente responsabili – Proposta congiunta della società e dei soci – Contenuto – Mancata distinzione delle masse attive e passive dei diversi debitori – Ammissibilità – Fattispecie Procedure di sovraindebitamento – Accordo di composizione della crisi – Distinzione dei creditori in classi – Creditori destinati ad essere integralmente pagati in altra procedura – Inserimento in una classe distinta non destinataria di pagamenti e priva del diritto di voto – Ammissibilità – Fattispecie (L. 27 gennaio 2012, n. 3, disposizioni in materia di usura e di estorsione nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento, art. 7) Procedure di sovraindebitamento – Accordo di composizione della crisi – Attivo messo a disposizione dei creditori – Esclusione di una parte dei beni del debitore – Ammissibilità della proposta (C.c. art. 2740; l. 27 gennaio 2012, n. 3, art. 7,8)

È ammissibile un accordo di composizione della crisi strutturato come complemento di altra procedura concorsuale (nella specie, i soci accomandatari di una società in accomandita semplice, ammessa a concordato preventivo, avevano presentato, in proprio e come soci di una diversa società semplice, una proposta di accordo connessa sotto diversi aspetti all’esecuzione del concordato preventivo). (1) È ammissibile un accordo di composizione della crisi proposto congiuntamente da una società semplice e dai suoi soci illimitatamente re-

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sponsabili nel quale non si preveda la distinzione fra le masse attive e passive dei diversi debitori (nella specie, era contemplato sia il pagamento di crediti privilegiati nei confronti di uno dei soci con il ricavato della vendita dei beni della società e dei soci sia il pagamento dei creditori chirografari personali dei soci, considerati in blocco, con il ricavato della vendita dei beni personali dei soci, anch’essi considerati in blocco). (2) È ammissibile la proposta di accordo di composizione della crisi che preveda una classe distinta di creditori destinati ad essere soddisfatti in altra procedura e privi, in relazione a ciò, del diritto di voto (nella specie, si trattava dei creditori di una società in accomandita semplice ammessa a concordato preventivo con previsione di soddisfacimento integrale, ritenuti, in relazione a ciò, sostanzialmente privi di interesse nella procedura di accordo proposta, in proprio, dai soci illimitatamente responsabili della accomandita). (3) È ammissibile una proposta di accordo di composizione della crisi che preveda l’esclusione di una parte dei beni del proponente dall’attivo messo a disposizione dei creditori. (4) II TRIBUNALE DI ASTI, decreto 18 novembre 2014; Giud. est. Francioso Procedure di sovraindebitamento – Accordo di composizione della crisi – Crediti ipotecari – Previsione del pagamento non integrale e non immediato – Inammissibilità della proposta - Fattispecie (C.c. art. 2741; l. 27 gennaio 2012, n. 3, art. 7, 8)

È inammissibile la proposta di accordo di composizione della crisi che non preveda il pagamento integrale (salva l’ipotesi dell’art. 7, co. 1, della l. n. 3/2012) e immediato (salva la moratoria di cui all’art. 8, co. 4 della stessa legge) dei crediti ipotecari. (5) I (Omissis) FATTO E DIRITTO Il Giudice, sciogliendo la riserva di cui a verbale di udienza di comparazione del 4.11.14, rilevato che i sig. X e Y, nati a rispettivamente il … e il …, resi-

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denti in …, via …, 3, in proprio e quali soci della Società Agricola Z s.s., corrente in …, via …, assistiti dall’avv. Tommaso Stanghellini, con ricorso depositato il 27.2.14, hanno proposto ai creditori un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento chiedendo


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la nomina di un professionista per lo svolgimento delle funzioni attribuite all’organismo di composizione della crisi ai sensi dell’art. 15 L. 3/12; a seguito del deposito dell’attestazione di fattibilità da parte dell’O.C.C., dott. Sandro Venturi, il Giudice Delegato alla procedura, ritenuto che la proposta come integrata con atto del 29.5.14, soddisfacesse i requisiti previsti dagli artt. 7, 8 e 9 della L. 3/2012, ha fissato l’udienza di comparizione, a tale udienza, tenutasi il 4.11.2014, in presenza dei ricorrenti che hanno insistito per l’omologa, l’O.C.C. si è riportato all’attestazione definitiva di fattibilità del piano ex art. 12 co. 1 confermandola; a seguito di ampia discussione, è stato concesso un termine di giorni 15 all’O.C.C. per integrare l’attestazione e ai ricorrenti per il deposito di memoria conclusiva, depositate entrambe il 13.11.14; osserva quanto segue. In primo luogo risultano sussistenti i presupposti soggettivo, oggettivo e di corredo documentale di accesso alla procedura (artt. 7, 8 e 9 della L. 3/2012), già valutati del resto in sede di emissione del decreto ex art. 12 bis, co. 1 per cui, in assenza di contestazioni, non si richiede alcuna ulteriore valutazione in sede di omologa. Trattasi nel caso di specie di impresa agricola non soggetta a altre procedure concorsuali che non ha mai fatto ricorso nel passato a procedure

di composizione della crisi. A soli fini di completezza pare opportuno evidenziare la legittimità della scelta effettuata dai proponenti di farsi assistere da propri professionisti per il confezionamento della proposta di accordo e riservare al professionista nominato dal Tribunale la valutazione e attestazione di fattibilità. Tale modalità procedurale pare discostarsi dal modello normativo previsto, che però non sembra cogente sul punto: infatti l’art. 7, co. 1 L. 3/12 prevede che “Il debitore in stato di sovraindebitamento può proporre ai creditori, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi di cui all’art. 15 … un accordo di ristrutturazione dei debiti...”; l’art. 9 al I comma prevede il deposito della proposta di accordo presso il tribunale territorialmente competente e al II comma impone il deposito unitamente alla proposta dell’attestazione sulla fattibilità del piano. Dunque secondo la previsione normativa il debitore che voglia accedere a tal procedura può limitarsi a chiedere la nomina di un professionista che svolga le funzioni di O.C.C. e aspettare che quest’ultimo predisponga la proposta di accordo e l’attestazione di fattibilità, il cui deposito è obbligatorio al momento in cui venga depositata la proposta di accordo finalizzata all’attivazione da parte del G.D. del meccanismo di votazione di cui agli art. 10 e 11 L. 3/12. Ma nessuna previsione vieta

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che al momento in cui si chiede la nomina dell’O.C.C., venga già depositata una proposta di accordo, salva ogni eventuale successiva modifica fino al momento in cui questa non sia portata a conoscenza dei creditori, come appunto avvenuto nel caso di specie. Per quanto riguarda le condizioni dell’omologa l’art. 12 L. 3/12 prevede che il giudice debba verificare, oltre al raggiungimento nella votazione da parte dei creditori di una maggioranza favorevole del 60%, l’integrale pagamento dei crediti impignorabili e dei crediti di cui all’art. 7, co. 1 L. 3/12 (tributi costituenti risorse proprie della comunità europea, IVA e ritenute operate e non versate) e, nel caso di opposizione, la convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda della L. 3/12. Venendo all’analisi del contenuto della proposta, premesso che la proposta ha raggiunto il consenso da parte di oltre il 76% dei creditori, nel caso in esame non sussistono crediti impignorabili ed è previsto il pagamento integrale dei crediti IVA entro il termine di 36 mesi (con pagamento parziale a 24 mesi), moratoria da ritenersi del tutto legittima in virtù della previsione di cui all’art. 7, co. 1 3° periodo L. 3/12. Nessuna contestazione è stata invece sollevata da alcuno dei creditori. Per quanto più in generale attiene alla fattibilità del piano si os-

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serva che la proposta prevede la liquidazione dell’attivo della società (piante e coltivazioni destinate alla vendita – c.d. soprasuolo – crediti verso l’erario e disponibilità liquide) e la liquidazione parziale dei beni di proprietà dei soci X e Y (immobili, beni mobili registrati e liquidità) oltre all’incameramento di finanza esterna proveniente dalla procedura di concordato preventivo dell’Azienda Agricola W & C. s.a.s. per €. 1.000.000,00 il tutto finalizzato al pagamento dei creditori suddivisi in 5 classi. Sull’articolazione del piano pare opportuno riportare le osservazioni dell’O.C.C. che nella sua relazione ha evidenziato quanto segue. “Per quanto riguarda l’attivo, viene prevista la seguente scansione temporale: • Per il “soprasuolo” viene ritenuta ragionevole una integrale cessione nel termine di 24/30 mesi, a partire dal decreto di ammissione ex art. 10 L. 3/2012; • Per i beni immobili si stima la cessione integrale nel termine di 36 mesi dal citato decreto; • Per i beni mobili (moto, autovettura, imbarcazione, ecc.) i ricorrenti ritengono ragionevole che il ricavato possa essere acquisito entro il termine di 12 mesi; • Per il surplus proveniente dalla procedura di concordato preventivo dell’“Azienda Agricola S.a.s.”, se ne prevede l’incasso


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entro 48 mesi”. “Le classi, con il rispettivo trattamento proposto, sono le seguenti: Classe 1. Costituita dai crediti prededucibili, da interpretarsi come “… sorti in occasione o in funzione di uno dei procedimenti di cui alla presente sezione…” (art. 13, comma 4-bis, L. 3/2012), sono i seguenti: - Compenso al professionista, facente funzioni di O.C.C.: Euro 60.000,00, oltre accessori, pari a Euro 76.128,00; - Compenso ai consulenti dei ricorrenti (Avv. Tommaso Stanghellini, Dott. Marco Vescovi Verdiani e Dott. Sandro Cordovani): Euro 65.000,00 oltre accessori, pari a Euro 81.572,00; - Compenso al liquidatore: Euro 15.000,00 oltre accessori, pari a Euro 19.032,00; - Spese di gestione della procedura: Euro 5.000,00. Per i suddetti creditori è previsto l’integrale pagamento entro il termine di 36 mesi dal decreto ex art. 10 L. 3/2012, con il ricavato della vendita dei beni sociali e personali dei soci. Detti creditori, ai sensi del richiamato art. 13, comma 4-bis, L. 3/2012 dovranno essere soddisfatti “…con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno ed ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti”. I creditori in questione non hanno diritto al voto. Classe 2. Costituita dai credito-

ri privilegiati della “Società Agricola Z s.s.”, pari a Euro 791.826,79 (cui si aggiunge nell’attestazione definitiva di fattibilità il creditore ipotecario del socio X, Banca MPS, per Euro 153.104,59). Per i creditori in questione, che non hanno diritto al voto, il piano prevede l’integrale pagamento nel termine di 36 mesi dal decreto ex art. 10 L. 3/2012, con il ricavato della vendita dei beni dei soci e dei beni sociali (ma, come si dirà poi, occorrerà anche parte del surplus proveniente dalla procedura di concordato preventivo dell’Azienda Agricola W & C. s.a.s.). In aggiunta al suddetto importo, sono stati calcolati i futuri interessi legali, nella misura presumibile di Euro 35.000,00 (poi corretto a 40.000,00 nell’attestazione definitiva di fattibilità). Il sottoscritto ritiene anche opportuno appostare un fondo rischi generico per far fronte a eventuali sopravvenienze di creditori privilegiati, per un importo di Euro 20.000,00. Classe 3. Costituita dai creditori chirografari della società semplice e dai creditori chirografari personali dei soci Sigg.ri X e Y, per complessivi Euro 3.803.493,88. Il piano ne prevede il soddisfacimento nella misura del 19% (ridotta dall’O.C.C. prima del 17% e poi al 15% nell’attestazione definitiva) entro il termine d 48 mesi dal decreto ex art. 7 L. 3/2012, attraverso la vendita dei beni personali dei soci e con parte del surplus pro-

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veniente dalla procedura di concordato preventivo dell’“Azienda Agricola W & C. Sas”. Essi hanno diritto di voto. Classe 4. Costituita dai creditori personali chirografari dei Sigg.ri X e Y, per garanzie rilasciate congiuntamente a favore della “… Srl” (Euro 1.457.755,36) e della “… Srl” (Euro 218.347,00). In questa classe viene altresì collocato il creditore solidale dei suddetti fratelli Sig. X e Y per un riconoscimento di debito di complessivi Euro 800.000,00. Per questi creditori, che ammontano quindi a Euro 2.476.102,36 viene prevista una percentuale di soddisfacimento del 19% (ridotta dall’O.C.C. prima del 17% e poi al 15% nell’attestazione definitiva), da pagarsi con parte del surplus proveniente dalla procedura di concordato preventivo dell’“Azienda Agricola W & C. Sas”. Essi hanno diritto di voto. Classe 5. In questa classe è collocato il credito vantato dalla “Cassa di Risparmio di Orvieto”, pari a Euro 357.955,00, per garanzie rilasciate dai Sigg.ri X e Y, nonché dall’“Azienda Agricola W & C. S.a.s.”.Per tale credito è previsto l’integrale pagamento da parte della procedura di concordato preventivo di quest’ultima società. Per tale motivo è previsto il pagamento nella misura del 5%, mediante il parziale utilizzo del surplus proveniente dall’anzidetta procedura di concordato preventivo. Il creditore ha diritto di voto.

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Classe 6. Costituita dai creditori dell’“Azienda Agricola W & C. S.a.s.” che, in virtù del vincolo di sussidiarietà, risultano anche creditori solidali nei confronti dei Sigg.ri X e Y. Tali creditori, che ammontano complessivamente a Euro 6.714.458,45, vengono collocati in apposita classe di creditori “estranei” all’accordo, in quanto se ne prevede l’integrale soddisfacimento nella procedura di concordato preventivo della società debitrice. Non avendo alcun interesse alla presente procedura di sovraindebitamento, i creditori non hanno diritto di voto ma, eventualmente, potranno proporre opposizione ai sensi dell’art. 12, comma 2 secondo periodo, della L. 3/2012, in qualità di “altro interessato”. La peculiarità della presente procedura sta nella circostanza che essa si trova ad essere legata ad altre procedure concorsuali sotto diversi profili. In primo luogo vi è la previsione di piano secondo cui una consistente parte dell’attivo messo a disposizione dei creditori deriva dall’esecuzione del concordato preventivo proposto dalla Azienda Agricola W & C. & C. s.a.s., omologato il 26.6-2.2.14. E tale interferenza qui si atteggia come vera e propria pregiudizialità-dipendenza fra la procedura concordataria e quella da sovraindebitamento. Infatti secondo gli ultimi aggiornamenti dell’attestazione di fattibilità depositata dal dott. Sandro Ven-


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turi il passivo della Società Agricola Z s.s. e dei suoi soci X e Y ammonta ad €. 14.422.489,91 (di cui €. 1.005.067,34 per crediti privilegiati) mentre l’attivo della procedura in esame ammonta ad €. 1.140.487,00 oltre la somma di €. 1.000.000,00 quale finanza esterna derivante appunto dalla procedura di concordato. Sicchè detratto l’importo necessario a coprire le spese di procedura, quantificate in €. 181.732,00 senza la finanza esterna non verrebbero pagati integralmente neanche i creditori privilegiati. In tale situazione risulta pertanto particolarmente rilevante l’attestazione di fattibilità dell’O.C.C. proprio sotto l’aspetto della probabilità di realizzazione nell’ambito della procedura concordataria del surplus necessario alla procedura da sovraindebitamento; infatti mentre nella prima procedura il suddetto evento rappresenta un fatto meramente accidentale, sicché non necessita di alcuna particolare verifica né da parte del professionista attestatore né da parte del Tribunale, per la procedura da sovraindebitamento esso è indispensabile. Sul punto appaiono esaustive e condivisibili le considerazione espresse dall’O.C.C. nella prima attestazione di fattibilità e in quella definitiva come integrata il 13.11.14: “Per quanto concerne il surplus derivante dalla procedura di concordato preventivo “Azienda Agri-

cola W & C. Sas”, occorre anzitutto ricordare che esso è legato, per patto concordatario, all’avverarsi delle seguenti condizioni: a) Che il concordato preventivo dell’“Azienda Agricola W & C. S.a..s” sia omologato; b) Che i creditori della “Società Agricola Z s.s.” e dei soci Sigg.ri X e Y accettino la presente proposta di accordo di ristrutturazione ex L. 3/2012; c) Che sia stata preventivamente soddisfatto, nel concordato preventivo dell’“Azienda Agricola W & C. S.a.s.”, il credito ipotecario vantato dal “Credito Cooperativo della Valdinievole”. Il credito deriva da un mutuo edilizio di Euro 200.000,00, stipulato in data 2.10.2013 (rog. Notaio Lorenzo Zogheri di Pistoia), da rimborsare nel termine di tre anni, mediante pagamento di un’unica rata comprensiva di capitale e interessi (Euribor 6 mesi + spread del 4% TAEG 4,393%). Il debito è garantito da ipoteca di primo grado per la somma di complessivi Euro 400.000,00, iscritta sui beni immobili individuati nel lotto A, sub-lotto e, della perizia di stima dell’Arch. Rauty. Si allega, a tal proposito, apposito prospetto con l’individuazione dei singoli immobili e i rispettivi valori attribuiti in perizia (v. all. n. 11). Come già ricordato, il sottoscritto ha inoltre provveduto ad acquisire la relazione giurata del Geom. Luciano Angeli del 18.02.2014 (v.

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all. n. 12), concernente la verifica della conformità urbanistica degli immobili in questione. Da tale relazione non emergono sostanziali impedimenti alla commerciabilità dei beni. Per quanto concerne la messa a disposizione del surplus da parte del concordato preventivo dell’“Azienda Agricola W & C. Sas”, deve tenersi conto del fatto che, per patto concordatario espresso, esso dovrà derivare dalla vendita dei suddetti beni immobili ipotecati dal “Credito Cooperativo della Valdinievole”, una volta rimborsato il mutuo sopra ricordato. La stima dei beni immobili in questione, eseguita dall’Arch. Rauty ammonta a complessivi Euro 1.688.780,00 come confermata dal professionista attestatore ex art. 161 L.F. Dott. Alberto Busi e dal commissario giudiziale del concordato preventivo dell’“Azienda Agricola W & C. Sas”, Dott. Franco Michelotti. L’ammontare complessivo del debito, comprensivo di interessi, alla scadenza dei tre anni può essere prudenzialmente stimato in Euro 227.000,00 (Euro 200.000,00 per capitale ed Euro 27.000,00 per interessi, al tasso del 4,5% annuo per tre anni). Al netto del debito da rimborsare, in prededuzione, al “Credito Cooperativo della Valdinievole” e pur nella considerazione dell’inevitabile alea legata alla liquidazione, il margine è tale da ritenere ragionevole l’ipotesi del realizzo del surplus nella misura

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prevista nel piano, pari a Euro 1.000.000,00.” “Ciò precisato, e considerato che due delle condizioni necessarie per la destinazione del surplus (ovvero: l’omologa del concordato preventivo dell’“Azienda Agricola Sas” e l’accettazione dell’accordo di ristrutturazione ex L. 3/2012, proposto dalla “Società Agricola Z s.s.” e dei soci X e Y, da parte dei creditori) si sono nel frattempo già avverate, possiamo affermare che la corresponsione del surplus di Euro 1.000.000, che potremmo definire “marginale” ha, come unici postulati: a) l’integrale pagamento di tutti i creditori da parte della procedura di concordato preventivo dell’Azienda Agricola W & C. Sas”, ipotesi che, come si è già avuto modo di esporre, appare allo stato verosimile, in considerazione del “margine di sicurezza” già evidenziato dal commissario giudiziale; b) che il “margine di sicurezza”, o surplus generico, risulti pari o superiore a Euro 1.000.000,00. Anche in questo caso si ritiene di aver già implicitamente risposto, in senso affermativo, al precedente punto 1.2. Infatti, anche nell’ipotesi di una ulteriore prevedibile svalutazione delle quotazioni immobiliari nell’ordine del 10%, il “margine di sicurezza” si ridurrebbe da Euro 4.313.569,41 ad Euro 3.068.231,58. Il differenziale


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positivo resta comunque sufficientemente ampio da ritenere ragionevolmente fattibile l’ipotesi di un surplus superiore a Euro 1.000.000,00, nell’ambito della procedura di concordato preventivo dell’“Azienda Agricola W & C. sas”; c) che il surplus “marginale” di Euro 1.000.000,00, da destinare alla procedura di sovraindebitamento, derivi dalla vendita dei beni immobili individuati nel lotto A, sub-lotto “e”, della perizia di stima dell’Arch. Rauty, una volta soddisfatto il credito ipotecario vantato dal “Credito Cooperativo della Valdinievole”. L’elenco dei beni in questione, stimati in complessivi Euro 1.686.980,00, è già stato allegato all’attestazione provvisoria v. allegato n. 11 ma, per maggiore comodità, si allega anche alla presente relazione (v. allegato n. 2). In aggiunta alle considerazioni già svolte nella predetta attestazione (v. pag. 50), è ragionevole ipotizzare la fattibilità dell’ipotesi in esame anche tenendo conto dell’ulteriore probabile riduzione delle quotazioni immobiliari del 10% cui si è fatto riferimento in precedenza. Occorre infatti, innanzitutto tener presente che il credito vantato dal “Credito Cooperativo della Valdinievole”, assistito da garanzia ipotecaria di primo grado sugli immobili de quibus, essen-

do in prededuzione, potrà ben essere soddisfatto anche con il surplus “generico”, come quantificato al precedente punto b, ed eventualmente anche con i canoni di locazione pagati dalla “.. S.r.l.”. Ad ogni buon conto, quand’anche si volesse ipotizzare il soddisfacimento della banca attraverso il solo retratto della vendita dei beni ipotecari dal suddetto Istituto di credito, pur applicando l’ulteriore svalutazione prudenziale del 10%, si avrebbe comunque un ulteriore “margine di sicurezza” di circa 500.000. In altri termini, il surplus “marginale” destinato alla procedura di sovraindebitamento inizierebbe ad essere intaccato soltanto qualora il ricavato dei beni in questione subisse una riduzione superiore al 40% dell’attuale valore di stima. Il che non appare, allo stato, ragionevolmente ipotizzabile. Ciò posto, si ritiene pertanto verosimile che tutti i postulati sub a, b, e c, possano essere realizzati e che, pertanto, l’ipotesi della destinazione del surplus in favore della procedura di sovraindebitamento è attendibile e fattibile.” In conclusione, la verifica di fattibilità appare effettuata con esito positivo nel senso che il piano proposto appare in concreto realizzabile. Ulteriore aspetto di interferenza riguarda la posizione dei sigg.

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ri X e Y, soci della Società Agricola Z s.s. che rivestono anche la qualifica di soci illimitatamente responsabili della Azienda Agricola W & C. s.a.s. e di fideiussori della stessa. È noto che l’art. 184, co. 2 L.F. prevede un’estensione a favore dei soci degli effetti modificativi dei rapporti obbligatori sociali, nel senso che per le obbligazioni sociali anche i soci illimitatamente responsabili, come la società, sono tenuti nei limiti del trattamento satisfattorio previsto dal piano e vengono liberati con l’esecuzione dello stesso, operando per altro il beneficio della preventiva escussione, per cui resta inibita l’azione dei creditori sul patrimonio dei soci prima dell’esecuzione del concordato. Il tutto salvo patto contrario. Mentre il momento in cui tale effetto si verifica può essere individuato nell’omologa del concordato. Il che significa che nella procedura di sovraindebitamento allestita dai soci illimitatamente responsabili della società il cui concordato sia stato omologato potranno appostare i debiti sociali di cui rispondono personalmente nei limiti di cui alla falcidia concordataria. L’inconveniente che ne deriva sta nell’obbligo di appostamento di risorse (che altrimenti potrebbero essere diversamente utilizzate) magari anche ingenti fino a quando non sia data compiuta esecuzione al concorda-

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to. Proprio al fine di evitare tale spiacevole conseguenza è stato autorevolmente ritenuto che “Non sembra, allora, implausibile una soluzione che consenta la creazione di una classe di creditori sociali irrilevante rispetto al calcolo della maggioranza e senza diritto al voto (del resto, il voto di chi trova soddisfazione esterna potrebbe valutarsi come deresponsabilizzato), in quanto destinata ad essere soddisfatta non nell’ambito della procedura di sovraindebitamento, ma direttamente in quella concordataria. In definitiva, si tratterebbe di creditori “estranei” (categoria ormai non ignota anche nel concordato preventivo) rispetto ad una procedura elettivamente diretta alla ristrutturazione dei debiti personali, in quanto i crediti sociali trovano la sede di composizione naturale nel collegato concordato della società”. Tale soluzione è stata appunto utilizzata nel piano posto alla base della proposta di accordo in esame, collegata appunto a una procedura concorsuale – concordato preventivo già omologato – della s.a.s. rappresentata da X e Y, che prevede peraltro il pagamento integrale dei suoi creditori anche chirografari. Dove la classe 6 raccoglie appunto i creditori della s.a.s. trattati come estranei. Ricorre però una ulteriore peculiarità nel piano in esame: X e Y sono anche fideiussori della


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s.a.s. che rappresentano a favore di creditori (banche) per oltre €. 2.600.000,00. Ma il piano non prevede alcun appostamento per tali creditori sul presupposto che il rapporto societario dei sigg.ri X e Y prevalga rispetto a quello fideiussorio, sicché gli stessi potranno beneficiare dell’effetto esdebitatorio di cui all’art. 184, co. 2 L.F. derivante dall’omologa del concordato della s.a.s., secondo un orientamento, per la verità datato, della giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U. 3749/89). Tuttavia, a parere di chi scrive, non appare condivisibile la tesi secondo cui l’art. 184, co. 1 L.F. si applicherebbe solo ai terzi che siano fideiussori, perché allora verrebbe ad essere assolutamente marginale l’interesse dei finanziatori di una società a munirsi di fideiussione personale da parte dei legali rappresentanti della società stessa, garanzia su cui per l’appunto dovrebbero poter contare proprio nell’ipotesi di crisi della società e dunque anche in presenza di procedure concorsuali alternative. Parrebbe piuttosto che proprio la qualifica di fideiussori dovrebbe prevalere rispetto a quella dei soci illimitatamente responsabili. Peraltro la Suprema Corte ha avuto occasione di pronunciarsi anche nel senso ora indicato (cfr. Cass. 26012/07) e il dibattito dottrinario e giurisprudenziale non appare sopito. Ad ogni modo si osserva che nel caso in esame nessun dei cre-

ditori della s.a.s. in concordato garantiti da fideiussione personale di X e Y ha proposto opposizione alla procedura in esame. E tale scelta, essendo incompatibile con la volontà di mantenere inalterata la loro garanzia, pare integrare una sorta di rinuncia tacita della fideiussione. Del resto, come già rilevato, il concordato dell’Azienda Agricola W & C. s.a.s. offre il pagamento integrale, seppur dilazionato, ai suoi creditori. E l’affidamento sulla realizzazione di tale obiettivo è verosimilmente alla base di tale scelta. Infine, pare del tutto legittima, per mancanza di disposizione contraria, l’esclusione dall’attivo messo a disposizione dei creditori sociali e personali di parte dei beni personali di X e Y, e segnatamente delle partecipazioni all’Azienda Agricola W & C. s.a.s. (pari al 49% per il primo e al 50% per il secondo) dalla cui procedura di concordato teoricamente potrebbe residuare un attivo di oltre €. 2.000.000,00. In conclusione, paiono sussistere i presupposti previsti dalla legge per l’omologazione dell’accordo proposto da X e Y, in proprio e quali soci della Società Agricola Z s.s. Per quanto attiene alle modalità esecutive, considerando che per la soddisfazione dei crediti verranno utilizzati anche beni già sottoposti a pignoramento (per la verità già liquidati nel corso delle pro-

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cedure esecutive sospese prima dell’assegnazione delle somme) e che comunque è stato previsto nel piano la nomina del liquidatore ai sensi dell’art. 13, co. 1 L. 3/12, pare opportuno nominare in tale funzione la dott.ssa Sabrina Giovannini. Il liquidatore, quindi, provvederà all’esecuzione del piano sotto la vigilanza dell’O.C.C., che svolgerà le ulteriori funzioni di cui all’art. 13, co. 2 L. 3/2012, in particolare risolverà le eventuali difficoltà che dovessero insorgere nell’esecuzione del piano e vigilerà sull’esatto adempimento dello stesso comunicando ai creditori ogni eventuale irregolarità. Restano riservati al G.D. i provvedimenti di cui al comma 3 dell’art. 13 e la liquidazione del compenso all’O.C.C. ai sensi dell’art. 15, co. 9. P.Q.M. Il Giudice OMOLOGA l’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento proposto da X e Y, in proprio e quali soci della Società Agricola Z s.s., il 27.2.14, come integrato il 29.5.14; NOMINA liquidatore la dott.ssa Sabrina Giovannini. L’organismo di composizione della crisi risolverà le eventuali difficoltà che dovessero insorgere nell’esecuzione del piano e vigilerà sull’esatto adempimento dello stesso comunicando ai creditori ogni eventuale irregolarità.

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DISPONE nei sensi di cui in motivazione per quanto riguarda le modalità di esecuzione del piano. ORDINA la trascrizione del presente decreto nei registri immobiliari, nonché la pubblicazione presso il registro imprese, a cura del liquidatore. (Omissis)

II (Omissis) IL GIUDICE letto il ricorso contenente la proposta di accordo con i creditori ai sensi dell’art. 6 L. 3/12, da valere quale accordo di composizione della crisi ex art. 10 L. 3/12, o in subordine quale piano del consumatore ex art. 12 bis L. 3/2012, da A.; - visto il proprio provvedimento del 22.9.2014 con il quale: 1) sono state sospese ai sensi dell’art. 12 bis L. 3/2012, le procedure esecutive pendenti nei confronti della debitrice; 2) è stato concesso termine di quindici giorni per: a) il deposito della dichiarazione dei redditi 2014 per l’anno 2013; b) la verifica circa il deposito del ricorso presso l’agente della riscossione e gli uffici fiscali e presso gli enti locali ai fini della ricostruzione della posizione fiscale e


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l’indicazione di eventuali contenziosi pendenti; c) presentare integrazioni e modificazioni alla proposta con l’indicazione dei termini di pagamento dei creditori nel rispetto della cause legittime di prelazione; 3) è stata fissata l’udienza del 14.10.2014 per la verifica degli adempimenti di cui ai punti che precedono; - rilevato che con memoria depositata il 6.10.2014 la ricorrente ha dichiarato di non essere in grado di produrre la dichiarazione dei redditi 2014 per l’anno 2013; ha prodotto le ricevute di deposito del ricorso presso l’Agente della Riscossione e presso l’Agenzia delle Entrate; ha dato atto di non apportare modifiche alla proposta di accordo formulato ai creditori e ha specificato che la proposta non prevede la vendita di un bene ipotecato, infatti l’immobile posto in vendita al fine di soddisfare i creditori attraverso il ricavato è quello sito in Milano, via … e censito a Catasto al Foglio n. …., mappale n. …, subalterno n. 43, sul quale non risulta iscritta ipoteca alcuna (e non l’immobile censito in Catasto*, subalterno n. *, cfr. docc. nn. 16-24 sul quale è iscritta ipoteca in favore di Banca CR Asti); - rilevato che all’udienza del 14.10.2014 è comparsa la debitrice, l’organo di composizione

della crisi e due creditori. In particolare, è comparso il creditore Condominio * che ha depositato memoria difensiva e ha espresso voto negativo sulla proposta della debitrice. Alla medesima udienza il Giudice si è riservato di decidere sull’ammissione alla procedura concedendo termine di 30 giorni alla sola debitrice per memorie; - rilevato che con la memoria difensiva del 13.11.2014 la debitrice ha depositato la dichiarazione dei redditi 2014 per l’anno 2013 e ha contestato le allegazioni del Condominio via ….; - ritenuto che la produzione documentale di cui alla memoria del 13.11.2014 risulta tardiva e inammissibile, stante la natura perentoria del termine di cui al comma 3 ter dell’art. 9 L. 3/2012 (id est: il termine di quindici giorni decorrenti dalla comunicazione – avvenuta in data 22.9.2014 – del provvedimento del 22.9.2014); - rilevata l’irritualità di espressione del voto da parte del Condominio, atteso che è stato espresso prima ancora che venisse disposta la convocazione dei creditori (convocazione che, come noto, consegue all’ammissione alla procedura). Infatti, con il provvedimento del 22.9.2014 questo Giudice ha concesso il termine per le integrazioni ex art. 9, comma 3

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ter, L. 3/12, ha fissato l’udienza per la verifica dell’ottemperanza alla richiesta di integrazioni e ha sospeso le procedure esecutive ai sensi dell’art. 12 bis, comma 2, L. 3/12 (cfr. “nelle more della convocazione dei creditori”); - verificato che nella proposta e nella successiva integrazione la ricorrente ha dato atto della propria situazione di sovraindebitamento e dei motivi che l’hanno determinata; ha fornito un elenco dei beni mobili e immobili di cui è titolare; ha indicato le spese necessaria al sostentamento suo e della famiglia; ha fornito l’elenco dei propri creditori specificando la sussistenza di cause legittime di prelazione; ha dichiarato che negli ultimi cinque anni non sono stati compiuti atti di disposizione; ha fornito l’elenco dei contenziosi pendenti; ha indicato la sussistenza di crediti in proprio favore; ha suddiviso i creditori in classi prevedendo per la classe “creditori minori” il pagamento integrale entro ottobre 2015 per la classe “creditori maggiori” il pagamento integrale entro dicembre 2015 per la classe “creditori ipotecari” il pagamento mediante rate trimestrali a partire dal periodo di moratoria pari a un anno dall’omologazione (di cui la debitrice si è avvalsa ai sensi dell’art. 8, comma 4, L. 3/12); ha rappre-

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sentato che per i “creditori privilegiati” a fronte di una riduzione minima del credito da essi vantato e, se pur con la moratoria di un anno, essi in un lasso di tempo comunque sicuramente inferiore alla durata di una procedura esecutiva dall’esito incerto, ricaverebbero certamente di più di quanto otterrebbero dalla vendita giudiziale e senza peraltro sostenere i costi”; ha proposto la possibile costituzione di garanzie in favore dei creditori; in subordine ha presentato la medesima proposta sotto forma di piano del consumatore; - rilevato che, ai sensi degli artt. 10 e 12 bis L. 3/2012, il Tribunale in sede di valutazione di ammissibilità della proposta è tenuto a verificare che la stessa soddisfi i requisiti di cui agli artt. 7, 8 e 9; - ritenuto che la verifica di cui al punto che precede coinvolga il preventivo accertamento, da parte del giudice, dell’idoneità della proposta ad essere inquadrata in una necessaria cornice di legittimità - oltre che meramente formale – anche sostanziale; - rilevato che la proposta non può essere sottoposta all’approvazione dei creditori in quanto non soddisfa i requisiti di legge. In proposito si rileva che, nemmeno a seguito dei chiarimenti richiesti dal Tribu-


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nale, la ricorrente ha prodotto la dichiarazione dei redditi 2014 per l’anno 2013. Risulta, pertanto, che la proposta non è ammissibile, in quanto la documentazione fornita non consente di ricostruire compiutamente la situazione economica e patrimoniale della ricorrente, ai sensi all’art. 7, comma 2, lett. d), L. 3/2012. Come si è detto innanzi, la produzione documentale del 13.11.2014 è inammissibile in quanto versata in atti successivamente allo spirare del termine di decadenza di cui all’art. 9, comma 3 ter, L. 3/2012. Peraltro, indipendentemente dal rispetto del termine per il deposito del documento, la mancanza della dichiarazione dei redditi non consente la ricostruzione della situazione economica e patrimoniale della ricorrente in quanto la stessa avrebbe dovuto essere esaminata dall’attestatore al fine della valutazione sulla fattibilità del piano. Non risulta, tuttavia, depositata alcuna integrazione dell’attestazione a seguito della redazione della denuncia dei redditi del 2014 per l’anno 2013. Sussiste, quindi, l’ulteriore profilo di inammissibilità rappresentato dalla incompleta attestazione in quanto, come si è detto, non vi sono riscontri circa l’ultima dichiarazione dei redditi della ricorrente; - rilevato che emerge, inoltre,

che la proposta risulta formulata in assenza dei presupposti di legge relativamente al trattamento proposto ai creditori privilegiati. In particolare, per i crediti di natura ipotecaria la ricorrente ha dichiarato di avvalersi del termine di un anno di moratoria (dall’omologazione) proponendo la successiva dilazione nel pagamento dei crediti ipotecari: trattasi del credito della Banca CR Asti quantificato in €. 80.000,00 e del credito Banca Carige quantificato in €. 30.000,00 con riferimento ai quali è stato previsto il versamento (a partire dal decorso dell’anno di moratoria ex art. 8, comma 4, L. 3/2012) di rate trimestrali dell’importo rispettivamente di €. 4.000,00 e €. 2.000,00. Risulta, pertanto, che il credito della Banca CR Asti sarebbe pagato integralmente sei anni dopo l’omologazione dell’accordo, ossia nei cinque anni successivi alla scadenza del termine di moratoria di cui all’art. 8, comma 4, L. 3/2012 (€. 80.000,00- credito complessivo – diviso €. 4.000,00 – rata trimestrale – è pari a 20 rate trimestrali che equivalgono a 60 mesi e quindi a 5 anni). Risulta, inoltre, che il credito della Banca Carige sarebbe pagato integralmente 4 anni e 9 mesi dopo l’omologazione dell’accordo, ossia nei 3 anni e 9 mesi successivi alla scadenza del termine di

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moratoria di cui all’art. 8, comma 4, L. 3/2012 (€. 30.000,00 – credito complessivo – diviso €. 2.000,00 – rata trimestrale – è pari a 15 rate trimestrali che equivalgono a 45 mesi e quindi a 3 anni e 9 mesi); - rilevato che il pagamento dilazionato del credito ipotecario proposto in assenza di un accordo concluso con il singolo creditore equivalga a una proposta di soddisfazione non integrale del credito privilegiato; - ritenuto che la previsione del pagamento dei creditori privilegiati mediante dilazione (fino a cinque anni) proposta successivamente al decorso dell’anno di moratoria previsto dall’art. 8, comma 4, L. 3/2012 determina l’inammissibilità del ricorso per carenza dei presupposti di legge, da ravvisarsi nella sussistenza di modalità attuative della proposta incompatibili con norme inderogabili. Infatti, dal combinato disposto dall’art. 8, comma 4 e 11, comma 2, L. 3/2012, nonché alla luce del principio generale della par condicio creditorum (cfr. art. 2741 c.c.), deve ritenersi non ammissibile la proposta tutte le volte in cui non prevede il pagamento integrale (salva l’ipotesi di cui al comma 1, secondo periodo, dell’art. 7, L. 3/2012) e immediato (salva la moratoria di cui al comma 4 dell’art. 8 L. 3/2012) dei creditori privilegiati. Tale inammissibilità

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si ricava dai seguenti elementi: a) tenore letterale dell’art. 7, comma 1, secondo periodo a mente del quale “è possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorchè ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile,…, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi”; 2) esclusione del credito privilegiato dal computo dei crediti necessari ai fini del raggiungimento della maggioranza per l’omologazione dell’accordo (che non si giustificherebbe se non in virtù del pagamento integrale e immediato dei privilegiati, salve le deroghe di cui agli artt. 7 e 8 L. 3/2012); 3) previsione del venir meno della moratoria nell’ipotesi di vendita del bene sul quale insiste la causa di prelazione; - rilevato che nel caso di specie, inoltre, risulta violato il principio generale di cui all’art. 2741 c.c. sull’ordine della cause legittime di prelazione atteso che i crediti di natura chirografaria otterrebbero soddisfazione anticipata rispetto a quelli di natura privilegiata; - rilevato, peraltro, che con riferimento all’ammontare dei crediti sussistono le dichiarazioni


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dei creditori ipotecari (cfr. doc. 10 e 11) dalle quali emerge un quantum differente da quello indicato dalla ricorrente. In sostanza, la ricorrente ha proposto una soddisfazione non integrale dei crediti ipotecari senza fornire alcuna attestazione sul valore dei beni ipotecati in caso di liquidazione avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni stessi (cfr. art. 7 comma 1, l. 3/12); - rilevato, inoltre, che dalla memoria del Condominio di via … emerge che “la Sig.ra M. ha, infatti, già tentato di sottrarre la garanzia data dai propri beni immobili, attraverso la costituzione di un fondo patrimoniale” e che, in proposito, la ricorrente si è limitata a contestare l’opponibilità dell’atto al creditore, senza aggiungere altri elementi sul compimento dell’atto di disposizione (del quale non ha neppure indicato la data). In sostanza, nonostante la dichiarazione della debitrice (cfr. pag. 7 del ricorso) di non aver compiuto atti di disposizione del proprio patrimonio negli ultimi cinque anni, emerge la sussistenza di un atto di disposizione sul quale la debitrice non ha fornito chiarimenti al Tribunale, non consentendo quindi di verificare il momento nel quale sia stato compiuto l’atto e la conseguente veridicità della dichiarazione circa l’assenza di

atti di disposizione contenuta nel ricorso; - rilevato, inoltre, che a fronte della richiesta di integrazione di cui al provvedimento del 22.9.2014 relativa alla prova del deposito del ricorso presso l’agente della riscossione, gli uffici fiscali e gli enti locali, la debitrice si è limitata a provare l’avvenuto deposito presso l’agente della riscossione e gli uffici fiscali, senza aver dato prova della comunicazione del provvedimento agli enti locali; - rilevato che, per i motivi innanzi illustrati, la proposta in esame non consente di ricostruire compiutamente la situazione economica e patrimoniale della debitrice (in quanto non è stata prodotta nei termini di legge la denuncia dei redditi 2014 relativa all’anno 2013) e che, inoltre, risulta violata la disposizione inderogabile di cui all’art. 2741 c.c. atteso che la proposta prevede il pagamento non integrale (in assenza di attestazioni sul valore dei beni) e dilazionato in cinque anni dei creditori ipotecari (con decorrenza successiva all’esercizio della facoltà di avvalersi della moratoria accordata dalla legge); - ritenuto che l’attestazione sulla fattibilità del piano appare censurabile sotto il profilo della coerenza logica e dell’attendibilità delle dichiarazioni ivi riportate, atteso che risulta meramente riproduttiva del ricorso, non

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dà conto dell’effettuazione di verifiche di natura ipocatastale presso l’Agenzia del Territorio per riscontrare la sussistenza di atti di disposizione del patrimonio eventualmente compiuti negli ultimi cinque anni e dal punto di vista soggettivo è stata redatta dal medesimo professionista che patrocina la debitrice, il quale cumula l’ulteriore nomina di organismo di composizione della crisi; - ritenuto che siano, pertanto, venuti meno i presupposti per la sospensione delle procedure esecutive RGE n. 2489/2010 Tri-

bunale di Milano, nn. 126/2011 e 748/2014, Tribunale di Asti, pronunciata ai sensi dell’art. 12 bis, comma 2, L. 3/2012 con provvedimento del 22.9.2014; visti gli artt. 6, 7, 8 e 9, L. 3/2012; PQM - revoca il proprio decreto del 22.9.2014 nella parte in cui prevede la sospensione delle procedure esecutive RGE n. 2489/2010 Tribunale di Milano, nn. 126/2011 e 748/2014, Tribunale di Asti; - dichiara inammissibile la proposta. (Omissis)

(1-5) A. La giurisprudenza in materia di procedure di sovraindebitamento – per tali intendendosi le procedure di soluzione delle crisi introdotte nel nostro ordinamento dalla l. 27 gennaio 2012, n. 3, successivamente modificata dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221: precisamente l’accordo di composizione della crisi, il piano del consumatore e la liquidazione del patrimonio – è stata finora assai scarsa: il che non deve stupire, stante la assoluta novità di tali procedure, oltretutto governate da una disciplina spesso oscura ed ancor più spesso lacunosa. Pur nella sua limitatezza, comunque, la giurisprudenza fin qui pubblicata sta iniziando ad evidenziare nodi problematici, talvolta assolutamente nuovi talaltra già noti per essere stati affrontati nell’esperienza delle procedure concorsuali “tradizionali”, destinati a fornire, in futuro, terreno di discussione e di contrasti. Le sentenze qui pubblicate offrono di tali nodi esempi significativi: il Tribunale di Pistoia si è occupato di questioni (in gran parte nuove) concernenti il modo in cui la procedura di accordo può trovare applicazione quando il debitore sia una società con soci illimitatamente responsabili; il Tribunale di Asti ha affrontato, nel quadro della disciplina dell’accordo di composizione, la delicata questione (dibattuta nel quadro del concordato preventivo) della dilazionabilità del pagamento dei crediti privilegiati. B. a. La vicenda venuta all’attenzione del Tribunale di Pistoia era abbastanza complessa. Una società in accomandita semplice, evidente-

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D V.

mente con oggetto commerciale, era stata ammessa a concordato preventivo, regolarmente omologato. I soci accomandatari di tale società erano altresì soci di una società semplice, con oggetto agricolo. Questi soggetti avevano presentato, in proprio e quali soci della società semplice, una articolata proposta di accordo di composizione, che, da un lato, prevedeva uno stretto collegamento con la (diversa) procedura di concordato preventivo, di cui l’accordo veniva a costituire una sorta di completamento (in particolare, la proposta prevedeva che fosse messa a disposizione dei creditori da soddisfare con l’accordo una consistente somma costituente un surplus dell’esecuzione del concordato, che aveva previsto il pagamento integrale di tutti i creditori della s.a.s.). E, dall’altro, contemplava, per quel che qui soprattutto interessa, particolari meccanismi di liquidazione dell’attivo e di soddisfacimento dei creditori; precisamente: - .la liquidazione totale dell’attivo della società semplice e la liquidazione parziale dei beni dei soci; - .il soddisfacimento integrale dei crediti prededucibili e dei crediti privilegiati nei confronti della società semplice e di uno dei soci con il ricavato della vendita dei beni della società e dei soci (e con la “finanza esterna” proveniente dall’esecuzione del concordato preventivo); - .il soddisfacimento in percentuale dei creditori chirografari della società semplice e dei creditori chirografari personali dei soci con il ricavato della vendita dei beni personali dei medesimi. Il Tribunale ha ritenuto omologabile un siffatto accordo, che prospettava però non pochi profili “critici”. b. È opportuno preliminarmente ricordare che la normativa sulle procedure di sovraindebitamento ignora puramente e semplicemente le società e specificamente le società con soci illimitatamente responsabili. Questo assoluto silenzio è destinato a porre evidentemente una nutrita serie di problemi ove, come è ben possibile, il debitore in crisi sia una società con soci illimitatamente responsabili o, più semplicemente, un socio illimitatamente responsabile: una serie di problemi i principali dei quali sono, da un lato, quello della possibilità, per i singoli soci illimitatamente responsabili di una società con oggetto commerciale, di avvalersi, in proprio, di una procedura di sovraindebitamento e, dall’altro, quello della articolazione della procedura di sovraindebitamento quando sia aperta contestualmente nei confronti e della società e dei soci illimitatamente responsabili. Del primo ordine di problemi il Tribunale pistoiese non si è occupato esplicitamente. Però, nel momento in cui ha affermato la sussistenza nella specie del presupposto soggettivo anche con riferimento ai soci in

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proprio, ha mostrato di ritenere, implicitamente, che i soci illimitatamente responsabili di una società con oggetto commerciale (nella specie: la società in accomandita semplice) possano, nonostante la loro astratta assoggettabilità al fallimento in estensione ex art. 147 l. fall., accedere in proprio alle procedure di sovraindebitamento. Il che poi è conforme ad una diffusa opinione (v., per tutti, Nigro-Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese3, Bologna, 2014, p. 551). Il secondo ordine di problemi si presenta particolarmente delicato nel caso, che è quello in relazione al quale si è pronunziato il Tribunale di Pistoia, della procedura di accordo: in tale caso, infatti, manca quella possibilità di “attingere” regole o principi dalla legge fallimentare che invece aiuterebbe nel caso della procedura di liquidazione del patrimonio (in relazione alla quale si potrebbe tentare di “mutuare” il sistema adottato nell’art. 148). Quel che pare sicuro, comunque, è che, ove pure si dovesse escludere – come il tribunale pistoiese ha mostrato implicitamente di escludere – la necessità di adottare procedure distinte, anche se connesse, nei confronti della società e dei singoli soci, occorrerebbe in ogni caso rispettare l’esigenza, pur nell’ambito di una procedura unitaria, di mantenere la separazione delle masse attive e passive riferibili ai singoli soggetti (nello stesso ordine di idee, seppure con riferimento alla diversa ipotesi dell’insolvenza di gruppo, cfr. Vattermoli, Concorso e autonomia privata nel concordato preventivo di gruppo, in questa Rivista, 2012, I, p. 378 ss.). Esigenza che il provvedimento in rassegna ha evidentemente trascurato là dove ha ritenuto ammissibile sia il pagamento di crediti privilegiati nei confronti di uno dei soci con il ricavato della vendita dei beni della società e dei soci sia il pagamento dei creditori chirografari personali dei soci (considerati in blocco) con il ricavato della vendita dei beni personali dei soci (anch’essi considerati in blocco). c. Merita invece di essere condivisa la valutazione positiva che il Tribunale ha dato in ordine alla strutturazione, nella specie, dell’accordo di composizione come complemento di altra procedura. In effetti, posto che, per pacifica opinione, il concordato preventivo di una società con soci illimitatamente responsabili non coinvolge direttamente i singoli soci (i quali né possono essere sottoposti a tale procedura in via di estensione né possono chiedere l’ammissione in proprio a concordato preventivo), un accordo di composizione fra i singoli soci ed i loro creditori (personali e sociali) ben si presta a “completare”, sul versante dei soci, la sistemazione pattizia dei rapporti conseguita, sul versante della società, con il concordato preventivo. Peraltro – come emerge dal provvedimento in rassegna – i profili di interferenza fra le due procedure possono essere molti e costituire fonte,

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d’altra parte, di difficoltà di ordine operativo. Nella specie, si era posto, giustamente, il problema, in particolare, della collocazione da riconoscere ai creditori della società in accomandita, come tali creditori anche dei soci proponenti l’accordo: la soluzione offerta dalla proposta e ammessa dal Tribunale è consistita nella considerazione di quei creditori, destinati ad essere soddisfatti integralmente per effetto del concordato della accomandita, come creditori “estranei”, in quanto non interessati sostanzialmente all’accordo, da collocare in un’apposita classe, senza diritto di voto e non destinataria di pagamenti. Questa soluzione lascia, almeno sul piano formale, decisamente perplessi, posto che non sembra esservi spazio, nell’assetto attuale dell’accordo di composizione (così come in quello del concordato preventivo), per una categoria di creditori “estranei” nel senso appena prospettato. d. Il Tribunale di Pistoia si è occupato anche di altri due temi, questa volta non nuovi: la legittimità dell’esclusione dall’attivo messo a disposizione dei creditori di una parte dei beni dei proponenti l’accordo; l’efficacia esdebitatoria del concordato preventivo di una società con soci illimitatamente responsabili che siano anche fideiussori per parte dei debiti della società. Sul primo tema, il giudice si è pronunziato in senso affermativo, rilevando «la mancanza di disposizione contraria». Questa soluzione non può, ovviamente, essere condivisa: l’accordo di composizione della crisi è una procedura concorsuale e come tale necessariamente coinvolge, indipendentemente da previsioni specifiche, l’intero patrimonio del debitore, destinato tutto, ai sensi dell’art. 2740 c. c., al soddisfacimento dei creditori (in generale, sulla impossibilità di prevedere in una soluzione concordata giudiziale della crisi una destinazione parziale del patrimonio del debitore al soddisfacimento parziale delle obbligazioni su di esso gravanti v. Nigro-Vattermoli, Art. 186-bis, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di Nigro, Sandulli, Santoro, Torino, 2014, p. 564 s.). Sul secondo tema, il Tribunale – richiamandosi agli orientamenti più recenti della Cassazione, ma in contrasto con quanto affermato da una parte, autorevole, della dottrina (cfr., per tutti, Nigro, Fideiussione dei soci illimitatamente responsabili e concordato preventivo della società, in Giur. comm., 1985, II, p. 130 ss.) – si è espresso nel senso che l’effetto esdebitatorio non si produrrebbe nei confronti del socio che sia anche fideiussore (in senso conforme sia consentito il rinvio a Vattermoli, Art. 184, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, cit., p. 540). Comunque, nella specie, la questione era assolutamente irrilevante: i creditori sociali garantiti da fideiussioni personali dei

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soci illimitatamente responsabili erano destinati ad essere integralmente soddisfatti dal concordato preventivo della società, eseguito il quale nulla avrebbero potuto pretendere dai soci, né come tali né come fideiussori. In altre parole: una volta considerati i creditori della accomandita come “estranei” all’accordo proposto dai soci illimitatamente responsabili, del pari “estranei” dovevano necessariamente considerarsi anche quei creditori sociali che si trovassero ad essere garantiti da fideiussioni personali dei soci. C. a. Il Tribunale di Asti si è, a sua volta, occupato di un’altra questione non nuova in quanto già dibattuta nell’esperienza giurisprudenziale relativa al concordato preventivo: quella della dilazionabilità del pagamento dei crediti privilegiati. Nella specie, la proposta aveva previsto la rateizzazione in 4-5 anni del pagamento dei suddetti crediti, senza fornire alcuna attestazione in ordine all’importo ricavabile dalla vendita dei beni ipotecati in caso di liquidazione avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni stessi. Il Tribunale ha ritenuto che una simile previsione determinasse l’inammissibilità della proposta. b. Va ricordato, preliminarmente, che la disciplina concernente il regime dei crediti privilegiati nell’accordo di composizione o nel piano del consumatore riecheggia da vicino quella contenuta nella legge fallimentare in materia di concordato preventivo. L’art. 7, co. 1, secondo periodo, della l. n. 3/2012 stabilisce infatti – ricalcando sostanzialmente l’art. 160, co. 2, l. fall. – che «È possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi»; e, a sua volta, l’art. 8, co. 4, della legge del 2012 – ricalcando l’art. 186-bis, co. 2,lett. c) l. fall. – stabilisce che: «la proposta di accordo con continuazione dell’attività d’impresa e il piano del consumatore possono prevedere una moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione». E questa coincidenza di regole consente ovviamente di utilizzare con riferimento alle procedure di sovraindebitamento i risultati dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale avutasi in argomento con riguardo al concordato preventivo. Orbene. È opinione diffusa quella secondo cui nel concordato preventivo valga la regola generale del pagamento integrale e immediato dei crediti privilegiati, salve ovviamente le eccezioni poste, sull’uno e

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sull’altro versante, dai già citati art. 160, co. 2 e 186-bis, co. 2, l. fall.; per immediato si debba intendere il pagamento senza indugio appena ottenuta l’omologazione, salva l’ipotesi che si debba procedere alla liquidazione dei beni sui quali insiste la causa di prelazione, in tal caso il pagamento dovendo avvenire a liquidazione effettuata; non sia conseguentemente ammissibile alcuna rateazione o comunque dilazione del pagamento dei suddetti crediti (in questo senso v., per tutti, Trib. Roma, 29 luglio 2010, in Il fallimento, 2011, 225, con nota di Nisivoccia; 20 aprile 2010, in Dir. fall., 2011, II, 297, con nota di Ronco). Ed appunto a questa linea si è attenuta la pronuncia in rassegna con riferimento, non al concordato preventivo ma, all’accordo di composizione (ed al piano del consumatore). Si è profilato però recentemente, sempre con riguardo al concordato preventivo, un orientamento diverso, per il quale il pagamento dilazionato del credito privilegiato potrebbe (dovrebbe) essere ricondotto nell’ambito della fattispecie “soddisfacimento non integrale” di tale credito, prevista dal più volte citato art. 160, co. 2: con la conseguenza che la dilazione del pagamento sarebbe ammissibile quando sussistano le condizioni stabilite appunto nell’art. 160, co. 2 e cioè qualora, nonostante la decurtazione del credito da essa dilazione derivante, al creditore sia assicurato un pagamento in misura non inferiore al valore del bene realizzabile in caso di liquidazione. Così in particolare Cass., 9 maggio 2014, n. 10112, in Foro it., 2014, I, 3171, con nota di Fabiani; Cass., 26 settembre 2014, n. 20388, in Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 11316; in senso non dissimile si era già espresso Trib. Pescara, 16 dicembre 2008, in Il fallimento, 2009, 1212, con nota di Genoviva (sul tema v. da ultimo Ranalli, La soddisfazione parziale dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Il fallimento, 2014, part. p. 1358 s.). c. È appena il caso di aggiungere che, ove pure avesse aderito a quest’ultimo orientamento, il Tribunale di Asti non avrebbe potuto ritenere ammissibile, nella specie, la proposta, perché – come si è detto all’inizio – mancava l’attestazione in ordine al valore di realizzo dei beni ipotecati in caso di liquidazione e quindi mancava la possibilità stessa di verificare il superamento o meno della soglia minima di soddisfacimento dei creditori privilegiati prevista dall’art. 7, co. 2 l. n. 3/2012. [D.V.]

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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni



DOCUMENTI E INFORMAZIONI

Gli organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento Uno dei più significativi profili di novità della disciplina delle procedure di sovraindebitamento, introdotte nel nostro sistema di soluzione delle crisi dalla l. 27 gennaio 2012, n. 3, successivamente modificata dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, è rappresentato dalla previsione dell’intervento necessario, in tali procedure, dei c.d. organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento – in breve: OCC –, figura assolutamente inedita per il nostro ordinamento ed alla quale è attribuito dalla legge un ruolo rilevante, e per certi aspetti determinante. L’art. 15 della appena ricordata l. n. 3/2012 aveva disposto, al co. 3, che i requisiti di tali organismi e le modalità di iscrizione dei medesimi in un apposito registro da tenere presso il Ministero della giustizia «sono stabiliti con regolamento adottato dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico ed il Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Con lo stesso decreto sono disciplinate le condizioni per l’iscrizione, la formazione dell’elenco e la sua revisione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, nonché la determinazione dei compensi e dei rimborsi spese spettanti agli organismi a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura». Con il decreto 24 settembre 2014, n. 202, qui pubblicato, il Ministro della giustizia ha finalmente provveduto. Prima di svolgere qualche considerazione sulla normativa recata da tale decreto è opportuno ricordare, sia pure sommariamente, le caratteristiche e le funzioni degli OCC come disegnate dalla legge. ******* a) Il già citato art. 15 stabilisce che gli OCC possono essere costituiti, con adeguate garanzie di indipendenza e professionalità, da enti

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pubblici e devono essere iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia, presso il quale sono tenuti, in particolare, a depositare – ai sensi dell’art. 16 – un proprio regolamento di procedura (di cui devono evidentemente dotarsi). Sono iscritti di diritto nel registro, su semplice domanda, gli organismi di conciliazione costituiti presso le Camere di commercio, il segretariato sociale ex l. n. 328/2000 e gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili, dei notai. Ai sensi dell’art. 15, co. 9, i compiti e le funzioni attribuiti agli organismi possono essere anche svolti da un professionista o da una società tra professionisti in possesso dei requisiti di cui all’art. 28 l. fall. o da un notaio, nominati dal presidente del tribunale o dal giudice da lui delegato. b) L’intervento degli organismi è necessario, nel senso che non si può accedere ai procedimenti in oggetto se non con l’assistenza, fin da subito, di un organismo, assistenza che deve poi protrarsi fino alla chiusura del procedimento medesimo (secondo una recente pronunzia, peraltro, il debitore potrebbe avvalersi, per la preparazione del ricorso e del piano, di un professionista di fiducia, fermo restando l’obbligo di far verificare la veridicità dei dati ed attestare il piano da un OCC: così Trib. Pistoia, 19 novembre 2014, in www.unijuris.it/node/2562; Trib. Vicenza, 29 aprile 2014, in www.unijuris.it/node/2300). Nella versione originaria l’espressione usata dall’art. 15, co. 1 [gli organismi «sono deputati, su istanza della parte interessata, (…)»] consentiva di ritenere che la nomina o designazione dell’organismo spettasse al debitore; questa espressione non è stata ripresa dal testo modificato. Non sembra che l’omissione porti a dover riconsiderare quella conclusione (l’alternativa sarebbe di ritenere che la designazione spetti al giudice: ma per questa sarebbe stata sicuramente indispensabile una disposizione espressa che invece non c’è). c) I compiti (o funzioni) assegnati dalla legge agli organismi di composizione sono molti e di decisiva importanza. Oltre ai compiti specifici attribuiti nell’ambito delle singole procedure (come per esempio, nell’accordo, la raccolta delle adesioni dei creditori, la predisposizione di una apposita relazione sul raggiungimento della maggioranza, la trasmissione della medesima prima ai creditori e poi al giudice, insieme con le eventuali contestazioni ricevute), gli OCC hanno, in generale, il compito, da un lato, di assumere «ogni iniziativa funzionale alla predisposizione del piano di ristrutturazione e all’esecuzione dello stesso» (art. 15, co. 5); dall’altro, di verificare la veridicità dei dati contenuti nella proposta del debitore e nei documenti allegati e di at-

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testare la fattibilità del piano ai sensi dell’art. 9, co. 2 (art. 15, co. 6); dall’altro ancora, di eseguire le pubblicità ed effettuare le comunicazioni (a mezzo posta elettronica o per telefax o raccomandata) disposte dal giudice (art. 15, co. 7). Gli organismi, quando disposto dal giudice, possono svolgere le funzioni di liquidatore o di gestore per la liquidazione (art. 15, co. 8); e, ancora, possono, su autorizzazione del giudice, accedere, per lo svolgimento delle loro funzioni, alle banche dati pubbliche (art. 15, co. 9 e 10). d) Si può dire, in sostanza, che gli organismi assommano o possono assommare in sé sia ruoli già conosciuti e sperimentati in altre procedure o procedimenti, ma finora attribuiti a soggetti distinti: così, con riferimento alle procedure “compositive”, il ruolo che, nel concordato preventivo e negli accordi ex art. 182-bis, compete all’esperto attestatore e quello che, nel concordato preventivo, compete al commissario giudiziale, in particolare per ciò che riguarda il controllo sull’esecuzione dell’accordo o la relazione particolareggiata sul sovraindebitamento del consumatore. E sia ruoli assolutamente “inediti”: si pensi soprattutto al ruolo di ausilio del debitore. In ogni caso, la legge sembra voler attribuire agli organismi una posizione di assoluta terzietà rispetto a tutti gli interessi ed interessati: il che dovrebbe evitare in partenza la possibilità di conflitti di interessi, immanente nella stessa molteplicità di ruoli ricoperti. d) La disciplina della legge è completata dalla previsione, nell’art. 16, di sanzioni penali, a carico del componente dell’organismo di composizione delle crisi o del professionista (per false attestazioni rese, in particolare, in punto di veridicità dei dati contenuti nella proposta di fattibilità del piano, o nella relazione di cui agli art. 9, co. 3-bis, 12, co. 1, e 14-ter, co. 3; nonché per il danno causato ai creditori con l’omissione o il rifiuto senza giustificato motivo di «un atto del suo ufficio»). ******* Il regolamento è articolato in tre parti: la prima è dedicata essenzialmente alle definizioni; la seconda riguarda il “registro degli organismi”; la terza concerne i compensi. Possiamo tralasciare la prima parte, per occuparci direttamente della seconda, dove, innanzi tutto, si individuano gli enti pubblici che possono istituire OCC, si precisano le caratteristiche degli stessi e si stabiliscono i requisiti ed il procedimento per la loro iscrizione nell’apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia; e, in secondo luogo, si disciplinano gli obblighi dell’organismo e del c.d. “gestore della crisi”,

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espressione nuova la quale – in base alla definizione datane all’art. 2 del decreto – designa «la persona fisica che, individualmente o collegialmente, svolge [per conto dell’OCC] la prestazione inerente alla gestione dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio del debitore». a) Quanto al primo profilo e limitandoci agli aspetti di maggior rilievo. Il regolamento stabilisce in primo luogo, all’art. 4, co. 1, che (solo) i Comuni, le Provincie, le Città metropolitane, le Regioni e le istituzioni universitarie pubbliche possono “costituire” OCC che sono iscritti “a domanda” nel Registro (e precisamente, secondo quando dispone l’art. 3, nella sez. B del medesimo). Il regolamento riproduce, poi, la previsione dell’art. 15 della l. n. 3/2012, per la quale gli organismi di conciliazione costituiti presso le camere di commercio, il segretariato sociale e gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai sono iscritti “di diritto a semplice domanda” nel Registro (e precisamente, ex art. 3, nella sez. A). Nelle sezioni vanno iscritti anche gli elenchi dei “gestori della crisi” di cui dovranno avvalersi gli organismi di entrambe le categorie. I requisiti per l’iscrizione degli organismi sono differenziati fra le due sezioni. Per l’iscrizione nella sezione A sono richiesti (solo): «l’esistenza di un referente dell’organismo cui sia garantito un adeguato grado di indipendenza»; «il rilascio di polizza assicurativa con massimale non inferiore a un milione di euro per le conseguenze patrimoniali comunque derivanti dallo svolgimento del servizio di gestione della crisi»; «la conformità del regolamento dell’organismo alle disposizioni del» decreto; per l’iscrizione nella sezione B sono richiesti, in aggiunta a quelli appena visti, altri requisiti: «che l’organismo sia costituito quale articolazione interna di uno degli enti pubblici di cui al comma 1»; che vi sia un «numero dei gestori della crisi, non inferiore a cinque, che abbiano dichiarato la disponibilità a svolgere le funzioni di gestione della crisi in via esclusiva per l’organismo»; l’indicazione della sede dell’organismo. Per l’iscrizione dei gestori della crisi nei rispettivi elenchi sono richiesti specifici “requisiti di qualificazione professionale” ed altrettanto specifici “requisiti di onorabilità”. I primi sono dati, oltre che dal possesso della laurea magistrale in materie economiche o giuridiche, dal possesso di una specifica formazione acquisita con la partecipazione a corsi di perfezionamento universitari di durata non inferiore a 200 ore nell’ambito disciplinare della crisi dell’impresa, nello svolgimento di un periodo di tirocinio non inferiore a sei mesi, sempre nell’ambito specifico delle crisi, presso OCC, curatori fallimentari, ecc., nell’acquisizione di uno

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specifico aggiornamento biennale non inferiore a quaranta ore complessive, sempre nello stesso ambito, presso uno degli ordini professionali interessati o presso un’università pubblica o privata. I secondi sono dati dal «non versare in una delle condizioni di ineleggibilità o decadenza previste dall’articolo 2382 del codice civile»; «non essere stati sottoposti a misure di prevenzione disposte dall’autorità giudiziaria ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159»; «non essere stati condannati con sentenza passata in giudicato, salvi gli effetti della riabilitazione» per taluni reati (in materia bancaria e finanziaria, ecc.); non aver riportato una sanzione disciplinare diversa dall’avvertimento. b) Quanto al secondo profilo, sempre limitatamente agli aspetti di maggiore importanza. Secondo l’assetto delineato nel decreto ministeriale, gli OCC – diversamente da quanto sembrava emergere dalla legge – operano nelle procedure di sovraindebitamento non direttamente e come tali bensì attraverso uno (o più) dei “gestori della crisi” ad essi collegati (o in essi inseriti). L’incarico viene conferito dal debitore all’organismo, come si argomenta dall’art. 10, co. 3 e dall’art. 14, co. 1, con contestuale accordo sul compenso (art. 10, co. 4; ancora art. 14), così come è l’organismo che viene nominato (per esempio: liquidatore) dal tribunale; del pari, è l’organismo che (art. 10, co. 3) comunica preventivamente al debitore «il grado di complessità dell’opera, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili fino alla conclusione dell’incarico e… i dati della polizza assicurativa di cui all’articolo 4, comma 3, lettera c», nonché la misura del compenso, che (art. 10, co. 4) porta a conoscenza dei creditori l’accordo concluso con il debitore in ordine al compenso e che ha diritto al compenso e ad rimborso delle spese. Ma il c.d. “servizio di gestione della crisi da sovraindebitamento” è in concreto reso, appunto, dai “gestori” che operano presso l’organismo e che vengono volta a volta designati dal c.d. “referente” del medesimo (art. 10, co. 2: «Il referente distribuisce equamente gli incarichi tra i gestori della crisi, tenuto conto in ogni caso della natura e dell’importanza dell’affare»). In relazione a ciò è previsto (art. 9) che ciascun organismo debba tenere presso di sé un elenco dei gestori della crisi ed un registro informatico degli affari, con le annotazioni relative ai dati identificativi del debitore, al gestore della crisi designato, all’esito del procedimento, precisandosi che il “responsabile” del registro presso il Ministero può prescrivere ulteriori registri o annotazioni. Particolare attenzione è dedicata dal regolamento alla prevenzione dei conflitti di interesse a livello sia di organismo che di gestore. Quanto al primo, si stabilisce che l’organismo «non può assumere diritti e obblighi connessi con gli affari trattati dai gestori della crisi

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che operano presso di sè o presso altri organismi iscritti nel registro» (art. 10, co. 1); e che, prima di conferire l’incarico al gestore, il referente dell’organismo «sottoscrive una dichiarazione dalla quale risulta che l’organismo non si trova in conflitto d’interessi con la procedura», dichiarazione che va portata a conoscenza del tribunale contestualmente al deposito della proposta di accordo o di piano del consumatore ovvero della domanda di liquidazione (art. 10, co. 2). Quanto al secondo, si stabilisce, analogamente, che «Al gestore della crisi e ai suoi ausiliari è fatto divieto di assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati, ad eccezione di quelli strettamente inerenti alla prestazione dell’opera o del servizio» (art. 11, co. 2). Al gestore, poi, è fatto obbligo anche di «sottoscrivere per ciascun affare per il quale è designato una dichiarazione di indipendenza» (art. 1, co. 3), precisandosi – con una formulazione ricalcata su quella dell’art. 67, co. 3, lett. d) l. fall. - che «Il gestore della crisi è indipendente quando non è legato al debitore e a coloro che hanno interesse all’operazione di composizione o di liquidazione da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza; in ogni caso, il gestore della crisi deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo». La dichiarazione di indipendenza del gestore deve essere portata anch’essa a conoscenza del tribunale con la proposta di accordo o di piano o con la domanda di liquidazione. L’OCC, infine, è tenuto ad adottare (art. 10, co. 5) un regolamento c.d. di “autodisciplina”, il quale «deve in ogni caso individuare, secondo criteri di proporzionalità, i casi di decadenza e sospensione dall’attività dei gestori che sono privi dei requisiti o hanno violato gli obblighi previsti dal presente decreto e derivanti dagli incarichi ricevuti nonché la procedura per l’applicazione delle relative sanzioni, e determinare i criteri di sostituzione nell’incarico». ******* Nella terza parte del decreto sono stabilite le regole per la determinazione del compenso spettante agli OCC: tali regole sono destinate ad applicarsi, per esplicita previsione dell’art. 14, nel caso in cui non venga raggiunto un accordo sul punto con il debitore e valgono anche nel

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caso di nomina dell’organismo da parte del giudice e nel caso di nomina di un professionista ai sensi dell’art. 15, co. 9 della legge n. 3/2012. Per i parametri da adottare si rinvia al decreto ministeriale del gennaio 2012 in materia di compensi a curatori, commissari giudiziali, ecc. e consistono tutti in una percentuale sia sull’ammontare dell’attivo sia sull’ammontare del passivo. I dati da segnalare sono due. Il primo è che i compensi determinati applicando i suddetti parametri «sono ridotti in una misura compresa fra il 15% e il 40%» (art. 16, co. 4). Il secondo è che tutti i criteri e parametri previsti sono assolutamente orientativi: è infatti espressamente precisato all’art. 14, ult. comma, che «le soglie numeriche indicate… per la liquidazione del compenso… non sono vincolanti per la liquidazione medesima». ******* La normativa fin qui esaminata – così come, del resto, la legge di cui costituisce completamento – è, per un verso, ricca di incongruenze e, per altro verso, non esente da oscurità o vere e proprie lacune anche gravi. Quanto alle incongruenze. Già lascia fortemente perplessi la previsione secondo cui gli ordini professionali degli avvocati ecc. sono iscritti come tali nel registro degli OCC: previsione contenuta nella legge, ma bisognosa di una interpretazione ed applicazione secondo, si potrebbe dire, il buon senso (e v. sul punto Nigro-Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese3, Bologna, 2014, p. 554 s., dove si era proposto di leggere la disposizione come se dicesse che sono iscritti di diritto gli OCC costituiti dagli ordini). Comunque: - appare assai poco chiara la differenza fra iscrizione “di diritto su semplice domanda” e iscrizione “su domanda”, una volta che anche per la prima sono necessari certi requisiti; - non si comprende la ragione della diversa disciplina dettata, in punto di requisiti strutturali, rispettivamente per gli OCC iscritti di diritto e per gli altri OCC: per questi ultimi si prevede che essi debbano “dotarsi” di un certo numero minimo di gestori della crisi disponibili a svolgere le funzioni in via esclusiva per gli organismi medesimi; mentre per i primi tale requisito non è richiesto, pur se anch’essi debbono operare attraverso gestori. Si può notare – per inciso – che la normativa regolamentare, con la previsione dell’articolata (e forse un po’ barocca) struttura di cui gli OCC debbono dotarsi, rende ancor più evidente un’altra incongruenza che vizia la stessa legge n. 3/2012, là dove (come si è già avuto occasione di ricordare) consente che le funzioni degli OCC possano essere svolte anche

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da professionisti o società fra professionisti in possesso dei requisiti per essere nominati curatori fallimentari, con nomina da parte del presidente del tribunale. Questa previsione aveva un senso come norma transitoria, per consentire l’avvio immediato delle nuove procedure di sovraindebitamento senza dover attendere l’istituzione del registro degli OCC e la loro regolamentazione: e come misura transitoria era stata introdotta nella versione originaria della legge, divenendo misura “a regime” solo in sede di modifica ad opera della l. n. 221. Ora, dopo l’emanazione del regolamento, appare chiara l’assurdità del “doppio binario”, che instaura una sorta di concorrenza fra i due diversi strumenti di assistenza al debitore in crisi, una concorrenza impropria e potenzialmente pregiudizievole per lo sviluppo ed il potenziamento degli OCC. Molte altre incongruità costellano altre parti del regolamento. Basterà qui menzionare, a titolo meramente esemplificativo, la già ricordata previsione dell’art. 10, co.1, secondo cui l’OCC non può assumere diritti e obblighi connessi con gli affari trattati dai gestori delle crisi o presso altri organismi iscritti nel registro. A parte che non si comprende in quale veste ed in relazione a che cosa l’OCC potrebbe assumere diritti ed obblighi connettibili con gli affari di cui tipicamente si occupano i gestori della crisi, per poter rispettare il divieto il singolo OCC dovrebbe conoscere gli affari trattati da tutti i gestori della crisi operanti presso tutti gli OCC: il che equivale a dire che gli elenchi dei gestori e i registri degli affari che, in base all’art. 9, gli OCC sono obbligati a tenere debbono essere messi in comune, diventare patrimonio informativo unico per tutti gli OCC. Il che, da un lato, non è previsto da alcuna norma e, dall’altro, comprometterebbe quella riservatezza che – come si evince dall’art. 11 – deve (non può non) circondare gli affari di cui i singoli OCC si occupano. b) Quanto alle oscurità e lacunosità. Il regolamento ha omesso di disciplinare in modo chiaro e compiuto tutte le figure da esso introdotte e tutti i profili fondamentali dei rapporti da esso governati. In ordine alle nuove figure, sono assai incerti, per esempio, i connotati della figura del c. d. “referente”. Esso è definito come «la persona fisica che, agendo in modo indipendente secondo quanto previsto dal regolamento dell’organismo, indirizza e coordina l’attività dell’organismo e conferisce gli incarichi ai gestori della crisi». Però gli interrogativi che rimangono aperti sono molti: qual è la natura del rapporto che lega il referente all’organismo? rispetto a che cosa o a chi il referente deve essere indipendente? Il referente rappresenta, in senso proprio, l’organismo? Come si colloca il referente rispetto all’assetto organizzativo degli ordini professionali? In ordine, poi, al rapporto, per esempio, fra OCC e gestori della crisi

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restano, di nuovo, incerti profili fondamentali: quello della veste giuridica di tale rapporto; quello del compenso. In ordine al primo profilo, sembrerebbe doversi fare riferimento all’art. 11, il quale, sotto la rubrica «Obblighi del gestore della crisi e dei suoi ausiliari», stabilisce: «Chiunque presti la propria opera o il proprio servizio nell’organismo è tenuto all’obbligo di riservatezza su tutto quanto appreso in ragione dell’opera o del servizio ed al rispetto di tutti gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro subordinato, parasubordinato o autonomo instaurato con l’organismo di appartenenza». Alla luce di tale disposizione, che in base alla rubrica è da intendere riferita in primo luogo proprio al gestore della crisi, si dovrebbe concludere che il rapporto del gestore con l’OCC potrebbe assumere la veste, in base alla scelta delle parti, di un contratto o di lavoro subordinato o di lavoro parasubordinato o di lavoro autonomo. Il fatto è, però, che il vincolo dell’esclusiva, da un lato, e l’incisivo potere disciplinare attribuito all’organismo nei confronti del gestore, dall’altro, non paiono facilmente compatibili con un rapporto di lavoro autonomo o anche parasubordinato; ed inducono a ritenere che il rapporto non possa non essere di lavoro subordinato (con tutto quello che allora ne può derivare, in relazione per esempio ai vincoli all’assunzione di nuovi dipendenti nel settore pubblico). Per ciò che riguarda il compenso spettante ai gestori il regolamento si limita a stabilire che ad essi «è fatto divieto di percepire, in qualunque forma, compensi o utilità direttamente dal debitore». Sicuro essendo che i gestori non possono non essere remunerati, è ovvio che il loro compenso sarà a carico degli OCC. Ma resta ignoto quale possa o debba esserne la misura; e, in particolare, se esso debba essere in qualche modo ragguagliato al compenso percepito dagli OCC per l’attività svolta tramite appunto i gestori (come sembrerebbe logico) o possa prescinderne. E non è questa, come è chiaro, una lacuna da poco. ******* L’esperienza applicativa dirà, fra qualche anno, se il nuovo “protagonista” introdotto dal legislatore del 2012 avrà fortuna, nonostante la scadente qualità della normativa, primaria e secondaria, che lo riguarda. C’è da augurarselo, anche perché il successo degli OCC potrebbe aprire la strada ad un’altra innovazione, estesa questa volta a tutte le procedure concorsuali: la creazione di strutture pubbliche specializzate in servizi, possibilmente gratuiti, di pura e semplice consulenza, con garanzia di assoluta riservatezza, alle imprese in crisi. Ma questo è un altro discorso, che potrà essere ripreso in diversa occasione. [Alessandro Nigro]

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D.M. 24 settembre 2014, n. 202 – Regolamento recante i requisiti di iscrizione nel registro degli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento, ai sensi dell’articolo 15 della legge 27 gennaio 2012, n. 3, come modificata dal decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221. Il Ministro economico e il

della giustizia, di concerto con il Ministro Ministro dell’economia e delle finanze

dello sviluppo

Visto l’articolo 15 della legge 27 gennaio 2012, n. 3, modificata dal decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, recante disposizioni sugli organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento; Visto l’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del 28 agosto 2014; Vista la comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri, a norma dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, effettuata con nota del 3 settembre 2014, ai sensi del predetto articolo1

1 Avvertenza: Il testo delle note qui pubblicato è stato redatto dall’amministrazione competente per materia, ai sensi dell’art. 10, comma 3, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge alle quali è operato il rinvio. Restano invariati il valore e l’efficacia degli atti legislativi qui trascritti. Note alle premesse: Si riporta il testo dell’art. 15 della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento): «Art. 15 (Organismi di composizione della crisi). – 1. Possono costituire organismi per la composizione delle crisi da sovraindebitamento entri pubblici dotati di requisiti di indipendenza e professionalità determinati con il regolamento di cui al comma 3. Gli organismi di conciliazione costituiti presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura ai sensi dell’art. 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni, il segretariato sociale costituito ai sensi dell’art. 22, comma 4, lettera a), della legge 8 novembre 2000, n. 328, gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai sono iscritti di diritto a semplice domanda nel registro di cui al comma 2. 2. Gli organismi di cui al comma 1 sono iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia. 3. I requisiti di cui al comma 1 e le modalità di iscrizione nel registro di cui al comma 2, sono stabiliti con regolamento adottato dal Ministero della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico ed il Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Con lo stesso decreto

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sono disciplinate le condizioni per l’iscrizione, la formazione dell’elenco e sua revisione. La sospensione dei compensi e dei rimborsi spese spettanti agli organismi a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura. 4. Dalla costituzione e dal funzionamento degli organismi indicati al comma 1 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, e le attività degli stessi devono essere volte nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. 5. L’organismo di composizione della crisi, oltre a quanto previsto dalle sezioni prima e seconda del presente capo, assume ogni iniziativa funzionale alla predisposizione del piano di ristrutturazione e all’esecuzione dello stesso. 6. Lo stesso organismo verifica la veridicità dei dati contenuti nella proposta e nei documenti allegati, attesta la fattibilità del piano ai sensi dell’art. 9, comma 2. 7. L’organismo esegue le pubblicità ed effettua le comunicazioni disposte dal giudice nell’ambito dei procedimenti previsti dalle sezioni prima e seconda del presente capo. Le comunicazioni sono effettuate a mezzo posta elettronica certificata se il relativo indirizzo del destinatario risulta dal registro delle imprese ovvero dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti e, in ogni altro caso, a mezzo telefax o lettera raccomandata. 8. Quando il giudice lo dispone ai sensi degli articoli 13, comma 1, o 14-quinquies, comma 2, l’organismo svolge le funzioni di liquidatore stabilite con le disposizioni del presente capo. Ove designato ai sensi dell’art. 7, comma 1, svolge le funzioni di gestore per la liquidazione. 9. I compiti e le funzioni attribuite agli organismi di composizione della crisi possono essere svolti anche da un professionista o da una società tra professionisti in possesso dei requisiti di cui all’art. 28 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, ovvero da un notaio, nominati dal presidente del tribunale o dal giudice da lui delegato. Fino all’entrata in vigore del regolamento di cui al comma 3, i compensi sono determinati secondo i parametri previsti per i commissari giudiziali nelle procedure di concordato preventivo, quanto alle attività di cui alla sezione prima del presente capo, e per i curatori fallimentari, quanto alle attività di cui alla sezione seconda del presente capo. I predetti compensi sono ridotti del quaranta per cento. 10. Per lo svolgimento dei compiti e delle attività previsti dal presente capo, il giudice e, previa autorizzazione di quest’ultimo, gli organismi di composizione delle crisi possono accedere ai dati contenuti nell’anagrafe tributaria, compresa la sezione prevista dall’art. 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, nei sistemi di informazione creditizie, nelle centrali rischi e nelle altre banche dati pubbliche ivi compreso l’archivio centrale informatizzato di cui all’art. 30-ter, comma 2, del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e del codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti, di cui alla deliberazione del Garante per la protezione dei dati personali 16 novembre 2004, n. 8, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23 dicembre 2004 11. I dati personali acquisiti a norma del presente articolo possono essere trattati e conservati per i soli fini e tempi della procedura e devono essere distrutti contestualmente alla sua conclusione o cessazione. Dell’avvenuta distruzione è data comunicazione al titolare dei suddetti dati, tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento o tramite posta elettronica certificata, non oltre quindici giorni dalla distruzione medesima». Il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del

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Adotta il seguente regolamento: Capo I Disposizioni generali Art. 1. Oggetto 1. Il presente regolamento disciplina l’istituzione presso il Ministero della giustizia del registro degli organismi costituiti da parte di enti pubblici, deputati alla gestione della crisi da sovraindebitamento a norma dell’articolo 15 della legge 27 gennaio 2012, n. 3. 2. Il presente regolamento disciplina, altresì, i requisiti e le modalità di iscrizione nel medesimo registro, la formazione dell’elenco degli iscritti e la sua revisione periodica, la sospensione e la cancellazione dal registro dei singoli organismi, nonché la determinazione dei compensi e dei rimborsi spese spettanti agli organismi a carico dei soggetti che ricorrono alla procedura2. Art. 2. Definizioni 1. Ai fini del presente regolamento si intende per: a) «Ministero»: il Ministero della giustizia; b) «legge»: la legge 27 gennaio 2012, n. 3; c) «registro»: il registro degli organismi deputati a gestire i procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio del debitore sovraindebitato; d) «organismo»: l’articolazione interna di uno degli enti pubblici in-

Paese), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 19 ottobre 2012, n. 245, supplemento ordinario. Si riporta il testo del comma 3 dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri): «Art. 17 (Regolamenti). - 1-2 (Omissis). 3. Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della loro emanazione. 4, 4-bis, 4-ter. (Omissis).» 2 Note all’art. 1: Per l’art. 15 della legge 27 gennaio 2012, n. 3, si veda nelle note alle premesse.

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dividuati dalla legge e dal presente regolamento che, anche in via non esclusiva, è stabilmente destinata all’erogazione del servizio di gestione della crisi da sovraindebitamento; e) «gestione della crisi da sovraindebitamento»: il servizio reso dall’organismo allo scopo di gestire i procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio del debitore; f) «gestore della crisi»: la persona fisica che, individualmente o collegialmente, svolge la prestazione inerente alla gestione dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio del debitore; g) «ausiliari»: i soggetti di cui si avvale il gestore della crisi per lo svolgimento della prestazione inerente alla gestione dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio del debitore; h) «responsabile»: il responsabile della tenuta del registro; i) «referente»: la persona fisica che, agendo in modo indipendente secondo quanto previsto dal regolamento dell’organismo, indirizza e coordina l’attività dell’organismo e conferisce gli incarichi ai gestori della crisi; l) «regolamento dell’organismo»: l’atto adottato dall’organismo contenente le norme di autodisciplina. Capo II Registro degli organismi Sez. I Requisiti e procedimento di iscrizione Art. 3. Istituzione del registro 1. È istituito il registro degli organismi autorizzati alla gestione della crisi da sovraindebitamento. 2. Il registro è tenuto presso il Ministero nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali già esistenti presso il Dipartimento per gli affari di giustizia e ne è responsabile il direttore generale della giustizia civile. Il direttore generale della giustizia civile può delegare una persona con qualifica dirigenziale o un magistrato ed avvalersi, al fine di esercitare la vigilanza, dell’ispettorato generale del Ministero. Il Ministero è altresì titolare del trattamento dei dati personali. 3. Il registro è articolato in modo da contenere le seguenti annotazioni: a) sezione A:

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1. organismi iscritti di diritto a norma dell’articolo 4, comma 2, del presente regolamento; 2. elenco dei gestori della crisi; b) sezione B: 1. altri organismi; 2. elenco dei gestori della crisi. 4. Il responsabile cura il continuo aggiornamento dei dati del registro e può prevedere ulteriori integrazioni delle annotazioni in conformità alle previsioni del presente regolamento. 5. La gestione del registro deve avvenire con modalità informatiche che assicurino la possibilità di una rapida elaborazione dei dati con finalità statistica e ispettiva o, comunque, connessa ai compiti di tenuta di cui al presente regolamento. 6. L’elenco degli organismi e dei gestori della crisi sono pubblici. Art. 4. Requisiti per l’iscrizione nel registro 1. Nel registro sono iscritti, a domanda, gli organismi costituiti dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dalle istituzioni universitarie pubbliche. 2. Gli organismi di conciliazione costituiti presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura ai sensi dell’articolo 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, il segretariato sociale costituito ai sensi dell’articolo 22, comma 4, lettera a), della legge 8 novembre 2000, n. 328 e gli ordini professionali degli avvocati, dei commercialisti ed esperti contabili e dei notai sono iscritti di diritto, su semplice domanda, anche quando associati tra loro. 3. Il responsabile, per l’iscrizione degli organismi di cui alla sezione B del registro, verifica: a) che l’organismo sia costituito quale articolazione interna di uno degli enti pubblici di cui al comma 1; b) l’esistenza di un referente dell’organismo cui sia garantito un adeguato grado di indipendenza; c) il rilascio di polizza assicurativa con massimale non inferiore a un milione di euro per le conseguenze patrimoniali comunque derivanti dallo svolgimento del servizio di gestione della crisi; d) il numero dei gestori della crisi, non inferiore a cinque, che abbiano dichiarato la disponibilità a svolgere le funzioni di gestione della crisi in via esclusiva per l’organismo; e) la conformità del regolamento dell’organismo alle disposizioni del presente decreto; f) la sede dell’organismo.

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4. Il responsabile, per l’iscrizione degli organismi di cui alla sezione A del registro, verifica la sussistenza dei soli requisiti di cui al comma 3, lettere b), c) ed e). 5. Il responsabile verifica i requisiti di qualificazione professionale dei gestori della crisi iscritti negli elenchi di cui alle sezioni A e B, che consistono: a) nel possesso di laurea magistrale, o di titolo di studio equipollente, in materie economiche o giuridiche; b) nel possesso di una specifica formazione acquisita tramite la partecipazione a corsi di perfezionamento istituiti a norma dell’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, di durata non inferiore a duecento ore nell’ambito disciplinare della crisi dell’impresa e di sovraindebitamento, anche del consumatore. I corsi di perfezionamento sono costituiti con gli insegnamenti concernenti almeno i seguenti settori disciplinari: diritto civile e commerciale, diritto fallimentare e dell’esecuzione civile, economia aziendale, diritto tributario e previdenziale. La specifica formazione di cui alla presente lettera può essere acquisita anche mediante la partecipazione ad analoghi corsi organizzati dai soggetti indicati al comma 2 in convenzione con università pubbliche o private; c) nello svolgimento presso uno o più organismi, curatori fallimentari, commissari giudiziali, professionisti indipendenti ai sensi del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, professionisti delegati per le operazioni di vendita nelle procedure esecutive immobiliari ovvero nominati per svolgere i compiti e le funzioni dell’organismo o del liquidatore a norma dell’articolo 15 della legge, di un periodo di tirocinio, anche in concomitanza con la partecipazione ai corsi di cui alla lettera b), di durata non inferiore a mesi sei che abbia consentito l’acquisizione di competenze mediante la partecipazione alle fasi di elaborazione ed attestazione di accordi e piani omologati di composizione della crisi da sovraindebitamento, di accordi omologati di ristrutturazione dei debiti, di piani di concordato preventivo e di proposte di concordato fallimentare omologati, di verifica dei crediti e di accertamento del passivo, di amministrazione e di liquidazione dei beni; d) nell’acquisizione di uno specifico aggiornamento biennale, di durata complessiva non inferiore a quaranta ore, nell’ambito disciplinare della crisi dell’impresa e di sovraindebitamento, anche del consumatore, acquisito presso uno degli ordini professionali di cui al comma 2 ovvero presso un’università pubblica o privata. 6. Per i professionisti appartenenti agli ordini professionali di cui al comma 2 la durata dei corsi di cui al comma 5, lettera b), è di quaranta

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ore. Gli ordinamenti professionali possono individuare specifici casi di esenzione dall’applicazione delle disposizioni di cui al comma 5, lettere b) e d), ovvero fissare i criteri di equipollenza tra i corsi di formazione e di aggiornamento biennale di cui al presente articolo e i corsi di formazione professionale. Ai medesimi professionisti non si applicano le disposizioni di cui al comma 5, lettera c). 7. Agli elenchi dei gestori della crisi degli organismi di cui alla sezione A possono essere iscritti anche soggetti diversi dai professionisti, purché muniti dei requisiti di cui al presente articolo. 8. Il responsabile verifica altresì il possesso da parte dei gestori della crisi iscritti negli elenchi di cui alle sezioni A e B dei seguenti requisiti di onorabilità: a) non versare in una delle condizioni di ineleggibilità o decadenza previste dall’articolo 2382 del codice civile; b) non essere stati sottoposti a misure di prevenzione disposte dall’autorità giudiziaria ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159; c) non essere stati condannati con sentenza passata in giudicato, salvi gli effetti della riabilitazione: 1) a pena detentiva per uno dei reati previsti dalle norme che disciplinano l’attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa e dalle norme in materia di mercati e valori mobiliari, di strumenti di pagamento; 2) alla reclusione per uno dei delitti previsti nel titolo XI del libro V del codice civile, nel regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché dall’articolo 16 della legge; 3) alla reclusione per un tempo non inferiore a un anno per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l’ordine pubblico, contro l’economia pubblica ovvero per un delitto in materia tributaria; 4) alla reclusione per un tempo superiore a due anni per un qualunque delitto non colposo; d) non avere riportato una sanzione disciplinare diversa dall’avvertimento. 9. La documentazione comprovante il possesso dei requisiti di cui al presente articolo, salvo quelli di cui al comma 3, lettera c) e al comma 5, lettera c), è presentata ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000, n. 445. Il possesso del requisito di cui al comma 3, lettera c), è dimostrato mediante la produzione di copia della polizza assicurativa mentre quello del requisito di cui al comma 5, lettera c), è comprovato con la produzione dell’attestazione di compiuto tirocinio sottoscritta dall’organismo o dal professioni-

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sta presso il quale è stato svolto3.

Note all’art. 4: Si riporta il testo dell’art. 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura): «Art. 2 (Compiti e funzioni). - 1. Le camere di commercio svolgono, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, funzioni di supporto e di promozione degli interessi generali delle imprese e delle economie locali, nonché’, fatte salve le competenze attribuite dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato alle amministrazioni statali, alle regioni, e agli enti locali, funzioni nelle materie amministrative ed economiche relative al sistema delle imprese. Le camere di commercio, singolarmente o in forma associata, esercitano, inoltre, le funzioni ad esse delegate dallo Stato e dalle regioni, nonché’ i compiti derivanti da accordi o convenzioni internazionali, informando la loro azione al principio di sussidiarietà. 2. Le camere di commercio, singolarmente o in forma associata, svolgono in particolare le funzioni e i compiti relativi a: a) tenuta del registro delle imprese, del Repertorio economico amministrativo, ai sensi dell’art. 8 della presente legge, e degli altri registri ed albi attribuiti alle camere di commercio dalla legge; b) promozione della semplificazione delle procedure per l’avvio e lo svolgimento di attività economiche; e) promozione del territorio e delle economie locali al fine di accrescerne la competitività, favorendo l’accesso al credito per le PMI anche attraverso il supporto ai consorzi fidi; d) realizzazione di osservatori dell’economia locale e diffusione di informazione economica; e) supporto all’internazionalizzazione per la promozione del sistema italiano delle imprese all’estero e la tutela del “Made in Italy”, raccordandosi, tra l’altro, con i programmi del Ministero dello sviluppo economico; f) promozione dell’innovazione e del trasferimento tecnologico per le imprese, anche attraverso la realizzazione di servizi e infrastrutture informatiche e telematiche; g) costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle controversie tra imprese e tra imprese e consumatori e utenti; h) predisposizione di contratti-tipo tra imprese, loro associazioni e associazioni di tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti; i) promozione di forme di controllo sulla presenza di clausole inique inserite nei contratti; l) vigilanza e controllo sui prodotti e per la metrologia legale e rilascio dei certificati d’origine delle merci e, nel rispetto delle competenze attribuite dalla legge ad altre pubbliche amministrazioni, il rilascio di attestazioni di libera vendita e commercializzazione dei prodotti sul territorio italiano o comunitario e di certificazioni dei poteri di firma, su atti e dichiarazioni, a valere all’estero, in conformità alle informazioni contenute nel registro delle imprese; m) raccolta degli usi e delle consuetudini; n) cooperazione con le istituzioni scolastiche e universitarie, in materia di alternanza scuola-lavoro e per l’orientamento al lavoro e alle professioni. 3. Le camere di commercio, nei cui registri delle imprese siano iscritte o annotate meno di 40.000 imprese, esercitano le funzioni di cui alle lettere g), h), i) e l) obbligatoriamente in forma associata. 4. Per il raggiungimento dei propri scopi, le camere di commercio promuovono, realizzano e gestiscono strutture ed infrastrutture di interesse economico generale a livello locale, regionale e nazionale, direttamente o mediante la partecipazione, secondo le norme del codice civile, con altri soggetti pubblici e privati, ad organismi anche associativi, ad enti, a consorzi e a società. 5. Le camere di commercio, nel rispetto di criteri di equilibrio economico e finanziario, possono costituire, in forma singola o associata, e secondo le disposizioni del codice civile, aziende speciali operanti secondo le norme del diritto privato. Le aziende 3 -

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speciali delle camere di commercio sono organismi strumentali dotati di soggettività tributaria. Le camere di commercio possono attribuire alle aziende speciali il compito di realizzare le iniziative funzionali al perseguimento delle proprie finalità istituzionali e del proprio programma di attività, assegnando alle stesse le risorse finanziarie e strumentali necessarie. 6. Per la realizzazione di interventi a favore del sistema delle imprese e dell’economia, le camere di commercio e le loro unioni possono partecipare agli accordi di programma ai sensi dell’art. 34 del citato decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. 7. La programmazione degli interventi a favore del sistema delle imprese e dell’economia, nell’ambito del programma pluriennale di attività di cui all’art. 11, comma 1, lettera e), formulata in coerenza con la programmazione dell’Unione europea, dello Stato e delle regioni. 8. Le camere di commercio possono costituirsi parte civile nei giudizi relativi ai delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio. Possono, altresì, promuovere l’azione per la repressione della concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2601 del codice civile. 9. Le camere di commercio e le loro unioni possono formulare pareri e proposte alle amministrazioni dello Stato, alle regioni e agli enti locali sulle questioni che comunque interessano le imprese della circoscrizione territoriale di competenza.». Si riporta il testo del comma 4, lettera a) dell’art. 22 della legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali): «Art. 22 (Definizione del sistema integrato di interventi e servizi sociali). - 1-23. (Omissis). 4. In relazione a quanto indicato al comma 2, le leggi regionali, secondo i modelli organizzativi adottati, prevedono per ogni ambito territoriale di cui all’art. 8, comma 3, lettera a), tenendo conto anche delle diverse esigenze delle aree urbane e rurali, comunque l’erogazione delle seguenti prestazioni: a) servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari; b)c)-d)-e) (Omissis)». Si riporta il testo dell’art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162 (Riordinamento delle scuole dirette a fini speciali, delle scuole di specializzazione e dei corsi di perfezionamento): «Art. 16 (Istituzione). - Le Università, perle finalità indicate nel precedente art. 1, lettera e), possono attivare corsi di perfezionamento di durata non superiore ad un anno anche a seguito di convenzioni, ivi comprese quelle previste dall’art. 92, secondo e terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 oltre che con lo Stato, la regione e gli altri enti territoriali, con enti pubblici o con privati, utilizzando eventualmente strutture ausiliarie decentrate e mezzi radiotelevisivi. Ai predetti corsi possono iscriversi coloro che sono in possesso di titoli di studio di livello universitario. Il corso è attivato con decreto del rettore, su conforme parere o su proposta delle facoltà interessate e previo parere favorevole del consiglio di amministrazione. Il decreto del rettore determina i requisiti di ammissione, le modalità di svolgimento del corso e la sua durata, anche in relazione alle esigenze di coloro che già operano nel mondo della produzione e dei servizi sociali, l’ammontare degli eventuali contributi di iscrizione e ogni altra utile prescrizione». Il regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 6 aprile 1942, n. 81, supplemento ordinario. Per l’art. 15 della legge 27 gennaio 2012, n. 3 si veda vedi nelle note alle premesse. Il decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché’ nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 28 settembre 2011, n. 226, supplemento ordinario.

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Il titolo XI del libro V del codice civile reca: «Disposizioni penali in materia di società e di consorzi». Si riporta il testo dell’art. 16 della citata legge 27 gennaio 2012, n. 3: «Art. 16 (Sanzioni). - 1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da 1.000 a 50.000 euro il debitore che: a) al fine di ottenere l’accesso alla procedura di composizione della crisi di cui alla sezione prima del presente capo aumenta o diminuisce il passivo ovvero sottrae o dissimula una parte rilevante dell’attivo ovvero dolosamente simula attività inesistenti; b) al fine di ottenere l’accesso alle procedure di cui alle sezioni prima e seconda del presente capo, produce documentazione contraffatta o alterata, ovvero sottrae, occulta o distrugge, in tutto o in parte, la documentazione relativa alla propria situazione debitoria ovvero la propria documentazione contabile; c) omette l’indicazione di beni nell’inventario di cui all’art. 14ter, comma 3; d) nel corso della procedura di cui alla sezione prima del presente capo, effettua pagamenti in violazione dell’accordo o del piano del consumatore; e) dopo il deposito della proposta di accordo o di piano del consumatore, e per tutta la durata della procedura, aggrava la sua posizione debitoria; f) intenzionalmente non rispetta i contenuti dell’accordo o del piano del consumatore. 2. Il componente dell’organismo di composizione della crisi, ovvero il professionista di cui all’art. 15, comma 9, che rende false attestazioni in ordine alla veridicità dei dati contenuti nella proposta o nei documenti ad essa allegati, alla fattibilità del piano ai sensi dell’art. 9, comma 2, ovvero nella relazione di cui agli articoli 9, comma 3-bis, 12, comma 1 e 14-ter, comma 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 1.000 a 50.000 euro. 3. La stessa pena di cui al comma 2 si applica al componente dell’organismo di composizione della crisi, ovvero al professionista di cui all’art. 15, comma 9, che cagiona danno ai creditori omettendo o rifiutando senza giustificato motivo un atto del suo ufficio». Si riporta il testo degli articoli 46 e 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa -Testo A)): «Art. 46 (R) (Dichiarazioni sostitutive di certificazioni). - 1. Sono comprovati con dichiarazioni, anche contestuali all’istanza, sottoscritte dall’interessato e prodotte in sostituzione delle normali certificazioni i seguenti stati, qualità personali e fatti: a) data e il luogo di nascita; b) residenza; c) cittadinanza; d) godimento dei diritti civili e politici; e) stato di celibe, coniugato, vedovo o stato libero; f) stato di famiglia; g) esistenza in vita; h) nascita del figlio, decesso del coniuge, dell’ascendente o discendente; i) iscrizione in albi, in elenchi tenuti da pubbliche amministrazioni; l) appartenenza a ordini professionali; m) titolo di studio, esami sostenuti; n) qualifica professionale posseduta, titolo di specializzazione, di abilitazione, di formazione, di aggiornamento e di qualificazione tecnica; o) situazione reddituale o economica anche ai fini della concessione dei benefici di qualsiasi tipo previsti da leggi speciali; p) assolvimento di specifici obblighi contributivi con l’indicazione dell’ammontare corrisposto; q) possesso e numero del codice fiscale, della partita IVA e di qualsiasi dato presente nell’archivio dell’anagrafe tributaria; r) stato di disoccupazione; s) qualità di pensionato e categoria di pensione; t) qualità di studente; u) qualità di legale rappresentante di persone fisiche o giuridiche, di tutore, di curatore e simili; v) iscrizione presso associazioni o formazioni sociali di qualsiasi tipo; z) tutte le situazioni relative all’adempimento degli obblighi militari, ivi comprese quelle attestate nel foglio matricolare dello stato di servizio; aa) di non aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l’applicazione di misure di sicurezza e di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale ai sensi della vigente normativa; bb) di non essere a

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Art. 5. Procedimento 1. Il responsabile del registro approva il modello della domanda per l’iscrizione, con l’indicazione degli atti e dei documenti idonei a comprovare il possesso dei requisiti di cui all’articolo 4 di cui la domanda deve essere corredata. Il modello approvato è pubblicato sul sito internet del Ministero. 2. La domanda è sottoscritta e trasmessa unitamente agli allegati. La sottoscrizione può essere apposta anche mediante firma digitale e la trasmissione può aver luogo anche a mezzo posta elettronica certificata; 3. Il procedimento di iscrizione deve essere concluso entro trenta giorni a decorrere dalla data di ricevimento della domanda. La richiesta di integrazione della domanda o dei suoi allegati è ammessa per una sola volta e sospende il predetto termine per un periodo non superiore a trenta giorni. La mancata adozione del provvedimento di iscrizione nei termini di cui al presente comma equivale al diniego di iscrizione. Art. 6. Effetti dell’iscrizione 1. Il provvedimento di iscrizione è comunicato al richiedente con il numero d’ordine attribuito nel registro. 2. Dalla data della comunicazione di cui al comma precedente, l’organismo è tenuto a fare menzione negli atti, nella corrispondenza e nelle

conoscenza di essere sottoposto a procedimenti penali; bb-bis) di non essere l’ente destinatario di provvedimenti giudiziari che applicano le sanzioni amministrative di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231; cc) qualità di vivenza a carico; dd) tutti i dati a diretta conoscenza dell’interessato contenuti nei registri dello stato civile; ee) di non trovarsi in stato di liquidazione o di fallimento e di non aver presentato domanda di concordato.». «Art. 47 (R). (Dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà). - 1. L’atto di notorietà concernente stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato è sostituito da dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo con la osservanza delle modalità di cui all’art. 38. 2. La dichiarazione resa nell’interesse proprio del dichiarante può riguardare anche stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza. 3. Fatte salve le eccezioni espressamente previste per legge, nei rapporti con la pubblica amministrazione e con i concessionari di pubblici servizi, tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell’art. 46 sono comprovati dall’interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà. 4. Salvo il caso in cui la legge preveda espressamente che la denuncia all’Autorità di Polizia Giudiziaria è presupposto necessario per attivare il procedimento amministrativo di rilascio del duplicato di documenti di riconoscimento o comunque attestanti stati e qualità personali dell’interessato, lo smarrimento dei documenti medesimi è comprovato da chi ne richiede il duplicato mediante dichiarazione sostitutiva».

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forme di pubblicità consentite del numero d’ordine nonché della denominazione dell’ente pubblico che lo ha costituito. 3. A far data dall’iscrizione ed entro il 31 dicembre di ogni anno l’organismo pubblica sul proprio sito internet il numero degli incarichi conferiti dal referente a ciascun gestore della crisi. Art. 7. Obblighi di comunicazione al responsabile 1. Il referente è obbligato a comunicare immediatamente al responsabile, anche a mezzo posta elettronica certificata, tutte le vicende modificative dei requisiti dell’organismo iscritto, dei dati e degli elenchi comunicati ai fini dell’iscrizione, nonché le misure di sospensione e di decadenza dei gestori dall’attività adottate a norma dell’articolo 10, comma 5. 2. L’autorità giudiziaria provvede alla segnalazione al responsabile di tutti i fatti e le notizie rilevanti ai fini dell’esercizio dei poteri previsti nel presente regolamento. Art. 8. Sospensione e cancellazione dal registro 1. Se, dopo l’iscrizione, l’organismo perde i requisiti di cui all’articolo 4, commi 3 e 4, il responsabile provvede a sospendere l’organismo dal registro per un periodo non superiore a novanta giorni, decorso il quale, persistendo la mancanza dei requisiti, provvede alla cancellazione. 2. Quando risulta che i requisiti di cui al comma 1 non sussistevano al momento dell’iscrizione il responsabile provvede a norma del comma 1 ovvero, nei casi più gravi, alla cancellazione dell’organismo dal registro. 3. È disposta la cancellazione degli organismi che non abbiano svolto almeno tre procedimenti di gestione della crisi nel corso di un biennio. 4. L’organismo cancellato dal registro non può essere nuovamente iscritto prima che sia decorso un biennio dalla cancellazione. 5. Ai fini del presente articolo, il responsabile può acquisire informazioni dagli organismi, anche nei modi e nei tempi stabiliti da circolari o atti amministrativi equipollenti.

Sezione II Obblighi dell’organismo e del gestore della crisi Art. 9. Registro degli affari di gestione della crisi 1. Ciascun organismo è tenuto a istituire un elenco dei gestori della

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crisi e un registro informatico degli affari, con le annotazioni relative al numero d’ordine progressivo, ai dati identificativi del debitore, al gestore della crisi designato, all’esito del procedimento. 2. Ulteriori registri o annotazioni possono essere stabiliti con determinazione del responsabile. 3. L’organismo è tenuto a trattare i dati raccolti nel rispetto delle disposizioni del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante «Codice in materia di protezione dei dati personali». Art. 10. Obblighi dell’organismo 1. Salvo quanto disposto dall’articolo 4, comma 3, lettera c), l’organismo non può assumere diritti e obblighi connessi con gli affari trattati dai gestori della crisi che operano presso di sé o presso altri organismi iscritti nel registro. 2. Il referente distribuisce equamente gli incarichi tra i gestori della crisi, tenuto conto in ogni caso della natura e dell’importanza dell’affare, e prima di conferire ciascun incarico sottoscrive una dichiarazione dalla quale risulta che l’organismo non si trova in conflitto d’interessi con la procedura. La dichiarazione è portata a conoscenza del tribunale contestualmente al deposito della proposta di accordo o di piano del consumatore ovvero della domanda di liquidazione. 3. Al momento del conferimento dell’incarico l’organismo deve comunicare al debitore il grado di complessità dell’opera, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili fino alla conclusione dell’incarico e deve altresì indicare i dati della polizza assicurativa di cui all’articolo 4, comma 3, lettera c). La misura del compenso è previamente resa nota al debitore con un preventivo, indicando per le singole attività tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi. 4. L’organismo è obbligato a portare a conoscenza dei creditori l’accordo concluso con il debitore per la determinazione del compenso. 5. L’organismo è tenuto ad adottare un regolamento di autodisciplina. Il regolamento deve in ogni caso individuare, secondo criteri di proporzionalità, i casi di decadenza e sospensione dall’attività dei gestori che sono privi dei requisiti o hanno violato gli obblighi previsti dal presente decreto e derivanti dagli incarichi ricevuti nonché la procedura per l’applicazione delle relative sanzioni, e determinare i criteri di sostituzione nell’incarico. 6. Nel caso di violazione degli obblighi dell’organismo previsti dal presente decreto il responsabile dispone la sospensione e, nei casi più gravi, la cancellazione dell’organismo dal registro. Allo stesso modo si procede quando l’organismo ha omesso di adottare le misure di sospensione e decadenza nei casi di cui al comma 5.

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Art. 11. Obblighi del gestore della crisi e dei suoi ausiliari 1. Chiunque presti la propria opera o il proprio servizio nell’organismo è tenuto all’obbligo di riservatezza su tutto quanto appreso in ragione dell’opera o del servizio ed al rispetto di tutti gli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro subordinato, parasubordinato o autonomo instaurato con l’organismo di appartenenza. 2. Al gestore della crisi e ai suoi ausiliari è fatto divieto di assumere diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati, ad eccezione di quelli strettamente inerenti alla prestazione dell’opera o del servizio. Agli stessi è fatto divieto di percepire, in qualunque forma, compensi o utilità direttamente dal debitore. 3. Al gestore della crisi è fatto, altresì, obbligo di: a) sottoscrivere per ciascun affare per il quale è designato una dichiarazione di indipendenza. Il gestore della crisi è indipendente quando non è legato al debitore e a coloro che hanno interesse all’operazione di composizione o di liquidazione da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza; in ogni caso, il gestore della crisi deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; b) corrispondere immediatamente a ogni richiesta del responsabile in relazione alle previsioni contenute nel presente regolamento. 4. Il gestore della crisi, prima di dare inizio alla gestione dell’affare, sottoscrive la dichiarazione di cui al comma 3, lettera a), e la rende nota al tribunale a norma dell’articolo 10, comma 24.

Note all’art. 11: Si riporta il testo dell’art. 2399 del codice civile: «Art. 2399 (Cause d’ineleggibilità e di decadenza). - Non possono essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti, decadono dall’ufficio: a) coloro che si trovano nelle condizioni previste dall’art. 2382; b) il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle a comune controllo; c) coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza. La cancellazione o la sospensione dal registro dei revisori legali e delle società di revisione legale e la perdita 4 -

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Art. 12. Responsabilità del servizio di gestione della crisi 1. Il gestore della crisi designato deve eseguire personalmente la sua prestazione. Art. 13. Monitoraggio e certificazione di qualità 1. Il Ministero procede annualmente, congiuntamente al Ministero dello sviluppo economico per i procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento del consumatore, al monitoraggio statistico dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio svolti presso gli organismi, anche sulla base dei dati trasmessi a norma del comma 2. Il Ministero, per il tramite della Direzione generale di statistica, provvede al monitoraggio statistico di cui al periodo precedente nei modi e nei tempi stabiliti da circolari o atti amministrativi equipollenti e con l’ausilio dell’Istituto nazionale di statistica. 2. Entro il mese di dicembre di ogni anno, gli organismi sono tenuti a trasmettere al responsabile i dati: a) sul numero e la durata dei procedimenti di cui al capo II della legge; b) sul numero dei provvedimenti di diniego di omologazione, di risoluzione, revoca e cessazione degli effetti degli accordi e dei piani omologati, nonché sul numero dei casi di conversione dei procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento in quelli di liquidazione del patrimonio; c) sull’ammontare dei debiti risultanti dagli accordi e dai piani omologati nonché accertati in sede di liquidazione; d) sulla percentuale di soddisfazione dei creditori rispetto all’ammontare del passivo verificato risultante all’esito dei procedimenti di cui al capo II della legge, con indicazione specifica della percentuale di soddisfazione dei chirografari; e) sul numero dei provvedimenti di accoglimento e di rigetto delle istanze di esdebitazione; f) sull’ammontare delle spese di procedura. 3. Il responsabile, a domanda e sulla base dei dati di cui al comma 2, rilascia una certificazione di qualità all’organismo richiedente, nei modi

dei requisiti previsti dall’ultimo comma dell’art. 2397 sono causa di decadenza dall’ufficio di sindaco. Lo statuto può prevedere altre cause di ineleggibilità o decadenza, nonché’ cause di incompatibilità e limiti e criteri per il cumulo degli incarichi».

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e nei tempi stabiliti da circolari o atti amministrativi equipollenti. Ai fini del periodo precedente il responsabile può acquisire ulteriori informazioni dagli organismi richiedenti e avvalersi della collaborazione di un professore universitario in materie giuridiche, di un professore universitario in materie economiche e di un magistrato con funzioni di giudice delegato ai fallimenti, designati dal Capo Dipartimento per gli affari di giustizia per un periodo non superiore a tre anni; ai collaboratori designati non spettano compensi, né rimborsi spese a qualsiasi titolo dovuti. 4. La certificazione di qualità rilasciata dal responsabile è pubblicata sui siti internet del Ministero e dell’organismo richiedente. 5. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Alle attività previste dal presente articolo le amministrazioni interessate provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente5. Capo III Determinazione dei compensi Sezione I Disposizioni generali Art. 14. Ambito di applicazione e regole generali 1. La determinazione dei compensi e dei rimborsi spese spettanti all’organismo ha luogo, in difetto di accordo con il debitore che lo ha incaricato, secondo le disposizioni del presente capo. Per la determinazione dei compensi dell’organismo nominato dal giudice, nonché del professionista o della società tra professionisti muniti dei requisiti di cui all’articolo 28 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero del notaio, nominati per svolgere le funzioni e i compiti attribuiti agli organismi, si applicano le disposizioni del presente capo. 2. I compensi comprendono l’intero corrispettivo per la prestazione svolta, incluse le attività accessorie alla stessa. 3. All’organismo spetta un rimborso forfettario delle spese generali in una misura compresa tra il 10 e il 15% sull’importo del compenso determinato a norma delle disposizioni del presente capo, nonché il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate. I costi degli ausiliari incaricati sono ricompresi tra le spese.

Note all’art. 13: Il capo II della citata legge 27 gennaio 2012, n. 3, reca: «Procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio». 5 -

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4. Le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente capo, non sono vincolanti per la liquidazione medesima6. Art. 15. Criteri per la determinazione del compenso 1. Per la determinazione del compenso si tiene conto dell’opera prestata, dei risultati ottenuti, del ricorso all’opera di ausiliari, della sollecitudine con cui sono stati svolti i compiti e le funzioni, della complessità delle questioni affrontate, del numero dei creditori e della misura di soddisfazione agli stessi assicurata con l’esecuzione dell’accordo o del piano del consumatore omologato ovvero con la liquidazione. 2. Sono ammessi acconti sul compenso finale. Sezione II Determinazione dei compensi nelle procedure di composizione della crisi Art. 16. Parametri 1. Nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui al capo II, sezione prima, della legge in cui sono previste forme di liquidazione dei beni, il compenso dell’organismo, anche per l’opera prestata successivamente all’omologazione, è determinato, di regola, sulla base dei seguenti parametri: a) secondo una percentuale sull’ammontare dell’attivo realizzato compresa tra quelle di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto del Ministro della giustizia 25 gennaio 2012, n. 30 e successivi adeguamenti; b) secondo una percentuale sull’ammontare del passivo risultante

Note all’art. 14: Si riporta il testo dell’art. 28 del citato decreto regio 16 marzo 1942, n. 267: «Art. 28 (Requisiti per la nomina a curatore). - Possono essere chiamati a svolgere le funzioni di curatore: a) avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti; b) studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse abbiano i requisiti professionali di cui alla lettera a). In tale caso, all’atto dell’accettazione dell’incarico, deve essere designata la persona fisica responsabile della procedura; c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro confronti dichiarazione di fallimento. Non possono essere nominati curatore il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito, i creditori di questo e chi ha concorso al dissesto dell’impresa durante i due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, nonché’ chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento». 6 -

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dall’accordo o dal piano del consumatore omologato compresa tra quelle di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto del Ministro della giustizia di cui alla lettera a). 2. Nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui al capo II, sezione prima, della legge diverse da quelle di cui al comma 1, spetta all’organismo un compenso, anche per l’opera prestata successivamente all’omologazione, determinato con le medesime percentuali di cui al predetto comma, sull’ammontare dell’attivo e del passivo risultanti dall’accordo o dal piano del consumatore omologati. 3. Nell’ipotesi di gruppo di imprese, non costituiscono attivo né passivo gli importi risultanti da finanziamenti e garanzie infragruppo o dal ribaltamento, attraverso insinuazioni, ripartizioni o compensazioni, di attivo e passivo da parte di altra società del gruppo. 4. I compensi determinati a norma dei commi 1, 2 e 3 sono ridotti in una misura compresa tra il 15% e il 40%. 5. L’ammontare complessivo dei compensi e delle spese generali non può comunque essere superiore al 5% dell’ammontare complessivo di quanto è attribuito ai creditori per le procedure aventi un passivo superiore a 1.000.000 di euro, e al 10% sul medesimo ammontare per le procedure con passivo inferiore. Le disposizioni di cui al periodo precedente non si applicano quando l’ammontare complessivo di quanto è attribuito ai creditori è inferiore ad euro 20.0007.

Note all’art. 16: Si riporta il testo dell’art. 1 del decreto del Ministro della giustizia 25 gennaio 2012, n. 30 (Regolamento concernente l’adeguamento dei compensi spettanti ai curatori fallimentari e la determinazione dei compensi nelle procedure di concordato preventivo): «Art. 1. - 1. Il compenso al curatore di fallimento è liquidato dal tribunale a norma dell’art. 39 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, tenendo conto dell’opera prestata, dei risultati ottenuti, dell’importanza del fallimento, nonché’ della sollecitudine con cui sono state condotte le relative operazioni, e deve consistere in una percentuale sull’ammontare dell’attivo realizzato non superiore alle misure seguenti: a) dal 12% al 14% quando l’attivo non superi i 16.227,08 euro; b) dal 10% al 12% sulle somme eccedenti i 16.227,08 euro fino a 24.340,62 euro; c) dall’8,50% al 9,50% sulle somme eccedenti i 24.340,62 euro fino a 40.567,68 euro; d) dal 7% all’8% sulle somme eccedenti i 40.567,68 euro fino a 81.135,38 euro; e) dal 5,5% al 6,5% sulle somme eccedenti i 81.135,38 euro fino a 405.676,89 euro; f) dal 4% al 5% sulle somme eccedenti i 405.676,89 euro fino a 811.353,79 euro; g) dallo 0,90% all’1,80% sulle somme eccedenti i 811.353,79 euro fino a 2.434.061,37 euro; h) dallo 0,45% allo 0,90% sulle somme che superano i 2.434.061,37 euro. 2. Al curatore è inoltre corrisposto, sull’ammontare del passivo accertato, un compenso supplementare dallo 0,19% allo 0,94% sui primi 81.131,38 euro e dallo 0,06% allo 0,46% sulle somme eccedenti tale cifra». 7 -

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Art. 17. Unicità del compenso 1. Quando nello stesso incarico si sono succeduti più organismi, il compenso unico è determinato secondo le disposizioni del presente capo ed è ripartito secondo criteri di proporzionalità. Nel caso in cui per l’esecuzione del piano o dell’accordo omologato sia nominato un liquidatore o un gestore per la liquidazione, la determinazione del compenso ha luogo a norma del comma 1. Sezione III Determinazioni dei compensi nella procedura di liquidazione del patrimonio Art. 18. Parametri 1. Nelle procedure di liquidazione di cui al capo II, sezione seconda, della legge, il compenso del liquidatore è determinato sull’ammontare dell’attivo realizzato dalla liquidazione e del passivo accertato. Si applica l’articolo 16. 2. Quando nello stesso incarico si sono succeduti più liquidatori ovvero nel caso di conversione della procedura di composizione della crisi in quella di liquidazione, il compenso unico è determinato secondo le disposizioni del presente capo ed è ripartito secondo criteri di proporzionalità8. Capo IV Disciplina transitoria ed entrata in vigore Art. 19. Disciplina transitoria 1. Per i tre anni successivi all’entrata in vigore del presente decreto, i professionisti appartenenti agli ordini professionali di cui all’articolo 4, comma 2, sono esentati dall’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 4, commi 5, lettera d), e 6, primo periodo, purché documentino di essere stati nominati, in almeno quattro procedure, curatori fallimentari, commissari giudiziali, delegati alle operazioni di vendita nelle procedure esecutive immobiliari ovvero per svolgere i compiti e le funzioni dell’organismo o del liquidatore a norma dell’articolo 15 della legge. Ai fini del

Note all’art. 18: La sezione seconda del capo II della citata legge 27 gennaio 2012, n. 3, reca: «Liquidazione del patrimonio». 8 -

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periodo precedente le nomine relative a differenti tipologie di procedure sono cumulabili e rilevano anche quelle precedenti all’entrata in vigore del presente decreto9. Art. 20. Entrata in vigore 1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 24 settembre 2014 Il Ministro della giustizia Orlando Il Ministro dello sviluppo economico Guidi Il Ministro dell’economia e delle finanze Padoan Visto, il Guardasigilli: Orlando

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Note all’art. 19: Per l’art. 15 della legge 27 gennaio 2012, n. 3, si veda nelle note alle premesse.

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NORME REDAZIONALI

I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)

II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. …

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Norme redazionali

4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).

III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile c.c. codice di commercio c.comm. Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall.

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Norme redazionali

legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)

l.camb. t.u. t.u.b. t.u.f.

2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur.

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Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm. Rivista della cooperazione Riv. coop. Rivista delle società Riv. soc. Rivista del diritto commerciale Riv. dir. comm. Rivista del notariato Riv. not. Rivista di diritto civile Riv. dir. civ. Rivista di diritto internazionale Riv. dir. internaz. Rivista di diritto privato Riv. dir. priv. Rivista di diritto processuale Riv. dir. proc. Rivista di diritto pubblico Riv. dir. pubbl. Rivista di diritto societario RDS Rivista giuridica sarda Riv. giur. sarda Rivista italiana del leasing Riv. it. leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Riv. trim. dir. proc. civ. Vita notarile Vita not.

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4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesin­ger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cu­ra di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, To­rino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Tori­no, Tratt. soc. per az., diretto da Co­lombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume

IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze.

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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria Cedola di sottoscrizione - Abbonamento 2014 (4 fascicoli): € 110,00 Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 35,00 Modalità di Pagamento ☐ assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA ☐ versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 G 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) ☐ carta di credito ☐ MasterCard ☐ VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma.................................................................

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