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ISSN 1722-8360
di particolare interesse in questo fascicolo Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009
Diritto della banca e del mercato finanziario
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Diritto della banca e del mercato finanziario
• L’informazione nella crisi d’impresa • Rapporti bancari e procedure concorsuali • Conto corrente bancario • Banche popolari
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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è coordinato dal prof. Vittorio Santoro. Nell’anno 2015, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Laura Ammannati, Marta Bozina, Mario P. Chiti, Aldo A. Dolmetta, Paolo Giudici, Emanuele Lucchini Guastalla, Marco Miletti, Cinzia Motti, Stefano Pagliantini, Alessandro Palmieri, Andrea Perrone, Andrea Pisaneschi, Antonio Piras, Michele Sandulli, Lorenzo Stanghellini, Onofrio Troiano, Alberto Urbani.
Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria
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SOMMARIO 1/2016
PARTE PRIMA Saggi Crisi dell’impresa e ruolo dell’informazione, di Alessandro Nigro Una nuova Unione, una Unione Bancaria, di Maria Lucia Passador
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Dibattiti Rapporti bancari e procedure concorsuali – Incontro di studio del 18 giugno 2015, presieduto da Vittorio Santoro, con interventi di Vincenzo Caridi, Sabino Fortunato, Danilo Galletti, Alessandro Nigro, Maurizio Sciuto, Giuseppe Terranova, Daniele Vattermoli
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Commenti Addebito diretto e diritto di rimborso – A.B.F., Collegio di Milano, 10 novembre 2014, n. 7530 e 9 maggio 2014, n. 2838 Il diritto di rimborso nell’addebito diretto, di Irene Mecatti Responsabilità della banca per le operazioni di home banking – Trib. Firenze, 9 luglio 2015 e A.B.F., Collegio di Roma, 3 luglio 2014, n. 4172 Responsabilità della banca del beneficiario per errata esecuzione di ordine di bonifico impartito tramite home banking: configurazione di un obbligo di protezione in favore di terzo?, di Giovanni B. Barillà
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PARTE SECONDA Legislazione Nuovi interventi per il sistema bancario – D.l. 24 gennaio 2015, n. 3 (convertito con modificazioni nella l. 24 marzo 2015, n. 33): Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti Commento al d.l. 24 gennaio 2015, n. 3. Parte prima: la riforma delle banche popolari, di Ciro G. Corvese Norme
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PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, casi e soluzioni, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ
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Crisi dell’impresa e ruolo dell’informazione * Sommario: I. Premessa. – II. Il ruolo dell’informazione nelle procedure concorsuali. – III. Temi particolari. – IV. Conclusioni.
I. Premessa. Una considerazione preliminare si impone. Il titolo del convegno, e quindi della mia relazione, potrebbe essere inteso come riferito ad una analisi del ruolo dell’informazione nel prodursi e nell’aggravarsi della crisi dell’impresa. Sarebbe, questa, una interpretazione certamente plausibile. In effetti, la crisi – sia essa di tipo patrimoniale o non patrimoniale – è spesso, forse addirittura quasi sempre, la conseguenza di deficit informativi; ancor più frequentemente è conseguenza di deficit informativi l’aggravamento della crisi. Non a caso una studiosa francese1, parodiando il dottor Knock2, ha rilevato che «toute entreprise en bonne santé est une entreprise en difficulté qui s’ignore». Non a caso, ancora, un ingrediente essenziale dei moderni sistemi di governo delle crisi delle imprese viene rinvenuto nelle c.d. procedure di allerta, le quali altro non sono, essenzialmente, che meccanismi di informazione precoce di anomalie che possono rivelare l’esistenza di una situazione di crisi. Io non intendo però seguire questa prospettiva, più adatta, mi pare, agli studiosi di economia aziendale. Quindi, ho scelto di concentrare la mia attenzione sul ruolo assegnato all’informazione nella disciplina giuridica della crisi delle imprese: in sostanza, dunque, nell’ambito de-
* Relazione svolta all’incontro, con lo stesso titolo, tenutosi a Napoli il 25 settembre 2015. 1
F. Perochon, Entreprises en difficulté10, Paris, 2014, p. 61. Personaggio di una commedia a cui si deve la celebre frase: «Una persona sana è solo una persona malata senza saperlo». 2
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gli strumenti deputati a governare e/o risolvere quella crisi, vale a dire, specificamente, nell’ambito di quelle che nel nostro sistema definiamo come procedure concorsuali. Spero di non deludere, con questa impostazione, gli organizzatori e gli ascoltatori.
II. Il ruolo dell’informazione nelle procedure concorsuali. 2. Delineato l’ambito del mio discorso, credo che si possa partire da una tanto semplice quanto fondamentale constatazione. Come altra volta ho avuto occasione di sottolineare, le procedure concorsuali – nel nostro come in altri sistemi – si connotano, in quanto strumenti di realizzazione coattiva della responsabilità patrimoniale del debitore, per ciò che esse comportano tutte, sul piano strutturale, sia l’imposizione di un vincolo di destinazione sull’intero patrimonio del debitore sia, correlativamente, l’organizzazione di un particolare centro di competenza, di un apposito apparato, che subentra al debitore o ad esso si affianca nella gestione di tale patrimonio ed al quale è affidato lo svolgimento delle procedure nelle loro varie fasi: un apparato complesso, articolato cioè su più componenti, così come complesse sono le attività ad esso commesse. Orbene, le relazioni che si costituiscono, da un lato, fra il debitore e l’apparato che ad esso si sostituisce o si affianca e, dall’altro, fra le componenti di quell’apparato sono anche e proprio relazioni di tipo informativo, relazioni cioè che si concretano in flussi informativi: e lo sono inevitabilmente e da sempre. Quello che voglio dire è che le procedure concorsuali in quanto tali sono state, fin dalle loro origini, e sono oggi contrassegnate da specifica attenzione per l’informazione, la quale, pertanto, ha sempre giocato, in esse, un ruolo fondamentale. E si consideri, per esempio, la cura con la quale, nel code de commerce del 1807, era stata disciplinata la predisposizione del bilancio del fallito subito dopo la dichiarazione di fallimento, con la previsione (negli art. 470 e ss.) della formazione del medesimo, in caso di inottemperanza del fallito, da parte degli “agens” della procedura e del potere di questi di assumere informazioni presso la moglie e i figli del fallito e i dipendenti del medesimo; o era stato previsto (art. 502) l’avviso ai creditori, attraverso “papiers publics” e lettere, di presentarsi ai syndics per dichiarare i loro crediti; e così via. 3. In effetti, è sufficiente anche soltanto scorrere la attuale legge fallimentare e le leggi ad essa complementari (mi riferisco ovviamente a quelle sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di
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insolvenza) per constatare come nella disciplina delle procedure concorsuali la parte concernente flussi e profili informativi sia di assoluto rilievo. In tale disciplina, l’informazione emerge in tutte le sue possibili “declinazioni” ed in tutte le sue possibili “funzioni”. Sotto il primo aspetto, quello delle “declinazioni”, essa emerge: - sia come attività informativa, quindi in chiave dinamica, e sia come informazione, quindi in chiave statica (e si pensi, da un lato, alle funzioni del commissario giudiziale nel concordato preventivo, il “cuore” delle quali funzioni è dato proprio dalla ricerca, elaborazione e comunicazione di informazioni; e, dall’altro, al programma di liquidazione del curatore di cui all’art. 104-ter stessa legge o alla relazione del commissario giudiziale di cui all’art. 172); - come oggetto di diritto o di potere rispettivamente di informare e di essere informato o di informarsi (e si pensi, quanto al diritto di informare, alla segnalazione prevista dall’art. 40, co. 1, nella domanda di ammissione al passivo di nominativi aventi i requisiti per entrare a far parte del comitato dei creditori; quanto al diritto di essere informato, al diritto dei creditori di essere informati della possibilità di partecipare alla verifica del passivo e delle modalità della medesima [art. 92], dell’attività svolta dal curatore fallimentare attraverso i rapporti riepilogativi periodici [art 33]; dell’attività svolta dal liquidatore in sede di esecuzione del concordato con cessione dei beni [art. 182]; e così via; o al diritto dei componenti del comitato dei creditori di chiedere notizie e chiarimenti al curatore e al fallito [art. 41, co. 5]; e, quanto al potere di informarsi, al potere del tribunale, in sede di istruttoria prefallimentare, di richiedere eventuali informazioni urgenti [art. 15], ecc.); - come oggetto di obbligo o di dovere o di onere, ancora una volta, rispettivamente, di informare o di informarsi (qui gli esempi possono moltiplicarsi: quanto all’obbligo di informare, si pensi agli obblighi informativi posti a carico del debitore prima e successivamente alla dichiarazione di fallimento [art. 15 e 16], a quelli posti a carico del fallito dall’art. 49, in sede di inventario dall’art. 89 o a carico del debitore in sede di adunanza dei creditori nel concordato preventivo [art. 175]; o al dovere di informare posto a carico del curatore dall’art. 35, co. 3, o dall’art. 92; o posto a carico del commissario giudiziale dagli art. 171 e dall’art. 173; quanto all’obbligo o dovere di informarsi, si pensi alle articolate previsioni in materia di concordato preventivo che consentono al tribunale di autorizzare il debitore a contrarre finanziamenti prededucibili o a pagare debiti anteriori, «assunte se del caso sommarie informazioni» [art. 182-quinquies). Sotto il secondo aspetto, quello delle “funzioni”, l’informazione può essere prevista:
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- a fini puramente cognitivi (e si pensi, per esempio, all’inventario che il curatore deve effettuare ai sensi dell’art. 87 o alla relazione che lo stesso curatore deve presentare al giudice delegato ai sensi dell’art. 33; e così via); - al fine della decisione (e si pensi, per esempio, alla documentazione che deve essere allegata alla domanda di concordato, necessaria ai fini della decisione del Tribunale in punto di ammissione alla procedura prima e di omologazione poi, ma anche ai fini della decisione dei creditori in punto di votazione); - al fine del controllo (e si pensi, per esempio, al già ricordato diritto dei componenti del comitato dei creditori di chiedere notizie e chiarimenti al curatore e al fallito [art. 41, co. 5] o a quello degli stessi componenti di prendere visione di qualunque atto o documento contenuto nel fascicolo fallimentare [art. 90, co. 2]). Tutto questo può giustificare una affermazione che, a prima vista, potrebbe apparire decisamente eccessiva: che, a ben considerare, l’informazione costituisce una componente strutturale non solo necessaria, ma portante delle procedure concorsuali. 4. Sarebbe ovviamente impossibile (e forse anche noioso) ripercorrere l’intera disciplina che stiamo considerando per trattare nel dettaglio di tutti i singoli profili rilevanti dall’angolo di visuale dell’informazione. Ho scelto dunque di affrontare alcuni temi specifici che mi parrebbero interessanti e di una certa significatività: - in che misura ha inciso, sul piano dell’informazione, la riforma italiana, tuttora in itinere, della disciplina delle procedure concorsuali; - se e quando i flussi informativi previsti come oggetto di obbligo/ dovere possono subire limitazioni; - se e quando la situazione di crisi o di precrisi produca un rafforzamento o ampliamento degli obblighi informativi.
III. Temi particolari. 5. Sul primo tema. Ho già sottolineato come da sempre l’informazione abbia giuocato un ruolo importante nei meccanismi di soluzione delle crisi e specificamente nelle procedure concorsuali. Non vi è dubbio, però, che la riforma italiana di queste procedure, quale si è dipanata dal 2005 e continua a dipanarsi (l’ultima ”tappa” di questo processo apparentemente senza fine essendo rappresentato dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83), abbia decisamente rafforzato quel ruolo. Tanto da potersi dire che proprio tale rafforzamento costituisca
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una delle linee guida di questa riforma, una delle linee guida – mi sentirei di aggiungere – non sempre adeguatamente colta dai commentatori. Un siffatto rafforzamento si è avuto sia sul piano dell’informazione extraconcorsuale sia su quello dell’informazione endoconcorsuale. a. Quanto al primo, mi parrebbero degni di considerazione, da un lato, il vistoso potenziamento, nella nostra materia, di quel veicolo fondamentale di pubblicità – e quindi di informazione alla collettività – costituito dal registro delle imprese; e, dall’altro, l’introduzione, nella stessa materia, di nuovi veicoli di pubblicità. In ordine al registro delle imprese, basta considerare: - il valore costitutivo attribuito all’iscrizione nel registro della sentenza dichiarativa di fallimento, dalla cui data si producono gli effetti di tale sentenza nei confronti dei terzi (art. 16 ult. co., l. fall., come riformulato dal d. lgs. n. 169/2007); - la previsione del deposito presso il registro dei rapporti riepilogativi delle attività svolte che ogni sei mesi il curatore deve redigere ai sensi dell’art. 33, co. 5, accompagnati dalle eventuali osservazioni del comitato dei creditori (previsione introdotta dal d.lgs. n. 5/2006); - la previsione del deposito e dell’iscrizione nel registro della deliberazione degli amministratori di società di capitali sulla proposta e le condizioni del concordato della società (art. 152, come modificato dal d.lgs. n. 5/2006); - la previsione della pubblicazione nel registro, a cura del cancelliere, della domanda di concordato preventivo (previsione introdotta dal d.l. n. 83/2012); - la previsione della pubblicazione nel registro, a cura del cancelliere, della situazione finanziaria dell’impresa che mensilmente il debitore a cui sia stato concesso il termine per il “completamento” della domanda di concordato in bianco deve depositare presso il tribunale (previsione introdotta dal d.l. n. 69/2013); - la previsione della pubblicazione nel registro degli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis che acquistano efficacia dal giorno della pubblicazione (peraltro, qui siamo fuori, propriamente, dal campo delle procedure concorsuali); - la previsione della possibilità di pubblicare nel registro, su domanda del debitore, il piano di risanamento attestato di cui all’art. 67, co. 3, lett. d) (previsione introdotta anch’essa dal d.l. n. 83/2012). In ordine all’introduzione di nuovi veicoli di pubblicità, è sufficiente ricordare che l’art. 5 d.l. n. 83/2015 ha istituito un pubblico registro nazionale presso il Ministero della giustizia in cui sono destinati a confluire i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali e ad essere annotati i provvedimenti di chiusura
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dei fallimenti e di omologazione dei concordati, nonché l’ammontare dell’attivo e del passivo delle procedure chiuse. Soprattutto il vistoso, come dicevo, potenziamento del registro delle imprese consente di affermare che le nostre procedure concorsuali, finora caratterizzate da una decisa logica di riservatezza verso l’esterno (logica di cui può ritenersi tuttora espressione, per esempio, la previsione dell’art. 90, ult. co., che attribuisce ai creditori diversi dai componenti del comitato dei creditori il diritto di prendere visione solo degli atti e documenti contenuti nel fascicolo del fallimento «per i quali – precisa la disposizione – sussiste un loro specifico ed attuale interesse, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il curatore»), si vanno decisamente aprendo alla opposta logica della trasparenza. b. Le novità forse più rilevanti si sono comunque avute sul secondo dei due piani, quello dell’informazione endoconcorsuale. α. Qui spicca, naturalmente, l’imponente rafforzamento dei meccanismi informativi, al servizio delle decisioni e del tribunale e dei creditori, che ha caratterizzato e caratterizza la riforma della disciplina del concordato preventivo. Mi riferisco, come è evidente, soprattutto alla previsione secondo la quale la domanda di concordato deve essere accompagnata da un piano, «contenente – stabilisce la legge (art. 161) – la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta», nonché – come aggiunto dalla normativa del 2015 – l’indicazione della «utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore»; e dalla relazione di un professionista, che – precisa anche qui la legge – «attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo». Documenti, l’uno e l’altra, aventi, prima di tutto e soprattutto, portata e funzione, appunto, informative e aventi come destinatari – e si è già avuto modo, precedentemente, di sottolinearlo – da un lato, il tribunale, in relazione alle decisioni dapprima sull’ammissione e poi sull’omologazione, e, dall’altro, i creditori, in relazione al voto. Ma mi riferisco anche, naturalmente, alle particolari previsioni dettate (dall’art. 186-bis) in materia di concordato con continuità aziendale, in ordine al contenuto del piano e della relazione del professionista, di nuovo in funzione della decisione del tribunale e dei creditori; alle particolari attestazioni del professionista richieste dall’art. 182-quinqies ai fini del rilascio da parte del tribunale dell’autorizzazione al debitore a contrarre finanziamenti prededucibili o a pagare crediti anteriori; alle sommarie informazioni, che il tribunale deve, se del caso, assumere con riferimento al rilascio dell’autorizzazione di cui ho appena detto; agli obblighi informativi periodici che il tribunale deve disporre a carico
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del debitore a cui sia stato concesso il termine per il “completamento” della domanda di concordato in bianco, che hanno ad oggetto anche la gestione finanziaria dell’impresa e l’attività compiuta per la predisposizione della proposta e del piano, che devono avere periodicità almeno mensili, e che hanno qui evidenti finalità di controllo; e così via. E mi riferisco, ancora, sempre in materia di concordato preventivo, ai nuovi, peculiari obblighi di informazione posti dalla normativa del 2015 a carico del commissario giudiziale: così, quello – di non secondaria importanza – imposto dal nuovo art. 172, primo comma, per il quale nella sua relazione il commissario deve illustrare le utilità che in caso di fallimento possono essere apportate dalle azioni risarcitorie, recuperatorie e revocatorie che potrebbero essere proposte nei confronti di terzi; così quelli previsti vuoi in funzione della presentazione sia delle c.d. proposte concorrenti sia anche delle c.d. offerte concorrenti (nuovi terzo e quarto comma dell’art. 165), vuoi in funzione della decisione dei creditori prima e del tribunale poi nel caso, ancora una volta, di proposte concorrenti (nuovo secondo comma dell’art. 172). β Un rafforzamento dei meccanismi informativi endocorcorsuali si è registrato anche nella riforma della disciplina del fallimento. Qui l’innovazione più rilevante è data dalla previsione del programma di liquidazione, che il curatore deve predisporre ai sensi dell’art. 104-ter. Esso – definito dalla legge come «l’atto di pianificazione e di indirizzo in ordine alle modalità e ai termini previsti per la realizzazione dell’attivo» – ha prima di tutto proprio funzioni informative, lo scopo cioè di far conoscere agli altri organi della procedura il disegno delle attività liquidatorie che il curatore intende porre in essere. Come normalmente succede per gli obblighi di informare, l’informazione assolve, nel caso che stiamo considerando, anche ad una funzione organizzativa, quella cioè di vincolo all’operare dell’autore dell’informazione, che è quanto il legislatore ha mirato ad ottenere. Un vincolo che, da ultimo, si è cercato di rafforzare, prevedendo (con nuovi commi aggiunti all’art. 104-ter dal d.l. n. 83 del 2015) l’indicazione nel programma di un termine per il completamento della liquidazione dell’attivo, che non può essere superiore ad un certo limite ed il cui mancato rispetto senza giustificato motivo è giusta causa di revoca del curatore. Ma ci sono anche i rapporti riepilogativi semestrali previsti dall’art. 33, co. 5, che la riforma ha affiancato alla tradizionale relazione iniziale al giudice delegato, rappresentandone in certo senso la continuazione. I quali rapporti costituiscono fondamentali strumenti informativi sia verso l’esterno (e lo si è già detto) e sia verso l’interno, essendo destinati vuoi al comitato dei creditori e vuoi anche, dopo l’integrazione operata con
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il d.l. n. 179/2012, ai singoli creditori, a cui vanno comunicati per p.e.c. Con il che si consente sia al comitato sia ai singoli creditori un controllo continuo sull’attività del curatore ed i suoi risultati (nonché, a ben vedere, un controllo indiretto dei singoli creditori sul comitato che li rappresenta, dal momento che la legge prevede la possibilità per il comitato e per i singoli componenti del medesimo di formulare osservazioni scritte sui rapporti, le quali vanno trasmesse anch’esse ai singoli creditori). γ. Infine. Un ruolo molto rilevante è assegnato all’informazione nelle nuovissime figure dell’accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e della convenzione di moratoria introdotte dal d.l. del 2015 (da ritenere peraltro, come gli accordi di ristrutturazione in generale, figure estranee alle procedure concorsuali). Il meccanismo di estensione degli effetti dell’accordo o della convenzione raggiunti con l’adesione di creditori che rappresentino il 75% dei crediti della categoria ai creditori non aderenti trova infatti fra i suoi presupposti: - che questi creditori «abbiano ricevuto complete ed aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore, nonché sull’accordo e sui suoi effetti, e siano stati messi in condizione di partecipare alle trattative» (nuovo art. 182-septies, co. 2); - che il debitore abbia notificato a ciascuno di questi creditori il ricorso e la documentazione dei cui al primo comma dell’art. 182-bis, dalla quale notifica (e non dalla pubblicazione nel registro delle imprese) decorre per gli stessi il termine per proporre opposizione (nuovo art. 182-septies, co. 4). 6. Sul secondo tema. Nel nostro ordinamento non esistono procedure o procedimenti (amministrativi o giudiziari) di soluzione delle crisi delle imprese che possano dirsi necessariamente caratterizzati dalla riservatezza (diversamente, come è noto, avviene in altri ordinamenti: e basta pensare all’ordinamento francese, che da tempo conosce procedure di conciliazione che mirano a favorire accordi amichevoli e “confidenziali” fra il debitore in crisi ed i principali creditori, con l’aiuto di un conciliatore nominato dal giudice ed allo scopo di mettere fine alle difficoltà del debitore). Certo, nel caso degli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis, la fase della stipulazione dei medesimi può essere, e normalmente è, caratterizzata dalla discrezione; ma è una fase che rimane fuori da ogni procedura e da ogni intervento del giudice, rimanendo interamente governata dalle regole e dalle logiche privatistiche. È solo con il deposito degli accordi già stipulati e con la domanda al tribunale di omologazione dei medesimi che inizia una procedura giudiziaria (è appena il caso di aggiungere che diversamente avviene nelle nuovissime figure dell’accordo di ristrut-
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turazione con intermediari finanziari e della convenzione di moratoria introdotte dal d.l. del 2015, di cui ho appena parlato e nelle quali la disclosure può assolvere, come si è visto, ad un ruolo determinante). Questo non significa che le procedure di cui ci stiamo occupando non possano tollerare meccanismi o spazi di “riservatezza”. Di tali meccanismi o spazi si incontrano, invece, diversi esempi. Mi riferisco in particolare, - all’art. 33, comma 5, l. fall., per il quale il giudice delegato, nell’ordinare il deposito della relazione iniziale del curatore in cancelleria, può disporre «la segretazione delle parti relative alla responsabilità penale del fallito e di terzi ed alle azioni che il curatore intende proporre qualora possano comportare l’adozione di provvedimenti cautelari, nonché alle circostanze estranee agli interessi della procedura e che investano la sfera personale del fallito»; - all’art. 90 stessa legge, il quale disciplina, al primo comma, la formazione del fascicolo della procedura, in cui debbono essere contenuti tutti gli atti, provvedimenti, ecc. attinenti al procedimento «esclusi – si precisa – quelli che, per ragioni di riservatezza, debbono essere custoditi separatamente», e, al secondo comma, stabilisce chi abbia diritto di prendere visione dell’intero fascicolo, precisando che fra questi vi è il fallito, che non può però prendere visione della relazione del curatore e «degli atti eventualmente riservati su disposizione del giudice delegato»; - al nuovo terzo comma dell’art. 165 (aggiunto dal d.l. del 2015), ricordato già prima, che, nel prevedere l’obbligo del commissario giudiziale di fornire ai creditori che ne facciano richiesta informazioni complete in funzione della presentazione di proposte o offerte concorrenti, precisa «previa assunzione di opportuni obblighi di riservatezza»; - e, infine, all’art. 59 d.lgs. n. 270/1999, in materia di amministrazione straordinaria, per il quale il commissario straordinario, nel trasmettere al tribunale copia del programma autorizzato dal Ministero può segnalare «se esso contenga notizie o previsioni specifiche la cui divulgazione prima della scadenza possa pregiudicarne l’attuazione», prevedendo che in tal caso il giudice delegato dispone il deposito in cancelleria del programma, con esclusione appunto delle parti in relazione alle quali siano ravvisabili esigenze di riservatezza, e che il programma depositato debba recare l’indicazione della eventuale mancanza di parti per ragioni di riservatezza. Il punto che qui interessa è se meccanismi di “riservatezza” possano essere azionati, e da chi ed in che modo, anche al di fuori di quanto espressamente previsto o consentito dalle norme in materia. Il problema può evidentemente porsi in tutti i casi in cui l’informazione oggetto di un obbligo o di un onere concerna le condizioni soprattutto prospettiche dell’impresa in crisi nel quadro di procedure, o fasi di procedure, di carattere conservativo (quindi, con riferimento alle
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procedure giudiziarie vengono in considerazione, da un lato, il concordato in continuità e, dall’altro, l’esercizio provvisorio nel fallimento) e tale informazione coinvolga dati “sensibili”: trattative in corso; processi produttivi coperti da segreto industriale; ecc. A mio modo di vedere potrebbe ritenersi utilizzabile come criterio di fondo quello estraibile dal ricordato art. 59 d.lgs. n. 270/1999. Quindi, laddove la divulgazione dei dati “sensibili” possa pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi previsti, si dovrebbe: - per un verso, assicurare la completa trasparenza, comunque, nei confronti del tribunale e del giudice delegato; - per altro verso, poter escludere dall’informazione resa nei confronti degli altri destinatari, su autorizzazione del tribunale o del giudice delegato, i suddetti dati, indicando però, nella comunicazione, che parti mancano per ragioni di riservatezza. La questione diventa ovviamente molto delicata nei rapporti con i creditori, posto che nei casi di cui stiamo parlando l’informazione è dovuta in funzione delle scelte che essi creditori sono chiamati a compiere, la carenza esplicita di dati potendo allora indurre i medesimi a scelte indesiderate (voto negativo nel concordato; diniego di parere positivo nell’esercizio provvisorio). Credo che la soluzione debba essere trovata in un attento dosaggio, da parte dell’autore dell’informazione, di parti esplicitate e di parti secretate, la garanzia rispetto ad eventuali abusi essendo rappresentata dalla presenza dell’autorità giudiziaria. 7. Sul terzo tema. Una questione che sempre più spesso si pone è se la situazione di crisi o di precrisi di una società, specificamente di una società di capitali, produca un rafforzamento o ampliamento degli obblighi informativi a carico degli amministratori. Debbo, su questo punto, fare una premessa di ordine generale. È largamente diffusa l’idea che, al verificarsi di una situazione di crisi o di “precrisi” in una società di capitali (quella che spesso si definisce come “fase crepuscolare”), si produca un mutamento più o meno radicale dei poteri-doveri degli amministratori3; e ci si interroga, di conseguenza, sulla consistenza di tali “nuovi” poteri-/doveri. Personalmente, ho idee differen-
3 L’idea che ne è alla base è nota: si ritiene che nella situazione di crisi assuma un ruolo primario l’interesse dei creditori, della cui tutela gli amministratori dovrebbero prioritariamente preoccuparsi, l’interesse dei soci “degradando” a limite dell’agire dei medesimi.
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ti, che ho avuto altre volte occasione di esporre. A mio avviso, anche in situazioni di crisi o di “precrisi” il regime dei poteri/doveri degli amministratori resta sostanzialmente immutato e resta, in particolare, saldamente imperniato sul dovere generale di agire con diligenza, vale a dire secondo i principi di corretta amministrazione, fra i quali, ricordo, un ruolo di spicco va riconosciuto al principio di ragionevolezza. Naturalmente, in una situazione di crisi o di “precrisi” questo dovere generale e questi criteri si declinano in modo diverso rispetto a quanto può avvenire in una situazione di non crisi. Nel senso che gli amministratori dovranno – a tutela di tutti gli interessi coinvolti: non solo quelli dei creditori, ma anche quelli della società e dei soci – adottare quei comportamenti e quelle misure che siano ragionevolmente idonei a consentire, da un lato, di percepire tempestivamente le situazioni di crisi e di valutarne in modo appropriato la consistenza e, dall’altro, di superare o risolvere la crisi (attraverso, a seconda dei casi e delle opportunità, la predisposizione di piani di risanamento o di proposte di accordi di ristrutturazione o di concordato preventivo, ecc.). Tutto ciò, ovviamente, ove non sussistano obblighi specifici imposti dalla legge: come quelli previsti in caso di perdite che intacchino il capitale o quello derivabile dall’art. 217, n. 4, l. fall.4. In questa cornice va posto e risolto il problema se lo stato di crisi o di precrisi inneschi particolari obblighi informativi a carico degli amministratori nei confronti dei soci. E va risolto, a mio parere, in senso negativo. Tra gli altri elementi che convincono in tal senso vi è la previsione dell’art. 152 l. fall., già richiamata prima ad altro proposito, la quale stabilisce che, nelle società di capitali, sulla proposta di concordato e sulle relative condizioni deliberano, salva diversa previsione dello statuto o dell’atto costitutivo, gli amministratori. In un sistema siffatto che attribuisce agli amministratori in via esclusiva la gestione della crisi, anche ove questa assuma la forma più grave (data dall’insolvenza), non si vede dove potrebbe trovare fondamento un obbligo di informazione dei soci, che resterebbe fine a se stesso5. Ovviamente, i soci possono governare in modo diverso la vicenda e prevedere nello statuto che competa ad essi la decisione in ordine
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Ai sensi del quale sussiste il reato di bancarotta semplice ove il debitore abbia aggravato il proprio dissesto astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento. 5 Questo significa, per esempio, che va recisamente respinta la tesi secondo la quale, una volta accertata la situazione di crisi, gli amministratori siano tenuti a convocare tempestivamente l’assemblea per informare i soci e chiedere il loro “parere” in ordine alle possibili soluzioni.
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alla proposta di concordato: il che porta sicuramente con sé l’obbligo per gli amministratori di informare preventivamente l’assemblea. Naturalmente, questo non incide sulla rilevanza, in assoluto, del profilo informativo. Al contrario, sia nella fase diagnostica, sia in quella della scelta ed attuazione degli strumenti di soluzione della crisi la corretta assunzione e la corretta circolazione dell’informazione a livello endosocietario (e si pensi al circuito collegio sindacale-amministratori ed a quello collegio sindacale-assemblea) assumano un ruolo centrale. E, d’altra parte, il discorso prima svolto vale nei limiti in cui non vi siano obblighi specifici imposti dalla legge. Come è nell’ipotesi regolata dall’art. 182-sexies: il venir meno dell’obbligo di ridurre il capitale quando sia stata presentata una proposta di concordato o una richiesta di omologazione di un accordo di ristrutturazione lascia intatto l’obbligo di informare l’assemblea previsto a carico degli amministratori dall’art. 2446 e operante anche nel caso dell’art. 2447. Sempre con riguardo al tema degli obblighi informativi degli amministratori in relazione a situazioni di crisi della società c’è da segnalare un ultimo punto: ed è che, nell’ambito dell’informazione dovuta (mi riferisco, per esempio, all’informazione di bilancio) potrebbe riproporsi il problema – toccato prima – del possibile conflitto fra l’esigenza di trasparenza, resa ancor più incisiva appunto dalla situazione di crisi, ed esigenze di “riservatezza”: un conflitto, qui, forse ancor più difficilmente governabile.
IV. Conclusioni. 5. Mi avvio a concludere. Confido di essere riuscito a disegnare un quadro, sintetico ma esauriente, del ruolo, o dei ruoli, che l’informazione giuoca nelle discipline di governo delle crisi, almeno nel nostro sistema. E di aver anche adeguatamente valorizzato la spinta verso una sempre maggiore trasparenza che ormai connota l’evoluzione di queste discipline. Chiudo ricordando che trasparenza significa anche equilibrio o riequilibrio delle posizioni e degli interessi, in ipotesi, contrapposti: una maggiore trasparenza nelle procedure o procedimenti che qui interessano si traduce allora anche in un migliore equilibrio fra gli interessi in tali procedure o procedimenti coinvolti.
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Una nuova Unione, una Unione Bancaria Sommario: 1. Introduzione. – 2. Meccanismo di vigilanza unico. – 2.1. Una necessità post-crisi: un efficace meccanismo di vigilanza unico. – 2.2. Una realizzazione difficile. – 2.3. Ambito applicativo. – 3. Banca Centrale Europea. – 3.1. Indipendenza e Accountability. – 3.2. Un coordinato meccanismo di vigilanza. – 3.3. Una (solida?) base legale. – 3.4. Politica monetaria e vigilanza: joint or separate? La risposta del Regolamento 1024/2013. – 3.5. Ambito di applicazione: profilo temporale ed oggettivo. – 3.6. Funzioni. – 3.7. Compiti e poteri. – 4. Conclusioni.
1. Introduzione. Il nuovo sistema, Meccanismo di Vigilanza Unico, non meno importante di questioni quali la moneta unica e il vincolo del pareggio di bilancio1, risponde all’intenzione di realizzare un quadro finanziario integrato, di salvaguardare la stabilità finanziaria2, di minimizzare il costo dei dissesti economici3, di evitare inefficienze da mancata armonizzazione disciplinare4, di prevenire stati di insolvenza5 o, in caso essa si realizzi, ridurre al
1 Cassese, La nuova architettura finanziaria Europea, in Giornale dir. amm., Ipsoa, n. 1, 2014, 79. 2 In una prospettiva europea, Andenas, Financial Stability and Legal Integration in Financial Regulation, in European Law Review, 2013, vol. 38, n. 3, p. 335 ss. 3 Constàncio, in Towards the Banking Union, discorso alla Seconda conferenza FINFSA sulla Trasformazione dei regolamenti UE e della Vigilanza sul settore bancario, organizzata dalla Autorità di vigilanza finanziaria tenutasi in Helsinki, 12 febbraio 2013. 4 Florian, Brief considerations regarding the Establishment of a Banking Union in the European Union, Studia Universitatis Babes-Bolyai, Iurisprudentia, 2013, n. 1, p. 161 ss. Al contempo, preme rilevare, sin dalle premesse, come «regulatory harmonization is not matched by strong supervisory centralization», così Ferrarini, Single Supervision and the Governance of Banking Markets: Will the SSM Deliver the Expected Benefits?, in European Business Organization Law Review, 2015, 513 ss., spec. p. 516 ss. 5 Circa i “primi timidi (e faticosi) tentativi di regolazione europea dell’insolvenza ban-
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minimo le ripercussioni negative, preservando le funzioni dell’ente interessato aventi rilevanza sistemica6. Esso risponde, peraltro, a livello sostanziale e fattuale, alle lacune palesate dalla crisi finanziaria7 con particolare riguardo all’efficacia degli enti creditizi e delle imprese di investimento per gestire (“enti”) in crisi o in dissesto, affiancando così il Meccanismo di Risoluzione Unico (MRU) ed il Sistema di Garanzia dei Depositi Europeo (SGDE)8. Invero, proprio la crisi finanziaria, di dimensioni sistemiche, ne ha provato tutta la portata e la gravità. A diverse latitudini e longitudini9. Essa ha coinvolto, in effetti, sotto un profilo geografico, anche gli Stati Uniti d’America; ha interessato, sotto un profilo regolamentare, molteplici profili; ha significativamente inciso, sotto un profilo contenutistico, profili costituzionali europei10. Ad un anno dalla istituzione della Unione bancaria, una realtà che – prescindendo da ogni valutazione di dettaglio – rappresenta un momento di sviluppo di primaria importanza per l’intera Europa11, questa
caria”, v. Boccuzzi, L’Unione Bancaria Europea. Nuove istituzioni e regole di vigilanza e di gestione delle crisi bancarie, Roma, 2015, p. 30 ss. 6 Preambolo della Direttiva 2014/59/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio. 7 Capriglione, L’unione bancaria Europea, Una sfida per un’Europa più unita, Torino, 2015, p. 5 ss. 8 Wiggins, Wedow, Metrick, European Banking Union A: The Single Supervisory Mechanism, novembre 2014, Yale Program on Financial Stability Case Study 2014-5A-V1, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2577316, p. 4 ss. 9 Cfr. Enriques, Regulators’ Response to the Current Crisis and the Upcoming Reregulation of Financial Markets: One Reluctant Regulator’s View, University of Pennsylvania Journal of International Law, vol. 30, n. 4, 2009, consultabile all’indirizzo http://ssrn. com/abstract=1432400; Page, Revisiting the Causes of the Financial Crisis, Indiana Law Review, vol. 47, fasc. 1, 2014, 41; Rohde, Lessons from the last financial crisis and the future role of institutional investors, OECD Journal, vol. 1, n. 1, 2011, consultabile all’indirizzo http://www.oecd.org/finance/financial-markets/48615723.pdf e OECD, Restoring trust in Financial Markets, OECD Paper on Financial Markets, 2004, consultabile all’indirizzo http://www.oecd.org/finance/financial-markets/18961363.pdf. 10 Akermann, State Aid for Banks in the Financial Crisis: the Commission’s new and stronger role, in Ringe, Huber, Legal challenges in the global financial crisis, Hart Publishing, Oxford-Portland, 2014, p. 149. 11 «Regarding […] the Banking Union – we do not celebrate an anniversary, but its ve-
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trattazione mira a considerare specificamente le problematiche che il Meccanismo di Vigilanza Unico ha sollevato, per comprendere se la disciplina che lo regola si ponga in modo coerente rispetto al sistema di vigilanza bancaria, ovvero se essa sia sorta unicamente in ragione del fallimento del modello di vigilanza nazionale armonizzata. A tal fine, nel primo paragrafo si ripercorrono le ragioni storicoeconomiche che hanno condotto all’introduzione del Meccanismo di Vigilanza Unico (2.1); si indagano le scelte compiute dal supervisore e la solidità del sostrato normativo su cui l’MVU poggia le proprie radici (2.2), di conseguenza si considera il suo ambito applicativo (2.3). Nel secondo paragrafo, l’attenzione è focalizzata invece sulla Banca Centrale Europea, alla luce dei caratteri di indipendenza ed accountability suoi propri (3.1), del coordinamento nelle funzioni di vigilanza (3.2), del ruolo dell’art. 126 t.u.f. e del Regolamento n. 1024/2013 (rispettivamente, 3.3 e 3.4), dell’ambito di applicazione temporale ed oggettivo (3.5) e delle funzioni che essa è chiamata a svolgere (3.6 e 3.7).
2. Meccanismo di Vigilanza Unico 2.1. Una necessità post-crisi: un efficace meccanismo di vigilanza unico È appena il caso di rammentare che gli eventi che hanno colpito l’intero pianeta dal 200712, anziché costituire un collante tra gli Stati dell’Unione per la salvaguardia di interessi comuni, hanno evidenziato vaste e forti criticità come previsto con straordinaria lungimiranza già nel febbraio 1999 dall’economista Tommaso Padoa Schippa, nel corso della lecture tenuta presso la London School of Economics, asseriva: «over time such a mode
ry birthday: The Banking Union, today (November 7, 2014), is just three days old! Apart from the discussion in detail: This is an historic and very positive development for Europe. Banks are inherently dangerous: They lead politicians into temptation, as they have the ability to multiply money. This is why the European legislature was right in curbing these risks, which are also risks for the European taxpayers. I am looking forward to a fruitful discussion of all the issues involved – from the very technical side to the political assessment», Hirte, Ten Years European Company and Financial Law Review (ECFR), in European Company & Financial Law Review, 2015, n. 2, p. 112 ss. 12 Per una descrizione della “First Wave of the Crisis” e, quindi, della “Second Wave of the Crisis”, v. Cappiello, The EBA and the Banking Union, in European Business Organization Law Review, 2015, p. 421 ss.
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will have to be structured to the point of providing the banking industry with a true and effective collective euro area supervisor». Non solo: la crisi ha amplificato le diversità delle singole realtà europee13 con il rischio concreto di frammentare l’Europa medesima e di paralizzare il processo europeo di integrazione – o, persino, di generarne una retrocessione14. Sebbene sorta negli Stati Uniti d’America, con la crisi dei mutui subprime, prima, ed il default di Lehman Brothers, poi, la crisi finanziaria ha infatti messo in luce anche negli Stati Uniti d’Europa15 l’inadeguatezza di un sistema di vigilanza bancaria che, sino ad allora, trovava le proprie radici nella Seconda Direttiva in materia bancaria e redditizia (Direttiva 89/646/CEE) e, precisamente, nel principio del mutuo riconoscimento tra le autorità nazionali e nell’home country control16. Una struttura caratterizzata dal pregio di realizzare una ampia armonizzazione atta a pervenire ad un sistema che consenta il rilascio di una autorizzazione unica, spendibile pure in altre realtà nazionali appartenenti all’Unione, nonché la vigilanza da parte dello Stato d’origine17. Ebbene, la crisi è correlata ad un «crescente divario tra gli interventi di riforma – che, in meno di due anni, hanno coinvolto la governance dell’UE, le modifiche della costituzioni nazionali collegate al Fiscal Compact e, da ultimo, la creazione dell’Unione bancaria europea – e la progressiva evanescenza dell’obiettivo di un’unione politica, vieppiù circoscritta nell’ambito di mere enfatiche enunciazioni formulate dagli esponenti governativi”18.
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Rossano, La crisi dell’Eurozona e la (dis)unione bancaria, in Federalismi.it, 2014, p. 7. Napoletano, La risposta europea alla crisi del debito sovrano: il rafforzamento dell’Unione economica e monetaria. Verso l’Unione bancaria, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, vol. I, p. 748. 15 V. Arestis, Sawyer, Moving to a United States of Europe?, in Challenge: the Magazine of Economic Affairs, 2013, vol. 56, n. 3, p. 42 ss. 16 Mancini, Dalla vigilanza nazionale armonizzata alla Banking Union, in Quaderni di Ricerca Giuridica, Banca d’Italia, 2013, n. 73, a 7. A commento della direttiva europea, sia consentito rinviare a Capriglione, Il recepimento della seconda direttiva CEE in materia bancaria. Prime riflessioni, in Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza legale della Banca d’Italia, 1993, n. 28, p. 11 ss.; Patroni Griffi, Riflessioni sulla seconda direttiva comunitaria, in Banca, impresa e società, 1991, n. 3, p. 419 ss.; Desiderio, Commento della direttiva CEE n. 89/649, in Codice Commentato della Banca, vol. II, a cura di F. Capriglione e V. Mezzacapo, Padova, 1994, p. 2208 ss. 17 Caranzetti, Credito fondiario. Aspetti giuridici e tecnico-pratici delle operazioni di finanziamento fondiario, in Magistra Banca e Finanza - Tidona.com, consultabile all’indirizzo http://www.tidona.com/pubblicazioni/giugno04_5.htm. 18 Capriglione, L’unione bancaria, cit., p. XII. 14
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Al fine di contenere il rischio di frammentazione dei mercati dovuta alla crisi economico-finanziaria19 e di arginare la compromissione del mercato unico dei servizi e gli ostacoli alla trasmissione della politica monetaria all’economia reale nell’Eurozona20, si è inteso creare una vera e propria Unione bancaria, un meccanismo di supervisione e risoluzione bancaria più integrato ed uno schema di garanzia dei depositi comune. Una “Unione bancaria” che volutamente richiama una “Unione monetaria”, sino ad allora perseguita senza essere tuttavia dotata delle necessarie strutture di sostegno21, operante in una prospettiva di lungo periodo, caratterizzata da una comune regolazione, supervisione, garanzia dei depositi e processo di risoluzione delle crisi bancarie22. In particolare in Europa si è stabilito tanto un sistema di vigilanza quanto un sistema di responsabilizzazione ed attuazione degli interventi per una proficua gestione dei depositi e
19 Sull’argomento, che costituisce il punto di partenza della disamina, per ragioni di economia del presente contributo, si veda specificamente Capriglione, Crisi a confronto (1929 e 2009). Il caso italiano, Padova, 2009; Carriero, La crisi dei mercati finanziari: disorganici appunti di un giurista, in Dir. Banc., 2009, n. 2, 197 ss., Cera, Crisi finanziaria, interventi legislativi e ordinamento bancario, in Studi in onore di Capriglione, II, a cura di Amorosino, Alpa, Troiano, Sepe, Conte, Pellegrini, A. Antonucci, Padova, 2010, 1195 ss.; Napolitano, Zoppini, Le autorità al tempo della crisi, Bologna, 2009; Rispoli Farina, Rotondo, La crisi dei mercati finanziari, Milano, 2009; Principe, Impresa bancaria e crisi dei mercati finanziari, Napoli, 2010; Schiattarella, La crisi economica: cause, dimensione e prospettive, in Dem. e dir., 2008, n. 2, p. 83 ss. 20 Sono questi gli obiettivi individuabili nella Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio, Una tabella di marcia verso l’Unione bancaria, Bruxelles, 12 settembre 2012, COM(2012), p. 510. V., inoltre, sulla realtà geopolitica dell’eurozona, Capriglione, L’unione bancaria, cit., p. 9 ss. e Wiggins, Wedow, Metrick, European Banking Union A: The Single Supervisory Mechanism, novembre 2014, Yale Program on Financial Stability Case Study 2014-5A-V1, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/ abstract=2577316. 21 La considerazione è argomentata in Niknejad, European Union towards the Banking Union, Single Supervisory Mechanism and Challenges on the Road ahead, in European Journal of Legal Studies, 2014, vol. 7, n.1, pp. 92-124. 22 Dette aree non sono però da intensersi in senso tassativo, al contrario, «[o]ther areas relevant to a Banking Union include competition on policy applied to the banking sector, including state aid control in the EU; “conduct-of-business” regulation and supervision, including consumer protection and anti-money laundering/combating the financing of terrorism (AML/CFT) policy; and also taxes that apply to financial services and/or institutions, or even housing market policy, which experience suggests has significant impact on banking system stability. However, the pillars listed above together represent a now widely accepted consensus view on what the indispensable components of a banking union are», v. Veron, A realistic bridge towards European Banking Union, Bruegel Policy Contribution 2013/09, giugno 2013, consultabile all’indirizzo http://aei.pitt.edu/42812/, p. 4.
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una verifica costante, finalizzata ad evitare possibili fallimenti bancari23. Il contesto attualmente esistente è in effetti portatore di un difetto genetico24 ed è palesemente inadatto in quanto «it is not plausible to imagine that all of these separate financial policies could lead to the emergence of one common framework guaranteeing the EU monetary system’s stability without the intervention of a supranatural institution»25. La crisi ha così configurato quello che è stato definito “inconsistent quartet”, da alcuni, ovvero “financial trilemma”, da altri, cui è seguita la necessità di istituire un meccanismo europeo di vigilanza capace di perseguire molteplici obiettivi. Anzitutto, tale sistema di vigilanza integrata favorirebbe una trasmissione della politica monetaria più efficace, distribuendo in modo omogeneo il livello dei tassi di interesse a lungo termine e di quelli sui prestiti bancari all’interno dell’Eurozona26. In secondo luogo, esso potrebbe realizzare in modo efficace la valutazione delle debolezze del sistema bancario inteso nella sua globalità27. In terzo luogo, il meccanismo rileverebbe in particolare in alcune realtà nazionali come quella greca, portoghese, spagnola ed italiana, laddove il rischio sovrano e quello bancario hanno provato di essere tra loro intimamente connessi28. In base alla prima definizione, gli Stati Membri non riescono a raggiungere la propria stabilità quali partecipanti al mercato unico europeo e, contestualmente, a mantenere politiche finanziarie nazionali pur
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Nel caso in cui essi si verificassero, troverebbero comunque applicazione principi di crisis management e Deposit Guarantee Schemes, come riflette Ciraolo, Il Regolamento UE n. 1202/2013 sul meccanismo unico di vigilanza e l’unione bancaria europea. Prime riflessioni, in Amministrazione in cammino, 2014, p. 8. 24 Tosato, L’integrazione europea ai tempi della crisi dell’euro, in Dir. Banc., 2012, p. 681 ss. 25 Niknejad, European Union, cit., pp. 92-124 26 Si registra infatti come «la mancanza di omogeneità tra le disposizioni nazionali in materia di diritto Societario acuita da disposizioni comunitarie che lasciano ampi spazi alle autorità nazionali aveva evidenti impatti sulla natura e sull’operatività dei diversi intermediari finanziari che operano sul mercato unico con evidenti disparità competitive tra gli stessi», così Gargano, L’unione bancaria e la vigilanza prudenziale della BCE, in http://www.dirittobancario.it/approfondimenti/banche-e-intermediari-finanziari/unione-bancaria-e-vigilanza-prudenziale-della-bce, marzo 2013. 27 Buch, Koerner, Weigert, Towards Deeper Financial integration I Europe: What the Banking Union can contribute, IWH Discussion Paper n. 13, 2013 e in Credit and Capital Markets, 2015. vol. 48, n. 1, p. 11 ss. 28 European Central Bank, Financial Integration in Europe, 2013.
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essendo parte della più ampia Eurozona29. In base alla seconda definizione, invece, difficile è la convivenza di stabilità finanziaria, integrazione di mercati finanziari e condivisione politiche finanziarie Nazionali30. Venendo poi al “circolo vizioso tra banche e debito sovrano”31, appare evidente che la crisi si sia sviluppata attraverso un «duplice canale di contagio […] prima dalla finanza privata alla finanza pubblica […], dopo in direzione inversa»32. Da ultimo, siffatto sistema potrebbe (i) per un verso, limitare la tendenza degli Stati Membri ad adottare politiche di vigilanza che assumano un’ottica eccessivamente protezionistica rispetto agli interessi nazionali, ovvero a realizzare eccessi speculativi, in modo particolare nel comparto immobiliare33; (ii) per altro verso, garantire una efficace vigilanza anche dei gruppi bancari che operano cross-borders34.
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Gren, Integration through differentiation: uneasy interactions of the (banking) single market and banking union in the Post-crisis EU Prudential Regulatory and Supervisory System, The 5th Biennial ECPR Standing Group for Regulatory Governance Conference 2014. 30 Schoenmaker, The Financial Trilemma, in Economics Letters, Vol. 111, 2011, p. 57 ss.; Duisenberg School of Finance - Tinbergen Institute Discussion Papers No. TI 11-019 / DSF 7, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=1340395; Constâncio, Establishing the Single Supervisory Mechanism, Speech, 29 gennaio 2013, consultabile all’indirizzo http://www.ecb.int/press/key/date/2013/html/sp130129_1.en.html. 31 European Council conclusions, 18 ottobre 2012 e 14 dicembre 2012. Cfr., in dottrina, per una ricostruzione storica, Aa.Vv., Dall’unione monetaria all’unione bancaria e oltre, a cura di Boitani, Hamaui, in Osservatorio Monetario, 2012, n. 3, 3 ss., consultabile all’indirizzo http://www.assbb.it/contenuti/news/files/OM3-12.pdf e Laeven, Valencia, Systemic Banking Crises Database: An Update, IMF Working Paper, 163, 2012; e, per una riflessione attuale, Merler, Pisani-Ferry, Hazardous Tango: Sovereign-Bank Interdependence and Financial Stability in the Euro Area, in Financial Stability Review, aprile 2012, p. 6; Avaro, Sterdyniak, Banking Union: a solution to the Euro zone crisis, in Revue de l’OFCE, Débats et politìques, 2014, p. 195 ss.; Wymeersch, The Single Supervisory Mechanism or SSM, Part One of the Banking Union, in European Corporate Governance Institute (ECGI), Law Working Paper n. 240, p. 214; Verhelst, The Single Supervisory Mechanism. A sound first step in Europe’s Banking, European Affairs Programme working Paper, The Royal Institute for International Relations, 2013, p. 3. 32 Ciraolo, op. cit., p. 2. 33 Cfr., Deutsche Bundebank, European Single Supervisory Mechanism for Banks. A first step on the Road to a Banking Union, Monthly Report, luglio 2013; Wymeersch, op. cit., 5; Bonfatti, Le procedure di prevenzione e di regolazione delle situazioni di “crisi” delle banche nella prospettiva della integrazione comunitaria. Relazione al Convegno L’ordinamento italiano del mercato finanziario tra continuità ed innovazioni, organizzato dalla Rivista Giurisprudenza Commerciale in collaborazione con la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia (26 ottobre 2012), destinata ai relativi Atti, in corso di raccolta 34 Ferrarini, Chiarella, Common Banking supervision in the Eurozone, ECGI Law Working Paper n. 223/2013, agosto 2013, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/ab-
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2.2. Una realizzazione difficile, una scelta politica Il processo di integrazione del mercato bancario, il cui imprescindibile rilievo è ribadito altresì dai risultati della disamina condotta dal gruppo de Larosière nel 200935, sarebbe tuttavia dovuto essere accompagnato da una serie di passaggi ulteriori, per davvero pienamente efficace, e precisamente: i) da regolamenti ed azioni di vigilanza tali da evitare una indesiderata competition in laxity, volta ad attrarre business nei Paesi contraddistinti da regole e controlli più accomodanti; ii) dalla progressiva convergenza delle prassi di vigilanza, nonché dal coordinamento tra azioni di controllo ed interventi correttivi favoriti dalla cooperazione tra Autorità nazionali. Detta integrazione è parsa storicamente realizzabile grazie ad un potenziamento dei poteri delle autorità di vigilanza nazionali, così ridimensionando l’home country control36, ovvero grazie ad una profonda revisione del sistema di supervisione finanziaria tutta, mediante l’introduzione del Sistema Europeo di Vigilanza Finanziaria (SEVIF)37, a propria volta integrato con la supervisione macroprudenziale a cura del Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS)38 e con l’operato delle European Securities Au-
stract=2309897. 35 De Larosière, Report of the High-Level Group on Financial Supervision in the EU, Bruxelles 25 febbraio 2009. In dottrina, v. Affinita, L’attuazione dell’Unione bancaria europea: il meccanismo d vigilanza unica e il Meccanismo unico di risoluzione delle crisi. Profili generali, in Regolazione dei mercati, 2013, n. 5, consultabile all’indirizzo http:// www.regolazionedeimercati.it/sites/default/files/Innovazione_Diritto_2013_05_04.pdf. 36 V. Financial Services Authority, The Turner Review. A regulatory response to the global banking crisis, Londra, 2009. 37 Capriglione, L’unione bancaria, cit., 49 ss. 38 Più precisamente, detto comitato – introdotto al fine di garantire attenzione alle istanze di vigilanza macroprudenziale e connettere tra loro gli sviluppi del contesto macroeconomico – intendeva originariamente colmare talune lacune sistematiche e monitorare, valutandone in tempi normali, i profili di rischio, mitigando l’esposizione al rischio sistemico (v. Angelini, Le Politiche Macroprudenziali: Una Discussione Dei Principali Temi, Bank of Italy Occasional Paper No. 271, giugno 2015, a 7, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2648904) ed incrementando la coerenza tra vigilanza microprudenziale e macroprudenziale, v. regolamento n. 1092/2010 e, in particolare, considerando n. 10. Le relazioni tra BCE e CERS sono oggetto di attenzione per parte della dottrina, in quanto ampie sono le sovrapposizioni tra i campi di applicazione di detti organi e ragionevoli le assunzioni tali per cui le attività di quest’ultimo sono sostanzialmente manovrate dalla BCE, che ne controlla i processi decisionali, (per tutti, Wymeersch, op. cit., spec. p. 66: «some have considered that there is a contradiction with the ECB’s role in systemic matters, and its prudential tasks, or at least that this will have to be reconsidered. However, not only is the composition of the ESRB quite different – all
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thorities (ESAs)39. Tra queste, come rilevato nel regolamento n. 1093/2010, l’Autorità Bancaria Europea (ABE o, secondo l’acronimo inglese, EBA)40, organo consultivo indipendente rispetto al parlamento Europeo, al Consiglio ed alla Commissione, è incaricata dell’adozione di norme vincolanti ed orientamenti rilevanti onde comporre un unico corpus di disposizioni atte a regolare il settore bancario tutto, assicurando condizioni di parità e tutela dei soggetti depositanti, investitori e consumatori; della promozione effettiva e concreta della convergenza delle pratiche di vigilanza onde garantire una applicazione armonizzata delle norme prudenziali; della valutazione dei profili di rischio e vulnerabilità, soprattutto monitorate mediante periodiche relazioni e rigorosi stress test; di situazioni di emergenza per risolvere le controversie tra autorità competenti in situazioni transfrontaliere; della adozione di atti in sostituzione delle autorità nazionali in caso di violazione del diritto europeo41. Il pacchetto CRD IV, acronimo equivalente a Capital Requirements Directive, a seguito della istituzione di dette agenzie, ha peraltro dettato disposizioni uniformi circa i requisiti prudenziali che banche ed imprese di investimento erano tenute ad adottare, enucleando una serie di strumenti
28 states being represented – the powers are also substantially different: the ESRB’s power is limited to issuing recommendations and warnings, whereas the ECB has access to the full prudential toolkit. In addition, by imposing macroprudential tools, such as the imposition of additional own funds, of countercyclical buffers or any other measures, the ECB acts as a prudential micro supervisor but with an eye on the wider risks that may be generated by an individual bank. Individual and systemic risks are often strongly interrelated. Here, the ECB will be acting as the strong arm of the Systemic Risk Board within the SSM area, while the ESRB is in charge of analysing and identifying macro risks and call the regulators’ and supervisors’ attention to its recommendations and warnings. These differences in scope, tasks and tools show that there is no overlapping between the two functions»). Stante la tanto marcata sovrapposizione e la non nitida definizione dei confini tra le competenze, sul punto si auspica un intervento normativo, atto a delimitare con precisione gli ambiti di applicabilità di entrambi gli organi. 39 Fahey, Does the emperor have financial crisis clothes? Reflections on the legal basis of the European Banking Authority, in The Modern Law Review, 2011, vol. 74, n. 4, p. 581 ss., consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=1715524. 40 Ferran, The Existential Search of the European Banking Authority, University of Cambridge Faculty of Law Research Paper No. 40/2015 ; ECGI - Law Working Paper No. 297/2015, 7 luglio 2015, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2634904. 41 Cfr., nella letteratura straniera, A. Witte, The Application of National Banking Supervision Law by the ECB: three parallel modes of executing EU Law?, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 2014, n. 21, p. 91, consultabile all’indirizzo http://www.maastrichtjournal.eu/pdf_file/ITS/MJ_21_01_0089.pdf; nella letteratura italiana, Capriglione, L’unione bancaria, cit., p. 52 ss. e notazioni bibliografiche ivi contenute.
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di vigilanza (minimi), di cui ciascuna autorità di supervisione dovrebbe dotarsi. Ebbene, alla luce della mancata realizzazione di una disciplina capace di ovviare davvero alle ragioni della crisi, in quanto si realizza un “corto circuito” tra gli interventi di politica monetaria e di vigilanza sugli istituti bancari europei, i poteri dell’EBA risultano comunque fortemente limitati42 e sostanzialmente assimilabili a poteri consultivi43. Il rapporto tra i poteri di quest’ultima e della BCE costituisce aspetto estremamente problematico44: per un canto, la BCE rappresenta l’Autorità designata ad esercitare poteri macroprudenziali, con riguardo alla sana e prudente gestione delle banche nonché alla stabilità del sistema finanziario, per l’altro, l’ABE non è privata dei suoi compiti e del suo ruolo di vertice in seno al SEFS, competente a livello macroprudenziale. Tale contraddizione è chiara in relazione alle istituzioni europee e ai governi nazioni che hanno inteso inserire una disposizione generale e finale inerente al riesame dell’interazione tra la BCE e l’ABE, da avviare al più tardi il 31 dicembre 201545. In questo contesto, alla luce del fatto che «[n]egli ultimi decenni l’Unione ha compiuto progressi considerevoli nella creazione di un mercato interno dei servizi bancari; […] in molti Stati membri una quota significativa del mercato è detenuta da gruppi bancari aventi sede in un altro Stato membro e gli enti creditizi hanno diversificato l’attività sul piano geografico, sia all’interno che all’esterno della zona euro; […] [l]’attuale crisi finanziaria ed economica ha mostrato che l’integrità della moneta unica e del mercato interno potrebbe essere minacciata dalla frammentazione
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Cfr., European Court of Auditors, European banking Supervision taking shape. EBA and its changing context, Ufficio Pubblicazioni dell’Unione Europea, Lussemburgo, 2014, glossario, p. 7; Chiti, Le trasformazioni delle agenzie europee, in Riv. trim. dir. pubbl., 2010, n. 1, p. 62; Guarracino, Supervisione bancaria europea. Sistema delle fonti e modelli teorici, Milano, 2012, p. 104 ss.; Chiti, L’organizzazione amministrativa comunitaria, in Trattato di diritto amministrativo europeo, a cura di Chiti e Greco, Milano, 2007, vol. 1, p. 455; A. Di Marco, Il controllo delle banche nell’UEM: la (problematica) nascita di un meccanismo di sorveglianza unico, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2013, n. 3, p. 549 ss.; Griller, Orator, Everything under control? The “way forward” for European agencies in the footsteps of Meroni doctrine, in European Law Review, febbraio 2010, vol. 35, n. 1, p. 3 ss. 43 Quanto all’EBA, è l’organo medesimo a definire i propri compiti come volti a migliorare il funzionamento del mercato interno, assicurando così una vigilanza ed una regolamentazione appropriate, efficienti ed armonizzate. Detti poteri sono esercitati secondo peculiari Technical Standards, Guidelines, Recommendations e Q&A Tools, così Cappiello, op. cit., p. 427 ss. 44 Sul punto, Cappiello, op. cit., p. 434 ss. 45 Di Marco, op. cit., p. 579.
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del settore finanziario; […] [è] quindi essenziale intensificare l’integrazione della vigilanza bancaria al fine di rafforzare l’Unione, ripristinare la stabilità finanziaria e gettare le basi per la ripresa economica46. La Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo ed al Consiglio, A Roadmap towards a Banking Union,47 ha quindi assunto importanza chiave, presentando una proposta di regolamento tesa a conferire specifici compiti di supervisione del sistema bancario alla BCE ex art. 127, comma sesto, TFUE48 ed una tesa a riequilibrare le strutture decisionali tra stati gli Stati dell’Eurozona e gli Stati Membri non adottanti la moneta unica, con ciò modificando il Regolamento n. 1093/2010. Dette proposte, a seguito di alcune puntuali modifiche apportate dal Consiglio due giorni più tardi, hanno successivamente condotto all’adozione del Regolamento per parte del Consiglio49, che ha dimostrato di tenere in seria considerazione l’esperienza maturata con la crisi finanziaria, suggerendo l’adozione di un quadro regolamentare rafforzato, l’intensificazione dell’attività di controllo da parte delle autorità di vigilanza, la vigilanza su mercati ed enti estremamente complessi e interconnessi, pur nella convinzione che la competenza a vigilare sui singoli enti creditizi rimanga sostanzialmente attribuita ad un livello nazionale50. Tra le modifiche effettuate, il Regolamento, che sostanzialmente sviluppa le migliori prassi di vigilanza esistenti nell’ambito del proprio mandato unitamente alle parti interessate ed agli altri organismi, nella sua versione
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Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013 che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi, Consideranda 1, 2, 3. 47 Capriglione, L’unione bancaria, cit., p. 25 ss. 48 Antoniazzi, La Banca Centrale Europea tra politica monetaria e vigilanza bancaria, Giappichelli, Torino, 2013, p. 145 ss. 49 Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013 che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi. 50 Il principio è ribadito invero dal considerandum 5, Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013 che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi, ove si legge: «[i]l coordinamento tra autorità di vigilanza è essenziale, ma la crisi ha dimostrato che il solo coordinamento non è sufficiente, in particolare nel contesto della moneta unica. Per preservare la stabilità finanziaria nell’Unione e aumentare gli effetti positivi sulla crescita e il benessere dell’integrazione dei mercati, è opportuno aumentare l’integrazione delle competenze di vigilanza. Ciò è particolarmente importante per garantire un controllo efficace e solido di un intero gruppo bancario e della sua salute complessiva e ridurrebbe il rischio di diverse interpretazioni e decisioni contraddittorie a livello del singolo ente».
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finale reca una distinzione tra enti creditizi cd. significativi51, sottoposti alla vigilanza diretta della BCE, ovvero meno significativi, sottoposti alla vigilanza diretta delle Autorità nazionali e della BCE52. Le funzioni di vigilanza di cui si è detto debbono rientrare appieno nel novero dei Principi fondamentali per un’efficace vigilanza bancaria53, posti a fondamento e guida di ogni azione degli organi di coordinamento. Tra essi si annoverano l’utilizzo delle best practices, così assicurando solidità e sicurezza al settore; l’integrità informativa e l’unità del sistema di vigilanza mediante decentramento; l’omogeneità di trattamento tra Stati Membri; la coerenza con il mercato unico; l’indipendenza e “responsabilità democratica”54; l’approccio basato sul rischio di fallimento degli istituti di credito e degli eventuali danni discendenti; la proporzionalità nell’esercizio dell’attività di supervisione con attenzione particolare ai profili di rischio; l’adeguatezza della vigilanza per tutti gli enti creditizi; l’efficacia delle misure correttive55 e la loro tempestività rispetto alle potenziali perdite per i creditori. Il legislatore europeo ha così evidentemente inteso progettare un meccanismo di supervisione senza riguardo particolare per il coordinamento tra i pilastri esistenti e per il funzionamento dei sistemi complementari56: «[t]he decision to move first on European integration of bank supervision, without equivalent progress on bank resolution and deposit
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Wiggins, Wedow, Metrick, European Banking Union A: The Single Supervisory Mechanism, in Yale Program on Financial Stability Case Study 2014-5A-V1, novembre 2014, spec. p. 7 e fig. 5, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2577316. 52 Gortsos, Competence Sharing Between the ECB and the National Competent Supervisory Authorities Within the Single Supervisory Mechanism (SSM) e Nieto, Banking on Single Supervision in the Eurozone, in European Business Organization Law Review, 2015, rispettivamente a p. 401 ss. e 539 ss., p. 540. 53 Comitato di Basilea, Principi fondamentali per un’efficace vigilanza bancaria, settembre 2012. 54 Il rilievo dell’argomento è oggetto di disamina in A. Pisaneschi, La regolazione comunitaria del credito tra European Banking Authority (EBA) e Banca Centrale Europea: prime osservazioni sul Single Supervisory Mechanism, in Studi in onore di Giuseppe de Vergottini, tomo II, Padova, 2015, 2283 ss., spec. p. 2284 e paragrafo 7. 55 Dette misure sono legate da una linea continua rispetto alle misure di prevenzione e a quelle straordinarie, come sottolionea Brescia Morra, La nuova architettura, cit., p. 87, ove l’A. richiama quanto già espresso in Boccuzzi, Towards a New Framework for Banking Crisis Management. The International Debate and the Italian Model, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale della Banca d’Italia, n. 71, ottobre 2011. 56 European Shadow Financial Regulatory Committee, Resolution and Recovery in a European Banking Union, Statement n. 36, 22 ottobre 2012.
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guarantees, is primarily a political decision. For all its difficulties, it will still be easier to gain agreement on supervision as opposed to the other two pillars, which require a discussion of sharing financial pain. It is also potentially much easier procedurally, since it allows the use of an existing treaty provision as the legal basis for the reforms)»57. Il Preambolo al Regolamento del Consiglio dell’Unione Europea n. 1024 del 15 ottobre 2013, punto d’approdo dell’articolato iter normativo che ha avuto inizio con la proposta del 12 settembre 2012 (COM(2102) 511 final), il Regolamento del Consiglio dell’Unione Europea n. 468 del 16 aprile 2014 ed il Regolamento n. 1022 del 22 ottobre 2013 rappresentano la base normativa dell’intero sistema di vigilanza bancaria europea, costituiscono il tentativo reale posto in essere dal legislatore europeo dì
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Elliott, Key issues on European Banking Union. Trade-offs and some recommendations, in Global Economy and Development, Working Paper n. 52, 2012, consultabile all’indirizzo http://www.brookings.edu/~/media/research/files/papers/2012/11/europeanbanking-union-elliott/11-european-banking-union-elliott.pdf, a 14. In senso contrario rispetto a detto modus operandi si pongono, invece, Sapir, Hellwig, Pagano, A contribution from the Chair and Vice-Chairs of the Advisory Scientific Committee for the Discussion on the European Commission’s Banking Union Proposals, in Reports of the Advisory Scientific Committee, European Systematic Risk Board, ottobre 2012, n. 2; Schoenmaker, Where we’re going wrong, in Banking Union for Europe. Risks and Challenges, Centre for Economic Policy Research, 2012, pp. 95-102 e, in senso ancor più marcato, S. Verhelst, Banking Union: Are the EMU design mistakes being repeated?, European Policy Brief, Egmont Royal Institute of International Relations, 2012, ove l’A. pone in evidenza il fatto che si debba evitare di ripetere il medesimo errore già compiuto con riguardo alla Unione economico-monetaria: concentrarsi sulla seconda, dimenticando che essa costituisce, un’endiadi, un tutt’uno con la prima («If the flaws in the design of the EMU teach us one thing, it is that ambitious integration projects should be put in place in a coordinated manner. Europe can, in the words of Robert Schuman, “be built through concrete achievements” (Schuman, 1950). However, the success of these achievements should not fully depend on hypothetical future actions. The monetary union was not sustainable because it was not backed by a sufficiently strong economic union. In the same vein, common supervision risks failure if it is not backed by common responsibility for bank crises. As discussed above, a Banking Union needs all three pillars in order to be viable. There is a clear risk that the EU will agree on common supervision, but subsequently fails to put in place the remaining elements of its Banking Union. The only way to avoid the risk of having an unstable Banking Union is to provide sufficient clarity on the road ahead. Therefore, the EU needs to be clear on the final objectives of a Banking Union, instead of trying to move by stealth. The objective could be either to move towards a genuine Banking Union, with common responsibility both in normal times and during crises, or, alternatively, the EU could choose to leave banking supervision and crisis management at the national level. As for the EMU, these two options are to be preferred over any halfway solution»).
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da recuperare la fiducia della collettività nei mercati finanziari58, nell’Euro e nella “integrazione economica e fiscale” in un’ottica di lungo periodo59. A tal fine, si è inteso intervenire sulla struttura e sulle attività degli intermediari finanziari60, sulla riscrittura, ovvero la formalizzazione della disciplina in tema di supervisione prudenziale, sulla riorganizzazione dei sistemi di governance e controllo, sul rinforzo e sulla centralizzazione della valutazione circa il fair behaviour degli enti creditizi uti singuli61 o uti universi62. Dette operazioni di generale rimodulazione del sistema bancario tutto, unitamente alle linee guida elaborate dalle Autorità che si occupano invece del mercato mobiliare e del settore assicurativo, volgono dunque a: (i) salvaguardare l’Euro63; (ii) integrare le competenze in ambito di vigilanza, coordinando tra loro le gestioni di gruppi bancari anche eterogenei ed uniformando le interpretazioni normative a livello internazionale64; (iii) eliminare episodi di moral hazard65 ed arbitraggio normativo66, intervenendo quindi - con consenso unanime - sulla can-
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Wymeersch, op. cit., p. 4. Brescia Morra, La nuova architettura, cit., p. 75. 60 Rosa, La vigilanza sull’attività bancaria: profili evolutivi, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 11 e Ruozi, Economia e gestione della banca, Milano, 2002, p. 11 s. 61 In tale prospettiva, rileva soprattutto la valutazione sull’informazione e disclosure fornite ai clienti da parte dell’ente creditizio. 62 MOL Group, Fair Market Behaviour, 2015, consultabile all’indirizzo http://molgroup.info/en/sustainability/economic-sustainability/ethics-and-compliance/fair-market-behaviour. 63 Yowell, Why the ECB cannot save the Euro, in Ringe, Huber, Legal Challenges in the Global Financial Crisis, Oxford-Portland, 2014, p. 81. 64 Cfr. Schoenmaker, Siegmann, Efficiency Gains of a European Banking Union, Duisenberg School of Finance - Tinbergen Institute Discussion Paper TI 13-26/IV/DSF 51, 11 febbraio 2013, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2214919; Schoenmaker, Wagner, Cross-Border Banking in Europe and Financial Stability Tinbergen Institute Discussion Paper No. TI 11-054/DSF18, ottobre 2012, consultabile all’indirizzo SSRN: http:// ssrn.com/abstract=1790882; Oosterloo, Schoenmaker, Financial Supervision in an Integrating Europe: Measuring Cross-Border Externalities, International Finance, gennaio 2005, vol. 5, pp. 1-27, 2005, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=1554904; Schoenmaker, Oosterloo, Cross-border issues in European financial Supervision, in Mayes, Wood, The Structure of Financial Regulation, London, 2007, p. 24 ss.; Schoenmaker, The ECB, financial supervision and financial stability management, in de Haan e Berger, The European Central Bank at ten, 2010, p. 171 ss., spec. a pp. 174-181. 65 Cfr. Shacell, On Moral Hazard and Insurance, in The Quarterly Journal of Economics, vol. 93, novembre 1979, p. 541 e Arrow, The Economics of Moral Hazard: further Comment, in The American Economic Review, vol. 58, n. 3, giugno 1968, p. 537 ss. 66 Cfr. Dietz, On the Single Supervisory Mechanism, in Journal of Risk Management in 59
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cellazione di campioni nazionali67 e - con consenso maggioritario - sul c.d. light touch68. In proposito, tuttavia, pare preferibile la posizione minoritaria: il possibile verificarsi di crisi future non è infatti diminuibile in ragione dell’inserimento di norme rigorose69 e dell’applicazione di norme mutevoli e complesse70. Al contrario, sebbene difendibile sotto il profilo teorico, detta ipotesi non pare attuabile sotto il profilo politico: è necessario porre in essere una seconda strategia: «a viable, second-best strategy (and possibly one governments are adopting already to some degree, especially so long as they keep acting primarily at the international level) could be what in Neapolitan dialect is known as “fare ammuina:” much like sailors of the Kingdom of the Two Sicilies’ Navy back in the Nineteenth century did when the Highest Authorities of the Kingdom visited their ships, regulators should make a lot of noise and show a lot of activism, all the while producing very little change. Of course, it would be hard to fool cognoscenti of financial markets regulation and practitioners, but
Financial Institutions, vol. 7, n. 3, 2014, p. 221 e Barry, On regulatory Arbitrage, in Texas Law Review, vol. 89, 2010, 73. 67 Cfr.. Sørgard, The Economics of national Champions, in European Competition Journal, 2007, 3(1), p. 49 ss.; Norwegian Competition Authority, Structural Policies, Regulation and Competition: The Economics of National Champions, 25th Anniversary for the CISEP - Research Centre on the Portuguese Economy, tenutosi a Lisbona il 16 febbraio 2007, consultabile all’indirizzo http://fagbokforlaget.no/filarkiv/natchampsorgard.pdf; Suedekum, National Champion versus Foreign Takeover, luglio 2007, IZA Discussion Paper No. 2960; Ruhr Economic Paper No. 66, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=1010595 e Calzolari, Scarpa, Footloose Monopolies: Regulating a ‘National Champion’, agosto 2007, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=1138526. 68 Tomasic, Beyond ‘Light Touch’ Regulation of British Banks after the Financial Crisis, in The Future of Financial Regulation, a cura di MacNeil, O’Brien, Hart, Oxford, 2010, p. 111 ss., consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=1561617 e Harvey, L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza, Milano, 2011, spec. a 76. Per una indagine empirica, v. dalla Pellegrina, Masciandaro, Good Bye Light Touch? Macroeconomic Resilience, Banking Regulation and Institutions, Paolo Baffi Centre Research Paper No. 2011-109, 1 novembre 2011, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=1958170. 69 MacDonald, Britain’s FSA Begins to Drop Its Light Touch, Wall Street J. (European Edition), gennaio 2009, vol. 1, p. 28; Salgol, Masters, FSA Code Will Aim to Tackle Incentives for Risk-taking, fin. Times (London), ottobre 2008, p. 4 e, in dottrina, Moloney, Regulation of the Market and Intermediaries: Global Comparison and Contrast. What Is Best Practice?: Recent Developments in UK and European Union Market and Intermediary Regulation, in Macquarie Journal of Business Law, vol. 5, 2008, p. 1 ss. 70 Juurikkala, The Behavioral Paradox: why Investor irrationality calls for lighter and simpler financial regulation, in Fordham Journal of Corporate and Financial Law, vol. 18, n. 1, 2012, p. 33, consultabile all’indirizzo http://ir.lawnet.fordham.edu/jcfl/vol18/iss1/3.
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the latter would not protest and the former would have too little an audience once the financial crisis is over. A possible counterargument may be that if nothing “real” is accomplished and instead regulation is conducted in what is known in Italian as the “gattopardesco” way, then a time will come when market players (and once again captive regulators) will have forgotten previous excesses and will again start taking excessive risk and inflating bubbles. Because those will be prosperous times, policymakers will have absolutely no clout to curb those excesses and to deflate those bubbles, much like they did prior to the present crisis. Therefore, as the argument would go, we should heavily reregulate now so as to have in place the curbs that will be needed when the current cultural change’s effects are over. In other words, a culture of frugality and risk control can be a fad, while rules are here to stay. The problem with this reasoning is, first, that, as hinted before, rules we devise now may not be the ones we will need to curb the excesses preceding and causing the next crisis. Further, rules are not that sticky (they are definitely less sticky than human greed). Indeed, excessive reregulation today is the best guarantee of effective pressure towards deregulation tomorrow»71. 2.3. Ambito applicativo L’applicabilità reale del Meccanismo di Vigilanza Unico non è tuttavia delineata con precisione: la delimitazione geografica dell’operatività di tale sistema è infatti ad oggi strettamente connessa all’intenzione degli Stati Membri di assoggettare i propri istituti di credito alla supervisione prudenziale dell’MVU, limitando l’operatività del medesimo alla sola Eurozona72. Una delimitazione applicativa, questa, che se, per un verso, intende riflettere l’andamento differente di taluni stati, per altro verso, non contempla la peculiarità finanziaria principale che connota l’intera realtà europea: il centro finanziario di riferimento, Londra, è infatti situato in un Paese esterno all’Eurozona73. Per porre rimedio alla questione si è ritenuto opportuno
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Enriques, Regulators’ Response to the Current Crisis and the Upcoming Reregulation of Financial Markets: One Reluctant Regulator’s View, University of Pennsylvania Journal of International Law, vol. 30, n. 4, 2009, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/ abstract=1432400. 72 Ampiamente, sia consentito rinviare al recentissimo contributo Ferrarini, Single Supervision and the Governance of Banking Markets, ECGI - Law Working Paper No. 294/2015, 8 giugno 2015, consultaile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2604074. 73 Elliot, op. loc. cit.
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optare74 per una estensione della competenza della vigilanza ai Paesi che, seppur non inclusi dell’Eurozona, intendano aderirvi volontariamente75.
74 Per quanto attiene alle alternative che si è inteso non percorrere, v. Zettelmeyer et al., Banking Union: the View from Emerging Europe, in Banking Union for Europe, Risks and Challenges, Beck (eds.), Centre for Economic Policy Research, 2012, p. 65 ss., consultabile all’indirizzo http://www.voxeu.org/article/banking-union-view-emerging-europe, ove le single opzioni sono chiaramente individuate: «First, the European Stability Mechanism treaty could be modified to allow non-Eurozone members to join join if they also join the single supervisory mechanism – that is, to become full members of the banking union without necessarily adopting the single currency. In addition to access to the European Stability Mechanism, these countries should also be allowed access to euro liquidity (through swap lines with the ECB, see below). The fact that these countries continue to have their own monetary policy and hence an extra instrument to influence credit growth could be addressed by letting national authorities absorb most of the ‘first loss’ should anything go wrong in their banking sectors. Second, it may be possible to create an ‘associate member’ status in the banking union for non-Eurozone countries. Unlike their Eurozone counterparts, they would not give up supervisory control, nor would they benefit from the European Stability Mechanism. However, the ECB could give them access to euro liquidity – in the form of foreign-exchange swap lines against domestic collateral. In return, national supervisors would agree to share information with the ECB and to a periodic review of their supervisory policies. Swap lines would be committed from one review period to the next, and rolled over subject to the satisfactory completion of the review. Third, it might be possible to devise a supervisory regime that allows the host country to retain significant supervisory control but at the same time mitigates the coordination problem in respect of multinational banking groups. As described above, although host countries have formal supervisory power over subsidiaries, they have sometimes had limited de facto control because of a lack of information about, and influence over, parent bank funding. One way of mitigating this problem would be to have the ECB share supervisory responsibility for the subsidiaries of multilateral groups in return for giving host supervisors information about, and some influence over, the supervision of the group. The latter could range from normal participation in the single supervisory mechanism (with respect to the group) to the right to be heard. The first of these options would (at best) apply to EU members only. However, there would seem to be no legal or conceptual reason why the second or third avenues could not also apply to European countries that are not (or not yet) members of the EU». 75 Sotto il profilo normativo, si veda la definizione dell’art. 2, n. 1, Regolamento n. 1024/2013, che reca la definizione di “Stato membro partecipante” (in dottrina, v. Clarich, La governance del Single Supervisory Mechanism e gli Stati membri non aderenti all’Euro, in Federalismi.it, 2014, n. 17, consultabile all’indirizzo http://www.federalismi.it/document/24092014162348.pdf), ed all’art. 3, paragrafo 6, che contiene una graduazione tra livelli di cooperazione tra il singolo Stato Membro e la BCE (in dottrina, cfr. Verhelst, The Single Supervisory Mechanism. A sound first step in Europe’s Banking, European Affairs Programme working Paper, The Royal Institute for International Relations, cit., e Lo Schiavo, From National banking Supervision to a Centralized Model of Prudential Supervision in Europe: the Stability Function of the Single Supervision to a Centralized Model of Prudential Supervision in Europe: the Stability Function of the Single Supervisory Mechanism, in Maastricht
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Una scelta, questa, che per taluni aspetti non consente la conservazione di un mercato interno compatto e coeso, bensì incredibilmente frammentato76 e genera rischi ulteriori, incertezze marcate derivate dal non perfettamente efficiente coordinamento delle politiche di liquidità77; per altri aspetti rappresenta l’opzione più conveniente78, semplice ed opportuna nel lungo periodo: «opening the SSM to non-euro Member States made good sense in that more Member States aharing common supervisory frameworks, rules and mechanisms would further strengthen stability»79. A livello applicativo, hanno inteso non aderire all’MVU la Svezia, la Polonia, la Repubblica Ceca ed il Regno Unito80. Quanto a quest’ultimo, se, da un canto, il ruolo della City of London rende gli interessi britannici strettamente connessi all’integrità del mercato a causa delle relazioni transfrontaliere e delle modalità di conduzione del business81, dall’altro, l’unione bancaria non può che essere configurata in guisa della conseguenza naturale di una moneta unica, di qui l’impossibilità che la Gran Bretagna ne sia parte82. Detta posizione, lungi dall’impattare unicamente rispetto al Regno Unito83, coinvolge l’intera Unione Europea in quanto: (i) appare rischioso mantenere una tanto marcata disparità normativa tra la realtà inglese e la rimanente parte dell’Europa; (ii) appare dubbio l’effettivo rilievo dell’Unione bancaria
Journal of European and Comparative Law, 2014, vol. 21, n. 1, 110 ss., p. 135, consultabile all’indirizzo http://www.maastrichtjournal.eu/pdf_file/ITS/MJ_21_01_0110.pdf). 76 Niknejad, op. cit., p. 111. 77 Wyplosz, On Banking Union, Speak the Truth, CEPR’s Policy Portal, 17 settembre 2012, consultabile all’indirizzo http://www.voxeu.org/article/banking-union-speak-truth, cui compie riferimento Huertas, Banking Union: What Will It Mean for Europe? Special Paper 213 Lse Financial Markets Group Paper Series, novembre 2012, consultabile all’indirizzo http://www.lse.ac.uk/fmg/workingPapers/specialPapers/PDF/SP213.pdf. 78 Wymeersch, op. cit., p. 61, ove l’A. rileva anche una convenienza sul piano reputazionale. 79 Howarth, Quaglia, Banking Union as Holy Grail: Rebuilding the Single Market in Financial Services, Stabilizing Europe’s Banks and Completing Economic and Monetary Union, in The JCMS Annual Review of the European Union in 2012, 2013, vol. 51, supplement n. 1, p. 103 ss. Conformi anche Ferrarini, Chiarella, op. loc. cit. 80 Troeger, The Single Supervisory Mechanism – Panacea or Quack Banking Regulation?, agosto 2013, in European Business Organization Law Review; SAFE Working Paper No. 27, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2311353, spec. p. 37 ss. 81 Ferran, Babis, The European Single Supervisory Mechanism, in Journal of Corporate Law Studies, 2013, n. 13, p. 255 ss. 82 Forte, in tal senso, l’affermazione di George Osbone, Chancellor of the Exchequer, in Telegraph, 9 giugno 2012: “British taxpayers will not stand behind Eurozone banks”. 83 Capriglione, L’unione bancaria, cit., p. 99 ss.
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europea in un siffatto quadro operativo, privato di una componente tanto importante come la capitale inglese; (iii) appare possibile che la City possa persino essere privata, per la perdita di competitività, in un orizzonte long term, del proprio ruolo economico in seno all’Europa84, ponendo così le basi per un recesso eventuale del Regno Unito dall’Unione85.
3. Banca Centrale Europea 3.1. Indipendenza e Accountability La BCE assolve specifici compiti di vigilanza bancaria, che non la rendono tuttavia immune da obblighi di accurata rendicontazione al Parlamento e al Consiglio, istituzioni democraticamente legittimate a rappresentare i cittadini dell’Unione, i Parlamenti nazionali e gli Stati Membri86. La disamina della questione deve tuttavia necessariamente passare attraverso considerazioni in tema di indipendenza della Banca Centrale Europea nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri ad essa attribuiti, nonché di accountability87. Da ultimo, la BCE detiene una responsabilità giudiziaria rispetto alla legalità dei propri atti ed è “sottoposta al controllo della Corte di giustizia europea”88 ai sensi degli artt. 263-266 TFUE. Quanto al requisito di indipendenza – anche nei meccanismi di nomina e nella gestione finanziaria89 –, sebbene debba essere inteso in senso meno stringente rispetto a quello richiesto nell’ambito della politica monetaria90, esso trova la propria base normativa: (i) all’art. 130 t.u.f.; (ii) nel
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Elliot, op. cit., p. 47. Elliot, op. cit., p. 48. 86 Cfr., a livello normativo, Accordo inter istituzionale tra il Parlamento europeo e la Banca centrale europea sulle modalità pratiche dell’esercizio della responsabilità democratica e della supervisione sull’esecuzione dei compiti attribuiti alla Banca centrale europea nel quadro del meccanismo di vigilanza unico (2013/694/UE) e, in dottrina, Antoniazzi, op. cit., p. 408. 87 Il concetto può essere reso nei termini di “trasparenza e responsabilità democratica”, v. Barbagallo, op. loc. cit. 88 Ferran, Babis, op. cit., p. 273. 89 Sul punto, Masciandaro, Nieto, Governance of the Single Supervisory Mechanism: Some Reflections, Baffi Center Research Paper No. 2014-149, gennaio 2014, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2384594, rispettivamente a p. 19 e 20. 90 Lastra, Banking Union and Single Market Conflict or Companionship?, in Fordham 85
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Considerandum 75 del Regolamento istitutivo del MVU, che garantisce alla BCE l’esercizio dei propri compiti di vigilanza “in piena indipendenza”, “libera da indebite influenze politiche” e da “ingerenz[e] degli operatori di settore”, “che potrebbero comprometterne l’indipendenza operativa”; all’art. 19 del medesimo Regolamento, ove precisa il requisito di indipendenza ed obiettività che i membri del consiglio di vigilanza ed il comitato direttivo debbono osservare nell’interesse complessivo dell’Unione, “senza chiedere né ricevere istruzioni da parte di istituzioni od organi dell’unione, dai governi degli Stati membri o da altri soggetti pubblici o privati”. Quanto al requisito di accountability, invece, deve essere commisurato alla natura ed alla portata dei poteri dell’organo91 e deve riflettere l’interazione tra la BCE ed altre istituzioni europee, al punto che la BCE è richiesta dell’elaborazione orale o scritta di un documento in risposta alle iscrizioni o ai quesiti che il Parlamento Europeo le rivolge92.
International Law Journal, vol. 36, n. 5, a 1219, consultabile all’indirizzo http://fordhamilj.org/files/2015/10/Lastra_BankingUnionandSingleMarket.pdf. 91 Ferran, Babis, op. cit., p. 271. 92 Sul punto, a livello normativo, sia consentito rinviare alle precisissime disposizioni normative ex artt. 20, paragrafi 5-6-9; 21, paragrafi 2-3, del Regolamento n. 1024/2013; a livello dottrinale, in particolare per una riflessione ponderata sullo “scambio di opinioni” tra BCE e Parlamenti nazionali, v. Pisaneschi, La regolazione comunitaria del credito tra European Banking Autority (EBA) e Banca Centrale Europea: prime osservazioni sul Single Supervisory Mechanism, in Rivista delle regolazione dei mercati, 2014, n. 1, consultabile all’indirizzo http://www.rivistadellaregolazionedeimercati.it/index.php/note-e-commentifascicolo-1/andrea-pisaneschi-la-regolazione-comunitaria-del-credito-tra-europeanbanking-autority-eba-e-banca-centrale-europea-prime-osservazioni-sul-single-supervisory-mechanism (ove l’A. afferma la “curiosità” di tale norma: «In cosa può consistere «uno scambio di opinioni» sulla vigilanza? Il Parlamento può adottare una risoluzione a seguito dello scambio di opinioni? È evidente che la utilizzazione della atipica espressione, in un testo normativo, di «scambio di opinioni» ha la funzione di rendere per quanto possibile fluido e non formale questo rapporto, ma è altrettanto evidente che saranno i momenti storici e le relazioni istituzionali a determinarne caso per caso contenuto ed effetti. Inoltre, al di là dello scambio di opinioni, Parlamento europeo e Eurogruppo, possono porre oralmente o per iscritto interrogazioni o quesiti alla BCE, mentre i Parlamenti nazionali possono chiederle di rispondere per iscritto a osservazioni o quesiti. V’è da chiedersi se questa enfasi nello stabilire rapporti e responsabilità con i Parlamenti, Europeo e nazionali che siano, non sia alla fine rischioso per la indipendenza della BCE nell’esercizio della vigilanza ed alla fine anche nell’esercizio dei suoi poteri macroeconomici. Che questo tema non sia sciolto, e che sotto la cenere vi siano evidenti tensioni, emerge peraltro dall’ultimo comma dell’art. 20 dove addirittura si dice che la BCE e il Parlamento concludono accordi sulle modalità pratiche dell’esercizio della responsabilità democratica e della supervisione sull’esecuzione dei compiti attribuiti alla BCE dal presente regolamento. Peraltro queste norme non erano bastate al Parlamento, che non ha approvato il regolamento proprio per rafforzare il mec-
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Assumendo una più ampia prospettiva, tuttavia, indipendenza e accountability non trovano tra loro un equo bilanciamento, un bilanciamento che peraltro non si realizza nemmeno rispetto a forme di effettivo controllo da parte dei parlamenti nazionali93. 3.2. Un coordinato meccanismo di vigilanza Uno studio sistematico ed analitico della vigilanza nazionale permette di identificare, in un panorama connotato da marcate peculiarità nazionali tanto a livello diacronico94 quanto a livello sincronico95, due tipi ideali di “regolazione centrale”. Sono i differenti approcci, il sostrato economico e
canismo della responsabilità democratica») e Id., Banca centrale europea, vigilanza bancaria e sovranità degli Stati, in Federalismi.it, 17 settembre 2014, consultabile all’indirizzo http://www.federalismi.it/document/16092014130513.pdf (ove l’A. riflette sul fatto che il concetto di “scambio di opinioni” tra i due organi possa realizzare un «modello in parte nuovo, con un’indipendenza “attenuata”, nell’ambito del quale il rapporto con le istituzioni della politica non è più visto come assolutamente da evitare», p. 9). 93 In tal senso, anche Masciandaro, Nieto, op. cit., p. 25, ove si legge: «The ECB accountability arrangements show better governance than the average of the EU supervisors located in central banks, which fall behind on judicial accountability and transparency. Nonetheless, accountability would be strengthened by clear rules of dismissal of the Chair and Vice Chair of the Supervisory Board that specify ex ante the terms of bad performance of his/her statutory functions that would not necessarily be subject to the European Parliament approval». 94 «National supervisory regimes also reflect disparate legal, bureaucratic and political cultures, as well as certain accidents of history. Some countries have strong bureaucratic traditions and cultures that give regulators more independence from influence by politicians and voters. Other nations have a greater emphasis on political accountability and are therefore more leery of vesting power in unelected bodies. History has also pushed some countries in certain directions. For example, the German central bank, the Bundesbank, is revered by many Germans and viewed as an important safeguard against inflation and political influence, reflecting the unfortunate history of the Weimar Republic and the strong protective role played by the Bundesbank since the 1950s. This makes it easier for the Bundesbank to have a more influential role in financial areas, such as bank supervision, although concerns about political accountability recently blocked efforts to shift bank supervision more completely to the Bundesbank» così Elliott, op. cit., p. 22. Per una disamina analitica, v. Masciandaro, Quintyn, After the Big Bang and Before the Next One? Reforming the Financial Supervision Architecture and the Role of the Central Bank - A Review of Worldwide Trends, Causes and Effects (1998-2008), Paolo Baffi Centre Research Paper No. 2009-37, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=1336390. 95 Cuocolo, Miscia, The Gentle Revolution of European Banking Regulation: Models and Perspectives in Supervision, Baffi Center Research Paper No. 2014-164, dicembre 2014; Bocconi Legal Studies Research Paper No. 2539641, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2539641, spec. par. 2.
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quello finanziario, le culture legali e politiche, ad incidere profondamente sulla adeguatezza o meno di un determinato meccanismo di vigilanza96. In assenza di un meccanismo par excellence97, il primo modello assume i caratteri della “pure central bank” o, anche, “narrow central bank”, in cui la banca centrale si occupa soltanto di politica monetaria e lascia le funzioni di regolazione e monitoring ad altre istituzioni. Tale modello vede la compresenza di almeno tre attori istituzionali: un ministro, la banca centrale ed almeno un’altra istituzione, generalmente indipendente. È il governo a condurre funzioni squisitamente di regolazione, adottando normative secondarie ed atti di difficile qualificazione giuridica, spesso delegati. È invece la banca centrale, indipendente dal governo e dalle contese politiche, ad esercitare funzioni di politica monetaria senza subire l’influenza dell’esecutivo, essendo al contempo privata di oneri di supervisione. Alternativamente, il modello “spurious central bank” configura una serie di funzioni differenti in capo alla banca centrale, ben oltre la sola politica monetaria. La banca assume inoltre funzioni di regolamentazione e monitoring, minimizzando il potere degli altri attori del sistema. Oltre all’affidamento dei compiti di vigilanza alla Banca Centrale Europea, organo che risponde ad esigenze di unitarietà del sistema e di efficacia del decentramento operativo98, il legislatore europeo ha riflettuto sulla possibilità di affidare detti compiti ad altri organi99, ed, in particolare, da un
96 Sia consentito rinviare, per una visione d’assieme, a Banfi, Di Pasquali, Le banche centrali negli anni della crisi. L’operatività della Banca Centrale Europea, della Banca d’Italia e della Federal Reserve, Isedi, Torino, 2014, spec. 57 ss. 97 Cfr., Elliott, op. cit., p. 22 («There is also the key point that no one has found the absolutely optimal way to organize bank supervision. Most basically, we do not know whether a single supervisor is better than multiple bodies. There are clear arguments for one central supervisory body, in terms of clarity of approach, information sharing, efficiency and overall effectiveness. However, there are also arguments for dividing bank supervision by type of financial institution, for example, if there are big differences between how savings banks and other banks work. Alternatively, different aspects of bank supervision may merit different authorities supervising them. For instance, the deposit guarantee or bank resolution funds may need some supervisory powers to protect them from potential losses, especially if there are weaknesses in other supervisory bodies. Consumer protection may need its own supervisory agency, as is the case in some countries. Further, the central bank is often given some direct supervisory powers because they are sometimes considered best suited to ensure financial stability, even in cases where they are not the sole supervisor»); Masciandaro, Quintyn, op. cit., p. 5 e Pisani-Ferry, Véron, Wolff, What kind of European banking Union? Bruegel Policy Contribution, 2012, n. 12, p. 11. 98 Così Barbagallo, op. cit. 99 Il ruolo di “panEuropean banking supervisor” può essere ricoperto dalla BCE, ov-
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lato, l’EBA100 e, dall’altro, un altro ente di nuova istituzione101. Se la prima prospettiva è stata superata in forza della c.d. “dottrina Meroni”102, nonché della ampiezza dei poteri affidati alla stessa e della dislocazione geografica della medesima103, la seconda è stata invece abbandonata in ragione del fatto che tale scelta avrebbe necessariamente comportato la modifica dei trattati istitutivi dell’Unione, e quindi avrebbe richiesto un percorso irto e protratto nel tempo104, a dispetto dei molteplici possibili vantaggi105.
vero dall’EBA, ovvero affidando i compiti di supervisione a quest’ultima e coinvolgendo la BCE nei compiti di supervisione finanziaria. Non essendo la prima alternativa “advisable”, tra le rimanenti pare emergere in dottrina una preferenza per la terza opzione, in quanto «there are good reasons for involving the central bank in a suitable manner: on the one hand, it is impossible to achieve lasting monetary stability in an unstable financial system. On the other hand, central banks obviously occupy a pivotal role in crisis management. Hence, there should be a close dialogue between financial supervisory authorities and central banks. Moreover, the ECB plays a key role in macro-prudential supervision at the EU level. Hence, it could prove useful to entrust some supporting supervisory tasks to the ECB. One obvious example for this could be the modelling of shocks to the stability of the EU financial system or an analytical comparison of banks’ internal rating models. In order to become an effective EU-level supervisory authority, the existing competences and resources of the EBA would need to be widened substantially. Up until now, the EBA has suffered from the fact that it has only very limited direct supervisory powers. Instead, national supervisors remain in control of day-to-day supervision. Mandating the EBA with pan-European banking supervision would have several advantages: first, instead of starting from scratch, the – albeit limited – experience with pan-European supervision gained by that institution could be put to good use. Second, as an EU-27 institution, mandating the EBA would signal a commitment by Member States to the concept of the single market», Speyer, EU Banking Union Do it right, not hastily!, 23 luglio 2012. 100 Ruding, The Contents and Timing of a European Banking Union: Reflections on the Differing Views, CEPS Essay, Brussels, 30 novembre 2012, consultabile all’indirizzo http:// www.ceps.eu/ceps/dld/7506/pdf . 101 Boccuzzi, L’Unione Bancaria Europea. Nuove istituzioni e regole di vigilanza e di gestione delle crisi bancarie, Roma, 2015, p. 61 ss. 102 Esposito, Il modello decisionale europeo nel settore dei servizi finanziari, in Interesse pubblico e controllo della finanza innovativa, a cura di Rossano, Siclari, Padova, 2006, p. 194 ss.; Repasi, Legal Issues of Single European Supervisory Mechanism, Bruxelles, 1 ottobre 2012. 103 Wymeersch, op. cit., n. 240, 2014 e Pisani-Ferry, Véron, Wolff, op. cit., p. 11. 104 Nikenejad, European Union towards the Banking Union, Single Supervisory Mechanism and challenges on the road ahead, in European Journal of Legal Studies, 2014, vol. 7, n. 1, p. 92 ss.. Al contrario, avvalendosi dell’art. 127, comma sesto, TFUE, è possibile argomentare con certezza in favore della liceità della attribuzione di poteri di vigilanza senza comportare alcuna modifica ai trattari. 105 Creare un organo completamente nuovo porterebbe ad alcuni vantaggi e, precisamente, «[f]irst, it would avoid the problems of meshing the geographical choices with
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La decisione di optare per la BCE come organo unico supervisore,
the remits of the ECB and EBA. Second, it creates a chance to start over with a blank slate, without inheriting historical choices that might hamper either the ECB or EBA from operating effectively. This may be particularly important in the case of the EBA, which already suffers from previous compromises limiting its ability to supervise banks. Third, there are concerns with giving the ECB too large a role in bank supervision, which are discussed in the next section. […]. The commission recommends, […], that the ECB be the principal supervisor in the banking union. However, it tries to maintain and strengthen the role of the EBA to the extent that it can do so consistent with the ECB’s new role. It confirms that the EBA is to remain the ultimate banking authority in the EU and tries to strengthen this by empowering the EBA to create a “single supervisory handbook” that would bind the operations of all EU supervisors, including the ECB. It is unclear how this will play out in practice, since it could mean a great many things. If the supervisory handbook essentially just repeated the regulations and gave some simple suggestions about how to enforce them, then it would mean very little. If the handbook instead tries to be immensely detailed so as to seriously curtail the discretion of supervisors, then it could be very important and could also create a number of conflicts with the ECB and other supervisors. This would lead to a key question: what would happen, both in theory and in practice, if the ECB claimed to be following the handbook, but the EBA disagreed? One strong concern of EU nations that are not in the Eurozone is that the EBA could essentially be taken over or neutered by the ECB, as a result of the ECB’s potential ability to carry a majority of EBA board members with it on any issue. This follows from: the ECB’s automatic supervisory authority in 17 of the 27 EU member states; probable accretion of some additional voluntary participants; and automatic acquisition of a supervisory role as further EU states enter the eurozone. When combined with the ECB’s prestige, technical resources, and bargaining power from its powerful role as monetary authority, it is easy to understand concerns that the EBA would always dance to the tune of the ECB. In an attempt to counteract this, the proposal states that “[v]oting arrangements within the EBA will be adapted to ensure EBA decision-making structures continue to be balanced and effective reflecting the positions of the competent authorities of member states participating in the [banking union] and those which do not.” This, of course, is much easier said than done and there is considerable disagreement about the potential effectiveness of this part of the proposals. Other views. Speyer (2012) calls for the EBA to play a central role, in line with a preference for a pan-EU banking union, but with the ECB also being involved in “financial supervision in some shape or form.” Pisani-Ferry (2012) endorses the idea of a new authority as the ultimate supervisor, or as a second supervisor alongside the ECB. However, they do not take a strong stand on this point, noting that “a longstanding body of comparative literature generally concludes that no single pattern of division of supervisory responsibilities between central banks and other authorities is unquestionably superior to the alternatives.” Sinn (2012) opposes a banking union altogether and therefore would keep supervision, deposit guarantees, and resolution functions at the national level. Wyplosz (2012) applauds the choice of the ECB as the key supervisor, although departing from many analyses by emphasizing the centrality of the lender of last resort function, which is clearly a central bank role», così Elliott, op. cit., p. 24 s., ove ampi richiami bibliografici. In particolare, circa la c.d. enforcement policy, si consultino Singh, Hodges, Turning the tide? How European Banking and Financial Services Legi-
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sebbene per un verso rafforzi significativamente detto organo106 e per altro verso la esponga a sindacati sulla indipendenza sua propria107 ovvero al c.d. rischio reputazionale in caso di fallimento della propria mission108, ha però il pregio di affidare tale compito ad un organo dalla “indubbia expertise”109. Un supervisore, questo, capace di preservare la stabilità dei prezzi, perseguendo un obiettivo a sostegno delle politiche economiche dell’Unione dichiarato ex art. 127, comma primo, TFUE, nonché di prevedere il livello di inflazione e disoccupazione grazie alla prospettiva macroeconomica che la caratterizza110. Essa è, comunque, un vero e proprio “lender-of-last-resort”111, punto di riferimento essenziale e tempestivo, perfetto conoscitore della situazione patrimoniale nazionale112.
slation is making waves on the enforcement front, in Rethinking Global Finance and its Regulation, Arner, Avgouleas, Buckley (eds.), Cambridge, 2016; Singh, The Centralisation of European Financial Regulation and Supervision: Is There a Need for a Single Enforcement Handbook?, in European Business Organization Law Review, 2015, 439 ss.; M. Nieto, op. cit., p. 540. 106 Per tutti, v. Pisani-Ferry, Véron, Wolff, op. cit., p. 12. 107 È questa la ragione per cui il Gruppo de Larosiére non approva l’estensione della vigilanza della BCE da un livello macroprudenziale a quello microprudenziale, infatti «[a]dding micro-supervisory duties could impinge on [the ECB’s] fundamental mandate [and] in case of a crisis, the supervisor will be heavily involved with the providers of financial support (typically Ministries of Finance) given the likelihood that tax payers money may be called upon. This could result in political pressure and interference, thereby jeopardising the ECB’s independence», v. Onado, La supervisione finanziaria europea dopo il Rapporto de Larosière: siamo sulla strada giusta? European financial supervision after the de Larosière Report: are we on the right track?, Wolpertinger Conference Bancaria special issue, 2010, n. 3, p. 16 ss. 108 Constâncio, Establishing, cit. 109 Ciraolo, op. cit., p. 6. 110 L’espressione è mutuata da Constâncio, Establishing the Single Supervisory Mechanism, cit., tuttavia in senso conforme si esprime pure V. Ioannidou, A first step towards a banking union, in banking union for Europe risks and challenges, in Banking union for Europe: risks and challenges, Centre for Economic Policy Research, a cura di Beck, London, 2013, p. 90. 111 Capriglione, La finanza come fenomeno di dimensione internazionale, in L’ordinamento finanziario italiano, a cura di Capriglione, vol. 1, p. 184; Padoa Schioppa, L’euro e la sua banca centrale. L’Unione dopo l’unione, Bologna, 2004, p. 167 ss. e, in senso più lato, sul concreto ruolo esercitato dalla BCE nei tempi più recenti, v. Capriglione, Semeraro, Crisi finanziaria e debiti sovrani, Torino, 2012; Passalacqua, Diritto del rischio nei mercati finanziari: prevenzione, precauzione ed emergenza, Padova, 2012, p. 185 ss. 112 Elliott, op. cit., p. 23; Ioannidou, A first step towards a Banking Union, op. loc. cit. e Wyplosz, op. loc. cit..
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3.3. Una (solida?) base legale La prevalente dottrina ha inteso rinvenire le radici giuridiche del Meccanismo Unico di Vigilanza nell’art. 127, comma sesto, del TFUE, già richiamato, per conferire alla BCE compiti precipui di vigilanza macroprudenziale ai sensi del Regolamento n. 1096/2010, senza tuttavia che si possa parlare di unanime interpretazione in tal senso. Autorevole dottrina ha infatti espresso in più occasioni la propria volontà di non aderire a tale lettura, evidenziando come una modifica del TFUE di tale portata non consentirebbe l’esclusione del rischio di violazione dei trattati113, non permetterebbe una piena legittimazione democratica114 e nemmeno eviterebbe con certezza ricorsi alla Corte di giustizia. Detta dottrina, che trova il conforto pure del governo tedesco115 ed inglese116, ha tuttavia ridimensionato la propria posizione, anche alla
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Di Marco, op. cit., p. 591. Napoletano, op. cit., spec. p. 765. 115 Da ultimo, Meister, The European Banking Union, in European Company & Financial Law Review, 2015, n. 2, p. 112 ss. 116 Quanto al primo, il ministro delle finanze tedesco Schaeuble ha ribadito come non sia possibile assumere alcuna decisione fondata su una base legale dubbia, ragione per cui è cruciale rafforzare il network di fondi nazionali ed autorità. Quanto al secondo, nel contesto del dialogo “European Banking Union: Key issues and challenges - European Union Committee, Chapter 2: The Single Supervisory Mechanism And The Role Of The ECB” è stato ponderato come: «[74.] Negotiators continue to seek a way to provide the necessary safeguards within the constraints of the Treaty. It remains to be seen whether such efforts will bear fruit. We fear that the overriding imperative of avoiding treaty change may produce deficient legislation with counterproductive consequences. [75.] In its design of the proposals the Commission has been constrained by the need to avoid necessitating treaty change. We remain to be convinced that an effective mechanism can be designed within existing treaty constraints. European legislators may ultimately have to decide whether treaty change is a price they are willing to pay in order to bring about banking union. Adopting deficient and counterproductive legislation by way of compromise would be the worst of all possible outcomes», European Banking Union: Key Issues and Challenges Report 7th Report of Session 2012-13: House of Lords Paper 88 Session 2012-13, The Stationery Office, 2012, a 26. La peculiare situazione tedesca è oggetto di disamina, con riguardo alla questione dell’indipendenza e della influenza del modello della banca federale tedesca per una politica monetaria indipendente, in Antoniazzi, La Banca Centrale Europea tra politica monetaria e vigilanza bancaria, Torino, 2013, p. 23 ss. V. pure BVR e VOEB, Finanzgruppe Sparkassen und Giroverband, Gemeinsames Positionspapier zu einem einheitlichen Aufsichtsmechanismus für Kreditinstitute im Sinne der Gipfelerklärung der Mitglieder des Euro-Währungsgebiets vom 29. Juni 2012, 29 giugno 2012, consultabile all’indirizzo http://www.bvr.de/p.nsf/20C0CEB3DD976153C1257D250 04867D7/$FILE/Positionspapier-AufsichtBVR_DSGV_VOEB_20120822.pdf. 114
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luce della posizione assunta della Germania117, dinanzi alla ferma convinzione che il preminente rilievo e la assoluta urgenza di un intervento tempestivo al fine di risolvere la crisi finanziaria non possano attendere lo svolgersi lento dei molteplici passaggi richiesti dalla procedura di revisione dei trattati che si auspica, tuttavia, venga affrontata non appena la situazione economica sia ristabilita118. Altra dottrina ha invece suggerito l’individuazione di differenti basi giuridiche, e precisamente dell’art. 114119 e 352 TFUE120. Quanto all’art. 114 TFUE, la cui non idoneità è argomentabile sulla scorta della c.d. dottrina Meroni, prima, e della assenza di termini specifici che in tale disposizione richiamino alla vigilanza bancaria, poi, risulta sicuramente rischioso richiamarsi a detto principio. Quanto all’art. 352 TFUE, atto a garantire una notevole flessibilità e a coinvolgere estensivamente il Parlamento Europeo, risulta palese come esso non possa né costituire parte integrante di un ordinamento istituzionale né costituire fondamento ai fini della adozione di disposizioni modificative del trattato in quanto esso stesso costituisce “parte integrante di un ordinamento istituzionale basato sul principio dei poteri attribuiti”121. A dispetto delle voci di dissenso, il legislatore europeo ha inteso confermare il rilievo fondante dell’art. 127, comma sesto, TFUE così aderendo ai principi di sussidiarietà e proporzionalità in esso enucleati, nonché alla procedura “semplificata” da esso derivata, con l’intenzione di accentrare le funzioni di politica monetaria e vigilanza prudenziale, andando oltre divisioni istituzionale e geografiche122.
117 Contra, Davies, Europe’s Flawed Banking Union, in Project Syindacated, 18 ottobre 2012, ove l’A. eccepisce che, invero, la Germania ha acconsentito a detta scelta soltanto nella convinzione che in realtà la Banca Centrale Europea non fosse un supervisore diretto. 118 Niknejad, op. cit., p. 204. 119 Nella dottrina italiana, Tosato, op. cit., p. 698 e, nella dottrina straniera, Witte, The Application of National Banking Supervision Law by the ECB: three Parallel Modes of Executing EU Law?, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 2014, n. 21, spec. p. 92. 120 Witte, op. cit., spec. a 92 e Lastra, Legal foundation of international monetary stability, Oxford, 39886 Convegno tributario 327 ss. Contra, Di Marco, op. cit., p. 584. 121 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Adesione della Comunità alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, parere n. 2/94, 28 marzo 1996, consultabile all’indirizzo http://curia.europa.eu/juris/showPdf.jsf?text=&do cid=99493&pageIndex=0&doclang=IT&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=1143616. 122 Padoa Schioppa, EMU and Banking Supervision, in International Finance, 1999, vol. 2, n. 2, p. 295 ss., Lezione tenuta presso la London School of Economics il 24 febbraio 1999.
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La scelta di affidare alla BCE i compiti di supervisione richiede però sia una delimitazione specifica dei compiti da svolgere a livello transnazionale sia una unanime adesione123, con attribuzione di diritto di veto esercitabile da parte di ciascuno Stato, purtuttavia le perplessità circa gli specifici compiti124 affidati agli organi competenti in tema di vigilanza prudenziale paiono escludere la possibilità di una autorizzazione per parte del Consiglio alla BCE per esercitare poteri di vigilanza prudenziale125. La limitazione è ancor più forte per le imprese assicurative, in quanto il regolamento in esame si concentra unicamente sugli istituti di credito, dimenticando come le operazioni bancarie ed assicurative – soprattutto nel caso di conglomerati finanziari - presentino effetti combinati di notevolissima portata economica126. Non solo: la decisione di basare l’operato del nuovo organo sull’articolo di cui si è detto è stata oggetto di critiche sia per ragioni legate al limitato potere – essenzialmente consultivo – attribuito al Parlamento europeo, sia per ragioni legate al fatto che stabilità monetaria e finanziaria rappresentano due valori disgiunti, perseguendo solo in via subordinata al mantenimento della stabilità dei prezzi gli obiettivi di stabilità finanziaria127. Invero, soltanto una revisione dei Trattati, atta ad assicurare al nuovo sistema di supervisione prudenziale europeo una più solida base legale
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Cfr. Merusi, Governo della moneta e indipendenza della Banca Centrale, in Per una nuova costituzione economica, a cura di Della Cananea, Napolitano, Bologna, 1998, spec. p. 55 e Vella, Banca Centrale Europea, Banche Centrali Nazionali e vigilanza bancaria: verso un nuovo assetto dei controlli nell’area dell’euro, in Banca, borsa e tit. cred., 2002, I, spec. p. 153. 124 Inizialmente considerato seriamente ostativo (v. Guarracino, Il meccanismo unico di vigilanza sugli enti creditizi tra diritto primario e riforma dei trattati, in Riv. trim. dir. economia, 2013, vol. 3, p. 189 ss.), tale profilo pare essere stato mitigato dalle modificazioni apportate alla ripartizione tra funzioni e poteri decisori tra BCE ed Autorità nazionali, v. Mancini, op. cit., p. 21. 125 Veron, op. loc. cit. e Affinita, op. loc. cit. 126 Il rilievo è rafforzato in Antoniazzi, L’unione bancaria europea: i nuovi compiti della BCE di vigilanza prudenziale degli enti creditizi e il meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2014, n. 2, p. 359 ss., già in De Larosiere, Report, cit., §171. Rispetto ai conglomerati, la BCE sarà competente solo per quanto attiene ai compiti di vigilanza supplementare su di essi, a livello di gruppo, mentre le Autorità degli Stati membri avranno cura di occuparsi delle singole imprese di assicurazione, come rilevato nella Proposta di regolamento del Consiglio che attribuisce alla BCE compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi, Bruxelles, 12 settembre 2012, COM (2012), p. 511, motivazioni, § 3. 127 Di Marco, op. cit., p. 588 s.
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e un coinvolgimento marcato del Parlamento medesimo, potrebbero rafforzare la “responsabilità democratica” della BCE128. 3.4. Politica monetaria e vigilanza: joint or separate? La risposta del Regolamento 1024/2013 Pur nella certezza che il compito principale affidato alla Banca Centrale Europea sia quello di preservare il valore della moneta129, a partire dal 29 giugno 2012, data del vertice in cui è stata proposta l’istituzione di un Meccanismo di supervisione bancaria, è nuovamente emerso il dibattito circa la titolarità delle funzioni di supervisione macroprudenziale130. Se sino ad allora l’elemento caratterizzante era stato quello della supervisione bancaria, come soprattutto dimostra l’esperienza inglese dell’FSA131, la crisi ha riproposto due differenti generi di problematiche:
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Mancini, op. cit., a 22 e, in senso conforme, Cuocolo e Miscia, op. cit.,p. 16. Fischer, Central Banking: the Challenges Ahead, Maintaining price stability, in Finance and Development, 1996, n. 33, 4, 34 ss. 130 Padoa Schioppa, Central Banks and Financial Stability: Exploring a Land in Between, in The transmission of the European financial system, a cura di Gaspar, Harmann, Sleijpen, 2003, p. 269 ss. («The distinction focuses on the activities and the analytical approaches to measure risks, rather than really questioning the commonality of their ultimate common objective of financial stability. The macro-prudential dimension is usually associated with the central bank, and the micro-prudential one with the supervisory authority. The macroprudential dimension looks at the financial system as a whole. Accordingly, it encompasses assessment and monitoring of potential threats to financial stability arising from macroeconomic or financial market developments (common shocks) and exposures to systemic risk (contagion). This is in line with the definition of financial stability introduced earlier in the essay, as the analysis focuses on evaluating the risk of financial distress, which would be costly for the economy. The macro-prudential risk measurement approach focuses on common (possibly multiple) sources of risk for financial institutions and on the risk of correlated failures. If it looks at individual institutions, it pays attention to characteristics that may determine their significance for the financial system as a whole, such as size and links with other institutions», a 239). V. anche, quanto ai risvolti dell’approccio integrato, Arnone, Gambini, Architecture of Supervisory authorities and banking Supervision, in Designing Financial Supervision Institutions: Independence, Accountability and Governance, a cura di Masciandaro, Quintyn, Cheltenham, 2007, p. 262. 131 In ottica comparata, con riferimento alla situazione americana, ove la vigilanza bancaria risultava frammentata tra molteplici agenzie, v. Di Noia, Di Giorgio, Should banking supervision and monetary policy tasks be given to different agencies?, in International Finance, 19991, vol. 2, n. 3, p. 361 ss. e Gordon, Ringe, Bank Resolution in the European Banking Union: A Transatlantic Perspective on What it Would Take, in Columbia Law and Economics Working Paper No. 465; in Oxford Legal Studies Research Paper No. 18/2014, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2361347. 129
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la necessità di prestare attenzione ad una sorveglianza microprudenziale132 e di coltivare una supervisione a livello europeo. Da un lato, il consolidamento di cui si è detto faciliterebbe aspre contese inerenti alla reputazione dell’organo133, incertezze nei mercati oggetto di vigilanza134, rischi di capturing da parte delle banche, comportamenti di azzardo morale135, conflitti tra differenti obiettivi dei compiti di politica monetaria e supervisione136, un contrasto che chiaramente emerge dalla lettura dell’art. 127, comma primo, TFUE, nonché da molteplici critiche poste in luce dalla dottrina137. Dall’altro lato, essa permetterebbe l’acquisizione di informazioni preziose sull’intero andamento economi-
132 Masciandaro, Monetary policy and banking supervision: still at arm’s length? A comparative Analysis, in European Journal of Comparative Economics, 2012, vol. 9, n. 3, p. 360. 133 Masciandaro, Quintyn, Financial supervision as Economic Policy: Importance, Key Facts and Drivers, Baffi Center Research Paper No. 2013-139, a 5, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2319852 e C. Goodhart, The Organizational structure of Banking supervision, FSI Occasional Papers, n. 1, 25 novembre 2000, a 21, consultabile all’indirizzo http://www.bis.org/fsi/fsipapers01.pdf. 134 Masciandaro, Monetary policy and banking supervision: still at arm’s length? A comparative Analysis, in European Journal of Comparative Economics, 2012, vol. 9, n. 3, p. 352 s. 135 Masciandaro, Quintin, Reforming Financial Supervision and the Role of the Central Banks: a Review of Global Trends, Causes and Effects (1998-2008), in CEPR Policy Insight, settembre 2009, n. 3, p. 5, consultabile all’indirizzo http://www.cepr.org/sites/ default/files/policy_insights/PolicyInsight30.pdf. 136 «[T]he most pressing issue is to solve the asymmetry between the European Central Bank’s monetary and supervisory roles In order to solve this asymmetry, consideration should be given to the following: (i) To give the new Single Supervisory Institution the power to express a common position for the members participating in the Single Supervisory Mechanism; (ii) [t]o give the Single Supervisory Institution, as ‘competent authority’ for all countries participating in the Single Supervisory Mechanism, voting power in all international financial regulatory fora (BCBS, FSB, etc.). In particular, it should be granted voting power in the Board of Supervisors of the European Banking Authority, while still guaranteeing that the European Banking Authority’s decisions are taken in a balanced way as regards the other EU non-euro Member States; (iii) [t]o develop an EU single enforcement handbook in order to harmonise the interpretation of administrative enforcement powers in the EU; (iv) [t]he European Banking Authority’s supervisory responsibilities (colleges of supervisors, mediation, stress test, supervisory handbook) regarding the members participating in the Single Supervisory Mechanism should be exercised towards the Single Supervisory Institution as single bank supervisor of the participating Member States», così M. Nieto, op. cit., p. 545 s. 137 Verhelst, The Single Supervisory Mechanism. A sound first step in Europe’s Banking, European Affairs Programme working Paper, The Royal Institute for International Relations, cit., p. 16 e Niknejad, op. cit., p. 107.
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co138, con riverberi positivi – soprattutto laddove la Banca centrale sia chiamata ad intervenire in qualità di prestatore di ultima istanza139, come accade in periodi di crisi140 – in tema di protezione dei sistemi di pagamento141 e supervisione monetaria142. A livello empirico, in detto contesto, rileva l’analisi condotta da Arnone e Gambini143, i quali hanno fornito prove tanto a sostegno del primo, quanto
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«Supervisory input is important for the conduct of macro-prudential analysis and surveillance. The best results are probably achieved by combining information coming from supervisory, central bank, and market sources. […] [M]acro-prudential analysis could be very misleading if it was only focused on aggregated data», Padoa Schioppa, op. cit. e, in senso conforme, Draghi, Introductory Statement at the Hearing of the Committee on Economic and Monetary Affairs of the European Parliament, Bruxelles, 17 dicembre 2012, consultabile all’indirizzo https://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2012/html/ sp121217.en.html. A livello empirico, provano la considerazione Peek et al., Is Bank Supervision Central to Central Banking?, in The Quarterly Journal of Economics, 1999, vol. 114, n. 2, p. 629 ss. e, nel contesto UK, Eichengreen, Nergiz Dincer, Who should supervise? The structure of bank supervision and the performance of the financial system, Working Paper n. 1704, National Bureau of Economic Research, 2011. 139 Goodhart, Schoenmaker, Should the Functions of monetary policy and banking supervision be separated?, in Oxford Economic Papers, 1995, vol. 47, n. 4, p. 539 ss., consultabile all’indirizzo http://personal.vu.nl/d.schoenmaker/oep47.4.pdf. 140 Kashyap, Testimony on “Examining the Link Between FED Bank Supervision and Monetary Policy”, House Financial Services Committee, 17 marzo 2010, spec. a 3, consultabile all’indirizzo http://faculty.chicagobooth.edu/anil.kashyap/research/papers/testimony_03172010.pdf. 141 Padoa Schioppa, op. cit., a 294 e Goodhart, Schoenmaker, Institutional Separation between Supervisory and Monetary Agencies, Special Paper, n. 52, LSE Financial Markets Group, Londra, aprile 1993, 7 ss., anche in Giornale degli economisti e annali di economia, 1992, 353 ss. 142 Nell’ottica di confutare la posizione contraria, si è pure indagato su come possa una eventuale separazione tra i due compiti effettivamente porre rimedio al problema, v. Whelan, New Roles and Challenges for the ECB, Directorate General For Internal Policies, Policy Department A: Economic And Scientific Policy, IP/A/ECON/NT/2013-03 September 2013, Part of the compilation PE 507.482 for the Monetary Dialogue, consultabile all’indirizzo http://www.europarl.europa.eu/document/activities/cont/201309/20130917ATT71 507/20130917ATT71507EN.pdf, spec. p. 7, («How does separating the central bank from supervision solve the problem? Is having two different government agencies pursuing contradictory policies necessarily the best solution to this tension? Former FED Vice-Chairman Alan Blinder (2919) argues that it is not: “What some people see as a worrisome conflict of interest between bank supervision and monetary policy might be viewed instead as the rational balancing of two competing objectives. If so, shouldn’t a single agency do the balancing? And who can balance those competing objectives better than the central bank?”»). 143 Arnone, Gambini, Architecture of Supervisory authorities and banking Supervision, in Designing Financial Supervision Institutions: Independence, Accountability and Go-
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a supporto del secondo rilievo. A livello fattuale, invece, la crisi finanziaria ha contributo a far emergere, chiarissima, l’importanza di tenere conto dei rischi complessivi del sistema finanziario, in una visione d’assieme144. Nella consapevolezza di tali assunzioni, il Regolamento istitutivo del MVU ha inteso riflettere la separazione delle funzioni145 tanto nel Considerando n. 65 quanto all’art. 25, paragrafo secondo, prevedendo una struttura in cui emergono il Consiglio di Vigilanza e il Consiglio Direttivo della BCE, chiamato il primo a pianificare, vigilare, proporre progetti di decisione, il secondo a valutare gli stessi entro un termine decadenziale di dieci giorni146. 3.5. Ambito di applicazione: profilo temporale ed oggettivo Entrati in vigore nel 2013, dopo dodici mesi in cui è stata calibrata la portata del nuovo meccanismo, il 4 novembre 2014 il MVU ha incrementato i c.d. comprehensive assessment degli enti creditizi rilevanti (v. art. 33, Regolamento n. 1024/2013), includente valutazioni contabili (asset quality review), valutazioni sulla capacità di operare in condizioni di pressione (stress test) e valutazioni dei rischi147.
vernance, a cura di Masciandaro, Quintyn, Cheltenham, 2007. 144 Masciandaro, op. cit., p. 360. 145 Detta strutturazione echeggia quanto accade a livello nazionale in Francia e nel Regno unito, v. Schoenmacker, An Integrated Financial Framework for the Banking Union: Don’t Forget Macro-Prudential Supervision, Economic Papers 495, aprile 2013, spec. a 4, consultabile all’indirizzo http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/ economic_paper/2013/pdf/ecp495_en.pdf. 146 Siffatta costruzione, tuttavia, è oggetto di ampie critiche in tema di reale applicabilità ed efficacia: cfr. Ferran, Babis, op. cit., p. 255 ss. («the details of the approach followed in the EC Regulation are potentially troubling from a supervisory institutional design perspective because the requirement for matters to be elevated up to the governing council for decision appears to breach the ring-fence that should be maintained between supervision and monetary policy. Moreover, they disregard issues relating to the impracticality of having multiple layers of governance arrangements, and the location of supervisory expertise: the Member State members of Governing Council are central bank governors, who may or may not be experienced in supervision depending on their domestic set up»); Masciandaro, Quintyn, op. cit., spec. p. 20, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2319852; Ciraolo, op. cit., p. 27; Beck, Gros, Monetary Policy and Banking Supervision: Coordination instead of separation, in CEPS, European banking Center Discussion Paper n. 2013-003, No. 286, 12 dicembre 2012, . Con riferimento all’esperienza del Regno Unito, v. Darvas, Merlier, The European Central Bank in the Age of Banking Union, in Bruegel Policy Contribution, ottobre 2013, n. 13. 147 Banca Centrale Europea, Note Comprehensive Assessment, Francoforte sul Meno,
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Una indagine, questa, che ha significativamente migliorato il grado di profondità e comparabilità delle informazioni disponibili sulla situazione delle banche partecipanti, nonché il grado di chiarezza e trasparenza dei bilanci bancari. Indagine che ha condotto a considerare 130 banche, a coinvolgere 26 supervisori nazionali e circa 6.000 persone in generale, ad analizzare 119.000 debitori, a rivalutare 170.000 garanzie e 5.000 titoli, nonché ad evidenziare carenze patrimoniali marcate in relazione a taluni istituti di credito, quali - in ordine decrescente - Eurobank, Monte dei Paschi di Siena, National Bank of Greece, Banca Carige148. Sono dunque sottoposti alla vigilanza della BCE i c.d. enti creditizi, ovvero le imprese che si occupano della raccolta di depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico e della concessione di crediti per proprio conto (Regolamento 575/2013, art. 4.1), gli enti il cui valore totale delle attività supera i 30 miliardi di Euro, il cui rapporto tra attività totali e PIL dello Stato partecipante supera il 20% (ed il valore totale della attività è almeno pari a 5 miliardi di Euro), il cui rilievo sia stato segnalato dalla Banca Centrale Europea; il cui ruolo presenta una realtà significativa149
ottobre 2013, 3-11. 148 Banca Centrale Europea, Rapporto aggregato sulla valutazione approfondita. Sintesi, Francoforte sul Meno, 26 ottobre 2014, 11. 149 Optare per una supervisione dell’organo di vigilanza su tutte le banche europee contra Ruding, op. cit. - avrebbe sicuramente evitato comportamenti non rigorosi per parte delle singole autorità di vigilanza, forieri di implicazioni negative e sistematiche a livello sistematico e sovranazionale (così Pisani-Ferry, Véron, Wolff, op. cit., p. 11), come provato nei casi Northern Rock e delle Cajas de Ahorros. V., per una più ampia trattazione, La crisi della Northern Rock e i fallimenti bancari, consultabile all’indirizzo http://www.borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/northern-rock.htm; Lamandini, Il diritto bancario dell’Unione, in Banca, borsa e tit. cred., 2015, p. 423 ss., p. 431 s.; Santos, Antes del diluvio: The Spanish banking system in the first decade of the euro, Columbia University, NBER and CEPR, marzo 2014, consultabile all’indirizzo https://www0.gsb.columbia.edu/mygsb/faculty/research/ pubfiles/6162/Santos-March-2014.pdf; Gros, A Banking Union Baby Step, Project Syndicate, 2 luglio 2012, consultabile all’indirizzo http://www.project-syndicate.org/commentary/abanking-union-baby-step/italian; Troeger, The Single Supervisory Mechanism – Panacea or Quack Banking Regulation?, agosto 2013, in European Business Organization Law Review; SAFE Working Paper No. 27, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2311353, spec. a 9 ss. e Brescia Morra, La nuova architettura della vigilanza bancaria in Europa, in Banca impresa e società, 2015, n. 1, p. 73 ss. Al contempo, optare per una separazione netta tra istituti di credito di rilievo, sottoposti alla vigilanza europea della BCE, ed istituti di credito di minor rilievo, sottoposti alla vigilanza delle sole autorità nazionali, avrebbe generato questioni sotto il profilo dell’arbitraggio regolamentare di riverbero amplissimo. V., in tema, Clarich, I poteri di
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in ragione delle molteplici attività e passività da esso condotte od in ragione delle filiazioni in più di uno Stato membro partecipante; il cui operato contribuisca ad interventi di sostegno pubblico ad opera del Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria o del Meccanismo Europeo di Stabilità e, a prescindere dai requisiti di cui sopra, il cui posizionamento tra gli enti creditizi del singolo Stato Membro rientri nella top 3. Sono invece esclusi da detta considerazione reti di banche e gruppi orizzontali150, salvo: (i) gli enti siano permanentemente affiliati ad un organo centrale, (ii) gli obblighi assunti dall’organo centrale e dagli enti affiliati siano garantiti in modo solido ovvero (iii) l’organismo centrale garantisca gli impegni, la solvibilità e la liquidità degli affiliati, come pure la dirigenza dell’organismo centrale abbia il potere di dare istruzioni alla dirigenza degli enti affiliati. Rispetto ad essi151, dunque, la BCE emana linee guide, regolamenti, orientamenti, istruzioni generali fruibili da parte delle autorità nazionali; vigila sul corretto svolgimento dei compiti delle Autorità Nazionali; assicura la coerente applicazione di standard di vigilanza elevati, assumendo pure un’ottica di flessibilità rispetto all’operato del suo corrispondente nazionale152. Compiti, quelli ivi richiamati, che attribuiscono alla BCE la responsabilità del buon funzionamento del MVU, senza però
vigilanza della Banca centrale europea, in Dir. pubbl., 2013, n. 3, p. 975 ss. Il legislatore europeo ha quindi optato per una “ragionevole soluzione di compromesso” (Barbagallo, Il rapporto tra BCE e autorità nazionali nell’esercizio della vigilanza, in Intervento al Convegno su “Unione bancaria: istituti, poteri e impatti economici”, Roma, 26 febbraio 2014, LUISS Guido Carli, p. 7, consultabile all’indirizzo https://www. bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-vari/int-var-2014/Barbagallo_260214.pdf), che ancora la nozione di “significatività” a specifici criteri di carattere oggettivo, dettagliati in Verhelst, The Single Supervisory Mechanism. A sound first step in Europe’s Banking, European Affairs Programme working Paper, The Royal Institute for International Relations, cit. e in Wymeersch, op. cit., spec. p. 30. 150 Art. 10, comma primo, Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti e le imprese di investimento. 151 Quanto all’Italia, sono comprese Banca Carige S.p.A., Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Sondrio, Banca Popolare di Vicenza, Banco Popolare, Barlcys Bank PLC, ICCREA Holding S.p.A., Intesa Sanpaolo S.p.A., Mediobanca S.p.A., Unicredit S.p.A., Unione di Banche Italiane S.C.p.A., Veneto Banca S.C.p.A. 152 Clarich, La governance del Single Supervisory Mechanism e gli Stati membri non aderenti all’Euro, cit., 4, nonché regolamento MVU, art. 6, spec. comma primo, secondo e quinto.
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accentrare in capo ad essa una serie di mansioni la cui realizzazione sarebbe resa particolarmente complessa dalla vastità ed eterogeneità territoriale, così minando i principi di sussidiarietà e proporzionalità di cui all’art. 5 TUE153. Nell’ambito di applicazione rientrano dunque gli enti creditizi “of significant relevance”154, prestando però attenzione, al contempo, a quelle realtà che richiedono una cooperazione tra livello europeo e nazionale, la quale trae a propria volta vantaggio dalla prossimità delle Autorità Nazionali rispetto agli intermediari da vigilare155. Una situazione, quella profilata, che può materialmente verificarsi mediante l’istituzione di “gruppi di vigilanza congiunti”, la disponibilità delle Autorità Nazionali a realizzare attività di supporto strumentali rispetto ai compiti della BCE, ovvero il diritto della BCE di servirsi dei poteri delle Autorità Nazionali correlati alle attività in corrispondenza delle quali la vigilanza europea si esplica156. Tra essi, i gruppi – che operano in guisa di «evoluzione dei college of supervisors, lo strumento operativo fino ad oggi utilizzato per la condizione della vigilanza su base transnazionale, consentendo l’attuazione di un approccio integrato nella vigilanza sui gruppi crossborder»157 – realizzano una vigilanza quotidiana rispetto agli enti significativi, unendo personale appartenente alle Autorità nazionali ed alla BCE. Un funzionamento efficiente di tali gruppi rappresenta di fatto la “principale sfida” per un MVU davvero efficace158. 3.6. Funzioni La BCE cessa pertanto di rilevare unicamente come “banca delle banche”159, di occuparsi soltanto di emissione, stabilità monetaria, liqui-
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Ciraolo, op. cit., p. 16. In dottrina, per tutti, Brescia Morra, La nuova architettura, cit., 80 ss. 155 Di Marco, op. cit., a 562. 156 Ampiamente, v. Lo Schiavo, op. cit., p. 131. 157 Barbagallo, op. cit., p. 14. 158 Barbagallo, op. cit., p. 17. 159 Papadia, Santini, La Banca Centrale Europea, L’istituzione a presidio dell’Euro, Bologna, 2012, p. 23 ss. L’espressione è utilizzata anche in Ciocca, La banca che manca. Le banche centrali, l’Europe, l’instabilità del capitalismo, Roma, 2014, ove l’A. sottolinea come la ragion d’essere delle banche centrali sia il perseguimento della alla stabilità dei prezzi, la prevenzione del dissesto del sistema finanziario, la continuità della spesa pubblica. Il loro ruolo, quindi, assume caratteri di complementarietà rispetto alle politiche di governo – fiscale, dei redditi, industriale, della concorrenza – così contribuendo signifi154
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dità160, così sostituendo le singole banche centrali, sino ad allora prestatori di ultima istanza par excellence161, e realizzando una costante vigilanza grazie ai poteri penetranti ed incisivi che le vengono assegnati162. Un siffatto ruolo163 – impensabile fino a pochi anni fa164 – appare oggi sicuramente articolato. Anzitutto, essa rilascia autorizzazioni necessarie per l’accesso alle attività dell’ente creditizio, così realizzando «un presidio prudenziale fondamentale per assicurare che tale attività sia svolta soltanto da operatori dotati di una base economica solida, di un’organizzazione atta a gestire i rischi specifici insiti nella raccolta di depositi e nell’erogazione di crediti e di idonei amministratori», verificando – indipendentemente dalla c.d. significatività del singolo istituto - la sussistenza delle condizioni di sta-
cativamente al contrasto dell’instabilità che talora caratterizza le economie capitalistiche. 160 Cfr. dottrina italiana e francese: De Chiara, Sarno, Dalla Banca d’Italia alla Banca Centrale Europea, Napoli, 2001, p. 51 ss. e Paulet, European Banking Historical Roots and Modern Challenges, Paris, 2005, p. 139 ss. 161 Gualandri, Il quadro normativo e di vigilanza sulle istituzioni creditizie, in Onado, La banca come impresa, Bologna, 2004, p. 44. 162 Banca centrale Europea, Guida alla vigilanza Bancaria, Francoforte sul Meno, novembre 2014, p. 5. 163 Detto ruolo modifica, quindi, in senso integrativo e non diminutivo rispetto alle competenze precedentemente assegnate, come rilevato in Werner et al., Rapporto al Consiglio e alla Commissione sulla realizzazione per fasi dell’Unione economica e monetaria nella Comunità, Supplemento al bollettino delle comunità Europee, n. 11, 8 ottobre 1970; Tenaglia Ambrosini, La moneta e l’Europa: da Bretton Woods a Maastricht e oltre, Torino, 1996, p. 43; Tsoukalis, La nuova economia europea, Bologna, 1998, p. 187 ss.; Portes, EMS and EMU after the fall, The World Economy, Hoboken, vol. 16, n. 1, 1993, p. 1 ss.; Howarth, Loedel, The European Central Bank. The new European Leviathan, Basingstoke, 2003; Pifferi, Porta, La Banca Centrale Europea. La politica monetaria nell’area dell’Euro, Milano, 2003; Rizzuto, L’Europa Monetaria: dall’età dell’oro all’età dell’euro, Roma, 2003, p. 139 ss., Morselli, Nascita ed evoluzione della banca centrale europea. Aspetti istituzionali, economici e monetari, Enna, 2009, p. 55 ss.; Perassi, Banca Centrale Europea, in Enciclopedia del diritto, Annali, vol. IV, 2011 e Donato, Grasso, Gli strumenti della nuova vigilanza bancaria europea. Oltre il Testo Unico Bancario, verso il Single Supervisory Mechanism, in Banca, Impresa Soc., 2014, p. 3 ss., già in Capolino, Donato, Grasso, Road map dell’Unione Bancaria Europea. Il Sigle Supervisory Mechanism e le implicazioni per le banche, in Fondazioni Rosselli, XVIII Rapporto sul sistema finanziario italiano, Banche e ciclo economico: redditività, stabilità e nuova vigilanza tenutosi in Roma il 16 dicembre 2013, p. 208 ss. 164 Clarich, La governance del Single Supervisory Mechanism e gli Stati membri non aderenti all’Euro, op. cit., p. 6.
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bilità e sana gestione165, soprattutto a tutela dei consumatori166, vagliando l’effettiva compatibilità dell’operazione con gli interessi pubblici dell’ordinamento ed eliminando qualsiasi limitazione ostativa allo svolgimento dell’attività. Una funzione, questa, che non può tuttavia in alcun modo prescindere da una cooperazione fortissima, da realizzarsi ad ogni livello del procedimento, con le singole autorità nazionali167, in guisa di una vera e propria co-amministrazione168, secondo il modello della amministrazione composita: in presenza dei requisiti richiesti all’ente, trascorso il periodo fissato169, il “progetto di decisione” passa anzitutto all’autorità nazionale, quindi, alla BCE è proposto il rilascio della autorizzazione; in difetto dei requisiti, la domanda dell’ente viene invece respinta dalla autorità nazionale170. Il legislatore sovranazionale pone quindi attenzione ai requisiti oggettivi, come precisato dalla normativa di dettaglio ai sensi degli artt. 10-14 CRD IV, mentre altri aspetti sono soggetti ad una maggiore discrezionalità, come accade nei casi in cui le richieste risul-
165 Tison, Do Not Attack the Watchdog! Banking Supervisor’s Liability After Peter Paul, in Common Market Law Review, Vol. 42, No. 3, 2005, consultabile all’indirizzo http://ssrn. com/abstract=2209033. 166 Cfr., sul punto, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 12 marzo 1996, Panagis Pafitis and others v. Trapeza Kentrikis Ellados A.E. and others, causa C-441/93, E.C.R. I-1347, 1996, § 49; 9 luglio 1997, Parodi v. Banque H. Albert de Bary, causa 222/95, E.C.R. I-3899, 1997, §22; 11 febbraio 1999, Criminal proceedings against Massimo Romanelli and Paolo Romanelli, causa C-366/97, E.C.R. I-862, 1999. 167 V. Regolamento (UE) n. 468/2014 della Banca centrale europea, del 16 aprile 2014, art. 14. 168 Per tutti, Franchini, Amministrazione nazionale e amministrazione comunitaria. La coamministrazione nei settori di interesse comunitario, Padova, 1993. 169 Rispetto ad esso, normalmente pari a dieci giorni, si ammette una sola proroga per ragioni fondate. Si sottolinea, tuttavia, come la comunicazione di eventuale rilascio della autorizzazione al richiedente avvenga da parte della autorità locali di vigilanza, senza una diretta trasmissione da parte della BCE. 170 Simile è anche il procedimento di revoca della autorizzazione, cui compie preciso riferimento l’art. 14, paragrafo secondo, del Regolamento MVU, che richiama i caratteri della “amministrazione composita”, stante la «presenza di strutture operative in parte comunitarie e in parte nazionali, queste ultime complementari e integrate con le prime e che sono chiamate a gestire procedimenti o fasi di procedimenti anch’essi di natura composita [dando] origine, in definitiva, a una codecisione che è la risultante di due subprocedimenti in sequenza, l’uno retto dal diritto nazionale, l’altro dal diritto europeo. Mentre l’effetto autorizzativo si realizza solo in presenza di una doppia valutazione positiva da parte dell’autorità nazionale competente e della Banca centrale europea, è sufficiente una sola valutazione negativa perché la domanda di autorizzazione sia respinta», così Clarich, I poteri, cit., p. 975 ss.
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tano eccessivamente complesse, formali e distanti rispetto alla realtà operativa171. L’attività di consultazione e cooperativa a livello nazionale ed europeo intende assicurare la sussistenza di un tempo sufficiente allo svolgimento di una appropriata analisi da parte degli organismi pertinenti, nonché permettere loro di valutare e formulare osservazioni rispetto alla proposta, di sollevare obiezioni e, dunque, di tutelare l’attività nel suo complesso. Sarà tuttavia la Banca Centrale a delineare il modus procedendi, con riguardo ai singoli casi di specie, esprimendosi sulle osservazioni delle singole autorità nazionali – cui viene di fatto sottratto l’intero “assetto del mercato del credito”172 – ed eventualmente proponendo ricorso alle procedure concorsuali innanzi a Ministero dell’Economia e delle Finanze173. Un ruolo, quello della Banca Centrale, che non trascura tuttavia l’acquisizione e la cessione di partecipazioni rilevanti (almeno pari al 10% del capitale o dei diritto di voto, ovvero potenzialmente atta ad influenzare significativamente il business dell’impresa), sempre a valle174 rispetto all’operato delle autorità nazionali. Stante il fatto che la solidità finanziaria risulta essenziale per evitare ripercussioni forti a livello di sistema, sin dal paragrafo 22 del Regolamento MVU, il legislatore ha inteso chiarire tale essenziale aspetto, prima di affrontarlo compiutamente all’art. 4 del medesimo documento. Ove negativo, il parere della BCE comporta conseguenze di notevole entità: tra esse: la sospensione del diritto di voto175. Un ruolo, quello della Banca Centrale, che opera nel rispetto delle peculiarità della legge bancaria nazionale176, che prova ancora una volta il proprio rilievo nello stabilimento di società controllate e di succursali, da intendersi ai sensi dell’art. 3, paragrafo 17, CRR: esclusivo, nel caso
171 Per tutti, v. art. 12 CRD IV. Le procedure di autorizzazione e revoca all’esercizio dell’attività bancaria vengono infatti disciplinate in modo differente (v. figura 7, Banca Centrale Europea, Guida alla vigilanza bancaria, novembre 2014, 25). 172 Mancini, op. cit., p. 16. 173 Cfr., sul piano normativo, art. 80 ss. t.u.b., e, in dottrina, Tardivo, Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari, Milano, 2011, p. 294 ss.; Ghia et al., Trattato delle procedure concorsuali, V, Assago, 2011. 174 Si precisa, tuttavia, come tale intervento non sia vincolato alla proposta da parte dell’autorità nazionale (v. art. 87, Regolamento (UE) 468/2014). 175 D’Ambrosio, Due process and safeguards of the Person subjecrt to SSM Supervisory and Sanctioning Proceedings, Banca d’Italia, Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale, Roma, n. 74, dicembre 2013, p. 37. 176 Ampiamente, v. Vossestein, Capital and companies: on the move, European Company Law, Leiden, vol. III, fasc. III, giugno 2006, p. 124.
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di enti creditizi di primario ruolo, di supervisione delle attività svolte nel Paese di origine e di destinazione177, rispetto a quelli di rilievo minore. Parimenti, dette considerazioni sull’operato della BCE si debbono estendere ai Paesi partecipanti non appartenenti all’Eurozona in cui si verifichino le medesime condizioni di cui si è detto; al contrario, quanto ai Paesi non partecipanti, la BCE è chiamata ad intervenire solo quando le soglie vengano superate direttamente dall’entità localizzata nell’area del Meccanismo Unico di Vigilanza, in quanto essa potrebbe essere configurata in guisa di una entità distinta e separata giuridicamente178. Un ruolo, quello della Banca Centrale, che presenta riflessi anche rispetto ai requisiti in materia di governo societario, requisiti di onorabilità e professionalità dei soggetti responsabili dell’amministrazione, processi di gestione dei controlli interni e dei profili di rischio, prassi di remunerazione, rispetto ai quali il legislatore intende appunto assicurare la sussistenza di un meccanismo di controllo interno reale ed efficace, unito alla presenza di taluni requisiti in capo a soggetti cui viene affidata la gestione dell’ente creditizio. Ulteriore risvolto è presente altresì rispetto alla c.d. ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment)179: la BCE ha infatti competenza esclusiva nell’assicurare la necessaria presenza di efficaci processi di valutazione dell’adeguatezza del capitale interno, autonomamente sottoposto alla vigilanza dei singoli enti creditizi, tenuti ad una “sana e prudente gestione”180. Gli enti bancari debbono porre massima attenzione alla definizione di politiche e processi aziendali quali la nomina e la revoca di coloro cui viene affidata l’attività di controllo, da realizzarsi necessariamente per parte dell’organo strategico di supervisione, sentito l’organo di controllo (collegio sindacale, consiglio di sorveglianza o comitato per il controllo della gestione); il rapporto gerarchico esistente tra l’organo
177 La regola della c.d. home country rule è tuttavia suscettibile di molteplici deroghe: l’assenza di riferimenti espliciti al principio nelle disposizioni di legge (come accade nella Direttiva 2000/31/CE dell’8 giugno 2000 del Parlamento Europeo e del Consiglio, o Direttiva sul Commercio Elettronico), l’esercizio cross-border dell’attività, la presenza di circostanze eccezionali (art. 62, comma primo, MiFID). 178 La BCE non ha peraltro potere alcuno nemmeno rispetto ad enti creditizi di Paesi esterni all’MVU, con potenziale pericolo di fuga del capitale verso sistemi meno rigidi. 179 Bank of England, The Internal Capital Adequacy Assessment (ICAAP) and the Supervisory Review and Evaluation Process (SREP), Prudencial Regulatory Authority, Londra, dicembre 2013, p. 3 ss. 180 Cfr., sul punto, Banca d’Italia, Circolare 263/2013, Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche a cura di Banca d’Italia, Roma, 27 dicembre 2006, XV aggiornamento, 2 luglio 2013.
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incaricato della revisione interna e quello cui è affidata la supervisione strategica; la funzione di risk management; il coordinamento adeguato e l’interazione doverosa tra gli organi con compiti di controllo, approvando un documento ad hoc in cui sono dettagliate le responsabilità e le modalità di collaborazione tra i compiti di cui si è detto. Un ruolo, quello della Banca Centrale, che presenta (è già presentava ai sensi della CRD IV e del CRR) un notevolissimo riverbero anche in relazione a fondi propri, cartolarizzazione, leva finanziaria, limiti ai grandi rischi, liquidità, segnalazione ed informativa al pubblico, in cui agisce in prima persona ed autonomamente rispetto alle autorità nazionali. Concretamente, l’organo di vigilanza sovranazionale può elaborare linee guida, istruzioni generali, regolamenti indirizzati alle autorità nazionali di ciascun Paese membro, adottarle e svolgere compiti di primaria importanza in seno a collegi di sorveglianza181, aventi a propria volta funzioni di coordinamento e cooperazione autentica tra plurime autorità competenti e facenti parte del medesimo gruppo bancario transfrontaliero. Essa, infatti, tra le varie funzioni che svolge, ha facoltà di richiedere in ogni momento poteri alle competenti autorità nazionali; compie ispezioni (ai sensi dell’art. 12, Regolamento MVU) ed indagini; funzioni di vigilanza tanto del Paese di origine, per il coacervo di collegi europei od internazionali, quanto di quello di destinazione, in relazione al novero di collegi in cui l’autorità dello Stato di origine proviene da un Paese membro dell’Unione non partecipante al nuovo meccanismo o da uno Stato terzo; presiede collegi di supervisione a prescindere dalla loro natura nazionale o meno; esercita i propri poteri in qualsiasi momento. Un ruolo, quello della Banca Centrale, che non esula da riflessi circa il tema delle valutazioni prudenziali, infra dettagliate, e delle esternalizzazioni, operazioni potenzialmente rischiose, rispetto alle quali deve essere mantenuta l’interconnessione tra l’ente creditizio e l’attività che esso stesso svolge. 3.7. Compiti e poteri Alla BCE viene affidato il compito (si badi bene, non la mera “devoluzione di poteri”182) di applicare in modo concertato tanto la disci-
181 Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria, Principles for effective Supervisory Colleges, Banca dei Regolamenti Internazionali, Basilea, giugno 2014, p. 3 ss. 182 Barbagallo, op. cit., p. 3.
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plina comunitaria quanto quella nazionale (art. 4.3 Regolamento MVU) e, dunque, favorire una applicazione uniforme delle disposizioni nelle differenti legislazioni183. Dette disposizioni, tanto regolamentari quanto prudenziali, costituiscono l’elemento di maggiore interesse per la Banca Centrale, che si occupa sia della normativa generale sia di quella di dettaglio184. Rileva anzitutto come la BCE possieda una modalità di esecuzione del diritto particolarmente agevole: essa ha infatti facoltà di esercitare direttamente i poteri che le sono stati attribuiti dal Regolamento istitutivo, di avvalersi dei poteri propri dell’Autorità Nazionale ai sensi del diritto nazionale e persino di applicare direttamente le normative nazionali, se richiesto, ai sensi del terzo paragrafo, art. 4, Regolamento MVU185. Quest’ultima asserzione pone questioni di primario rilievo: se, tradizionalmente, una direttiva europea assume efficacia diretta qualora le disposizioni siano incondizionate e sufficientemente chiare e precise186 ovvero se gli Stati membri non la abbiano implementata, recependola entro le scansioni temporali previste187, nel contesto de quo essa assume efficacia diretta in presenza di una normativa nazionale di trasposizione della direttiva, ed è proprio detta normativa ad essere direttamente applicabile dalla BCE188. Appare chiaro come l’istituzione del MVU realizzi, da parte della Banca Centrale, “una applicazione decentrata dei diritti nazionali”189, ponendo innumerevoli problemi di erosione della sovranità nazionale degli Stati aderenti al MVU, con la conseguente necessità di
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Ferrarini, Single Supervision and the Governance of Banking Markets: Will the SSM Deliver the Expected Benefits?, cit., spec. p. 531 ss. e Goyal et al., A Banking Union for the Euro Area, Fondo Monetario Internazionale, Staff Discussion Note, Washington, febbraio 2013, p. 14. 184 A livello lessicale, rileva precisare come la vigilanza prudenziale e quella regolamentare rappresentino due concetti leggermente differenti, poichè la prima, sebbene oggetto di attenzione minore, mira a: (i) determinare ammontari minimi del capitale; (ii) diffondere informazioni sul mercato; (iii) garantire l’adeguatezza di capitale (c.d. supervisory review). 185 Witte, op. cit., p. 89. 186 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 4 dicembre 1974, causa 41/74, van Duyn, in Raccolta, a 1337. In dottrina, Ferri, La costituzione culturale dell’Unione Europea, Wolters Kluwer Italia, 2008, p. 213 e nota 81. 187 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 5 aprile 1979, causa 148/78, Ratti, in Raccolta, a 1979. In dottrina, Fragola, Nozioni di diritto dell’Unione europea. L’ordinamento giuridico, il sistema istituzionale, la carta dei diritti, Milano, 2012, p. 75, 188 Witte, op. cit., p. 1069. 189 Clarich, La governance, cit., p. 10.
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prevedere nei confronti dei Parlamenti nazionali un adeguato sistema di accountability. Già oggetto di disamina per parte di attenta dottrina, la concentrazione dei poteri in capo alla BCE rappresenta un’inversione di rotta rispetto alla legislazione precedente190, ove il legislatore europeo sosteneva il meccanismo della c.d. amministrazione indiretta191, incoraggiando l’armonizzazione normativa delle singole discipline nazionali192 e suggerendo la decentrata applicazione delle pattuizioni sovranazionali per parte delle singole autorità statali, prima; ed il meccanismo della c.d. amministrazione composita, ritenendo la sfera nazionale e quella europea complementari, poi. Il Meccanismo di Vigilanza Unico, infatti, rappresenta, rispetto ai molteplici diritti locali, un centro decisionale unitario (ed europeo) sia a livello sostanziale193 sia processuale194 e presenta aspetti tanto positivi quanto negativi. Per un verso, essa permetterebbe uno strategico coordinamento195, un rilevante vantaggio informativo ed un efficace rafforzamento del ruolo dell’organo196; per altro verso, una ripartizione tra i compiti: (i) permetterebbe di tutelare la stabilità del sistema bancario197; (ii) eviterebbe conflitti di notevole portata (ad esempio, nel fissare i tassi di interesse, le Autorità che si occupano di vigilanza tendono a favorire livelli inferiori, mentre quelle che si occupano di politica monetaria tendono a prefe-
190 Concretamente, nel diritto della concorrenza, v. Ghezzi, Maggiolino, C. Malberti, Commento all’art. 101 TFUE, in Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, a cura di Ubertazzi, Cedam, 2012, p. 2481 ss. 191 Clarich, La governance, cit., p. 10. 192 Era questa la rilevante posizione di Jean Monnet, ripresa in Della Cananea, Franchini, I principi dell’amministrazione europea, Torino, 2010, p. 9. 193 Cfr. considerando 34 ed art. 4 Regolamento MVU. 194 In precedenza, invece, il prevalente ruolo affidato agli Stati membri aveva persino condotto taluni Stati a realizzare una unmittelbarer Vollzug ed una mittelbarer Vollzug (ovvero, rispettivamente, una esecuzione diretta ed una indiretta). V., in argomento, Zilier, L’amministrazione europea: ancora così snella?, in Marchetti, L’amministrazione comunitaria: caratteri, accountability e sindacato giurisdizionale. Atti del seminario tenutosi in Trento il 12 maggio 2008, Milano, 2009, p. 13. 195 Centre for Research on Multinational Corporations, First Step towards new EU Supervisory finally taken, SOMO, 11 ottobre 2010, n. 3, Newsletter - EU Financial Reforms, consultabile all’indirizzo http://somo.nl/dossiers-en/sectors/financial/eu-financial-reforms/newsletter-items/issue-3-october-2010/eu-finance-newsletter-3-october-2010.pdf. 196 È questa la posizione statunitense, espressa in S. Ciardi, La vigilanza nell’era della BCE, in Belli e Santoro, La Banca Centrale Europea, Milano, 2003, spec. p. 496. 197 Padoa Schioppa, EMU and Banking, cit.
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rire livelli superiori con l’intenzione di evitare fenomeni inflazionistici a spirale)198; (iii) arginerebbe problematiche derivanti dal riciclaggio di denaro, da non corretta valutazione dei singoli enti creditizi e dunque aventi un significativo impatto sulla protezione del consumatore con peculiare riguardo ai singoli contesti nazionali199 e (iv) renderebbe maggiormente trasparente il sistema complessivo, così favorendo significativamente la credibilità della BCE. Alla BCE spettano poteri prescrittivi ed ordinatori, come asserito tanto all’art. 16, paragrafo secondo, quanto all’art. 9 del Regolamento MVU, l’Autorità può richiedere: (i) l’incremento del rigore procedurale e strategico, volto a raggiungere una maggiore stabilità del singolo intermediario e dell’intero sistema, nonché da processi interni affidati e coordinati, efficaci nel breve, medio e lungo termine; (ii) .la detenzione di fondi più corposi di quelli richiesti dal regolatore sovranazionale europeo e, ove inadeguati, la medesima potrebbe richiederne integrazione. In tal modo si realizza dunque una marcata traslazione di potere regolamentare dai legislatori nazionali all’autorità economica, indipendente nelle proprie valutazioni200. Un accentramento di tali poteri in capo ad un organo caratterizzato da una marcata tecnicità, per taluni aspetti positivo, per altri aspetti negativo, mina il carattere democratico dell’Unione, così riproponendo, a livello sovranazionale, quanto già trattato ampiamente in dottrina riguardo alle autorità indipendenti201; (iii) la limitazione della componente variabile della retribuzione, proporzionalmente alla performance raggiunta; (iv) la rimozione dei membri dell’organo amministrativo che soddisfino i requisiti richiesti all’art. 4, comma terzo, Regolamento MVU;
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L’asserzione è testimoniata, a livello empirico in Goodhart, Schoenmaker, Institutional Separation between Supervisory and Monetary Agencies, Special Paper, n. 52, LSE Financial Markets Group, Londra, aprile 1993, p. 7 ss. 199 Alpa, Nuove prospettive della protezione di consumatori, in Nuova giurisprudenza civile commentata, vol. 21, n. 3, II, 2005, p. 101 ss. 200 Smits, The European Central Bank’s independence and its relations with economic policy makers, in Fordham International Law Journal, vol. 31, n. 6, 2007, p. 1624, consultabile all’indirizzo http://ir.lawnet.fordham.edu/cgi/viewcontent. cgi?article=2125&context=ilj. 201 Per tutti, V. Vanacore, Le autorità indipendenti tra natura amministrativa e dovere di imparzialità, Nota a Cass., 20 maggio 2002, n. 7341, in Giur. it., 2003, p. 856 ss.
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(v) l’elaborazione di un piano specifico, atto a rispettare i requisiti ex art. 4, paragrafo terzo, Regolamento MVU, nonché le politiche di accantonamento finalizzate alla prevenzione di danni generati da fisiologici squilibri nel corso dell’attività202; (vi) la cessione discrezionale delle attività particolarmente rischiose (art. 16, lett. e, Regolamento MVU) e/o di misure alternative meno drastiche (art. 16, lett. f, Regolamento MVU)203, così da correggere eventuali errori di valutazione ed adeguare repentinamente la normativa al contesto giuridico ed economico; (vii) il rispetto di requisiti in tema di liquidità; (viii) l’utilizzo dell’utile netto per rafforzare i fondi propri204, salvaguardando dunque la sicurezza degli istituti sottoposti a vigilanza; (ix) la limitazione rispetto alle distribuzioni ad opera dell’ente vigilato a favore di azionisti, soci, detentori di strumenti di capitale aggiuntivo di prima classe (secondo gli accordi di Basilea), qualora esse potessero astrattamente provocare il default dell’ente; (x) informazioni aggiuntive rispetto a quelle pervenute. Similmente a quanto accade per la Bundesbank205, il compimento di dette funzioni è affidato ad un organo, il Consiglio Direttivo (corrispondente dello Zentralbankrat), formato da sei membri (Comitato Esecutivo) e dai Governatori delle Banche centrali dei Paesi appartenenti all’Eurozona206, che svolge – a maggioranza e senza ponderazione dei voti207, sebbene nella prassi si incentivi la massima convergenza d’opinione – compiti di carattere marcatamente tecnico208 (inter alia,
202 Mincioni et al., L’uso delle loan loss provisions in banca: un’analisi empirica, Roma, 2010, p. 9. 203 Ad esempio, si potrebbe generare un derivato di copertura, v. Pucci, Scappini, I derivati di copertura: rappresentazione contabile e riflessi fiscali, in Il fisco, n. 33, I, 2010, p. 5276 ss. 204 Ghini, Marini, La destinazione degli utili nelle società. Aspetti civilistici e fiscali, Milano, 2002, p. 31 ss. 205 Deller, The European systems of central banks: quo vadis?, in Houston Journal of International Law, Vol. 21, n. 2, inverno 1999, p. 223 ss. 206 Questi costituiscono la voce delle esigenze nazionali, dei singoli Stati partecipanti, in seno alle adunanze europee, in assenza di una diretta partecipazione popolare, così in Draghi, European Central Bank: deposit rates and democracy, The Guardian, 5 giugno 2014. 207 Hahn, The European Central Bank: Key to European Monetary Union or target?, Common Market Law Review, vol. 28, n. 4, 1991, p. 801 ss. 208 Malatesta, La Banca Centrale Europea. Gli aspetti istituzionali della banca centrale della Comunità Europea, Milano, 2003, p. 39 ss.
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elaborare la politica monetaria, delineare guidelines sui tassi di interesse, stabilire il quantum della riserva obbligatoria per ogni ente), di cui agli artt. 4, paragrafo primo, 9 e 16, Regolamento MVU. Parallelamente, la pianificazione e l’esecuzione dei compiti che la Banca Centrale è chiamata ad assolvere è affidata al Consiglio di Vigilanza, organo regolato ex art. 26 Regolamento MVU, tenendo a mente la perfetta autonomia ed indipendenza della BCE209 rispetto agli interessi di ciascuno stato210. Quanto asserito non è tuttavia sottoposto ad alcun genere di sanzione211, in caso di mancato rispetto della normativa: trattasi di una evidente lacuna legislativa che necessita di essere colmata, valutando l’opportunità (e l’efficacia risolutiva) di un eventuale allontanamento dei rappresentanti nazionali. Sotto il profilo sanzionatorio, estendendo la valutazione all’intero operato della BCE, in corrispondenza di violazioni dolose o colpose, si possono verificare sanzioni amministrative proporzionalmente212 commensurate alla gravità dell’azione commessa213 dall’ente creditizio214,
209 Apel, Central banking systems compared. The ECB, the pre-euro Bundesbank and the Federal Reserve system, Londra, 2003, 33 ss. Detto principio, pacifico in relazione alla attività di politica monetaria (art. 108 TUE), statuito in relazione alla Bundesbank (Velo, La formazione di un sistema bancario europeo e il ruolo della Banca Centrale Europea, in Carbonetti, Dal sistema monetario europeo al sistema europeo delle banche centrali, Atti del Convegno tenutosi il 26 gennaio 1990 presso l’Università Luiss Guido Carli, Roma, 1990, a 120 ss.), è ribadito, stante il suo innegabile rilievo e la sua portata generale, in Goebel, Court of Justice oversight over the European Central Bank delimiting the ECB’s Constitutional autonomy and independence in the OLAF Judgement, Fordham Law Review, vol. 29, n. 4, aprile 2006, p. 618. 210 Cfr. Banca Centrale Europea, Indirizzo (UE) 2015/856 della Banca Centrale Europea del 12 marzo 2015 che stabilisce i principi di un quadro etico per il Meccanismo di vigilanza unico, Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L 135, 2 giugno 2015, p. 29 ss.; Banca Centrale Europea, Indirizzo (UE) 2015/855 della Banca Centrale Europea del 12 marzo 2015 che stabilisce i principi di un quadro etico dell’Eurosistema e abroga l’indirizzo BCE/2002/6, Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea L 135, 2 giugno 2015, p. 23 ss. 211 Wymeersch, op. cit., p. 52. 212 Più volte la Corte di Giustizia Europea si è espressa circa i tre canoni di cui si è detto, v. Åklagaren v Hans Åkerberg Fransson, causa C-617/10, 7 maggio 2013, par. 36; Kamer van Koophandel en Fabrieken voor Amsterdam v Inspire Art Ltd., C-167/01, 30 settembre 2003, para. 62; Anklagemyndigheden v Hansen & Soen I/S, C-326/88, para 17. 213 Riso, The Power of the ECB to impose sanctions in the context of the SSM, Slovenia Bank Association, vol. 63, n. 4, aprile 2014, 32. Non si possono superare i 500.000 € per le ammende ed i 10.000 € per ciascun giorno di protratta violazione 214 Non esplicitando la norma l’aggettivo “significativo”, appare ragionevole ritenere che tale silenzio sia in realtà fondato: si tratti, quindi, di un silenzio consapevole del
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dall’organo amministrativo, da persona giuridica rilevante o da persone fisiche precisamente individuate215, ai sensi dell’art. 18, Regolamento MVU e della disciplina ex Regolamento (CE) n. 2532/96 del Consiglio dell’Unione Europea del 23 novembre 1998, ovvero sanzioni pecuniarie, ovvero ancora tariffe specifiche216. L’art. 18, paragrafo terzo, reca un dettagliato procedimento ai fini di realizzare l’irrogazione di una sanzione pienamente efficace da parte del Consiglio di Vigilanza e, quindi, previa audizione dell’impresa interessata, presentato al Consiglio Direttivo. Tale normativa sanzionatoria, di indubbio effetto dissuasivo, non è tuttavia da intendersi quale sostitutiva rispetto a quella applicabile dalle autorità nazionali. La necessità di individuare uno spartiacque tra le competenze sanzionatorie dell’uno e dell’altro livello richiede particolare attenzione e chiara predeterminazione, ad esempio in ragione della già richiamata significatività dell’ente217, del destinatario (persone fisiche oppure giuridiche) e della norma violata218. Affrontata, in un’ottica “micro”, la trattazione delle “singole istituzioni finanziarie”, si può quindi assumere un’ottica “macro”, l’analisi della complessiva stabilità del sistema finanziario219. In forza del quinto considerandum220, nonché dell’assenza, allo stato attuale, di una perfetta integrazione dell’Eurozona, il compito di disciplinare a livello macroprudenziale i profili di rischio permane in capo alle singole autorità nazionali221, in modo
legislatore, che intende con ciò ritenere sanzionabile una realtà sicuramente ampia di comportamenti (v. anche M. Mancini, op. cit., p. 28). 215 V. art. 18, paragrafo quinto, Regolamento MVU, emendato in fase di elaborazione della normativa, come evidenziato in Wymeersch, op. cit., p. 49. 216 Si ritiene che l’autonomia di tale tertium genus trovi ragion d’essere nell’art. 129, paragrafo quarto, TFUE. 217 È questa l’opinione maggioritaria, qui condivisa, che trova eco in Loosveld, The ECB’s Investigatory and Sanctioning Powers under the future Single Supervisory Mechanism, in Journal of International Banking Law and Regulation, vol. 28, n. 10, 2013, p. 423. 218 Al di là delle ripartizioni tra competenze decisorie, in ragione della vicinanza a questi soggetti, il compito di riscossione spetta all’Autorità nazionale. 219 Hertig et al., Empowering the ECB to supervise banks: a choice based approach, in European Company and Financial Law Review, Berlino, vol. 7, n. 2, luglio 2010, 172. 220 Detto richiamo normativo trova ragion d’essere pure in dottrina: per tutti, V. Constâncio, Establishing the Single Supervisory Mechanism, Speech, 29 gennaio 2013, consultabile all’indirizzo http://www.ecb.int/press/key/date/2013/html/sp130129_1.en.html. 221 Specificamente, per quanto concerne le politiche macroprudenziali, che necessitano di una integrazione “in un’architettura di vigilanza già di per sé complessa, frammentata e macchinosa, sia consentito rinviare a Gualandri, Single Supervisory Mechanism
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tale da assicurare la migliore interconnessione normativa rispetto alle problematiche poste dalla materia in esame nei singoli Stati Membri222. Di qui, la difficoltà di realizzare appieno un efficace coordinamento, nel rispetto delle peculiarità di ciascuna realtà223, tra autorità locali e centrali. In concreto, nel corso dell’iter, la BCE svolge una duplice funzione: da un lato, essa assume un ruolo ancillare rispetto al comportamento della autorità nazionale, che a propria volta la mette al corrente dei passi che intende muovere al più dieci giorni lavorativi prima rispetto alla adozione vera e propria della decisione, potendo così obiettare (seppur esprimendosi in modo consultivo, non vincolante)224 rispetto alle medesime; dall’altro, essa ha facoltà di intervenire autonomamente ovvero ove richiesta dall’autorità nazionale, notificando ad essa la propria posizione nel medesimo termine temporale di cui si è detto a parti invertite, con maggiore incisività e rigore rispetto a quest’ultima225. In fase decisoria, essa ha invece poteri determinatori molto forti - mitigati dalle condizioni del sistema finanziario in cui opera, dalle condizioni economiche e circostanze fattuali dei singoli casi che si trova ad affrontare - da assumere entro tre giorni lavorativi dalla obiezione mossa per parte dell’autorità nazionale. Da ultimo, ai sensi dell’art. 4, paragrafo primo, lett. c) e dell’art. 84 del Regolamento sul quadro MVU, in ragione della complementarietà rispetto alla funzione di vigilanza226, la Banca Centrale assume poteri anche nell’ambito del risanamento e della risoluzione degli enti creditizi, operando tanto in fase preventiva227 quanto in fase successiva. È infatti
e politiche macroprudenziali nell’Unione Europea, in Banca impresa e società, 2015, n. 1, 91 ss. e Gualandri, Noera, Towards a Macroprudential Policy in the EU: Main Issue, CEFIN WP, n. 49. 222 Committee on Global Financial System, Operationalising the selection and application of macroprudential instruments, Banca dei Regolamenti Internazionali, CGFS Paper n. 48, Basilea, dicembre 2012, spec. pp.†5-30 e pp.†45-50. 223 Coene, Corporate Governance and Banking Union in a transatlantic perspective. Implementing the Banking Union, Bruxelles, dicembre 2012, p. 5. 224 Quanto alla rilevanza delle medesime, si vedano l’art. 5, paragrafo primo, del Regolamento MVU e, in dottrina, Gortsos, Macro-Prudential Tasks in the Framework of the Single Supervisory Mechanism (SSM): An Analysis of Article 5 of the SSM Regulation, ECEFIL Working Paper Series No. 2015/12, marzo 2015, consultabile all’indirizzo http:// ssrn.com/abstract=2594714, spec. p. 14 ss. 225 L’annotazione è chiara in Darvas, Merler, op. cit., a 6. 226 Véron, Wolff, From Supervision to Resolution: next steps on the road to European Banking Union, Bruegel Policy Contribution, Bruxelles, 2013, n. 4. 227 Già in Donato, Cossa, Giocare d’anticipo: crisi bancarie e interventi preventivi dell’autorità di vigilanza, in Banca, impresa, società, 2011, p. 339 ss., ove, al ricorrere
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essenziale che detti passaggi vengano tra loro opportunamente integrati, soprattutto nel caso in cui interessino attività cross-border e consentano significativi risparmi economici ai contribuenti228. Detti rilievi hanno indotto a elaborare un meccanismo di risoluzione unico delle crisi bancarie, che trova il proprio sostrato normativo nella direttiva 2014/59/UE, Bank Recovery and Resolution Directive, (BRRD)229 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, così integrando alcuni caratteri del Meccanismo di Vigilanza Unico230. Il Meccanismo di Risoluzione Unico – che opera nel contesto del più ampio Comitato di Risoluzione Unico e potendo attingere al Fondo di Risoluzione Unico231 – è dunque stato realizzato con l’intenzione di risolvere in modo ordinato le situazioni di dissesto degli enti creditizi232, al
di presupposti specifici, nel rispetto delle singole realtà nazionali, si rileva la necessità di attribuire all’Autorità di Vigilanza il potere di rimuovere (removal) gli esponenti delle banche con interventi precoci, volti ad evitare crisi ed anomalie, come pure a prevenire irregolarità e debolezze. 228 Schoenmaker, Banking supervision and resolution: The European Dimension, in Law and Financial Markets Review, 2012, n. 6, p. 52 ss. 229 Cfr. Bruzzone, Cassella, Micossi, The EU Regulatory Framework for Bank Resolution, in Working Paper n. 10, 2015, LUISS School of European Political Economy, 2015, spec. 7 ss., consultabile all’indirizzo http://sep.luiss.it/sites/sep.luiss.it/files/BruzzzoneMicossi_102015_0.pdf ed in Aa.Vv., Research Handbook on State Aid in the Banking Sector, Gray, de Cecco, Laprévote (eds.), Celtenham, 2015; Stanghellini, La disciplina delle crisi bancarie: la prospettiva europea, in Dal Testo Unico bancario all’Unione bancaria: tecniche normative e allocazione di poteri, Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, n. 75, 2013, Roma, p. 155 ss. 230 Cfr. Wymeersch, Banking Union: Aspects of the Single Supervisory Mechanism and the Single Resolution Mechanism Compared, 27 aprile 2015, ECGI - Law Working Paper No. 290/2015, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2599502, spec. p. 5 ss. e Tonveronachi, L’Unione Bancaria Europea. Di nuovo un disegno istituzionale incompleto, 15 dicembre 2013, Moneta e Credito, vol. 66, n. 264, 2013, p. 397 ss., consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2528421. 231 Detto fondo, il cui ammontare è pari a 55 miliardi di euro, potrebbe tuttavia risultare insufficiente: è questa la (condivisa) critica mossa al meccanismo in discorso, già rinvenibile in dottrina in Aa.Vv., Regulatory briefing: SRM. What to expect from Banking Union, maggio 2014, spec. p. 8, consultabile all’indirizzo https://www.pwc.com/gx/en/ financial-services/publications/assets/pwc-srm-what-to-expect-from-banking-union.pdf. 232 Cfr., sulla nozione di dissesto, l’art. 32, comma primo, lett. a) della BRRD e Moretti, De Lisa, De Cesare, F. Pluchino, La gestione delle crisi delle banche e i ruoli dei fondi di garanzia fondi di garanzia: casistica europea e inquadramento degli interventi di sostegno del FITD, Fondo Interbancario di tutela dei Depositi, Working paper n. 13, Roma, gennaio 2014, p. 19, consultabile all’indirizzo http://www.fitd.it/attivita/pubblicazioni/ working_papers/fitd_wp13.pdf.
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contempo limitando i costi e favorendo lo svolgersi delle attività economiche233, anche cross-border234, in modo completo, lineare e cristallino235. Anche in virtù dei penetranti poteri di ispezione e sanzione di cui esso dispone, i suoi organi (Presidente, Direttore esecutivo, quattro membri ordinari e, a titolo di osservatori, BCE e Commissione) interagiscono con rappresentanti delle principali autorità nazionali, con cui condividono le decisioni, le azioni, l’operato. Chiaro è l’intento preventivo, rafforzato dalla celerità procedurale236, di siffatto meccanismo, intento che avrebbe potuto condurre, se implementato precedentemente, ad evitare situazioni di crisi amplissime237.
4. Conclusioni Pur essendo il periodo di osservazione di detta realtà238 troppo breve per consentire riflessioni meditate e valutazioni di ampio respiro, proprie di uno “sguardo lungo”239, si rileva come la riforma in esame
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Huber, Merc, The Banking Recovery and Resolution Directive and the EU’s Crisis Management Framework: Principles, Interplay with the Comprehensive Assessment and the Consequences for Recapitalizing Credit Institutions in Crisis Situations, Financial Stability Report n. 28, dicembre 2014, consultabile all’indirizzo https://www.oenb.at/dms/ oenb/Publikationen/Finanzmarkt/Financial-Stability-Report/2014/financial-stabilityreport-28/chapters/fsr_28_special_topics_04.pdf. 234 Carmassi et al., Overcoming too-big-to-fail: a regulatory framework to limit moral hazard and free riding in the financial sector, Centre for European Policy Studies, Bruxelles, 2010, p. 48. 235 Contra, ne contesta l’operato, tacciato di essere incompleto ed oscuro, il contributo di Matthijs, Kelemen, Europe Reborn. How to Save the European Union From Irrelevance, in Family Affairs, vol. 94, n. 1, gennaio/febbraio 2015, spec. p. 104. 236 Sul punto, A Single Resolution Mechanism for the Banking Union – frequently asked questions, Bruxelles, 15 gennaio 2014, consultabile all’indirizzo http://europa.eu/ rapid/press-release_MEMO-14-295_en.htm e, specialmente, par. 4. 237 Banking Board, The Cypriot Crisis Revisited, in International Financial Law Review, vol. 32, n. 7, settembre 2013, a 48. 238 È questo, infatti, il risvolto negativo delle considerazioni elaborate immediatamente dopo l’introduzione di una novità normativa, come provato da Crutchley et al., An Examination of Board Stability and the long-term Performance of Initial Public Offerings, in Financial Management, 2002, vol. 31, n. 3, p. 63 s. E, in altro contesto, Bebchuck, The Myth that Insulating Boards serves long-term Value, in Columbia Law Review, vol. 113, n. 8, ottobre 2013, p. 1637 ss. 239 Vella, Banche e assicurazioni: le nuove frontiere della corporate governance, in Banca impresa società, 2014, n. 2, p. 289 ss., p. 291 e nota 5, ove l’A. rinvia a Padoa
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sollevi nuovi interrogativi e stimolanti questioni, rispetto alle quali pare naturale assumere posizione. Il progetto di una “Unione bancaria europea” rappresenta certamente «un passaggio importante per una rinnovata spinta verso una maggiore integrazione europea», comporta benefici in relazione sia ai Paesi dell’Eurozona sia alla periferia della medesima, incoraggia il risanamento della finanza pubblica, senza tuttavia sostituirsi agli interventi strutturali che i sistemi bancari nazionali richiedono, nella direzione di modelli di business più sostenibili240. Detto progetto impatta infatti su una realtà composita241, su un sistema articolato e stratificato242. Più specificamente, conviene qui riflettere sia sul concetto di sovranità sia sulla reale opportunità offerta dall’MVU in relazione al sistema europeo, un sistema a geometria variabile, che viaggia a velocità differenti, eppure impone un livello di uniforme attenzione. Ebbene, nell’analizzare i rapporti tra le autorità sovranazionali e quelle nazionali è emersa forte, a più riprese, l’intenzione degli Stati di mantenere quanto più possibile la propria sovranità nazionale, la cui efficacia è tuttavia ragionevolmente minata dalle istanze di più ampio respiro che il sistema europeo pone. Gli Stati, invero, hanno gradualmente dato luogo ad un fenomeno di progressiva cessione della sovranità in nome della realizzazione di un “mercato comune”, attribuendo nello specifico ampi poteri regolamentari ed amministrativi alle autorità indipendenti nazionali243. Successivamente, la sovranità ha esteso il proprio ambito di
Schioppa, La veduta corta, Bologna, 2009, p. 3 ss. 240 Forestieri, L’Unione Bancaria Europea e l’impatto sulle banche, in Banca, impresa, società, 2014, p. 489 ss., spec. p. 503. 241 Per tutti, Lamandini, Il diritto bancario dell’Unione, in Banca, borsa e tit. cred., 2015, p. 423 ss. 242 Ancora attualissime paiono le riflessioni, che invitano a perseguire con convinzione l’obiettivo di un percorso condiviso, presentate nel contributo di Capriglione, European Banking Union: A Challenge for a More United Europe, 2 settembre 2013, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2319297, ove si legge: «A meeting between people, and their acceptance of a perspective of reciprocity, will be the only, true remedy for overcoming the present unease, to escape isolation, and to abandon hypocrisies, unrealistic ambitions and delays (…) being aware that “we need boldness” to open ourselves to the new, in order to avoid the possibility that “utopias remain pure dreams of reason which produce monsters”, as Remo Bodei has written. Today, on this difficult route, the responsible actions of those who continue to believe in the “European dream” and wait for tomorrow with trust and without fear shall be of guidance!», p. 79. Dette considerazioni si pervengono peraltro nell’ultima monografia del medesimo A. 243 Cuocolo, Miscia, op. cit., spec. p. 28 e, conformemente, Pizzorno, La dispersione dei poteri, in una Costituzione senza Stato, a cura di Bonacchi, Bologna, 2001.
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azione: le Autorità nazionali sono state private di alcune funzioni, limitate in altre, ma hanno al contempo visto attribuire a sé compiti relativi ad aree nelle quali in precedenza non era dato loro intervenire, in nome dell’esortazione “to think European”244. Infine, si è giunti ad una sovranità autenticamente “condivisa”245, certi del fatto che è poco lungimirante sostenere qualsiasi progetto dettato da un ormai obsoleto sentimento nazionalista. Non vi è oggi spazio, alcuno spazio, per ritardi ed inefficienze dettate da pigrizia o miopia delle classi dirigenziali. La presa di coscienza della situazione attuale e delle cause che l’hanno generata è del tutto improrogabile, per una ridefinizione vigorosa del volto della finanza europea. Si tratta, senza dubbio, di un passo impegnativo, che già era stato definito nel 1996 come il prezzo da corrispondere affinché gli intermediari creditizi possano contribuire alla realizzazione di pacifiche relazioni tra i popoli, in un più vasto contesto di mercato246. Non vi è dubbio che la vera sfida europea sia costituita oggi dal raggiungimento di una architettura di controlli razionale, efficiente ed efficace, completa e compatta247. Una architettura, dunque, semplificata e coordinata rispetto a quella esistente, se possibile grazie all’intervento della “umbrella authority”248.
244 Torchia, L’Unione Bancaria Europea: un approccio continentale?, in Giornale dir. amm., 2015, p. 11 ss. e Cassese, La nuova architettura finanziaria europea, in Giornale di dir. amm., 2014, p. 79. 245 L’aggettivo già trova spazio nella dottrina antecedente all’introduzione di dette norme in tema di vigilanza, come prova il contributo di Brown Wells, Wells jr., Shares Sovreignity in European Union: Germany’s Economic Governance, in Yale Journal of International Affairs, 2008, consultabile all’indirizzo http://yalejournal.org/wp-content/ uploads/2011/01/083203wells.pdf, spec. p. 37 e nota 20. 246 Bianchi, La moneta unica europea e le banche italiane, Intervento tenutosi in occasione del premio Gallioli per l’Economia d’Azienda il 12 giugno 1996, in Banche e banchieri, 1996, p. 6. 247 «Per comprendere il disegno che si va costruendo, bisogna soffermarsi sulle figure organizzative composite [che] presentano I seguenti caratteri: concorso di amministrazioni separate, ma contitolari di funzioni o di parti di funzioni, che vengono conferite ad un’amministrazione comune, alla quale esse contribuiscono anche organizzativamente; integrazione in forma associative, non ordinabile in forma gerarchica né in funzione del centro o della periferia, ma in funzione del servizio da svolgere; prevalenza del profilo funzionale su quello soggettivo, che passa in secondo piano, in quanto I soggetti fanno parte dell’organizzazione comune, non viceversa», così Cassese, La nuova architettura finanziaria europea, in Dal testo unico bancario all’Unione Bancaria: tecniche normative e allocazione dei poteri, in Quad. ricerca giuridica della Consulenza Legale della banca d’Italia, marzo 2014, p. 19. 248 Brescia Morra, From the Single Supervisory Mechanism to the Banking Union.
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E se il Meccanismo proposto, per taluni versi costituisce l’“anima” dell’Unione Europea249, esplicita la portata dei principi di proporzionalità250, sussidiarietà251 ed integrazione europea252 che già permeano il diritto dell’Unione Europea, rappresenta “l’opportunità più significativa offerta dalla crisi in vista della riforma del sistema finanziario europeo”253, accresce la fiducia dei fruitori del sistema bancario in ragione della maggiore certezza circa la solidità dei singoli enti permanenti254, rafforza la c.d. “integrazione operativa”255 tra organi di livello gerarchicamente differen-
The Role of the ECB and the EBA, LUISS Guido Carli, School of European Political Economy, Working Papers, maggio 2014, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2448913. 249 Baldassarri, Geneaologia del’Europa. Sovranità e popolo nel processo di costituzionalizzazione dell’Unione Europea, consultabile all’indirizzo http://dspace-unipr.cineca. it/bitstream/1889/1454/1/Tesi%20Dottorato%20Baldassari.pdf, in particolare p. 161 ss. e relativa notazione bibliografica. 250 Cfr. Jans, Minimum Harmonisation and the Role of the Principle of Proportionality, Umweltrecht und Umweltwissenschaft; Festschrift Für Eckard Rehbinder, a cura di Führ, Wahl, von Wilmowsky, 705 ss., Berlino, 2007, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/ abstract=1105341 ed E. Ellis, The Principle of proportionality in the laws of Europe, Oxford-Portland, 1999. 251 Cfr., Follesdal, Subsidiarity, Handbuch der Politischen Philosophie und Sozialphilosophie, a cura di Gosepath, Rössler, Berlino, 2008, p. 1307 ss., consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=1673284; van den Brink, The Substance of Subsidiarity: The Interpretation and Meaning of the Principle after Lisbon, 17 settembre, 2010), The Future of European Law after Lisbon, a cura di Trybus, Rubini, Cheltenham, 2011, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=1844491; Fabbrini, The Margin of Appreciation and the Principle of Subsidiarity: A Comparison, gennaio 2015, in A Future for the Margin of Appreciation?, a cura di Andenas, Bjorge, Bianco 2015; iCourts Working Paper Series, No. 15, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2552542; Follesdal, Competing Conceptions of Subsidiarity, New York, 2014.; PluriCourts Research Paper No. 13-05; University of Oslo Faculty of Law Research Paper No. 2013-35, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2359964. 252 Tale integrazione non prevede peraltro una distinzione tra le competenze, bensì una “interazione complessa tra organi operanti a livello europeo ed autorità nazionali […], in primo luogo a livello decisionale, […] ancora più forte a livello operativo-amministrativo», Brescia Morra, La nuova architettura, cit., p. 88. 253 Capriglione, L’unione bancaria Europea, Una sfida per un’Europa più unita, op. cit., XIII. Nel medesimo senso, Vella, Banche e assicurazioni: le nuove frontiere della corporate governance, in Banca, impresa, soc., 2014, n. 2, p. 289 ss., a 289 e nota 1, ove l’A. parla dei due fenomeni che esse possono generare: pericolose derive, da un lato, creatività regolamentari, dall’altro. 254 Tuckett, Minding the Markets. An emotional Finance View of Financial Instability, Basingstoke, 2011, spec. p. 85 ss. 255 Clarich, La governance del Single Supervisory Mechanism e gli Stati membri non
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ti, consente un opportuno bilanciamento tra pressioni del mercato ed effetti della globalizzazione che un singolo Stato uti singulus non riuscirebbe ad affrontare256 e mira ad assolvere la nobile funzione di conferire stabilità al sistema bancario e finanziario complessivo; per altro verso esso comporta l’emergere chiaro e fortissimo di talune criticità importanti257, che appaiono difficilmente superabili. Sebbene esso non generi in alcun modo poteri ulteriori in capo all’Autorità258, né sostituisca i compiti assolti dalle Autorità nazionali, rilevano significativamente: (i) le divergenze applicative che deriverebbero tra i Paesi dell’Eurozona e quelli ad essa esterni259; (ii) l’assenza di uniformità del sostrato operativo rispetto al quale le normative sovranazionali si troverebbero ad operare, la possibile esistenza di sovrapposizioni, lacune o contraddizioni tra le differenti regolamentazioni260, di modo che ciascuno Stato di quelli partecipanti all’MVU difficilmente potrebbe soggiacere ad una disciplina sovranazionale standardizzata261; (iii) il conflitto tra lo svolgimento di attività di vigilanza e di politica monetaria262; (iv) le questioni inerenti alla indipendenza dell’organo di supervisione; (v) il
aderenti all’Euro, op. cit., p. 21. 256 Cuocolo, Miscia, op. cit., p. 29. 257 Ampia e puntuale la trattazione di Ferrarini, Chiarella, op. loc. cit. e, oltre confine, Troeger, The Single Supervisory Mechanism – Panacea or Quack Banking Regulation?, in European Business Organization Law Review, Forthcoming; SAFE Working Paper No. 27, agosto 2013, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2311353, spec. p. 44 s. 258 Ferran, Babis, op. cit., p. 263. 259 Costituisce sostrato normativo dell’asserzione riportata l’art. 26 del Regolamento MVU. 260 Per tutti, Troiani, Verso un diritto contrattuale europeo. Il processo di armonizzazione delle regole e l’individuazione di principi ordinanti nei lavori della Commissione UE, Tesi di Dottorato discussa presso l’Università degli Studi di Roma Tre, Roma, 2008, spec. p. 18, consultabile all’indirizzo http://dspace-roma3.caspur.it/bitstream/2307/199/1/TESI%20dottorato%20Roma%203%20XX%20Umberto%20TROIANI.pdf. 261 Wagner, How to Design a Banking Union that limits Systemic Risk in the Eurozone, Centre for Economic Policy Research, Londra, 16 ottobre 2012, consultabile all’indirizzo http://www.voxeu.org/article/how-design-banking-union-limits-systemic-risk-eurozone. 262 Si verificherebbe, tra le altre, l’assunzione di rischi finanziari maggiori da parte degli enti creditizi a dispetto di condizioni monetarie non sfavorevoli, come rilevato da Ohler, International regulation and supervison of financial markets after the crisis, in European Yearbook of International Economic Law 2010, vol. 1, in International Regulation and Supervision of Financial Markets After the Crisis, a cura di Herrmann, Terhechte, Berlin-Heidelberg, 2010, 3-29, p. 11 ss. Già in Merusi, Per uno studio dei poteri della banca centrale nel governo della moneta, in Riv. trim. dir pubbl., 1972, p. 1425 s.
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difficile coordinamento rispetto sia all’operato del SEVIF263 sia all’operato dell’agenzia corrispondente a livello europeo, l’EBA, anch’essa di recente introduzione264, al fine di evitare inefficienze ed incongruenze palesi e sistematiche265; (vi) la disparità che la creazione di una BCE “totalitaria” – atta ad occuparsi tanto di macro-politica regolatoria quanto di vigilanza e di sanzioni – genererebbe (e che potrebbe essere sanata solo nel caso in cui la Commissione assorba ESMA ed EIOPA). Ai rilevi sin qui compiuti deve peraltro aggiungersi la complessità di configurare la relazione tra il MVU e la BCE266, stante il fatto che molti dei compiti spettanti alla BCE sono stati al contempo affidati al MVU. Parimenti, appare difficile a prospettarsi267 – sulla scorta di quanto accaduto per l’Unione bancaria europea – una “Unione politica europea”. Del resto la “pesante crisi economica”, la “forte avanzata dei partiti euroscettici”, l’“adeguatezza (se non l’esistenza) delle istituzio-
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Constâncio, Impications of the SSM on the ESFS, 23 maggio 2013, consultabile all’indirizzo https://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2013/html/sp130524.en.html. 264 Ex multis, Farkas, The Single Supervisory Mechanism and the role of the EBA. intervento tenutosi nel corso della European Banking Union Conference, London School of Economics, 22 ottobre 2012, slides consultabili all’indirizzo http://www.lse.ac.uk/fmg/ events/conferences/past-conferences/2012/European_Banking_Union/Adam-Farkas-slides.pdf; Boomgarden, Intervento, in European Banking Union: key issues and challenges. Written evidence, EU Economic and Financial Affairs Sub-committee, Londra, 2012, p. 96, consultabile all’indirizzo http://www.parliament.uk/documents/lords-committees/ eu-sub-com-a/EuropeanBankingUnion/BankingReformWEFINAL12.12.12.pdf; Seyat, The impact of the proposed Banking Union on the unity and integrity of the European Union single market, in Journal of International Banking Law and Regulation, vol. 28, n. 1, 2013, p. 101 s. e Brescia Morra, From the Single, cit., e, di recente, P. Schammo, Differentiated Integration and the Single Supervisory Mechanism: Which Way Forward for the European Banking Authority?, ottobre 2014, anche in Britain Alone? The Implications and Consequences of UK Exit from the EU, a cura di Biondi e Birkinshaw, Kluwer, 2015, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2514720, ove l’A. assume la prospettiva dell’EBA. 265 Quanto al complesso coacervo dispositivo in tema di vigilanza e gestione sovranazionale, sia consentito rinviare a Angelini, op. cit., spec. p. 17 ss. e fig. 4. 266 Tressel, Zhou, Macroprudential Oversight and the Role of the ESRB, Technical Note, Financial Sector Assessment Program, The European Union, marzo 2013 e, nuovamente, Tressel, Enoch, Everaert, Zhou, From Fragmentation to Integration: EU-wide Approach to Financial Oversight, International Monetary Fund, 2013, e Tressel, Verdier, Optimal Prudential Regulation of Banks and the Political Economy of Supervision, IMF Working Paper 2014 267 Sarcinelli, L’Unione Bancaria Europea E La Stabilizzazione Dell’Eurozona, in Moneta e Credito, Vol. 66, No. 261, marzo 2013, p. 7 ss., spec. p. 24 ss., consultabile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2257271.
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ni comunitarie”268, la perdita di competitività da parte di molte nazioni in regione (forse) della moneta comune269, la progressiva (smisurata?) estensione dei confini europei provano la difficoltà di una autentica condivisione di valori, impegni, progetti tra Stati membri270. Di più: per un canto, non si ritengono una salda unità bancaria/creditizia ed una solida unità politica (anche ove realizzabile) tra loro positivamente correlate; per altro canto, le differenti radici storiche, come pure la matrice culturale e religiosa, paiono ancor oggi ostacoli insuperabili. In conclusione è da riconsiderare il compito nobilissimo271 che detto MVU intendeva assolvere inizialmente e che ha perseguito finora, ovvero la stabilizzazione del sistema bancario e finanziario272. E la disamina sin qui condotta consente di provare il definitivo superamento di un modello di vigilanza unicamente fondato sulla competenza dei singoli stati, senza però addivenire alla formazione di un sistema perfettamente coeso e compatto al suo interno, in ragione del non uniforme contesto fattuale, economico e giuridico europeo. Inoltre, il rapporto di forze delineato – non equilibrando la situazione tra i Paesi dell’Eurozona e gli Stati Membri esterni all’Unione monetaria – acuisce ulteriormente le già numerose difformità anche in seno all’Unione, lasciando così aperta la valutazione del progetto di una Unione Bancaria che, ad un anno dalla realizzazione del suo primo pilastro, appare ancora lontana rispetto ad una compiuta definizione. Con tutto ciò, si deve continuare a guardare al Meccanismo di Vigilanza Unico, seppure ad un anno dalla sua introduzione, ancora nella mera prospettiva de iure condendo: dato che, «there is no future for the people of Europe other than in union»; seppure, inevitabilmente, come
268 Vaciago et al., Osservatorio monetario 2/2014, consultabile all’indirizzo http://centridiricerca.unicatt.it/lam_OM2_2014_def.pdf, p. 16. 269 Underhill, The Political Economy of (eventual) banking Union, in Banking Union for Europe. Risks and Challenges, Centre for Economic Policy Research, 2012, p. 137 ss., consultabile all’indirizzo http://www.voxeu.org/article/political-economy-eventual-banking-union. 270 Capriglione, L’unione bancaria, cit., p. 83 ss. 271 Lamandini, Il diritto bancario dell’Unione, in Banca, borsa tit. cred., 2015, p. 423 ss., p. 447, ove l’A. richiama le parole di Jean Giono: «[…] [S]e metto in conto quanto c’è voluto in costanza nella grandezza d’animo e d’accanimento nella generosità per ottenere questo risultato, l’anima mi si riempie di un enorme rispetto». 272 «Markets are underpinned by trust and confidence, and in this environment perceptions matters», così Ferran, European Banking Union: Imperfect, But It Can Work, University of Cambridge Faculty of Law Research Paper No. 30/2014, aprile 2014, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com, p. 27 e nota 183.
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Saggi
osserva Jean Monnet, «[n]obody can say today what the institutional framework of Europe will be tomorrow because the future changes, which will be fostered by today’s changes, are unpredictable»273.
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273 «Notwithstanding the legal complexities and political sensitivities that surrounded its difficult birth and shaped its intricate design, the early signs are that the institutional apparatus of EBU EBU is sufficiently robust and has sufficient authority and credibility to contribute to defragmentation. That is progress», così Ferran, European Banking Union: Imperfect, But It Can Work, University of Cambridge Faculty of Law Research Paper No. 30/2014, aprile 2014, consultabile all’indirizzo http://ssrn.com, p. 28.
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DIBATTITI
Rapporti bancari e procedure concorsuali Il 18 giugno 2015, presso la Facoltà di Economia della Sapienza, Università di Roma, si è tenuto un incontro di studio, organizzato dalla rivista, dal Cedib e dal Master in Diritto della crisi delle imprese, sul tema “Rapporti bancari e procedure concorsuali”. All’incontro, presieduto dal prof. Vittorio Santoro, dell’Università di Siena, sono intervenuti il prof. Vincenzo Caridi, dell’Università La Sapienza di Roma, il prof. Sabino Fortunato, dell’Università di Roma Tre, il prof. Danilo Galletti, dell’Università di Trento, il prof. Alessandro Nigro, già dell’Università La Sapienza di Roma, il prof. Maurizio Sciuto, dell’Università di Macerata, il prof. Giuseppe Terranova, dell’Università La Sapienza di Roma e il prof. Daniele Vattermoli, dell’Università La Sapienza di Roma. Ne pubblichiamo gli atti.
Indirizzo di saluto Vittorio Santoro Gli incontri della rivista Diritto della banca e del mercato finanziario, sponsorizzati dal Cedib e dal Master in Diritto della crisi delle imprese, sono da diversi anni una consuetudine e credo che anche il pubblico degli amici, qui convenuto, sia il pubblico che abitualmente ci segue. Sapete, dunque, che è il professor Nigro che dà l’avvio ai lavori e io, pertanto, gli passo la parola per l’introduzione.
Introduzione Alessandro Nigro Come ha sottolineato l’amico Vittorio, questi nostri incontri hanno ormai assunto una cadenza annuale fissa. Una modificazione si è
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avuta soltanto in ordine all’epoca: i primi due si sono svolti nel mese di marzo (mi pare) e gli altri invece sono stati tenuti tutti all’inizio dell’estate. Gaetano Presti, quando venne la prima volta, evidenziò il fatto che gli incontri, tenuti allora a Firenze, segnavano l’inizio della primavera, quindi l’apertura verso la bella stagione: purtroppo, per ragioni varie, non è stato possibile mantenere quella “tempistica”. Comunque, è con grande soddisfazione che, quale Presidente del Cedib e quale direttore della rivista Diritto della banca e del mercato finanziario, registro questa continuità. Al solito, la mia sarà una introduzione molto veloce, che deve aprirsi con i doverosi ringraziamenti, in particolare non tanto agli organizzatori perché io sono fra questi, ma, per un verso, alla Casa editrice Pacini, che ci assiste anche in questa iniziativa, e, per altro verso, alla Facoltà di economia ed al Dipartimento di diritto ed economia delle attività produttive, che ci hanno ospitato e continuano ad ospitarci: Dipartimento che in questo momento è diretto dal professor Vattermoli seduto vicino a me, il quale dunque si trova a sua volta qui in più vesti, quale direttore, appunto, del Dipartimento ma anche quale direttore del Master in Diritto della crisi delle imprese, che è fra gli organizzatori dell’incontro, ed è inoltre uno dei relatori. Il tema dell’incontro è stato scelto, come le altre volte, con attenzione ai profili di attualità e di interesse e sui quali sia ancora aperto il dibattito. Sicuramente, il tema dei rapporti bancari e procedure concorsuali offre un ricco ventaglio di profili del genere. La storia delle relazioni, appunto, tra banche e procedure concorsuali – come ho avuto occasione di dire in un altro convegno tenuto proprio in quest’aula meno di un mese fa – è una storia caratterizzata da molti “tormenti”. C’è stato un momento in cui addirittura sembrava essersi scatenata una sorta di guerra di religione, che molti di noi ricordano anche per esserne stati in qualche misura protagonisti (l’amico Terranova è stato tra quelli). Mi riferisco alla tempesta che si ingrossò in una certa epoca, diciamo verso la fine degli anni ‘70 ed i primi anni ‘80, in materia di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente, una tematica evidentemente sofferta dalle banche in modo particolare, in modo vorrei dire passionale. Tant’è che non è forse eccessivo attribuire alla volontà delle banche di cercare di porre termine a questa vicenda, l’avvio deciso del processo riformatore della legge fallimentare che, vi ricordo, è iniziato nel 2005, ed è iniziato con la riforma non dell’intera legge fallimentare, ma con quella di due capitoli della legge fallimentare, uno dei quali era rappresentato proprio, non a caso, dalla revocatoria fallimentare. Un
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processo riformatore che – noto per inciso – non si è fermato, ma è come impazzito, nel senso che sta andando avanti in maniera caotica, disordinata (stiamo registrando in questi giorni vicende che hanno del paradossale, che sono al limite o addirittura oltre il limite del ridicolo: ci sono due iniziative legislative, due tentativi di imboccare di nuovo una linea di riforma, uno, tanto per cambiare, ad opera del Ministero della giustizia e l’altro ad opera del Ministero dell’economia, riproducendo quel duello che si ebbe proprio in occasione della emanazione dei decreti del 2006-2007). Naturalmente, dall’epoca che ricordavo è passato tanto tempo. Abbiamo avuto, appunto, una riforma abbastanza sostanziosa della normativa che regola le procedure concorsuali, una riforma che ha avuto fra le sue anime ispiratrici proprio uno spiccato favor per le banche, il quale si è tradotto fra l’altro in un depotenziamento, forse oltre il dovuto, dello strumento dell’azione revocatoria. Questo però non significa che il terreno dei rapporti banche-procedure concorsuali sia diventato un terreno tranquillo, sia diventato un lago pacifico. Alcune aree di scontro si sono mantenute. Tuttora, per esempio, è motivo di discussione il tema della revocatoria delle rimesse in conto corrente (ho ricevuto stamattina l’ultimo fascicolo della rivista Il fallimento, che pubblica una sentenza del Tribunale di Torino in materia), rispetto al quale tema le difficoltà ed i problemi, a ben vedere, nascono non tanto perché ci sia un animus pugnandi da parte dei contendenti, banche e procedure, ma perché il legislatore ha dettato una norma assurda e inapplicabile (almeno se la si volesse applicare per quello che dice); il che ha costretto e costringe i giudici ad arrampicarsi sugli specchi, inventandosi dei parametri e delle regole che con la norma positiva veramente nulla hanno a che fare. Comunque, quella della revocatoria delle rimesse rimane materia, diciamo, di dibattito. Ma si sono aggiunti altri terreni di scontro, alcuni dei quali sono oggetto delle relazioni di stasera. Un terreno abbastanza importante si sta rivelando quello della responsabilità delle banche, in relazione al sostegno alle imprese in crisi: su tale terreno infatti si contrappongono, volendo andare all’essenza (ma non desidero invadere il territorio affidato ad autorevoli colleghi, in particolare quello affidato a Sabino Fortunato, che in questa materia è maestro), due esigenze di fondo: da un lato, l’esigenza di rispettare le regole in materia appunto di responsabilità risarcitoria, sia essa contrattuale o extracontrattuale, e, dall’altro, l’esigenza di, in qualche misura, salvaguardare la funzione delle banche, le quali, almeno fino a che fanno il loro mestiere e fino a che non pretendono di fare anche altre cose, dovrebbero non
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essere scoraggiate, e non essere scoraggiate proprio sul terreno delicatissimo del sostegno alle imprese in difficoltà. Non voglio dire altro per non invadere, ripeto, territori che non mi competono. Mi limito soltanto a ricordare, anche se è una sottolineatura superflua, che non si ha la pretesa di arrivare in questa sede, con i nostri interventi, a soluzioni definitive. Quello che interessa è ragionare su questi temi, alcuni dei quali sono abbastanza complessi, nell’idea di prospettare comunque delle strade idonee a portare a soluzioni. Certo, in alcuni di questi casi l’ideale sarebbe al solito l’intervento del legislatore, come nel caso della revocatoria delle rimesse in conto corrente, in cui veramente un intervento chiarificatore sarebbe fondamentale. Però, se il nostro legislatore opera, come spesso e volentieri opera, nel modo frettoloso e approssimativo che conosciamo, forse è meglio affidarsi alla capacità e alla sagacità degli interpreti, fra cui dobbiamo collocare noi stessi, per riuscire ad arrivare ad esiti convincenti sul piano teorico e soddisfacenti sul piano pratico. Mi fermo a questo punto. Vi ringrazio per la vostra presenza, ringrazio tutti i relatori, in particolare quelli che si sono scomodati a venire da fuori Roma e auguro buon lavoro.
Conto corrente bancario e dichiarazione di fallimento Daniele Vattermoli Inizio col precisare il titolo – e, dunque, l’oggetto – della mia relazione. Mi occuperò delle possibili interferenze generate dalla dichiarazione di fallimento del cliente rispetto alla disciplina del contratto di conto corrente bancario. Mi occuperò, quindi: 1. Degli effetti della dichiarazione di fallimento nei confronti del contratto di conto corrente “pendente”; 2. Degli effetti della dichiarazione di fallimento rispetto alle operazioni contabilizzate sul conto corrente, in precedenza definito “pendente”, successivamente all’apertura della procedura; 3. Della disciplina del contratto di conto corrente aperto dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento. 1. Mi posso liberare velocemente della prima questione, quella che attiene agli effetti del fallimento sul conto corrente bancario “pendente”. È noto, invero, come l’attuale art. 78, co. 1, l.fall. ricomprenda espres-
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samente il conto corrente, anche bancario1, tra i contratti che si sciolgono automaticamente per effetto del fallimento di una delle parti. Certo, la disposizione non è applicabile al caso in cui ad essere sottoposto a procedura sia l’ente creditizio, atteso che le banche non sono soggette al fallimento: d’altra parte, però, l’art. 83, co. 2 t.u.b., dettato in tema di l.c.a. delle banche, rinvia alle norme contenute nella sezione IV del capo III del titolo II della legge fallimentare, tra le quali figura, appunto, l’art. 78 l.fall.2. La ragione che secondo la dottrina – anche quella espressasi prima della riforma – giustifica lo scioglimento automatico è da rintracciarsi essenzialmente «nella reciprocità almeno potenziale delle rimesse e nella destinazione delle reciproche ragioni di debito e di credito alla compensazione»3. Sempre con riferimento alla sorte del contratto di conto corrente, dubbi potrebbero sorgere – ed in concreto sono sorti – in caso di conto corrente bancario cointestato. Sul punto, sembra preferibile la tesi di chi ritiene che il contratto si sciolga limitatamente al cointestatario dichiarato fallito, non essendoci alcuna ragione per la quale la dichiarazione di fallimento di uno dei cointestatari debba condurre inesorabilmente allo scioglimento dell’intero contratto e travolgere, dunque, la posizione degli altri soggetti estranei alla procedura4. Naturalmente, occorre stabilire cosa accade all’eventuale saldo attivo del conto al momento della dichiarazione di fallimento di uno dei cointestatari (in caso di saldo passivo, invero, è indubbio che la banca possa
1 Anche nel vigore della disciplina ante riforma del 2005-2007, ove il conto corrente bancario non era espressamente contemplato dall’art. 78 l.fall., la giurisprudenza e la dottrina assolutamente dominanti erano ferme nel ritenere applicabile a tale contratto la regola dello scioglimento automatico per effetto del fallimento del correntista, già dettata per il conto corrente ordinario. Per i necessari riferimenti cfr., per tutti, Fauceglia, I contratti bancari, in Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, sez. III, II, Torino, 2005, p. 431 ss.; e, più di recente, Di Amato, Gli effetti del fallimento sul mandato e sugli altri contratti previsti dall’art. 78 l. fall., in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di Ghia, Piccininni, Severini, vol. 2, Torino, 2010, p. 537. 2 Sul punto sia consentito il rinvio a Vattermoli, Le cessioni «aggregate» nella liquidazione coatta amministrativa delle banche, Milano, 2001, p. 218 ss. 3 Maffei Alberti, Gli effetti del fallimento sui contratti bancari, in Dir. fall., 1989, I, p. 254. Sul punto cfr., altresì, Zanarone (Di Chio, Guglielmucci, Mangini, Tedeschi), Degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Comm. Scialoja-Branca. Legge fall., a cura di Bricola, Galgano e Santini, Bologna-Roma, 1979, pp. 328-329. 4 Per i termini della questione cfr. Santone, Commento sub art. 78, in La Legge Fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli, Santoro, I, Torino, 2010, p. 1090.
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agire, e per l’intero, nei confronti del cointestatario in bonis ed insinuare il proprio credito nel passivo del cointestatario dichiarato fallito, l’art. 1854 c.c. stabilendo, per i rapporti esterni, che «Nel caso in cui il conto sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto»). In virtù dell’art. 1298, co. 2 c.c., si presume che, nei rapporti interni tra i cointestatari, la parte di ciascuno dei concreditori sul saldo attivo sia uguale. Orbene, tale presunzione, secondo quanto comunemente affermato dalla giurisprudenza5, può essere superata dimostrando che le somme versate sul conto da uno solo dei cointestatari traevano il proprio titolo di acquisizione dall’attività svolta dal soggetto che ha effettuato il versamento: con la conseguenza, allora, che nel caso concreto alla procedura potrà essere attribuito anche l’intero saldo attivo, oppure, all’opposto, nulla. Altro problema che potrebbe porsi attiene ai possibili effetti prodotti dall’esercizio provvisorio dell’impresa del cliente fallito sul contratto di conto corrente bancario: ai sensi dell’art. 104, co. 7 l.fall., invero, durante l’esercizio provvisorio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli. Si potrebbe pensare, dunque, che anche il conto corrente bancario, in caso di esercizio provvisorio, prosegua automaticamente. Io credo, però, che l’eccezione contenuta nell’art. 104, co. 7 operi solo rispetto a quei contratti che secondo la regola generale rimarrebbero in stato di sospensione. Detto in altri termini, è la regola generale che cambia per effetto dell’esercizio provvisorio, non già la disciplina speciale dei singoli contratti6. 2. L’effetto prodotto dalla dichiarazione di fallimento del correntista è, dunque, senza eccezione alcuna, lo scioglimento del rapporto di conto corrente bancario. Ma cosa succede – e passo al secondo tema – se, dichiarato il fallimento, sullo stesso c/c continuano ad affluire rimesse a credito del fallito o se la banca esegue dei pagamenti su ordine del fallito prelevando le somme a ciò necessarie dal conto?
5 Cass., 5 maggio 2010, n. 2686; Cass., 22 ottobre 1994, n. 8718; Trib. Nola, 27 febbraio 2006, in Dir. fall., 2008, II, 88 ss. 6 Opinione già espressa in Vattermoli, Commento sub art. 72, in La Legge Fallimentare dopo la riforma, cit., I, p. 1004.
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La soluzione, almeno da un punto di vista teorico, dovrebbe essere, anche qui, semplice ed intuitiva. Per un verso, l’art. 78 l.fall., che sancisce lo scioglimento del c/c bancario; e, per altro verso, l’art. 44, co. 1 e 2, ai sensi dei quali sono inefficaci i pagamenti eseguiti dal fallito e quelli da lui ricevuti, dovrebbero rendere inefficaci tutte le operazioni contabilizzate nel medesimo conto corrente. Con la conseguenza, allora, che tutte le somme affluite sul conto dovrebbero essere “girate” dalla banca alla procedura – senza alcuna possibilità per la banca di trattenerle in compensazione del saldo passivo del conto o di altri crediti verso il fallito –; oggetto di restituzione dovrebbero essere anche le somme che siano state addebitate sul conto, in quanto prelevate dalla banca per eseguire i pagamenti ordinati dal cliente fallito7. Sul punto è intervenuta, con una decisione relativamente recente, la Corte di Cassazione8. In tale pronunzia, la Corte ha affermato, tra le altre cose, che pur se l’art. 42, co. 1 priva il fallito dalla disponibilità dei suoi beni dalla data della dichiarazione di fallimento e pur se l’art. 44, co. 1 stabilisce l’inefficacia dei pagamenti effettuati dal fallito, qualora il pagamento di un assegno sia stato effettuato dalla banca – attingendo però la provvista dal conto del fallito –, a tale pagamento non si applicherebbe la sanzione dell’inefficacia nei confronti della massa di cui all’art. 44, co. 1, non essendo stato compiuto, tecnicamente, dal fallito. Tale ricostruzione, per come è formulata, lascia aperto più di un interrogativo. A mio parere, ciò che conta realmente, ai fini dell’esatta applicazione delle regole concorsuali, è verificare se, per effetto di comportamenti successivi alla dichiarazione di fallimento, e non ascrivibili agli organi della procedura, vi sia stata una diminuzione del patrimonio responsabile, a vantaggio di alcuni soltanto dei creditori concorsuali (nella specie, i portatori dei titoli). Quando si realizza tale effetto, non
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Chiara, sul punto, Cass., 21 agosto 2013, n. 19325, nella quale si legge che per effetto dell’operare congiunto degli artt. 42, 44 e 78 l.fall., si determina «l’inefficacia rispetto ai creditori di ogni addebito (o accredito) sul conto corrente successivo alla data delle sentenza di fallimento, prescindendo dalla sua idoneità a recare pregiudizio alla massa». 8 Cass., 4 marzo 2011, n. 5230, in Dir. fall., 2012, II, 334 ss., con nota di Rocco di Torrepadula, Il conto corrente bancario dopo il fallimento; in Giur. comm., 2013, II, 417, con nota di Giavarrini, Il regime giuridico delle operazioni compiute dal correntista fallito o dal fallito correntista; in Fallimento, con Osservazioni di Tomasso.
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può non scattare la protezione accordata dall’art. 44, co. 1, anche qualora il pagamento sia stato materialmente posto in essere da un soggetto diverso dal fallito. Detto in altri termini, la valutazione deve essere condotta in termini oggettivi, ossia avuto riguardo alla massa attiva, non già in termini soggettivi. Occorre dunque verificare, tornando al caso di specie, se per i pagamenti successivi al fallimento la banca abbia utilizzato denaro del fallito, o meno: solo nel primo caso le somme impiegate debbono essere restituite alla curatela. Applicare la regola della restituzione anche nell’altro caso determinerebbe, invero, un ingiustificato spostamento di valore a favore della massa dei creditori ed a scapito della banca9, in contrasto con il principio di neutralità che governa le procedure concorsuali10. Un altro problema che potrebbe porsi – e che, anche qui, nella pratica si è posto – è quello che concerne il momento da prendere in considerazione per stabilire se la somma sia stata correttamente, o meno, prelevata dal conto. Il problema si pone, ad esempio, quando l’ordine di pagamento sia contenuto in un assegno emesso o in un bonifico effettuato prima della dichiarazione di fallimento, ma alla data di fallimento non sia stato ancora contabilizzato. Io credo che il momento rilevante sia il pagamento a favore del terzo, che si realizza al momento della presentazione del titolo, e che, quindi, la registrazione dell’operazione nel conto corrente del fallito non sia determinante ai fini che qui interessano11. Detto in altri termini, non credo che l’annotazione sul conto abbia natura costitutiva e non credo, conseguentemente, che l’operazione di pagamento – con somme del fallito – possa essere valutata come una fattispecie a formazione progressiva, né credo, infine, che la scritturazione possa essere qualificata alla
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App. Reggio Calabria, 15 dicembre 2005, in Giur. it., 2006, I, 2, 1201. Jackson, Scott, On the Nature of Bankruptcy:An Essay on Bankruptcy Sharing and the Creditors’ Bargain, in 75 Va. L. Rev., 1989, pp. 162-163. 11 In senso contrario, da ultimo, Cass., 28 febbraio 2011, n. 4820, nella quale si legge: «Ai sensi dell’art. 44 l.fall. sono inefficaci rispetto ai creditori i pagamenti “eseguiti” dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento. La data del pagamento non è riferita al momento in cui la somma pagata entra nella disponibilità del creditore (…) ma a quello in cui viene posto in essere dal debitore l’atto satisfattivo delle ragioni del creditore che procura il depauperamento del suo patrimonio, e giustifica e legittima il trattamento giuridico imposto dall’imprescindibile esigenza di salvaguardia della concorsualità, e per essa dell’integrità della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c. Nel caso in cui il pagamento venga eseguito mediante assegno bancario, occorre pertanto aver riguardo alla data d’addebito del relativo importo sul conto corrente del debitore». 10
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stregua di una formalità, il compimento della quale successivamente alla dichiarazione di fallimento sia idonea a determinare l’inefficacia di cui all’art. 45 l.fall.12. In difetto di annotazione sembrerebbe dunque corretto ritenere che la banca possa con ogni mezzo dimostrare l’anteriorità del pagamento. Ma anteriorità rispetto a quale momento? Sul punto occorre ricordare che mentre per il fallito, così come per i contratti in corso di esecuzione, gli effetti della dichiarazione (e, quindi, per ciò che qui interessa, lo spossessamento e lo scioglimento del contratto di c/c), decorrono dalla pubblicazione della sentenza (dalla giurisprudenza costante retrodatato alle ore 00 del giorno del deposito)13, per i terzi (ossia, nella specie, la banca) il momento rilevante deve essere individuato nell’annotazione della sentenza di fallimento presso il registro delle imprese, ai sensi dell’art. 16, ult. co. l.fall.14. Per i pagamenti effettuati prima di quel momento, dunque, non dovrebbe esservi spazio per una richiesta di restituzione nei confronti della banca. 3. L’ultimo tema di cui voglio occuparmi è quello della sorte del conto corrente bancario stipulato dal fallito successivamente alla dichiarazione di fallimento. In tal caso, ovviamente, non può trovare applicazione l’art. 78 l.fall.: il combinato disposto degli artt. 42 e 44 l.fall. dovrebbe comunque condurre agli stessi risultati visti con riferimento all’ipotesi di ultrattività del conto corrente stipulato prima della dichiarazione di fallimento (dunque: le somme che affluiscono sul conto del fallito sono automaticamente acquisite alla procedura, senza alcuna possibilità per la banca di dedurre le somme impiegate per effettuare i pagamenti su ordine, da considerare inefficace, del fallito). Le uniche passività che la banca può dedurre, ai sensi dell’art. 42, co. 2, sono solo le spese per la tenuta del conto e le commissioni d’uso15.
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Per i termini della questione, Polacco, Il conto corrente ordinario e il conto corrente bancario, in I contratti in corso di esecuzione nelle procedure concorsuali, a cura di Guglielmucci, Padova, 2006, p. 204 ss. 13 E cfr., da ultimo, Trib. Torre Annunziata, 9 luglio 2013. 14 Salvo che la banca abbia partecipato all’istruttoria prefallimentare, nel qual caso la chiusura del conto si produrrà al momento della pubblicazione della sentenza: nello stesso senso cfr. Di Amato, Gli effetti del fallimento, cit., p. 539. 15 Cavalli, Gli effetti del fallimento per il debitore, in La riforma della legge fallimentare, a cura di Ambrosini, Bologna, 2006, p. 99.
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Questo in generale. Le cose cambiano – o meglio, si ritiene che cambino – nel caso in cui le operazioni contabilizzate sul c/c stipulato successivamente alla dichiarazione di fallimento siano il frutto di una nuova attività di impresa da parte del fallito16. Premesso che il fallimento non incide sulla capacità d’agire del debitore, e in particolare sulla sua capacità a dare vita ad una nuova attività di impresa, si è invero sostenuto che, in tale ipotesi, la banca sarebbe costretta a restituire alla curatela soltanto l’eventuale saldo positivo al momento della richiesta: la banca, detto in altri termini, potrebbe “scontare” dalla cifra risultante dalla sommatoria di tutti i versamenti effettuati dal fallito, che sono “beni pervenuti al fallito durante il fallimento”, i prelievi operati a seguito dell’esecuzione degli ordini di pagamento, in quanto da considerare, rispetto al denaro “nuovo” entrato sul conto, “passività incontrate per l’acquisto dei beni medesimi”, ai sensi del summenzionato art. 42, co. 217.
16 Orientamento inaugurato da Cass., 21 marzo 1989, n. 1417, in Giur. comm., 1990, II, 199, con nota di Tabellini, Acquisizione da parte degli organi fallimentari di attività sopravvenute versate dal fallito su un conto corrente e detrazione delle passività ad esse inerenti; e consolidato da Cass., SS.UU., 10 dicembre 1993, n. 12159, in Dir. fall., 1994, II, 411, con nota critica di Ragusa Maggiore, Nuova impresa e acquisizione del saldo attivo di conto corrente. Una soluzione che non convince. Secondo App. Brescia, 5 maggio 2015, inedita, che ha affrontato il caso dell’applicazione dell’art. 78 l.fall. alla procedura di liquidazione coatta amministrativa di una cooperativa (in virtù del richiamo operato dall’art. 201 l.fall.), l’art. 42, co. 2 troverebbe ingresso anche in ipotesi di continuazione dell’attività di impresa da parte degli organi della procedura (nella specie, i commissari liquidatori). 17 Cass., 27 novembre 2013, n. 26501, la quale ha affermato: «Vero è che i prelievi dal conto fatti dalla correntista fallita, e i pagamenti eseguiti dalla banca a terzi sullo stesso conto sono inefficaci rispetto ai creditori. Ciò esclude che tali atti possano essere addotti dalla banca a giustificazione dell’uso fatto dei versamenti in conto, quale provvista dei pagamenti eseguiti a favore di terzi o dello stesso fallito, sicché la stessa banca non è liberata dall’obbligo di restituire agli organi della procedura concorsuale quanto ricevuto dal fallito a qualsiasi titolo. È stato infatti chiarito che la deduzione dei debito restitutorio dei pagamenti eseguiti a terzi per conto del correntista fallito suppone la prova, gravante sulla banca, che le rimesse costituissero proventi di un’attività d’impresa. In ciò sta la differenza tra le ipotesi contemplate nell’art. 42 e nell’art. 44 l.fall., giacché solo nel caso dell’art. 42 – e non anche in quello dell’art. 44 – la banca può sottrarre dal debito restitutorio l’importo dei pagamenti eseguiti a terzi per conto del fallito: in questi casi, la curatela ha facoltà di appropriarsi dei risultati positivi dell’indicata attività, “dedotte le passività incontrate”, e può reclamare dalla banca la restituzione soltanto del saldo attivo del predetto conto corrente (non già dei versamenti sul conto), corrispondente all’utile dell’impresa».
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L’orientamento mi sembra da condividere. Certo, il problema concerne la dimostrazione – che è a carico della banca – che quelle “uscite” siano effettivamente pertinenti all’esercizio dell’impresa; così come da dimostrare è, a monte, l’esercizio stesso di una nuova attività di impresa da parte del fallito. Quanto sin qui affermato equivale a dire che rispetto alla nuova attività di impresa esercitata dal fallito, la procedura può acquisire non già i ricavi, quanto l’utile; ed anzi, neanche tutto l’utile realizzato, atteso che l’art. 46, co. 2 consente al debitore, com’è noto, di trattenere una parte di ciò che egli guadagna con la sua attività, nei limiti – fissati con decreto dal giudice delegato – di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia18. Ma qui, com’è evidente, mi sono già allontanato troppo dal conto corrente bancario.
Presidente Grazie, Daniele. Pur essendo il tema trattato un “classico”, non è mancato un puntualissimo aggiornamento con riferimento ad alcune novità legislative e, in particolare, alla giurisprudenza. Due notazioni brevissime: io non credo che la soluzione data dal legislatore della riforma in ordine al contratto di conto corrente bancario
18 Sul tema, più in generale, della sorte dei pagamenti ricevuti dal fallito dopo l’apertura della procedura, per effetto della nuova attività di impresa dallo stesso esercitata cfr., da ultimo, Cass., 29 gennaio 2015, n. 1724, nella quale si osserva, tra l’altro, che: «l’acquisizione del corrispettivo conseguito dal fallito per una attività svolta dopo il fallimento presuppone l’efficacia nei confronti del fallimento del pagamento delle spese incontrate per produrre il reddito ovvero, alternativamente, il pagamento delle dette spese da parte del fallimento. L’acquisizione del guadagno netto, d’altro lato, è possibile soltanto nella parte in cui supera i limiti eventualmente fissati dal giudice delegato. Ne consegue che dopo il fallimento il fallito, che mantiene capacità giuridica e capacità di agire, può, con efficacia verso il fallimento, destinare le somme ricevute quale corrispettivo di una sua attività al pagamento delle passività incontrate per generare il reddito e, quanto al residuo netto, asl mantenimento suo e della sua famiglia. Dalla efficacia verso il fallimento della destinazione attribuita dal fallito alle somme ricevute discende logicamente l’efficacia dei pagamenti ricevuti dal fallito stesso». Nello stesso senso, in precedenza, Cass. n. 1724/2014, il cui commento a cura di Napolitano, Il problematico rapporto tra gli articoli 42, 44 e 46 della legge fallimentare, può leggersi in giustiziacivile.com, n. 12/2015.
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sia la migliore, perché il conto corrente bancario svolge una pluralità di funzioni, tra le quali anche quella da fungere da cassa per l’imprenditore, funzione che dopo la dichiarazione di fallimento potrebbe giovare alla procedura per continuare a ricevere pagamenti. Se invece dobbiamo considerare il contratto come automaticamente sospeso, mi chiedo se la banca che riceva pagamenti da terzi debitori da accreditare sul conto del fallito li debba rimandare indietro. Non credo che sia così, anzi penso che un curatore fallimentare, di fronte a un tale comportamento, avrebbe molto da ridire e, probabilmente, chiamerebbe la banca a risponderne. Su alcuni punti specifici, quindi, suggerirei soluzioni più articolate. La seconda notazione è relativa all’esecuzione dell’ordine di pagamento. Qui ci potrebbe esser d’aiuto considerare che il funzionamento del sistema dei pagamenti ha subito un’accelerazione in conseguenza dell’applicazione della tecnologia informatica; il legislatore ne ha preso atto introducendo regole giuridiche parzialmente nuove, in punto soprattutto di [ir]revocabilità dell’ordine, che diventa, appunto, irrevocabile quando l’ordine sia transitato nella stanza di compensazione. Per tale ragione, secondo me, occorre ritenere che l’esecuzione sia già avvenuta con riferimento a tale momento. Rimane la complicazione della regola dell’ora zero, quando la sentenza dichiarativa del fallimento non rechi, oltre alla data, anche l’ora in cui è resa. Tale indicazione è, oggi, essenziale per tenere conto del fatto che la giornata lavorativa, in banca, è scandita da tempi complessi e precisi, proprio in relazione alla c.d. lavorazione dei pagamenti. Stabilire che la sentenza di fallimento deve recare l’ora gioverebbe ulteriormente alla certezza del momento in cui il pagamento deve essere considerato eseguito prima del fallimento.
Revocatoria delle rimesse in contro corrente bancario Danilo Galletti Io dovrei occuparmi in modo specifico delle rimesse bancarie che, come tutti sappiamo, sono state oggetto del disegno riformatore del 2005, poi completato con alcuni interventi successivi sulla cui pessima natura dal punto di vista tecnico, penso che ci possano essere veramente pochi dubbi. La storia invece delle esenzioni è una storia che, tutto sommato, ha fatto molto rumore all’inizio ma poi si è un po’ assopita, perché il vero intervento, la vera portata pratica della riforma dell’istituto della revocatoria, non è costituita dalla disciplina delle esenzioni: in realtà l’impatto pratico è avvenuto, si è misurato sulla falsariga del dimezzamento del
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termine per andare a ritroso nell’esercizio della revocatoria, e lì effettivamente l’impatto pratico è stato consistente; questo ha portato a una certa diminuzione di importanza di questo istituto. Adesso paradossalmente invece il termine in qualche modo è stato rivitalizzato dall’introduzione del concordato in bianco che consente di retrodatare il termine a ritroso fino alla pubblicazione della domanda nel registro delle imprese. Non sono del tutto sicuro se la “regola dell’ora zero” sia applicabile ancora o meno, ed in effetti è un problema serio: il Giudice può, almeno adesso col processo civile telematico, dare rilevanza all’ora in cui deposita il provvedimento; fino a che i provvedimenti venivano fatti sulla carta il Giudice poteva chiedere al cancelliere di apporre l’ora, ed in genere i Giudici fallimentari lo facevano, anche perché in questo modo spesso riuscivano a regolare delle situazioni molto particolari, come possono essere i casi di prevenzione fra procedure diverse (soprattutto fallimento e liquidazione coatta amministrativa). Il problema è che adesso dovremmo ragionare in termini di pubblicazione nel Registro delle Imprese, ed effettivamente lì il tempo esatto in cui la pubblicazione avviene è determinabile, anche se non è rilevabile in visura, perché in visura viene annotata soltanto la data di iscrizione; però volendo l’ora di presentazione è rilevabile tramite l’accesso diretto alle risultanze dell’operatore (CCIA). La revocatoria della rimessa bancaria, di cui all’art. 67, co. 3, lett. b), ossia l’esenzione di cui in particolare mi devo occupare, è indubbiamente quella che inizialmente attirava di più l’attenzione: una norma molto tormentata, anche perché destinata a lavorare in rapporto sinergico con l’art. 70 della legge fallimentare, norma scritta in modo abbastanza deludente, cioè una norma che parla di «atti estintivi di passività relative a rapporti reiterati continuativi», tecnica cui ormai siamo abituati. Certo è che il tentativo di contestualizzare l’esenzione di cui alla lettera b) nel resto di questo intervento normativo non ci aiuta molto, perché io, come tanti, sono convinto che sia impossibile trovare una ratio unitaria che possa ricomprendere tutte le esenzioni che sono state dettate nel 2005, e che adesso innervano il comma terzo dell’articolo 67. Non credo cioè che sia praticabile una lettura per cui queste esenzioni in qualche modo avrebbero tutte la funzione di consentire, di favorire la prosecuzione dell’attività d’impresa ai fini della ristrutturazione, perché mi sembra che alcuni casi siano manifestamente eccentrici rispetto a tale funzione; forse si possono individuare dei blocchi aggregatori, che dal punto di vista funzionale hanno in qualche modo qualcosa in comune.
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Allora forse si può pensare che l’esenzione relativa ai pagamenti nei “termini d’uso” (anche qui sull’impiego del concetto di termine tradotto in maniera letterale dall’inglese ci sarebbe molto da dire), e anche qualche altra norma, come per esempio quella sui pagamenti ai dipendenti, in realtà abbiano una funzione che in qualche modo è omogenea. La funzione non è tanto quella equitativa di consentire al fornitore di internalizzare il pagamento che in qualche modo non presenta un’anomalia: forse la funzione è piuttosto quella di ridurre, diciamo, la portata del contenzioso, e quindi in termini economici diremmo di ridurre i costi amministrativi delle liti riguardanti i pagamenti ai fornitori, in quelle situazioni in cui è molto difficile immaginare che il fornitore fosse al corrente dello stato di insolvenza di chi lo pagava, perché il fornitore, in genere, non utilizza per cautelarsi e per capire se la sua controparte è insolvente molto di più che una analisi di quella che è la storia del rapporto, e di come nei tempi recenti si è un po’ modificato il comportamento di chi paga. Quindi probabilmente quando la dinamica è ordinaria e rientra nel concetto di termini d’uso, è estremamente probabile che il fornitore non sappia dell’insolvenza, e quindi forse è meglio esentare questa fattispecie di pagamento della revocatoria, piuttosto che rischiare che sorga un rilevante contenzioso che in molti casi si risolverà in un inutile spreco di risorse. Questo sulla base di alcune suggestioni anche con il diritto comparato, in particolare con il diritto statunitense, che il Legislatore di quell’epoca teneva in considerazione. Con riferimento in particolare alla revocatoria della rimessa bancaria un’ipotesi ricostruttiva può essere quella per cui, valorizzando con una certa enfasi l’aspetto della durevolezza, e lasciando un attimo da parte quello della consistenza (che è veramente difficile contestualizzare in qualcosa che abbia un senso), facendo così riferimento implicito a ciò che informa la dottrina e la giurisprudenza sulle operazioni bilanciate, forse il Legislatore (e questa è una proposta ermeneutica chiaramente che si sforza di trovare una qualche logicità), ha voluto esentare ed eliminare dall’area della revocabilità la rilevanza di quelle situazioni in cui la banca non riceve un vantaggio effettivo dall’operazione, ovverosia l’accredito viene seguito a breve distanza di tempo (o magari ciò è già programmato fin dall’inizio, e allora il distacco temporale è relativamente poco importante), da un’operazione di utilizzo da parte del correntista; in questo modo la banca riceve un vantaggio illusorio, momentaneo, non ha una possibilità effettiva quindi di trarre un beneficio da questa operazione, e di conseguenza l’operazione non viene ricondotta all’area della revocabilità.
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Tutto questo presuppone l’impostazione teorica, che in letteratura è abbastanza presente ed è ben rappresentata, per cui la revocatoria, in realtà, è uno strumento che da un lato ha il compito di disincentivare chi deve ricevere dei vantaggi dal fallito, anche se ne avrebbe diritto, dal riceverli, perché in questo modo il fallito viene indotto a utilizzare gli strumenti che l’ordinamento giuridico gli mette a disposizione per ristrutturarsi, al fine, per utilizzare un’espressione moderna (tratta dal trattato esoterico delle Sezioni Unite del 2013), di procedere alla regolazione della propria crisi. Allora la revocatoria potrebbe, in questa impostazione, avere questa funzione di indurre il debitore a regolare la propria crisi, ricorrendo però agli strumenti giuridici che la legge gli consente. Come realizza questo obiettivo il legislatore? Andando a sterilizzare il vantaggio che riceve il terzo che entra in contatto con il fallendo riceve un vantaggio; questo vantaggio gli viene tolto, e di conseguenza l’ordinamento cerca di raggiungere questo fine; che poi ci riesca in modo efficace è un altro discorso, ma insomma, diciamo che qualche volta forse ciò si verifica. La prospettiva è completamente diversa rispetto a quella del terzo che invece assume un contegno attivo, e che magari contribuisce alla perdita e diciamo all’aggravamento dello stato di dissesto: in questo caso l’ordinamento non si accontenta di sterilizzare il vantaggio, non chiede solo indietro quello che si è ottenuto, chiede di risarcire il danno e lì, evidentemente, entriamo in un campo diverso, in cui non si ragiona più in termini di vantaggi ricevuti ma invece in termini di danno provocato. Ebbene, forse, il Legislatore ritiene che una rimessa non durevole non sia idonea a raggiungere questo scopo e quindi forse ritiene superfluo, inutile o addirittura dannoso, andare a colpire la banca con uno strumento che ha una funzione dissonante rispetto a questa particolare situazione. Aspetti benefici ce ne sono, perché tutte le problematiche che si agitavano in ordine alle operazioni bilanciate (la giurisprudenza era estremamente frastagliata, molto di più di quello che poteva sembrare dalla lettura dei manuali o delle rassegne) perdono rilevanza, e viene meno tutta una serie di problemi difficilissimi come quello delle operazioni compiute nella stessa giornata, e che venivano sempre risolti in modo estremamente empirico, pragmatico. Una cosa da sottolineare, però, è che il Legislatore non ci dice, bontà sua, che cosa vuol dire durevole: forse ha fatto bene, forse non era possibile farlo, certo la giurisprudenza si è lanciata in una serie di operazioni ermeneutiche guidate da un forse inevitabile empirismo, e questo lo si vede nelle sentenze, che sono davvero poche, ed anche questo ha un senso, chiaramente.
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Se negli anni successivi al 2005 si diceva “non ce ne sono ancora perché devono arrivare alla sentenza”, ed un Tribunale ci impiega quattro o cinque anni per fare una sentenza di primo grado, adesso che siamo a dieci anni invece forse possiamo cominciare a renderci conto che in realtà è diminuito il contenzioso in maniera cospicua, per cui di revocatorie bancarie se ne fanno davvero poche. Ecco, a me è capitato di recente, come curatore di un paio di fallimenti, di andare a vedere, fare la solita analisi sulla revocatoria anche per il termine triennale che si incominciava ad avvicinare quindi si cominciava ad avere un po’ paura, e poi devo dire che è stato estremamente singolare vedere come pure per società di grandi dimensioni, con molti conti correnti, molte banche ed attività complesse, in realtà di revocabile rimane abbastanza poco, e questo anche con un concordato in bianco precedente. Evidentemente la selezione che il Legislatore ha voluto fare è stata fatta e questo ha una portata di implicazioni sistematiche interessanti, che però non affrontiamo oggi. Certo il legislatore sulla durevolezza quindi ha detto poco, e la giurisprudenza si è lanciata in una serie di analisi prevalentemente di carattere empirico; si è lanciata anche a tirare dei termini un po’ a casaccio per cui ogni tanto si vedono sentenze che parlano di dieci giorni, sentenze che parlano incredibilmente di quarantacinque giorni, etc. Mi ricorda un po’ la situazione di diversi anni fa quando non si sapeva in che termine si poteva limitare il fallimento del socio illimitatamente responsabile, e la giurisprudenza aveva cominciato a lanciarsi andando a recuperare termini da tutte le parti per dire che erano due, cinque, tre anni e poi finalmente il Legislatore è intervenuto e ha risolto il problema. Qui non lo so se interverrà, anche perché la Commissione di riforma sta elaborando una legge delega, e dunque resta molto a livello di principi generali. Non sarebbe male, comunque, che il Legislatore rivedesse un po’ questa norma. Con riferimento alla consistenza, il problema credo che sia ancora più serio. Certo, c’è sempre la tendenza sia per la durevolezza, sia per la consistenza, a fare un’analisi dell’andamento del rapporto specifico, che secondo me è comprensibile, perché il Giudice cerca di ridurre l’ambito della sua discrezionalità, tentando di evitare che sembri arbitrio; invece l’arbitrio purtroppo c’è, ed è la legge stessa che glielo consente: è pericoloso agganciarsi troppo alla durata del rapporto, perché in questo modo si può secondo me commettere l’errore di pensare che l’esenzione della revocatoria delle rimesse funzioni un po’ come per quella dei “termini d’uso”, per cui se vi sono anomalie, se il correntista cioè ha fatto qualcosa di “anomalo”, allora si revoca, altrimenti no.
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Io invece credo che la lettera a) non c’entri niente con la lettera b), e che proprio le due funzioni siano completamente diverse, e che questa prospettiva sia anche pericolosa, nella misura in cui alla fine tende a introdurre degli elementi di carattere soggettivo nell’analisi della fattispecie, per cui si va a cercare di colpire quelle situazioni in cui l’analisi andamentale del rapporto forse rivelava alla banca un’anomalia, e quindi forse la banca sapeva che c’era lo stato di insolvenza. In realtà non è questa la funzione della norma: la conoscenza dello stato di solvenza deve essere provata comunque perché siamo in un campo in cui si applica il secondo comma e quindi il comma terzo, in realtà, difficilmente si può porre un problema di elemento soggettivo; secondo me bisogna tenerle distinte le due ipotesi, ed invece molto spesso nell’elaborazione giurisprudenziale e anche nella letteratura dedicata si nota una certa commistione tra questi piani. Bisognerebbe quindi, in relazione alla durevolezza, fare riferimento a dei canoni che non siano tanto ancorati a quello specifico rapporto, questa è una mia proposta assolutamente personale, ma che individuino quelle situazioni in cui invece è fisiologico nei rapporti tra il correntista e la banca che si sia verificato un impiego della provvista, ciò che fa capire che in realtà la banca non ha ricevuto nessun vantaggio dall’attribuzione di quell’accredito. Una cosa abbastanza importante, che forse è il caso di segnalare, e che la giurisprudenza sta percependo nelle ultime sentenze, è che parliamo sempre di impieghi da parte del cliente, ma nel caso in cui invece ci sia sì un addebito successivo all’accredito, anche dopo breve tempo, ma questo sia determinato dal fatto che il cliente estingue un suo debito verso la banca, per esempio perché restituisce un finanziamento, cosa che capita abbastanza spesso, non si può dire che la rimessa non sia durevole, nel senso che in realtà quell’impiego va a vantaggio della banca, e quindi non può essere considerato come il secondo termine di una successione di un procedimento in cui la banca viene privata di qualunque vantaggio: è il contrario, anzi in questa situazione l’utilizzo stabilizza il vantaggio della banca. Quindi, e qui la giurisprudenza sta cominciando a percepire questa situazione, queste situazioni vanno colte in modo dissonante rispetto alla formula classica dell’operazione bilanciata, ove ricevo una provvista, la utilizzo, e però passa così poco tempo fra l’una condotta e l’altra che non è possibile dire che ci sia stato un vantaggio stabile. Come all’inizio accennavo poi il tempo è una variabile che non necessariamente entra in considerazione, perché se l’operazione è già programmata dall’inizio in termini funzionali, per cui arrivano i soldi, e vengono destinati a uno specifico futuro impiego, secondo me anche se
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decorre un tempo significativo, ciononostante direi che non c’è nessun vantaggio per la banca in ogni caso, nel senso che l’operazione, funzionalmente, è già impostata in modo tale da neutralizzare, l’effettività di questa attribuzione, per cui anche se passa un mese, due mesi, io credo che tutto sommato si possa comunque esentare questa operazione dalla revocatoria fallimentare. Uno degli ultimi problemi che vanno affrontati è se sia ancora vero che la rimessa è tale soltanto se interviene sul conto “scoperto”, cioè che va al di là della concessione del fido, quindi affluisce su un conto non meramente passivo dal punto di vista contabile, ma su un conto che ha già raggiunto il massimo dell’affidamento. Questo come sappiamo fu oggetto di una serie di pronunce della Corte di Cassazione degli anni ‘80, che affermavano questo principio con una certa rigidità e con una certa determinazione. Ricordo un po’ quelle convenzioni sulla distinzione fra interesse legittimo e diritto soggettivo, frutto di un accordo preso tra i massimi organi giurisdizionali: questi accordi sono molto più stabili delle leggi, perché gli esiti interpretativi, quando si stratificano, diventano ancora più resistenti delle norme, e solo una norma veramente espressa, ma veramente esplicita, può superarli. Qui com’è la situazione? La tesi forse ancora dominante rappresentata anche da una sentenza della Cassazione del 2010, che però non va sopravvalutata, anche perché si pronunciava su una fattispecie anteriforma, la tesi dominante dicevo, che anch’io in un primo momento seguii, era nel senso per cui si tratta di un’esenzione: si parla di rimesse, e quindi di qualcosa che eccettua qualcos’altro che altrimenti rientrerebbe nel secondo comma. Il concetto di “rimessa” è sempre stato ricostruito in termini di scopertura del conto, e quindi la esenzione dovrebbe andare semplicemente a togliere qualcosa alla regola generale, che resterebbe quella del pagamento su conto scoperto; è una tesi indubbiamente lineare. Poi però ho cominciato a riflettere, anche perché ho visto che la giurisprudenza di merito recente sta andando con una certa determinazione su un terreno decisamente diverso; ci sono delle pronunce, in particolare di Tribunali del Nord-Est, che sono anche estremamente argomentate, e che con grande convinzione dicono il contrario, e che invece non si può più distinguere tra conto scoperto e conto semplicemente passivo: quindi qualunque rimessa, rectius qualunque accredito contabile, potrebbe integrare questa situazione normativa che abbiamo esaminato. Forse, dal punto di vista letterale, gli indizi sarebbero estremamente equivoci, perché potremmo leggere e rileggere più volte l’art. 67 e l’art.
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70, ed alla fine troveremmo sempre indicazioni di carattere estremamente equivoco: si parla a volte di pretese, si parla di debito, ed allora sì, è vero che in un conto corrente aperto il saldo è esigibile solo da parte del cliente, mentre non è esigibile da parte della banca, quindi forse è vero quello che qualcuno dice, per cui parlare di pretese, di debito, vuol dire che siamo già in una situazione che è andata sull’extrafido, altrimenti non ci potrebbe essere un debito, e non ci potrebbe essere tecnicamente una pretesa. Forse è però un’enfasi un po’ eccessiva su un dato letterale che del resto è inquinato dai gap tecnici di redazione che abbiamo visto prima, e questo è il contraltare di quello che dicevamo. Anche poi utilizzare troppo l’argomento letterale quando si ha a che fare con delle norme che sono palesemente scritte in modo molto discutibile dal punto di vista tecnico, è forse poco consapevole di quella che è la tecnica normativa, e forse è anche sbagliato. Forse bisogna ricorrere più ad argomenti di tipo funzionale, e forse proprio quella ricostruzione, quella proposta ricostruttiva che ragiona in termini di sterilizzazione del vantaggio per la banca, può produrre un ulteriore argomento a favore della tesi per cui il concetto di rimessa potrebbe ormai prescindere dalla distinzione tra conto scoperto e conto passivo. Onere della prova: chi deve dimostrarlo? Beh, sicuramente l’avvocato della curatela prudente si sforzerà anche di allegare e di far vedere che la riduzione è stata consistente e durevole. La tesi prevalente in giurisprudenza sembrerebbe in un senso per cui invece è oggetto di una vera e propria eccezione semmai la pretesa di fare applicazione del comma terzo. Tutto sommato, è questa la tesi più lineare. Quindi si tratterebbe di un’eccezione, addirittura in senso stretto, non in senso lato, per cui essa non sarebbe neanche rilevabile d’ufficio, ma piuttosto un vero e proprio fatto impeditivo che dovrebbe essere allegato dalla banca nel giudizio di revocatoria. In realtà la prassi operativa è molto più variegata di quello che può sembrare dalle sentenze pubblicate, e non so se questa tesi è proprio molto convincente. Forse se il comma terzo, lett. b), ha in qualche modo un po’ rimodulato la fattispecie in questione, chissà che forse non abbia introdotto degli elementi che sono in realtà di natura costitutiva, e quindi che vanno forse a caratterizzare, non saprei se come fatti primari o fatti secondari, la causa petendi del giudizio. Poi forse si potrebbe discutere se ci siano fatti che sono più aderenti alle conoscenze della banca o fatti che sono più aderenti alle conoscenze
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del fallimento: evidentemente la prima opzione è più probabile, e quindi c’è da domandarsi se non si possa fare riferimento, nella ripartizione dell’onere della prova, al principio di contiguità, di vicinanza alla prova. Ho l’impressione che forse si possa arrivare a dire che non è un’eccezione in senso stretto, ma che i fatti rilevanti forse li deve provare lo stesso la banca, proprio perché è più vicina alla disponibilità dell’oggetto della prova. Ultime due cose telegraficamente: si applica l’esenzione anche al primo comma? Si applica anche alle forme di revocatoria, o comunque di inefficacia previste dagli articoli 64-65 l.fall. ? Si applica alla revocatoria ordinaria? Ecco, a mio avviso, anche qui gli argomenti di carattere letterale non vanno sopravvalutati. È vero che l’ultimo comma dell’articolo 67, con riferimento alle operazioni su pegno e credito fondiario, dice «le disposizioni di questo articolo non si applicano» invece il comma terzo fa riferimento «non sono soggetti all’azione revocatoria», ed allora l’esenzione di quel comma terzo sembrerebbe avere un contenuto potenzialmente più ampio rispetto all’ultimo comma, che fa riferimento solo a questo articolo, e quindi all’art. 67. Personalmente credo che in realtà le figure di revocatoria estranee all’art. 67, co. 2, c’entrino poco con la lettera b), ciò che per una serie di considerazioni su cui adesso forse non è neanche il caso di diffondersi troppo: ho l’impressione che in realtà le figure di revocatoria estranee rispetto alla revocatoria dei pagamenti debbano operare in maniera autonoma e indipendente, altrimenti certe operazioni che sono estremamente pericolose, per cui per esempio la banca concede un finanziamento ipotecario al cliente, però la provvista viene utilizzata per estinguere un credito preesistente chirografario del cliente, attraverso una serie di giroconti, o addirittura sullo stesso conto, credo che il Legislatore non volesse che queste fattispecie venissero ricondotte alle esenzioni in questione. Ultima cosa: è possibile che operino in concorso fra di loro le varie esenzioni? Cioè, è possibile che la lettera a) venga utilizzata per esentare delle situazioni in cui il test condotto alla luce della lettera b) è già stato superato in senso negativo per la banca? E altra ipotesi: si può immaginare che una volta testato il risanamento l’ accordo di ristrutturazione preveda delle operazioni che vengono condotte su un conto corrente bancario e che queste operazioni possono essere esentate da revocatoria a prescindere dai presupposti della lettera b), ma perché integrati in un piano attestato dagli accordi di ristrutturazione? Io credo che qui ci sia poco spazio per sovrapporre lettera a) e lettera b), cioè credo che sia abbastanza difficile mettere insieme la lettera a) e la lettera b), non perché sia comune la ratio, perché come
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vedevamo prima secondo me sono estremamente differenziate le due situazioni, quindi nella lettera a) la funzione della norma è di evitare un giudizio in una situazione in cui è molto probabile che il fornitore e il partner non sapessero dell’insolvenza. La lettera b) si colloca invece in un piano diverso, però fatico a non vedere la lettera b) coma una norma che ha una specialità forte in questo contesto, per cui tutto quello che riguarda l’operatività ordinaria del conto corrente a esaminata dal punto di vista della lettera b), non della lettera a), che riguarda altre situazioni. Invece per il piano attestato e per l’accordo di ristrutturazione io credo che ciò sia possibile, quindi se vengono ipotizzati dei rientri in un piano attestato che sicuramente andrebbero oltre la durevolezza e la consistenza, ma sono espressamente previsti nel piano che è stato attestato, o nell’accordo che è stato omologato, io credo che a questo punto si possa dire che opera l’esenzione specifica relativa al tentativo di risanamento, anche se la lettera b) dovrebbe condurre a un risultato sfavorevole per la banca perché è completamente diversa la funzione della norma. Il piano attestato si pone in una prospettiva di regolazione della crisi, invece la lettera b) si pone in una prospettiva di gestione del rapporto secondo la logica ancora ordinaria di continuità da parte delle parti.
Presidente Un ringraziamento anche a Danilo Galletti. Colpisce il dato quantitativo di radicale riduzione del contenzioso in tema di revocatorie, con sostanziale beneficio soprattutto per le banche; sembra, dunque, che non sia più vero l’adagio in passato ripetuto da molti secondo cui “i costi dei fallimenti si pagano con i soldi delle banche”. Mi consentirete due notazioni, la prima certamente marginale: Galletti ci ha detto che la conoscenza dello stato di insolvenza dovrebbe essere provata dal curatore, ma che, invece, il giudice con ragionamenti induttivi e, spesso, molto discutibili, finisce per presumere tale conoscenza da parte di alcuni soggetti nei cui confronti è esercitata la revocatoria. Ebbene direi: nulla di nuovo sotto il sole, tali ragionamenti in giurisprudenza sono consolidati, non può stupire che essi siano ripetuti anche in relazione a disposizioni nuove più favorevoli alle banche. Galletti ci ha anche detto di un suo ripensamento che lo porta ad affermare che “non si può più distinguere tra conto scoperto e conto semplicemente passivo”. La sua osservazione mi trova d’accordo, anzi già l’ebbi a sostenere nel lontano 1987. Vorrei, però, aggiungere che
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occorrerebbe tenere conto del fatto che, in via regolamentare, è stata introdotta quella che viene chiamata l’istruttoria veloce per la concessione (o per l’ampliamento) del fido; mi sembra che in tale modo si dia una qualche veste formale allo scoperto di conto corrente, sicché a maggior ragione non si potrà distinguere tra conto scoperto e quello passivo.
Anticipazioni su crediti e concordato preventivo* Vincenzo Caridi 1. Le operazioni di anticipazione su crediti, o — come pure si dice — di smobilizzo di crediti commerciali, sono state da sempre uno dei temi “caldi” del dibattito in ordine ai rapporti tra operazioni bancarie e procedure concorsuali. Per rendersene conto basta leggere gli atti del convegno intitolato appunto “Operazioni bancarie e procedure concorsuali”, che proprio il Ce.Di.B. organizzò a Verona nel lontano 19851. In quell’occasione ben tre contributi ebbero ad oggetto questioni che riguardano da vicino il tema in questione2, al quale peraltro ampio rilievo fu dato anche nella relazione introduttiva3. Certo, la cornice normativa in cui i citati interventi si collocavano imponeva che il tema fosse affrontato guardando in prevalenza alle ricadute sulle operazioni in parola dell’apertura a carico del sovvenuto della procedura fallimentare4, lasciando in secondo piano le implicazioni della sottoposizione del medesimo
* Successivamente al momento in cui si è tenuto l’incontro di studio, il d.l. n. 83/2015 (convertito, con modificazioni, con la l. n. 132/2015) è intervenuto sulla legge fallimentare interessando anche talune delle questioni affrontate da questa relazione. Di tali modifiche si darà conto nelle note. 1 Gli atti del convegno sono pubblicati, all’interno della collana “Studi” del Ce.Di.B., in Operazioni bancarie e procedure concorsuali, a cura di Maccarone e Nigro, Milano, 1988. 2 Mi riferisco alle relazioni di Angelici e Bussoletti (Garanzie bancarie proprie ed improprie e procedure concorsuali, in Operazioni bancarie e procedure concorsuali, a cura di Maccarone e Nigro, cit., p. 55 ss.); di Cavalli (Osservazioni in tema di sconto cambiario e procedure concorsuali, ivi, p. 127 ss.); di Portale e Dolmetta (Profili della cessione dei crediti in garanzia, ivi, p. 255 ss.). 3 F. Martorano, Operazioni bancarie e procedure concorsuali: considerazioni introduttive, in Operazioni bancarie e procedure concorsuali, a cura di Maccarone e Nigro, cit., p. 17 ss. 4 Per uno sguardo sul rapporto tra sconto bancario e fallimento nel sistema previgente
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soggetto a quelle che allora (coerentemente con il sistema) venivano dette “procedure minori”5. Orbene, i risultati raggiunti nell’ambito dell’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale su quel versante, unitamente al mutamento del panorama normativo, che ormai indubitabilmente fa registrare se non proprio un capovolgimento, quantomeno un riassetto dei rapporti tra fallimento e concordato preventivo6, rendono oggi opportuno indagare i riflessi delle procedure concorsuali sulle operazioni di anticipazione su crediti mutando punto di osservazione: sostituendo cioè a quella fallimentare la prospettiva concordataria. Così interpretato il compito assegnatomi, preciso subito che, benché i repertori giurisprudenziali pongano oggi al centro del dibattito la questione degli effetti del concordato preventivo (e segnatamente della presentazione di una domanda di concordato c.d. “in bianco”) su una specifica operazione di anticipazione su crediti, ossia quella avente ad oggetto ricevute bancarie e fatture o, come pure si dice, “carta commerciale” — dibattito stimolato in particolare dall’introduzione nella legge fallimentare dell’art. 169-bis, ai sensi del quale è consentito al debitore di chiedere la sospensione o lo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione alla data della presentazione del ricorso per concordato preventivo7 —, pur non prescindendone, non intendo qui occuparmi spe-
alla riforma fallimentare, v. Cavalli, Lo sconto, in Capaldo e Cavalli, Contratti bancari. 2. Il credito documentario – Lo sconto, Milano, 1993, p. 335 ss.; nella letteratura recente, v. Costa, Lo sconto bancario, in I contratti per l’impresa. II. Banca, mercati, società, a cura di Gitti, Maugeri, Notari, Bologna, 2012, p. 87 ss. 5 Va peraltro dato conto del fatto che, pur non rappresentando l’obiettivo principale della riflessione, anche il rapporto tra operazioni bancarie e “procedure minori” era oggetto di una certa attenzione: e v., ad esempio, per restare al già citato convegno organizzato dal Ce.Di.B., Cavalli, Osservazioni, cit., p. 127 ss.; nonché Cavalli, Lo sconto, cit., p. 337 ss. 6 Tanto che è stato autorevolmente sottolineato, che il concordato preventivo «si avvia a divenire, nel sistema, la procedura “principe”»: Nigro, Anticipazione su crediti e concordato preventivo, in Dir. banc., 2013, I, p. 173. 7 E v. ad esempio, Nigro, Anticipazione su crediti e concordato preventivo, cit., I, p. 173 ss.; Caridi, Anticipazione su crediti, concordato preventivo e art. 169-bis l.fall. (Osservazioni a Trib. Milano, 18 maggio 2014; App. Genova, 10 febbraio 2014; App. Brescia, 19 maggio 2013), in Dir. banc., 2014, I, p. 507 ss.; Frigeni, Linee di credito «autoliquidanti» e (pre)concordato preventivo, in Società, banche e crisi di impresa. Liber amicorum Pietro Abadessa, diretto da Campobasso, Cariello, Di Cataldo, Guerrera, Sciarrone Alibrandi, vol. 3, Torino, 2014, p. 3045 ss. In generale sull’art 169-bis, si veda Fimmanò, sub art. 169-bis, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei
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cificamente di tale questione, sembrandomi più opportuno impostare il discorso in termini generali, nel tentativo di individuare le coordinate alla stregua delle quali fornire soluzione anche ai molti altri profili problematici sollevati dal tema in esame. In questa prospettiva, suddividerò il mio intervento in tre parti: una prima parte sarà dedicata all’inquadramento della fattispecie “anticipazione su crediti”, o meglio delle diverse fattispecie sussumibili in tale nozione; una seconda parte sarà dedicata agli effetti della procedura di concordato preventivo su tali fattispecie, sul presupposto della preesistenza delle stesse alla produzione di quegli effetti; una terza parte sarà infine dedicata a dar conto delle questioni che si pongono quando una operazione di anticipazione su crediti sia conclusa dopo l’apertura della procedura, distinguendo il caso in cui l’operazione si perfeziona in esecuzione del piano concordatario da quello in cui l’operazione si perfeziona indipendentemente da questo. 2. L’espressione “anticipazione su crediti”, sebbene talvolta utilizzata per indicare una specifica tipologia di operazione bancaria, anche detta anticipazione su fatture o su ricevute o anche anticipazione autoliquidante8, intesa in senso ampio, designa in realtà uno schema negoziale comune a diverse operazioni bancarie, le quali possono ricondursi alla categoria delle operazioni di smobilizzo dei crediti di impresa9. Uno
debiti. Commento per articoli, a cura di Nigro, Sandulli, Santoro, Torino, 2014, p. 206 ss. 8 La struttura di tali operazioni è efficacemente descritta da Nigro, Anticipazione, cit., p. 174, che così la sintetizza: «la banca concede al cliente un finanziamento commisurato a crediti non ancora scaduti che il medesimo ha verso terzi; il cliente conferisce alla banca il mandato ad incassare per suo conto i suddetti crediti alla scadenza; nella convenzione si attribuisce alla banca il diritto di “trattenere” le somme riscosse, per soddisfare il suo credito da finanziamento (è il c.d. “patto di compensazione”); di regola sia l’anticipazione sia gli importi riscossi vengono fatti confluire in un conto corrente preesistente o appositamente stipulato». 9 Il rilievo si può ritenere condiviso: e v. Nigro, Anticipazione, cit., p. 174, che espressamente colloca l’anticipazione su crediti (o su fatture o su ricevute) nell’ambito della «categoria più ampia delle operazioni di smobilizzo dei crediti commerciali (a cui appartiene anche lo sconto)». In senso analogo si esprimono, d’altra parte, tutti quegli autori che sottolineano come la funzione di liquidità sia sottesa ad una ampia serie di figure negoziali, le quali trovano tutte, in quale modo, la propria matrice nello sconto: così Borroni e Oriani, Le operazioni bancarie, Bologna, 1997, p. 129; Ginevra, Il c.d. “mandato irrevocabile all’incasso” della prassi bancaria, in Banca, borsa, tit. cred., 2000, I, p. 173 ss.; Perassi, Lo sconto, in Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, vol. VI, La banca: l’impresa e i contratti, Padova, 2001, p. 629 ss.; Cavalli, Lo sconto bancario, in Cavalli e
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schema che, nel suo contenuto essenziale, prevede: a) l’erogazione di una somma di danaro da parte della banca a favore di un proprio cliente; b) nonché una relazione qualificata di tale erogazione con un credito che il sovvenuto vanta verso terzi, la quale, in definitiva, si risolve nel fatto che l’ammontare dell’erogazione, così come il corrispettivo dell’operazione, è parametrato al valore di detto credito e che il rimborso alla banca è destinato a realizzarsi, almeno in una prospettiva fisiologica, attraverso l’incasso di quest’ultimo. A. Lo schema appena descritto si ritrova innanzi tutto nello sconto, ossia in quell’operazione bancaria tipica, con la quale, ai sensi dell’art. 1858 c.c., la banca anticipa al cliente, previa deduzione di un interesse, l’importo di un credito non ancora scaduto che il cliente vanta verso terzi, a fronte della cessione, salvo buon fine, di detto credito10. Il medesimo schema, come già sottolineato, è poi comune a tutte quelle figure negoziali atipiche, di larga diffusione nella prassi, alle quali per comodità mi riferirò come “sconto improprio”11, in cui l’anticipazione della banca, anche in questo caso pari all’importo di un credito a scadere del cliente verso terzi decurtato di un interesse (oltre che delle commissioni), non avviene a fronte della cessione di detto credito, ma semplicemente a seguito della positiva valutazione dell’affidabilità del cliente stesso, operata sulla base di documenti probatori del credito in quesitone (ricevute bancarie; fatture commerciali, ma anche tratte non accettate) che vengono consegnati alla banca e che questa utilizza, in forza di apposito mandato,
Callegari, Lezioni sui contratti bancari2, Torino, 2011, p. 193 ss.; Costa, Lo sconto, cit., p. 81 ss. Sul punto v., recentemente, anche Frigeni, Linee di credito, cit., p. 3056 s. 10 La letteratura sullo sconto bancario è imponente e non è certo questa la sede per operarne una compiuta rassegna. Proseguendo nel discorso si farà peraltro riferimento alle opere più significative nei limiti in cui ciò risulterà necessario ai fini che qui interessano. Per i riferimenti bibliografici essenziali si veda comunque Costa, Lo sconto, cit., p. 79. 11 L’espressione, comunemente utilizzata in dottrina (e v. Costa, Lo sconto, cit., p. 87; nonché le diverse rassegne in tema di sconto, a cura di Caridi, pubblicate nella Giurisprudenza bancaria del Ce.Di.B.), da un lato, mediante l’uso del termine «sconto», recependo la terminologia con la quale normalmente si designano anche queste operazioni, intende evocare tanto la funzione quanto la struttura dell’operazione bancaria tipica di cui all’art. 1858 c.c., dall’altro, precisando che il termine è utilizzato in senso «improprio», vuole sottolineare che nel caso di specie manca quello che, come la giurisprudenza ormai costantemente ribadisce (cfr. Cass., 5 luglio 2007, 15225, in Rep. Foto it., 2008, voce Contratti in genere, 337; Cass., 6 febbraio 1999, n. 1041, in Banca, borsa, tit. cred., 2000, II, 384), è l’elemento caratterizzante della fattispecie legale dello sconto bancario, ossia la cessione dallo scontatario alla banca della titolarità di un credito.
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per incassare il relativo credito in nome e per conto del cliente, procedendo poi, sulla base di un patto implicito od esplicito, a compensare il debito che per effetto di detto incasso sorge in capo alla stessa nei confronti del mandante con il preesistente credito vantato verso il medesimo in forza dell’anticipazione effettuata in suo favore12. Infine, lo schema in parola si ritrova nel factoring, ossia in quella figura “tipica” di cessione di crediti a titolo oneroso, disciplinata dalla l. n. 52/19913, che si ha quando cedente è un imprenditore, cessionario una banca o un intermediario finanziario e i crediti oggetto di cessione, i quali possono essere anche futuri ed individuati in massa (in tal caso, dovendo
12 Patto normalmente identificato come “patto di annotazione e di elisione”, a sottolineare che quando l’anticipazione avviene, come di norma accade, in conto corrente, la compensazione si realizza mediante annotazione in conto ed elisione di partite di segno opposto, rappresentate, da un lato, dall’addebito della somma anticipata e, dall’altro, dall’accredito della somma incassata dalla banca in esecuzione del mandato ricevuto dal cliente. 13 Invero, il termine factoring designa un fenomeno negoziale ben più ampio di quello preso in considerazione dalla l. n. 52/1991 [per la quale il contratto in questione è essenzialmente una operazione a contenuto finanziario: e v. ora l’art. 1, co. 2, lett. f), t.u.b., che lo riconduce alle operazioni di prestito], tanto che la giurisprudenza continua a identificarlo come una fattispecie negoziale atipica. Un fenomeno che, sulla scorta dell’esperienza statunitense in cui è stato forgiato, riunisce in un’unica fattispecie negoziale una serie di servizi che si sostanziano nella gestione dei crediti di impresa, la quale, a sua volta, si risolve o può risolversi: nella tenuta della contabilità; nell’incasso e gestione del contenzioso; nell’anticipazione dell’importo del credito; nell’assunzione del rischio di insolvenza del debitore (in argomento, v. G.F. Campobasso, Diritto commerciale. 3. Contratti. Titoli di credito. Procedure concorsuali4, a cura di M. Campobasso, Torino, 2008, p. 153 s.; nonché per una approfondita disamina del profilo negoziale che emerge dai formulari, Laudonio, Il factoring, in Le modificazioni soggettive del rapporto obbligatorio, a cura di Bossetti, Torino, 2010, p. 201 ss.). Qualora si guardi alla l. n. 52/1991 in una prospettiva diacronica, peraltro, lo scarto tra la figura tipica o legale del contratto di factoring e il c.d. factoring «atipico» [per questa terminologia v. Vigo, Il «factoring», in I contratti per l’impresa. I. Produzione, circolazione, gestione, garanzia, a cura di Gitti, Maugeri, Notari, cit., p. 196, nt. 7], oltre che sul piano oggettivo, si può apprezzare anche sul piano soggettivo. Da questo punto di vista, infatti, viene in evidenza il progressivo restringimento dell’ambito soggettivo di applicazione di tale legge, realizzatosi, in un primo momento, a seguito della entrata in vigore del t.u.b. (d.lgs. n. 385/1993), che ha limitato lo svolgimento delle attività finanziarie agli intermediari individuati dall’art. 106 del medesimo Testo unico, e, successivamente, per effetto della modifica in senso restrittivo del perimetro soggettivo di tale ultima disposizione, ad opera del d.lgs. n. 239/2010: per un tale rilievo, v. ancora Vigo, Il «factoring», cit, p. 196. Ai fini che interessano in questa sede viene evidentemente in rilievo la figura “tipica” e comunque il factoring avente valenza finanziaria.
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però la relativa fonte negoziale venire ad esistenza entro ventiquattro mesi dalla cessione, all’atto della quale dovrà comunque essere identificato il debitore ceduto), sono sorti nell’esercizio dell’attività imprenditoriale. Anche in questo caso, salvo patto contrario, la cessione è pro solvendo e il factor, almeno di norma, anticipa al cliente una somma di danaro commisurata al valore dei crediti ceduti ridotta (oltre che delle eventuali commissioni) di una misura percentuale stabilita in relazione al tempo intercorrente tra l’anticipazione e la scadenza dei crediti anticipati. Ora, a dispetto della differente modalità di “utilizzo” del credito (cessione o piuttosto mandato ad incassare) e delle differenze in punto di tipologia dei crediti “utilizzati” (certi e liquidi, ma non anche esigibili perché a scadere, nello sconto in senso tecnico e nel c.d. “sconto improprio”; futuri e comunque individuati solamente con riferimento al debitore, nel factoring), le figure negoziali che ho appena sinteticamente descritto condividono non solo la struttura di fondo, ma anche la funzione economica: tutte infatti consentono al cliente di procurarsi una somma di danaro “utilizzando” uno o più crediti vantati verso terzi; anzi, attesa la stretta correlazione che vi è tra ammontare della erogazione e valore dei crediti in questione, si può dire che la funzione economica di tutte le figure in discorso è quella di permettere al cliente di liquidare quella parte dell’attivo del proprio patrimonio corrispondente a crediti a scadere o futuri, in maniera più celere rispetto all’incasso presso il debitore ed alla scadenza (come avviene nello sconto in senso tecnico e in quello che abbiamo definito “sconto improprio”) o addirittura prima che vengano ad esistenza e comunque individuandoli esclusivamente tramite il riferimento al debitore ceduto (come avviene nel factoring). B. La constatata sostanziale identità delle fattispecie in discorso, tanto sul piano dello schema negoziale di fondo quanto sul piano funzionale, permette di compiere il passo successivo verso l’inquadramento giuridico delle stesse, muovendo da quella che in qualche modo ne rappresenta il modello, ossia l’operazione bancaria tipica disciplinata dall’art. 1858 c.c.14. Il passaggio è particolarmente rilevante ai fini del discorso
14 Sebbene la figura negoziale in parola, sul piano applicativo, abbia nel tempo perso la centralità che originariamente rivestita nell’ambito delle operazioni per lo smobilizzo dei crediti di impresa (e v., anche per una identificazione delle ragioni di tale processo, Terranova, voce Sconto bancario, in Enc. dir., XLI, Milano, 1989, p. 771 ss.; nonché Perassi, Lo sconto, cit., p. 630 s.), sul piano sistematico e dunque ricostruttivo la stessa mantiene ancora oggi un rilievo centrale, rappresentando la matrice dalla quale, quantomeno da un punto di vista funzionale, promanano le diverse figure sviluppatesi, per un verso,
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che si sta svolgendo perché proprio nella qualificazione della fattispecie si annidano le ragioni di alcuni fraintendimenti che emergono dalla giurisprudenza in argomento, con ricadute anche e proprio ai fini che qui in particolare interessano. Al riguardo occorre rilevare che, sebbene in dottrina si sia progressivamente affermata la tesi che, facendo leva sulla funzione economica e, soprattutto, valorizzandone la tipicità negoziale, riconosce nello sconto un «contratto di liquidità»15, da intendersi come unitaria operazione in cui il cliente ottiene dalla banca moneta attuale scambiandola con liquidità futura, rappresentata dai crediti oggetto di cessione, la giurisprudenza, invero con qualche rara eccezione16, mostra di prediligere l’idea, per lungo tempo largamente prevalente anche in dottrina, secondo la quale lo sconto sarebbe un contratto di prestito, cui è funzionalmente collegata ex lege una cessione di credito pro solvendo17. Soluzione questa che,
nella prassi bancaria (quali, ad esempio, la c.d. anticipazione su portafoglio s.b.f.), e, per altro verso, sul piano normativo (come è nel caso della cessione dei crediti di impresa di cui alla l. n. 52/1991). Dello sconto come dell’archetipo delle operazioni self liquidating hanno parlato Borroni e Oriani, Le operazioni bancarie, cit., p. 129. 15 P. Ferro-Luzzi, Lo sconto bancario, in Le operazioni bancarie, a cura di Portale, tomo II, Milano, 1978, p. 756 ss.; Maccarone, I contratti bancari di liquidità, in Dir. banc., 1987, I, p. 35 ss.; Terranova, voce Sconto bancario, cit., p. 783; Cottino, Diritto commerciale2, II-1, 1992, p. 115 s.; Morera, Il fido bancario. Profili giuridici, Milano, 1998, p. 149; G.F. Campobasso, Diritto commerciale, cit., p. 119 s.; Perassi, Lo sconto, cit., p. 632 e p. 637; Angelici, Diritto commerciale, vol. 1, 2003, p. 156; Maimeri, Cessione dei crediti in garanzia e mandato irrevocabile all’incasso, in Trattato dei contratti, diretto da Rescigno e Gabrielli, I contratti di garanzia, a cura di Mastropaolo, Milano, 2006, p. 889 ss.; Costa, Lo sconto, cit., p. 80. 16 E v., in particolare, Cass., 11 agosto 2000, n. 10689, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, II, 30, con nota di Romano, Lo sconto bancario come contratto di liquidità; nonché Cass., 25 maggio 1994, n. 5094, in Giur. comm., 1994, II, p. 759, che, come segnala Perassi, Lo sconto, cit., p. 633, nt. 12, in un obiter dictum, ha qualificato lo sconto come strumento attraverso il quale l’impresa si procura liquidità. 17 Così, Cass., 7 febbraio 1991, n. 1295, in Dir., fall., 1991, II, 407; Cass., 16 marzo 1991, 2821, ivi, 407; Cass, 15 maggio 1990, n. 4163, ivi, 1990, I, 2571; Cass., 18 luglio 1986, n. 4630, in Giust. civ., 1987, I, 598, con nota di Lipari; Cass., 30 maggio 1978, n. 2737, Banca, borsa, tit. cred., 1979, II, 1 (invero senza soffermarsi particolarmente sulla dimostrazione di tale inquadramento); Cass., 15 novembre 1976, n. 4223, in Giust. civ., 1977, I, 16. La tesi è rimasta per lungo tempo prevalente anche in dottrina: e v. Molle, I contratti bancari, in Tratt. dir. civ. comm., diretto da Cicu e Messineo, XXXV, tomo I, Milano, 1981, p. 397 ss.; nonché, ex multis, Fe. Martorano, voce Sconto bancario, in Nov. dig. it., XVI, Torino, 1969, p. 782 ss.; Fiorentino, Del conto corrente. Dei contratti bancari, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Libro IV, Delle obbligazioni (artt. 1823-1860), Bologna-Roma, 1972, p. 170 ss. È invece rimasta minoritaria, tanto in
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disarticolando il negozio in due componenti, fa sorgere immediatamente l’ulteriore problema della qualificazione di ciascuna di esse. Un problema che, in dottrina, è stato risolto, quanto al prestito, mediante il riferimento al mutuo (con la precisazione che, consistendo lo sconto nell’anticipazione di un credito verso terzi, si dovrebbe parlare, come è stato sottolineato, di un prestito di «secondo grado»)18 e, quanto alla cessione di credito, qualificandola o, ai sensi dell’art. 1198 c.c., come pagamento19 o come negozio avente funzione di garanzia20, in tale ultimo caso invero non senza sollevare qualche dubbio in punto di compatibilità con la qualifica di partenza (ossia quella di cessione pro solvendo)21. Ciò
dottrina quanto, e soprattutto, in giurisprudenza, l’antica opinione che riconosce nello sconto un contratto di scambio, e segnatamente un sottotipo di compravendita avente ad oggetto crediti o titoli di credito, con assunzione di garanzia per l’inadempimento da parte del venditore: in dottrina, la tesi è stata originariamente sostenuta da Arena, Lezioni di diritto commerciale: introduzione allo studio del diritto commerciale, titoli di credito e contratti bancari, Messina, 1947, p. 250 ss., nonché da Minervini, Lo sconto bancario, Napoli, 1949 ed è stata poi ripresa da Panzarini, Lo sconto dei crediti e dei titoli di credito, Milano, 1984; ma vedi pure Galgano, Diritto civile e commerciale, vol. II, tomo 2, Padova, 1999, p. 169; in giurisprudenza, un tale inquadramento sembra presupposto da Cass., 11 maggio 1957, n. 1659, in Giust. civ., 1958, I, 1116. 18 Così, Cass., 15 novembre 1976, n. 4223, in Giust. civ., 1977, I, 16; nonché Molle, I contratti, cit., p. 397. L’espressione invero era già utilizzata nella Relazione al progetto di codice di commercio (n. 102). 19 Molle, I contratti, cit., p. 399; Fiorentino, Del conto corrente, cit., p. 169; Perassi, Lo sconto, cit., p. 633. 20 Così, Gatta, Il contratto di sconto secondo le nuove disposizioni del codice civile, Napoli, 1942, p. 26; Angeloni, Lo sconto, in Banca, borsa, tit. cred., 1964, I, p. 347 ss.; G. Ferri, Manuale di diritto commerciale12, a cura di Angelici e G. B. Ferri, Torino, 2008, p. 840. Sul punto, tuttavia, premesso che vi è ormai concordia sulla ammissibilità della cessione di credito a scopo di garanzia anche e proprio in relazione alla neutralità causale della cessione di credito [e v., nella manualistica recente, D’amico, Alienazioni a scopo di garanzia, in I contratti per l’impresa. I. Produzione, circolazione, gestione, garanzia, a cura di Gitti, Maugeri, Notari, cit., p. 593 ss., ove anche riferimenti bibliografici], va sottolineato, per un verso, che la cessione dei crediti o è “pro solvendo”, avendo allora una funzione solutoria, o è “in garanzia” (e v. sul punto Dolmetta e Portale, Profili della cessione, cit., p. 258, testo e nt.10), e, per altro verso, che la qualificazione di una certa cessione di credito come “a scopo di garanzia”, proprio per effetto della rilevata neutralità causale della cessione del credito, presuppone esplicitata tale scelta, a seconda dei casi, a livello positivo ovvero da parte dei contraenti, in difetto non potendosi presumere che il negozio sia cavendi causa. 21 Premesso, infatti, che vi è ormai concordia sulla ammissibilità della cessione di credito a scopo di garanzia anche e proprio in relazione alla neutralità causale della cessione di credito [e v., nella manualistica recente, G. D’amico, Alienazioni a scopo di garanzia, in Gitti, Maugeri, Notari (a cura di), I contratti per l’impresa. I. Produzione,
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nondimeno è proprio quest’ultima la tesi che sembra oggi prediligere la giurisprudenza, come emerge da quelle sentenze nelle quali si esclude che la cessione di un credito pro solvendo, se attuata nell’ambito di un contratto di sconto, possa essere qualificata come mezzo anormale di pagamento da parte del cedente e conseguentemente assoggettata a revocatoria fallimentare, sulla scorta dell’idea che, in tal caso, la cessione non integra adempimento del debito di restituzione gravante sul cedente nei confronti della banca e non ha dunque funzione solutoria, essendo piuttosto finalizzata a garantire che quella restituzione avvenga al momento in cui il credito verrà a scadenza22. La differenza tra la ricostruzione che prevale in dottrina (sconto quale unitario «contratto di liquidità») e quella che invece prevale in giurisprudenza (sconto quale negozio complesso, composto da un mutuo cui è funzionalmente connesso una cessione di credito a scopo di garanzia) assume particolare rilievo ai fini del discorso che si sta svolgendo. Per rendersene conto basta porre attenzione al fatto che se si riconosce nello sconto un unitario «contratto di liquidità», la banca scontante potrà dirsi creditrice dello scontatario per il rimborso di quanto anticipato solo nel caso in cui il debitore ceduto sia rimasto inadempiente. Fino a quel momento l’erogazione di danaro effettuata dalla banca scontante non genera alcun credito da rimborso, conservando la natura di anticipazione in senso proprio di un credito che le viene contestualmente ceduto e che la banca incasserà a scadenza, avendo previamente ammortizzato il costo finanziario dell’operazione nel momento in cui ha corrisposto allo scontatario una somma inferiore rispetto all’ammontare del credito di cui si è resa cessionaria. Tuttavia, realizzandosi la cessione in parola, almeno di norma, «salvo buon fi-
circolazione, gestione, garanzia, cit., p. 593 ss., ove anche riferimenti bibliografici], va sottolineato, per un verso, che la cessione dei crediti o è “pro solvendo”, avendo allora una funzione solutoria, o è “in garanzia” (e v. sul punto Dolmetta e Portale, Profili della cessione dei crediti in garanzia, cit., p. 258, testo e nota 10), e, per altro verso, che la qualificazione di una certa cessione di credito come “a scopo di garanzia”, proprio per effetto della rilevata neutralità causale del negozio, presuppone esplicitata tale scelta, a seconda dei casi, a livello positivo ovvero da parte dei contraenti, in difetto non potendosi presumere che il negozio sia cavendi causa. Ed è appena il caso di sottolineare che, per quanto specificamente riguarda lo sconto bancario, una tale opzione legislativa non può essere riconosciuta nel fatto che, ai sensi dell’art. 1858 c.c., la cessione del credito, in difetto di patto contrario, è qualificata ex lege «salvo buon fine». 22 Cfr. Cass., 19 ottobre 2007, n. 22104, in Rep. Foro it., 2007, voce Fallimento, n. 512; Cass., 6 dicembre 2006, n. 26154, Banca, borsa tit. cred., 2008, II, 469, con nota di Bove.
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ne», la circostanza che alla scadenza il credito portato allo sconto non possa essere incassato (per inadempimento del debitore ceduto) fa sì che l’erogazione di danaro operata dalla banca perda l’originario carattere di anticipazione per assumere quello di un un mero prestito da rimborsare, facendo sorgere in capo alla banca il relativo credito, che allora sarei tentato di qualificare eventuale, ma che, al più, potrà dirsi sospensivamente condizionato all’inadempimento del debitore ceduto23. Una soluzione quest’ultima che, peraltro, pur nella diversità dello schema causale che in tal caso viene in rilievo, può invero valere anche laddove si accolga la ricostruzione secondo la quale lo sconto bancario integrerebbe un mutuo al cui rimborso si provvede con una cessione di credito in luogo di adempimento (ex art. 1198 c.c.): se è vero infatti che, in questo caso, il debito restitutorio verso la banca sussiste ab origine, è anche vero che quest’ultimo, una volta adempiuto mediante la cessione del credito, pur non venendo meno (ai sensi dell’art. 1198, co. 1, c.c., l’obbligazione verso il cessionario si estingue solo a seguito dell’adempimento del debitore ceduto), retrocede ad obbligazione sussidiaria, la quale può ben essere descritta come una obbligazione subordinata all’inadempimento del debitore ceduto24. Diversamente, se, in linea con la giurisprudenza ancora maggioritaria, dovesse riconoscersi nello sconto un contratto di prestito funzionalmente connesso ad una cessione di credito a scopo di garanzia, si dovrebbe poi convenire che il cliente scontatario rimane obbligato verso la banca scontante fin quando il debitore ceduto non abbia adempiuto il proprio debito. Orbene, a mio modo di vedere, non vi è motivo per non valorizzare la tipicità normativa dell’operazione in discorso e con essa l’unicità del relativo schema causale, dovendosi allora rifuggire da interpretazioni
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Riterrei, invece, in ogni caso, non accoglibile l’idea alla stregua della quale lo scontatario, per effetto della cessione del credito, dovrebbe ritenersi liberato nei confronti della banca scontante dall’obbligazione di restituzione di quanto ottenuto a titolo di anticipazione, rimanendo peraltro tale liberazione risolutivamente condizionata all’inadempimento del debitore ceduto. Tale ricostruzione presuppone infatti che la fattispecie sia integrata da un prestito e da una cessione in luogo di adempimento, ignorando però che in tal caso non si può non tener conto del disposto dell’art. 1198, co. 1, c.c., che, come viene ricordato subito infra nel testo, espressamente prevede che il cedente non è liberato fino all’adempimento da parte del debitore ceduto. 24 Cfr. Cass., 29 maggio 2005, n. 6558, in Riv. not., 2005, II, p. 526, con nota di Fazzini, La cessione del credito. In particolare, la cessione a scopo di adempimento.
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che costringono a smembrare una operazione che il legislatore ha pensato come un negozio unitario, per poi ricostruirla attingendo a diverse figure più o meno tipiche25. E ciò tanto più che la ricostruzione dello sconto come unitario contratto di liquidità è pienamente coerente alla sopra descritta funzione economica dell’operazione26. Quanto appena detto con riferimento alla sconto può peraltro essere ripetuto, sostanzialmente negli stessi termini, con riferimento al factoring tutte le volte che il contratto prevede una anticipazione sull’importo del credito ceduto27, tanto più se si guarda allo stesso nella configurazione tipica assunta nel nostro ordinamento per effetto della legge n. 52/1991. Quest’ultima, infatti, a dispetto della terminologia utilizzata28, disegna una fattispecie negoziale che, specie quando relativa a crediti futuri e a crediti in massa (art. 3, l. n. 52/1991), al pari dello sconto ed anzi con potenzialità ancora maggiori nella
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Nel senso di cui al testo si esprime, nella sostanza, tutta la dottrina che riconosce nello sconto un contratto di liquidità: e v. gli autori citati retro nota 15, cui adde Cavalli, Lo sconto, cit., p. 171, il quale, richiamando Cass., 17 ottobre 1989, n. 4170, riconosce allo sconto una «specifica autonomia rispetto ai singoli negozi che vengono a confluire nel suo schema causale». 26 Né in senso contrario può argomentarsi dalla lettera della Relazione di accompagnamento al codice civile (la quale, al n. 745, precisa che «Lo sconto bancario è configurato come un prestito che la banca concede allo scontatario per anticipargli l’importo di un determinato credito che quest’ultimo ha verso un terso, contro la cessione pro solvendo del credito stesso») o dall’inserimento dello sconto bancario (come, del resto, anche del factoring) tra le «operazioni di prestito», ai sensi dell’art. 1, co. 2, lett. f), t.u.b. In entrambi i casi, infatti, l’espressione non tanto serve ad inquadrare giuridicamente la fattispecie, quanto a sottolinearne la collocazione tra le operazioni attive della banca, senza allora condizionarne la ricostruzione sotto il profilo causale. 27 In ordine alla possibilità di accostare le due figure del factoring e dello sconto bancario, Perlingeri, Le cessioni dei crediti ordinari e “d’impresa”. Nozioni, orientamenti giurisprudenziali e documenti, Napoli, 1993, p. 38; Id., Della cessione dei crediti, in Comm. cod. civ, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982, p. 59; Libonati, Il factoring, in Riv. dir. comm., 1981, I, p. 325. 28 Mi riferisco, evidentemente, al fatto che nella legge n. 52/1991, in effetti, si parla a più riprese di «corrispettivo» e di «pagamento», il che potrebbe indurre – ed in effetti ha indotto qualche autore (e v., ad esempio, Guerrieri, Cessione dei crediti di impresa e fallimento, Milano, 2002, p. 275) – a riconoscere nel factoring “legale” un negozio vendendi causa, da questo punto di vista potendosi allora istituire un parallelo con la tesi, autorevolmente sostenuta da un dottrina rimasta però minoritaria, che ha qualificato lo sconto come una compravendita di crediti: e v. retro nota 17), Tuttavia, la poca significatività del dato semantico emergente dalla l. n. 52/1991 discende dalla circostanza che il medesimo contratto di factoring è ricondotto, come del resto anche lo sconto, alle operazioni di prestito in senso lato dall’art. 1, co. 2, lett. f), t.u.b.
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prospettiva dell’organizzazione finanziaria dell’impresa29, si colloca in una logica di tipo liquidativo, prevedendo che a fronte della cessione al factor di crediti di impresa, di norma pro solvendo, venga anticipata all’imprenditore cedente una percentuale degli stessi (in genere pari all’ottanta per cento), salvo conguaglio a scadenza, operato al netto degli interessi commisurati alla durata dell’anticipazione e delle commissioni per gli eventuali ulteriori servizi. Con il che, da un punto di vista qualitativo, può affermarsi che quella in discorso differisce dalla matrice codicistica solo in relazione alla tipologia di crediti oggetto di cessione30. E lo stesso può dirsi con riferimento al c.d. “sconto improprio”, sebbene, in questo caso, con qualche adattamento, reso necessario dal differente modo di “utilizzo” del credito che caratterizza questo tipo di operazioni. Replicando, per certi versi, la diversità delle impostazioni che si sono registrate con riferimento all’archetipo codicistico, lo “sconto improprio”, infatti, può qualificarsi, a seconda della tesi prescelta, come anticipazione funzionalmente collegata ad un mandato irrevocabile all’incasso (poiché anche nell’interesse del mandatario), per effetto del quale la restituzione di quanto anticipato dalla banca risulterà garantita — come si esprime la giurisprudenza — «in via empirica e di fatto»31, fungendo allora il mandato in questione da garanzia “impropria”32, o piuttosto come unitario ed autonomo contratto, dotato di tipicità socioeconomica, nel quale, a fronte della liquidità fornita dalla banca, la sequenza mandato all’incasso/patto di compensazione si qualifica come meccanismo avente funzione, e natura, solutoria33. Ed è questa seconda ricostruzione che, a mio parere, deve essere condivisa, attese le conclusioni cui si è poc’anzi giunti in punto di natura giuridica della sconto
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Libonati, Il factoring, cit., p. 317 ss. Per la valorizzazione della causa di liquidità del factoring, si vedano Carnevali, I problemi giuridici del factoring, in Riv. dir. civ., 1978, I, p. 314 s.; Libonati, Il factoring, cit., p. 328; Zuddas, Il contratto di factoring, Napoli, 1983, p. 169 ss.; Ginevra, Le garanzie contrattuali atipiche sui crediti di impresa, in Riv. dir. priv., 2001, I, p. 244. 31 Cfr. Cass., 30 gennaio 2003, n. 1391; Cass. 19 novembre 2002, n. 16261; Cass., 5 aprile 2001, n. 5061. 32 È appena il caso di sottolineare che tale qualificazione non deve ingenerare confusione con la diversa fattispecie della cessione dei crediti in garanzia, di frequente utilizzo nella prassi bancaria, cui pure ci si riferisce come garanzia “impropria”: e v. Maimeri, Le garanzie bancarie «improprie», Torino, 2004, p 17 ss.; nonché retro nota 20. 33 In questo senso, Nigro, Anticipazioni, cit., p. 176 s.; nonché Caridi, Anticipazione, cit., p. 513. 30
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ed attesa la già rilevata identità funzionale del c.d. “sconto improprio” rispetto alla figura tipica definita dall’art. 1858 c.c. Così ricostruite le fattispecie negoziali riconducibili alla nozione di anticipazione su crediti, resta da dire, sempre sul piano tipologico, che le stesse quasi mai si presentano nella prassi come operazioni isolate, di regola innestandosi su un rapporto di durata tra banca e cliente, nell’ambito del quale, peraltro, non è sempre facile qualificare la relazione che sussiste tra l’accordo “a monte” e le singole operazioni “a valle”. Mi riferisco, da un lato, alla circostanza che, nel caso del factoring, pur presentandosi la relativa fattispecie legale essenzialmente come operazione unitaria (c.d. “factoring globale”)34, nella prassi (e talvolta anche nella elaborazione teorica) la stessa è ricostruita come un “contratto quadro” nell’ambito del quale si realizzano una pluralità di cessioni di credito 35, e, dall’altro, al fatto che, nel caso dello sconto in senso tecnico e del c.d. “sconto improprio”, la vicenda negoziale viene di norma strutturata secondo lo schema proprio delle operazioni di tipo “rotativo”, ossia sulla base di un meccanismo che si suole identificare con l’espressione “castelletto di sconto” (o “fido per smobilizzo crediti”) e che si risolve in un accordo tra banca e cliente avente ad oggetto la presentazione per lo sconto (“proprio” o “improprio”), entro un ammontare massimo predeterminato, di “effetti” di vario genere (titoli di credito, fatture, ricevute bancarie)36. 3. Una volta inquadrate giuridicamente le operazioni in discorso, si può ora procedere a valutarne le interrelazioni con la procedura di con-
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Così, in particolare, Clarizia, I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing e factoring, in Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, vol. II, 4, Torino 2002, p. 515 s.; Guerrieri, Cessione dei crediti di impresa e fallimento, cit., p. 168 ss. 35 In argomento, per la ricostruzione del dibattito, anche alla luce delle condizioni generali Assifact, v. Laudonio, Il factoring, cit., p. 211 ss. 36 Sul c.d. “castelletto di sconto”, Perassi, Lo sconto, cit., p. 634 ss.; nonché Silvetti, Il conto corrente bancario, ivi, p. 500 ss. Deve essere peraltro precisato che il “castelletto di sconto” è tenuto dai giudici nettamente distinto dall’apertura di credito sulla scorta del fatto che, diversamente da quest’ultima, esso non attribuisce al cliente la facoltà di disporre immediatamente di una somma di danaro, limitandosi ad obbligare la banca ad accettare, entro un ammontare predeterminato, gli effetti presentati dal cliente per lo sconto: e v. note 46 e 47 sulla questione se la domanda di concordato possa essere assistita anche da una cessione di credito, in le rassegne in tema di sconto, a cura di Caridi, pubblicate nella Giurisprudenza bancaria del Ce.Di.B. [segnatamente: vol. 19 (2005-2007), p. 174 s.; vol. 20 (2007-2009), p. 172 ss.; vo. 21 (2009-2011), p. 172 ss.].
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cordato preventivo, cominciando dal caso in cui il contratto di anticipazione su crediti (sconto in sento tecnico; “sconto improprio”; factoring) preesista alla apertura della procedura, da collocare alla data della presentazione del ricorso per l’ammissione alla stessa. Si pongono al riguardo tre questioni: a) quella della opponibilità alla procedura del contratto in questione; b) quella della qualificabilità o meno di tale contratto come pendente alla data dell’apertura del concordato; c) quella, a quest’ultima intimamente connessa, della sorte delle somme eventualmente incassate da parte della banca dopo l’apertura della procedura e, più in generale, del trattamento della banca nel concordato a carico del proprio cliente. 3.1. Cominciamo dalla opponibilità alla procedura dei contratti in questione. Al riguardo, deve essere rilevato che il richiamo dell’art. 45 l.fall., oggi operato dall’art. 169 l.fall.37, impone, diversamente dal passato38, di valutare la questione dell’opponibilità ai creditori concorsuali dei negozi e degli atti per i quali è richiesto, appunto ai fini dell’opponibilità ai terzi, l’adempimento di particolari formalità. Dal che, mi pare debba discendere, quanto segue. a) In caso di sconto non cambiario, l’opponibilità ai creditori concorsuali sarà subordinata, ai sensi dell’art. 1265 c.c., alla notifica al debitore o all’accettazione di questo prima del deposito del ricorso per concordato preventivo. In caso di sconto cambiario, invece, almeno in linea teorica, l’opponibilità ai creditori concorsuali può bene essere subordinata semplicemente al fatto che la girata del titolo alla banca sia intervenuta prima del deposito del ricorso, atteso che il principio di incorporazione e i suoi corollari (artt. 1992 ss. c.c.) superano, per definizione, la necessità degli adempimenti di cui all’art. 1265 c.c.39. Ho detto in linea teorica,
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In argomento, Spagnuolo, sub art. 169, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Commento per articoli, cit., p. 192 ss. 38 Nel sistema previgente, e comunque fino all’introduzione nell’art. 169 l.fall. dell’espresso rinvio all’art. 45 l.fall., soprattutto in giurisprudenza, si riteneva che nel concordato preventivo, mancando uno spossessamento del debitore equiparabile al pignoramento generale dei beni, non trovassero applicazione gli artt. 2914, n. 2, c.c. e 45 l.fall.: e v., ad esempio, Cass., 7 maggio 2009, n. 10548; nonché Cass., 3 dicembre 2002, n. 17163. Per precedenti più datati, v. Cavalli, Lo sconto, cit., p. 337 ss., ove si dà pure conto dell’opinione contraria di una parte della dottrina. 39 E si vedano le pagine sulla funzione dei titoli di credito di G.F. Campobasso, Diritto commerciale., cit., p. 247 s.
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perché quanto appena sostenuto non risolve la questione, pure essa necessaria alla opponibilità ai creditori concorsuali, della data certa del trasferimento del titolo e dunque del diritto in esso incorporato, la quale non potrà che essere affrontata ai sensi dell’art. 2704 c.c., dovendosi in particolare verificare se la girata, anche indirettamente, risulti apposta in data anteriore alla presentazione della domanda di concordato40. b) Quanto poi al c.d. “sconto improprio”, attesa l’atipicità dell’operazione e dunque il difetto di prescrizioni formali, l’esigenza di subordinare l’opponibilità ai creditori concorsuali alla circostanza che, ai sensi dell’art. 2704 c.c., lo stesso risulti da un atto di data certa anteriore alla presentazione della domanda di concordato appare ancora più evidente. c) In caso di factoring, infine, mi pare possa trovare applicazione analogica l’art. 5 della l. n. 52/199141, che subordina l’opponibilità al fallimento del cedente o, secondo la regola generale, agli adempimenti di cui all’art. 1265 c.c. (co. 2) o, in alternativa, all’intervenuto pagamento, anche parziale, avente data certa anteriore (co. 1), con la precisazione che in tal caso la data limite (per la notifica, per l’accettazione o per il pagamento) è rappresentata da quella della pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso per l’accesso alla procedura. 3.2. Per quanto invece riguarda le altre due questioni della qualificabilità o meno del contratto come pendente alla data (della produzione degli effetti anticipati) dell’apertura del concordato e della sorte delle somme eventualmente incassate da parte della banca dopo l’apertura delle procedura, l’intima connessione tra le stesse ne impone una trattazione congiunta per ognuna delle operazioni in considerazione. Prima di procedere in questo senso è però necessario chiarire, in via preliminare, che l’individuazione della nozione di contratti pendenti nel concordato preventivo, sebbene in dottrina si registrino pareri contrastanti42, va operata, in linea con l’opinione maggioritaria, alla stregua
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Sull’analogo problema che si pone nel fallimento, v. Costa, Lo sconto, cit., p. 88; nonché, con riferimento alla legge fallimentare ante riforma, Cavalli, Lo sconto, cit., p. 336. 41 Per un esame delle questioni sollevate da questa norma in relazione alla dichiarazione di fallimento, Guerrieri, Cessione, cit., nonché Laudonio, Il factoring, cit., p. 281 ss. 42 Sviluppatosi a seguito dell’introduzione nella legge fallimentare dell’art. 169-bis, nella rubrica e nel testo del quale si parlava di «contratti in corso di esecuzione», il dibattito sul punto ha fatto registrare essenzialmente due orientamenti. Da una parte, vi
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dello stesso criterio desumibile, quanto al fallimento, dall’art. 72 l.fall. Di talché possono qualificarsi contratti pendenti alla data dell’apertura della procedura di concordato preventivo solo quelli che risultano non eseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti43. A. Ciò detto, si possono ora affrontare nel merito le questioni sopra poste, ancora una volta, prendendo le mosse dallo sconto. A.1. Tanto che lo si qualifichi come unitario contratto di liquidità,
è stato chi ha ritenuto che detta espressione dovesse essere interpretata in senso ampio e comprendesse quindi anche l’ipotesi in cui, alla data di apertura della procedura, una sola delle parti dovesse ancora adempiere integralmente (così, in giurisprudenza, App. Genova, decr. 10 febbraio 2014; nonché Trib. Genova, decr. 4 ottobre 2013, entrambe in Fallimento, 2014, 793, con nota di Cederle, Concordato con riserva: applicabilità dell’art. 169-bis l.fall. ai contratti bancari autoliquidanti; la prima è pure pubblicata in Dir. banc., 2014, I, 307 ss., con osservazioni di Caridi, Anticipazione su crediti, concordato preventivo e art. 169-bis l.fall.; nonché, in dottrina, Inzitari, I contratti in corso di esecuzione nel concordato: l’art. 160-bis l.fall., in Il diritto degli affari.it, p. 1; Fabiani, Per una lettura costruttiva della disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in Ilcaso.it, p. 7). Dall’altra, vi è stato chi, di contro, ha sostenuto che la nozione di contratti in corso di esecuzione corrispondesse a quella posta dall’art. 72 l.fall. e che, pertanto, il particolare meccanismo previsto dall’art. 169-bis l.fall. potesse trovare applicazione solo nei contratti a prestazioni corrispettive ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti alla data di apertura della procedura di concordato [così, in giurisprudenza, Trib. Milano, 18 maggio 2014, in Dir. banc., 2014, I, p. 307 ss., con osservazioni di Caridi, cit.; Trib. Vicenza, 25 giugno 2013, in Ilcaso.it; in dottrina, Censoni, La continuazione e lo scioglimento dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in Ilcaso.it, cit., p. 2; Ambrosini, Il concordato preventivo, in Le altre procedure concorsuali, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli, Luiso, Gabrielli, vol. IV, Torino, 2014, p. 286; Scognamiglio, Concordato preventivo e scioglimento dei contratti in corso di esecuzione, in Società, banche e crisi di impresa. Liber amicorum Pietro Abadessa, cit., p. 3173 ss., la quale richiama, a conferma, anche il dato comparatistico, e segnatamente, per il diritto tedesco, il § 103, IsolvenzOrdnung e, per il diritto statunitense, la Section 365 dell’US Code]. 43 Una conferma alla unicità della nozione di “contratti pendenti” nella legge fallimentare è venuta dal d.l. n. 83/2015, che ha modificato la rubrica dell’art. 169bis l.fall. da «Contratti in corso di esecuzione» appunto in «Contratti pendenti» (allora evocando: i «Rapporti pendenti» di cui alla rubrica degli artt. 72 e 104-bis, co. 6, l.fall.; i «contratti pendenti» di cui all’art. 104, co. 7, l.fall.; i «rapporti giuridici preesistenti» di cui alla rubrica della Sezione IV del Capo III del Titolo II della legge fallimentare, intitolata appunto «Degli effetti sui rapporti giuridici preesistenti»), ed ancor più chiaramente dalla l. n. 132/2015, che ha convertito con modificazioni il citato decreto n. 83/2015, sostituendo l’espressione «contratti in corso di esecuzione» (che l’art. 8 del d.l. 83/2015, pur modificando la rubrica, aveva mantenuto nel testo dell’art. 169-bis, sollevando non poche critiche) con l’espressione «contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti alla data della presentazione del ricorso».
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quanto che lo si qualifichi come fattispecie complessa formata da un contratto di prestito cui è funzionalmente collegata una cessione di credito pro solvendo, lo sconto, nello scenario che stiamo qui analizzando, non può mai ritenersi un contratto pendente, posto che, in tal caso, alla data di apertura della procedura, non solo la banca ha già erogato la somma di danaro al cliente, ma quest’ultimo ha già ceduto alla banca il credito, atteso che se così non fosse, in base a quanto detto in precedenza, il contratto non sarebbe opponibile alla procedura ai sensi dell’art. 45 l.fall., come già ricordato, oggi richiamato, in tema di concordato preventivo, dall’art. 169 l.fall. A.2. L’aver escluso che il contratto di sconto preesistente alla pubblicazione del ricorso per concordato preventivo possa qualificarsi come contratto pendente indipendentemente dalla ricostruzione della fattispecie che si accolga non permette però di giungere a soluzione parimenti convergenti anche con riferimento alla distinta, ma connessa questione del trattamento della banca nel concordato ed in specie della sorte delle somme eventualmente incassate dalla banca dopo che lo scontatario abbia depositato ricorso per concordato preventivo. a) Ed infatti, se si accoglie l’idea che lo sconto sia un contratto di prestito cui è funzionalmente connessa una cessione di credito pro solvendo con funzione di garanzia, come la giurisprudenza ancora maggioritaria sostiene44, si deve ritenere: a1) che la banca vada inserita tra i creditori concorsuali, atteso che la qualificazione della cessione quale “garanzia impropria” fa sopravvivere il debito da restituzione dello scontatario fino all’adempimento del debitore ceduto45; a2) che la banca, quale creditore concorsuale, abbia diritto di votare sulla proposta concordataria; ciò, naturalmente, sempre che lo sconto in questione non sia stato qualificato nella proposta e nel piano concordatario come finanziamento «in funzione» della presentazione della domanda di concordato preventivo, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 182-quater, co. 2, l.fall.46, atteso che, in tal caso, ai sensi del quarto com-
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V. retro note 17 e 21. In linea con tale rilievo sono le conclusioni alle quali giungono, discorrendo di cessione dei crediti in garanzia, per il caso di fallimento del cedente, Dolmetta e Portale, Profili della cessione, cit., p. 271. 46 La qualificabilità dello sconto come finanziamento ai sensi dell’art. 182-quater, co. 2, l.fall., soprattutto laddove si ricostruisca il contratto come un mutuo funzionalmente connesso ad una cessione di credito a scopo di garanzia, mi pare non solo possibile, 45
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ma della medesima disposizione, l’effetto potenzialmente prededuttivo di quella qualificazione determina che il finanziatore non abbia diritto di voto; a3) che il pagamento effettuato dal debitore ceduto, estinguendo una obbligazione attuale del debitore concordatario (quella di restituzione nei confronti della banca), si configuri come pagamento di un credito preesistente alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso per concordato preventivo e dunque come pagamento posto in essere in violazione del principio della par condicio creditorum (qui presidiata da un vero e proprio divieto)47, non potendo perciò essere trattenuto dalla banca, la quale dovrà restituire quanto incassato, per essere poi soddisfatta in moneta concordataria. b) Diversamente, se si riconosce allo sconto, come a me pare preferibile, la natura di unitario contratto di liquidità, l’autonomia e la tipicità della figura potrebbero legittimare una diversa ricostruzione. b1) In questa prospettiva, innanzi tutto, la banca, divenuta titolare del credito cedutole dallo scontatario, nei confronti di quest’ultimo rimane titolare solo di un credito eventuale, destinato a divenire attuale solo in caso di mancato adempimento del debitore ceduto, non dovendo allora essere inserita tra i creditori concorsuali e dunque, almeno in principio, non essendo legittimata a votare sulla proposta concordataria. Ciò non di meno, anche nella prospettiva in considerazione, il piano
ma anzi dovuta, tanto più che i crediti di cui all’art. 182-quater, co. 2, l.fall. sono parificati a quelli di cui al primo comma dello stesso articolo, ossia ai crediti derivante da «finanziamenti in qualsiasi forma effettuati». Peraltro, sebbene di ciò si sia dubitato [Frigeni, Linee di credito, cit., p. 3081], come si avrà modo di sottolineare proseguendo nel discorso (v. infra § 4) allo sconto può essere riconosciuta una causa finanziaria in senso lato, quand’anche lo si intenda come “contratto di liquidità”: e v., infatti, art. 1, co. 2, lett. f), t.u.b., nella interpretazione che di tale norma si è data retro nota 26. 47 Divieto, quello relativo al pagamento di crediti anteriori, che non ha referenti espliciti di diritto positivo, ma che la giurisprudenza ha sempre desunto dal blocco delle azioni esecutive e cautelari di cui all’art. 168 l.fall. (e v. Cass., 12 gennaio 2007, n. 578, in Fallimento, 2007, 623; Cass., 24 febbraio 2006, n. 4234, in Fallimento, 2006, 895; Cass., 3 dicembre 2002, n. 17162, in Fallimento, 2003, 681; Cass., 28 agosto 1995, n. 9030, in Fallimento, 1996, 69) e che trova oggi un nuovo decisivo indice nell’art. 182-quinquies, co. 5, l.fall., laddove si prevede, per l’imprenditore che presenti una domanda di concordato in continuità, la possibilità di pagare crediti anteriori, ma solo su specifica autorizzazione del Tribunale e sempre che un professionista attesti che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. Ciò che allora conferma che la regola generale è - e rimane - quella che i pagamento di crediti anteriori sono vietati.
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concordatario non può rimanere indifferente alla pendenza di una operazione di sconto, posto che la stessa comporta il permanere, fino alla scadenza del credito scontato ed anzi fino alla estinzione di quest’ultimo per effetto del pagamento da parte del debitore ceduto, di un rischio di credito, il quale, così come deve trovare copertura in un apposito fondo nel bilancio d’esercizio dello scontatario48, per il caso che il credito della banca scontante venga ad esistenza nella fase di esecuzione del concordato a seguito dell’inadempimento del debitore ceduto, dovrà essere contemplato dal piano concordatario, anche in questo caso mediante la previsione di un fondo ad hoc. Ciò detto, si pone il problema di stabilire se, in tale scenario, il credito da rimborso della banca scontante debba essere trattato come credito concorsuale ovvero come credito extraconcorsuale. Ora, sebbene in prima approssimazione potrebbe apparire preferibile quest’ultima soluzione, atteso che il credito in questione “sorge” dopo l’apertura della procedura, alla luce di una riflessione più attenta, mi pare che la scelta debba cadere sulla prima soluzione, posto che, come si è in precedenza sottolineato e come del resto dimostra quanto appena detto in ordine alla necessità di predisporre un fondo rischi anche e proprio in relazione alle posizioni passive che potrebbero derivare dai contratti di sconto non ancora “chiusi”, la genesi del credito in questione è da ricondurre alla degradazione a prestito di una operazione perfezionatasi, prima dell’avvio della procedura, come anticipazione in senso proprio. Di talché non dovrebbe potersi dubitare che quello in discorso sia un credito per titolo anteriore alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di concordato. Tale conclusione induce, peraltro, a domandarsi se, al pari dei creditori contestati, i quali pure sono creditori eventuali, la banca scontante possa essere provvisoriamente ammessa al voto e conteggiata ai fini del calcolo delle maggioranze, ai sensi dell’art. 176 l.fall. Soluzione che mi parrebbe del tutto in linea con il sistema, anche alla luce della assimilabilità delle due tipologie di crediti sotto il profilo della appostazione in bilancio49.
48 Cfr. International Accounting Standards 37; Organismo Italiano di Contabilità 31; nonché art. 2424-bis, co. 3, c.c. 49 Cfr. ancora International Accounting Standards 37; Organismo Italiano di Contabilità 31; nonché art. 2424-bis, co. 3, c.c. Con specifico riferimento ai crediti contestati, v. Fortunato, Crediti contestati e principi contabili internazionali, in Giur. comm., 2008, I, p. 583 ss.
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b2) Qualora infine si dovesse ritenere che il legislatore, quando nell’art. 1858 c.c. ha previsto che la cessione (se non diversamente stabilito) sia effettuata «salvo buon fine», ha inteso riconoscere in capo alla banca scontante un credito nei confronti dello scontatario sin dalla stipula del contratto, si dovrebbe convenire che detto credito non possa che essere sospensivamente condizionato al mancato adempimento del debitore ceduto50. Orbene, tale conclusione – invero conciliabile tanto con la tesi che riconosce nello sconto un unitario contratto di liquidità (sebbene con qualche forzatura), quanto con la tesi che vi riconosce un mutuo rimborsato mediante cessione di credito in luogo di adempimento – fa sorge la necessità di risolvere i seguenti problemi: se il creditore sospensivamente condizionato possa o meno essere ammesso al voto sulla proposta di concordato; se e come un tale creditore possa essere pagato nella percentuale concordataria. Per rispondere a tali interrogativi bisogna far riferimento all’art. 55, co. 3, l.fall., pure esso reso applicabile nel concordato preventivo dall’esplicito richiamo operato nell’art. 169 l.fall. Ai sensi dell’art. 55, co. 3, l.fall. «i crediti condizionali partecipano al concorso a norma degli articoli, 96, 113 e 113-bis». Mentre il secondo interrogativo sopra posto (quello relativo al pagamento in moneta concordataria) trova agevole soluzione nel richiamo, contenuto nell’art. 55, co. 3, l.fall., delle disposizioni sul riparto (artt. 113 e 113-bis l.fall.), le quali permettono di affermare che, nel caso in questione, debba procedersi all’accantonamento delle somme spettanti alla banca in attesa dell’avveramento della condizione (per inadempimento del debitore ceduto) ovvero della definitiva estinzione del credito (per l’adempimento del debitore ceduto), il primo interrogativo non è di immediata soluzione, richiedendo un ragionamento più articolato, posto che si tratta di interpretare il richiamo dell’art. 96, operato dall’art. 55, segnatamente in punto di ammissione al passivo con riserva (art. 96, co. 2, l.fall.), come riferimento normativo che, opportunamente adattato, può legittimare la partecipazione del creditore condizionale alla votazione
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Un riferimento in tal senso si può leggere in Cavalli, Lo sconto, cit., p. 343, ove si riporta, a conferma, Cass., 26 settembre 1990, n. 9736 (anche in Giur. it., 1991, I, 1, p. 678), che di “credito condizionato” nel senso di cui al testo parla a proposito del credito della banca scontante alla quale sono stati ceduti i crediti relativi ad un “portafoglio commerciale”.
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nel concordato preventivo. E si tratta di una soluzione che non mi sentirei di escludere, soprattutto avendo riguardo al già citato art. 176 l.fall., ai sensi del quale il giudice delegato può ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze, senza che ciò importi riconoscimento di detti crediti. In altri termini, se possono essere ammessi al voto creditori futuri ed eventuali, quali sono quelli sub judice, potranno a maggior ragione votare creditori condizionali. b3) Indipendentemente dalla soluzione che si ritenga di accogliere in ordine alla qualificazione del credito della banca verso lo scontatario, il pagamento effettuato a favore della banca dal debitore ceduto deve intendersi come avvenuto al proprio creditore, con la conseguenza che la banca può trattenere ciò che riscuote. B. Passiamo ora a trattare di quelle operazioni che abbiamo definito “sconto improprio”. B.1. Anche rispetto a queste operazioni, quando preesistenti al deposito della domanda di concordato, si deve negare che si possa parlare di contratti pendenti. Ed infatti, come è stato evidenziato di recente da autorevole dottrina51: –– il dato saliente dell’operazione in questione è rappresentato dalla funzione, e natura, solutoria del congegno negoziale mandato all’incasso/c.d. patto di compensazione, che si configura come mezzo di pagamento; –– nell’ipotesi – che è quella che qui ne occupa – in cui l’apertura della procedura di concordato preventivo (che coincide – ricordiamo – con la presentazione del ricorso per l’ammissione) intervenga dopo la concessione del finanziamento da parte della banca, ma prima dell’esecuzione, da parte della stessa banca, del mandato all’incasso, il rapporto banca-cliente non può qualificarsi, in sé considerato, rapporto pendente ai sensi dell’art. 72 (e, oggi, dell’art. 169-bis), perché manca qualsiasi prestazione ancora da eseguire, in tutto o in parte, dal cliente; B.2. Ciò detto, allora, quanto al trattamento della banca nel concordato del cliente, si deve affermare che: –– la banca, cui viene conferito solo un mandato all’incasso, permane tra i creditori concorsuali e va inserita nel relativo elenco;
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Nigro, Anticipazioni, cit., p. 176 s.
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–– la banca ha conseguentemente diritto al voto, sempre che, come già rilevato, l’anticipazione non si configuri come un finanziamento «in funzione», ex art. 182-quater, co. 2, l.fall.; –– non ponendosi, come si è visto, un problema di prosecuzione o meno del rapporto, ma, puramente e semplicemente, di soddisfacimento del credito della banca, il pagamento da parte del debitore ceduto non potrà servire a soddisfare il credito di quest’ultima per effetto del divieto di pagamento dei crediti sorti anteriormente all’apertura della procedura e pertanto la banca non potrà trattenere quanto incassato in forza del mandato originariamente ricevuto52; –– l’obbligo di restituzione di quanto incassato, gravante sulla banca quale mandataria, non può peraltro essere aggirato invocando, ai sensi dell’art. 56 l.fall. (oggi applicabile anche nel concordato preventivo per effetto del richiamo operato dall’art. 169 l.fall.), la compensabilità di tale debito con il credito da rimborso scaturente dall’anticipazione, posto che, pur dovendosi ritenere che entrambe le posizioni sono geneticamente riconducibili ad un atto anteriore all’apertura della procedura53, essendo allora da tale punto di vista compensabili ai sensi della previsione in discorso, non può trascurarsi che il meccanismo mandato all’incasso/patto di compensazione si qualifica qui, come già rilevato, quale unitario
52 In questo senso, Nigro, Anticipazioni, cit., p. 176 s.; Caridi, Anticipazione su crediti, cit., p. 513; nonché Costa, Lo sconto bancario, cit., p. 90. 53 Ciò, peraltro, sempre che, secondo la tesi che qui si preferisce, si guardi all’operazione in termini unitari, posto che se invece si accogliesse l’idea che all’interno del c.d. “sconto improprio” debbano isolarsi diverse fattispecie negoziali, sebbene tra loro collegate, si dovrebbe poi ritenere, con una parte della giurisprudenza (Cass., 7 maggio 2009, n. 10548, in Fallimento 2010, 117; Trib. Terni, 12 ottobre 2012, in Ilcaso.it; Trib. Roma, 21 aprile 2010, in Fallimento, 2010, 1300, con nota di Cederle), che il debito da rimborso sorge in capo alla banca mandataria solo al momento dell’incasso e dunque dopo l’apertura della procedura, escludendo, allora, già da questo punto di vista, l’invocabilità dell’art. 56 l.fall. Va peraltro dato conto di un orientamento giurisprudenziale, che conta adesioni anche nella giurisprudenza di legittimità (Cass., 1 settembre 2011, n. 17999, in Fallimento, 2012, 739; Cass., 23 marzo 2001, n. 4205; Cass., 7 marzo 1998, n. 2539, in Foro it., 1998, I, 1865; Cass., 5 agosto 1997, n. 7194), che, non cogliendo neppure il collegamento negoziale tra patto di compensazione e anticipazione, guarda al primo in maniera isolata o al più postulandone un assorbimento nel contratto di conto corrente cui dovesse essere collegato e, facendo leva sulla neutralità dell’apertura della procedura di concordato rispetto ai contratti pendenti, giunge a ritenere sufficiente, perché la banca mandataria possa trattenere quanto incassato successivamente all’apertura della procedura, la pendenza, a tale data, di un patto espresso tra banca e cliente in ordine all’annotazione ed all’elisione in conto di partite di segno opposto.
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meccanismo con funzione e natura solutoria, impedendo allora di isolare una posizione debitoria della banca connessa all’esecuzione del mandato, da compensare poi con il credito da rimborso dell’anticipazione54. Da questa impostazione deriva, peraltro, che non c’è spazio, nell’ipotesi in questione, per l’applicazione dell’art. 169-bis l.fall., sulla quale — come ricordavo all’inizio — tanto si discute. Non c’è spazio e non c’è neppure necessità, perché il blocco della “canalizzazione” degli incassi a favore della banca è da ritenersi prodotto automaticamente dall’apertura della procedura55: il mandato può, al limite, resistere (sebbene la rilevata funzione solutoria, che lo stesso assolve in uno al c.d. patto di compensazione, ne dovrebbe a rigore determinare il venire meno), ma la banca è tenuta comunque a rimettere al cliente le somme incassate. A quest’ultimo riguardo, deve peraltro ritenersi che la banca che dovesse dar corso al mandato vanterà il diritto al rimborso delle spese e, attesa la presunzione di onerosità di cui all’art. 1709 c.c., avrà diritto ad un compenso, che, in difetto di accordo delle parti, dovrà essere determinato dal giudice e dovrà essere trattato come credito prededucibile. L’obbligo di restituzione della banca può trovare, forse, un’unica eccezione, data dal caso in cui si tratti di un concordato con continuità aziendale ed il debitore concordatario ottenga dal Tribunale, ai sensi dell’art. 182-quinquies, co. 5, l.fall., l’autorizzazione a pagare la banca, essendosi dotato di una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, co. 3, l.fall., in cui sia attestata l’essenzialità del rapporto bancario in parola rispetto alla prosecuzione dell’attività di impresa, nonché la funzionalità dello stesso al migliore soddisfacimento dei creditori. C. Le conclusioni cui si è giunti discorrendo degli effetti del concordato preventivo sulle operazioni di sconto in senso tecnico e di “sconto improprio” rimangono confermate anche se a dette figure si guardi collocandole – come di norma deve farsi se si ha riguardo alla prassi – nell’ambito della già ricordata vicenda negoziale che si suole identificare come “castelletto
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Nigro, Anticipazioni, cit., p. 176. Nigro, Anticipazioni, cit., p. 177; Caridi, Anticipazione, cit., p. 513. In giurisprudenza, v. App. Venenzia, 26 novembre 2014; Trib. Prato, 23 settembre 2015, in Ilcaso.it; Trib. Bergamo, 11 marzo 2015, in Ilcaso.it; Trib. Ravenna, 22 ottobre 2014, in Il Caso.it; Trib. Prato, 30 settembre 2014, in Ilcaso.it; in senso contrario v. però Trib. Reggio Emilia, 8 luglio 2015, in Ilcaso.it, sez. Giurisprudenza, n. 13112 (pubb. 23.07.2015). 55
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di sconto”. Sebbene, infatti, tale contratto possa dirsi pendente alla data dell’apertura della procedura56, qualificandosi lo stesso come mero contratto quadro o normativo57, dal quale al più può discendere l’obbligo della banca di scontare gli effetti che le verranno presentati dal cliente fino alla concorrenza di un ammontare predeterminato58, la circostanza non è idonea ad incidere sulle ricadute che l’apertura della procedura genera sulle singole operazioni poste in essere alle condizioni di cui a detto contratto quadro. Di talché, qualora dette operazioni siano state già concluse, indipendentemente dal fatto che ciò sia avvenuto nell’ambito di un tale accordo, l’apertura della procedura di concordato genererà le medesime conseguenze in precedenza individuate. D. Sempre facendo riferimento all’ipotesi in cui l’operazione di an-
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Il rilievo parrebbe, però, oggi, essere messo in discussione dall’equivoca formulazione dell’ultimo periodo dell’art. 182-quinquies, co. 3, l.fall., aggiunto dal d.l. n. 83/2015, convertito con l. n. 132/2015, ai sensi del quale, la richiesta di autorizzazione a contrarre finanziamenti interinali urgenti ed indifferibili (quelli relativi al fabbisogno finanziario che va dalla presentazione della domanda di concordato “in bianco” alla scadenza del termine per il deposito del piano e della documentazione) «può avere ad oggetto anche il mantenimento di linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda». Tale previsione, infatti, sembrerebbe presupporre che, in difetto di tale autorizzazione, i rapporti relativi alle “linee di credito autoliquidanti” non proseguano, non potendo allora qualificarsi contratti pendenti alla data di apertura della procedura. In questo senso leggono la disposizione Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Appendice di aggiornamento in relazione al d.l. n. 83/2015, conv. dalla l. n. 132/2015, p. 42, in corso di pubblicazione su www.ilmulino.it. Va, tuttavia, notato che se l’osservazione può senz’altro condividersi con riferimento alle singole operazione di anticipazione su crediti non ancora “chiuse” al momento dell’apertura di fallimento, con riferimento alle «linee di credito autoliquidanti», intese quali accordi quadro nell’ambito dei quali le singole operazioni di anticipazione su crediti sono concluse, la previsione appare superflua, essendo tali contratti per definizione pendenti alla data dell’apertura della procedura. Sul punto e nel senso della rilevata superfluità, v. Trib. Rovigo, 26 novembre 2015, in Ilcaso.it, sez. Giurisprudenza, n. 13786 (pubbl. 3.12.2015). 57 In argomento, v. Porzio, L’apertura di credito: profili generali, in Le operazioni bancarie, a cura di Portale, tomo II, Milano, 1978, p. 518; Perassi, Lo sconto, cit., p. 634 ss.; Silvetti, Il conto corrente bancario, cit., p. 500 ss.; nonché, nella manualistica recente, Costa, Lo sconto, cit., p. 82 ss. 58 In questo senso si esprime la giurisprudenza maggioritaria [e v. Caridi, Lo sconto, in Giurisprudenza bancaria (2005-2007), vol. 19, Milano, p. 174; Id., Lo sconto, in Giurisprudenza bancaria (2007-2009), vol. 20, Milano, p. 172], seguita da una parte della dottrina (Silvetti, Il conto corrente bancario, ivi, p. 501; v però in senso contrario Perassi, Lo sconto, cit., p. 534 s.). Va peraltro sottolineato che, nella prassi bancaria, la banca scontante si riserva quasi sempre la libertà di non scontare gli effetti che le vengono presentati in base ad una valutazione caso per caso.
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ticipazione su crediti sia preesistente alla presentazione della domanda di concordato, rimane da dire degli effetti dell’apertura della procedura sul factoring. D.1. Come si è già rilevato, sebbene alla luce della l. n. 52/1991 il contratto di factoring si presti ad essere ricostruito come unitario contratto ad effetti reali, eventualmente differiti (se oggetto dello stesso sono crediti futuri), la prassi conosce anche operazioni di factoring strutturate sulla base di un contratto ad effetti obbligatori, in cui le parti si obbligano, generalmente nell’ambito di un plafond predeterminato, ad una serie futura di cessioni, che avverranno alle condizioni che lo stesso contratto stabilisce. La differenza non è senza rilievo ai fini che qui interessano. Ed infatti, quando si apre una procedura di concordato preventivo a carico di un debitore che ha in precedenza stipulato un c.d. “factoring globale”, esattamente come accade nel caso dello sconto in senso tecnico, non può mai parlarsi di contratto pendente alla data di apertura della procedura. Sebbene, infatti, sia possibile – ed anzi sia la regola – che le anticipazioni da parte del factor non avvengano in un’unica soluzione, realizzandosi invece nel corso del rapporto, l’imprenditore cedente, a quella data, avrà già eseguito per intero la propria prestazione, avendo ceduto tutti i crediti oggetto del contratto all’atto della stipula dello stesso. Nel caso, invece, in cui a depositare il ricorso per concordato preventivo sia un debitore che ha in precedenza stipulato un factoring ad effetti obbligatori, può ben accadere che alla data dell’apertura della procedura il contratto debba qualificarsi come pendente. Nel factoring ad effetti obbligatori, infatti, da un lato, l’imprenditore procederà alle singole cessioni nel corso del rapporto, e, dall’altro, le anticipazioni da parte del factor verranno erogate periodicamente previa consegna da parte del cedente di documenti che provano la venuta ad esistenza dei crediti ceduti o addirittura a mano a mano che questi ultimi verranno ad esistenza. Sicché, alla data dell’apertura della procedura a carico del cedente, è ben possibile che nessuna delle due parti abbia compiutamente eseguito il contratto, il quale dunque potrà dirsi pendente. Ciò detto, deve peraltro essere precisato che il fatto che il factoring stipulato prima dell’apertura della procedura sia ad effetti reali od obbligatori rileva solo in ordine alla qualificabilità o meno dello stesso come contratto pendente e dunque della possibilità che anche successivamente al deposito del ricorso per concordato preventivo, attesa la neutralità di tale procedura rispetto a tali contratti, il debitore concordatario, da un lato, e il factor, dall’altro, siano o meno obbligati, rispettivamente, a cedere e a pagare, con relativi anticipi, i crediti previsti in contratto. Il che importa, per un verso,
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che il contratto di factoring (ad effetti obbligatori) deve necessariamente essere contemplato ai fini dell’attestazione del piano, e, per altro verso, che lo stesso potrà essere sospeso o sciolto, ai sensi dell’art. 169-bis fall.59. Quanto invece al trattamento concorsuale del factor in relazione alle singole operazioni non ancora “chiuse”, ossia a quelle operazioni nelle quali il credito, alla data di apertura della procedura, pur essendo stato già ceduto, non è ancora scaduto, valgono le medesime regole tanto che si tratti di cessioni relative ad un c.d. factoring globale, quanto che si tratti di cessioni esecutive di un factoring ad effetti obbligatori ed in entrambi i casi possono essere ripetute le medesime considerazioni svolte in precedenza a proposito dello sconto. 4. E veniamo al caso in cui l’operazione di anticipazione su crediti sia successiva all’apertura della procedura, al quale, però, potrò qui dedicare solo qualche cenno. In questo scenario occorre distinguere due ipotesi: a) quella in cui il perfezionamento di uno dei contratti in discorso avvenga in attuazione del piano concordatario omologato; b) quella in cui la stipula di uno dei contratti in discorso avvenga sì dopo l’apertura della procedura, ma al di fuori del piano, quale atto gestorio del debitore. In questo caso, occorre muovere dal rilievo, di interesse su entrambi i fronti, che le operazioni in discorso (sconto in senso tecnico; “sconto improprio”; factoring), come del resto è già emerso da quanto sin qui detto, hanno tutte una importante componente finanziaria. Anche quando delle stesse, come a me pare preferibile, si operi una ricostruzione che ne valorizzi la funzione di liquidità, non si può negare, infatti, che la monetizzazione anticipata dei crediti a scadere o addirittura di quelli futuri, che ne costituisce l’essenza, sia strumentale a soddisfare un bisogno finanziario dell’impresa. Del resto, questo rilievo trova conforto nella circostanza che qui lo scambio di moneta attuale contro moneta futura non “chiude” l’operazione, la quale potrà dirsi conclusa solo quando i crediti ceduti verranno a scadere e saranno onorati, nelle more permanendo in capo al cedente il relativo rischio di credito (che, come si è detto, deve trovare una specifica copertura in un apposito fondo rischi)60. In defini-
59 Ciò, eventualmente, anche nella fase di preconcordato, in tal caso, però, a mio parere, alle condizioni e con le conseguenze che ho avuto modo di individuare in Caridi, Anticipazione su crediti, cit., p. 509 ss. 60 V. retro note 48 e 49 e testo corrispondente.
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tiva, se è vero che, nel caso di specie, il cliente della banca o del factor si priva di una componente dell’attivo non liquido per ottenerne uno liquido, per fare questo, oltre a dover pagare il corrispettivo dell’operazione, dato da interessi e commissioni, si espone per una somma almeno pari a quanto ricevuto. Di talché, se l’operazione, sul piano giuridico, secondo la tesi qui preferita, non può essere ricostruita come un mutuo, prevalendo la causa di liquidità, ciò non esclude che possa comunque essere ricondotta alle operazioni di finanziamento in senso lato. E, del resto, il legislatore bancario, sebbene ai fini del mutuo riconoscimento, inserisce sconto e factoring tra le operazioni di prestito61, seguendo una linea ricostruttiva già battuta nella Relazione di accompagnamento al codice civile (n. 745), nonché, in precedenza, nella Relazione di accompagnamento al progetto di codice di commercio62. Ciò detto, appare chiaro che, ponendosi nella prospettiva ora in considerazione, si tratta di comprendere cosa accade quando tali operazioni di finanziamento siano poste in essere dopo l’apertura della procedura. a) La prima ipotesi, ossia quella in cui l’operazione è posta in essere in esecuzione del piano concordatario, trova il suo campo di applicazione elettivo con riferimento al concordato in continuità aziendale, laddove si tratti di liquidare crediti che vanno a scadenza in tempi non compatibili con le necessità della piano. Trova applicazione, nel caso di specie, l’art. 182-quater, co. 1, l.fall., con conseguente prededucibilità del credito da rimborso della banca nell’eventuale successivo fallimento. Il piano concordatario dovrà, peraltro, prevedere le caratteristiche del contratto, precisando i singoli atti esecutivi dello stesso e contemplando tra gli allegati un accordo preliminare con la banca o comunque un impegno di quest’ultima a stipulare il contratto una volta omologato il concordato. b) Il secondo caso, come si è detto, è quello in cui i contratti in discorso sono stipulati sì dopo l’apertura della procedura, ma al di fuori del piano, quali atti gestori del debitore concordatario. In questo caso, l’operazione di anticipazione, la quale avrà per definizione ad oggetto crediti sorti successivamente alla presentazione della domanda di concordato, almeno nel caso in cui sia stipulata pro solvendo, deve qualificarsi come
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Cfr. art. 1, co. 2, lett. f), t.u.b. Sul citato passo della Relazione di accompagnamento al codice civile, v. retro nota 26. La Relazione al progetto preliminare di codice di commercio, al n. 102, qualifica lo sconto come «prestito di secondo grado». 62
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atto di gestione straordinaria63 e, se si intende riconoscere al finanziatore il vantaggio della prededuzione, dovrà essere autorizzata ai sensi dell’art. 182-quinquies, l.fall., nella parte in cui tale disposizione, nel disciplinare i c.d. “finanziamenti interinali”64, precisa ed adatta il meccanismo di cui all’art. 167 l.fall., irrigidendolo in relazione alla “pericolosità” dello specifico atto da autorizzare, la quale risiede nel fatto che qui si prevede e disciplina non tanto il fatto che il debitore acceda ad un finanziamento tout court, quanto che stipuli un finanziamento, attribuendo al finanziatore, nell’eventuale successivo fallimento, o la sola qualifica di creditore prededucibile o anche quella di creditore privilegiato, ponendolo, allora, nella prospettiva fallimentare, in ogni caso, fuori dal concorso ed eventualmente anche in una posizione di preferenza nell’ambito dei prededucibili, qualora si realizzino le condizioni per un concorso sostanziale tra questi ultimi65. Naturalmente, se le parti non intendano attribuire al finanziatore la qualifica di prededucibile, l’anticipazione su crediti stipulata dopo l’a-
63 Ciò, a prescindere da ogni altra considerazione, per un verso, perché le operazioni di anticipazione su crediti incidono sulla composizione dell’attivo dell’impresa in concordato, e, per altro verso, perché lasciano in capo all’imprenditore in concordato il rischio dell’insolvenza del debitore ceduto. 64 Come si è già ricordato, oggi, a seguito delle modifiche apportate all’art. 182-quinquies l.fall. dal d.l. n. 83/2015 (convertito, con modificazioni, con la l. n. 132/2015), trovano una specifica disciplina, precisamene nel nuovo terzo comma di detta disposizione, anche i c.d. “finanziamento interinali urgenti ed indifferibili”, destinati a coprire il fabbisogno finanziario dell’impresa che abbia presentato una domanda di concordato c.d. “in bianco” fino allo scadere del termine per la presentazione del piano e della documentazione (in argomento, Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Appendice di aggiornamento, cit., p. 40 ss.). Orbene, le operazioni di anticipazione su crediti (sconto in senso tecnico; “sconto improprio”; factoring) potranno essere autorizzate anche come “finanziamenti interinali urgenti”. Quanto alla possibilità, pure riconosciuta dal nuovo terzo comma dell’art. 182-quinquies, l.fall., di chiedere, in via d’urgenza, l’autorizzazione al mantenimento delle «linee di credito autoliquidanti», si rinvia a quanto detto retro nota 56. 65 Del resto, che le operazioni di anticipazione su crediti, contrariamente a quanto si è di recente sostenuto [Frigeni, Linee di, cit. p. 3081], siano (o meglio, possano essere) soggette al meccanismo autorizzatorio contemplato dall’art. 182-quinquies, l.fall. per i c.d. “finanziamenti interinali” è confermato, ancora una volta, dalle modifiche apportate alla previsione in parola dal d.l. n. 83/2015 (convertito, con modificazioni, con la l. n. 132/2015), tanto laddove, in chiusura del nuovo terzo comma, a proposito dei c.d. “finanziamenti interinali urgenti ed indifferibili”, è oggi previsto che la richiesta di autorizzazione possa riguardare anche la prosecuzione dei rapporti aventi ad oggetto «linee di credito autoliquidanti», quanto, in un certo senso, laddove è stabilito, all’attuale quarto comma, che la stipula dei finanziamenti in questione possa essere assistita, oltre che da pegno e ipoteca, anche da una cessione di credito in garanzia.
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pertura della procedura sarà assoggettata all’ordinario meccanismo autorizzatorio di cui all’art. 167 l.fall. 5. E vengo alle conclusioni. Il discorso sin qui svolto ha fatto emergere in tutta la sua complessità la questione – come si è visto, ancora dibattuta – dell’inquadramento della fattispecie “anticipazione su crediti”, o meglio delle singole figure a questa riconducibili, allo stesso tempo segnalando, però, a mio parere, la preferibilità, anche in prospettiva sistematica, dell’inquadramento giuridico di tali operazioni come «unitari contratti di liquidità», secondo una linea ricostruttiva che peraltro non preclude, soprattutto quando i crediti vengano ceduti pro solvendo, di riconoscervi i caratteri propri delle operazioni di finanziamento in senso lato, come in particolare risulta evidente guardando alle anticipazioni su crediti stipulate dopo l’apertura della procedura di concordato preventivo. E se è vero che la giurisprudenza maggioritaria continua a non avvedersi del fatto che nelle operazioni in discorso la funzione economica di liquidità entra nella causa del contratto, proprio le ricadute in ambito concorsuale delle ricostruzioni teoriche che da ciò prescindono convincono della correttezza dell’impostazione qui preferita.
Presidente Grazie. Mi sembra che Vincenzo abbia evocato, a più riprese, prima esplicitamente poi implicitamente, la figura di Ferro-Luzzi che tanti contributi e così importanti ci ha lasciato. La ricostruzione di Caridi sviluppa, in modo convincente, le idee del Maestro e dialoga criticamente con la giurisprudenza. Mi rammarica solo di avere costretto il nostro relatore in un tempo forse troppo limitato.
Finanziamenti bancari alle imprese in crisi: tipologia Maurizio Sicuto 1. Di finanziamenti bancari rispetto alle imprese in crisi potrebbe parlarsi sia rispetto a quelle non ancora entrate in una procedura concorsuale che per quelle già vi si trovino. E vi aggiungerei – ciò che alle volte appare meno ovvio – anche quelle che escono da una procedura di risanamento, quando, pur lasciata alle spalle la procedura, il piano
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di risanamento che ne ha costituito oggetto sia ancora in fase di esecuzione, con possibili tensioni finanziarie non troppo lontane, anche se alleggerite, da quelle vissute prima della procedura. Probabilmente, la fase che presenta un maggior tasso di criticità e incertezze – almeno se qui si voglia prediligere un’angolatura che privilegi l’osservazione della condotta e delle strategie della banca erogante – è quella precedente all’apertura di una procedura concorsuale: dal momento che all’interno di una procedura già aperta si riesce ad operare, quantomeno, in un contesto di maggiore chiarezza sulla funzione e sulla sorte della nuova finanza, di quanto non sia invece possibile nella fase, spesso concitata e opaca, nella quale ancora si cerchi di orientarsi su quale percorso da seguire per risolvere la crisi. 2. Anche in questa fase, comunque – come ben rilevato cinque anni orsono da Salvatore Maccarone in una relazione dal titolo assai simile a questa (ma certamente migliore di questa), sempre in occasione di un incontro di studio organizzato dalla Rivista Diritto della banca e del mercato finanziario (e qui pubblicata, nel 2011), – quello della tipologia dei finanziamenti bancari alle imprese in crisi potrebbe apparire un «non tema». «Nel senso» – si precisava – «che non esistono tipologie particolari di finanziamento bancario alle imprese in crisi. Le banche erogano credito ad esse – quando lo fanno – esattamente nelle stesse forme utilizzate per l’affidamento di imprese nella loro vita normale o anche in difficoltà ma al di fuori dei meccanismi che le nuove norme del diritto fallimentare oggi prevedono e presidiano. (…) non sono le forme tecniche del credito che caratterizzano questa fase dell’intervento delle banche ma piuttosto l’ambiente complessivo, normativo e di fatto, nel quale esso si realizza». Se si condividano questi rilievi, si tratterebbe piuttosto di considerare, allora, come il contesto fattuale e giuridico della crisi, soprattutto prima dell’apertura di una procedura, condizioni e orienti, e per così dire “plasmi”, l’erogazione del credito bancario. 3. Può innanzitutto registrarsi – anche a prescindere dalla valutazione di un’imminente procedura e delle opportunità di cui in seno ad essa potrebbe godere la cd. nuova finanza – la naturale ed ovvia propensione delle banche a intraprendere, alle prime avvisaglie di una crisi e per quanto possibile, un percorso di progressivo rientro e rafforzamento del credito, acquisendo garanzie reali e personali, del debitore o di terzi (soci, società collegate, etc.). Esposizioni derivanti da aperture di credito o altre facilitazioni finanziarie non garantite, vengono via via ridotte e rimpiazzate da nuove
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linee di credito assistite da garanzie ipotecarie, eventualmente anche – faute de mieux – di secondo o terzo grado. Potrebbe osservarsi, per inciso, che un tale percorso, oltre che nella prospettiva della responsabilità della banca verso terzi (di cui si occuperà la relazione che segue) può involgere anche profili di responsabilità interna – verso la banca stessa o verso i suoi creditori – degli esponenti aziendali della banca, per avere erogato nuovo credito in condizioni già di incaglio o sofferenza del credito precedente. Tale azione gestoria, tuttavia, non dovrebbe ritenersi censurabile di per sé. Vero è, infatti, che la stipulazione di contratti di credito formalmente nuovi e scarsamente garantiti, in un contesto di difficoltà dell’affidato, possono risolversi in una prevedibile perdita per la banca. Vero è pure, tuttavia, che se tali contratti hanno lo scopo, per certi aspetti necessitato, di ridurre e consolidare, nei limiti in cui ciò è possibile, esposizioni pregresse, più gravi o meno assistite, non dovrebbe ritenersi la condotta, di per sé, pregiudizievole per la banca. 4. Chiaro è pure, tuttavia, che diverso sarà il metro di misura della finalità e della meritevolezza del finanziamento nella prospettiva dell’impresa affidata e dei suoi creditori. Nel senso che, se si tratti davvero di “finanziamento ponte” concesso ad un’impresa per consentirne il risanamento, esso dovrebbe essere: concesso solamente in presenza di ragionevoli prospettive di continuità aziendale; tendenzialmente proporzionato al capitale circolante dell’impresa; conformato secondo tecniche contrattuali congrue, prevalentemente volte a facilitare lo smobilizzo crediti e a sostenere i pagamenti strettamente necessari per sostenere nel breve periodo la continuità aziendale (dipendenti e fornitori soprattutto, oltre agli obblighi fiscali e previdenziali) e la solvibilità onde evitare il fallimento (Linee Guida CNDEC, Ambrosini). Diversamente andrebbe apprezzato (sempre nella prospettiva della responsabilità della banca di cui si occuperà la prossima relazione) il rifinanziamento laddove il suo scopo non fosse altro che quello di consolidare l’esposizione precedente mediante rientri o nuove garanzie, poi non revocabili in un prevedibile fallimento. 5. Meno decisiva – sempre nella prospettiva delle cautele opportune per il finanziatore – è invece divenuta, per effetto dei più recenti interventi legislativi (del 2010 e del 2012) in punto di prededucibilità, la possibilità di conseguire il rilascio di nuove garanzie a sostegno della nuova finanza funzionale all’accesso a una procedura concordataria; ovvero la possibilità di conformare, quantomeno, la nuova finanza a breve termi-
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ne, così da poterne ottenere il rimborso prima ancora dell’apertura di una temuta procedura fallimentare, allo scopo di poter contare su un’esenzione da un’eventuale revocatoria fallimentare. Difatti, la protezione accordata, in punto di prededucibilità, dal 2010 in poi, anche alla nuova finanza funzionale all’accesso a una procedura concordataria rende se non equivalente, almeno ragionevolmente comparabile una tale protezione con quella per l’innanzi possibile solo sul piano dell’esenzione dalla revocatoria (Vicari, 2008), avendo certamente contribuito ad ampliare le possibilità di intervento da parte delle banche. Una differenza resta però, come noto, con riferimento alle imprese in crisi che pianificassero una ristrutturazione del debito ricorrendo al piano di risanamento attestato ex art. 67, co. 3, lett. d, l.fall., ove alcuna protezione, in caso di successivo fallimento, opera per eventuali finanziamenti interinali. 6. Importante può risultare invece, sempre dal punto di vista della banca finanziatrice, la scelta di ricorrere a linee di credito “autoliquidanti”, al fine dello smobilizzo crediti dell’impresa sovvenuta, adottando piuttosto la forma della cessione del credito anziché quella del mandato all’incasso, seppure con clausola di elisione o di annotazione (Frigeni, 2013). Ciò perché, almeno nel caso di successiva apertura di fallimento (diversamente forse sarebbe a dirsi in caso di concordato preventivo, attesa la tendenziale prosecuzione dei contratti in corso, compresi quelli di credito), dovrebbe ritenersi che mentre nel primo caso la banca cessionaria, almeno se la si ritenga a tutti gli effetti titolare del credito cedutole, potrebbe ben incassare quanto riscosso, salvo il caso di revocatoria; diversamente avverrebbe in caso di mandato all’incasso, secondo la cui struttura giuridica la banca, mandataria del cliente seppure in rem propriam, perderebbe la legittimazione all’incasso che gliene deriva, a favore della curatela; prima ancora, allora, che con l’avvenuto incasso si possa verificare una condizione nella quale possa quantomeno operare una compensazione ex art. 56, l.f. 7. Un’ulteriore considerazione sulle prospettive e strategie del finanziamento della banca alle imprese in crisi prima dell’apertura di una procedura. a. V’è, innanzitutto, tuttora una condizione di maggiore incertezza che, nelle prospettiva di una procedura di concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione, grava la nuova finanza erogata “in funzione” di tali procedure rispetto a quella “interinale” (art. 182 qunquies, l.fall.) o in esecuzione delle medesime. Mentre le prime possono essere erogate in condizioni di relativa certezza (quella interinale potrebbe essere
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concessa, ad esempio, anche alla condizione che venga effettivamente autorizzata dal tribunale, oppure contare, già in fase di trattative, su un’autorizzazione preventiva per tipologia ed entità; mentre quella in esecuzione, per definizione, fa riferimento a un piano già omologato), l’acquisizione dello statuto della prededucibilità, per la finanza “in funzione”, necessariamente erogata prima dell’accesso alla procedura, risulta, come noto, ancorato a due condizioni: la previsione dell’intervento finanziario (in modo più o meno puntuale, a seconda dei diversi punti di vista) nel piano o nell’accordo sottoposto al tribunale; e la sua “validazione” da parte di quest’ultimo in sede di provvedimento di ammissione alla procedura. b. La seconda condizione ha evidentemente un discreto grado di incertezza. Ma anche la prima, per certi aspetti, non è detto che sia facilmente governabile. Sempre più di frequente, infatti, accade che le banche stesse – un tempo quasi sempre in posizione di regìa di ogni progetto di ristrutturazione del debito – vengano “sorprese” da domande di pre-concordato, in cui ovviamente un piano ancora non v’è (mentre la finanza accordata dopo sarebbe, a mio avviso, non più “in funzione” dell’accesso alla procedura, oramai avviata seppure in fase prodromica, bensì già riportabile alla fattispecie di quella “interinale” prevista dall’art. 182 quinquies; in questo senso Ambrosini). Questo significa che il sostegno finanziario “genericamente” concesso durante la crisi e allo scopo di superarla, eventualmente già in via stragiudiziale, rischia di non poter aspirare ad alcuna prededucibilità anche se venisse di fatto impiegato, e quindi risultasse oggettivamente funzionale, all’accesso alla procedura. Con un possibile incentivo della banca, allora, a farsi essa stessa, in anticipo e nel suo stesso interesse, interprete della situazione di crisi dell’impresa assistita, spingendola verso una soluzione giudiziale, quante volte un risanamento stragiudiziale non appaia destinato al successo (ivi compreso quello perseguito attraverso un piano di risanamento attestato, per le ragioni sopra ricordate). Vero è pure che, per converso, può talora porsi il problema opposto: e cioè quello della riclassificazione, all’interno di un piano concordatario, di credito erogato a sostegno di esigenze diverse come se invece fosse stato concesso al precipuo fine di facilitare l’accesso ad una procedura concordataria, guadagnandogli così una prededucibilità che in realtà non dovrebbe meritare. c. La contingente e difficile distinguibilità fra tali situazioni in cui la banca si trova a dover operare, dovrebbe forse indurre a valutare con minor rigore ogni sua eventuale responsabilità penale nei casi in cui non
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operi direttamente l’esenzione prevista dall’art. 217 bis, l.fall. Nel senso che se è vero che dalle più recenti riforme emerge un indirizzo di incoraggiamento alla banche a sovvenire imprese in crisi, ciò non parrebbe coerente con – né giustificare – trattamenti francamente agli antipodi in circostanze che in fatto, invece, possono risultare sostanzialmente analoghe. E così: da una parte si ha l’esenzione penale e il “premio” della prededucibilità, quando il sostegno all’impresa in crisi sia assicurato espressamente in occasione o in esecuzione di un’operazione di risanamento “giudiziale”; e nessun “premio”, invece, con la sanzione penale per giunta, si ha dall’altra parte, quando quello stesso tipo di sostegno, pur “a parità” di crisi, sia prestato in funzione dell’accesso alla procedura ovvero in un contesto in cui ancora non si sia deciso di accedere ad una procedura, senza dunque che ancora vi sia un piano all’interno del quale quel sostegno sia formalmente contemplato. d. Certo è – sempre nella prospettiva dei possibili accorgimenti in “autotutela” delle banche, e ora con riferimento alla tipologia dei cd. finanziamenti in pool – che sempre meno, in tali interventi (sovente registrabili nei dissesti più significativi, dove imprese di dimensioni rilevanti intrattengono rapporti con diversi istituti) si raccomanda l’assunzione del ruolo di leader, o capofila. Esso, in effetti, da un lato procura modesti vantaggi in termini di convenienza economica, almeno in termini proporzionali (anche se in assoluto è possibile che la banca più attiva sarà proprio quella maggiormente esposta, e quindi più interessata a un risanamento). D’altro lato, a fronte di ciò, esso comporta tuttavia un certo incremento in termini di eventuali responsabilità: non solo verso l’impresa (o meglio la procedura fallimentare nella quale cada), ad esempio per abusiva concessione del credito o concorso nella commissione di reati fallimentari (come l’aggravamento del dissesto per aver concorso alla ritardata apertura della procedura); ma anche verso le altre banche consorziate, che in via diretta, o di manleva rispetto ad azioni della curatela, lamentino di essere state esse stesse fuorviate, o colpevolmente indotte a partecipare al pool, dalla capofila, la quale si sarebbe così assunta il compito di svolgere l’istruttoria del caso e organizzare l’intervento delle altre consorziate. 8. Un ultimo scorcio su questa fase e sulle connesse scelte strategiche rimesse alle banche. È noto che molto spesso la nuova finanza bancaria, quanto più la crisi sia pressante, non venga concessa, tout court, tramite un semplice contratto di finanziamento, bensì rafforzandolo e “puntellandolo”
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con clausole che impegnino la società finanziata a intraprendere un certo percorso (covenants, poi di diversa natura): e così, ad esempio, imponendo operazioni sul capitale, o la nomina di soggetti designati dalla banca finanziatrice all’interno degli organi di amministrazione o di controllo dell’impresa, o introducendo covenants sempre più stringenti affinché al maturare di certe condizioni vengano alienati cespiti aziendali, oppure non vengano più intrapresi nuovi investimenti giudicati troppo rischiosi o a lungo termine, ovvero a “tagliare rami secchi” della struttura produttiva, o ancora a licenziare personale dipendente, e così via. Ebbene, tutto questo, nella contrattualistica, rischia spesso di assumere forme meno evidenti di quelle che pure potrebbero giudicarsi legittime e plausibili, considerato quello che in fondo è un ragionevole interesse della banca. Ciò avviene infatti a causa del timore di dare, se quei covenants fossero espressi, adito a possibili “teoremi” ricollegati alla dottrina – forse ora più demodée, anche nell’esperienza giuridica d’origine, quella americana, grazie ad un prudente intervento della sua giurisprudenza – della cosiddetta lender governance: l’idea cioè che la banca finanziatrice, in virtù di tutti i covenants attraverso i quali finisce per pilotare e condizionare la gestione dell’impresa affidata, non solo per via della sua influenza economica ma proprio in virtù di stringenti clausole contrattuali, possa essere qualificata come società controllante della finanziata; e conseguentemente assumere anche una connessa responsabilità, vuoi per induzione all’inadempimento della finanziata, vuoi per averla indotta a ritardare l’apertura del fallimento, vuoi infine per averne assunto a tutti gli effetti le responsabilità di una “abusiva” direzione e coordinamento durante la fase di crisi. Conseguenza di un tale possibile rischio diviene allora che, spesso, la tipologia dei finanziamenti assistiti da covenants non vede questi ultimi esplicitati in termini netti, “nero su bianco”, proprio al fine di evitare che essi, ex post, si possano ritorcere contro la banca che li ha pretesi. Essi, così, verranno piuttosto affidati, allora, a una serie di messaggi – spesso non messi per iscritto e se si vuole quasi subliminali – come quelli per cui la banca “gradirebbe”, “non si opporrebbe”, “preferirebbe consultarsi” prima dell’intrapresa di ciascuna delle iniziative oggetto dei covenants così mimetizzati (Bainbridge). Il che consentirebbe se non altro, in sede processuale, di indebolire la posizione avversa, accrescendo l’onere probatorio di chi invochi la responsabilità della banca per aver controllato l’impresa durante la sua fase di crisi.
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Presidente Bene, grazie Maurizio per le preziose osservazioni. Mi verrebbe, con una battuta, di dire: c’è da rimpiangere i vecchi bei tempi in cui le cose erano semplici e chiare, oggi si fanno sempre più complesse, tanto da richiedere al giurista di recuperare le conoscenze da prendere a prestito anche dall’aziendalista. Il punto fondamentale, almeno a mio avviso, della relazione di Maurizio Sciuto ruota intorno alla domanda che egli si è posto: ma perché dobbiamo trattare così diversamente la banca quando fa finanza prima dell’ammissione alla procedura e invece successivamente? Non c’è il rischio di indurre la banca a un atteggiamento meno imprenditoriale e un po’ più burocratico? O invece, e qui ricordo le ultime battute della relazione di Maurizio, si indurrà la banca a farsi imprenditore? Imprenditore non più bancario, ma industriale perché la banca dovrà, persino, impartire direttive gestionali precise, ad es. riguardo al licenziamento del personale o al taglio di rami secchi.
Finanziamenti bancari alle imprese in crisi: responsabilità della banca Sabino Fortunato 1. Ringrazio i professori Nigro e Vattermoli per questo rinnovato invito ai seminari, sempre stimolanti, organizzati dalla Rivista. Il tema che mi è stato assegnato in questa seduta investe “la responsabilità della banca nei finanziamenti alle imprese in crisi”, tema di cui mi sono occupato in altra occasione con un breve scritto di inquadramento1. Non mi pare che da allora si siano avuti grandi mutamenti, se non fosse che l’argomento si è dimostrato certamente articolato e complesso. Forse gli ultimi punti di riferimento, dopo le note decisioni delle Sezioni Unite della Cassazione nn. 7029, 7030 e 7031 del 28 marzo 2006, possono essere costituiti dalla sentenza di Cass., Sez. I, 1° giugno 2010, n. 13413 (che sembra affermare la legittimazione del Curatore fallimentare a far valere la responsabilità concorrente della banca per il “ricorso abusivo”
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Mi permetto di rinviare a Fortunato, La concessione abusiva di credito dopo la riforma delle procedure concorsuali, in Il Fallimento, 2009, p. 65 ss.
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al credito da parte dell’imprenditore finanziato) e una recente decisione di App. Milano, 20 marzo 2015, n. 1229 (che, invece, pur volendosi apparentemente riallacciare alla Cassazione del 2010, nella sostanza nega recisamente ogni legittimazione del Curatore, confermando la sentenza appellata del Tribunale di Monza e l’orientamento che a me pare del tutto prevalente). In particolare App. Milano nega che possa sussistere responsabilità della banca a fronte di una richiesta di finanziamento che proviene dalla stessa società sovvenuta. Ma procediamo per gradi. Alessandro Nigro2 ha individuato quattro possibili fattispecie in cui l’erogazione del credito può evocare l’eventuale responsabilità della banca: 1) la classica concessione abusiva del credito, di cui vedremo più specificatamente i connotati distintivi; 2) il concorso/complicità della banca nel ricorso abusivo al credito da parte dell’imprenditore finanziato, da alcuni ricondotto al genus della induzione all’inadempimento. Tuttavia, ritengo più corretto individuare distinte fattispecie al riguardo: il concorso implica che l’iniziativa provenga dagli esponenti della società sovvenuta, mentre l’induzione all’inadempimento esige una iniziativa del funzionario di banca, che spinge gli amministratori della società finanzianda a far ricorso al credito, contravvenendo ai propri doveri di diligenti gestori; 3) la terza fattispecie ricorre nel caso di una banca che si ingerisce nella gestione del sovvenuto, che opera alla stregua di un amministratore di fatto, anche per effetto di covenant negoziali, inseriti nello stesso contratto di finanziamento e di cui ci ha parlato anche Maurizio Sciuto; 4) e infine la responsabilità da direzione e coordinamento della banca nei confronti della sovvenuta, nella misura in cui si attui un vero e proprio dominio della banca verso il finanziato, grazie al controllo contrattuale ex art. 2359, co. 1, n. 3 c.c., veicolato dallo stesso finanziamento. Come appare evidente, siamo di fronte più esattamente a cinque fattispecie, i cui elementi costitutivi sono tutt’altro che coincidenti: il “ricorso abusivo al credito” (artt. 218 e 225 l.fall) si fonda sull’iniziativa dell’amministratore o del direttore generale o del liquidatore della società sovvenuta e comunque dell’imprenditore finanziando e si basa su una condotta di questi dissimulatoria del dissesto o dello stato d’insolven-
2 Nigro, La responsabilità delle banche nell’erogazione del credito alle imprese in crisi, in Giur. comm., I, 2011, p. 305 ss.; nonché ID., La responsabilità della banca nell’erogazione del credito, in Società, 2007, p. 439 ss.
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za; tutte le altre fattispecie evocano un comportamento principale dei dirigenti (ed esponenti) della banca finanziatrice. E ancora “l’induzione all’inadempimento” come anche la “concessione abusiva” si riferiscono ad atti puntuali imputabili alla banca, laddove le responsabilità da “amministrazione di fatto” o da “direzione e coordinamento” si riferiscono ad attività – anche solo in senso ampio – di carattere gestorio, in cui l’eventuale finanziamento si inserisce come “occasione” dell’attività posta in violazione dei principi di corretta amministrazione del sovvenuto. Peraltro, occorre sempre essere molto attenti a distinguere le forme di legittima tutela del credito da quelle di vera e propria ingerenza nell’altrui autonomia gestoria. Ma fatta questa premessa in termini di inquadramento generale del rapporto fra banca e impresa finanziata o finanzianda, v’è da chiedersi quanto queste fattispecie astratte si siano effettivamente tradotte in casi giurisprudenziali di condanna risarcitoria a carico delle banche. A mia conoscenza, i giudizi si sono conclusi quasi sempre senza condanna della banca e spesso l’eventuale affermazione di responsabilità è contenuta in obiter dicta, poiché il decisum si muove in tutt’altra direzione, come accade anche nella citata sentenza della Cassazione del 2010. Ma sul punto ritorneremo più oltre. 2. La concessione abusiva del credito è la figura principale, su cui si è maggiormente appuntata l’attenzione di dottrina e giurisprudenza. E ricordo a tutti noi che l’elaborazione dell’istituto nel nostro ordinamento deve molto ai lavori pionieristici di Alessandro Nigro, in base alle suggestioni che fin dagli anni Settanta del Novecento provenivano soprattutto dalla giurisprudenza francese3. Si tratta di un “illecito atipico”, la cui antigiuridicità non sembra riconducibile alla violazione di specifiche disposizioni normative, ma appunto alla lesione dell’altrui sfera giuridica tutelata dal generico precetto del “neminem ledere” sancito dall’art. 2043 c.c. Le più mature elaborazioni giurisprudenziali, a cominciare dalle Sezioni Unite della Cassazione del 28 marzo 2006 (con ben tre decisioni
3 E cfr. Nigro, La responsabilità della banca per concessione “abusiva” del credito, in Giur. comm.,1979, I, p. 219 ss., già in Le operazioni bancarie, I, a cura di Portale, Milano, 1978, p. 301 ss. Bisogna peraltro sottolineare che il sistema francese dell’illecito extracontrattuale è molto diverso da quello accolto dal codice civile italiano del 1942 e che, in particolare, il “sostegno abusivo” è costruito come una sorta di responsabilità oggettiva della banca per rischio d’impresa.
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di identico contenuto: le nn. 7029, 7030 e 7031), hanno individuato il nucleo fondamentale della fattispecie nella “informazione distorta al mercato” che il finanziamento concesso ad una impresa insolvente è in grado di trasmettere agli operatori economici, nella misura in cui essa crea una apparenza di solvibilità che finisce per ingannare i terzi che vengono a contatto con l’impresa sovvenuta. Insomma la concessione del credito all’impresa che ha perso il suo merito creditizio, ma forse e ancor più che si trova in una situazione di irreversibile decozione, viola le regole di diligenza del bonus argentarius. Tale comportamento non si limita a danneggiare talvolta la stessa banca erogatrice, ma anche i terzi, attuali creditori o successivi creditori, per effetto del messaggio distorto che questi percepiscono rispetto ad una impresa che non è già o non è più prospetticamente in grado di adempiere regolarmente ai propri impegni e che tuttavia prosegue l’attività grazie alla liquidità consentita dalla concessione del finanziamento, sia sotto forma di mantenimento delle linee di credito già in essere sia sotto forma di nuova erogazione. L’interesse leso è dunque l’interesse del terzo che, in mancanza di quel finanziamento, avrebbe più tempestivamente percepito la reale situazione economico-patrimoniale della sua controparte; e che dunque, se attuale creditore, avrebbe eventualmente interrotto ogni rapporto con il debitore e si sarebbe attivato per tutelare le proprie ragioni di credito; ovvero, se potenziale contraente, non avrebbe negoziato e non avrebbe contratto altre obbligazioni con l’imprenditore insolvente. L’interesse leso si identifica, dunque, nella “libertà di autodeterminazione negoziale” del terzo, che deve poter fare affidamento su una compiuta informazione dello stato di salute (economico-patrimoniale) del debitore/contraente4. Il comportamento illecito della banca non sta tanto nella erogazione del credito in quanto tale, ma nella “informazione distorta” che gli altri operatori di mercato ne traggono in merito allo stato di salute dell’impresa sovvenuta. Questa impostazione dell’illecito da concessione abusiva del credito spiega perché la lesione che ogni terzo operatore di mercato può eventualmente subire è differenziata da caso a caso, poiché dipende dal-
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Alcuni Autori preferiscono parlare di “lesione del credito”, ma a me pare che l’informazione distorta incida sulla “libertà negoziale” del terzo, tanto che abbia già in essere un rapporto contrattuale con il debitore in crisi (non venendo allora posto in condizione di tutelare il proprio credito, attivando tempestivamente i mezzi che l’ordinamento gli consente) quanto che sia indotto a negoziare e contrarre nuove obbligazioni.
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lo stato soggettivo di consapevolezza/conoscenza che ognuno ha della situazione economico-patrimoniale del proprio debitore/contraente e, sotto il profilo della entità del danno, dal contenuto del singolo rapporto negoziale in essere o successivamente instaurato. Ne discende che il danno risarcibile tocca la sfera giuridico-patrimoniale di ciascun terzo: può esistere, ma può anche mancare, perché il terzo ha agito nella piena consapevolezza dello stato di difficoltà del debitore; e laddove esiste, ha una misura diversa per ognuno dei creditori lesi5. Insomma il danno risarcibile è individualizzato e non è affatto indifferenziato. Di qui l’ulteriore affermazione che l’eventuale azione risarcitoria non è azione di massa, per cui la legittimazione attiva non compete al Curatore fallimentare, il quale – come riconoscono le Sezioni Unite del 2006 e come ribadito dalla stessa Cassazione n. 13413 del 2010 – è legittimato ad agire “in rappresentanza dei creditori” limitatamente “alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica” e tende, con le sue azioni risarcitorie e revocatorie, a produrre un beneficio indistinto sulla massa dei creditori concorsuali. La concessione abusiva di credito, in quanto produttiva di una erronea informazione di mercato, determina semmai un illecito assimilabile a quello che fonda non già l’azione sociale o l’azione collettiva dei creditori sociali per la reintegrazione del patrimonio del debitore, ma l’azione individuale del terzo ex art. 2395 c.c., leso direttamente nella propria sfera patrimoniale6.
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Osserva Cass., S.U., n. 7029/2006 che «la posizione dei singoli creditori nei confronti di siffatta attività di sovvenimento abusivo dell’imprenditore si differenzia a seconda che i crediti siano antecedenti oppure successivi alla stessa. La circostanza temporale infatti può escludere oppure costituire il presupposto del pregiudizio, negando pertanto il carattere indifferenziato che struttura l’azione di massa. Il creditore antecedente l’abusiva concessione del credito avrà titolo a dolersi per la partecipazione al riparto, pur sempre all’esito delle azioni conservative del patrimonio da ripartire, dei creditori successivi. Questi ultimi, invece, esclusivamente dell’eventuale incapienza e per tale parte soltanto». 6 Sempre Cass., S.U., n. 7029/2006 precisa, con riguardo alla legittimazione del Curatore fallimentare, che «siffatta legittimazione ad agire, sostitutiva dei singoli creditori, non sussiste in presenza di azioni esercitabili individualmente in quanto dirette ad ottenere un vantaggio esclusivo e diretto del creditore nei confronti di soggetti diversi dal fallito, come avviene mediante le azioni di cui agli artt. 2395 e 2449 c.c. (vedi Cass. n. 18147 del 2002)». I principi affermati dalle S.U. sono ripresi in Cass., 23 luglio 2010, n. 17284; 23 luglio 2008, n. 20364; 9 luglio 2008, n. 18832; 18 giugno 2008, n. 16592; 13 giugno 2008, n. 16031. Costituiscono “falsi precedenti” Cass., 13 gennaio 1993, n. 343 e Cass., 8 gennaio 1997, n. 72 (così Roppo, Crisi dell’impresa e responsabilità civile della banca, in Fallimento, 1996, p. 876 ss.). Su Cass., 13 gennaio 1993, n. 343, in Banca, borsa, tit. cred., 1993, II,
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3. La responsabilità da abusiva concessione di credito, dunque, sorge da un “illecito aquiliano” nei confronti di singoli terzi, per un danno diretto alla loro economia individuale. La nuova disciplina delle imprese in crisi, soprattutto nella parte relativa alle procedure negoziate di risoluzione, modifica il quadro degli elementi costitutivi dell’illecito? Nel mio precedente contributo ho evidenziato come la fattispecie in qualche modo subisca una “torsione” per effetto dei nuovi istituti dei piani attestati (art. 67, co. 3, lett. d l.fall.), degli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis l.fall.) e del riedito concordato preventivo (art. 160 l.f.), sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo e fors’anche sul piano della natura (extracontrattuale o contrattuale) dell’illecito. Gli elementi che incidono in modo particolare sono: (i) la pubblicizzazione della situazione di crisi; (ii) la formalizzazione di un piano di risoluzione della crisi, e (iii) la valutazione che ne compie il finanziatore cui si sia rivolto l’imprenditore in crisi. Beninteso, l’attività d’impresa è sempre un’attività programmata; la programmazione – come ha evidenziato Danilo Galletti7 – è elemento costitutivo della nozione di imprenditore ed è evidente che la banca nella erogazione del credito all’imprenditore, anche quando esso appare solvibile e in bonis, dovrebbe basare il suo comportamento sulla valutazione dell’attività dallo stesso programmata. In altre parole non dovrebbe esserci una differenza qualitativa nel comportamento della banca che fa credito ad un imprenditore in bonis o ad un imprenditore in crisi: si tratta sempre di verificare se, in base alla programmazione dell’attività dell’imprenditore sovvenuto, questi sarà in grado di restituire il finanziamento erogato. Ciò che si può dire è che l’imprenditore con consistenti riserve e garanzie patrimoniali non porrà grandi problemi al finanziatore, nella misura in cui è comunque in grado di adempiere alla propria obbligazione restitutoria. Di contro l’imprenditore in crisi è meritevole di una maggiore attenzione e richiede una formalizzazione analitica del programma di attività, onde dimostrare la sua capacità di ripresa e di superamento della crisi.
p. 258 con nota di Perrone e Marzona, riferita alla responsabilità risarcitoria della banca trattaria verso la banca negoziatrice in relazione ad una serie di assegni emessi allo scoperto, vedi le osservazioni di Panzani, L’insuccesso delle operazioni di risanamento delle imprese in crisi e le responsabilità che ne derivano, in Crisi di Imprese: casi e materiali, a cura di Bonelli, 2011, pp. 198-200. 7 La teoria dell’impresa fra diritto e azienda, testo della lezione tenuta presso il Centro Studi e Sperimentazione per l’Innovazione nelle P.A. dell’Università degli Studi di Verona in data 25 novembre 2005.
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A fronte di un ragionevole piano di superamento della crisi, il mantenimento delle linee di credito o anche l’erogazione di nuova finanza non potranno considerarsi abusivi e perciò illeciti. Il danno che potrebbe derivare a terzi dalla prosecuzione dell’attività dell’imprenditore in crisi non sarebbe imputabile alla banca che ha fatto ragionevole affidamento sul piano programmato dall’imprenditore e che ad una analisi professionale risultava idoneo al superamento della crisi. E questo, si badi, è vero anche rispetto ad un piano attestato ex art. 67 l.f. che pure non è necessariamente destinato alla pubblicizzazione, poiché – ove si dimostri che in forza di una valutazione professionale di quel piano il finanziamento si inseriva in ragionevoli prospettive di superamento della crisi – verrebbe meno il comportamento antigiuridico del finanziatore, in quanto non sorretto dall’elemento soggettivo della “colpa”. Sotto quest’ultimo profilo v’è chi, come Alessandro Nigro, richiede in capo all’intermediario il “dolo”; altri tende a limitare la responsabilità della banca al ricorrere della “colpa grave”. A mio avviso e in via di principio, non mi pare sussistano ragioni sufficienti per escludere sistematicamente l’applicazione della disciplina generale in materia di illecito. “Ciò che si può correttamente affermare – osservavo in altra sede – è che la valutazione prognostica, la previsione del risanamento e/o ristrutturazione, è sempre esercizio particolarmente difficile e presenta margini di discrezionalità più ampi rispetto all’accertamento di fatti storici. Sì che la colpa, pur non grave, potrà ricorrere solo in circostanze che superino ogni ragionevolezza e probabilistica logicità della previsione. E ci si potrà altresì interrogare sulla eventuale insorgenza di una sorta di culpa in vigilando del finanziatore lungo tutta la fase di attuazione del piano, di un suo obbligo di interruzione del sostegno finanziario quando emerga con certezza che il piano è destinato all’insuccesso, essendosi modificati in maniera decisa i presupposti su cui trovava fondamento la preventivata idoneità”8. Si potrebbe semmai invocare il principio ricavabile dall’art. 2236 c.c., secondo cui, “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà”, la responsabilità è limitata al caso di “dolo o di colpa grave”, pur non nascondendosi che la disposizione è dettata in materia di responsabilità contrattuale del prestatore d’opera intellettuale. E tuttavia, non v’è dubbio che la valutazione di un piano di risanamento e/o ristrutturazione implica l’esercizio di una diligenza professionale molto simile a quella dovuta da un prestatore d’opera intellettuale e che, il più
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Mi permetto richiamare Fortunato, La concessione, cit., p. 67.
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delle volte, si scontra con la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, come spesso accade nelle ipotesi di “informazione previsionale” o “programmatica”. Un tale ragionamento vale a maggior ragione nel caso del finanziamento collegato ad un “piano pubblicizzato”, come accade con gli accordi di ristrutturazione o con il concordato preventivo. Qui si aggiunge un ulteriore elemento, poiché l’elemento oggettivo dell’eventuale illecito non tanto si caratterizza in termini di informazione distorta al mercato sulla solvibilità dell’impresa in crisi, insomma sull’occultamento ai terzi della situazione di crisi, che è invece resa nota con la domanda depositata in Tribunale e pubblicizzata tramite il Registro delle imprese; quanto in termini di colpevole ed erronea informazione sulle possibilità di superamento della crisi da parte dell’imprenditore sovvenuto. In altre parole, se la situazione soggettiva della banca finanziatrice rilevante ai fini della sussistenza dell’illecito è del tutto analoga tanto nell’ipotesi di piano non pubblicizzato quanto in quella del piano pubblicizzato, mi sembra che si modifichi in quest’ultimo caso l’oggetto della percezione lesiva del terzo presuntivamente danneggiato, il quale non potrà sostenere di aver fatto incolpevole affidamento su una impresa che appariva solvibile a causa del finanziamento ricevuto, ma dovrà semmai dimostrare che il piano pubblicizzato non era ragionevolmente credibile e che la concessione di finanziamento da parte della banca, quale finanziamento ponte o inserito nelle previsioni di piano, ha avuto un ruolo causale o quantomeno con-causale nell’affidamento del terzo danneggiato. Un’ultima questione che a mio avviso solleva la presenza di piani inseriti in accordi di ristrutturazione o in concordati preventivi, nel cui ambito trovi spazio il mantenimento del finanziamento o anche la nuova finanza, riguarda la natura giuridica della responsabilità del banchiere, nel senso che in tali ipotesi si può qualificare quella responsabilità in termini contrattuali, piuttosto che extracontrattuali. Il che deve affermarsi non solo nei confronti di chi abbia in buona fede partecipato all’accordo, ma anche nei confronti dei creditori estranei, i quali sono in qualche modo “contemplati” dal piano medesimo. “Sia gli uni che gli altri – come ho già osservato – sono in realtà “contemplati” espressamente dal piano: per quel che concerne gli accordi di ristrutturazione, ai creditori aderenti vengono richieste concessioni e rinunce sul proprio diritto patrimoniale e ai creditori non aderenti viene promesso il “regolare pagamento”; quanto al concordato preventivo tutti i creditori, consenzienti e dissenzienti, sono destinatari di effetti quantomeno parzialmente remissori, una volta che la proposta sia stata accettata dalla maggioranza ed omologata dal Tribunale. Si impone insomma un vero e proprio “obbligo di
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protezione” dei terzi pur non aderenti, ma per i quali il “contatto sociale” è conseguenza della necessaria contemplazione della relativa posizione nel piano”. 4. A questo punto v’è da chiedersi se sia possibile una diversa prospettazione dell’illecito derivante dalla concessione abusiva di credito, sia in termini di soggetti lesi sia in termini di effetti oggettivi, di patrimoni danneggiati, dal comportamento illecito imputabile alla banca. Le Sezioni Unite del 2006, in verità, sembrano definire l’illecito in questione come potenzialmente “plurioffensivo”, poiché, accanto al danno da distorta informazione del mercato, ipotizzano anche un possibile danno concorrenziale. “Una concessione di credito estranea alle regole di corretta amministrazione del medesimo, – osservano le Sezioni Unite – mantenendo artificialmente in vita una impresa quando essa invece dovrebbe uscire dal mercato, le consente di continuare una concorrenza che altrimenti non eserciterebbe. Con ciò essa, quale ne possa essere la sorte, produce danno di natura concorrenziale al concorrente, il quale a prescindere dal fallimento, può esercitare azione risarcitoria nei confronti della impresa stessa, oltre che della banca”9. Bisogna peraltro precisare che tale affermazione è addotta come ulteriore argomentazione a sostegno della natura individuale dell’azione risarcitoria derivante dall’abusiva concessione di credito, al fine di escludere il carattere di massa della relativa azione e, conseguentemente, la legittimazione del Curatore. Ed ha pertanto il chiaro sapore di un obiter dictum. Peraltro, anche il principio in sé non è del tutto convincente. Perché sussista un danno concorrenziale risarcibile, occorre identificare l’esistenza di un atto di concorrenza sleale posto in essere dall’imprenditore a danno di altro o altri imprenditori concorrenti, alla stregua di quanto disciplinato dall’art. 2598 c.c., e di cui si sia reso compartecipe la banca. L’unica ipotesi eventualmente invocabile è quella configurata nella clausola generale del n. 3, che sanziona chiunque “si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi di correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”. Francamente non mi pare agevole individuare nel ricorso al finanziamento da parte
9 Conclude la Suprema Corte: «Si deve dunque dedurre che l’effetto dannoso della attività illecita di cui si tratta non è di necessità e dunque esclusivamente la erronea percezione della solvibilità della impresa finanziata. Lo specifico effetto piuttosto è potenzialmente plurimo, e dipende dalla relazione giuridica con il terzo danneggiato».
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di una impresa in difficoltà un comportamento contrario ai “principi di correttezza professionale” (id est: imprenditoriale”)10; né può parlarsi di un rapporto concorrenziale fra il finanziatore e le imprese concorrenti del sovvenuto; difficile, infine, individuare un danno specifico a singole imprese concorrenti, piuttosto che una alterazione generale del mercato. E tanto più dopo la riforma delle procedure concorsuali, che sembrano orientate da un favor per il salvataggio degli organismi produttivi e agevolano interventi di finanziamento alle imprese in difficoltà. 5. Una ulteriore prospettazione in termini di plurioffensività è quella su cui insistono alcuni Autori11, secondo cui la concessione abusiva di credito è idonea a danneggiare non solo il patrimonio di terzi, ma anche il patrimonio dello stesso imprenditore finanziato. Ne conseguirebbe un diritto risarcitorio già presente nel patrimonio dell’imprenditore fallito, in cui succederebbe il Curatore con conseguente legittimazione ad esercitare le azioni (sociale e dei creditori sociali) per la reintegrazione del patrimonio danneggiato. Il danno si determinerebbe in ragione del fatto che l’abusivo finanziamento favorirebbe il protrarsi dell’attività del debitore e ne aggraverebbe lo stato di dissesto, determinando l’accumulo di ulteriori perdite. All’obiezione secondo cui in realtà il finanziamento immette nuove risorse e non depaupera il patrimonio del sovvenuto, si tende a rispondere con l’affermazione che il finanziato assume obblighi di restituzione che appesantiscono il suo stato patrimoniale. Francamente, non ritengo convincenti gli argomenti sin qui addotti. Innanzitutto, non v’è dubbio che il finanziamento aggiunge nuove risorse così come il mantenimento delle linee di credito agevola l’attività dell’imprenditore; e sul piano patrimoniale l’assunzione di nuove obbligazioni di restituzione al più rende neutra l’operazione12. In secondo luo-
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Panzani, L’insuccesso, cit., p. 218, osserva: «si tratterà quindi di verificare quanto le S.U. sembrano dare per presupposto, e cioè che l’accesso alle fonti di finanziamento in condizioni di cui un finanziamento non avrebbe dovuto essere erogato sia oggettivamente in contrasto con un principio generale rinvenibile nell’ordinamento». 11 Particolarmente confuse, tuttavia, le annotazioni di Belli, La responsabilità della banca per erogazione “abusiva” del credito ad un’impresa in situation désperée, in La Resp. civ., 2012, p. 93 ss. 12 Analogo rilievo di neutralità in Bonelli, “Concessione abusiva” di credito e “interruzione abusiva” di credito, in AA.VV., Studi in ricordo di Pier Giusto Jaeger, Milano, 2011, p. 827 ss. in particolare p. 838; nonché in Trib. Monza, 31 Luglio 2007, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, p. 375.
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go e soprattutto, non si vede come possa l’imprenditore che ha contratto volontariamente il finanziamento pretendere il risarcimento del danno al proprio patrimonio conseguente ad un atto di cui è stato pienamente compartecipe, anzi direi coautore. A ben vedere è questo il rilievo che muovono le Sezioni Unite del 2006 alla pretesa legittimazione del Curatore derivante da una successione nel diritto risarcitorio facente capo all’imprenditore fallito: «Va ancora osservato… che la odierna ricorrente partecipò al contratto che dette luogo alla abusiva concessione del credito. Essa dunque da quel contratto non trasse un credito nei confronti della banca, oggi rivendicabile dal curatore. Piuttosto dette luogo, nella stessa costruzione proposta dalla curatela, all’illecito di cui si discute. Dunque non può ragionarsi in termini di compensazione delle colpe, come pretende la curatela, giacché l’ipotesi di cui all’art. 1227 c.c., non può applicarsi al caso in cui entrambe le parti del rapporto danno vita, consapevolmente, al medesimo illecito, riguardando la norma codicistica la fattispecie nella quale distinte condotte, diversamente efficienti a produrre l’evento di danno, ma tuttavia l’una avente titolo nella colpa, concorrono a produrre l’evento pregiudizievole». Come dire, in pari causa turpitudinis, melior est condicio possidentis13.
13 E ciò pur a prescindere se non possa interpretarsi comunque il co. 1 dell’art. 1227 c.c. come riferibile anche al fatto del creditore non solo in quanto concausa dell’evento dannoso, ma anche come elemento costitutivo del medesimo fatto causativo del danno. È evidente che la posizione delle Sezioni Unite è molto più rigorosa in quest’ultima ipotesi, che tende ad escludere qualsiasi possibilità risarcitoria del patrimonio del finanziato. Ricordo che l’art. 1227 trova applicazione non solo alla responsabilità contrattuale, ma anche direttamente a quella extracontrattuale per effetto del richiamo espresso da parte dell’art. 2056 c.c. Questo aspetto delle tre decisioni delle Sezioni Unite sembra sfuggire a Bonelli, “Concessione abusiva”, cit., p. 836, secondo cui invece esse avrebbero affermato senz’altro la legittimazione del Curatore a richiedere il risarcimento del danno arrecato dalla banca al patrimonio della società fallita, avendo in concreto rigettato la domanda perché proposta in questi termini tardivamente in cassazione e non sin dal primo grado. Se quest’ultimo rilievo è corretto, non lo è quello secondo cui astrattamente le Sezioni Unite avrebbero ammesso la risarcibilità del “patrimonio del fallito” per concessione abusiva, poiché – come si precisa nel testo – la Suprema Corte ha escluso espressamente quella risarcibilità nella misura in cui banca e società siano coautrici dell’illecito. Secondo Panzani, L’insuccesso, cit., p. 213 s. occorrerebbe «verificare sino a che punto l’atto di mala gestio posto in essere dagli amministratori della società finanziata nel richiedere la concessione del credito abusiva possa essere riferito alla società stessa, tanto da escluderne la legittimazione a domandare il risarcimento, sia sul piano del rapporto di immedesimazione organica tra amministratore e società sia sul piano della responsabilità della società per gli atti ultra vires».
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In una diversa prospettiva parrebbe muoversi la sentenza di Cass., n. 13413 del 2010, che peraltro è pronunciata non già con riferimento ad una fattispecie di “concessione abusiva” di credito, ma di “ricorso abusivo al credito”, ricorso che presuppone la dolosa infedeltà degli esponenti della società finanziata. Nella specie si sarebbe determinata in sede penale la condanna (intervenuta nelle more del giudizio civile) dell’amministratore e del direttore della filiale della banca per “concorso in bancarotta fraudolenta e ricorso abusivo al credito”. Con riferimento alla impostazione della domanda in termini di concessione abusiva, la Cassazione in commento dichiara di aderire completamente a quanto enunciato dalle Sezioni Unite; e tuttavia ritiene che in considerazione della peculiarità della fattispecie concreta (e cioè “la circostanza che l’amministratore della società fallita e il direttore della filiale della banca siano stati condannati per ‘concorso in bancarotta fraudolenta e ricorso abusivo al credito’, vale ad integrare un’ipotesi di responsabilità dell’amministratore verso la società ex art. 2393 c.c. - che il curatore può far valere ai sensi della L. Fall., art. 146 - e di concorso nella stessa responsabilità della banca convenuta in relazione alla condotta del proprio funzionario”) possa affermarsi il principio secondo cui “il curatore è… legittimato ad agire, ai sensi della l. Fall., art. 146, in relazione all’art. 2393 c.c., nei confronti della banca, quale responsabile solidale del danno cagionato alla società fallita dall’abusivo ricorso al credito da parte dell’amministratore della stessa società, senza che possa assumere rilievo il mancato esercizio dell’azione anche contro l’amministratore infedele”14. Di fatto, poi, il ricorso viene dichiarato inammissibile, perché difettava la domanda prospettata sin dal primo grado in termini di concorso della banca al fatto causativo del danno subìto dal patrimonio della società. È evidente che siamo di
A me pare che l’organizzazione societaria presuppone, nelle relazioni con i terzi, il necessario rinvio agli atti compiuti dai relativi organi (rappresentativi) come atti imputabili alla società: la società non opera che tramite i suoi organi, tanto più ove questa attività si compia nell’esercizio delle relative incombenze o anche in occasione di quell’esercizio. Per quanto concerne il compimento di atti ultra vires, credo che si debba tenere distinta l’interferenza che l’oggetto sociale può dispiegare nei rapporti con i terzi da quella che può esercitare nei rapporti interni tra la compagine assembleare e gli amministratori; e ciò soprattutto in materia di società di capitali dopo la riforma del diritto societario del 2003. 14 Condivide la decisione di Cass. n. 13413/2010 Nigro, La responsabilità, cit., p. 308, ma non sembra affrontare in alcun modo le obiezioni di cui nel testo.
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fronte, ancora una volta, ad un obiter dictum, senza che tale pronuncia possa assurgere ad un vero e proprio precedente15. Senonché, anche questo principio mi lascia estremamente perplesso. Innanzitutto va ribadito che l’ipotesi non tocca di per sé la “concessione”, ma il “ricorso” abusivo al credito, che è reato doloso di iniziativa
15 Sembra che, invece, Trib. Messina, 2 settembre 2008, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, p. 864 ss. sia pervenuta alla condanna risarcitoria della banca in solido con il proprio funzionario e gli amministratori della società sovvenuta, attinti peraltro da bancarotta fraudolenta. Si allinea alla decisione di Cass. n. 13413/2010, Trib. Parma, 1° gennaio 2013, n. 25 con sentenza non definitiva, che riconosce la possibilità di un concorso del finanziatore con gli amministratori della società sovvenuta, chiamato dal Curatore a rispondere solidalmente dei danni arrecati al patrimonio della società finanziata. Anche App. Milano, 11 maggio 2015, n. 1229, in www.expartecreditoris. it, dopo aver integralmente confermato i principi sanciti dalle Sezioni Unite, sembra affermare la peculiarità della fattispecie considerata da Cass. n. 13413/2010. Sta di fatto che poi nel caso di specie ritiene insussistente la domanda della Curatela nei termini astratti prospettati solo in secondo grado e ne rigetta l’appello, confermando la sentenza del Tribuna di Monza. Il Trib. Piacenza, 7 ottobre 2008, in www.ilcaso.it, si limita invece a riconoscere conseguenze sul piano processuale del rito da seguire, ove il curatore abbia prospettato la domanda in termini di danno diretto al patrimonio sociale in caso di concessione abusiva di credito, senza peraltro entrare nel merito della stessa (questa la massima: «Qualora il curatore deduca un danno diretto al patrimonio sociale dell’impresa fallita la cui causa sia astrattamente riconducibile ad una abusiva concessione di credito ad opera di una o più banche, si deve ritenere che questi abbia inteso chiedere tutela e risarcimento per un danno che, avendo come presupposto l’aggravamento del dissesto e non già la dichiarazione di fallimento, era già presente nel patrimonio della società. L’azione risarcitoria così articolata, ove il curatore ha agito quale successore del fallito, ha natura aquiliana e, a differenza delle azioni revocatorie che hanno come presupposto la dichiarazione di fallimento, non può essere qualificata come azione di massa che deriva dal fallimento ai sensi dell’art. 24 legge fall.»). A sua volta Trib. Monza, 12 settembre 2007, in Danno e resp., 2008, p. 1158 esclude che la concessione abusiva di credito possa costituire in sé una fonte di danno per la società a cui è erogata, in quanto «per definizione comporta l’acquisto di disponibilità economiche da parte del finanziato (in astratto un vantaggio)». Non sussiste una «ingiusta lesione del patrimonio (del fallito): un danno in senso giuridico si configura solo se sussiste la lesione di un interesse giuridicamente rilevante e la erogazione del credito non comporta tale danno». Né il danno può ricondursi «ad una previsione del cattivo uso della provvista ricevuta da parte degli amministratori (ancorché possibile)… Se difatti, viene prospettata la illiceità della abusiva concessione del credito, si verte in una ipotesi di condotta (asseritamene) illecita, ma con caratteri istantanei. Va escluso che l’illiceità possa essere ricollegata ad un momento successivo alla erogazione del credito; ne consegue che se, successivamente, il finanziato ha utilizzato male le risorse che aveva a disposizione ed al momento del fallimento il suo patrimonio non è più capiente, ciò non può essere imputato al finanziatore».
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degli esponenti della società finanziata. Ne consegue che il concorso del funzionario di banca presuppone analogo elemento soggettivo doloso in capo al medesimo. È ovvio che nel caso di specie non è in discussione la possibilità di chiamare a rispondere uno qualsiasi dei responsabili solidali dell’illecito, anche senza contestualmente chiamare gli altri, come afferma la sentenza della Cassazione. Ma il problema mi sembra un altro, in qualche modo analogo a quello risolto dalle Sezioni Unite in merito alla impossibilità di chiamare a rispondere la banca per il danno subìto dal patrimonio del fallito in presenza del medesimo fatto causativo del danno di cui si assume che entrambi siano coautori. La responsabilità solidale della banca parrebbe trovare fondamento nell’art. 2049 c.c., secondo cui del “fatto illecito” compiuto da “domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”, ne rispondono anche “i padroni e i committenti”, con la conseguenza che il fatto illecito del funzionario della banca debba imputarsi anche alla banca. E tuttavia non si vede come non debba analogamente imputarsi alla società fallita (e presuntivamente danneggiata) il fatto illecito dell’amministratore o liquidatore o direttore generale di quella società che ha dato origine al ricorso abusivo al credito, in forza del principio di immedesimazione organica. Il che ci riporta al medesimo schema di concorso nel compimento dello stesso fatto illecito tanto della banca quanto della società fallita e alle analoghe conclusioni cui sono pervenute le Sezioni Unite, al fine di escludere – in forza del principio di “autoresponsabilità” – qualsiasi richiesta risarcitoria a nome della società finanziata nei confronti del finanziatore. Ed è davvero paradossale che il “ricorso abusivo al credito” (quale reato in cui la banca dovrebbe considerarsi “vittima” e parte offesa – posta la fattispecie che esige la prospettazione dissimulatoria del dissesto -), dovrebbe poi in sede civile e risarcitoria vedere la banca soccombente16! In altre parole,
16 Secondo Panzani, L’insuccesso, cit., p. 208: «In questo caso il banchiere difficilmente concorre nel reato, perché di regola egli ne è il soggetto passivo, anche se non si può escludere l’ipotesi di un concorso del banchiere nel reato dell’imprenditore, in danno di altri finanziatori». Ipotesi, quest’ultima, che a me pare ricondurre alla figura della “concessione abusiva del credito” pur sempre nell’ottica della tutela risarcitoria di terzi e non del patrimonio dello stesso imprenditore. Analoga considerazione mi sembra possa compiersi nel caso di concorso del banchiere, che abbia continuato a finanziare l’imprenditore insolvente, nella bancarotta semplice per aggravamento del dissesto (art. 217, co. 1, n. 4 l.f.) in quanto l’imprenditore abbia tardato il fallimento astenendosi dal richiederlo o per altra colpa grave, «ove quest’ultima ipotesi potrebbe consistere
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ritengo contraddittorio riconoscere per un verso che nel caso di concessione abusiva di credito non vi sia spazio per una azione risarcitoria del curatore subentrato al fallito che si assume leso nel suo patrimonio, in quanto la sua istanza di credito si pone come elemento necessario del fatto causativo del danno, sì che egli possa e debba dirsi coautore di quel fatto; e non riconoscere per altro verso che lo stesso schema si ripropone nella ipotesi di ricorso abusivo su iniziativa del fallito, anche se in concorso con un funzionario bancario infedele. Se immedesimazione organica sussiste nel soggetto bancario, quando lo si valuti nella sua organizzazione complessiva e nei rapporti esterni, pari immedesimazione sussiste per gli organi della società finanziata quando se ne valuti la sua organizzazione complessiva pur sempre nei rapporti esterni17.
nell’accesso al credito bancario e vi sia consapevolezza nel banchiere della situazione in essere» (sempre p. 208): ancora una volta si tratterà di tutelare i terzi e non certo come massa, non già il patrimonio del debitore che è coautore della condotta illecita. 17 Sempre Cass. S.U. n. 7029 del 2006 afferma: «Nelle vicenda in esame si ha che l’abuso del credito affermato si è perfezionato mediante la conclusione di un contratto al quale la s.r.l. partecipò con i suoi organi, a tanto legittimati dai suoi statuti. Potrebbe, al più, ipotizzarsi una responsabilità di costoro per mala gestio, ma questa esclude comunque l’azione risarcitoria di cui si tratta per la ragione che alcun diritto di credito verso il proprio contraente in capo alla società finanziata abusivamente potette nascere, da un fatto illecito prodotto anche da attività infedele dei suoi rappresentanti». Tale enunciato trova il suo precedente nel brocardo latino già citato nel testo, peraltro riflesso nella in pari delicto doctrine statunitense, per cui chi è complice di un atto, anche fosse illecito, non può lamentarne i danni. Tale dottrina è affermata nel risalente caso Patterson v. Franklin, 176 Pa. 612 (Pa. 1896); conforme, fra i più recenti Schact v. Brown, 711 F.2d 1343; 1983 U.S. App. Lexis 28988; Fed. Sec. L. Rep. (CCH) P99,160; ma anche, a proposito della vicenda Parmalat, Bondi v. Citigroup, Inc., 2005 WL 975856, *21 (N.J. Super. L. Feb. 28, 2005). In questa sede non è possibile dar conto dell’ampio dibattito che ha accompagnato negli Stati Uniti l’elaborazione del cd. istituto del “deepening insolvency”, in sostanza dell’aggravamento del dissesto conseguente alla ritardata dichiarazione di insolvenza che oscilla fra la configurazione di una “Independent Cause of Action”, una “Theory of Damages”, un diverso nome di un “Existing Tort” o addirittura un “Tort Non Independent”: e v. per una sintesi Colasacco, Where Were the Accountants? Deepening Insolvency as a Means of Ensuring Accountants’ Presence When Corporate Turmoil Materializes, 78 Fordham L. Rev. 793 (2009), p. 825 ss.; più recentemente Silberglied, Litigating Fiduciary Duty Claims in Bankruptcy Court and Beyond: Theory and Practical Considerations in an Evolving Environment, 10 J. Bus. & Tech. L. 181 (2015), p. 210 ss.
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6. Ovviamente sgombriamo il campo dall’ipotesi dell’induzione all’inadempimento, ipotesi in cui l’iniziativa proviene dal funzionario di banca per procurare un vantaggio all’ente creditizio, come nel caso in cui l’amministratore della società sia indotto a sottoscrivere un mutuo per trasformare una esposizione debitoria a breve in una esposizione a medio e lungo termine eventualmente garantita. E parimenti sussisterà responsabilità in tutte quelle ipotesi in cui, per effetto di covenants o per l’effettiva soggezione determinata dall’esercizio di una sorta di potere direttivo in merito all’utilizzo del finanziamento erogato, la banca si trovi ad espletare un’attività di controllo e dominio o addirittura di amministratore di fatto nei confronti del sovvenuto. Ma ancora una volta va ribadito che non è certo l’atto di erogazione del credito la fonte della responsabilità, bensì la successiva “attività” che esprime un ben diverso ruolo del finanziatore in relazione al soggetto finanziato.
Considerazioni conclusive Giuseppe Terranova 1. Consentitemi di ringraziare gli organizzatori del convegno, primo tra tutti il Professor Nigro, per avermi invitato a intervenire, assieme ad autorevoli relatori, davanti a una platea così qualificata, assegnandomi per altro il compito della relazione di sintesi. Confesso di sentirmi un po’ a disagio nei panni che ho accettato, forse avventatamente, d’indossare. Al relatore di sintesi si chiede, infatti, una prova d’ardimento: gli s’impone d’iniziare a parlare prima ancora d’aver finito di pensare, con il rischio d’enunciare tesi e soluzioni, che possono sembrare campate in aria a chi ascolta, ma che – re melius perpensa – potrebbero risultare imbarazzanti anche per chi le ha proposte. Tenendo conto di ciò, non vi meraviglierete se prendo il discorso un po’ alla lontana, ricollegandomi a quanto ha già detto Alessandro Nigro nella bella relazione d’apertura: in Italia, soprattutto a partire dall’inizio degli anni Settanta, i rapporti tra le banche e le procedure concorsuali sono stati particolarmente conflittuali, fino alla svolta imposta dalla riforma del 2005, che però non ha ancora portato la materia in una condizione d’equilibrio stabile e maturo. 2. Non è facile individuare le ragioni di questo stato di cose. Provo a esporne alcune. Da un lato, il mondo bancario, in quegli anni, era molto diverso
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dall’attuale: la concorrenza tra le aziende di credito era pressoché nulla, anche per l’atteggiamento della Banca Centrale, molto più attenta a garantire la stabilità del sistema, che a spronare l’efficienza delle imprese attraverso la creazione di un mercato dinamico e competitivo; di conseguenza, sussistevano larghe sacche di rendita oligopolistica, che producevano uno spread tra tassi attivi e passivi particolarmente elevato (talvolta espresso da percentuali a due cifre); la trasparenza dei rapporti con la clientela era ridotta al minimo, con un uso frequente di clausole vessatorie, specialmente per quanto concerne il computo degli interessi; l’erogazione dei prestiti non avveniva su basi tecniche, con specifica attenzione alla redditività delle imprese finanziate, ma spesso era fondata su rapporti personali, o addirittura su indicazioni di un sistema politico affetto da clientelismo; lo scarso scrupolo con il quale venivano effettuate le rilevazioni contabili induceva a posticipare l’emergere della crisi degli imprenditori sovvenzionati, giacché il rinvio nel passaggio a sofferenza d’alcune partite permetteva di evidenziare in bilancio utili maggiori (legati alle provvigioni e ai tassi di sconfinamento), anche se di difficile realizzazione; spesso dalla manipolazione contabile si passava a vere e proprie pratiche fraudolente, volte a acquisire garanzie per i rapporti pregressi, senza erogare al cliente nuova finanza, in misura adeguata allo scopo di superare la crisi. Dall’altro lato, i giudici delegati e le curatele cercavano di reagire a questo stato di cose con i pochi strumenti di cui disponevano, che però – se usati in maniera spregiudicata – potevano diventare delle armi letali. Al riguardo, non si può fare a meno di ricordare il problema della revocatoria delle rimesse in conto corrente, che aveva portato la nostra giurisprudenza ad accettare soluzioni irragionevoli, dal punto di vista economico, e prive di riscontri in altre esperienze giuridiche. Altrettanto insidiosa, per altro, era l’utilizzazione delle incriminazioni per bancarotta preferenziale, applicate a fattispecie nelle quali era evidente l’intento di salvare un’impresa in difficoltà attraverso un piano di ristrutturazione finanziaria, che poi non aveva dato i frutti sperati. Al di là di tutto, però, sui rapporti tra banche e curatele pesava come un macigno un clima d’insofferenza verso gli istituti tipici del capitalismo, che portava i giudici a discostarsi dalle soluzioni tradizionali e consolidate (basti dire che fino alla seconda metà degli anni Sessanta, a legislazione invariata, le rimesse in conto corrente venivano sottratte alle varie forme d’inefficacia fallimentare), per dare accesso a istanze solidaristiche, a operazioni di pura e semplice redistribuzione della ricchezza, senza curarsi delle conseguenze che un uso antieconomico delle risorse poteva apportare al sistema.
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3. Può sembrare che il conflitto tra il mondo delle banche e quello delle curatele sia stato dipinto, qui sopra, a tinte troppo fosche, non corrispondenti alla realtà. Sta di fatto, però, che si era determinata una situazione di stallo, nella quale molte imprese decotte non fallivano, perché alle banche non conveniva (per il timore delle revocatorie e delle incriminazioni di bancarotta) farle dichiarare ufficialmente insolventi; ma non venivano neppure risanate, perché nessuno s’azzardava a fornire la nuova finanza necessaria per riavviare il processo produttivo. Si era creata, così, una sorta di manomorta, costituita da aziende che sopravvivevano inerti, senza neppure essere liquidate, in attesa di un destino incerto e imperscrutabile. Già questo stato di cose avrebbe consigliato di porre mano a una riforma del diritto concorsuale, per tagliare i lacci e i lacciuoli che imbrigliavano una parte della nostra economia. La situazione, tuttavia, doveva precipitare con l’apertura dei mercati del credito alla concorrenza estera, giacché il costo dell’inefficienza delle procedure concorsuali e del contenzioso tra banche e curatele era talmente elevato da minacciare seriamente la permanenza in vita del nostro sistema finanziario. Si è calcolato che le revocatorie delle rimesse in conto corrente incidevano per almeno un punto e mezzo percentuale (qualcuno azzardava cifre più rilevanti) sul prezzo del denaro. Sotto questo profilo ha perfettamente ragione il Professor Nigro – e posso testimoniarlo per esperienza diretta, avendo partecipato ad alcune commissioni ministeriali – quando afferma che il movimento riformatore non si sarebbe avviato, se non vi fosse stato il problema d’eliminare le revocatorie delle rimesse in conto corrente, o di ridurne, quanto meno, l’impatto. 4. A questo punto sorgono spontanee due domande: il nodo delle revocatorie delle rimesse in conto corrente avrebbe potuto essere sciolto su basi puramente ermeneutiche? La soluzione accolta dal legislatore può ritenersi soddisfacente? Entrambi i quesiti, a mio sommesso avviso, devono avere una risposta negativa, ma per motivi diversi. Il primo, in un certo senso, è acqua passata, che non macina più. Forse, sul piano rigorosamente tecnico si sarebbe potuta cercare una soluzione diversa, fondandola sul trattamento riservato in sede concorsuale alla compensazione. Questo istituto è stato sempre considerato (persino da Salvatore Satta) come un elemento estraneo al sistema, un cedimento del nostro legislatore a istanze equitative, che contravvenivano al ferreo rigore della par condicio creditorum. Eppure, la compensazione è stata sempre ammessa nel fallimento, e i regolamenti dell’Unione europea
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chiedono espressamente che venga riconosciuta negli ordinamenti dei singoli Stati. Il tema meriterebbe approfondimenti, storici e culturali, che non possono, certo, essere svolti in questa sede. Mi limito a osservare: che la compensazione contabile, sul piano storico, è una mera derivazione dalla compensazione legale (basti pensare al conto corrente ordinario) e comunque conserva, dal punto di vista funzionale, una sostanziale affinità con quella civilistica; che le differenze tra i due istituti riguardano, in definitiva, solo l’iter procedimentale con il quale si fa valere l’estinzione delle reciproche pretese, senza intaccare l’essenza del fenomeno; che nulla, pertanto, avrebbe impedito d’applicare il principio espresso dal primo comma dell’art. 56 l. fall. anche alla materia dei conti correnti, invece di fare ricorso all’art. 67 della stessa legge; che l’apparente conflitto tra le due norme non può essere superato facendo prevalere l’una sull’altra e, tanto meno, disapplicando la prima; che l’antinomia avrebbe dovuto essere risolta tramite una mediazione ermeneutica, che facesse leva sull’eventuale carattere fraudolento (in senso oggettivo) dell’atto con il quale il creditore avesse ottenuto per vie traverse (e cioè facendo ricorso ad artifici contrari alla correttezza commerciale) il soddisfacimento delle proprie pretese. Di tutto ciò ero convinto quando ho scritto il libro del 1981, e non ho cambiato idea. Sul piano pratico, però, era diventato impossibile uscire dall’impasse senza un colpo di spada del legislatore, che tagliasse il nodo gordiano degli interessi “costituiti” (riferibili a varie categorie di professionisti), che ruotavano attorno a un problema solo apparentemente teorico. Troppi curatori, troppi avvocati, troppi tecnici traevano alimento (nel senso letterale del termine) dall’esercizio di queste azioni, per pensare che il mondo dei fallimenti e delle attività connesse potesse rinunciarvi a cuor leggero, anche se il ristoro che ne ricevevano i creditori era tanto irrisorio e dilazionato nel tempo, da indurre lo spettatore disinteressato a chiedersi se il giuoco valesse la candela. 5. L’intervento legislativo, dunque, era diventato indispensabile. Sul modo in cui è stato attuato, tuttavia, si può discutere. A mio avviso occorre distinguere, perché il decreto del 2005 si è mosso su due livelli: da un lato, ha dimezzato il periodo sospetto, con la conseguenza di ridimensionare drasticamente l’ambito d’applicazione delle revocatorie fallimentari e di rendere queste azioni del tutto inoffensive (qualcuno ha parlato, non senza una qualche ragione, di un’abrogazione silente e indiretta dell’istituto); dall’altro lato, ha dettato una disciplina ad hoc per le rimesse in conto corrente, sia sul piano della fattispecie (l’individuazione dei versamenti
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da impugnare) sia sul piano degli effetti (come calcolare l’importo della somma di denaro, che la banca, soccombente in giudizio, deve restituire alla massa). I due profili della riforma vanno esaminati separatamente. Il primo – la riduzione indiscriminata del periodo sospetto – deve essere giudicato in maniera negativa, per i motivi che avevo esposto nel volume del Commentario Scialoja e Branca alla legge fallimentare pubblicato nel 2002. Una riduzione dei termini per l’esercizio dell’azione si sarebbe giustificata solo se si fosse legata la loro decorrenza all’istanza dei creditori, anziché alla sentenza dichiarativa di fallimento. La scelta compiuta dal legislatore porta, invece, a un risultato assurdo, perché il periodo sospetto viene assorbito dai tempi dell’istruttoria prefallimentare, con la conseguenza di far consolidare pagamenti e garanzie nel più totale spregio della par condicio. Detto questo, però, si deve anche riconoscere che le banche hanno avuto buon gioco nell’imporre questa soluzione estrema, perché esse – nella fase che ha preceduto la riforma – avevano subito tali e tante vessazioni da parte delle curatele, da essere indotte a temere che anche un’ espressa esenzione delle rimesse dalle impugnative fallimentari sarebbe stata facilmente aggirata dal giudice attraverso una riqualificazione dell’atto, o con espedienti simili (per rendersi conto dell’entità del problema basti pensare che un conto, accreditato per poche centinaia di milioni di lire, spesso innescava revocatorie per decine di miliardi, con un “moltiplicatore” di venti, trenta, o addirittura cinquanta volte il fido accordato). È avvenuto, così, che il clima di reciproca diffidenza tra banche e curatele ha portato ad un completo stravolgimento dei principi del diritto concorsuale. Per dirla con un’espressione un po’ colorita, si è utilizzato un cannone per sparare a una volpe nel giardino di casa, senza curarsi degli effetti collaterali. 6. Il giudizio sulle norme dettate nella specifica materia delle rimesse in conto corrente deve essere, forse, un po’ meno aspro di quanto solitamente non si ritenga. Per onestà intellettuale, devo premettere che mi sento in parte responsabile dell’apparente disastro, perché ho concorso a redigere i testi incriminati (sul problema esaminato nel precedente paragrafo i miei rilievi, invece, sono rimasti del tutto inascoltati). Detto questo, però, occorre riportarsi al momento della riforma, per chiedersi quali fossero le reali alternative sul tappeto. L’economia italiana, per le ragioni più volte ripetute, aveva bisogno come l’aria della eliminazione della palese anomalia costituita dalla revocabilità delle rimesse in conto corrente (un fenomeno del tutto ignoto agli ordinamenti dei Paesi a noi vicini). Un’esenzione secca (del tipo: “Le
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rimesse su un conto corrente bancario non possono essere revocate”) sarebbe stata, tuttavia, eccessiva, giacché, se applicata alla lettera, avrebbe concesso un’immunità alle banche, anche per operazioni compiute palesemente in frode ai creditori. Non si deve dimenticare, infatti, che quasi tutte le operazioni (dall’estinzione dei mutui ai mandati all’incasso) passano, o possono passare, attraverso il conto del cliente, con la conseguenza che avrebbero ricevuto (se si fosse adottata la soluzione in esame) un crisma d’irrevocabilità, al quale sarebbe stato difficile porre rimedio. Inoltre, non si può tacere – ed è stata questa la preoccupazione principale del legislatore – che le banche, molto spesso, costringono il cliente a “rientrare” da un’esposizione debitoria ritenuta troppo elevata, attraverso un utilizzo non più spontaneo, ma guidato, dei movimenti del conto, in modo da ridurre gradualmente il debito complessivo del correntista nei confronti dall’azienda di credito. Nella maggior parte dei casi è difficile provare un simile intento (che, ovviamente, non viene esternato per iscritto), ma ciò non toglie che l’operazione (quasi sempre attuata attraverso una pluralità di rimesse, seguite da utilizzi di minore importo) costituisce un artifizio per violare la par condicio creditorum. Tenendo conto di ciò, le soluzioni praticabili, a prima vista, erano due: o fare ricorso a una clausola generale, che escludesse l’esenzione dalla revoca ogni qual volta l’operazione sottostante alla rimessa fosse fraudolenta (e cioè oggettivamente contraria alla correttezza commerciale); oppure, disciplinare in maniera più accurata la materia, con norme volte a distinguere caso da caso. La prima alternativa non avrebbe tranquillizzato le banche, perché il compito di concretizzare una clausola generale “aperta” sarebbe spettato alla giurisprudenza, la quale, valutando ex post i risultati dell’operazione, avrebbe potuto considerare “scorretto” ogni movimento del conto. La seconda strada sarebbe stata certamente da preferire, ma avrebbe richiesto un gran numero di disposizioni di tasso tecnico talmente elevato, da risultare indigeste a chi doveva assumersi la responsabilità di legiferare in una materia così ostica. 7. Viste le difficoltà che s’incontravano su ognuno dei due corni del dilemma, si è scelta una terza via: usare delle formule ampie e generiche (sotto questo profilo assimilabili alle clausole generali), ma pur sempre capaci d’indicare all’interprete una direzione, invece di un’altra. Mi spiego: a) il riferimento alla “riduzione consistente e durevole dell’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca” voleva essere un modo per colpire certe condotte opportunistiche delle aziende di credito, che avessero imposto al proprio cliente – senza lasciare alcuna traccia scritta di un eventuale “ordine” in tal senso – di rientrare
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gradualmente da un’esposizione ritenuta eccessiva; b) l’implicito superamento della distinzione tra conti “passivi” e conti “scoperti” imponeva d’abbandonare le soluzioni fondate su un accertamento analitico degli effetti delle singole rimesse, per adottare una prospettiva più ampia, che desse risalto alla condotta complessiva della banca, per accertare (senza fare ricorso a indagini di carattere psicologico, ma solo attraverso una analisi dell’oggettivo andamento del conto) se si fosse macchiata di una qualche scorrettezza nei confronti dei creditori; c) infine, l’adozione del criterio del “massimo scoperto” serviva a garantire un almeno approssimativo adeguamento degli effetti dell’impugnativa all’entità delle risorse delle quali la banca s’era appropriata in spregio alla par condicio. 8. Si poteva e si doveva fare di più? Con il senno di poi la risposta è ovviamente affermativa. Ma vorrei mettere in guardia contro facili trionfalismi, perché si potrebbe essere tentati d’affermare che, per superare tutte le difficoltà, sarebbe sufficiente adottare la teoria del “massimo scoperto”, secondo la quale la revocatoria dovrebbe avere a oggetto la “differenza” tra l’esposizione massima raggiunta dal conto durante il periodo sospetto e l’eventuale saldo passivo alla data del fallimento. Questa tesi (della quale si trovano tracce fin dai primi scritti in materia: se non erro, fu proposta da Dotti, per poi essere avallata da Pellizzi e altri) può sembrare seducente per la sua apparente semplicità, ma va incontro a obiezioni teoriche e pratiche di non lieve momento. Innanzi tutto, sul piano teorico è doveroso osservare che le revocatorie sono delle impugnative rivolte contro certe tipologie di atti, che la legge reputa “pregiudizievoli per la massa” (nell’ Ottocento si sarebbe detto “fraudolenti”, ma la sostanza era la stessa, giacché in entrambi i casi si fa riferimento all’oggettiva violazione di alcune norme di condotta, che rispecchiano ben precise regole d’esperienza in merito all’astratta pericolosità di certe operazioni per il ceto creditorio). Il “massimo scoperto” invece non è un atto, al quale si possa ascrivere la predetta caratteristica della fraudolenza, ma il risultato di un calcolo, costituito dalla somma algebrica di una serie di partite contabili. Naturalmente, mi si potrebbe obbiettare che il legislatore, in fin dei conti, ha già accolto questa tecnica normativa; e lo poteva fare, giacché non è vincolato da specifici schemi concettuali, ma può cambiare (come si suole dire) il bianco in nero, e viceversa. A ben guardare, però, le cose non stanno in questi termini, perché la riforma prima ha individuato le fattispecie nelle quali si è concretizzata la frode (le rimesse che “hanno ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione del correntista”:
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art. 67, co. 3, lett. c) e solo dopo ha precisato gli effetti dell’azione (la disciplina: art. 70, co. 3), imponendo il computo di cui sopra. La tecnica legislativa, in altri termini, è stata molto meno ingenua di quanto, solitamente, non la si dipinga. 9. Ammettiamo, tuttavia, che le revocatorie possano colpire tutte le rimesse compiute durante il periodo sospetto, a partire dal momento in cui la banca è diventata consapevole dello stato di insolvenza del proprio cliente (la c.d. scientia decoctionis); e che su tale coacervo di atti (e dei conseguenti movimenti del conto) si possa applicare (sempre per mitigare gli effetti della revoca) la regola del massimo scoperto (un po’ come accade per il reato continuato). La soluzione, a mio avviso, sarebbe troppo rigorosa, ma potrebbe essere accolta pro bono pacis, per raggiungere un utile compromesso. Il problema però è che, così facendo, si darebbe rilievo a un dato contabile, che non sempre è significativo. Cerco di spiegarmi meglio: i) in primo luogo, è ormai risaputo che il “massimo scoperto” non è un dato numerico stabile e certo, ma dipende da come s’incolonnano le cifre, e cioè dal sistema di rilevazione contabile, al quale in concreto si fa ricorso. Si potrebbe andare in cerca di un metodo il più possibile oggettivo (che tenga conto, ad esempio, non solo del giorno, ma anche dell’ora e del minuto nel quale è stato compiuto l’atto), ma basta lo storno di una sola rimessa (o un diverso computo del termine a partire dal quale la singola posta deve essere inserita nella colonna del dare o dell’avere) per far variare, anche di molto, gli effetti dell’impugnativa; ii) in secondo luogo, sarebbe poco convincente rinunciare alla tecnica delle “rimesse bilanciate”, perché, se le entrate corrispondono alle uscite, è palese che il conto è stato utilizzato (almeno in linea di massima) come un semplice canale monetario, messo a disposizione dalla banca per effettuare dei pagamenti a terzi, senza sottrarre alcuna risorsa ai creditori: dovrebbero essere, pertanto, i terzi, ai quali i pagamenti sono indirizzati, a doverne rispondere verso la massa (art. 70, co. 1, l. fall.). Com’è noto, però, anche le tecniche per rilevare il “bilanciamento” sono molteplici, e la giurisprudenza è divisa nell’individuare i presupposti della fattispecie (è incerto se si debba provare un accordo, sia pure tacito, tra il cliente e la banca, o non sia sufficiente rilevare una sostanziale equivalenza tra le rimesse e le utilizzazioni effettuate in un lasso di tempo relativamente breve; ma poi la disciplina sarebbe diversa, a seconda che si abbia a che fare con assegni circolari, con assegni di conto corrente tratti sulla stessa filiale o su una filiale diversa, con giroconti, con altre operazioni d’accredito o addebito, e via dicendo). Anche in questo
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caso, dunque, il legislatore dovrebbe intervenire con delle precisazioni che aprirebbero la porta a nuovi dubbi e contrasti d’opinioni (probabilmente … all’infinito!); iii) per altro, non sempre il “massimo scoperto” costituisce uno strumento atto a rilevare la frode. In alcuni casi le banche utilizzano dei conti chiusi o poco movimentati per farvi confluire, da un lato, il saldo di altre operazioni finanziarie (mutui, anticipazioni su titoli, etc.); dall’altro, le rimesse estorte al correntista con la minaccia del fallimento. Anche qui vi è una scorrettezza (la giurisprudenza parla, al riguardo, di “autopagamenti”) che il dato contabile non sempre intercetta (è appena il caso di ricordare che, in materia di revocatoria fallimentare, l’estinzione di rapporti finanziari di media e lunga durata è trattata in maniera diversa dal pagamento di beni e servizi nei termini d’uso: cfr. art. 67, co. 3, n. 1, l.fall.; altra questione è se si debba consentire alla banca di ricevere, nel periodo sospetto, una remunerazione per i servizi resi al cliente); iv) ancora: vi possono essere dei rapporti sostanzialmente chiusi (e quindi sottratti alla disciplina de qua), che sembrano movimentati tanto in entrata quanto in uscita. Mi riferisco alle ipotesi nelle quali la banca non concede più un solo euro di credito al proprio cliente, ma – a fronte di versamenti effettuati dal correntista “a saldo” – addebita sul conto delle poste passive costituite da interessi e commissioni, o dovute al richiamo di effetti emessi senza la necessaria copertura (assegni e cambiali che, se protestati, porterebbero all’immediato fallimento del cliente, con la conseguenza d’impedire il consolidarsi d’ipoteche e pagamenti ancora esposti all’azione revocatoria). Anche qui non si deve essere ingannati dalle registrazioni effettuate tanto nella colonna del dare che in quella dell’avere (che potrebbero far pensare a un conto ancora attivo), perché in realtà vi sono solo degli atti solutori dissimulati sotto le mentite spoglie di “reciproche” rimesse; v) infine, si dovrebbe prestare una maggiore attenzione al principio della “unicità dei conti” espressamente enunciato dal codice civile (art. 1853), ma non sempre rispettato dalla giurisprudenza. Eppure è evidente che solo valutando la dinamica dell’esposizione complessiva del correntista si può avere un’idea di come si è comportata la banca nel periodo sospetto, e cioè se sua la condotta è stata, tutto sommato, corretta, o se certi artifici contabili sono serviti a occultare vere e proprie operazioni di rientro, lesive della par condicio creditorum. 10. Come si vede, un’eventuale normativa di dettaglio, che avesse voluto regolare in maniera adeguata la materia, non avrebbe potuto limitarsi a enunciare il principio del massimo scoperto, ma avrebbe dovuto
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integrarlo con altre disposizioni, per consentire di tenere conto dello sviluppo diacronico dei rapporti tra il cliente e la banca ed evidenziare eventuali frodi. La domanda allora è: sarebbe stato possibile licenziare una normativa così complicata in sede di decretazione d’urgenza, senza ampie consultazioni e un approfondito dibattito scientifico? Lascio ad altri giudicare. Vorrei concludere esternando una certezza e un dubbio. La certezza riguarda il fatto che in questa materia non ci si può fermare alle risultanze contabili, ma occorre guardare ai rapporti sottostanti: solo un esame di merito può far capire il senso delle operazioni poste in essere dall’azienda di credito, a prescindere dal modo in cui sono state rappresentate sul piano delle scritturazioni. Su ciò ritengo si possa essere facilmente d’accordo. 11. Il dubbio, invece, è radicale. Mi chiedo, infatti, se problematiche così complesse possano essere affrontate con uno strumento piuttosto rigido, come un’impugnativa fondata sulla frode; o non richiedano tecniche più duttili e raffinate, per commisurare i risultati delle azioni recuperatorie avviate dalla curatela al danno realmente subito dalla massa dei creditori. Naturalmente, non mi sfugge che le revocatorie, soprattutto in questi ultimi anni, hanno subito una profonda evoluzione, che ha consentito di colpire vicende molto più complesse di un semplice atto di disposizione. E non mi sfugge che la teoria del massimo scoperto (opportunamente emendata) permette di compiere un altro passo in avanti nella direzione di un sempre maggiore adattamento degli effetti dalla revoca al risultato netto di un’attività complessa (il terzo comma dell’art. 70 estende, infatti, la tecnica del rimborso per “differenza” a tutti i pagamenti che concernono “rapporti continuativi o reiterati”). Resta il fatto, però, che le revocatorie – proprio perché si configurano come impugnative – colpiscono i singoli atti per privarli della loro efficacia, in una prospettiva che può tenere conto delle peculiarità della fattispecie, ma lascia nell’ombra alcuni nessi funzionali di sicuro rilievo dal punto di vista economico. Le azioni risarcitorie, invece, prendono in considerazione il danno prodotto da vicende più o meno complesse, che vanno ricostruite tenendo conto di una pluralità di fattori (si pensi alla teoria dei vantaggi compensativi). Proprio l’esigenza d’accertare il nesso di causalità rende queste azioni più macchinose; ma la difficoltà è alleviata dal ricorso (ai fini della liquidazione del danno) al potere equitativo del giudice, che garantisce una notevole duttilità decisionale.
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12. Una scelta secca, per l’una o l’altra alternativa, è ardua, perché imporrebbe – de iure condendo – un radicale mutamento d’indirizzo nell’impostare la materia. In realtà, di un quesito analogo mi sono già occupato in altra sede, e precisamente nel citato volume dello Scialoja e Branca, quando ho affrontato il tema delle “revocatorie rafforzate” previste dalle leggi sull’amministrazione straordinaria (delle grandi imprese in crisi), per porre rimedio allo spoglio del patrimonio di una società del gruppo, da parte della capogruppo o di società collegate. Anche in quel caso facevo notare come le revocatorie, se applicate a tutte le operazioni infragruppo, fossero inadatte a conseguire i risultati voluti, giacché avrebbero prodotto il medesimo effetto “moltiplicatore” osservato nel campo delle rimesse su conto corrente. Proprio per questo, mi permettevo di consigliare il ricorso alla tutela risarcitoria, più duttile e manovriera, come poi è accaduto in sede di riforma del diritto societario, con l’art. 2597 c.c. Ma, allora, si deve ritenere che sarebbe meglio abbandonare l’approccio tradizionale, fondato sulla revoca degli atti, per convogliare tutte le forme di tutela dei creditori in un’unica azione di reintegro della garanzia patrimoniale generica, fondata sulla tecnica dell’illecito civile, magari opportunamente aggiornata? La prospettiva è affascinante, ma dubito che sia realistica: i) innanzi tutto, è necessario chiarire che l’aver criticato l’approccio del nostro legislatore in materia di gruppi non significa disconoscere alle revocatorie un ruolo essenziale nella tutela della massa. La maggiore semplicità dell’esercizio dell’azione (che talvolta sfiora la brutalità: si pensi alla inopponibilità delle attribuzioni gratuite); l’irrilevanza del nesso causale tra fatto e danno; la conseguente possibilità d’impugnare l’atto sulla base di un materiale probatorio ridotto all’osso, sono tutte caratteristiche dell’istituto, che rafforzano la posizione dei creditori, in un frangente nel quale sarebbe estremamente difficile ricostruire in maniera accurata le cause del dissesto e le conseguenti responsabilità soggettive. In altri termini, l’aver sostenuto che il sistema delle revocatorie rafforzate non può funzionare – perché è assurdo pensare alla revoca di atti compiuti fino a cinque anni prima della dichiarazione d’insolvenza, quando l’impugnativa si fonda proprio sulla scientia decoctionis; e perché la revoca di rapporti continuativi e reiterati, per non innescare quel processo moltiplicativo, di cui sopra si è detto, ha bisogno di un correttivo, come poi è avvenuto con la nuova formulazione del terzo comma dell’art. 70, l. fall. – … l’aver fatto notare tali incongruenze – dicevo – non significa proporre l’eliminazione di uno strumento di tutela, la cui efficienza ed efficacia è stata collaudata da secoli di esperienza in tanti ordinamenti diversi;
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ii) in secondo luogo, si deve considerare che l’esercizio delle azioni risarcitorie, fondate sulla tecnica dell’illecito civile, in questa materia è particolarmente problematico. La brillante relazione di Sabino Fortunato (sulla responsabilità per abusiva concessione di credito) ci ha fatto toccare con mano, infatti, quante difficoltà s’incontrino quando si vuol distinguere il danno subito dal singolo creditore (a causa dell’affidamento riposto in un’impresa che ha occultato il proprio dissesto grazie ai finanziamenti improvvidamente erogati dalla banca) dal pregiudizio subito dalla massa (a causa del ritardo con il quale è stata aperta la procedura concorsuale): ne segue, che non sempre è agevole stabilire quanto pertiene alle azioni collettive, esercitabili dal curatore, e quanto deve essere riservato alle iniziative individuali, sempre che sia possibile riconoscere loro uno spazio all’interno di una procedura concorsuale; iii) infine – ma non certo da ultimo, in ordine di importanza – si deve considerare che le revocatorie assolvono ad una funzione di ridistribuzione delle perdite dovute all’insolvenza, che è del tutto estranea alle azioni risarcitorie. Rinunciare a questo strumento tipico del diritto fallimentare significherebbe, pertanto, non solo rinunciare in maniera definitiva all’attuazione della par condicio creditorum; ma anche misconoscere il fatto che le procedure concorsuali sono state sempre connotate da un certo solidarismo, che si esprime al massimo grado nella disciplina dell’istituto in esame. 13. Se quanto precede è vero, si deve ritenere che le revocatorie, in materia bancaria, devono essere mantenute, sia pure gli accorgimenti necessari per adattarle all’ambiente nel quale sono chiamate a operare. Come si è visto, infatti, per evitare gli inconvenienti più volte denunciati – l’effetto moltiplicatore e un uso artificioso dello strumento contabile – è necessario guardare alla dinamica complessiva del conto, anziché alle singole rimesse; come pure (a un livello d’aggregazione maggiore), per rispettare il principio di unità dei conti, enunciato dall’art. 1853 c.c., occorre indagare sui movimenti delle masse finanziarie nella loro globalità, anziché sullo sviluppo dei singoli rapporti. Per conseguire tali obiettivi forse è necessario far convergere tutte le azioni nei confronti di un’azienda di credito in un unico contenitore processuale, nel quale – ferma restando l’autonomia delle singole domande – è più agevole ricostruire la storia dei rapporti tra il fallito e la banca. Solo così si può accertare se quest’ultima, nel periodo sospetto, si è limitata a prendere “il suo” (ha estinto mutui garantiti da ipoteche consolidate; si è fatta pagare servizi contestualmente resi; ha percepito i canoni di un rapporto di leasing, o il prezzo di una vendita con riserva
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di proprietà, etc.), o se ha utilizzato la compensazione contabile per perpetrare vere e proprie frodi ai danni della massa. 14. Mi rendo conto solo ora d’aver “abusato” del mio ruolo e della vostra pazienza, per infliggervi un’altra relazione che, invece d’interfacciarsi con gli interventi dei Colleghi, ha seguito un’autonoma linea di sviluppo. Per scusare – almeno in parte – la mia imperdonabile condotta, potrei solo richiamarmi alla passione che tuttora nutro per una materia coltivata così a lungo: forse è stata questa particolare affectio a farmi deviare, quasi inavvertitamente, dalla retta via. Tuttavia, se guardo dentro me stesso, devo confessare di sentirmi con la coscienza tranquilla, perché il mio discorso ha tratto alimento dagli interventi che si sono susseguiti in questo denso pomeriggio di studio, ed è probabile che tutti i relatori riescano a trovare delle finestre di dialogo con quanto ho osservato con riferimento a certi quesiti di fondo. Del resto, i temi trattati sono così importanti, dal punto di vista teorico e pratico, da imporre una riflessione collettiva, che certo non si può esaurire in un seminario, ma ha bisogno di sempre nuovi stimoli e contributi, provenienti da esperienze diverse.
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COMMENTI
Addebito diretto e diritto di rimborso I Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Milano, decisione del 9 maggio 2014, n. 2838; Pres. Gambaro, Rel. Estrangeros. Conto corrente bancario – Arbitro bancario e finanziario – Ricorso – Litispendenza – Improcedibilità – Sussistenza parziale. (Disposizioni della Banca d’Italia sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, par. 4, sez. I, e par. 2, sez. IV). Conto corrente bancario – Servizi di pagamento – Addebito diretto – Diritto di rimborso delle somme addebitate – Configurabilità. (D.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, art. 14). Servizi di pagamento – Addebito diretto – prestatore di servizidi pagamento – rimborso – obbligo – Sussistenza. (D.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, artt. 13 e 14). Servizi di pagamento – Addebito diretto – Diritto al rimborso – Presupposti. (D.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, art. 13, co. 1, lett. b). Servizi di pagamento – Addebito diretto – Diritto al rimborso – Tempestività della domanda – Insussistenza. (D.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, artt. 13, co. 1, lett. b e 14, co. 1).
È parzialmente improcedibile, per connessione oggettiva impropria, il ricorso promosso contro il prestatore di servizi di pagamento volto alla restituzione delle somme addebitate e al risarcimento del danno, quando sia stata precedentemente promossa dal pagatore nei confronti del beneficiario una causa civile avente il medesimo oggetto di quella pendente presso l’Arbitro bancario e finanziario. (1)
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In caso di addebito diretto, è illegittimo il rifiuto del prestatore di servivi di pagamento di stornare le somme addebitate quanto il pagatore abbia esercitato il diritto al rimborso nei termini di cui all’art. 14 D.lgs. 11/2010. (2) Il prestatore di servizi di pagamento può negare il rimborso solo in mancanza dei presupposti di cui agli artt. 13 e 14 D.lgs. 11/2010, essendo altrimenti obbligato per legge allo storno delle somme addebitate. (3) Per valutare la coerenza dell’addebito con il modello di spesa del pagatore, l’intermediario deve fare un confronto solo con voci presenti nel precedente modello di spesa e appartenenti allo stesso genere. (4) La condotta del pagatore che pur essendo a conoscenza dell’addebito da tempo, eserciti in prossimità della scadenza il diritto al rimborso, può essere considerata quale «circostanza del caso» idonea ad escludere la tempestività della domanda di storno. (5) II Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Milano, Decisione 10 novembre 2014, n. 7530; Pres. Gambaro – Rel. Santoro. Conto corrente bancario – Servizi di pagamento – Addebito diretto – Diritto di rimborso delle somme addebitate – Ammissibilità. (D.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, art. 14). Conto corrente bancario – Servizi di pagamento – Addebito diretto – Diritto al rimborso – Termine per l’esercizio – Deroga – Insussistenza nel caso di specie. (D.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, art. 2, co. 4, lett. b)
In caso di addebito diretto, è illegittimo il rifiuto del prestatore di servivi di pagamento di stornare le somme addebitate quanto il pagatore abbia esercitato il diritto al rimborso nei termini di cui agli artt. 13 e 14 D.lgs. 11/2010. (6) Il diritto al rimborso, così come disciplinato dagli artt. 13 e 14 d.lgs. 11/2010, non può essere derogato pattiziamente nell’ipotesi in cui il pagatore sia un consumatore. (7)
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A.B.F. Milano
I (Omissis) Fatto. La ricorrente chiede l’accertamento dell’illegittimità dell’addebito derivante dall’esecuzione di un RID per l’ammontare di euro 708.333,19 siccome eseguito dall’intermediario con il quale la ricorrente ha in essere un rapporto di conto corrente. Chiede dunque il rimborso del suddetto ammontare con limitazione della domanda nei limiti della competenza per valore dell’ABF. In particolare, con reclamo del 13 dicembre 2012, negativamente riscontrato dall’intermediario il medesimo giorno del reclamo, e con successivo ricorso del 8 marzo 2013, la ricorrente osserva quanto segue: - di aver stipulato con l’intermediario convenuto un contratto di servizio “corporate banking” e di aver autorizzato l’addebito in conto del RID relativo ai canoni dovuti per servizi di telefonia stipulati con un proprio fornitore. Di aver comunicato al fornitore del servizio di telefonia, nel settembre 2012, il recesso dal rapporto contrattuale; - che a seguito del recesso, il fornitore, tramite RID, procedeva all’addebito sul conto corrente della ricorrente della somma di euro 708.333,19. Che tale somma, addebitata in parte a titolo di canoni telefonici e in parte a titolo di “prezzo per recesso anticipato”,
risultava sproporzionata rispetto agli addebiti operati in precedenza, e “non dovuta”; - di aver dapprima informalmente richiesto all’intermediario informazioni circa il proprio diritto ad ottenere lo storno dell’ammontare e, a seguito di indicazione negativa, non condividendola di aver formalmente formulato in data 13 dicembre 2012 la richiesta volta ad ottenere dall’intermediario convenuto “l’immediato rimborso dell’addebito RID del 25/10/2012… della somma di € 708.333,19, in quanto l’addebito in tale ammontare non è dovuto”. Precisava altresì in tale sede che “i termini di legge per il rimborso di tale somma, pari a 8 settimane, sono quasi decorsi…”; - di aver ricevuto in pari data il riscontro con il quale l’intermediario negava il diritto al rimborso essendo il medesimo possibile entro il termine di 8 settimane per i clienti consumatori ed “entro la scadenza o 5 giorni lavorativi dalla scadenza”, per i non consumatori e le microimprese. Osservando la ricorrente di contestare la legittimità del diniego dell’intermediario sul presupposto che l’art. 14 del D.lgs. 11/2010, non derogato dalle parti, trova applicazione sia per i consumatori che per i non consumatori e che la richiesta di restituzione degli importi oggetto dell’addebito del 25 ottobre 2012 soddisfa le condizioni previste dall’art. 13 del medesimo decre-
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to legislativo, contestando quindi la legittimità del rifiuto opposto dall’intermediario e la violazione del “principio di trasparenza bancaria, di buona fede e di diligenza professionale”, non avendo l’intermediario istruito la richiesta formulata dalla ricorrente. Quest’ultima chiede, la condanna dell’intermediario sia alla restituzione in favore della ricorrente delle somme oggetto dell’addebito eseguito dall’intermediario in data 25 ottobre 2012, che il risarcimento del danno subito contenendo, in ogni caso, la richiesta complessivamente formulata “nei limiti della competenza per valore di Codesto Ill.mo Collegio”, come da nota della ricorrente del 7 maggio 2013. In uno con il ricorso la ricorrente ha prodotto la seguente documentazione: all. 1 fattura fornitore del 5 ottobre 2012; all. 2 scambio e-mail del 20 novembre 2012; all. 3 richiesta rimborso RID del 13 dicembre 2012; all. 4 riscontro intermediario del 12 dicembre 2012; all. 5 copia fatture fornitore. L’intermediario ha presentato le proprie controdeduzioni il 10 settembre 2013 eccependo in via preliminare la propria carenza di legittimazione passiva avendo la ricorrente rilasciato il RID a valere sul conto corrente intrattenuto presso l’intermediario a beneficio del fornitore e tramite la banca del fornitore e, in via subordinata, la necessità di integrare il contraddittorio con il predetto intermediario.
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Nel merito l’intermediario osserva come: - il flusso elettronico proveniente dalla banca del beneficiario del pagamento, che prevedeva la “facoltà di storno entro cinque giorni dall’addebito come previsto per i clienti non consumatori”, sia stato ricevuto il 4 settem- bre 2012”; - di aver provveduto a richiedere alla banca del beneficiario la conferma dell’autorizzazione RID rilasciata dalla ricorrente; - di aver contabilizzato il 25 ottobre 2012 la fattura di euro 708.333,19, emessa dal fornitore il precedente 5 ottobre 2012; - di aver ricevuto il 20 novembre 2012, a distanza di quasi un mese dalla contabilizzazione in conto corrente e quasi due dall’emissione della citata fattura, la richiesta informativa già menzionata dalla ricorrente avente ad oggetto la possibilità di storno dell’operazione di pagamento e, quindi, di aver ricevuto la richiesta di storno in data 12 dicembre 2012. In considerazione di quanto sopra, avendo tempestivamente e negativamente riscontrato, prima, la richiesta informativa della ricorrente e, quindi, l’ordine di storno; tenuto conto dei contenuti del flusso elettronico ricevuto il 4 settembre 2012 e, dunque, delle condizioni pattuite dalla ricorrente con la banca del beneficiario del pagamento; essendosi adoperata, invano, presso la banca del beneficiario al fine di ottenere copia
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del rapporto contrattuale sottoscritto con la ricorrente “e cogente ex art. 8.4.6.2. del rego- lamento applicativo SITRAD”; avendo altresì riscontrato un colpevole ritardo della ricorrente nell’azionare il proprio diritto di storno dell’operazione, l’intermediario chiede, nel merito, il rigetto di ogni pretesa della ricorrente “in quanto priva di fondamento”. In uno con le controdeduzioni, l’intermediario ha depositato la seguente documentazione: all. 1 evidenza informatizzata della domiciliazione RID; all. 2 autorizzazione della ricorrente all’allineamento elettronico della delega RID; all. 3 estremi dell’addebito automatico oggetto del ricorso; all. 4 comunicazione intermediario/ricorrente del 13 dicembre 2012; all. 5 messaggio interbancario del 21 dicembre 2012; all. 6 raccomandata a.r. 22 luglio 2013 intermediario/banca del fornitore beneficiario; all. 7 estratto della movimentazione del conto corrente intestato alla ricorrente; all. 8 estratto della movimentazione del conto corrente intestato alla ricorrente con evidenza degli accessi al conto corrente eseguiti dalla ricorrente. A seguito della richiesta di integrazione documentale svolta dal Collegio dell’ABF nella seduta del 28 novembre 2013, la parte ricorrente, in data 27 dicembre 2013 ha depositato sub all. 6 una copia del contratto stipulato con la ricorrente precisando di non disporre di
uno specifico contratto di abbonamento sottoscritto con il fornitore (compagnia telefonica), ma di aver concluso singoli rapporti di utenza. L’intermediario convenuto ha viceversa depositato in data 9 gennaio 2014, sub all. 9, una copia dell’atto introduttivo (atto di citazione) del giudizio promosso dalla ricorrente avanti il Tribunale di Milano nei confronti del fornitore. Nel merito l’intermediario convenuto, con nota accompagnatoria al documento prodotto, ritenendo emergere “indefettibilmente comunanza dell’oggetto dei due procedimen- ti” chiede di dichiararsi l’irricevibilità/inammissibilità del ricorso anche per tale motivo. Su tale punto, con nota del 21 gennaio 2014, la ricorrente evidenzia l’infondatezza della domanda formulata dall’intermediario posto che la domanda svolta nel giudizio ordinario nei confronti del fornitore non presenterebbe alcuna connessione oggettiva/soggettiva con il procedimento promosso avanti l’ABF posto che: i) quest’ultimo è volto ad appurare l’illegittimità del rifiuto al rimborso delle somme opposto dalla banca convenuta mentre ii) il primo è volto ad accertare i vizi genetici del rapporto, nonché l’illegittimità della penale addebitata e la conseguente richiesta di restituzione delle somme illegittimamente incassate. Diritto Le domande svolte dalla ricorrente si fondano sulla mancata
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esecuzione dell’ordine impartito all’intermediario in data 13 dicembre 2012, volto ad ottenere “l’immediato rimborso dell’addebito RID del 25/10/2012 … della somma di € 708.333,19”, addebito relativo al pagamento di una fattura emessa per il suddetto importo in data 5 ottobre 2012 dal fornitore del servizio di telefonia. Omissione che la ricorrente ritiene illegittima, in quanto verificatasi in violazione di quanto disposto dagli artt. 13 e 14 del D.lgs. 11/2010 (che, secondo la tesi della ricorrente, riconoscono al pagatore il diritto al rimborso per operazioni di pagamento disposte dal beneficiario entro otto settimane dalla data di addebito). Sulla base di tali premesse, la ricorrente chiede a titolo restitutorio il rimborso delle somme oggetto dell’addebito eseguito all’intermediario in data 25 ottobre 2012, nonché il riconoscimento del risarcimento del danno subito, contenendo complessivamente le richieste formulate “nei limiti della competenza per valore di Codesto Ill.mo Collegio”. In via preliminare non appare condivisibile l’eccezione svolta dall’intermediario che oppone la carenza di legittimazione passiva in relazione alla vicenda in esame sul presupposto che l’addebito sia intervenuto per iniziativa della banca del beneficiario fornitore in relazione al RID sottoscritto tra la ricorrente e il fornitore medesimo. Non v’è infatti dubbio che, al di
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là delle valutazioni di merito, la ricorrente eccepisce nei confronti dell’intermediario convenuto un inadempimento del medesimo agli obblighi ad esso riferiti che sono conseguenti all’intervenuta richiesta di addebito diretto (RID) da parte della banca del beneficiario. Tali obblighi, già riferibili al rapporto di conto corrente intrattenuto tra la ricorrente e l’intermediario convenuto, sono peraltro espressamente attribuiti all’intermediario del pagatore (cioè all’intermediario convenuto) dagli artt. 13 e 14 del D.lgs. 11/2010. In merito alla conseguente richiesta dell’intermediario convenuto di integrazione del contraddittorio con la banca del fornitore beneficiario che ha dato corso al flusso informatico derivante dal RID, è sufficiente qui ricordare come il procedimento dinnanzi all’ABF non preveda la possibilità per il convenuto di proporre domande riconvenzionali e per il Collegio di emettere ordinanze d’integrazione del contraddittorio. Ciò premesso, preliminarmente al merito delle domande svolte dalla ricorrente, non può il Collegio omettere di esaminare la circostanza sopravvenuta denunciata dall’intermediario convenuto con nota del 9 gennaio 2014 e sulla quale si è peraltro formato il pieno contraddittorio, avendo la ricorrente replicato nel merito con nota del 21 gennaio 2014. Si tratta dell’intervenuta notifica dell’atto di
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citazione con il quale la ricorrente ha convenuto avanti il Tribunale competente il fornitore del servizio telefonico. Al riguardo l’intermediario convenuto ha prodotto sub all. 9 un estratto del suddetto atto introduttivo che risulta essere stato portato alla notifica in data 26 novembre 2013. La circostanza della pendenza della lite avanti il Giudice Ordinario è stata confermata con la nota del 21 gennaio 2014 dalla ricorrente, che – dando per presupposto la pendenza del vertenza giudiziaria – ha argomentato evidenziando come, in quel caso, l’oggetto della domanda sia del tutto differente rispetto a quello dedotto avanti l’ABF. Ritiene al riguardo il Collegio che la pendenza, pacifica, del contenzioso promosso dalla ricorrente avanti il Tribunale di Milano nei confronti del fornitore del servizio telefonico sia tale da determinare la parziale improcedibilità del ricorso, per la parte in cui la ricorrente chiede all’intermediario, sia, “a titolo restitutorio” che “a titolo risarcitorio”, il rimborso delle somme oggetto dell’addebito eseguito in data 25 ottobre 2012. La ricorrente, infatti, nel giudizio avanti il competente Tribunale, contesta al fornitore del servizio telefonico la debenza degli importi portati dalla fattura oggetto dell’addebito RID dedotto nel presente procedimento avanti l’ABF e chiede che il fornitore del servizio venga condannato alla resti-
tuzione di tali importi. Allo stesso modo nel ricorso presentato a questo Collegio la ricorrente chiede all’intermediario convenuto la restituzione, a titolo di ripetizione e/o risarcitorio, dell’ammontare dell’addebito eseguito dall’intermediario in esecuzione al RID sottoscritto dalla ricorrente e avente ad oggetto la suddetta fattura. A prescindere dalla fondatezza della richiesta di ripetizione di un ammontare che, per effetto dell’addebito, è nella disponibilità del beneficiario del pagamento, appare evidente come l’oggetto della domanda restitutoria e/o risarcitoria dedotta con il ricorso depositato nel presente procedimento nei confronti dell’intermediario coincida con l’oggetto della domanda restitutoria dedotta con l’atto di citazione nei confronti del fornitore del servizio telefonico. In coerenza con quanto disposto al par. 4, sez. I delle Disposizioni della Banca d’Italia sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, che prevede che “Non possono essere inoltre proposti ricorsi inerenti a controversie già sottoposte all’autorità giudiziaria”, il Collegio di Coordinamento ha osservato, da un lato, come tale previsione sia volta ad “evitare duplicazioni di rimedi e conflitto di decisioni” e dall’altro come la norma in esame operi “anche se tra le due controversie sussiste una connessione
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impropria, cioè una comunanza parziale e non una identità delle domande” (Collegio di Coordinamento, decisione n. 3961 del 23 novembre 2012). Sussistendo, nel caso di specie, una rapporto di connessione tra l’oggetto delle domande dedotte nel giudizio avanti il Giudice Ordinario e quello dedotto nel presente procedimento avanti l’ABF, limitatamente a tale domanda restitutoria / risarcitoria deve essere dichiarata l’improcedibilità. In relazione alla porzione di domanda non coperta dalla declaratoria di improcedibilità, il Collegio osserva quanto segue. Premesso che il contratto prodotto sub all. 6 dalla parte ricorrente sottoscritto con l’intermediario convenuto non risulta derogare, ai sensi dell’art. 2, co. 4, lett. b), agli artt. 13 e 14 del D.lgs. 11/2010 (deroga nel caso di specie, in astratto possibile, non rivestendo la ricorrente la qualità di consumatore o di micro impresa) e non prevede una disciplina ad hoc in tema di addebito diretto e diritto del “pagatore” ad ottenere il rimborso di “un’operazione di pagamento autorizzata disposta su iniziativa del beneficiario” (art. 13, co.1 D.lgs. 11/2010), ciò premesso, si deve ritenere che la disciplina applicabile alla fattispecie in esame debba essere quella individuata dagli artt. 13, co. da 1 a 3 e 14 co. 1 e 2 D.lgs. 11/2010. Sulla base di tale disciplina viene riconosciuto il diritto del pagatore
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ad ottenere il rimborso dell’importo trasferito qualora la richiesta sia comunicata “entro otto settimane dalla data in cui i fondi sono stati addebitati” (art. 14, co. 1, D.lgs. 11/2010). Il diritto del pagatore al rimborso, tuttavia, viene as- soggettato ad una valutazione di merito dell’intermediario, che, avuto presente il precedente “modello di spesa” del pagatore e valutate “le circostanze del caso”, deve verificare che “l’importo dell’operazione supera quello che il pagatore avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi” (art. 13, co. 1). In caso di richiesta, il “prestatore di servizi di pagamento rimborsa l’intero importo dell’operazione di pagamento, ovvero fornisce giustificazione per il rifiuto del rimborso medesimo, entro dieci giornate operative dalla ricezione della richiesta” (art. 14, co. 2). Nel caso di specie, come risulta in via documentale, il riscontro dell’intermediario alla preliminare richiesta informativa della ricorrente del 20 novembre 2012 ed alla formale richiesta di rimborso del 12 dicembre 2012, è stato indubbiamente tempestivo (il giorno stesso della ricezione delle richieste) anche se l’esito negativo della richiesta è stato erroneamente motivato dall’intermediario sul presupposto della tardività della richiesta rispetto all’esecuzione dell’addebito allorquando, ai sensi dell’art. 14, co. 1, del D.lgs. 11/2010, il termine entro il quale
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la richiesta avrebbe potuto essere validamente svolta era di 8 settimane dall’addebito, avvenuto il 25 ottobre 2012. Ritiene tuttavia il Collegio che il diniego dell’intermediario, inadeguato nella motivazione, non può assurgere ad inadempimento del medesimo e fondare una pretesa risarcitoria della ricorrente. Infatti la valutazione dell’intermediario richiesta dall’art. 13, co. 1 del D.lgs. 11/2010 circa la non coerenza dell’ammontare dell’addebito deve essere eseguita rispetto al “modello di spesa” e valutando “le circostanze del caso”. Nel caso di specie, il “modello di spesa” offerto dalla ricorrente per valutare l’esuberanza dell’addebito esposto nella fattura emessa dal fornitore del servizio di telefonia non risultava con quest’ultima comparabile esponendo tale fattura (come riferito dalla stessa ricorrente, cfr. pag. 2 del ricorso) oltre ai canoni telefonici anche un’ulteriore voce (integrante il corrispettivo per recesso anticipato) non presente nei precedenti modelli di spesa (cfr. all. 5 ricorrente). Nel caso di specie, altresì, nell’ambito delle “circostanze del caso” l’intermediario non avrebbe potuto correttamente omettere di valutare la condotta della ricorrente che, rispetto ad una fattura emessa dal fornitore del servizio di telefonia il 5 ottobre 2012 ed addebitata il 25 ottobre 2012, provvedeva a prospettare la possibilità di richiedere il rela-
tivo rimborso in data 20 novembre 2012 (dunque, un mese dopo l’addebito) per poi attivarsi in tal senso solo il 12 dicembre successivo. Benché la richiesta della ricorrente debba essere indubbiamente considerata “in termini” alla luce dell’art. 14 del D.lgs. 11/2010, ciò non toglie che, nell’ambito della valutazione di merito che l’intermediario era tenuto a svolgere avente ad oggetto la effettiva esuberanza dell’ammontare addebitato, la stessa non potesse considerarsi tempestiva. Sotto altro profilo, deve poi osservarsi come la richiesta risarcitoria avanzata in questa sede dalla ricorrente, per la parte non coperta da improcedibilità, deve in ogni caso considerarsi generica e non corroborata da idonea deduzione in fatto volta a individuare il danno lamentato di cui si chiede il risarcimento. Per quanto sopra il Collegio, dichiarata la improcedibilità del ricorso per la parte già sopra individuata, non ne accoglie la parte residua. Benché l’attivazione informativa dell’intermediario, nel caso di specie, non sia idonea a legittimare le richieste risarcitorie dedotte dalla ricorrente, come già in altre occasioni (cfr. Coll. Milano, n. 2974/2012, n. 2493/2013), nell’esercizio del proprio potere di fornire indicazioni per migliorare i rap- porti fra intermediario e clientela, il Collegio invita il primo
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ad aggiornare le proprie procedure interne al fine di garantire, in relazione all’oggetto dedotto nel ricorso, un riscontro alla clientela in linea con le disposizioni normative applicabili e dunque, in caso di addebito diretto su iniziativa del beneficiario e di richiesta di rimborso proveniente dal pagatore, in conformità agli artt. 13 e 14 del D.lgs. 11/2010, costituendo, nell’ambito di tale normativa, la banca del pagatore il punto di contatto tra il pagatore stesso e il circuito di pagamento. P.Q.M. Il Collegio dichiara la parziale improcedibilità del ricorso e non ne accoglie la parte residua. Il Collegio delibera, altresì, di rivolgere all’intermediario, ai sensi di cui in motivazione, indicazioni utili a favorire le relazioni con la clientela. (Omissis) II (Omissis) Fatto. In seguito al guasto di una vettura noleggiata, il ricorrente in data 11 agosto 2013 – previ accordi con la società commerciale – consegnava la macchina ad una officina autorizzata; in data 20 agosto 2013 la società noleggiatrice addebitava al cliente anche il costo di € 250,00 a titolo di penale per “Perdita Chiavi/Loss of keys”; con reclamo del 22 agosto
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2013 il ricorrente, contestava l’addebito di tale importo, ritenendo che fosse stato ingiustamente applicato dalla società noleggiatrice “in spregio alle condizioni generali del contratto”; pertanto, richiedeva lo storno di tale somma; la convenuta, con riscontro del 13 novembre 2013, faceva presente di non potere procedere al recupero della somma contestata, in quanto – sulla base di quanto previsto dalle disposizioni regolamentari – risultava “estranea ai rapporti tra il Titolare e gli esercenti” e, pertanto, impossibilitata ad intervenire “in alcun modo a tutela dei diritti di una delle parti”. Con la presentazione del ricorso, il ricorrente ha reiterato l’istanza di rimborso, ribandendo, tra l’altro, che: le chiavi non erano state smarrite, come attesterebbe lo stesso verbale predisposto dall’officina autorizzata, che faceva proprio richiamo del “guasto/danneggiamento” delle chiavi; la causale sopra richiamata (gusto/danneggiamento), rientrerebbe, caso mai, in un’altra fattispecie regolamentata da una assicurazione aggiuntiva sottoscritta dallo stesso su suggerimento della stessa società di noleggio, che lascia a carico del beneficiario la sola franchigia di € 100,00. Con le controdeduzioni, presentate tramite il Conciliatore Bancario Finanziario, la resistente ha riepilogato le circostanze, precisando, tra l’altro, che: nell’agosto 2013 il ricorrente aveva noleggiato
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una autovettura, sottoscrivendo le condizioni generali del contratto, con cui accettava di rimborsare “tutte le spese annesse e connesse (multe, danni, etc)” all. 1); aveva, quindi, preautorizzato l’esercente ad addebitare, sulla propria carta di credito, tutti gli oneri gravanti per il servizio; in seguito ad un guasto occorso, in data 11/8/2013, l’istante aveva chiamato il soccorso stradale, che avrebbe rilevato sul verbale un “generico guasto al motore”; successivamente il ricorrente aveva ricevuto la fattura della società di noleggio e il conseguente addebito di € 448,80, di cui € 250,00 a titolo di “smarrimento chiavi”, effettuato e contabilizzato il 20 agosto 2013. Nel merito, l’intermediario ha, tra l’altro, precisato che: la consegna della macchina non sarebbe avvenuta con le modalità disciplinata dell’art. 7 del contratto sottoscritto con la società di noleggio (consegna del mezzo previa verifica con il personale dell’agenzia), avendo il ricorrente affidato la macchina al personale dell’officina autorizzata; tale officina, tra l’altro, avrebbe “rilasciato una relazione ben poco dettagliata”, da cui non sarebbe possibile, quindi, “determinare con certezza se le chiavi, difettose o meno” fossero state “consegnate all’autonoleggio”; l’art. 12 del regolamento, disciplinante l’uso della carta, prescrive comunque “l’estraneità dell’Emittente ai sottostanti rapporti commerciali fra [il titolare della
carta] e gli esercenti; l’art. 10 dello stesso regolamento – che disciplina le modalità di esecuzione degli ordini e i tempi e le modalità di revoca degli stessi – prevede che, in caso di operazioni disposte “su iniziativa del Beneficiario o per il suo tramite” e nei casi di “addebiti diretti”, una volta ricevuto l’ordine, per la revoca dello stesso è necessario anche il consenso del beneficiario; nel caso in questione non sarebbe quindi possibile intervenire direttamente per il recupero della somma. Dopo la ricezione delle controdeduzioni il ricorrente ha presentato una replica, a cui si rinvia per maggiori dettagli. Con tale memoria, il ricorrente, in sintesi, ha ribadito che: non avrebbe disatteso gli accordi, i quanto la consegna della macchina era stata effettuata sulla base delle istruzioni ricevute dalla stessa società di autonoleggio; l’asserita “mancata consegna delle chiavi” sarebbe smentita dalla stessa dichiarazione rilasciata dall’officina che riferiva di un guasto della chiave per “la presenza di acqua” oltre che da quanto dichiarato dalla stessa società di noleggio. La procedura on-line della convenuta prevede espressamente la possibilità di contestare “importi errati” addebitati sulla carta, come nel caso in esame. Il ricorrente ha chiesto “lo storno/revisione della penale di 250 euro erroneamente” addebitata dall’esercente mediante utilizzo della propria carta di credito.
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Diritto La controversia attiene a un’operazione di “addebito diretto”, vale a dire un’operazione di pagamento originata dal beneficiario (creditore) del pagamento. Nel caso che ci occupa, l’addebito fa seguito all’utilizzo di una carta di credito e ha implicato l’attivazione di un ordine di riscossione da parte del beneficiario: una società di noleggio di automobili. Quest’ultima, per il tramite della società che gestisce la carta di pagamento (l’attuale convenuta), ha chiesto e ottenuto di addebitare il conto del pagatore/debitore (l’attuale ricorrente) dell’importo corrispettivo del servizio di noleggio, maggiorato di una penale di € 250,00. In sede di ricorso l’attore contesta la correttezza dell’addebitamento e chiede “lo storno/revisione della penale di 250 euro erroneamente” (a suo dire) addebitata dall’esercente in occasione dell’utilizzo della propria carta di credito. Tanto premesso occorre considerare che la convenuta basa le proprie difese sulle clausole del regolamento che disciplina l’uso delle carte di credito, ponendo in particolare rilievo la circostanza che l’art. 10 di detto regolamento (intitolato “revoca del consenso alle operazioni di pagamento”), fra l’altro, dispone che “se l’operazione di pagamento è disposta su iniziativa del beneficiario [come nel caso che ci occupa] o
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per il suo tramite, la revoca del consenso ad eseguire l’operazione di pagamento dovrà avvenire direttamente nei confronti dell’esercente beneficiario, in ogni caso prima che l’ordine di pagamento sia ricevuto dall’emittente (…). Una volta ricevuto dall’emittente, l’ordine di pagamento diviene irrevocabile e può essere revocato solo con il consenso dell’emittente medesimo e, in caso di operazioni di pagamento disposte su iniziativa del beneficiario o per il suo tramite e di addebiti diretti, è necessario anche il consenso del beneficiario”. Il successivo art. 12 del detto regolamento, a sua volta, stabilisce l’estraneità dell’emittente “ai sottostanti rapporti commerciali”. Tali argomenti non hanno pregio, poiché non considerano che: 1) la transazione è stata disposta dopo l’entrata in vigore del D.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11 (Attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno) e che, pertanto, occorrerà applicare gli artt. 13 e 14 del decreto, che regolano “i rimborsi per le operazioni di pagamento disposte dal beneficiario o per il suo tramite”; 2) per di più, la disciplina contenuta negli artt. 13 e 14 citati non è derogabile quando l’altra parte contraente sia un consumatore, tanto dispone l’art. 2, co. 4, lett. b) del D.lgs. 11/2010. Orbene, contrariamente a quanto sostiene la convenuta,
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gli ordini originati dal beneficiario divengono definitivi solo dal momento in cui siano trascorse otto settimane dalla data in cui i fondi sono stati addebitati, poiché in questo periodo il pagatore ha la facoltà di chiedere, senza particolari formalità, il rimborso (art. 14 D.lgs. 11/2010). Come da più parti sottolineato, la novità normativa è intesa ad accrescere la tutela del pagatore che si avvale di una sorta di diritto di ripensamento senza dovere fornire giustificazioni della richiesta di rimborso; corrispondentemente la posizione del beneficiario si è deteriorata rispetto alla precedente prassi contrattuale, poiché quest’ultimo acquisisce la certezza della definitività del pagamento solo dopo che siano trascorse otto settimane. Nel caso che ci occupa, in atti risulta che il conto del ricorrente/pagatore è stato addebitato in data 20 agosto e che, dopo solo due giorni, egli ha presentato reclamo alla convenuta chiedendo lo storno di € 250,00. Il ricorrente, dunque, si è correttamente avvalso della facoltà che gli concede la legge. Una volta ricevuta la richiesta di rimborso, il prestatore del servizio di pagamento (l’odierno convenuto) avrebbe dovuto, invece, procedere al rimborso entro dieci giornate operative dalla data della richiesta. Occorre, ulteriormente, precisare che il prestatore del servizio
di pagamento potrebbe, in alcuni casi particolari, sottrarsi al rimborso, ma qualora non intenda procedere al rimborso deve, in ogni caso, fornire una giustificazione per il rifiuto (art. 14, co. 2, D.lgs. 11/2010). Va subito aggiunto che la giustificazione deve corrispondere esattamente a quella prevista dalle norme, più in particolare la giustificazione deve consistere nella mancanza delle condizioni di cui, al precedente al co. 1 dell’art. 13. Non vi può essere dubbio, infatti, che l’art. 14, co. 2, nell’esentare il prestatore del servizio di pagamento dall’obbligo di rimborso previa giustificazione, si riferisca al dettato dell’art. 13, co. 1, in quanto ciò è confermato dall’ultimo co. dell’art. 14, a tenore del quale “il diritto del prestatore di servizi di pagamento di rifiutare il rimborso non può essere esercitato, nel caso di addebiti diretti, quando il pagatore e il prestatore di servizi di pagamento hanno convenuto nel contratto quadro che il pagatore ha diritto al rimborso anche a prescindere dalla sussistenza [appunto] delle condizioni di cui al co. 1 dell’art. 13”. A sua volta, tale disposizione recita: “Nel caso in cui un’operazione di pagamento autorizzata disposta su iniziativa del beneficiario o per il suo tramite sia già stata eseguita, il pagatore ha diritto al rimborso dell’importo trasferito qualora siano soddisfatte entram-
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be le seguenti condizioni: a) al momento del rilascio, l’autorizzazione non specificava l’importo dell’operazione di pagamento; b) l’importo dell’operazione supera quello che il pagatore avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi avuti presenti il suo precedente modello di spesa, le condizioni del suo contratto quadro e le circostanze del caso”. Posto tale quadro normativo, è di chiara evidenza che la convenuta non ha giustificato il proprio rifiuto in conformità della disposizione di legge, ma adducendo, da un lato, clausole contrattuali della cui contrarietà alle disposizioni vigenti si è già detto sopra, dall’altro, ragioni inerenti al rapporto sottostante, rispetto al quale essa stessa predica l’estraneità del rapporto di “servizio di pagamento” (l’intermediario resistente, infatti, argomenta che “la consegna della macchina non sarebbe avvenuta con le modalità disciplinata dell’art. 7 del contratto sottoscritto con la società di noleggio (consegna del mezzo previa verifica con il personale dell’agenzia) (…)”. Per mera completezza, si fa presente che sarebbe stato conforme alla legge un rifiuto giustificato: - 1) dalla circostanza che l’importo del pagamento era già noto al pagatore al momento dell’autorizzazione a pagare, circostanza che non avrebbe, in nessun caso, potuto ricorrere nel caso che ci occupa proprio perché l’addebita-
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mento della penale è avvenuto ex post; e insieme - 2) dalla circostanza che l’addebito corrisponda al precedente modello di spesa del pagatore, anche tale circostanza non poteva ricorrere nel caso che ci occupa, posto che l’operazione di pagamento in esame non è ricorrente (come ad es. nel caso di pagamento di rate di un debito oppure nel caso di pagamenti di corrispettivi di contratti di somministrazione) sicché sarebbe stato, comunque, impossibile fare riferimento a un precedente modello di spesa del pagatore per giustificare il rifiuto. Conviene soffermarsi su un’ultima questione: il co. 2 dell’art. 13, D.lgs. 11/2010, stabilisce anche che il rimborso debba avvenire per l’intero importo dell’operazione e non solo per una parte come, invece, pretende il ricorrente con la sua domanda. Bene avrebbe fatto l’intermediario, dunque, se, di fronte alla richiesta del cliente, avesse stornato l’intero addebito. Ma così non è stato e questo Collegio non può che disporre lo storno nel limite prospettato nella domanda del ricorrente. P.Q.M. Il Collegio accoglie il ricorso e dispone che l’intermediario storni l’addebito di € 250,00 posto a carico del ricorrente Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario
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corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00 quale contributo alle spese della procedura e
al ricorrente la somma di € 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
(1-7) Il diritto di rimborso nell’addebito diretto. Sommario: 1. L’addebito diretto quale servizio di pagamento. – 2. La revoca dell’ordine di pagamento. – 3. Il diritto al rimborso delle somme addebitate. – 4. I fatti di causa. – 5. Litispendenza, connessione e improcedibilità del ricorso. – 6. Deroghe pattizie del diritto al rimborso ed estraneità dell’intermediario al rapporto di valuta. – 7. Il diniego di rimborso e i suoi presupposti.
1. L’addebito diretto quale servizio di pagamento. La due decisioni dell’ABF in commento riguardano l’esercizio del diritto di rimborso da parte del pagatore in ipotesi di addebito diretto. Le pronunce hanno dunque ad oggetto un servizio di pagamento tra quelli disciplinati dalla direttiva 2007/64/CE (d’ora in poi PSD)1, recepita nel nostro ordinamento dal d.lgs. 27 gennaio 2010 n. 112. Per comprendere meglio le fattispecie sottoposte al vaglio dell’ABF è dunque preliminarmente necessario svolgere alcuni cenni in materia di servizi e operazioni di pagamento.
1 La Direttiva ha preso spunto dall’esperienza tedesca, dove l’istituto è disciplinato a livello pattizio dal 1964. Sulla storia dell’addebito diretto in Germania cfr. Werner, Die Lastschrift, in a lungsver e randbu zum etder berweisung, Lastschrift, Kreditkarte und der elektronischen Zahlungsformen, a cura di Langenbucher, Gößmann, Werner, Munchen, 2004, Rdn. 10-12, p. 57; Barillà, L’addebito diretto, Milano, 2013, p. 10 s.; De Stasio, Operazione di pagamento non autorizzata, Milano, 2013, p. 125 ss. 2 Per un commento al D.lgs. 11/2010 v. Santoro e Sciarrone Alibrandi, La nuova disciplina dei servizi di pagamento dopo il recepimento della direttiva 2007/64/CE in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I, p. 347 ss. Sul tema dei servizi di pagamento cfr. Rispoli Farina, V. Santoro, Sciarrone Alibrandi, Troiano, a cura di, Armonizzazione europea dei servizi di pagamento e attuazione della direttiva 2007/64/CE, Milano, 2009, p. 9 ss.; A. Santoro, Sub art. 1, co. 1, lett. c, e, f, h, m, o, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, a cura di Rispoli Farina, V. Santoro, Sciarrone Alibrandi, Troiano, Torino, 2011, p. 15 ss.; Troiano, voce Contratto di pagamento, in Enc dir., annali, V, Milano, 2012, p. 392 ss.; V. Santoro, I servizi di pagamento, in Janus, 6-2012, p. 7 ss.; De Stasio, Operazione di pagamento, cit., p. 56 ss.
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Il legislatore comunitario prima e nazionale poi, non definisce i servizi di pagamento, ma si limita ad elencarli3. Tale impostazione si spiega alla luce del fatto che i servizi di pagamento non sono altro che le modalità attraverso le quali si può realizzare un’«operazione di pagamento»4. Con tale espressione si intende (art. 1, lett. c, d.lgs. 11/2010) «l’attività, posta in essere dal pagatore o dal beneficiario, di versare, trasferire o prelevare fondi, indipendentemente da eventuali obblighi sottostanti tra pagatore e beneficiario». La definizione è di cruciale importanza perché, da un lato, palesa la volontà del legislatore di armonizzare i servizi di pagamento superando così le differenze normative dei vari ordinamenti nazionali; dall’altro, qualifica l’operazione di pagamento come trasferimento patrimoniale “autonomo” rispetto al rapporto sottostante5. L’approccio comunitario è
3 L’art.4, co. 3, della PSD definisce i servizi di pagamento mediante rinvio alle «attività commerciali elencate nell’allegato». Nelle norme nazionali il medesimo elenco è stato trasfuso nell’art.1, co. 1, lett. b), d.lgs. n. 11/2010 cui, per altro, rimanda anche l’art. 1, co. 2, n. 4, t.u.b. L’elenco comprende: «1) servizi che permettono di depositare il contante su un conto di pagamento nonché tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento; 2) servizi che permettono prelievi in contante da un conto di pagamento nonché tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento; 3) esecuzione di ordini di pagamento, incluso il trasferimento di fondi, su un conto di pagamento presso il prestatore di servizi di pagamento dell’utilizzatore o presso un altro prestatore di servizi di pagamento: 3.1. esecuzione di addebiti diretti, inclusi addebiti diretti una tantum; 3.2. esecuzione di operazioni di pagamento mediante carte di pagamento o dispositivi analoghi; 3.3. esecuzione di bonifici, inclusi ordini permanenti: 4) Esecuzione di operazioni di pagamento quando i fondi rientrano in una linea di credito accordata ad un utilizzatore di servizi di pagamento: 4.1. esecuzione di addebiti diretti, inclusi addebiti diretti una tantum; 4.2. esecuzione di operazioni di pagamento mediante carte di pagamento o dispositivi analoghi; 4.3. esecuzione di bonifici, inclusi ordini permanenti; 5) emissione e/o acquisizione di strumenti di pagamento; 6) rimessa di denaro; 7) esecuzione di operazioni di pagamento ove il consenso del pagatore ad eseguire l’operazione di pagamento sia dato mediante un dispositivo di telecomunicazione, digitale o informatico e il pagamento sia effettuato all’operatore del sistema o della rete di telecomunicazioni o digitale o informatica che agisce esclusivamente come intermediario tra l’utilizzatore di servizi di pagamento e il fornitore di beni e servizi». 4 Sulla definizione di operazione di pagamento v. A. Santoro, Sub art. 1, co. 1, cit., p. 15 ss. 5 Su questo tema v. ampiamente De Stasio, Operazione di pagamento, cit., p. 56 ss., il quale rileva che la novità della disciplina consiste nell’aver fatto venir meno «l’assolutezza logica del rapporto tra pagamento e moneta» (nota 116, dove ulteriori riferimenti bibliografici). Mentre, infatti, l’adempimento di un’obbligazione pecuniaria a mezzo di intermediario rappresenta una normale eventualità, contenuto essenziale della prestazione del PSP è il trasferimento di moneta scritturare e cioè di una “disponibilità monetaria”.
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dunque quello di disciplinare il servizio di pagamento in maniera separata rispetto al rapporto obbligatorio tra clienti. In questi termini, mentre l’operazione di pagamento troverà la propria disciplina nel “diritto dei servizi di pagamento” vale a dire la normativa comunitaria comune, il rapporto obbligatorio tra pagatore e beneficiario6 sarà disciplinato dal “diritto delle obbligazioni” nazionale7. L’operazione di pagamento può consistere in versamenti e prelievi di tipo bilaterale (prestatore di servizi di pagamento - PSP/utilizzatore), oppure coinvolgere tre o più soggetti, sempre però alla presenza di un prestatore di servizi di pagamento (d’ora in poi PSP). Dunque la peculiarità dell’operazione deriva dalla scelta dell’utilizzatore di avvalersi di un trasferimento monetario “intermediato”, con la conseguente esclusione del trasferimento di contante, nonché delle fattispecie di cui all’art. 2, co. 2, d.lgs. 11/20108. Nell’ambito delle operazioni di pagamento rilevano, per ciò che qui interessa, i servizi che realizzano un trasferimento di fondi (nn. 3-4,
Su questo tema v. infra, par. 5. 6 La volontà di tenere separato il piano dell’operazione di pagamento da quello del rapporto obbligatorio sottostante, si evince anche dalla preferenza della PSD rispetto ai termini “debitore-creditore” dei termini “pagatore” (definito nella trasposizione operata dal d.lgs. 11/2010 come «il soggetto titolare di un conto di pagamento a valere sul quale viene impartito un ordine di pagamento ovvero, in mancanza di un conto di pagamento, il soggetto che impartisce un ordine di pagamento» art. 1, co. 1, lett.) e “beneficiario” (definito come il «il soggetto previsto quale destinatario dei fondi oggetto dell’operazione di pagamento» art. 1, co. 1. lett. f). V. sul punto De Stasio, Operazione di pagamento, cit., p. 57 s. 7 È stato tuttavia correttamente osservato (V. Santoro, Servizi di pagamento, cit., p. 14) che il legislatore comunitario ha regolando l’obbligazione pecuniaria sotto il profilo dell’equivalenza tra valute nello Spazio Economico Europeo e dunque per regolarne la convertibilità trasferibilità. Il riferimento è all’art. 33, d.lgs. 11/2010 che ha introdotto l’art. 126-octies t.u.b., secondo il quale l’obbligazione pecuniaria deve essere adempiuta «nella valuta concordata tra le parti»; la disposizione si contrappone all’art. 1278 che, invece, conferisce al debitore la facoltà di adempiere in «moneta legale». La norma del t.u.b. troverà dunque applicazione ai pagamenti in euro o in valute dello spazio economico europeo; l’art. 1278 c.c. alle obbligazioni pecuniarie in altre valute straniere. V. su questo tema Mucciarione, Sub art. 126-octies, in Testo Unico bancario. Commentario. Addenda di aggiornamento al d.lgs. 141/2010 e 218/2010, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina, V. Santoro, Milano, 2011, p. 1122. 8 L’art. 2, d.lgs. 11/2010 disciplina le “operazioni di pagamento” che non rientrano nell’ambito di applicazione del decreto stesso. Sul punto cfr. V. Santoro, Sub art. 2, commi 1 e 2, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., p. 41 ss.; Id., I servizi di pagamento, cit., p. 15 s.
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art. 1, co. 1, d.lgs. 11/2010). Con tale espressione si intende il «trasferimento di moneta scritturale che, proprio per il fatto di prescindere dalla traditio manuale, necessita dell’intervento di uno o più intermediari ma, allo stesso tempo, non consiste di un’attività materiale quale il trasporto di pezzi monetari o il cambio tra valute diverse»9. Il trasferimento di fondi si può realizzare con due modalità: il credit transfer ed il debit transfer; a queste va aggiunta l’operazione di pagamento che si attua mediante «carte di pagamento o dispositivi analoghi»10. Il credit transfer è un servizio di pagamento con cui il pagatore ordina al proprio PSP di accreditare il conto del beneficiario; trattasi in sostanza della procedura di bonifico11. La tipologia di debit transfer può invece essere ripartita in due fattispecie12: operazione di pagamento disposta dal beneficiario o per suo tramite e addebiti diretti (direct debit). In entrambe le ipotesi è necessaria l’autorizzazione del debitore (art. 5, co. 3, d.lgs. 11/2010), la quale può essere data prima o, ove concordato tra il pagatore e il PSP di pagamento, dopo l’esecuzione di un’operazione di pagamento. Rispetto alle due modalità di debit transfer appena esposte, la PSD e il d.lgs. 11/2010 disciplinano esclusivamente l’«addebito diretto» (art. 1, lett. v) su iniziativa del beneficiario13. La spiegazione di tale scelta è rinvenibile nella Comunicazione della Commissione del 200314, dove si legge che a fronte del crescente utilizzo degli addebiti diretti, permanevano notevoli disparità normative negli Stati Membri. La Commissione dunque ha sollecitato l’adozione di una disciplina comune allo scopo
Così V. Santoro, I servizi di pagamento, cit., p. 12 s. V. art. 1, co. 1, lett. b), nn. 3 e 4. 11 In tema di bonifico v. per tutti Campobasso, Bancogiro e moneta scritturale, Bari, 1979, p. 36 ss. e Sciarrone Alibrandi, L’interposizione della ban a nell’adempimento dell’obbligazionepe uniaria, Milano, 1997, p. 37 ss. 12 V. in tal senso A. Santoro, Sub art. 1, co. 1, cit., p. 18. 13 L’ordinamento giuridico tedesco conosce anche l’addebito su iniziativa del debitore (Abbuchungsauftragsverfahren), fattispecie in cui è il debitore a conferire mandato alla propria banca avente ad oggetto l’addebito delle somme dovute al creditore. Può trattarsi di un mandato generale ad onorare tutti gli addebiti provenienti da un dato soggetto, o di un mandato per ogni singolo addebito. Su questa modalità di addebito v. ampiamente Barillà, L’addebito diretto, cit., p. 22 ss.; Cuochi, Direct Debit e armonizzazione dei servizi di pagamento: regole e profili di responsabilità nelle operazioni di pagamento non autorizzate alla luce della direttiva comunitaria 2007/64/CE, in Armonizzazione europea, cit., p. 422 s. 14 V. Comunicazione della Commissione relativa a un nuovo quadro normativo per i pagamenti nel mercato interno (COM/2003/718 def.), in GUCE allegato 16. 9
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sia di armonizzare l’addebito diretto sotto il profilo dell’operazione di pagamento, sia di uniformare la tutela degli utilizzatori con riferimento alle azioni derivanti da pagamenti erronei e non autorizzati15. Più nello specifico l’art. 1, lett. v) del d.lgs. 11/2010 definisce l’addebito diretto16 come «un servizio di pagamento per l’addebito del conto di pagamento di un pagatore in base al quale un’operazione di pagamento è disposta dal beneficiario in conformità al consenso dato dal pagatore al beneficiario, al prestatore di servizi di pagamento del pagatore medesimo»17. L’addebito diretto può essere ricorrente e ripetitivo (current direct debit), nel qual caso l’autorizzazione al pagamento è contenuta nel c.d. contratto quadro, oppure concretizzarsi un un’operazione isolata e occasionale (on off direct debit), ipotesi in cui il consenso viene espresso nel singolo contratto relativo all’operazione di pagamento (art. 5, co. 2, d.lgs. 11/2010). I casi in commento riguardano l’operazione di addebito diretto tramite RID18, recentemente sostituito dal c.d. «addebito SEPA, o SEPA Direct Debit»19.
V. sul punto De Stasio, Operazioni di pagamento, cit., 39 s Sull’addebito diretto v. Barillà, L’addebito diretto ome servizio di pagamento tra disciplina comunitaria ed esperienza tedesca, in Banca, borsa e tit. cred., 2012, I, p. 678 ss.; Id., L’addebito diretto, cit., p. 8 ss.; Id., I servizi di pagamento «armonizzati» e l’addebito diretto nel panorama bancario italiano, in Giur. comm., 2014, I, p. 331 ss.; Manenti e Marziale, Sub art. 1856, in La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, a cura di Ruperto, IV, t. III, Milano, 2012, p. 371 ss., che si occupano del raccordo della disciplina in parola con quella del RID. 17 L’autorizzazione all’addebito (art. 5, d.lgs. 11/2010) può essere data prima o, ove concordato tra il pagatore e il proprio prestatore di servizi di pagamento, dopo l’esecuzione di un’operazione di pagamento. 18 Nell’esperienza italiana, prima della PSD, non esisteva una procedura unitaria di addebito diretto, ma una pluralità di servizi di incasso noti come RIBA, MAV e RID (v. Cuocci, Direct Debit e armonizzazione dei servizi di pagamento: regole e profili di responsabilità nelle operazioni di pagamento non autorizzate alla luce della direttiva comunitaria 2007/64/CE, in AA.VV., Armonizzazione europea dei servizi di pagamento, cit., p. 421). Il RIBA è una procedura interbancaria realizzata per la gestione automatica degli incassi commerciali e delle relative ricevute restituite non pagate. MAV è uno strumento interbancario di incasso utilizzato per pagamenti non preventivamente domiciliati presso una banca: si realizza attraverso un bollettino che, pagato dal debitore, viene incassato dalla banca del creditore. Il RID è invece una procedura interbancaria volta a gestire disposizioni di incasso da eseguire mediante addebiti preautorizzati (es. pagamenti rateali e periodici). 19 V. Regolamento del Parlamento europeo e del consiglio n. 260/2012, in GUCE, n. L 94/22 del 30/3/2012 relative misure attuative (Banca d’Italia, Provvedimento della Banca d’Italia recante istruzioni applicative del regolamento 260/2012 del Parlamento 15 16
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Venendo infine al trasferimento di fondi attraverso carte di pagamento, anche in tale ipotesi l’operazione è originata dal beneficiario, ma si differenzia dal direct debit per effetto della non stornabilità del pagamento per mancanza di fondi20 e per la particolare cautela nell’uso fraudolento delle carte (v. considerando 56 PSD)21.
europeo e del Consiglio che stabilisce i requisiti tecnici e commerciali per i bonifici e gli addebiti diretti in euro e che modifica il Regolamento (CE) n. 924/2009, reperibile all’indirizzo http://www.bancaditalia.it/sispaga/sms/sepa/normativa/provv-bi-reg-260- 2012/ Provvedimento-applicativo.pdf). L’addebito SEPA si distingue in due schemi: SDD Core, addebito pre-autorizzato rivolto indistintamente sia a consumatori che a non consumatori, e SDD Business to Business, destinato esclusivamente a debitori che rivestono la qualifica di “non consumatori”. La principale differenza tra il RID e l’addebito SEPA consiste nel fatto che il mandato SEPA viene rilasciato dal debitore esclusivamente all’impresa creditrice che – a valere sul mandato firmato dal suo cliente (sia esso un consumatore o un’altra impresa) – avvia la riscossione delle somme dovute attraverso la propria banca. In buona sostanza è il creditore, generalmente un’impresa fornitrice di beni o servizi, a richiedere e ricevere il mandato dal consumatore che lo autorizza a disporre, tramite la propria banca, gli addebiti sul conto. Ciò si presta, comprensibilmente, ad eventuali abusi da parte del contraente più forte, che potrebbe variare in aumento gli importi addebitati, una volta ottenuta un’autorizzazione per una somma diversa e più bassa. Proprio per questa ragione il Rulebook SDD (www.europeanpaymentscouncil.eu/index. cfm/sepa-direct- debit/2015-sdd-rulebooks) prevede l’obbligo per il creditore di inviare al debitore una prenotifica almeno 14 giorni prima del regolamento dell’operazione di addebito diretto: tale obbligo si intende assolto con l’invio della bolletta (in caso di utenze di servizi) o della fattura. È fatto salvo il diverso accordo tra le parti, che possono concordare un termine inferiore. Nel caso in cui l’intestatario del contratto di utenza di servizio sia diverso dall’intestatario del conto di pagamento, l’obbligo si intende assolto con l’invio della prenotifica all’intestatario del contratto di utenza. La prenotifica deve essere inviata per ogni disposizione di addebito diretto, ancorché si tratti di addebiti ricorrenti. La prenotifica può essere inviata un’unica volta nel caso di addebiti ricorrenti se in essa sono indicati gli importi e le scadenze dei successivi incassi. I RID attivi verranno automaticamente trasformati (se non lo sono già stati) in addebiti diretti SEPA e non è necessario che il cliente si attivi per confermarne la validità, ma sarà il beneficiario dell’addebito, avendo preventivamente informato il debitore (preavviso obbligatorio), a scegliere quale schema adottare, se il SDD Core per i consumatori o il SDD Business to Business. Per un commento v. Toma, L’area uni a dei pagamenti in euro: cosa cambia per gli incassi e per i pagamenti, in PMI, 2014, I, p. 21 ss.; Pagliari, Dal RID al SEPA: la nuova disciplina degli addebiti diretti, in Altalex, 11 aprile 2014, reperibile all’indirizzo http://www.altalex.com/documents/news/2014/04/10/dal-rid-al-sepa-la-nuova- disciplina-degli-addebiti-diretti; Cuocci e Giambelluca, Sub art. 13, cit., p. 161. 20 Lupacchino, Sub art. 17, in La nuova disciplina, cit., p. 187 ss 21 V. Santoro, Servizi di pagamento, cit., p. 14.
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2. La revoca dell’ordine di pagamento. Le problematiche scaturenti dall’addebito diretto conseguono, come dimostrano anche i casi in commento, dalla autorizzazione preventiva. Poiché infatti il consenso è espresso anticipatamente rispetto all’operazione di pagamento, l’intermediario è nelle condizioni di addebitare qualsiasi importo ed esporre, quindi, il debitore al rischio di frodi da parte del creditore in termini di addebito di somme non dovute. Tali conseguenze negative parrebbero addirittura accentuate dalla disciplina della revoca dell’operazione di pagamento22. Difatti, l’art. 17, co. 2, d.lgs. 11/2010 stabilisce che «Fatto salvo quanto previsto all’articolo 5, co. 4, se l’operazione di pagamento è disposta su iniziativa del beneficiario o per il suo tramite, il pagatore non può revocare l’ordine di pagamento dopo averlo trasmesso al beneficiario o avergli dato il consenso ad eseguire l’operazione di pagamento». In via generale, dunque, l’ordine di pagamento è irrevocabile. La regola dell’irrevocabilità è corollario, da un lato, del consenso del debitore, dall’altro, della natura recettizia degli ordini di pagamento. Infatti, nella misura in cui il debitore ha espresso, nella forma e secondo la procedura concordata nel contratto quadro o nel contratto relativo alle singole operazioni di pagamento (art. 5, co. 2), il consenso a che l’operazione di pagamento sia effettuata, l’ordine di pagamento non potrà essere revocato dal momento della ricezione. L’irrevocabilità dell’ordine di pagamento è tuttavia subordinata al verificarsi di una serie di condizioni dettate dal combinato disposto degli artt. 4 e 17, d.lgs. 11/2010: a) Il consenso può essere revocato in qualsiasi momento «nella forma e secondo la procedura concordata nel contratto quadro o nel contratto relativo a singole operazioni di pagamento, purché prima che l’ordine di pagamento diventi irrevocabile ai sensi dell’art. 17» e quindi; b) «Nel caso di addebito diretto e fatti salvi i diritti di rimborso, il pagatore può revocare l’ordine di pagamento non oltre la fine della giornata operativa precedente il giorno concordato per l’addebito dei fondi. Il prestatore di servizi di pagamento del pagatore dà tempestiva comunicazione della revoca al prestatore di servizi di
Sulla revoca dell’ordine di pagamento v. Lupacchino, Sub art. 17, cit., p. 188 ss.; Barillà, L’addebitodiretto, cit., p. 670 ss. 22
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pagamento del beneficiario, ove le modalità e i tempi di effettuazione della revoca lo consentano» (art. 17, co. 3); c) Una volta scaduti i termini utili per la revoca l’ordine di pagamento può essere revocato solo se concordato tra l’utilizzatore ed il proprio prestatore di servizi e sussistendo il consenso del beneficiario (art. 17, co. 5); d) L’eventuale revoca di un ordine di pagamento ha effetto solo tra il prestatore di servizi di pagamento e l’utilizzatore del servizio, «senza pregiudicare il carattere definitivo delle operazioni di pagamento nei sistemi di pagamento» (art. 17, co. 6). In conclusione, l’ordine di pagamento diviene irrevocabile nel momento in cui è stato ricevuto (a norma dell’art. 15) dal PSP di pagamento del pagatore; decorso tale termine l’ordine può essere revocato solo a seguito di accordo tra l’utilizzatore ed il prestatore di servizi. Parallelamente, tutte le operazioni di pagamento eseguite dopo la revoca del consenso, non possono ritenersi autorizzate (artt. 5, co. 4, e 17, d.lgs. 11/2010) e come tali conferiscono diritto al rimborso in capo al pagatore23.
3. Il diritto al rimborso delle somme addebitate. La regola della irrevocabilità dell’ordine di pagamento trova un temperamento nella facoltà accordata al debitore-pagatore di chiedere, in alcuni casi, il rimborso delle somme addebitate. L’art. 17, co. 7, d.lgs. 11/2010, prevede infatti che «l’irrevocabilità di un ordine di pagamento non pregiudica il rimborso dell’importo dell’operazione di pagamento in caso di controversia tra il pagatore e il beneficiario». La norma tuttavia precisa che «la revoca di un ordine di pagamento ha effetto solo nel rapporto tra il prestatore di servizi di pagamento e l’utilizzatore del servizio, senza pregiudicare il carattere definitivo delle operazioni di pagamento nei sistemi di pagamento» (art. 17, co. 6). Dalla disposizione si evince dunque che nelle controversie scaturenti dal rapporto c.d. di valuta (tra debitore pagatore e beneficiario), il de-
Per un caso di operazioni di pagamento effettuate dopo la revoca del consenso, ABF, Collegio di Milano, decisione n. 5706 del 08 settembre 2014, reperibile all’indirizzo www.arbitrobancariofinanziario.it/decisioni/categorie/Bonifico/R.I.D/Dec-201409085706.PDF; ABF Collegio di Roma, decisione n. 179 del 15 gennaio 2011, reperibile all’indirizzo http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/6333.pdf. 23
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bitore potrà chiedere il rimborso del denaro addebitato ed il conflitto si sposterà sul piano dei rapporti tra intermediari24. Gli artt. 13 e 14, d.lgs. 11/2010 disciplinano il diritto al rimborso delle somme addebitate in caso di operazione (autorizzata) disposta su iniziativa del beneficiario o per suo tramite25. La normativa in parola rappresenta una novità assoluta nel nostro ordinamento. Mancando infatti norme di legge in materia, il diritto al rimborso negli addebiti diretti, era oggetto di specifiche pattuizioni contrattuali che, per altro, prevedevano termini piuttosto brevi per richiedere il rimborso26. Il maggiore impatto della nuova disciplina riguarda il beneficiariocreditore il quale non acquisirà immediata certezza della definitività del pagamento, ma rimarrà esposto allo storno del proprio PSP nei limiti e alle condizioni previste dagli art. 13 e 14 d.lgs. 11/2010. Passando dunque ad analizzare dette condizioni, va preliminarmente evidenziato che la normativa in parola ha ad oggetto ipotesi in cui l’ordine del pagamento proviene dal beneficiario, ma non è sorretto dalla volontà del pagatore secondo la disciplina di legge e contrattuale (c.d. ordini senza importo)27. In altre parole, il diritto al rimborso oltre ad essere riconosciuto in assenza di autorizzazione, è altresì previsto nell’operazione di pagamento autorizzata che, tuttavia, non rispecchi l’addebito che il debitore si sarebbe potuto ragionevolmente attendere. L’art. 13, infatti, prevede che il diritto al rimborso può essere esercita28 to : a) al momento del rilascio l’autorizzazione non specificava l’importo dell’operazione di pagamento (art. 13, co. 1, lett. a);
24 Sul punto cfr. Barillà L’addebito diretto, cit, p. 27 ss.; Lupacchino, Sub art. 17, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., p. 193. 25 Sul rimborso delle somme addebitate cfr. Barillà, L’addebito diretto, cit., p. 670 ss.; Cuocci, Sub art. 14, cit., p. 171 ss. 26 La procedura interbancaria RID prevedeva la possibilità di esercitare richieste di storno di singoli addebiti entro un termine massimo pari, in funzione della modalità di servizio RID, al giorno stesso della scadenza dell’obbligazione ovvero al quinto giorno successivo alla scadenza medesima. La fissazione di un termine massimo per la richiesta di rimborso – anche in assenza di un obbligo normativo in tal senso – rispondeva alla necessità di funzionamento del circuito di pagamento, che richiedeva la conoscibilità ex ante da parte del beneficiario del termine oltre il quale il pagamento avviato per sua iniziativa assume la caratteristica della definitività. V. al riguardo Cuocci, Sub art. 13, cit., p. 162 e nota 8. 27 In tal senso De Stasio, Operazione di pagamento, cit, p. 216; Cuocci e Giambelluca, Sub art. 13, p. 164. 28 Sul diritto al rimborso cfr. Barillà, L’addebito diretto, cit, p. 670 ss.; Cuocci, Sub art. 14, cit., p. 171 ss.
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b).l’importo dell’operazione supera quello che il pagatore avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi avuti presenti il suo precedente modello di spesa, le condizioni del suo contratto quadro e le circostanze del caso (art. 13, co. 1, lett. b). In ogni caso, la richiesta può essere effettuata solo entro otto settimane dalla data di addebito dei fondi (art. 14, co. 1); decorso tale termine il pagamento può ritenersi definitivo a favore del beneficiario. Una volta ricevuta una richiesta di rimborso, il PSP deve entro dieci giorni rimborsare «l’intero importo dell’operazione di pagamento» ovvero fornire «una giustificazione per il rifiuto del rimborso medesimo» (art. 14, co. 2). La norma prevede un esame della richiesta da parte del PSD, volta a verificare le condizioni di cui all’art. 13. Con specifico riferimento a tale verifica, deve essere confermato il giudizio29 di assoluta estraneità dell’intermediario alle vicende del rapporto sottostante. La legge infatti non autorizza il PSP ad effettuare verifiche sul rapporto obbligatorio che ha originato l’operazione di pagamento, prevedendo addirittura un’alternativa secca tra rimborso integrale o negazione di rimborso (art. 14, co. 2), con l’esclusione di restituzioni parziali. Trattasi dunque di un accertamento meramente “documentale”, da «eseguirsi con la medesima diligenza dovuta, ad es., nella verifica del credito documentario, ma senza entrare nel merito delle operazioni»�. L’indagine dell’intermediario sarà dunque limitata al vaglio delle condizioni di cui all’art. 13, co. 1, lett. a) e b). La prima (mancanza di indicazione dell’importo dell’operazione) è oggettiva e facilmente accertabile; la seconda è più complessa in primis perché non è chiaro se il controllo dovrà tener conto congiuntamente dei parametri modello di spesa, le condizioni contratto quadro e circostanze del caso (c.d. balancing test), oppure potrà avere ad oggetto anche uno solo dei criteri. Aderendo alla prima soluzione, si favorisce la discrezionalità dell’intermediario soprattutto se si considera il parametro delle «circostanze del caso»; il secondo criterio interpretativo, invece, tutela maggiormente l’utente, il quale potrebbe semplicemente invocare la non coerenza con il precedente modello di spesa per esercitare il diritto di rimborso. La lettera dall’art. 13, contenendo un elenco, farebbe propendere per l’applicazione del balancing test30; ciò ovviamente solo quando si tratti di un addebito corrente e ripetitivo (current direct debit) e non di
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Cuocci e Giambelluca, Sub art. 13, p. 166; De Stasio, Operazione, cit., p. 217. V. sul punto Cuocci e Giambelluca, Sub art. 13, cit., p. 164.
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un’operazione isolata (on off direct debit), perché in quest’ultimo caso non vi sarebbe possibilità di fare riferimento ad un precedente modello di spesa. L’autonomia negoziale può, infine, prevedere che il diritto al rimborso possa essere esercitato a prescindere dalle condizioni di cui all’art. 13, co. 131. In tale ipotesi, il PSP non dovrà effettuare alcuna valutazione di merito, ma procedere al rimborso a seguito di semplice richiesta del pagatore32.
4. I fatti di causa. Una volta delineato il contesto normativo, veniamo ad affrontare i provvedimenti dell’ABF. Nel primo caso in commento, il ricorrente aveva autorizzato l’addebito sul proprio conto dei canoni relativi ad un contratto di telefonia. A seguito dell’esercizio di diritto di recesso dal contratto avvenuto nel settembre 2012, il gestore del servizio aveva addebitato, in data 25/10/2012, un RID pari ad euro pari 708.333,19, giustificando tale importo in parte a titolo di canoni telefonici, e in parte quale «prezzo per il recesso anticipato». Il ricorrente, lamentando la sproporzione tra l’ammontare addebitato e gli addebiti operati in precedenza, dapprima (20/11/12) richiedeva informalmente all’intermediario informazioni sul proprio diritto a stornare il denaro e, a seguito di indicazione negativa, inoltrava, in data 13/12/2012 formale richiesta di rimborso. La banca negava il rimborso ritenendo la richiesta tardiva rispetto al termine di «cinque giorni dall’addebito come previsto per i clienti non consumatori» dal regolamento SITRAD. Il ricorrente, dal canto suo, contestava la legittimità del diniego perché espresso in violazione degli artt. 13 e 14, d.lgs. 11/2010, che riconoscono al pagatore, senza distinzione tra consumatori e non, il diritto al rimborso per le operazioni di pagamento disposte dal beneficiario, entro otto settimane dalla data di addebito. Nel caso di specie, il
31 Anche tale disposizione conferma la piena autonomia del diritto al rimborso rispetto al rapporto sottostante. In tal senso Cuocci e Giambelluca, Sub art. 13, cit., p. 166. 32 Si noti per altro che la proposta di direttiva c.d. PSD2 (COM 2013 547 final) aumenta il grado di tutela prevedendo che, a prescindere da pattuizioni specifiche, in caso di «addebiti diretti il pagatore gode di un diritto di rimborso incondizionato entro i termini stabiliti all’articolo 68, salvo se il beneficiario abbia già adempiuto agli obblighi contrattuali e il pagatore abbia già ricevuto i servizi o consumato i beni» (art. 67, co. 1).
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termine era stato rispettato. Pertanto, il ricorrente chiedeva sia la restituzione delle somme addebitate, sia il risarcimento del danno subito per effetto della violazione da parte dell’intermediario dei canoni di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto; il tutto contenendo la richiesta nei limiti di competenza per valore dell’ABF. L’intermediario, inoltre rilevava che il ricorrente aveva promosso un giudizio civile avanti al Tribunale di Milano nei confronti del fornitore dei servizi di telefonia, contestando la debenza delle somme addebitate e la conseguente restituzione delle stesse. Sussistendo dunque «comunanza dell’oggetto dei due procedimenti» l’intermediario chiedeva di dichiararsi l’irricevibilità/inammissibilità del ricorso anche per questo motivo. Su tale punto, il ricorrente evidenziava che la domanda svolta nel giudizio ordinario nei confronti del fornitore non presentava alcuna connessione oggettiva/soggettiva con il procedimento promosso avanti l’ABF posto che: i) quest’ultimo era volto ad appurare l’illegittimità del rifiuto al rimborso delle somme opposto dalla banca convenuta mentre ii) il primo era finalizzato ad accertare i vizi genetici del rapporto, nonché l’illegittimità della penale addebitata e la conseguente richiesta di restituzione delle somme illegittimamente incassate. L’ABF, richiamando la normativa della Banca d’Italia in materia33, dichiarava la parziale improcedibilità del ricorso, per la parte in cui il ricorrente chiedeva all’intermediario, sia «a titolo restitutorio» che «a titolo risarcitorio», il rimborso delle somme oggetto di addebito. In relazione, comunque, alla parte di domanda non coperta da declaratoria di improcedibilità, l’ABF riteneva illegittimo il diniego di rifiuto per la presunta tardività della domanda, attesa l’applicazione, nel caso di specie, degli artt. 13 e 14 del d.lgs. 11/2010. L’ABF, tuttavia, respingeva la domanda avanzata dal ricorrente perché non tempestiva ai sensi dell’art. 13, co. 1, lett. b, d.lgs. 11/2010. Nel secondo caso in commento, il ricorrente aveva stipulato un contratto di noleggio di un’autovettura, preautorizzando l’esercente ad addebitare sulla propria carta di credito, tutti gli oneri derivanti dal servizio di noleggio, tra i quali, oltre al prezzo, rilevavano anche «tutte le spese annesse e connesse (multe, danni etc.)». In seguito ad un guasto del
33 L’art. 4, sez. I, delle Disposizioni della Banca d’Italia sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, prevede che «Non possono essere inoltre proposti ricorsi inerenti a controversie già sottoposte all’autorità giudiziaria». V, infra, par. 5.
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veicolo, il ricorrente, previ accordi con la società di noleggio, consegnava la macchina ad un’officina autorizza. In data 20/8/2014 la società di noleggio addebitava, per tramite della società di gestione della carta di pagamento (convenuta), il conto del ricorrente dell’importo corrispettivo del servizio di noleggio, maggiorato di euro 250,00 a titolo di penale per “Perdita chiavi/loss of keys”. Con reclamo del 22/8/2014 il ricorrente contestava l’addebito, in primo luogo, perché la consegna dell’auto era avvenuta presso un’officina autorizzata in accordo con la società di noleggio, e, in secondo luogo, perché l’addebito era avvenuto in spregio alle condizioni generali di contratto. Tra l’altro, le chiavi non erano state smarrite, ma consegnate al servizio ACI intervenuto in soccorso e poi depositate presso l’officina. Dunque il ricorrente chiedeva lo storno di tale somma. L’intermediario, in punto di fatto, precisava che la consegna dell’auto non era avvenuta secondo le modalità previste in contratto (consegna del mezzo previa verifica con il personale dell’agenzia); in diritto eccepiva l’irrevocabilità del consenso all’addebito, sulla base di quanto previsto dall’art. 10 del regolamento disciplinante l’uso delle carte di credito34, intitolato «revoca del consenso delle operazioni di pagamento», secondo il quale «se l’operazione di pagamento è disposta su iniziativa del beneficiario [come nel caso di specie] o per il suo tramite, la revoca del consenso ad eseguire l’operazione di pagamento dovrà avvenire direttamente nei confronti dell’esercente beneficiario, in ogni caso prima che l’ordine di pagamento sia ricevuto dall’emittente (…). Una volta ricevuto dall’emittente, l’ordine di pagamento diviene irrevocabile e può essere revocato solo con il consenso dell’emittente medesimo e, in caso di operazioni di pagamento disposte su iniziativa del beneficiario o per il suo tramite e di addebiti diretti, è necessario anche il consenso del beneficiario». Inoltre, la convenuta rilevava che l’art. 12 di detto regolamento prevedeva
34 Nel caso di specie, l’art. 10 prevedeva che «se l’operazione di pagamento è disposta su iniziativa del beneficiario o per suo tramite, la revoca del consenso ad eseguire l’operazione di pagamento dovrà avvenire direttamente nei confronti dell’esercente beneficiario, in ogni caso prima che l’ordine di pagamento sia ricevuto dall’emittente (…). Una volta ricevuto dall’emittente, l’ordine di pagamento diviene irrevocabile e può essere revocato solo con il consenso dell’emittente medesimo e, in caso di operazioni di pagamento disposte su iniziativa del beneficiario o per il suo tramite e di addebiti diretti, è necessario anche il consenso del beneficiario» nella parte in cui regola la revoca del consenso alle operazioni di pagamento (art. 10)». L’art. 12 disponeva inoltre l’estraneità dell’emittente rispetto ai «sottostanti rapporti commerciali.
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«l’estraneità dell’Emittente ai sottostanti rapporti commerciali fra lui [il titolare della carta] e gli esercenti». L’ABF ha ritenuto infondata la difesa dell’intermediario e dichiarato illegittimo il rifiuto di rimborso perché espresso in violazione dell’art. 14 d.lgs. 11/2010.
5. Litispendenza, connessione e improcedibilità del ricorso. Le due pronunce in commento affrontano complessivamente quattro temi: a) quello della litispendenza del giudizio ordinario civile rispetto al ricorso all’ABF; b) quello della tempestività della domanda di rimborso; c) quello della estraneità dell’intermediario rispetto ai rapporti tra pagatore e beneficiario e quello d) dei presupposti legittimanti il rifiuto di rimborso. Il secondo tema è comune ad entrambe le decisioni, mentre gli altri tre riguardano solo il primo provvedimento. Partendo dal tema sub a), va rilevato che le Disposizioni applicative della Banca d’Italia35, per ragioni di economia processuale, regolano il caso in cui altre procedure di soluzione giudiziale o stragiudiziale delle
35 Banca D’italia, Disposizioni sui sistemi di risoluzioni stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (di seguito «Disposizioni Applicative»), 18 giugno 2009, in G.U. n. 144 del 24 giugno 2009. Il testo è stato successivamente rivisto nel corso degli anni 2010, 2011 e 2012 ed è reperibile, aggiornato, all’indirizzo http://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/archivio-norme/disposizioni/ disposizioni/disp_mod_ABF_131112.pdf. Per commenti sul funzionamento dell’ABF cfr. Giorgetti, L’arbitro bancario finanziario muove i primi passi», a cura della Commissione Arbitrato dell’ordine dei Dottori Commercialisti, in Dir. e prat. soc., n. 3/2010, p. 88 ss.; Balzarini, L’Arbitro bancario finanziario, in Riv. soc., 2010, p. 257 s.; Fantetti, L’arbitro bancario finanziario quale sistema di risoluzione alternativa delle controversie tra investitore e intermediario, in Resp. civ., 2010, p. 855 ss.; Costantino, L’Arbitro bancario finanziario, in Foro it., 2010, X, cc. 278 ss.; Bergamini, I nuovi strumenti stragiudiziali di soluzione delle controversie in materia bancaria e finanziaria, in I contratti del mercato finanziario, a cura di Gabrielli e Lener Torino, 2011, p. 429 ss., in part. 444 ss.; Consolo e Stella, Il funzionamento dell’ABF nel sistema delle ADR, in Analisi Giuridica dell’Economia, 2011, p. 121 ss.; Perassi, Il ruolo dell’ABF nell’ordinamento bancario: prime riflessioni, ibidem, p. 143 ss.; Auletta, Arbitro bancario finanziario e “sistemi di risoluzione stragiudiziale delle ontroversie”, in Società, 2011, p. 83 ss.; Capobianco, Mediazione obbligatoria e Arbitro Bancario Finanziario, in Contr. impr. Eur., 2011, p. 134 ss.; Carriero, Arbitro bancario finanziario: morfologia e funzioni, in Foro it., 2012, VI, cc. 213 ss.; Petrella, L’Arbitrato Bancario Finanziario, in Disegno sistematico dell’arbitrato, a cura di Punzi, vol. 3, Padova, 2012, p. 287 ss.
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controversie siano attivate prima o contemporaneamente alla presentazione del ricorso all’ABF. In particolare si prevede36 che (a) quando sulle questioni oggetto del ricorso all’ABF pende un procedimento avanti al giudice statale (sia esso un procedimento a cognizione piena37o sommaria, sia esso un procedimento cautelare38, sia esso un procedimento esecutivo) o all’arbitro ovvero pende un tentativo di conciliazione o di mediazione, il ricorso all’ABF è improponibile e, se proposto, sarà inammissibile39 (b) quando, invece, il ricorso all’ABF viene proposto successivamente all’avvio di altro procedimento giudiziale o stragiudiziale di soluzione delle controversie è necessario operare un distinguo. Precisamente: (i) nel caso sia stato avviato dal cliente un tentativo di conciliazione o di mediazione il collegio dichiara, anche d’ufficio, l’interruzione del procedimento; mentre ii) nell’ipotesi in cui l’intermediario abbia promosso un procedimento giudiziario o arbitrale, è prevista l’estinzione del procedimento stragiudiziale davanti all’ABF solo se il cliente vi rinunci espressamente, ben potendo il ricorrente dichiarare di avere comunque interesse alla prosecuzione del procedimento dinanzi all’organo decidente40. Laddove sia stato invece il cliente ad avviare un procedimento giudiziario o arbitrale, l’effetto estintivo del procedimento davanti all’ABF è automatico, poiché, in tal caso, è il cliente che manifesta per “facta concludentia” il suo disinteresse alla procedura di ABF41.
Disp. App. Sez. I, par. 4 e Sez. VI, par. 2. Nel caso di azione collettiva risarcitoria ex art. 140-bis del Codice del Consumo, la controversia si intende sottoposta all’autorità giudiziaria dal momento in cui il consumatore o utente aderisce all’azione collettiva, pertanto è solo successivamente all’adesione che al cliente sarà impedito l’accesso all’ABF. 38 Cfr. ABF, Collegio di Napoli, decisione n. 161/2012; Collegio di Milano, decisione n. 1246/2012. Non costituisce invece ostacolo alla cognizione dell’ABF una precedente pronuncia dell’Ombudsman Giurì – Bancario dato che quest’ultimo non rientra tra i sistemi previsti dalle disposizioni che escludono espressamente la sottoponibilità all’ABF delle sole controversie “rimesse a decisione arbitrale” o per cui “sia pendente un tentativo di conciliazione ai sensi delle norme di legge” (Cfr. ABF, Collegio di Napoli, decisione n. 146/2011). 39 Salvo i ricorsi proposti entro il termine fissato dal giudice ai sensi dell’art. 5, co. 1, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. V. sul punto v. Pierucci, L’Arbitro bancario, cit., p. 819, nota 35. 40 Secondo Pierucci, L’Arbitro bancario, cit., p. 819, si è voluto in tal modo evitare che l’intermediario utilizzi il ricorso all’autorità giudiziaria (o al giudizio arbitrale) in modo strumentale per paralizzare lo svolgimento della procedura dinanzi al Collegio dell’ABF. costringendo il cliente a sopportare i costi di una difesa davanti all’autorità giudiziaria (o, quelli ancor più onerosi, di una difesa davanti all’arbitro). 41 Così Pierucci, L’Arbitro bancario, cit., p. 820 36 37
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Nel caso in commento, il ricorrente, prima di adire l’ABF, aveva avviato un procedimento civile contro il fornitore di servizi telefonici, contestando la debenza delle somme addebitate e richiedendo la condanna dello stesso alla restituzione delle stesse, nonché al risarcimento del danno subito. A ben vedere dunque la domanda restitutoria e risarcitoria svolta nel (precedente) giudizio civile contro il fornitore del servizio di telefonia era del tutto analoga a quella esplicata nel ricorso all’ABF contro l’intermediario, anche se fondata su motivazioni diverse. L’ABF ha ritenuto che, pur non sussistendo una connessione soggettiva tra i due procedimenti, nel caso di specie fosse rilevabile una connessione oggettiva “impropria” tale da poter generare un conflitto di decisioni. Per tale motivo, l’ABF, in applicazione delle Disposizioni applicative della Banca d’Italia, ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso nei limiti della «domanda restitutoria/risarcitoria» avanzata contro l’intermediario in quanto analoga a quella svolta in via ordinaria contro il fornitore di servizi telefonici. Va però rilevato che appena dopo aver svolto tale affermazione, l’ABF ha preso comunque posizione sulla «porzione di domanda non coperta dalla declaratoria di improcedibilità», soffermandosi sia sulla legittimità del rifiuto di rimborso (domanda restitutoria), nonché della fondatezza della richiesta danni ritenendola non provata (domanda risarcitoria). L’operato dell’Arbitro risulta del tutto contradditorio. Oggetto del giudizio era appunto la domanda restitutoria/risarcitoria svolta contro il PSP. Dunque, nel momento in cui il ricorso veniva dichiarato irricevibile – perché preceduto da una causa civile connessa a quella pendente di fronte all’Arbitro –, non vi era spazio per una decisione sul caso, mancando di fatto una sulla «porzione di domanda non coperta dalla declaratoria di improcedibilità». Ciò posto, è necessario verificare se nel caso di specie avrebbero o meno dovuto trovare applicazione le Disposizioni applicative della Banca d’Italia. Il par. 4, co. 4, delle citate Disposizioni prevede, che «Non possono essere inoltre proposti ricorsi inerenti a controversie già sottoposte all’autorità giudiziaria salvo i ricorsi proposti entro il termine fissato dal giudice ai sensi dell’art. 5 omma 1 del de reto legislativo 4 marzo 2010 n. 28». Nonostante la genericità della norma, non pare esserci dubbio che il ricorso all’ABF dovrà dichiararsi improcedibile, sia in caso di litispendenza e dunque in ipotesi di identità di soggetti, di petitum e di causa
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petendi, sia nei casi di connessione di cui agli art. 40 ss. c.p.c.42, e cioè di quei procedimenti che abbiano tra di loro alcuni punti in comune. Ad essere precisi, tuttavia, tenendo in considerazione i limiti oggettivi di operatività dell’ABF43, le ipotesi di connessione soggettiva avranno rilievo solo quando al contempo sussista connessione c.d. oggettiva, e cioè le controversie abbiano in comune il petitum e/o la causa petendi. Nel caso di specie, come visto, la domanda restitutoria/risarcitoria era stata promossa contro soggetti diversi (PSP e fornitore di servizi di telefonia), per motivazioni (causa petendi) diverse (illegittimità del rifiuto di rimborso da un lato, e vizi del rapporto dall’altro). Ciò nonostante la domanda restitutoria/risarcitoria svolta (petitum) era la stessa, nel senso che in entrambi i procedimenti il ricorrente aveva chiesto il rimborso delle somme addebitate e i danni. In ipotesi dunque di vittoria su en-
42 Si usa distinguere tra connessione soggettiva e connessione oggettiva. La connessione soggettiva si verifica allorché due rapporti giuridici di due o più giudizi dipenda dalla risoluzione di identiche questioni, di fatto o abbiano in comune unicamente gli elementi soggettivi, cioè le personae (litisconsozio). La connessione oggettiva si articola, a sua volta, tra connessione propria e impropria. La connessione propria dà luogo a:a) connessione per causa petendi, quando tra i rapporti si realizzi la comunanza (anche parziale) del titolo, cioè della fattispecie costitutiva; b) connessione per petitum, quando la comunanza in questione sia riferita all’oggetto del rapporto; c) connessione per (pregiudizialità-dipendenza, allorché un rapporto (detto pregiudiziale) entri a far parte della fattispecie costitutiva di un diverso rapporto (detto dipendente), condizionandone l’esistenza. La connessione impropria, invece, si ha quando la decisione di diritto (v. art. 103 c.p.c.). In materia di connessione, cfr.: D’onofrio, voce Connessione (dir. proc. civ.), in Noviss. Digesto it., IV, Torino, 1959, p. 101 ss.; De Petris, voce Connessione (dir. proc. civ.), in Enc. dir., IX, Milano, 1961, p. 10 ss.; Tarzia, Connessione di cause e “simultaneus processus”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 397 ss.; Balbi, Connessione continenza nel diritto processuale civile, in Dig. disc. priv., sez. civ., III, Torino, 1988, p. 457 ss.; Proto Pisani, Dell’eser izio dell’azione, in Commentario del c.p.c. diretto da Allorio, I, 2, Torino, 1973, p. 1130 ss.; Mandrioli e Carratta, Diritto processuale civile, I, Torino, 2015, p. 197. 43 L’ambito oggettivo di operatività dell’ABF è circoscritto, ratione materiae e ratione pretii. Sotto il profilo oggettivo, l’ABF si occupa esclusivamente delle controversie aventi ad oggetto servizi e attività rientranti nello Titolo VI del t.u.b. (Disp. Appl., Sez. I par. 4). L’ABF inoltre non può statuire sul risarcimento di danni derivanti da cause non riconducibili all’inadempimento dell’intermediario, su beni materiali o servizi diversi da quelli bancari e finanziari oggetto del contratto (come quelle sui vizi del bene concesso in leasing), su contratti collegati a quello stipulato con l’intermediario (art. 2, co. 5, Delib. Cicr. e Sez. I, par. 4, Disp. Appl.). Sotto il profilo del valore, la Delibera Cicr. (art. 2, comma 4) e le Disposizioni Applicative (Sez. I, par. 4) – stabiliscono che possono formare oggetto di cognizione da parte dell’Organo solo le controversie aventi ad oggetto la corresponsione di somme di denaro non superiori ad euro 100.000. Per un’analisi delle controversie demandabili all’ABF v. gli Autori citati alla nota 18.
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trambi i tramiti, il ricorrente avrebbe potuto ottenere il rimborso delle somme addebitate per ben due volte. A ben vedere, dunque, nel caso di specie sussisteva una connessione oggettiva propria tra il procedimento civile anteriore e quello promosso di fronte all’ABF, e non, come sostenuto dall’ABF, una connessione oggettiva impropria44. La decisione dei due procedimenti non dipendeva infatti «totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni» (art. 103, co. 1, c.p.c.). Per la verità, infatti, le due domande, oltre ad essere svolte contro soggetti diversi, si basavano su presupposti giuridici (causa petendi) diversi quali, da un lato, la violazione dei doveri contrattuali da parte della società di telefonia, dall’altro, il mancato rispetto della normativa in tema di servizi di pagamento. Il reale conflitto, invece, derivava dal petitum (richiesta di rimborso delle somme ingiustamente addebitate e risarcimento del danno) che, sebbene a titolo diverso, poteva generare due decisioni uguali e quindi permettere al ricorrente di essere rimborsato/risarcito per ben due volte. Si trattava dunque di un’ipotesi di connessione oggettiva propria. In conclusione, l’ABF avrebbe dovuto dichiarare integralmente improcedibile il ricorso per connessione oggettiva propria tra lo stesso e la causa civile precedentemente instaurata contro il fornitore di servizi di telefonia.
6. Deroghe pattizie del diritto al rimborso ed estraneità dell’intermediario al rapporto di valuta. Venendo al tema sub b), in entrambi i casi, l’Arbitro ha ritenuto “tempestivo” l’esercizio del diritto di rimborso, in quanto esercitato nel termine di otto settimane previsto dall’art. 14 d.lgs. 11/2010. Quanto alle previsioni regolamentari derogatorie del suddetto termine, l’ABF ha evidenziato che la disciplina del diritto al rimborso è inderogabile quando il debitore-pagatore sia un consumatore (art. 2, co. 4, lett. b)45. E dunque
V, supra, nota 43. La deroga pattizia può avere ad oggetto, nei casi di rapporti con soggetto non consumatore, gli artt. 3, co. 1, 5, co. 4, 10, 12, 13, 14, 17 e 25 del d.lgs. 11/2010 e non solo la disciplina del diritto al rimborso. Le parti, dunque, possono convenire di escludere il diritto al rimborso o concordare tempi più ristretti per effettuare le comunicazioni relative alla richiesta di rimborso. 44 45
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nel primo caso, non essendo il pagatore un consumatore, ma mancando pattuizioni in deroga alla disciplina di legge, l’ABF ha correttamente ritenuto tempestiva la richiesta di rimborso, perché avvenuta nei termini di legge46. Con riferimento invece al secondo caso dove il pagatore era un consumatore, l’Arbitro ha ritenuto contrarie a norme imperative le disposizioni regolamentari richiamate dall’intermediario47. Venendo a trattare il tema sub c), trattasi verificare la fondatezza dell’eccezione di estraneità ai rapporti tra pagatore e beneficiario (c.d rapporto di valuta), svolta dall’intermediario per giustificare il diniego di rimborso. In altre parole, l’intermediario, per legittimare il rifiuto di rimborso ha sostenuto di essere estraneo alle vicende “personali” tra pagatore e beneficiario, che appunto giustificavano la richiesta di storno. Come abbiamo già accennato48, è vero che la PSD ha regolato l’operazione di pagamento senza fare cenno alla disciplina del rapporto di valuta. Tale dato rispecchia la specifica scelta del legislatore comunitario di prevenire condizionamenti sul rapporto di addebito diretto da parte del contratto (sottostante) corrente tra debitore-pagatore e beneficiario49. Tale caratteristica, però, non priva – così come sostiene l’intermediario – il debitore di tutela. Al contrario, la PSD riconosce al pagatore il diritto al rimborso anche per operazioni già autorizzate. Tale diritto può
46 Per ciò che attiene all’entità del rimborso, l’art. 13, co. 2, prevede che «… Il rimborso corrisponde all’intero importo dell’operazione di pagamento eseguita», a prescindere dalla richiesta del pagatore e dunque a prescindere dal quantum dovuto al beneficiario. Dunque il diritto al rimborso deve essere esercitato per tutto l’importo addebitato e non per una parte. Ciò comporta che, anche in ipotesi di richiesta di rimborso parziale (come nel secondo caso in commento), l’intermediario debba stornare l’intera somma addebitata. L’ABF, pur ritenendo illegittimo il diniego dell’intermediario, dovendosi pronunciare nei limiti della domanda, ha potuto disporre lo storno nella misura indicata dal ricorrente. 47 Va ad ogni modo evidenziato che la disciplina regolamentare in parola si limitava a disciplinare, per altro richiamando le norme di legge, la “revoca” dell’ordine di pagamento, ma non regolava il diritto al rimborso. Ciò tuttavia non poteva implicare l’inesistenza di tale diritto, vista l’imperatività della relativa disciplina e dunque la sua automatica applicazione nel caso specifico. 48 V. sopra par. 1. 49 V. sul punto Barillà, L’addebito diretto, cit., p. 91 s.; Lupacchino, sub art. 17, cit., 192 ss. La volontà di separare il servizio di pagamento dal rapporto tra pagatore e beneficiario è confermata dall’art. 17, co. 6, secondo il quale «In ogni caso, la revoca di un ordine di pagamento ha effetto solo nel rapporto tra il prestatore di servizi di pagamento e l’utilizzatore del servizio».
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essere esercitato nei confronti dell’intermediario che, avendo aderito alla convenzione di addebito, sarà tenuto, nei termini ed alle condizioni di cui agli artt. 13 e 14 d.lgs. 11/2010, alla restituzione del denaro anche se, per ipotesi, sia a conoscenza del fatto che il suo cliente deve al creditore la somma addebitata. In altre parole, la richiesta di rimborso è sempre vincolante per l’intermediario il quale, come già rilevato, può solo verificare – al pari di ciò che avviene nel credito documentario – il rispetto delle condizioni di cui agli artt. 13 e 14 D.lgs 11/2010, senza poter entrarenel merito del rapporto obbligatorio corrente tra pagatore e beneficiario. In questi termini può essere condivisa la definizione del diritto al rimborso come «trasferimento patrimoniale astratto ed autonomo rispetto al negozio sottostante tra debitore e creditore»50. Sempre in questi termini, dunque, l’intermediario non può rifiutarsi di effettuare lo storno sulla base della estraneità rispetto al rapporto di valuta, in quanto lo stesso è obbligato al rimborso in virtù dei doveri ad esso imposti dagli artt. 13 e 14, d.lgs. 11/2010. In tal senso si è espresso anche l’Arbitro ritenendo l’eccezione dell’estraneità al rapporto di valuta priva di pregio ed evidenziando che il prestatore dei servizi di pagamento può sottrarsi all’obbligo di rimborso solo nelle ipotesi previste dall’art. 14 d.lgs. 11/2010, comunque fornendo una giustificazione per il rifiuto. Ad abundantiam, merita evidenziare che l’eccezione sollevata dall’intermediario, è del tutto incompatibile con la c.d. regola della prossimità di cui all’art. 25, d.lgs. 11/201051. La disposizione, in linea con l’impostazione della direttiva, regola la ripartizione di responsabilità per la corretta esecuzione delle operazioni di pagamento, stabilendo che ciascun PSP è interamente responsabile nei confronti del proprio cliente. La norma dunque separa nettamente dal rapporto di valuta i singoli rapporti contrattuali intercorrenti tra pagatore e beneficiario, confermando la reciproca autonomia PSP del pagatore e PSP del beneficiario, i quali partecipano al transfer mediante adesione al sistema dei pagamenti e
Cuocci e Giambelluca, Sub art. 13, cit., p. 170. Il nostro ordinamento conosce pochi casi di astrazione causale nei rapporti contrattuali (es. titoli di credito); più frequenti sono le fattispecie di astrazione processuale (ricognizione di debito, promessa di pagamento), dove tuttavia il negozio deve necessariamente essere causale. Da qui la difficoltà di inquadramento giuridico del RID. Sulpunto v. ampiamente Cuocci e Giambelluca, Sub art. 13, cit., p. 165 ss.; Barillà, L’addebito diretto, cit., p. 91 s.; De Stasio, Operazione di pagamento, cit., p. 218. 51 Sulla regola della prossimità v. V. Santoro, Servizi di pagamento, cit., p. 36. 50
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prestano ai propri utilizzatori servizi di pagamento ex contratto quadro e servizi di cassa ex contratto di conto corrente (se si tratta di banche)52.
7. Il diniego di rimborso e i suoi presupposti. Veniamo, infine, ad analizzare il tema dei presupposti legittimanti il diniego di rimborso. Una volta ricevuta una richiesta di rimborso l’intermediario dovrà verificare se sussistono le condizioni previste dagli artt. 13 e 14, d.lgs. 11/2010. Come già evidenziato53, la valutazione serve a riscontrare “anomalie” della disposizione di addebito in contestazione. Trattasi di un accertamento complesso, che deve tenere conto di svariati elementi e che deve permettere all’intermediario di opporre – eventualmente – un diniego giustificato. Con riferimento alle modalità di svolgimento di tale verifica, l’ABF ha ritenuto che l’intermediario avrebbe dovuto tenere in considerazione sia il «modello di spesa», sia le «circostanze del caso», aderendo così alla tesi dell’esame congiunto (c.d. balancing test) dei requisiti previsti dall’art. 13, co. 1, d.lgs. 11/201054. Con riferimento al primo requisito, l’Arbitro ha sostenuto che il modello di spesa offerto dalla ricorrente per valutare l’esuberanza dell’addebito non era ad esso comparabile, in quanto la fattura di telefonia conteneva oltre i canoni telefonici, anche l’ulteriore voce relativa al corrispettivo per recesso anticipato, non presente nei precedenti pagamenti. L’ABF ha dunque implicitamente affermato che per valutare la coerenza dell’addebito con il modello di spesa, è necessario mettere a confronto spese dello stesso tipo (nel caso de quo, canoni) e non di specie diverse (canoni e penale da recesso). Venendo al secondo requisito, l’ABF ha rilevato che il ricorrente, ricevuto l’addebito in data 25/10/2012, aveva meramente prospettato la possibilità di richiedere il rimborso in data 20 novembre (un mese dopo l’addebito), per essersi poi attivato in tal senso solo il 12/12/2012 e quindi in prossimità della scadenza delle otto settimane. Tale dato poteva
52 V. sul punto Sciarrone e Dellarosa, Sub art. 25, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., p. 272. 53 V. supra, par. 4. 54 V. supra, par. 2.
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costituire una «circostanza del caso» tale da non considerare anomalo l’addebito de quo. La presunta anomalia infatti avrebbe determinato una reazione immediata da parte del pagatore. Sin qui la decisione dell’ABF è pienamente condivisibile. Va invece approfondito il secondo passaggio della decisione, dove si afferma che «benché la richiesta della ricorrente debba essere indubbiamente considerata “in termini” alla luce dell’art. 14 del d.lgs. 11/2010, ciò non toglie che, nell’ambito della valutazione di merito che l’intermediario era tenuto a svolgere avendo ad oggetto la effettiva esuberanza dell’ammontare addebitato, la stessa non potesse considerarsi tempestiva». Il passaggio non è molto chiaro ma, in sostanza, l’ABF pare sostenere che la domanda di rimborso non poteva ritenersi tempestiva perché il pagatore aveva espletato tale richiesta a ridosso della scadenza delle otto settimane, pur essendo a conoscenza dell’addebito da quasi un mese prima. In altre parole, la mancata “immediata” reazione del pagatore, a fronte della piena consapevolezza di un addebito ingiusto, poteva assurgere a «circostanza del caso» tale da escludere non solo l’anomalia dell’addebito, ma anche la tempestività della domanda di rimborso. La decisione non è condivisibile. L’ABF in sostanza utilizza un requisito delle «circostanze del caso» per eliminare/accorciare il termine (otto settimane) di richiesta del rimborso, con un’operazione interpretativa che modifica arbitrariamente il chiaro dettato legislativo. Nel momento in cui il termine di otto settimane è rispettato, non può essere messa in discussione la tempestività della domanda di rimborso, perché ciò contrasta con il dettato dell’art. 14, co. 1, d.lgs. 11/2010. O la domanda è tempestiva, o non lo è: tertium non datur. In conclusione, le «circostanze del caso» possono essere riempite di contenuti attraverso l’utile opera interpretativa, ma con il limite di non attuare, di fatto, la riduzione del termine concesso dalla legge per l’esercizio del diritto di rimborso. Dunque, nel caso di specie, il lasso di tempo trascorso tra l’effettiva conoscenza dell’addebito, la richiesta di informazioni e la richiesta formale di storno, poteva essere elemento per escludere l’anomalia dell’addebito e quindi giustificare un diniego di rimborso, ma non per qualificare tardiva l’istanza, atteso il rispetto del termine di otto settimane previsto per legge.
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Responsabilità della banca per le operazioni di home banking I Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Roma, decisione del 3 luglio 2014, n. 4172; Pres. Marziale, Rel. Olivieri. Conto corrente bancario – Ordine di bonifico mediante piattaforma home banking – Errore nella trasmissione del codice IBAN – Accredito a soggetto terzo diverso dal beneficiario – Responsabilità del pagatore e del prestatore di servizi di pagamento del beneficiario – Concorso. (Art. 1227, co. 2, c.c.; art. 24, d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11).
In un servizio di bonifico tramite piattaforma home banking, la non coincidenza fra il nome del beneficiario e l’identificativo unico indicato nell’ordine di bonifico può e deve essere rilevato dalla banca del beneficiario che dovrà attivarsi per segnalare la discrasia ed evitare, per quanto possibile, i danni che potrebbero derivare all’ordinante dalla esecuzione del bonifico in favore di un soggetto diverso da quello indicato nell’ordine. (1) II Tribunale
di
Firenze, ord. 9 luglio 2015; G.U. Scionti.
Conto corrente bancario – Ordine di bonifico mediante piattaforma home banking – Errore nella trasmissione del codice IBAN – Accredito a soggetto terzo diverso dal beneficiario – Responsabilità del pagatore e del prestatore di servizi di pagamento del beneficiario – Concorso. (Art. 24, d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11).
In un servizio di bonifico tramite piattaforma home banking, la banca del beneficiario non è tenuta ala verifica della corrispondenza fra il nome del suo cliente e l’identificativo unico fornito dal pagatore ed è quindi, in caso di errore commesso dal pagatore, esonerata da qualsiasi responsabilità restitutoria nei confronti di quest’ultimo. (2)
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I (Omissis). Fatto. – La società ricorrente espone di aver eseguito un bonifico di Euro 10.000,00, utilizzando la piattaforma di home banking della propria Banca (Banca A), a favore di una società beneficiaria, indicando correttamente il numero IBAN. In seguito alla stampa dell’avvenuto bonifico avrebbe riscontrato che l’IBAN indicato risultava difforme da quello inserito nella fase di compilazione. L’ordine di bonifico sarebbe stato effettuato indicando il seguente IBAN: XXXXXXX657. A seguito della stampa della distinta di bonifico la ricorrente riscontrava, invece, che l’IBAN del beneficiario riportato era del tutto diverso da quello inserito in fase di compilazione: XXXXXXX578. La ricorrente informava prontamente dell’accaduto la propria Banca, la quale in data 17/01/2013, a seguito di traffico mail intercorso nei giorni precedenti, provvedeva ad inviare una comunicazione ufficiale alla banca del beneficiario e odierna resistente (Banca B) nella quale si faceva richiesta di storno e di restituzione dell’ importo del bonifico. A detta comunicazione la banca resistente rispondeva comunicando che l’IBAN indicato nel bonifico faceva riferimento a una carta prepagata; che il cliente risultava essere irraggiungibile e che anche l’importo era stato interamente prelevato. Alla luce dei fatti sopra esposti il ricorrente ritiene di aver diritto
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alla restituzione della intera somma oggetto di bonifico in base alle seguenti motivazioni. In primo luogo la resistente avrebbe violato l’obbligo di diligenza del buon banchiere, visto che l’incongruenza tra IBAN e intestatario avrebbe potuto (e dovuto) essere rilevata da parte della Banca resistente, tanto più che il bonifico è risultato accreditato su una carta prepagata. Inoltre vi sarebbe stata violazione dell’obbligo di adottare misure idonee a garantire la sicurezza del servizio di pagamento e di verifica dell’esattezza delle operazioni effettuate. Infine non vi sarebbe stata concreta e continua collaborazione nel recupero dell’importo dell’errato bonifico. Infatti, dopo la richiesta del 17/01/2013 la banca resistente si è limitata a effettuare una semplice telefonata al proprio correntista e si è limitata a comunicare che il destinatario era irraggiungibile. Dalla data menzionata nessun altro tentativo di recupero è stato esperito. Questo dimostra come l’appropriazione indebita perpetrata sia stata supportata da un comportamento scorretto derivante dalla mancanza di azioni reali volte al recupero di quanto indebitamente accreditato e sottratto. Per le ragioni sopra esposte la società ricorrente chiede che la banca resistente sia condannata a restituire in suo favore la somma oggetto del bonifico in contestazione. L’intermediario, dal canto
A.B.F. Roma
suo, eccepisce quanto segue. La Banca resistente non intratteneva, né intrattiene attualmente, alcun rapporto contrattuale con la ricorrente, la quale è titolare di un c/c presso altra BCC. Nella vicenda oggetto del presente procedimento la resistente ha agito esclusivamente come banca passiva (recte: banca del beneficiario) di un bonifico bancario richiesto dalla stessa ricorrente ed eseguito attraverso il sistema di home banking della banca dell’ordinante/ricorrente. La stessa controparte, infatti, evidenzia che in data 27.12.2012 si è avvalsa del servizio di home banking della propria banca per effettuare un bonifico bancario a favore di un altro soggetto, identificato come per legge da codice IBAN. Eseguito il pagamento, solamente in data 9.1.2013 un dipendente della BCC (e non la ricorrente) ha contattato via e-mail la resistente, chiedendo lo storno del bonifico di Euro 10.000,00 da loro predisposto, e la restituzione della somma alle coordinate dell’ordinante, in quanto l’odierna ricorrente avrebbe “inserito il bonifico sbagliando le coordinate di accredito”. La richiesta veniva reiterata sempre dalla stessa banca (e non dall’odierna ricorrente) con comunicazione del 17/1/2013 ed in predetta comunicazione veniva nuovamente sottolineato che l’IBAN era stato “erroneamente indicato dall’ordinante”. Ne consegue che il bonifico è stato eseguito a favore del beneficia-
rio per fatto e/o azione imputabile esclusivamente alla ricorrente. Dalla corrispondenza e dalla documentazione in atti emergerebbe anche che sono state comunicate le ragioni dell’impossibilità di procedere a uno storno, visto che l’importo era già stato accreditato sull’IBAN corrispondente a quello inserito dall’odierna ricorrente nel proprio sistema di home banking e che nelle more l’importo correttamente accreditato su tale IBAN è stato interamente prelevato dal titolare dello stesso. Veniva anche spiegato che in base alla vigente legislazione nazionale di derivazione europea l’introduzione del c.d. identificativo unico (IBAN) era comunque sufficiente e che propriamente il predetto codice IBAN era ed è il criterio di attribuzione al fine dell’univoca individuazione del relativo destinatario di un bonifico bancario. Pertanto, la resistente eccepisce, sul piano pregiudiziale, il difetto di reclamo e di legittimazione attiva. Nel merito chiede che il ricorso venga respinto in quanto infondato, ai sensi dell’art. 24 D.lgs. 11/2010. Diritto. – Il ricorso è parzialmente fondato e merita di essere accolto nei limiti di cui appresso si dirà. La questione sottoposta al giudizio di questo Collegio riguarda il ruolo e le responsabilità gravanti sull’intermediario che riceva ed esegua un ordine di bonifico impartito attraverso un servizio di home-banking dal cliente di un’al-
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tra banca accreditando la somma sul conto (nella specie: sulla carta prepagata) di un proprio correntista senza rilevare la difformità esistente tra l’IBAN (o identificativo unico) e il nome del beneficiario del pagamento. Tale questione non può essere risolta – come pretenderebbe la resistente – invocando il difetto di legittimazione passiva dell’intermediario che ha eseguito l’accredito, il quale non avrebbe alcun rapporto con l’ordinante e odierna ricorrente. Infatti, come già rilevato in altre decisioni relative a servizi di pagamento interbancari, l’assenza di rapporti contrattuali fra l’utente del servizio e uno degli intermediari che s’interpongono nella prestazione del servizio non osta a che il soggetto che si ritenga danneggiato da un comportamento negligente dell’intermediario lo evochi innanzi a questo Collegio per farne valere la responsabilità. Del pari non merita accoglimento la eccezione preliminare basata sulla mancanza di un preventivo reclamo da parte della ricorrente. Infatti, dalla documentazione in atti risulta che la banca del ricorrente (i.e.: banca dell’ordinante) si è rivolta per conto (e su richiesta) di quest’ultimo alla odierna resistente per rappresentare l’accaduto e chiedere lo storno della somma erroneamente accreditata su un conto diverso da quello dell’effettivo beneficiario. Tale comunicazione può dunque ritenersi idonea a in-
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tegrare, nella sostanza, gli estremi del preventivo reclamo all’intermediario che la vigente normativa richiede per poter adire l’Arbitro Bancario Finanziario. Venendo al merito della controversia, dalla documentazione in atti emerge che l’errata indicazione dell’IBAN nel bonifico on line di cui si controverte sembrerebbe imputabile ad un comportamento dell’ordinante, il quale si sarebbe accorto solo in un secondo momento della non corrispondenza fra l’identificativo unico ed il nome del beneficiario del pagamento. Ciò posto, si tratta a questo punto di stabilire se la banca del beneficiario abbia o meno concorso, con il suo comportamento, a causare il danno subito dal ricorrente e, in caso di risposta affermativa, quale conseguenze se ne debbano trarre sul piano risarcitorio. Al primo interrogativo il Collegio ritiene di poter dare risposta almeno in parte affermativa, atteso che la non coincidenza fra il nome del beneficiario e l’identificativo unico indicato nell’ordine di bonifico ben avrebbe potuto (e dovuto) essere rilevato dalla banca resistente, la quale era sicuramente in possesso delle informazioni a tal fine necessarie. Né varrebbe invocare, in contrario, la norma contenuta nell’art. 24, co. 1, d.lgs. n. 11/2010, a mente del quale “se un ordine di pagamento è eseguito conformemente all’identificativo unico, esso si ritiene eseguito correttamente per quanto concerne
Trib. Firenze
il beneficiario”, con la conseguenza che se l’IBAN fornito dall’ordinante è inesatto, il prestatore di servizi di pagamento non è responsabile per la mancata o inesatta esecuzione dell’ordine nei confronti del pagatore anche qualora quest’ultimo abbia fornito informazioni ulteriori rispetto all’identificativo unico (art. 24, commi 2 e 3). Infatti, la disposizione sopra richiamata sembra destinata a regolare i rapporti fra l’ordinante e la sua banca, sollevando quest’ultima da ogni responsabilità qualora essa esegua l’ordine in conformità all’identifico unico fornito dal pagatore; ma nulla dice in ordine al grado di diligenza che la banca del beneficiario deve osservare nell’accreditare la somma ricevuta dalla banca dell’ordinante. In particolare, essa non può essere invocata come una esimente idonea a sollevare la banca del beneficiario da qualsivoglia onere di controllare la corrispondenza – che essa sola è in grado di verificare – tra l’IBAN e il nome del beneficiario indicato nell’ordine; con la conseguenza che laddove tali dati, come nel caso di specie, non coincidano, essa dovrà attivarsi per segnalare la discrasia ed evitare, per quanto possibile, i danni che potrebbero derivare all’ordinante dalla esecuzione del bonifico in favore di un soggetto diverso da quello indicato nell’ordine. Nel caso che occupa non risulta che la banca resistente, pur disponendo
delle informazioni a tal fine necessarie, si sia attivata per rilevare la suddetta difformità ed evitare (o limitare) le conseguenze dannose derivanti dalla errata indicazione dell’IBAN da parte dell’ordinante. Il che comporta la sua corresponsabilità, ai sensi dell’art. 1227, co. 2, c.c., per i danni subiti dal ricorrente (anche) a causa dal suo comportamento negligente; danni che il Collegio ritiene di poter quantificare in via equitativa in misura pari al 50% della somma oggetto di bonifico P.Q.M. Il Collegio accoglie parzialmente il ricorso e per l’effetto dispone che la banca resistente corrisponda alla società ricorrente l’importo di € 5.000,00 (cinquemila/00), con gli interessi legali dal reclamo al saldo. Dispone, inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente quella di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso. II (Omissis). Con ricorso depositato in data 22.05.2015, C. chiedeva fosse accertata la propria assenza di responsabilità in ordine al bonifico bancario sul c/c n. IT acceso presso sé per un impor-
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to pari ad € 10.000,00 eseguito in data 27.12.2012 mediante BANCA (d’ora innanzi soltanto B) su ordinativo di I s.pa.; chiedeva altresì fosse dichiarata la non debenza di alcuna somma di denaro in favore della società I. Rappresentava in particolare C che, a seguito del bonifico così come sopra descritto, aveva ricevuto in data 9.1.2013 da parte di B richiesta di storno del bonifico, comunicando che il proprio cliente aveva inserito coordinate bancarie erronee; che la ricorrente si era attivata immediatamente al fine del recupero della somma; che, ciononostante, il conto IBAN destinatario del bonifico era corrispondente ad una carta prepagata presso la quale non era più disponibile l’importo accreditato, circostanza della quale il 10.1.2013 era data comunicazione all’odierna resistente. Deduceva, nel merito, che tanto la responsabilità per l’erroneo inserimento del codice IBAN al momento del bonifico quanto quella per il ritardo nella denuncia di quanto verificatosi era riconducibile alla società I, facendo peraltro rilevare il comportamento contrario a buona fede tenuto da quest’ultima, la quale, in data 26.62013, aveva eseguito un ulteriore bonifico dell’importo di € 4.700,00 a favore del medesimo beneficiario. Dava atto, infine, dell’intervenuta pronuncia in data 3.7.2014 dell’Arbitro Bancario e Finanziario adito dall’odierna resistente in ordine ai
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fatti di cui è causa, il quale aveva accolto parzialmente il ricorso, disponendo che la C corrispondesse alla società I l’importo di € 5.000,00 con interessi legali dal reclamo al saldo, rimborsasse la somma da quest’ultima versata alla presentazione del ricorso e corrispondesse alla Banca d’Italia contributo per le spese di procedura; eccepiva comunque la natura non giurisdizionale della pronuncia e la sua insuscettibilità di produrre effetti giuridici tra le parti. Fissata la comparizione delle parti, la I si costituiva eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del presente ricorso, avendo mancato parte ricorrente di chiedere la disapplicazione e/o l’annullamento della decisione resa dall’Arbitro Bancario e Finanziario; nel merito, contestava la fondatezza del ricorso stante la mala gestio con cui C aveva provveduto all’esecuzione dell’accredito, avendo quest’ultima omesso la dovuta verifica della corrispondenza tra IBAN e nome del beneficiario indicato nell’ordine. Concludeva, pertanto, in via preliminare, per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; in via preliminare gradata, per l’integrazione del contraddittorio nei confronti di B, della Banca d’Italia e dell’Arbitro Bancario e Finanziario che si era pronunciato sulla medesima questione; nel merito, concludeva per il rigetto della domanda in quanto infondata e la condanna di C al paga-
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mento della somma di € 10.000,00 di cui al bonifico del 27.12.2012 e dell’ulteriore somma di € 4.700,00 corrispondenti all’ulteriore bonifico erroneamente compiuto da parte della società I nei confronti del medesimo beneficiario, così come fatto rappresentato da controparte, oltre interessi; in via riconvenzionale, dichiarata la mala gestio nella verifica della regolarità delle operazioni eseguite dalla società I, chiedeva la condanna di C al pagamento della somma di € 5.000,00 a titolo di risarcimento del danno. All’udienza del 23.6.2015 parte ricorrente dava atto che, a seguito della presentazione del ricorso, controparte aveva eseguito ulteriori sei bonifici nei confronti del medesimo destinatario, insisteva per l’accoglimento delle domande già rassegnate in ricorso e chiedeva ulteriormente la condanna della resistente ai sensi dell’art. 96 c.p.c.; la società I si riportava alle proprie deduzioni e conclusioni e dichiarava di rinunciare a parte della propria domanda, limitatamente alla somma di € 4.700,00 da defalcarsi dall’importo di € 14.700,00 originariamente richiesto. II. Il ricorso è fondato e deve pertanto essere accolto. II. 1. Priva di fondamento risulta innanzitutto l’eccezione di inammissibilità del presente ricorso così come formulata da parte resistente. Occorre difatti tenere conto, da un lato, della natura non
giurisdizionale delle decisioni rese dall’Arbitro Bancario e Finanziario (cfr. C.C. 22.7.2011, n. 218) e, dall’altro, della delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR) 29 luglio 2008, n. 275 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 222 del 2008 che disciplina i sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie ex art. 128-bis T.U.B. e che prevede quale sanzione per l’inadempimento o ritardo nell’inadempimento della decisione ovvero nei casi di mancata cooperazione dell’intermediario bancario che “l’inadempienza è resa pubblica secondo le modalità previste dalla Banca d’Italia”, fermo restando “la facoltà per entrambe le parti di ricorrere all’autorità giudiziaria ovvero ad ogni altro mezzo previsto dall’ordinamento per la tutela dei propri diritti o interessi” (articolo 6, comma 6 e 7). Stante l’inidoneità della pronuncia dell’A.B.F. a fare stato tra le parti, il preliminare accertamento circa la validità e/o efficacia di detta pronuncia non costituisce presupposto al valido instaurarsi del presente giudizio. Per gli stessi motivi e non ravvisandosi nel caso di specie la fattispecie di cui all’art. 102 c.p.c., tenuto altresì conto della natura semplificata del rito ex art. 702-bis c.c., non può dirsi fondata l’eccepita necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti di B, della Banca d’Italia e dell’Arbitro Bancario e Finanziario.
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II.2. Nel merito, va tenuto conto che l’ordine di bonifico compilato dalla società I in data 27.12.2012 reca quale identificativo unico del destinatario il c/c n. IT nel quale ha effettivamente avuto luogo l’accredito (cfr. doc. 1, parte ricorrente); che parte resistente, tramite comunicazione da parte di B, avvisava parte ricorrente dell’intervenuto errore soltanto il successivo 9.1.2013 (cfr. doc. 3, parte ricorrente); che C ha dato prova che il c/c destinatario corrispondeva ad una carta prepagata e che alla data del 9.1.2013 l’importo accreditato non era più disponibile (doc. 2); pertanto non può ravvisarsi mala fede nella condotta tenuta dalla Banca ricorrente in ordine al bonifico per cui è causa. A norma dell’art. 24 del d. lgs. 27 gennaio 2010 n. 11 recante disciplina dei servizi di pagamento nel mercato interno, peraltro, “se un ordine di pagamento è eseguito conformemente all’identificativo unico, esso si ritiene correttamente eseguito per quanto concerne il beneficiario e/o il conto indicato dall’identificativo unico”; in particolare “se l’identificativo unico fornito dall’utilizzatore è inesatto, il prestatore di servizi di pagamento non è responsabile (…) della mancata o inesatta esecuzione dell’operazione di pagamento” e “il prestatore di servizi di pagamento del pagatore è tenuto a compiere sforzi ragionevoli per recuperare i fondi ogget-
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to dell’operazione di pagamento”. Sebbene in quest’ultimo periodo il legislatore faccia specifico riferimento al “prestatore di servizi di pagamento del pagatore” (che, nel caso di specie, corrisponde a B), ponendo a carico di questi l’obbligo di compiere sforzi ragionevoli al fine di recuperare i fondi oggetto del pagamento erroneamente compiuto, non sembra parimenti potersi circoscrivere a tale soggetto la restante parte della norma, la quale si rivolge genericamente al “prestatore di servizi di pagamento” e quindi, in linea generale, anche alla Banca del beneficiario. Quest’ultima, peraltro, non risulta tenuta alla verifica della corrispondenza tra il nome del beneficiario e l’identificativo unico fornito dal pagatore così come dedotto da parte resistente. L’art. 24/3 del D.lgs. 27.1.2010, n. 11 prevede difatti che “il prestatore di servizi di pagamento è responsabile solo dell’esecuzione dell’operazione di pagamento in conformità con l’identificativo unico fornito dall’utilizzatore anche qualora quest’ultimo abbia fornito al suo prestatore di servizi di pagamento informazioni ulteriori rispetto all’identificativo unico”. La norma, ancora una volta, sembra prendere in considerazione tanto la generale figura del “prestatore di servizi di pagamento” – entro la cui definizione è suscettibile di rientrare altresì la Banca del beneficiario – da in-
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tendersi responsabile solo dell’esecuzione dell’operazione di pagamento in conformità all’identificativo unico, quanto la figura del “prestatore di servizi di pagamento del pagatore/utilizzatore”, cui quest’ultimo abbia fornito ulteriori informazioni rispetto all’identificativo unico. Ciò premesso alcuna responsabilità deve intendersi ascrivibile in capo alla ricorrente nei confronti della società I, alla quale pertanto nulla è dovuto in riferimento all’ordine di bonifico del 27.12.2012. II.3. La domanda riconvenzionale di risarcimento del danno proposta dalla società I nei confronti della ricorrente deve intendersi conseguentemente respinta. II.4. Egualmente respinta è la domanda di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. formulata da parte ricorrente, in quanto non provata nei suoi elementi co-
stitutivi. Sebbene C, dando atto che la società I aveva provveduto ad ulteriori ordini di pagamento nei confronti del beneficiario del bonifico del 27.12.2012, asseritamente indicato come errato, forniva elementi probatori, seppur presuntivi, suscettibili di fondare l’elemento probatorio circa la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito addebitato a controparte, la medesima non provvedeva a fornire prova del danno sofferto, né a quantificarlo. Si rileva, in proposito, che “l’accoglimento della domanda, per avere la controparte processuale agito o resistito in giudizio con dolo o colpa grave, presuppone l’accertamento sia dell’elemento soggettivo dell’illecito (mala fede o colpa grave), sia dell’elemento oggettivo (entità del danno sofferto)” (cfr. Cass. Civ., 11.12.2012, n. 22659).
(Omissis).
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(1-2) Responsabilità della banca del beneficiario per errata esecuzione di ordine di bonifico impartito tramite home banking: configurazione di un obbligo di protezione in favore di terzo? Sommario: 1. Il caso. – 2. Il percorso argomentativo dell’ABF. – 3. L’obbligo di diligenza della banca del beneficiario.
1. Il Caso. La pronuncia del Collegio di Roma dell’ABF ritorna su una questione “classica”, ossia la responsabilità della banca per errata esecuzione di ordine di bonifico, con la variante dell’utilizzo di una piattaforma home banking. Nel caso di specie tuttavia, si devono considerare altre circostanze, senza le quali si arriverebbe a conclusioni errate, che porterebbero anche ad una non comprensione della decisione dell’Arbitro. Anzitutto, bisogna tener conto del fatto che l’ordine di bonifico era stato impartito dal cliente di una banca mediante IBAN erroneamente indicato, e nominativo del beneficiario correttamente indicato. L’esecuzione dell’ordine era avvenuta da parte della banca del beneficiario sul conto di un proprio correntista. L’errore materiale era stato dunque commesso dalla banca ricevente, laddove l’ordinante aveva comunque fornito un IBAN non corretto. La fattispecie si complica poi allorché il codice identificativo unico del ricevente risulta corrispondere ad una carta prepagata, di talché, essendo stata la somma versata interamente prelevata e risultando il cliente successivamente irreperibile, non era più possibile alla banca ricevente recuperare l’importo. L’ordinante chiedeva così la restituzione dell’intera somma, adducendo la violazione dell’obbligo di diligenza dell’accorto banchiere, in quanto l’incongruenza tra IBAN e beneficiario avrebbe potuto essere rilevata da parte della banca di quest’ultimo. Oltre a ciò, veniva contestato alla banca ricevente di non essersi concretamente adoperata per recuperare le somme versate. Dal canto suo, la banca del beneficiario eccepiva di aver agito esclusivamente come banca passiva di un bonifico bancario richiesto dall’ordinante ed eseguito appunto tramite il sistema di home banking della banca di quest’ultimo. Appurato che l’errore era stato commesso dall’ordinante al momento dell’indicazione dell’IBAN, ne conseguiva, secondo l’ABF, che il bonifico
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Giovanni B. Barillà
era stato eseguito a favore del beneficiario per fatto e/o azione imputabile esclusivamente all’ordinante medesimo.
2. Il percorso argomentativo dell’ABF Il Collegio romano dell’ABF accoglie parzialmente il ricorso. Il percorso argomentativo dell’Arbitro merita, come si è detto, di essere analizzato con attenzione. La banca ricevente che ha eseguito l’accredito eccepisce il difetto di legittimazione passiva in capo a se stessa, con la motivazione che tra essa e l’ordinante non intercorre alcun rapporto giuridico. L’ABF respinge tale eccezione ritenendola non dirimente. È vero infatti che, tra l’ordinante di un bonifico – ma in generale, di ogni rapporto a schema quadrilatero, quale anche l’addebito diretto ovvero il credito documentario – e la banca del beneficiario non sussiste alcun rapporto giuridico, salvo che non ci si trovi in presenza dello stesso prestatore di servizi di pagamento comune sia all’ordinante sia al beneficiario1. È del resto altrettanto vero che, anche senza voler applicare la teoria degli obblighi di protezione a favore del terzo (là dove il terzo sarebbe il beneficiario rispetto alla banca dell’ordinante, con la quale egli non ha alcun rapporto: ma su questo si tornerà tra poco), sulla banca del beneficiario grava comunque un obbligo di diligenza nell’esecuzione dell’ordine di bonifico. Il Collegio romano dell’Arbitro ha poi fornito una interpretazione della norma di cui al comma 1° dell’art. 24, d.lgs. 11/2010, che dispone che “se un ordine di pagamento è eseguito conformemente all’identificativo unico, esso si ritiene eseguito correttamente per quanto concerne il
Per l’analisi dei rapporti tri- o quadrilateri che contemplano (almeno) la presenza di una banca, è d’obbligo il rinvio a Sciarrone Alibrandi, L’interposizione della banca nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria, Milano, 1997; v. altresì V. Santoro, L’efficacia solutoria dei pagamenti tramite intermediari, in Il diritto del sistema dei pagamenti, a cura di Santoro-Carriero, Milano, 2005. Per l’analisi dei rapporti plurilaterali di pagamento, con particolare riferimento al problema delle operazioni non autorizzate, cfr. De Stasio, Operazione di pagamento non autorizzata e restituzioni, Milano, 2013; v. (anche per un confronto tra addebito diretto e bonifico) Barillà, L’addebito diretto, Milano, 2014, 34 ss., per la ricostruzione dei rapporti tra debitore e banca del beneficiario, con considerazioni sulla teoria degli Schutzpflichten, e Id., Dal Rid al nuovo addebito diretto Sepa, in La moneta ai tempi di Internet. Dove si tufferà zio Paperone?, in AGE, 2015, 1, p. 95 ss. 1
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beneficiario”. Tale norma era stata invocata dalla banca del beneficiario nel caso di specie per respingere ogni forma di responsabilità nell’esecuzione dell’ordine poi rivelatosi errato. L’ABF fornisce una interpretazione di portata sicuramente notevole. Esso afferma infatti che «la disposizione sopra richiamata sembra destinata a regolare i rapporti fra l’ordinante e la sua banca, sollevando quest’ultima da ogni responsabilità qualora essa esegua l’ordine in conformità all’identificativo unico fornito dal pagatore; ma nulla dice in ordine al grado di diligenza che la banca del beneficiario deve osservare nell’accreditare la somma ricevuta dalla banca dell’ordinante. In particolare, essa non può essere invocata come una esimente idonea a sollevare la banca del beneficiario da qualsivoglia onere di controllare la corrispondenza – che essa sola è in grado di verificare – tra l’IBAN e il nome del beneficiario indicato nell’ordine; con la conseguenza che laddove tali dati (…) non coincidano, essa dovrà attivarsi per segnalare la discrasia ed evitare, per quanto possibile, i danni che potrebbero derivare all’ordinante dalla esecuzione del bonifico in favore di un soggetto diverso da quello indicato nell’ordine»2. L’Arbitro conclude affermando una corresponsabilità della banca del beneficiario, ai sensi dell’art. 1227, co. 2, c.c., per i danni subiti dall’ordinante (anche) a causa del suo comportamento negligente. Poco sopra si è accennato alla teoria degli obblighi di protezione in favore del terzo. Il Collegio non ha citato espressamente detta teoria, ma essa pare emergere dal percorso argomentativo seguito. Essa prevede che, in un rapporto giuridico destinato a riverberarsi anche sulla sfera di un terzo soggetto, che potrebbe risultarne compromesso, debba gravare sui soggetti del primo rapporto un obbligo di protezione a favore appunto del terzo, per evitare che questi subisca conseguenze non volute e che egli non potrebbe altrimenti impedire. L’applicazione di tale schema non è unanime, anche se va menzionato un autorevole precedente in tema di addebito diretto – peraltro risalente – nella giurisprudenza pratica tedesca3, col quale si è stabilito che il beneficiario di un Lastschrift può
Per una recente pronuncia che afferma l’obbligo dell’istituto di credito di adottare misure idonee a garantire la sicurezza del servizio, tale per cui «la diligenza posta a carico del professionista ha natura tecnica e deve essere valutata tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento, assumendo quindi come parametro la figura dell’accorto banchiere», cfr. Trib. Firenze, 20 maggio 2014, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, p. 137 ss., con nota di Salomoni, Responsabilità dell’operatore bancario nei confronti del cliente in caso di addebito non autorizzato su conto corrente online. 3 Bgh, 28 febbraio 1977, in Njw, 1977, p. 1916, su cui v. la critica di Hadding, 2
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richiamarsi ai doveri di protezione scaturenti dalla convenzione di addebito (Lastschriftabkommen) che, come è noto, interessa i soli istituti di credito/pagamento4. La configurazione, in capo alla banca del beneficiario, di un dovere di attivarsi per segnalare una eventuale discrasia tra IBAN e nome del beneficiario indicato nell’ordine, sembra infatti corrispondere a quell’obbligo di protezione in favore del terzo cui si è poc’anzi accennato.
3. L’obbligo di diligenza della banca del beneficiario. La banca resistente, risultata soccombente nel giudizio davanti al Collegio romano dell’ABF, si è successivamente rivolta al giudice ordinario, chiedendo una pronuncia di accertamento negativo di credito ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c., mediante la quale si sarebbe dovuta dichiarare la propria assenza di responsabilità in ordine al bonifico bancario di cui al procedimento davanti all’ABF. Oltre a ciò, la banca eccepiva anche la natura non giurisdizionale della pronuncia e la sua insuscettibilità di produrre effetti giuridici tra le parti. Il giudice adito, nella fattispecie il Tribunale di Firenze, accoglieva il ricorso. Senza voler ripercorrere qui la discussa questione della natura dei
Drittschadensliquidation und “Schutzwirkungen für Dritte” im bargeldlosen Zahlungsverkehr, in Festschrift für Werner, Berlin-New York, 1984, 165, p. 169 ss.; in dottrina Schröter, Bankenhaftung in mehrgliedrigen Zahlungsverkehr, in Zhr, 1987, p. 132 ss.; Canaris, Bankvertragsrecht³, Berlin-New York, 1988, Rdn. 562, pp. 618-619; Staudinger/K. Schmidt, Kommentar zum Bgb § 244, München, 2010, Rdn. C 52. 4 Contra Bauer, Der Widerspruch des Zahlungspflichtigen im Lastschriftverfahren, in Wm, 1981, p. 1186; van Gelder, Bankrechts-Handbuch², München, 2001, Rdn., pp. 95-97 e 198; Gössmann, Die Lastschrift, in Langenbucher, Gössmann, Werner, Zahlungsverkehr. Handbuch zum Recht der Überweisung, Lastschrift, Kreditkarte und der elektronischen Zahlungsformen, München, 2004, Rdn., pp. 182, 186; Zschoche, Die dogmatische Einordnung des Lastschriftverfahrens unter besonderer Berücksichtigung der Vertrauensstrukturen, Berlin, 1981, p. 222 ss.; Langenbucher, Die Risikozuordnung im bargeldlosen Zahlungsverkehr, München, 2001, p. 227 s.; Hadding, Entwicklungslinien im Recht des Zahlungsverkehrs und Bundesgerichtshof, in Festschrift für 50 Jahre Bgh, München, 2000, Band II, p. 434 s., segnala infatti che dopo la sentenza citata nel testo, il Bgh si è decisamente discostato da quella rilevante apertura in tema di Schutzpflichten. Per una recente ricostruzione dell’istituto in chiave comparatistica, si segnala Dutta, Das Status der Haftung aus Vertrag mit Schutzwirkung für Dritte, in Iprax, 2009, p. 293 ss., e spec. p. 296, per la qualificazione che si dà dell’istituto come außervertraglich (anche dal punto di vista del Kollisionrecht).
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provvedimenti dell’ABF e, prima ancora, dello stesso Arbitro5, occorre soffermarsi sulla decisione del giudice fiorentino, che ha sconfessato quella del Collegio romano dell’ABF. Tale decisione, consistente nell’accoglimento del ricorso della banca (resistente nel procedimento avanti all’Arbitro), non è condivisibile. Il giudice pone l’accento sulla mancanza di mala fede nella condotta di specie tenuta dall’istituto di credito, per poi richiamare l’art. 24, d.lgs. 11/2010 e inferirne l’applicazione non solo al rapporto tra ordinante e proprio prestatore di servizi di pagamento, bensì anche al prestatore di servizi di pagamento del beneficiario, concludendo poi che, in base al co. 3 dell’art. 24 appena richiamato (che non distingue tra prestatore di servizi del pagatore ovvero del beneficiario), la banca del beneficiario si sarebbe comportata secondo i canoni della diligenza professionale richiesta. Anzitutto, la circostanza che la banca del beneficiario avrebbe agito senza mala fede non è idonea a liberarla dalla prova che essa abbia agito, invece, secondo i canoni della diligenza professionale richiesta, la quale, giova sottolinearlo, non è quella dell’uomo medio, bensì deve corrispondere al livello del professionista operante in quel determinato settore. In secondo luogo, l’operazione ermeneutica compiuta dal giudice monocratico, pur apprezzabile nella sua logica, pare tesa alla dimostrazione di un assunto che non coincide esattamente col dato letterale: l’interpretazione della norma di cui al co. 3 dell’art. 24, là dove cerca di estendere anche al prestatore di servizi di pagamento del beneficiario l’esenzione da responsabilità concessa al prestatore di servizi di pagamento del pagatore, diventa una interpretazione estensiva ingiustificata. Sono peraltro state fornite, nella giurisprudenza teorica più attenta allo studio delle dinamiche sottese alle operazioni di pagamento, esaustive spiegazioni che consentono di non creare spazi di responsabilità che eccedono il limite della ragionevolezza. Si è infatti correttamente affermato che la «diligenza del prestatore trova un limite in quella del cliente che deve essere altrettanto accurata»6. Si tratta dunque di operare
5 Questione che allo stato pare aver trovato un punto fermo nella natura non giurisdizionale e non arbitrale dell’organo in questione: ex multis cfr. Petrella, L’arbitrato bancario finanziario, in Disegno sistematico dell’arbitrato, a cura di Carmine Punzi, vol. III, Padova, 2012, p. 287 ss., e ampia bibliografia ivi citata; adde: Delle Monache, Arbitro bancario finanziario, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, I, p. 144 ss. 6 Santoro, I servizi di pagamento, in Ianus, 6, 2012, p. 32, che così prosegue: «Infatti,
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un bilanciamento – che nel caso di specie l’Arbitro aveva ben operato, affermando una responsabilità del 50% in capo allo stesso ordinante – tra il diritto spettante all’utilizzatore di servizi di pagamento e la responsabilità che su questi incombe per non aver fornito al proprio prestatore di servizi di pagamento i corretti strumenti per l’esercizio del servizio medesimo. Al contempo, pur restando fermo il principio che il prestatore di servizi di pagamento risponde per la “tratta” che gli compete7, non è possibile esonerare completamente il prestatore di servizi di pagamento del beneficiario di un ordine di bonifico, che risulti non aver operato secondo gli obblighi della diligenza professionale. In particolare non pare avere più molto senso la verifica degli stati soggettivi in capo al prestatore di servizi (in questo caso, del beneficiario), per concludere che verrebbe meno la sua responsabilità laddove abbia agito in assenza di mala fede8.
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il prestatore assicura il risultato a condizione che l’utilizzatore rispetti alcuni oneri a partire dall’obbligo di fornire l’“identificativo unico” esatto del proprio corrispondente, nel caso dell’uso di strumenti di pagamento (carte o strumenti similari) di custodire diligentemente la carta e i codici personali identificativi e di denunciarne immediatamente il furto, lo smarrimento e la frode». 7 L’espressione virgolettata è di V. Santoro, I servizi, cit., 34, il quale (nota 87) provvede anche a fornire una ricostruzione sistematica di questa scelta del legislatore, che secondo l’A. sarebbe da ritrovare nella norma codicistica di cui all’art. 1856 c.c. Questa ricostruzione ha trovato anche recentemente una conferma nella giurisprudenza pratica: cfr. Trib. Firenze, 20 maggio 2014, cit., che alla prima massima afferma che l’operatore bancario «nei rapporti contrattuali con il cliente, risponde secondo le regole del mandato (art. 1856 c.c.)».
Cfr. Troiano, La disciplina uniforme dei servizi di pagamento: aspetti critici e risposte ricostruttive, in Armonizzazione europea dei servizi di pagamento e attuazione della direttiva 2007/64/CE, a cura di Rispoli Farina - V. Santoro - Sciarrone Alibrandi - O. Troiano, Milano, 2009, p. 38; Id., voce Contratto di pagamento, in Enc. dir., Annali, V, Milano, 2012, p. 392 ss.; V. Santoro, I servizi, cit., 34; per il limite del caso fortuito e della forza maggiore cfr. Dellarosa, sub art. 28, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento. Commento al d. lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, a cura di Mancini, Rispoli Farina, Santoro, Sciarrone Alibrandi, Troiano, Torino, 2011, 318 ss. 8
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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni
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Nuovi interventi per il sistema bancario D.l. 24 gennaio 2015, n. 3 (convertito con modificazioni nella l. 24 marzo 2015, n. 33): Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti. (Omissis) Art. 1 Banche popolari 1. Al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 28, dopo il comma 2-bis, è aggiunto il seguente: «2-ter. Nelle banche popolari il diritto al rimborso delle azioni nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione o di esclusione del socio, è limitato secondo quanto previsto dalla Banca d’Italia, anche in deroga a norme di legge, laddove ciò è necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca. Agli stessi fini, la Banca d’Italia può limitare il diritto al rimborso degli altri strumenti di capitale emessi.»; b) all’articolo 29: 1) dopo il comma 2, sono inseriti i seguenti: «2-bis. L’attivo della banca popolare non può superare 8 miliardi di euro. Se la banca è capogruppo di un gruppo bancario, il limite è determinato a livello consolidato. 2-ter. In caso di superamento del limite di cui al comma 2-bis, l’organo di amministrazione convoca l’assemblea per le determinazioni del caso. Se entro un anno dal superamento del limite l’attivo non è stato ridotto al di sotto della soglia né è stata deliberata la trasformazione in società per azioni ai sensi dell’articolo 31 o la liquidazione, la Banca d’Italia, tenuto conto delle circostanze e dell’entità del superamento, può adottare il divieto di intraprendere nuove operazioni ai sensi dell’articolo 78, o i provvedimenti previsti nel Titolo IV, Capo I, Sezione I, o proporre alla Banca centrale europea la revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria e al Ministro dell’economia e delle finanze la liquidazione coatta amministrativa. Restano fermi i poteri di intervento e sanzionatori attribuiti alla Banca d’Italia dal presente decreto legislativo. 2-quater. La Banca d’Italia detta disposizioni di attuazione del presente articolo.»; 2) il comma 3 è abrogato;
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Legislazione
c) l’articolo 31 è sostituito dal seguente: «Articolo 31 (Trasformazioni e fusioni). - 1. Le trasformazioni di banche popolari in società per azioni o le fusioni a cui prendano parte banche popolari e da cui risultino società per azioni, le relative modifiche statutarie nonché le diverse determinazioni di cui all’articolo 29, comma 2-ter, sono deliberate: a) in prima convocazione, con la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, purché all’assemblea sia rappresentato almeno un decimo dei soci della banca; b) in seconda convocazione, con la maggioranza di due terzi dei voti espressi, qualunque sia il numero dei soci intervenuti all’assemblea. 2. In caso di recesso resta fermo quanto previsto dall’articolo 28, comma 2-ter. 3. Si applicano gli articoli 56 e 57.»; d) all’articolo 150-bis: 1) al comma 1, le parole: «banche popolari e alle» sono soppresse; 2) il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. Alle banche popolari non si applicano le seguenti disposizioni del codice civile: 2349, secondo comma, 2512, 2513, 2514, 2519, secondo comma, 2522, 2525, primo, secondo, terzo e quarto comma, 2527, secondo e terzo comma, 2528, terzo e quarto comma, 2530, primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma, 2538, secondo comma, secondo periodo, e quarto comma, 2540, secondo comma, 2542, secondo e quarto comma, 2543, primo e secondo comma, 2545bis, 2545-quater, 2545-quinquies, 2545-octies, 2545-decies, 2545-undecies, terzo comma, 2545-terdecies, 2545-quinquiesdecies, 2545-sexiesdecies, 2545-septiesdecies e 2545-octiesdecies.»; 3) il comma 2-bis è sostituito dal seguente: «2-bis. In deroga a quanto previsto dall’articolo 2539, primo comma, del codice civile, gli statuti delle banche popolari determinano il numero massimo di deleghe che possono essere conferite ad un socio; in ogni caso, questo numero non è inferiore a 10 e non è superiore a 20.»; 2. In sede di prima applicazione del presente decreto, le banche popolari autorizzate al momento dell’entrata in vigore del presente decreto si adeguano a quanto stabilito ai sensi dell’articolo 29, commi 2-bis e 2-ter, del decreto legislativo 1º settembre 1993, n.385, introdotti dal presente articolo, entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di attuazione emanate dalla Banca d’Italia ai sensi del medesimo articolo 29. 2-bis. Gli statuti delle società per azioni risultanti dalla trasformazione delle banche popolari di cui al comma 2 o da una fusione cui partecipino una o più banche popolari di cui al medesimo comma 2 possono prevedere che fino al termine indicato nello statuto, in ogni caso non successivo a ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nessun soggetto avente diritto al voto può esercitarlo, ad alcun titolo, per un quantitativo di azioni superiore al 5 per cento del capitale sociale avente diritto al voto, salva la facoltà di prevedere limiti più elevati. A tal fine, si considerano i voti espressi in relazione ad azioni possedute direttamente e indirettamente, tramite società controllate, società fiduciarie o interposta persona e quelli espressi
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in ogni altro caso in cui il diritto di voto sia attribuito, a qualsiasi titolo, a soggetto diverso dal titolare delle azioni; le partecipazioni detenute da organismi di investimento collettivo del risparmio, italiani o esteri, non sono mai computate ai fini del limite. Il controllo ricorre nei casi previsti dall’articolo 23 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni. In caso di violazione delle disposizioni del presente comma, la deliberazione assembleare eventualmente assunta è impugnabile ai sensi dell’articolo 2377 del codice civile, se la maggioranza richiesta non sarebbe stata raggiunta senza tale violazione. Le azioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto non sono computate ai fini della regolare costituzione dell’assemblea. (Omissis)
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Commento al d.l. n. 3/2015. Parte prima: La riforma delle banche popolari Con la giustificazione dell’urgenza, della quale il legislatore ha fatto negli ultimi anni una regola e non già, come dovrebbe essere, un’eccezione, il d.l. 24 gennaio 2015, n. 3, convertito con nella l. 24 marzo 2015, n. 35 (in G.U n. 70 del 25 marzo 2015, suppl. ord. n. 15) ha introdotto importanti modifiche al nostro ordinamento giuridico. Fra queste quella che senza dubbio merita particolare attenzione e che ha già riempito pagine di riviste specializzate ed è stata oggetto di numerosi convegni ed incontri di studio è la riforma delle banche popolari. Accanto a questa importantissima riforma, alla quale sarà dedicata la prima parte del commento all’intero d.l. n. 3/2015, il legislatore ha introdotto anche importanti novità circa la disciplina: della SACE (art. 3), della tassazione dei redditi derivanti dai beni immateriali (art. 5), della società di servizio per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese (art. 7); è stata altresì introdotta ex novo una disciplina specifica: 1) per il trasferimento dei servizi di pagamento connessi al rapporto di conto di pagamento (art. 2) e 2) per le piccole e medie imprese innovative (art. 4) sulla falsariga di quanto già previsto per le start-up innovative. A dispetto del titolo attribuito al d.l. n. 3/2015, nessuna delle modifiche introdotte si caratterizza per l’urgenza. Come già premesso, il commento che segue ha ad oggetto la riforma delle banche popolari come delineata dal d.l. n. 3/2015 e dai provvedimenti amministrativi della Banca d’Italia. Per taluni riferimenti alla disciplina previgente in materia di banche popolari e per un primo commento alla riforma si rinvia a Mazzini, La riforma delle banche popolari, in questa Rivista, 2015, II, p. 39 ss. A) La riforma banche popolari.
L’art. 1 del d.l. n. 3/2015, soggetto a modifiche in sede di conversione del decreto, introduce importanti novità alla disciplina dettata dal d.lgs. 30 settembre 1993, n. 383 (d’ora in avanti t.u.b.) in materia di banche popolari. Si prevedono, in sintesi: a) un limite dimensionale per l’adozione della forma di banca popolare; b) modifiche alla corporate governance delle banche popolari con l’allentamento dei vincoli sulla nomina degli organi di governo societario e con l’attribuzione di maggiori poteri agli organi assembleari; c) regole per le trasformazioni e le fusioni applicabili alle banche
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popolari sopra soglia con una particolare disciplina del diritto di rimborso delle azioni nel caso di recesso o di esclusione del socio; d) modifiche alla disciplina di raccordo fra t.u.b. e codice civile e nuove regole per le modifiche statutarie che coinvolgono tutte le banche popolari. A tal fine sono stati modificati notevolmente gli artt. 28, 29, 31 e 150bis del t.u.b. a.1.) Il limite all’attivo delle banche popolari. Il co. 1, lett. b), n. 1) del d.l. n. 3/2015 modifica l’art. 29 del t.u.b., nel senso che se la banca popolare intende rimanere in tale categoria di banche cooperative il suo attivo non può superare gli 8 miliardi di euro; in caso di banca capogruppo di un gruppo bancario, il limite è determinato a livello consolidato (art. 29, co. 2-bis, del t.u.b.). In caso di superamento di detto limite, l’organo di amministrazione convoca l’assemblea. Se entro un anno l’attivo non viene ridotto al di sotto della soglia o non viene deliberata la trasformazione in società per azioni o la liquidazione, la Banca d’Italia può: 1) adottare il divieto di intraprendere nuove operazioni ai sensi dell’art. 78 del t.u.b.; 2) adottare i provvedimenti in materia di amministrazione straordinaria previsti nel titolo IV, capo I, sezione I, del t.u.b.: in particolare, il Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta della Banca d’Italia, può disporre con decreto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo delle banche quando risultino gravi irregolarità nell’amministrazione, ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l’attività della banca; siano previste gravi perdite del patrimonio; lo scioglimento sia richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi ovvero dall’assemblea straordinaria; e 3) proporre alla Banca centrale europea la revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria e al Ministro dell’economia e delle finanze la liquidazione coatta amministrativa. Restano comunque fermi i poteri di intervento e sanzionatori attribuiti alla Banca d’Italia (art. 29, co. 2-ter del t.u.b.). Ai sensi del nuovo comma 2-quater dell’art. 29 del t.u.b., è di competenza della Banca d’Italia l’emanazione di disposizioni di attuazione del novellato art. 29 del t.u.b.. La Banca d’Italia ha esercitato tale potere modificando la Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013 nel Capitolo 4 della Parte III quello, dedicato, appunto, alle banche in forma cooperativa dettando norme riguardanti i criteri e le modalità di determinazione del valore dell’attivo ed i limiti al rimborso di strumenti di capitale (v. il 9° aggiornamento Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013 Parte Terza, Capitolo 4 – Banche in forma cooperativa, rispettivamente la Sez. II e la Sez. III). Tralasciando per ora la materia dei limiti al rimborso degli strumenti
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di capitale di cui si parlerà in seguito, per ciò che concerne i criteri e le modalità di determinazione del valore dell’attivo, secondo quanto previsto dalla Banca d’Italia: a) l’attivo individuale è il valore totale dell’attivo, determinato sulla base delle segnalazioni di vigilanza individuali di fine anno; b) l’attivo consolidato è il valore totale dell’attivo, determinato sulla base delle segnalazioni di vigilanza consolidate di fine anno; a tal fine, rileva il perimetro di consolidamento applicato a fini prudenziali. Nei casi eccezionali in cui non sia possibile determinare il valore dell’attivo sulla base dell’informativa di vigilanza, esso è determinato sulla base dell’ultimo bilancio annuale e dell’ultimo bilancio consolidato, su cui il revisore contabile abbia espresso un giudizio senza rilievi. L’organo con funzione di gestione della banca o della capogruppo provvede alla verifica del valore dell’attivo, non appena è disponibile il dato. Qualora sia riscontrato il superamento della soglia, l’organo con funzione di gestione informa immediatamente l’organo con funzione di supervisione strategica e l’organo con funzione di controllo e ne dà comunicazione, senza indugio, alla Banca d’Italia. Resta fermo quanto previsto dall’art. 29, co. 2-ter, del t.u.b. in caso di superamento del limite di attivo e di cui abbiamo già detto ma la Banca d’Italia specifica che nelle banche e capogruppo che hanno adottato il sistema dualistico, la convocazione dell’assemblea, prevista dalla norma citata, è effettuata dal consiglio di gestione. Nell’ultimo Bollettino di Vigilanza, il n. 6 del giugno 2015, la Banca d’Italia ha disposto che in sede di prima applicazione delle disposizioni contenute nel Cap. 4, la prima verifica del valore dell’attivo dovrà essere effettuata, in deroga a quanto previsto in via ordinaria dalla Sez. II del nuovo Capitolo, dall’organo con funzione di supervisione strategica, anziché, come abbiamo visto sopra, dall’organo con funzione di gestione, entro 15 giorni dall’entrata in vigore del presente aggiornamento, facendo riferimento alle segnalazioni di vigilanza al 31 dicembre 2014, individuali o consolidate a seconda dei casi. L’organo con funzione di supervisione strategica, entro 90 giorni dalla constatazione del superamento della soglia di 8 miliardi di euro, dovrà assumere e formalizzare in un apposito piano, approvato dal medesimo organo su proposta dell’organo con funzione di gestione e sentito l’organo con funzione di controllo, le iniziative necessarie – ivi compresa, ai sensi dell’art. 29, co. 2-ter, del t.u.b., la convocazione dell’assemblea – affinché siano adottate dagli organi competenti le conseguenti deliberazioni (riduzione dell’attivo sotto la soglia, trasformazione in s.p.a., liquidazione volontaria). Il piano individua le iniziative che si intendono
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assumere o proporre agli organi competenti e la tempistica prevista per la loro attuazione, nel rispetto dei termini di legge; il superamento della soglia e il piano sono immediatamente comunicati alla Banca d’Italia. Le misure deliberate dovranno essere attuate e perfezionate entro 18 mesi dall’entrata in vigore dell’aggiornamento alla Circolare n. 285, cit.. Nel caso in cui le misure contemplate nel piano e deliberate dagli organi aziendali siano volte ad assicurare il rispetto della legge mediante la riduzione dell’attivo della banca popolare sotto la soglia di 8 miliardi di euro, l’organo con funzione di supervisione strategica dovrà effettuare una verifica finale volta ad accertare che l’attivo sia stato effettivamente ricondotto sotto la soglia. La verifica dovrà essere effettuata applicando la definizione di attivo e i criteri di calcolo come sopra specificati. La data di riferimento della verifica dovrà essere quella di scadenza del periodo transitorio oppure la data prevista dal piano per la completa attuazione delle misure di riduzione dell’attivo, se anteriore alla scadenza del periodo transitorio. Nell’ipotesi in cui la data di riferimento non coincida con una data di reporting segnaletico di vigilanza, l’organo con funzione di supervisione strategica della banca o capogruppo potrà, alternativamente: a) ricostruire il valore dell’attivo alla stessa data mediante un calcolo ad hoc, effettuato con i medesimi criteri usati per la segnalazione di vigilanza, sotto la propria responsabilità e con la verifica di un revisore esterno; b) dimostrare che la soglia era rispettata alla data della più recente segnalazione di vigilanza precedente la scadenza del periodo transitorio o la data anteriore prevista dal piano, attestando che non sono intervenute variazioni rilevanti. L’esito della verifica finale è comunicato alla Banca d’Italia entro un mese dal compimento della verifica stessa. In ogni caso, la Banca d’Italia potrà usare i poteri a propria disposizione per verificare l’effettivo rispetto della soglia a ogni data rilevante, anche attraverso apposite richieste di dati e informazioni o accessi ispettivi. Alcune brevissime osservazioni sul limite degli 8 miliardi di attivo patrimoniale necessario per poter rimanere nell’alveo delle banche popolari in quanto la sua individuazione ha fatto subito emergere numerosi dubbi interpretativi che qui ci limitiamo a riferire. In primo luogo ci si è chiesti quale fosse stato il criterio seguito dal legislatore nel fissare il limite a quella determinata cifra. A tale interrogativo non si può rispondere se non affermando che il tetto degli 8 miliardi è stato fissato dopo una verifica degli attivi patrimoniali di tutte le banche popolari e soltanto dopo tale verifica si è giunti alla conclusione
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che esiste uno scostamento fra talune banche popolari sopra soglia, per la maggior parte quotate, e tutte le altre. In secondo luogo, altra questione è quella di verificare da dove discende la necessità che le banche popolari con un attivo patrimoniale come sopra indicato debbano abbandonare la veste di cooperativa per rivestire quella di società per azioni. Si è detto in proposito che “per una banca popolare quotata, a proprietà diffusa e scala operativa non più solo locale, la rigida applicazione di alcuni tratti del modello cooperativo può affievolire gli incentivi al controllo della base sociale, rendere il management autoreferenziale, causare ingerenze nelle scelte aziendali da parte di minoranze organizzate, ostacolare l’ingresso di nuovo capitale. I limiti stringenti al possesso azionario, il voto capitario e i vincoli alla rappresentanza in assemblea sono stati considerati fattori limitanti l’operare dei meccanismi di governance tipici delle società quotate: dalla concorrenza sul mercato dei capitali all’efficace supervisione del board sul management, al ruolo dell’assemblea attraverso la presenza – anche per delega – di investitori qualificati”. Ma anche tale osservazione può essere confutata se consideriamo che, nel tempo, notevoli sono state le modifiche che in qualche modo hanno inciso, favorendone l’elasticità, la governance delle banche popolari. Si pensi, ad esempio, all’art. 23-quater, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (Decreto “Crescita”) che ha modificato numerose disposizioni concernenti la governance e la struttura delle banche popolari e delle società cooperative quotate, al fine di affidare all’autonomia statutaria la determinazione delle quote di capitale rilevanti, per l’esercizio di specifici diritti azionari (relativi all’ordine del giorno in assemblea e all’elezione con voto di lista del CdA). Sembra che in questo intervento normativo il legislatore abbia operato per presunzione e cioè che la banca popolare il cui attivo superi la soglia degli 8 miliardi sia inidonea a svolgere l’attività bancaria con la veste di cooperativa, seppure con tutte le differenze che la contraddistinguono dalle banche di credito cooperativo e che sono notevolmente aumentate a seguito della riforma del diritto societario del 2003. Si deve, infine e non per ultimo, considerare che il limite degli 8 miliardi ha un effetto immediato per le banche popolari sopra soglia ma produce i suoi effetti anche per le banche che sono al di sotto di essa (Costi), le quali devono comunque costantemente monitorare la loro attività in modo da non superare detto limite qualora vogliano continuare a svolgere la loro attività nella forma originaria invece di essere obbligate a mettere in atto una delle operazioni previste dal nuovo art. 29 del t.u.b.
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a.2.) Modifiche alla governance delle banche popolari. L’art.1, co. 1, lett. b), n. 2) del d.l. n. 3/2015 abroga il comma 3 dell’art. 29 del t.u.b. ed, in tal guisa, la scelta dei membri degli organi di amministrazione e controllo viene sottratta alla potestà esclusiva dei competenti organi sociali. Si consente quindi alle banche popolari la possibilità di riservare specifici diritti patrimoniali e amministrativi ai soci in possesso di strumenti finanziari, con particolare riferimento all’esercizio di un numero di voti in assemblea maggiore rispetto a quello previsto per gli altri soci, fino ad un massimo di un terzo dei voti esercitabili in assemblea, e al diritto di nominare fino ad un terzo dei componenti dell’organo di amministrazione e dell’organo di controllo. Ascrivibile sempre alla tematica della governance delle banche popolari è la modifica dell’art. 150-bis, co. 2-bis del t.u.b. realizzata dall’art. 1, co. 1, lett. d), n. 3 del d.l. n. 3/2015 (per le ulteriori modifiche apportate all’art. 150-bis del t.u.b. v. più ampiamente infra). Per effetto di tale modifica viene innalzato da 10 a 20 il numero massimo di deleghe che possono essere conferite ad un socio; in ogni caso, tale numero – la cui determinazione resta dagli statuti delle banche popolari - non può essere inferiore a 10. La disposizione in commento costituisce una deroga all’art. 2539, co. 1, c.c. che per le cooperative disciplinate dalle norme sulla società per azioni fissa il limite massimo delle deleghe a 10 (Santoro). Restando in tema di esercizio del diritto di voto, particolare interesse merita il co. 2-bis dell’art. 1 del d.l. n. 3/2015 introdotto in sede di conversione dalla l. n. 35/2015 che introduce una disciplina transitoria relativa all’esercizio del diritto di voto per le banche popolari trasformate. In primis, si prevede che gli statuti delle società per azioni risultanti dalla trasformazione delle banche popolari o da una fusione cui partecipino una o più banche popolari possono prevedere che fino al termine indicato nello statuto, in ogni caso non successivo a ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 3/2015, nessun soggetto avente diritto al voto può esercitarlo, ad alcun titolo, per un quantitativo di azioni superiore al 5 per cento del capitale sociale avente diritto al voto, salva la facoltà di prevedere limiti più elevati. La clausola statutaria in questione, essendo meramente facoltativa, rientra nella competenza dell’assemblea straordinaria. In secondo luogo, nel calcolo della suddetta percentuale si devono considerare i voti espressi in relazione ad azioni possedute direttamente e indirettamente, tramite società controllate, società fiduciarie o interposta persona e quelli espressi in ogni altro caso in cui il diritto di voto sia attribuito, a qualsiasi titolo, a soggetto diverso dal titolare delle azioni;
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al contrario, le partecipazioni detenute da organismi di investimento collettivo del risparmio, italiani o esteri, non sono mai computate ai fini del limite. Per quanto concerne la definizione di controllo, esso ricorre nei casi previsti dall’art. 23 del t.u.b. ed in caso di violazione delle disposizioni del presente comma, la deliberazione assembleare eventualmente assunta è impugnabile ai sensi dell’art. 2377 c.c., se la maggioranza richiesta non sarebbe stata raggiunta senza tale violazione. Molte sono le questioni legate alla norma e che sono state già messe in evidenza dalla dottrina e tra queste senz’altro merita ricordare quella connessa al rapporto fra il tetto di voto “speciale”, inserito da detta norma, e la disciplina generale disposta dall’art. 2351 c.c. In particolare ci si è chiesti se la norma speciale deroghi al diritto societario in generale ed in particolare se voglia impedire alle ex popolari di adottare i tetti di volto previsti dalla norma codicistica. Al quesito non può che essere data risposta positiva non fosse altro perché non è possibile escludere l’applicabilità per le sole banche spa risultanti dalla trasformazione “coatta” di una facoltà statutaria riconosciuta dal novellato art. 2351, co. 3,c c. a tutte le società per azioni (Lamandini). a.3.) Le operazioni di trasformazione e di fusione. Per favorire il passaggio dalla veste cooperativa a quella della società per azioni l’art. 1, co. 1, lett. c) del d.l. n. 3/2015, riscrive l’art. 31 del t.u.b. in materia di trasformazioni in società per azioni e fusioni. Viene, in tal guisa, eliminata la previsione del previgente co. 1 dell’articolo citato, secondo cui le trasformazioni o fusioni potevano essere autorizzate dalla Banca d’Italia in tre soli casi: nell’interesse dei creditori, per esigenze di rafforzamento patrimoniale ovvero a fini di razionalizzazione del sistema. Le nuova formulazione dell’art. 31, cit., mira ad introdurre una disciplina uniforme per tutte le banche popolari, sottraendo agli statuti la determinazione delle maggioranze previste per vicende societarie straordinarie (Troiano). Infatti, il nuovo co. 1 dell’art. 31 prevede quorum costitutivi e deliberativi specifici che consentono di deliberare le trasformazioni di banche popolari in società per azioni, o le fusioni a cui prendano parte banche popolari e da cui risultino società per azioni: a) in prima convocazione con la maggioranza di due terzi dei voti espressi purché all’assemblea sia rappresentato almeno un decimo dei soci e b) in seconda convocazione, sempre con la maggioranza dei due terzi dei voti espressi ma senza la previsione di alcun quorum costitutivo.
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Ai sensi del nuovo co. 2 dell’art. 31 del t.u.b., è confermato il diritto di recesso, ma si applica la disciplina introdotta dal nuovo co. 2-ter dell’art. 28 del t.u.b. che attribuisce, così come emerge dal testo coordinato fra il d.l. n. 3/2015 e la l. n. 35/2015, alla Banca d’Italia il potere di limitare il diritto al rimborso delle azioni nel caso di recesso, a seguito di trasformazione o di esclusione del socio, anche in deroga a norme di legge, laddove ciò sia necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca. Agli stessi fini, la Banca d’Italia può limitare il diritto al rimborso degli altri strumenti di capitale emessi. Con specifico riferimento ai limiti al rimborso di strumenti di capitale la Banca d’Italia ha previsto che lo statuto della banca popolare e della banca di credito cooperativo attribuisce all’organo con funzione di supervisione strategica, su proposta dell’organo con funzione di gestione, sentito l’organo con funzione di controllo, la facoltà di limitare o rinviare, in tutto o in parte e senza limiti di tempo, il rimborso delle azioni e degli altri strumenti di capitale del socio uscente per recesso (anche in caso di trasformazione), esclusione o morte, secondo quanto previsto dalla disciplina prudenziale applicabile. L’organo con funzione di supervisione strategica assume le proprie determinazioni sull’estensione del rinvio e sulla misura della limitazione del rimborso delle azioni e degli altri strumenti di capitale tenendo conto della situazione prudenziale della banca. In particolare, ai fini della decisione l’organo valuta: a) la complessiva situazione finanziaria, di liquidità e di solvibilità della banca o del gruppo bancario; b) l’importo del capitale primario di classe 1, del capitale di classe 1 e del capitale totale in rapporto ai requisiti previsti dall’art. 92 del regolamento (UE) n. 575/2013 del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento (più noto con l’acronimo “CRR”), ai requisiti specifici di fondi propri di cui alla Parte Prima, Titolo III, Capitolo 1, Sezione 3, Paragrafo 5 e al requisito combinato di riserva di capitale ai sensi della Parte Prima, Titolo II, Capitolo 1 delle Disposizioni di Vigilanza della Banca d’Italia. Si prevede che resta ferma l’autorizzazione dell’autorità competente per la riduzione dei fondi propri della banca, secondo quanto previsto dall’art. 77 CRR e dal regolamento delegato n. 241/2014. Ai sensi dell’art. 78, par. 3, CRR, quando il rimborso delle azioni e degli altri strumenti di capitale è limitato in conformità del presente paragrafo, l’autorizzazione può essere concessa anche se le azioni e gli strumenti rimborsati non sono sostituiti con strumenti di fondi propri di qualità uguale o supe-
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riore. Resta fermo quanto previsto dall’art. 78, par. 1, lett. b), CRR (v. 9° aggiornamento alla Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013 Parte Terza, – Altre disposizioni di Vigilanza prudenziale – Cap. 4 – Banche in forma cooperativa, Sez. III). Alcune brevi osservazioni. Come si legge nei lavori preparatori alla riforma delle banche popolari, la revisione dell’art. 28 del t.u.b. si inserisce nel quadro delle misure che hanno introdotto il principio del cosiddetto bail-in, in base al quale, in caso di crisi della banca, la stabilità della stessa debba essere in primo luogo salvaguardata ricorrendo alle risorse patrimoniali della banca stessa, nonché a carico dei suoi soci. In merito alla scelta anticipatoria di applicazione delle regole sul bail-in, è stato correttamente notato (Romano) che essa “appare del tutto disancorata da quei criteri di proporzionalità e da quel principio di ricorrenza di un significativo ed attuale interesse pubblico capaci di giustificare la penetrante intrusività delle azioni di intervento delineate dalla recente normativa” contenuta nella Direttiva 2014/59/UE del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento (più nota con l’acronimo “BRRD”) e nel regolamento (UE) n. 806/2014 del 15 luglio 2014, che fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo di risoluzione unico e del Fondo di risoluzione unico (più noto con l’acronimo “SRM”). Si deve, inoltre, osservare che qualche mese dopo l’emanazione della riforma delle banche popolari, in occasione del recepimento nel nostro ordinamento della direttiva 2013/36/UE (più nota come direttiva CRDIV), l’art. 1, co. 15, d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72 ha rimesso mano all’art. 28, co. 2-ter, cit., con due interventi: a) ha esteso la norma anche alle banche di credito cooperativo e b) ha reintrodotto l’ipotesi di morte del socio che era stata eliminata in sede di conversione del d.l. n. 3/2015. Per terminare l’analisi delle modifiche operate all’art. 31 del t.u.b., ai sensi del nuovo co. 3 di tale norma, trovano applicazione per le operazioni in parola nella loro interezza, e non già come era prima della riforma solo in parte, gli artt. 56 e 57 del t.u.b. e, pertanto, non si può dare corso al procedimento per l’iscrizione nel registro delle imprese, se la Banca d’Italia non ha accertato che le modificazioni degli statuti delle banche non contrastino con una sana e prudente gestione (art. 56, co. 2, del t.u.b.), né si può dare corso all’iscrizione nel medesimo registro del progetto di fusione o di scissione e della deliberazione assembleare che abbia apportato modifiche al relativo progetto se non vi sia l’autorizzazione della Banca centrale. I privilegi e le garanzie esistenti conservano
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la loro validità e il loro grado, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione (art. 57, del t.u.b.). a.4.) Applicazione della disciplina civilistica alle banche popolari e regole per le modifiche statutarie. L’art. 1, co. 1, lett. d) del decreto in commento interviene, infine, sull’attuale assetto normativo delle banche cooperative, prevedendo una importante modifica dell’art. 150-bis del t.u.b. con lo specifico obiettivo di differenziare la disciplina codicistica relativa alla cooperazione applicabile alle banche popolari da quella applicabile alle banche di credito cooperativo. Prima di analizzare detta modifica occorre ricordare che a seguito della riforma della disciplina delle società di capitali e società cooperative operata dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, e soprattutto dal d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310 il legislatore, attraverso l’introduzione nel t.u.b. dell’art. 150-bis ha specificato le disposizioni del codice civile che non trovano applicazione per le due diverse categorie di banche cooperative. All’art. 150-bis del t.u.b., infatti, la riforma del 2004 aveva attribuito il compito di raccordo fra il diritto societario, con particolare riferimento al diritto cooperativo, e la legislazione bancaria e si può affermare, con specifico riferimento alle banche popolari che l’art. 150-bis cit. segnava il loro definitivo distacco, del resto già chiaro nella precedente versione dell’art. 223-terdecies att. trans., dalla mutualità cooperativa come definita dal nuovo diritto della cooperazione. Infatti, ai sensi dell’art. 150-bis, co. 2 del t.u.b. non trovavano (e non trovano tuttora) applicazione per le popolari tutte le norme del codice civile che disegnano i nuovi contorni della mutualità prevalente, la condizione di prevalenza ed i criteri per la sua definizione (artt. 2512 e 2513 c.c.), le clausole di antilucratività (art. 2514) in modo che non fosse possibile distinguerle fra banche popolari a mutualità prevalente e banche popolari a mutualità non prevalente. Ovviamente non trovavano (e non trovano tuttora) applicazione per le popolari anche tutte le disposizioni che derivano dalle precedenti, ossia l’art. 2545-octies c.c., ed anche gli artt. 2545-decies e 2545-undecies c.c. Venendo alla modifica in commento, si deve subito notare che attraverso l’art. 1, co. 1, lett. d), n. 1 del d.l. n. 3/2015 il legislatore modifica l’art. 150-bis, co. 1 del t.u.b. al fine di eliminare il riferimento presente alle banche popolari ed in tal guisa, come abbiamo già anticipato, di creare due diversi regimi indipendenti: uno applicabile alle banche di credito cooperativo (art. 150-bis, co. 1 del t.u.b. di recentissima modifica ad opera dell’art. 1, co. 6, d.lgs. 14 febbraio 2016, n. 18) e l’altro per le banche popolari (art. 150-bis, co. 2, del t.u.b. come modificato dal decreto che qui si commenta).
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Per quanto riguarda il secondo regime, l’art. 150-bis, co. 2 del t.u.b. recita: «Alle banche popolari non si applicano le seguenti disposizioni del codice civile: 2349, secondo comma, 2512, 2513, 2514, 2519, secondo comma, 2522, 2525, primo, secondo, terzo e quarto comma, 2527, secondo e terzo comma, 2528, terzo e quarto comma, 2530, primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma, 2538, secondo comma, secondo periodo, e quarto comma, 2540, secondo comma, 2542, secondo e quarto comma, 2543, primo e secondo comma, 2545-bis, 2545-quater, 2545-quinquies, 2545-octies, 2545-decies, 2545-undecies, terzo comma, 2545-terdecies, 2545-quinquiesdecies, 2545-sexiesdecies, 2545-septiesdecies e 2545-octiesdecies». Pertanto, a seguito di tale modifica sono applicabili alle banche popolari, poiché sono state eliminati dalle “non applicabili”, le seguenti norme del codice civile: a) l’art. 2346, co. 6, c.c. in modo che le banche popolari abbiano la possibilità di emettere strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti; b) l’art. 2526, c.c. in materia di soci finanziatori e altri sottoscrittori di titoli di debito, che demanda all’atto costitutivo la possibilità di emettere strumenti finanziari, secondo la disciplina prevista per le società per azioni e di stabilirne i diritti patrimoniali o amministrativi e le eventuali condizioni cui è sottoposto il loro trasferimento; c) l’art. 2538, co. 3, c.c. in materia di deroghe al voto capitario, che consente all’atto costitutivo di attribuire ai soci cooperatori persone giuridiche più voti, ma non oltre cinque, in relazione all’ammontare della quota oppure al numero dei loro membri; d) l’art. 2541, c.c. che disciplina le assemblee speciali dei possessori degli strumenti finanziari privi del diritto di voto nell’assemblea generale; e) l’art. 2542, co. 1, c.c. che attribuisce la nomina degli amministratori all’assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori che sono nominati nell’atto costitutivo; f) l’art. 2543, co. 3, c.c., (in quanto ora si specifica l’inapplicabilità solo del primo e del secondo comma mentre prima si disapplicava interamente) che consente ai possessori degli strumenti finanziari dotati di diritti di amministrazione di eleggere, se lo statuto lo prevede, fino ad un terzo dei componenti dell’organo di controllo; g) l’art. 2544, co. 2, primo periodo e co. 3, c.c. che in caso di sistema dualistico, limita ad un terzo del consiglio di sorveglianza e del consiglio di gestione il numero dei componenti che possono essere eletti dai possessori di strumenti finanziari e, in caso di sistema monistico, stabi-
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lisce che agli amministratori eletti dai possessori di strumenti finanziari, in misura comunque non superiore ad un terzo, non possono essere attribuite deleghe operative né gli stessi possono fare parte del comitato esecutivo. Abbiamo accennato in precedenza che la riforma in parola riguarda principalmente le banche sopra soglia ma produce i suoi effetti anche per tutte le altre banche rientranti in tale categoria e ciò è vero soprattutto con riferimento specifico alle modifiche statutarie. A tale materia è dedicato ampio spazio dalla Banca d’Italia nel Bollettino di Vigilanza, n. 6 del giugno 2015 nel quale si premette, correttamente, che la riforma, oltre a limitare il modello di banca popolare a intermediari non aventi attivo superiore a 8 miliardi di euro, modifica taluni aspetti della disciplina applicabile alle banche popolari che rimangono tali. Infatti, con i dovuti distinguo, le innovazioni normative si applicano sia a quegli intermediari che possono stabilmente permanere nel modello di banca popolare, in quanto hanno attivo inferiore a detta soglia, sia a quelli che, avendo attivo superiore, possono temporaneamente continuare a operare come banche popolari durante il periodo transitorio previsto dalla legge. Alcune di tali previsioni richiedono, per essere attuate, modificazioni dello statuto della banca popolare, soggette all’accertamento della Banca d’Italia per i profili di sana e prudente gestione, ai sensi dell’art. 56 del t.u.b. A tal proposito la Banca d’Italia ha fornito talune indicazioni al fine di agevolare il processo di adeguamento delle banche interessate ed ha classificato le modifiche statutarie connesse alla riforma in tre distinte tipologie. 1) La prima riguarda le modifiche statutarie di mero adeguamento a disposizioni normative: si tratta delle modifiche necessarie per adeguare lo statuto a norme inderogabili (anche di rango secondario) senza che gli organi sociali dispongano di sostanziali margini di discrezionalità circa il contenuto dell’adeguamento; tali modifiche possono sostanziarsi nell’introduzione di nuove clausole statutarie necessarie secondo le previsioni normative e nell’eliminazione di quelle contrastanti con norme imperative. Sono ascrivibili a tale categoria le modifiche statutarie finalizzate ad: 1.a.) introdurre in statuto la clausola che attribuisce all’organo con funzione di supervisione strategica, su proposta dell’organo con funzione di gestione, sentito l’organo con funzione di controllo, la facoltà di limitare o rinviare, in tutto o in parte e senza limiti di tempo, il rimborso delle azioni del socio uscente e degli altri strumenti di capitale computa-
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bili nel capitale di qualità primaria (Cet1), anche in deroga a disposizioni del codice civile e ad altre norme di legge e ferme restando le autorizzazioni dell’autorità di vigilanza al rimborso degli strumenti di capitale, ove previste. La clausola deve, inoltre, specificare che le determinazioni sull’estensione del rinvio e sulla misura della limitazione del rimborso delle azioni e degli altri strumenti di capitale sono assunte dall’organo con funzione di supervisione strategica tenendo conto della situazione prudenziale della banca, in conformità delle disposizioni della Banca d’Italia (cfr. art. 28, co. 2-ter del t.u.b. e Circolare n. 285, Parte Terza, Cap. 4, Sez. III); 1.b.) eliminare, laddove presente, la clausola statutaria che prescrive che la maggioranza degli amministratori è scelta tra i soci cooperatori o tra le persone indicate dai soci cooperatori persone giuridiche (cfr. art. 2542, co. 2, c.c., disapplicato nei confronti delle banche popolari dal nuovo testo dell’art. 150-bis, co. 2 del t.u.b.). Le modifiche statutarie rientranti in questa categoria sono deliberate dall’organo amministrativo (oppure, nelle banche che adottano il modello dualistico, dal consiglio di sorveglianza o dal consiglio di gestione) se tale competenza è a esso attribuita dallo statuto in conformità dell’art. 2365, co. 2, c.c.. 2) Nella seconda categoria rientrano le modifiche statutarie obbligatorie ma non aventi carattere di mero adeguamento a disposizioni normative: si tratta di quelle modifiche dovute per assicurare la conformità dello statuto alle nuove previsioni normative, il cui contenuto presenti però margini di discrezionalità rimessi agli organi aziendali competenti Rientra in tale categoria la modifica statutaria che fissa il numero massimo di deleghe che possono essere conferite a un socio; l’assemblea determina tale numero in una misura in ogni caso non inferiore a 10 e non superiore a 20 (cfr. nuovo co. 2-bis dell’art. 150-bis del t.u.b.). La deliberazione concernente detta modifica rimane riservata alla competenza dell’assemblea straordinaria. Tuttavia, la Banca d’Italia ha previsto che essa possa essere adottata con la procedura semplificata prevista per le modifiche rientranti nella prima categoria qualora essa consista nel mero adeguamento al numero minimo di deleghe previsto dalla legge. 3) Infine, rientrano nella terza categoria le modifiche statutarie facoltative, ossia quelle connesse alle nuove facoltà consentite dalla riforma alle banche popolari, la cui attivazione richieda apposite previsioni statutarie. Pertanto, rientrano in tale categoria le modifiche statutarie relative alle clausole statutarie concernenti:
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3.a.) l’emissione degli strumenti finanziari previsti dagli artt. 2346, co. 6, e 2526 c.c., con eventuale disciplina delle connesse assemblee speciali di cui all’art. 2541 c.c.; 3.b.) l’attribuzione, ai possessori di suddetti strumenti finanziari, del diritto di eleggere fino a un terzo degli amministratori e dei componenti dell’organo di controllo (cfr. artt. 2542, co. 3, e 2543, co. 3, c.c.); 3.c.) l’attribuzione ai soci cooperatori persone giuridiche di più voti, ma non oltre cinque, in relazione all’ammontare della quota oppure al numero dei loro membri (art. 2538, co. 3, c.c.). Anche in questo caso, come nel precedente, le relative deliberazioni sono di competenza dell’assemblea straordinaria ma non è ammessa alcuna deroga. La Banca d’Italia prevede, altresì, che le banche popolari aventi attivo superiore alla soglia di 8 miliardi di euro dovranno apportare, nel periodo transitorio e fino all’eventuale trasformazione, almeno le modifiche statutarie obbligatorie presenti nella prima e nella seconda categoria e che le deliberazioni dell’organo amministrativo (o, se del caso, dell’assemblea dei soci) necessarie per adeguare lo statuto alle nuove norme inderogabili devono essere adottate il più presto possibile in tutte le banche popolari, abbiano o no attivo superiore a 8 miliardi di euro. È previsto, infine, che le banche di credito cooperativo devono adottare la sola clausola statutaria concernente la limitazione del rimborso delle azioni del socio uscente, con le modalità e nei tempi indicati dalla Banca d’Italia nella Circolare n. 285 più volte citata.
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NORME REDAZIONALI
I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)
II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. …
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Norme redazionali
4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).
III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile c.c. codice di commercio c.comm. Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall.
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Norme redazionali
legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)
l.camb. t.u. t.u.b. t.u.f.
2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Dig. disc. priv., sez. comm. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur.
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Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm. Rivista della cooperazione Riv. coop. Rivista delle società Riv. soc. Rivista del diritto commerciale Riv. dir. comm. Rivista del notariato Riv. not. Rivista di diritto civile Riv. dir. civ. Rivista di diritto internazionale Riv. dir. internaz. Rivista di diritto privato Riv. dir. priv. Rivista di diritto processuale Riv. dir. proc. Rivista di diritto pubblico Riv. dir. pubbl. Rivista di diritto societario RDS Rivista giuridica sarda Riv. giur. sarda Rivista italiana del leasing Riv. it. leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Riv. trim. dir. proc. civ. Vita notarile Vita not.
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Norme redazionali
4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cura di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, Torino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume
IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze.
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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria Cedola di sottoscrizione - Abbonamento 2016 (4 fascicoli): € 110,00 Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 35,00 Modalità di Pagamento ☐ assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Srl - PISA ☐ versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Srl - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 G 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) ☐ carta di credito ☐ MasterCard ☐ VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma.................................................................
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