Diritto della banca e del mercato finanziario 1/2018

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Saggi

ISSN 1722-8360

di particolare interesse in questo fascicolo Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009

Diritto della banca e del mercato finanziario

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Diritto della banca e del mercato finanziario

• La gestione delle crisi bancarie • Piani attestati e accordi di ristrutturazione • Cartolarizzazione dei crediti di leasing • La protezione dei depositanti bancari

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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è attualmente coordinato dal prof. Daniele Vattermoli. Nell’anno 2017, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Niccolò Abriani, Stefano Ambrosini, Lucia Calvosa, Giuseppina Capaldo, Giacomo D’Attorre, Giuseppe Fauceglia, Danilo Galletti, Gianvito, Giannelli, Raffaele Lener, Massimo Miola, Mario Stella Richter, Maurizio Sciuto.


Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria

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SOMMARIO 1/2018

PARTE PRIMA Saggi La gestione delle crisi bancarie tra diritto europeo e norme interne, di Salvatore Maccarone pag. 11 Cartolarizzazione dei crediti di leasing e articolazione » 37 del patrimonio, di Gisueppina Capaldo El tratamiento de los concursos de sociedades pertenecientes al mismo grupo en la ley concursal española, di Marta » 53 Flores Segura La regolamentazione del mercato del controllo societario tra ragioni di efficienza ed esigenze di garanzia, di Alessandro Benocci » 83 I sistemi interni di segnalazione delle violazioni in ambito bancario, finanziario, mobiliare e del risparmio gestito come strumento per la prevenzione e la gestione dei rischi » 123 aziendali, di Eugenio Maria Mastropaolo

Commenti Piani attestati, accordi di ristrutturazione e crediti prededucibili – Cass., 25 gennaio 2018, n. 1895 e Cass., 25 gennaio 2018, n. 1896 » 167 La natura giuridica dei “piani di risanamento attestati” e degli “accordi di ristrutturazione”, di Sido Bonfatti » 175


PARTE SECONDA Legislazione Nuova disciplina dei sistemi di garanzia dei depositi – d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 30 – Attuazione della direttiva 2014/49/ UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi Commento al d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 30: il nuovo sistema di protezione dei depositanti bancari, di Gian Luca Greco Norme redazionali Codice etico

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PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ



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La gestione delle crisi bancarie tra Diritto Europeo e Norme Interne 1. Il 2017 sarà ricordato come un anno significativo nella storia delle crisi bancarie non solo perché alcune, importanti e gravi, sono state risolte, ma anche perché la legislazione europea che le governa, anche nella sua relazione con le norme nazionali, è stata messa per la prima volta veramente alla prova1. Mi riferisco al “salvataggio” in Spagna del Banco Popular da parte del Banco Santander e, sul piano nazionale, alla definitiva sistemazione della situazione del Monte dei Paschi attraverso la ricapitalizzazione da parte dello Stato e al salvataggio delle due banche venete (Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca) da parte di Intesa Sanpaolo, accompagnato da un importante sostegno pubblico. Altre due Casse di Risparmio di modesta dimensione del centro Italia, formalmente in bonis, hanno trovato sistemazione con il solo contributo dello Schema Volontario del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD)2. Infine, la sorte delle good banks, nate dalla risoluzione delle “quattro banche”, avviata nel novembre 2015, è stata definita con la loro cessione

1 Vi sono stati in realtà altri casi di applicazione della BRRD, come quello della risoluzione della Greek Panellinia Bank, in cui attività e passività sono state trasferite alla Piraeus, con pagamento dello sbilancio di cessione, di 273 milioni di euro, da parte del Fondo di garanzia greco (Hellenic Deposit and Investment Guarantee Fund - TEKE), o quello, in Portogallo, della ricapitalizzazione da 3,9 miliardi di euro da parte dello Stato della Caixa Geral de Depósitos nel marzo 2017, ma si è trattato, nel caso della prima, di un’operazione di modesta entità e, nel caso della seconda, di una ricapitalizzazione realizzata a condizioni di mercato e autorizzata dalla Commissione Europea, in quanto non configurabile, proprio per questo, come aiuto di Stato. 2 Cfr. la tendenziosa descrizione di questa operazione da parte di Gomez Fuentes, El acento francés del nuevo rescate en el sistema financiero italiano, in ABC, 17 settembre 2017.

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a due gruppi bancari, per il corrispettivo, ormai diventato consueto in questi casi, di 1 euro3. In tutte queste vicende, le norme europee4 hanno trovato piena applicazione nel nostro Paese per la prima volta; quando le “quattro banche” furono risolte nella seconda metà del 2015, la BRRD non era ancora completamente in vigore5. Le soluzioni delle crisi ci sono state, ma le critiche sono state numerose e da parte di molti si è espresso l’avviso che proprio la sperimentazione sul campo della disciplina europea, con riferimento, in particolare, alle due banche venete, ne avrebbe mostrato i limiti e confermata la necessità della sua revisione, in relazione anche alla mancanza di armonizzazione delle norme nazionali in tema di liquidazione e di diritto concorsuale in genere. Le modalità con le quali le singole situazioni sono state gestite ed hanno trovato soluzione sono diverse ed è proprio da questa diversità, a parere di alcuni ingiustificata, che sono nate le critiche alla legislazione, alla sua interpretazione e all’operato degli organi di gestione del sistema europeo. 2. Nel caso del Banco Popular, la cessione al Santander è avvenuta al valore simbolico di un euro, senza alcun sostegno pubblico e pertanto con accollo di tutte le passività e i rischi da parte di quest’ultimo e con l’onere della ricapitalizzazione ai livelli indicati dalla BCE6. L’operazione è stata accompagnata da un bail-in di assorbimento delle perdite, consistito nella svalutazione e conversione degli strumenti di

3 Tre di esse, la Banca Popolare dell’Etruria, Banca Marche e la Cassa di Risparmio di Chieti sono state cedute al Gruppo UBI e la Cassa di Risparmio di Ferrara al Gruppo BPER. Per una accurata descrizione delle modalità della risoluzione delle quattro banche e della cessione delle good banks che ne sono derivate, v. Baglioni, La gestione delle crisi bancarie tra regole e discrezionalità, in Osservatorio Monetario, Università cattolica del Sacro Cuore, Milano, 2017, n. 3. 4 Ma non la procedura di risoluzione, il cui unico esempio nel nostro Paese è stato quello delle quattro banche. 5 Le norme sul bail-in sarebbero entrate in vigore il 1° gennaio 2016. 6 Al momento del rilievo da parte del Santander, il Banco Popular, anche per effetto di una perdita record di oltre € 12 mld., aveva un coefficiente di capitale negativo del 4,9%, eliminato e ricostituito ai livelli regolamentari con il versamento di € 7 mld. da parte dello stesso Santander. Nel primo semestre dell’anno, la fuga di depositi dal Banco, soprattutto da parte dei grandi depositanti, era stata di circa € 20 miliardi, solo in parte recuperati dopo l’operazione. La crisi di liquidità che conseguì alla fuga dei depositanti è alla base della dichiarazione di insolvenza da parte della BCE il 6 giugno ed è alla base altresì di alcune delle modifiche alla BRRD che, come vedremo, le Autorità europee ritengono necessarie.

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capitale della banca, per coprire parte dei suoi ammanchi patrimoniali. In particolare, prima del trasferimento al Santander, tutte le azioni e gli strumenti addizionali di capitale (Tier 1) sono stati azzerati, mentre gli strumenti Tier 2 (titoli ibridi, considerati patrimonio supplementare, tra i quali alcune obbligazioni subordinate) sono stati convertiti in azioni ordinarie che, a loro volta, sono state trasferite al Santander, appunto, per il valore simbolico di 1 euro. Nel caso del Monte dei Paschi, la soluzione della crisi è avvenuta, alla fine, attraverso la ricapitalizzazione preventiva da parte dello Stato, con l’acquisizione di una partecipazione di larga maggioranza, e nel caso delle banche venete, poste in liquidazione coatta amministrativa, attraverso la cessione di passività e attività a Intesa Sanpaolo con un articolato e importante intervento pubblico7. Nessun intervento o ausilio pubblico si è invece avuto per le due Casse di Risparmio, che, come prima si è detto, si sono giovate del solo contributo dello Schema Volontario del FITD8. Queste operazioni, in particolare quella che ha riguardato le banche venete, hanno sollevato critiche aspre, soprattutto da parte della stampa spagnola9. Più articolata e meno folkloristica è la critica di chi si chiede se effettivamente il Monte fosse solvibile quando venne decisa la ricapitalizzazione preventiva10 e, relativamente alle banche venete, nota che esse,

7 Le caratteristiche dell’operazione e le motivazioni che la sorreggono sono dettagliatamente descritte nel documento di Banca d’Italia, presentato alla VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati, Informazioni sulla soluzione della crisi di Veneto Banca S.p.a. e Banca Popolare di Vicenza S.p.a., luglio 2017, reperibile sul sito della Banca d’Italia. 8 Si è trattato di un’operazione complessa, che ha interessato anche la Cassa di Risparmio di Cesena, detenuta dallo Schema a seguito dell’intervento di ricapitalizzazione effettuato nel 2016, e che ha comportato l’impiego di circa 780 mln di euro, suddivisi tra la ricapitalizzazione delle banche, conseguente alle perdite pregresse e ad una rigorosa pulizia dei conti, ed il finanziamento della cartolarizzazione dei crediti problematici. Non vi è stato alcun burden sharing, salvo quello a carico degli azionisti, in quanto non vi è stato impiego di danaro pubblico, neppure nella lata accezione che la Commissione assume. 9 Burns Marañón, La Unión Bancaria encontró su muerte en el Venet in Expansión, 3 luglio 2017; Jones e Banham, ECB supervisor defends role in Italian banks crisis, in Financial Times, 4 luglio 2017, parlano di «mockery of a new post-crisis regulatory system that was meant to stop public funds being used for banks rescues». 10 La solvibilità del Monte dei Paschi, come di qualunque altra banca che si trovi in questa condizione, è verificata attraverso gli stress test dell’EBA, in uno scenario potenziale di peggioramento della situazione economica e dell’andamento dei tassi. Si tratta dunque di una simulazione, che, inevitabilmente, ha un elevato margine di discrezionalità nella delineazione dello scenario e nella stessa valutazione dei suoi

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pur essendo sufficientemente importanti per essere vigilate direttamente dalla BCE, non lo erano abbastanza per essere sottoposte anche alle norme europee previste per l’insolvenza, ma erano, per altro verso, sufficientemente importanti per giustificare l’immissione di danaro pubblico da parte dello Stato italiano11. Si tratta di una situazione che certo fa riflettere, in quanto dalla impostazione seguita e condivisa dalle Autorità europee deriva la strana conseguenza che le banche prive di rilievo sistemico possono essere destinatarie di aiuti pubblici, con la sola condizione del burden sharing, mentre quelle a rilevanza sistemica devono essere soggette alle regole di un bail-in completo12. 3. Il punto centrale emerso in occasione di questa vicenda, come è stato correttamente rilevato13, è quello della definizione del concetto di

effetti, come dimostrato dal caso Dexia, che aveva superato brillantemente gli stress test, ma diventò, nel 2008, insolvente pochi mesi dopo. 11 Roig, Popular y banca italiana: test a la Unión Bancaria, in ivi, 1 luglio 2017. Altri (Serbeto, Las piezas por encajar del mecanismo de resolución bancaria, in ABC, 10 settembre 2017), dopo aver sottolineato «la leggendaria abilità dei dirigenti italiani di manipolare la politica europea» (?), malignamente nota la tempestività delle dimissioni, intervenute durante il mese di agosto, della Sig.ra Kellermann, componente del Single Resolution Board e responsabile della supervisione delle banche italiane. Cfr. altresì, fra gli altri, in senso critico, De Barrón, Roma ignora las normas europeas, in El País, 26 giugno 2017; Augustín, Italia: un pésimo precedente, in ABC, 2 luglio 2017; Suanzes, …Y un revés (no el fin) para la Unión bancaria, in El Mundo, 2 luglio 2017; Melguizo, Efecto dominó en la banca italiana …, ivi, 2 luglio 2017; Sandbu, Banking Union will transform Europe, in Financial Times, 26 luglio 2017 e Baverez, Le resque italien, in Le Figaro, 3 luglio 2017. Critiche sono provenute anche da Prodi, Le banche venete e la tempesta che si poteva fermare prima, in Il Messaggero, 2 luglio 2017, il quale osserva che «i tedeschi hanno perciò ragione di lamentarsi e di rinforzare la loro resistenza al completamento dell’Unione Bancaria che esige il rigoroso rispetto della comune disciplina». Dubbi analoghi sono espressi da Bonanni, La schizofrenia sulle banche, in la Repubblica, 29 giugno 2017 e da Reichlin, La crisi bancaria italiana impone di cambiare le regole, in Corriere della Sera, 30 giugno 2017. Cfr. invece Buckets of ducats, in The Economist, 1 luglio 2017, ove si sottolinea, di fronte alle critiche mosse a questa operazione, che, anche se «Italy should have sorted out its mess sooner, before Europe’s stricter bail-out rules came into force», essa «has spent a pittance compared with what other countries shelled out after financial crisis». 12 Cfr. Nixon, Italian Bank Deal Raises Eurozone Questions, in The Wall Street Journal, 26 giugno 2017. 13 Merler, Critical functions and public interest in banking services: Need for a clarification?, European Parliament, In-depth analysis requested by the ECON Committee, Brussels, November 2017, la quale sottolinea la necessità di chiarezza sul punto, anche in funzione del ruolo che questi concetti giocano nella decisione degli Stati Membri di erogare aiuti pubblici nelle procedure di liquidazione.

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interesse pubblico, legato alle funzioni essenziali delle banche, e che è alla base sia della disciplina europea che di quella nazionale in materia di insolvenza delle banche. Va ricordato che, in linea di principio, nella disciplina della BRRD (art. 32, 4.), per il solo fatto che una banca necessiti di un sostegno pubblico, essa è considerata “failed or likely to fail” e se vi sono deficit di capitale, essi vanno colmati con ricorso al mercato, oppure, se questo si rivela impossibile, lo Stato può intervenire, purché alle stesse condizioni di un investitore privato14, senza che trovino applicazione le norme in materia di aiuti di Stato. Pur in presenza di un deficit di capitale, ma a condizione che la banca sia solvibile, lo Stato può intervenire con una ricapitalizzazione precauzionale, senza che si debba dare avvio alla procedura di risoluzione, «al fine di evitare o rimediare a una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro e preservare la stabilità finanziaria» (art. 32, 4, d), ferma restando in questo caso l’applicazione del burden sharing a carico di soci e obbligazionisti subordinati, in applicazione della Comunicazione del 2013 della Commissione Europea, in materia di aiuti di Stato15. In mancanza di questi interventi, se la banca è in dissesto o a rischio di dissesto e questa condizione è dichiarata dalla BCE, le strade possibili sono, come è noto, la risoluzione o la liquidazione in conformità al diritto nazionale; quale di esse percorrere spetta al Single Resolution Board (SRB) decidere, sulla base dell’esistenza o meno di un interesse pubblico al conseguimento degli obiettivi indicati dall’art. 31 della BRRD; se la liquidazione dell’ente attraverso la procedura ordinaria di insolvenza (secondo il diritto nazionale) non consente di realizzare nella stessa misura tali obiettivi, la via è quella della risoluzione. È dunque corretto affermare che la risoluzione, anche per la capacità espropriativa che la contraddistingue, debba essere considerata come un’eccezione16, giustificata appunto dalla presenza di un pubblico interesse e dalla necessità di dare ad esso soddisfazione. In tutti gli altri casi, la strada non può che essere quella della liquidazione ordinaria.

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Così come nel caso del Caixa Geral de Depósitos, ricordato alla nota 1. È il caso del Monte dei Paschi. 16 Così anche Merler, Critical functions, cit., p. 10. È questa la ragione che, come vedremo più avanti nel testo, non consente di aderire alla tesi di chi vorrebbe un uso della risoluzione esteso anche alle piccole banche, prive di rilievo sistemico. 15

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Le differenze tra le due ipotesi sono tuttavia notevoli sotto il profilo dell’intervento pubblico: nel caso della risoluzione, infatti, l’utilizzazione del Single Resolution Fund richiede il bail-in preventivo delle passività della banca fino all’8%, mentre nel caso della liquidazione l’intervento pubblico, se necessario per evitare effetti gravi, ancorché non sistemici e di carattere soltanto “locale”, è soggetto solo alla condizione del burden sharing a carico di azionisti e obbligazionisti subordinati, in conformità alla più volte ricordata Comunicazione del 201317. 4. Il caso del salvataggio delle due banche venete, al di là delle diffuse e spesso colorite manifestazioni di sdegno apparse sulla stampa, è sicuramente quello più delicato sul piano del funzionamento del nuovo sistema, in quanto ha mostrato un contrasto tra la nozione di interesse pubblico considerato dalla BRRD, e quella ipotizzabile (ed utilizzata) nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano, per legittimare il sostegno pubblico18. Ai fini della risoluzione, l’esistenza dell’interesse pubblico che ne legittima l’avvio, discende dalla criticità delle funzioni assolte dalla banca; a sua volta, una funzione è considerata essenziale se è assicurata da un ente a terzi non collegati all’ente o gruppo e la «sua improvvisa interruzione probabilmente avrebbe un significativo impatto negativo sui terzi, provocherebbe un contagio o minerebbe la fiducia generale dei partecipanti al mercato in ragione della rilevanza sistemica di tale funzione per i terzi, e della rilevanza sistemica dell’ente o del gruppo nello svolgimento di tale funzione»19. Il SRB, nel decidere sulla sorte delle due banche venete, ha applicato questi principi, ma ha concluso nel senso dell’assenza dell’interesse

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Il confronto fra il caso del Banco Popular, risolto secondo la BRRD, e quello delle due Banche Venete, liquidate con l.c.a., mostra similarità e differenze; in entrambi i casi, azionisti e obbligazionisti subordinati sono stati sacrificati, ma mentre nel primo caso non vi è stato alcun aiuto pubblico e la ricapitalizzazione del Banco è avvenuta a carico esclusivo del Banco de Santander, nel caso delle banche venete la banca cessionaria ha beneficiato di aiuti importanti da parte dello Stato. Cfr. ancora Merler, Critical functions, cit., p. 11, che nota come operazioni del tutto simili, in relazione alla diversità delle discipline nazionali in materia di liquidazione, possano condurre a risultati notevolmente diversi, rendendo di fatto inapplicabile, in un’ottica europea, per l’impossibilità di una comparazione effettiva, il principio cardine della risoluzione del «no creditor worse off than in liquidation» (p. 5). 18 La vicenda delle due banche venete è stata caratterizzata da una storia complessa e da tentativi di sistemazione diversi prima della soluzione che alla fine è stata trovata con l’intervento dello Stato. Per una accurata ricostruzione della vicenda nella sua storia, cfr. Baglioni, La gestione, cit., p. 8 ss. 19 Art. 6, co. 1, Regolamento Delegato della Commissione 2016/778 del 2 febbraio 2016.

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pubblico ai fini dell’avvio della risoluzione, in quanto nessuna delle due banche svolgeva una funzione essenziale e pertanto il loro dissesto non avrebbe verosimilmente avuto effetti negativi sulla stabilità del sistema. Inoltre, quanto alle funzioni bancarie essenziali, queste apparivano fornite ad un numero limitato di terzi e potevano essere sostituite da altre istituzioni creditizie entro un lasso di tempo ragionevole e senza apprezzabili conseguenze negative sull’economia reale e sui mercati finanziari20. Nella sua valutazione il SRB è andato ancora oltre, sottolineando che la sostituibilità delle funzioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, specificamente in Veneto, sarebbe stata verosimilmente elevata in relazione al grande numero di banche operanti nella regione21. Del tutto diversa è stata la valutazione del Governo italiano, che ha ritenuto essenziale l’adozione di misure di sostegno pubblico nel contesto della liquidazione (coatta) delle due banche, al fine di evitare «la distruzione di valore delle aziende bancarie, con conseguenti gravi perdite per i creditori non professionali chirografari (…) e una improvvisa cessazione dei rapporti di affidamento creditizio per imprese e famiglie, con conseguenti forti ripercussioni negative sul tessuto produttivo e di carattere sociale e (…) grave turbamento dell’economia nell’area di operatività delle banche»22. Assistiamo, dunque, ad una valutazione opposta a quella del SRB, che aveva espressamente affermato la sostituibilità anche a livello locale delle

20 Merler, Critical functions, cit., p. 11, nota come, sulla base delle informazioni disponibili al 2015, quando la situazione di difficoltà delle due banche si era già manifestata, il SRB, in una precedente valutazione, avesse escluso la possibilità di una liquidazione ordinaria, in relazione ai potenziali effetti che si sarebbero avuti sulla fiducia nel sistema bancario e alla possibilità di contagio a carico di altre banche. Nel 2016, tuttavia, anche se si verificò un significativo deflusso di depositi dalle due banche, l’ammontare complessivo dei depositi in Italia era rimasto relativamente stabile, il che, secondo il SRB, induceva a ritenere che i depositi ritirati dalle due banche fossero stati assorbiti da altre istituzioni, così sostenendo la conclusione che non si trattasse di funzioni essenziali, potendo essere sostituite, in un tempo ragionevole, da altre banche operanti nella zona, con conseguente limitazione, appunto, dell’impatto potenziale sull’economia reale e sui mercati finanziari. 21 Questo rilievo induce Merler, Critical functions, cit. p. 12, mi pare del tutto correttamente, a concludere nel senso che il SRB avesse escluso non soltanto il rischio di effetti sistemici a livello nazionale, ma anche quello di effetti significativi a livello locale. 22 Così il d.l. 25 giugno 2017, n. 99, recante Disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A., che nel disporre il sostegno pubblico all’intervento di Intesa Sanpaolo (che in mancanza non si sarebbe avuto), ha sottolineato come tale intervento fosse essenziale al fine di garantire la continuità nella prestazione dei servizi fondamentali alla clientela delle due banche.

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due banche nella erogazione dei servizi bancari essenziali, con la conseguenza che mentre il SRB ha negato la presenza di un interesse pubblico che potesse giustificare la risoluzione delle due banche, il Governo italiano ha ritenuto che fosse nel pubblico interesse erogare un importante aiuto pubblico nell’ambito e a sostegno della procedura di liquidazione. Questa contrapposizione palese tra le due visioni di una stessa vicenda – per quanto possa apparire paradossale – è in realtà coerente con il sistema normativo europeo, globalmente inteso, anche se, evidentemente, ne denuncia le incongruenze. La Commissione ha precisato infatti che, al di fuori della procedura di risoluzione, spetta agli Stati Membri stabilire se la cessazione improvvisa dell’attività della banca possa avere un impatto grave sull’economia regionale e decidere se al fine di mitigare questi effetti sia opportuna l’erogazione di misure pubbliche di sostegno, così come previsto dalla stessa Comunicazione del 201323. Sul piano dei fatti, se la risoluzione delle quattro banche qualcosa ha insegnato, non vi è a mio avviso alcun dubbio che la valutazione compiuta dallo Stato italiano sia stata corretta; è certo però che qualcosa non torna nel funzionamento del sistema, quanto meno per quanto riguarda la nozione di impatto grave sull’economia locale, costruita in questa vicenda in modo diametralmente opposto24. Questa situazione viene esaltata dalla mancata armonizzazione fra di loro delle leggi nazionali sulle procedure concorsuali e di esse con la disciplina europea della risoluzione e rappresenta oggettivamente uno dei problemi che le Autorità europee dovranno affrontare e auspicabilmente risolvere25. 5. Completamente diversa è stata l’operazione di salvataggio, prima ricordata, delle due Casse di Risparmio dell’Italia centrale, realizzata con l’intervento dello Schema Volontario del FITD. Lo Schema volontario è stato costituito per superare i limiti che la Commissione UE, sulla base della Comunicazione del 2013, ritiene di identifi-

23 Cfr. State aid: How the EU rules apply to banks with capital shortfall – Factsheet, n. 4, 25 June 2017. 24 Del tutto condivisibile mi pare l’auspicio di Meyer, Critical functions, cit., p. 12, che sia lo stesso SRB, una volta esclusa la possibilità di ricorso alla risoluzione, ad accertare esplicitamente gli effetti e l’impatto della liquidazione a livello locale. 25 Le conseguenze di questa situazione sono particolarmente gravi nel caso di insolvenza di banche stabilite in diversi Stati membri. Le diversità tra le diverse legislazioni nazionali sono infatti significative, cfr. il pregevole lavoro di McCormack e S. Brown, European Insolvency Law: Reform and Harmonization, Edward Elgar Publishing, 2017.

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care in capo al Fondo obbligatorio nell’assunzione di interventi preventivi (come appunto quelli in favore delle Casse di cui si tratta) o alternativi, in caso di liquidazione coatta, consistenti, in luogo del rimborso dei depositi, nell’accollo dello sbilancio di cessione, al fine di favorire la cessione di attività e passività della banca in liquidazione ad un’altra banca. La ragione alla base di questo atteggiamento è l’opinione che si tratterebbe in questi casi di un aiuto di Stato, ancorché questi interventi siano espressamente previsti dalla DGSD n. 49 del 2014, come un’opzione per gli Stati, puntualmente esercitata dallo Stato italiano26; gli interventi di questo tipo sono stati infatti la regola per i fondi di garanzia operanti in Italia, il FIDT e il Fondo di Garanzia dei Depositi FGD delle banche di credito cooperativo, fin dalla loro costituzione, contribuendo in maniera decisiva alla risoluzione delle tante crisi che negli ultimi decenni si sono avute nel nostro Paese. L’intervento dei Fondi ha, tra l’altro, sempre consentito il pagamento, o comunque la soddisfazione, di tutti i creditori delle banche in dissesto, intervenendo con il rimborso dei depositi solo in tre casi, ma anche allora senza alcuna perdita per i depositanti e in genere i creditori. Questa situazione, protrattasi, prima grazie agli interventi pubblici, poi a quelli dei Fondi, per molti decenni, ha consolidato l’opinione dei creditori delle banche che i loro crediti fossero immuni da rischio e generato la grande turbolenza che si è sviluppata, quando, per la prima volta, con la risoluzione delle quattro banche, il credito degli obbligazionisti subor-

26 Art. 1, co. 5, lett. b) del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 30, che ha integrato l’art. 96- bis, del t.u.b.

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dinati è stato cancellato per effetto dell’applicazione del burden sharing previsto dalle norme europee27 28.

27 Peraltro, attraverso il Fondo di Solidarietà costituito dalla legge di stabilità 2016 presso il FITD e da esso alimentato, gli obbligazionisti subordinati con un reddito imponibile non superiore a € 35.000 o un patrimonio mobiliare non superiore a € 100.000, hanno potuto ricevere, senza fornire alcuna prova, salvo quella appena indicata, il rimborso forfettario dell’80% del loro credito, quale che ne fosse l’ammontare e quindi anche oltre i € 100.000 garantiti ai depositanti. Gli altri obbligazionisti, o quelli che hanno ritenuto di dover ricevere l’intero, si sono potuti giovare del ricorso ai procedimenti arbitrali presso l’ANAC. Analoga operazione è stata fatta per gli obbligazionisti delle banche venete, che tuttavia riceveranno l’intero, in quanto il 20% ulteriore rispetto all’80% rimborsato dal Fondo di Solidarietà, sarà pagato da Intesa Sanpaolo. Nel caso invece del Monte dei Paschi i subordinati hanno “subito” la conversione dei titoli in azioni della Banca che sono poi state acquistate dallo Stato, nell’ambito delle misure che hanno caratterizzati l’intervento effettuato. In altra occasione ho espresso la mia opinione su questo “rimedio” trovato dal Legislatore (cfr. Le anomalie del Fondo di solidarietà, in Sole24Ore, del 20 luglio 2017. Cfr. altresì sul punto e nello stesso senso, Patuelli, L’emergenza è finita, ora rivedere le norme, ivi, 30 luglio 2017. È singolare comunque che anche su testate autorevoli si sia affermato che «gli investitori privati che hanno acquistato i bond subordinati (delle due banche venete) saranno rimborsati sino all’80% dallo Stato», così Sabella, Che cosa succede con la liquidazione, in Corriere della Sera, 26 giugno 2017. Analogo abbaglio è preso da Rosati, Perché Draghi e la UE hanno detto sì a Padoan, in Pagina, 30 giugno 2017. Ancor più sorprendente è la dichiarazione del Ministro dell’Economia e delle Finanze, che, enumerando i successi del Governo nella gestione delle crisi bancaria, che pure oggettivamente ci sono stati, annovera fra questi anche quello di «aver pagato gli obbligazionisti subordinati», in Corriere della Sera, 7 gennaio 2018! È questo probabilmente è anche alla base dell’analoga – e parimenti paradossale – affermazione che si ritrova al punto 7 di State Aid: How the EU rules apply cit., secondo cui «In situations where banks that have mis-sold financial instruments have left the market, it is up to Member States to decide whether to take exceptional measures to address social consequences of mis-selling as a matter of social policy. This falls outside the remit of State Aid rules. For example, Italy set up a scheme to compensate retail investors who were victims of mis-selling of junior bonds by four Italian banks that were resolved in November (enfasi aggiunta)». In questo caso, come in quello delle banche venete, si è trattato di un uso assolutamente improprio delle disponibilità del FITD, imposto dal legislatore italiano in palese contrasto con la Direttiva 2014/49, che espressamente destina le disponibilità dei fondi di garanzia dei depositanti al rimborso dei depositanti o al pagamento dell’equivalente nelle procedure di risoluzione, con esclusione di qualunque altra destinazione. Si tratta di una previsione non disponibile e non modificabile dal legislatore nazionale, vincolato dalle disposizioni della Direttiva, che, come noto, nella gerarchia delle fonti, è sovraordinata alla legge nazionale, con il solo limite delle norme costituzionali. Analoga operazione di è tentato di fare, in occasione dell’approvazione della Legge di Stabilità 2018, con riferimento in generale ai risparmiatori “traditi” (e quindi anche agli azionisti) delle banche di cui si tratta; alla fine si è però percorsa una strada diversa, attraverso la costituzione di un fondo destinato ed alimentato con i saldi dei conti “dormienti” (art. 1, co. 1106 della legge di bilancio 2018), che ha stanziato 25 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2018 al 2021. 28 Nel caso del Banco Popular, che aveva visto il sacrifico dei bondholders istituzionali, si profila un’azione da parte di un gruppo di fondi, Pimco in testa, in quanto essi avrebbero

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Secondo la Commissione, le uniche attività “liberamente” consentite ai fondi di garanzia obbligatori sono il rimborso dei depositi o l’intervento nelle procedure di risoluzione. Nessun ostacolo invece vi sarebbe se gli interventi preventivi o alternativi sono effettuati da un organismo di carattere del tutto volontario, e quindi senza obbligo di adesione per i loro partecipanti29. Non è questa la sede per affrontare il tema, oggettivamente complesso, degli aiuti di Stato; va però detto che la Commissione, nella interpretazione che, a crisi conclusa, dà delle norme del Trattato, ha ritenuto, nel caso dei fondi di garanzia dei depositanti, che la loro natura pubblica derivi dall’obbligo previsto dalla legge per le banche di parteciparvi, dal fatto che essi siano vigilati dall’Autorità e, nel caso specifico del FITD, dal fatto ancora che i suoi interventi erano (ora non è più così) subordinati all’autorizzazione preventiva della Banca d’Italia30.

sofferto perdite sproporzionate e non necessarie. Cfr. Popular bondholders hire lawyers, in Financial Times, 30 giugno 2017. Sui gravi rischi di contenzioso connessi alla risoluzione del Banco, cfr. Ferrando, La giustizia riapre il caso del Banco Popular, in Sole24Ore, 21 settembre 2017. Inoltre, il Administrative Board of Review (ABoR), ha ricevuto decine di ricorsi contro la decisione assunta dal SRB e rischia il collasso (Las demandas por el caso Popular colapsan la Junta de Resolución, in Expansión, 19 dicembre 2017) Sulle competenze e il funzionamento del ABoR, cfr. Brescia Morra, The administrative and judicial review of decisions of the ECB in the supervisory field, in Banca d’Italia, Quaderni di ricerca giuridica, Scritti sull’Unione Europea, a cura di D’Ambrosio, n. 81, luglio 2016, p. 109. 29 Su questa base, nel novembre 2015, lo Schema volontario venne costituito, ma non vi fu il tempo di utilizzarlo per evitare la risoluzione delle quattro banche; nel corso del 2016, fu usato per neutralizzare gli effetti del provvedimento della Commissione UE, che ordinò la restituzione da parte di Banca Tercas del contributo ricevuto dal FITD e per la ricapitalizzazione della Cassa di Risparmio di Cesena (€ 280 milioni); l’ultima sua operazione è stato il salvataggio della Cassa di Risparmio di Rimini e della Cassa di Risparmio di S. Miniato, completato con il passaggio al Gruppo Crèdit Agricole alla fine del 2017, unitamente alla partecipazione detenuta nella Cassa di Risparmio di Cesena. Va sottolineato che in tutti e tre i casi lo Schema è intervenuto a favore di banche in bonis, anche se in grave difficoltà. Lo Schema è formalmente costituito all’interno del FITD e disciplinato dal titolo II dello statuto di questo, ma ha un’autonomia soggettiva propria, propri organi e propri aderenti, che non coincidono con quelli del FITD e che devono rappresentare almeno il 95% dei depositi protetti, pena lo scioglimento dello Schema. Esso è finanziato ex post nei limiti delle somme indicate nello statuto. Giuridicamente è un’associazione non riconosciuta, innestata all’interno del FITD, che è invece un consorzio; non il massimo del nitore giuridico, ma ancora una volta di questo va ringraziato il nostro legislatore, il quale ha previsto la deducibilità fiscale dei contributi ai fondi volontari solo (chissà poi perché ….) se costituiti all’interno dei fondi obbligatori. 30 Cfr. sul punto De Biasi, Note preliminari su chi possa essere l’ottimale proprietario di

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Si tratta di un’interpretazione oggettivamente inconsistente; ciò che il sistema nel suo complesso mira ad evitare è che le banche si giovino di interventi di salvataggio effettuati con danaro pubblico, come è reso palese dall’ossessivo riferimento al “danaro del contribuente”, che non può essere utilizzato – salvo casi eccezionali – per il salvataggio delle banche, come peraltro è stato fatto copiosamente dalla maggior parte degli Stati europei, durante tutto il tempo della crisi. Il danaro dei fondi di garanzia è danaro fornito dalle banche, e quindi danaro di fonte privata e il suo uso, quand’anche ne comportasse la perdita completa, non avrebbe alcun effetto sul contribuente, così come, corrispondentemente, il contribuente non ha alcuna aspettativa sul danaro che affluisce nei fondi, che, è bene ricordarlo, in ogni caso al termine del periodo previsto di 10 anni dall’entrata in vigore della Direttiva, deve raggiungere l’importo dello 0,8% dei depositi protetti31. A parte la condizione dei fondi di garanzia, è indispensabile non dimenticare i risvolti sostanziali che derivano dall’applicazione rigorosa e formalistica delle regole, o meglio dalla esasperazione delle norme in materia di aiuti di Stato, nella interpretazione che di esse ha dato la Commissione con la Comunicazione del 2013. La tutela del danaro del contribuente non può non confrontarsi comparativamente con la tutela di altri interessi, il cui sacrificio può comportare danni ben maggiori dei benefici nascenti dalla tutela del primo; in questo senso è esemplare l’intervento del Governatore della Banca di Spagna32, il quale, nel dar conto del fatto che gran parte del danaro pubblico iniettato nel sistema bancario spagnolo nel periodo più acuto della crisi sarà irrecuperabile33, enuncia lucidamente le conseguenze catastrofiche che si sarebbero prodotte se lo Stato non fosse intervenuto34.

una banca (universale), in Banca, impresa, soc., 3, 2017, p. 493, testo e note. 31 La questione pende ora avanti al Tribunale dell’Unione Europea, essendo stato il provvedimento della Commissione, che ordinò a Banca Tercas la restituzione delle somme erogate dal FITD, impugnato dallo Stato italiano, dal FITD, dalla Banca Popolare di Bari, quale successore di Banca Tercas, con l’intervento adesivo della Banca d’Italia. 32 Linde, Coste y beneficio del rescate bancario, in ABC, 12 settembre 2017. 33 € 40,078 mld. a fronte di € 61,173 mld impiegati. 34 Va notato tra l’altro che il risanamento così ottenuto del sistema bancario spagnolo è in larga misura alla base del constante trend di crescita dell’economia spagnola, stabile da qualche anno sul 3% annuo. Situazione analoga si riscontra in tutti i Paesi in cui lo Stato è intervenuto nel risanamento del settore bancario. L’impossibilità di recupero integrale del danaro pubblico è situazione comune a tutti gli altri Paesi europei nei quali le banche sono state destinatarie di interventi pubblici,

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D’altra parte, pensare che il risanamento di una banca non debba mai avvenire con un intervento pubblico è del tutto irrealistico35. La dimensione dei mezzi necessari, anche nel caso di una banca di medie o piccole dimensioni, è tale da essere al di fuori delle possibilità “private”, anche in conseguenza dell’interesse, ormai ridotto, che hanno assunto gli investimenti nelle banche, scoraggiati dallo scarso rendimento e dalle richieste di sempre maggior capitale che provengono dalle Autorità36 e dalle necessità della digitalizzazione, dalla generale ridondanza degli organici. L’esperienza che si è avuta negli anni più duri della crisi lo ha dimostrato ampiamente; i sistemi bancari di tanti Paesi sono stati risanati soltanto grazie all’intervento pubblico e là dove le stesse esigenze si ripropongono non può non consentirsi un intervento dello stesso tipo, certamente temporaneo e accompagnato da un’altra, anch’essa essenziale iniziativa, rappresentata dalla costituzione di una bad bank, con sostegno pubblico, alla quale trasferire i crediti deteriorati delle banche ad un valore non troppo lontano da quello di bilancio. Un meccanismo in sostanza del tutto analogo a quello adottato per il Monte dei Paschi e le banche venete37, che sia disponibile all’occorrenza e in tempi rapidi, per evitare che la crisi, come è accaduto con questa banca e le due banche venete, assuma proporzioni tali da renderla ingestibile. È del pari indispensabile una più corretta precisazione del concetto di aiuto pubblico, rivedendo la Comunicazione della Commissione del

a differenza degli USA, in cui – sia pure grazie ad una diversa organizzazione del sistema bancario (la FDIC, che assicura i depositi bancari ed è “autorità di risoluzione”, è organismo parte del sistema della riserva federale) – il tempestivo e massiccio intervento pubblico ha consentito di risanare completamente il sistema bancario, con un saldo positivo netto per il contribuente americano all’esito della cessione sul mercato, avvenuta in tempi brevi, delle partecipazioni acquisite. Particolarmente appropriato è stato l’avvio tempestivo del TARP (Troubled Assets Relief Program) che ha consentito alle banche di liberarsi dei crediti deteriorati cedendoli al Tesoro, che ha poi recuperato le somme erogate, maggiorate di quasi 20 mld di dollari. Cfr. sulla situazione delle banche americane, Franceschi, Longo e Pavesi, Banche USA, l’età dell’oro è dopo Lehman, in Sole24Ore, 10 settembre 2017. 35 Così Reichlin, cit. 36 Sul punto, cfr. le osservazioni, come sempre severe, di Wolf, Why banking remains far too undercapitalised for comfort, in Financial Times, 22 settembre 2017. 37 I Non Performing Loans (NPL) delle banche venete sono in fase di cessione alla SGA, ora interamente controllata dal Tesoro; cfr. Festa, Vicini al trasferimento a SGA i 18 miliardi di NPL delle Venete, in Il Sole24Ore, 17 gennaio 2018.

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2013 ed escludendo comunque da questa categoria i fondi di garanzia dei depositanti, ai quali la stessa Direttiva 2014/49 espressamente attribuisce la capacità, che va mantenuta, di intervenire in modo preventivo, al fine di evitare l’insorgere o l’esplodere della crisi, o in modo alternativo al rimborso dei depositanti, attraverso l’accollo dello sbilancio di cessione38. Le vicende che hanno interessato le quattro banche sono emblematiche delle conseguenze che possono derivare dalla esasperazione del principio del divieto dell’aiuto pubblico; se al FITD fosse stato consentito di intervenire nella ricapitalizzazione delle banche, così come aveva programmato e deliberato, l’onere complessivo, in termini di tempo e di costo, sarebbe stato di gran lunga inferiore a quello che poi la risoluzione ha inevitabilmente comportato e non si sarebbero determinati i gravi effetti di contagio che hanno influenzato anche gli interventi a favore del Monte dei Paschi e delle banche venete. 6. Nel quadro della disciplina europea, la sorte e la disciplina dei fondi di garanzia dei depositanti sono comunque assai incerte. Il Fondo Unico Europeo (European Deposit Insurance System - EDIS), il terzo pilastro del sistema, è lungi dall’essere prossimo nella sua realizzazione, anche per la forte opposizione che viene da alcuni Paesi, la Germania in testa, che temono la mutualizzazione dei rischi di banche di altri Paesi, che considerano assai più rischiose delle proprie, e che condizionano la fattibilità del Fondo Unico a una serie di riforme dirette alla riduzione drastica dei rischi, in primo luogo quello rappresentato dal livello anomalo dei NPL, ma anche alla maggiore efficienza della disciplina nazionale, che assicuri recuperi più celeri, e ad altro ancora39.

38 Nel caso della liquidazione coatta della Banca Romagna Cooperativa, nel luglio 2015, la Commissione UE autorizzò l’intervento del FGD (il fondo obbligatorio delle BCC) nella copertura dello sbilancio di cessione delle attività e passività a un’altra banca (Banca Sviluppo), previo “sacrificio” dei soci e degli obbligazionisti subordinati; questi ultimi poi ristorati attraverso un meccanismo volontario attivo nel sistema delle BCC. Vi fu dunque un riconoscimento esplicito della compatibilità dell’ “aiuto di Stato” – rappresentato dall’intervento del FGD – con la Comunicazione del 2013. In un’altra vicenda, di dimensione ancora più ridotta, in cui il FITD deliberò un intervento analogo (liquidazione della Banca delle Province Calabre e cessione delle attività e passività alla Banca Popolare di Bari), la Commissione UE, pur preventivamente notificata, si pronunciò nel senso di non dover intervenire nella vicenda, in relazione alla esiguità dell’importo in gioco. 39 Cfr. su questi temi il recentissimo studio di Bénassy e Quéré et al., How to

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La Commissione ha posto fra i propri obiettivi del 2018 la realizzazione dell’EDIS40, ma si tratta di ben poca cosa rispetto al disegno originario ed anche a quello già ridimensionato, ipotizzato nel rapporto dei cinque Presidenti41; il Fondo europeo opererà – se mai sarà realizzato, sia pure in questa forma modesta – come fornitore di liquidità ai fondi nazionali e quindi come finanziatore, senza alcuna condivisione del rischio; per il resto, si vedrà in seguito. In realtà, la sorte dell’EDIS è stata fin dall’inizio incerta e tribolata. Già il cd. Rapporto De Larosière dava atto che la prospettiva di un fondo europeo di garanzia dei depositi era stata valutata, ma poi accantonata, in quanto non avrebbe aggiunto alcun valore significativo rispetto alla presenza di un sistema armonizzato di fondi di garanzia nazionali. L’ipotesi riprese poi vigore quando si avviarono i lavori diretti alla costituzione dell’Unione Bancaria, nell’assunto che una assicurazione europea dei depositi avrebbe rassicurato i depositanti che i loro risparmi sarebbero stati al sicuro in tutta l’Eurozona, indipendentemente dal luogo di stabilimento della banca o del loro domicilio. Per altro verso, un robusto primo pilastro (Vigilanza Unica) avrebbe reso del tutto residuale l’intervento dei sistemi di garanzia, confinandolo ai soli casi di dissesto di piccole banche, prive di rilevanza sistemica e rispetto alle quali la procedura di risoluzione non fosse ritenuta necessaria.

reconcile risk sharing and market discipline in the euro area, in VOX, CEPR’s Policy Portal (http://voxeu.org), che sul punto specifico, ai fini della riduzione dei rischi, la cui presenza ostacola la realizzazione dell’EDIS, propone l’introduzione di requisiti di capitale aggiuntivo per le banche che eccedono una certa proporzione di titoli sovrani in portafoglio, l’introduzione di un meccanismo europeo di riassicurazione dei depositi, destinato ad entrare in gioco quando le disponibilità del fondo nazionale sono esaurite e la determinazione di “premi assicurativi” dei singoli Paesi ragguagliati al loro specifico livello di rischio. 40 Communication to the European Parliament, the Council, the European Central Bank, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions on completing the Banking Union, COM (2017) 592 final, 11 ottobre 2017. 41 Della Commissione europea, del Vertice Europeo, dell’Eurogruppo, della BCE e del Parlamento europeo, Completing Europe’s Economic and Monetary Union, luglio 2015. Il rapporto prevedeva tre fasi di operatività dell’EDIS, di riassicurazione, coassicurazione e piena assicurazione. Al termine del processo, nel 2024, l’EDIS avrebbe assunto direttamente i rischi dei sistemi di garanzia nazionali. L’operatività dell’EDIS era espressamente limitata al rimborso dei depositi e agli interventi nelle procedure di risoluzione. La stessa limitazione è rimasta nella configurazione di cui Comunicazione della Commissione indicata nella nota precedente.

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Ciò nonostante, la costituzione di un fondo europeo incontrava difficoltà e suscitava critiche di vario genere e natura, da quelle che lo considerano fonte di possibile azzardo morale, inducendo le banche ad assumere rischi più elevati per poter meglio remunerare i depositanti e accrescere il volume dei depositi, a quella di incidere negativamente sul level playing field, in quanto il livello uniforme di garanzia di € 100.000 comporta che nei Paesi a più basso livello di reddito la copertura riguarda una percentuale superiore di depositanti e quindi contribuzioni relativamente più elevate per le banche di quei Paesi42. Sarebbe inoltre molto difficile sviluppare criteri oggettivi di contribuzioni, validi per tutti i Paesi e basati sul rischio delle singole banche, tenuto conto della diversità dei modelli di business nei diversi Paesi, del livello di sviluppo dei sistemi di pagamento, della diversità delle legislazioni nazionali e così via. Entrata in vigore la BRRD, l’intervento dei fondi di garanzia sarebbe limitato ai soli casi di dissesto di banche piccole e prive di rilevanza sistemica e questo, nel pensiero di alcuni studiosi43, sarebbe non ragionevole, potendo anche le banche piccole essere risolte, piuttosto che essere affidate alle procedure nazionali di insolvenza. Se questo si facesse, il ruolo di pay-out dei fondi di garanzia sarebbe puramente simbolico ed essi potrebbero divenire una utile risorsa finanziaria aggiuntiva nelle procedure di risoluzione, accanto al fondo di risoluzione. Proseguendo nello sviluppo di questa prospettiva, si finisce con interrogarsi sulla reale utilità di due fondi distinti, di garanzia dei depositi e di risoluzione, auspicandosi una fusione dei diversi fondi di garanzia nazionale con il fondo unico di risoluzione. Questa soluzione sarebbe coerente con la previsione dell’art. 100 (2) della BBRD, che consente l’uso della stessa struttura amministrativa per la gestione del fondo di risoluzione e del fondo di garanzia dei depositi e non dissimile da quella in essere negli Stati Uniti da molti decenni, quando nei primi anni trenta del secolo scorso, venne costituita la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC). Questa strada, si conclude, sarebbe la più semplice e la più spedita per completare lo sviluppo dell’Unione Bancaria.

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Cfr. V. Colaert, Deposit Guarantee Schemes in Europe: Is the Banking Union in need of a third pillar?, in European Company and Financial Law Review, Oct. 2015, p. 372 ss., p. 35 dell’estratto. 43 V. Colaert, Deposit Guarantee, cit., p. 38, ove ulteriori riferimenti.

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Mi rendo conto del buon senso di questa proposta e mi rendo anche conto del fatto che essa faciliterebbe il completamento dell’Unione Bancaria, oggi in condizione di stallo proprio sul punto in questione. Pur riconoscendo questo ed altro ancora, a me pare che la soluzione proposta comporterebbe un mutamento completo e a mio avviso inaccettabile della filosofia che è alla base della BRRD. La risoluzione è stata concepita per le banche rilevanti sul piano sistemico ed è disciplinata sulla base di questo presupposto; gli enormi poteri delle Autorità europee, la discrezionalità di cui esse si giovano, i sacrifici che possono essere imposti ai creditori e agli altri portatori di interesse, la tutela giudiziaria ridotta al minimo possono trovare giustificazione soltanto in presenza di un interesse pubblico, che oggettivamente non è riscontrabile nel caso di dissesto di una piccola banca. La strada per l’EDIS è certo impervia, ma non credo che il ripensamento di un disegno normativo complesso come quello che è alla base della BRRD sia il modo corretto per rendere quella strada più agevole. Nel frattempo, quello che a me pare necessario è consentire ai fondi nazionali di poter fare quello che la Direttiva e le leggi nazionali consentono, senza interferenze indebite, che di fatto e interpretativamente, ne svuotino il contenuto. 7. Alla base di questo, vi è tuttavia una questione di fondo, vale a dire se una banca in difficoltà debba essere salvata o aiutata a salvarsi, oppure, come tutte le altre imprese, debba essere lasciata in balia del mercato e, se occorre, fallire come ogni altra impresa insolvente. Nella struttura della BRRD e, per vero, anche nel pensiero delle Autorità europee, sembra essere proprio questa la logica, tenendo conto che la risoluzione – che mira alla conservazione dell’azienda e alla liquidazione dell’ente – è possibile soltanto in presenza di un interesse pubblico, qualificato nei termini che conosciamo; se questo interesse manca, la destinazione non può che essere quella della liquidazione concorsuale. Questo significa, verosimilmente, che solo le banche di una certa dimensione – anche se, come il caso delle venete ha dimostrato, non necessariamente coincidente con quella che ne determina l’assoggettamento alla vigilanza della BCE – in un contesto territoriale ormai ampiamente bancarizzato, possono essere sottoposte a risoluzione; per tutte le altre, l’unica via è il fallimento o altra procedura concorsuale prevista dalla legislazione nazionale. Ora, è proprio in questa logica che si inquadra la possibilità riconosciuta ai fondi di garanzia di effettuare interventi preventivi o alternativi, al fine di consentire la realizzazione, anche per le banche di minore

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rilevanza, di operazioni paragonabili a quelle previste per la risoluzione e, come prima ricordavo, ampiamente praticate in Italia dal FITD e dal Fondo delle BCC negli scorsi decenni. Peraltro, a parte altre difficoltà, neppure il ricorso a meccanismi volontari sembra poter risolvere il problema; se infatti essi sono ammissibili sul piano degli aiuti di Stato, sul piano della vigilanza trovano altri e forse più gravi ostacoli, che si collegano proprio al tema in discorso. Come noto, nell’assetto della Vigilanza Unica, le autorizzazioni previste dall’art. 19 del t.u.b. e in genere la valutazione degli assetti proprietari rientrano nella competenza della BCE. Gli interventi posti in essere dallo Schema Volontario, ad eccezione di quello che ha riguardato il caso Tercas, sono consistiti nella ricapitalizzazione, prima di una, poi di altre due banche in difficoltà, con l’acquisizione di una partecipazione di larghissima maggioranza e quindi la necessità dell’autorizzazione della BCE. Ebbene, l’ottenimento dell’autorizzazione è stato estremamente complesso e comunque assoggettato a condizioni irragionevolmente onerose, nell’assunto (dichiarato, anche pubblicamente) che una banca in quelle condizioni non dovesse essere soccorsa, ma lasciata al suo destino, come ogni altra impresa insolvente44. Sembra dunque verosimile - al di là del problema degli aiuti di Stato - che operazioni di questo genere da parte dei fondi di garanzia dei depositanti non saranno in futuro consentite dall’Autorità di vigilanza europea45; questo non significa comunque che altri tipi di intervento preventivo non possano essere immaginati, quanto meno in questa fase di progressiva assuefazione del pubblico alla disciplina europea, quando

44 Le condizioni richieste per l’autorizzazione, comportavano il conseguimento di un rapporto cost/income del 50%, fuori della portata anche delle banche migliori e comunque irraggiungibile per una banca in difficoltà; lo smaltimento entro un anno dei NPL, il che avrebbe comportato la svendita dei crediti con la produzione di perdite ingenti e la necessità di una ulteriore capitalizzazione; la cessione della partecipazione entro 3 anni, anche qui con perdite certe, come è inevitabile in tutti i casi in cui la cessione di un bene deve essere realizzata entro un termine dato. Il problema si è poi di fatto risolto in quanto la partecipazione in questa banca è stata ceduta in occasione dell’intervento a favore delle altre due banche, rispetto alle quali, nonostante la struttura identica dell’operazione, il problema dell’autorizzazione non si è posto, in quanto l’autorizzazione è stata data direttamente al Gruppo acquirente. 45 Va peraltro anche detto che le banche italiane mostrano di non avere più alcuna intenzione di impiegare risorse per operazioni di questo tipo.

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vi siano effettive prospettive di risanamento e ad integrazione dell’intervento di altri intermediari. Diverso è il discorso per quanto riguarda gli interventi alternativi al rimborso dei depositi nell’ambito della liquidazione della banca. In tal caso l’Autorità di Vigilanza europea non entra in gioco, ma perché questi interventi siano possibili, occorre comunque che la posizione della Commissione in tema degli aiuti di Stato venga superata. La liquidazione cd. “atomistica” con rimborso dei depositanti avrebbe effetti disastrosi per la società civile e lo stesso settore bancario, in quanto – per la prima volta46, dopo oltre 80 anni di storia e di certezze – vi sarebbero, non solo creditori della banca insoddisfatti, ma soprattutto depositanti non rimborsati47. L’esperienza e i clamori che si sono avuti a seguito del mancato pagamento degli obbligazionisti subordinati sarebbero ben poca cosa, se a non essere pagati fossero i depositanti. Il pregiudizio, conseguente alla perdita di fiducia verso il settore bancario, sarebbe irreparabile48. Con riferimento agli interventi alternativi al rimborso dei depositi, vi è peraltro un altro elemento di cui occorre tener conto nella valutazione della loro ammissibilità, incidendo sulla condizione del “minor onere” (previsto dallo statuto dei due fondi di garanzia italiani, FITD e FGD, in applicazione del principio di cui all’art. 96-bis, co. 1-bis, lett. c) dell’inter-

46 Vi è stata per la verità nel 2012 una liquidazione di questo tipo, con rimborso dei depositanti, ma non si trattava di una banca commerciale e comunque, per ragioni diverse, nessun depositante alla data della liquidazione aveva crediti superiori all’importo garantito. 47 Tali sarebbero tutti quelli esclusi dalla garanzia dei fondi, vale a dire quelli superiori a € 100.000, i depositi corporate, i depositi delle amministrazioni pubbliche, i depositi giudiziari e altri. La storia del FITD rispecchia, in qualche modo, questa situazione. Quanto il Fondo venne costituito, nella forma di consorzio volontario nel 1987, si era in un periodo storico in cui tutti i creditori delle banche, depositanti ed altri, erano sempre stati soddisfatti e non vi era neppure il dubbio che questo potesse non accadere. La introduzione di un meccanismo di tutela, con una protezione necessariamente limitata, faceva correre il rischio di ridurre questa certezza, nata in un ambito in cui di meccanismi formali di tutela non ve n’era alcuno, ed incrinare la fiducia nel sistema bancario; questo spiega perché il livello di rimborso fu fissato inizialmente in 1.5 miliardi di lire, per essere poi progressivamente ridotto fino ai livelli attuali. 48 L’esperienza che si è avuta con la risoluzione delle quattro banche è emblematica; allora vi fu una fuga massiccia di depositi, per alcune decine di miliardi dal comparto delle banche commerciali verso altri intermediari, fra cui le Poste, ritenuti più affidabili in termini di rischio, rispetto alle banche ordinarie.

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vento alternativo rispetto al rimborso dei depositanti49: mi riferisco alla cd. depositor preference, prevista dall’art. 108, co. 1, lett. a) della BRRD e recepito nel nostro ordinamento all’art. 91, co. 1-bis, del t.u.b.50. La depositor preference, come è noto, attribuisce ai fondi di garanzia che abbiano rimborsato i depositanti e si siano pertanto surrogati nei loro diritti, una posizione antergata nel riparto dell’attivo di liquidazione rispetto agli altri creditori chirografari. Non si tratta di un privilegio in senso tecnico, ma soltanto della antergazione del credito nella distribuzione dell’attivo. Una valutazione puramente aritmetica potrebbe indurre alla conclusione che il rimborso dei depositanti sia “meno oneroso” di un eventuale intervento alternativo, essendo possibile e anzi verosimile, pur scontando l’attualizzazione dei riparti di liquidazione, che il fondo recuperi l’intero importo che ha rimborsato ai depositanti e nei cui diritti è subentrato. Io non credo, tuttavia, che la valutazione del “minor onere” debba farsi unicamente paragonando le somme pagate rimborsando i depositanti al “valore” delle somme recuperate in sede di riparto, ma occorra tener conto, nella valutazione del “costo” derivante dal rimborso dei depositi, anche degli effetti dannosi, che alla fine ricadrebbero comunque in capo al fondo, derivanti dalla presenza di depositanti e creditori insoddisfatti e dai possibili effetti di contagio su altre banche in condizioni di debolezza51. Al fondo di questo vi è peraltro il tema più generale che prima ricordavo, se cioè la banca insolvente debba essere trattata alla stessa stregua delle altre imprese e, quindi, essere assoggettata a fallimento o altra procedura ed espunta dal mercato. In sede di vigilanza europea, come si è accennato, sembra prevalere questo concetto.

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L’intervento alternativo è possibile “se il costo dell’intervento non supera il costo che il sistema, secondo quanto ragionevolmente prevedibile in base alle informazioni disponibili al momento dell’intervento, dovrebbe sostenere per il rimborso dei depositi”. 50 Cfr. sul punto, per tutti, Bonfatti, La disciplina della depositor preference e il ruolo dei sistemi di garanzia dei depositanti, in questa Rivista., 2016, I, p. 28, ove ulteriori e completi riferimenti bibliografici. 51 Questa opzione interpretativa è stata recepita dallo statuto del FITD, che relativamente agli interventi in operazioni di cessione di attività e passività (art. 34) e agli interventi alternativi (art. 35), ha espressamente previsto che nella valutazione del minor onere «il Fondo considera anche gli effetti che la liquidazione coatta della baca potrebbe determinare sulle altre banche in crisi e sul sistema in generale».

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In un libro recente, il suo Autore52, si è posto l’interrogativo se la banca sia un’impresa speciale o se sia la sua crisi a renderla speciale. Il problema è, a mio avviso, non solo e non tanto giuridico, ma soprattutto di fatto; è evidente che in un futuro più o meno prossimo si arriverà, per la prima volta dopo tanti anni, alla liquidazione atomistica di una banca insolvente. Le ragioni sono molte ed evidenti, ma occorre avvicinarsi con gradualità a questo evento pure inevitabile, costruendo nella società civile la consapevolezza che anche le banche possono non pagare i loro creditori. Questo processo si è avviato con le esperienze che si sono avute negli ultimi due anni e il rischio di bail-in – più o meno correttamente compreso – comincia progressivamente a farsi strada, ma occorre però rassicurare, psicologicamente e giuridicamente, i depositanti “protetti” che i loro risparmi saranno comunque al sicuro in caso di insolvenza della banca, quale che sia la sua dimensione. È indispensabile, in altri termini, che si preveda un qualche meccanismo di back stop pubblico53, quando le capacità di rimborso dei fondi di garanzia non siano adeguate54. 8. Questa prima messa alla prova della BRRD, anche in rapporto alle modalità utilizzate per il salvataggio delle banche italiane, al di là delle

52 Rulli, Contributo allo studio della disciplina della risoluzione bancaria. L’armonizzazione europea del diritto delle crisi bancarie, Torino, 2017, p. 6 ss. 53 Nel febbraio 2017, il SRB ha completato le procedure di sottoscrizione degli accordi quadro con i Paesi dell’Eurozona, finalizzati alla creazione di un meccanismo di finanziamenti ponte (bridge financing arrangements), basato sulla concessione da parte dei 19 Paesi partecipanti di una linea di credito a titolo di finanziamento di emergenza a favore dei compartimenti nazionali all’interno del Single Resolution Fund. 54 Secondo le previsioni normative, i fondi di garanzia debbono raggiungere entro il 2024 un livello obbiettivo pari allo 0,8% delle masse protette, che, nel caso italiano, supponendo una crescita dei depositi del 3% l’anno equivale a poco meno di 5 mld; un ammontare irrisorio, se si pensa che i depositi protetti delle quattro banche ammontavano a circa 12 miliardi ed esse rappresentavano soltanto l’1% del sistema bancario italiano. È del pari evidente che il meccanismo della depositor preference non può porre rimedio a questa situazione. Il problema riguarda anche il Fondo Unico di Risoluzione, le cui disponibilità a livello europeo, una volta completato, sarebbero dell’ordine di circa 57 miliardi di euro. Per questa ragione, a parte il recente accordo indicato alla nota precedente, in molti Paesi esistono meccanismi di supporto pubblico, ancorché la Direttiva 49/2014 esplicitamente affermi che «La presente direttiva non dovrebbe comportare la responsabilità degli Stati membri o delle loro autorità pertinenti nei confronti dei depositanti, nella misura in cui essi hanno vigilato affinché fossero istituiti e ufficialmente riconosciuti uno o più sistemi di garanzia dei depositi o degli stessi enti creditizi, capaci di assicurare l’indennizzo o la tutela dei depositanti alle condizioni definite dalla presente direttiva» (considerando n. 45).

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critiche, ha mostrato comunque la necessità di intervenire con interventi correttivi, sia del sistema della normativa europea nel suo complesso, sia di tipo specifico, relativamente alla BRRD. Nell’ambito degli interventi del primo tipo, si collocano anche quelli derivanti dalle innovazioni che tra breve si avranno per effetto dell’entrata in vigore a fine anno della Direttiva 2017/2399, che ha modificato la BRRD55, e della introduzione dei nuovi bond di “secondo livello”, destinati ad assorbire le perdite in caso di crisi56, l’adozione delle temute nuove regole contabili nella valutazione dei crediti (Ifrs9)57 e gli effetti dell’Addendum preannunciato dalla BCE in materia di trattamento contabile dei NPL58.

55 La modifica della BRRD riguarda «il trattamento dei titoli di debito chirografario nella gerarchia dei crediti in caso di insolvenza»; la nuova Direttiva è stata recepita dal nostro ordinamento con la legge di bilancio 2018, il cui art. 1, co. 1103 – 1105, ha modificato il t.u.b., all’art. 12, co. 4-bis, introdotto l’art. 12-bis e, all’art. 91, co. 1-bis, aggiunto la lett. c-bis e, per gli intermediari finanziari diversi dalle banche, ha aggiunto analoghe previsioni al t.u.f. con l’art. 60-bis, 4-bis. 56 Cfr. V. Puledda, Arriva il bond del terzo tipo “cuscinetto” nelle crisi bancarie, in la Repubblica, 9 luglio 2017. 57 Il Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, dott. Panetta, in un convegno recente a Roma (18 settembre scorso), su questo punto ha sottolineato l’incongruenza che si creerà, in mancanza di una disciplina armonizzata dei criteri contabili, tra i Paesi, come l’Italia, in cui le regole contabili sono applicate da tutte le banche, indipendentemente dalla loro dimensione, e quelli, come la Germania, nella quale l’applicazione dei nuovi standard sarà limitata alle banche vigilate direttamente dalla BCE. Cfr. Ninfole, Panetta: servono norme omogenee nell’Unione bancaria, in MF, 19 settembre 2017. 58 La BCE sembra intenzionata ad adottare misure particolarmente severe in tema di NPL, integrando la Guida, resa pubblica nel marzo dello scorso anno, sia in termini di ammontare assoluto, che non dovrebbe superare il 10% degli impieghi, sia per quanto riguarda i criteri di valutazione degli stock, che dovrebbero portare all’accantonamento integrale del valore nominale entro due anni per i crediti chirografari e entro sette anni per quelli garantiti. Questa iniziativa delle BCE ha generato critiche sotto due distinti profili, uno di carattere formale, in quanto trattandosi di regole di carattere generale non potrebbero essere adottate in sede di esercizio dei poteri di vigilanza, ma soltanto attraverso interventi normativi, nell’ambito del primo pilastro. Il secondo motivo di critica riguarda l’eccessiva attenzione riservata ai NPL (e quindi al rischio delle banche italiane che detengono un terzo dello stock europeo, ma che sono impegnate in una efficace azione di smaltimento) rispetto ad altre situazioni possibili fonti di rischio di gran lunga superiore a quello che potrebbe derivare dai NPL e che caratterizzano alcune grandi banche internazionali. Cfr. sul punto Fubini, I “titoli opachi” delle banche UE. Nei bilanci per 6.800 miliardi, in Corriere della Sera, 28 dicembre 2017; Ninfole, Banche, ecco il rischio illiquidi, in MF, 28 dicembre 2017. La BCE non sembra peraltro particolarmente colpita da queste critiche

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Oltre quelle già ricordate, le più incisive provengono dal Ministro spagnolo dell’Economia59, il quale ritiene che si debba costituire una sorta di Fondo Monetario Europeo trasformando l’ESM (European Stability Mechanism), con poteri accresciuti rispetto a quelli attuali, compreso il controllo di una percentuale dei budget nazionali60; la mutualizzazione del debito sarebbe soltanto la fase finale di questo processo, che dovrebbe essere focalizzato piuttosto sulla integrazione delle politiche economiche e sulle riforme strutturali dei singoli Stati. Su un piano più concreto, un componente autorevole del Board della BCE61, dopo aver riconosciuto che il fondo unico europeo di garanzia dei depositi (EDIS) è un progetto di lungo termine, ha sottolineato: i) la necessità che la banche si dotino di titoli destinati ad assorbire le perdite e a proteggere i contribuenti in caso di dissesto, i bond appunto di secondo livello, ricordati in precedenza; ii) l’opportunità di dotare la BCE e l’Autorità di Risoluzione di poteri ulteriori, quale ad esempio quello di disporre una sospensione dei pagamenti, simile a quella prevista dall’art. 74 del t.u.b., al fine di evitare fughe di depositi (come nel caso del Banco Popular)62 e iii) sul piano più generale, una maggiore integrazione dei sistemi giuridici nazionali, che consenta, tra l’altro, la possibilità di gestione del problema dei crediti problematici (NPL) in un ambito non solo nazionale. Sul primo punto, una posizione analoga è stata assunta dalla Presidente del Single Resolution Board, che aggiunge anzi che i requisiti

e pare stia solo pensando ad uno slittamento della data di entrata in vigore di queste regole, piuttosto che alla loro modifica. Cfr. sul punto B. Romano, Bruxelles accelera sul pacchetto NPL, in Il Sole24Ore, 17 gennaio 2018. Il 18 gennaio scorso la Commissione UE ha presentato un rapporto sui progressi delle banche nello smaltimento dei NPL e confermata per la primavera l’adozione di misure, anche di carattere normativo (Primo Pilastro), che si affiancheranno a quelle di vigilanza (Secondo Pilastro) della BCE (calendar provisioning) dirette a singole banche. Cfr. Ninfole, Npl, in primavera il paino Ue, in MF, 19 gennaio 2018. 59 Buck, Spain urges ‘aggressive’ reform of eurozone, in Financial Times, 15 giugno 2017. 60 La proposta è stata recepita dalla Commissione, che nel dicembre scorso ha presentato una proposta di Regolamento (Proposal for a Council Regulation on the establishment of the European Monetary Fund, COM (2017) 827, 6 dicembre 2017. 61 La Vice Presidente, Sig.ra Lautenschläger, cfr. V. Jones e Benham, cit. 62 Si ipotizza un periodo massimo di 5 giorni. Evidentemente il periodo di congelamento deve essere breve, per evitare effetti indotti sulla clientela che potrebbe essere micidiali, bloccando le imprese e la loro capacità di adempimento, pur in presenza di disponibilità. Cfr. V. Chocron, Vade-mecum de la faillite bancaire, in Le Monde, 16 settembre 2017.

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MREL (Minimum Requirement for own funds and Eligible Liabilities)63 non potranno essere inferiori all’8% del passivo e anzi molto superiori in taluni casi, ribadendo anche lei la necessità di una rapida soluzione del problema dei NPL, ancora senza alcun riferimento ai rischi ben più insidiosi e gravi derivanti dai misteriosi derivati in possesso delle grandi banche internazionali. Non mi pare invece condivisibile – e peraltro se ne parla ora sempre meno – il discorso della inaccettabile retroattività del bail-in; in realtà, di retroattivo – sul piano sostanziale e al di là del fatto formale - in questa disciplina non vi è assolutamente nulla64. Le obbligazioni subordinate sono oggi quello che sono sempre state e se una banca è posta in liquidazione coatta, sulla base delle disposizioni della nostra legge fallimentare e del t.u.b. e senza alcuna applicazione delle norme europee, le conseguenze sostanziali sarebbero anche peggiori di quelle che derivano dall’applicazione del bail-in nella procedura di risoluzione. Se si considera che la banca che viene sottoposta a risoluzione è una banca insolvente, ci si accorge della ragionevolezza dell’applicazione nell’ambito della procedura di risoluzione delle disposizioni proprie del procedimento concorsuale, nell’ottica di un salvataggio dell’azienda e non della banca come istituzione, per ragioni di interesse pubblico65. Le modalità sono diverse, ma la sostanza non cambia. I limiti di questa indagine non consentono di sviluppare questo problema sicuramente importante ed enfaticamente enunciato; mi limito soltanto a segnalare che il punto, ancora una volta, è un altro e non è giuridico, ma di fatto, e cioè che i portatori di obbligazioni subordinate fino ad oggi erano sempre stati rimborsati in tutti i casi di dissesto, at-

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I titoli di secondo livello di cui prima si è detto si collocano all’interno del MREL e quindi ai fini della determinazione della sua consistenza. 64 V. tuttavia Lener, Profili problematici del bail-in¸ Intervento al Convegno di Studi del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, Roma, 22 gennaio 2016, il quale, richiamando anche una nota pronuncia della Corte Costituzionale austriaca (Hypo Adria Alpe Bank) ipotizza una possibile violazione delle norme costituzionali in materia di diritto di proprietà, tutelate a livello europeo anche dalla CEDU, ed esprime il dubbio che ai crediti sorti prima dell’entrata in vigore del bail-in possano applicarsi conseguenze così dirompenti, come quelle appunto previste da questa misura, tra le quali, in particolare, la svalutazione totale del credito, senza neppure la possibilità di insinuarsi al passivo della banca, come invece è consentito nella liquidazione concorsuale ordinaria. 65 Così, in modo del tutto persuasivo, Inzitari, BRRD, bail in, risoluzione della banca in dissesto, condivisione concorsuale delle perdite (d.lgs. 180/2015), in questa Rivista, 2016, I, p. 6.

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traverso altri strumenti di salvataggio e quindi non avevano/hanno una reale percezione del rischio dei titoli che compravano, allo stesso modo, a mio parere, di quelli che ad essi li vendevano. A parte questa situazione tipica del nostro Paese e che ha influenzato in modo determinante la gestione delle crisi da parte delle Autorità fin dall’entrata in vigore della BRRD, la razionalizzazione dei meccanismi operativi del bail-in oggettivamente si pone e la strada che le Autorità Europee hanno indicato, come prima si è detto, è quella di una speciale categoria di titoli di debito, riservati agli investitori qualificati, che subisca gli effetti del bail-in dopo gli strumenti di capitale e i titoli obbligazionari subordinati, a protezione delle obbligazioni ordinarie e degli altri strumenti chirografari, nell’ordine previsto dalla Direttiva.. L’entità della raccolta che i nuovi titoli richiederanno è imponente e non è certo che sarà trovata, almeno a livelli di remunerazione del rischio accettabili per la banca che li emette; ciò che comunque è certo è che per l’impianto effettivo del nuovo sistema occorrerà ancora un tempo non breve.

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Cartolarizzazione dei crediti di leasing e articolazione del patrimonio. Sommario: 1. Articolazione patrimoniale e autonomia privata. – 2. La cartolarizzazione di crediti deteriorati (NPL) di leasing. – 3. La società veicolo di “garanzia” nella cartolarizzazione dei crediti di leasing. – 4. Per un’analisi funzionale dei modelli di separazione patrimoniale.

1. Articolazione patrimoniale e autonomia privata. La recente novella della legge 130/1999 sulla cartolarizzazione dei crediti – introdotta con l’art. 60-sexies della l. 96/2017 di conversione del d.l. 50/2017, relativa alle operazioni su crediti deteriorati, anche di leasing – offre lo spunto per alcune riflessioni sugli statuti di separazione patrimoniale riconosciuti dal nostro ordinamento1. È noto che il sistema

1 Sul fenomeno della autonomia, separazione e segregazione patrimoniale, in generale, Donadio, I patrimoni separati, Bari, 1940; Pino, Il patrimonio separato, Padova, 1950; Raynaud, La nature juridique de la dot. Essai de contribution à la théorie générale du patrimoine, Paris, 1934; Jaeger, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento, Milano, 1968; Mignoli, Idee e problemi nell’evoluzione della “company” inglese, in Riv. soc., 1960, p. 633 ss.; Rascio, Destinazione di beni senza personalità giuridica, Napoli, 1971; Guinchard, L’affectation des biens en droit privé français, Paris, 1976; Jackson, Kronman, Secured Financing and Priorities among Creditors, 88 Yale L. J. 1105 (1979); Schwartz, Security Interests and Bankruptcy Priorities: a Review of Current Theories, 10 J. Leg. St. 1 (1981); Roppo, Par condicio creditorum sulla posizione e sul ruolo del principio di cui all’art. 2741 c.c., in Riv. dir. comm., 1981, I, p. 305; L. Bigliazzi Geri, Patrimonio autonomo e separato, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 280 ss.; Id., A proposito di patrimonio autonomo e separato, in Studi in onore di Pietro Rescigno, II.1, Milano, 1998, p. 105; Ferro Luzzi, La disciplina dei patrimoni separati, in Riv. soc., 2002, p. 121 ss.; Zoppini, Autonomia e separazione del patrimonio nella prospettiva dei patrimoni separati della società per azioni, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 545 ss.; Spada, Persona giuridica e

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è stato caratterizzato da una rapida evoluzione: la dottrina tradizionale condivideva unanime l’affermazione che i patrimoni separati rappresentassero una deroga, ammessa soltanto in casi tassativamente previsti dalla legge, al principio della universalità e generalità della responsabilità patrimoniale (artt. 2740-2741 c.c.) e che, soltanto in fattispecie eccezionali il legislatore interrompesse la ordinaria corrispondenza tra soggettività e unicità del patrimonio, consentendo di destinare – a vantaggio esclusivamente di alcuni creditori – una parte di beni e diritti al soddisfacimento di uno scopo individuato. Dagli anni Novanta del secolo scorso sono stati progressivamente introdotti e regolati nuovi istituti, riconoscendo altresì ai privati, entro certi limiti e condizioni, il potere di configurare patrimoni separati. Pur con un’estrema semplificazione, che rischia di sembrare apodittica, si può descrivere questa evoluzione secondo due direttrici principali: da un lato, l’introduzione progressiva di nuove figure di patrimoni separati2; dall’altro, la diversa morfologia della struttura delle singole

articolazioni del patrimonio: spunti legislativi recenti per un antico dibattito, in Riv. dir. civ., 2002, p. 842 ss.; Bianca, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996, p. 115; Iamiceli, Unità e separazione dei patrimoni, Padova, 2003; Morace Pinelli, Atti di destinazione, trust e responsabilità patrimoniale del debitore, Milano 2007, p. 257 ss.; Id. Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche, in Commentario Scialoja-Branca-Galgano, a cura di De Nova, Bologna, 2017; Capaldo, Patrimoni separati (voce), in Diritto Civile, a cura di Martuccelli e V. Pescatore, Milano, 2011, p. 1201 ss. Salamone, Gestione e separazione, Padova, 2001. 2 Si richiama qui la Convenzione dell’Aja del 1985 ratificata con l. 364/1989 sul riconoscimento di trusts costituiti all’estero e il dibattito sulla figura del trust cd. amorfo. In generale sul trust, Lipari, Fiducia statica e trusts, in Studi in onore di R. Scognamiglio, I, Roma 1997, p. 347 ss.; P. Rescigno, Notazioni a chiusura di un seminario sul trust, in Eur. dir. priv., 1998, 453 ss.; Palermo, Sulla riconducibilità del trust interno alle categorie civilistiche, in Riv. dir. comm., 2000, I, p. 133 ss.; Id, Contributo allo studio del trust e dei negozi di destinazione disciplinati dal diritto italiano, ivi, 2001, I, p. 391 ss.; Castronovo, Trust e diritto civile italiano, in Vita not., 1998, p. 1323 ss.; M. Lupoi, Trusts, Milano 2001, spec. p. 565 ss.; Gazzoni, Tentativo dell’impossibile (osservazioni di un giurista non vivente su trust e trascrizione), in Riv. not., 2001, p. 11 ss.; Id., In Italia tutto è permesso, anche quel che è vietato,(lettera aperta a Maurizio Lupoi sul trust e su altre bagattelle), ivi, p. 1247 ss.; e naturalmente le repliche di M. Lupoi, Riflessioni comparatistiche sui trusts, in Eur. dir. priv., 1998, p. 425 ss.; Id, Lettera di un Notaio conoscitore di trust, in Riv. not., 2001, p. 1159 ss.; R. Lener, La circolazione del modello del trust nel diritto continentale del mercato mobiliare, in Riv. soc., 1989, p. 1050 ss..; Gambaro, Notarella in tema di trascrizione degli acquisti immobiliari del trustee ai sensi della XV Convenzione dell’Aja, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 257 ss.

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fattispecie di separazione, la quale tende sempre più a lasciare ai privati il potere di modellarne i relativi statuti3. Quanto al primo profilo, è noto che, nel tempo, hanno visto la luce istituti sempre più sensibili alle istanze economiche e gestionali delle imprese, ma anche alla realizzazione di interessi – genericamente – meritevoli di tutela (art. 2645-ter c.c.)4. Le diverse fattispecie presentano regole complesse, talvolta rispondenti all’esigenza della imputazione dei diritti; talaltra a quella della limitazione di responsabilità5; più spesso l’elaborazione di nuove ipotesi di patrimoni separati è funzionale alla realizzazione di ingegnose operazioni finanziarie6.

3 Sul punto sia consentito rinviare a Capaldo, Autonomia privata e statuti di responsabilità patrimoniale. I finanziamenti destinati ad uno specifico affare, in Gli strumenti di articolazione del patrimonio. Profili di competitività del sistema, a cura di Mi. Bianca e Capaldo, Milano, 2010, p. 65 ss. 4 Si veda, da ultimo, la legge 112/2016 in materia di assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare che all’art. 6 disciplina l’istituzione di trust, vincoli di destinazione e fondi speciali composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione. Sull’atto di destinazione ex 2645-ter c.c., Falzea, Riflessioni preliminari, in La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione. L’art. 2645-ter del codice civile, a cura di Mi. Bianca, Milano 2007, p. 3 ss.; Oppo, Brevi note sulla trascrizione di atti di destinazione (art. 2645 ter c.c.), in Riv. dir. civ., 2007, p. 1 ss.; S. Bartoli, Riflessioni sul «nuovo» art. 2645 ter c. c. e sul rapporto fra negozio di destinazione di diritto interno e trust, in Giur. it., 2007, p. 5; M. Bianca, Vincoli di destinazione del patrimonio, in Enc. gur., XV (agg.), Roma 2007; Petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione, in Riv. dir. civ., 2006, II, p. 161 ss.; Morace Pinelli, Atti di destinazione, trust e responsabilità patrimoniale del debitore, cit., p. 257 ss.; Lenzi, Le destinazioni atipiche e l’art. 2645 ter c.c., in Contr. impr., 2007, I, p. 229 ss.; R. Quadri, L’art. 2645 ter e la nuova disciplina degli atti di destinazione, in Contr. impr., 2006, p. 1717 ss.; D. Rossano, Trust interno e meritevolezza degli interessi, in Notariato, 2008, p. 251 ss. 5 La separazione patrimoniale, prevista dalle norme in materia di contratti aventi ad oggetto prestazioni di servizi di investimento (artt. 22 e 36 d.lgs. 58/1998), permette di distinguere il patrimonio del singolo investitore, sia da quello degli altri investitori, che da quello dell’intermediario; rispondendo sia alla finalità di individuare la titolarità di singoli strumenti finanziari e di somme di danaro, che a quella di verificare il corretto operare dell’intermediario e il risultato della gestione. In questo caso, quindi la segregazione non realizza né la funzione di limitare la responsabilità, né risolve un problema tecnico di imputazione di diritti. È un sistema contabile che consente la corretta e trasparente esecuzione del contratto, a tutela dell’investitore non rilevando, quindi, sul piano della responsabilità patrimoniale. 6 Tra gli altri, Capaldo, I patrimoni separati nella struttura delle operazioni finanziarie, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, p. 201 ss.

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Per quanto attiene al secondo profilo, l’ordinamento non dispone di una definizione che detti la struttura dei fenomeni di separazione7. Orbene, è indubbio che ogni figura di patrimonio separato si componga di una pluralità variegata di elementi costitutivi8; ciò nonostante, appare possibile individuare un modello comune cui ricondurre almeno tre elementi essenziali: a) il vincolo di destinazione, cioè lo scopo per il quale è consentita la separazione patrimoniale9; b) l’oggetto del patrimonio

7 La limitata presenza di definizioni legislative nel nostro codice risponde ad una precisa opzione di tecnica legislativa, sul problema diffusamente Belvedere, Il problema delle definizioni nel codice civile, Milano, 1977, passim, ma spec. p. 43 ss.; Giuliani, Logica (teoria dell’argomentazione), in Enc. dir., XXV, Milano, 1975, pp. 13 ss., spec. 31 ss. per gli sviluppi del dibattito sul metodo tipologico nella dottrina tedesca Larenz, Methodenlehre der Rechtswissenshaft6, Berlin, 1991, p. 301 ss.; e per una diversa impostazione Kuhlen, Typuskonzeptionen in der Rechtstheorie, Berlin, 1977, p. 23 ss.; sul più ampio dibattito relativo ai concetti giuridici, si segnalano qui soltanto Pugliatti, La logica e i concetti giuridici, in Riv. dir. comm., 1941, I, p. 197 ss.; in Diritto Civile. Metodo - Teoria – Pratica, Milano, 1951, p. 667 ss.; Bobbio, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, p. 342 ss.; F. D’Alessandro, Recenti tendenze in tema di concetti giuridici, in Riv. dir. comm., 1967, I, p. 15 ss.; ora in Scritti giuridici, I, Milano, 1997, p. 51 ss.; G. Benedetti, L’autonomia privata nel sistema del codice civile. Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, in Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale2, Napoli, 1997, p. 3 ss. P. Rescigno, Commento all’art. 1, in Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di Alpa e Capriglione, I, Padova, 1998, p. 9 ss.; nel diverso e più ampio orizzonte della filosofia ermeneutica Benedetti, Diritto e linguaggio. Variazioni sul «diritto muto», in Europa dir. priv., 1999, pp. 137 ss., spec. 140 ss.; intorno all’evolversi del metodo e del linguaggio giuridico Id., Appunti storiografici sul metodo dei privatisti e figure di giuristi, in Prelazione e retratto, Seminario coordinato da G. Benedetti e L.V. Moscarini, Milano, 1988; e in Raccolta di scritti in memoria di Angelo Lener, Napoli, 1988, p. 241 ss. 8 Intorno al tramonto della logica della fattispecie e della fattispecie come strumento del discorso del civilista che “non indica un contenuto, ma una struttura, uno schema logico e si riduce a un concetto, se si vuole a una categoria. Che, in quanto tale, sta.” G. Benedetti, Fattispecie e altre figure di certezza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p. 1103 ss.; S. Orlando, Fattispecie, comportamenti, rimedi. Per una teoria del fatto dovuto, ivi, 2013, p. 1033 ss. 9 In generale, sui vincoli di destinazione si vedano C.M. Bianca, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, in Riv. dir. civ., 1988, p. 434 ss.; Fusaro, Destinazione (vincoli di), in Dig. disc. Priv., sez. civ., V, Torino, 1989, p. 321 ss.; Id., Vincoli temporanei di destinazione e pubblicità immobiliare, in Contratto e impresa, 1993, p. 820; Id. “Affectation”, “Destination” e vincoli di destinazione, in Scritti in onore di R. Sacco, t. II, Milano, 1994, p. 455 ss.; Id., I vincoli contrattuali di destinazione degli immobili, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, Trattato diretto da F. Galgano, t. III, Torino, 1995, p. 2229 ss.; De Nova, Il principio di unità della successione

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separato, i.e. quali sono i beni e i rapporti attivi e passivi, che possono essere – nel singolo caso – oggetto di separazione o di conferimento al patrimonio; c) la regola di responsabilità patrimoniale, che stabilisce quali categorie di creditori possono aggredire – e attraverso quali azioni – i beni e i diritti oggetto del patrimonio separato e a quali, invece, siffatta facoltà risulta preclusa. La disciplina del fondo patrimoniale (art. 167 ss. c.c.) rappresenta il paradigma della figura: in esso il legislatore predetermina lo scopo, indicandolo nell’esigenza di far fronte ai bisogni della famiglia; l’oggetto del patrimonio, ossia beni immobili, beni mobili iscritti in pubblici registri e titoli di credito; infine, la regola di responsabilità patrimoniale, secondo la quale il creditore non può aggredire il fondo per l’adempimento di debiti, che conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia (art. 170 c.c.). Con i patrimoni destinati ex art 2447 bis e ss., introdotti dalla riforma del diritto societario e ancor più, con l’art. 2645 ter c.c., il legislatore non ha stabilito tutti questi elementi, ma ha lasciato un certo margine all’autonomia privata nell’individuazione dello scopo10, dell’oggetto11 ed entro certi limiti anche della regola di responsabilità patrimoniale12. A fronte del riconoscimento di siffatto potere,

e la destinazione dei beni alla produzione agricola, in Riv. dir. agr., 1979, p. 550 ss.; Alpa., Proprietà-potere di destinazione e vincoli di destinazione, in Dizionario di diritto privato, Torino, 1985, p. 322; Id., Destinazione dei beni e struttura della proprietà, in Riv. not., 1983, I, p. 6; Id., Funzione sociale della proprietà e potere di destinazione dei beni, in Quad. reg., I, 1988, p. 37 ss., spec. p. 51; Tamponi, Una proprietà speciale (Lo statuto dei beni forestali), Padova, 1983; Confortini, Vincoli di destinazione, in Dizionario di diritto privato, a cura di Irti, Milano, 1980, p. 871 ss.; Chianale, Vincoli negoziali di indisponibilità, in Scritti in onore di R. Sacco, t. II, Milano, 1994, p. 1999 ss.; Aa. Vv., Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Milano, 2003. 10 All’art. 2447-bis c.c. indicato, genericamente, in uno “specifico affare”, che sarà, di volta in volta, valutato dalla società in funzione delle esigenze imprenditoriali. 11 Nel patrimonio ex art. 2447-bis c.c. di tipo a) l’oggetto è sinteticamente individuato entro un massimo del 10% dei rapporti attivi e passivi esistenti nel bilancio della società, nella figura di tipo b) ex art. 2447-decies è indicato nei “proventi” (futuribili) derivanti dall’affare. 12 Secondo l’art. 2447-quinquies c.c., qualora la deliberazione istitutiva del patrimonio separato non disponga diversamente, per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare, la società risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato purché, gli atti compiuti in relazione ad esso rechino espressa menzione del vincolo. La norma sembra avere carattere dispositivo e lasciare alla società il potere di decidere se, e fino a che punto, limitare la propria responsabilità patrimoniale rispetto alle obbligazioni derivanti dall’affare, offrendo maggiori o minori tutele ai cd. creditori dell’affare. In questa ipotesi emerge un forte margine di autonomia, che appare ancor più marcato

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emerge l’esigenza di individuare i canoni del corretto agire dei privati nella concreta realizzazione dei loro interessi13, che soltanto una più compiuta analisi del sistema può contribuire a soddisfare.

nella figura di patrimoni di tipo b), sul punto Capaldo, Autonomia privata e statuti di responsabilità patrimoniale. I finanziamenti destinati ad uno specifico affare, cit., p. 69 ss. Sul tema della tutela dei creditori nell’ambito dei patrimoni destinati della riforma del diritto societario cfr. Fimmanò, Patrimoni destinati e tutela dei creditori nella società, per azioni, Milano, 2008, cit., p. 43. In generale sul tema dei patrimoni destinati, si vedano P. Ferro Luzzi, La disciplina dei patrimoni separati, in Riv. soc., 2002, p. 121 ss.; B. Inzitari, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Soc., 2003, pp. 295 ss.; Fimmanò, Il regime dei patrimoni dedicati di s.p.a. tra imputazione atipica dei rapporti e responsabilità, ivi, 2002, p. 960 ss.; De Angelis, Dal capitale “leggero” al capitale “sottile”: si abbassa il livello di tutela dei creditori, ivi, 2002, p. 456 ss.; Rabitti Bedogni, Patrimoni dedicati, in Riv. not., 2002, I, p. 1121 ss.; Becchetti, Riforma del diritto societario. Patrimoni separati, dedicati e vincolati, ivi, 2003, I, p. 49 ss.; Lamandini, Società di capitali e struttura finanziaria: spunti per la riforma, in Riv. soc., 2002, p. 139 ss. 13 Sulla misura del corretto agire dei privati nella individuazione dello scopo della destinazione, si rinvia alla vastissima letteratura in tema di causa, funzione e valutazione di meritevolezza degli interessi, per la quale si segnalano, senza alcuna pretesa di esaustività, alcuni tra i contributi più significativi: M. Giorgianni, Causa (dir. priv.), in Enc. dir., VI, Milano, 1960, p. 547 ss.; Betti, Causa, in Noviss. Dig., III, Torino, 1959, p. 32 ss.; S. Pugliatti, Nuovi aspetti del problema della causa dei negozi giuridici, in In memoria di Giacomo Venezian, Messina, 1934, p. 187 ss.; ora in Diritto civile. Saggi, Milano, 1951, p. 75 ss.; Id., Precisazioni in tema di causa del negozio giuridico, in Nuova riv. dir. comm., 1947-48, I, p. 13 ss.; ora in Diritto civile. Saggi, cit., p. 105 ss.; Nicolò, Aspetti pratici del concetto di causa, in Riv. dir. comm., 1939, II, p. 10 ss.; Gorla, Causa, consideration e forma nell’atto di alienazione inter vivos, in Riv. dir. comm., 1952, I, pp. 173 ss. e 257 ss.; Id., La «causa» nel pensiero dei giuristi di common law, in Riv. dir. comm., 1951, I, p. 344 ss.; A. Di Majo, Causa del negozio giuridico, in Enc. giur. Treccani, IV, Roma, 1988, p. 1 ss.; Sacco - De Nova, Il contratto2, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, X, 1, Torino, 1993, p. 635 ss.; Aa. Vv., Causa e contratto nella prospettiva storico-comparatistica, a cura di Vacca, Torino, 1997, p. 245 ss.; Alpa, La causa e il tipo, in I contratti in generale, a cura di E. Gabrielli, I, in Tratt. contratti diretto da P. Rescigno, Torino, 1999, p. 542 ss.; Roppo, Il contratto, Milano, 2001, p. 361 ss. Per l’elaborazione della nozione di causa come funzione economico-sociale Betti, Teoria generale del negozio giuridico2, in Trattato di diritto civile, diretto da Filippo Vassalli, XV.2, Torino, 1960, p. 171 ss.; sulla nozione di causa come funzione economico-individuale G.B. Ferri, Causa e tipo del negozio giuridico, Milano, 1966; per una valorizzazione degli interessi che le parti realizzano attraverso il regolamento contrattuale Bessone, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1969, p. 138 ss.; intorno al giudizio di liceità nei negozi tipici, Palermo, Funzione illecita e autonomia privata, Milano, 1972, pp. 85 ss. e 163 ss.; Grassetti, Rilevanza dell’intento giuridico in caso di divergenza dall’intento empirico, in Studi Economico-Giuridici dell’Università di Cagliari, Milano, 1936, p. 109 ss. In generale sulla valutazione di meritevolezza degli interessi realizzati G.B. Ferri, Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale, in Riv. dir. comm., 1971, II, p. 81 ss.; M. Nuzzo, Utilità

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2. La cartolarizzazione di crediti deteriorati (NPL) di leasing. Com’è noto, la legge 30 aprile 1999, n. 130 detta una disciplina generale in materia di cartolarizzazione dei crediti14, realizzate mediante cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari, sia esistenti sia futuri, individuabili in blocco se si tratta di una pluralità di crediti15. Lo schema delle operazioni, che su un piano tecnico-finanziario si presenta analogo per qualsiasi categoria di attivo patrimoniale, richiede che: i) le somme corrisposte dai debitori ceduti siano «destinate in via esclusiva, dalla società cessionaria, al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi, dalla stessa o da altre società, per finanziare l’acquisto di tali crediti, nonché al pagamento dei costi dell’operazione» (art. 1, 1° co. lett. b); ii) i crediti oggetto di cessione, a ulteriore tutela dei prenditori dei ti-

sociale e autonomia privata, cit., p. 91 ss.; Id., Negozio giuridico IV, Negozio illecito, in Enc. giur. Treccani, XX, 1990, p. 1; Guarneri, Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale del contratto, in Riv. dir. civ., 1994, I, p. 799 ss.; P. Barcellona, Intervento statale e autonomia privata nella disciplina sociale dei rapporti economici, Milano 1969, p. 219 ss.; Gazzoni, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ., 1978, I, p. 52 ss. 14 Sulla cartolarizzazione dei crediti, l. 30 aprile 1999, n. 130, si vedano, tra gli altri, i contributi di AA.VV., Cartolarizzazione. Aspetti teorici e applicazione pratica, Morbidelli, a cura di, Torino, 2002; Schlesinger, La cartolarizzazione dei crediti, in Riv. dir. civ., 2001, II, p. 265 ss.; Gabriele, La cartolarizzazione dei crediti: tipizzazione normativa e spunti analitici, in Giur. comm., 2001, I, pp. 512 ss., spec. 536; Carota, Della cartolarizzazione dei crediti, Padova, 2002; Bessone, Cartolarizzazione dei crediti. «Soggetti», disciplina delle attività, garanzie di pubblica vigilanza, in Dir. banc., 2003, p. 3 ss.; sul tema della traslazione del rischio realizzata all’interno delle operazioni di cartolarizzazione cfr. S. Maccarone, Gli strumenti di articolazione del patrimonio nell’esperienza bancaria, in Gli strumenti di articolazione del patrimonio, cit., p. 77 ss. 15 Sul problema dei crediti futuri si veda l’ampio e approfondito studio di Troiano, La cessione di crediti futuri, Padova, 1999, p. 205 ss. che offre molteplici spunti di teoria generale; Schlesinger, La cartolarizzazione dei crediti, cit., p. 265 ss.; Gabriele, op. cit., pp. 512 ss., spec. 536; Macario, Trasferimento del credito futuro ed efficacia verso i terzi: lo «stato dell’arte» (di giudicare), in Riv. dir. priv., 2000, p. 437 ss.; Inzitari, Cessione strumentale dei crediti e finanziamento del fornitore quali funzioni assorbenti la causa di finanziamento e gestione del contratto di factoring, in Fall., 2001, p. 523 ss.; Id., Cessione di crediti, mandato all’incasso e cessione di crediti in garanzia, in Il dif. fall. soc. comm., 2000, p. 1282 ss.; Dolmetta e Portale, Cessione del credito e cessione in garanzia nell’ordinamento italiano, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, p. 76 ss.; La Porta, La causa del trasferimento del credito, gli effetti preliminari e la disposizione del diritto futuro, ivi, 1998, II, p. 709 ss. (in nota a Trib. Bari, 27 luglio 1996 e Trib. Bari, 6 novembre 1996); Torsello, I rapporti tra le parti del contratto di factoring tra disciplina uniforme e molteplicità delle fonti, in Contr. impr., 1999, p. 538 ss., spec. 581 ss.

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toli, siano costituti in patrimonio separato da quello della società veicolo e da quello di eventuali altre operazioni gestite dalla medesima veicolo e su di esso non siano ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti (art. 3, co. 2 l. 130/1999)16. La separazione patrimoniale opera, da un lato, come “segregazione” di singoli beni e diritti, con uno specifico vincolo di destinazione nel patrimonio della società veicolo; dall’altro, invece, come possibilità di realizzare limitazioni al principio dell’universalità della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. separando, appunto, una serie di rapporti. Il patrimonio separato, avente ad oggetto il complesso dei crediti ceduti e destinato al servizio del prestito emesso, svolge: i) la funzione di creare un’apposita garanzia, diversa e distinta dal capitale sociale, per i prenditori dei titoli; ii) la funzione altresì di limitare la responsabilità della società cedente e di circoscrivere la responsabilità della società veicolo, rispetto ai prenditori dei titoli emessi per l’acquisto dei crediti. I numerosi, successivi, interventi sulla materia hanno consentito di giovarsi di sempre maggiori opportunità finanziarie, ma non ne hanno mutato né la struttura, né la funzione delle operazioni17. L’art. 7.1 della l. 130/1999 – fantasiosamente inserito tra l’art. 7 e l’art. 7-bis, in occasione della conversione con l. 96/2017 del d.l. 50/2017, (art. 60-sexies)- regola le operazioni di cartolarizzazione di crediti deteriorati realizzate da banche e intermediari finanziari18. Tra le principali novità sollecitano l’attenzione dell’interprete:

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Ai sensi dei commi 2-bis e 2-ter - introdotti con l’art. 12, comma 1 del d.l. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito in l. 21 febbraio 2014, n. 9 e poi modificati dall’art. 22, co. 6, lett. c) del d.l. 24 giugno 2014, n. 91, convertito in l. 11 agosto 2014, n. 116 – l’inammissibilità delle azioni è estesa ai conti delle società cessionarie o emittenti i titoli, dove vengono accreditate le somme corrisposte dai debitori ceduti o qualsiasi altra somma comunque di spettanza della società. 17 Si pensi per esempio all’art. 7-bis l. 130/1999 sulle obbligazioni bancarie garantite (cd. Covered bond), inserito con d.l. 35/2005; ai cd. minibond all’art. 1-ter, introdotto dall’art. 22, co. 6, lett. c) del d.l. 24 giugno 2014, n. 91, convertito in l. 11 agosto 2014, n. 116; al d.l. 18/2016, convertito in l. 37/2016 sulla concessione della garanzia dello Stato alle operazioni di cartolarizzazione di crediti in sofferenza (cd. Gacs) 18 Per uno studio comparativo sull’efficienza economica delle operazioni di cessione e di cartolarizzazione dei NPL cfr., da ultimo, Bolognesi, Compagno, Galdiolo e Miani, The Npl disposal problem: a comparison between sale and securitization, in Bancaria, n. 2/2017, pp.40 e ss.

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i) la possibilità per le società di cartolarizzazione, resesi cessionarie di crediti deteriorati, di concedere finanziamenti volti a migliorare le prospettive di recupero e a favorire il ritorno in bonis del debitore ceduto (art. 7.1 co. 2), purché la gestione (co. 7) – tanto dei crediti ceduti, che dei finanziamenti concessi – sia affidata a una banca o a un intermediario finanziario iscritto nell’albo dell’art. 106 del d.lgs. 385/199319; ii) la possibilità (art. 7.1, co. 3), sempre al medesimo fine, per le società di cartolarizzazione – che operino nell’ambito di piani di riequilibrio economico e finanziario, concordati con il soggetto cedente o di accordi stipulati ai sensi degli artt. 124, 160, 182-bis e 186-bis del R.D. 267/1942 o di altri accordi, o procedure di risanamento o di ristrutturazione analoghe – sia di concedere finanziamenti, che di acquisire o sottoscrivere azioni, quote e altri titoli e strumenti partecipativi derivanti dalla conversione di parte dei crediti del cedente, al di fuori dell’applicazione degli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c.20. La regola strutturale (art. 3, co. 2 l. 130/1999), che pone al servizio della cartolarizzazione dei crediti ogni somma incassata in pagamento dai debitori ceduti – costituendola in un patrimonio separato, destinato al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi e al pagamento dei costi dell’operazione – si estende, com’è naturale, alle somme in qualsiasi modo rivenienti da tali azioni, quote e altri titoli e strumenti partecipativi;

19 La concessione del finanziamento dovrà rispettare le condizioni fissate all’art. 1, comma 1-ter della legge e cioè che i prenditori siano banche o intermediari finanziari iscritti nell’albo ex art. 106 d.lgs. 385/1993, i titoli siano destinati a investitori qualificati e la banca o l’intermediario finanziario trattenga un significativo interesse economico (cd. retention, allo stato non inferiore al 5%) nell’operazione, che sarà valutato sulla base delle disposizioni di attuazione della Banca d’Italia emanate con l’Aggiornamento del 8 marzo 2016 della Circolare 285/2013 “Disposizioni di vigilanza per le banche” e della Circolare 288/2016 “Disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari”. 20 Nell’ipotesi in questione il comma 8 dell’art. 7.1, l. 130/1999 fissa in capo alla società di cartolarizzazione l’obbligo di individuare un soggetto, dotato di adeguata competenza e requisiti e autorizzazioni di legge, cui conferire compiti di gestione e amministrazione e potere di rappresentanza da esercitare nell’interesse dei prenditori dei titoli. Nel caso tale soggetto sia una banca, o un intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’art. 106 d.lgs 385/1993, società di intermediazione mobiliare, o società di gestione del risparmio, si incaricherà anche di verificare la conformità alla legge e al prospetto informativo dell’attività e delle operazioni della società di cartolarizzazione.

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iii) la semplificazione (art. 7.1, co. 6) 21 del regime di pubblicità dettato per la cessione non in blocco di crediti deteriorati, al fine della produzione degli effetti ex art. 1264 c.c.22; iv) la facoltà di costituire (art. 7.1, co. 4) una società veicolo che affianchi un’operazione di cartolarizzazione di crediti deteriorati, anche di leasing e che abbia come «oggetto sociale esclusivo il compito di acquisire, gestire e valorizzare, nell’interesse esclusivo dell’operazione di cartolarizzazione, i beni immobili e mobili registrati nonché gli altri beni e diritti concessi o costituiti, in qualunque forma, a garanzia dei crediti oggetto di cartolarizzazione, ivi compresi i beni oggetto di contratti di locazione finanziaria, anche se risolti, eventualmente insieme con i rapporti derivanti da tali contratti». Anche in questo caso il legislatore, costituisce in patrimonio separato «le somme in qualsiasi modo rivenienti dalla detenzione, gestione o dismissione di tali beni e diritti, dovute dalla società veicolo alla società di cartolarizzazione», in quanto le assimila a tutti gli effetti ai pagamenti effettuati dai debitori ceduti.

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L’avviso di avvenuta cessione, ex art. 7.1, co. 6 l. 130/1999, dovrà essere iscritto nel registro delle imprese e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale e dovrà contenere «l’indicazione del cedente, del cessionario, della data della cessione, delle informazioni orientative sulla tipologia di rapporti da cui i crediti ceduti derivano e sul periodo in cui tali rapporti sono sorti o sorgeranno, nonché del sito internet in cui il cedente e il cessionario renderanno disponibili, fino alla loro estinzione, i dati indicativi dei crediti ceduti e la conferma della avvenuta cessione ai debitori ceduti che ne faranno richiesta. Dalla data di pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale, nei confronti dei debitori ceduti si producono gli effetti indicati all’articolo 1264 del codice civile e i privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente, nonché le trascrizioni nei pubblici registri degli atti di acquisto dei beni oggetto di locazione finanziaria compresi nella cessione conservano la loro validità e il loro grado a favore del cessionario, senza necessità di alcuna formalità o annotazione. Restano altresì applicabili le discipline speciali, anche di carattere processuale, previste per i crediti ceduti». 22 In generale, sul sistema di pubblicità delineato dall’art. 58 d.lgs. 385/1993 richiamato all’art. 4 dell l. 130/1999, Vattermoli, Commento sub art. 58, in Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina e Santoro, Testo Unico Bancario, Commentario, Milano, 2010, pp. 518 ss.; Capaldo, Regimi di pubblicità e ricchezza mobiliare, in Mariconda, Verde, Trapani, Capaldo e Atlante, Le Pubblicità, Napoli, 2009, p. 315 ss. Per una ricostruzione dogmatica del concetto di conoscenza in senso psicologico e in senso legale cfr. autorevolmente G. Benedetti, La funzione partecipativa, cit., p. 107 ss. e L. Barassi, La notificazione necessaria nelle dichiarazioni stragiudiziali, Roma - Milano - Napoli, 1906; F. Carresi, I fatti spirituali nella vita del diritto, in Riv. trim., 1956, p. 419; S. Pugliatti, Conoscenza, in Enc. dir., IX, Milano 1961, p. 45 ss.

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v) nel caso di un’operazione di cartolarizzazione di NPL di leasing, ove la cessione riguardi non solo i beni oggetto di locazione finanziaria, ma anche i relativi contratti, o i rapporti giuridici derivanti dalla risoluzione di tali contratti di locazione finanziaria, l’art. 7.1 co. 5 fissa alcuni requisiti per la società veicolo23. In questi casi, infatti, la società veicolo per così dire di “garanzia” deve: a) essere consolidata nel bilancio di una banca, anche se non facente parte di un gruppo bancario; b) essere costituita per ogni singola operazione di cartolarizzazione; c) liquidata una volta conclusa l’operazione. La norma dispone, altresì, che ogni limitazione dell’oggetto sociale, delle possibilità operative e della capacità di indebitamento debba risultare dalla disciplina contrattuale e statutaria24.

3. La società veicolo di “garanzia” nella cartolarizzazione dei crediti di leasing. La novella sulla cartolarizzazione dei NPL di leasing introduce, quindi, all’art. 7.1, co. 4, la possibilità di costituire una società veicolo con le seguenti caratteristiche: i) forma della società di capitali; ii) oggetto esclusivo di gestione, valorizzazione e acquisizione di beni mobili registrati, beni immobili, o altri beni o diritti comunque posti a garanzia dei crediti oggetto di cartolarizzazione, comprensivi dei beni, oggetto di contratti di locazione finanziaria, anche ove siano stati risolti, ed eventualmente dei rapporti derivanti da tali contratti; iii) perseguimento

23 Deve segnalarsi che in sede di legge di bilancio 2018 era stato presentato, poi espunto, un progetto di riforma di alcuni aspetti di questa disciplina, tra i quali, la possibilità di consolidare la società veicolo anche nel bilancio di altro intermediario finanziario (e non necessariamente di una banca) e di cedere immobili viziati da irregolarità urbanistiche e catastali. 24 Il co. 5 prevede altresì che «gli adempimenti derivanti dai contratti e rapporti di locazione finanziaria ceduti ai sensi del presente articolo sono eseguiti dal soggetto che presta i servizi indicati nell’articolo 2, comma 3, lettera c), ovvero da un soggetto abilitato all’esercizio dell’attività di locazione finanziaria individuato ai sensi del comma 8 del presente articolo. Le disposizioni in materia fiscale applicabili alle società che esercitano attività di locazione finanziaria si applicano integralmente alla società veicolo cessionaria dei contratti e rapporti di locazione finanziaria e dei beni derivanti da tale attività. Alle cessioni di immobili effettuate dalla medesima società si applicano integralmente le agevolazioni originariamente previste dall’articolo 35, comma 10-ter.1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248».

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dell’oggetto sociale – cioè la gestione di questi beni – nell’interesse esclusivo dell’operazione di cartolarizzazione; pertanto, le somme, che in qualsiasi modo dovessero derivarne sono destinate, in quanto assimilate ai pagamenti effettuati dai debitori ceduti, in via esclusiva al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi e al pagamento dei costi dell’operazione. In sostanza, quindi, nella cartolarizzazione ex art. 7.1, co. 4 sono attive due società veicolo: una prima società veicolo, SPV1, la quale acquista il pacchetto dei crediti attraverso l’emissione di titoli sul mercato (o attraverso un finanziamento); una seconda società veicolo, SPV2, la quale ha per oggetto la gestione dei collaterali e che è tenuta a destinare qualsiasi tipo di somma, derivante dalla valorizzazione dei beni, al servizio della cartolarizzazione di SPV1. Questa disciplina fornisce un osservatorio privilegiato per valutare come il legislatore modella e plasma le diverse forme di separazione patrimoniale. Nello “schema base” di cartolarizzazione ricorre ad un nuovo soggetto – la SPV1– e all’interno del suo patrimonio, costituisce un patrimonio separato, cui conferisce i crediti oggetto di cessione. La funzione di questa fattispecie di segregazione è, certamente, come si è già richiamato, quella di limitare la responsabilità patrimoniale, ma anche di costituire una forma di garanzia rappresentata dai cash flows derivanti dai crediti la cui valutazione finanziaria diviene, pertanto, elemento essenziale della fattispecie complessa di cartolarizzazione25. Già in questa prospettiva emerge che la limitazione della responsabilità non costituisce la finalità tipica della separazione patrimoniale, ma, soltanto, lo strumento

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Per il tema dei beni e diritti futuri si veda, Pugliatti, Beni e cose in senso giuridico, Milano, 1962, pp. 54 ss. 252 ss.; Maiorca, La cosa in senso giuridico. Contributo alla critica di un dogma, Torino, 1937, p. 246; Id., Il pegno di cosa futura e il pegno di cosa altrui, Milano, 1938, p. 4 ss.; Pino, Contributo alla teoria giuridica dei beni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1948, p. 825 ss.; per le diverse nozioni di res futura Perlingieri, I negozi su cosa futura, cit., p. 10 ss.; Demogue, Des droits éventuels et des hypothèses dans lesquels ils prennent naissance, in R.T.D.civ., 1905, p. 723 ss.; Id., De la nature et des effets des droits éventuels, ivi, 1906, p. 231. Per una prospettiva di teoria generale, A. Falzea, Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Milano, p. 454 ss.; Id., La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941, p. 20 ss.; Scalisi, Inefficacia, cit., p. 349 ss.; Verdier, Les droits éventuels. Contribution à l’étude de la formation successive des droits, Paris, 1954, p. 50 ss. Sulla nozione di aspettativa si vedano, tra gli altri, Nicolò, Aspettativa, in Enc. giur. Treccani, I, Torino, 1988, p. 1; Pelosi, Aspettativa di diritto, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., I, Torino, 1987, p. 468. Sul problema Irti, La teoria delle vicende del rapporto giuridico (per una ristampa di un libro di M. Allara), in Riv. dir. civ., 1999, I, pp. 411 ss., spec. 417.

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per la realizzazione di un’ulteriore finalità: l’equilibrio, l’efficienza e la garanzia di complesse operazioni finanziarie. Nello schema dell’art. 7.1, co. 4, la norma introduce invece una seconda società veicolo, nella quale da un lato si conferiscono un complesso di attivi in garanzia, dall’altro si destinano tutti i flussi, in qualsiasi modo rivenienti dalla gestione o dismissione di questi beni o diritti, al servizio di un’operazione di cartolarizzazione realizzata dall’altra società veicolo – la SPV1– a cui questa è solo accessoria. Quindi, l’ordinamento ricorre ad un nuovo soggetto di diritto anche per acquistare, valorizzare, gestire i beni e i diritti in garanzia, separandoli in via definitiva dal patrimonio del cedente, ma creando un vincolo di accessorietà e di destinazione delle somme, eventualmente ricavate, rispetto a quelle da corrispondere (da parte della prima società veicolo SPV1) ai prenditori dei titoli. Nella prassi recente sono state realizzate cartolarizzazioni di NPL di leasing attraverso la costituzione – in luogo di una società veicolo di “garanzia” – di un patrimonio destinato ex art. 2447-bis c.c. di tipo a) cui conferire il complesso di beni e diritti costituiti o concessi in garanzia. In sostanza, anche nel complesso sistema normativo della finanza strutturata, l’autonomia privata ha potuto realizzare effetti sostanzialmente equivalenti a quelli della creazione di un soggetto di diritto, come poi previsto dalla norma introdotta all’art. 7.1, co. 4 l. 130/1999. È chiaro che tra le due soluzioni – patrimonio destinato, società veicolo – ricorrono diversità di trattamento fiscale, contabile, regolamentare; ma soprattutto la “forza” della garanzia. In un momento economico di crisi del mercato del credito, la possibilità di costituire una società veicolo – dotata di un regime chiaro e definito, in una parola “tipica” – accessoria ad un’operazione di cartolarizzazione di NPL rende probabilmente più attrattiva per il mercato – rispetto ad una figura di patrimonio ex art. 2447-bis lett. a) – l’emissione dei titoli cartolarizzati. La differenza risiede nella certezza delle regole: quanto al regime giuridico del veicolo; alla responsabilità patrimoniale; alla valutazione del contegno dei privati nella scelta tra i modelli possibili per realizzare il medesimo fine.

4. Per un’analisi funzionale dei modelli di separazione patrimoniale. Tra i molti strumenti che l’attuale ordinamento propone all’autonomia privata per specializzare la responsabilità patrimoniale, secondo i più si ritiene che la separazione del patrimonio sia strumento fungibile rispetto a quello della costituzione di un nuovo soggetto di diritto. Infatti, sul piano per così dire “soggettivo” l’articolazione della responsabilità patri-

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moniale (del soggetto di diritto) può realizzarsi i) attraverso l’istituzione di patrimoni in regimi giuridici distinti o, come si suole dire, di separazioni patrimoniali endo-soggettive; o ii) per il tramite della creazione di un autonomo soggetto di diritto26. La classificazione che appare così limpida, in realtà, si arricchisce di un’altra serie di ipotesi che vedono il concorrere di patrimoni e responsabilità di più soggetti, con il possibile superamento di eventuali schermi societari. In sostanza, in alcuni casi un “centro d’imputazione di interessi” – che potrebbe essere a sua volta un patrimonio separato – risponde con un’altra “entità”, ad esso legata in molte e diverse modalità, a diverso titolo con il rispettivo patrimonio. La materia trova un punto di emersione nella disciplina fallimentare, contabile e fiscale quale, per esempio, nell’articolato trattamento dei creditori del patrimonio separato in caso di fallimento della società o nei gruppi di società27. Lo schermo societario entra in crisi, così come gli statuti di responsabilità patrimoniali sono sempre più malleabili e modulabili sulle specifiche finalità perseguite. L’analisi presenta interesse soprattutto perché mentre nella maggioranza degli altri ordinamenti si tende a superare la differenza tra persona giuridica e legal entity – intesa come nozione economica più che sistematica, corrispondente a qualsiasi tipo di organizzazione dotata di una qualche forma di autonomia patrimoniale – il nostro sistema, invece, non consente ancora variazioni più o meno fantasiose sulla persona giuridica; pertanto appare opportuno impostare il superamento della dicotomia sulla falsariga delle tutele che sono – o dovrebbero essere – approntate in situazioni funzionalmente equivalenti. Dal canto suo, il legislatore, ampliandone gli istituti, ha da un lato favorito il fenomeno della separazione; dall’altro ha, talvolta, seguito l’autonomia privata consentendole di creare soggetti ad hoc, laddove essa era già arrivata con lo strumentario della separazione. Certamente, deve tenersi in considerazione che non sempre è consentita la creazione

26 Da ultimo Ventura, Il patrimonio separato tra equivalenza funzionale e asimmetrie normative, in Dir comm. int., 2016, p. 161 ss. 27 Si pensi alla nozione di controllo, come criterio fondante della contabilizzazione degli accordi contrattuali di partnership tra due o più entità, definiti accordi a controllo congiunto o Joint Agreements (joint operations e joint ventures). In questa prospettiva, il modello di controllo supera la cornice della società in senso stretto, per estendersi anche alla società di scopo. I criteri sono: i) esercizio del potere sull’entità oggetto d’investimento; ii) esposizione ai rendimenti variabili dell’entità oggetto d’investimento; iii) capacità di esercitare in concreto il potere.

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di un autonomo soggetto, né è indifferente la scelta tra i due modelli; a ciò si aggiunge l’esigenza di disporre, in un quadro di certezza del diritto, di chiari canoni di valutazione del corretto agire dei privati. Le figure di patrimoni separati possono, quindi, rappresentare una interessante prospettiva di approfondimento e misura dei nuovi orizzonti in tema di soggettività, patrimonio e garanzia.

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El tratamiento de los concursos de sociedades pertenecientes al mismo grupo en la ley concursal española sumario. 1. Introducción. – 2. La acumulación de los concursos de varias sociedades del mismo grupo. – 2.1. Consideraciones generales. – 2.2 La legitimación activa. – 2.3. El momento en el cual cabe instar la acumulación posterior. – 2.4. Análisis de las concretas medidas de coordinación. – 2.4.1. La concentración de las competencias judiciales; a) Aspectos generales; b) Los criterios de atribución de competencia; c) Los conflictos positivos de competencia. – 2.4.2. El nombramiento de una administración concursal común. – 2.4.3. El condicionamiento de los convenios; a) Concepto y clases de condicionamiento; b) Supuestos en los que cabe y legitimación para presentar propuestas condicionadas; c) La fase de pendencia; d) El incumplimiento de la condición. – 3. La consolidación de las masas. – 3.1. Concepto y admisibilidad en el ordenamiento jurídico español. – 3.2. Supuesto en el que cabe y distinción de figuras afines. – 3.3. Efectos de la consolidación de masas; 3.4. El procedimiento. – 4. Las novedades de la propuesta de texto refundido de la ley concursal.

1. Introducción. En el Ordenamiento jurídico español, los concursos de sociedades pertenecientes al mismo grupo constituyen el supuesto estrella de los concursos conexos: ciertamente, de todas las categorías de procedimientos concursales vinculados que la Ley Concursal considera «concursos conexos» (arts. 25 y 25 bis LC)1, los concursos de sociedades del mismo grupo son el fenómeno más habitual. El presente trabajo tiene por objetivo el análisis de las peculiaridades que derivan de considerar

1 Además de los concursos de sociedades del mismo grupo, son concursos conexos los de los cónyuges y miembros de la pareja de hecho inscrita, de quienes tuvieran los patrimonios confundidos, de los administradores, socios, miembros o integrantes personalmente de las deudas de la persona jurídica y de quienes sean miembros o integrantes de una entidad sin personalidad jurídica y respondan personalmente de las deudas contraídas en el tráfico en nombre de ésta (arts. 25 y 25 bis LC).

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como conexos a los concursos de varias sociedades pertenecientes al mismo grupo. Con carácter previo, sin embargo, debemos realizar dos advertencias, ambas encaminadas a acotar, en beneficio de los lectores, el ámbito de nuestro análisis. En primer lugar, queda fuera del objeto de este trabajo el estudio de los institutos preconcursales referidos a varias sociedades de un grupo (o, si se prefiere, quedan fuera los «preconcursos conexos» o las refinanciaciones de grupo)2. En segundo lugar, a lo largo de las páginas que siguen se aborda la problemática de los grupos en sede concursal exclusivamente en tanto que concursos conexos. No entraremos, por consiguiente, en otros muchos aspectos particulares del tratamiento de los grupos en el concurso (por ejemplo, en materia de acciones de reintegración o en relación a la consideración de las sociedades que lo integran como personas especialmente relacionadas, así como la consiguiente subordinación crediticia). Una cuestión previa es la referida al concepto de «grupo» que debe tenerse en cuenta en sede concursal. La Ley 38/2011 aclaró este extremo (disposición adicional 6.ª LC, que remite al art. 42.1 CCom), por lo cual (con independencia de la valoración que al respecto pueda hacerse)3, lo comentado en las páginas que siguen solo resultará de aplicación a los grupos verticales o por subordinación. Quedan así excluidos los grupos horizontales o por coordinación4. Por otra parte, no cualesquiera

2 Nos hemos ocupado extensamente de esta cuestión en Flores, Las refinanciaciones de grupo, Anuario de Derecho Concursal, núm. 40 (2016), pp. 11 a 78. 3 El concepto de grupo que rige en materia concursal es un concepto «estricto» (arts. 42.1 CCom y 18 TRLSC), de modo que deben excluirse las situaciones que giran en torno a la desaparición del elemento de la unidad de decisión como criterio integrador y explicativo de la existencia del fenómeno grupal. Tal exclusión ha sido criticada por López Aparcero, Concepto de grupo de sociedades y concurso, en Anuario de Derecho Concursal, núm. 26 (2012), p. 260; Sánchez-Calero e Fuentes, El concepto estricto de grupo en la Ley Concursal, en Revista de Derecho Mercantil, núm. 291 (2014), pp. 617 y 618; Flores, Los concursos conexos, Cizur Menor, 2014, pp. 41 y ss. 4 Véase Sánchez Álvarez, Los grupos en los acuerdos de refinanciación y de puerto seguro, en Revista de Derecho Concursal y Paraconcursal, núm. 22 (2015), p. 140. También García-Rostán, El proceso concursal ante insolvencias conexas. Declaración conjunta de concursos y acumulación de concursos pendientes en la Ley Concursal, versión vigente tras la Ley 25/2015, de 28 de julio, Valencia, 2015, p. 25; y Nieto Delgado, Concurso, grupo de sociedades y administración concursal tras la reforma de 2011, en Revista de Derecho Concursal y Paraconcursal, núm. 19 (2013), p. 257. Una postura crítica con la solución legal puede encontrarse en López Aparcero, Concepto, cit., p. 260 y en Flores, Los concursos conexos, cit., p. 43.

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miembros de un grupo vertical podrán acogerse al tratamiento que ahora abordamos. Deberá tratarse, en primer lugar, de personas jurídicas, quedando en consecuencia excluidas las personas físicas. Y deberán ser, en segundo lugar, personas jurídicas que revistan forma societaria. Así puede deducirse de la atenta lectura de los preceptos de la Ley Concursal que aluden a los concursos conexos (véanse los arts. 25 a 25 ter LC), en los cuales se hace constante alusión a las «sociedades» que los componen5. Bien es cierto que, recientemente, el Tribunal Supremo ha afirmado que, para que exista un grupo de sociedades a efectos concursales, no es necesario que quien ejerce o puede ejercer el control sea una sociedad mercantil (véase la Sentencia de la Sala de lo Civil del Tribunal Supremo de 15 de marzo de 2017)6. De esta forma, el grupo existe a pesar de que las sociedades implicadas sean ambas filiales o dominadas, y aunque ese control sea ejercido indirectamente por una persona física o jurídica distinta de una sociedad mercantil. Aparentemente, sin embargo, el tratamiento que la Ley Concursal habilita para los concursos de miembros de un grupo solo procedería cuando dichos miembros revistieran forma societaria: esto es, en un escenario como el abordado por el Alto Tribunal en su reciente sentencia, serían concursos

5 Como ya habían señalado algunos de los comentaristas de la versión derogada de la Ley Concursal, esta opción legislativa parece injustificada, puesto que excluye tanto a las personas físicas como a las personas jurídicas que no revistan forma societaria (como, por ejemplo, las fundaciones). Ante la común práctica empresarial consistente en situar en la cabecera de un grupo a una persona física o una fundación, resulta desafortunada la restricción que marca la Ley. Véase, por ejemplo, Duque Domínguez, Artículo 25. Acumulación de concursos, en Pulgar Ezquerra; Alonso Ledesma; Alonso Ureba y Alcover Grau (dirs.), Comentarios a la Ley Concursal, Madrid, 2004, p. 517; Bonet Navarro, Artículo 25. Acumulación de concursos, en Bercovitz Rodríguez-Cano (coord.), Comentarios a la Ley Concursal, Madrid, 2004, p. 239; Garnica Martín, Artículo 25. Acumulación de concursos, en Sagrera Tizón; Sala Reixachs y Ferrer Barriendos (coords.), Comentarios a la Ley Concursal, Barcelona, 2004, pp. 301 y 302; Sánchez Álvarez, El concepto de grupo en la Ley Concursal, en AA. VV., Estudios sobre la Ley Concursal en homenaje a Manuel Olivencia, Madrid, 2005, p. 2314; y Embid Irujo, Grupos de sociedades y Derecho concursal, en AA. VV., Estudios sobre la Ley Concursal en homenaje a Manuel Olivencia, Madrid, 2005, p. 1896, quien insiste en que la versatilidad del concepto de grupo permite, cada vez más, la integración en él, sobre todo en su cabecera mediante el ejercicio de la dirección unitaria, de personas físicas y fundaciones. También Embid Irujo, La inserción de una fundación en un grupo de empresas: problemas jurídicos, en Revista de Derecho Mercantil, núm. 278 (2010), pp. 1373 a 1400, y Fuentes, Grupos de sociedades y protección de acreedores (una perspectiva societaria), Pamplona, 2007, pp. 44 y 45. 6 Recurso 2321/2014, ponente: Rafael Sarazá Jimena.

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conexos los de las sociedades dominadas. Sin embargo, no lo sería el eventual procedimiento concursal sobre la persona física que ostenta el control del grupo. Estructuraremos nuestro análisis en tres partes. La primera de ellas está dedicada al estudio del régimen general previsto para el tratamiento de los concursos de sociedades pertenecientes al mismo grupo (o, si se prefiere, el régimen general que el Ordenamiento jurídico pone a disposición de los concursos conexos): la acumulación de concursos. Este tratamiento (plenamente facultativo) engloba – o puede englobar – varios efectos, todos ellos dirigidos a coordinar los distintos procedimientos. La segunda parte está dedicada a una interesante excepción al régimen general: la polémica (y, por qué no decirlo, incómoda) consolidación de masas. Finalmente, en la tercera parte de este trabajo se abordarán las novedades que el texto refundido de la Ley Concursal ha introducido en esta materia.

2. La acumulación de los concursos de varias sociedades del mismo grupo. 2.1 Consideraciones generales. En España, el tratamiento que, en general, se prevé para los concursos de sociedades pertenecientes al mismo grupo se basa en la denominada «acumulación de concursos» (arts. 25 a 25 ter LC). La nota principal de este régimen es su facultatividad: se trata, en efecto, de un régimen opcional. En este sentido, nada obsta a que la tramitación de los distintos concursos se mantenga aislada, si así lo desean las partes interesadas. Existen dos modalidades de acumulación de concursos: una acumulación inicial (equivalente a la solicitud de declaración conjunta de concurso para los diversos deudores) y una acumulación posterior (aquella que se decreta una vez declarados los distintos concursos por órganos jurisdiccionales distintos). Ambas modalidades consisten, esencialmente, en el mismo régimen – con mínimas diferencias que serán oportunamente expuestas –, que podría resumirse con la expresión «juntos, pero no revueltos». Ciertamente, en virtud de la acumulación es posible articular distintos niveles de coordinación entre los concursos de las sociedades del grupo. De esta manera, la coordinación es susceptible de producirse – alternativa o cumulativamente – en torno a los siguientes

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ejes principales: el órgano jurisdiccional competente para conocer de los distintos procedimientos, la administración concursal o en la fase de convenio. No ignoramos que pueden darse exigencias de coordinación en la fase de liquidación o de calificación. Sin embargo, la Ley Concursal no contiene previsiones específicas al respecto7. 2.2 La legitimación activa. Respecto a la legitimación activa para solicitarla, existen ciertas diferencias entre la acumulación inicial y la posterior. Así, en el caso de la acumulación inicial, están activamente legitimados tanto los deudores como los acreedores (art. 25.1 y 2 LC)8. En otras palabras, cabe tanto la declaración conjunta de concursos voluntarios como de concursos necesarios, con la particularidad, eso sí, de que, si la solicitud proviene de un acreedor, este deberá ostentar créditos contra todas las sociedades del grupo cuyo concurso insta (así parece desprenderse de la literalidad

7 Sobre las específicas necesidades de coordinación susceptibles de darse en las fases de liquidación o de calificación, pueden consultarse los siguientes trabajos: Flores, Los concursos conexos, cit., pp. 287 y ss.; de la misma autora, La calificación en los concursos conexos, en Rojo y Campuzano (dirs.), La calificación del concurso y la responsabilidad por insolvencia, Cizur Menor, 2013, pp. 545 a 569 y La enajenación conjunta de los patrimonios de varias sociedades pertenecientes al mismo grupo en sede de liquidación concursal, en Rojo, Quijano y Campuzano (dirs.), La liquidación de la masa activa, Cizur Menor, 2014, pp. 849 a 866. 8 Como recuerda Enciso, Artículo 25, en Pulgar (dir.), Comentario a la Ley Concursal, Madrid, 2016, p. 430, la Ley 38/2011 reconoció expresamente la posibilidad declarar conjuntamente varios concursos voluntarios, solucionando así algunas dudas que se habían planteado al albor de la redacción originaria de la Ley Concursal, cuyo primitivo y derogado artículo 3.5 solo parecía admitir la declaración conjunta de varios concursos necesarios, esto es, a instancia del acreedor, que debía serlo de todas las personas cuya acumulación se pretendía, y ello cuando existiese confusión de patrimonios entre los deudores o, siendo personas jurídicas, formasen parte «de un mismo grupo con identidad sustancial de sus miembros y unidad en la toma de decisiones». Bajo el texto derogado (antiguo art. 3.5 LC), buena parte de la doctrina se manifestó a favor de la admisibilidad de la declaración conjunta de concursos voluntarios. V., en este sentido, Rojo, Artículo 3. Legitimación, cit., p. 220; Sánchez-Calero, Algunas cuestiones concursales relativas a los grupos de sociedades, en Anuario de Derecho Concursal, núm. 5 (2005), p. 41; Garnica Martín, Artículo 25. Acumulación de concursos, cit., p. 297; Vela Torres, Acumulación de concursos. Referencia a los grupos de sociedades, en Revista de Derecho Concursal y Paraconcursal, núm., 5 (2006), p. 271. También véase Pulgar Ezquerra, El concurso de sociedades integradas en un grupo, en Alonso Ledesma; Alonso Ureba y Esteban Velasco (dirs.): La modernización del Derecho de Sociedades de Capital en España. Cuestiones pendientes de reforma, t. II, Pamplona, 2011, p. 456.

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del precepto, que dispone que «el acreedor podrá solicitar la declaración conjunta de concurso de varios de sus deudores»). En ambos casos, es necesaria la concurrencia del presupuesto objetivo del concurso respecto de cada uno de los deudores. En otras palabras, el estado de insolvencia (actual, inminente o cualificada) ha de predicarse individualmente respecto de cada deudor: en el concreto ámbito de los grupos, no cabe solicitar la declaración conjunta de concurso de varias de sus sociedades integrantes, a menos que todas ellas sean insolventes9. Cuando la acumulación se solicita en un momento posterior, la legitimación activa se atribuye, con carácter principal, a cualquiera de los deudores y cualquiera de las administraciones concursales (art. 25 bis.1 LC). Sin embargo, con carácter subsidiario («en defecto de solicitud por cualquiera de los concursados o por la administración concursal») se concede legitimación activa a cualquiera de los acreedores (art. 25 bis.2 LC). Esta atribución de legitimación activa subsidiaria merece dos observaciones. En primer lugar, la parquedad del precepto induce a pensar que la legitimación se concede a cualquiera de los acreedores de cualquiera de los deudores, sin imposición de requisito adicional alguno. En concreto, no parece ser necesario que el acreedor ostente créditos contra todos y cada uno de los deudores cuyos concursos pretenden acumularse (la norma remarca que podrá solicitar la acumulación «cualquiera de los acreedores»). Así, un acreedor que ostente un crédito insignificante en la masa pasiva del deudor con menor pasivo del grupo podría instar (y lograr) la acumulación de todos los concursos del grupo. En segundo lugar, si bien hemos calificado la legitimación activa de los acreedores como subsidiaria (ya que opera en defecto de solicitud por parte de los legitimados principales: deudores y adminis-

9 Esta cuestión ha sido especialmente debatida en el caso de los concursos conexos por pertenencia de los deudores al mismo grupo. La CNUDMI se inclina por permitir únicamente la solicitud de declaración conjunta cuando cada uno de los deudores cumpla con el presupuesto objetivo de la declaración. Así se establece en la recomendación 199: «El régimen de la insolvencia tal vez especifique que se podrá presentar una solicitud conjunta de apertura de procedimientos de respecto de dos o más miembros de un grupo de empresas, cada uno de los cuales deberá satisfacer las condiciones exigibles para la apertura de un procedimiento». V. Guía Legislativa de la CNUDMI sobre el Régimen de la Insolvencia, parte III, § 11 y recomendación 200. Véase Flores, Los concursos conexos, cit., p. 121 y Enciso, Artículo 25, en Pulgar (dir.), Comentario a la Ley Concursal, Madrid, 2016, p. 432. Naturalmente, no existe inconveniente en admitir la declaración conjunta de concurso de unos deudores en situación de insolvencia actual y de otros en situación de insolvencia inminente.

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traciones concursales), obsérvese que la norma no fija un plazo dentro del cual los legitimados principales deban realizar la solicitud. Es decir, la Ley Concursal no establece un plazo dentro del cual la inactividad de los legitimados principales «active» la legitimación subsidiaria de los acreedores. De esta forma, los legitimados subsidiarios (los acreedores) podrán, en principio, solicitar la acumulación en cualquier momento10. 2.3 El momento en el cual cabe instar la acumulación posterior. Las reflexiones anteriores nos conducen a la siguiente cuestión, a saber: el lapso temporal en el cual cabe solicitar la acumulación posterior. La Ley Concursal no refiere ni el término inicial ni el término final. Así pues, ha de determinarse, en primer lugar, desde qué momento se puede solicitar la acumulación. En segundo lugar, habrá de precisarse hasta qué momento puede instarse. Por lo que respecta al término inicial, parece no existir ningún requisito que lo acote, una vez ampliada la legitimación para solicitar la acumulación. Téngase en cuenta que, antes de la reforma de 2011, cuando la legitimación para solicitar la acumulación sobrevenida de los concursos venía atribuida en exclusiva a la administración concursal (antiguo artículo 25 LC), no resultaba posible instar dicha acumulación en tanto esta no hubiese sido nombrada. Por consiguiente, actualmente la acumulación posterior puede solicitarse y acordarse en cualquier momento, una vez hayan sido declarados los concursos cuya acumulación se pretende. En cuanto al término final, al igual que ocurre con el término inicial, la ampliación de la legitimación ha eliminado el requisito de que la acumulación fuese instada antes de que cesase en su cargo la administración concursal (esto es, antes de que se dictase la sentencia aprobatoria del convenio, artículo 133.2 LC, o el auto de conclusión del concurso, artículo 178.1 LC, dependiendo de cuál fuese la solución del mismo)11. La flexibilidad que requiere la institución invita a realizar una interpretación lo más amplia posible, descartando soluciones que pudieran impedir el recurso a la acumulación por motivos preclusivos. Así pues, la solicitud de acumulación podrá realizarse en cualquier momento tras

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Véase Flores, Los concursos conexos, cit., p. 130. Extensamente sobre esta cuestión, Flores, Los concursos conexos, cit., pp. 133 y ss.

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la declaración de los concursos cuya acumulación se pretende12, ya sea durante la fase común, ya en un momento posterior13. A estos efectos, resulta irrelevante – en principio – que los concursos que se pretende acumular se encuentren en fases distintas. Ahora bien, lo óptimo es que se resuelva acumular en un estadio temprano de los procedimientos, esto es, cuando se encuentren en la fase común. Adelantar la tramitación coordinada no solo maximiza los efectos positivos de la acumulación, sino que también neutraliza los eventuales efectos negativos (como, por ejemplo, la necesidad de separar a las administraciones concursales para poder nombrar una administración concursal común). Pese a ello, no deberían existir obstáculos a que la acumulación se solicite y se acuerde una vez finalizada la fase común, siempre y cuando las circunstancias lo justifiquen14. Esta parece la solución más acorde con la finalidad del mecanismo, que no es otra que velar por los intereses de los concursos. Como es obvio, la conveniencia de la acumulación en un estadio tardío de los procedimientos se verá limitada por el impacto que pueda llegar a tener sobre los intereses de los distintos concursos, que irá disminuyendo hasta desaparecer por completo. Mas, por muy inútil que – con carácter general – devenga la medida según avanza la tramitación separada de los concursos acumulables, no debe descartarse la procedencia de la acumulación en atención a razones meramente temporales15. Aunque la carencia de un término preclusivo puede atentar contra la seguridad jurídica, debería primar la flexibilidad del mecanismo, ya que los beneficios que eventualmente es susceptible de reportar superan los inconvenientes de la incertidumbre que genera.

12 Así lo recomienda la Guía Legislativa de la CNUDMI sobre el Régimen de la Insolvencia, parte III, cap. II, § 27. 13 A favor de esta interpretación, García Rostán, La acumulación de concursos, Anuario de Derecho Concursal, núm. 20 (2010), p. 174, quien, pese a recomendar que se haga en la fase común, no ve inconveniente a que se haga posteriormente. También Garnica Martín, Artículo 25. Acumulación de concursos, cit., p. 314, quien entiende que cuanto antes se acumule, mejor, ya que la acumulación pretende economizar recursos. 14 Véase Garnica Martín, Artículo 25. Acumulación de concursos, cit., p. 314, y Alonso Cuevillas, Aspectos procesales de la reforma de la Ley Concursal (Ley 38/2011), en Revista de Derecho Concursal y Paraconcursal, núm. 16 (2012), p. 50. 15 V. Guía Legislativa de la CNUDMI sobre el Régimen de la Insolvencia, parte III, cap. II, § 27 y 28.

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2.4 Análisis de las concretas medidas de coordinación. Las medidas de coordinación entre procedimientos se articulan en torno a tres ejes fundamentales: la concentración de competencias judiciales, el nombramiento de una administración concursal común y el condicionamiento de los convenios. En relación con las dos primeras, obsérvese que, como la acumulación de concursos (y correlativa concentración de competencias judiciales) y el nombramiento de una administración concursal común son opcionales, resulta perfectamente posible que sean distintos jueces quienes tramiten los concursos de las diversas sociedades del grupo, así como que cada sociedad disponga de su propia administración concursal. En tal caso, la Ley Concursal no contempla deberes específicos de coordinación entre órganos jurisdiccionales o entre administraciones concursales, a diferencia, por ejemplo, de lo previsto en el Reglamento Europeo de Insolvencia (arts. 56 y ss. REI) y – a resultas de la última y reciente reforma – en la Insolvenzordnung alemana16. 2.4.1. La concentración de las competencias judiciales. A) Aspectos generales. La concentración de las competencias judiciales es el primer y principal efecto de la acumulación: así, a diferencia de cuanto ocurre con el resto de medidas de coordinación, no hay acumulación de concursos sin concentración de competencias judiciales17. Que un mismo órgano jurisdiccional conozca de los distintos concursos resulta consustancial a

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La reforma introducida en la Insolvenzordung para facilitar la tramitación de los procedimientos de insolvencia que, de forma simultánea o sucesiva, se abran sobre los patrimonios de sociedades pertenecientes a un mismo grupo, ha sido llevada a cabo por la Ley de 13 de abril de 2017 (Gesetz zur zur Erleichterung der Bewältigung von Konzerninsolvenzen). Sobre el originario proyecto de reforma puede consultarse Flores, La propuesta de reforma de la Insolvenzordnung en materia de concursos de sociedades pertenecientes al mismo grupo, en Anuario de Derecho Concursal, núm. 29 (2013), pp. 421 a 438. Se recomienda igualmente la lectura de Zenker, Entwicklungen im deutschen Insolvenzrecht, en Clavora/Kapp/Mohr (eds.), Insolvenz- und Sanierungsrecht sowie Exekutionsrecht, Viena, 2017, pp. 146 a 154, así como Berner, Zenker, Bemerkungen zum neuen Konzerninsolvenzrecht, en Festchrift Graf-Schlicker, pendiente de publicación. 17 Frente a ello, son perfectamente posibles supuestos de acumulación de concursos sin que se designe una administración común o sin que se condicionen los convenios de los distintos deudores.

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la acumulación de los concursos, precisamente porque dicha acumulación se produce frente a un órgano jurisdiccional. Los efectos positivos de la unión a nivel del órgano jurisdiccional pueden esperarse a raíz de la concentración de procedimientos, de la coordinación de los mismos y de la simplificación de estos. La concentración de varios procedimientos ante el mismo juzgado conduce a un desarrollo de los mismos económicamente más óptimo que el que se conseguiría con su seguimiento ante juzgados distintos. El motivo es, esencialmente, que todos los procedimientos descansan en la misma mano. La economía procesal lleva aparejada una reducción de costes, aunque debe hacerse una distinción en este punto. Los costes procesales netos o puros solo se reducen indirectamente con la concentración de competencias judiciales. Recuérdese que no se trata de la unificación de procedimientos (de forma que pase a haber solo uno). Al contrario, siguen existiendo varios procedimientos. Por ello, algunos costes se mantendrán intactos pese a la concentración. También puede lograrse un ahorro de costes porque la concentración de procedimientos en las manos del mismo juez permite un aprovechamiento más efectivo de la capacidad del juez (o un ahorro de energía jurisdiccional), sobre todo si se dan otras circunstancias en el tratamiento de los concursos conexos. Por ejemplo, se aprovecha mejor su actividad de supervisión y control si solo es necesario supervisar a una administración concursal. En los concursos conexos es de esperar que ciertos actores intervengan (de uno u otro modo) en varios procedimientos. Por ejemplo, en el caso de un grupo, la sociedad A puede ser deudora en un concurso, pero acreedora en otro(s). Así, cuando entre los concursos existe todo un entramado de relaciones económicas, patrimoniales, organizativas, personales o financieras, la concentración de procedimientos ante el mismo juez no solo facilita los flujos de información, sino también la relación de información18. En última instancia, esto redunda no solo en un mejor aprovechamiento de la información, sino también en un considerable ahorro de energía jurisdiccional (en definitiva, de un mejor aprovechamiento de la capacidad del juez). Ciertamente, cuando un único juez tiene que «recuperar» o «reconstruir» la compleja estructura que

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V. Ehricke, Die Zusammenfassung von Insolvenzverfahren mehrerer Unternehmen desselben Konzerns, Deutsche Zeitschrift für Wirtschafts– und Insolvenzrecht, núm. 9 (1999), pp. 354 y 355; y, del mismo autor, Das abhängige Konzernunternehmen in der Insolvenz, Tubinga, 1998, pp. 457 y ss.

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puede regir las relaciones entre deudores conexos (conocimiento que, previsiblemente, será aprovechable en varios concursos), se produce un manejo efectivo y eficiente de cada procedimiento. El juez conoce cada concurso sobre la base de la estructura que previamente ha reconstruido, lo cual redunda en la reducción de las demoras en la tramitación de los procedimientos. Por otro lado, la concentración de todos los concursos en las manos de un mismo juez permite evitar que se dicten resoluciones contradictorias, lo cual a menudo sucede cuando se inician incidentes paralelos sobre cuestiones vinculadas en procedimientos tramitados ante jueces distintos. Por último, el desarrollo eficiente de los diversos procedimientos beneficia no solo a los acreedores, sino también al mercado y a la economía en general, ya que la decisión acerca de la permanencia o mantenimiento de la empresa en crisis se toma más rápido, y se la sanea o liquida con mayor celeridad. Cuando la solución de los concursos implique la reorganización de un grupo, la concentración de los mismos ante un mismo juez puede ser determinante de cara al éxito de esta19. Piénsese que la reorganización de un grupo es, en última instancia, una cuestión de interrelación entre las sociedades que lo integran. De ahí la conveniencia de que el juez que supervisa los distintos procedimientos individuales sea el mismo. B) Los criterios de atribución de competencia. El aspecto central en relación con la concentración de competencias judiciales en el caso de los concursos conexos se refiere a los criterios de atribución de competencia. Esto es, se trata de determinar qué órgano jurisdiccional, de entre los que conocen de cada uno de los concursos conexos, será competente para conocer de todos ellos. En el caso de los concursos de sociedades pertenecientes al mismo grupo, la Ley Concursal establece criterios de atribución específicos, que difieren de los establecidos para los demás supuestos de concursos conexos. Estructuralmente, tanto en el caso de la declaración conjunta (o acumulación inicial) como en el caso de la acumulación posterior, se fija un criterio

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Véase Mertens, Empfiehlt sich die Einführung eines konzernbezogenen Reorganisationsverfahrens?, en Zeitschrift für Unternehmens – und Gesellschaftrechts, núm. 3 (1984), p. 559 y Ziegel, Corporate Groups and Cross Border Insolvencies: A Canada – United States Perspective, en FJCFL, núm. 7 (2001), p. 376.

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principal y un criterio subsidiario (previsto, este último, para el caso de que la dominante no se vea afectada). Sin embargo, como inmediatamente veremos, si bien el criterio principal es el mismo en ambas modalidades de acumulación, el criterio subsidiario varía en función de si se trata de una acumulación inicial o una acumulación posterior. Así, en caso de declaración conjunta de concurso, con carácter general es competente el juez donde radique el centro de intereses principales de la sociedad dominante. Subsidiariamente, para el caso de que la concurso no se solicite respecto de esta, ostenta competencia el juez donde esté el centro de intereses principales de la sociedad con mayor pasivo. En caso de acumulación posterior, el criterio principal es el mismo (en el caso de los grupos, es del centro de intereses principales de la sociedad dominante). Sin embargo, para el caso de que la dominante no hubiese sido declarada en concurso, será competente el juez que primero hubiera conocido del concurso de cualquiera de las sociedades del grupo. Obsérvese que, para la declaración conjunta de concurso, los criterios de atribución de competencia que emplea la Ley Concursal son ambos objetivos (el centro de intereses de la sociedad dominante o el de la sociedad con mayor pasivo), y, en consecuencia, de más difícil manipulación. Frente a ello, en el caso de la acumulación posterior se combina un criterio principal objetivo (de nuevo, el centro de intereses de la sociedad dominante) con un criterio temporal (el juez que primero hubiera conocido del concurso de cualquiera de las sociedades del grupo)20. C) Los conflictos positivos de competencia. El principal inconveniente de la acumulación sobrevenida de varios concursos conexos es la posibilidad de que surjan conflictos positivos de competencia entre los órganos jurisdiccionales involucrados21. En relación con el tratamiento de esta cuestión, el Tribunal Supremo ha mantenido criterios oscilantes. En efecto, se ha planteado si, acordada la acumulación por el juez conocedor del concurso de la sociedad dominante, los jueces que conocen de los concursos de las sociedades

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Llama la atención sobre esta disparidad Enciso, Artículo 25 bis, en Pulgar (dir.), Comentario a la Ley Concursal, Madrid, 2016, p. 446. 21 Véase, por ejemplo, Muñoz Paredes, El grupo de empresas y el procedimiento concursal, en Anuario de Derecho Concursal, núm. 43 (2018), pp. 122 y ss.

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dominadas están obligados a remitir los autos o si, por el contrario, pueden resistir el requerimiento sobre la base de la falta de oportunidad o conveniencia de la acumulación. En las dos ocasiones en las cuales se ha planteado esta cuestión, el Alto Tribunal ha defendido soluciones contrarias. Así, en el Auto de la Sala 1.ª de 22 de diciembre de 2011 (RJ 2012, 3529), el Tribunal Supremo consideró que el juez requerido de inhibición (conocedor del concurso de la sociedad dominada) sí podía controlar la oportunidad o conveniencia de la acumulación y resistirse a ella22. Sin embargo, pocos meses después, el Auto de la Sala 1.ª de 10 de abril de 2012 ( JUR 2012, 177800) sostuvo – de manera ciertamente escueta – que la acumulación, una vez acordada por el juez del concurso de la sociedad dominante, devenía imperativa para el juez que conoce del concurso de la dominada, sin que este pueda rechazar el requerimiento de inhibición23. 2.4.2 El nombramiento de una administración concursal común. La Ley Concursal contempla expresamente la posibilidad de nombrar una administración concursal única o común para la tramitación de varios concursos conexos (vigente art. 27.5, convertido en art. 27.8 LC por la Ley 17/2014, de 30 de septiembre; precepto este último que no ha entrado todavía en vigor debido a su falta de desarrollo reglamentario). El nombramiento de una administración concursal común es una medida de coordinación facultativa, no automática (el juez «podrá nombrar»). Se trata de la solución más flexible y, por lo tanto, la más susceptible de adaptarse a cada caso concreto. Piénsese que la fenomenología de los concursos conexos es muy variopinta, por lo que debe rechazarse el establecimiento de medidas automáticas que no dejen margen de discrecionalidad al juez a la hora de sopesar beneficios e inconvenientes24.

22 Un comentario de esta resolución puede encontrarse en Flores, La acumulación del concurso de la sociedad dominada al de la sociedad dominante (ATS 22.12.2011), en Anuario de Derecho Concursal, núm. 27 (2012), pp. 429 y ss. 23 Nos remitimos al comentario de la resolución en cuestión en Flores, En torno a la competencia judicial en materia de acumulación de concursos: (ATS 10 de abril de 2012), en Anuario de Derecho Concursal, núm. 28 (2013), pp. 411 y ss. Véase también, al respecto, Flores, Los concursos conexos, cit., pp. 137 y ss. 24 Sobre las distintas ventajas y los inconvenientes que pueden derivarse del nombramiento de una administración concursal común, véase Flores, Los concursos conexos, cit., pp. 187 a 194.

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A este respecto, deben destacarse tres elementos fundamentales. En primer lugar, el nombramiento de una administración concursal común, aun siendo facultativo, exige necesariamente la designación de auxiliares delegados. Si bien la literalidad del artículo 27.5 (o del 27.8 LC, puesto que la redacción es idéntica) invitaría a pensar que deberían ser varios los auxiliares delegados designados (v. gr., un auxiliar por cada sociedad concursada del grupo), lo cierto es que bastará con la designación de, al menos, un auxiliar delegado (art. 31.1-4.º LC). En segundo lugar, en caso de acumulación de concursos ya declarados (esto es, cuando ya existan administraciones concursales nombradas en cada concurso), la Ley Concursal aclara que el nombramiento de la administración concursal común puede recaer en una de las ya existentes. Se trata de una previsión que no aporta mucho, dado su contenido obvio y su carácter facultativo (efectivamente, la existencia de administraciones concursales previas no impide el nombramiento de una administración concursal común ex novo). En tercer lugar, la naturaleza potestativa de la previsión legal queda empañada por la inclusión de la expresión «en la medida en que resulte posible» (art. 27.8 LC). El precepto, de redacción desafortunada (ya que no resulta fácil imaginar una situación en la cual el nombramiento de una única administración concursal sea imposible) debe interpretarse en el sentido de que dicho nombramiento solo procederá «en la medida en que ello resulte viable o conveniente», esto es, siempre que de la adopción de esta medida de coordinación vayan a obtenerse – previsiblemente – ventajas en el interés de los distintos concursos conexos y que los posibles inconvenientes que puedan generarse queden neutralizados por aquellas25. No resulta difícil aventurar situaciones en las cuales el nombramiento de una administración concursal única no resulte conveniente, por el volumen de trabajo, por la complejidad de los concursos, o para prevenir previsibles conflictos de intereses en el seno de la administración concursal común. En efecto, suele sostenerse a favor de la acumulación la conveniencia de que una misma administración concursal controle todas las sociedades, lo que, se dice, repercutirá favorablemente en el devenir de los concursos por los menores costes, mayor facilidad de obtener información, la actuación coordinada, etc. Sin embargo, la experiencia demuestra que «no es oro todo lo que

25 Como se verá en la parte final de este trabajo, la propuesta de Texto Refundido de la Ley Concursal ha modificado esta cuestión en el sentido que proponemos.

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reluce» y que la administración concursal única provoca conflictos de intereses entre dominante y dominadas en materia de clasificación de créditos, acciones de reintegración y calificación, por lo que no ha de descartarse la posibilidad de proceder al nombramiento de distintas administraciones concursales que, de forma independiente, luchen por los activos y pasivos de «su» sociedad26. 2.4.3. El condicionamiento de los convenios. A) Concepto y clases de condicionamiento. La coordinación en la fase solutoria de los concursos conexos solo está prevista de forma expresa cuando dicha solución sea el convenio. El mecanismo de coordinación no es la elaboración de un único convenio para todos los deudores conexos, sino el condicionamiento de los múltiples convenios que se presenten y aprueben en los concursos correspondientes (art. 101.2 LC). En virtud del condicionamiento, uno de los convenios (el convenio condicionado o sometido a condición) mantiene en suspenso su eficacia en tanto no se apruebe con un contenido determinado (i. e., no devenga eficaz) otro convenio (el convenio referenciado o condicionante). El condicionamiento del convenio concursal es algo extremadamente excepcional: se trata de la única excepción que la norma prevé a la regla general de que cualquier propuesta que someta la eficacia del convenio a cualquier clase de condición se tendrá por no presentada (art. 101.1 LC). El condicionamiento de los convenios (rectius, de las propuestas) permite una solución global y coordinada a las distintas sociedades que integran el grupo. Obsérvese que la solución legislativa para coordinar las fases solutorias de los concursos no consiste en permitir la confección de un convenio único (i.e., que afecte a varios deudores simultáneamente), sino en el condicionamiento de múltiples convenios. En contra de algunas opiniones doctrinales (que respetamos, pero no compartimos)27, en el Ordenamiento jurídico español no tienen cabida

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Así lo señala Muñoz Paredes, El grupo de empresas, cit., p. 123. Véase García Rostán, La acumulación de concursos, cit., pp. 169 a 172. Esta autora fundamenta su posición sobre dos premisas. En primer lugar, que, aunque la Ley Concursal no lo prevea expresamente, tampoco lo prohíbe. En segundo lugar, que tal solución es acorde con el espíritu de la Ley Concursal, que promueve las salidas convenidas y conservadoras de la actividad empresarial. También a favor, López Aparcero, Concepto de grupo, cit., p. 263. Se trata, a juicio de este autor, de una «opción imprevista 27

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los «convenios multi-deudor»: resulta no solo inadmisible, sino también innecesaria, la confección de un convenio único para varios deudores28. Resulta inadmisible porque, en primer lugar, porque, si no se cumple el presupuesto subjetivo para ser declarado en concurso, tampoco se cumple el presupuesto subjetivo para presentar un convenio: los grupos, en cuanto tales, carecen de personalidad jurídica propia y, por consiguiente, ni pueden ser declarados en concurso (art. 1 LC) ni pueden acogerse a un convenio concursal único. En segundo lugar, en el eventual caso de que se aprobase un convenio único para varios deudores, el incumplimiento de este por parte de cualquiera de ellos bastaría para que la totalidad de los mismos se viese arrastrada a la liquidación (artículos 140.4 y 143.1-5.º LC). Asimismo, la confección de un convenio único para varias sociedades del mismo grupo resulta no solo inadmisible (por los argumentos que acaban de exponerse), sino también innecesaria, dado que contamos con otro mecanismo de coordinación en la fase convenida: el condicionamiento de convenios (artículo 101.2 LC). Téngase en cuenta que ello contrasta con el régimen previsto para los remedios preconcursales, en el cual tienen cabida los acuerdos de refinanciación de grupo (esto es, la confección de un único acuerdo para varias sociedades)29. Los motivos de esta disparidad (admisibilidad de los acuerdos de refinanciación únicos, frente a la inadmisibilidad de los convenios concursales únicos) son, a juicio de quien escribe, fundamentalmente tres: en primer lugar, responde a la lógica mayor flexibilidad existente en la fase preconcursal. En segundo lugar, y en directa relación con lo anterior, se debe a que los acuerdos de refinanciación son instrumentos eminentemente contractuales y con una intervención judicial mínima (en el caso de los acuerdos homologados de la disposición adicional cuarta, el juez únicamente examina aspectos formales), mientras que en el convenio concursal el componente contractual queda mucho más neutralizado, al alcanzarse en el seno de un procedimiento y bajo la supervisión del juez. Por último, la admisibilidad de los acuerdos de refinanciación únicos se explica por las consecuencias – menos gravosas – que su incumplimiento acarrea: así, frente al incumplimiento de un convenio único (que arrastraría a la liquidación a varios deudores), el

en la Ley pero que tampoco la prohíbe». 28 Extensamente sobre esta cuestión, véase Flores, Los concursos conexos, cit., p. 249. 29 Para un estudio en profundidad de esta posibilidad, véase Flores, Las refinanciaciones de grupo, cit., pp. 29 y ss.

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incumplimiento del acuerdo común por parte de una de las sociedades del grupo no implica consecuencias tan dramáticas e irreversibles30. Por lo que respecta a las clases de condicionamiento, puede en primer lugar distinguirse entre condicionamiento simple y condicionamiento plural. El primero consiste en someter la eficacia de un convenio a la aprobación judicial de otro convenio, mientras que el segundo consiste en someter la eficacia de un convenio a la aprobación de dos o más convenios. En segundo lugar, cabe distinguir entre condicionamiento unilateral y condicionamiento recíproco. Si se trata de un condicionamiento unilateral, la eficacia del convenio se somete a la aprobación judicial de otro u otros, sin que la eficacia de este o de estos se encuentre a su vez sometida a la aprobación judicial del primero. En supuestos de condicionamiento recíproco, en cambio, la eficacia de uno o más convenios se somete a la aprobación judicial de otro u otros, cuya eficacia depende a su vez de la aprobación judicial del primero o primeros. Puesto que la

30 En el caso de los acuerdos de refinanciación homologados, cuando solo afectan a un deudor, se prevé que cualquier acreedor pueda solicitar la declaración de incumplimiento, de cara a instar la eventual declaración de concurso (apartado 11 de la disposición adicional 4.ª). Mas no implican la declaración de concurso en sí misma considerada. En cualquier caso, aunque el incumplimiento del acuerdo sea parcial y relativo a una única sociedad deudora, las consecuencias serán las mismas que en el caso de un acuerdo individual. Por lo tanto, declarado el incumplimiento del acuerdo de grupo, los acreedores podrán «instar la declaración de concurso de acreedores o iniciar las ejecuciones singulares». Aunque la literalidad de la Ley arroja no pocas dudas, estimamos que la declaración de concurso solo podrá solicitarse si se cumplen los requisitos generales para la declaración de concurso necesario (en particular, la concurrencia de alguno de los hechos reveladores de la insolvencia del art. 2.4 LC). En consecuencia, la declaración de incumplimiento del acuerdo de grupo homologado no supone sin más la procedencia de la declaración de concurso de todas las sociedades participantes, máxime cuando, en el supuesto que ahora analizamos, no todas habrán incumplido los términos del acuerdo. Sin embargo, por lo que respecta al segundo efecto de la declaración de incumplimiento (la posibilidad de iniciar ejecuciones singulares), parece que tal declaración supondrá, automáticamente, que podrán iniciarse ejecuciones singulares sobre los patrimonios del resto de sociedades del grupo. Resulta indiscutiblemente dramático que el incumplimiento de solo una o solo algunas de las sociedades del grupo arrastre a las demás a la situación previa al acuerdo. En este sentido, la confección de un acuerdo homologado único para todo el grupo no puede reputarse beneficiosa a todos los efectos. En parecido sentido, no en vano la Ley Concursal proscribe la elaboración de un convenio único para las sociedades de un grupo, admitiéndose en cambio la coordinación de varios convenios (mediante el condicionamiento de la eficacia de unos a la aprobación de otros, art. 101.2 LC). Extensamente sobre esta cuestión, Flores., Las refinanciaciones de grupo, cit., pp. 50 y 51.

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Ley nada precisa al respecto, deben considerarse admisibles todos estos tipos de condicionamiento. B) Supuestos en los que cabe y legitimación para presentar propuestas condicionadas. En cuanto a los casos en los que procede, la redacción del precepto anterior a la Ley 38/2011 parecía exigir que los concursos se hubiesen acumulado inicial o posteriormente de forma efectiva. Sin embargo, tras la reforma la norma se refiere, simple y llanamente, a los «concursos conexos». El tenor literal de la norma parece permitir, por lo tanto, que se condicionen los convenios de concursos conexos no acumulados. En otras palabras, parece posible que se condicionen los convenios concursales de varias sociedades del mismo grupo, aunque la tramitación de los correspondientes concursos se haya mantenido aislada. De la dicción literal de la Ley (art. 101.2 LC) parece desprenderse que los únicos que pueden presentar propuesta condicionada de convenio son los propios deudores en concurso, y que los acreedores carecen de tal posibilidad. La doctrina, sin embargo, se muestra dividida al respecto. Así, mientras algunos autores defienden la literalidad de la norma31, otros abogan por una interpretación más flexible que dé cabida también a las propuestas condicionadas presentadas por los acreedores32. C) La fase de pendencia. En tanto no se produce el evento condicionante, el convenio sometido a condición atraviesa una fase intermedia, que la doctrina considera como una situación de pendencia (condicio pendens)33.

31 Al respecto, Rojo, Artículo 101. Propuestas condicionadas, en Rojo y Beltrán (dirs.), Comentario de la Ley Concursal, Madrid, 2004, p. 1902; González Gozalo, Artículo 101. Propuestas condicionadas, en Bercovitz Rodríguez-Cano (coord.), Comentarios a la Ley Concursal, Madrid, 2004, p. 1173; Cuesta Rute, El Convenio Concursal, Pamplona, 2004, p. 56, Sebastián Quetglás, El concurso de acreedores del grupo de sociedades, Madrid, 2009, p. 216. 32 Véase, en este sentido, Fernández Seijó, Artículo 101. Propuestas condicionadas, en Sagrera Tizón; Sala Reixachs y Ferrer Barriendos (coords.), Comentarios a la Ley Concursal, Barcelona, 2004, pp. 1221; Velasco San Pedro, Artículo 101. Propuestas condicionadas, en Sánchez-Calero y Guilarte (dirs.), Comentarios a la legislación concursal, Valladolid, 2004, p. 2176; García Rostán, La acumulación de concursos, cit., p. 168. Extensamente sobre esta cuestión, Flores, Los concursos conexos, cit., pp. 253 y ss. 33 Extensamente sobre esta cuestión, Flores, Los concursos conexos, cit., pp. 263 y ss.

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La primera cuestión que se plantea al respecto es cuál ha de ser la duración máxima de la fase de pendencia. Se trata de una cuestión de vital importancia en el contexto de los convenios condicionados, ya que, si un convenio se demora excesivamente en devenir eficaz, puede que se torne inviable (por un cambio en las circunstancias de mercado, por la obsolescencia de los equipos, etc.). La doctrina se ha planteado la cuestión desde dos puntos de vista distintos. El primero de ellos pretende determinar si cabe fijar un plazo dentro del cual la condición haya de cumplirse. El segundo se pregunta por la solución que procede en el caso de que no se haya fijado plazo alguno. Por lo que respecta a la libre fijación de un plazo, y por analogía con lo establecido para las obligaciones condicionadas (arts. 1117 y 1118 CC), parece que sí cabría fijar un plazo de tiempo en la propuesta condicionada de convenio, de forma que, de cumplirse la condición dentro de dicho término, el convenio quedaría purificado. De lo contrario, la condición debería reputarse frustrada34. En el caso de que no se establezca plazo alguno, debe rechazarse la postura favorable a una espera indefinida. De permitirse la espera indefinida, el condicionamiento podría dar lugar a un intolerable alargamiento en el tiempo de los procesos concursales, hasta el punto de desvirtuar su esencia. Al contrario, debe abogarse por el cumplimiento de la condición en el tiempo que «verosímilmente se hubiera querido señalar atendida la naturaleza de la obligación» (art. 1118 CC). El problema radica, entonces, en determinar qué plazo es el que verosímilmente se hubiera querido señalar. Parece que tal determinación habrá de hacerse caso por caso, habida cuenta de la enorme disparidad que existe entre cada concurso (número de acreedores, incidentes de impugnación del inventario y de la lista de acreedores, carga de trabajo de los juzgados, etc.). La dificultad se agrava por los diversos intereses en juego, ya que, mientras que los acreedores se verán perjudicados por la espera, el resto de deudores puede ver en tela de juicio su viabilidad si la condición se declara incumplida por transcurso de un tiempo excesivo.

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A favor de la posibilidad de introducir una precisión acerca de la duración máxima de la fase de condicio pendens se manifiesta ROJO, con el argumento de que de esta forma se impide que las vicisitudes que puedan producirse en el otro o en los otros concursos prolonguen en el tiempo la incertidumbre propia de la fase de pendencia. Véase Rojo, Artículo 101. Propuestas condicionadas, cit., p. 1905.

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Habida cuenta de que, en tanto no se cumpla la condición, el convenio condicionado no deviene plenamente eficaz, durante la fase de pendencia seguirán vigentes todos los efectos de la declaración de concurso (por analogía con arts. 129.4 y 133.3 LC). Así, perdurarán durante esta fase las limitaciones que se hubiesen impuesto sobre las facultades de administración y de disposición del deudor (art. 40 LC), así como las restricciones que hubieran podido acordarse en materia de correspondencia, residencia y libre circulación (art. 41 LC en relación con el art. 1 LORC) y las limitaciones en el funcionamiento de los órganos del deudor persona jurídica (art. 48 LC). Continuarán también los efectos del concurso sobre los créditos (arts. 58 a 60 LC), y seguirán igualmente vigentes los efectos sobre las acciones individuales (arts. 50 a 54 LC), mientras se mantiene la paralización de las ejecuciones singulares (art. 55.2 LC). Un problema concreto surge en relación con la paralización de las ejecuciones de garantías reales. Como es sabido, los acreedores con garantía real sobre bienes del concursado afectos a su actividad profesional o empresarial (o a una unidad productiva de su titularidad) no pueden iniciar la realización forzosa de la garantía en tanto no se apruebe un convenio que no afecte al contenido de este derecho o transcurra un año desde la declaración de concurso sin que se hubiera producido la apertura de la liquidación (art. 56.1 LC). La cuestión a dilucidar es si la aprobación de un convenio condicionado (aún no eficaz) levanta la suspensión de las ejecuciones de garantías reales. De la literalidad de la norma (que se refiere a la “aprobación” del convenio) parece extraerse que el hecho de que el convenio esté sometido a una condición suspensiva no impide que se ejerciten, desde la aprobación judicial del mismo, las acciones de ejecución. Sin embargo, no parece la solución más acorde con el espíritu de la norma, que sin duda fue redactada pensando que la aprobación judicial del convenio equivalía a su entrada en vigor. Por ello, puede defenderse que la aprobación de un convenio condicionado no constituye, en tanto no se cumpla la condición, una causa de cese de la paralización de las ejecuciones de garantías reales. Obviamente, los acreedores garantizados siempre podrán atenerse a la segunda causa del cese de la paralización (el transcurso de un año desde la declaración de concurso sin que se abra la fase de liquidación) para iniciar o reanudar la realización forzosa de las garantías. Finalmente, durante la fase de pendencia tampoco cesarán las administraciones concursales (si hubiese varias) o la administración concursal común (si se hubiese procedido al nombramiento de un único órgano para gestionar los diversos concursos).

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D) El incumplimiento de la condición. Cuando la condición no llegue a cumplirse (bien porque se abra la liquidación en el concurso referenciado, bien porque transcurra el plazo de pendencia fijado para el cumplimiento de la condición), el convenio condicionado no llegará a ser eficaz (art. 1114 CC). No es que el convenio se incumpla, es que simplemente nunca llegó a ser eficaz (y por lo tanto nunca pudo siquiera incumplirse). La consecuencia debe ser la directa apertura de la fase de liquidación, en aplicación analógica de lo previsto para supuestos de incumplimiento del convenio. No procede convocar nuevamente a los acreedores para deliberar y votar sobre otras propuestas35.

3. La consolidación de las masas. 3.1 Concepto y admisibilidad en el ordenamiento jurídico español. Si antes decíamos que la acumulación de concursos mantiene incólumes la independencia y autonomía de los respectivos procedimientos, la consolidación de masas supone lo contrario: la aglutinación de las masas activas y pasivas y el tratamiento de todos los deudores como si fuesen uno solo, con un único patrimonio con el cual se satisface a todos los acreedores. Los acreedores de los deudores formalmente separados antes de la consolidación pasan a ser acreedores conjuntos de un fondo común sobre el cual se satisfarán los respectivos créditos36. Con anterioridad a la reforma operada por la Ley 38/11, la Ley Concursal no contemplaba – ni hacía alusión alguna a – la posibilidad de consolidar los patrimonios de los deudores. Sin embargo, la falta de sustento legal no impidió que, de forma aislada y excepcional, se decretase la consolidación de las masas de varios deudores conexos (véase la SAP Barcelona [15ª] 28.6.2011). La Ley 38/11, de 10 de octubre, de reforma de la Ley Concursal, que, por vez primera, regula expresamente la tramitación de los concursos

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Véase Rojo, Artículo 101. Propuestas condicionadas, cit., p. 1906. Sobre la consolidación patrimonial en el seno de un grupo, recomendamos el trabajo de Vattermoli, Grupos insolventes y “consolidación” de patrimonios (substantive consolidation), en Anuario de Derecho Concursal, núm. 24 (2011), pp. 19 a 48, en el cual nos basamos. 36

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conexos (art. 25 ter LC), estructura la regulación en dos partes. Por un lado, se establece, como regla general, que los concursos conexos (declarados conjuntamente o acumulados) se tramitarán de forma coordinada, sin consolidación de masas (art. 25 ter.1 LC). A continuación, sin embargo, se añade una excepción, conforme a la cual «se podrán consolidar inventarios y listas de acreedores a los efectos de elaborar el informe de la administración concursal cuando exista confusión de patrimonios y no sea posible deslindar la titularidad de activos y pasivos sin incurrir en un gasto o en una demora injustificados» (art. 25 ter.2 LC). Existen dos aspectos de la nueva regulación que, aun siendo cruciales para la correcta interpretación del precepto, generan una fuerte perplejidad. En primer lugar, se dice que podrán consolidarse «inventarios y listas de acreedores». No se establece la posibilidad de consolidar las masas activas y pasivas, lo cual podría indicar, aparentemente, que el legislador se está refiriendo a una consolidación meramente formal o contable, sin efectos sustantivos. En segundo lugar, se afirma que la consolidación se hará «a los efectos de» elaborar el informe de la administración concursal, insistiéndose así, quizá, en el alcance meramente «estético» o «contable» de la consolidación. Parecería, pues, que el legislador ha querido acotar los efectos de la consolidación y que, por lo tanto, esta no puede traspasar un límite. Las dudas surgen a la hora de determinar el interés – léase, la utilidad – que pueda tener la consolidación a los meros efectos antes descritos. Preguntémonos, en efecto, qué ha de hacerse una vez elaborado el informe «consolidado». Una opción sería que, posteriormente, se asignase cada elemento del activo y del pasivo a un deudor concreto. Por ejemplo, puede suceder que la confusión afecte exclusivamente a la masa activa (porque la titularidad de cada uno de los bienes o derechos que la integran sea confusa o difícil de determinar), pero que, sin embargo, los elementos de la masa pasiva consten perfectamente asignados a uno u otro deudor. Podría pensarse, entonces, en asignar cuotas del activo a cada uno de los deudores conforme a un criterio compatible y equitativo, para que estas cuotas se repartiesen entre sus respectivos acreedores. Esta interpretación se antoja, sin embargo, profundamente ineficiente: por un lado, resulta difícilmente aplicable en la práctica, ante lo complicado de elaborar índices seguros de distribución de los bienes, sin que, además y sobre todo, la Ley contemple ningún criterio al respecto. Por otro lado, de esta forma se duplicaría – innecesariamente – la ya de por sí ardua tarea de la administración concursal, la cual, tras elaborar el inventario y la lista de «consolidados», debería «desconsolidarlos» para continuar con la tramitación de los procedimientos. Sin embargo,

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esta interpretación haría incomprensible e inútil la norma, ya que, al margen del informe de la administración concursal, sería necesario atribuir cada elemento del activo y cada elemento del pasivo a uno de los deudores conexos. Parece entonces que debemos desechar la interpretación meramente contable de la consolidación, por carecer de sentido. Al contrario, es posible defender que el legislador tenía en mente una consolidación de patrimonios en toda regla37. 3.2 Supuesto en el que cabe y distinción de figuras afines. La Ley Concursal prevé la consolidación de las masas exclusivamente en caso de que exista confusión entre los patrimonios que se pretenden consolidar (art. 25 ter.2 LC). Debe tratarse de una confusión «agravada», esto es, que «no sea posible deslindar la titularidad de activos y pasivos sin incurrir en un gasto o una demora injustificados». Obsérvese, en efecto, que la Ley Concursal contempla no uno, sino dos tipos de confusión: una «simple», que habilitaría para acumular (inicial o posteriormente) los concursos de los deudores cuyos patrimonios estuviesen confundidos, y otra «cualificada o agravada», susceptible de dar lugar a la consolidación de dichos patrimonios, cuando la confusión revista una determinada entidad. Por cuanto respecta a la confusión «cualificada» (la que aquí interesa), no se exige que sea completamente imposible deslindar los elementos que pertenecen a uno o a otro deudor. Basta, por el contrario, con que dicha tarea sea tan ardua que el esfuerzo (medido ya sea en términos de dinero, ya sea en términos de tiempo) resulte desproporcionado respecto a los resultados que pudieran obtenerse: así se deduce del tenor de la Ley tras la reforma de 2011, que habla de que «no sea posible deslindar la titularidad de activos y pasivos sin incurrir en un gasto o una demora injustificados»38. Por injustificados entendemos aquí «desproporcionados» respecto a los beneficios que, con este

37 A favor de esta interpretación, López Aparcero, Concepto de grupo, cit., p. 262; Cordón Moreno, Proceso concursal, Pamplona, 2013, p. 111; Muñoz Paredes, El grupo de empresas, cit., pp. 118 y ss.; así como las siguientes resoluciones: STS [1ª] 13.12.2012; AJM 3 Barcelona 15.2.2013; AJM n.º 1 de Palma de Mallorca de 16 de diciembre de 2014; AJM n.º 8 de Madrid de 30 de enero de 2014. 38 Antes de la reforma, la doctrina ya había apuntado a esta solución. Véase Duque Domínguez, Art. 3. Legitimación, en Pulgar Ezquerra; Alonso Ledesma; Alonso Ureba y Alcover Grau (dirs.): Comentarios a la Ley Concursal, Madrid, 2004, p. 198, y AlonsoCuevillas, Aspectos procesales de la reforma de la Ley Concursal (Ley 38/2011), cit., p. 48.

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deslinde, podrían reportarse. Ahora bien, el análisis de esta desproporción no resulta sencillo, ya que dicha desproporción puede referirse al volumen de las masas conjuntas de los diversos deudores o a cualquier otro parámetro económico, y, en lo temporal, la desproporción debería medirse respecto al tiempo en que deberían, en condiciones normales, tramitarse los concursos, factor este que no es sencillo de determinar. Al establecerse este análisis coste-beneficio para determinar si existe o no confusión de patrimonios, el legislador está exigiendo que se ponderen los costes del deslinde patrimonial (medidos en términos monetarios o temporales) y los beneficios que el mismo podría reportar. Fuera de estos supuestos, la consolidación de las masas resulta improcedente, sin que quepa aplicarla por analogía a otras circunstancias. Cuando se produce en el seno de un grupo, interesa distinguir la consolidación de masas de otros mecanismos39. Como hemos apuntado, el presupuesto de la consolidación es único: la confusión de patrimonios, en términos tales que sea disfuncional para el desarrollo de los distintos concursos. Esta confusión patrimonial puede darse, qué duda cabe, en el seno de un grupo de sociedades. Sin embargo, la Ley Concursal no contempla la consolidación como un remedio (o tratamiento) para una posible responsabilidad por apariencia de la matriz respecto de la filial, ni como una sanción por (precisamente) esa confusión patrimonial. No es un remedio equiparable al levantamiento del velo, ni por su naturaleza ni por su finalidad40. No se trata de sancionar conductas contrarias a la buena fe, ni de proteger intereses defraudados (no se atiende a componentes subjetivos, sino puramente objetivos: la existencia de una confusión patrimonial)41. La consolidación está prevista (desde mi punto

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Véase Flores, Los concursos conexos, cit., pp. 353 y ss. Insiste en ello Muñoz Paredes, El grupo de empresas, cit., p. 117, con cita de la STS, Sala 1.ª, de 18 de febrero de 2016 [RJ 2016, 566]) y el AJM n.º 8 de Madrid de 30 de enero de 2014 (AC 2014, 212): «[e]l precepto no hace referencia a elemento alguno de carácter subjetivo sobre el desvalor de actuaciones previas del deudor, que puedan dar lugar a situaciones injustas para los acreedores, sino que se basa en el dato objetivo de la confusión patrimonial. Ello determina que no deba hacerse un juicio concursal sobre el levantamiento del velo social, sobre el abuso de personalidad jurídica, sobre la cesión ilegal de mano de obra entre sociedades del mismo grupo…, a fin de dar respuesta a través de la consolidación a dichos comportamientos. Esas cuestiones deberán tener cobijo bajo otras valoraciones, pero no en la decisión sobre la consolidación de masas. Estén o no presentes dichos comportamientos, lo esencial es que exista una confusión patrimonial entre las masas de los concursos». 41 También en este sentido, Enciso, Artículo 25 ter, en Pulgar (dir.), Comentario a la 40

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de vista) como una vía para facilitar la tramitación de aquellos concursos en los cuales los patrimonios de los distintos deudores están tan confundidos que los respectivos procedimientos se demorarían/incurrirían en costes desproporcionados si hubiese que deslindar titularidades. Se trata, en consecuencia, de una norma puramente funcional. 3.3. Efectos de la consolidación de masas. La consolidación de las masas es una medida radical cuyo empleo debe realizarse con gran cautela. En efecto, aunque puede acarrear ciertas ventajas (relacionadas, principalmente, con la simplificación de los procedimientos), implica también poderosos inconvenientes que desaconsejan su uso generalizado42. Con la consolidación se crea una masa concursal nueva: se redefinen diversos patrimonios transformándolos en uno solo. No se crea un nuevo sujeto, se crea un nuevo patrimonio. Así, aunque la consolidación no implica propiamente un cambio en la persona del deudor, sus efectos son, de facto, muy parecidos, puesto que se altera el patrimonio responsable de las obligaciones existentes. Se produce una ruptura con los principios de personalidad jurídica separada y responsabilidad limitada. Lo anterior obvia o ignora la capacidad de decisión autónoma de los acreedores, que son quienes deberían elegir a sus deudores, con un perfil de riesgo y un sustrato de responsabilidad (i.e., un patrimonio) determinados. El resultado de la consolidación es que los acreedores, que en su día contrataron con un deudor (que ostentaba un determinado patrimonio), se verán confrontados repentinamente con un nuevo patrimonio, que no pudieron tener en cuenta a la hora de elegir contraparte. En este sentido, la consolidación implica una ruptura con el principio de libertad contractual. Por este motivo, la consolidación puede desembocar en el menoscabo de la seguridad jurídica y en el incremento de los costes del crédito, al afectar de forma dramática a la manera en la cual los agentes económicos evalúan el riesgo de crédito (y el consiguiente coste del mismo). Además, la consolidación dará lugar, con carácter general, a situaciones de discriminación entre acreedores. Ordinariamente, habrá acreedores que, a la hora de contratar, hayan tenido exclusivamente en cuenta

Ley Concursal, Madrid, 2016, p. 453. 42 Extensamente sobre esta cuestión, Flores, Los concursos conexos, cit., pp. 361 y ss.

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al concreto deudor con el cual estaban contratando, sin considerar en ningún momento la interrelación entre este sujeto y otros. Si el patrimonio de este deudor se mezcla con el de otros sujetos menos favorecidos patrimonialmente, los acreedores del primero verán diluidas sus posibilidades de cobro, en beneficio de los acreedores que hubiesen confiado en sujetos con un patrimonio inferior. Se beneficia a los acreedores del deudor más insolvente, en detrimento de los acreedores del deudor más solvente. En otras palabras, puede ocurrir que los acreedores ordinarios del deudor más solvente se vean desbancados o desplazados en sus expectativas de cobro por los acreedores del deudor más insolvente (de forma que, de no haberse producido la consolidación, los primeros hubiesen sido satisfechos en mayor medida). La consolidación, pese a resultar una medida conflictiva por los graves inconvenientes que puede acarrear, también puede resultar útil y ventajosa. En efecto, un efecto de la consolidación es la «depuración» de las masas activas y pasivas que comporta. En cuanto a las masas pasivas, por un lado, la consolidación elimina las reclamaciones internas que pudieran existir entre los deudores cuyos patrimonios se hayan consolidado. La eliminación de las reclamaciones internas es la consecuencia de la confusión entre posiciones deudoras y acreedoras como hecho extintivo de las relaciones obligatorias (art. 1192 CC). Por otro lado, también se eliminarán las reclamaciones dobles o duplicadas que algunos acreedores pudieran ostentar frente a varios deudores conexos: el ejemplo clásico sería el del acreedor que ostenta un crédito contra la sociedad A, cuyo pago garantiza personalmente (mediante fianza o aval) la sociedad B. Producida la consolidación patrimonial, tanto la relación principal (entre el acreedor y el deudor principal A) como la relación de garantía (entre el acreedor y el fiador o avalista B) tendrían como deudor el mismo y único patrimonio consolidado. Por lo que respecta a las masas activas, la consolidación de las masas imposibilita el ejercicio de acciones rescisorias concursales (arts. 71 y ss. LC) entre los deudores cuyos patrimonios se consolidan, ya que los activos que se pretendería recuperar y el patrimonio al cual se destinarían una vez recuperados forman parte del mismo patrimonio consolidado. Asimismo, las acciones de separación internas (art. 80 LC) perderán igualmente todo el sentido con la consolidación de las masas, dado que los bienes disputados por varios deudores conexos formarán, en última instancia, parte del mismo patrimonio. Obsérvese, finalmente, que, al consolidarse los patrimonios de los deudores conexos, solo se tramitará un concurso (el correspondiente al patrimonio consolidado). La coordinación en la tramitación de los

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procedimientos concursales será, así, «perfecta»: el órgano jurisdiccional encargado de tramitar los concursos consolidados deberá ser necesariamente el mismo, al igual que sucederá con la administración concursal, que será común. La tramitación (tanto de la fase común como de la fase solutoria), al ser única, estará necesariamente coordinada. 3.4 El procedimiento. La Ley Concursal guarda absoluto silencio en cuanto al procedimiento que debe seguirse para decretar la consolidación de las masas. Por lo que respecta a la competencia judicial para decretarla, parece imprescindible que, con carácter previo o simultáneo a la solicitud de consolidación, se haya instado la acumulación de los concursos cuya consolidación se pretende. En efecto, el órgano jurisdiccional competente para conocer de los distintos concursos consolidados debe ser, necesariamente, el mismo. La adopción de la medida sobre los patrimonios de distintos deudores tiene que estar centralizada en un único órgano jurisdiccional. Por lo que respecta a la legitimación activa para solicitar la consolidación de los patrimonios de varios deudores, y de nuevo ante el sepulcral silencio de la Ley Concursal, puede interpretarse que la solicitud puede provenir de cualquiera de los deudores conexos involucrados, de cualquiera de sus acreedores, y de cualquiera de las administraciones concursales (en el caso de que haya varias en lugar de una administración concursal común). Tampoco resulta descartable que la consolidación se decrete de oficio. Finalmente, en cuanto al momento en que cabe solicitar la consolidación, la norma tampoco dice nada al respecto. La solución óptima parece ser que se decrete cuanto antes. No debe descartarse que la consolidación se solicite conjuntamente con la declaración conjunta de concurso. Sin embargo, en tales casos surge el problema de que, en un estadio tan temprano de los procedimientos (cuando ni siquiera la administración concursal ha tomado posesión del cargo), resultará casi imposible determinar la concurrencia de los requisitos para que proceda la consolidación, al contarse únicamente con la información proporcionada por los deudores en las respectivas solicitudes (en el caso de que se trate de concursos voluntarios; si son necesarios, ni siquiera eso). En cuanto a si existe un momento preclusivo para solicitar o decretar la consolidación, es preferible no establecer ninguno en aras de la flexibilidad en la tramitación de los procedimientos (piénsese, por ejemplo, que las circunstancias que justificarían la consolidación no sean cono-

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cidas hasta un momento avanzado de los mismos). Sin embargo, raro será el caso en el que, en el momento de la presentación del informe de la administración concursal, no se conozcan ya esas circunstancias. De igual forma, tampoco tendría sentido acordar la consolidación una vez finalizada la fase común (cuya finalidad, como se sabe, es la formación las masas activa y pasiva), puesto que la consolidación incide, directa y primordialmente, sobre la configuración de las mismas. Sin duda, empero, a medida que avancen los procedimientos, la consolidación de las masas dejará, paulatina e irreversiblemente, de tener sentido.

4. Las novedades de la propuesta de texto refundido de la ley concursal. En esencia, la propuesta de texto refundido de la Ley Concursal ha sistematizado y reordenado la materia. Así, a los concursos conexos les dedica un capítulo entero (arts. 38 a 43 TRLC), así como un puñado de normas adicionales en materia de competencia judicial (art. 46 TRLC), administración concursal (arts. 59 y 76 TRLC) y convenios condicionados (art. 319.2 TRLC). En general, los cambios reseñables son escasos y de poca entidad, con algunas excepciones. Las novedades más reseñables (esto es, aquellas que van más allá de una mera sistematización y reordenación) son aquellas que consisten en auténticas aclaraciones respecto de cuestiones que, en la versión vigente de la Ley Concursal, arrojan ciertas dudas. Por un lado, como ya hemos señalado (vid., supra), la versión vigente de la Ley Concursal habla de una consolidación «de inventarios y listas de acreedores a los efectos de elaborar el informe de la administración concursal» (art. 25 ter.2 LC). Ello había dado lugar a una cierta confusión en cuanto al alcance de la consolidación. En efecto, la terminología empleada (que parece referirse a aspectos puramente documentales) ha conducido a parte de la doctrina a afirmar que no se permite una auténtica consolidación de masas con efectos sustantivos. Se trataría de una consolidación contable, si se quiere. La propuesta de texto refundido zanja esta discusión al referirse expresamente a la consolidación de masas (tanto en la rúbrica del precepto como en el cuerpo del mismo, art. 43 PTRLC). Por otro lado, en relación con el nombramiento de una administración concursal única para varios concursos conexos, se aclara que ello procederá cuando resulte «conveniente» (y no «cuando ello resulte posible», como afirma ahora la Ley Concursal, arts. 27.8 LC y 59 PTRLC).

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Finalmente, en materia de condicionamiento de convenios, el evento condicionante en Ley Concursal es que «se apruebe con un contenido determinado el convenio de otro u otros» (art. 101.2 LC). En la propuesta de texto refundido, el evento condicionante es que «adquiera eficacia un convenio con un contenido determinado» (art. 319 PTRLC). Podría pensarse que son redacciones sinónimas, ya que la adquisición de eficacia por parte del convenio se produce, por regla general, con la aprobación judicial de la misma (art. 133.1 LC). Sin embargo, no siempre será así: es posible que el juez acuerde retrasar esa eficacia a la fecha en que la aprobación devenga firme (art. 133.1 LC). Y también es posible que la eficacia se condicione, precisamente, a la aprobación de un convenio con un contenido determinado en el concurso de otra sociedad del grupo (condicionamientos recíprocos). Es, precisamente, en caso de condicionamientos recíprocos, cuando la redacción de la propuesta de texto refundido no parece óptima, ya que, si se condiciona recíprocamente la eficacia de varios convenios a que los demás adquieran eficacia, podríamos entrar en un bucle infinito en el cual ningún convenio adquiere eficacia, precisamente porque la adquisición de eficacia está condicionada a la adquisición de eficacia de los demás, y viceversa. En definitiva, cuando los condicionamientos sean recíprocos (supuesto más que probable en el caso de los grupos) la redacción de la propuesta de texto refundido es susceptible de generar problemas.

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La regolamentazione del mercato del controllo societario tra ragioni di efficienza ed esigenze di garanzia Sommario: 1. Premessa. – 2. Gli obiettivi di una regolamentazione del mercato del controllo societario. – 3. Gli strumenti di una regolamentazione del mercato del controllo societario: le scelte del legislatore italiano all’interno del quadro europeo. – 3.1. Sulla presenza o meno di regole procedimentali speciali per le operazioni di trasferimento del controllo societario: gli obblighi informativi e pubblicitari e le regole di passività, neutralizzazione e reciprocità per le operazioni di trasferimento del controllo societario mediante opa. – 3.2. Sulla presenza o meno dell’obbligo di opa: la mandatory bid rule. – 3.3. Sulla tipologia dei presupposti dell’obbligo di opa: il superamento della soglia rilevante. – 3.4. Sulla presenza o meno dell’obbligo di promuovere l’opa in favore di tutti gli azionisti della società target: la regola della totalitarietà. – 3.5. Sulla tipologia dei criteri di determinazione del prezzo d’offerta: il second best price. – 4. Considerazioni conclusive.

1. Premessa. La letteratura scientifica ha manifestato verso la regolamentazione del mercato del controllo societario un interesse progressivamente crescente1.

1 Con riferimento alle sole opere monografiche italiane, si vedano infatti i contributi di Cattaneo e Corallini, Le OPA e l’affare Bastogi, Perugia, 1972; Balzarini, La disciplina giuridica del mercato finanziario: Opa, insider trading, quotazione in borsa, Sim, banche, Milano, 1991; D’Arcangelis, Il nuovo mercato finanziario: le OPA, Milano, 1992; Palisi e Ricci, L’obbligo di offerta pubblica di acquisto in borsa (OPA): profili teorici ed esegesi della disciplina italiana alla luce delle principali regolamentazioni vigenti, Roma, 1993; De Blasio, La legge italiana sulle OPA e le normative europee ed USA, Milano, 1994; Biasi, La riforma dell’Opa: aspetti teorici ed evidenza normativa, Milano, 1998; Blasotti, Trasformazione, fusione, scissione, OPA, società quotate, Milano, 1999; Tucci, Managerial passivity e autorizzazione assembleare nella disciplina dell’OPA: riflessioni comparatistiche, Padova, 1999; Picone, Le offerte pubbliche di acquisto, Milano, 1999; Lucchini e Dallocchio, L’OPA ostile: il caso Olivetti-Telecom, Milano, 2001; Enriques, Mercato del controllo societario e tutela degli investitori: la disciplina dell’opa

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La cronaca finanziaria ha certamente alimentato questa attenzione2. I motivi sono senz’altro da individuare nella rilevanza economica assunta da alcune importanti operazioni, ma l’interesse della dottrina si giustifica soprattutto per i problemi di carattere sistematico che la disciplina di tali operazioni pone e per la varietà delle relative soluzioni, dovuta ad un’intrinseca politicità delle scelte regolamentari, che ha indotto il legislatore ad oscillare tra esigenze e finalità spesso contrapposte3. Dal punto di vista oggettivo, una regolamentazione del mercato del controllo societario disciplina sia il particolare “bene” scambiato su tale mercato (cioè il controllo societario) sia le “modalità di trasferimento” di

obbligatoria, Bologna, 2002; Desana, Opa e tecniche di difesa: dalle misure difensive “successive” a quelle “preventive”, Milano, 2003; Gatti, OPA e struttura del mercato del controllo societario, Milano, 2004; Pederzini, Profili contrattuali delle offerte pubbliche di acquisto, Milano, 2004; Regaldo, Le tecniche difensive nelle opa ostili: riflessioni comparatistiche, Torino, 2004; Romagnoli, Diritti dell’investitore e dell’azionista nell’OPA obbligatoria, Padova, 2005; Tola, Opa e tutela delle minoranze, Napoli, 2008; Mosca, Azione di concerto e opa obbligatoria, Milano, 2013. 2 Si pensi all’impatto economico, ma anche politico e mediatico, avuto da alcune operazioni tentate o realizzate in Italia solo negli ultim vent’anni, come la scalata di Olivetti a Telecom (1999), quelle di Generali a INA e di INA a Assitalia (2000) e di Banca Popolare di Lodi a Banca Antoniana Popolare Veneta, poi passata ad ABN Amro (2005), quelle di BNP Paribas a BNL (2006) e di Intesa Sanpaolo a Banca CR Firenze (2008) e quelle più recenti di Lactalis a Parmalat (2012), di Lauro 61 a Camfin (2013), di ChemChina a Pirelli (2015), di Hitachi ad Ansaldo STS (2016), di Cairo Communication a RCS in competizione con l’opa concorrente promossa da International Media Holding (2016) e quelle che – nel momento in cui si scrive – stanno nuovamente suscitando un interesse sul tema per l’impatto sulle basilari infrastrutture del Paese, rappresentate dalle acquisizioni da parte di Vivendi di consistenti partecipazioni nel capitale di Telecom (2016) e di Mediaset (2017). Limitando l’analisi alle sole operazioni di trasferimento del controllo societario realizzate o tentate mediante promozione volontaria o obbligatoria di un’offerta pubblica di acquisto o scambio, i bollettini Consob riportano tra il 1998 e il 2017 ben 425 operazioni, di cui 330 su società quotate e 95 su società non quotate. 3 Come vedremo infra, l’ordinamento giuridico italiano non si occupa di regolamentare le operazioni di trasferimento del controllo societario mediante trattativa privata, ma regola dettagliatamente le operazioni di trasferimento del controllo societario mediante offerta pubblica di acquisto sin dal 1992. La prima fonte normativa che se ne è occupata è infatti stata la legge n. 149/1992, alla quale ha fatto seguito il testo unico della finanza di cui al d.lgs. n. 58/1998, più volte modificato, dapprima, dal d.lgs. n. 229/2007, dal d.l. n. 185/2008 conv. in legge n. 2/2009 e dal d.lgs. n. 146/2009 (in progressiva attuazione della direttiva 2004/25/CE sull’opa europea, a sua volta ritoccata dal successivo regolamento 2009/219/CE) e, da ultimo, dal d.l. n. 91/2014 conv. in legge n. 116/2014 recante inter alia disposizioni urgenti per il rilancio e lo sviluppo delle imprese (il c.d. Decreto Crescita Renzi).

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quel bene. Sotto il primo profilo, la nozione di controllo societario rilevante ai fini dell’indagine è certamente quella che si contestualizza entro il tradizionale orizzonte degli assetti proprietari di una società azionaria e – dunque – si manifesta in prima approssimazione come controllo da partecipazione e – più correttamente – come controllo da partecipazione azionaria; in seconda approssimazione, va tuttavia tenuto conto del progressivo processo di scissione tra azione e diritto di voto cui si sta assistendo nei recenti sviluppi del nostro diritto societario4; tale processo impone di constatare come il controllo societario sia in realtà esercitato non tanto (o non necessariamente) mediante la detenzione di azioni, quanto (e soprattutto) tramite la disponibilità di diritti di voto, che non sempre sono attribuiti da azioni, le quali – per contro – non sempre attribuiscono diritti di voto, né sempre attribuiscono diritti di voto funzionali all’esercizio del controllo societario, quali sono – essenzialmente – quelli riguardanti la nomina e la revoca degli amministratori5; la nozione di controllo societario rilevante ai fini dell’indagine deve dunque essere individuata non tanto nel possesso sic et simpliciter di un certo ammontare di azioni, quanto nella detenzione di una quota di titoli – sia azionari che non azionari – che conferiscano diritti di voto nelle delibere assembleari riguardanti la nomina e la revoca degli amministratori, e di ammontare tale da garantire a chi li detenga l’esercitabilità (si intende, di diritto o di fatto, solitaria o congiunta, diretta o indiretta) di un’influenza dominante su quelle delibere6. Sotto il secondo profilo, il trasferimento del con-

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Il combinato disposto della scissione tra azione e diritto di voto e della rilevanza del diritto di voto ai fini dell’esercizio del controllo pone anche il problema del trattamento da riservare a quella particolare ipotesi di scissione tra azione e voto derivante dalla costituzione di vincoli sulle azioni (pegno, usufrutto e sequestro), che – salvo convenzione contraria – attribuiscono il diritto di voto al creditore pignoratizio, all’usufruttuario e al custode: su questo punto, si veda infra la parte dedicata ai presupposti dell’obbligo di opa. 5 Ai fini dell’applicazione della disciplina relativa alle opa obbligatorie, l’art. 105, co. 2, t.u.f. prevede infatti che, per “partecipazione”, debba intendersi una quota dei titoli emessi da una società quotata «che attribuiscono diritti di voto nelle deliberazioni assembleari riguardanti nomina o revoca degli amministratori o [dei componenti] del consiglio di sorveglianza». 6 La nozione di “controllo societario” sinteticamente proposta nel corpo del testo è – come precisato – unicamente funzionale all’indagine, ma merita comunque un approfondimento. In primo luogo, va osservato che la dottrina si è a lungo interrogata sull’esistenza o meno all’interno del nostro ordinamento di una nozione unitaria di controllo societario: il dibattito ha tratto origine dalla circostanza che, accanto alla nozione di cui all’art. 2359 c.c., sono presenti decine di nozioni legali di controllo,

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trollo societario può realizzarsi sostanzialmente attraverso due tecniche

introdotte in modo “alluvionale” da numerose leggi speciali e richiamanti, quasi tutte, la nozione del codice civile (Minervini, Il controllo del mercato finanziario. L’alluvione delle leggi, in Giur. comm., 1992, I, p. 5). Sul punto, sono state assunte tre diverse posizioni. La c.d. tesi relativistica sostiene che la conformazione della fattispecie di controllo è strettamente connessa alle finalità della disciplina per cui essa è dettata; ogni nozione legale di controllo sarebbe funzionale all’applicazione di un determinato ed omogeneo micro-sistema giuridico ed avrebbe dei contorni coerenti con le finalità perseguite dal medesimo; anche la nozione di cui all’art. 2359 c.c. avrebbe carattere relazionale al pari delle nozioni di controllo dettate nelle leggi speciali; su questa base, si nega che la norma di cui all’art. 2359 c.c., seppur “centrale” per la ricorrenza statistica del rinvio ad essa fatto dalle leggi speciali, abbia carattere “generale” (Notari, La nozione di “controllo” nella legislazione antitrust, Milano, 1996, pp. 217 ss.). La c.d. tesi gerarchica riconosce invece alla disposizione dell’art. 2359 c.c. carattere compiutamente “generale” o perlomeno “residuale”; questa tesi è motivata in ragione del fatto che la definizione di cui all’art. 2359 c.c. è contenuta nel codice civile ed è quasi regolarmente richiamata nell’ambito delle fattispecie disegnate dalle leggi speciali (Spolidoro, Il concetto di controllo nel codice civile e nella legge antitrust, in Riv. soc., 1995, pp. 457 ss.). La c.d. tesi neo-unitaria tenta infine di ricostruire una nozione unitaria di controllo, ma non partendo dal presunto primato della definizione di cui all’art. 2359 c.c., bensì dal tentativo di individuare dei caratteri comuni alla situazione di “controllo”, o attraverso un’astrazione dalle sue molteplici definizioni ovvero mettendo a fuoco la stessa su un piano pre-giuridico (Ferro-Luzzi e Marchetti, Riflessioni sul gruppo creditizio, in Giur. comm., 1994, I, pp. 442 e 449; Lamandini, Il “controllo”. Nozioni e “tipo” nella legislazione economica, Milano, 1995, pp. 11 ss.). Identificando la nozione unitaria di controllo nel minimo comune denominatore delle varie nozioni legali di controllo, quest’ultima impostazione parrebbe coerente con i fini dell’indagine, perché tende ad individuare il controllo facendo riferimento al suo significato semantico omnicomprensivo, e consente quindi di sostenere che il “controllo societario” qui rilevante coincida in prima approssimazione con la partecipazione di ammontare tale da garantire a chiunque la detenga l’esercitabilità di un’influenza dominante sulle assemblee della società. In secondo luogo, va tuttavia osservato che una nozione unitaria di controllo societario così declinata è senz’altro coerente con la tradizionale vigenza nel nostro ordinamento del principio “un’azione-un voto”, da cui deriva una relazione biunivoca e proporzionale tra ammontare della partecipazione detenuta e ammontare dei diritti di voto conferiti, ma rischia di essere riduttiva laddove – come pare stia avvenendo nell’ordinamento italiano – tale principio sia messo in discussione. Gli interventi normativi che si sono succeduti nel tempo hanno infatti introdotto diverse eccezioni al principio di proporzionalità: brevemente, nel 1974, è stata introdotta la possibilità per le società quotate di emettere azioni senza diritto di voto (le azioni di risparmio); nel 2003, è stata introdotta la possibilità anche per le società non quotate di emettere azioni senza diritto di voto e, per tutte le società, la possibilità di emettere azioni con diritto di voto limitato o subordinato e strumenti finanziari partecipativi con diritto di voto su specifici argomenti; nel 2014, è stata introdotta la possibilità di emettere azioni a voto plurimo per le società non quotate (ma, se preesistenti alla quotazione, anche per le quotate) e la possibilità di prevedere una maggiorazione del voto in favore dei soci “fedeli” delle

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circolatorie, individuabili nella trattativa privata e nell’offerta pubblica di acquisto o scambio. La prima è l’ordinario iter procedimentale che conduce alla conclusione di un altrettanto ordinario negozio traslativo che, di regola e salvo inserimento di clausole frutto dell’esercizio dell’autonomia contrattuale, segue le norme dettate dall’ordinamento in materia di contratti in generale e di compravendita o permuta in particolare7. La seconda, pur costituendo mezzo funzionalmente analogo, è un iter procedimentale strutturalmente diverso; l’offerta pubblica di acquisto inizia infatti con una proposta contrattuale avente per oggetto un certo quantitativo di strumenti finanziari ed è rivolta dall’offerente in incertam personam agli azionisti della società bersaglio; prosegue con le adesioni degli oblati – che accettano incondizionatamente la proposta contrattuale – e termina in caso di successo con il trasferimento della proprietà degli

società quotate. Gli interventi citati hanno quindi imposto ai commentatori di identificare il reale detentore del controllo societario attribuendo progressivamente rilevanza non tanto o non solo alla “quantità” di azioni detenute, quanto e anche alla “qualità” dei titoli detenuti: l’enfasi si è dunque progressivamente spostata dall’ammontare del capitale detenuto all’ammontare di diritti di voto disponibili e, ai fini dell’indagine, il “controllo societario” dovrà quindi identificarsi (come fatto nel corpo del testo) nella detenzione di una quota di titoli – azionari e non azionari – che attribuiscano diritti di voto nelle delibere assembleari riguardanti la nomina o la revoca degli amministratori, e di ammontare tale da garantire a chi li detenga l’esercitabilità di un’influenza dominante su quelle delibere, che – con evidenza – potrà essere esercitata di diritto o di fatto, in via solitaria o congiunta, direttamente o indirettamente. Sul punto, si veda La Sala, Principio capitalistico e voto proporzionale nella società per azioni, Torino, 2011, pp. 97 ss.; Alvaro, Ciavarella, D’Eramo e Linciano, La deviazione dal principio “un’azione-un voto” e le azioni a voto multiplo, Roma, 2014, pp. 27 ss.; Abriani et al., Voto maggiorato, voto plurimo e modifiche dell’OPA. Atti del seminario di studio tenutosi in Roma il 7 novembre 2014, in Giur. comm., 2015, I, pp. 211 ss.; Lamandini, Voto plurimo, tutela delle minoranze e offerte pubbliche di acquisto, in Giur. comm., 2015, I, 491 ss.; Ventoruzzo, Un’azione, un voto: un principio da abbandonare?, in Giur. comm., 2015, I, pp. 512 ss.; Cariello, Azioni a voto potenziato, voti plurimi senza azioni e tutela dei soci estranei al controllo, in Riv. soc., 2015, pp. 164 ss.; Tombari, Le azioni a voto plurimo, in Riv. dir. comm., 2016, I, pp. 583 ss.. 7 Che in Italia sono rappresentate dalle norme contenute nel titolo II, libro IV del codice civile e nel capo I, ma anche nel capo III, del titolo III del libro IV del codice civile. Si aggiunge che la trattativa privata si distingue a seconda che riguardi una partecipazione preformata di controllo ovvero piccole tranches di azioni, rastrellando sul mercato le quali sarà possibile realizzare una scalata al comando della società bersaglio. A tale proposito, cfr. Stella Richter jr, “Trasferimento del controllo” e rapporti tra soci, Milano, 1996, pp. 95 e 96; Angelici, La circolazione della partecipazione azionaria, in Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, 1993, pp. 203 ss..

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strumenti finanziari oggetto dell’offerta e il pagamento del corrispettivo8. Dall’incontro degli elementi sopra descritti, è possibile accordarsi su che cosa si intenda sinteticamente per “mercato del controllo societario”: esso è il luogo ideale in cui vengono scambiati – mediante trattativa privata o mediante offerta pubblica di acquisto – titoli azionari e non azionari che attribuiscono diritti di voto nelle delibere assembleari riguardanti la nomina o la revoca degli amministratori, consentendo a chi li detiene di esercitare un’influenza dominante su quelle delibere9. Dal punto di vista funzionale, una regolamentazione del mercato del controllo societario costituisce allora sia uno strumento di corporate governance sia uno strumento di mercato finanziario. Come strumento di corporate governance, incide infatti direttamente e immediatamente sul livello medio di mobilità degli assetti proprietari delle società presenti in un dato sistema e incide dunque sul grado di stabilità o possibilità di avvicendamento nella proprietà e nella gestione della società e sull’idoneità del sistema di sorveglianza sugli imprenditori attuabile da parte degli investitori; i livelli di stabilità o mobilità e le dinamiche di sorveglianza incideranno a loro volta sulla possibilità di rimozione di imprenditori incapaci o scorretti e sulla possibilità di emersione di nuove capacità imprenditoriali, contribuendo in tal modo a realizzare i tipici obiettivi di corporate governance, rappresentati dal freno all’opportunismo degli amministratori e dei soci di controllo e dall’efficienza nella gestione societaria10. Come strumento di mercato finanziario, una regolamentazio-

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Cfr. Picone, Le offerte pubbliche, cit., p. 2, che aggiunge che le offerte pubbliche di acquisto o scambio possono essere anche costruite come species del genus offerta al pubblico ex art. 1336 c.c.: per offerta al pubblico ex art. 1336 c.c., si intende infatti una proposta contrattuale rivolta ad un numero indeterminato di soggetti, avente cioè quale elemento caratterizzante e fondamentale la direzione in incertam personam. Ne consegue che le offerte qui considerate potranno essere quindi regolate non solo dalla disciplina speciale, ma anche dalla disciplina codicistica dell’art. 1336 c.c.. Questo rilievo consentirà l’applicazione delle norme generali di diritto civile, in primo luogo, laddove non provveda la disciplina speciale; in secondo luogo, nei casi in cui sia lanciata un’offerta pubblica al di fuori dell’ambito di applicazione della disciplina speciale. Sul medesimo tema, si veda nella letteratura straniera anche Dignam e Lowry, Company Law, Oxford, 2009, p. 80. 9 Ovviamente, anche la nozione di mercato del controllo societario non è giuridicopositiva, ma soltanto epistemologica ed è pertanto strumentale solo alla presente ricerca, perché rappresenta l’oggetto della regolamentazione che andremo ad osservare e costituisce il presupposto e insieme l’orizzonte dell’indagine. 10 A sostegno della sintesi tracciata nel testo, osserviamo quanto segue. In prima approssimazione, la presenza di una limitata mobilità del controllo, impedendo

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ne del mercato del controllo societario incide inoltre indirettamente e mediatamente anche sugli obiettivi ultimi che, in quanto tale, il mercato finanziario ha il compito di assolvere: se è infatti vero che una adeguata regolamentazione dei takeovers contribuisce a rendere presumibilmente possibile un’allocazione efficiente del controllo e del governo societario, allora sarà anche vero che, in ultima analisi, una regolamentazione di quel tipo sarà in grado di contribuire a garantire anche una efficiente allocazione delle risorse economiche e del risparmio in genere11. L’appartenenza del mercato del controllo societario e della mobilità degli assetti proprietari alle più rilevanti problematiche di corporate governance e di mercato finanziario rende dunque la relativa regolamentazione un efficace strumento di politica economica. Le pagine che seguono serviranno quindi a verificare quali siano i tradizionali obiettivi di policy di una regolamentazione dei takeovers e quali siano i tradizionali strumenti regolamentari che il legislatore ha a disposizione e – tra

l’emersione di nuove capacità imprenditoriali, costituisce un ostacolo alla realizzazione degli obiettivi di governo societario; conseguentemente, la maggiore mobilità degli assetti proprietari e la creazione di un corretto mercato del controllo societario possono considerarsi strumenti di sicuro impatto per la realizzazione delle finalità di corporate governance. In seconda approssimazione, una bassa mobilità del controllo non costituisce di per sé indice di inefficienza; infatti, dal punto di vista dell’allocazione efficiente delle risorse, la mobilità del controllo accresce l’efficienza solo se favorisce l’ascesa di imprenditori adatti; una notevole mobilità del controllo che possa penalizzare gli imprenditori in carica anche indipendentemente dalle loro capacità può costituire un serio disincentivo ad assolvere in modo appropriato il mestiere stesso di imprenditore; tuttavia, poiché l’acquisizione di capacità imprenditoriali è indubbiamente favorita proprio dall’esercizio dell’attività d’impresa, una mobilità elevata del controllo e la possibilità di un avvicendamento anche non consensuale nella gestione sono condizioni necessarie non solo per rimuovere imprenditori incapaci o scorretti, ma anche per fare emergere capacità imprenditoriali nascoste. Su questi temi, cfr. i classici contributi di Berle e Means, The Modern Corporation and Private Property, New York, 1932, passim; Manne, Mergers and the Market for Corporate Control, in Journal of Political Economy, 1965, I, pp. 110 ss.; Jensen, Agency Costs of Free Cash-Flow, Corporate Finance and Takeovers, in American Economic Review, 1986, p. 659; R. Romano, A Guide to TakeOvers: Theory, Evidence and Regulation, in European Takeovers: Law and Practice, a cura di Hopt e Wymeersch, Oxford, 1992, p. 3. Nella letteratura italiana, vedi anche Jaeger, Gli azionisti: spunti per una discussione, in Giur. comm., 1993, I, pp. 23 ss.; Barca, Imprese in cerca di padrone. Proprietà e controllo nel capitalismo italiano, Bari, 1994, pp. 52 ss.; Bianco e Casavola, Corporate governance in Italia: alcuni fatti e problemi aperti, in Riv. soc., 1996, pp. 426 ss.. 11 Sul punto, cfr. Enriques, Mercato del controllo societario e tutela degli investitori, cit., p. 11; Weigmann, Le offerte pubbliche di acquisto, in Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, 1994, pp. 317 ss..

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essi – quali siano stati quelli in concreto utilizzati dal legislatore italiano, in modo da poter comprendere se l’incertezza che ha recentemente caratterizzato le scelte del legislatore italiano in questo particolare settore sia da ritenere rispondente alle esigenze di avvicinamento ai criteri tendenzialmente immutabili di razionalità del sistema ovvero alle istanze politiche di volta in volta rilevanti.

2. Gli obiettivi di una regolamentazione del mercato del controllo societario. Per quanto concerne la definizione dei tradizionali obiettivi di politica del diritto che si intende perseguire attraverso una regolamentazione dei takeovers, non esiste unanime concordia, ma è possibile individuarli con una certa approssimazione, prendendo le mosse da una situazione in cui le operazioni di trasferimento del controllo societario non siano specificatamente regolamentate. I beni giuridici che in tale situazione non vengono tutelati, ma che sono avvertiti come meritevoli di tutela, emergeranno come tendenziali obiettivi di policy della regolamentazione che si vorrà predisporre. L’ipotesi di una situazione non regolamentata è peraltro quanto mai realistica: negli Stati Uniti, la legge federale che se ne occupa risale agli anni ’30, ma in Europa abbiamo dovuto aspettare la direttiva 2004/25/ CE (Direttiva Opa); in alcuni Paesi UE, norme specifiche sono state introdotte solo con l’attuazione della Direttiva Opa, mentre in altri Paesi UE l’introduzione di una prima forma di regolamentazione è avvenuta comunque recentemente; nel Regno Unito, l’esperienza del City Code on Takeovers and Mergers risale agli anni ’60, ma una regolamentazione compiuta è stata emanata solo con il Companies Act 2006; in Francia, una legge quadro esisteva fin dagli anni ’70, ma una regolamentazione specifica è stata introdotta solo con la Loi n° 531/1989; in Spagna, con il Real Decreto no 279/1984; in Italia, con la legge n. 149/1992 e, più stabilmente, con il testo unico della finanza di cui al d.lgs. n. 58/1998 (t.u.f.)12.

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Per i profili di diritto comparato, si veda ex multis i saggi di Berger, A Comparative Analysis of Takeover Regulation in the European Community, in Law and Contemporary Problems, 1992, pp. 53 ss.; Payne, Takeovers in English and German Law, Oxford and Portland OR, 2002, passim; Ipekel, A Comparative Study of Takeover Regulation in the UK

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Ipotizzando quindi una situazione non regolamentata, gli scenari prospettabili di fronte a una possibile operazione di trasferimento del controllo societario sono i seguenti tre: (a) che ci sia un accordo tra raider e azionisti di comando della società target (c.d. scalata amichevole); (b) che non ci sia accordo tra raider e azionisti di comando della società target e la società target sia contendibile a causa della circostanza che i relativi azionisti di comando esercitano solo un controllo di fatto (c.d. scalata ostile); (c) che non ci sia accordo tra raider e azionisti della società target e la società target sia non contendibile a causa della circostanza che i relativi azionisti di comando esercitano un controllo di diritto; quest’ultimo scenario va tuttavia subito accantonato; in sua presenza, non viene infatti a porsi alcun problema qualunque sia la scelta del legislatore di regolamentare in un modo o in un altro o di non regolamentare i cambi di controllo societario13. Consideriamo dunque solo i due primi scenari. In presenza dello scenario sub (a) (accordo tra raider e azionisti di comando della società target), il trasferimento del controllo avviene mediante trattativa privata. Si pongono i seguenti problemi14. In primo luogo, la proprietà del pacchetto di comando transita da alienante ad acquirente dietro il pagamento di un corrispettivo che non sarà soltanto costituito dal valore monetario delle azioni che lo compongono, ma sarà costituito anche da un c.d. premio di maggioranza configurabile come

and France, London, 2004, pp. 108 ss.; Ventoruzzo, Europe’s Thirteenth Directive and U.S. Takeover Regulation: Regulatory Means and Political and Economic Ends, in Texas International Law Journal, 2006, pp. 171 ss.; Martìn, Aguiar e Dìaz, Ultimate Ownership and takeover defences in Spain, in Spanish Journal of Finance and Accounting, 2004, pp. 399 ss.; Varottil, Comparative Takeover Regulation and the Concept of ‘Control’, in Singapore Journal of Legal Studies, 2015, pp. 208 ss.. Per un’analisi comparata sulla struttura proprietaria delle imprese nei principali ordinamenti giuridici e sull’impatto che tale aspetto ha sulle caratteristiche dei relativi diritti societari e dei mercati di capitali e – anche – sulla tipologia di regolamentazione dei takeovers rilevante, si veda La Porta et al., Corporate Ownership around the World, in Journal of Finance, 1999, pp. 471 ss., p. 480. Sull’originaria impostazione della legge opa, si veda ancora Weigmann, Le offerte pubbliche di acquisto, cit., pp. 317 ss.. 13 Cfr. Morse, The City Code on Takeovers and Mergers – Self Regulation or Self Protection?, in Journal of Business Law, 1991, pp. 509 ss., p. 513; Skog, Se l’O.P.A. obbligatoria sia davvero necessaria. Riflessioni critiche alla luce del sistema svedese (Does Sweden Need a Mandatory Bid Rule? A Critical Analysis), in Riv. soc., 1995, pp. 967 ss., a p. 988. 14 In questo caso, la trattativa privata avrà per oggetto una partecipazione preformata di controllo.

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un “plusvalore” corrispondente al “pluspotere” connesso all’esercitabilità del controllo societario15; in tale situazione, gli azionisti di comando della società bersaglio (e solo loro) avranno la libertà e la possibilità sia di uscire dalla società sia di lucrare il premio di maggioranza; invece, gli azionisti di minoranza non solo non potranno uscire dalla società, ma non potranno nemmeno partecipare alla ripartizione del premio, subendo in tal modo una manifesta disparità di trattamento16. In secondo luogo, la cessione del controllo societario – proprio perché realizzata mediante trattativa privata – può avvenire in modo riservato; può cioè avvenire alla completa insaputa degli azionisti di minoranza, i quali avranno la percezione che il proprio investimento può essere soggetto ad effetti negativi indotti da inaspettate “sorprese” a causa dell’opacità del mercato17. In terzo luogo, se è possibile che la facile trasferibilità del pacchetto di controllo incida positivamente sulla possibilità di avvicendamento di proprietà e gestione inefficiente con proprietà e gestione efficiente, è anche vero il contrario e cioè che il meccanismo di free

15 La notazione nel corpo del testo impone alcune considerazioni sul principio dell’uguaglianza di valore delle azioni, che – come noto – vale sia con riferimento alla nozione di valore nominale (rapporto tra capitale sociale nominale e numero di azioni in circolazione) sia con riferimento alla nozione di valore reale (rapporto tra patrimonio netto e numero di azioni in circolazione), ma può subire una deroga con riferimento alla nozione di valore di mercato: infatti, il valore di mercato coincide tendenzialmente con il valore reale, ma, se il quantitativo di azioni del cui valore di mercato si discute dovesse essere di ammontare tale da consentire a chi lo detiene il superamento di soglie percentuali rilevanti o l’esercizio dell’influenza dominante in assemblea, allora il valore di mercato del relativo pacchetto azionario sarà maggiore della somma dei valori di mercato delle azioni che lo compongono, e ciò in ragione della circostanza che quel pacchetto attribuirà a chi lo detiene diritti sociali non solo in via proporzionale al numero di azioni possedute (voto, utili, opzione), ma anche in via più che proporzionale (impugnazione delibere assembleari invalide, denuncia al collegio sindacale, denuncia al tribunale, convocazione assemblea, azione di responsabilità, governo societario) e dunque attribuirà anche un “pluspotere” in grado di giustificare il “plusvalore” del pacchetto azionario e, se pacchetto di controllo, in grado di giustificare il particolare “plusvalore” rappresentato dal c.d. premio di controllo, che viene sistematicamente pagato nell’ambito di operazioni di trasferimento del controllo societario. Sul punto, vedi Colombo, La cessione dei pacchetti di controllo: considerazioni per una discussione, in Riv. soc., 1978, pp. 1443 ss.; Stella Richter jr, “Trasferimento del controllo”, cit., p. 276; Angelici, La circolazione, cit., pp. 114-117; Manne, Mergers and the Market, cit., p. 115. 16 Cfr. Colombo, La cessione dei pacchetti di controllo, cit., pp. 1443 ss.; Campobasso, Diritto commerciale, Torino, 1999, p. 248 e, nella letteratura straniera, Grossman e Hart, An Analysis of the Principal-Agent Problem, in Econometrica, 1983, pp. 7 ss., p. 51. 17 Cfr. Stella Richter Jr., “Trasferimento del controllo”, cit., pp. 95 e 96

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market non porti ad un adeguato livello di selezione e di disciplina di capacità gestorie: essendo concordata, la cessione del controllo può infatti avvenire anche a favore di un raider che progetti in via diretta di appropriarsi di benefici pecuniari privati in misura tale da compensare lo sforzo finanziario intrapreso18. Da questo scenario, emergono dunque esigenze sia di adeguata contendibilità sia di parità di trattamento e di trasparenza e, in definitiva, di tutela degli azionisti di minoranza. In mancanza di ciò, i risultati microeconomici saranno del tipo sopra descritto, ma – anche a livello macroeconomico – i risultati possono ben essere facilmente subottimali in quanto, determinandosi un decremento dei profili di credibilità del mercato finanziario, il pubblico degli investitori sarà dissuaso dal far imboccare al proprio risparmio i canali dell’intermediazione, impedendo al mercato finanziario di adempiere – tramite i propri circuiti – al compito di rendere maggiormente efficiente l’allocazione del risparmio e, in definitiva, l’intero sistema economico e produttivo19. In presenza dello scenario sub (b) (mancanza di accordo tra raider e azionisti di comando della società target e società target contendibile), il trasferimento del controllo può avvenire sia mediante trattativa privata sia mediante offerta pubblica di acquisto. Nell’ipotesi in cui il trasferimento del controllo avvenga mediante trattativa privata, oltre a porsi gran parte dei problemi visti sopra, si aggiungono i problemi indotti dalla circostanza che oggetto della cessione concordata non sarà sic et simpliciter una partecipazione preformata di controllo, ma delle piccole tranches di azioni appartenenti ai soci esterni che porteranno ad un rastrellamento delle partecipazioni sul mercato con conseguente rischio di manovre speculative20. Nell’ipotesi in cui il trasferimento del controllo avvenga mediante la promozione volontaria di un’offerta pubblica di acquisto non soggetta a regolamentazione, si pone sicuramente il problema delle tecniche di difesa utilizzabili dalla società bersaglio per il tramite del suo organo amministrativo, le quali, in assenza di una disciplina procedimentale, sarebbero praticabili senza alcun limite e, dunque, con

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Cfr. Enriques, Mercato del controllo, cit., pp. da 19 a 21. Cfr. Costi, Il mercato mobiliare, Torino, 1999, p. 262, 270 e 365; Zadra, Strutture e regolamentazione del mercato mobiliare, Milano, 1995, p. 154; Bebchuck e Ferrell, A New Approach to Takeover Law and Regulatory Competition, in Virginia Law Review, 2001, pp. 87 ss., p. 111. 20 Cfr. Enriques, Mercato del controllo, cit., pp. 20 e 21. 19

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possibile pregiudizio circa il regolare andamento delle negoziazioni21. A fronte di ciò, l’utilizzo della tecnica dell’offerta pubblica di acquisto presenta in sé degli indubbi vantaggi: da un lato, impone al raider di uscire subito allo scoperto e ciò incide positivamente sulla avvertita esigenza di trasparenza; dall’altro lato, rende possibile la partecipazione delle minoranze azionarie alla ripartizione in tutto o in parte del premio di controllo eventualmente pagato e ciò, ancora, incide positivamente sull’altra avvertita esigenza di parità di trattamento tra azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza22. Ipotizzando quindi come assente una regolamentazione del trasferimento del controllo, emergono con una certa precisione due distinti desiderata che, nella letteratura scientifica, sono stati assunti come principali obiettivi di una regolamentazione dei takeovers: da un lato, abbiamo l’obiettivo della tutela degli azionisti di minoranza, che attiene soprattutto ai profili di garanzia; dall’altro lato, abbiamo l’obiettivo della contendibilità del controllo societario, che attiene soprattutto ai profili di efficienza economica23.

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Il legislatore non definisce le tecniche di difesa e non ne stila un elenco né tassativo né esemplificativo. Tuttavia, la prassi consente di omogeneizzare in categorie gli atti idonei a contrastare gli obiettivi di un’opa. Costi, Il mercato mobiliare, cit. pp. 82 e 83, individua per esempio tre categorie di poison pills. La prima categoria di difese comprende le operazioni preordinate ad aumentare il costo dell’opa (per es., un aumento di capitale o una conversione di azioni di risparmio in azioni ordinarie). La seconda categoria di difese comprende le operazioni preordinate a mutare i caratteri della società target (per es., cessione di beni o di rami d’azienda cui il raider sia interessato, fusioni, scissioni). La terza categoria di difese comprende le operazioni preordinate a disturbare l’opa (liquidazioni d’oro agli amministratori uscenti, promozione di un’opa contraria, acquisizioni di imprese che rendano il successo dell’offerta incompatibile con la legislazione antitrust). Nella letteratura straniera, si vedano Bebchuck, The Case Against Board Veto in Corporate Takeovers, in University of Chicago Law Review, 2002, pp. 973 ss., p. 980; Bebchuck e Ferrell, Federalism and Corporate Law: the Race to Protect Managers from Takeovers, in Columbia Law Review, 1999, pp. 1168 ss., p. 1171; Davies, The Regulation of Defensive Tactics in the United Kingdom and the United States, in European Takeovers:Law and Practice, Hopt e Wymeersch, a cura di, Oxford, 1992, p. 195. 22 Cfr. Colombo, La cessione dei pacchetti, cit., pp. 1443 ss.; Campobasso, Diritto commerciale, cit., p. 249; Bebchuck e Ferrell, A New Approach to Takeover, cit., p. 113. 23 Queste esigenze sono state tradizionalmente avvertite a livello di economia nazionale; tuttavia, il processo di integrazione europea intende oggi dar vita ad un mercato comune anche del controllo societario e – come vedremo di seguito – la Direttiva Opa ne tiene infatti conto espressamente. Sul punto, sia consentito il riferimento a Benocci, Il mercato (comune?) del controllo societario, Pisa, 2005, pp. 64-65.

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Il primo obiettivo (la tutela degli azionisti di minoranza) risponde essenzialmente a due diverse esigenze. Da un lato, la protezione dei piccoli azionisti riduce il costo del capitale e aumenta l’offerta di capitale di rischio per le società; quando i piccoli azionisti temono un’espropriazione delle loro risorse a favore degli azionisti di controllo, essi saranno disposti ad investire i loro risparmi in capitale azionario solo ad una remunerazione che tenga conto del rischio di espropriazione che essi fronteggiano; il costo del capitale sarà pertanto elevato e la struttura finanziaria delle imprese sarà orientata verso l’utilizzazione di forme di finanziamento alternative, quali il debito bancario; la capitalizzazione del mercato dipende allora crucialmente dai diritti e dalla tutela che ai piccoli azionisti viene accordata; vi è dunque una ragione anche di efficienza economica alla base della protezione accordata ai piccoli azionisti: evitare cioè una distorta struttura finanziaria delle imprese. Dall’altro lato e più tradizionalmente, la protezione delle minoranze azionarie è necessaria al fine di garantire l’equità tra gli azionisti dell’impresa; tale principio non deriva da alcun ragionamento economico, ma riflette piuttosto uno dei principi fondamentali del diritto24. L’obiettivo della tutela degli azionisti di minoranza può tuttavia essere perseguito mediante l’attuazione di due obiettivi intermedi: la finalità della trasparenza e la finalità della parità di trattamento tra gli azionisti di maggioranza e gli azionisti di minoranza. L’obiettivo intermedio della trasparenza può riguardare sia la struttura proprietaria sia la gestione di una società e ha lo scopo di consentire al mercato una valutazione corretta dei suoi risultati, rafforzando sia la capacità degli investitori di effettuare investimenti consapevoli (anche quelli intenzionati all’acquisizione del controllo) sia la credibilità del mercato finanziario, a sua volta indispensabile per far sì che il risparmio imbocchi con fiducia i canali dell’intermediazione25.

24 In questo senso, il secondo considerando della Direttiva Opa afferma infatti che «è necessario tutelare gli interessi dei possessori di titoli delle società disciplinate dalle leggi degli Stati membri quando dette società sono oggetto di un’offerta pubblica di acquisto ovvero si verifica un cambiamento del controllo di dette società». Cfr. Panunzi e Polo, Corporate governance e mercato dei capitali. Un’analisi economica della regolamentazione dei takeover, in Corporate governance. Analisi e prospettive del caso italiano, a cura di Airoldi e Forestieri, Milano, 1998, pp. 51 e 52. 25 Se il terzo considerando della Direttiva Opa dice infatti che «è necessario creare un contesto chiaro e trasparente a livello comunitario», il dodicesimo e il tredicesimo considerando affermano che un offerente dovrebbe informare al più presto i possessori di titoli e l’autorità di vigilanza sia in ordine alla decisione di lanciare un’offerta sia in ordine al suo contenuto e ciò, «per limitare le possibilità di abuso di informazioni

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L’obiettivo intermedio della parità di trattamento tra azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza può invece riguardare sia il prezzo di vendita sia il quantitativo dei titoli cedibili. Con riferimento al primo profilo (parità di trattamento riguardante il prezzo di vendita dei titoli cedibili), si è già visto che – in presenza di una situazione di mercato del controllo societario non regolamentato e di uno scenario di scalata amichevole – la proprietà della partecipazione di controllo transita dagli azionisti di maggioranza della società target al raider dietro il pagamento di un premio di maggioranza alla ripartizione del quale gli azionisti di minoranza non sono chiamati a partecipare; dalla constatazione di questa disparità economica tra azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza in punto di trasferimento del controllo, è emersa l’esigenza di assicurare una parità di trattamento tra azionisti con riguardo al prezzo dei titoli venduti, la cui massimizzazione si avrebbe evidentemente nel momento in cui fosse consentito agli azionisti di minoranza di vedersi distribuito l’intero premio di controllo su tutte le azioni cedute26. Con riferimento al secondo profilo (parità di trattamento riguardante il quantitativo dei titoli cedibili), una forma di disparità di trattamento può così essere ravvisata nel fatto che, mentre la maggioranza è libera di decidere se e a chi vendere il controllo, gli azionisti di minoranza non hanno alcuna voce in capitolo, sebbene i mutamenti dell’assetto proprietario possano avere importanti ripercussioni anche sul loro investimento; massimizzata, la finalità della parità di trattamento con riguardo alla quantità di azioni cedibili consentirebbe a tutti gli azionisti – e non solo a quelli di maggioranza – di ve-

privilegiate». Cfr. Costi, Il mercato mobiliare, cit., p. 262; Davies, The Notion of Equality in European Takeovers Regulation, in Takeovers in English and German Law, a cura di Payne, Cambridge, 2002, p. 9; Andrews, The Stockholder’s Right to Equal Opportunity in the Sale of Shares, in Harvard Law Review, 1965, pp. 505 ss., p. 512. 26 A questo proposito, il nono considerando della Direttiva Opa si preoccupa di stabilire che gli Stati membri dovrebbero assicurare la tutela degli azionisti di minoranza obbligando chiunque acquisisca il controllo di una società a promuovere un’offerta «ad un prezzo equo». Sul punto, cfr. D’Attorre, Il principio di eguaglianza tra soci nelle società per azioni, Milano, 2007, pp. 369 ss., che sottolinea l’estraneità della tematica della ripartizione del premio di controllo al profilo corporativo, stante il fatto che un dovere di trattamento paritario tra soci non è imposto alla società e, per essa, ai suoi organi sociali, ma ad un soggetto esterno e terzo rispetto alla società, con la conseguenza che la finalità della parità di trattamento potrà essere considerata come tendenziale e le relative regole come dispositive, in quanto nei rapporti di mercato non è dato individuare – come invece avviene nei rapporti associativi – l’esistenza di un principio di parità di trattamento, salvo non sia espressamente imposto dal legislatore.

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dersi riconosciuta la facoltà di cedere tutte le proprie azioni e lasciare la società, esercitando un diritto di exit, che – per gli azionisti di minoranza – rappresenterebbe una ulteriore forma di tutela dagli effetti equivalenti a quelli di un recesso, perché consentirebbe di esprimere non solo una valutazione sulla convenienza dell’offerta, ma anche un giudizio sulla “persona” del nuovo gestore dei propri risparmi27. Il secondo obiettivo (la contendibilità del controllo societario) risponde pienamente ad una logica economica. Almeno da un punto di vista teorico, i guadagni in termini di aumentata efficienza allocativa connessi al perseguimento dell’obiettivo della contendibilità sarebbero di due tipi: affidamento delle risorse di impresa al gruppo manageriale in grado di utilizzarle meglio e maggiore allineamento degli obiettivi manageriali con quelli degli azionisti della società28. Tramite il perseguimento dell’obiettivo della contendibilità, si può infatti garantire agli investitori e al mercato la possibilità di procedere con una continua azione di monitoraggio sugli imprenditori al fine di assicurare che il controllo sia efficientemente allocato ed esercitato; è infatti necessario che gli investitori e il mercato dispongano di strumenti diretti ed indiretti di supervisione con cui individuare e correggere per tempo gli abusi o gli errori in atto, con la possibilità – in ultima istanza – di propiziare un avvicendamento anche non consensuale nel comando dell’impresa29. Tramite il perseguimento dell’obiettivo della contendibilità, si mira inoltre a rimuovere anche gli eccessivi costi e gli ostacoli all’acquisizione dei pacchetti di comando; da un lato, il fenomeno dei takeovers consente infatti l’avvicendamento di gestori maggiormente efficienti in luogo di gestori inefficienti; dall’altro lato, proprio la paura di essere sostituiti avrebbe un effetto disciplinare sugli attuali gestori che verrebbero spinti ad astenersi da una condotta inefficiente e, in positivo, si sentirebbero vincolati a garantire agli azio-

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Il nono considerando della Direttiva Opa prevede infatti che chiunque acquisisca il controllo di una società dovrebbe essere obbligato dagli Stati membri a promuovere un’offerta da rivolgere «a tutti i possessori di titoli di tale società, proponendo loro di acquisire la totalità dei loro titoli». Cfr. Andrews, Stockholders’ Right to Equal Opportunity in the Sales of Shares, cit., pp. 515 ss.. 28 Cfr. Associazione Disiano Preite per lo studio del diritto d’impresa, Rapporto sulla società aperta – 100 tesi per la riforma del governo societario in Italia, Bologna, 1997, p. 24; Bianchi, Considerazioni introduttive (sulla corporate governance), in Riv. soc., 1996, pp. 405 ss.. 29 Cfr. ancora Bianchi, Considerazioni introduttive, cit., p. 407; Coffee, Regulating the Market for Corporate Control, in Columbia Law Review, 1984, pp. 1145 ss., p. 1282.

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nisti una redditività sufficientemente elevata per indurli a non ritirare il loro investimento30. La dottrina concorda solitamente sul fatto che la tutela degli azionisti di minoranza e la contendibilità del controllo societario possano effettivamente considerarsi come i principali obiettivi di policy di una regolamentazione dei takeovers e concorda altresì sul fatto che tali obiettivi siano in sostanziale conflitto: infatti, una maggiore protezione degli azionisti di minoranza può diminuire la capacità degli azionisti di controllo di estrarre benefici privati e – di conseguenza – può diminuire l’attivismo degli investitori sul mercato del controllo societario31. Tuttavia, la letteratura è tradizionalmente divisa su quale obiettivo debba essere perseguito con maggiore risolutezza. Come visto in precedenza, alcuni autori hanno sostenuto che il perseguimento della contendibilità del controllo societario permette indirettamente di assicurare anche un adeguato livello di tutela degli azionisti di minoranza32. Altri autori sostengono la tesi opposta33. Recentemente, i dibattiti di policy hanno anche fatto

30 In effetti, il diciannovesimo considerando della Direttiva Opa afferma categoricamente che «gli Stati membri dovrebbero adottare le misure necessarie per garantire a qualsiasi offerente la possibilità di acquisire partecipazioni di maggioranza in altre società e di esercitarvi il pieno controllo». Alcuni interpreti sostengono dunque che, se la minaccia di scalata ha un effetto positivo sulla gestione delle società, allora occorre evitare che si ostacoli il mercato del controllo societario, il quale non solo garantirebbe una efficiente allocazione delle risorse nell’interesse di tutta la collettività, ma costituirebbe una ulteriore forma di tutela delle minoranze. Sul punto, cfr. Carbonetti, La nuova disciplina delle offerte pubbliche di acquisto, in Riv. soc., 1998, p. 1358, che aggiunge che la dottrina del market egalitarianism può certo giustificare l’imposizione a carico di chi abbia deciso di effettuare l’offerta pubblica di acquisto dell’obbligo di garantire la parità di trattamento degli oblati; ma non giustifica affatto l’imposizione dell’opa come unico meccanismo di acquisizione del controllo. Dopo aver osservato molti takeovers, altri interpreti concludono tuttavia in senso contrario, rilevando che le acquisizioni di controllo possono essere motivate anche da considerazioni che nulla hanno a che vedere con l’efficienza economica: divisione degli assets, manie di grandezza del management e così via. Sul punto, cfr. Cannella, sub Art. 106, in La disciplina delle società quotate nel testo unico della finanza D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 - Commentario, a cura di Marchetti e Bianchi, Milano, 1999, p. 329; Dyck e Zingales, Private Benefits of Control: an International Comparison, in Journal of Finance, 2004, pp. 537 ss., p. 564. 31 Cfr. Grossman e Hart, Takeover Bids, the Free-rider Problem, and the Theory of Corporation, in Bell Journal of Economics, 1980, pp. 11 ss., a p. 42. 32 Cfr. Manne, Mergers and the Market for Corporate Control, cit., p. 110. 33 Cfr. Stein, Takeover Threats and Managerial Myopia, in Journal of Political Economy, 1988, pp. 16 ss., a p. 61; Shleifer e Vishny, Management Entrenchment: The

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emergere una posizione intermedia, secondo la quale i takeovers non dovrebbero essere né ostacolati né promossi: è stato infatti sostenuto che i takeovers possono essere sia value-creating sia value-decreasing e non c’è quindi modo per dire ex ante se appartengano al primo o al secondo tipo e sarebbe quindi opportuno adottare un approccio neutrale34. Più realisticamente, riteniamo che il trade-off tra i due obiettivi non solo sconsigli soluzioni estreme, ma evidenzi anche come il loro perseguimento congiunto risulti particolarmente difficoltoso. Occorre dunque determinare – ad un livello di decisione politica – in che misura i due diversi obiettivi devono essere perseguiti; la regolamentazione del market for corporate control può dunque essere considerata come il risultato della visione politica del legislatore riguardo al grado di conseguimento dei due obiettivi sopra indicati. Visione che non è necessariamente immutabile, ma che può effettivamente variare a seconda del sistema finanziario considerato, del contesto socio-economico e culturale e delle varie posizioni ideologiche. Si assiste infatti non solo alla presenza di normative diverse da Stato a Stato, ma anche ad un avvicendamento, all’interno di uno stesso Stato, di regolamentazioni affatto diverse.

3. Gli strumenti di una regolamentazione del mercato del controllo societario: le scelte del legislatore italiano all’interno del quadro europeo. Una volta individuati i tradizionali obiettivi di una regolamentazione dei takeovers; una volta individuata l’esistenza di una certa conflittualità tra tali obiettivi; una volta chiarita la necessaria politicità della soluzione del relativo trade-off; una volta preso atto di tutto ciò, si deve ricercare quali siano i tradizionali strumenti regolamentari che il legislatore ha a disposizione nella predisposizione di una disciplina del trasferimento del controllo societario e quale sia la loro incidenza – positiva, neutrale o negativa – nel perseguimento dei vari obiettivi; dal loro assemblaggio

Case of Manager-Specific Investment, in Journal of Financial Economics, 1989, pp. 25 ss., a p. 123. 34 Cfr. Enriques, Gilson e Pacces, The Case for an Umbiased Takeover Law (with an Application to the European Union), in Harvard Business Law Review, 2013, pp. 85 ss., a p. 117; Enriques, European Takeover Law: the Case for a Neutral Approach, in Institutions and Markets, a cura di Panunzi, Milano, 2010, p. 26.

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dipende infatti la costruzione di un sistema normativo e la possibilità di realizzare un determinato punto di equilibrio nella soluzione del tradeoff; dalla loro conoscenza dipende invece la possibilità di fornire una valutazione critica di un dato sistema normativo. Traendo spunto dall’osservazione delle varie tradizioni regolamentari, le leve a disposizione del legislatore in questo particolare settore possono dirsi le seguenti: (i) la presenza o meno di regole procedimentali speciali per le operazioni di trasferimento del controllo societario; (ii) la presenza o meno dell’obbligo di opa; (iii) la tipologia dei presupposti dell’obbligo di opa; (iv) la presenza o meno dell’obbligo di promuovere l’opa in favore di tutti gli azionisti della società target; (v) la tipologia dei criteri di determinazione del prezzo d’offerta35. 3.1. Sulla presenza o meno di regole procedimentali speciali per le operazioni di trasferimento del controllo societario: gli obblighi informativi e pubblicitari e le regole di passività, neutralizzazione e reciprocità per le operazioni di trasferimento del controllo societario mediante opa. Con riferimento alla presenza o meno di regole procedimentali speciali per le operazioni di trasferimento del controllo societario, è necessaria una premessa: in tutti gli ordinamenti giuridici evoluti, esiste una disciplina delle vicende circolatorie dei beni in generale, che si presenta come un diritto comune dei trasferimenti di proprietà dei beni e che si scinde in una parte procedimentale (disciplina dell’atto e, dunque, della modalità di conclusione del contratto) e in una parte sostanziale (disciplina del rapporto e, dunque, degli effetti della conclusione del

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Sia consentito il riferimento a Benocci, Purposes and Tools of the Market for Corporate Control, in European Financial and Company Law Review, 2016, pp. 55 ss., a p. 66, secondo il quale la presenza o meno, da un lato, di regole procedimentali speciali per le operazioni di trasferimento del controllo societario e, dall’altro lato, di un obbligo di opa costituiscono strumenti “primari”, cioè leve regolamentari rispetto alle quali il legislatore non può non compiere una scelta e rispetto alle quali – come dice Irti, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998, pp. 11 ss. – anche la mancata adozione è l’espressione di una precisa scelta di politica del diritto che non potrà, dunque, dirsi neutrale; la tipologia dei presupposti dell’obbligo di opa, la presenza o meno della regola della c.d. totalitarietà e la tipologia dei criteri di determinazione del prezzo d’offerta costituirebbero invece strumenti “secondari”, cioè leve regolamentari che il legislatore può scegliere di utilizzare condizionatamente alla presenza di un obbligo di opa: sono cioè leve che possono esistere e possono essere utilizzate solo se è presente un obbligo di opa; in mancanza di un obbligo di opa, non si pone dunque alcun problema in ordine alla loro desiderabilità, in quanto un tale problema può porsi solo se un obbligo di opa è presente.

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contratto). Con riguardo al solo primo profilo, chi intende divenire proprietario di un bene può rivolgere la propria proposta di acquisto a un destinatario determinato che sia attuale proprietario di quel bene in attesa di un’accettazione36 ovvero può rivolgere la propria proposta di acquisto a un destinatario indeterminato – al pubblico, cioè – in attesa che, tra il pubblico degli attuali proprietari di quel bene, ne aderiscano uno o più37. Quando il trasferimento ha per oggetto il “bene-controllo societario”, si è visto che le modalità di conclusione del contratto non sono diverse e, rispettivamente, abbiamo parlato di trattativa privata (quando la proposta di acquisto ha un destinatario determinato) e di offerta pubblica di acquisto (quando la proposta di acquisto ha un destinatario indeterminato): ciò che varia è invece l’aspetto – per così dire – merceologico, in quanto il “bene-controllo societario” assume dei connotati peculiari e distintivi a causa della sua rilevanza sia quantitativa sia qualitativa, sia microeconomica sia macroeconomica. Tra il fatto “trasferimento dei beni in generale” e il fatto “trasferimento del controllo societario in particolare” è cioè ravvisabile un rapporto di genus a species semplicemente in ragione dell’elemento oggettivo; la circostanza sarebbe allora in grado di giustificare l’eventuale presenza di un “diritto speciale dei trasferimenti di proprietà del controllo societario” che, a sua volta, potrebbe legittimamente scindersi a seconda che la modalità di conclusione del contratto avvenga tramite proposta di acquisto rivolta a un destinatario determinato (trattativa privata) ovvero a un destinatario indeterminato (offerta pubblica di acquisto)38.

36 Nel nostro ordinamento, la disciplina di riferimento è ovviamente quella contenuta agli artt. 1326 ss. c.c. che, dal punto di vista della “topografia” codicistica, si pongono all’interno di quel corpo normativo denominato come il “diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale” su cui si veda G. Benedetti, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, Napoli, 1997, pp. 3 ss.. 37 Nel nostro ordinamento, la disciplina di riferimento è quella contenuta all’art. 1336 c.c., anch’essa posta nell’ambito del c.d. “diritto comune dei contratti”. 38 Precisato ciò che è giustificabile, resta da dire ciò che è ipotizzabile. Rispetto a quanto previsto dal diritto comune dei trasferimenti di proprietà dei beni in generale, il legislatore può infatti affrontare il problema della disciplina procedimentale del trasferimento del controllo societario nei quattro seguenti modi: (i) può decidere di non predisporre alcun diritto speciale del trasferimento del controllo societario né per trattativa privata né per opa: ad entrambe, in questo caso, si applicheranno le norme di diritto comune rispettivamente in materia di ordinaria proposta e accettazione, da un lato, e di offerta al pubblico, dall’altro lato; (ii) può decidere di predisporre un diritto speciale del trasferimento del controllo societario sia per la trattativa privata sia per

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Su questo punto, le scelte del legislatore italiano non sono state del tutto lineari. Quando un’operazione di trasferimento del controllo avviene mediante trattativa privata, non sono ancora previste norme speciali di procedura né a livello nazionale né a livello comunitario39, ma – sin dalla legge n. 149/1992 – l’ordinamento italiano ha previsto che la procedura di offerta pubblica di acquisto e scambio di azioni di società quotate fosse disciplinata da una serie di regole, che – sul piano comunitario – saranno tuttavia introdotte solo con la Direttiva Opa del 2004. Come noto, l’art. 1336 c.c. attribuisce all’offerta al pubblico la rilevanza giuridica di una proposta contrattuale nel momento in cui l’of-

l’opa: ad ognuna delle due tecniche, in questo caso, si applicherà la specifica disciplina appositamente predisposta mentre il diritto comune regolerà soltanto gli aspetti residuali; (iii) può decidere di predisporre un diritto speciale del trasferimento del controllo societario per la trattativa privata, ma non per l’opa: in questo caso, alla prima tecnica si applicherà la specifica disciplina appositamente predisposta mentre alla seconda tecnica si applicherà la disciplina di diritto comune in materia di offerta al pubblico; (iv) può decidere di predisporre un diritto speciale del trasferimento del controllo societario per l’opa, ma non per la trattativa privata: in questo caso, alla prima tecnica si applicherà la specifica disciplina appositamente predisposta mentre alla seconda tecnica si applicherà la disciplina di diritto comune in materia di ordinaria proposta e accettazione. Premesso questo, si può anche sostenere che la “distanza” tra diritto comune e diritto speciale nel settore che ci occupa sia influenzata da due distinti elementi. In prima approssimazione, assume rilievo il “livello di restrittività” della disciplina speciale eventualmente preordinata alla regolamentazione delle operazioni di trasferimento del controllo mediante trattativa privata e di quelle mediante offerta pubblica: una disciplina speciale poco restrittiva (per es. perché addirittura inesistente ovvero perché, pur esistente, priva di stringenti obblighi di disclousure) inciderà positivamente sull’obiettivo della contendibilità del controllo e negativamente sull’obiettivo della tutela degli azionisti di minoranza, mentre – viceversa – una disciplina speciale molto restrittiva (per es. perché dotata di norme di rigore per le tecniche di difesa) inciderà negativamente sull’obiettivo della contendibilità del controllo e positivamente sull’obiettivo della tutela degli azionisti di minoranza. In seconda approssimazione, assume rilievo anche la “ampiezza dell’ambito di applicazione” della eventuale disciplina speciale: la maggior ampiezza di una disciplina speciale poco restrittiva o la minor ampiezza di una molto restrittiva inciderà positivamente sull’obiettivo della contendibilità del controllo e negativamente sull’obiettivo della tutela degli azionisti di minoranza, mentre – viceversa – la minor ampiezza di una disciplina speciale poco restrittiva o la maggior ampiezza di una molto restrittiva inciderà negativamente sull’obiettivo della contendibilità del controllo e positivamente sull’obiettivo della tutela degli azionisti di minoranza. Per le riflessioni di carattere sistematico alla base delle osservazioni sviluppate in nota, cfr. Irti, L’età della decodificazione, Milano, 1989, p. 23. 39 Il tutto, salvo ovviamente la presenza di disposizioni speciali di legge ovvero di clausole statutarie o convenzionali che, alla ricorrenza di certi presupposti di fatto, limitino o condizionino il trasferimento della proprietà di un certo pacchetto azionario di controllo.

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ferta contenga gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta e dell’offerta sia dia notizia secondo le circostanze e gli usi. Quando però l’offerta è finalizzata all’acquisto o allo scambio di prodotti finanziari (e quindi anche di titoli emessi da società quotate) ed è rivolta al pubblico degli attuali titolari di quei prodotti40, la disciplina non è più quella generale di cui all’art. 1336 c.c., ma subentra quella speciale di cui agli artt. 102 ss. t.u.f.. Innanzitutto, la disciplina speciale introduce una forte procedimentalizzazione, caratterizzata nella sua fase di avvio da diversi obblighi informativi e pubblicitari gravanti sull’offerente anche in attuazione di quanto previsto dagli artt. 6 e 8 della Direttiva Opa41. La sequenza degli atti da compiere per dare avvio alla promozione di un’opa è stringente: brevemente, chiunque decida di promuovere un’opa – volontariamente ovvero perché obbligato – deve trasmettere alla Commissione nazionale per le Società e la Borsa (Consob) e al pubblico la relativa comunicazione42; entro 20 giorni decorrenti dalla trasmissione della comunicazione, l’offerente deve trasmettere alla Consob il documento d’offerta43; entro

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Al contrario di quanto previsto dall’art. 1336 c.c., l’individuazione della nozione di “pubblico” rilevante ai fini della qualificazione di un’offerta di acquisto come “pubblica” non è demandata alla casistica elaborata giurisprudenza, ma è operata direttamente dalla legge nelle definizioni di cui all’art. 1 t.u.f.. In particolare, l’art. 1, co. 1, lett. v), t.u.f. prevede che, per “offerta pubblica di acquisto o scambio”, debba intendersi quell’offerta rivolta «a un numero di soggetti e di ammontare complessivo superiori a quelli indicati nel regolamento previsto dall’articolo 100, comma 1, lettere b) e c)», cioè quell’offerta rivolta «a un numero di soggetti non superiore a quello indicato dalla Consob con regolamento» (ora pari a 100 soggetti) ovvero «di ammontare complessivo non superiore a quello indicato dalla Consob con regolamento» (ora pari a 2,5 milioni di euro). 41 Gli artt. 6 e 8 della Direttiva Opa prevedono infatti che «gli Stati membri provved[a] no a che viga l’obbligo di rendere immediatamente pubblica la decisione di promuovere un’offerta e di informarne l’autorità di vigilanza», «l’obbligo per l’offerente di redigere e rendere pubblico, in tempo utile, un documento di offerta contenente le informazioni necessarie affinché i possessori di titoli della società emittente possano decidere in merito alla stessa con cognizione di causa» e, infine, «l’obbligo di pubblicare l’offerta in una forma tale da garantire la trasparenza e l’integrità dei mercati per i titoli della società emittente, dell’offerente o di qualsiasi altra società interessata dall’offerta, al fine di evitare, in particolare, la pubblicazione o la diffusione di informazioni false o fuorvianti». 42 Il contenuto della comunicazione individua “sinteticamente” i caratteri dell’offerta secondo quanto previsto dalla delibera Consob n. 11971/1999 (Regolamento Consob sugli Emittenti). 43 Il contenuto del documento d’offerta individua invece “analiticamente” i caratteri dell’offerta ancora una volta secondo quanto previsto dal Regolamento Consob sugli Emittenti.

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15 giorni dalla trasmissione del documento d’offerta, la Consob deve accertare se il documento sia idoneo a consentire ai destinatari di pervenire a un fondato giudizio sull’offerta e, in caso negativo, deve rigettare espressamente il documento d’offerta, mentre, in caso positivo, può approvarlo anche per silenzio-assenso44; subito dopo l’approvazione del documento d’offerta da parte della Consob, l’offerente deve pubblicare il prospetto e trasmetterlo alla società bersaglio, la quale – entro il primo giorno del periodo di adesione – deve diffondere tramite il proprio organo amministrativo un comunicato contenente un giudizio di convenienza sull’opa, che – se positivo – qualificherà l’opa come amichevole e consiglierà agli azionisti della target di accettare l’offerta, mentre – se negativo – qualificherà l’opa come ostile e consiglierà agli azionisti di non accettare. La fase di avvio è dunque tutta orientata a garantire la correttezza e la trasparenza dell’operazione (ma direi anche la sua intelligibilità), attraverso la necessaria attivazione di flussi informativi sia sintetici sia analitici che abbiano come destinatari sia l’autorità di vigilanza sia il mercato e – dunque – anche la società target e ovviamente i

44 Il momento di approvazione del documento d’offerta da parte della Consob è un momento particolarmente delicato ed è infatti il frangente che ammette alcune deviazioni laddove sussistano elementi di specialità riguardanti i titoli oggetto di opa ovvero il mercato di riferimento della società target. Sotto il primo profilo, il termine di 15 giorni diviene di 30 giorni se l’opa ha per oggetto prodotti finanziari non quotati o non diffusi tra il pubblico ai sensi dell’art. 116 t.u.f., a causa della maggiore opacità di quei prodotti e della conseguente esigenza di un controllo più penetrante. Sotto il secondo profilo, l’art. 102 t.u.f. prevede che, quando il mercato di riferimento della società target è un mercato regolamentato e l’acquisizione di titoli da essa emessi presuppone il rilascio di autorizzazioni da parte delle autorità competenti (come avviene per le banche da parte della Banca d’Italia o della Bce/Eba, per le imprese di assicurazione da parte dell’Ivass o dell’Eiopa e per le imprese di telecomunicazione da parte dell’Agcom), allora la Consob deve attendere il rilascio dell’autorizzazione da parte dell’autorità competente e, in caso affermativo, il termine di 15 giorni diviene di 5 giorni, perché un controllo pervasivo è già stato fatto dall’autorità di settore e il controllo della Consob diviene supplementare. La stessa regola si applica anche laddove, indipendentemente dall’operatività in un mercato regolamentato, l’acquisizione di titoli emessi dalla società target dia luogo ad un’operazione di concentrazione di dimensione nazionale o comunitaria: anche in questo caso, il controllo della Consob segue la valutazione dell’operazione da parte dell’Agcm o della DG Concorrenza della Commissione Europea e, in caso di rilascio dell’autorizzazione, la Consob ha 5 giorni per effettuare i controlli di sua competenza. Sui profili di concorrenza connessi alle operazioni di trasferimento del controllo societario, vedi diffusamente Mangini e Olivieri, Diritto antitrust, Torino, 2012, pp. 105 ss..

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soggetti potenzialmente interessati a vendere le azioni (gli azionisti della società target)45. Terminata la fase di avvio, la fase di pendenza dell’offerta ha rappresentato il momento nei confronti del quale si è recentemente consumato il maggior attivismo regolamentare. Essendo la fase durante la quale gli oblati aderiscono o non aderiscono all’offerta, rappresenta l’ambito nel quale, se contrapposti, raider e management della target rischiano di porre in essere delle condotte lesive non solo dei reciproci diritti, ma anche degli interessi pubblici che la regolamentazione del mercato finanziario è tenuta a tutelare. Attualmente, la fase di pendenza dell’offerta è disciplinata sostanzialmente da tre regole – di passività, di neutralizzazione e di reciprocità – che, per la loro rilevanza, sono state oggetto di diversi interventi da parte del legislatore. La regola di passività prevede che, durante la pendenza dell’offerta, la società target non possa adottare difese e debba quindi astenersi dal compiere atti od operazioni che possano contrastare il conseguimento degli obiettivi dell’offerta (art. 104, co. 1, t.u.f.)46. La regola è generale, ma ammette eccezioni ed è proprio sulle eccezioni (e quindi su quali difese siano consentite ovvero a quali condizioni siano consentite) che il legislatore si è reso protagonista di diversi “giri di valzer”. Sia la legge del 1992 sia il t.u.f. nella sua versione originaria del 1998 consentivano l’adozione di difese, purché fossero autorizzate sempre dall’assemblea (per garantire che le delibere non fossero viziate da potenziali conflitti di interessi, se di competenza dell’organo amministrativo) e sempre con quorum deliberativo del 30% del capitale sociale (per garantire che la base sociale esprimesse comunque ampia condivisione). Tuttavia, un quorum deliberativo così restrittivo rendeva difficoltosa l’adozione di una misura difensiva. Non solo: comparativamente con altri sistemi economici e con altri ordinamenti giuridici, le società quotate italiane si trovavano nella condizione di essere più vulnerabili e più regolamentate rispetto a società più robuste e meno regolamentate (come erano per esempio le società tedesche), subendo in tal modo uno svantaggio

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Cfr. Pederzini, Profili contrattuali, cit., pp. 10 ss.. Come già detto supra, il legislatore non definisce le tecniche di difesa, ma la prassi consente di individuare quantomeno delle categorie di difesa, su cui cfr. ancora, Costi, Il mercato mobiliare, cit. pp. 82 e 83, Bebchuck, The Case Against Board Veto in Corporate Takeovers, cit., pp. 973 ss., p. 980; Davies, The Regulation of Defensive Tactics in the United Kingdom and the United States, in European Takeovers:Law and Practice, a cura di Hopt e Wymeersch, cit., p. 195. 46

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competitivo proprio all’interno del mercato comune; la Direttiva Opa ha posto solo un timido rimedio, in quanto è vero che all’art. 9 impone l’introduzione della passivity rule a livello comunitario, ma è anche vero che all’art. 12 prevede il meccanismo dei cc.dd. accordi opzionali, che consente agli Stati membri «di riservarsi il diritto di non esigere che le società (…) applichino l’articolo 9». Il legislatore italiano ha allora approfittato dell’attuazione della Direttiva Opa e del regime derogatorio da questa prevista per ritoccare l’art. 104 e – con le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 229/2007 e poi dal d.l. n. 185/2008 conv. in legge n. 2/2009 – ha previsto che le difese potevano essere adottate ordinariamente previa delibera dell’organo amministrativo o dell’assemblea secondo le rispettive competenze, relegando la passivity rule ad una mera opzione facoltativa da introdurre eventualmente per statuto. Alla maggiore facilità di adozione delle difese, corrispondeva naturalmente un maggior rischio di abuso, cui si è fatto fronte mediante la soluzione compromissoria introdotta dal d.lgs. n. 146/2009, che ha modificato ulteriormente l’art. 104 nel senso di consentire l’adozione delle difese subordinatamente all’autorizzazione dell’assemblea in ogni caso, ma nel rispetto dei consueti e ordinari quorum costitutivi e deliberativi, e con precisazione che la ricerca da parte dell’organo amministrativo di altre offerte non costituisce ex lege tecnica di difesa – ed è quindi sempre consentita – e che lo statuto può derogare alla passivity rule, disapplicandola definitivamente in tutto o in parte. Dopo un approccio molto restrittivo, il nostro legislatore si è dunque mosso nel senso di dare alle società quotate italiane facili strumenti di difesa, salvo applicazione della passivity rule per via statutaria (improbabile), per poi tornare sui suoi passi, salvo disapplicazione della passivity rule per via statutaria (a questo punto probabile), con conseguente negativo impatto sui profili di contendibilità e, rispetto al passato, anche con effetti equivoci rispetto alla tutela degli azionisti di minoranza, visto che le tecniche di difesa sono deliberate dalle maggioranze ordinarie o ispirate dall’organo amministrativo che, al gruppo di comando, comunque risponde47.

47 Sul rapporto tra tecniche di difesa e tutela degli azionisti di minoranza, si veda ancora D’Attorre, Il principio di eguaglianza tra soci, cit., pp. 377-379. Per i profili comparatistici, si veda invece Hopt, Takeover Defenses in Europe: a Comparative, Theoretical and Policy Analysis, in Columbia Journal of European Law, 2014, pp. 249 ss., p. 270; Easterbrook e Fischel, The Proper Role of a Target’s Management in Responding to a Tender Offer, in Harvard Law Review, 1981, pp. 1161 ss., p. 1168.

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Se la passivity rule aveva diritto di cittadinanza nell’ordinamento italiano già prima della Direttiva Opa, la regola di neutralizzazione è stata introdotta nel t.u.f. dal d.lgs. n. 229/2007 e dal d.l. n. 185/2008 conv. in legge n. 2/2009 proprio in attuazione della Direttiva Opa: l’art. 11 della Direttiva Opa prevede infatti che le eventuali restrizioni al trasferimento delle azioni della target o all’esercizio del diritto di voto nelle assemblee della target non siano efficaci nei confronti dell’offerente e che, nelle assemblee chiamate a deliberare sull’adozione di misure difensive, le eventuali azioni a voto plurimo conferiscano solo un voto, favorendo in tal modo la contendibilità del controllo societario. L’art. 11 della Direttiva Opa è – insieme all’art. 9 in materia di passivity rule – l’altra disposizione derogabile dagli Stati membri in virtù dell’art. 12 sugli accordi opzionali. Il nuovo art. 104-bis ha allora attuato la Direttiva Opa prevedendo sì la regola della neutralizzazione, ma precisando che essa non opera di diritto, ma deve essere espressamente prevista dallo statuto48. L’ordinamento giuridico italiano pone quindi un nuovo argine alla mobilità degli assetti proprietari delle proprie società quotate, anche se – in linea teorica – lo statuto della società quotata (cioè della potenziale società target) potrebbe prevedere l’applicazione della regola della neutralizzazione. Tuttavia, il condizionale è d’obbligo, perché tanto la redazione, quanto la modificazione dello statuto sono espressione del gruppo di comando che, in

48 In particolare, l’art. 104-bis t.u.f. prevede che «gli statuti delle società italiane quotate, diverse dalle società cooperative, poss[a]no prevedere che, quando sia promossa un’offerta pubblica di acquisto o di scambio avente ad oggetto i titoli da loro emessi, si applichino le regole previste dai commi 2 e 3», dove – al comma 2 – si prevede che, «nel periodo di adesione all’offerta, non hanno effetto nei confronti dell’offerente le limitazioni al trasferimento di titoli previste nello statuto né hanno effetto, nelle assemblee chiamate a decidere sugli atti e le operazioni previsti dall’articolo 104, le limitazioni al diritto di voto previste nello statuto o da patti parasociali», con precisazione che «nelle medesime assemblee le azioni a voto plurimo conferiscono soltanto un voto e non si computano i diritti di voto assegnati ai sensi dell’articolo 127-quinquies», mentre – al comma 3 – si prevede che, «quando (…) l’offerente venga a detenere almeno il settantacinque per cento del capitale con diritto di voto nelle deliberazioni riguardanti la nomina o la revoca degli amministratori o dei componenti del consiglio di gestione o di sorveglianza, nella prima assemblea che segue la chiusura dell’offerta, convocata per modificare lo statuto o per revocare o nominare gli amministratori o i componenti del consiglio di gestione o di sorveglianza, le azioni a voto plurimo conferiscono soltanto un voto e non hanno effetto: (a) le limitazioni al diritto di voto previste nello statuto o da patti parasociali; (b) qualsiasi diritto speciale in materia di nomina o revoca degli amministratori o dei componenti del consiglio di gestione o di sorveglianza previsto nello statuto; (b-bis) le maggiorazioni di voto spettanti ai sensi dell’articolo 127-quinquies».

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caso di ostilità al raider, è la componente societaria meno interessata a propiziare un cambio del controllo e del governo societario49. La regola di reciprocità prevede invece la disapplicazione ex lege della regola di passività e – se prevista dallo statuto – della regola di neutralizzazione, qualora l’opa sia promossa da una società non sottoposta ad analoghe regole. Anche questa disposizione è stata aggiunta successivamente dal d.lgs. n. 229/2007 con l’introduzione dell’art. 104-ter ed è stata poi modificata dal d.l. n. 185/2008 conv. in legge n. 2/2009 e dal d.lgs. n. 146/2009 e – nel consentire difese senza limiti e nel garantire comunque l’efficacia di eventuali vincoli al trasferimento azionario o al voto in presenza di un raider sottoposto a “lacci e lacciuoli” meno stringenti – esprime la preoccupazione che le società target italiane si trovino in condizioni di disparità di trattamento rispetto a società raider non italiane per motivi attinenti al proprio statuto ovvero al proprio ordinamento di appartenenza (come per esempio avviene in Germania, dove le misure di difesa sono deliberabili anche dall’organo amministrativo)50.

49 Su temi affini a quello della regola di neutralizzazione, osserviamo come l’ordinamento giuridico ponga non solo le condizioni per l’eliminazione dei vincoli al trasferimento azionario o al voto al fine di individuare un equilibrio tra contendibilità e tutela delle minoranze; accanto alla tutela degli azionisti di minoranza (e come tali non di controllo), il legislatore affronta infatti anche la posizione dell’azionista che, insieme ad altri azionisti, esercita un controllo congiunto per l’adesione a un patto parasociale, ma che – all’interno del patto – sia azionista di minoranza. La tutela di questa particolare categoria di azionisti coincide infatti con le esigenze di efficienza e di mobilità e l’art. 123, co. 3, t.u.f. consente quindi agli «azionisti che intendono aderire a un’offerta pubblica di acquisto o di scambio promossa ai sensi degli articoli 106 o 107» di «recedere senza preavviso dai patti indicati nell’articolo 122»: riguardando i patti parasociali, la disposizione ha carattere civilistico e il controllo sulla sua applicazione non rientra nella competenza della Consob, ma in quella dell’autorità giudiziaria ordinaria; la sua violazione non dà infatti luogo all’irrogazione di sanzioni amministrative (come nel caso di violazione dell’obbligo di opa), ma comporta unicamente conseguenze di natura risarcitoria, perché – come noto – gli effetti della disciplina dei patti parasociali rilevano unicamente inter partes ed ogni pretesa relativa alla corretta applicazione del contenuto di tali accordi contrattuali deve essere avanzata esclusivamente davanti all’autorità giudiziaria: la collocazione al di fuori della disciplina di cui agli artt. 102 ss. ne è peraltro un chiaro indizio. Sul punto, si veda Calvosa e Piras, Sull’ammissibilità del recesso da patto parasociale in pendenza di opa volontaria totalitaria (nota a Trib. Firenze, 3 giugno 2014), in RDS, 2015, II, pp. 174 ss.. 50 Cfr. Angelillis e Mosca, Considerazioni sul recepimento della tredicesima direttiva in materia di offerte pubbliche di acquisto e sulla posizione espressa nel documento della Commissione Europea, in Riv. soc., 2007, pp. 1106 ss.; Lamandini, Legiferare “per illusione ottica”? Opa e reciprocità “italiana”, in Giur. comm., 2008, I, pp. 240 ss.; Mucciarelli, Il

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Se effettuata mediante offerta pubblica, l’operazione di trasferimento del controllo si conclude con la eventuale adesione all’offerta da parte degli azionisti della target che, configurandosi come accettazione alla proposta contrattuale risultante dall’offerta, darà luogo alla conclusione tra offerente e oblati del conseguente contratto di compravendita o di permuta di titoli. Il procedimento è complesso e la sua disciplina è senz’altro ispirata all’esigenza di proteggere le minoranze azionarie, ma con uno sguardo alla possibilità di recuperare importanti spazi di contendibilità attraverso un dosaggio di pesi e contrappesi e una combinazione di regole di default e regole convenzionali derogatorie che non sempre appare caratterizzato da razionalità e che, spesso, appare non perfettamente allineato con lo spirito della Direttiva Opa e con i suoi aneliti all’armonizzazione51. 3.2. Sulla presenza o meno dell’obbligo di opa: la mandatory bid rule. Con riferimento alla presenza o meno di un obbligo di opa, l’analisi assume connotati più intuitivi. È infatti evidente che la presenza di un obbligo di opa aumenta il livello di trasparenza sul mercato, perché impone una modalità di manifestazione della proposta di acquisto di tipo pubblico. Tuttavia, viene corrispondentemente ad incrementarsi anche il livello di onerosità dell’operazione. La presenza di un obbligo di opa, inciderà allora negativamente sull’obiettivo della contendibilità del controllo, ma positivamente sull’obiettivo della tutela degli azionisti di minoranza non solo per l’incremento dei livelli di trasparenza dell’operazione, ma anche per la possibilità attribuita agli azionisti della target

principio di reciprocità nella direttiva comunitaria sull’opa, in Giur. comm., 2005, I, pp. 830 ss.. 51 Cfr. Hopt, Directors’ Duties and Shareholders’ Rights in the European Union: Mandatory and/or Default Rules?, in Riv. soc., 2016, pp. 13 ss., che sottolinea come le tradizioni regolamentari dei vari Paesi UE in materia di dosaggio di norme imperative e norme dispositive nell’ambito dei rispettivi ordinamenti societari e di mercato dei capitali siano molto differenti (alcune più orientate alla prevalenza di regole imperative secondo il modello tedesco, altre più orientate alla prevalenza di regole dispositive secondo il modello inglese); da ciò, ne è spesso derivata l’impossibilità per le fonti di diritto comunitario di pretendere un’armonizzazione massima, pur tentando di perseguirla mediante i principi di libera circolazione delle imprese e di concorrenza tra ordinamenti, i quali rischiano tuttavia di diventare strumenti che – in combinato disposto tra loro e con la persistente crisi finanziaria – sono utilizzati per perseguire logiche protezionistiche e paternalistiche contrarie agli obiettivi per i quali erano stati elaborati.

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(vedremo di seguito se tutti o parte) di esercitare un diritto di exit in caso di raider non gradito. Viceversa, l’assenza di un obbligo di opa diminuisce il livello di trasparenza e l’onerosità dell’operazione e, di conseguenza, inciderà positivamente sull’obiettivo della contendibilità del controllo e negativamente sull’obiettivo della tutela degli azionisti di minoranza52. Anche su questo punto, il legislatore italiano anticipa quello europeo. La scelta in favore della mandatory bid rule risale al 1992 ed è confermata nel 1998. Anche la Direttiva Opa del 2004 fa una scelta chiara ed opta per l’introduzione dell’obbligo di opa a livello comunitario: l’art. 5 prevede infatti che «gli Stati membri provvedono a che, qualora una persona fisica o giuridica (…) detenga titoli di una società che (…) le conferiscano diritti di voto in una percentuale tale da esercitare il controllo della stessa, detta persona sia tenuta a promuovere un’offerta». Su questo punto, l’armonizzazione pretesa e ottenuta dalla Direttiva Opa è massima e il risultato è quello di avere oggi un mercato europeo dei capitali che, per lo meno sotto questo particolarissimo profilo, può effettivamente dirsi “comune” e ispirato alla tutela – altrettanto “comune” – degli azionisti di minoranza delle società quotate europee. Ma c’è di più. Le norme nazionali ed europee fissano un ulteriore obbligo di opa. Se infatti – in seguito alla promozione (volontaria o coatta) di un’opa – il flottante dei titoli è pregiudicato a causa dell’acquisizione da parte dell’offerente di un controllo semi-totalitario (il 90% ovvero il 95%), l’art. 16 della Direttiva Opa e l’art. 108 t.u.f. impongono all’offerente l’acquisto dei restanti titoli da chi ne faccia richiesta, salvo ripristino del flottante sufficiente ad assicurare il regolare andamento delle negoziazioni, ma solo nel caso di superamento della soglia del 90%. L’obbligo di c.d. opa “residuale” è quindi ispirato alla protezione non solo degli azionisti di minoranza tout court, ma anche dei “residuali” azionisti di minoranza che dovessero essere rimasti nella compagine sociale in seguito al successo di un’opa totalitaria; e ciò, al fine essenziale di evitarne la “cattività” 53.

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Cfr. Hopt, European Takeover Reform of 2012/2013 – Time di Re-examine the Mandatory Rule, in European Business Organizations Law Review, 2014, pp. 143 ss., a p. 162. 53 In particolare, l’art. 108 t.u.f. prevede al primo comma che «l’offerente che venga a detenere, a seguito di un’offerta pubblica totalitaria, una partecipazione almeno pari al 95% del capitale rappresentato da titoli in una società italiana quotata ha l’obbligo di acquistare i restanti titoli da chi ne faccia richiesta», mentre – al secondo comma – prevede che «chiunque venga a detenere una partecipazione superiore al 90% del

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3.3. Sulla tipologia dei presupposti dell’obbligo di opa: il superamento della soglia rilevante. Con riferimento alla tipologia dei presupposti dell’obbligo di opa, la letteratura scientifica ha dibattuto a lungo. Tradizionalmente, i presupposti al verificarsi dei quali “scatta” l’obbligo di opa sono alternativamente rappresentati, da un lato, dall’intenzione di acquisire il controllo o dall’acquisizione del controllo ovvero, dall’altro lato, dal superamento di una soglia fissa del capitale sociale della società bersaglio. Nel caso in cui si prediliga l’utilizzo del primo presupposto, è evidente che qualunque forma di trasferimento del controllo determinerà un obbligo di opa e questa circostanza inciderà positivamente sull’obiettivo della tutela degli azionisti di minoranza, ma negativamente sull’obiettivo della contendibilità. Nell’ipotesi in cui si prediliga il presupposto del superamento della soglia fissa, si può invece sostenere quanto segue. In primo luogo, imporre l’obbligo d’offerta a chi superi una soglia predeterminata (e non a chi acquisisce un non ben identificato “controllo”) porta maggiore certezza nel diritto e nel mercato, perché prende in considerazione un presupposto oggettivo ed oggettivamente rilevabile: così facendo, si consente di incidere positivamente sull’obiettivo della tutela degli azionisti di minoranza sotto il profilo della trasparenza54. In secondo luogo,

capitale rappresentato da titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, ha l’obbligo di acquistare i restanti titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato da chi ne faccia richiesta, se non ripristina entro 90 giorni un flottante sufficiente ad assicurare il regolare andamento delle negoziazioni». Nonostante un’apparente somiglianza strutturale, completamente diversa è la finalità dell’istituto del c.d. squeeze-out previsto dall’art. 111 t.u.f.: la disposizione prevede infatti che «l’offerente che venga a detenere a seguito di offerta pubblica totalitaria una partecipazione almeno pari al 95% del capitale rappresentato da titoli in una società italiana quotata, ha diritto di acquistare i titoli residui entro 3 mesi dalla scadenza del termine per l’accettazione dell’offerta, se ha dichiarato nel documento d’offerta l’intenzione di avvalersi di tale diritto». Accanto ad un “obbligo di acquisto” posto a maggior tutela dei residuali azionisti di minoranza per evitare di renderli “prigionieri” del raider, l’ordinamento pone anche un “diritto di acquisto” in favore del raider stesso e ciò, sia per evitare il mantenimento della quotazione a causa della presenza di minime partecipazioni in mano agli azionisti di minoranza sia per evitare che gli azionisti di minoranza rimasti possano compiere azioni di c.d. filibustering. 54 Cfr. Picone, Le offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 190; D’Ambrosio, sub Artt. 102112, in Il testo unico della intermediazione finanziaria. Commentario al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, a cura di Rabitti Bedogni, Milano, 1998, p. 591. Come fa notare Costi, Il mercato mobiliare, cit., p. 86, esiste un probabile convincimento che la soglia

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la scelta di una soglia fissa dovrebbe consentire di perseguire anche una maggiore contendibilità; atteso che l’obbligo di opa non opera al di sotto della soglia, si consentirebbe infatti ampia libertà di movimento per chi intende scalare la società entro i limiti della soglia; al di sotto di essa, un soggetto può pertanto acquistare e vendere le azioni della società liberamente e senza alcun obbligo di opa; rimanendo al di sotto della soglia, potrebbero allora esservi acquisti del controllo societario senza obbligo di opa55. In terzo luogo, va notato che l’introduzione della soglia fissa può sì incidere positivamente sull’obiettivo della contendibilità, ma la sua concreta operatività può essere tale da determinare un effetto addirittura contrario; un obbligo di opa potrebbe infatti sorgere anche quando un soggetto dovesse superare la soglia senza acquistare il controllo; se così è, alla scelta di utilizzare il presupposto del superamento di una soglia fissa deve aggiungersi la scelta di quale soglia fissa utilizzare: una soglia molto alta agevolerebbe i mutamenti nell’assetto

prevista sia anche quella che coincide con la partecipazione di controllo. 55 Si pensi alla scalata di Pirelli ad Olivetti e a Telecom del 2001: in quella circostanza, Pirelli costituì insieme a Edizione Holding, Hopa, Banca Intesa e Unicredit una newco denominata Olimpia, controllata di diritto da Pirelli al 60%, cui i soci cedettero complessivamente il 4% delle azioni di Olivetti e che acquistò dalla società lussemburghese Bell SA un ulteriore 23% delle azioni di Olivetti per raggiungere il 27% del relativo capitale. A causa della composizione azionaria di Olivetti, il 27% ne consentiva il controllo di fatto; tuttavia, Olivetti deteneva anche il 55% del capitale di Telecom e questo significava che il controllo di fatto di Olivetti produceva “a cascata” anche il controllo di diritto di Telecom. Con l’acquisizione del 27% di Olivetti, Olimpia acquisì quindi il controllo di diritto di Telecom senza superare la soglia del 30% di Olivetti e quindi senza essere obbligata a promuovere un’opa successiva totalitaria sulle restanti azioni di Olivetti. L’operazione costò 13.000 miliardi di lire, ma la possibilità di non promuovere un’opa totalitaria consentì di evitare un esborso pari ad oltre 200.000 miliardi di lire, ma fece d’altro canto lievitare il premio che Olimpia era disposta a pagare per realizzare con successo la scalata ad Olivetti e a Telecom, e infatti Olimpia pagò a Bell un premio di controllo superiore dell’80% rispetto al valore corrente delle azioni, senza quindi che alla ripartizione del premio potessero partecipare gli azionisti di minoranza di Olivetti. Sulla legittimità delle operazioni di merger leverage buy out (MLBO) sia prima sia dopo la riforma del diritto societario del 2003 e sul rapporto tra esse e la disciplina opa anche in funzione della realizzazione dei relativi obiettivi di contendibilità del controllo societario, vedi infra in nota. Su questi temi, si veda Picone, Le offerte pubbliche di acquisto, cit., pp. 191 e 192; D’Ambrosio, sub Artt. 102-112, cit., pp. 602 e 603; Cannizzaro, sub Art. 106, in Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di Alpa e Capriglione, Padova, 1998, p. 984; Davies, The Notion of Equality in European Takeovers Regulation, cit., p. 14; Andrews, The Stockholder’s Right to Equal Opportunity in the Sale of Shares, cit., p. 515; Coffee, Regulating the Market for Corporate Control, cit., p. 1289.

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di controllo di una società e la contendibilità, ma indebolirebbe probabilmente la protezione dei soci minoritari perché, se la circolazione del controllo avvenisse senza “scatto” dell’obbligo d’opa in un gran numero di volte, allora una disciplina legale ispirata a parità di trattamento e trasparenza “scatterebbe” solo raramente; viceversa, una soglia molto bassa garantirebbe una più accentuata tutela dell’azionariato, ma produrrebbe un ingessamento del mercato del controllo e una riduzione della contendibilità, che è risultato opposto agli obiettivi che giustificano la scelta stessa della soglia fissa56. Sui temi sopra indicati, la legge n. 149/1992 subordinava la nascita dell’obbligo di opa all’intenzione di acquisire il controllo di una società quotata, mentre il t.u.f. del 1998 ha individuato il presupposto dell’obbligo di opa nel superamento da parte del raider della soglia fissa del 30% del capitale della target. Anche la Direttiva Opa ha optato all’art. 5 per il superamento di «una percentuale [di diritti di voto] tale da esercitare il controllo della [società]», ma il par. 3 dell’art. 5 precisa che «la percentuale dei diritti di voto sufficiente a conferire il controllo e le modalità di calcolo sono determinate dalle norme dello Stato membro in cui la società ha la propria sede legale», aprendo quindi la strada a soluzioni frammentarie e disarmoniche. Su questo punto, l’ordinamento italiano aveva già fatto la propria scelta, perfettamente coerente con lo spirito della successiva Direttiva Opa e, in sede di attuazione, non sono state necessarie variazioni. Una modifica importante è tuttavia stata introdotta dal d.l. n. 91/2014 conv. in legge n. 116/2014 (Decreto Crescita), che – nell’introdurre nel nostro ordinamento le azioni a voto maggiorato per i soci “fedeli” delle società quotate e le azioni a voto plurimo per le società non quotate e, se preesistenti alla quotazione, anche per le quotate – ha adeguato il presupposto dell’obbligo di opa alla circostanza che, più che l’ammontare del capitale detenuto, sta progressivamente assumendo rilevanza l’ammontare di diritti di voto disponibili, in tal modo facendo scattare l’obbligo di opa non più solo in seguito alla detenzione di una partecipazione superiore alla soglia del 30% del capitale, ma anche in seguito alla sopravvenuta disponibilità di diritti di voto in misura

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Cfr. Cannizzaro, sub Art. 106, cit., pp. 983 e 984; Cannella, sub Art. 106, cit., p. 333; Davies e Hopt, Control Transactions, in The Anatomy of Corporate Law. A Comparative and Functional Approach, Kraakman et al., a cura di, Oxford, 2004, p. 161; Belli, Alla soglia del 30% scatta l’Opa obbligatoria, in Guida al diritto de “Il Sole-24 Ore”, 1998, p. 141.

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superiore (sempre) al 30% del totale dei medesimi57. In realtà, il Decreto Crescita approfitta anche delle facoltà riconosciute dalla Direttiva Opa agli Stati membri e introduce due deroghe: da un lato, fa un passo avanti verso una maggiore contendibilità degli assetti proprietari, prevedendo per le sole società quotate diverse dalle PMI58 che l’obbligo di opa scatti ex lege al superamento della soglia del 25% in assenza di altro socio che detenga una partecipazione maggiore59; dall’altro lato, fa un passo indie-

57 Come rilevato supra, il combinato disposto della scissione tra azione e diritto di voto e della rilevanza del diritto di voto ai fini dell’esercizio del controllo – e ai fini altresì del superamento della soglia rilevante per far sorgere l’obbligo di opa – pone il problema del trattamento da riservare a quella particolare ipotesi di scissione tra azione e voto derivante dalla costituzione di vincoli sulle azioni (pegno, usufrutto e sequestro), che – salvo convenzione contraria – attribuiscono il diritto di voto al creditore pignoratizio, all’usufruttuario e al custode. Il problema che si pone è se i diritti di voto eventualmente detenuti dal creditore pignoratizio, dall’usufruttuario e dal custode concorrano o meno al superamento della soglia imponendo a chi li dispone di promuovere un’opa. Argomentando anche da Costi, Il mercato mobiliare, cit. p. 99, si può sostenere che la rilevanza attribuita alla disponibilità dei diritti di voto, anziché alla detenzione di azioni, non consenta comunque di dare rilevanza a quei diritti di voto spettanti al creditore pignoratizio, all’usufruttuario e al custode, perché gli artt. 105 e 106 t.u.f. pretendono che la disponibilità dei diritti di voto derivi dalla detenzione (se non di azioni) di titoli emessi dalla società, pervenuti a seguito di acquisti o comunque dalla maggiorazione di diritti di voto che, ai sensi dell’art. 127-quinquies t.u.f., presuppone comunque la contemporanea detenzione di azioni. Di apparente contrario avviso, la posizione di Poli, Il pegno di azioni, Milano, 2000, pp. 470-491, che si interroga sull’imputabilità del controllo societario al socio ovvero al creditore pignoratizio o all’usufruttuario e sostiene la necessità di differenziare le due posizioni, riconoscendo “controllante” l’usufruttuario titolare del diritto reale di godimento investito del voto e non il socio nudo proprietario e qualificando invece “controllante” il socio debitore e non il creditore pignoratizio, per strutturale mancanza di stabilità dell’influenza esercitata dal creditore con il voto, in ragione del fatto che il diritto di voto può venir meno in qualunque momento per effetto dell’adempimento dell’obbligazione garantita. 58 Ai sensi dell’art. 1, co. 1, lett. w-quater.1), t.u.f., le PMI sono «le piccole e medie imprese, emittenti azioni quotate, il cui fatturato anche anteriormente all’ammissione alla negoziazione delle proprie azioni, sia inferiore a 300 milioni di euro, ovvero che abbiano una capitalizzazione di mercato inferiore ai 500 milioni di euro». 59 La fattispecie astratta descritta nel testo regola per esempio il caso VivendiMediaset. Nel momento in cui si scrive, Vivendi partecipa al capitale di Mediaset per una quota di diritti di voto di poco inferiore al 30% ed è evidente che Mediaset sia una società quotata diversa da una PMI cui conseguentemente dovrebbe applicarsi la soglia del 25%; nonostante Vivendi abbia superato la soglia del 25% di una società quotata non PMI, l’obbligo di opa non è tuttavia scattato proprio perché un altro socio (Fininvest) detiene il controllo di fatto di Mediaset con il 35% circa.

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tro, prevedendo che gli statuti delle PMI quotate possano stabilire una soglia diversa, non inferiore al 25%, ma innalzabile fino al 40%60.

60 Sull’argomento, si vedano anche Costi e Vella, Un’Opa a misura di impresa, in lavoce.info del 21 ottobre 2014, passim. Il ragionamento intorno ai presupposti dell’obbligo di opa consente di riprendere (e comprendere) quello in ordine alle esenzioni dall’obbligo di opa, che si giustificherà tanto più quanto più gli azionisti di minoranza siano già protetti dalle caratteristiche dell’operazione che ha portato al superamento della soglia rilevante. E proprio perché gli azionisti di minoranza sono già tutelati aliunde, la mobilità degli assetti proprietari può essere liberata da vincoli, andando in questo modo a incidere positivamente sull’obiettivo della contendibilità. Numero e tipologia di esenzioni rappresentano quindi anch’essi uno strumento per incidere maggiormente sull’uno ovvero sull’altro degli obiettivi di policy qui passati in rassegna. Il t.u.f. prevede quattro categorie di esenzioni. In primo luogo, l’obbligo di opa non sussiste ai sensi dell’art. 106, co. 4, se la soglia rilevante è stata superata a seguito della promozione di un’opa preventiva totalitaria (perché gli azionisti di minoranza sono già protetti dal fatto che la possibilità di exit è stata data a tutti i soci volontariamente). In secondo luogo, l’obbligo di opa non sussiste ai sensi dell’art. 107 se la soglia rilevante è stata superata a seguito della promozione di un’opa preventiva parziale – cioè avente per oggetto almeno il 60% dei titoli della target – purché il raider non abbia acquistato più dell’1% dei titoli nei 12 mesi precedenti l’offerta, l’efficacia dell’offerta sia stata condizionata all’adesione dei soci di controllo della target e la Consob accordi espressamente l’esenzione (e ciò, perché la ricorrenza congiunta dei vari elementi consente di considerare l’opa estesa ad un numero sufficiente di azionisti e consente anche di evitare che il gradimento all’opa sia inquinato dall’offerente medesimo). In terzo luogo, l’obbligo di opa non sussiste ai sensi dell’art. 106, co. 5, se il superamento della soglia rilevante si è realizzato, ma il controllo è rimasto comunque in mano ad uno o più soci diversi dal raider (perché gli azionisti di minoranza sono già protetti dal fatto che un trasferimento del controllo non è intervenuto e non si giustifica quindi alcun gradimento verso un nuovo controllore che non c’è). In quarto luogo, l’obbligo di opa non sussiste ai sensi – ancora – dell’art. 106, co. 5, se il superamento della soglia rilevante è stato determinato da operazioni di salvataggio di società in crisi (perché gli azionisti di minoranza sono già protetti dall’operazione di salvataggio della società di cui sono soci), da cause indipendenti dalla volontà dell’acquirente come avviene in caso di soggezione all’esercizio altrui di un diritto di opzione (perché il superamento è subìto e non voluto), da operazioni di carattere temporaneo (perché il superamento della soglia e il trasferimento del controllo è meramente transitorio), da acquisti a titolo gratuito (perché gli azionisti di minoranza sono già protetti dal fatto che un premio di controllo alla cui ripartizione poter partecipare non sussiste), da operazioni infragruppo (perché gli azionisti di minoranza sono già protetti dal fatto che non si verifica alcun trasferimento sostanziale del controllo societario) o da operazioni di fusione o scissione (perché gli azionisti di minoranza sono già protetti dalla congruità del rapporto di cambio). Con riguardo alle operazioni di fusione, va peraltro rammentato come un ulteriore elemento di rafforzamento del mercato del controllo societario sia stato rappresentato dall’evoluzione della giurisprudenza e della legislazione interna in tema di MLBO, il cui riconoscimento normativo – sia pur condizionato – ha un indubbio impatto

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Il legislatore italiano ha quindi compiuto delle scelte nel senso di assicurare un maggior livello di certezza e di trasparenza (soglia fissa) e di ottenere un punto di equilibrio tra tutela delle minoranze e contendibilità fissando la soglia ad una percentuale, il superamento della quale assicuri tendenzialmente, in relazione al nostro mercato dei capitali, l’acquisizione del controllo societario. Il legislatore italiano si è tuttavia riservato la possibilità – lasciando allo statuto delle società quotate la relativa facoltà – di ritoccare la soglia percentuale anche al rialzo, così consentendo l’innalzamento di ulteriori barriere alle iniziative di eventuali avventori non graditi. 3.4. Sulla presenza o meno dell’obbligo di promuovere l’opa in favore di tutti gli azionisti della società target: la regola della totalitarietà. Con riferimento alla presenza o meno dell’obbligo di promuovere l’opa in favore di tutti gli azionisti della società target, la presenza della regola della totalitarietà aumenta la possibilità di exit per gli azionisti di minoranza e l’onerosità dell’operazione e inciderà negativamente sull’obiettivo della contendibilità del controllo e positivamente sull’obiettivo della tutela degli azionisti di minoranza, mentre – viceversa – l’assenza della regola della totalitarietà diminuisce la possibilità di exit per gli azionisti di minoranza e l’onerosità dell’operazione e, pertanto, inciderà

positivo sull’obiettivo della contendibilità del controllo societario. Un’operazione MLBO si configura infatti come un’operazione di fusione per incorporazione nella quale la società raider incorporante è una newco che ricorre all’indebitamento per finanziare l’acquisizione di una società target incorporanda. Prima della riforma del diritto societario del 2003, parte della dottrina riteneva tali operazioni illegittime perché poste in essere in diretto in contrasto con il divieto assoluto di fornire prestiti e garanzie per l’acquisto di azioni proprie ex art. 2358 c.c. vigente ratione temporis ovvero perché poste in essere al fine di aggirare tale divieto e quindi in frode alla legge ex art. 1344 c.c. (Montalenti, Il leveraged buy-out, Milano, 1991, pp. 18 ss.), mentre altra parte della dottrina si esprimeva in senso favorevole (Partesotti, Le operazioni sulle proprie azioni, in Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, 1991, pp. 487 ss.), poi seguita da un orientamento giurisprudenziale (facente capo a Trib. Milano, 13 maggio 1999) che riteneva che l’illegittimità dell’operazione potesse essere esclusa ove fosse giustificata da concrete ragioni di carattere imprenditoriale. Con la riforma del 2003, è stato tuttavia introdotto l’art. 2501-bis c.c. che legittima definitivamente le operazioni di MLBO rendendole ulteriori strumenti di realizzazione del mercato del controllo societario, a condizione che siano ovviamente rispettati i presupposti ivi indicati (Spolidoro, Fusioni pericolose (merger leveraged buy out), in Riv. soc., 2004, pp. 229 ss., a p. 247).

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positivamente sull’obiettivo della contendibilità del controllo e negativamente sull’obiettivo della tutela degli azionisti di minoranza61. Sul punto, la legge n. 149/1992 prevedeva che l’opa dovesse essere promossa da chi intendeva acquisire il controllo per un ammontare di titoli che consentisse complessivamente di acquisire il controllo della società e comunque per un ammontare di titoli non inferiore al 10%: le esigenze di certezza del diritto e di garanzia ne risultavano fortemente frustrate. Il t.u.f. fa un’inversione di marcia in favore della tutela degli azionisti di minoranza, optando per la regola della totalitarietà, confermata dalla Direttiva Opa all’art. 5, dove si prevede che l’offerta deve essere «indirizzata a tutti i possessori dei titoli per la totalità delle loro partecipazioni», e mai modificata dal legislatore italiano nemmeno in sede di attuazione della Direttiva Opa. Anche sotto quest’ultimo profilo, l’armonizzazione perseguita dalla Direttiva Opa è massima e il principio che ne sta alla base è dunque imperativo e ispirato alla radicale tutela degli azionisti di minoranza delle società quotate europee62. 3.5. Sulla tipologia dei criteri di determinazione del prezzo d’offerta: il second best price. Con riferimento alla tipologia dei criteri di determinazione del prezzo d’offerta, la presenza di meccanismi che consentono agli azionisti di minoranza di ottenere lo stesso prezzo pagato dal nuovo controllante per acquisire il controllo aumenta la possibilità degli azionisti di minoranza di partecipare alla ripartizione del premio di controllo e l’onerosità dell’operazione e, pertanto, inciderà negativamente sull’obiettivo della contendibilità del controllo e positivamente sull’obiettivo della tutela degli azionisti di minoranza; viceversa, l’assenza dei detti meccanismi dimi-

61 Cfr. Costi, Il mercato mobiliare, cit. p. 87; Picone, Le offerte pubbliche di acquisto, cit., p. 185; Cannizzaro, sub Art. 106, cit., p. 984. 62 In realtà, D’Attorre, Il principio di eguaglianza tra soci, cit., pp. 374 e 375, propone una ulteriore forma di tutela degli azionisti di minoranza e di parità di trattamento tra essi e quelli di maggioranza con riferimento al quantitativo di titoli cedibili. Partendo dall’assunto che la totalitarietà nega in realtà la parità di trattamento, perché tratta in modo uguale posizioni radicalmente differenti, l’A. ritiene che, in materia di trasferimento del controllo societario, il principio di parità di trattamento possa declinarsi in maniera diversa a seconda di quale criterio di giustizia sia adottato a livello di scelta politica: laddove il criterio di giustizia sia rappresentato dalla regola cronologica, varrà il principio first come-first served; laddove il criterio di giustizia sia rappresentato dalla regola proporzionale, varrà il principio della pro-rata rule.

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nuisce la possibilità degli azionisti di minoranza di partecipare alla ripartizione del premio di controllo e l’onerosità dell’operazione e, pertanto, inciderà positivamente sull’obiettivo della contendibilità del controllo e negativamente sull’obiettivo della tutela degli azionisti di minoranza63. Su questo aspetto finale, il legislatore italiano prevede inizialmente che l’opa debba essere promossa al prezzo medio ponderato delle azioni negli ultimi 12 mesi (art. 106, co. 2, t.u.f. versione vintage). La Direttiva Opa punta ad una scelta più equilibrata introducendo la nozione di “prezzo equo” come «prezzo massimo pagato per gli stessi titoli dall’offerente (…) in un periodo, che spetta agli Stati membri determinare, di non meno di sei mesi e non più di dodici mesi antecedenti all’offerta» (art. 5, par. 4, co. 1), con precisazione tuttavia che «gli Stati membri possono autorizzare le autorità di vigilanza a modificare il prezzo», potendo «redigere un elenco di circostanze nelle quali il prezzo massimo può essere modificato, verso l’alto o verso il basso» e purché «qualsiasi decisione delle autorità di vigilanza che modifica il prezzo equo [sia] motivata e resa pubblica» (art. 5, par. 4, co. 2). In sede di attuazione, l’art. 106, co. 2, t.u.f. è stato modificato dal d.lgs. n. 229/2007 e il prezzo d’offerta viene ora determinato nel prezzo più alto registrato negli ultimi 12 mesi. In particolare, la norma prevede adesso che «l’offerta [debba essere] promossa a un prezzo non inferiore a quello più elevato pagato dall’offerente (…) nei dodici mesi anteriori». Un prezzo che rimane quindi più basso del premio di controllo, ma più alto di quello precedente, con uno spostamento dell’asse – ancora una volta – in favore delle esigenze di garanzia. Approfittando delle aperture offerte dall’art. 5, par. 4, co. 2, della Direttiva Opa, la versione vigente dell’art. 106, co. 3, t.u.f. attribuisce tuttavia alla Consob il potere di disciplinare con regolamento le ipotesi in cui l’offerta debba essere promossa ad un prezzo inferiore o maggiore rispetto a quello stabilito dalla legge e il conseguente potere di stabilire caso per caso la ricorrenza di tali ipotesi ai fini della rettifica del prezzo d’offerta. Alla Consob viene quindi riconosciuto un potere di vigilanza regolamentare particolarmente pervasivo e, sulla base del previo esercizio di tale potere, viene anche riconosciuto un potere di vigilanza sostanzialmente strutturale. In entrambi i casi, la discrezionalità

63 Cfr. D’Attorre, Il principio di eguaglianza tra soci, cit., pp. 369 ss. e, in precedenza, le riflessioni contenute nel già citato saggio su trasferimento del controllo e premio di maggioranza di Colombo, La cessione dei pacchetti di controllo, cit., pp. 1443 ss..

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amministrativa attribuita alla Consob dalla fonte primaria appare ampia, ma – riteniamo – sia il frutto non solo di una scelta del legislatore italiano, ma anche del legislatore europeo. Recentemente, la stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha infatti riconosciuto che le disposizioni comunitarie consentono alle normative nazionali di attuazione (primarie o secondarie che siano) il legittimo utilizzo di nozioni generali senza imporre livelli di tassatività tali da escludere qualsiasi valutazione – appunto – discrezionale64.

64 Si fa riferimento alla recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea n. 572 del 20 luglio 2017, in forza della quale l’art. 5, par. 4, co. 2, della Direttiva Opa deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che consente all’autorità nazionale di vigilanza di aumentare il prezzo di un’opa in caso di “collusione”, senza precisare le condotte specifiche che caratterizzano tale nozione, a condizione che l’interpretazione della suddetta nozione possa essere desunta da tale normativa in modo sufficientemente chiaro, preciso e prevedibile, mediante metodi interpretativi riconosciuti dal diritto interno. Il caso nasce all’interno della scalata di Lauro 61 a Camfin (cui si è fatto cenno in precedenza), nell’ambito della quale – a seguito dell’acquisizione da parte di Lauro 61 del 60,99% delle azioni di Camfin da parte di diversi azionisti di Camfin tra cui la società denominata Malacalza – era scattato a carico di Lauro 61 un obbligo di promuovere un’opa sulla totalità delle residue azioni di Camfin ad un prezzo che Lauro 61 fissava a 0,80 euro/azione in quanto prezzo più elevato pagato nei 12 mesi anteriori ai sensi dell’art. 106, co. 2, t.u.f.. Va premesso che, nell’ambito del citato terzo comma dell’art. 106 t.u.f., la relativa lettera d) – al numero 2 – prevede che «la Consob disciplina con regolamento le ipotesi in cui l’offerta, previo provvedimento motivato della Consob, [deve essere] promossa ad un prezzo superiore a quello più elevato pagato purché (…) vi sia stata collusione tra l’offerente (…) e uno o più venditori». Sulla base della norma primaria, il Regolamento Consob sugli Emittenti prevede – al comma 1 dell’art. 47-octies – che «il prezzo dell’offerta è rettificato in aumento dalla Consob ai sensi dell’art. 106, co. 3, lett. d), n. 2, t.u.f., qualora dalla collusione accertata tra l’offerente (…) e uno o più venditori emerga il riconoscimento di un corrispettivo più elevato di quello dichiarato dall’offerente», con precisazione che, «in tal caso, il prezzo dell’offerta è pari a quello accertato». Ebbene, nel caso di specie, la Consob ha ritenuto integrata una fattispecie di “collusione” tra Lauro 61 e Malacalza, in quanto Malacalza aveva venduto a Lauro 61 azioni Camfin a 0,80 euro/azione, ma – come contropartita – aveva acquistato da alcuni soci di Lauro 61 azioni Pirelli a 7,80 euro/azione, quando i corsi di borsa indicavano un prezzo di 8,30 euro/azione, così ritenendo che – nell’ipotesi in cui il prezzo d’offerta fosse stato fissato a 0,80 euro/azione – Lauro 61 avrebbe conseguito un vantaggio competitivo improprio che – per essere riequilibrato – imponeva una rettifica a 0,83 euro/azione. In seguito all’esperimento di alcuni ricorsi amministrativi contro la delibera Consob, il Consiglio di Stato investe la Corte di Giustizia dell’Unione Europea della questione pregiudiziale se la citata disposizione comunitaria debba essere interpretata nel senso che essa osti o meno a una normativa nazionale che consente all’autorità nazionale di vigilanza di aumentare il prezzo di un’opa in caso di collusione, senza precisare le condotte specifiche che caratterizzano tale nozione. La pronuncia

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4. Considerazioni conclusive. La combinazione di tutti gli strumenti sopra descritti esprime in via diretta la combinazione degli obiettivi di policy perseguiti dal legislatore nella costruzione di un sistema normativo e – nella valutazione dello stesso – costituisce mezzo di comprensione e lettura dei relativi risultati. La politicità intrinseca alle scelte legislative rende dunque difficoltoso il tentativo di formulare un giudizio assoluto su una data regolamentazione; la valutazione di una disciplina può tuttavia essere formulata quantomeno in via comparativa. A questo proposito, va preso atto che la diversità delle strutture dei sistemi finanziari, la trasformazione dei contesti socio-economici e la frammentazione e il cambiamento sia delle tradizioni culturali sia delle posizioni politiche in materia danno conto non solo della presenza di discipline del trasferimento del controllo societario diverse da Stato a Stato, ma – come visto più sopra – anche di un avvicendamento di sistemi normativi affatto diversi all’interno di un medesimo Stato65. Il caso italiano ne è un tipico esempio. All’alba degli anni ’90, il legislatore sviluppa una forte sensibilità per il tema della tutela degli azionisti di minoranza e – in contrasto con il regime anteriore al 1992, ma in sintonia con quello successivo a tale data – opta con il t.u.f. per un modello ad opa obbligatoria caratterizzato dalla presenza di regole procedimentali speciali per tutte le opa (obblighi comunicativi e passivity rule) che dovrebbe quindi tendere a sacrificare l’obiettivo della contendibilità. All’interno dei sistemi ad opa obbligatoria, il modello delineato dal t.u.f. sembra tuttavia identificare, per il particolare assemblaggio delle altre variabili, un più raffinato punto di equilibrio. Rispetto al regime precedente, per esempio, il livello di tutela degli azionisti di minoranza migliora anche a causa della presenza di un’opa obbligatoria configurata come totalitaria e da promuovere ad

della Corte di Giustizia dell’Unione Europea è stata nel senso del nihil obstat, con ciò legittimando l’operato della Consob in particolare e, in generale, riconoscendone gli ampi poteri discrezionali in materia. 65 Sul punto, cfr. ancora Berger, A Comparative Analysis of Takeover Regulation, cit., pp. 53 ss.; Payne, a cura di, Takeovers in English and German Law, cit., passim; Ipekel, A Comparative Study of Takeover Regulation in the UK and France, cit., pp. 108 ss.; Ventoruzzo, Europe’s Thirteenth Directive and U.S. Takeover Regulation, cit., pp. 171 ss.; Martìn, Aguiar e Dìaz, Ultimate Ownership and takeover defences in Spain, cit., pp. 399 ss.; Varottil, Comparative Takeover Regulation, cit., pp. 208 ss.; La Porta et al., Corporate Ownership around the World, cit., pp. 471 ss..

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un prezzo comunque ragionevole (il c.d. prezzo medio ponderato delle azioni negli ultimi 12 mesi); tuttavia, migliorano anche i profili di efficienza; a fronte della presenza di un’opa obbligatoria e totalitaria, esiste infatti un’incidenza positiva sull’obiettivo della contendibilità, causata sia dalla fissazione della soglia al 30%, sia dalla previsione dell’opa volontaria preventiva come ipotesi di esenzione dall’obbligo di opa, sia dai particolari criteri di determinazione del prezzo d’offerta. Su questo terreno, si innesta il dibattito sull’opa europea che porta all’emanazione della Direttiva Opa66. Disciplina italiana e disciplina comunitaria presentano variegati elementi di convergenza, ma ciò che rileva particolarmente è la circostanza che la Direttiva Opa tenti di introdurre un campo comune di gioco a livello comunitario: tuttavia, l’esigenza di armonizzazione viene sostanzialmente frustrata dalla circostanza che, con riferimento ad alcuni strumenti regolamentari (passivity rule, azioni a voto multiplo e presupposti dell’obbligo di opa), la Direttiva Opa introduce il meccanismo degli accordi opzionali, che consente ai singoli Stati membri di introdurre norme derogatorie che, in ultima analisi, impediscono di rendere davvero “comune” il mercato europeo del controllo societario. Questa circostanza – unita all’avvicinarsi della crisi finanziaria – ha generato per le società italiane (più regolate e meno forti) un maggior rischio di essere bersagli di scalate ostili da parte di società estere (meno regolate e più forti) e consente quindi di comprendere meglio il risultato delle analisi dei successivi sviluppi del nostro ordinamento in materia: le normative italiane di attuazione hanno infatti introdotto delle modifiche dei precedenti strumenti regolamentari (ampliamento delle deroghe alla passivity rule, introduzione delle regole di neutralizzazione e di reciprocità e modifica in senso più rigoroso dei criteri di determinazione del prezzo), che ci dicono che il legislatore si è progressivamente spostato verso una maggiore tutela degli azionisti di minoranza e una minore contendibilità del controllo societario, ponendo quindi un freno alle ragioni di efficienza e ai profili di mobilità degli assetti proprietari; il tutto, con l’effetto di vedere meglio soddisfatte le esigenze di garanzia non solo per maggiore sensibilità verso i profili di equità sostanziale, ma anche – direi – per legittima difesa rispetto ai rigurgiti protezionistici provenienti dagli altri

66 Cfr. Clarke, European Union Articles 9 and 11 of the Takeover Directive (2004/25) and the Market for Corporate Control, in Journal of Business Law, 2006, pp. 355 ss., p. 361.

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Stati membri, propiziati dal combinato disposto della scarsa armonizzazione e della crisi finanziaria ancora in atto67.

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67 Cfr Enriques, Gilson e Pacces, The Case of an Umbiased Takeover Law, cit. p. 117; Hopt, Directors’ Duties and Shareholders’ Rights in the European Union: Mandatory and/or Default Rules?, cit., pp. 13 ss..

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I sistemi interni di segnalazione delle violazioni in ambito bancario, finanziario, mobiliare e del risparmio gestito come strumento per la prevenzione e la gestione dei rischi aziendali Sommario. Premessa. – I Parte. – 1. Definizione di “sistema interno di segnalazione delle violazioni”. – 2. La distinzione della segnalazione delle violazioni rispetto a figure apparentemente simili. – 3. Ambito e controllo sociale. – II Parte. – 4. Le prescrizioni normative dell’Unione Europea sui sistemi di segnalazione. – 5. La normativa nazionale in linea generale. – 5.1 Gli articoli 52-bis t.u.f. e 4-undecies t.u.f. e loro relazione con gli articoli 52 e 52-ter t.u.b. ed 8 e 4-duodecies t.u.f. – 5.2 Prescrizioni nazionali di settore. – 6. Esperienze analoghe in ambiti diversi. – III Parte. – 7. La normativa secondaria applicabile. – 8. L’ambito normativo dei sistemi interni di segnalazione delle violazioni. – 8.1 Elementi soggettivi di applicabilità della norma. – 8.2 Elementi oggettivi di applicabilità della norma. 8.3 – Ricostruzione della classificazione della normativa esterna: l’ampiezza dei riferimenti normativi ai quali gli intermediari sono soggetti. – 8.3.1 Metodologia di classificazione e riferimenti all’organizzazione dell’intermediario. – 8.3.2 Aspetti storici della classificazione. – 8.3.3 Applicazione concreta della classificazione della normativa esterna – 8.3.4 Dalle disposizioni normative esterne alla normativa interna. – IV Parte. – 9. Spunti per la strutturazione di un “sistema interno di segnalazione delle violazioni”. – V Parte – 10. Criticità e conclusioni.

Premessa. La normativa bancaria e mobiliare (alla quale si può estensivamente riferire quella applicabile in campo finanziario e del risparmio gestito) ha visto negli scorsi anni l’introduzione di alcune disposizione rubricate sotto la dizione «Sistemi interni di segnalazione delle violazioni» (art. 52bis t.u.b. e art. 4-undecies t.u.f.). Scopo del presente scritto è quello di analizzare le disposizioni che regolano l’istituto, verificarne l’ampiezza applicativa e contestualizzarle rispetto alle realtà aziendali delle banche e degli altri operatori del mercato finanziario, mobiliare e del risparmio gestito.

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La I Parte dunque analizza la fattispecie sotto il profilo definitorio, la distingue rispetto a figure apparentemente simili e la inquadra sotto il profilo sociale come strumento di controllo tra i partecipanti ad un medesimo ambito sociale. Nella II Parte si espongono le prescrizioni normative di origine europea dalle quali ha origine la fattispecie con riferimento all’attività bancaria e mobiliare, che appaiono avere portata generale, rispetto ad altre analoghe prescrizioni normative che regolano la fattispecie, quanto a specifiche situazioni o prodotti connessi all’attività bancaria e mobiliare. Sempre nella II Parte si analizzeranno simili esperienze di utilizzo della fattispecie con riferimento al commercio internazionale e all’attività della pubblica amministrazione: ciò permetterà di riscontrare come la stessa fattispecie trovi applicazione come valido strumento di contrasto delle violazioni normative. La III Parte affronterà alcune tematiche relative all’applicazione della fattispecie con riferimento all’attività bancaria, finanziaria, mobiliare e del risparmio gestito anche in relazione alla normativa secondaria. La IV Parte è dedicata ad offrire spunti per la strutturazione di un sistema interno di segnalazione delle violazioni. La V Parte infine delinea le possibili criticità e traccia le conclusioni.

I PARTE

1. Definizione di “sistema interno di segnalazione delle violazioni”. Un “sistema interno di segnalazione delle violazioni” è in linea generale un meccanismo (o strumento) procedurale strutturato che permette a dei soggetti di segnalare all’interno di una determinata organizzazione sociale1 eventuali comportamenti che possano costituire una violazione

1 Per “organizzazione sociale” si deve intendere qualunque sistema sociale organizzato, sia di diritto pubblico del quale il soggetto fa parte o con il quale si relaziona (es. cittadino di un determinato comune o regione, cittadino di un determinato paese, studente di una determinata università … oppure cittadino che pur residente in un determinato comune si relaziona con l’organizzazione di un altro comune), sia di diritto privato dove il soggetto partecipa magari in quanto associato di una particolare associazione, ha interessi economici in quanto socio di una società, oppure è comproprietario e/o

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potenziale o concreta alla normativa di riferimento propria di quella organizzazione stessa2. Il sistema, di derivazione “anglosassone”, noto come “whistleblowing”, dovrebbe permettere ai soggetti che partecipano alla vita dell’organizzazione sociale di riferimento di segnalare alle autorità preposte oppure alla sua dirigenza, secondo dei protocolli prestabiliti ed organizzati, quei comportamenti che appaiono non in linea con le regole di funzionamento dell’organizzazione stessa e con le regole di convivenza tra i suoi partecipanti, con finalità preventive di tutela del bene comune e dei diritti fondamentali dell’uomo, al quale dovrebbe mirare la regola, o dei diritti fondamentali di soggetti terzi che abbiano un interesse derivante dalla correttezza dei comportamenti dei componenti dell’organizzazione sociale.

2. La distinzione della segnalazione delle violazioni rispetto a figure apparentemente simili. La “segnalazione interna delle violazioni” si distingue rispetto a figure apparentemente analoghe quale per esempio la presentazione di una denuncia all’autorità giudiziaria o amministrativa oppure a comportamenti simili le cui finalità (spesso abiette) sono strutturalmente diverse come per es. la delazione. Dall’analisi delle differenze si possono ricavare utili elementi per la strutturazione di un “sistema interno di segnalazione delle violazioni” che sia efficace ed efficiente, e che protegga l’organizzazione da abusi

condomino, oppure svolge la propria attività lavorativa. 2 Qualunque “organizzazione sociale” ha una normativa di riferimento che stabilisce i meccanismi di funzionamento della stessa organizzazione e le regole di convivenza civile, cioè “sociale”, la cui violazione normalmente sotto il profilo sanzionatorio ha rilevanza civile e, se coinvolge un’entità dotata di sovranità, anche amministrativa o penale, in funzione del valore della regola violata, cioè a seconda che la violazione coinvolga certi diritti fondamentali dell’uomo e a seconda della gravità della violazione stessa (intensità della violazione), oppure ha rilevanza unicamente sociale all’interno dell’organizzazione (per cui la sanzione sarà la riprovazione e/o il biasimo del comportamento della persona oppure la fuoriuscita della persona dall’organizzazione sociale in quanto il comportamento posto in essere ha irrimediabilmente leso il rapporto che lega le persone di cui all’organizzazione).

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(cioè cattivi usi del sistema), nonché le persone fisiche che vi lavorino, nei rispettivi ruoli di segnalante e segnalato. (A) La “segnalazione interna delle violazioni” rispetto alla presentazione di una denuncia ha in comune il solo fatto di raccontare ad un qualcuno qualificato un fatto o un atto che ha determinato la violazione di una norma3. La “segnalazione interna delle violazioni” si differenzia rispetto alla presentazione di una denuncia perché essa è per definizione un atto interno ad un’organizzazione ben individuata, mentre la presentazione di una denuncia è sempre un atto che riporta la conoscenza circa fatti o atti ad una determinata autorità esterna ad una specifica organizzazione4.

3 L’art. 333 c.p.p. indica quali siano i soggetti preposti alla ricezione della denuncia e la procedura di raccolta e trasmissione della stessa alle autorità preposte all’accertamento dei fatti e all’iniziativa penale o amministrativa. Analogamente un “sistema interno di segnalazione delle violazione” dovrà indicare il meccanismo di raccolta della segnalazione e di accertamento dei fatti e le conseguenze successive. 4 La rilevanza interna di una segnalazione contrapposta alla rilevanza esterna della presentazione di una denuncia ha una relativa importanza. È questione più sociale ed organizzativa che giuridica ed afferisce a ciò che si considera interno oppure esterno. Anche lo Stato è un’organizzazione sociale con le proprie regole, che riconosce diritti e prevede doveri in capo ai suoi membri, con un impianto sanzionatorio da applicare contro coloro che hanno violato i diritti di altri, i propri doveri e più in generale non hanno rispettato le regole, nonché le procedure per far sì che coloro che reclamino la lesione di un diritto oppure la violazione da parte di un terzo di una regola oppure di un dovere, possano richiedere la relativa tutela. È chiaro che una persona è contemporaneamente cittadino di uno Stato e membro di una determinata organizzazione. Poiché qualunque organizzazione è comunque tenuta al rispetto delle norme di derivazione pubblica, dei diritti delle persone ed è centro di imputazione di doveri, ne deriva che se la regola violata ha una rilevanza esclusivamente interna all’organizzazione allora si procederà attraverso la segnalazione, altrimenti se la regola violata ha una derivazione statale o è posta per assicurare il loro rispetto, si potrà procedere anche con la presentazione di una denuncia. Questa avrà una connotazione esterna, rispetto all’organizzazione di appartenenza, ma interna all’organizzazione sociale rappresentata dallo Stato. Volendo fare un esempio figurato, è come se ci trovassimo a disegnare una serie di insiemi: quello più grande rappresenta lo Stato; ogni persona fisica è sicuramente cittadino dello Stato, ma è anche membro di una pluralità di diverse organizzazioni sociali, pubbliche o private. La distinzione assume tuttavia rilevanza sotto il profilo organizzativo. Nessun sistema interno di segnalazione delle violazioni può pregiudicare la facoltà di un cittadino di rappresentare all’esterno dell’organizzazione sociale fatti o atti che si suppongono consistere in violazioni di norme statali a rilevanza penale o amministrativa. In altre parole, nessun sistema interno di segnalazione delle violazione può compromettere il diritto dello Stato a ricevere informazioni dai suoi membri circa tali fatti: anzi è dovere

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Con riferimento all’oggetto di quanto viene portato a conoscenza, con la “segnalazione interna delle violazioni” i segnalanti posso dare notizia al soggetto preposto alla ricezione della segnalazione di qualcosa non necessariamente rilevante sotto il profilo penale o amministrativo, contrariamente all’oggetto di una denuncia, ma eventualmente rilevante solo per i suoi profili civilistici oppure sotto il profilo commerciale come la qualità di un servizio reso nell’ambito di un rapporto tra fornitore di un bene e/o servizio e più ampiamente l’ambito dei rapporti tra privati e le regole che sovrintendono allo sviluppo di tali rapporti. La “segnalazione interna delle violazioni” e la presentazione di una denuncia si distinguono anche per la dimensione temporale dell’informazione. Mentre la prima potrebbe concernere anche situazioni cd. di pericolo potenziale, come carenze strutturali o procedurali di sistemi informatici, modalità operative e di esecuzione di determinate attività, che in uno stato di quiescenza oppure di normalità non dovrebbero determinare rischi o pericoli per l’organizzazione, atti e/o fatti che minino la credibilità e la reputazione dell’organizzazione, senza che da questi derivi una violazione di una norma penale oppure amministrativa, la denuncia ha per oggetto appunto fatti e circostanze concrete passate o presenti, al massimo continuate, ma non possibili e/o probabili in un incerto futuro (salvo ovviamente l’ambito dei cd. reati di pericolo). In altri termini, la segnalazione può avere ad oggetto anche eventi temuti che potrebbero avere un impatto sulla qualità di quanto proposto dall’organizzazione a favore di terzi o dei propri membri oltre che situazioni dalle quali potrebbero derivare fatti o atti rilevanti per il diritto penale e per il diritto amministrativo. Sotto il profilo soggettivo, quanto segnalato nell’ambito di un “sistema interno di segnalazione” non può riguardare mai un diritto soggettivo vantato dal segnalante, ma semmai qualcosa che concerne l’orga-

dello Stato approntare un tale sistema nell’ambito dell’applicazione di normative speciali a tutela di diritti costituzionalmente garantiti, con sanzioni circa la violazione delle prescrizioni a carattere penale ed amministrativo. Molti “segnalatori” si troveranno così a poter segnalare verso l’interno dell’organizzazione una condotta illecita riferita ad un loro collega o ad un superiore gerarchico per porre termine ad un attività illegale o inaccettabile, ma anche a poter segnalare la stessa condotta all’esterno verso le autorità, soprattutto laddove i segnalatori temano che le procedure interne non siano sufficientemente robuste oppure i canali di segnalazione non siano differenziati e non consentano di preservare l’anonimato con un ragionevole grado di sicurezza (per il segnalante).

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nizzazione e che determina in capo alla stessa un potenziale rischio o comunque potrebbe causare o ha causato la violazione di una norma interna oppure di una regola interna relativa al rispetto di norme esterne, di derivazione pubblica, recepite nell’ordinamento interno, salvo il caso in cui la violazione di un diritto soggettivo del segnalante, oggetto della segnalazione sia considerabile strumentale per determinare una situazione di più agevole violazione delle norme interne, oppure risulti contrario a tali regole5. La denuncia, invece, può avere come soggetto passivo del fatto o atto denunciato che abbia determinato in capo a questi una violazione di un suo diritto oppure di un dovere verso lo stesso, il denunciante stesso e non solo un terzo soggetto (la denuncia cioè potrebbe riguardare anche fatti accaduti ad un soggetto diverso dal denunciante). Infatti, mentre nella “segnalazione delle violazioni” il soggetto interessato e/o danneggiato è l’organizzazione stessa e la sua efficienza ed efficacia, nel caso della denuncia, chi la presenta può coincidere con la persona interessata dal rispetto di un proprio diritto soggettivo (diritto di proprietà, diritto all’integrità fisica …) e dall’esecuzione di un dovere di terzi nei suoi confronti. (B) Una segnalazione effettuata nell’ambito di un “sistema interno di segnalazione” si distingue dal fenomeno della cd. delazione, al quale sono ricondotte una serie di situazioni che hanno in comune la segretezza dell’identità del segnalante/denunciante. In via generale, l’ordinamento giuridico italiano conosce la possibilità che una denuncia sia presentata senza che sia riconoscibile la sua provenienza. L’assenza di una firma di per sé non sempre rende anonima la denuncia: se i fatti e le circostanze rappresentate da un documento pervenuto all’autorità sono tali da permettere alla stessa di risalire all’autore della denuncia, allora questa non va considerata tale. Diversamente, è da considerarsi anonima la semplice esposizione di fatti e circostanze da parte di un soggetto che riporti in un documento non sottoscritto ciò che egli abbia visto, sentito o abbia avuto notizia. Tali denunce vanno prese in considerazione da parte della magistratura, tuttavia l’ordinamento giuridico pur considerandole, le tratta con

5 Ad es. forme di mobbing (cioè la sistematica persecuzione esercitata sul posto di lavoro da colleghi nei confronti di un individuo, consistente per lo più in piccoli atti quotidiani di emarginazione sociale, violenza psicologica o sabotaggio professionale, ma anche forme di aggressione fisica), bossing (cioè la forma di mobbing cd. verticale posta in essere dal superiore gerarchico anche tramite minacce di provvedimenti disciplinari), discriminazione di genere.

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disvalore alla stessa stregua di una “delazione”. Il tema della segretezza, tuttavia, nel caso della denuncia o della segnalazione anonima all’autorità si esaurisce appunto nell’impossibilità di individuare l’origine della stessa. Il procedimento penale che si apre ha i caratteri della pubblicità propri di qualunque altro procedimento penale, indipendentemente dal fatto che sia scaturito da una denuncia palese o anonima. Ben diverso è l’approccio al tema della segretezza nell’ambito di un sistema interno di segnalazione. Il sistema di per sé può consentire la ricezione di segnalazioni anonime o non sottoscritte, come il soggetto preposto alla loro analisi ed indagine, nel rispetto della regolamentazione interna sul loro trattamento, può anche decidere di scartarle a priori. Tuttavia, mentre l’anonimato nell’ambito della denuncia fondamentalmente potrebbe essere indicativo del timore da parte di un soggetto di subire una rappresaglia oppure di essere riconosciuto come colpevole di analogo reato, nell’ambito di un meccanismo di segnalazione delle violazioni potrebbe essere indice di sfiducia nel meccanismo stesso. Infatti, ciò che profondamente rende diverso il trattamento dell’identità del denunciante rispetto a quello del segnalante sono i presidi posti a proteggere l’identità del segnalante in generale, salvo l’obbligo di dover assicurare il diritto di difesa delle persone coinvolte dalla segnalazione. In questo caso poiché la segretezza verso i terzi è elemento cruciale del procedimento di indagine successivo alla ricezione di una segnalazione, il fatto che il segnalante non si palesi, non è tanto disdicevole in sé ma quanto piuttosto è un sintomo di scarsa fiducia nei meccanismi interni di protezione dell’identità della persona e nella soluzione della problematica segnalata. Non perché tale mancanza di fiducia non sia presente anche nel denunciante anonimo, ma perché la causa della mancanza di fiducia potrebbe essere ricondotta ad una mancanza dei requisiti di indipendenza ed autonomia del soggetto che riceve la segnalazione e ne indaga il merito oppure sulla tempistica oppure ancora sull’effettiva capacità del sistema di reagire a quanto segnalato. Tutto quanto sopra esposto non tiene in considerazione l’elemento soggettivo che si ha nella delazione: il cd. “vantaggio” per il “delatore”, che poi è ciò che rende abietta e disdicevole la stessa. Seppur sintomo di viltà, il timore di “metterci la faccia” è qualcosa di umano, ma rimane circoscritto ad una caratteristica personale del soggetto. Il tema centrale della delazione e dunque dell’anonimato della denuncia o della segnalazione, è connesso all’aspettativa di un soggetto di ricavare un vantaggio, in quanto egli abbia riportato un qualcosa. Il premio necessariamente non può consistere in qualcosa di positivo per il delatore, come un premio, un avanzamento di carriera …, perché sarebbe determinante co-

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noscerne il nome, ma può consistere nell’arrecare un danno al soggetto segnalato e/o denunciato dal quale potrebbe ricavarne un vantaggio indiretto il delatore stesso, come per esempio vedersi assegnato un posto di responsabilità, un premio di produttività, una promozione … che se non vi fosse stata la segnalazione sarebbero stati assegnati al soggetto segnalato. Situazione diversa, più evidente se l’autorità alla quale si è inoltrata la segnalazione avesse il potere di tener segreta l’identità del segnalante, è laddove esista un premio diretto e positivo per la segnalazione effettuata oppure addirittura un sistema premiante per chi riporti all’autorità in maniera confidenziale delle violazioni alla normativa applicabile oppure delle devianze e delle posizioni / opinioni politiche, sindacali, religiose … sgradite all’autorità. Storicamente, soprattutto nelle dittature, il premio consisteva in una maggiore considerazione da parte delle autorità, ben capaci di mantenere la segretezza circa il nome del segnalante, che premiavano lo “zelo” delle persone che effettuavano la delazione, che dunque ricevevano avanzamenti di carriera, posti di responsabilità … Ben diverso, in quanto mancante dell’elemento di gradimento dell’autorità, è il sistema di segnalazione predisposto dalle autorità fiscali per contrastare gli illeciti tributari (evasione ed elusione fiscale), in quanto l’azione di dette autorità dovrebbe essere improntata ad un principio di assoluta neutralità.

3. Ambito e controllo sociale. (A) Un sistema interno di segnalazione delle violazioni può costituire un valido strumento di controllo in un gruppo sociale chiuso che si sia dato delle regole da rispettare. La stessa definizione di “interno” già individua la principale caratteristica di appartenenza ad una particolare organizzazione sociale, che vuole difendere sia il rispetto delle regole al proprio interno e dunque esprimere un’esigenza di controllo sociale da parte dei membri, sia la reputazione dell’organizzazione sociale stessa, affinché terzi soggetti che entrino in contatto con la stessa ne mantengano nel tempo la fiducia riposta. Il sistema può dunque funzionare ed essere efficace all’interno di un’organizzazione produttiva di beni o servizi, un’organizzazione di volontariato oppure un’organizzazione della pubblica amministrazione. Risultano indifferenti quindi gli eventuali elementi qualitativi del gruppo in questione.

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Più importanti sono gli elementi quantitativi del sistema interno di segnalazione delle violazioni. Esso diviene funzionale al controllo sociale, se il gruppo sociale ha una sua consistenza numerica ed una base di anonimato nelle relazioni (cioè non tutti i soggetti appartenenti al gruppo si conoscono tra di loro) e se all’interno del gruppo si riesce ad esprimere chi indaghi le segnalazioni e chi prenda le misure correttive/ repressive. Diviene disfunzionale laddove la quantità delle segnalazioni dipenda dalla qualità delle relazioni tra i membri del gruppo per cui qualunque comportamento dei membri del gruppo è ritenuto rilevante ai fini del rispetto di una regola e dunque diviene oggetto di una segnalazione, oppure la complessità dell’impianto normativo è tale per cui è facile incappare in una violazione. Diviene infine inutile se le possibili violazioni sono normalmente sotto gli occhi di tutti e se le persone che le hanno commesse sono facilmente individuabili. (B) La letteratura sociale e psicologica si è lungamente soffermata nell’analizzare le motivazioni che muovono un potenziale segnalatore all’interno di un determinato gruppo sociale, soprattutto quando si tratti di accettare e/o mettere in discussione regole rispetto ad altre o comportamenti incompatibili con regole (a giudizio del segnalante). Ciò che ne emerso è di fondamentale importanza per comprendere le dinamiche mentali e le conseguenze temute sotto il profilo di appartenenza al gruppo. Il più delle volte le persone tentano in tutti i modi di rifiutare di tenere un determinato comportamento in violazione di una regola o di un principio eventualmente etico, di fatto disobbedendo alla richiesta dell’autorità. Il rifiuto però non è seguito da una forma di denuncia, seppur anonima: l’importante dunque sembrerebbe essere il mancato coinvolgimento6. (C) Perché un sistema interno di segnalazione delle violazioni sia efficace ed efficiente è necessario che abbia una base di democraticità. Il suo funzionamento si basa su principi di orizzontalità in opposizione a principi di verticalità, in parte ascrivibili a relazioni a carattere gerarchico ed in parte ascrivibili al possesso di competenze tecniche.

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Vd. Bocchiaro, Zimbardo e Van Lange, To defy or not to defy: an experimental study of dynamics of disobedience and whistle-blowing, in Social Psychology, 7/2012, pp. 3550. Sulla connessione tra illeciti penalmente rilevanti commessi in un’organizzazione e whistle-blowing, Ingrassia, Il whistle-blowing come strumento di controllo interno delle organizzazioni, in Studi organizzativi, 2/2009, p. 40 ss., spec. pp. 46-49.

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La caratteristica dell’orizzontalità può essere esaminata sotto una pluralità di profili: (i) chiunque appartenente ad una determinata organizzazione può segnalare la violazione; la segnalazione del soggetto che l’ha commessa può riguardare un superiore gerarchico, un collega di pari grado incardinato nella medesima unità organizzativa, un collega di altra unità organizzativa; appare inverosimile che un superiore gerarchico segnali un sottoposto, stante l’esistenza di altre modalità di risoluzione della situazione. Il sistema dunque risulta “orizzontale” perché riguarda “pari” oppure perché permette di “pareggiare” chiunque si supponga abbia commesso una violazione indipendentemente dalla sua posizione gerarchica nell’organizzazione – in fondo è l’applicazione di un principio democratico a noi ben noto e contenuto nella Costituzione (art. 3), cioè quello dell’uguaglianza di fronte alla legge, in questo caso uguaglianza di fronte alla norma interna da rispettare. (ii) Chiunque appartenente ad un determinato gruppo, indipendentemente dalla posizione organizzativa al suo interno, può avere le competenze tecniche per segnalare una violazione oppure una criticità; in un’epoca di diffusione delle informazioni a prescindere dal grado e titolo di istruzione o da particolari qualifiche professionali, il sistema interno di segnalazione delle violazioni, proprio perché democratico, permette a chiunque abbia delle competenze tecniche, anche non formalmente riconosciute (il che porta a qualificarlo come un “amatore professionale”7), di reputare un determinato comportamento a rischio e dunque meritevole di essere segnalato; vi è di più: la funzionalità organizzativa del gruppo migliora enormemente in termini di efficacia e di efficienza se le persone sono incentivate a segnalare violazioni o comunque situazioni e processi che potrebbero essere migliorati e dunque

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L’amatore – professionale è stato qualificato come colui che sviluppa competenze amatoriali secondo standard professionali, attraverso lo scambio culturale ed informativo offerto dalla rete e da forme di collettivizzazione dell’intelligenza e della conoscenza (vd. Leadbeater e Miller, The Pro – Am Revolution: How Enthusiasts are Changing our Economy and Society, Londra, 2004) Tale movimento di democratizzazione delle competenze porta all’affermazione di nuove forme di condivisione delle esperienze e delle opinioni riguardo a fatti e/o atti che riguardino anche l’applicazione di una regola o di un principio. Infatti la conseguenza ben evidenziata è la messa in discussione della validità di principi, opinioni, comportamenti consolidati, tesi scientifiche … alla luce di una nuova interpretazione normativa (cfr. Flichy, Le sacre de l’amateur, s.l., 2010, p. 7 ss. e pp. 65-67, 73 ed 82- 85).

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prevenire l’insorgere di rischi; in quest’ottica, si è giustamente osservato come la posizione del segnalatore trovi un fondamento nel maggior spirito critico che talune persone hanno. Fondamentalmente in tutti noi lo spirito critico porta alla manifestazione più o meno costruttiva di un dissenso organizzativo e ciò determina una valutazione sulla funzionalità dell’organizzazione di appartenenza8. (iii) Un sistema interno di segnalazione delle violazioni acquista una maggiore forza se il processo di formazione delle regole (le cui violazioni sono oggetto della segnalazione) è realmente democratico, cioè coinvolge gli interessati, indipendentemente dalla loro esperienza, e quelli che abbiano comunque competenze a riguardo nonostante il fatto che non siano direttamente chiamati in causa. Ciò dovrebbe determinare la produzione di norme intellegibili e maggiormente condivise tra i membri del gruppo, rendendo più agevole il rispetto delle regole stesse, nonché la relativa formazione ed educazione al loro rispetto9 ed infine portando alla costruzione di un sistema di cd. soft law cioè di regole flessibili, esperienziali, di buon comportamento e di correttezza. (D) Un sistema interno di segnalazione delle violazioni acquista una maggiore legittimazione se è accompagnato da un sistema sanzionatorio flessibile. Che debba esistere un sistema sanzionatorio punitivo questo è fuori di dubbio. Più interessante sarebbe chiedersi se questo non debba essere accompagnato da un sistema sanzionatorio premiante oppure alternativo. Nel primo caso proprio perché si è tra “pari” chi segnala potrebbe essere premiato o comunque non vedersi a sua volta sanzionato

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Maggioni, Il dissenso organizzativo: la fattispecie del c.d. whistle-blowing, in Ticonzero n. 56/2005, in http://www.whistleblowing.it/Andrea%20Maggioni_WB.pdf. 9 È quanto emerge diffusamente da Colombo, Sulle regole2, Bologna, 2010, che si sofferma lungamente sugli aspetti che contraddistinguono la ns. società a seguito del percorso di introduzione della Costituzione e di attuazione del disegno costituzionale. Da una società verticale si sta passando ad una società orizzontale dove anche l’impianto sanzionatorio deve necessariamente essere adattato. In una società orizzontale, quale quella descritta idealmente e concretamente dalla Costituzione e dai Trattati internazionali che regolano l’Unione Europea ed i diritti dell’uomo, il processo di formazione delle regole e dei principi deve mettere al centro la persona o meglio le persone che possono partecipare a tale processo. Il passo successivo diviene così molto più agevole. L’educazione alle regole (nell’ambito della più ampia educazione alla legalità) nasce dallo stesso processo di formazione delle regole. L’educazione alle regole comporta l’acquisizione anche di uno spirito critico rispetto alla portata, applicabilità generale ed attualità della regola stessa.

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se segnala una violazione alla quale egli ha partecipato / partecipa in concorso con il soggetto segnalato oppure ha commesso / commette analoga violazione, fermo restando che non dovrà ricavarne benefici. Per sistema di segnalazione alternativo, invece, si vuole intende un sistema sanzionatorio collaterale a quello punitivo e parallelo al sistema di segnalazione interno delle violazioni, che dissuada da ulteriori violazioni della norma non attraverso le classiche funzioni general – preventiva e special – preventiva della sanzione (tipiche dell’ordinamento penale), ma attraverso un possibile riadattamento della regola (se la violazione è diffusa), una maggiore formazione ed educazione al rispetto generale e particolare delle norme e la ricondivisione della regola con i soggetti interessati (segnalanti e segnalati). In buona sostanza ancora una volta, un’applicazione proporzionale e democratica di regole “leggere”, il cui rispetto ha però una valenza cruciale per la pace sociale del gruppo e per la sua reputazione.

II PARTE

4. Le prescrizioni normative dell’Unione Europea sui sistemi di segnalazione. L’Unione Europea ha affrontato il tema dei “sistemi interni di segnalazione delle violazioni” come strumento per assicurare il rispetto delle norme ed il contrasto delle violazioni inserendo l’istituto in più normative. Solo con riferimento al settore bancario e mobiliare ed in particolare in relazione all’impianto e alla capacità di prevenzione dei rischi da parte degli operatori economici del mercato, è stata prevista una normativa sistematica. Negli altri casi la normativa dell’Unione Europea ha una valenza settoriale, pur riguardando sempre l’attività degli operatori bancari, finanziari, mobiliari o del risparmio gestito oppure di soggetti che vengono in contatto con tali operatori. La scelta del Legislatore dell’Unione Europea è stata dunque apparentemente quella di demandare ad una norma sistematica le questioni attinenti al funzionamento dei sistemi interni di segnalazione delle violazioni per ciò che riguarda la struttura del singolo operatore e a norme specifiche che regolano la prestazione oppure le modalità di prestazione

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di determinati servizi, la previsione di analogo sistema, pressoché identico nella struttura salvo un caso eclatante su di un punto critico. Dovendo quindi ricostruire la normativa applicabile è necessario partire dalla direttiva cd. di impianto sistematico, per poi analizzare direttive cd. di funzionamento e dunque settoriali. (A) La previsione di “sistemi interni di segnalazione delle violazioni” è l’oggetto dell’art. 71 della Direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 «sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE» (la “Direttiva CRD4”), una direttiva che già nella denominazione fa comprendere all’interprete il suo carattere sistematico rispetto a due mercati di riferimento: quello bancario (nella sua duplice componente di raccolta del risparmio e di erogazione del credito) e quello mobiliare. I Considerandi nn. 40 e 61 della Direttiva CRD4 hanno messo in evidenza lo scopo prudenziale di un «sistema di segnalazione delle violazioni». In particolare la segnalazione delle violazioni è necessaria a far emergere situazioni di criticità e dunque i rischi connessi alla mancata conformità dell’attività aziendale oppure di un singolo soggetto alla normativa derivante dalla Direttiva CRD4 stessa, dal Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 «relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012» e dalla normativa nazionale di recepimento. Tramite tali sistemi, recita ancora il Considerando n. 61 della Direttiva CRD4, si assicura il rispetto della normativa ed il corretto governo societario, cioè la corretta conduzione dell’ente vigilato. Il Considerando n. 40 si sofferma poi sui diritti del segnalato, in quanto tratta specificamente dei sistemi di segnalazione a cura delle autorità di vigilanza, dunque di un rapporto pubblico e privato. Il Considerando n. 61, invece, si sofferma sulla necessità di tutela del segnalante, nel caso di sistemi interni, in quanto appunto trattasi di un rapporto tra privato e privato. L’art. 71, co. 3, della Direttiva CRD4 aggiunge che gli Stati membri devono imporre agli enti vigilati dalle autorità competenti di dotarsi di un «sistema di segnalazione delle violazioni» che abbia gli stessi requisiti per l’analogo sistema di segnalazione delle violazioni verso le autorità (previsto dal co. 2) e che preveda almeno un canale di segnalazione specifico, cioè dedicato all’uopo, indipendente ed autonomo. Quanto ai requisiti di cui al co. 2, che il «sistema interno di segnalazione delle violazioni» deve avere (dunque come dovrebbe essere organizzato), questi sono

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fondamentalmente riconducibili alla (i) necessaria processualizzazione dell’invio e ricezione della segnalazione e suo trattamento in termini di indagine, istruttoria e riscontro; (ii) protezione del segnalante; (iii) protezione dei dati personali concernenti il segnalante ed il segnalato, conformemente alla direttiva 95/46/CE (direttiva sul trattamento dei dati personali, ora in corso di sostituzione con il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 «relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati»); e (iv) protezione della riservatezza dell’identità del segnalante, salvo casi specifici. (B) A livello settoriale, l’Unione Europea ha ribadito in più strumenti normativi la necessità oppure l’opportunità dell’istituzione per i soggetti obbligati di un meccanismo di segnalazione interno delle violazioni e dunque l’adozione dell’istituto. Nell’ambito della prestazione dei servizi di investimento l’obbligo è previsto per gli intermediari autorizzati dall’art. 73, co. 2, della Direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 relativa ai mercati degli strumenti finanziari. Il contenuto delle norme alle quali si devono conformare gli intermediari autorizzati è analogo a quello previsto dalla CRD4. L’art. 32, co. 2, del Regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato, prescrive che i soggetti che svolgono attività regolamentate relative alla prestazione di servizi finanziari (di fatto i servizi di investimento) si dotino di un sistema interno di segnalazione delle violazioni alla disciplina di contrasto degli abusi di mercato. È interessante notare come il Legislatore europeo abbia voluto sul punto limitare l’obbligo ai soli soggetti “regolamentati” senza estenderlo ai soggetti emittenti strumenti finanziari ammessi alla quotazione sui mercati regolamentati. Pur non applicandosi ai sistemi interni di segnalazione delle violazioni, utili indicazioni mutatis mutandis su come andrebbe strutturato un sistema di segnalazione delle violazioni (non interno all’organizzazione del segnalante, ma interno alle Autorità riceventi) si ricavano dalla Direttiva di Esecuzione (UE) 2015/2392 della Commissione del 17 dicembre 2015 relativa al Regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio e concernente la segnalazione alle autorità competenti di violazioni effettive o potenziali del suddetto regolamento. L’art. 28, co. 4, del Regolamento (UE) n. 1286/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 novembre 2014 relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d’investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati, prevede la possibilità che gli Stati

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membri della UE possano obbligare l’adozione di meccanismi interni di segnalazione delle violazioni alle prescrizioni di cui alla normativa settoriale. L’art. 61, co. 3, della Direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo contiene analoghe norme a quelle di cui alle misure normative precedenti. (C) Stupisce invece l’assenza di qualunque riferimento ad un meccanismo di sistema interno di segnalazione oppure ad un meccanismo di segnalazione verso le autorità nella direttiva 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2011 sui gestori di fondi di investimento alternativi. Eppure tale meccanismo è stato l’oggetto di apposita previsione nell’art. 1 della direttiva 2014/91/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014 (cd. UCITS 5) recante modifica della direttiva 2009/65/CE direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 luglio 2009 (cd. UCITS 4), che ha introdotto l’art. 99 quinquies nella direttiva 2009/65/CE. Probabilmente è solo una questione di tempo. In materia di risparmio gestito, effettuato sia con fondi di investimento alternativi che con fondi di investimento in valori mobiliari, non possono coesistere in ambito europeo diversi regimi, quanto all’adozione obbligatoria o meno dell’istituto.

5. La normativa nazionale in linea generale. La normativa europea a carattere sistematico, i destinatari della quale sono le banche e le imprese di investimento (rispettivamente operatori del settore bancario, cioè della raccolta del risparmio e dell’erogazione del credito, e mobiliare le une e le altre del solo settore mobiliare), è stata dunque trasposta nelle misure normative settoriali, in particolare nel d.lgs. n. 385 del 1 settembre 1993 (t.u.b.) per le banche e nel d.lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998 (t.u.f.) per tutti i soggetti abilitati come definiti dall’art. 1, co. 1, lett. (r). L’art. 52-bis t.u.b. e l’art. 4-undecies t.u.f. sono sostanzialmente simmetrici e vanno posti in relazione con i rispettivi artt. 52, co. 1 e 2, e 52-ter t.u.b. ed 8, III e IV comma, e 4-duodecies t.u.f. Il d.lgs. n. 224 del 14 novembre 2016 che ha modificato il t.u.f., il d.lgs. n. 135 del 17 luglio 2016 ed il d.lgs. n. 90 del 25 maggio 2017 invece sono norme nazionali di trasposizione di provvedimenti dell’Unione

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Europea attinenti a questioni relative al funzionamento, cioè alla prestazione di prodotti e servizi ben individuati oppure a questioni specifiche nell’esecuzione della propria attività, che prevedono una disciplina dell’istituto. 5.1 Gli articoli 52-bis t.u.f. e 4-undecies t.u.f. e loro relazione con gli articoli 52 e 52-ter t.u.b. ed 8 e 4-duodecies t.u.f. Le norme europee settoriali vengono riprese e precisate dalla normativa italiana. (A) Negli artt. 52-bis t.u.b. e 4-undecies t.u.f. viene ribadita la necessità di processualizzare il meccanismo di segnalazione interno da parte del personale10, di atti o fatti che possano costituire una violazione delle norme disciplinanti l’attività bancaria o di prestazione dei servizi di investimento11 La processualizzazione deve consentire la riservatezza dei dati del segnalante con espressa esclusione della possibilità del segnalato di accedere al contenuto e all’identità del segnalante ex d.lgs. n. 196 del 30 giugno 2003, salva la possibilità che il segnalante vi acconsenta e fermo restando la necessità di assicurare all’autorità giudiziaria l’accesso a tali dati per compiere indagini e/o portare a termine procedimenti scaturiti dalla segnalazione stessa oppure di assicurare il diritto di difesa del segnalato nei limiti in cui l’accesso sia indispensabile. Il Legislatore nazionale stabilisce come il canale di segnalazione debba essere specifico (dunque dedicato) e l’unità organizzativa che se ne prenda carico debba essere indipendente ed autonoma (caratteristiche soggettive che rendono tali il canale) e fissa il principio per cui vada offerta un’ampia tutela al segnalante che potrà così suddividersi in due forme diverse – tutela da qualunque forma di ritorsione, discriminazione o comportamento sleale posto in essere dal datore di lavoro e tutela dall’applicazione di una sanzione ai sensi del contratto di lavoro subordinato applicabile, in quanto la segnalazione non costituisce una violazione dei doveri derivanti dallo stesso. (B) Gli artt. 52-ter t.u.b. e 4-duodecies t.u.f. prevedono il diritto in capo al personale delle banche e dei soggetti abilitati di trasmettere segnalazioni alle rispettive autorità (Banca d’Italia e Consob) relative a

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Gli elementi soggettivi dell’ambito applicativo della norma saranno oggetto del paragrafo 8.1. 11 Gli elementi oggettivi dell’ambito applicativo della norma saranno oggetto del paragrafo 8.2.

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violazioni di alcune norme di cui al t.u.b. e t.u.f. e ai Regolamenti dell’Unione Europea aventi ad oggetto la stessa materia. Banca d’Italia e Consob devono stabilire le procedure di ricezione delle informazioni. Tali procedure devono essere ispirate ai principi normativi che consentano la tutela della riservatezza del segnalante e la tutela dello stesso di fronte ad atti ritorsivi, discriminatori o sleali oppure l’applicazione di sanzioni derivanti dal rapporto di lavoro, il rispetto del diritto di difesa del segnalato ed il rispetto del diritto di accesso agli atti ai sensi della normativa sulla trasparenza dell’attività della pubblica amministrazione (l. n. 241 del 7 agosto 1990), che tuttavia non deve appunto pregiudicare il diritto alla riservatezza del segnalante. Vi è infine una limitazione rispetto all’uso delle informazioni ricevute: Banca d’Italia, la Banca Centrale Europea (per le banche significative inserite nell’ambito di vigilanza della stessa) e la Consob possono utilizzare le informazioni esclusivamente per porre in essere le attività proprie previste dalla normativa settoriale. (C) L’art. 52, co. 1, t.u.b. e l’art. 8, co. 3, t.u.f. stabiliscono l’obbligo per il collegio sindacale o comunque per l’organo con funzioni di controllo, nell’ambito dei propri compiti, di informare, senza indugio, le rispettive autorità di qualunque atto o fatto che costituisca un’irregolare gestione della banca o del soggetto abilitato oppure una violazione della normativa settoriale. Agli stessi obblighi sottostanno i revisori legali dei conti delle banche e dei soggetti abilitati (art 52, co. 2, t.u.b. ed art. 8, co. 4, t.u.f.) i quali, nell’ambito di quanto rilevato a seguito del mandato ricevuto, sono tenuti a segnalare le violazioni alla normativa e le situazioni che possano mettere in pericolo la continuità aziendale oppure portare all’espressione di un giudizio negativo o con riserve oppure alcun giudizio sul bilancio, ma non gli episodi di irregolare gestione della banca o del soggetto abilitato. (D) Come si può evincere dall’esegesi delle fonti, mentre gli artt. 52-bis t.u.b. e 4-undecies t.u.f. stabiliscono un obbligo per la banca o il soggetto abilitato di dotarsi di un sistema interno di segnalazione delle violazioni, senza però stabilire in capo ai dipendenti delle stesse alcun obbligo di segnalazione, gli artt. 52 e 52-ter t.u.b. ed 8 e 4-duodecies t.u.f. cristallizzano l’obbligo per le autorità di vigilanza di dotarsi di un meccanismo di ricezione delle segnalazioni, tanto più nel caso di cui agli artt. 52 t.u.b. ed 8 t.u.f. dove la segnalazione di violazione della normativa costituisce un dovere in capo al collegio sindacale, organo apicale del sistema interno dei controlli aziendali, privo di compiti operativi (dai quali possono discendere violazioni normative), responsabile al massimo della mancata predisposizione di un adeguato sistema di controllo,

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i cui membri non sono qualificabili organicamente come dipendenti, ed un dovere in capo al revisore legale dei conti, strutturalmente esterno all’organizzazione aziendale, la cui funzione è limitata appunto ad aspetti contabili e bilancistici. Derivando da una comune fonte normativa europea (la Direttiva CRD4), gli artt. 52-bis e ter t.u.b. ed 8-ter e 4-undecies e 4-duodecies t.u.f. si rivolgono sotto il profilo soggettivo alle stesse entità. Diversi, invece, sono gli aspetti oggettivi di applicazione della norma: per le segnalazioni interne infatti si fa riferimento a qualunque normativa applicabile alla banca o al soggetto abilitato12; al contrario per le segnalazioni verso le autorità di vigilanza di settore si fa riferimento solo alle violazioni relative alla normativa bancaria o mobiliare applicabile, come se solo queste violazioni possano costituire un rischio per la banca o per il soggetto abilitato da prendere in considerazione. (E) Contrariamente rispetto ad un approccio di sostanziale uniformità applicativa della normativa relativa alla gestione dei rischi aziendali tra banche ed intermediari finanziari, il Legislatore nazionale non ha previsto alcun rinvio all’art. 52-bis t.u.b. per gli intermediari finanziari iscritti all’albo di cui all’art. 106 t.u.b., salvo che gli stessi, ma per effetto di altra disciplina, non prestino servizi di investimento e dunque ricadano nell’ambito dell’art. 4-undecies t.u.f.13. Analogamente nessun rinvio è stato previsto per gli istituti di moneta elettronica iscritti all’albo di cui all’art. 114 quater t.u.b. e per gli istituti di pagamento iscritti all’albo di cui all’art. 114 septies t.u.b.

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L’estensione dell’ambito oggettivo sarà trattato sub paragrafo 8.2. Anche se sarebbe stato compito del Legislatore prevedere all’art. 110 t.u.b. il rinvio alla norma di cui all’art. 52-bis t.u.b., è interessante vedere come Banca d’Italia (autorità preposta alla vigilanza regolamentare in materia di prevenzione e gestione dei rischi) ha motivato la scelta di uniformare grosso modo la normativa prudenziale applicabile agli intermediari finanziari rispetto a quella applicabile alle banche. Utili informazioni si ricavano dalla Relazione sull’analisi di impatto del regolamento “Disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari: relazione sull’analisi d’impatto” del luglio 2014, V Par., in part. il punto (ii) dove si evincono le motivazioni per una regolamentazione coincidente, pur nel rispetto del principio di proporzionalità enunciato al punto (iii), e le giustificazioni per l’attuale impostazione di vigilanza prudenziale. Sulla base dell’impostazione adottata, la scelta legislativa appare insensata e priva di una visione di uniformità nella previsione dell’istituto. 13

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5.2 Prescrizioni nazionali di settore. Gli artt. 52-bis t.u.b. e 4-undecies t.u.f. costituiscono non solo misure applicative degli obblighi di cui alla CRD4, ma anche una base normativa potenzialmente applicativa di simili doveri previsti da normative europee settoriali. Ne è prova il previgente rinvio all’art. 8 bis t.u.f. operato dall’art. 4 octies t.u.f. (ora abrogato dall’art. 1 del d.lgs. n. 129 del 3 agosto 2017, ma inserito dall’art. 1 del d.lgs. n. 224 del 14 novembre 2016 il cui contenuto è stato ripreso dall’art. 4-undecies t.u.f.) che esercitava l’opzione di cui all’art. 28, IV comma, Regolamento (UE) n. 1286/2014 che prevede la possibilità che gli Stati membri dell’Unione Europea prescrivano per i soggetti regolamentati l’obbligo di adozione di un sistema interno di segnalazione delle violazioni. Il Legislatore nazionale ha dunque introdotto tale obbligo, pur previsto da diversa misura normativa europea, riconducendolo nel più ampio “cappello” dell’analoga misura di cui alla norma generale. Diversa è stata invece la scelta operata dal Legislatore di prevedere un sistema interno di segnalazione delle violazioni in materia di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo del tutto analogo quanto alla strutturazione e alle caratteristiche dello stesso. Come previsto dall’art. 48 del d.lgs. n. 231 del 21 novembre 2007, integralmente rivisto dall’art. 2 del d.lgs. n. 90 del 25 maggio 2017, la sua adozione costituisce un dovere per tutti i soggetti obbligati di cui all’art. 3 del d.lgs. 231/2007 novellato. Tra questi compaiono non solo gli “intermediari bancari e finanziari”14, altri soggetti finanziari quali fondamentalmente le società che gestiscono reti distributive di prodotti bancari e finanziari, ma anche i soggetti non finanziari, i professionisti ed i prestatori di servizi di gioco. Benché non espressamente previsto dalla Direttiva di Esecuzione (UE) 2015/2392 della Commissione del 17 dicembre 2015 relativa al Regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio e concernente la segnalazione alle autorità competenti di violazioni effettive o potenziali del suddetto regolamento, il d.lgs. n. 135 del 17

14 Categoria che comprende a titolo di esempio banche, società di intermediazione mobiliare, società di gestione del risparmio, intermediari finanziari iscritti all’albo di cui all’art. 106 t.u.b., istituti di moneta elettronica iscritti all’albo di cui all’art. 114-quater t.u.b., istituti di pagamento iscritti all’albo di cui all’art. 114 septies t.u.b., ma anche Poste Italiane s.p.a., Cassa Depositi e Prestiti s.p.a., le imprese di assicurazioni che operano nei rami di cui all’art. 2, co. 1, del d.lgs. n. 209 del 7 settembre 2005.

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luglio 2016, recante la disciplina di attuazione della direttiva 2014/56/ UE relativa alla revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati ed in particolare concernente l’accesso alla professione di revisore dei conti, anche in forma collettiva, ha previsto che le società di revisione legale dei conti si debbano dotare di un sistema interno di segnalazione delle violazioni, la cui strutturazione ricalchi l’analogo meccanismo di segnalazione verso le autorità e gli identici meccanismi previsti dal t.u.b. e dal t.u.f.

6. Esperienze analoghe in ambiti diversi. La scelta normativa di prevedere l’obbligo degli operatori di due determinati mercati, cruciali per l’economia ed abbastanza vasti per essere rappresentativi, di dotarsi di sistemi interni di segnalazione delle violazioni, sia con riferimento a tematiche sistematiche che con riferimento a tematiche settoriali, non deve essere considerato come un fatto isolato, né un approccio non replicabile in altri settori. Ne sono prova due esempi pratici. Il primo vuole essere un “faro” per gli operatori di tutti i mercati che svolgano le proprie attività a livello internazionale. Il secondo attiene al funzionamento della pubblica amministrazione italiana. I due esempi sono collegati da un comune intento: combattere i fenomeni corruttivi nell’ambito delle relazioni pubblico – privato. (A) L’International Chamber of Commerce (ICC) ha come obiettivo da circa cento anni la promozione della leale competizione tra imprese di diversi paesi, nonché la condivisione di regole comuni transnazionali (cd. lex mercatoria) e la gestione dei conflitti tra imprese. Fenomeni quali la corruzione nei rapporti tra privati e nei rapporti tra privato e pubblico minano la leale competizione tra le imprese, determinando il successo o l’insuccesso di un imprenditore e delle sue aspettative sulla base di elementi non di mercato, distorcono la corretta allocazione delle risorse, minacciano l’integrità dei mercati e la fiducia dei cittadini nel sistema economico e verso lo Stato, inteso come organizzazione sociale, e le sue leggi15.

15 A tal proposito si legga il Rapporto sull’Anticorruzione della Commissione europea del 3 febbraio 2014 destinato al Consiglio e al Parlamento europeo disponibile su http:// ec.europa.eu/anti-corruption-report.

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Che il mondo degli affari si debba convertire ad una maggiore integrità, intesa come rispetto della normativa, e cultura della conformità alla stessa, nel perseguire i propri obiettivi aziendali è qualcosa che è stato messo in evidenza da parte della ICC in più occasioni, dove si è avuto modo di sottolineare come le attività di impresa (intese come operazioni commerciali di acquisto / vendita di un bene o servizio) che siano macchiate dal pagamento di tangenti, non sono trasparenti e infrangono la crescita di un sano e competitivo sistema produttivo. L’ICC ovviamente non ha poteri normativi, ma emana linee guida. Dunque incoraggia l’applicazione di forme di autoregolamentazione del mondo degli affari rispetto a fenomeni corruttivi ed estorsivi, proporzionali rispetto alla dimensione delle imprese, alla vocazione internazionale alla natura, scala e diversità ed esposizione al rischio delle attività16. Tra gli strumenti proposti vi è anche l’istituzione di un meccanismo interno di segnalazione delle violazioni, in questo caso rispetto alle norme che dovrebbero prevenire l’insorgenza di fenomeni corruttivi e/o estorsivi nella conduzione dell’attività, ostacolando la realizzazione da parte degli operatori economici (onesti) delle proprie legittime e razionali aspettative. ICC invita, infatti, le imprese a dotarsi di un programma interno di verifica del rispetto della normativa esterna ed interna all’azienda che comprenda un sistema interno di segnalazione delle violazioni che sia proporzionato alle dimensioni e alle risorse dell’impresa stessa. Il sistema dovrebbe essere quindi “invitante” per il potenziale segnalante, cioè dovrebbe esser tale da non distoglierlo dall’intento di segnalare, prevedendo più canali, preservandone sempre l’identità e proteggendolo da atti ritorsivi. Il sistema dovrebbe inoltre essere proceduralizzato e fatto funzionare da strutture interne oppure esterne appositamente designate, con caratteristiche soggettive ed oggettive di indipendenza, autonomia, professionalità, autorevolezza e reputazione. (B) Dal lato della pubblica amministrazione, è stato prevista la possibilità che il dipendente pubblico nel caso in cui, venendo a conoscenza in ragione della attività lavorativa svolta all’interno della amministrazione di appartenenza di situazioni di illecito, riconducibili ad altro dipendente della medesima amministrazione, possa segnalare tali violazioni all’ufficio preposto a ricevere, valutare ed esaminare le segnalazioni, interno alla propria amministrazione, all’Autorità Nazionale Anticorruzione, alla

16 Fighting Corruption - International Corporate Integrity Handbook, a cura di Heimann e Vincke, Parigi, 2008.

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Corte dei Conti o alla magistratura. L’art. 54-bis del d.lgs. n. 165 del 30 marzo 2001 introdotto dalla l. n. 190 del 6 novembre 2012 prevede sia i meccanismi di segnalazione, sia le procedure da adottarsi, che la protezione offerta al dipendente segnalante, che peraltro sembrerebbe scarsa se si è sentita la necessità da parte del Legislatore di intervenire nuovamente sul punto accordando una ancora maggiore tutela al dipendente pubblico o al dipendente privato che abbia una relazione con il settore pubblico17, esigenza sottolineata anche da alcuni osservatori18. Per questo motivo, la misura normativa appena approvata ha introdotto nel d.lgs. n. 231 dell’8 giugno 2001, il co. 2-bis dell’art. 6, sancendo la necessità di adottare lo strumento di segnalazione interno delle violazioni come presidio di garanzia della corretta applicazione del modello organizzativo di cui al precedente comma19.

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Approvato definitivamente dalla Camera dei Deputati il 15 novembre 2017. Dall’Ozzo, Il whistleblowing nel pubblico impiego, in Sicurezza e Giustizia, 4/2014, pp. 32 e ss., www.sicurezzaegiustizia.com/wp-content/uploads/2015/03/SeG_ IV_MMXIV_DALLOZZO.pdf; Rizza, La tutela del dipendente pubblico ex art. 1 comma 51 legge n. 190/2012. diffondere la cultura del whistleblowing per un’efficace lotta alla corruzione, in Quaderni Europei dell’Università di Catania, Online Working Papers, n. 58/2013, in http://www.cde.unict.it/quadernieuropei/giuridiche/58_2013.pdf 19 Tale risultato non fa altro che codificare una prassi già evidenziata da alcuni commentatori: Calleri, Spunti penalistici per l’indagine e l’accertamento avanti l’organismo di vigilanza, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2010, p. 73 ss.; Ghini, L’utilizzo di un sistema di whistleblowing quale ausilio nella prevenzione delle frodi e dei reati, Ibid., p. 203 ss.; Garegnani, La rilevanza dei flussi informativi nei modelli organizzativi ai sensi del d.lgs. 231/2001, in Riv. dottori commercialisti, 2010, p. 319 ss. Lo stesso risultato si pone in linea con le aspettative della dottrina giuslavoristica che hanno sottolineato come il diritto di critica del lavoratore in situazioni di illegalità fosse da preservare a fronte anche di un dovere di segnalazione in materia di sicurezza del posto di lavoro: Corso, Emersione di illeciti e whistleblowing: il ruolo del lavoratore, in http://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/rapporto-di-lavoro/ quotidiano/2015/02/14/emersione-di-illeciti-e-whistleblowing-il-ruolo-del-lavoratore; Aimo, Appunto sul diritto di critica del lavoratore, in Riv. giur. lavoro e prev. soc., 1999, p. 463 ss. La nuova normativa dunque rende coerente il trattamento dei lavoratori a fronte di fattispecie penalmente rilevanti a prescindere se gli stessi facciano capo al settore pubblico oppure a quello privato, considerando che nel settore privato già vige un ampio obbligo di informazione e segnalazione, destinato al soggetto gerarchicamente superiore o delegato a tal fine e/o all’Organismo di Vigilanza ex d.lgs. 231/2001, a carico dei dipendenti che siano in possesso di notizie relative alla commissione di reati (all’interno dell’ente) o comunque di comportamenti non conformi alla normativa interna. Tale previsione viene ricondotta alla ampia categoria di obblighi connessi 18

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III PARTE

7. La normativa secondaria applicabile. Banca d’Italia nelle Disposizioni di vigilanza per le banche, di cui alla Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013, in particolare nel Titolo IV, Capitolo 3, Sezione VIII, di cui all’XI Aggiornamento del 21 luglio 2015 (la “Circolare 285”), ha precisato alcuni elementi applicativi dell’art. 52bis t.u.b. Contrariamente all’apparente impostazione legislativa che vede negli artt. 52-bis t.u.b. ed 8-bis t.u.f. le norme di portata generale relative ai sistemi interni di segnalazione delle violazioni, per lo meno per i soggetti di cui al t.u.b., i destinatari della normativa sono individuati dalla Banca d’Italia nelle sole banche nel momento in cui queste svolgono l’attività bancaria come definita dall’art. 10 t.u.b. Viene così specificato il campo di applicazione della normativa primaria di riferimento, secondo una logica per attività del soggetto e non per natura dello stesso. Conseguentemente, le banche, seguendo l’impostazione di Banca d’Italia, dovranno far riferimento alle analoghe disposizioni di cui all’art. 4-undecies del t.u.f. e relativa normativa secondaria, quando prestano servizi di investimento. Ricostruendo la normativa, Banca d’Italia demanda all’organo con funzioni di supervisione strategica l’approvazione del sistema interno di segnalazione delle violazione che dovrà essere proporzionato in termini di risorse impiegate e dimensionamento alle caratteristiche della banca, al suo contesto operativo e al mercato di riferimento. Circa il canale di segnalazione, Banca d’Italia interpreta lo stesso non tanto sotto il profilo del mezzo utilizzato per segnalare, quanto piuttosto connota lo stesso sotto un profilo organizzativo. Dunque lo stesso dovrà essere distinto dalle normali linee di riporto, funzionale oppure gerarchico, dei dipendenti. A tal fine chi riceve, valuta ed esamina la

alla diligenza e fedeltà del lavoratore ex artt. 2104 e 2015 c.c., che tuttavia hanno un fondamento puramente contrattuale ma non previsto dalla legge quale obbligo, salvo appunto la materia connessa alla prevenzione degli incidenti sul lavoro dove l’attenzione e l’aspettativa per la sicurezza propria ed altrui allargano la possibile responsabilità, anche penale, di tutti i lavoratori dell’impresa sanzionando eventuali omissioni informative.

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segnalazione dovrà non essere organicamente in una posizione subordinata funzionalmente e/o gerarchicamente al soggetto segnalato, né il responsabile della violazione, né in una posizione di conflitto di interessi nel momento in cui andrà a svolgere le attività proprie in riferimento all’oggetto della segnalazione. Sempre per Banca d’Italia, il soggetto preposto alla ricezione, valutazione ed esame delle segnalazioni, potrà essere colui che istruisce la pratica, ma non potrà essere il soggetto, la funzione oppure l’organo designato a prendere una decisione a carattere operativo oppure organizzativo, altrimenti la responsabilità circa la stessa minerebbe la sua indipendenza. La banca dovrà prevedere la nomina di una persona responsabile della ricezione, valutazione ed esame delle segnalazioni. Va da sé che in banche strutturate e di dimensioni già medio-piccole, l’attribuzione della responsabilità sarà congiunta all’assegnazione dei compiti e delle funzioni ad un’apposita unità organizzativa. Non sono tuttavia previste dalla norma forme particolari di nomina e revoca dell’attribuzione della responsabilità ad determinato soggetto. Si può invece desumere dalle caratteristiche dello stesso e dal ruolo dell’organo con funzioni di supervisione strategica, che la nomina e revoca spetti allo stesso, probabilmente sentito l’organo con funzioni di controllo, e che le caratteristiche soggettive della persona e della funzione siano le medesime rispetto a quelle dei preposti e delle funzioni aziendali di controllo. È previsto che il responsabile del sistema interno di segnalazione delle violazioni produca una relazione avente ad oggetto il funzionamento del sistema stesso, corredata da dati aggregati e nel rispetto della normativa di cui al d.lgs. 196/2003, con una frequenza almeno annuale, il cui destinatario sia l’organo con funzioni di supervisione strategica (tuttavia la norma si riferisce agli organi aziendali) e che possa essere resa pubblica. Con riferimento infine alle procedure interne che regolano il funzionamento del sistema interno di segnalazione delle violazioni, Banca d’Italia sottolinea l’importanza dell’informazione verso il personale sull’esistenza e sul funzionamento del sistema interno di segnalazione delle violazioni. Ciò è spiegabile in quanto l’Autorità si preoccupa del fatto che lo stesso concretamente venga poco utilizzato o sia poco utilizzabile per timori del personale connessi alla riservatezza dei dati personali. Conseguentemente Banca d’Italia invita le banche a predisporre misure informative che rendano edotto il personale dei presidi a tutela della riservatezza del segnalante. Le procedure interne dovrebbero comunque stabilire chi possa segnalare, cosa possa essere segnalato, come effettuare la segnalazione, i

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tempi per il trattamento della segnalazione, le fasi del trattamento della segnalazione, l’informativa verso il segnalante circa la segnalazione e le misure prese, l’informativa verso il segnalato a tutela dello stesso e comunque circa l’esistenza di una segnalazione a suo carico, il dovere in capo al segnalante di evidenziare un eventuale interesse privato relativo alla segnalazione e al segnalato e la possibilità per il segnalante di ottenere uno sconto in termini di sanzioni per la violazione di una norma interna in caso di sua corresponsabilità o responsabilità autonoma relativamente ad una condotta diffusa nella commissione della stessa. (B) Consob e Banca d’Italia in relazione alle attività delle SIM e delle SGR con riferimento sia alla prestazione dei servizi di investimento, sia con riferimento alla costituzione e gestione di OICVM e fondi di investimento alternativi (dunque limitatamente alle SGR che effettuino attività di gestione collettiva del risparmio, costituendo e gestendo le due tipologie di fondi), nonché all’attività dei soggetti depositari non hanno ancora previsto la disciplina secondaria di attuazione dell’art. 8-bis t.u.f., che plausibilmente dovrebbe essere introdotta nel Provvedimento congiunto Banca d’Italia – Consob del 29 ottobre 2007 contenente il “Regolamento in materia di organizzazione e procedure degli intermediari che prestano servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio”, più volte modificato e che costituisce lo strumento normativo di regolamentazione attinente agli aspetti organizzativi delle SIM e delle SGR o un’analoga normativa a cura di di una o l’altra autorità secondo la ripartizione delle competenze di cui all’art. 6, rinvio operato ai sensi dell’art. 4-undecies, co. 4, t.u.f. Peraltro alcuna disposizione si rinviene circa l’organizzazione del depositario dei beni e dei valori mobiliari, nonostante la direttiva 2014/91, nel modificare la direttiva 2009/65 attraverso l’introduzione dell’art. 99-quinquies, abbia esteso l’obbligo di prevedere un sistema interno di segnalazione anche ai soggetti che svolgano attività di depositario.

8. L’ambito normativo dei sistemi interni di segnalazione delle violazioni. A prescindere dal fatto che non sia stata emanata ancora la normativa secondaria relativamente ad alcuni settori, l’ambito normativo dei sistemi interni di segnalazione delle violazioni in materia bancaria finanziaria, mobiliare e del risparmio gestito va analizzato (1) sotto l’aspetto soggettivo di applicazione della norma, inteso verso quali soggetti vigilati (ci si riferirà in via generale nel proseguo agli intermediari) la stessa è

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rivolta e chi siano le persone al suo interno che possano beneficiare della stessa, effettuando una segnalazione e (2) sotto l’aspetto oggettivo, cioè quali norme violate possano essere segnalate da un soggetto all’interno dell’organizzazione della banca oppure di un altro soggetto abilitato. Questo ultimo aspetto, poiché potrebbe determinare l’allargamento dell’ambito di applicazione della norma, va poi ulteriormente ricostruito quanto all’attinenza di una norma rispetto all’istituzione in sé, rappresentata dall’intermediario, oppure quanto alla sua attinenza rispetto al suo funzionamento, dunque all’esecuzione di una o più determinate attività ed erogazione del servizio proprio, anche in relazione ad elementi di organizzazione dell’intermediario. 8.1 Elementi soggettivi di applicabilità della norma. (A) Con riferimento al primo aspetto di natura soggettiva relativo all’ambito di applicazione della norma, non solo l’impianto normativo previsto dal t.u.b. e dal t.u.f. appare limitato alle sole banche e ai soli soggetti abilitati, con esclusione di altri soggetti finanziari, ma Banca d’Italia, peraltro in una nota a piè di pagina della Circolare 285, ha specificato come la normativa secondaria sia rivolta unicamente alle banche quando le stesse prestino servizi riconducibili all’attività bancaria, con un’evidente e forzata spaccatura anche in termini procedurali, tra quella parte dell’azienda deputata all’attività bancaria e tutte le restanti parti, ancorché deputate ad offrire altri servizi alla clientela, soprattutto in assenza di analoga normativa secondaria applicativa dell’art. 4-undecies t.u.f., creando comunque una forma di discriminazione interna allo stesso soggetto vigilato tra coloro che possono beneficiare delle prescrizioni normative secondarie, perché rientranti nell’ambito specificato, e coloro che ne sono fuori. (B) Quanto sopra si riflette necessariamente anche sotto il profilo dell’individuazione dei soggetti che possono utilizzare il sistema interno di segnalazione delle violazioni ed in quanto segnalanti godere delle tutele previste dalla normativa, posto che la normativa primaria di per sé stessa sul punto appare immediatamente applicabile, avendo già tutti gli elementi al suo interno per assicurare un grado di protezione accettabile al segnalante, anche in assenza di procedure interne specifiche a beneficio del personale non applicato all’offerta di servizi bancari. Più semplice è l’individuazione dei soggetti che possono utilizzare il sistema interno di segnalazione delle violazioni, come personale di SIM ed SGR, in quanto, ancorché in assenza della normativa secondaria applicativa dell’art. 4-undecies t.u.f., tutte le attività di tali intermediari

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sono ricomprese e disciplinate dal t.u.f. e non, come per le banche, dal t.u.b. e dal t.u.f.20. (C) A prescindere dall’individuazione dei soggetti che possono utilizzare il sistema interno di segnalazione delle violazioni, determinato in funzione dell’attività della banca o del soggetto abilitato, la stessa definizione di personale offerta dal t.u.b. e dal t.u.f. deve essere presa in esame: qui si giunge al risultato opposto di allargare notevolmente la potenziale platea dei soggetti segnalanti. Trattasi infatti di coloro che lavorino non “in o nel”, ma “per” l’intermediario e che ne facciano parte dell’organizzazione, indipendentemente dalla forma e/o qualifica contrattuale che li lega alla stessa. Dunque anche soggetti che lavorino per società strumentali appartenenti al gruppo alle quali sono affidate attività in regime di esternalizzazione, soggetti collettivi e/o individuali che svolgano attività funzionalmente organiche all’attività del soggetto oblato, anche in regime di esternalizzazione o per effetto di un mandato professionale che veda tali soggetti far parte dell’organizzazione imprenditoriale volta al suo funzionamento. 8.2 Elementi oggettivi di applicabilità della norma. Sotto l’aspetto oggettivo, la situazione appare ancor più complessa. Gli intermediari operanti nel settore bancario, finanziario, mobiliare e del risparmio gestito sono tenuti al rispetto di una pluralità di norme di natura legislativa e regolamentare, il cui ambito esula dal mero riferimento al settore di appartenenza e di attività. Prima ancora che essere banche, altri soggetti finanziari o soggetti che prestano servizi di investimento o gestiscano OICR gli intermediari sono anzitutto delle “società”, cioè dei soggetti collettivi imprenditoriali centri di diritti e doveri. Sono dunque tenuti a rispettare, per esempio, norme primarie a carattere societario in quanto appunto “società”, norme a carattere “giuslavoristico” nell’ambito dei rapporti di lavoro con i propri dipendenti, norme tributarie in quanto soggetti fiscali passivi, norme sulla sicurezza del posto di lavoro e sulla sicurezza degli immobili in quanto titolari dell’utilizzo di immobili ove svolgere la propria attività, norme a carattere contrattuale di origine civilistica in quanto titolari di rapporti contrattuali

20 Analogo discorso andrebbe fatto per gli intermediari finanziari abilitati ai servizi di investimento che si trovano a dover rispettare la norma che prevede l’istituto di cui al t.u.f., pur non dovendo rispettare quella prevista dal t.u.b.

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con la clientela, norme a carattere “consumeristico”, nella misura in cui un cliente abbia lo status di consumatore, norme relative alla tutela dei dati personali nell’ambito di qualunque rapporto con clienti, fornitori e lavoratori e norme sulla concorrenza e sulla pubblicità in quanto soggetti in concorrenza tra loro. Gerarchicamente subordinate a tali norme poi si collocano tutte le disposizioni secondarie emanate da autorità regolamentari di settore come individuate dalla disciplina di rango legislativo, la quale spesso non ha più un’origine esclusivamente nazionale, ma deriva da provvedimenti dell’Unione europea, sempre più di cd. armonizzazione massima (per es. emanate tramite un regolamento dell’Unione europea, dunque di diretta ed immediata applicabilità), se non addirittura applicativi di una vera e propria “unione” (per es. quella bancaria)21. 8.3 Ricostruzione della classificazione della normativa esterna: l’ampiezza dei riferimenti normativi ai quali gli intermediari sono soggetti. La limitazione di tipo soggettivo ed oggettivo alla portata generale della normativa di cui agli artt. 52-bis t.u.b. e 4-undecies t.u.f. appare ancor più oscura se si prendono in considerazione gli aspetti di ricostruzione della classificazione della normativa esterna all’intermediario. L’ampia normativa applicabile ad un intermediario bancario, finanziario, mobiliare e del risparmio gestito può essere classificabile in relazione alle tematiche che la stessa disciplina, al fatto che deroghi o meno rispetto a regole generalmente applicabili a qualunque altro operatore economico che svolga la propria attività in diversi settori in forma collettiva, all’organizzazione dell’intermediario stesso ed infine a ciò che offre in termini di servizi o prodotti. 8.3.1 Metodologia di classificazione e riferimenti all’organizzazione dell’intermediario. (A) Una possibile suddivisione tra gli ambiti normativi è quella tra le discipline che attengono alla struttura dell’intermediario e tra le di-

21 La complessità normativa e dunque il rischio di non conformità ad una qualunque norma, anche settoriale, applicabile alla banca, ha indotto (ancora una volta con un atteggiamento apparentemente contraddittorio tra disposizioni all’interno del medesimo strumento normativo) la Banca d’Italia ad attribuire alla funzione di conformità (compliance) il compito di identificare continuamente tutte le norme applicabili alla banca (e non solo quelle relative all’attività bancaria!) tenendo aggiornata tale elencazione (cfr. Parte I, Titolo IV, Capitolo 3, Sezione III, Paragrafo 3.1 della Circolare 285).

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scipline che attengono alla sua attività, dunque al suo funzionamento. Potremmo dire che le prime costituiscono e riguardano i principi relativi al “contenitore”, mentre le seconde sono rivolte al “contenuto”. Le prime devono essere rispettate a prescindere dall’esistenza di un’effettiva clientela, dunque prima dell’avvio delle attività dell’intermediario: esse riguardano sostanzialmente l’impianto dell’intermediario, dunque la sua costituzione in sé. Le seconde, riguardanti il funzionamento dell’intermediario, cioè la sua attività, sono diretta conseguenza del rispetto delle prime: divengono cogenti e vanno concretamente rispettate nel momento in cui si approcci un potenziale cliente, si stabilisca con lo stesso una relazione contrattuale e si mantenga tale relazione nel tempo. Nell’ambito di questa suddivisione, possono essere riscontrate norme a carattere privatistico che attengono indifferentemente ed esclusivamente alla struttura dell’intermediario e/o al suo funzionamento (indubbiamente residuali) e norme organizzative e di funzionamento che, pur attenendo alla struttura dell’intermediario e/o alla sua attività, sono imposte da autorità amministrative di settore con funzioni di vigilanza, il più delle volte a tutela di diritti costituzionalmente garantiti, con specifico riferimento all’intermediario (dunque alla sua organizzazione) oppure rispetto ai rapporti che questo abbia con la clientela (funzionalizzazione del rapporto contrattuale) e dunque alla protezione della stessa o ai rapporti con i soggetti concorrenti e dunque alla protezione del corretto funzionamento del mercato di riferimento. (B) Altra possibile suddivisione è quella sulla base appunto del mercato di riferimento e cioè principi normativi a carattere settoriale propri dell’attività precipua dell’intermediario rispetto ai principi normativi generali o settoriali applicabili a qualunque soggetto (persona fisica e/o giuridica). L’intero corpo normativo applicabile sarebbe così da suddividere tra (i) norme che riguardino l’impianto ed il funzionamento dell’intermediario, speciali rispetto a quelle applicabili a qualunque altro operatore economico, proprio perché esclusivamente dedicate al settore bancario, finanziario, mobiliare e del risparmio gestito e (ii) norme generali applicabili a qualunque altro operatore economico relative all’impianto societario e contrattuale (riferito alla clientela) oppure norme settoriali applicabili sempre a qualunque soggetto. 8.3.2 Aspetti storici della classificazione. Le varie suddivisioni di cui sopra hanno un’origine in parte storica, in parte normativa. Proprio la normativa ha utilizzato le varie distinzioni per attribuire nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano competenze a diverse autorità e nel caso di operatività trasfrontaliera, nell’ambi-

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to dell’ordinamento giuridico dell’Unione Europea, competenze diverse alle autorità nazionali dei Paesi membri. Si sono identificate tre linee principali di suddivisione. (A) Storicamente, la disciplina speciale, se ed in quanto attinente esclusivamente al settore bancario, finanziario, mobiliare e del risparmio gestito, era ritenuta contenere principi e singole disposizioni connessi alla qualità del servizio professionale offerto che si doveva distinguere rispetto all’offerta di altri servizi da parte di qualunque altro operatore economico, in quanto attinente al “denaro”, cioè al “risparmio”. Tutte le ripartizioni successive traggono origine da tale prima distinzione. Sempre storicamente le regole si sono cominciate a distinguere tra quelle che disciplinavano la professione (di banchiere, di impresa di investimento, di gestore …) in quanto tale, sostanzialmente con l’intento di proteggerne la reputazione (dunque attinenti al settore e al mercato di riferimento) e regole che attenevano alle modalità e al contenuto della prestazione del servizio professionale da parte di uno specifico intermediario. (B) A partire dalle ripartizioni e classificazioni di cui sopra, alcuni Paesi, tra cui inizialmente la Francia e poi l’Italia, hanno deciso per il settore dell’intermediazione mobiliare di attribuire la vigilanza regolamentare, informativa ed ispettiva con riferimento alla stabilità e alla sana e prudente gestione dell’intermediario (cd. vigilanza prudenziale) ad un’autorità (in Francia la Autorité de contrôle prudentiel et de résolution; in Italia la Banca d’Italia), mentre con riferimento ai prodotti e ai canali distributivi, dunque a tutto ciò che attiene al rapporto con la clientela, ad un’altra autorità (in Francia la Autorité des marchés financiers; in Italia la Consob). Questa suddivisione normativa, che non è invece riscontrabile per esempio nel settore bancario e finanziario, ha per esempio portato a ritenere che le tematiche concernenti la struttura e l’impianto dell’intermediario mobiliare fossero più di competenza della Banca d’Italia, mentre quelle attinenti al funzionamento e quindi all’erogazione del servizio ricadessero più sotto la competenza della Consob. (C) La ripartizione tra regole attinenti alla struttura dell’intermediario, essenzialmente afferenti alla vigilanza prudenziale, e le regole afferenti alla vigilanza sul rapporto con la clientela e sulle modalità di esecuzione del contratto è per esempio riscontrabile nella ripartizione delle competenze tra norme sull’applicazione delle quali vigila l’autorità del Paese membro di origine e norme imperative sulle quali vigila l’autorità del Paese membro ospitante la succursale di un intermediario bancario, finanziario, mobiliare e del risparmio gestito. Tendenzialmente le prime atterranno all’impianto organizzativo generale dell’intermediario dunque alla sua struttura e alla sua conduzione (sotto il profilo della stabilità) e

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alla sana e prudente gestione, mentre le seconde atterranno al funzionamento, in quanto solo da concrete attività (ad esempio i rapporti con la clientela) può discendere l’applicazione di norme imperative, come quelle di contrasto del fenomeno del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, la tutela dei dati personali o la correttezza dei comportamenti nei confronti della clientela stessa. 8.3.3 Applicazione concreta della classificazione della normativa esterna. Posto che non è possibile sempre ripartire una singola disciplina, ritagliandone nettamente i confini, ed attribuire una connessione alle norme relative all’impianto piuttosto che al contenuto, per rendere più concreta e riscontrabile la suddivisione prima illustrata si possono fare alcuni esempi in diversi ambiti, offrendo così elementi sulla base dei quali tracciare una ricostruzione della disciplina attinente ai sistemi interni di segnalazione delle violazioni. (A) Le norme relative al governo societario (di origine prevalentemente civilistica, dunque di rango primario) sono principalmente connesse all’impianto dell’intermediario, tuttavia attengono al funzionamento per esempio nel momento in cui si richiede che determinate operazioni oppure certi investimenti siano approvati dall’organo amministrativo anziché da soggetti delegati. Una composizione dell’organo amministrativo che possa esprimere attraverso i suoi membri una pluralità di approcci e visioni, pur nel rispetto dei requisiti minimi di professionalità ed esperienza è sicuramente indice di un buon impianto atto ad assicurare il rispetto dei principi prudenziali di stabilità dell’intermediario e di sana e prudente gestione, tuttavia solo all’atto del suo funzionamento nel momento dialettico di composizione del deliberato si potrà riscontrare se all’adeguatezza dell’impianto corrisponda un’adeguatezza dei concreti meccanismi di funzionamento. (B) La normativa in materia di prevenzione e contrasto del rischio che un intermediario sia coinvolto in operazioni di riciclaggio del denaro proveniente dalla commissione di reati e del finanziamento del terrorismo prevede che l’intermediario si doti di strutture organizzative ed infrastrutture tecnologiche che permettano nell’ambito dei doveri di adeguata verifica della clientela di un sistema di classificazione della stessa, di un sistema di raccolta ed archiviazione informatica delle informazioni anagrafiche rilevanti e delle operazioni di maggiori importo, di un meccanismo di individuazione delle operazioni e dei comportamenti sospetti. È abbastanza chiaro che ciascun obbligo necessiti di opportuni interventi sull’impianto dell’intermediario e che il corretto funzionamento sia determinato e subordinato all’adeguatezza dell’impianto, tuttavia,

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in linea teorica qualunque impianto che abbia un minimo di tecnologia può essere, anzi è buona norma che sia, sottoposto a fasi di test che ne verifichino la funzionalità in termini di efficacia ed efficienza. Ne deriva che in materia di antiriciclaggio e contrasto del terrorismo la normativa possa essere suddivisa in disciplina attinente al “contenitore” che prescinda dal contenuto e disciplina attinente al “contenuto”, quindi in funzione dell’attività con la clientela. (C) Discorso analogo può essere effettuato per esempio per ciò che concerne il trattamento e la conservazione dei dati personali e sensibili con riferimento all’infrastruttura tecnologica dedicata in termini di robustezza (ridondanza dei sistemi, resistenza ad attacchi esterni …), flessibilità e capacità di dialogo tra diversi sistemi informatici. In via generale, l’architettura informatica deve comunque essere tale da consentire all’intermediario, se e quando opererà, di registrare le informazioni di tipo contabile e sul controllo della sua gestione, quelle necessarie per la formazione del bilancio e del conto economico, quelle relative alla clientela ed ai servizi prestati. (D) Gli aspetti fiscali sono essenziali per l’attività degli intermediari sotto un duplice aspetto. Sul punto valgano due esempi relativi all’impianto e al funzionamento. (i) La struttura dell’intermediario deve essere tale da arrivare a correttamente individuare le norme relative alla determinazione della base imponibile, soprattutto a fronte di una potenziale operatività sul proprio attivo (essenzialmente un’operatività sui portafogli di strumenti finanziari di proprietà e sui crediti a bilancio) complessa e spesso a carattere transnazionale. Risulta chiaro che la conoscenza dell’ambito normativo fiscale è materia ad alta specializzazione e che è essenziale per la conduzione dell’attività di impresa. È altrettanto chiaro che la materia si presta facilmente a violazioni, anche sanzionabili sotto il profilo penale. (ii) La clientela degli intermediari, soprattutto se rappresentata da imprese e da persone fisiche con alte disponibilità finanziarie, cerca spesso di ottenere servizi bancari, finanziari, mobiliari e del risparmio gestito che comportino un’ottimizzazione fiscale, raggiungibile attraverso anche operazioni particolari spesso a vocazione internazionale. La soddisfazione del cliente è fondamentale per un intermediario. Capita ogni tanto però che le operazioni siano spinte ai bordi della liceità. La conoscenza della materia fiscale relative alle operazioni che vedano l’intermediario come controparte della clientela oppure come consulente della stessa, è un requisito fondamentale per l’intermediario. La violazione delle norme fiscali oppure il coinvolgimento come consulente

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dell’intermediario in operazioni che comportino la violazione di norme tributarie devono essere tenute in considerazione. (E) Gli ultimi esempi che si possono fare sono attinenti a due questioni spesso neglette dagli studiosi della materia bancaria e dei mercati finanziari. Qualunque intermediario è dotato di personale proprio ed occupa luoghi fisici dove lavora il personale, aperti o meno al pubblico. Gli aspetti giuslavoristici, di rispetto della dignità e di pari opportunità delle persone che lavorano e di sicurezza del posto di lavoro sono cruciali per gli intermediari. Trattasi di materia ad alto rischio di potenziali violazioni, con pesanti sanzioni amministrative e penali. La conoscenza della normativa e la segnalazione interna delle violazioni sono fondamentali. 8.3.4 Dalle disposizioni normative esterne alla normativa interna. Come qualunque soggetto collettivo, gli intermediari bancari, finanziari, mobiliari e del risparmio gestito sotto il profilo organizzativo devono dotarsi di un corpo normativo interno che regoli e disciplini sotto il profilo procedurale la “vita aziendale”, cioè lo svolgimento delle attività ed i relativi controlli sui diversi rischi che tali attività possono comportare, ivi compresi i rischi di violazione della normativa interna stessa. Il punto di partenza è l’organigramma aziendale, cioè la suddivisione in diversi gruppi dei propri dipendenti, sulla base delle necessità organizzative del soggetto collettivo e sulla base delle linee produttive e specializzazioni, secondo un principio gerarchico e funzionale. Il passo successivo è l’elaborazione del cd. funzionigramma del soggetto collettivo. Il funzionigramma consiste in un documento che descriva analiticamente le attività (le funzioni) che le unità organizzative aziendali individuate dall’organigramma sono deputate a svolgere. Il funzionigramma ha anche il pregio di offrire l’opportunità di comprendere e cristallizzare quali unità organizzative aziendali minime l’intermediario debba prevedere e dotarsi e quali attività minime debbano essere svolte per poter correttamente “funzionare”, quali possano essere considerate essenziali o comunque importanti data l’attività dell’intermediario e quali possano essere esternalizzate senza che l’attività propria dell’intermediario possa essere considerata prestata totalmente o parzialmente svolta da un terzo. Ad ogni attività descritta nel funzionigramma dovrebbe corrispondere una normativa interna emanata dall’intermediario.

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A prescindere dalle classificazioni e dal lessico utilizzato22 per individuare la fonte normativa interna, qualunque documento interno dovrebbe descrivere in maniera più o meno dettagliata le attività che una determinata unità organizzativa dell’intermediario è chiamata a svolgere. Tra i riferimenti che la normativa interna deve prendere in considerazione vi sono anche le eventuali norme esterne all’azienda che prescrivono determinati comportamenti in capo al soggetto collettivo nel momento in cui svolga una determinata attività. Dunque la normativa interna non è solo la descrizione di come debba essere svolta una determinata attività, ma anche il mezzo per assicurare il rispetto delle prescrizioni normative esterne, cioè la conformità delle attività alle stesse. Da quanto sopra, si deduce quanto sia importante per qualunque organizzazione identificare le norme esterne applicabili, ricondurre la normativa interna alla normativa esterna, conformando la prima alla seconda, prevedendo controlli che ne assicurino il rispetto. In altre parole, se la normativa interna prevede e tiene in considerazione la normativa esterna, il rispetto di quest’ultima si attua tramite il rispetto della normativa interna. Questa il più delle volte però non avrà come riferimento un solo ambito normativo esterno; la normativa interna non potrà mai essere scritta tenendo in considerazione una singola normativa settoriale. Giusto un esempio: non sarebbe né efficace né efficiente prevedere norme interne che trattino della sola trasparenza nell’attività bancaria o mobiliare, senza tenere conto dei principi di correttezza e buona fede contrattuale oppure di aspetti concernenti il trattamento dei dati personali. Inoltre, poiché la normativa interna o meglio il contenuto della stessa, in un sistema ideale, dovrebbe anche descrivere le attività da compiere secondo un principio esperienziale “dal basso”, qualunque deviazione dalla descrizione andrebbe di per sé considerata una violazione o quanto meno un comportamento meno efficace ed efficiente rispetto a quello che il principio esperienziale suggerisce.

22 Alcuni parlano di politiche e procedure, altri di processi, altri ancora di procedure e processi. In linea di massima la normativa (per es. in ambito antiriciclaggio, esecuzione di ordini, esternalizzazione di funzioni importanti, retribuzione ed incentivazione del personale …) menziona le politiche come i documenti che contengano i principi ed i soggetti interessati, nonché gli obiettivi della politica stessa e le procedure i documenti che descrivano le attività necessarie per raggiungere i principi e gli obiettivi, oltre ai relativi controlli di primo e secondo livello.

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IV PARTE

9. Spunti per la strutturazione di “un sistema interno di segnalazione delle violazioni”. La strutturazione di un sistema interno di segnalazione delle violazioni dovrebbe prendere in considerazione alcuni elementi cruciali sotto il profilo dell’utilizzo dello strumento, dell’impatto organizzativo e di attribuzione della responsabilità operativa di gestione del sistema, sotto il profilo della natura della segnalazione e sotto il profilo della gestione di situazioni particolari. (A) Le prime questioni da affrontare nell’approvazione e strutturazione dello strumento sono quelle incentrate sull’uso che l’intermediario immagina i propri dipendenti ne possano fare. È necessario spiegare molto bene i meccanismi di funzionamento del sistema interno di segnalazione delle violazioni, affiancando la formazione dei dipendenti al rispetto delle regole e la loro partecipazione al processo di redazione delle stesse, alla formazione relativa allo strumento. L’uso dello strumento andrebbe presentato positivamente, come opportunità di miglioramento complessivo aziendale e non solo come strumento preventivo e repressivo. La comunicazione e la sostanza cambiano enormemente se si adotta un simile approccio. Infatti la creazione di un clima di fiducia nello strumento ne rende anche l’utilizzo invitante e, se volto a migliorare gli aspetti di vita aziendale e di proposta commerciale, anche gratificante per chi lo utilizza. Se la fiducia nel suo funzionamento fosse considerata dai dipendenti ottimale allora chi decidesse di utilizzarlo per segnalare una violazione si troverebbe a proprio agio nel farlo. In buona sostanza, se lo strumento fosse unicamente dedicato alle violazioni, probabilmente si stenterebbe a creare un clima di fiducia, dato anche dal numero di segnalazioni e dall’apertura del sistema e di chi lo gestisce; aumentando invece il numero degli utilizzatori, si dovrebbe generare la necessaria confidenza nello strumento. (B) La gestione del sistema interno di segnalazione delle violazioni dovrebbe essere attribuita alla funzione di revisione interna, l’unica unità organizzativa che, nell’ambito delle funzioni di controllo, ha la visione complessiva su tutte le realtà aziendali e sul generale rispetto della normativa interna da parte delle stesse. A tale posizionamento organizzativo si giunge anche sulla base di valutazioni empiriche effettuate nell’am-

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bito della predisposizione dei Modelli Organizzativi ex d.lgs. 231/2001. Dovendo prevenire la violazione di norme che possano determinare la commissione di un reato cd. presupposto per la responsabilità amministrativa degli enti, è comune proporre tra i vari strumenti di prevenzione, emersione e gestione di fenomeni di violazione di una norma penale23, un sistema interno di segnalazione delle violazioni ben strutturato che sia parte dei protocolli applicativi del modello organizzativo stesso, attribuendone la responsabilità ad una funzione di revisione interna, che spesso non è prevista da alcuna normativa settoriale applicabile alla realtà collettiva interessata, ma la cui costituzione risulta opportuna e funzionale al modello stesso. Guardando poi a come sono scambiate le informazioni, la funzione di revisione interna ha strutturalmente i canali comunicativi interni verso gli organi di governo per portare a conoscenza ed eventualmente proporre la soluzione di particolari situazioni di cui alle segnalazioni ricevute; non solo quelle relative a violazioni, ma anche quelle relative ai miglioramenti auspicati. D’altra parte questa è una delle attività proprie della funzione, che è tenuta a relazionare sul punto agli organi di governo e controllo sia periodicamente che in occasione delle ispezioni effettuate. Sotto il profilo funzionale poi, la funzione di revisione interna non ha compiti di assistenza delle unità operative che nella loro conduzione delle attività possono violare norme interne e conseguentemente esterne. Infatti sia la funzione di conformità (compliance) sia la funzione di gestione dei rischi (risk management), proprio perché funzioni di controllo di secondo livello, sono necessariamente in fase iniziale di qualunque progetto ed in fase di validazione finale a contatto con le unità operative e pur non condividendone gli obiettivi di business o funzionali, sono portate ad avere un approccio molto più pragmatico nella valutazione dei rischi insiti in un determinato progetto o ambito settoriale. La segnalazione interna delle violazioni d’altra parte può costituire un utile indicatore circa eventuali situazioni di comportamenti illeciti o comunque forieri di potenziali rischi, la cui analisi in ultima istanza

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Sul punto l’ambito normativo di riferimento di un sistema interno dovrebbe riferirsi unicamente a quei cd. protocolli che sviluppano il modello organizzativo e che sono posti a prevenzione della commissione di un reato, ma anche a prevenire le conseguenze di un reato oppure a permettere all’ente di intervenire per rimediare a tali conseguenze e collaborare con l’Autorità giudiziaria.

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spetta alla funzione di revisione interna. Sul punto è possibile fare un parallelismo con il sistema di ricezione e di gestione dei reclami: questo è uno strumento di prevenzione del rischio legale derivante dalla violazione delle norme interne ed esterne nei rapporti con la clientela, è un importante strumento relazionale, ma soprattutto è un importante strumento per la funzione di gestione dei rischi per comprendere dove si possono annidare quelli a carattere operativo, la cui fonte sia un disservizio aziendale. (C) Il regolamento che disciplina il funzionamento del sistema interno di segnalazione delle violazioni dovrebbe illustrare il trattamento delle segnalazioni non sottoscritte, dal contesto delle quali si possa comunque evincere la provenienza e la paternità ed il trattamento delle segnalazioni completamente anonime. In linea generale anche queste ultime sarebbe opportuno che siano prese in considerazione sulla base di prudenti valutazioni che gli organi societari dovrebbe effettuare sulla base della realtà aziendale in termini di numero di dipendenti, gerarchizzazione della realtà aziendale, canali distributivi, realtà territoriale, complessità dei prodotti e delle relazioni con la clientela. (D) Il regolamento dovrebbe anche prevedere e rendere noto come si intendano trattare alcune situazioni particolari, quanto meno per presentare come “invitante” l’opportunità di segnalare violazioni. Non si deve infatti pensare che i segnalanti siano/saranno dei riportanti “duri e puri”. Esistono in tutte le situazioni aziendali persone (dipendenti) animati da nobili intenti di legalità ed integre sotto il profilo comportamentale. Tali situazioni sono frequenti ma non prevalenti sotto il profilo esperienziale. Più probabili sono le situazioni in cui entrino in gioco interessi personali e/o di carriera oppure stati d’animo quali la paura, l’invidia … (i) La prima situazione particolare è quella di un riportante prima colluso con il responsabile della violazione e successivamente pentito che abbia un ruolo comunque apicale oppure di un riportante che abbia commesso analoghe violazioni, ma che stanco della situazione, segnali se stesso ed i propri colleghi. La gestione di una situazione di tal genere dovrebbe da un lato portare a considerare la possibilità di evitare di sanzionare il segnalante per le violazioni commesse dallo stesso e dall’altro però a considerare la possibilità di rimuovere il segnalante dall’incarico in quanto, sotto il profilo professionale, il fatto che abbia commesso comunque una violazione e poi se ne sia pentito non esclude la possibilità che commetta altre violazioni e che il suo comportamento non sia valutato negativamente come una persona non in grado di assumere ruoli di responsabilità. In altre parole, la segnalazione dovrebbe comportare

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l’esclusione della pena, ma non la valutazione della sua colpevolezza e delle sue capacità. (ii) Situazione analoga è quella del riportante colluso e poi pentito che non abbia un ruolo apicale. Valgono le parole di cui sopra. Solo che anziché privare il riportante di un ruolo apicale perché inidoneo a detenere incarichi di responsabilità, qualora nel futuro dovesse presentarsi l’occasione di promuoverlo gerarchicamente o comunque di assegnargli la responsabilità di un’unità organizzativa, tali eventualità andranno concretamente valutate alla luce del fatto che egli sia stato a suo tempo colluso o che comunque abbia commesso una violazione, anche perché in questo caso possono entrare in gioco meccanismi di opportunismo da bilanciare con le valutazioni che lo stesso potrebbe fare sulla propria posizione prospettica. (iii) Altra situazione potenzialmente implosiva è quella del cd. “tu quoque”. Il segnalato si trasforma in segnalante del primo segnalante, rimproverandogli analoga o altra violazione. In una situazione di rincorsa a chi più segnala anche episodi minuscoli (ecco perché implosiva), la struttura organizzativa rischia letteralmente di bloccarsi in una corsa falsamente purificatrice.

V PARTE

10. Criticità e conclusioni. Il sistema interno di segnalazione delle violazioni si presenta come un interessante strumento di controllo democratico, partecipativo e moderno, a patto che le criticità non influiscano sulla sua legittimazione sostanziale. Al momento non è possibile, perché prematuro e comunque ancora granulare, ottenere e commentare dati empirici ricavati dagli intermediari. Le conclusioni dunque sono in parte affidate alla speranza che lo strumento si dimostri valido e che porti a rilevare violazioni che non si sarebbero scoperte o comunque l’evidenza delle quali sarebbe emersa in tempi successivi, dopo che le violazioni abbiano dispiegato i loro effetti nocivi. Nel tracciare le conclusioni tuttavia evidenziamo alcuni punti critici che possono minare l’efficacia e l’efficienza di un sistema interno di segnalazione delle violazioni in ambito bancario, finanziario, mobiliare

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e del risparmio gestito e dunque anche le aspettative che le Autorità di vigilanza ripongono nel suo utilizzo quale valido strumento di emersione di criticità interne e violazioni di norme esterne ed interne agli intermediari. (A) L’istituto è stato adottato nell’ambito della normativa bancaria, mobiliare ed in parte del risparmio gestito con finalità di prevenzione e gestione dei rischi aziendali. Rimangono fuori gli operatori dei sistemi di pagamento, benché figura disciplinata a livello europeo, e gli intermediari finanziari, disciplinati solo a livello nazionale. Sulla base di queste finalità considerando la riconducibilità di tutti gli aspetti della vita aziendale di un intermediario a potenziali rischi, lo strumento dovrebbe avere un’applicazione generale indipendentemente da qualunque normativa di riferimento e/o settoriale. Anche semplicemente l’utilizzo dello strumento allo scopo di determinare un miglioramento della struttura e delle relazioni con la clientela, può essere visto sotto il profilo della prevenzione dei rischi reputazionali e strategici che incidono sulla capacità di stare sul mercato dell’intermediario e dunque sul suo avviamento. Una limitazione quindi alle sole regole che disciplinano l’attività bancaria oppure l’attività mobiliare è inspiegabile e non giustificata. L’istituto dovrebbe avere una funzione positiva di miglioramento (perché così è la sua natura originale) ed una funzione preventiva e repressiva delle violazioni di qualunque norma applicabile all’intermediario, il cui rispetto è attuato per mezzo della normativa interna. Così dovrebbe essere promosso normativamente l’istituto, pena il suo depotenziamento, anche per mancanza della fiducia nello stesso e dei numeri che lo rendano “popolare”. (B) Da quanto sopra discende l’esame di un’ulteriore criticità. Poiché è interesse di tutti i partecipanti ad un determinato mercato seguire le regole, è interesse del sistema che siano utilizzati da tutti i partecipanti strumenti di prevenzione e segnalazione delle violazioni in quanto ciò riduce il rischio legale e di conformità complessivo del sistema stesso. Se il sistema ed i suoi partecipanti sono percepiti come soggetti che non rispettano le regole, a prescindere dal loro ambito, tutto il sistema ne risulta danneggiato. L’interesse sociale di tutti è che la fiducia della clientela nel sistema sia preservata e che l’offerta sul mercato ed i relativi atteggiamenti commerciali siano mediamente di buon livello, dunque possibili di ampi miglioramenti. L’istituto quindi ha una valenza non solo di prevenzione dei rischi aziendali, ma anche di prevenzione dei rischi sistemici.

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Questa funzione dell’istituto dovrebbe essere promossa maggiormente dal Legislatore europeo, magari disciplinando lo stesso in ogni ambito dei servizi sottoposti al mutuo riconoscimento e relativi al Mercato unico. (C) Il terzo punto critico è correlato alla natura dell’attività dell’intermediario. Se si ritiene normativamente ed organizzativamente che lo strumento rappresentato dal sistema interno di segnalazione delle violazioni sia valido per far emergere i rischi di violazione e le violazioni della normativa interna e per migliorare la struttura aziendale e di offerta commerciale, allora l’adozione dello strumento deve costituire un obbligo in capo a qualunque intermediario bancario, finanziario, mobiliare e del risparmio gestito indipendentemente dalla natura dell’attività. Il Legislatore nazionale dunque dovrebbe prevedere l’estensione dei riferimenti agli artt. 52-bis t.u.b. a tutti gli intermediari, facendo in modo che tale norma divenga il riferimento in materia di sistemi interni di segnalazione delle violazioni in ambito bancario e finanziario. Non solo: in un epoca di mercati interconnessi e di gruppi societari e di rischio sistemico la cui emersione è molto più facile, prevedere l’obbligo di adozione dello strumento “a macchia di leopardo” sulla base della natura dell’intermediario e non del mercato complessivo dei servizi dedicati alla “moneta”, al “risparmio” e al trasferimento della ricchezza, considerando anche che per altre normative settoriali (per es. quella sull’antiriciclaggio) l’adozione dell’istituto è obbligatoria, non appare giustificato da elementi dimensionali e/o di relativa piccola offensività delle violazioni e/o di irrilevanza delle stesse e degli intermediari interessati. L’allargamento normativo dell’ambito oggettivo andrebbe quindi urgentemente disposto. (D) Una criticità collegata alla precedente è strutturalmente correlata all’ampiezza oggettiva dell’uso dello strumento e quindi a quali violazioni di norme lo stesso si rivolge e deve prendere in considerazione come sistema interno, a prescindere dalle scelte legislative. Una visione ristretta della normativa di riferimento violabile limiterebbe ingiustificatamente come scelta aziendale il suo utilizzo a fronte dei rischi dell’intermediario bancario, finanziario, mobiliare e del risparmio gestito, che prescindono dalla singola normativa specifica, ma si riferiscono all’intero corpo normativo applicabile a qualunque intermediario indipendentemente dalla natura dell’attività (cioè se bancaria …). Fermo restando quindi la normativa secondaria, un intermediario che prevedesse il sistema in relazione alle sole violazioni delle norme esterne settoriali, in realtà si troverebbe a discriminare soggettivamente i propri dipendenti e a limitare il valido impiego dello strumento che

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non può riferirsi alle violazioni delle norme esterne, ma deve necessariamente guardare alla normativa interna (d’altra parte è un sistema “interno”) e soprattutto deve andare oltre l’orizzonte del mero contrasto delle violazioni. Lo strumento, si dovrebbe infatti riferire non tanto alle violazioni di norme esterne, qualunque ne sia il loro ambito di origine, ma soprattutto alle violazioni di tipo procedurale, dunque alle violazioni delle prescrizioni interne e delle descrizioni di ciò che andrebbe fatto e non è stato fatto a prescindere da qualunque riferimento esterno. La soluzione contraria, pur in linea con la normativa ad oggi in vigore, potrebbe creare delle sacche di più facile potenziale illegalità, nonostante l’importanza di alcuni ambiti normativi (ad es. quello relativo al trattamento dei dati personali e di sicurezza dei sistemi informatici, quello tributario, quello di sicurezza dei luoghi di lavoro e di regolamentazione degli aspetti giuslavoristici …) la violazione delle cui prescrizioni in ultima istanza l’istituto è chiamato a contrastare. Sarebbe quindi ideale che gli intermediari utilizzino il sistema interno di segnalazione delle violazioni quale strumento di miglioramento strutturale e di partecipazione in tale processo dei dipendenti e non di sola adesione alla normativa aziendale. Il rischio è che i riferimenti alla normativa esterna (spesso di complicata comprensione) e a determinati settori della stessa, portino ad una complessiva scarsa fiducia da parte dei suoi utilizzatori potenziali. (E) La successiva criticità è determinata dalla “identità” del sistema. Il sistema potrebbe infatti ben presto soffrire di “crisi di identità”, se non internamente sponsorizzato nel continuo e soprattutto aggiornato. Non utilizzato, perché minato da fattori comportamentali dei dipendenti, la validità dello stesso potrebbe essere messa in discussione. Per aumentarne il potenziale è necessario rivolgere il suo utilizzo anche agli aspetti positivi. Ecco perché da parte del Legislatore europeo e nazionale, ci si aspetterebbe con maggiore forza normativa la promozione della sua essenza di strumento di controllo sociale dal basso a protezione dai generali rischi aziendali, dove ciascuno, pur svolgendo bene il proprio lavoro, “guarda le spalle” e “guarda le mani” dei propri colleghi. Girato così in positivo, lo strumento infatti si presta ad un utilizzo vantaggioso per la “comunità” dei dipendenti e a favore dei clienti, limitando l’impatto, per la legge dei grandi numeri, anche di un suo utilizzo strumentale e non disinteressato. In altre parole, forse va promossa più la funzione intrinseca dello strumento a realizzare obiettivi di responsabilità collaborativa da parte dei soggetti appartenenti al ceto finanziario, piuttosto che una

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funzione autoreferenziale ed unicamente circoscritta a fatti contingenti tra singole persone che si spiano e si denunciano per vendetta. Data la rilevanza sistemica, ci si aspetterebbe che le associazioni di categoria pubblichino dati aggregati sull’utilizzo dello strumento, promuovendo così lo stesso e rendendo noto al pubblico anche quanto un determinato sistema (bancario, finanziario, mobiliare, del risparmio gestito …) sia in grado di “auto-migliorarsi” e di “fare pulizia al proprio interno”. (F) La sesta criticità opposta alle due precedenti potrebbe determinarsi in caso di utilizzo spropositato del sistema interno per segnalare qualunque violazione, vera o presunta, secondo la percezione soggettiva del segnalante. Dunque comportamenti e relazioni personali che possono essere posti con un buon grado di immaginazione in riferimento alle attività dell’intermediario. Il rischio è in una prima fase l’intasamento del sistema, seguito dalla minore fiducia nello stesso per arrivare al suo abbandono come indicatore del grado di conformità alle norme interne, per scarsità sopraggiunta delle segnalazioni rilevanti. Per evitare tale rischio gli intermediari devono prestare molta attenzione nella strutturazione del sistema indicando in una prima fase quali comportamenti lesivi dell’intero corpo normativo interno possono essere oggetto di segnalazione, facilitando i dipendenti nell’effettuare la selezione degli argomenti principali, educando in tal modo all’utilizzo del sistema i propri dipendenti, privilegiando, per la componente dello stesso volta al “miglioramento” aziendale, particolari situazioni rispetto ad altre, quali per es. le relazioni con la clientela, l’operatività attraverso canali telematici e fisici … (G) Altra criticità potenziale è data dalla concorrenza del sistema interno di segnalazione delle violazioni affidata ad un soggetto indipendente ed autonomo, con l’analoga segnalazione che può sempre effettuarsi all’interno della struttura aziendale in via gerarchica al proprio superiore diretto oppure indiretto (chiaramente la prima in riferimento ai propri colleghi di pari grado, la seconda con riferimento al proprio superiore gerarchico effettuata al relativo superiore di quest’ultimo). Le realtà aziendali bancarie, finanziarie, mobiliari e del risparmio gestito ancora appaiono fortemente gerarchizzate con un numero importante di dipendenti. La ragione è probabilmente connessa alla struttura e all’attività degli intermediari stessi. Per es. i poteri delegati relativi alla deroga delle condizioni applicate alla raccolta, i poteri delegati in materia creditizia oppure in relazione alle posizioni sui mercati finanziari hanno creato e continuano a perpetrare un retaggio culturale aziendale che mal si concilia con il funzionamento dello strumento, che può es-

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sere visto come una forma di “tradimento” interno all’unità del corpo oppure di “delazione”. Al di là delle dovute protezioni del dipendente segnalante (scevro da qualunque interesse personale), non è illogico ritenere che il timore di effettuare una segnalazione possa originare anche da un timore per la propria carriera interna o per ritorsioni indirette, anche a fronte della segretezza dell’identità del segnalante e della protezione del suo anonimato. Negli intermediari di ridotte dimensioni, alle caratteristiche di gerarchizzazione della realtà aziendale si sommano i rischi derivanti dal contenuto numero di dipendenti, che comporta un incremento del rischio di sostanziale disvelamento dell’identità del segnalante. Per ovviare a tale inconveniente, potrebbe essere interessante guardare all’esperienza di altri Paesi dove agenzie specializzate offrono servizi di ricezione e di primo accertamento delle segnalazioni, in regime di parziale esternalizzazione, avvertendo direttamente i vertici e preservando così l’identità del segnalante. Il Legislatore, ma soprattutto le Autorità di vigilanza, dovrebbero promuovere di più la partecipazione dei dipendenti alla redazione e alla determinazione del contenuto delle norme esterne. Ne deriverebbe una minore gerarchizzazione complessiva del sistema. Sarebbe così più facile anche per gli intermediari promuovere il superamento della cultura aziendale basata sui rapporti gerarchici e non sui rapporti funzionali. Nelle more, gli intermediari minori dovrebbero affidare a terzi, esterni all’organizzazione aziendale, la gestione del sistema interno di segnalazione delle violazioni, posto che tali soggetti dovrebbero comunque, nell’effettuare le indagini del caso, riferirsi a dei punti di contatto interni alla realtà aziendale dai quali assumere le necessarie informazioni, compromettendo potenzialmente la segretezza della segnalazione stessa. L’esperienza insegna infatti che appena un terzo richiede informazioni particolari, chi è in malafede inizia ad indagare sull’identità del segnalante, percepito come delatore. (H) Sulla base di quanto detto sopra, soprattutto in una fase iniziale, il sistema interno di segnalazione delle violazioni dovrebbe accettare qualunque tipo di segnalazione, anche quelle anonime. Tuttavia queste ultime, in fase di indagine/istruttoria, andranno opportunamente contestualizzate e verificate soprattutto quando palesemente rivolte “a danno” del soggetto segnalato. Ed ancora, sotto il profilo delle conseguenze, la regolamentazione relativa al funzionamento del sistema, dovrebbe far sì che come il segnalante non sia punito, sanzionato oppure osteggiato per effetto della segnalazione, analogamente non sia premiato o comunque, qualora egli sia responsabile di condotte simili, corresponsabile oppure

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associato nella commissione della violazione, non gli sia data la possibilità di trarre un beneficio assoluto dalla segnalazione effettuata (come per esempio una totale immunità). Alla stessa stregua, la regolamentazione relativa all’utilizzo del sistema dovrebbe chiaramente dare linee guida interne su come gestire la posizione lavorativa del segnalante, scevro da qualunque interesse o non implicato nella violazione. Infatti qualunque decisione gestionale sulla posizione del lavoratore (promozione, trasferimento, avanzamento di carriera …) come non dovrebbe essere pregiudicata dalla segnalazione effettuata, dovrebbe essere indipendente dalla segnalazione effettuata. In altre parole, l’eventuale trasferimento ad altra sede o altro incarico, azioni di contenimento dei costi quali prepensionamenti, scivoli …, dovrebbero essere sempre possibili, salvo che tali azioni gestionali del personale non siano derivanti dalla segnalazione. Conseguentemente, l’identità del segnalante non potrà essere mantenuta segreta vita lavorativa natural-durante, ma dovrà essere condivisa quanto meno con le funzioni di gestione del personale per prevenire l’involontaria adozione di azioni che potrebbero apparire ritorsive, in positivo nel caso in cui servano per proteggere il lavoratore stesso, oppure per evitare che il segnalante possa beneficiare di “aree di immunità” da normali azioni gestorie del personale.

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COMMENTI

Piani attestati, accordi di ristrutturazione e crediti prededucibili I Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 25 gennaio 2018, n. 1895; Pres. Didone, Est. Dolmetta, P.M. Soldi; D.M.A. (avv. Tanico) c. Curatela del Fallimento XXX (avv. Balena) Fallimento – Credito per l’attività (professionale) svolta in funzione della predisposizione di un piano di risanamento attestato – Prededucibilità nel fallimento successivo – Esclusione (L. fall., art. 67, co. 3, lett. d), 111) Il credito sorto in relazione all’attività (professionale) svolta in funzione della predisposizione, da parte di una società poi fallita, di un piano di risanamento attestato non è prededucibile nel fallimento successivo. (1) II Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 25 gennaio 2018, n. 1896; Pres. Didone, Est. Terrusi, P.M. Soldi; C.M. e P.M. (avv. Lambertini) c. Fallimento YYY (avv. Rinaldi). Fallimento – Credito per l’attività (professionale) svolta in funzione della omologazione di un accordo di ristrutturazione – Prededucibilità nel fallimento successivo – Sussiste (L. fall., art. 111, 182-bis) Il credito sorto in relazione all’attività (professionale) svolta in funzione della omologazione di un accordo di ristrutturazione, richiesta da una società poi fallita, è prededucibile nel fallimento successivo. (1)

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Commenti

I (Omissis) Svolgimento del processo. 1. D.M.A. ricorre per cassazione nei confronti del fallimento XXX s.r.l., esponendo tre motivi avverso il decreto emesso dal Tribunale di Bari in data 16/20 febbraio 2015 nel giudizio R.G. 16003/2013, come anche integrato dai successivi due decreti resi in proposito dal medesimo Tribunale in data 23/24 marzo 2015. Con queste decisioni, il Tribunale pugliese ha rigettato l’opposizione formulata dall’avv. D. contro il provvedimento preso dal giudice delegato in sede di formazione dello stato passivo del fallimento XXX. Che è consistito, per quanto qui rileva, nel negare la qualifica di “credito prededucibile” a quello esposto dall’avvocato per l’attività prestata a favore della società XXX poi fallita in relazione alla predisposizione di un piano di risanamento aziendale ai sensi della l. fall., art. 67, comma 3, lett. d); e altresì nel negare il riconoscimento di interessi per le voci creditorie avanzate dall’avvocato (in sorte capitale ammesse, per una parte, in privilegio e in chirografo, per l’altra), come anche carattere privilegiato alle “spese sostenute per il recupero del credito”. Nei confronti del ricorso resiste il fallimento XXX, che ha depositato apposito controricorso, con annesso ricorso incidentale condizionato. Motivi della decisione. 2. I motivi di ricorso sollevano i vizi che qui di seguito vengono richiamati. Il primo motivo assume, in particolare, “violazione della l. fall., art. 111 nell’omesso riconoscimento della natura prededucibile del credito professionale derivante dall’espletamento

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di attività utile all’interesse della massa dei creditori”. Il secondo motivo riscontra, poi, “insufficiente motivazione in punto di interessi e di spese documentate (art. 360 c.p.c., n. 5)”. Il terzo motivo rileva, inoltre, “carenza di motivazione con riferimento all’applicabilità al caso di specie del D.P.R. n. 115/112”. 3. Come dichiara la relativa intestazione, il primo motivo di ricorso si incentra sul tema dell’eventuale prededucibilità ex art. 111, comma 2, seconda parte l. fall., (“sono considerati crediti prededucibili quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge”) del credito inerente ad attività prestata per la elaborazione di un piano di risanamento, secondo quanto previsto e disciplinato dalla norma dell’art. 67, comma 3, lett. d). Nel concreto, il riferimento della controversia va all’attività professionale di “consulenza e assistenza stragiudiziale” svolta dall’avv. D. per la predisposizione del piano della poi fallita XXX s.r.l. La questione, nei termini generali tratteggiati nel primo capoverso del presente numero, non è stata ancora affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte. 4. Il Tribunale di Bari ha respinto la richiesta di prededuzione, formulata dall’avvocato, sulla base del rilevo che “al “procedimento” previsto per la predisposizione e la attestazione del “Piano” di cui art. art. 67, comma 3, lett. d) l. fall. non può essere attribuita natura di “procedura concorsuale”. La soluzione è stata motivata essenzialmente con il rilievo che la predisposizione di tale piano si connota per “la mancanza di un preventivo accordo


Corte di Cassazione

dei creditori”, “per l’assenza di preventiva pubblicazione nel registro delle imprese”, per la “mancanza di qualsiasi intervento omologatorio del tribunale”. “Ulteriormente”, il Tribunale ha pure precisato che la “natura del Piano di risanamento attestato” è stata “mantenuta distinta”, secondo la prospettiva del vigente sistema normativo, da quella assegnata agli accordi di ristrutturazione, di cui pure alla legge fallimentare. 5. Contestata la pertinenza di un qualunque richiamo specifico alla normativa degli accordi di ristrutturazione, il motivo di ricorso assume invece, nell’ambito per la verità di un percorso argomentativo non sempre lineare, che la prededucibilità del credito inerente alla predisposizione del piano ex art. 67 è mostrata da più ragioni, tra loro anche concorrenti. Quella dell’art. 67 – si afferma dunque – rientra nel novero delle “procedure concorsuali” di cui alle previsioni della legge fallimentare. Comunque, l’applicazione della norma dell’art. 111, comma 2, seconda parte, si rapporta in realtà con il genere dell’”attività funzionale alla composizione negoziale della crisi” ovvero al contesto delle “procedure di composizione negoziale della crisi”. Comunque, “determinante ai fini dell’attribuzione della prededucibilità” è che si tratti di attività “funzionale in termini di accrescimento dell’attivo o di salvaguardia dell’integrità del patrimonio”. Non si può non tenere adeguato conto, d’altro canto, della “comunanza di ratio tra il novellato art. 67 e l’art. 111 l.fall.”, secondo quanto già rilevato – segnala il ricorso, richiamandosi alle pronunce di Cass., 5 marzo 2014, n. 5098 e di Cass., 9 settembre 2014, n. 18922 dalla giurisprudenza di questa Corte.

6. Il motivo è infondato. In proposito va prima di tutto rilevato che, come correttamente riscontrato dal decreto impugnato, il piano di risanamento ex art. 67 non è una “procedura concorsuale”. La sua natura non partecipa, per essere più precisi, né al primo, né al secondo termine della richiamata espressione. Alla vicenda di strutturazione e conformazione del piano non concorre alcun intervento giudiziale, sia esso di valutazione oppure di controllo. Né ha luogo discorrersi di una partecipazione del ceto creditorio (tanto meno se assunta in termini di necessaria partecipazione). La giurisprudenza di questa Corte ha già rilevato, d’altro canto, che la vicenda espressa dal piano non raffigura una “procedura”, rientrando invece nell’amplissimo genere delle “convenzioni stragiudiziali” (cfr. Cass., 5 luglio 2016, n. 13719). Sulla scia di questa indicazione si può in via di specificazione procedere pure rilevando che il piano in questione è in realtà frutto di una decisione dell’impresa, come attinente alla programmazione della propria futura attività e intesa al risanamento della relativa “situazione finanziaria”. Decisione che nella sua traduzione operativa, poi, viene di necessità ad avvalersi dell’attività contrattuale di un professionista indipendente, per la funzione di attestatore, e che può anche venire a comportare, nel caso, la conclusione di convenzioni con creditori o terzi in genere: secondo un ventaglio di ipotesi per la verità assai articolato, che nel suo ambito va a ricomprendere tanto i consulenti tecnici di effettiva predisposizione al piano, quanto gli eventuali acquirenti di assets azien-

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Commenti

dali. Decisione così determinante, in ogni caso, da riguardare addirittura la stessa eventualità di “esternalizzazione” del piano, portandolo così a conoscenza dei creditori in genere e del mercato: a mezzo appunto della scelta di pubblicarlo o meno nel registro delle imprese a mente dell’ultimo periodo dell’art. 67, comma 3, lett. d., che di per sé rappresenta una scelta propria dell’autonomia di impresa. 7. È senz’altro da escludere, d’altra parte, che la norma dell’art. 111 sia da leggere e interpretare come se essa si riferisse anche alle composizioni negoziali delle crisi di impresa. Al di là della constatazione che l’allegazione formulata dalla ricorrente è rimasta sguarnita di un qualunque supporto argomentativo, è da osservare in proposito come nella specie manchino propriamente le basi per aprire pure solo l’ipotesi di interpretazioni analogiche o anche solo estensive. La prededuzione è in sé stessa vicenda di tratto sostanzialmente eccezionale o comunque singolare: come all’evidenza indica, ben al di là della prima parte dell’art. 111, comma 2 il fatto che essa importa deroga al principio generale della par condicio. Per altro verso, il riferimento alle “composizioni negoziali delle crisi” nemmeno rimanda all’idea di una categoria dotata di una qualche omogeneità, la stessa risultando per contro sfrangiata in una serie indeterminata (e non predeterminabile) di ipotesi. Finisce poi per giungere a una vera e propria interpretatio abrogans di parte della norma dell’art. 111 l’ulteriore affermazione della ricorrente, per cui a risultare davvero determinante, ai fini della applicazione della prededuzione, sarebbe esclusivamente l’effettiva sussi-

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stenza in concreto di un nesso di “funzionalità” ovvero di “occasionalità”. 8. Poste le precedenti osservazioni, non può non risaltare la genericità della “comunanza di ratio” che la ricorrente ritiene venga a correre tra la norma dell’art. 67 e quella dell’art. 111: con riferimento almeno al profilo qui concretamente in esame, tale comunanza rimane, per così dire, sul mero piano della superficie esterna. D’altronde, il richiamo dei precedenti di questa Corte, a cui la ricorrente si rifà, non appare per nulla centrato. L’ordinanza n. 18922/2014 concerne un’ipotesi di assistenza alla preparazione di un’istanza di fallimento; e non risulta presentare o proporre richiami alla norma dell’art. 67: la decisione identificando, piuttosto, quella dell’art. 111 come “norma generale, applicabile alla pluralità delle procedure concorsuali”. La ricorrente sembra poi cadere in un equivoco là dove richiama a proprio sostegno la sentenza n. 5098/2014 (che riguarda un caso di credito professionale concernente la domanda di concordato preventivo): la pronuncia afferma, in realtà, che la norma dell’art. 111 è intesa a “favorire il ricorso alla procedura di concordato preventivo”, come “strumento di composizione della crisi idonea a favorire la conservazione dei valori aziendali”, e che tale ultimo obiettivo è condiviso pure dalla norma dell’art. 67, comma 3, lett. d), perché quest’ultima “sottrae alla revocatoria fallimentare i pagamenti dei debiti liquidi ed esigibili eseguiti dall’imprenditore alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alla procedura di concordato preventivo”.


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9. Con il secondo motivo la ricorrente assume l’insufficienza motivazionale della statuizione relativa all’esclusione dallo stato passivo della voce inerente a interessi e della statuizione inerente alla collocazione al chirografo della voce inerente a “spese bancarie maturate a seguito dei protesti delle cambiali”. Il motivo è inammissibile. In effetti, la normativa vigente al tempo della presentazione del ricorso (marzo 2015) non ammette più la ricorribilità per cassazione del vizio c.d. motivazionale. 10 Il terzo motivo di ricorso censura la rilevazione del Tribunale di Bari che dà atto della sussistenza, nella fattispecie concreta, dei presupposti di applicazione del c.d. “raddoppio di contributo” D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater. Il motivo va accolto. In effetti, la motivazione addotta al riguardo dal Tribunale si va a fermare “esclusivamente sul presupposto oggettivo del rigetto integrale della impugnazione”. Così facendo, peraltro, la stessa trascura del tutto di considerare natura e caratteri del procedimento nel cui ambito la stessa viene a ritenere applicabile la normativa del “raddoppio di contributo”, che consta in un’opposizione all’esclusione di un credito dallo stato passivo. La statuizione in questione viene in tale modo a integrare una falsa applicazione della normativa di cui al citato decreto. L’opposizione all’esclusione dallo stato passivo del fallimento non può essere considerata un’impugnazione in senso proprio, la stessa risultando piuttosto un gravame che apre un procedimento a cognizione piena, tale non potendo essere considerato, per

l’appunto, quello di cui alla verifica dei crediti compiuto dal giudice delegato. 11. Il ricorso incidentale presentato dal fallimento XXX è stato condizionato all’eventuale accoglimento del primo o del secondo motivo di ricorso. Il mancato accoglimento dei medesimi importa dunque assorbimento di questo ricorso. 12. In conclusione, va rigettato il primo motivo del ricorso principale e dichiarato inammissibile il secondo; va invece accolto il terzo motivo. Rimane assorbito il ricorso incidentale. Di conseguenza, vanno cassati i decreti impugnati in relazione alle determinazioni relative al “raddoppio di contributo”. Le spese vanno compensate, anche in ragione della novità della questione posta all’attenzione di questa Corte con il primo motivo del ricorso principale. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale e dichiara inammissibile il secondo, assorbito il motivo di ricorso incidentale. Accoglie il terzo motivo del ricorso principale. Cassa, in relazione alle relative determinazioni, i decreti impugnati e, decidendo nel merito, esclude il raddoppio del contributo e compensa le spese. (Omissis) II (Omissis) Svolgimento del processo. Gli avvocati C.M. e P.M. chiesero di essere ammessi al passivo del fallimento di YYY s.p.a.: (i) in prededuzione, per prestazioni di assistenza e consulenza giudiziale e stragiudiziale funzionali all’omologazione di un accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis l. fall.; (ii) in privilegio ex art. 2751

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bis c.c., n. 2, per prestazioni effettuate nel biennio anteriore al fallimento; (iii) al chirografo, per prestazioni effettuate prima del biennio suddetto. Col decreto di esecutività dello stato passivo, il credito venne ammesso in privilegio, ai sensi dell’art. 2751 bis c.c., n. 2, per la minor somma di Euro 15.102,82, considerati gli acconti già percepiti, e al chirografo per le spese forfetarie quantificate in Euro 1.274,13. Il tribunale di Verona, adito ai sensi dell’ art. 98 l. fall. ha respinto l’opposizione rilevando che per la predisposizione dell’accordo di ristrutturazione il credito dei professionisti era stato ammesso in via privilegiata, e non, come invece richiesto, in prededuzione. Ha quindi osservato che la fattispecie ex art. 182 bis l. fall., era estranea, per il carattere privatistico, alla disciplina delle procedure concorsuali e che l’accordo di ristrutturazione, pur omologato, non aveva apportato alcuna utilità alla massa dei creditori, essendo stato dichiarato il fallimento a distanza di poco tempo dall’omologa: segnatamente il 26-7-2013 a fronte della data di omologazione del 16-3-2012. Ciò premesso, il tribunale ha anche osservato che per le somme correlate all’accordo di ristrutturazione gli istanti avevano già proposto una separata opposizione (ivi rubricata al n. 4353149), unitamente all’avv. Lambertini, e che quanto alle ulteriori somme era da confermare la valutazione del giudice delegato. In particolare gli atti ricognitivi di debito erano suscettibili di revocatoria e la riduzione degli importi rispetto ai parametri di legge era giustificata in base alla oggettiva inutilità, per la massa dei creditori, dell’attività professionale svolta.

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Per la cassazione del decreto del tribunale di Verona, depositato il 16-22015 e comunicato via pec in pari data, gli avvocati C. e P. hanno proposto ricorso affidato a cinque motivi. La curatela ha resistito con controricorso. Le parti hanno depositato una memoria. Motivi della decisione. 1. Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e conseguente vizio di ultrapetizione, i ricorrenti sostengono che il tribunale abbia erroneamente pronunciato su un fatto – la presunta duplicazione dei compensi rispetto a quanto preteso dal collegio difensivo Lambertini, C. e P. che non era stato considerato nel decreto del giudice delegato, e che pertanto “non era stato oggetto delle domande” di essi opponenti. Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 182 bis l. fall., censurano il provvedimento del tribunale per avere erroneamente escluso che l’accordo di ristrutturazione dovesse rientrare tra le procedure concorsuali. Col terzo motivo, ancora deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 111 l. fall., ascrivono al tribunale l’erronea esclusione della prededuzione in base al fatto di non avere l’accordo di ristrutturazione, pur omologato, apportato un’effettiva utilità alla massa dei creditori, attesa la successiva dichiarazione di fallimento. Col quarto e col quinto motivo, infine, i ricorrenti denunziano rispettivamente la violazione e falsa applicazione dell’art. 67 l. fall., per avere il tribunale ritenuto corretta la decisione del giudice delegato in punto di revocabilità de-


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gli atti di ricognizione di debito relativi al compenso pattuito per l’attività giudiziale e stragiudiziale estranea all’accordo di ristrutturazione, e l’omesso esame di fatto decisivo in ordine alla motivazione spesa per giustificare la correttezza della riduzione del compenso rispetto ai parametri di legge. 2. Nelle memorie depositate ai sensi dell’art. 378 c.p.c., le parti hanno rappresentato di aver raggiunto un accordo per comporre bonariamente la controversia. L’accordo prevede l’ammissione dei ricorrenti al passivo fallimentare in prededuzione, secondo l’ammontare per ciascuno indicato in Euro 5.000,00. Ciò postula un provvedimento di modifica dello stato passivo, per adottare il quale il collegio reputa di dover esaminare il fondamento del secondo e del terzo motivo di ricorso, onde fissare i principi di diritto rilevanti in materia, visto che la questione sottostante, relativa al particolare atteggiarsi del rapporto tra l’art. 111 l. fall., e l’istituto dell’accordo di ristrutturazione, non ha precedenti nella giurisprudenza della Corte. 3. La tesi dai ricorrenti sostenuta nel secondo e nel terzo motivo è fondata. 4. Per quanto suscettibile di venir in considerazione come ipotesi intermedia tra le forme di composizione stragiudiziale e le soluzioni concordatarie della crisi dell’impresa, e per quanto oggetto di annosi dibattiti dottrinali, l’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis, appartiene agli istituti del diritto concorsuale, come è dato desumere dalla disciplina alla quale nel tempo è stato assoggettato dal legislatore; disciplina che, in punto di condizioni di ammissibilità, deposi-

to presso il tribunale competente, pubblicazione al registro delle imprese e necessità di omologazione, da un lato, e meccanismi di protezione temporanea, esonero dalla revocabilità di atti, pagamenti e garanzie posti in essere in sua esecuzione, dall’altro, (v. la l. fall., art. 182 bis, nei suoi vari commi, e la l. fall., art. 67, comma 3, lett. e)) suppone realizzate, nel pur rilevante spazio di autonomia privata accordato alle parti, forme di controllo e pubblicità sulla composizione negoziata, ed effetti protettivi, coerenti con le caratteristiche dei procedimenti concorsuali. L’appartenenza al diritto concorsuale può del resto considerarsi implicitamente contrassegnata dalle decisione nelle quali questa Corte ha accostato l’accordo al concordato preventivo, quale istituto affine nell’ottica delle procedure alternative al fallimento (v. per spunti Cass. n. 2311-14; n. 16950-16). 5. Quanto poi al fatto che la prededuzione sia stata esclusa in base alla successiva dichiarazione di fallimento, è necessario evidenziare che questa Corte ha già affermato, sebbene in relazione al concordato preventivo, che il credito del professionista (nella specie, un avvocato) che abbia svolto attività di assistenza e consulenza per la redazione e la presentazione della domanda, rientra de plano tra i crediti sorti “in funzione” della procedura e, come tale, a norma dell’art. 111, comma 2, l. fall. va soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento, senza che, ai fini di tale collocazione, debba essere accertato, con valutazione ex post, che la prestazione resa sia stata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti (v. Cass. n. 22450-15).

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La ragione specifica di tale affermazione va rinvenuta nell’essere l’ammissione al concordato in sé sintomatica della funzionalità delle attività di assistenza e consulenza connesse alla presentazione della domanda e alle eventualmente successive sue integrazioni, giacché la norma detta un precetto di carattere generale che, per favorire il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d’impresa, ha introdotto un’eccezione al principio della par condicio (v. pure Cass. n. 8533-13 e n. 8958-14). La spiegazione rileva anche a proposito delle prestazioni funzionali all’accordo di ristrutturazione, nel senso che, avutasi l’omologazione, non è necessario verificare la definitiva tenuta del “risultato” delle prestazioni medesime (il risultato ultimo). Invero le prestazioni vanno correlate al segno della funzionalità di accesso alla procedura minore per la quale sono state svolte. L’utilità concreta per la massa dei creditori, ove poi consegua il fallimento, non è richiesta, atteso che i concetti di funzionalità e di utilità concreta – non possono essere sovrapposti, e men che meno confusi tra loro. In particolare la norma di cui all’art. 111, secondo comma legge fall., come è stato osservato per il concordato preventivo (appunto da Cass. n. 2245015), risulterebbe priva di senso e non potrebbe mai ricevere applicazione nel fallimento consecutivo se la funzionalità delle prestazioni svolte allo scopo di ottenere l’ammissione alla procedura alternativa dovesse essere nuovamente valutata ex post con riguardo al fallimento che sia stato infine comunque dichiarato. Ciò sta a significare che non può escludersi la funzionalità della presta-

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zione, per gli effetti di cui all’art. 111 l.fall, per il semplice fatto che all’omologazione dell’accordo di ristrutturazione sia conseguito il fallimento. Mentre è possibile che l’opera intellettuale prestata dal difensore sia valutata di nessuna utilità per la massa dei creditori poiché prestata in condizioni che sin dall’inizio non consentivano nessun salvataggio dell’impresa. 6. I restanti motivi di ricorso debbono ritenersi rinunciati dai ricorrenti, i quali, concorde la curatela all’esito dell’accordo raggiunto, hanno concluso nel senso della ammissione dei sopra detti specifici crediti secondo la disciplina della prededuzione. Il decreto del tribunale di Verona va dunque cassato soltanto in parte qua, previa fissazione dei menzionati principi di diritto. L’accordo inter partes rende ovviamente non necessari ulteriori accertamenti di fatto, sicché la Corte può decidere la causa anche nel merito, ammettendo i crediti in prededuzione al passivo del fallimento di YYY s.p.a. nella misura per ciascun creditore indicata. In tal senso il curatore effettuerà le opportune variazioni dello stato passivo. Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese dell’intero giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, ammette in prededuzione allo stato passivo del fallimento di YYY s.p.a. gli avv. C. e P. per l’importo di Euro 5.000,00 ciascuno; ordina la variazione dello stato passivo del fallimento; compensa le spese dell’intero giudizio. (Omissis).


Sido Bonfatti

(1) La natura giuridica dei “piani di risanamento attestatati” e degli “accordi di ristrutturazione” Sommario. 1. Premessa. Due sentenze contemporanee su due questioni affini. – 2. I crediti (professionali) sorti “in funzione” del Piano di Risanamento Attestato, e la natura giuridica dell’istituto. – 3. I crediti (professionali) sorti “in funzione” di un Accordo di Ristrutturazione, e la natura giuridica dell’istituto. – 4. Segue. La “timidezza definitoria” negli Schemi di decreti delegati di riforma della legge fallimentare. – 5. Segue. Caratteri di “perennità” e di “precarietà” della prededuzione negli Schemi di decreti delegati di riforma della legge fallimentare.

1. Premessa. Due sentenze contemporanee su due questioni affini. Con due sentenze contemporanee, depositate lo stesso giorno, e con due numeri progressivi contigui, la Sezione Prima della Corte di Cassazione prende posizione sul medesimo quesito, riferito in un caso ai “Piani di Risanamento Attestati” ex art. 67, co. 3, lett d) l. fall.; e nell’altro, agli “Accordi di Ristrutturazione “ex art. 182 – bis l. fall1. Il quesito è rappresentato, in entrambi i casi, dal dubbio se i crediti professionali, derivanti da attività prestate in funzione della predisposizione di un “Piano”, ovvero in funzione della omologazione di un “Accordo”, debbano trovare, nel fallimento consecutivo, collocazione prededucibile, oppure no: e nel primo caso la Suprema Corte conclude in senso negativo, mentre nel secondo conclude in senso positivo. In entrambi i casi – ancora – la Suprema Corte dà atto della circostanza che «la questione (…) non è stata ancora affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte» (ovvero «la questione (…) non ha precedenti nella giurisprudenza della Corte»).

1 Per la verità, come si dirà nel testo, la decisione n. 1896/2018, concernente gli “Accordi di Ristrutturazione”, depositata in data 25 gennaio 2018, è stata preceduta, di pochi giorni, dalla sentenza n. 1182/2018, depositata in data 18 gennaio 2018. La circostanza non ha rilievo, peraltro – a parere di chi scrive –, in quanto (i) le due controversie riguardavano la stessa fattispecie (crediti professionali) verificatasi nel contesto della stessa procedura concorsuale (concordato preventivo di tale società UCF S.p.A., poi sfociato in fallimento), e sono state decise dal medesimo tribunale fallimentare (di Verona); (ii) le due sentenze sono identiche; e (iii) le due sentenze sono state adottate nella stessa Camera di Consiglio del 25 ottobre 2017. La diversa data di pubblicazione non ha pertanto significato.

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In entrambi i casi – infine – la motivazione delle due sentenze appare ingiustificatamente sintetica (o sommaria?) se si ha riguardo: (i) alla dichiarata mancanza di precedenti della Suprema Corte; e (ii) alla rilevante importanza, sistematica oltre che economica, dei profili e dei problemi sottesi ad entrambe le fattispecie affrontate. Chi scrive vuole premettere e sottolineare di condividere la conclusione della prima decisione, e di dissentire – invece – dalla seconda: ma di accomunare entrambe in un unico giudizio perplesso con riguardo alla inadeguatezza delle motivazioni addotte per pervenire tanto al risultato condiviso, quanto a quello contrastato. Peraltro, il segnalato carattere delle due decisioni in questione spiegherà (se non giustificherà) il carattere sommario (o sintetico?) anche del presente commento.

2. I crediti (professionali) sorti “in funzione” del Piano di Risanamento Attestato, e la natura giuridica dell’istituto Con la prima delle sentenze in commento la Corte di Cassazione (i) esclude che i crediti professionali derivanti da prestazione di attività funzionali alla predisposizione di un “Piano” ex art. 67, co. 3, lett. d) l. fall. possano essere collocati in prededuzione nel fallimento consecutivo; e (ii) nega che il Piano di Risanamento attestato abbia natura giuridica di “Procedura concorsuale”. Come detto, la conclusione merita di essere condivisa, non essendo rinvenibili nel “Piano” ex art. 67, co. 3, lett. d), l. fall., quei presupposti che si devono ritenere caratteristici delle “procedure concorsuali” – per quanto le stesse non risultino espressamente definite dal diritto positivo. Il “Piano” in discussione non è neppure necessariamente una “Procedura” – potendosi risolvere (non già in uno o più accordi, bensì) anche in atti unilaterali dell’imprenditore (attraverso il compimento dei quali dare esecuzione al “Piano”, accompagnato dalla attestazione descritta dalla norma richiamata al solo fine di proteggerli dal rischio revocatorio). Il “Piano” in discussione non postula neppure la sussistenza di un “concorso” – potendosi risolvere nel compimento di atti con soggetti diversi dai creditori dell’imprenditore in crisi, quali acquirenti di prodotti o di asset; quali sottoscrittori di aumenti di capitale della società in difficoltà; eccetera –. Tuttavia ciò non giustifica – a parere di chi scrive – la insufficiente attenzione dedicata all’argomento della parte ricorrente, incentrato sul parallelo tra l’art. 67 l. fall. – da intendersi l’art. 67, co. 3, lett. d) – e l’art. 111 l. fall.

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L’invocata “comunanza di ratio” fra le due norme, addotta dalla parte ricorrente, viene bollata (in modo non più soltanto sintetico ovvero sommario, ma propriamente criptico) come argomento che «rimane, per così dire, sul mero piano della superficie esterna». A prescindere dalla non facile intelleggibilità del senso dell’obiezione formulata – sul punto – alla tesi della ricorrente, va detto che in realtà il parallelo tra il disposto dell’art. 67, co. 3, lett. d) l. fall. ed il disposto dell’art. 111 l. fall. non può essere liquidato con troppa disinvoltura, perché pone il problema dei rapporti tra la esenzione dall’azione revocatoria fallimentare e la prededucibilità nel concorso tra i creditori. Il pagamento che il credito del professionista, derivante da attività funzionali all’esecuzione di un “Piano” di Risanamento Attestato, ricevesse in epoca pur prossima al fallimento, e pur nella piena consapevolezza dello stato di insolvenza dell’imprenditore, sarebbe sottratto all’azione revocatoria fallimentare (rimanendo per ciò soddisfatto in misura integrale senza essere ri–attratto al concorso con i creditori): art. 67, co. 3, lett. d), l. fall. Il mancato pagamento di questo stesso credito non comporterebbe invece il collocamento in prededuzione della relativa pretesa nel fallimento consecutivo (soggiacendo pertanto alla falcidia fallimentare, con assoggettamento al concorso). Due crediti (professionali) sorti entrambi in esecuzione di un “Piano”, di cui uno pagato (con sottrazione della relativa liquidità all’imprenditore), e l’altro non pagato (con conseguente effetto di sostegno finanziario all’imprenditore), subirebbero sorti contrarie l’una all’altra, premiando il primo – esenzione dalla revocatoria –, e sanzionando il secondo – negazione della prededuzione. È per questa ragione che, a parere di chi scrive, dovrebbe essere affermato, in via interpretativa, il principio secondo il quale – a prescindere dal dato normativo disponibile nel singolo caso di specie; ed a prescindere dalla natura giuridica attribuibile al procedimento di volta in volta interessato dal fenomeno – i crediti dichiarati esenti dall’azione revocatoria fallimentare, se soddisfatti prima del fallimento, dovrebbero trovare collocazione preducibile nell’ambito dello stesso, se ancora insoddisfatti al momento della sua apertura; e – viceversa – i crediti collocati in prededuzione nel fallimento, se ancora insoddisfatti al momento della sua apertura, dovrebbero essere considerati esentati dall’azione revocatoria fallimentare, se soddisfatti in precedenza. Conclusione, questa,

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sulla quale è certamente lecito dissentire, ma senza che si possa dire che insiste su una problematica banale2

3. I crediti (professionali) sorti “in funzione” di un Accordo di Ristrutturazione, e la natura giuridica dell’istituto Con la seconda delle sentenze in commento la Corte di Cassazione3: (i) afferma che i crediti professionali derivanti da prestazione di attività funzionali alla omologazione di un “Accordo” ex art. 182-bis l. fall. devono essere collocati in prededuzione nel fallimento consecutivo; ma (ii) non dichiara che l’Accordo di Ristrutturazione ha natura di “procedura concorsuale”. La sentenza, infatti – e lo stesso deve dirsi per l’identica decisione n. 1182/ 2018, di cui alla nota 1) –, pur dando atto che il ricorso era fondato sull’asserita violazione dell’art. 111 l. fall., mai qualifica gli “Accordi” ex art. 182-bis l. fall. come una “procedura concorsuale”. Quale sia la ragione, è difficile dire: tuttavia a tale circostanza non può essere attribuito un rilievo decisivo. In un contesto nel quale “una specifica disposizione di legge” (cfr. art. 111, co. 2, prima parte, l. fall.) che attribuisca natura prededucibile ai crediti da prestazioni professionali rese nell’ambito di un “Accordo” non c’è – essendocene invece, come è noto, per i “finanziamenti” –, delle due l’una: o allo “Accordo” si attribuisce natura di “procedura concorsuale” (con conseguente applicabilità dall’art. 111, co. 2, seconda parte,

2 Sulla considerazione di “esenzione” e “prededuzione” come due facce della stessa medaglia v. ad es. Costa, Esenzione dall’azione revocatoria e prededuzione nelle procedure stragiudiziali di risanamento delle imprese, in Dir. fall., 2010, I, p. 536. 3 Bonfatti, La natura giuridca degli accordi di ristrutturazione, in Diritto bancario, gennaio 2018. Occorre segnalare a questo proposito che nonostante le decisioni della Suprema Corte in commento, in un momento successivo il Tribunale di Reggio Emilia ha avuto l’occasione di ritornare sull’argomento, dissociandosi espressamente dall’orientamento della Corte. Ha osservato infatti il Tribunale che «Nonostante una recente presa di posizone in senso contrario della Corte di Cassazione (…) il Collegio intende ribadire l’orientamento interpretativo poropenso ad escludere gli Accordi di Ristrutturazione del debito dall’ambito delle procedure concorsuali propriamente intese»: di qui l’esclusione della collocabilità di prededuzione, nel fallimento (nel caso di specie: di una liquidazione coatta amministrativa) consecutivo, dei crediti sorti in funzione o in occasione dell’“Accordo” ex art. 182-bis l. fall. (Trib. Reggio Emilia, 14 febbraio 2018; Trib. Reggio Emilia, 15 febbraio 2018, per le quali rinvio al mio commento Ancora sulla natura giuridica degli “Accordi di ristrutturazione”, in www.ilcaso.it, febbraio 2018).

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l. fall.); oppure non si comprende come possa essere affermata la prededucibilità di tali pretese. Non vale quindi sottolineare la inadeguatezza (o timidezza) definitoria della sentenza in commento (e della citata decisione n. 1182/2018): la conclusione alla quale essa è pervenuta postula l’attribuzione agli Accordi di Ristrutturazione della natura di “procedura concorsuale”, ed è tale assunto che a parere di chi scrive – come già osservato a commento della decisione n. 1182/20184 – non è condivisibile.

4. Segue. La “timidezza definitoria” negli Schemi di decreti delegati di riforma della legge fallimentare Per una coincidenza strana (ma forse neanche tanto), la “timidezza definitoria” rinvenuta nelle due contemporanee sentenze della Corte di Cassazione n. 1182/2018 e n. 1896/2018 a proposito della natura giuridica attribuibile agli “Accordi di Ristrutturazione” è rinvenibile, sulla medesima questione, anche negli Schemi di decreti delegati che dovrebbero dare corpo al Codice della Crisi e dell’Insolvenza (c.c.i.), che dovrebbe mandare in pensione l’attuale legge fallimentare. Tali “Schemi” esordiscono (art. 2 c.c.i.) con ben 25 “definizioni”: ma nessuna precisa cosa si debba intendere per “procedura concorsuale”. La omissione è, ad avviso di chi scrive, gravissima: giacché rappresenta la premessa di rinnovate discussioni ed incertezze su problematiche dotate di impatto (se non altro) economico rilevantissimo, nonché deputate a giocare, per ciò che concerne l’aspirazione a favorire il risanamento delle imprese in crisi, un ruolo letteralmente decisivo. “Procedura concorsuale” significa – e continuerebbe a significare: cfr. art. 9, co. 1, lett. e); cfr art. 50, co. 3, c.c.i. – prededuzione dei crediti sorti “in funzione” o “durante” il tentativo di superamento della crisi. “Procedura concorsuale” significa – almeno oggi: cfr art. 69-bis, co. 2, l. fall. – “consecuzione” tra procedure susseguitesi l’una all’altra, in funzione della retrodatazione del termine di decorrenza a ritroso del “periodo sospetto” in funzione dell’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari: e non pare cosa da poco.

4 Bonfatti, La natura giuridica degli accordi di ristrutturazione, in Diritto bancario, gennaio 2018.

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Che la “nuova legge fallimentare” non si preoccupi di definire (nel vero termine della parola) quali dei molti procedimenti disciplinati siano “procedure concorsuali”, e quali no, è sinceramente incomprensibile (o comunque difficilmente accettabile). La affermazione deve essere tanto più sottolineata, quanto più la disciplina attribuita agli Accordi di Ristrutturazione nell’ipotizzato “Codice” avvicina oggettivamente l’istituto al Concordato preventivo (sulla cui natura di “Procedura concorsuale” non possono esservi dubbi). Secondo il “Codice”, infatti, gli “Accordi” sarebbero caratterizzati da nuovi profili di “concorsualità”, quali: a) la esistenza di una fase preliminare di (sostanziale) “ammissione” – cfr. artt. 41 ss. c.c.i.; b) la possibile nomina di un Commissario giudiziale nel procedimento di omologa dell’“Accordo” (cfr. art. 48, co. 4, c.c.i.); c) la limitazione ai soli atti di amministrazione ordinaria dei poteri dispositivi del proprio patrimonio per l’imprenditore che abbia richiesto l’accesso al giudizio di omologazione di un “Accordo” – cfr. art. 50, co. 1, c.c.i.; d) la attribuzione del carattere prededucibile ai «crediti di terzi sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore» (cfr. art. 50, co.3, c.c.i.); e) la estensione dell’efficacia degli “Accordi di Ristrutturazione” posti in essere dalle società con soci a responsabilità illimitata anche ai soci (art. 63, co. 3, c.c.i.); f) la possibilità di effetti vincolanti dell’“Accordo” nei confronti dei creditori non aderenti (cfr. art. 65 c.c.i.); Ad avviso di chi scrive, il fenomeno rilevato – l’avvicinamento degli “Accordi” al Concordato – non giova all’istituto, che perde la flessibilità e la duttilità che lo caratterizza attualmente5. Le modifiche proposte potranno rivelarsi produttive di effetti che vanno in senso contrario rispetto a quelli universalmente perseguiti. Secondo quanto previsto dall’art. 45, co. 7, c.c.i., «la domanda del debitore» – tanto in funzione dell’accesso ad un Concordato; quanto in funzione della (necessaria!) richiesta di concessione di un termine per

Sulle complessità originate dalla generalizzazione della possibilità (oggi circoscritta ai creditori bancari e finanziari) di estensione degli effetti dell’“Accordo” anche ai creditori non aderenti non altrimenti qualificati, v. Bozza, Gli Accordi di Ristrutturazione nella legge delega, in Diritto bancario, novembre 2017. 5

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il deposito di un “Accordo” di cui si richieda l’omologazione – «entro il giorno successivo al deposito è comunicata dal Cancelliere al registro delle imprese per la sua iscrizione, da farsi entro il giorno successivo al ricevimento». Ciò comporta l’immediata pubblicità della “crisi”: e non è difficile immaginare che ciò, nonché essere un incentivo ad anticiparne la emersione, potrà essere (rectius: sarà) un incentivo a ritardare fino all’ultimo il ricorso ai futuri istituti di risanamento dell’impresa. Ma non è questo di cui si stava discorrendo: ci si stava interrogando sulle ragioni per le quali le sentenze della Cassazione e i redattori degli “Schemi” di riforma della legge fallimentare creino i presupposti per l’aggravamento del fenomeno della incertezza del diritto, omettendo anche questa volta di precisare una volta per tutte cosa è “procedura concorsuale”, e cosa non lo è6: ma al momento non pare disponibile una risposta appagante.

5. Segue. Caratteri di “perennità” e di “precarietà” della prededuzione negli Schemi di decreti delegati di riforma della legge fallimentare L’accenno alla disciplina che sarebbe riservata agli “Accordi di Ristrutturazione” nella riforma della legge fallimentare che si sta approntando, con specifico riguardo all’effetto di attribuire carattere prededucibile ai crediti sorti in funzione della loro omologazione, rappresenta l’occasione per un sintetico (o sommario) commento anche a tale importante tema. Da una parte, la prededuzione assegnata ai crediti sorti (anche) in funzione dell’omologazione degli Accordi di Ristrutturazione, acquisirebbe un carattere di “perennità”: in via generale, infatti, l’art. 9, co. 2, c.c.i., afferma che: «La prededucibilità permane anche nell’ambito delle successive procedure esecutive o concorsuali».

6 Maliziosamente si può tuttavia osservare che l’economia che si sarebbe realizzata prevenendo le prevedibilmente innumerevoli controversie originate dalla “timidezza definitoria” segnalata, avrebbe più che compensato la rinuncia a “taglieggiare” le spettanze dei professionisti che operano nel settore delle imprese in crisi – cfr. art. 9, co. 1, lett. c) ed e) del c.c.i., che limita al 75% del dovuto il collocamento in prededuzione dei crediti professionali – solo loro! – sorti in funzione della domanda di omologazione degli “Accordi” oppure in funzione della presentazione della domanda di Concordato –.

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Commenti

La norma non precisa – e ciò induce a risolvere il dubbio in senso negativo – se la permanenza dell’effetto de quo sia circoscritta alle procedure consecutive a quella – quale che essa sia – produttiva della prededucibilità del credito: d’altro canto, mentre per una successiva “procedura concorsuale” potrebbe effettivamente porsi l’alternativa di un rapporto di “consecutività” con la procedura precedente, ovvero di mancanza di tale rapporto; per una successiva “procedura esecutiva” (da intendersi: di carattere individuale), il rapporto di “consecutività” non sarebbe comunque facile da individuare mai. La prededucibilità, pertanto, “permane”, negli Schemi di decreti delegati di riforma alla legge fallimentare, “in eterno” (fino al soddisfacimento del credito): il ché (i) ne avvicina la natura al privilegio; e (ii) suscita la domanda per quale ragione allora la prelazione che si è inteso attribuire ai crediti in discussione non sia stata veicolata attraverso la più collaudata strada dell’attribuzione di un privilegio. Sta di fatto che, a seguito dell’apertura di una “procedura concorsuale” (ivi compresa l’apertura di un Accordo di Ristrutturazione, come lo si voglia qualificare, stante la riferita estensione dell’art. 9, co. 2, c.c.i. anche all’“Accordo”) si creerà un indebitamento caratterizzato da una perenne attitudine a trovare collocazione prededucibile in qualsiasi futuro “concorso” – finanche quello prodotto dall’avvio di una esecuzione forzata individuale, mobiliare o immobiliare –, che imporrà alla società prima; ed ai gestori dell’eventuale crisi successiva (consecutiva o non consecutiva che essa sia), poi; una attenta “catalogazione” delle passività di qualsiasi natura (finanziaria; commerciale; erariale; extra-contrattuale; ecc.), che per il solo fatto di essere state prodotte da atti posti in essere, o da fatti occorsi, “in funzione”, ovvero “durante” la procedura originaria, sono destinate a vedersi attribuita una collocazione preferenziale rispetto al diverso indebitamento dell’impresa, sia esso anteriore o posteriore all’epoca di maturazione della prededuzione in commento. Da un’altra parte, però, la prededuzione in futuro sarà caratterizzata anche da connotati di precarietà: giacché pur essendosi prodotta in conseguenza dell’avveramento dei presupposti di legge che variamente la condizionano, potrà andare incontro a fenomeni di “revoca” ovvero di “decadenza”: comunque tali da privare i crediti interessati del diritto di essere soddisfatti con preferenza rispetto agli altri. Secondo gli artt. 104 e 106 c.c.i., infatti, i finanziamenti pur autorizzati per l’erogazione di “finanza-ponte”; ovvero per l’erogazione di “finanzainterinale”; o ancora per l’erogazione di “finanza-in esecuzione” di un Concordato preventivo ovvero di un Accordo di ristrutturazione, «non potranno beneficiare della prededuzione laddove risulti» la falsità o l’in-

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completezza o la presenza di atti fraudolenti nel ricorso per la richiesta dell’autorizzazione giudiziale o nella relativa attestazione, e «i soggetti che abbiano erogato tali finanziamenti fossero, o potessero essere sulla base dell’ordinaria diligenza, a conoscenza delle predette circostanze». Per converso, a proposito dei finanziamenti erogati “in esecuzione” di un Concordato preventivo o di un Accordo di Ristrutturazione, oltre all’ipotesi di “revoca” sopra descritta, può intervenire una ipotesi di “decadenza” dal diritto alla collocabilità in prededuzione nel concorso con gli altri creditori, allorché «nel corso dell’esecuzione del piano si siano verificati scostamenti tra i dati di piano e i dati consuntivi tali da rendere, sulla base di una valutazione da riferirsi all’epoca, il predetto piano manifestamente inattuabile». Tale previsione desta particolare interesse perché mette l’accento su un profilo critico che appartiene già al dibattito che investe il diritto della crisi d’impresa attuale. Ferma restando l’attribuibilità del carattere prededucibile ai finanziamenti erogati “in esecuzione” di un Concordato o di un “Accordo” omologati – cfr. art. 182-quater, co. 1, l. fall. –, infatti, è già oggi pertinente la domanda sulla “perennità” di questa attitudine (nel senso di prescindere dagli eventuali “scostamenti” nel frattempo prodottisi), ovvero sulla sua possibile “precarietà” (nel senso di essere condizionata alla perdurante “fattibilità” del Piano, per l’accertata mancanza di “scostamenti” o per il carattere non decisivo della loro produzione): con la conseguenza di introdurre l’interrogativo – che ad avviso di chi scrive deve ricevere risposta positiva7 – della necessità o meno (della previsione nel contesto della stessa proposta concordataria della pro-

Cfr. Bonfatti, La prededuzione dei crediti verso l’impresa in crisi tra natura della procedura e “consecutio” di procedimenti, in Rivista di diritto bancario, novembre 2017. D’altro canto la “timidezza definitoria” denunciata investe anche almeno un altro importante profilo dell’argomento in commento. L’effetto della retrodatazione della decadenza a ritroso dei “periodi sospetti” rilevanti ai fini dell’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari, infatti, oggi è attribuito per diritto positivo (art. 69–bis, co. 2, l. fall.) alla sequenza di procedure rappresentate dal fallimento apertosi consecutivamente ad un precedente Concordato preventivo: il ché consente di escludere che si possa produrre in occasione di una sequenza di provvedimenti diversa da quella descritta (“Accordo” – Concordato; “Accordo” – Fallimento; eccetera). Non pare che una disposizione analoga sia riproposta – quale che ne fosse il contenuto di specie – nella progettata “riforma”: il ché non può non suscitare ulteriori perplessità, essendo sicuro che su questo tema si confronteranno opinioni divergenti, con quanto di inefficienza ne può derivare nel campo delle procedure di composizione negoziale delle crisi. 7

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Commenti

grammazione di una puntuale attività di “monitoraggio” dei risultati conseguiti dalla esecuzione del “Piano”, ed a valle di essa) della acquisizione e della pubblicazione di una Attestazione integrativa sulla perdurante “fattibilità” del Piano originario, in presenza di scostamenti significativi. La esecuzione di un “Piano” di ristrutturazione dell’indebitamento pregresso attraverso – poniamo – la “continuità aziendale” può richiedere anni: e ad avviso di chi scrive è impensabile che tutto l’indebitamento (di qualsiasi natura) che si produca per il sostegno dell’attività d’impresa, per quanto qualificabile “esecutivo” del “Piano”, sia destinato ad essere anteposto ad ogni altra pretesa nell’eventuale fallimento consecutivo, senza il conforto di periodiche verifiche della perdurante “fattibilità” del “Piano” stesso.

Sido Bonfatti

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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni



LEGISLAZIONE

Nuova disciplina dei sistemi di garanzia dei depositi D.lgs. 15 febbraio 2016, n. 30 – Attuazione della direttiva 2014/49/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi. Art. 1 Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 1. Al comma 1 dell’articolo 69-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono apportate le seguenti modificazioni: a) la lettera d), è sostituita dalla seguente: «d) “depositi ammissibili al rimborso”: i depositi che, ai sensi dell’articolo 96bis.1, commi 1 e 2, sono astrattamente idonei a essere rimborsati da parte di un sistema di garanzia dei depositanti;»; b) la lettera e) è sostituita dalla seguente: «e) “depositi protetti”: i depositi ammissibili al rimborso che non superano il limite di rimborso da parte del sistema di garanzia dei depositanti previsto dall’articolo 96-bis.1, commi 3 e 4;». 2. Al comma 1-bis, lettera a), numero 1), dell’articolo 91 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, le parole: «dall’articolo 96-bis, comma 5» sono sostituite dalle seguenti: «dall’articolo 96-bis.1, commi 3 e 4». (Omissis) 6. Dopo l’articolo 96-bis sono inseriti i seguenti: «Art. 96-bis.1 (Depositi ammissibili al rimborso e ammontare massimo rimborsabile). – 1. Sono ammissibili al rimborso i crediti che possono essere fatti valere nei confronti della banca in liquidazione coatta amministrativa, secondo quanto previsto dalla Sezione III, relativi ai fondi acquisiti dalla banca con obbligo di restituzione, sotto forma di depositi o sotto altra forma, nonché agli assegni circolari e agli altri titoli di credito ad essi assimilabili. 2. In deroga al comma 1, non sono ammissibili al rimborso: a) i depositi effettuati in nome e per conto proprio da banche, enti finanziari come definiti dall’articolo 4, paragrafo 1, punto 26), del regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, imprese di investimento, imprese di assicurazione, imprese di riassicurazione, organismi di investimento collettivo del risparmio, fondi pensione, nonché enti pubblici;

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Legislazione

b) i fondi propri come definiti dall’articolo 4, paragrafo 1, punto 118), del regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo o del Consiglio del 26 giugno 2013; c) i depositi derivanti da transazioni in relazione alle quali sia intervenuta una condanna definitiva per i reati previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale; resta fermo quanto previsto dall’articolo 648-quater del codice penale; d) i depositi i cui titolari, al momento dell’avvio della procedura di liquidazione coatta amministrativa, non risultano identificati ai sensi della disciplina in materia di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo; e) le obbligazioni e i crediti derivanti da accettazioni, pagherò cambiari e operazioni in titoli. 3. L’ammontare massimo oggetto di rimborso ai sensi dell’articolo 96-bis, comma 1-bis, lettera a), è pari a 100.000 euro per ciascun depositante. Il limite è adeguato ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 7, della direttiva 2014/49/UE. 4. Il limite indicato al comma 3 non si applica, nei nove mesi successivi al loro accredito o al momento in cui divengono disponibili, ai depositi di persone fisiche aventi ad oggetto importi derivanti da: a) operazioni relative al trasferimento o alla costituzione di diritti reali su unità immobiliari adibite ad abitazione; b) divorzio, pensionamento, scioglimento del rapporto di lavoro, invalidità o morte; c) il pagamento di prestazioni assicurative, di risarcimenti o di indennizzi in relazione a danni per fatti considerati dalla legge come reati contro la persona o per ingiusta detenzione. 5. Ai fini del calcolo del limite di cui al comma 3: a) i depositi presso un conto di cui due o più soggetti sono titolari come partecipanti di un ente senza personalità giuridica sono trattati come se fossero effettuati da un unico depositante; b) se più soggetti hanno pieno diritto sulle somme depositate su un conto, la quota spettante a ciascuno di essi è considerata nel calcolo; c) si tiene conto della compensazione di eventuali debiti del depositante nei confronti della banca, se esigibili alla data in cui si producono gli effetti del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell’articolo 83, comma 1, nella misura in cui la compensazione è possibile a norma delle disposizioni di legge o di previsioni contrattuali applicabili. (Omissis) Art. 3 Informazioni da fornire ai depositanti 1. Le banche forniscono ai depositanti le informazioni necessarie per individuare il sistema di garanzia pertinente e le informazioni sulle esclusioni dalla

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relativa tutela, secondo quanto previsto dall’articolo 16 della direttiva 2014/49/ UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014. 2. Le informazioni richiamate al comma 1 sono messe a disposizione gratuitamente secondo le modalità previste per i fogli informativi dalle disposizioni della Banca d’Italia adottate ai sensi del titolo VI del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. 3. In tempo utile prima che il contratto sia concluso o che il depositante sia vincolato da un’offerta, al depositante è consegnato, opportunamente compilato, il «Modulo standard per le informazioni da fornire ai depositanti» di cui all’Allegato I della direttiva 2014/49/UE. L’avvenuta acquisizione del modulo da parte del depositante è attestata per iscritto o attraverso altro supporto durevole. 4. Le comunicazioni periodiche relative ai contratti di deposito previste ai sensi dell’articolo 119 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, includono la conferma che il deposito è ammesso al rimborso e un riferimento al modulo di cui al comma 3, nonché l’indicazione del sito web del sistema di garanzia pertinente. Almeno una volta all’anno, al depositante è fornita una versione aggiornata del modulo. 5. Il sito web del sistema di garanzia contiene le informazioni necessarie per i depositanti, in particolare quelle relative alla procedura e alle condizioni della tutela fornita dal sistema di garanzia. 6. Le banche non utilizzano a scopo pubblicitario le informazioni previste dai commi 1, 3 e 4, salva la facoltà di indicare negli annunci pubblicitari relativi ai contratti di deposito il sistema di garanzia che tutela il deposito pubblicizzato. 7. In caso di fusioni, cessioni o operazioni analoghe, nonché in caso di recesso o esclusione da un sistema di garanzia, la banca fornisce gratuitamente ai depositanti le informazioni previste dall’articolo 16, paragrafi 6 e 7, della direttiva 2014/49/UE, per iscritto o attraverso altro supporto durevole, entro i termini e con gli effetti previsti dalla medesima direttiva. 8. La Banca d’Italia può dettare disposizioni attuative del presente articolo, anche al fine di coordinarne la disciplina con quella adottata ai sensi del titolo VI del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. Le disposizioni della Banca d’Italia possono altresì prevedere che gli annunci pubblicitari relativi ai depositi contengano informazioni ulteriori rispetto a quella consentita dal comma 6. 9. Per l’inosservanza di quanto stabilito ai sensi del presente articolo si applicano le sanzioni previste dall’articolo 144, comma 1, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nonché il comma 8 del medesimo articolo 144. Si applicano altresì l’articolo 128 e il titolo VIII del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. (Omissis).

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Legislazione

Commento al d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 30: il nuovo sistema di protezione dei depositanti bancari Sommario: 1. Introduzione. – 2. La definizione di deposito nella direttiva 2014/49/ UE. – 3. La protezione “a geometria variabile” della moneta elettronica e degli altri strumenti di pagamento. – 4. Le (altre) esclusioni dalla definizione di deposito. – 5. Il “perimetro protetto” dai sistemi di garanzia dei depositanti – 6. Obblighi di trasparenza. – 7. Conclusioni.

1. Introduzione Il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 30 recepisce la direttiva 2014/49/UE (di seguito anche “DSGD”), che istituisce un quadro normativo armonizzato a livello dell’Unione Europea in materia di sistemi di garanzia dei depositi (di seguito anche “SGD”), attuando così la delega contenuta all’articolo 7 della legge 9 luglio 2015, n. 114 (legge delegazione europea 2014). I sistemi di garanzia dei depositi rappresentano un elemento essenziale dell’Unione bancaria1. Essi costituiscono un importante strumento per la gestione delle crisi bancarie, effettuando interventi volti ad attutire l’impatto di una crisi (in particolare, con il rimborso ai depositanti a certe condizioni) ed a prevenire l’insorgenza della stessa, mediante sostegno alla banca in difficoltà. La direttiva 2014/49/UE abroga, con effetto dal 4 luglio 2019, la direttiva 94/19/CE, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri di recepirne la gran parte delle disposizioni entro il 3 luglio 20152. La direttiva 94/19/CE si basava sul principio dell’armonizzazione minima, per cui esisteva nell’Unione una varietà di sistemi di garanzia dei depositi con caratteristiche molto diverse.

1 L’Unione Bancaria poggia su tre pilastri normativi: i) il Meccanismo di vigilanza unico (SSM), ii) il Meccanismo di risoluzione unico (SRM) e iii) le connesse disposizioni in materia di finanziamento, che comprendono il Fondo di risoluzione unico (SRF), i Sistemi di garanzia dei depositi (SGD) e un meccanismo comune di backstop (linea di credito). I tre pilastri si basano su due serie di norme orizzontali applicabili a tutti gli Stati membri: i requisiti patrimoniali per le banche (pacchetto CRD IV) e le disposizioni della direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche (BRRD). 2 Cfr. artt. 20 e 21 DSGD. Per talune norme tecniche il termine previsto per il recepimento è posposto al 31 maggio 2016.

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Gian Luca Greco

La direttiva 2014/49/UE contribuisce al completamento del mercato interno, garantendo ai depositanti – in assenza di un fondo comune europeo di tutela – un livello di protezione uniforme in tutta l’Unione3 e, al contempo, assicurando lo stesso livello di stabilità dei SGD. La previsione di requisiti comuni è di estrema importanza al fine di eliminare le distorsioni di mercato, promuovendo condizioni eque di concorrenza tra le banche al fine di evitare forme di arbitraggio regolamentare all’interno dell’Unione Europea4. È noto, infatti, che nella recente crisi finanziaria i differenti livelli di copertura dei depositi presenti negli Stati membri hanno favorito il trasferimento di denaro verso banche sottoposte a sistemi di garanzia dei depositi maggiormente tutelanti, determinando distorsioni di concorrenza nel mercato interno. Il nuovo regime armonizzato imposto dalla direttiva 2014/49/UE impone agli Stati membri lo stesso livello di copertura dei depositi per tutti i sistemi di garanzia, pari, in via generale, a 100.000 euro per depositante, indipendentemente da dove siano situati i depositi all’interno dell’Unione Europea. La direttiva 2014/49/UE prevede che i SGD si dotino di risorse commisurate ai depositi protetti: si assiste dunque al passaggio da un sistema di contribuzione ex-post, in cui i fondi vengono “chiamati” in caso di necessità, a un altro ex-ante, in cui i fondi sono versati periodicamente fino a raggiungere la percentuale prestabilita dei depositi protetti (risk based contribution). A tal fine è previsto (art. 10) l’obbligo a carico degli intermediari di versare contributi su base periodica, almeno annuale. Sono inoltre stabiliti requisiti finanziari minimi comuni per i sistemi di garanzia dei depositi – i cui mezzi finanziari disponibili dovranno raggiungere, entro il 3 luglio 2024, almeno un livello dello 0,8 per cento

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Come ha osservato Barbagallo, Esame del disegno di legge di delegazione europea 2014 (A.S. 1758), Audizione presso il Senato della Repubblica – 14a Commissione Permanente – Politiche dell’Unione Europea, Roma, 18 marzo 2015, p. 13: «L’armonizzazione della disciplina sui sistemi di garanzia dei depositi prevista dalla Direttiva 2014/49/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio rappresenta il risultato più avanzato finora raggiunto nell’ambito del terzo pilastro dell’Unione Bancaria, essendo stato per ragioni politiche accantonato il progetto di realizzare un fondo comune europeo di tutela dei depositanti». 4 In argomento cfr., con approccio critico, Chessa, De Gioia Carabellese, Il cosiddetto sistema paneuropeo di protezione dei depositanti: un ulteriore euro autogol? Un’analisi critica della direttiva 2014/49, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, I, p. 332 ss.

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Legislazione

dell’importo dei depositi coperti5 – nonché una graduale riduzione dei termini per il pagamento del rimborso a favore dei depositanti. Nella DSGD sono inoltre individuate in modo puntuale le modalità di intervento dei sistemi di garanzia. In particolare, premesso che i mezzi finanziari di cui sono dotati i SGD devono essere usati principalmente per il rimborso dei depositanti e per finanziare la risoluzione delle banche in conformità all’art. 109 della direttiva 2014/59/UE, gli Stati membri possono autorizzare un SGD a utilizzare tali mezzi per misure alternative volte a evitare il fallimento di una banca, purché siano soddisfatte alcune condizioni, tra cui l’assenza di un’azione di risoluzione, la circostanza che i costi delle misure non superino i costi necessari ad adempiere il mandato statutario o contrattuale dei SGD, l’impegno della banca a una vigilanza più rigorosa del rischio e ampi diritti di controllo da parte del SGD. Il co. 1-bis dell’art. 96-bis t.u.b., introdotto dal d.lgs. n. 30/2016, conferma la possibilità di effettuare tali interventi alternativi, individuandoli in maniera tassativa e distinguendo tra: interventi preventivi, effettuati a sostegno di una banca in crisi per evitarne il dissesto; interventi a sostegno di cessioni effettuati nel corso di una liquidazione coatta amministrativa; contributi da erogare nell’ambito di una risoluzione in luogo del sacrificio che i depositi protetti avrebbero sopportato se essi fossero stati sottoposti a bail-in. Circa gli interventi preventivi, la predetta norma richiede, in linea con la DSGD, che essi possano essere effettuati al verificarsi di specifiche condizioni: la banca beneficiaria non sia sottoposta a risoluzione né ne ricorrano i presupposti; la banca beneficiaria sia in grado di versare i contributi straordinari al fine di reintegrare la dotazione patrimoniale del sistema di garanzia; il costo dell’intervento non debba superare il costo che il sistema, secondo quanto ragionevolmente prevedibile, dovrebbe sostenere per effettuare altri interventi nei casi previsti dalla legge o dallo statuto (principio del c.d. minor onere). Con riferimento alle modalità di rimborso dei depositanti in caso di insolvenza di una banca, l’art. 96-bis.2 t.u.b., in attuazione dell’art. 8

5 Ai sensi del nuovo art. 96.1 del t.u.b., il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, può prevedere, previa approvazione della Commissione europea e a certe condizioni, una dotazione finanziaria inferiore a quella sopra indicata e pari almeno allo 0,5 per cento dell’importo dei depositi protetti delle banche aderenti, ad eccezione di quelli non sottoposti al limite massimo di rimborso di 100.000 euro (sui quali v. infra).

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Gian Luca Greco

DSGD, prevede, tra l’altro, che: a) il rimborso sia effettuato entro sette giorni lavorativi (a partire dal 1° gennaio 2024; fino a tale data, il termine entro il quale il sistema di garanzia dei depositanti effettua i rimborsi è pari a: 20 giorni lavorativi fino al 31 dicembre 2018; 15 giorni lavorativi dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2020; 10 giorni lavorativi dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2023) dalla data in cui si producono gli effetti del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa; b) in taluni casi il rimborso possa essere sospeso (incertezza sul diritto del titolare a ricevere il rimborso o presenza di una controversia in sede giudiziale o presso un organismo di risoluzione stragiudiziale delle controversie; sottoposizione del deposito a misure restrittive imposte da uno Stato o da un’organizzazione internazionale; deposito “dormiente” da almeno due anni; rimborso per importo superiore a 100.00 euro, ove previsto; rimborso avente ad oggetto depositi di una banca italiana con succursali stabilite in altri Stati membri); c) il diritto al rimborso si consideri estinto decorsi cinque anni dalla data in cui si producono gli effetti del provvedimento di avvio della liquidazione coatta amministrativa. Infine, è armonizzata l’informativa ai depositanti (su cui v. infra, sub par. 6) e prevista la cooperazione cross border tra SGD6. Su quest’ultimo punto, in particolare, l’art. 96-quater.2 t.u.b., che recepisce i contenuti dell’art. 14 DSGD, prevede che la Banca d’Italia individui il sistema di garanzia italiano incaricato del rimborso dei depositanti delle succursali italiane di banche comunitarie, che agirà per conto del sistema di garanzia dello Stato membro di origine, dopo che quest’ultimo gli avrà fornito i fondi necessari. A tal fine è previsto che i sistemi di garanzia concludano fra di essi accordi di cooperazione, che verranno trasmessi alla Banca d’Italia, che ne informerà, a sua volta, l’Autorità bancaria europea. Fermo restando che l’assenza di accordi non può pregiudicare i diritti dei depositanti, è previsto che in tale ipotesi, o laddove vi sia disputa sull’interpretazione dell’accordo, la questione sia deferita all’Autorità bancaria europea. Nelle pagine che seguono ci soffermeremo sull’ambito di tutela apprestato dalla nuova disciplina dei sistemi di garanzia dei depositanti, con particolare riferimento al perimetro dei depositi protetti7.

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Sul punto v. tra gli altri, Maccarone, Il ruolo e l’ambito di intervento dei DGS e dei fondi di risoluzione nelle crisi bancarie, in Dir. banc., 2015, p. 182. 7 La nuova disciplina delle crisi bancarie prevede altresì una collocazione preferenziale dei crediti dei depositanti nell’ambito del concorso con gli altri creditori della banca in

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2. La definizione di deposito nella direttiva 2014/49/UE La direttiva 2014/49/CE ha la finalità di proteggere i depositanti dalle conseguenze dell’insolvenza di una banca8, per cui rileva in modo particolare la definizione di “depositante” e di “deposito”. Se per “depositante” si intende semplicemente il titolare o, in caso di rapporto congiunto, ognuno dei titolari del deposito9, ben più articolata è la definizione di “deposito”. Secondo la DSGD il deposito è, in linea di principio, un saldo creditore, risultante da fondi depositati in un conto o da situazioni transitorie derivanti da operazioni bancarie normali, che la banca è obbligata a restituire secondo le condizioni legali e contrattuali applicabili. Viene precisato che in questo ambito sono ricompresi sia i depositi a termine fisso che i depositi di risparmio, mentre sono esclusi i saldi creditori rappresentati da strumenti finanziari (fatta eccezione per i certificati di deposito nominativi già emessi al 2 luglio 2014) nonché quelli non rimborsabili alla pari o rimborsabili alla pari solo in base a una determinata garanzia o a un determinato accordo fornito dalla banca o da un terzo10. La definizione di deposito riportata nella DSGD è stata recepita nell’art. 69-bis t.u.b., inserito con il d.lgs. 16 novembre 2015, n. 181. Nel nostro ordinamento per depositi si intendono, in particolare, i crediti relativi ai fondi acquisiti dalle banche con obbligo di rimborso11, a prescindere dal fatto che siano depositati su conto o temporaneamente detenuti a fronte di operazioni bancarie normali12, come invece la DSGD precisa.

crisi, al di là della protezione offerta dai sistemi di garanzia. Su tali aspetti, che non saranno oggetto del nostro circoscritto ambito d’indagine, si veda, ampiamente, Bonfatti, La disciplina della depositor preference e il ruolo dei sistemi di garanzia dei depositanti, in Rivista di diritto bancario, n. 6, 2016, p. 1 ss. 8 Cfr., tra l’altro, il considerando 14 DSGD. Come precisa Maccarone, Il ruolo, cit., p. 185, «il compito dei DGS è il rimborso dei depositi; eventuali interventi diversi devono ritenersi eccezionali e subordinati al ricorrere delle condizioni espressamente indicate nelle diverse sedi normative». 9 Cfr. art. 2, par. 1, n. 6), DSGD. 10 Cfr. art. 2, par. 1, n. 3), DSGD. 11 Sulla definizione di deposito cfr., da ultimo, Cera, Il depositante bancario tra processo economico e mercati, in AGE, n. 2, 2016, p. 276. 12 La DSGD precisa che deve trattarsi di operazioni bancarie “normali”, probabilmente per escludere i fondi derivanti da operazioni della banca non legate alla propria attività caratteristica (es. cauzioni da fornitori).

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3. La protezione “a geometria variabile” della moneta elettronica e degli altri strumenti di pagamento Possono avanzarsi dubbi circa la riconducibilità ai “depositi”, come sopra definiti, della moneta elettronica e dei fondi ricevuti in cambio della moneta elettronica. Innanzi tutto occorre ricordare che per “moneta elettronica”, ai sensi dell’art. 1, co. 1, lett. h-ter) t.u.b., deve intendersi il valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso per effettuare operazioni di pagamento (ossia versamenti, trasferimenti o prelevamenti di fondi tra un pagatore e un beneficiario)13, e che sia accettato da persone fisiche e giuridiche diverse dall’emittente. Non costituisce moneta elettronica, peraltro, il valore monetario memorizzato sugli strumenti a spendibilità limitata14 o per pagamenti eseguiti tramite operatore di telecomunicazione, digitale o informatico15. Il legislatore europeo ritiene che la moneta elettronica e i fondi ricevuti in cambio di essa non dovrebbero essere trattati come depositi né rientrare nell’ambito di applicazione della DSGD16. Tale conclusione prende le mosse dalla direttiva 2009/10/CE, ove si afferma espressamente che gli istituti di moneta elettronica non effettuano la raccolta di depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico ai sensi dell’art. 5 della direttiva 2006/48/CE, in ragione del fatto che la moneta elettronica riveste carattere specifico di sostituto elettronico delle monete e delle banconote, utilizzabile per effettuare pagamenti generalmente di piccoli importi e non come strumento di risparmio17.

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Cfr. art. 1, co. 1, lett. c) del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11. Cfr. art. 2, co. 2, lett. m), d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11 e par. 2.2.6 del Provvedimento Banca d’Italia, Attuazione del Titolo II del Decreto legislativo n. 11 del 27 gennaio 2010 relativo ai servizi di pagamento (Diritti e obblighi delle parti), 5 luglio 2011. 15 Cfr. art. 2, co. 2, lett. n), d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11 e par. 2.2.9 del Provvedimento Banca d’Italia, Attuazione del Titolo II del Decreto legislativo n. 11 del 27 gennaio 2010 relativo ai servizi di pagamento (Diritti e obblighi delle parti), 5 luglio 2011. 16 Cfr. considerando 29 DSGD. 17 Cfr. considerando 13 e art. 6 della direttiva 2009/110/CE del 16 settembre 2009, concernente l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, che modifica le direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la direttiva 2000/46/CE. La direttiva 2000/46/CE, in realtà aveva già specificato che «l’emissione di moneta elettronica, per la sua particolare natura di surrogato elettronico di monete metalliche o banconote, non costituisce in sé attività di raccolta di depositi a 14

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Nel recepire la direttiva 2009/110/CE e, prima ancora, la direttiva 2000/46/CE, anche il nostro legislatore ha precisato che non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico la ricezione di fondi connessa all’emissione di moneta elettronica18. D’altro canto, occorre considerare che l’emittente di moneta elettronica è obbligato a rimborsare, su richiesta del detentore, la moneta elettronica in ogni momento e al valore nominale, secondo i termini e le modalità disciplinate nel contratto di emissione19. Ma allora, se il detentore di moneta elettronica ha un credito verso la banca emittente che deve essere rimborsato al valore nominale, com’è possibile escludere che si tratti di deposito? Sul punto è stato osservato che il fatto che la moneta elettronica sia rimborsabile a vista e che l’obbligo di rimborso rappresenti l’effetto dello scioglimento del rapporto non consente di accostare tale passività al deposito bancario20. Sotto altro punto di vista, rileva la funzione economica stessa della moneta elettronica, ontologicamente destinata all’effettuazione di operazioni di pagamento quale valore monetario, memorizzato elettronicamente o magneticamente, accettato da persone fisiche e giuridiche diverse dall’emittente21. A rafforzare la natura di mezzo di pagamento ed escludere quella di deposito può aggiungersi che l’emittente non può concedere interessi o qualsiasi altro beneficio commisurato alla giacenza della moneta elettronica22. Le considerazioni fin qui proposte porterebbero ad escludere che la moneta elettronica possa essere utilizzata come deposito con finalità di

norma dell’articolo 3 della direttiva 2000/12/CE, se i fondi ricevuti sono immediatamente cambiati in moneta elettronica» (considerando 7), anche se, contemporaneamente, aveva precisato che «la ricezione di fondi dal pubblico in cambio di moneta elettronica, che risulta in un saldo a credito in un conto presso l’ente di emissione, costituisce ricezione di depositi o altri fondi rimborsabili ai fini della direttiva 2000/12/CE» (considerando 8). 18 Cfr. art. 11, co. 2-bis, del t.u.b. 19 Cfr. art. 114-ter, co. 1, t.u.b., in attuazione dell’art. 11, co. 2, della direttiva 2009/110/ CE. 20 In questo senso Motti, Emissione di moneta elettronica ed attività bancaria, in Gli istituti di moneta elettronica, a cura di Spena e Gimigliano, Milano, 2005, p. 96; e Gimigliano, Commento sub art. 114-bis, in Testo unico bancario. Commentario, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina e Santoro, Milano, 2010, p. 899. 21 Cfr. art. 1, co. 1, lett. h-ter, t.u.b. 22 Cfr. art. 114-bis, co. 3, t.u.b., in attuazione dell’art. 12 della direttiva 2009/110/CE.

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risparmio e, quindi, che vi siano i presupposti per proteggere i relativi detentori in caso di crisi della banca emittente. La scelta di sottrarre la moneta elettronica dalla raccolta bancaria e, dunque, dalla garanzia di restituzione, in quanto mezzo di pagamento, è comprensibile (per quanto opinabile) ma occorrerebbe, quanto meno, darne adeguata evidenza al cliente della banca, per il quale può essere tutt’altro che semplice comprendere perché i fondi depositati su di un conto corrente, utilizzabili a vista con un bancomat mediante prelievo su ATM o per pagare le proprie spese con servizio POS, siano protetti dal fondo di garanzia dei depositi e quelli “trasformati” in moneta elettronica presso la stessa banca, utilizzabili con le stesse modalità, non lo siano23. In proposito, pare arduo sostenere che la differenza stia nel fatto che i fondi depositati sul conto corrente sono remunerati, mentre quelli memorizzati sulla carta prepagata no: tutti sanno, infatti, che oggi la maggior parte delle banche non remunera la giacenza sul conto corrente, che quindi ormai assolve in via pressoché esclusiva alla funzione di servizio di cassa24. La disciplina vigente presenta dunque, a ben vedere, talune ambiguità e contraddizioni difficilmente spiegabili. L’art. 96-bis.1 t.u.b., introdotto dal d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 30, individua i depositi ammissibili al rimborso dal fondo di garanzia e l’ammontare massimo rimborsabile. Nella definizione di depositi ammissibili al rimborso è riprodotto il disposto del previgente art. 96-bis, comma 3, t.u.b.: in sostanza, si richiama la prima parte dell’art. 69-bis, co.1, lett. c), t.u.b. (per cui sono depositi «i crediti relativi ai fondi acquisiti dalle banche con obbligo di rimborso»),

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Si ricorda che, ai sensi dell’art. 114-quinquies.1, co. 3, t.u.b., i detentori di moneta elettronica sono equiparati ai clienti aventi diritto alla restituzione di strumenti finanziari ai fini dell’applicazione della disciplina della liquidazione coatta amministrativa di un istituto di moneta elettronica. Tale disposizione è espressamente diretta agli istituti di moneta elettronica, che sono tenuti a depositare su banche terze, quali beni di terzi, le somme di denaro ricevute a fronte della moneta elettronica emessa, ovvero a investirle su titoli di debito qualificati depositati preso depositari abilitati o quote di fondi comuni di investimento armonizzati (cfr. art. 114-quinquies t.u.b. e il Provvedimento di Banca d’Italia del 17 maggio 2016, Disposizioni di vigilanza per gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica, Cap. IV, sez. II, par. 3). Analoga disposizione non è però prevista per le banche che emettono moneta elettronica. 24 In proposito Santoro (Il conto corrente bancario, Milano, 1992, pp. 19-20) ha parlato di «contratto con cui la banca mette a disposizione del cliente la propria organizzazione per l’espletamento dei servizi di pagamento».

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aggiungendosi che in tale ambito rientrano i depositi, i crediti aventi le suddette caratteristiche ma che si presentino «sotto altra forma», nonché, specificatamente, gli assegni circolari e gli altri titoli ad essi assimilabili. La definizione dei fondi ammissibili al rimborso riprende evidentemente la nozione di raccolta del risparmio di cui all’art. 11, co. 1, t.u.b. Abbiamo anche detto che la moneta elettronica non può farsi rientrare tra “le altre forme” con cui può manifestarsi il credito verso la banca con obbligo di rimborso, in quanto mezzo di pagamento normativamente escluso dalla nozione di raccolta del risparmio25. Non si comprende però, a questo punto, perché siano ammissibili al rimborso del fondo di garanzia – per espressa previsione di legge – gli assegni circolari e gli altri titoli ad essi assimilabili: non essendoci dubbi, infatti, che anche gli assegni circolari siano mezzi di pagamento e non strumenti di risparmio26, va da sé che essi, al pari della moneta elettronica, dovrebbero essere esclusi dalla garanzia di restituzione. Con riferimento all’analoga, previgente disposizione di cui all’art. 96bis t.u.b. è stato sostenuto, al proposito, che la precisazione secondo la quale assegni circolari e altri titoli di credito assimilabili sono coperti dai sistemi di garanzia non è superflua, perché il titolo di credito può essere emesso anche attraverso l’utilizzo di affidamenti concessi dalla banca, e non a valere su fondi precedentemente acquisiti dal cliente; per tale motivo dovrebbe ritenersi che il legislatore abbia voluto perseguire l’obiettivo della tutela della fondamentale funzione dei mezzi di pagamento svolta da tali titoli e della fiducia del pubblico nell’utilizzo degli stessi per le transazioni finanziarie27. La ratio della disciplina europea in materia bancaria e di moneta elettronica oggi impedisce, però, di ritenere fondata la scelta del legislatore italiano di estendere la protezione dei sistemi di garanzia agli assegni circolari e ai titoli ad essi assimilabili.

25 Cfr. art. 11, co. 2-bis, t.u.b. Secondo la stessa logica non costituisce raccolta del risparmio – e è quindi esclusa dall’ammissibilità al rimborso da parte dei fondi di garanzia – «la ricezione di fondi da inserire in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione di servizi di pagamento», ai sensi dell’art. art. 11, comma 2-ter, t.u.b. In argomento si rinvia a Santoro, I conti di pagamento degli istituti di pagamento, in Giur. comm., n. 5, 2008, p. 860 ss. 26 È pacifico peraltro che i fondi utilizzati per l’emissione di assegni circolari non siano produttivi di interesse, essendo tali titoli sempre pagabili al solo valore nominale. 27 Cfr. Cercone, Commento sub art. 96-bis, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia3, diretto da Capriglione, Padova, 2012, p. 1240.

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Non può quindi che rilevarsi, sul punto, un contrasto tra la normativa nazionale e la direttiva 2014/49/UE, che potrebbe indurre il giudice nazionale, se chiamato a pronunciarsi su di una controversia avente ad oggetto le modalità concrete di copertura dei depositi garantiti in caso di crisi di una banca italiana, a provocare un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per verificare se vi sia stata una corretta trasposizione della suddetta direttiva. In ogni caso, tenuto conto che oggigiorno per il consumatore di servizi finanziari, per esempio, le carte prepagate evolute con funzionalità estese (prelievi, pagamenti POS, bonifici, pagamento utenze, RID, MAV, ecc.) ed i conti correnti possono apparire (e spesso effettivamente sono) succedanei, sarebbe opportuno che il legislatore nazionale e le autorità di vigilanza competenti prevedessero specifici interventi di educazione finanziaria rivolti al pubblico nonché un’apposita informativa su tutti i prodotti emessi dalle banche circa l’ammissione o meno del prodotto alla protezione dei sistemi di garanzia28.

4. Le (altre) esclusioni dalla definizione di deposito L’art. 69-bis t.u.b. ripropone le esclusioni previste dall’art. 2, par. 1, n. 3), DSGD, ricordando che costituiscono depositi i certificati di deposito purché non rappresentati da valori mobiliari emessi in serie. Rispetto alla direttiva deve notarsi che non viene fatto cenno alla circostanza che i certificati siano nominativi né che debbano esistere in uno Stato membro il 2 luglio 2014: mentre la questione della nominatività è implicitamente risolta in ragione del fatto che il limite massimo del rimborso è fissato per depositante, si può ipotizzare che il mancato richiamo al limite temporale sia giustificato dall’opinione secondo la quale un certificato di deposito diverso da un valore mobiliare emesso in serie non è mai uno strumento finanziario, bensì semplicemente un

28 Come vedremo infra, l’art. 3 del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 30, in attuazione dell’art. 16 DSGD, prevede un’informativa sul sistema di garanzia pertinente e sulle esclusioni dalla relativa tutela solo in relazione ai depositi ammissibili. Con riferimento ad altri prodotti emessi dalla banca che possono soddisfare esigenze in larga parte analoghe a quelle dei conti correnti e dei depositi a risparmio – come ad esempio, rispettivamente, carte prepagate e obbligazioni – la legge non prevede, al contrario, alcuna informativa in merito all’assenza di garanzia di restituzione dei fondi acquisiti dalla banca.

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deposito a termine fisso rappresentato da uno specifico documento di legittimazione29. Circa l’esclusione dei «crediti relativi a fondi acquisiti dalla banca debitrice rappresentati da strumenti finanziari indicati dall’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58», si ritiene che l’espressione ricomprenda alcune delle fattispecie già escluse dalla tutela ai sensi del previgente art. 96-bis, co. 4, lett. b) e c-bis), t.u.b., che faceva riferimento alle obbligazioni e ai crediti derivanti da accettazioni, pagherò cambiari ed operazioni in titoli30, nonché agli strumenti finanziari disciplinati dal codice civile. Rappresenta un elemento di novità, almeno dal punto di vista letterale, l’esclusione dalla nozione di depositi dei crediti relativi a fondi acquisiti dalla banca «il cui capitale non è rimborsabile alla pari, ovvero il cui capitale è rimborsabile alla pari solo in forza di specifici accordi o garanzie concordati con la banca o terzi». Prima facie, la norma ora citata non pare far altro che ribadire quella che, almeno nel nostro ordinamento, è una prestazione essenziale della banca depositaria nei confronti del cliente depositante, dal quale ha acquisito i mezzi monetari, ossia l’obbligazione restitutoria della proprietà del tantundem alla scadenza del termine convenuto o, come più spesso accade, a semplice richiesta31. Vuoi che il deposito bancario sia ricondotto alla figura del mutuo32, vuoi che si faccia riferimento al deposito irregolare33, vuoi, infine, che si ritenga essere una fattispecie a sé stante, caratterizzata da una specifica causa, pur con caratteristiche simili ad altre figure civilistiche34, non viene messo in discussione che la banca sia tenuta a restituire al depositante un importo almeno pari a quanto da questi versato, accresciuto degli interessi pattuiti.

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In argomento v. anche Corte di Giustizia UE, sez. II, 25 giugno 2015, C-671/13. In ogni caso, si anticipa che le obbligazioni e i crediti derivanti da accettazioni, pagherò cambiari ed operazioni in titoli sono espressamente esclusi dai depositi ammissibili al rimborso ai sensi dell’art. 96-bis.1, comma 2, lett. e), t.u.b. 31 Per tutti v. Cavalli, Il deposito bancario, in Cavalli e Callegari, Lezioni sui contratti bancari, Bologna, 2011, p. 123. 32 Porzio, Il deposito bancario, in Angelici, Belli, Porzio e Rispoli Farina, I contratti delle banche, Torino, 1985, p. 105 ss.. 33 Martorano, Il conto corrente bancario, Napoli, 1955, p. 20 ss.; Molle, I contratti bancari, in Tratt. Cicu-Messineo, 1981, p. 115 ss. 34 Cavalli, Il deposito, cit., p. 127. 30

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In altre parole, laddove si tratti di un deposito bancario, la precisazione normativa sulla rimborsabilità alla pari è superflua. Se la questione si pone, allora non può trattarsi di deposito bancario ma di altra forma di raccolta, che dunque si deve ritenere assimilabile al deposito, in ordine alla successiva ammissibilità al rimborso del sistema di garanzia dei depositanti, solo se è previsto che il rimborso del capitale acquisito dalla banca venga effettuato integralmente e senza condizioni.

5. Il “perimetro protetto” dai sistemi di garanzia dei depositanti Esaminata la nozione di “deposito”, è necessario definire in che ambito concretamente operino i sistemi di garanzia, ossia il “perimetro protetto”. Sul punto, occorre preliminarmente ricordare che, nel recepire la direttiva 2014/49/UE, il legislatore nazionale ha introdotto, nell’art. 69-bis t.u.b., la definizione di “depositi ammissibili al rimborso”, indicando come tali «i depositi che, ai sensi dell’articolo 96-bis.1, commi 1 e 2, sono astrattamente idonei a essere rimborsati da parte di un sistema di garanzia dei depositanti», nonché quella di “depositi protetti”, vale a dire «i depositi ammissibili al rimborso che non superano il limite di rimborso da parte del sistema di garanzia dei depositanti previsto dall’articolo 96bis.1, commi 3 e 4». Le due nozioni ora richiamate – che tengono conto della necessità di escludere taluni depositi dalla garanzia e di limitare, salvo casi eccezionali, l’ambito quantitativo della stessa – sono state inserite anche nel d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180, con il quale è stata data attuazione alla direttiva 2014/59/UE, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento (c.d. BRRD). La procedura di risoluzione delle banche, infatti, prevede che taluni depositi – in particolare, i “depositi protetti” – non subiscano perdite35 e che, in particolare, essi siano sottratti al bail-in36. L’ammontare dei depositi protetti determina anche il livello-obiettivo della dotazione finanziaria e dei prestiti dei fondi di risoluzione37 nonché la misura degli interventi dei sistemi di garanzia dei depositanti nel contesto della ri-

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Cfr. art. 22, co. 1, lett. d) del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180. Cfr. art. 49, co. 1, lett. a) del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180. Cfr. artt. 81 e 84 del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180.

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soluzione della banca aderente in crisi38. I depositi protetti e quelli ammissibili al rimborso sono infine determinanti per l’intervento del fondo di risoluzione in caso di bail-in della banca e, quindi, per l’esclusione di passività dalla riduzione o conversione in capitale che di regola ne consegue39. L’allineamento delle disposizioni sui sistemi di garanzia contenute nel t.u.b. e di quelle sulla risoluzione delle banche di cui al d.lgs. n. 180/2015 riflettono evidentemente la configurazione “a pilastri” dell’Unione bancaria, che prevede, in particolare, una gestione delle crisi bancarie in stretto coordinamento tra fondi di risoluzione (a finanziamento statale) e sistemi di garanzia dei depositanti (a finanziamento mutualistico delle banche). Tornando ora ad esaminare il “perimetro protetto” dai sistemi di garanzia dei depositanti, si osserva che il passaggio dai “depositi ammissibili al rimborso” ai “depositi protetti” – ossia dall’”astratta idoneità” al diritto al rimborso – comporta tanto l’esclusione di taluni depositi, per ragioni soggettive (qualità del depositante) e oggettive (qualità dei crediti), quanto la limitazione dell’ammontare massimo rimborsabile. In particolare, nell’individuare i depositi che beneficiano della protezione dei sistemi di garanzia, l’art. 96-bis.1 t.u.b. stabilisce l’ammontare massimo del rimborso in 100.000 euro40 (fatti salvi alcuni casi in cui il limite è temporaneamente disapplicato)41 e dispone altresì, in linea con l’art. 5 DSGD, le esclusioni dall’ammissibilità al rimborso42. Le deroghe all’ammissibilità al rimborso di carattere soggettivo attengono, in primo luogo, ai depositi effettuati in nome e per conto di banche, intermediari finanziari, IMEL, istituti di pagamento e altri soggetti qualificabili come enti finanziari ai sensi dell’art. 4, par. 1, n. 26 del regolamento (UE) n. 575/201343, imprese di investimento, imprese di assicurazione di riassicurazione, OICR, fondi pensione e enti pubblici.

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Cfr. art. 86 del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180. Cfr. art. 49, comma 8, lett. b) e comma 9, lett. b) del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180. Con riferimento agli impatti della BRRD sulla clientela bancaria si consenta il rinvio a Greco, La tutela del risparmiatore alla luce della nuova disciplina di «risoluzione» delle banche, in Banca, impresa, soc., n. 1, 2016, p. 77 ss. 40 Cfr. art. 96-bis.1, co. 3 e 5, t.u.b. 41 Cfr. art. 96-bis.1, co. 4, t.u.b. 42 Cfr. art. 96-bis.1, co. 2, t.u.b. 43 Trattasi di: un’impresa diversa da un ente la cui attività principale consiste nell’assunzione di partecipazioni o nell’esercizio di una o più delle attività di cui ai punti 39

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L’esclusione in questione riprende in larga misura quanto previsto all’art. 5 DSGD e, in precedenza, all’art. 96-bis t.u.b.. Può notarsi però che l’espressione “autorità pubbliche” della DSGD è stata resa, nella disciplina nazionale, come “enti pubblici”, senza alcun riferimento al fatto che si tratti delle sole Amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici territoriali (come disponeva il previgente art. 96-bis) o anche degli altri enti pubblici. L’esclusione delle Amministrazioni di Stato e territoriali è già stata, giustamente, criticata in passato44, non rinvenendosi motivi dirimenti per privare tali depositanti di qualunque tutela da parte dei fondi di garanzia. La scelta del legislatore della DSGD parrebbe fondata sul numero limitato di tali soggetti (circostanza che minimizzerebbe il rischio di bank run e quindi l’impatto sulla stabilità del sistema finanziario) e sul loro più agevole accesso al credito rispetto ai cittadini. In tale ottica potrebbe spiegarsi il motivo per cui gli Stati membri possono prevedere la copertura dei sistemi di garanzia con riferimento ai depositi delle autorità locali con un bilancio annuo fino a 500.000 euro45: la ridotta dimensione di tali soggetti, infatti, potrebbe non consentire una maggiore capacità di credito rispetto agli altri depositanti. Al cospetto della DSGD, però, non appare affatto spiegabile l’ampliamento, nel t.u.b., della deroga soggettiva al rimborso da parte dei fondi di garanzia ad enti pubblici diversi dalle autorità46: come è noto, nella

da 2 a 12 e al punto 15 dell’allegato I della direttiva 2013/36/UE, comprese una società di partecipazione finanziaria, una società di partecipazione finanziaria mista, un istituto di pagamento ai sensi della direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, e una società di gestione patrimoniale, ma escluse le società di partecipazione assicurativa e le società di partecipazione assicurativa miste quali definite all’articolo 212, paragrafo 1, lettera g), della direttiva 2009/138/CE. 44 Mecatti, Commento sub art. 96-bis, in Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina e Santoro, a cura di, Testo unico, cit., pp. 778-779. 45 Cfr. considerando 31 e art. 5, comma 2, lett. b), DSGD. 46 Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, la nozione di “autorità pubblica” è stata ristretta, quanto meno ai fini dell’estensione della deroga al principio di non discriminazione di cui all’art. 51 TFUE, ai soggetti esercitanti attività che comportano l’esercizio di poteri decisionali (Thijssen, 13 luglio 1993, C-42/9; Commissione c. Austria, 22 dicembre 2008, C-161/07; Commissione c. Germania, 29 novembre 2007, C-404/05; Commissione c. Portogallo, 22 ottobre 2009, C-438/08), autoritativi (Commissione c. Belgio, 24 maggio 2011, C-47/08), o di coercizione (Commissione c. Spagna, 29 ottobre 1998, C-114/97). In argomento cfr., da ultimo, Lottini, Principio di autonomia

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categoria degli “enti pubblici” rientrano numerosi soggetti, dalle attività e dimensioni eterogenee, per cui non può escludersi un ampio impatto sulla stabilità del sistema finanziario in caso di crisi e corsa agli sportelli. Si rileva, quindi, un significativo discostamento delle disposizioni nazionali rispetto a quelle europee, a nostro avviso suscettibile di legittimare, in caso di crisi di una banca italiana, un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea da parte del giudice nazionale investito della questione da parte di un depositante pubblico non sussumibile tra le autorità e, ciò nonostante, non ammesso al rimborso da parte dei sistemi di garanzia, ai sensi dell’art. 96-bis.1 t.u.b.47. Con riferimento all’esclusione dei depositi detenuti in proprio da intermediari bancari, finanziari e assicurativi, rileva la natura professionale dei depositanti, che assicurerebbe la capacità di valutazione del rischio di insolvenza del depositario48. Un’ulteriore esclusione sul piano soggettivo è riservata ai depositi i cui titolari, al momento dell’avvio della procedura di liquidazione coatta amministrativa, non risultano identificati ai sensi delle disposizioni antiriciclaggio. Il motivo è facilmente intuibile, non essendoci alcun interesse pubblico a rimborsare fondi di natura potenzialmente illecita. Rispetto al previgente art. 96-bis t.u.b. occorre notare che sono venute meno alcune ipotesi di esclusioni soggettive, quali quelle relative ai depositi degli esponenti aziendali della banca o della capogruppo del gruppo bancario, dei titolari di partecipazioni rilevanti nella banca e di coloro che hanno ottenuto, a titolo individuale, tassi e condizioni che hanno concorso a deteriorare la situazione finanziaria della banca, in base a quanto accertato dai commissari liquidatori. Sul piano oggettivo, sono esclusi innanzi tutto, come già previsto in passato dall’art. 96-bis t.u.b., i fondi propri della banca, nonché le obbligazioni e i crediti derivanti da accettazioni, pagherò cambiari e operazioni in titoli. Per quanto riguarda i fondi propri, è evidente che non si tratti di depositi, mancando un incondizionato obbligo di rimborso alla pari. Con riferimento alle obbligazioni e alle operazioni in titoli, si ricorda

istituzionale e pubbliche amministrazioni nel diritto dell’Unione Europea, Torino, 2017, p. 118 ss. 47 Si pensi, solo per fare un esempio, ad un Ente Parco Nazionale. 48 In questo senso anche Cercone, Commento, cit., p. 1242 e Mecatti, Commento, cit., p. 777, che mettono in luce la consapevolezza di tali soggetti.

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che anch’esse non rientrano nella definizione di deposito, in quanto strumenti finanziari49, ai sensi dell’art. 69-ter t.u.b.50. Circa le accettazioni e i pagherò cambiari, si sostiene che essi configurino obblighi di pagamento da parte della banca piuttosto che di rimborso51. È confermata anche l’esclusione dei depositi derivanti da transazioni in relazione alle quali sia intervenuta una condanna definitiva per riciclaggio, mentre non si fa più riferimento ai depositi e agli altri fondi rimborsabili al portatore, per quanto sia implicito che essi non siano ammissibili al rimborso, difettando la possibilità di verificare che non sia superato, in capo al depositante, il limite massimo di rimborso previsto dai sistemi di garanzia52. Venendo, appunto, a tale limite, resta invariato l’importo massimo del rimborso pari a 100.000 euro per ciascun depositante53, ritenuto adeguato rispetto all’obiettivo di non lasciare una proporzione eccessiva di depositi priva di tutela, per garantire la protezione dei consumatori e la stabilità del sistema finanziario54. La DSGD precisa che il limite si applica al cumulo dei depositi presso la stessa banca, qualunque sia il numero dei depositi, la valuta e l’ubicazione nell’Unione europea 55. Per calcolare il limite l’art. 96-bis.1 t.u.b. dispone che: a) i depositi presso un conto di cui due o più soggetti sono titolari come partecipanti di un ente senza personalità giuridica sono trattati come se fossero effettuati da un unico depositante56; b) se più soggetti hanno pieno diritto sulle somme depositate su un conto (contitolari), la quota spettante a ciascuno di essi è considerata nel calcolo; c) si tiene conto della com-

49 In ogni caso, gli investitori sono tutelati, in linea di principio, dai sistemi di indennizzo previsti dall’art. 59 del d.lgs. n. 58/1998. 50 Il legislatore comunitario (considerando 30 DSGD) ha motivato l’esclusione dalla copertura dei prodotti finanziari (con la limitata eccezione dei certificati di deposito nominativi) per evitare di trasferire i rischi di investimento ai SGD. 51 Cercone, Commento, cit., p. 1243 e Mecatti, Commento, cit., p. 781. 52 Si ricordi, inoltre, che secondo la DSGD è depositante «il titolare o, in caso di conto congiunto, ciascuno dei titolari del deposito». È pacifico, invece, che un rapporto al portatore manchi del requisito della titolarità. 53 Per evitare di minare la fiducia dei depositanti (considerando 23 DSGD) è però previsto (art. 19 DSGD) che gli Stati membri che, al 1° gennaio 2008, prevedevano un livello di copertura compreso tra 100.000 e 300.000 euro, possono riapplicare tale livello di copertura più elevato fino al 31 dicembre 2018. 54 Cfr. considerando 21 DSGD. 55 Cfr. art. 7, par. 1, DSGD. 56 Ad esempio, il deposito intestato ad uno studio legale associato è coperto per 100.000 euro, a prescindere dal numero dei soci.

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pensazione di eventuali debiti del depositante nei confronti della banca, se esigibili alla data in cui si producono gli effetti del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, nella misura in cui la compensazione è possibile a norma delle disposizioni di legge o di previsioni contrattuali applicabili. Circa quest’ultimo punto, occorre anche ricordare che, ai sensi dell’art. 95-ter, comma 3, lett. c), t.u.b., l’adozione di un provvedimento di risanamento57 o l’apertura di una procedura di liquidazione non impedisce che il depositante possa invocare la compensazione del proprio credito con il credito della banca, quando la compensazione sia consentita dalla legge applicabile al credito della banca. In primo luogo, dunque, si rileva un rinvio alle disposizioni di legge e, dunque, del codice civile58, in ordine alla definizione dei presupposti per la compensazione. L’art. 96-bis.1 t.u.b. richiama anche le «previsioni contrattuali applicabili». Tra esse, nella prassi, spiccano senz’altro le clausole di compensazione convenzionale sistematicamente presenti nei contratti di conto corrente bancario, che la giurisprudenza ritiene in linea di principio ammissibili59, anche laddove la banca si riservi il diritto di compensare

57 Per “provvedimento di risanamento” si intende un provvedimento con cui è disposta l’amministrazione straordinaria (nonché le misure adottate nel suo ambito), ovvero le misure previste nei Capi II, III e IV del Titolo IV, del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180, ovvero ancora sono disposte le misure, equivalenti a quelle sopra indicate, adottate da autorità di altri Stati comunitari (cfr. art. 69-bis, lett. f), t.u.b.). 58 Cfr. artt. 1241 ss. nonché art. 1853 c.c., con riferimento alla compensazione tra saldi di conto corrente bancario. 59 Cfr. Cass., sez. I civ., 28 settembre 2005, n. 18947, in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, p. 887 ss., con nota di Belviso, Compensazione tra conti correnti diversi e principio di buona fede nell’esecuzione dei contratti, e in Contratti, 2006, p. 906 ss., con nota di Manenti, La buona fede nei contratti bancari. Nella predetta sentenza la Suprema Corte ha precisato che la condotta della banca deve essere valutata alla stregua del fondamentale principio di buona fede, al fine di verificare se la comunicazione al correntista sia stata o meno tempestiva, ovvero se l’eventuale ritardo possa reputarsi giustificato In dottrina, sulla compensazione si rinvia a Majello, Custodia e deposito, Napoli, 1958, p. 276; Schlesinger, sub vocem Compensazione (diritto civile), in Noviss. dig. it., III, Torino, 1959, p. 728; Martorano, Il conto corrente bancario, Napoli, 1982, p. 103; Simonetto, Deposito irregolare, in Dig. civ., V, Torino, 1989, p. 539; Santoro, Il conto corrente bancario, Milano, 1992, p. 117 ss. Tra gli scritti più recenti v., tra gli altri, Sirena e Farace, I contratti bancari del consumatore, e Pagliantini e Bartolini, Il conto corrente bancario, entrambi in I contratti bancari, a cura di Capobianco, Torino, 2016, p. 307 e p. 1597.

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saldi attivi e passivi di diversi rapporti senza alcuna comunicazione preventiva o formalità particolare, a condizione che si tratti di saldi liquidi ed esigibili60. In considerazione della finalità dichiaratamente protettiva dei sistemi di garanzia dei depositi, il legislatore europeo sottolinea però che l’eventuale compensazione dei diritti alla restituzione delle somme in deposito con crediti vantati dalla banca non deve ostacolare la capacità dei predetti sistemi di restituire i depositi entro la scadenza fissata dalla direttiva61. Il limite di 100.000 euro non si applica, quando la liquidazione coatta amministrativa interviene entro i nove mesi62 successivi al loro accredito o al momento in cui divengono disponibili, ai depositi di persone fisiche aventi ad oggetto importi derivanti da: a) operazioni relative al trasferimento o alla costituzione di diritti reali su unità immobiliari adibite ad abitazione; b) divorzio, pensionamento, scioglimento del rapporto di lavoro, invalidità o morte; c) pagamento di prestazioni assicurative, di risarcimenti o di indennizzi in relazione a danni per fatti considerati dalla legge come reati contro la persona o per ingiusta detenzione63. La disapplicazione temporanea del limite massimo rimborsabile si riferisce, in conformità alla DSGD, alle sole persone fisiche, trattandosi di pagamenti connessi a eventi di particolare impatto sulle condizioni di vita o sociali del depositante: deve quindi concludersi che i depositi dei soggetti diversi dalle persone fisiche non potranno essere protetti dai sistemi di garanzia per più di 100.000 euro.

60 La giurisprudenza più recente (Cass. 3 maggio 2007, n. 10208) afferma che la compensazione può operare solo con riferimento a saldi di conti correnti chiusi. L’Arbitro Bancario Finanziario (Collegio di Roma, decisione n. 4658 del 18 luglio 2014) ha aggiunto che, nel caso di cliente consumatore, la clausola contrattuale che prevedesse la facoltà di compensare saldi non liquidi né esigibili difficilmente sfuggirebbe alla sanzione di nullità, per contrasto con l’art. 33, co. 1, e 36, co.1, del d.lgs. 206/2005. 61 Cfr. considerando 24 DSGD. 62 L’art. 6 DSGD consentiva agli Stati membri di optare per un periodo di protezione variabile tra tre e dodici mesi. 63 Cfr. art. 96-bis.1, co. 4, t.u.b..

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6. Obblighi di trasparenza La direttiva 2014/49/UE afferma chiaramente che l’informazione dei depositanti è un elemento essenziale della loro tutela64. A tale scopo, vista l’esigenza di armonizzazione massima dei sistemi di garanzia, è opportuno non solo che i depositanti siano informati in merito alla loro copertura e al SGD responsabile nei loro estratti conto ma anche che, a coloro che intendono aprire un deposito, siano fornite le stesse informazioni mediante un foglio di informazione standardizzato65. Rispetto alla direttiva 94/19/CE l’elemento di novità è proprio rappresentato dalla standardizzazione dei contenuti informativi ai depositanti dell’Unione europea, che devono essere conformi a quanto previsto nel modulo allegato alla DSGD. L’art. 3 del d.lgs. n. 30/2016 riporta la disciplina sulle informazioni da fornire ai depositanti, in attuazione di quanto previsto dall’art. 16 DSGD66. L’art. 96, co. 5, t.u.b. dispone inoltre che la pubblicità e le comunicazioni connesse a tali obblighi informativi sono disciplinate secondo la normativa di trasparenza di cui al titolo V t.u.b.. Le informazioni previste dall’allegato alla DSGD devono essere messe a disposizione gratuitamente, secondo le modalità previste per i fogli informativi dall’art. 116 t.u.b. e relative disposizioni attuative67. In particolare, al depositante deve essere consegnato, opportunamente compilato, il «Modulo standard per le informazioni da fornire ai depositanti», allegato alla DSGD, in tempo utile prima che il contratto sia concluso o che il depositante sia vincolato da un’offerta. La consegna del predetto modulo deve essere attestata per iscritto o attraverso altro supporto durevole.

64

Cfr. considerando 43 DSGD. Il legislatore comunitario è particolarmente attento a tale punto, prevedendo (considerando 29 e art. 16 DSGD) che i depositanti accusino ricevuta della consegna del foglio informativo, il cui contenuto deve essere necessariamente identico per tutti i depositanti. 66 Le infrazioni di carattere rilevante alle disposizioni di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 30/2016 e alla relativa normativa secondaria attuativa sono punite con sanzione amministrativa pecuniaria da 30.000 euro al 10 per cento del fatturato, ai sensi dell’art. 144, commi 1 e 8, t.u.b. 67 Cfr. Delibera CICR del 4 marzo 2003, come successivamente modificata e integrata, e Banca d’Italia, Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti, 29 luglio 2009 e successive modifiche e integrazioni. 65

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È previsto altresì che le comunicazioni periodiche relative ai contratti di deposito previste dalla disciplina di trasparenza includano la conferma che il deposito è ammesso al rimborso e un riferimento al suddetto modulo, del quale deve essere fornita una versione aggiornata almeno una volta all’anno. Le comunicazioni periodiche devono contenere anche l’indicazione del sito web del sistema di garanzia pertinente, che a sua volta riporta le informazioni necessarie per i depositanti, in particolare quelle relative alla procedura e alle condizioni della tutela fornita dal sistema di garanzia. Al fine di non pregiudicare la stabilità o la fiducia dei depositanti è inibito l’uso non regolamentato, a fini pubblicitari, di riferimenti al livello di copertura e all’ambito di copertura di un SGD68. Pertanto, le banche hanno solo la facoltà di indicare negli annunci pubblicitari relativi ai contratti di deposito il sistema di garanzia che tutela il deposito pubblicizzato. Sono inoltre previste informative specifiche nel caso di fusione della banca ove il cliente detiene il deposito o di ritiro od esclusione della banca dal sistema di garanzia69. Infine, l’art. 3 del d.lgs. n. 30/2016 prevede che la Banca d’Italia possa dettare disposizioni attuative, anche al fine di coordinarne la disciplina con quella di trasparenza. Le disposizioni della Banca d’Italia possono altresì prevedere che gli annunci pubblicitari relativi ai depositi contengano informazioni ulteriori rispetto a quelle consentite sopra richiamate. Al momento in cui si scrive la Banca d’Italia non ha ancora dettato disposizioni attuative in materia di trasparenza dei sistemi di garanzia dei depositanti, né integrato la disciplina secondaria di carattere generale in materia di trasparenza bancaria.

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Cfr. considerando 43 DSGD. L’art. 3, co. 7, d.lgs. n. 30/2016 dispone che, nel caso di fusioni, cessioni o operazioni analoghe, nonché in caso di recesso o esclusione da un sistema di garanzia, la banca debba informare gratuitamente i depositanti dell’evento, per iscritto o attraverso altro supporto durevole, almeno un mese prima che l’operazione acquisti efficacia giuridica, a meno che l’autorità competente autorizzi un termine più breve per motivi di segreto commerciale o stabilità finanziaria. Ai depositanti è concesso un termine di tre mesi dalla notifica della fusione o della conversione od operazioni analoghe per ritirare o trasferire i depositi in un’altra banca, senza incorrere in alcuna penalità e conservando il diritto a tutti gli interessi e ai benefici maturati, nella misura in cui i depositi superino l’importo di 100.000 euro al momento dell’operazione. 69

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Né la DSGD né la normativa nazionale si preoccupano, a ben vedere, che i clienti, attuali e potenziali, delle banche siano informati circa l’assenza di garanzia di rimborso sui prodotti e servizi che prevedono, con varie forme tecniche, il sorgere di una posizione creditizia del cliente nei confronti della banca non rappresentata da un “deposito protetto”. Si tratta di un limite tutt’altro che trascurabile, perché esistono prodotti garantiti e non garantiti tra loro succedanei, almeno nella visione piuttosto semplicistica del consumatore di servizi finanziari: si pensi al conto corrente e alla carta prepagata evoluta, sul fronte dei servizi di cassa, e al conto deposito e all’obbligazione, in tema di risparmio. È evidente che il cliente sia interessato a sapere non solo se un prodotto è garantito ma anche se non lo è. Ciò è tanto più vero quanto più la stessa funzione economica è svolta da prodotti diversi che vedono comunque come controparte la medesima banca. Attualmente l’informazione è prevista solo se positiva, per cui il cliente che, per esempio, abbia necessità di un servizio di cassa e valuti la soluzione della carta prepagata evoluta non sarà in grado di sapere che il suo credito non sarà garantito, mentre lo sarebbe stato se avesse sottoscritto un conto corrente.

7. Conclusioni In attesa di un fondo di garanzia unico europeo, la direttiva 2014/49/ UE rappresenta senza dubbio un passo in avanti nella costruzione di un solido sistema di regolazione del sistema bancario dell’Unione Europea e, in particolare, di governo delle crisi delle banche, grazie all’armonizzazione delle regole relative al funzionamento degli SGD e alla disciplina dei prestiti e della cooperazione tra gli stessi. L’importanza dei sistemi di garanzia dei depositanti va al di là della loro finalità specifica, rappresentata dal rimborso dei depositanti in caso di insolvenza della banca depositaria, in quanto la loro presenza e il loro efficiente funzionamento consente di preservare la fiducia del risparmiatore ed evitare corse virali agli sportelli. Il legislatore europeo ha dichiarato che la direttiva 2014/49/UE porterà ad un miglioramento dell’accesso ai SGD, grazie a un ambito di copertura più ampio e chiaro, termini di rimborso più rapidi, migliori informazioni e solidi requisiti di finanziamento70.

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Cfr. considerando 7 DSGD.


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La ricostruzione di dettaglio delle disposizioni sul “perimetro protetto” e sugli obblighi di trasparenza ha però messo in luce contraddizioni e limiti, sui quali sarebbe opportuno intervenire per evitare che i risparmiatori adottino scelte inconsapevoli. In caso di crisi della banca, impatti gravosi e inaspettati sulle condizioni patrimoniali e sociali dei clienti, specialmente al dettaglio, minano la fiducia nel sistema finanziario, con il rischio di comprometterne la stabilità.

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NORME REDAZIONALI

a. I contributi proposti per la pubblicazione (saggi, note a sentenza, ecc.) debbono essere inviati, in formato elettronico (word), al Direttore responsabile prof. avv. Alessandro Nigro al seguente indirizzo email alessandro.nigro@tiscali.it b. I contributi proposti per la pubblicazione sono preventivamente vagliati dalla Direzione. Quelli che superano tale vaglio vengono trasmessi, in forma anonima, ad uno dei componenti della apposita struttura di revisione, coordinata dal prof. Daniele Vattermoli. Il revisore rimette al coordinatore la sua relazione che, in forma anonima, è trasmessa al Direttore il quale, se la relazione è positiva, autorizza la pubblicazione del contributo.

I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)

II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bo-

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Norme redazionali

logna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. … 4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).

III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile c.c. codice di commercio c.comm. Costituzione Cost.

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Norme redazionali

codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall. legge cambiaria l.camb. testo unico t.u. testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) t.u.b. testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58) t.u.f. 2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr.

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Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur. Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm. Rivista della cooperazione Riv. coop.

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Rivista delle società Rivista del diritto commerciale Rivista del notariato Rivista di diritto civile Rivista di diritto internazionale Rivista di diritto privato Rivista di diritto processuale Rivista di diritto pubblico Rivista di diritto societario Rivista giuridica sarda Rivista italiana del leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Vita notarile 4. Commentari, trattati

Riv. soc. Riv. dir. comm. Riv. not. Riv. dir. civ. Riv. dir. internaz. Riv. dir. priv. Riv. dir. proc. Riv. dir. pubbl. RDS Riv. giur. sarda Riv. it. leasing Riv. trim. dir. proc. civ. Vita not.

Il codice civile. Comm., diretto da Schlesin­ger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cu­ra di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, To­rino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Tori­no, Tratt. soc. per az., diretto da Co­lombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume

IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze.

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CODICE ETICO

La rivista Diritto della banca e del mercato finanziario è una rivista scientifica peer-reviewed che si ispira al codice etico delle pubblicazioni elaborato da COPE, Committee on Publication Ethics, Best Practice Guidelines for Journal Editors. (http://publicationethics.org/resources/guidelines)

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Va correttamente attribuita la paternità dell’opera e vanno indicati come coautori tutti coloro che abbiano dato un contributo significativo all’ideazione, all’organizzazione, alla realizzazione e alla rielaborazione della ricerca che è alla base dell’articolo. Tutti gli Autori sono tenuti a dichiarare esplicitamente che non sussistono conflitti di interessi che potrebbero aver condizionato i risultati conseguiti o le interpretazioni proposte. Gli Autori devono inoltre indicare gli eventuali enti finanziatori della ricerca e/o del progetto dal quale scaturisce l’articolo. I manoscritti in fase di valutazione non devono essere sottoposti ad altre riviste ai fini di pubblicazione. Quando un Autore individua in un suo articolo un errore o un’inesattezza rilevante, è tenuto a informare tempestivamente la Redazione e a fornirle tutte le informazioni necessarie per indicare le doverose correzioni del caso. I protocolli di studio dei lavori originali devono essere preventivamente autorizzati dai comitati etici di riferimento degli Autori e le ricerche devono essere condotte secondo norme etiche con specifico richiamo alla dichiarazione di Helsinki.

Doveri dei Revisori

Attraverso la procedura del peer-review i Revisori assistono il Comitato di Redazione nell’assumere decisioni sugli articoli proposti, e inoltre possono suggerire all’Autore correzioni e accorgimenti tesi a migliorare il proprio contributo. Qualora non si sentano adeguati al compito proposto o sappiano di non potere procedere alla lettura dei lavori nei tempi richiesti sono tenuti a comunicarlo tempestivamente al Comitato di Redazione. Ogni testo assegnato in lettura deve essere considerato riservato; pertanto tali testi non devono essere discussi con altre persone senza l’esplicita autorizzazione della Direzione. La revisione deve essere effettuata in modo oggettivo. I Revisori sono tenuti a motivare adeguatamente i giudizi espressi. I Revisori s’impegnano a segnalare al Comitato di Redazione eventuali somiglianze o sovrapposizioni del testo ricevuto con altre opere a loro note. Tutte le informazioni riservate o le indicazioni ottenute durante il processo di peer-review devono essere considerate confidenziali e non possono essere usate per altre finalità. I Revisori sono tenuti a non accettare in lettura articoli per i quali sussiste un conflitto di interessi dovuto a precedenti rapporti di collaborazione o di concorrenza con l’autore e/o con la sua istituzione di appartenenza.

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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria

L’abbonamento alla rivista decorre dal 1° gennaio di ogni anno e dà diritto a tutti i numeri relativi all’annata, compresi quelli già pubblicati. L’abbonamento si intende rinnovato in assenza di disdetta da comunicarsi almeno 60 giorni prima della data di scadenza a mezzo lettera raccomandata a.r. da inviare a Pacini Editore S.r.l. Cedola di sottoscrizione - Abbonamento Italia 2018 (4 fascicoli): € 120,00 - Abbonamento Estero 2018 (4 fascicoli): € 170,00 - Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 35,00 Modalità di Pagamento ☐ assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Srl - PISA ☐ versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Srl - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 G 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) ☐ carta di credito ☐ MasterCard ☐ VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma.................................................................

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