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Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009
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Diritto della banca e del mercato finanziario
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Diritto della banca e del mercato finanziario
• Ristrutturazione dei gruppi di imprese in crisi • Compensazione e postergazione • Patti parasociali nelle banche • Non Performing Loans
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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è attualmente coordinato dal prof. Daniele Vattermoli. Nell’anno 2018, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Niccolò Abriani, Concetto Costa, Giacomo D’Attorre, Giuseppe Ferri jr., Danilo Galletti, Marco Maugeri, Massimo Miola, Umberto Morera, Stefania Pacchi, Daniele Umberto Santuosso, Maurizio Sciuto, Marco Ventoruzzo.
Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria
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SOMMARIO 1/2019
PARTE PRIMA Saggi Gli insolvency protocols nelle operazioni di ristrutturazione del gruppo di imprese in crisi, di Daniele Vattermoli pag. 11 IPer la chiarezza delle idee su compensazione e » 35 postergazione, di Massimo Fabiani La garanzia dello Stato per le operazioni di cartolarizzazione di crediti classificati come sofferenze. » 79 Profili civilistici e giuseconomici, di Federico Onnis Cugia Autorità private e mercati finanziari: il caso dei portali » 103 di equity crowdfunding, di Federica Boncristiano
Commenti I patti parasociali e le partecipazioni rilevanti nelle banche – Trib. Genova, 19 settembre 2018; comunicazione 13 settembre 2018 della Banca d’Italia » 131 L’affaire Carige ovvero della sterilizzazione del voto. Questioni intorno alle partecipazioni rilevanti (non autorizzate) in banche, di Giovanni Maria Fumarola » 149
PARTE SECONDA Documenti e informazioni Non Performing Loans – Banca Centrale Europea: Addendum del marzo 2018 alle linee guida della BCE
per le banche sui crediti deteriorati (NPL): aspettative di vigilanza in merito agli accantonamenti prudenziali per le » 3 esposizioni deteriorate Le regole contabili degli NPL, di Lorenzo De Angelis » 15
Norme redazionali » 31 Codice etico » 36
PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ
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Gli insolvency protocols nelle operazioni di ristrutturazione del gruppo di imprese in crisi* ** Sommario: 1. I problemi connessi alla ristrutturazione del gruppo di imprese in crisi. Le peculiarità del gruppo multinazionale. – 2. La cooperazione nella ristrutturazione dei gruppi di imprese in crisi. – 3. Gli insolvency protocols – 4. Conclusioni. Le questioni ancora aperte.
1. I problemi connessi alla ristrutturazione del gruppo di imprese in crisi. Le peculiarità del gruppo multinazionale. A. In una visione di insieme del moderno diritto della crisi e dell’insolvenza, il dato che più di ogni altro balza agli occhi è la continua ricerca – divenuta negli ultimi anni e in molti ordinamenti quasi spasmodica – di strumenti e di meccanismi in grado di salvaguardare la continuità aziendale dell’impresa in difficoltà, che assurge a “valore” da tutelare in sé e per sé e non più in funzione ancillare rispetto al perseguimento di altri obiettivi. Strumenti e meccanismi il cui utilizzo viene favorito in quanto ritenuti idonei a scongiurare l’effetto più nefasto per la collettività che è di norma associato alla condizione di default del debitore, ossia l’uscita traumatica dal circuito economico di un centro di imputazione
* Il contributo riproduce il testo, tradotto e con l’aggiunta delle note, della relazione presentata al Congresso internazionale sulle ristrutturazioni societarie, che si è svolto a Madrid nei giorni 5 e 6 novembre 2018. ** This contribution is part of the project “Transnational protocols: a cooperative tool for managing european cross-border insolvencies” (TOP). The TOP project is co-founded by the european union (just-ag-2017/just-jcoo-ag-2017). The content of this publication represents the views of the autor only and is his sole responsability. The European Commission does not acccept any responsability for use that may be made of the informarion it contains.
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di atti ed effetti giuridici. Dall’obiettivo “secco” della tutela delle ragioni creditorie, il sistema sembra così progressivamente evolversi verso una nuova condizione di equilibrio, con lo spostamento del proprio baricentro funzionale nella ricerca della stabilità del mercato in cui opera l’impresa in crisi, intesa però non soltanto dal punto di vista economico, ma anche (e nei limiti del possibile) come invarianza dei (e nei) rapporti giuridici in itinere. Le osservazioni che precedono, valide per tutte le tipologie di imprese, lo sono particolarmente per quelle strutturate in forma di società di capitali; e lo sono ancor di più per quelle strutturate in forma di gruppo. Certo, gli strumenti per raggiungere l’obiettivo del risanamento, diretto o indiretto, di tali imprese sono diversi e necessariamente più articolati, rispetto a quelli da impiegare per le altre tipologie di debitori, raggiungendo l’acme della complessità per quelle imprese che assumono le vesti del gruppo ad operatività cross-border. In tale contesto è agevole comprendere il ruolo determinante che, a livello di ordinamenti nazionali, è destinato a giuocare il c.d. “diritto societario della crisi”, per tale intendendosi «quel segmento dell’ordinamento che comprende il complesso delle regole destinate a governare la situazione, per un verso, ed il funzionamento, per altro verso, delle società in relazione allo stato di crisi e/o al loro conseguente assoggettamento a procedure o procedimenti di soluzione o composizione di quello stato di crisi»1. Un complesso normartivo chiamato anch’esso a confrontarsi con i cambiamenti in atto e a fornire le risposte più efficienti alle (mutate) esigenze e ai problemi connessi alle operazioni di ristrutturazione2. B. a) Prendendo spunto dall’aspetto da ultimo evidenziato, si può iniziare col dire che i problemi che ruotano intorno alla ristrutturazione di una società di capitali in crisi sono molteplici, di non facile soluzione ed in gran parte comuni a tutti gli ordinamenti giuridici. Un primo ordine di problemi attiene direttamente ai profili finanziari dell’operazione, dovendo i soggetti incaricati di gestirla individuare le fonti, la tipologia e le coperture del fresh money, elemento indispensabile, com’è ben noto, per far uscire la società dalla situazione di financial
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Nigro, Il “diritto societario della crisi”: nuovi orizzonti?, di prossima pubblicazione in Riv. soc., p. 1 del dattiloscritto gentilmente fornito dall’Autore. 2 Per alcuni spunti sul tema dei cambiamenti in atto (anche) sul versante del diritto societario della crisi, cfr. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, in Riv. soc., 2018, pp. 858 ss.
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distress, rappresentando il volano per il compimento di nuovi progetti imprenditoriali altrimenti irrealizzabili3. Un secondo ordine di problemi – direttamente connesso al primo – concerne le sorti dell’assetto organizzativo e corporativo della società in crisi, potendo la ristrutturazione condurre all’ingresso di terzi o di creditori (essenzialmente attraverso l’operazione di debt-to-equity swap) nel capitale proprio dell’ente collettivo, eventualmente anche contro la volontà dei soci originari. In tale contesto si inserisce la dibattuta questione circa il comportamento che gli amministratori dell’ente debbono (o non debbono) ovvero possono (o non possono) tenere nella fase di crisi o di insolvenza imminente dell’ente collettivo: questione che inevitabilmente coinvolge l’esatta individuazione e definizione dell’interesse sociale nella c.d. twilight zone4. Analizzando funzionalmente le operazioni di ristrutturazione societaria nell’ambito delle procedure concorsuali o pre-concorsuali non liquidative di stampo lato sensu negoziale, si possono invero scorgere tre distinte categorie di relazioni potenzialmente conflittuali, ossia quelle intercorrenti: tra soci di maggioranza e soci di minoranza; tra soci e creditori tout court; tra creditori di maggioranza e creditori di minoranza, chiamati a votare il piano di ristrutturazione5. b) Il discorso diviene più complesso se dalla dimensione dell’impresa individuale si passa a quella del gruppo di società, nella quale ai problemi summenzionati si sommano quelli, di natura procedurale, legati all’esigenza di coordinamento delle diverse procedure aperte nei
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Sul ruolo che giocano gli investitori professionali nel mercato delle ristrutturazioni societarie cfr., per tutti, Harner, Griffin e Ivey-Crickenberger, Activist Investors, Distressed Companies, and Value Uncertainty, in 22 Am. Bankr. Inst. L. Rev., 2014, pp. 167 ss. 4 Sul punto, gli orientamenti che si registrano in dottrina sono i più vari. Per l’orientamento, vicino alla teoria del c.d. “residual owner”, che ritiene che siano i creditori i referenti soggettivi degli obblighi di fedeltà degli amministratori in caso di crisi della società cfr., per tutti, Jacoby e Janger, Bankruptcy Sales, in Brooklyn Law School Legal Studies, Research Paper, n. 463, July 2016, p. 7; per l’orientamento, invece, ispirato al principio della c.d. neutralità organizzativa, che sostiene l’invarianza dei doveri fiduciari degli amministratori della società in crisi e la sostanziale riconducibilità dell’interesse sociale a quello dei soci, cfr., per tutti, Nigro, “Principio” di ragionevolezza e regime degli obblighi e della responsabilità degli amministratori di spa, in Giur. comm., 2013, I, pp. 457 ss. 5 LoPucki e Whitford, Bargaining Over Equity’s Share in the Bankruptcy Reorganization of Large, Plublicly Held Companies, in 139 U. Pa. L. Rev., 1990, pp. 125 ss.
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confronti delle singole componenti del medesimo, al fine di procedere alla ristrutturazione del gruppo complessivamente considerato; e quelli, rilevanti dal punto di vista del diritto sostanziale, che scaturiscono dai potenziali conflitti tra amministratori, soci e creditori di entità giuridicamente distinte6. c) Le operazioni di ristrutturazione raggiungono infine l’apice della complessità, come accennato in precedenza, in ipotesi di gruppi multinazionali7, rispetto ai quali entra in giuoco non soltanto la disciplina materiale dei rapporti giuridici che scaturiscono o sono influenzati dalle relazioni di gruppo, la pluriordinamentalità richiedendo di risolvere, a monte, le questioni, tipicamente internazional-privatistiche, che attengono al riparto della competenza giurisdizionale, all’individuazione delle regole di conflitto per la determinazione della legge applicabile, ai criteri per il riconoscimento delle sentenze straniere, alla cooperazione giudiziaria internazionale8.
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È ben noto, invero, lo sforzo dei legislatori nazionali (e, in assenza di norme ad hoc, della giurisprudenza e della dottrina) nel confezionare strumenti idonei a neutralizzare (o, almeno, limitare), ex post (al momento, cioè, dell’apertura del concorso), gli effetti prodotti dall’abuso dell’eterodirezione, che spesso si traducono in uno spostamento ingiustificato di valore a danno di una o più società controllate. D’altra parte, tuttavia, è proprio nella separazione (anche) sostanziale dei patrimoni degli enti che lo compongono – a cui consegue la ripartizione (e conseguente limitazione) del rischio di impresa – che trova giustificazione il fenomeno di gruppo (in questi termini, attribuendo alle società del gruppo la funzione di “assets partitioning”, Hansmann e Kraakman, The Essential Role of Organizational Law, in 110 Yale L.J., 2000, p. 391). Sul difficile contemperamento degli interessi in giuoco sia consentito il rinvio a Vattermoli, Gruppi multinazionali insolventi, in Riv. dir. comm., 2013, pp. 585 ss. 7 Che è la forma tipica in cui si presenta l’impresa multinazionale. Sul punto cfr. LoPucki, Global and Out of Control?, in 79 Am. Bankr. L.J., 2005, p. 92; nello stesso senso, nella dottrina italiana, Mazzoni, Osservazioni in tema di gruppo transnazionale insolvente, in RdS, n. 4/2007, p. 2. 8 Sulla crisi del gruppo cross-border v., tra gli altri, Mazzoni, Cross-border insolvency of multinational groups of companies: proposals for an European approach in the light of the Uncitral approach, in Aa.Vv., Insolvency and Cross-border Groups. UNCITRAL Recommendations for a European perspective?, Quaderni di Ricerca Giuridica della Banca d’Italia, n. 69/2011, p. 15; Bufford, Global Venue Controls Are Coming: A Reply to Professor LoPucki, in 79 Am. Bankr. L.J., 2005, p. 136; Sarra, Maidum’s Challenge, Legal and Governance Issues in Dealing With Cross-Border Business Enterprise Group Insolvencies, in 17 International Insolvency Review, 2008, p. 77; Rajak, Corporate Groups and CrossBorder Bankruptcy, in 44 Tex. Int’l L.J., 2009, p. 535; Salafia, Cross-Border Insolvency Law in the United States & its Application to Multinational Corporate Groups, in 21 Conn. J. Int’l L., 2006, p. 287; Mevorach, The “Home Country” of a Multinational Enterprise Group Facing Insolvency, in 57 ICLQ, 2008, p. 431.
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C. Alla ristrutturazione dei gruppi sono dedicate le osservazioni che seguono, nelle quali l’attenzione verrà posta sugli strumenti di cooperazione e coordinamento tra gli organi delle procedure di soluzione della crisi aperte nei confronti delle singole componenti (tutte o alcune); più in particolare, l’accento cadrà sullo strumento che attualmente riscuote i maggiori consensi tra gli operatori, almeno nell’ambito delle operazioni di risanamento che coinvolgono i gruppi transfrontalieri, ossia l’insolvency protocol.
2. La cooperazione nella ristrutturazione dei gruppi di imprese in crisi. Indipendentemente dalla loro dimensione operativa, sia essa nazionale o cross-border9, non v’è dubbio che la ristrutturazione dei gruppi in crisi presupponga il coordinamento delle procedure aperte nei confronti delle singole imprese che li compongono. A. Tale coordinamento, come la pratica dimostra, può realizzarsi fondamentalmente attraverso due percorsi: a) il primo – ispirato al c.d. single entity (o enterprise) approach –, che potremmo definire del coordinamento massimo, passa per la fusione delle procedure aperte (o che potrebbero essere aperte) nei confronti delle singole componenti in un’unica procedura di gruppo, nella quale le diverse società confluiscono come se fossero parti di un’unica impresa, anche dal punto di vista giuridico-formale, ferma restando la separazione delle rispettive masse attive e passive10;
9 In generale, sull’importanza della cooperazione nel trattamento dell’insolvenza transnazionale cfr., tra gli altri, Nielsen, Sigal e Wagner, The Cross-Border Insolvency Concordat: Principles to Facilitate the Resolution of International Insolvencies, in 70 Am. Bankr. L.J., 1996, pp. 533 ss.; Westbrook, Creating International Insolvency Law, ivi, 1996, pp. 563 ss.; Id., Choice of Avoidance Law in Global Insolvencies, in 17 Brook. J. Int’l L., 1991, p. 516; Clift, The Uncitral Model Law on Cross-Border Insolvency – A Legislative Framework to Facilitate Coordination and Cooperation in Cross-Border Insolvency, in 12 Tul. J. Int’l & Comp. L., 2004, 307 ss.; Burman, Harmonization of International Bankruptcy Law: A United States Perspective, in 64 Fordham L. Rev., 1996, p. 2543; Culmer, The Cross-Border Insolvency Concordat and Customary International Law: Is It Ripe Yet?, in 14 Conn. J. Int’l L., 1999, pp. 563 ss.; Clift, Developing an international regime for transnational corporations: the importance of insolvency law to sustainable recovery and development, in 20 Transnational Corporations, 2011, p. 139. 10 Il consolidamento patrimoniale (substantive consolidation), attraverso il quale il
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b) il secondo – ispirato al c.d. separate entity approach –, definibile del coordinamento eventuale (o condizionato), presuppone viceversa l’apertura di molteplici procedure e fa leva sull’utilizzo, da parte degli organi delle medesime, di strumenti di cooperazione, di cui si avrà modo di parlare subito appresso. B. In tempi recenti, la progressiva presa di coscienza dell’importanza assunta nel tessuto economico dai gruppi di società ha spinto diversi ordinamenti a dotarsi di norme interne che consentono la ristrutturazione unitaria del gruppo in crisi. Una scelta che, da ultimo, è stata condivisa anche dal legislatore italiano, con il nuovissimo Codice della crisi e dell’insolvenza11.
giudice fallimentare «treats separate legal entities as if they were merged into a single survivor left with all the cumulative assets and liabilities (save for inter-entity liabilities, which are erased). The result is that claims of creditors against separate debtors morph to claims against the consolidated survivor» [così Genesis Health Ventures, Inc. v. Stapleton (In re Genesis Health Ventures, Inc.), 402 F.3d 416 (3d Cir. 2005)], è infatti istituto raramente ammesso (USA, Colombia e, dubitativamente, Spagna) e comunque, anche ove ammesso, scarsamente utilizzato nella pratica. Sulla genesi del fenomeno e sui gravi problemi che, anche dal punto di vista dell’efficienza complessiva del sistema, lo stesso genera sia consentito il rinvio a Vattermoli, Gruppi insolventi e consolidamento patrimoniale (Substantive Consolidation), in RdS, 2010, pp. 586 ss. 11 Tra le novità più rilevanti recate dalla legge delega n. 155/2017 va senz’altro annoverata la previsione di principi specificamente dedicati alla disciplina del gruppo di imprese in crisi o insolventi (art. 3). Nel dettare i suddetti principi, il legislatore delegante sembrerebbe essersi ispirato sostanzialmente a due idee di fondo: per un verso e come si anticipava nel testo, consentire e regolare il trattamento unitario delle diverse procedure – di concordato o di liquidazione giudiziale – aperte nei confronti delle componenti del gruppo, qualora sia prevedibile che il c.d. consolidamento procedurale si risolva in un vantaggio per i creditori coinvolti; per altro verso, mantenere nettamente distinte le masse attive e le masse passive delle singole imprese del gruppo, anche qualora si proceda alla gestione unitaria delle procedure di soluzione della crisi o dell’insolvenza. Nel “Codice della crisi e dell’insolvenza”, di cui al d.lgs. n. 14 del 2019 che ha dato attuazione alla delega, alla disciplina dei gruppi è dedicato il Titolo VI della Parte I (artt. 284-292). Nel codice vengono ovviamente ripresi i principi espressi nella legge delega, con alcune importanti eccezioni. In particolare, degna di nota ai fini che qui interessano, è la disposizione contenuta nell’art. 285, relativo al possibile contenuto del piano unico o dei piani collegati ed interferenti infragruppo, nella quale si stabilisce che i piani di gruppo possono prevedere, tra l’altro, operazioni contrattuali e riorganizzative, «ivi inclusi trasferimenti di risorse infragruppo». Premesso che tale possibilità non è affatto contemplata nell’art. 3 della legge delega, occorre osservare che per come è scritta, la norma sembrerebbe legittimare operazioni in virtù delle quali, fuori da qualunque rapporto sinallagmatico, un’impresa (la A) in concordato può trasferire una porzione del suo patrimonio ad un’altra impresa (la B) del gruppo ugualmente in concordato. Così letta, la norma si porrebbe
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Pur tuttavia, il coordinamento massimo rappresenta, allo stato, un’opzione confinata, al più, alla ristrutturazione dei soli gruppi domestici. Per quelli transfrontalieri, invero, le best practices raccolte nei testi – sia di hard sia di soft law – emanati dagli organismi internazionali e sovranazionali consigliano il percorso meno traumatico, rispetto allo stato di fatto che si registra nella fase fisiologica, del coordinamento eventuale, quello cioè che fa perno sugli strumenti di cooperazione tra gli organi delle procedure. È ben noto, invero, che tanto il Regolamento UE n. 848/2015, quanto la Parte III della Guida Legislativa Uncitral sul regime di insolvenza, hanno adottato il modello teorico “ibrido” del cooperative territorialism, nel quale il principio puro di territorialità viene temperato dall’innesto di norme che consentono la cooperazione tra le diverse autorità degli Stati coinvolti dalla crisi e nel quale, da un lato, non vi sono procedure principali e secondarie – come invece è dato osservare nei sistemi che adottano il modello dell’universalità limitata12 – bensì, al massimo, pro-
in frontale contrasto con il principio generalissimo della responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.) – e con il principio, che dal primo discende, della separazione delle masse attive e delle masse passive delle società del gruppo in crisi –, senza peraltro che siano previsti adeguati strumenti di tutela per i creditori dissenzienti, i quali potrebbero reagire in sede di opposizione all’omologazione soltanto se appartenenti ad una classe nel complesso dissenziente o se titolari di almeno il 20% del totale dei crediti. Per una critica alla norma testé menzionata v., seppure con riferimento all’allora “schema” di decreto delegato, Nigro e Vattermoli, Il “Diritto societario della crisi” nello schema di riforma delle procedure concorsuali: osservazioni critiche “ad adiuvandum”, in giustiziacivile. com, n. 8/2018, pp. 9 ss. Del resto ed a ben vedere, l’impostazione del legislatore delegante riproduce, nelle sue linee essenziali, quella seguita dal legislatore del 1942 con riferimento ai rapporti tra il fallimento della società e quelli, da questo dipendenti, dei soci illimitatamente responsabili. Sul punto v. le condivisibili osservazioni di Caridi, Spunti di riflessione nella prospettiva di una disciplina organica dei gruppi insolventi, in giustiziaziacivile.com, n. 1/2016, pp. 10-11. 12 Il modello teorico dell’universalità limitata è adottato, con riferimento al debitoreunico soggetto giuridico, sia dalla Legge Modello dell’Unictral sull’insolvenza transnazionale del 1997, sia dal Regolamento UE n. 848/2015 sulle procedure di insolvenza. In tale modello, pur adottandosi i principi fondamentali dell’universalità, viene consentito alle autorità giudiziarie di «evaluate the fairness of the home-country procedures and to protect the interests of local creditors» (così, Perkins, Note. A Defense of Pure Universalism in Cross-Border Corporate Insolvencies, in 32 N.Y.U. J. Int’l L. & Pol., 2000, p. 791). Esso fa perno sulla dicotomia procedura principale/procedura non principale: dicotomia che, a sua volta, ruota intorno all’individuazione del centro degli interessi principali del debitore (c.d. COMI: centre of main interest). La tutela degli interessi locali avviene attraverso
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cedure parallele coordinate, con la conseguenza che nessun particolare potere è riconosciuto all’organo della procedura straniera, anche qualora quest’ultima sia da considerare (perché aperta nel luogo in cui v’è la sede legale ed operativa dell’impresa) “oggettivamente” principale; dall’altro lato, la cooperazione è, appunto, soltanto eventuale, spettando all’autorità giudiziaria ed al rappresentante della procedura domestica valutare se sia o meno economicamente efficiente “coordinarsi” con gli omologhi stranieri, al fine della migliore realizzazione degli interessi locali13. C. Ciò premesso, va osservato come la cooperazione tra autorità e/o organi tecnici delle procedure nazionali aperte nei confronti (del debitore unico soggetto giuridico o) di società facenti parte del medesimo gruppo può realizzarsi attraverso distinti strumenti e può assumere qualsiasi forma. Essa può consistere, ad esempio, nella facoltà di comunicazione e nello scambio di informazioni tra i curatori e tra le autorità giudiziarie delle diverse procedure coinvolte14; nella fissazione di udienze simulta-
l’apertura di procedure non principali – quelle, cioè, incardinate in un ordinamento diverso da quello di origine del debitore – che, pur essendo “subordinate” rispetto alla procedura principale, producono l’effetto di impedire che i beni situati nel territorio di competenza siano appresi e liquidati dall’organo di quest’ultima ed il ricavato distribuito secondo il sistema di graduazione proprio dello Stato in cui è localizzato il COMI. Sul punto cfr., in dottrina, Neiman, International Insolvency and Environmental Obligations: A Prelude to Resolving the Conflicting Policies of a Clean Slate Versus a Clean Site in Transnational Bankruptcies, in 8 Fordham J. Corp. & Fin. L., 2003, p. 826; Anderson, The Cross-Border Insolvency Paradigm: A Defense of the Modified Universal Approach Considering the Japanese Experience, in 21 U. Pa. J. Int’l Econ. L., 2000, p. 691, il quale sottolinea come tale modello «retains some of the efficiencies of pure universalism while incorporating the flexibility and discretion of the territorial approaches». 13 L’interpretazione “autentica” del modello è offerta da LoPucki, Cooperation in International Bankruptcy, cit., pp. 742-743: «Under the cooperative territoriality system I propose, the bankruptcy courts of a country will administer the assets of a multinational debtor within the borders of that country as a separate estate. If a debtor had significant assets in several countries, several independent bankruptcy cases might result. None would be main, secondary, or ancillary. Each of the courts would decide, according to local law and practices, whether the assets within its country’s borders would be reorganized or liquidated. If a court chose to liquidate the assets, it would distribute the proceeds according to its own rules of priority»; Id., Global and Out of Control, cit., p. 96. 14 Cfr. artt. 56.2, lett. a) e 57.2, Regolamento n. 848/2015 e Raccomandazione n. 243, Guida Legislativa Uncitral. Naturalmente, oltre al riconoscimento in capo ai giudici ed ai curatori della generica facoltà di comunicare con gli omologhi stranieri, le leggi interne dovrebbero anche regolare gli aspetti “tecnici” delle comunicazioni, chiarendo, ad esem-
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nee15; nella nomina di mandatari di giustizia che si pongano come tramite tra gli organi delle procedure per eliminare le (eventuali) barriere linguistiche16; nella fissazione di obblighi reciproci di comportamento,
pio, se queste debbano avvenire oralmente o tramite documenti scritti; individuando i mezzi a tal fine utilizzabili (posta ordinaria; fax; e-mail; telefono; videoconferenza); stabilendo il contenuto delle stesse e fissando eventuali limiti per quelle aventi ad oggetto determinate informazioni “sensibili”; disciplinando, infine, i diritti dei soggetti coinvolti dalla crisi, qualora lo scambio delle informazioni possa incidere sulle loro posizioni processuali e/o sostanziali. 15 È indubbio che la previsione di udienze simultanee (o congiunte) relative alle procedure collettive aperte, in diversi Stati, nei confronti di società del medesimo gruppo, rappresenti, potenzialmente, un fattore di efficienza nella gestione dell’insolvenza transfrontaliera. In proposito è sufficiente pensare, a titolo di esempio, alla fase di verifica del passivo, nella quale il “trattamento” congiunto delle questioni (es.: eccezioni di compensazione; revocatorie incidentali; subordinazione involontaria dei crediti; ecc.) che scaturiscono da atti infragruppo (es.: costituzione di garanzie, reali o personali; finanziamenti; contratti di cash pooling; ecc.) costituirebbe certamente uno strumento di accelerazione e di riduzione dei costi delle operazioni di accertamento; oppure, al giudizio di omologazione dell’eventuale concordato di gruppo, là dove ancor più evidente si palesa il vantaggio offerto dalla trattazione simultanea delle questioni che potrebbero condurre al rigetto della domanda (specialmente nell’ipotesi in cui le proposte presentate dalle società del gruppo siano l’una condizionata all’approvazione – e alla successiva omologazione – dell’altra). D’altra parte, però, non possono non essere evidenziate le difficoltà che si incontrano nell’utilizzo di tale strumento di cooperazione. Alcune sono di tipo, se si vuole, operativo: sul punto è sufficiente pensare ai costi che dovrebbe sostenere l’amministrazione della giustizia per l’acquisto del materiale tecnologico di supporto alla trattazione congiunta delle udienze (es.: sistemi di videoconferenza) e per l’opera dei traduttori giurati; ma anche, ed indipendentemente dalle spese da sostenere, alle difficoltà legate ai diversi fusi orari in cui si trovano ad operare le corti fallimentari interessate. Altre, ben più gravi, attengono al problema – particolarmente delicato in caso di udienze simultanee – del rispetto delle regole processuali in tema vuoi di accesso al procedimento pendente dinanzi all’autorità straniera, vuoi di produzione di documenti e, più in generale, di disposizione, ammissione e acquisizione di mezzi istruttori, vuoi dei limiti della giurisdizione e vuoi, infine, di notificazione degli atti alle parti interessate. La sensazione è che, allo stato, il coordinamento delle udienze sia uno strumento utilizzabile nelle sole ipotesi in cui gli ordinamenti interessati appartengano alla medesima tradizione giuridica e condividano una matrice linguistica comune (nella prassi, infatti, le joint hearings sono quasi sempre utilizzate sull’asse Canada/USA, a partire dal pioniero caso Everfresh Beverages del 1995: sul punto cfr., per tutti, Leonard, Managing Default by a Multinational Venture: Cooperation in Cross-Border Insolvencies, in 33 Tex. Int’l L.J., 1998, p. 543). Non stupisce, quindi, che nella Raccomandazione n. 245 della Guida Legislativa (relativa, appunto, al coordinamento delle udienze), si utilizzi – ed è l’unico caso in cui ciò accade – il «may» e non il «should». Il coordinamento delle udienze è altresì previsto dall’art. 57.3, lett. d), Regolamento UE n. 848/2015. 16 Nella Raccomandazione n. 241, lett. c) della Guida Legislativa – che sul punto
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tra autorità e/o rappresentanti delle procedure, in ordine alla amministrazione, in senso lato, dei beni e alla sorveglianza dell’attività economica delle imprese del gruppo dichiarate insolventi17; nell’autorizzazione da parte delle autorità giudiziarie agli organi tecnici delle procedure ad accordarsi in ordine alla soluzione di determinate questioni che attengono allo sviluppo delle procedure (come, ad esempio, quella attinente all’analisi della documentazione relativa all’attuazione delle direttive di gruppo, al fine di un’eventuale azione di responsabilità contro gli esponenti aziendali della società madre e/o delle controllate), nonché a nominare un curatore che svolga il ruolo di “coordinatore” degli altri18.
replica la disposizione contenuta nell’art. 27, lett. a) della Legge Modello del 1997 – si legge che la cooperazione può realizzarsi per mezzo della nomina «of a person or body to act at the direction of the court»; a sua volta, l’art. 57.1 Regolamento UE n. 848/2015 stabilisce che ai fini della cooperazione, «I giudici possono, ove opportuno, designare una persona o un organismo indipendente che agisca su loro istruzione, purché ciò non sia incompatibile con le norme ad essi applicabili». Uno studio legale internazionale potrebbe, ad esempio, svolgere al meglio tale funzione, collaborando non soltanto con le corti, ma anche con gli organi rappresentativi delle procedure e con le parti interessate, con funzioni che possono oscillare tra l’agevolare lo scambio di informazioni e quella, ben più impegnativa, di predisporre un cross-border insolvency agreement. Il soggetto di cui si tratta non rappresenta un nuovo organo della procedura di insolvenza, né può essere assimilato ad un “super-curatore”, ma va inquadrato, più modestamente, negli ausiliari di giustizia, traendo i suoi poteri dall’atto di nomina del tribunale, nel quale dovranno essere specificamente indicate le funzioni allo stesso assegnate. 17 Tale forma di cooperazione – espressamente prevista sia dagli artt. 56.2, lett. b) e 57.3, lett. c) del Regolamento UE n. 848/2015 sia dalla Raccomandazione n. 241, lett. b) della Guida Legislativa – risulta estremamente opportuna, specialmente nelle ipotesi in cui le attività delle singole componenti del gruppo siano economicamente integrate tra loro. Non è raro, infatti, che le varie società di un gruppo si occupino ciascuna di una fase di un’unica impresa: in tal caso, una gestione coordinata delle operazioni di vendita, che consenta di addivenire ad una cessione “in blocco” di assets facenti parte di distinte masse attive, potrebbe condurre a risultati decisamente vantaggiosi per i creditori (ferma restando, ovviamente, la necessità di rispettare la separazione patrimoniale tra le varie società, mediante un’opportuna distribuzione del ricavato dalla vendita). Ma non solo: il coordinamento potrebbe anche sfociare nella decisione di “rallentare” o “sospendere” le operazioni di liquidazione, oppure avere ad oggetto la strategia da seguire in ordine alla sorte dei contratti pendenti, in tal modo facilitando la continuazione dell’attività dell’impresa di gruppo e la predisposizione di piani di risanamento globali. 18 Tale ultima possibilità risulta particolarmente importante nell’ipotesi in cui il gruppo insolvente presenti un numero elevato di componenti, facilitando la formulazione e l’attuazione di strategie comuni. Non è detto, peraltro, che il ruolo di pivot venga ricoperto dal curatore della procedura aperta nei confronti della controllante: è ben possibile, infatti, che la procedura “principale” – quanto ad attivo; numero dei creditori e rilevanza economica delle relazioni contrattuali in corso di esecuzione – sia quella aperta nei con-
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La cooperazione, ancora, può tradursi nel coordinamento dell’amministrazione (o supervisione) della complessiva attività economica delle imprese del gruppo, nel caso in cui la stessa continui nonostante l’apertura della procedura di insolvenza19, in particolare in materia di finanziamento successivo all’instaurarsi del concorso; di conservazione, di utilizzo e di alienazione dei beni delle società del gruppo; di esercizio delle azioni revocatorie, che, seppure indirettamente, potrebbero influenzare il concreto svolgimento dell’attività di impresa. Il coordinamento potrebbe inoltre interessare intere fasi delle procedure, come l’accertamento del passivo e la ripartizione dell’attivo (fasi che, nella specie, potrebbero risultare particolarmente delicate, con riferimento, proprio, alle operazioni infragruppo); e potrebbe riguardare, altresì, la proposta e la negoziazione di piani di riorganizzazione “concertati”20. La cooperazione, infine, può spingersi sino al punto di consentire all’autorità giudiziaria di adottare un atto “coordinato” (con le autorità straniere) di nomina del rappresentante della procedura di insolvenza che sia unico, o il medesimo, per tutte le procedure aperte nei confronti delle società del gruppo, a condizione, evidentemente, che tale soggetto possegga i requisiti richiesti dalla legge degli Stati in cui è chiamato a svolgere il proprio incarico21.
fronti di una controllata “operativa”. Sul punto cfr. l’art. 56.2, ultimo periodo, Regolamento n. 848/2015, nel quale si afferma che, ai fini del coordinamento delle procedure, «tutti o alcuni degli amministratori delle procedure di insolvenza di cui al paragrafo 1 possono convenire di conferire ulteriori poteri all’amministratore delle procedure di insolvenza nominato in una delle procedure laddove un tale accordo sia consentito dalle norme applicabili a ciascuna procedura. Possono altresì convenire la ripartizione di taluni compiti tra di essi, laddove una tale ripartizione sia consentita dalle norme applicabili a ciascuna procedura». 19 Cfr. Raccomandazione n. 250, lett. d), Guida Legislativa. 20 Cfr. l’art. 56.2, lett. c) del Regolamento UE n. 848/2015 e la Raccomandazione n. 250, lett. e), Guida Legislativa. Rispetto a quest’ultima ipotesi, va detto che anche qualora il rappresentante della procedura d’insolvenza non rientri, a norma della legge nazionale, tra i soggetti legittimati a presentare la proposta con il piano di riorganizzazione da sottoporre all’approvazione dei creditori, è indubbio che lo stesso possa comunque svolgere un ruolo importante nel quadro del tentativo di risanamento, e ciò: vuoi, ponendosi come tramite per il coordinamento delle varie procedure; vuoi, cooperando con il debitore (o il soggetto proponente) e gli altri rappresentanti delle procedure estere, in modo da creare le condizioni ottimali (ad esempio, redigendo una relazione positiva sulla proposta) affinché il piano venga approvato dagli aventi diritto al voto. 21 Cfr. l’art. 57.3, lett. a) del Regolamento UE n. 848/2015 e la Raccomandazione n. 251 della Guida Legislativa. Si tratta di una forma, seppure parziale, di “consolidamento
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3. Gli insolvency protocols. Esiste peraltro uno strumento, sempre più utilizzato nella pratica internazionale, che se adottato nell’ordinamento interno rende in buona misura superfluo il recepimento, attraverso norme specifiche, delle disposizioni o raccomandazioni che nei testi, rispettivamente, di hard e di soft law elaborati in ambito sovranazionale, contemplano le singole misure di cooperazione di cui si è appena dato conto. A. Il riferimento è, in particolare, al c.d. insolvency protocol22, attraverso il quale le parti si impegnano, appunto, a prestarsi reciproca cooperazione,
procedurale”, astrattamente idoneo ad incrementare considerevolmente l’efficienza della gestione del gruppo insolvente, eliminando, di fatto, i costi, i ritardi e le difficoltà che la cooperazione tra una pluralità di organi comunque comporta e facilitando le operazioni di accertamento dei crediti e, soprattutto, di alienazione “in blocco” degli assets del gruppo. D’altro canto, però, la nomina di un unico soggetto incaricato di amministrare i patrimoni di diverse società insolventi prospetta non poche difficoltà. Ed invero: per un verso, non è così scontato che le procedure collettive vengano aperte, nei diversi ordinamenti, simultaneamente; e, per altro verso e soprattutto, è estremamente complicato per i tribunali interessati riuscire a coordinare la loro attività ancor prima dell’esistenza di un concorso in atto. Per raggiungere il risultato auspicato dai testi in precedenza menzionati, il tribunale che per primo dichiara l’insolvenza dovrebbe quindi nominare come organo della procedura un soggetto che possegga i requisiti per svolgere il medesimo ruolo anche nelle procedure che verranno aperte all’estero; mentre per poter procedere alla nomina dello stesso soggetto, i tribunali stranieri che intervengono successivamente dovrebbero essere a conoscenza dell’appartenenza del debitore ad un gruppo multinazionale e del fatto che una delle sue componenti sia già stata sottoposta alla procedura collettiva. Inoltre, la gestione unitaria di patrimoni formalmente appartenenti a soggetti distinti può generare, nel caso specifico, conflitti di interesse. Non è rara, infatti, l’ipotesi che l’interesse di una specifica procedura sia non coincidente o, addirittura, in aperto conflitto con quello della massa dei creditori di altra procedura: è sufficiente pensare, ad esempio, alle eventuali azioni di responsabilità esercitate dal curatore del fallimento della controllata nei confronti della capogruppo, anch’essa insolvente; oppure all’azione revocatoria degli atti infragruppo; o, più in generale, ad ogni azione del curatore idonea a determinare uno spostamento di “valore” da una procedura ad un’altra. È per tale motivo che la stessa Guida Legislativa (Raccomandazione n. 252) auspica l’adozione di misure volte a eliminare o contenere il possibile conflitto di interessi in cui può incorrere, nella specie, l’unico curatore, suggerendo la possibilità di nominare uno o più curatori “speciali” in grado, all’occorrenza, di adeguatamente tutelare le ragioni delle procedure coinvolte. Nella Guida viene altresì suggerito che in caso di conflitto (anche solo potenziale) di interessi, la legge nazionale dovrebbe prevedere l’obbligo per il curatore che si trovi in tale situazione di comunicare tempestivamente all’autorità giudiziaria la sua condizione e di attendere, prima del compimento dell’atto, che la stessa autorità detti le direttive specifiche in merito. 22 Sugli insolvency protocols cfr., in dottrina, Warren e Westbrook, Court-to-court Negotiation, in 22 Am. Bankr. Inst. J., 2003, p. 28; Zumbro, Cross-Border Insolvencies and Inter-
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con lo scopo di coordinare lo svolgimento di procedimenti che presentano profili di connessione23. Uno strumento la cui importanza, oltre che sul piano pratico, deve essere apprezzata anche sul piano sistematico. Può infatti affermarsi che l’attuale diritto internazionale della crisi e dell’insolvenza sia stato preceduto24 e in qualche modo guidato nella sua evoluzione, proprio dai protocols – nati, almeno nella loro versione moderna25, nei primi anni
national Protocols – an Imperfect but Effective Tool, in 11 Bus. L. Int’l, 2010, p. 157; Braun e Tashiro, Cross-border Insolvency Protocol Agreements between Insolvency Practitioners and their Effect on the Rights of Creditors, disponibile on line sul sito www.iiiglobal.org; Sarra, Maidum’s Challenge, cit., p. 84: Van de Ven, The Cross-Border Insolvency Protocol; what is it and what in in it?, Master Thesis, Leiden Law School, 2015; Altman, A Test Case in International Bankruptcy Protocols: The Lehman Brothers Insolvency, in 12 San Diego Int’l L.J., 2011, pp. 463 ss.; Baer, Toward an International Insolvency Convention: Issues, Options and Feasibility Considerations, in Business Law International, 2016, pp. 5 ss.; Barteld, Cross-Border Bankruptcy and the Cooperative Solution, in 9 Int’l L. & Mgmt. Rev., 2012, pp. 27 ss.; Espiniella Menéndez, Los protocolos concursales, in ADCo, n. 10/2007, pp. 165 ss.; Bufford, Revision of the European Union Regulation on Insolvency Proceedings – Recommendations, 2014, disponibile on line sul sito http:ssrn.com/abstract=2382133, in part. pp. 28 ss.; Jackson e Mason, Developments in court to court communications in International insolvency cases, in University of New South Wales Law Journal, 2014, pp. 507 ss.; Deane e Mason, The UNCITRAL Model Law on Cross-Border Insolvency and the Rule of Law, in International Insolvency Review, 2016, pp. 138 ss.; Flaschen e Silverman, Cross-Border Insolvency Cooperation Protocols, in 33 Tex. Int’l L.J., 1998, pp. 587 ss.; Leonard, Internationalization of Insolvency and Reorganizations, in 24 Int’l Bus. Law., 1996, pp. 203 ss.; Lubben e Woo, Reconceptualizing Lehman, in New York University Law and Economics Working Papers, Paper n. 347, 2013; Maltese, Court-to-court Protocols in Cross-Border Bankruptcy Proceedings: Differing Approaches Between Civil Law and Common Law Legal System, disponibile on line sul sito https://www.iiiglobal.org. Nel documento elaborato dall’Uncitral, Practice Guide on Cross-Border Insolvency Cooperation, New York, 2010, 3, viene evidenziato come tali strumenti di cooperazione assumano nella prassi internazionale denominazioni diverse: «Cross-border insolvency agreements are most commonly referred to in some States as “protocols”, although a number of other titles have been used, including “insolvency administration contract”, “cooperation and compromise agreement” and “memorandum of understanding”». 23 Uncitral, Practice Guide, cit., p. 27. 24 Nielsen, Sigal e Wagner, The Cross-Border Insolvency Concordat, cit., p. 533. 25 In realtà, il primo accordo di insolvenza transfrontaliera si fa risalire al caso Macfadyen, che ha coinvolto, agli inizi del 1900, le corti inglese ed indiana. Il caso concerneva due società, aventi sede a Londra ed a Madras, composte dagli stessi soci e che operavano nel mercato come fossero, in realtà, un’unica impresa. Aperte le procedure di insolvenza nei confronti delle due partnership, gli organi delle stesse si accordarono – attraverso, appunto, un protocol – nel senso di considerare unica la massa attiva ed unica la massa passiva (una sorta di consolidamento patrimoniale), procedendo così alla distribuzione pro-quota tra tutti i creditori del ricavato dalla liquidazione; nell’accordo, inoltre, gli organi delle rispettive procedure stabilirono di «Exchange lists of admitted
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’90 del secolo scorso (caso Maxwell)26 –, i quali, con il trascorrere del tempo, hanno dato luogo a quelle best practices che si trovano oggi tradotte in molti testi di diritto uniforme27, determinando quel passaggio dalla “pratica alla norma”, di recente ben evidenziato da una parte della dottrina28. Ed è così che i protocols, in principio impiegati essenzialmente nei sistemi di common law, hanno conquistato progressivamente campo
claims, agreed to be bound by the determinations of the other as to admitted claims, and promised that wichever of them ended up with a surplus of assets would make a globally ratable distribution by remitting to the other such balance as may be necessary in order to ensure such rateable distribution» (così, Wessels, Markell e Kilborn, International Cooperation in Bankruptcy and Insolvency Matters, New York, 2009, p. 177). 26 In re Maxwell Communication Corp [93 F 3d 1036 (2d Cir. 1996)]. La Maxwell Communication Corporation plc era la holding, con sede nel Regno Unito, di un gruppo che comprendeva più di 400 controllate, alcune con sede nello stesso Regno Unito, altre in Canada e altre ancora negli USA, dove era ubicato circa l’80% del valore degli assets del gruppo. Il giorno successivo alla richiesta di assoggettamento al Chapter 11 per carenza di liquidità, la capogruppo presentò altresì istanza alla High Court of Justice inglese per l’ammissione alla procedura di administration. Aperte le due procedure, le autorità giudiziarie negoziarono ed approvarono – attraverso l’opera prestata dai tre administrators nominati dal giudice inglese e dall’examiner nominato dal giudice statunitense – un “protocol”, al fine di armonizzare i due procedimenti e di minimizzare i costi ed i conflitti generati dall’insolvenza transnazionale. Agli administrators fu affidata la funzione di monitorare la governance della holding; all’examiner il compito, tra l’altro, di autorizzare specifici atti di straordinaria amministrazione. Nel gennaio del 1993 furono presentati un reorganization plan ed uno scheme of arrangement, il contenuto dei quali era stato precedentemente negoziato dagli organi delle due procedure: entrambe le proposte furono accettate ed il gruppo Maxwell venne in parte risanato ed in parte liquidato. Maggiori dettagli sul caso Maxwell possono ricavarsi da Flaschen e Silverman, Cross-Border Insolvency, cit., pp. 587 ss.; Hoffmann, Cross-Border Insolvency: A British Perspective, in 64 Fordham L. Rev., 1996, pp. 2507 ss.; Westbrook, The Lessons of Maxwell Communication, in 64 Fordham L. Rev., 1996, p. 2534, che definisce il caso Maxwell, «the first worldwide plan of orderly liquidation even achieved». 27 Wessels, Markell e Kilborn, International Cooperation, cit., p. 176: «While efforts were underway to encourage a principled legislative solution, insolvency professionals had to find ways of assuaging pressing conflicts under existing law (…) Creative lawyers, accountants, and judges implemented their own solutions on an ad hoc basis through private agreements, generally confirmed by court order». Nello stesso senso, più di recente, Kamalnath, Cross-Border Insolvency Protocols: A Success Story?, in IJLSR, 2013, pp. 172 ss. 28 Fumagalli, I protocolli tra le procedure nella disciplina transfrontaliera dell’insolvenza, in Leandro, Meo e Luzzo. Crisi transfrontaliera di impresa: orizzonti internazionali ed europei, Bari, 2018, p. 185, il quale, riferendosi ai protocols evidenzia il fenomeno per cui, «un modello organizzativo sviluppato nel commercio internazionale viene recepito in uno strumento europeo vincolante, con singolare incontro tra un istituto espressione di “vita giuridica internazionale” e uno strumento sovranazionale inteso a regolarla».
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anche in quelli di civil law29, grazie all’esplicita menzione degli stessi nei testi di soft law emanati in materia dall’Uncitral30 e, soprattutto, allo spazio ad essi dedicato più di recente dal Regolamento UE sulle procedure di insolvenza (nella versione recast del 2015), che rende verosimile un incremento considerevole del loro utilizzo nel futuro prossimo31.
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Nel documento Guidelines for Coordination of Multinational Enterprise Group Insolvencies, elaborate nel 2012 dall’International Insolvency Institute, si legge a pagina 17 (nt. 16) che «The use of protocols is quite common in both civil and common law countries». Il primo caso in cui è stato utilizzato un insolvency protocols per gestire procedure aperte nei confronti dello stesso debitore in un ordinamento di common law (USA) e in uno di civil law (Israele) è In re Joseph Nakash [in 190 B.R. 763 (1996)]. Per maggiori dettagli sul caso Nakash cfr. Flaschen e Silverman, Cross-Border Insolvency, cit., pp. 593 ss. 30 Cfr. l’art. 27, lett. d) LM e le Raccomandazioni nn. 253-254 della Parte III della Guida Legislativa sul regime di insolvenza. Sul punto cfr. Zumbro, Cross-Border Insolvencies and International Protocols, cit., 164: «The adoption of the Model Law has been vital to the proliferation of protocols, in part because jurisdictions that have adopted the Model Law are expressly authorized to employ cross-border protocols». Anche il Cross-Border Insolvency Concordat prevede che nell’ipotesi in cui vi siano due o più procedimenti concorsuali aperti nei confronti del medesimo debitore, nessuno dei quali qualificabile come “main forum”, «each forum should coordinate with each other, subject in appropriate cases to a governance protocol» (Principle 4.A). Nella stessa direzione si muovono le European Communication and Cooperation Guidelines for Cross-border Insolvency, elaborate nel 2007 nell’ambito dell’INSOL Europe, nelle quali si legge che «Cooperation may be best attained by way of an agreement or “protocol” that establishes decision-making procedures, although decisions may continue to be made informally as long as they are compatible with the substance of any such agreement or “protocol”» (linea guida n. 12.4); nonché le Guidelines for Coordination of Multinational Enterprise Group Insolvencies, cit., che alla linea-guida n. 7 stabiliscono che «To the extent permitted by local law, the courts should direct, authorize, or permit the debtor or insolvency representative over whom they have authority or jurisdiction to enter into agreements or protocols with other members of the enterprise group to further the objectives of these Guidelines». 31 In argomento cfr. le (profetiche) osservazioni contenute in Uncitral, Practice Guide, cit., p. 35: «insolvency agreements occur in practice more frequently between common law jurisdictions, where courts have wider discretion than in jurisdictions in which statutory authorization to enter into such arrangements (…) is needed. However, commentators of civil law countries are generally of the view that insolvency agreements will become more common in the future due to their successful use in cross-border insolvency proceedings».
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Nel Regolamento n. 848/2015, in particolare, ai protocols sono destinati – oltre al Considerando n. 4932 – gli artt. 41.133 e 42.3, lett. e)34, per quel che attiene al coordinamento delle procedure aperte nei confronti del debitore unico soggetto giuridico; e gli artt. 56.135 e 57.3, lett. e)36, per quel che riguarda i gruppi multinazionali. In entrambi i casi l’utilizzo di tali accordi è contemplato quale mezzo di cooperazione tra gli amministratori delle procedure di insolvenza, per le autorità giudiziarie essendo previsto il mero «coordinamento dell’approvazione dei protocolli, se necessario». B. Sulla scorta degli elementi desumibili dalle norme summenzionate (e dalle Raccomandazioni della Guida Legislativa dell’Uncitral) e tenendo in conto le indicazioni ricavabili dall’esperienza maturata “sul
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Considerando n. 49: «(…) gli amministratori delle procedure di insolvenza e i giudici dovrebbero poter concludere accordi e protocolli allo scopo di facilitare la cooperazione transfrontaliera in caso di procedure d’insolvenza multiple in Stati membri diversi riguardanti lo stesso debitore o società facenti parte dello stesso gruppo di società, laddove ciò sia compatibile con le norme applicabili a ciascuna procedura. Tali accordi e protocolli possono variare per forma, sia scritta che orale, nonché per ambito di applicazione, da generico a specifico, e possono essere conclusi da parti differenti. Semplici accordi generici possono evidenziare la necessità di una stretta cooperazione tra le parti senza affrontare questioni specifiche, mentre accordi specifici più dettagliati possono definire un quadro di principi per disciplinare le procedure d’insolvenza multiple e possono essere approvati dai giudici coinvolti, laddove il diritto nazionale lo richieda. Essi possono indicare che le parti hanno concordato di adottare o di astenersi dall’adottare determinati provvedimenti o azioni». 33 Art. 41: «1. L’amministratore della procedura principale di insolvenza e l’amministratore o gli amministratori delle procedure secondarie di insolvenza riguardanti lo stesso debitore cooperano tra loro nella misura in cui tale cooperazione non sia incompatibile con le norme applicabili alle rispettive procedure. La cooperazione può assumere qualsiasi forma, compresa quella della conclusione di accordi o protocolli». 34 Art. 42: «1. (…). 3. La cooperazione di cui al paragrafo 1 può svolgersi con qualsiasi mezzo il giudice ritenga opportuno. Sono compresi in particolare: a) (…); e) il coordinamento dell’approvazione dei protocolli, se necessario». 35 Art. 56: «1. Se la procedura d’insolvenza riguarda due o più società facenti parte di un gruppo di società, l’amministratore delle procedure di insolvenza nominato nella procedura relativa a una società del gruppo coopera con l’amministratore delle procedure di insolvenza nominato nella procedura relativa ad un’altra società dello stesso gruppo, nella misura in cui tale cooperazione serva a facilitare la gestione efficace di tale procedura, non sia incompatibile con le norme ad essa applicabili e non comporti conflitto d’interessi. Tale cooperazione può assumere qualsiasi forma, compresa quella della conclusione di accordi o protocolli». 36 Art. 57: «1. (…). 3. La cooperazione di cui al paragrafo 1 può svolgersi con qualsiasi mezzo il giudice ritenga opportuno. Essa può riguardare in particolare: a) (…); e) il coordinamento dell’approvazione dei protocolli, se necessario».
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campo”, attingendo dai case law nei quali è stata fatta applicazione dei protocols, è opportuno, a questo punto, tratteggiare gli aspetti maggiormente caratteristici di tale figura. a) Occorre premettere che l’utilizzo di questo strumento si fonda sul principio di comity e che, affinché la cooperazione per mezzo dei protocolli si realizzi, è necessario (e sufficiente) che la legge interna consenta al rappresentante della procedura di insolvenza (o altro soggetto interessato, dalla legge stessa individuato) di concludere un accordo di insolvenza transfrontaliera37. Non è viceversa necessario (seppure auspicabile) che la legge consenta o richieda all’autorità giudiziaria di approvare o dare esecuzione all’accordo stesso38. Va osservato, su di un piano generale, che i protocols sono nella prassi utilizzati essenzialmente per la gestione coordinata delle procedure aperte nei confronti dell’impresa multinazionale, sia essa un’impresa-atomo oppure – ed è l’ipotesi che qui più interessa – un’impresa strutturata in forma di gruppo39.
37 Cfr. art. 56.1, Regolamento UE n. 848/2015 e Raccomandazione n. 253, Guida Legislativa. 38 Cfr. art. 57.3, lett. e) Regolamento UE n. 848/2015 e Raccomandazione n. 254, Guida Legislativa. Nella linea-guida n. 8 delle Guidelines for Coordination of Multinational Enterprise Group Insolvencies si legge che: «Where courts are not permitted to authorize or to direct the parties to enter into the agreements or protocols referred to in Guideline No. 7, the debtors, the insolvency representatives or the creditors should, where permitted, initiate development of agreements or protocols to promote the orderly, effective, efficient and timely administration of the cases». 39 Anzi, come sottolineato da Bufford, United States International Insolvency Law, New York, 2009, p. 50, «protocols are especially important for coordinating the multiple proceedings in different countries that arise as a result of an international corporate group filing bankruptcy». Nello stesso senso, Vallar, Use of Cross-Border Insolvency Protocols in the Banking and Financial Sector, in Parry e Omar (ed.), Banking and Financial Insolvencies: The European Regulatory Framework, INSOL Europe, Nottingham, 2016, pp. 165 ss. Esemplificativo, al riguardo, il Lehman Protocol (Lehman Bros. Holding Ind., Cross Border Insolvency Protocol for the Lehman Brothers Group of Companies, disponibile online sul sito www.lehman-docket.com), firmato dagli organi rappresentativi di oltre settanta procedure collettive, aperte in più di quaranta Stati nei confronti delle società-satellite della banca d’affari statunitense. Sul Lehman Protocol cfr., per tutti, Altman, A Test Case in International Bankruptcy Protocols, cit., pp. 463 ss.; Sexton, Current Problems and Trends in the Administration of Transnational Insolvencies involving Enterprise Group: The Mixed Record of Protocols, the UNCITRAL Model Insolvency Law, and the EU Insolvency Regulation, in 12 Chi. J. Int’L., 2011, pp. 834 ss. Più in generale, sulla crisi della Lehman Brothers sia consentito il rinvio a Vattermoli, Chapter 11 e tutela dei creditori (note a margine del caso Lehman Brothers), in Dir. banc., 2009, II, pp. 67 ss.
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Peraltro, pur affondando le loro radici nel diritto concorsuale crossborder, nulla impedisce che tali accordi vengano altresì utilizzati per coordinare le procedure aperte nei confronti delle società di un gruppo domestico: eventualità che potrebbe presentarsi, ad esempio, in quegli ordinamenti che non hanno norme che consentano il coordinamento massimo, oppure qualora non si ravvisi l’opportunità di procedere alla trattazione unitaria della crisi delle società del gruppo. I protocols – ma il discorso può essere esteso, in realtà, a tutti gli strumenti di cooperazione – trovano poi applicazione qualora sia economicamente conveniente procedere al coordinamento delle procedure aperte nei confronti delle singole componenti, ossia quando il gruppo è economicamente integrato e vi sia ancora un valore a titolo di goodwill (di gruppo) da preservare. b) Dal punto di vista della struttura soggettiva dell’accordo, i protocols possono intercorrere sia tra le autorità giudiziarie40; sia tra coloro che sono incaricati di gestire il (o di vigilare la gestione del) patrimonio responsabile; sia tra coloro che rappresentano, all’interno delle procedure, gli interessi dei creditori; e sia, nelle ipotesi di debtor in possession, tra gli amministratori delle società del gruppo in crisi41. c) Per quel che concerne l’oggetto, va detto che i protocols – il cui contenuto, pur essendo costante l’obiettivo di «maximize efficiency and
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Nel qual caso saremmo di fronte ad una forma, seppure evoluta, di “judicial dialogue”: in questo senso Vallar, Use of Cross-Border Insolvency Protocols, cit., p. 168. Peraltro, nella prassi «It is rarely the case that an agreement is entered into between the courts, although in some jurisdictions this might be possible. However, negotiations between parties in cross-border cases are frequently assisted by the courts and they may provide the impetus for reaching an agreement» (Uncitral, Practice Guide, cit., p. 33). 41 Sarra, Maidum’s Challenge, cit., p. 84. In Uncitral, Practice Guide, cit., p. 32 si legge che: «Very often the negotiation of cross-border insolvency agreements is initiated by the parties to the proceedings, including the insolvency practitioners or insolvency representatives and, in some cases, the debtor (including a debtor in possession), or at the suggestion and with the encouragement of the court; some courts have explicitly encouraged the parties to negotiate an agreement and seek the courts’ approval. The early involvement of the courts may, in some cases, be a key factor in the success of the agreement. Typically, the parties that enter into an agreement vary depending upon the applicable law and what is permitted, for example, with respect to the powers of the insolvency representatives, the courts and other parties in interest. Frequently, they are entered into by the insolvency representatives, sometimes by the debtor (usually a debtor in possession), and may involve the creditor committee or, in one or two of the cases examined, individual creditors, such as major lenders».
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minimize dispute among all parties»42, varia in dipendenza delle esigenze che si intendono soddisfare nel caso specifico43 – possono essere modellati in modo da prevedere l’utilizzo di uno o alcuni degli strumenti di cooperazione in precedenza menzionati. La matrice negoziale degli stessi – spesso articolati nella sequenza procedimentale: accordo quadro/accordi esecutivi – esclude che le relative clausole possano porsi in contrasto con quanto previsto dalla legge nazionale, specialmente per quel che attiene ai doveri ed alle responsabilità che gravano sul soggetto incaricato di gestire il patrimonio insolvente, nonché alle garanzie procedurali assicurate alle parti interessate44. Inoltre, e com’è evidente, essi non possono neanche limitare l’indipendenza e l’autorità dei tribunali fallimentari, e ciò anche qualora siano da questi ultimi formalmente autorizzati e/o adottati. Ciò precisato, va detto che gli accordi potrebbero avere ad oggetto (e, di fatto, nella pratica hanno avuto ad oggetto), tra l’altro, l’individuazione delle regole di conflitto da utilizzare per la determinazione della legge applicabile ad alcune questioni particolari; la scelta della forma e del contenuto delle comunicazioni tra le parti e delle notifiche degli avvisi ai soggetti interessati; il procedimento da seguire per la verifica dei crediti derivanti da atti infragruppo; la sorte dei giudizi pendenti tra
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Flaschen e Silverman, Cross-Border Insolvency, cit., p. 590. L’annex 1 delle European Communication and Cooperation Guidelines for Cross-border Insolvency, cit., contiene una sorta di checklist di ciò che dovrebbe/potrebbe contenere un protocol, tra cui i requisiti di base che vengono così sintetizzati: «1. A clause should be inserted,stating that nothing contained in the protocol shall be construed to increase, decrease or otherwise affect in any way the independence, sovereignty or jurisdiction of the relevant national courts; 2. An additional clause should be inserted, stating that the courts involved shall be entitled at all times to exercise its independent jurisdiction and authority with respect to matters presented to the courts and the conduct of the parties appearing in such matters, including the court’s ability to provide appropriate relief on an exparte basis or a limited notice basis; 3. A clause could be inserted, stating that where there is any discrepancy between the Protocol and the Guidelines either one of them (the Protocol or the Guidelines) will prevail». 43 Zumbro, Cross-Border Insolvencies and International Protocols, cit., p. 168; Kamalnath, Cross-Border Insolvency Protocols, cit., p. 173. 44 In Menegon v. Philip Services Corp., il giudice canadese disapplicò il protocol – che prevedeva una particolare procedura per l’approvazione del piano di risanamento del gruppo, diversa da quella fissata nella legge fallimentare canadese – in quanto ritenuto contrario, appunto, al CCAA. Il caso è citato da Sarra, Maidum’s Challenge, cit., p. 86-87, la quale conclude affermando che «the protocols, while facilitating cross-border proceedings, cannot undermine domestic statutory standards».
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le società del gruppo; la divisione dei compiti (e delle responsabilità), tra i soggetti firmatari dell’accordo, su questioni che interessano le varie procedure coinvolte (come le operazioni relative alla vendita in blocco degli assets del gruppo)45. Quel che più interessa in questa sede, comunque, è che i protocols possono altresì stabilire le regole da seguire ed i meccanismi da utilizzare per il coordinamento dei piani di riorganizzazione già presentati o da presentare. Anzi, può fondatamente affermarsi che la ristrutturazione del gruppo, specialmente se a dimensione multinazionale, ben difficilmente potrebbe in concreto realizzarsi in mancanza di un cross-border insolvency agreement tra i rappresentanti delle varie procedure aperte nei confronti delle singole componenti del medesimo. Sarebbe invero praticamente impossibile riuscire a formulare un piano unico o più piani collegati ed interferenti, oppure ad “allineare” il timing della presentazione delle proposte e della votazione delle stesse, senza che alla base vi sia un accordo specifico tra i responsabili delle varie procedure; così come impossibile sarebbe procedere al risanamento indiretto, attraverso cioè la cessione aggregata delle consistenze patrimoniali di gruppo, in difetto di simili accordi46. d) Va infine segnalato che al momento di configurare il contenuto degli accordi le parti dovranno necessariamente tenere in conto l’obiettivo ultimo – la funzione giuridicamente rilevante, si direbbe – per cui gli stessi vengono contemplati nei testi in precedenza segnalati, ossia
45 Come sottolinea LoPucki, Universalism Unravels, cit., p. 162: «When international cooperation was needed, it would occur by agreement among the administrators (…) If the assets of the multinational would bring a higher price if sold together, it will be in the interest of the administrators to sell them together and split the additional proceeds among them». Sul punto cfr., altresì, Sarra, Maidum’s Challenge, cit., p. 84; Zumbro, CrossBorder Insolvencies and International Protocols, cit., p. 160. 46 Uncitral, Practice Guide, cit., p. 28: «In addition to promoting the efficient worldwide coordination and resolution of multiple proceedings against a debtor, cross-border insolvency agreements are also intended to protect the fundamental local rights of each of the parties involved in those proceedings. Their use has effectively reduced the cost of litigation and enabled parties to focus on the conduct of the insolvency proceedings, rather than on resolving conflict of laws and other similar disputes. As such, they are considered by many practitioners who have been involved with their use as the key to developing appropriate solutions for particular cases, without which a successful conclusion to the proceedings would have been very unlikely. Their increasing use suggests that in time they may become the norm in cases with a significant international element, although their use is not ubiquitous, currently being limited to a handful of States».
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facilitare la gestione efficiente degli attivi delle imprese del gruppo in crisi, nell’interesse dei creditori (recte: di tutti i creditori coinvolti)47. Più in particolare, l’analisi costi/benefici realizzata in primis dal rappresentante della procedura di insolvenza e propedeutica alla decisione in ordine al se partecipare o meno al processo di cooperazione attraverso l’uso del protocol deve condurre al risultato per cui, rispetto all’alternativa “indipendentista” – o, comunque, all’alternativa data dalla mancanza dell’accordo –, nessun creditore della procedura amministrata risulti danneggiato dal coordinamento, secondo la ormai nota formula “no creditors worse off”48. Qualsiasi accordo che non persegua tale obiettivo dovrà dunque essere considerato illecito.
4. Conclusioni. Le questioni ancora aperte. In questo quadro, si svelano alcuni profili problematici che richiederanno ulteriori approfondimenti sul tema. A. È stato in precedenza più volte sottolineato il massiccio impiego dei protocols nella prassi internazionale, specialmente per quel che attiene alla gestione dei gruppi cross-border in crisi; e si è altresì sottolineato come lo strumento risulti particolarmente adatto alla ristrutturazione del gruppo e alla conservazione della continuità aziendale, diretta o indiretta, delle imprese che lo compongono. In un’ottica più generale può affermarsi che tali accordi rappresentano un ulteriore tassello del c.d. diritto negoziale della crisi, che sempre più spazio sta occupando nell’ordinamento concorsuale o paraconcorsuale, anche a livello europeo.
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Nello stesso senso, Fumagalli, I protocolli tra le procedure, cit., p. 196. Esplicito sul punto, seppure con riferimento più in generale alla cooperazione, il Considerando n. 52 del Regolamento UE: «Nel caso in cui siano state aperte procedure d’insolvenza per varie società dello stesso gruppo, vi dovrebbe essere adeguata cooperazione tra i soggetti coinvolti in tali procedure. Ai vari amministratori delle procedure di insolvenza e giudici coinvolti dovrebbe pertanto incombere un obbligo di cooperare e comunicare tra loro analogo a quello che vige per gli amministratori delle procedure di insolvenza e giudici coinvolti nelle procedure principali e secondarie di insolvenza relative allo stesso debitore. La cooperazione tra gli amministratori delle procedure di insolvenza non dovrebbe mai andare contro gli interessi dei creditori di ciascuna procedura e dovrebbe essere tesa a trovare una soluzione che sfrutti le sinergie in seno al gruppo». 48
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A tal fine è sufficiente pensare, per un verso, alla procedura di coordinamento di gruppo, di cui agli artt. 61-77 del Regolamento UE n. 848/2015, ed in particolare alla norma (art. 66.1) che consente ai rappresentanti delle procedure aperte nei confronti delle società del gruppo di accordarsi (per di più a maggioranza) al fine di individuare il giudice “più appropriato” per aprire la procedura di coordinamento, riconoscendo loro, in deroga ai più elementari principi del giusto processo, la potestà attributiva di una competenza giurisdizionale (esclusiva); e, per altro verso, alla norma, contenuta nell’art. 36 dello stesso Regolamento, ove si consente al curatore di una procedura principale di insolvenza di assumere un impegno giuridicamente vincolante nei confronti di un gruppo di creditori, impegno che, ove accettato da questi ultimi, produce il risultato di paralizzare l’apertura di una procedura secondaria, di fatto limitando con un atto di autonomia privata la competenza giurisdizionale di uno Stato membro. B. La ristrutturazione di un gruppo di imprese in crisi mediante l’uso dei protocols coinvolge molte altre questioni e genera numerosi interrogativi che in questa sede non è stato possibile affrontare. Ci si potrebbe chiedere, ad esempio, se sia possibile – e, in caso di risposta affermativa, in quale misura – pianificare una gestione coordinata delle questioni sindacali che potrebbero sorgere per effetto delle operazioni di riorganizzazione della forza lavoro dipendente. Oppure, ancora, se sia possibile pianificare la strategia da adottare per la ristrutturazione del gruppo nell’ipotesi in cui le varie società siano sottoposte a procedure aventi connotati strutturali e funzionali diversi (ad esempio: procedure concorsuali e non concorsuali; procedure che prevedono lo spossessamento e che si fondano sul debtor in possession; procedure giurisdizionali e amministrative; ecc.) e tra chi, in questi casi, possono essere conclusi gli accordi. Ci si potrebbe chiedere, infine, se i protocols generino obbligazioni in senso stretto e se, dunque, l’eventuale inadempimento degli stessi comporti una qualche forma di responsabilità. Per sciogliere questi dubbi l’inquadramento civilistico dei protocols diviene allora un passaggio ineludibile. È del tutto evidente, invero, come l’esatta qualificazione della natura giuridica dei protocolli determini una serie di conseguenze che non si esauriscono nella risposta all’esigenza, puramente teorica, di inquadramento dogmatico della fattispecie, la categorizzazione di tali accordi rivestendo, di contro, un immediato impatto pratico, con particolare riguardo alla individuazione della disciplina applicabile (specialmente per quel che attiene agli effetti che da essi promanano).
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Eppure, nonostante la rilevanza che assume nell’analisi complessiva dell’istituto, il contributo offerto sul tema dalla letteratura specialistica è sorprendentemente scarno. Ciò premesso e tenendo in conto altresì che nei testi in precedenza richiamati non v’è alcun riferimento tale da orientare l’interprete su questo specifico aspetto, sembra corretto ritenere che tali accordi siano inquadrabili, almeno in via di prima approssimazione, tra gli atti negoziali non patrimoniali, atipici, bi- o plurilaterali e a contenuto organizzatorio49. Più in particolare, guardando al loro possibile contenuto, i protocols sembrerebbero poter essere collocati nella medesima macrocategoria concettuale nella quale trovano spazio le molteplici figure programmatorie e/o pianificatorie che animano lo scenario del diritto della crisi e dell’insolvenza contemporaneo (e si pensi, per fare degli esempi riferibili all’ordinamento italiano, ai piani attestati di risanamento o al programma di liquidazione redatto dal curatore)50. Ancora, punti di contatto sembrerebbero potersi scorgere – sempre per rimanere all’ordinamento interno – con la figura degli “accordi fra pubbliche amministrazioni”, di cui all’art. 15 l. n. 241/1991 attraverso i quali tali autorità disciplinano «lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune» ed ai quali, ove non diversamente previsto, si applicano – in virtù del rinvio all’art. 11, co. 2 della stessa legge operato dall’art. 15, co. 2 – «i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili». Così come i protocols, anche tali accordi si caratterizzano per determinare l’effetto di sostituire e/o integrare il contenuto di un atto autoritativo, generando così un curioso mix di norme inderogabili ed esercizio di autonomia negoziale, di cui non sempre è facile individuare i rispettivi confini.
49 Condivide la non riconducibilità dei protocols ai contratti anche Fumagalli, I protocolli tra le procedure, cit., pp. 193-194, e «ciò non tanto perché appaia difficile identificare un quadro normativo privatistico in cui essi si muovano e dal quale ricevano tale “sanzione”, ma in quanto i contenuti degli stessi smentiscono il dato. In effetti, il contenuto dei protocolli di cooperazione e coordinamento è solo indirettamente patrimoniale e gli amministratori delle procedure coinvolte non sembrano disporre, attraverso la loro conclusione, di diritti propri nell’esercizio di una qualche forma di autonomia privata: essi esercitano diritti, o svolgono funzioni, nell’ambito di una procedura di insolvenza, nell’interesse principale di terzi (i creditori, la massa, il debitore) ed in conformità alla legge che la regola». 50 Sui quali si veda, da ultimo, Nigro e Vattermoli, Disciplina delle crisi dell’impresa societaria, doveri degli amministratori e strumenti di pianificazione: l’esperienza italiana, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 1° novembre 2018, in part. pp. 10 ss.
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Ma si tratta, appunto, di una prima approssimazione al tema, sul quale occorrerà tornare a riflettere, considerata l’importanza che lo strumento riveste e che sempre più rivestirà in futuro, nell’ambito delle operazioni di ristrutturazione dei gruppi di imprese in crisi, non necessariamente, peraltro, ad operatività cross-border.
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Per la chiarezza delle idee su compensazione e postergazione* Sommario: 1. Introduzione. – 2. Di alcuni punti fermi sul piano delle norme. – 3. La compensazione come deroga al concorso. – 4. La compensazione come deroga alle cause legittime di prelazione. – 5. La frontiera della compensazione trilaterale. – 6. Le specificità della compensazione nel concordato preventivo. – 7. Sulla compensabilità dei crediti postergati ex art. 2467 c.c. – 7.1. Natura del credito postergato. – 7.2. La postergazione come protezione e la regola della libertà patrimoniale del debitore. – 7.3. Le postergazioni controverse e gli effetti sulla compensazione. – 8. Prime ragioni per la compensabilità dei crediti postergati. – 8.1. La decisività del criterio della comune esigibilità e l’ordine di compensazione. – 9. Conclusioni.
1. Introduzione. La riforma societaria del 2003 ha portato in dote la tematica dei crediti finanziari che per previsione di legge possono1 essere assoggettati a ‘postergazione’. Prima della riforma non era infrequente che nell’ambito di operazioni di ristrutturazione taluni creditori, di solito quelli prossimi al debitore per ragioni di collegamento societario o contrattuale, si rendessero disponibili a postergare il credito al buon esito del processo di ristrutturazione. Si trattava, però, di operazioni volontarie di supporto alle proce-
* Il presente contributo, con minime varianti è destinato agli Studi in memoria di Michele Sandulli. In sede di correzione delle bozze si è tenuto conto del d.lgs. 14/2019 che continua in codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (c.c.i.i.) 1 Tale locuzione deriva dal fatto che comunemente si ritiene che i crediti finanziari dei soci siano postergati, ma non è proprio così perché non lo sono quelli erogati in situazioni di equilibrio finanziario della società, v. App. Milano, 18 aprile 2014, in Giur. comm., 2015, II, p. 97.
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dure di crisi2, non osteggiate dai tribunali che, anzi, riconoscevano a tali creditori il diritto di voto. Parallelamente, in occasione di interventi di finanziamento di una società di capitali, si poneva il tema della qualificazione dei versamenti effettuati dai soci ed era diffusa la soluzione di considerarli versamenti in conto capitale in modo da renderli ‘quasi’ equity per non appesantire la situazione finanziaria della società, creando una apposita riserva nel patrimonio netto3. Il mondo è profondamente cambiato con l’introduzione degli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c.4, là dove i finanziamenti erogati dal socio, a determinate condizioni – condizioni che afferiscono all’equilibrio economico
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App. Firenze, 16 giugno 1998, in Riv. dir. comm., 1999, II, p. 311; Trib. Roma, 4 agosto 1992, in Impresa, 1992, p. 2727; Trib. Roma, 14 marzo 1991, in Dir. fall., 1991, II, p. 1001; Trib. Milano, 26 ottobre 1989, in Fallimento, 1990, p. 624; App. Trieste, 13 maggio 1986, in Fallimento, 1987, p. 398; Trib. Padova, 5 maggio 1986, in Fallimento, 1987, p. 73; Pret. Firenze, 17 febbraio 1986, in Informazione prev., 1986, p. 634; Trib. Pordenone, 18 ottobre 1984, in Fallimento, 1985, p. 1057. 3 V., inter alia, Cass., 24 luglio 2007, n. 16393, in Foro it., 2008, I, p. 2244, secondo la quale «I versamenti in conto capitale non sono imputabili a capitale e non generano crediti esigibili dei soci nei confronti della società potendo invece esser loro restituiti soltanto per effetto dello scioglimento della società (e nei limiti dell’eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione) ovvero distribuiti durante societate in caso di saturazione della riserva legale con deliberazione dell’assemblea ordinaria; la loro restituzione può essere disposta al di fuori del paradigma normativo di cui all’art. 2445 c.c.»; Cass., 9 dicembre 2015, n. 24861, in dejure.it; Tombari, «Apporti spontanei» e «prestiti» dei soci nelle società di capitali, in Il nuovo diritto delle società, diretto da Abbadessa-Portale, Torino, 2006, I, pp. 553 ss.; Parrella, Versamenti in denaro dei soci e conferimenti nelle società di capitali, Milano, 2002, pp. 112 ss.; Rubino De Ritis, Gli apporti “spontanei” in società di capitali, Torino, 2001, pp. 128 ss.; Tantini, I “versamenti in conto capitale” tra conferimenti e prestiti, Milano, 1990, pp. 75 ss.; Desana, La sollecitazione all’investimento, i finanziamenti dei soci, i titoli di debito, in La nuova s.r.l., diretto da Sarale, Bologna, 2008, pp. 172 ss.; Portale, Appunti in tema di «versamento in conto futuri aumenti di capitale» eseguiti da un solo socio, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, I, pp. 93 ss.; Ragno, Versamenti in conto capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale e prestiti subordinati effettuati da soci di società di capitali, in Giur. comm., 2000, I, pp. 763 ss.; sulla variegata casistica degli apporti v., Scano-Tronci, Finanziamenti e versamenti dei soci nelle società partecipate, in Giur. comm., 2018, II, pp. 175 ss.; Potosching, Natura degli apporti dei soci e applicazione dei criteri d’interpretazione dei contratti, in Società, 2018, pp. 595 ss. 4 Con particolare riguardo al tema dei gruppi v. Cagnasso, Il diritto societario della crisi fra passato e futuro, in Giur. comm., 2017, I, pp. 33 ss., a proposito dell’estensione della postergazione prevista nella l. 155/2017 di delega per la riforma organica della legge fallimentare.
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della società – pur non perdendo la qualità di crediti, vengono posposti, ai fini del loro soddisfacimento, a quelli vantati da tutti gli altri creditori5. Le questioni che pertengono al trattamento di tali crediti sono molteplici e sono state diffusamente esplorate con una ricchissima letteratura. Per alcuni anni, invece, si è assistito ad un sonno della giurisprudenza come se il fenomeno dovesse ascriversi (come è accaduto per i patrimoni destinati) ad un eccesso di fantasia del legislatore. Sennonché, le dinamiche dei processi di ristrutturazione delle imprese societarie hanno reclamato, sempre più spesso, un necessario confronto fra diritto della crisi d’impresa e diritto societario, con il risultato che il trattamento dei crediti derivanti da finanziamento è divenuto uno dei profili più densi di criticità delle proposte di concordato preventivo. In questa sede sarà approfondita, soltanto, la relazione ‘pericolosa’ intercorrente fra regime di postergazione e causa estintiva dell’obbligazione per effetto di compensazione. Ne è occasione, il lodo pronunciato da una autorevole studiosa del diritto processuale civile; un diritto processuale civile che forse taluno potrebbe ritenere eterodosso rispetto alla questione e che invece risulta centrale per una doppia ragione: (i) la postergazione è, un poco come la prededuzione, una qualità del credito che rileva nel processo esecutivo e (ii) la compensazione è non solo uno strumento (satisfattivo) di estinzione del debito ma è anche una eccezione nel processo, con una infinità di ricadute (ad esempio a proposito del giudicato)6. Il lodo è stato pronunciato a seguito dell’abile intuizione di devolvere in arbitrato – a cura dei commissari giudiziali di tre, intrecciate, procedure di concordato preventivo cui avevano fatto accesso tre società collegate che fra loro avevano intrattenuto rapporti commerciali e finanziari – la soluzione da offrire, ai fini del ‘consolidamento’ delle proposte, alla presenza di reciproci rapporti di dare-avere. In presenza di crediti sicuramente postergati – e di altri di cui si poteva discutere della ricorrenza di tale categoria – si doveva stabilire
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È diffusa un’aura di pregiudizio sui finanziamenti dei soci, ma non può essere dimenticato come spesso le condizioni di mercato praticate li rendano competitivi rispetto ai finanziamenti bancari, v., Paolucci, sub art. 2467, in Società a responsabilità limitata, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 2014, pp. 282 ss.; Bertolotti, I finanziamenti dei soci, in Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza 2003-2009, diretto da Cottino, Bologna, 2009, pp. 938 ss. 6 Merlin, Compensazione e processo, Milano, 1994, pp. 3 ss.; Vanzetti, Compensazione e processo fallimentare, Milano, 2012, pp. 37 ss.
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se ogni società dovesse partecipare per l’intero credito alla procedura della società collegata-debitrice e, simultaneamente, dovesse soddisfare secondo il regime concorsuale i crediti delle società collegate, oppure se fosse possibile partecipare sì, ma al netto delle compensazioni. Il lodo si è espresso in questa seconda direzione e sin d’ora si può anticipare una convinta adesione alla soluzione adottata.
2. Di alcuni punti fermi sul piano delle norme. Prima di svolgere la trattazione del tema controverso appare utile disegnare il perimetro normativo entro il quale muoversi, cercando di offrire qualche elemento di certezza che possa poi coadiuvare l’interprete di fronte al secco interrogativo se anche i crediti postergati si possano compensare. Le disposizioni di riferimento sono sparse qua e là: (i) rilevano taluni articoli della legge fallimentare e, in particolare l’art. 56 l. fall. che contiene il regime della compensazione nel fallimento7, richiamato nell’art. 169 l. fall. per la procedura di concordato preventivo (ma non anche negli accordi di ristrutturazione)8; (ii) rilevano i già citati artt. 2467 e 2497-quinquies c.c.; (iii) rilevano gli artt. 1241-1252 c.c. L’esame della questione oggetto di trattazione in arbitrato non può che decollare da come si atteggi la compensazione rispetto al concorso fallimentare e a quello concordatario. Concorso fallimentare e concorso concordatario sono figure largamente diverse se solo si pone attenzione al fatto che nel primo un ruolo decisivo è giuocato dall’azione revocatoria che nel secondo è totalmente
7 «I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore». 8 È interessante segnalare che secondo la più recente lettura giurisprudenziale gli accordi di ristrutturazione apparterebbero alla categoria delle procedure concorsuali (Cass., 18 gennaio 2018, n. 1182, in Fallimento, 2018, 285; Cass., 12 aprile 2018, n. 9087, in Fallimento, 2018, p. 984), senza però una giustificata applicazione, inter alia, delle norme sulla compensazione. Per un confronto ideologico v., fra i molti, Trentini, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono una «procedura concorsuale». La Cassazione completa il percorso, in Fallimento, 2018, pp. 988 ss. (a favore della concorsualità) e Fabiani, La nomenclatura delle procedure concorsuali e le operazioni di ristrutturazione in Fallimento, 2018, p. 288 (contro la tesi della Cassazione).
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assente9. Tuttavia, ai fini della compensazione, i due modelli di concorso sono perfettamente sovrapponibili visto il richiamo incluso nell’art. 169 l. fall., sì che ciò che è compensabile nel fallimento lo sarà anche nel concordato e viceversa, pur se talune specificità saranno di poi evidenziate. Il primo gradino da superare è costituito dal modo in cui opera la compensazione rispetto al concorso, sì che l’incipit dell’indagine sarà, tutta, rivolta verso l’istituto della compensazione nella sua declinazione rispetto al concorso dei creditori10.
3. La compensazione come deroga al concorso. Le riforme che si sono succedute dal 2005 in avanti hanno fortemente inciso sul mito della par condicio creditorum; forse, oggi, il principio di parità di trattamento è divenuto residuale e cioè da applicare le quante volte non prevalgano altri criteri di ‘distribuzione’ della responsabilità patrimoniale11. In questo contesto, desta assai minore impressione una norma come quella incasellata nell’art. 56 l. fall. che in presenza di crediti contrappo-
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In luogo di molti, v., Fabiani, Concordato preventivo, in Comm. Scialoja-Branca. Legge fall., a cura di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, 2014, pp. 57 ss. 10 In verità se si volesse approfondire il tema, è la stessa nozione di concorso che si presta a svariate letture; di recente si è, però, acquisito – in modo condivisibile – che la nozione di concorso va tenuta ben distinta da quella di par condicio per la semplice ragione che la par condicio è una regola disciplinare che si può applicare al concorso, ma il concorso ne può prescindere in virtù del fatto che la regola da applicare potrebbe essere quella della priorità temporale; v., Galletti, Il concorso nel fallimento, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di Jorio, Torino, 2016, pp. 1273 ss.; Nigro, La disciplina delle crisi patrimoniali delle imprese, Torino, 2012, pp. 277 ss.; De Sensi, La concorsualità nella gestione della crisi d’impresa, Roma, 2009, pp. 65 ss.; Sandulli, La crisi dell’impresa, Torino, 2009, pp. 39 ss.; P.G. Jaeger, “Par condicio creditorum”, in Giur. comm., 1984, I, pp. 104 ss.; Gius. Tarzia, Par aut dispar condicio creditorum, in Riv. dir. proc., 2005, pp. 1 ss. 11 Fabiani, Appunti sulla responsabilità patrimoniale “dinamica” e sulla de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria, diretto da Ambrosini, Bologna, 2017, pp. 552 ss.; D’Attorre, Ricchezza del risanamento imprenditoriale e sua destinazione, in Fallimento, 2017, pp. 1015 ss.
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sti, sacrifica, sull’altare di una ragione non così evidente12, il principio della parità di trattamento13. È ben noto che secondo una porzione della letteratura (specie quella meno recente) la ratio dell’art. 56 andrebbe essenzialmente ravvisata nell’introduzione di un meccanismo volto ad assolvere ad esigenze equitative14, nel senso di volere ovviare all’iniquità del pagamento in moneta fallimentare del creditore in bonis costretto ad adempiere alla propria obbligazione per l’intero, pur in presenza di un controcredito. In verità, se si guarda con maggiore profondità la questione, ci si avvede che questa equità ricorre solo ex latere debitoris (in bonis), mentre se il cono visivo è rovesciato e si scruta dal lato dei creditori, la compensazione si rivela una regola iniqua perché si risolve in un esonero del creditore dal concorso formale e sostanziale15. Questa obiezione viene però criticata sul presupposto che la compensazione rappresenterebbe una forma di garanzia16 sì che sarebbe trattata nel fallimento al pari delle altre forme di garanzia (pegno e ipoteca). Anche se poniamo in disparte il c.d. profilo sostanziale della par condicio (ovverosia il diritto ad una soddisfazione paritaria sul patrimonio del debitore), il principio della regolazione concorsuale del dissesto vuole che tutti i creditori siano posti sullo stesso piano (v., artt. 51 e 52 l. fall.) e siano chiamati a concorrere sull’unico patrimonio in virtù del
12 La ragione non è così evidente perché se si volesse guardare con la lente rigida della par condicio, la circostanza della presenza di crediti-debiti contrapposti non dovrebbe avere rilievo alcuno. 13 Colesanti, Mito e realtà della “par condicio”, in Fallimento, 1984, p. 32. 14 Cass. 13 gennaio 2009, n. 481, in Foro it., Rep. 2009, voce Fallimento, n. 336 che riprende la Relazione alla legge fallimentare del 1942; per un inquadramento recente, Rosapepe, Effetti nei confronti dei creditori, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da Buonocore e Bassi, II, Padova, 2010, pp. 307 ss.; Tedeschi, Gli effetti del fallimento per i creditori, in Trattato dir. priv., diretto da Rescigno, 16, 2, Torino, 2011, pp. 105 ss.; Gualandi, Gli effetti del fallimento per i creditori, in AA.VV., Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2011, pp. 186 ss.; Ambrosini-Cavalli-Jorio, Il fallimento, in Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, XI, 2, Padova, 2009, pp. 382 ss.; Satta, Istituzioni di diritto fallimentare, Roma, 1952, pp. 170 ss.; si assume che non sarebbe equo imporre al debitore in bonis di far fronte ad un debito quando il suo credito non può essere pagato dall’insolvente. 15 Provinciali, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1962, pp. 311 ss.; Nigro, Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2009, pp. 141 ss. 16 Ferrara, Il fallimento, Milano, 1989, p. 334; Angeloni, Diritto civile. Vol. 3/1: Obbligazioni. Il rapporto obbligatorio, Milano, 2009, pp. 286 ss.; Vassalli, Diritto fallimentare, I, Torino, 1994, pp. 345 ss. Per Vanzetti, Compensazione e processo fallimentare, cit., pp. 7 ss., è assimilabile ad un privilegio assoluto.
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principio di cui all’art. 2741 c.c.; ciò significa, sul piano del processo, che tutti i creditori che aspirano a competere sul patrimonio responsabile sopportano l’onere di dover far accertare il loro credito nell’ambito del procedimento di formazione dello stato passivo17. Al principio della regolazione concorsuale fa eccezione la disciplina della compensazione; infatti il creditore che sia a sua volta debitore del fallito ha diritto di compensare le contrapposte situazioni debitorie senza bisogno di far accertare il suo credito nella formazione dello stato passivo. In virtù della compensazione, il creditore in bonis per la parte che viene elisa per compensazione si soddisfa per intero, in quanto azzera la propria posizione debitoria. Se il creditore in bonis, una volta effettuata la compensazione, vanta un residuo credito può presentare la domanda di ammissione al passivo per la differenza, mentre se residua un debito può evitare di chiedere l’accertamento del suo credito, attendere l’iniziativa del curatore volta ad ottenere la riscossione del credito che vantava il fallito, ed in quella sede giudiziale far valere in via di mera eccezione il proprio controcredito, senza bisogno di chiedere previamente l’accertamento del controcredito davanti al giudice delegato18 e ciò in palese deroga rispetto a quanto previsto nell’art. 52 l. fall.19. Quanto alla trasposizione delle regole del diritto delle obbligazioni alle procedure concorsuali, l’operatività della compensazione in sede fallimentare (art. 56 l. fall.) presuppone che i crediti siano liquidi, omogenei, esigibili e reciproci, anche se in virtù del principio che vuole anticipata la scadenza dei crediti al momento del fallimento, possono essere compensati anche i crediti non scaduti della parte in bonis, in deroga all’art. 1243 c.c.20. L’omogeneità fra crediti presuppone che vi sia iden-
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Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., pp. 1279 ss. Cass., 9 gennaio 2009, n. 287, in Foro it., Rep. 2009, voce Fallimento, p. 333; Cass. 21 dicembre 2002, n. 18223, in Fallimento, 2003, p. 758; Cass., 18 giugno 1998, n. 6099, in Fallimento, 1999, p. 412; Cass., 20 agosto 1997, n. 7795, in Fallimento, 1998, p. 285; Cass. 3 settembre 1996, n. 8053, in Fallimento, 1997, p. 598. 19 Vanzetti, sub art. 56, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da Cavallini, I, Milano, 2010, pp. 1112 ss.; Burdese, Moscati, I modi di estinzione, in Trattato delle obbligazioni, diretto da Garofano-Talamanca, III, Padova, 2008, pp. 10 ss.; Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., pp. 1280 ss.; W. Celentano, Effetti del fallimento per i creditori, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da Fauceglia e Panzani, Torino, 2009, pp. 530 ss. 20 Cass., 3 dicembre 2003, n. 18428, in Giur. it., 2004, 1199; Napoleoni, Frammenti d’una indagine sulla revocatoria fallimentare del fenomeno compensativo, in Dir. fall., 1987, II, pp. 443 ss.; Perlingieri, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1975, pp. 18
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tità nel tipo delle prestazioni; la reciprocità vuole che le contrapposte obbligazioni vedano come parte gli stessi soggetti, ciò che esclude, ad esempio la compensabilità di un credito della parte in bonis (che viene vantato contro il fallito) con un debito della stessa rispetto ad una azione revocatoria (debito che investe non il fallito ma il curatore)21. Quanto alla liquidità, si vuole che entrambi i crediti siano relativi ad una precisa somma di denaro (o quantità di cose). Poiché nell’art. 56 si afferma che è possibile compensare i crediti non ancora scaduti, per tutti gli altri requisiti si dovrebbe opinare che la loro ricorrenza debba essere anteriore al fallimento. In tale contesto qualora uno dei due crediti abbia fonte risarcitoria, la compensazione – di matrice giudiziale – non potrebbe aver mai luogo. Una lettura che si basa sul dato letterale e quindi sul carattere speciale della norma, oltre che sul principio della cristallizzazione delle situazioni giuridiche esistenti alla data del fallimento e dell’applicabilità dell’art. 2917 c.c. (per cui i fatti estintivi successivi al pignoramento sono inefficaci), porta verso un’interpretazione rigorosa della normativa fallimentare22. Ma, per converso, si è ben colto che quello che conta ai fini della concorsualità è che le rispettive obbligazioni siano nate prima del fallimento (il c.d. fatto genetico), ben potendo gli altri requisiti sopravvenire in costanza di procedura. Tale lettura corrisponde anche a ragioni di equità che giustificano la compensabilità con i debiti verso il fallito dei crediti vantati verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento23.
320 ss.; Ragusa Maggiore, Diritto fallimentare, Napoli, 1974, I, p. 394 ss.; Maffei Alberti, Il danno nella revocatoria, Padova, 1970, pp. 237 ss. 21 Cass., 31 agosto 2015, n. 17338, in Foro it., Rep. 2015, voce Fallimento, 353; Cass., 19 novembre 2008, n. 27518, in Foro it., Rep. 2008, voce Fallimento, 444; Cass., 26 luglio 2002, n. 11030, in Giur. it., 2003, 711; Foschini, La compensazione nel fallimento, Napoli, 1965, pp. 153 ss.; Giuliano, La compensazione con particolare riguardo alle procedure concorsuali, Milano, 1955, pp. 189 ss.; Vanzetti, Compensazione e processo fallimentare, cit., pp. 16 ss.; Macario, Ivone, Gli effetti del fallimento per i creditori, in Fallimento e concordato fallimentare, a cura di Jorio, Torino, 2016, pp. 1352 ss. 22 Che vi sia un contrasto fra l’art. 2917 c.c. e l’art. 56 l. fall. appare, ai più, evidente (v., Vanzetti, Compensazione e processo fallimentare, cit., pp. 12 ss.), ma questa evidenza, a ben vedere sfuma in virtù della valorizzazione del tempo di insorgenza delle obbligazioni. 23 La tesi della anteriorità del fatto genetico supera la rigidità dell’art. 2917 c.c., una rigidità che in passato Giuliano, La compensazione, cit., pp. 159 ss. aveva cercato di superare invocando il principio della immediata esigibilità dei crediti in caso di insolvenza del debitore (art. 1186 c.c.); v., anche Foschini, La compensazione nel fallimento, cit., pp.183 ss.
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Il risultato è che l’unico presupposto per l’operatività della compensazione nel fallimento ex art. 56 è dato dall’anteriorità al fallimento del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte. Questo ragionamento ha portato prima all’affermazione della piena legittimità della compensazione giudiziale24 e poi al consolidamento del principio della compensabilità legale fra due crediti quando il fatto genetico sia da collocare in data anteriore al fallimento25, sì che sono compensabili il debito del socio per la sottoscrizione di un aumento di capitale con un credito del socio verso la società vantato ad altro titolo26. Ciò non toglie, all’evidenza, che la criticità si sposta nel misurare se il fatto genetico possa essere qualificato temporalmente come anteriore o successivo; questa misurazione temporale è, spesso, infarcita di elementi valutativi assai soggettivi e non si conforma al bisogno di certezze27. Al contrario, nessuna norma del codice civile e della legge fallimentare pone dei limiti alla compensazione in ragione della qualità del credito: se ambedue i fatti genetici del credito sono anteriori all’apertura del concorso a nulla rileva che l’uno o l’altro credito siano chirografari o privilegiati. Le superiori considerazioni costituiscono il bacino al quale attingere a proposito dell’interrogativo se la compensazione vada applicata nel falli-
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Cass., 27 aprile 2010, n. 10025, in Foro it., Rep 2010, voce Fallimento, 366; Cass., 12 giugno 2007, n. 13769, in Fallimento, 2008, 445; Cass., 6 settembre 1996, n. 8132, in Foro it. 1997, I, 165; Tedeschi, Gli effetti del fallimento, cit., pp. 110 ss.; Ambrosini, Cavalli e Jorio, Il fallimento, cit., pp. 385 ss.; Bonfatti, Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011, pp. 135 ss.; Vanzetti, Compensazione, cit., pp. 9 ss.; Fabiani, Porte aperte per la compensazione giudiziale nel fallimento, in Foro it., 1997, I, c. 165; Macario, Ivone, Gli effetti del fallimento per i creditori, cit., pp. 1350 ss.; Rosapepe, Gli effetti del fallimento per i creditori, in Le riforme delle procedure concorsuali, a cura di Didone, I, Milano, 2016, pp. 678 ss. 25 Cass., S.U., 2 novembre 1999, n. 755, in Fallimento, 2000, 524; Cass., S.U., 16 novembre 1999, n. 775, in Fallimento, 2000, 524; Cass. 18 marzo 2005, 6006, in Corr. giur., 2005, 969; Cass., 31 agosto 2010, n. 18915, in Foro it., Rep. 2010, voce Fallimento, 364; Cass., 20 gennaio 2015, n. 825, in Foro it., Rep. 2015, voce Concordato preventivo, 239; Cass., 25 novembre 2015, n. 24046, in Fallimento, 2016, 687; in luogo di molti, Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2015, pp. 195 ss.; Schlesinger, Compensazione fallimentare con crediti del fallito non ancora scaduti al momento dell’apertura del concorso, in Corr. giur., 2000, pp. 333 ss.; Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., pp. 1281 ss.; Macario, Ivone, Gli effetti del fallimento, cit., pp. 1345 ss. 26 Cass., 19 marzo 2009, n. 6711, in Notariato, 2011, 519. 27 Se si legge Cass., 25 novembre 2015, n. 24046, in Fallimento, 2016, 687, è facile avvedersi che si è considerato un fatto genetico anteriore il credito del locatore guardando alla data della locazione (anteriore alla apertura del concorso) anziché alla data del periodo di maturazione del canone (posteriore a detta apertura).
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mento in modo più o meno rigoroso. La risposta è univoca: nonostante la compensazione appaia come una deviazione dal concorso, non per questo va applicata solo tassativamente secondo il dettato dell’art. 56 l. fall. e ciò perché il vincolo di indisponibilità che si forma sul credito del fallito o del debitore concordatario (in virtù degli artt. 42, 45, 169 l. fall.) incontra il limite della compensazione per effetto di una precisa volontà di legge28.
4. La compensazione come deroga alle cause legittime di prelazione. L’indifferenza sulla qualità dei contrapposti crediti rende indifferente il profilo della graduazione delle cause legittime di prelazione, nel senso che affinché l’eccezione di compensazione possa essere validamente eccepita da un creditore chirografario del fallimento, non rileva affatto la circostanza che la procedura sia in grado, o meno, di soddisfare aliunde i propri creditori privilegiati, che nel concorso ordinario sarebbero pagati prima del creditore chirografo che avesse eccepito il proprio diritto a compensare29. Neppure la necessità di dover soddisfare le spese di procedura e più in generale i crediti prededucibili costituisce ostacolo al diritto del controcreditore in bonis di opporre in compensazione i propri crediti. Dunque, la qualità del credito non entra assolutamente in gioco nel meccanismo della compensazione e ciò per la semplice considerazione che la stessa opera in un momento anteriore – quando i due crediti vengono a coesistere – o, al più, in costanza di crediti non ancora scaduti, contestualmente all’apertura del concorso, in un frangente, dunque, in cui la qualità del credito non è assolutamente rilevante ai fini del suo soddisfacimento30. Non va, infatti, dimenticato che la causa di prelazione
28 Vigo, Compensazione del credito pignorato e compensazione nel corso del fallimento, Milano, 1994, pp. 25 ss.; per una posizione ben più rigorosa v., invece, Sanzo, Gli effetti del fallimento per i creditori, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto da Cagnasso e Panzani, Torino, 2016, pp. 1116 ss. 29 Sanzo, Gli effetti del fallimento, cit., pp. 1114 ss. 30 Satta, Diritto Fallimentare, Padova, 1996, pp. 199 ss.; Pajardi, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1998, p. 344; Lo Cascio, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 1995, p. 156; Locoratolo, Postergazione dei crediti e fallimento, Milano, 2010, pp. 23 ss.; Bozza, Proponibilità della compensazione in sede di accertamento del passivo, in Fallimento, 1999, p. 878.
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si esercita soltanto all’interno del concorso ed è irrilevante nel rapporto bilaterale creditore-debitore. L’operatività della compensazione, dunque, è del tutto indifferente all’esigenza del fallimento di dover soddisfare in via preferenziale altri creditori, poiché a mente dell’art. 56 l. fall., il legislatore ha voluto che al concorso partecipasse solo l’eventuale credito netto. La sede elettiva in cui l’eccezione di compensazione viene sollevata è quella del processo nel quale il curatore agisce per il recupero di un credito del fallito; l’eccezione di compensazione si sottrae al c.d. controllo incrociato dei creditori all’interno del procedimento di cui agli artt. 93 ss. l. fall. In verità, nulla impedisce che il curatore, in sede di verificazione dei crediti, sollevi, egli stesso, l’eccezione di compensazione31, ma è indiscusso, ormai da tempo, che il curatore in quella sede non possa recuperare all’attivo fallimentare il controcredito del fallito32. Lasciando da parte questo caso, di poco frequente ricorrenza, la competenza a decidere della legittimità dell’eccezione di compensazione svolta dal creditore in bonis per contrastare la domanda di pagamento del curatore spetta al giudice ordinario, ed allora la relativa decisione non potrà essere condizionata dalle necessità e, conseguentemente, dalle regole del concorso33. Quanto sin qui affermato induce a ritornare ad indagare sulle ragioni della scelta del legislatore, particolarmente di quello della Riforma del 2006 che non ha inteso intervenire sul disposto dell’art. 56 l. fall., pur avendone avuto più di una occasione. Si è ricordato in precedenza come taluni autori ne abbiano giustificato la presenza per ragioni di equità, mentre altri si siano riferiti al fatto che con l’istituto della compensazione si realizzerebbe una sorta di garanzia atipica. Si tratta di letture dal sapore quasi meta-giuridico, che scontano il difetto di trascurare il diritto positivo. La chiave di lettura più corretta per comprendere le ragioni per cui il legislatore ha voluto riconoscere la piena efficacia della compensazione legale in ambito fallimentare è costituita dall’effetto estintivo che l’istituto produce sulle corrispettive obbligazioni
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Vanzetti, Sub art. 56, cit., pp. 1153 ss. Bozza, Sub art. 95 l. fall., in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio e coordinato da Fabiani, I, Bologna, 2006, pp. 1437 ss. 33 D’Orazio, Sub art. 95 l. fall., in Commentario alla legge fallimentare, diretto da Cavallini, II, Milano, 2010, pp. 769 ss.; contra, però, Vanzetti, Compensazione, cit., pp. 17 ss., ad avviso della quale il giudice ordinario per ammettere la compensazione deve accertare incidentalmente la concorsualità del credito. 32
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dal giorno della loro coesistenza, tanto che la prescrizione non opera se «non era compiuta al momento della coesistenza dei due debiti» (art. 1242, co. 2, c.c.). Se i due debiti coesistenti si estinguono, dunque, «per le quantità corrispondenti» dal giorno in cui ebbero a coesistere si deve dedurre che al momento del concorso non può che sussistere unicamente l’eventuale obbligazione residua, in quanto le originarie obbligazioni sono venute meno, per effetto della compensazione, senza esecuzione delle prestazioni dovute34. Certo, quando si discute di coesistenza e di reciproca elisione, ora per allora, occorre sottolineare che questa elisione opera anche quando, poi, la misura del credito (o della parte in bonis o del fallito) sarà accertata in un momento successivo, pur dopo la dichiarazione di fallimento. La determinazione del credito al fondo rileva come una sorta di evento cui la compensazione era condizionata. Tale conclusione risulta avvalorata dalla natura meramente dichiarativa che viene attribuita sia all’eccezione di compensazione, che alla sentenza che, in caso di contestazione, ne accertasse l’operatività35, dato che il suo effetto estintivo deriva dalla legge36 e non dalla dichiarazione. La coesistenza37 di crediti e debiti genera un immediato effetto estintivo, se si vuole condizionato alla volontà dell’obbligato di avvalersene. Ma il fatto estintivo si è già verificato. Non per caso, la dichiarazione di compensazione non è soggetta a revocatoria ordinaria e fallimentare, in quanto la stessa, per sua natura, non configura né un pagamento, né, tanto meno, un atto a titolo oneroso, né potrebbe esserne oggetto la dichiarazione del debitore in bonis, bensì, eventualmente, solo il suo effetto, che, però, come sopra evidenziato, è un effetto che si produce ex lege e per tale motivo impermeabile a qualsiasi azione di inefficacia38.
34 Nel senso che la compensazione non comporti l’adempimento della prestazione originaria - il pagamento – v. Burdese, Moscati, I modi di estinzione, cit., pp. 10 ss. 35 Cass., S.U., 15 novembre 2016, n. 23225, in Corriere giur., 2017, p. 1350; Cass., 6 marzo 1995, n. 2574, in Fallimento, 1995, 1033; Cass., 4 maggio 1981, n. 2705, in Foro it., Rep. 1981, voce Obbligazioni in genere, n. 41; Maggiolo, Talamanca, Trattato delle obbligazioni, V, Milano, 2010, pp. 482 ss; ma per la natura costitutiva dell’eccezione, Schlesinger, Pluralità dei crediti compensabili, in Giur. it., 1954, I, c. 375; Ragusa Maggiore, Compensazione (diritto civile), in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, p. 21. 36 Anche se Redenti, La compensazione dei debiti nei nuovi codici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1947, pp. 10 ss. e Merlin, Compensazione e processo, I, Milano, 1991, pp. 335 ss., predicano che l’effetto si verifichi automaticamente al momento della coesistenza. 37 Cass., S.U., 15 novembre 2016, n. 23225, cit. 38 Cass. 16 settembre 1986, n. 5621, in Fallimento, 1987, p. 161; Burdese, Moscati,
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Soggetto a revocatoria potrà essere eventualmente l’atto di disposizione da cui derivi il credito dedotto in compensazione39; se si dichiara l’inefficacia del titolo dal quale germina il credito, l’effetto sarà quello che verrà meno una delle ‘poste’ della compensazione. Tuttavia, come si può notare la resistenza della compensazione è forte. Il contenuto dell’art. 56 l. fall. è stato trasfuso nell’art. 155 c.c.i.i. con una mera variante lessicale.
5. La frontiera della compensazione trilaterale. La forza della compensazione la si avverte particolarmente quando si indaga sulla c.d. compensazione triangolare e sul modo con il quale il legislatore ha voluto disciplinarla. Nonostante sia diffuso un sentimento di ‘ripulsa’ verso la regola fissata nell’art. 56, 2° comma, l. fall., è certo che il perimetro di operatività della compensazione legale include anche l’ipotesi in cui l’identità soggettiva fra i soggetti titolari delle posizioni di debito e di credito, indispensabile per il dispiegarsi dell’operatività dell’art 1241 c.c.40, ricorra non già al momento in cui le obbligazioni sono sorte, ma nel momento in cui la compensazione viene eccepita41. Unico, vero, limite all’operatività della compensazione è costituito dal fatto che, se il credito è stato acquistato dal debitore in bonis dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore, lo stesso debba essere scaduto prima della dichiarazione.
I modi di estinzione, cit., pp. 278 ss.; contro la tesi della revocabilità della compensazione, già prima del 1942, G. Bonelli, Del fallimento, in Commentario al codice di commercio, a cura di Andrioli, I, Milano, 1938, n. 430; dopo il 1942, Satta, Istituzioni di diritto fallimentare, Roma, 1943, pp. 156 ss, il quale comunque fa salva la revocabilità dell’atto da cui nasce il controcredito; Perlingieri, Dei modi di estinzione dell’obbligazione diversi dell’adempimento (artt. 1230-1259), in Comm. Scialoja-Branca, BolognaRoma, pp. 320 ss. 39 Cass., 28 maggio 2008, n. 14067, in Fallimento, 1987, p. 161; Ferrara, Azione revocatoria fallimentare, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 919. Nel senso della revocabilità dell’atto da cui deriva la coesistenza dei rapporti compensabili, cfr. Foschini, La compensazione nel fallimento, Napoli, 1965, pp. 157 ss.; Censoni, Revocatoria fallimentare e compensazione, in Giur. comm., 1990, I, pp. 1078 ss.; Terranova, Garanzie bancarie e fallimento: la sorte del mandato irrevocabile all’incasso, in Banca, borsa, tit. cred., 1989, pp. 524 ss. 40 Cass., 11 maggio 2004, n. 8924, in Foro it., Rep. 2004, voce Fallimento, n. 358. 41 «Per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra i vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore».
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La ratio di tale limitazione va ricercata nella necessità – essendo la regola del comma 1° dell’art. 56 l. fall. ampliativa del regime della compensazione legale, nel momento in cui ammette la compensabilità anche dei crediti non scaduti – di non consentirne un uso strumentale al fine di eludere la sanzione di inefficacia che colpisce, ai sensi dell’art. 65 l. fall., i pagamenti dei debiti scaduti nei due anni anteriori la dichiarazione di fallimento, di qui la riconduzione dell’operatività per questa tipologia di crediti allo schema dell’art. 1241 c.c. La limitazione va, dunque, ad incidere più sul diritto del cedente il credito da opporre in compensazione, che deve rimanere vincolato alle regole del concorso, in quanto creditore “non scaduto”, più che su quello dell’acquirente il credito, che deve avere solo l’accortezza di acquistare un credito scaduto. L’indicazione normativa, come già anticipato, ha raccolto e continua a raccogliere molte critiche. La scelta del legislatore di estendere l’operatività della compensazione anche ai crediti scaduti acquistati dopo la dichiarazione di fallimento, è criticata sulla base di una duplice considerazione: la prima secondo la quale, se è vero che l’istituto è, nel fallimento, una deroga al principio di parità di trattamento e a quello della graduazione delle cause legittime di prelazione, questa deroga non dovrebbe condurre ad una sua estensione a fattispecie in cui la compensazione legale non sarebbe invocabile; la seconda per la quale il principio della “cristallizzazione” delle masse – attiva e passiva – conseguente al fallimento non tollererebbe, post dichiarazione, alcuna loro alterazione42. Anche una parte della giurisprudenza di merito, sulla base delle suddette argomentazioni ha ritenuto di poter addivenire ad una applicazione restrittiva del comma 2° dell’art. 56 l. fall., includendo nel divieto anche i crediti scaduti43, ma si tratta di richiami a principi interpretativi volti ad
42 In dottrina molte sono le voci critiche rispetto alla non applicazione del co. 2° dell’art. 56 l. fall. ai crediti scaduti, v., Caron, Macario, Gli effetti del fallimento per i creditori, in Trattato di diritto delle procedure concorsuali, diretto da Apice, I, Torino, 2010, p. 492; Perrino, sub art. 56, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli, Santoro, I, Torino, 2010, p. 840; Vassalli, Diritto fallimentare, Torino, 1994, I, p. 348; De Semo, Diritto fallimentare, Padova, 1968, p. 281; Giuliano, La compensazione, cit., pp. 169 ss.; Gualandi, Effetti del fallimento, cit., p. 190. 43 In giurisprudenza, Trib. Mondovì 12 gennaio 2005, in Giur. it., 2006, 771; Trib. Milano 29 ottobre 1984, in Dir. fall., 1986, II, 61, nonché Trib. Milano 28 giugno 1999, in Giust. civ., 2000, I, 563 che aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale.
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idealizzare il tema della par condicio creditorum ben oltre quanto emerge dal diritto positivo44. Il diritto positivo ci dice, infatti, con una rara chiarezza, che l’unica regola di protezione contro un utilizzo non corretto della compensazione, la troviamo nel comma 2° dell’art. 56 l. fall. là dove, per i crediti non scaduti si stabilisce che la compensazione non ha luogo se il credito è stato acquistato dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore. Al contrario, la compensazione può essere opposta alla procedura concorsuale dal creditore-debitore quando il credito, pur acquistato entro l’anno anteriore alla dichiarazione di insolvenza o anche successivamente, sia scaduto prima di detta dichiarazione. Il differente trattamento normativo previsto per il credito scaduto e per quello non scaduto ove pure dovesse apparire non del tutto giustificabile va considerato a tutti gli effetti diritto positivo posto che ha ricevuto, fra l’altro, un avallo decisivo: infatti, il sistema è stato giudicato costituzionalmente legittimo nella parte in cui non esclude l’operatività della compensazione per crediti già scaduti ed acquistati per atto inter vivos dal creditore del fallito nell’anno anteriore al fallimento45; soluzione talmente rassicurante da avere indotto il legislatore della Riforma del 2006, come detto, a non mutare la norma. Si poteva ragionare de iure condendo e mettere in discussione un meccanismo premiale che va a favorire chi si è attivato per sottrarsi alla regola della par condicio creditorum, ma al lume della legge fallimentare questa era l’unica interpretazione che alla luce del formante giurisprudenziale fosse sostenibile46, un formante confermato anche dalle
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Sull’eccessività del richiamo alla par condicio per spiegare la compensazione nel fallimento v., Vigo, Compensazione del credito pignorato e compensazione nel corso del fallimento, Milano, 1994, pp. 25 ss. 45 C. Cost., 20 agosto 2000, n. 431, in Foro it., 2000, I, p. 3387. 46 Oltre al giudice delle leggi e al giudice di legittimità v. anche App. Torino, 20 gennaio 2010, in Fallimento, 2010, 701; Trib. Alba, 7 marzo 2006, in Fallimento, 2007, 207 (ma con riferimento all’acquisto ante fallimento nel periodo sospetto); Vanzetti, sub art. 56, cit., pp. 1131 ss.; Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2011, pp. 375 ss.; Colesanti, Variations sérieuses sul tema della compensazione nel fallimento, in Riv. dir. civ., 2002, I, pp. 744 ss.; Rosapepe, Effetti del fallimento, cit., pp. 314 ss.; Inzitari, Effetti del fallimento per i creditori, in Le procedure concorsuali. Il fallimento, diretto da Ragusa Maggiore-Costa Torino, 1997, II, pp. 134 ss.; Bonsignori, Il fallimento, in Trattato dir. comm. e dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, 1986, IX, pp. 383 ss.; Tedeschi, Effetti del fallimento, cit., p. 107; Fauceglia, Rocco Di Torrepadula, Diritto dell’impresa in crisi, Bologna, 2010, p. 145; Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, Milano, 1974,
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pronunce più recenti47. Si consideri, poi, che il negozio bilaterale stipulato fra due soggetti in bonis, cedente e cessionario, ma con effetti nei confronti del terzo (debitore ceduto che poi fallisce), neppure risulta impugnabile con la revocatoria fallimentare48, posto che dell’accordo non è parte il fallito. Il quadro normativo è, ora, mutato. L’art. 155, 2° comma, c.c.i.i. esclude le compensazioni per l’acquisto, anche, dei crediti scaduti, se avvenuto entro l’anno o dopo l’apertura della liquidazione giudiziale. Le superiori considerazioni meritano, ora, di essere poste al cospetto della, diversa, procedura di concordato preventivo pur se, dalla semplice lettura dell’art. 169 l. fall. (confluito nell’art. 96 c.c.i.i.), si potrebbe pensare che tutto quanto sino ad ora enunciato vada pari passu replicato con riguardo alla procedura di volontaria composizione della crisi. Si osservi che il lodo è stato pronunciato proprio fra più società ammesse al concordato preventivo.
6. Le specificità della compensazione nel concordato preventivo. In applicazione dell’art. 56 l. fall. (per effetto del meccanismo di rinvio di cui all’art. 169 l. fall.), il creditore che sia anche debitore al momento iniziale della procedura è legittimato a soddisfarsi per compensazione, purché il credito dell’impresa in concordato non sorga in pendenza di procedura49. L’applicazione della compensazione nel fallimento è considerata, come abbiamo visto, una regola derogatoria del concorso in quanto un creditore si soddisfa, rispetto agli altri, in misura integrale per
II, pp. 956 ss.; Foschini, La compensazione nel fallimento, cit., pp. 137 ss.; Bettazzi, I presupposti di operatività della compensazione in sede fallimentare, in Fallimento, 2007, pp. 207 ss.; Costanza, Cessione del credito e compensazione, in Fallimento, 2010, p. 703; Zanichelli, Gli effetti del fallimento per i creditori, in Trattato delle procedure concorsuali, II, Milano, 2014, pp. 94 ss.; non ci si nasconde che in passato si era seriamente dubitato della congruenza della disposizione, ma la legittimazione normativa impartita dal giudice del legge deve far riflettere e prendere atto del diritto positivo. 47 Cass., 5 febbraio 2013, n. 2695, in Fallimento, 2013, p. 693. 48 Cass., 2 luglio 1998, n. 6474, in Giust. civ., 1998, I, p. 2765; Cass., 2 ottobre 1989, n. 3955, in Fallimento, 1990, 46; Trib. Genova, 7 febbraio 2002, in Nuova giur. civ., 2003, I, 536; ma in senso opposto v., W. Celentano, Effetti del fallimento, cit., pp. 536 ss. 49 Cass., 7 maggio 2009, n. 10548, in Rep. Foro it., 2009, voce Concordato preventivo, 124; Cass., 23 luglio 1994, n. 6870, in Fallimento, 1995, 262.
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la quota corrispondente fra debito e credito. Questa deroga è ribadita nel concordato preventivo. Questa conclusione è chiara nella misura in cui risulta evidente la posizione disomogenea del curatore rispetto al fallito per rapporti di cui il debitore non poteva essere parte. Nella cornice del concordato preventivo queste conclusioni possono trovare conferma quanto ad esito finale, ma sulla scorta di un percorso argomentativo diverso. Nel concordato preventivo il debitore conserva la gestione dell’impresa e conserva l’amministrazione del patrimonio50, sebbene con alcune, anche intense, limitazioni. Nel concordato preventivo il commissario giudiziale svolge un’attività di vigilanza ma non anche un’attività di amministrazione alla quale resta del tutto estraneo. In una prospettiva soggettiva non si forma, quindi, una massa dei creditori con un rappresentante unitario. Sennonché come si è osservato51, a seguito della presentazione del ricorso per concordato, si forma un patrimonio segregato che si “stacca” dalla figura del debitore. Viene, così, a costituirsi una “massa patrimoniale” autonoma, rispetto alla quale, pur in assenza del richiamo all’art. 52 l. fall., si determina una cristallizzazione quantitativa del patrimonio che conduce ad un risultato in larga parte equivalente al fallimento. La circostanza del mancato rinvio all’art. 52 l. fall. non va enfatizzata; che manchi il rinvio è coerente con il fatto che nel concordato non esiste un procedimento di accertamento del passivo52. L’omesso richiamo al principio del concorso è, in verità, una lacuna solo apparente perché la concorsualità è ampiamente prevista nell’art. 184 l. fall. là dove si rende il concordato obbligatorio per tutti i creditori anteriori. Questo spiega la ragione per la quale, nonostante il debitore concordatario non sia un soggetto diverso dal debitore in bonis, i rapporti di
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La letteratura sul punto è vastissima; in luogo di molti cfr., Fabiani, Concordato preventivo, cit., pp. 393 ss.; Ambrosini, Concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli-Luiso-Gabrielli, IV, Torino, 2014, pp. 279 ss.; Censoni, Concordato preventivo, in Trattato delle procedure concorsuali, IV, diretto da Jorio-Sassani, 2016, I, pp. 199 ss. 51 Fabiani, Concordato preventivo, cit., pp. 379 ss. 52 Anche su questo non vi sono discussioni v., Cass., 20 maggio 2004, n. 9643, in Dir. fall., 2006, II, 271; Cass., 21 gennaio 1999, n.523, in Foro it., 1999, I, 1888; Cass., 22 luglio 1995, n. 8021, in Arch. civ., 1996, 1153; Cass., 9 aprile 1984, n. 2272 in Foro it., 1985, I, 3000; Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., pp. 1279 ss.; Nardecchia, L’accertamento e la prescrizione dei crediti nel concordato preventivo, in Fallimento, 2012, pp. 869 ss.
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credito che sorgono in capo alla massa segregata non possono subire l’effetto compensativo con i debiti sorti in capo al debitore prima dell’apertura del concorso concordatario53 e ciò per il principio generale di cui all’art. 2917 c.c.; un principio previsto nell’esecuzione forzata ma invocabile anche nel concordato che è, al pari dell’esecuzione forzata, un mezzo di attuazione della garanzia patrimoniale. In tale contesto, anche con riferimento al concordato, ha piena giustificazione quell’orientamento giurisprudenziale e dottrinale secondo il quale la compensazione opera quando entrambi i fatti genetici delle rispettive obbligazioni si collochino in un momento antecedente all’apertura del concorso54. La compensazione produce l’effetto di elidere i rispettivi debiti/crediti sin dal loro sorgere e quindi l’estinzione parziale del credito opera rispetto alla misura del credito ante falcidia concordataria55. L’eccezione di compensazione può essere sollevata anche dal debitore e ciò in funzione della predisposizione del piano56. La compensazione opera al momento dell’apertura del concorso e quindi l’effetto esdebitatorio del concordato incide sul credito al netto della già avvenuta compensazione57.
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Cass., 6 agosto 2010, n. 18437, in Fallimento, 2011, 30 ss.; Cass., 1 dicembre 1992, n. 12827, in Rep. Foro it., 1992, voce Concordato preventivo, 58. 54 Viene lasciato in disparte il tema assai complesso e dibattuto del rapporto fra compensazione, istituti di credito e operazioni auto-liquidanti, su cui senza pretesa di completezza v., Cass., 25 settembre 2017, n. 22277, in www.ilcaso.it; Cass., 1 settembre 2011, n. 17999, in Giust. civ., 2012, I, pp. 1027; Cederle, Brevi note su anticipazione di crediti con patto di compensazione nel concordato preventivo ed assoggettabilità all’art. 169 bis l. fall., in Riv. dott. commercialisti, 2014, pp. 376 ss.; A. Patti, Contratti bancari nel concordato preventivo tra bilateralità e unilateralità di in esecuzione, in Fallimento, 2015, pp. 560 ss.; Andretto, Effetti del concordato preventivo sulle linee di credito autoliquidanti aperte alla data della domanda, in Fallimento, 2016, pp. 1371 ss.; Macario, Diritto comune dei contratti e rapporti pendenti nel concordato in continuità aziendale dopo il d.l. n. 83/2015, in Fallimento, 2017, pp. 338 ss. 55 Ai fini della predisposizione del piano di concordato, il debitore deve esporre tutti i crediti al loro valore nominale e di poi apportare le rettifiche che attengono alle compensazioni; la proposta di concordato dovrebbe, quindi, considerare i crediti al netto delle compensazioni. 56 Contra, Trib. Roma, 2 agosto 1988, in Foro it., 1990, I, c. 1363. 57 Gaboardi, sub art. 169, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da C. Cavallini, III, Milano, 2010, pp. 604 ss. Un esempio aiuta a chiarire il concetto. Dato 50 il credito chirografario del creditore in bonis e dato 30 il credito dell’impresa in concordato, se il patto di concordato prevede un pagamento in misura del 20%, il creditore in bonis riceverà 4; non sarà debitore di 20 (50 al 20% = 10 da compensare con 30); la falcidia opera dopo la compensazione, non prima, v., Spagnuolo, sub art. 169, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristruttu-
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Le considerazioni sino ad ora formulate sono funzionali a dimostrare come la compensazione abbia uno spettro applicativo ampio e come – nonostante sia talora latente e talora esplicitato un sentire scettico sulla sua omogeneità con i principi del concorso – la compensazione sia ampiamente praticata e praticabile. Proprio un certo qual disagio avverso alla compensazione si trova al fondo dell’idea che non si possa operare la compensazione quando uno dei due crediti sia postergato. Nei Parr. che seguono si cercherà di dimostrare, in linea con il lodo, come questa impressione non sia condivisibile e come, in un certo qual senso, la postergazione in sé debba essere rimeditata e sdoganata da quel pertugio angusto di un mondo senza diritti in cui una certa letteratura supportata dalla giurisprudenza l’hanno relegata58.
7. Sulla compensabilità dei crediti postergati ex art. 2467 c.c. Una volta rilevato: (i) che colui che è debitore dell’imprenditore ammesso al concordato può efficacemente acquistare un credito che un terzo vanti nei confronti di costui al fine di opporre la compensazione, quand’anche
razione, a cura di Nigro-Sandulli-Santoro, Torino, 2014, pp. 197 ss.; Bozza, Il concordato preventivo. Effetti per i creditori, in Fallimento, 1992, pp. 213 ss. 58 Dopo l’introduzione dell’art. 182-quater l. fall. che ha ribaltato la posizione dei soci, da ‘reietti’ a creditori meritevoli della prededuzione (sebbene con il limite dell’80%, v. Benedetti, I finanziamenti dei soci e infragruppo alla società in crisi, Milano, 2017, pp. 67 ss.; Beltrami, La disciplina dei finanziamenti alle imprese in crisi nelle operazioni di ristrutturazione dei debiti, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, I, pp. 43 ss.; Benazzo, Crisi d’impresa, soluzioni concordate e capitale sociale, in Riv. soc., 2016, pp. 241 ss.; Ibba, Il nuovo diritto societario tra crisi e ripresa (Diritto societario quo vadis?) , in Riv. soc., 2016, pp. 1026 ss., si interroga sul fatto che la protezione della prededuzione prevalga anche sul rischio del rimborso; e v. anche Maugeri, Sottocapitalizzazione della s.r.l. e “ragionevolezza” del finanziamento soci, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, pp.169 ss. ad avviso del quale, pur non spettando la prededuzione, il finanziamento concesso in esecuzione di un piano di risanamento attestato perderebbe l’handicap della postergazione), un vero segnale di discontinuità con l’orientamento precedente lo si rinviene in Cass., 21 giugno 2018, n. 16348, www.ilcaso.it, secondo la quale «nel concordato preventivo, la proposta del debitore può prevedere la suddivisione dei creditori in classi con il riconoscimento del diritto di voto ai creditori postergati che siano stati inseriti in apposita classe, purché il trattamento previsto per questi ultimi sia tale da non derogare alla regola del loro soddisfacimento sempre posposto a quello integrale degli altri creditori chirografari»; il diritto al voto dei creditori postergati va, ovviamente, controbilanciato con l’esclusione dal voto delle società controllanti, il che significa che solo i soci che non esercitano il controllo possono partecipare al voto per i crediti finanziari di cui sono titolari.
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questa reciprocità soggettiva si formi durante la procedura (ciò sino al 20 agosto 2020) e (ii) che nel diritto positivo, ai fini dell’esplicarsi dagli effetti della compensazione, sono del tutto irrilevanti i richiami ai principi della par condicio, della graduazione dei privilegi e della cristallizzazione delle masse attive e passive, essendo rilevante unicamente l’anteriorità del fatto genetico del credito che si vuole opporre in compensazione, si può transitare ora ad esaminare la (affermata nel lodo) legittimità della eccezione di compensazione che si fondi su un credito postergato ai sensi dell’art. 2467 o dell’art. 2497-quinquies c.c.; da subito va altresì precisato che la questione dei crediti postergati si pone oltre che per le società a responsabilità limitata e per le società sottoposte a eterodirezione, anche per le società per azioni monadi purché non siano ‘società aperte’ e purché il rapporto fra soci e società si atteggi – specie a livello di scambio di informazioni – in modo paragonabile al rapporto tipico delle s.r.l. 59.
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In disparte la posizione di Montalenti, Il diritto societario a dieci anni dalla riforma: bilanci, prospettive, proposte di restyling, in Giur. comm., 2014, pp. 1068 ss., ad avviso del quale le norme sulla postergazione andrebbero soppresse, per l’applicazione del disposto dell’art. 2467 c.c. alle s.p.a. senza distinzione alcuna Paolucci, sub art. 2467, cit., pp. 303 ss.; Portale, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Riv. soc., 1991, pp.151 ss.; Angelici, La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale, Padova, 2006, pp. 61 ss.; Stella Richter, La società a responsabilità limitata. Disposizioni generali, conferimenti, quote, in Diritto di società di capitali. Manuale breve, Milano, 2005, pp. 282 ss.; Irrera, Sub art. 2467 c.c., in Il nuovo diritto societario, commentario diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso e Montalenti, II, Bologna, 2004, pp. 1797 ss.; Nigro, La società a responsabilità limitata nel nuovo diritto societario: profili generali, in La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di Santoro, Milano, 2003, p. 20; Lolli, Sub art. 2467 c.c., in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, III, Padova, 2005, pp. 1809 ss.; Tassinari, Il finanziamento della società mediante mezzi diversi dal conferimento, in La riforma della S.r.l., Milano, 2003, pp. 134 ss.; Boatto, La revocatoria dei pagamenti dei prestiti-soci e dei finanziamenti infragruppo, in AA.VV., La disciplina dell’azione revocatoria nella nuova legge fallimentare e nei fallimenti immobiliari, a cura di Bonfatti, Milano, 2005, p. 265; Fico, Finanziamento dei soci e sottocapitalizzazione della società, in Società, 2006, pp. 1377 ss.; Capelli, I crediti dei soci nei confronti delle società e il rimborso dei finanziamenti dei soci dopo la riforma, in Riv. dir. priv., 2005, p. 113; Mandrioli, La disciplina dei finanziamenti soci nelle società di capitali, in Società, 2006, p. 182; Cagnasso, La società a responsabilità limitata, in Trattato di diritto commerciale, diretto da Cottino, V, Padova, 2007, pp. 118 ss.; Terranova, Sub art. 2467 c.c., in Società di capitali, commentario a cura di Niccolini-Stagno d’Alcontres, III, Napoli, 2004, pp.1472 ss.; per l’opposta soluzione e cioè per una rigida applicazione alle sole s.r.l., v., Campobasso, Il finanziamento dei soci, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, p. 445; Scano, I finanziamenti dei soci nella s.r.l. e l’art. 2467 c.c., in Riv. dir. comm., 2003, I, 904; Bartalena, I finanziamenti dei soci nella s.r.l., in Analisi Giuridica dell’Economia, 2003, pp.398 ss.; De Ferra, La postergazione del credito del socio finanziatore, in Giur. comm., 2010, I, pp. 196 ss.; Locoratolo, Postergazio-
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Per procedere in tale direzione, occorre dapprima dare un contenuto preciso a ciò che si intende per credito postergato. 7.1. Natura del credito postergato. La postergazione legale è l’effetto della scelta del legislatore di volere offrire ai creditori in situazioni di crisi della società-debitrice qualche protezione in più, stabilendo che l’ordine della graduazione dei crediti previsto nel codice civile va sovvertito a danno dei soci e a vantaggio dei creditori estranei. Quando nel 2003 il Legislatore della riforma societaria scrisse l’art. 2467 c.c. (e l’art. 2497-quinques c.c.) aveva chiara l’idea di combattere il fenomeno della sottocapitalizzazione delle società di capi-
ne dei crediti e fallimento, cit., pp.36 ss. Per una limitazione della sua applicazione alle sole s.p.a. chiuse e/o soggette a direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c.: Baccetti, Metodo tipologico e sottocapitalizzazione nominale nelle società per azioni indipendenti, in Giur.comm., 2016, pp. 855 ss.; Benedetti, I finanziamenti dei soci e infragruppo alla società in crisi, cit., pp. 31 ss.; Simeon, La postergazione dei finanziamenti dei soci nelle s.p.a., in Giur.comm., 2007, I, pp. 71 ss.; Stella Richter jr, Disposizioni generali. Conferimenti. Quote, in AA.VV., Diritto delle società, Manuale breve, Milano, 2008, pp. 289 ss.; Benazzo, Cera, Patriarca, Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze, Torino, 2011, pp. 28 ss.; Tombari, “Apporti spontanei” e “prestiti” dei soci nelle società di capitali, cit., p. 564; Maugeri, Dalla struttura alla funzione della disciplina sui finanziamenti soci, in Riv. dir. comm., 2008, pp. 146 e ss.; Irace, Sub art. 2497 quinquies c.c., in AA.VV., La riforma della società, a cura di Sandulli-Santoro, III, Torino, 2003, pp. 342 ss.; Abriani, La società a responsabilità limitata. Decisioni dei soci. Amministrazione e controlli, in Diritto delle società. Manuale breve, Milano, 2005, pp. 302 ss.; Vittone, Questioni in tema di postergazione dei finanziamenti soci, in Giur. comm., 2006, I, p. 939; Guizzi, Partecipazioni e gruppi di società, in AA.VV., Diritto delle società. Manuale breve, Milano, 2005, p. 352; Balp, I finanziamenti dei soci “sostitutivi” del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, in Riv. soc., 2007, p. 9. Di recente, Cass., 20 giugno 2018, n. 16291, www.ilcaso.it, ha affermato che « La norma di cui all’art. 2467 sulla postergazione dei finanziamenti dei soci è applicabile alla società per azioni tutte le volte in cui l’organizzazione della società finanziata consenta al socio di ottenere informazioni paragonabili a quelle di cui potrebbe disporre il socio di una società a responsabilità limitata ai sensi dell’art. 2476 cod. civ.; e dunque di informazioni idonee a far apprezzare l’esistenza (art. 2467, comma 2) dell’eccessivo squilibrio dell’indebitamento della società rispetto al patrimonio netto ovvero una situazione finanziaria tale da rendere ragionevole il ricorso al conferimento, in ragione delle quali è posta, per i finanziamenti dei soci, la regola di postergazione»; così si era espressa, già, Cass., 7 luglio 2015, n. 14056, in Società, 2016, 543; Trib. Milano, 28 luglio 2015, in giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Napoli, 8 agosto 2014, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, 61; Trib. Pistoia, 8 settembre 2008, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, II, p. 191; Trib. Venezia, 10 febbraio 2011, in Riv. dott. comm., II, 1313; Trib. Udine, 3 marzo 2009, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, II, p. 224.
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tali e delle s.r.l. in particolare60; la scelta del legislatore si fondava sull’idea di incentivare i soci ad effettuare apporti di capitale – in situazione di latente crisi – e non finanziamenti restituibili, attribuendo a questi un trattamento deteriore rispetto a quello dei crediti estranei61. Questa postulazione assume un preciso valore perché la regola della postergazione non vale, in generale, per i rapporti infragruppo o infrasocietari ma solo nei rapporti discendenti e cioè fra socio e società (cc. dd. crediti downstream) come puntualmente rilevato nel lodo62.
60 Questa esegesi dell’opzione normativa è condivisa diffusamente, v. per tutti Cass., 24 luglio 2007, n. 16393, in Foro it., 2008, I, p. 2244; Terranova, Commento all’art. 2467, in Società di capitali, Commentario a cura di Niccolini-Stagno d’Alcontres, III, Napoli, 2004, pp. 1470 ss., nonché il lavoro monografico di Maugeri, Finanziamenti “anomali” dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, Milano, 2005, passim. 61 In questo senso si afferma che l’art. 2467 c.c. tende a riequilibrare il rapporto fra capitale di rischio e capitale di credito così riallocando la traslazione del rischio d’impresa verso i soci, v. Tullio, La postergazione, Padova, 2009, pp. 34 ss.; Maugeri, Finanziamenti “anomali”, cit., pp. 78 ss.; Paolucci, sub art. 2467, cit., pp. 284 ss. 62 Il caso del c.d. ‘finanziamento ascendente’ – un finanziamento anomalo in quanto eseguito dal ‘posseduto’ (società controllata) a favore del socio (società controllante) – non è racchiuso nelle ipotesi di cui agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c.; ambedue queste disposizioni, a mente delle quali il trattamento del credito da finanziamento-soci viene penalizzato per effetto della collocazione in una posizione di postergazione al soddisfacimento di tutti gli altri creditori, sono considerate di stretta applicazione, sì che si applica ai finanziamenti erogati dal socio a favore della società e non nel caso opposto, e ciò perché le ragioni della postergazione della controllante non si riproducono nell’ipotesi del finanziamento upstream; sul tema v., Perone, La postergazione dei finanziamenti ascendenti infragruppo, in Giur. comm., 2012, I, pp. 883 ss.; Balp, I finanziamenti dei soci «sostitutivi» del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, in Riv. soc., 2007, pp. 344 ss.; Maugeri, Dalla struttura alla funzione della disciplina sui finanziamenti soci, in Riv. dir. comm., 2008, I, pp. 149 ss.; Tombari, Diritto dei gruppi di impresa, Milano, 2010, pp. 66 ss.; Trib. Torino, 16 febbraio 2015, in www. ilcaso.it; contra, Benedetti, La disciplina dei finanziamenti up-stream della società eterodiretta alla capogruppo in situazione di difficoltà finanziaria, in Riv. soc., 2014, pp. 747 ss. In senso in parte diverso Trib. Pescara, 22 settembre 2016, wwwilcaso.it, che ritenuto postergato il c.d. finanziamento crosstream (cioè proveniente da una società collegata); Trib. Padova, 18 maggio 2011, in www.ilcaso.it.; in senso critico a questa ricostruzione v., però, Ferro, Sull’applicabilità analogica della disciplina dei finanziamenti “anomali” a soggetti estranei alla compagine sociale, in Giur. comm., 2018, II, pp. 357 ss.). La regola è destinata a mutare con l’entrata in vigore del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in quanto l’art. 292, in tema di liquidazione giudiziale (ma non nel concordato preventivo), stabilisce che sono postergati anche i crediti da finanziamento ascendente. Prima del codice, v. Galletti, I crediti/debiti originariamente commerciali non riscossi alle scadenze, decorsi termini maggiori rispetto a quelli normalmente concessialla clientela secondo gli usi debbono qualificarsi come finanziamenti nell’accezione di cui
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La regola di postergazione disegnata nell’art. 2467 c.c. (e replicata nell’art. 2497-quinquies c.c.) assume questo significato: nelle società organizzate secondo il modello della società a responsabilità limitata, là dove si presume un più diretto ed immediato rapporto fra soci e amministratori, nonché un set di informazioni privilegiate che i soci possono più facilmente procurarsi (nonché nelle società per azioni ‘chiuse’ e con compagini ristrette secondo l’interpretazione estensiva sopra ricordata63), il credito erogato dal socio allo scopo di finanziare la società è un credito al pari di tutti gli altri e resterà esigibile e da trattare come credito chirografario o privilegiato64 a seconda della qualità del credito. Tuttavia, quando nel momento in cui il credito sorge la situazione (finanziaria e/o patrimoniale) della società presenta fattori di squilibrio65, quel credito ha da intendersi postergato rispetto a tutti gli altri creditori.
all’art. 2467 c.c., in www.ilfallimentarista.it 63 Per l’esclusione alle società cooperative v., invece, Cass., 20 maggio 2016, n. 10509, in dejure.it.; Trib. Treviso, 19 gennaio 2015, in www.ilcaso.it. 64 Si pensi al caso del finanziamento assistito da una garanzia ipotecaria; in tal caso l’ipoteca conserva la propria efficacia ma fra creditori di pari rango e dunque, il credito ipotecario ma postergato, è subordinato a tutti i crediti estranei ma è preferito agli altri crediti postergati v., Cass., 20 giugno 2018, n. 1629, cit.; Trib. Verona, 22 novembre 2013, in www.ilcaso.it.; Trib. Vicenza, 13 luglio 2015, in www.ilcaso.it. 65 Assai complesso è stabilire quando sussista questo rapporto di squilibrio. Si tratta, infatti, di ponderare quale sia la situazione patrimoniale che determina uno sbilancio eccessivo fra indebitamento e patrimonio netto. Eccessivo è un valore > 2, per Trib. Venezia, 21 aprile 2011, in Fallimento, 2011, 1351; Vella, Il nuovo statuto concordatario dei soci finanziatori: classi, trattamento e voto, in Fallimento, 2011, p. 1379; Salafia, Finanziamenti dei soci alle s.r.l., in Società, 2011, pp.638 ss., richiama il disposto di cui all’art. 2412 c.c.; per Irrera, sub art. 2467, in Il nuovo diritto societario, diretto da Cottino, Bologna, 2004, pp. 1791 ss., il rapporto è equilibrato anche se >2 e fino circa a 2,5. All’indice 2 si perviene anche sulla base di alcuni riscontri di diritto positivo; v., l’art. 2412 c.c., in base al quale la s.p.a può emettere obbligazioni per una somma pari al doppio del capitale, della riserva legale e delle riserve disponibili, sì che una situazione patrimoniale nella quale l’indebitamento non superi il doppio del patrimonio netto viene ritenuta dal legislatore, perlomeno in linea di principio, del tutto fisiologica per qualsiasi società, a prescindere dal tipo di attività esercitata) e quando si possa discutere di ragionevolezza dell’operazione finanziaria rispetto al conferimento (v., Trib. Milano, 24 aprile 2007, in Giur.it., 2007, p.2500), tema rispetto al quale occorre rilevare che come è stato illustrato in dottrina (Abriani, Finanziamenti «anomali» e postergazione: sui presupposti di applicazione dell’art. 2467, in Fallimento, 2011, 1353; Scano, I finanziamenti dei soci, in La nuova s.r.l., a cura di Farina et al., Milano, 2004, pp.391 ss.) si può ritenere che l’operazione finanziaria condotta dal socio sia in sé ragionevole quando un finanziamento analogo si sarebbe potuto trovare sul mercato. Più in generale sul fatto che non vi debba essere una misura fissa e che debba essere il giudice, secondo un prudente apprezzamento, a valutare la presenza di uno squilibrio, v.,
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Il rimborso del credito è sicuramente postergato quando si apre una procedura esecutiva (collettiva o singolare) di concorso (fallimentare o concordatario). La postergazione nella graduazione comporta che prima di soddisfare il socio dovranno essere pagati tutti gli altri creditori66. Si discute, però, se anche prima dell’apertura del concorso il rimborso del credito debba essere postergato rispetto a quello degli altri creditori, come se perdesse la condizione di esigibilità. Il quesito che si pone è se durante societate il rimborso sia vietato e, di poi, se sia vietato nell’ambito di una liquidazione in bonis. Così, una prima biforcazione del dibattito vede, da una parte, i sostenitori della tesi (minoritaria) per cui gli apporti dei soci, in forme diverse dal conferimento, effettuati in situazioni di manifesta insufficienza del capitale sociale rispetto alle esigenze dell’impresa, dovrebbero essere riqualificati in apporto di capitale, indipendentemente dal nomen del negozio di finanziamento67, con l’effetto che non sarebbero mai rimborsabili sino all’estinzione di tutti gli altri debiti. Da un’altra parte si incontrano i sostenitori della tesi (maggioritaria), condivisibile, secondo la quale i finanziamenti effettuati dai soci nelle situazioni delineate dal comma 2° dell’art. 2467 c.c. manterrebbero natura creditoria68. Questa ultima soluzione interpretativa appare decisamente preferibile per le ragioni che seguono.
Paolucci, sub art. 2467, cit., pp. 295 ss.; D’Aiello, Stato di crisi e finanziamenti “anomali” alla s.r.l., in Banca, borsa, tit. cred., 2014, II, pp. 341 ss. Ed è quanto è accaduto nel lodo. 66 Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., pp. 1291 ss. 67 Portale, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, in Banca, borsa, tit. cred., 2003, I, pp. 681 ss.; Nigro, Diritto societario e procedure concorsuali, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale, I, Torino, 2007, pp. 195 ss.; Guizzi, Partecipazioni qualificate e gruppi di società, cit., pp. 259 ss.; Galgano-Genghini, Il nuovo diritto societario. Le nuove società di capitali e cooperative, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretta da Galgano, Padova, 2006, pp. 814 ss.; in giurisprudenza, Trib. Firenze 26 aprile 2010, in www.ilcaso.it. 68 Benedetti, I finanziamenti dei soci e infragruppo alla società in crisi, cit., pp. 255 ss.; Fazzutti, sub art. 2467 c.c., in La riforma delle società. Commentario del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, a cura di Sandulli-Santoro, III, Torino, 2003, pp. 50 ss.; Tantini, I versamenti dei soci alla società, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, I***, Torino, 2004, pp. 798 ss.; Terranova, Sub art. 2467, cit., pp.1457 ss.; De Luca, I finanziamenti societari, in Il mutuo e le operazioni di finanziamento, a cura di Cuffaro, Bologna, 2005, pp. 408 ss.; Maugeri, Finanziamenti “anomali” dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, Milano, 2005, pp. 260 ss.; Presti, sub art. 2467, in Codice commentato delle s.r.l., diretto da Benazzo e Patriarca, Torino, 2006, pp. 112 ss.; Simeon, La posterga-
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A conforto della tesi che vuole conservare al finanziamento del so-
zione dei finanziamenti dei soci nella s.p.a., in Giur. comm., 2007, I, pp. 75 ss.; Guizzi, Il fallimento. Il passivo, in AA.VV., Diritto fallimentare. Manuale breve, Milano, 2008, pp. 293 ss.; Bassi, Lezioni di diritto fallimentare, Bologna, 2009, pp. 30 ss.; Vattermoli, La subordinazione “equitativa” (Equitable Subordination), in Riv. soc., 2009, pp. 1390 ss. e poi, amplius, Vattermoli, Crediti subordinati e concorso tra creditori, Milano, 2012, pp. 126 ss.; Zanarone, Della società a responsabilità limitata (Artt. 2462-2474), I, sub art. 2467, in Il Codice Civile. Commentario, fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano, 2010, pp. 463 ss.; Pizzigati, Concordato preventivo, postergazione volontaria del credito e diritto di voto, in Dialoghi del diritto, dell’avvocatura, della giurisdizione, 2010, I, pp. 160 ss.; M. Campobasso, sub art. 2467 (La postergazione dei finanziamenti dei soci), in S.r.l. Commentario dedicato a Giuseppe B. Portale, a cura di Dolmetta e Presti, sub art. 2467, Milano, 2011, 249; Fabiani, Postergazione, circolazione del credito e diritto di voto, in Fallimento, 2012, pp. 679 ss.; Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., pp. 1288 ss. Id., I redditi/debiti originariamente non commerciali, cit.; Spada, La provvista finanziaria tra destinazione e attribuzione, in Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze. Studi in onore di Giuseppe Zanarone, diretto da Benazzo, Cera e Patriarca, Torino, 2011, pp.9 ss.; Cagnasso, La società a responsabilità limitata, cit., pp. 103 ss.; Associazione Disiano Preite, Il diritto delle società, a cura di Olivieri, Presti e Vella, 2006, pp. 263 ss.; Presti, sub art. 2467, cit., pp. 102 ss.; M. Campobasso, Finanziamento del socio, in Dizionari di diritto privato, diretti da Irti, Diritto commerciale, a cura di Abriani, Milano, 2011, pp. 441 ss.; Vassalli, Sottocapitalizzazione della società e finanziamenti dei soci, in Riv. dir. impr., 2004, pp. 261 ss.; in tal senso cfr., fra gli altri, Terranova, Sub art. 2467, pp. 1457 ss.; Guizzi, Partecipazioni qualificate e gruppi di società, cit., pp. 292 ss.; Libonati, Corso di diritto commerciale, Milano, 2009, pp. 514 ss.; Salanitro, Profili sistematici della società a responsabilità limitata, Milano, 2005, pp. 37 ss.; Tombari, «Apporti spontanei» e «prestiti» dei soci nelle società di capitali, cit., pp. 553 ss.; Maugeri, Sul regime concorsuale dei finanziamenti soci, in Giur. comm., 2010, I, pp. 805 ss.; Nigro-Vattermoli, Crediti subordinati e concorso tra creditori, pp. 156 ss. e 292 ss.; Paciello, La funzione normativa del capitale sociale, in Riv. dir. soc., 2010, pp. 11 ss.; Giampaolino, Profili fallimentari, in Ficari e Giampaolino, Profili fallimentari e tributari, nel Trattato delle società a responsabilità limitata, diretto da Ibba e Marasà, VIII, Padova, 2012, pp. 3 ss.; Guerrieri, I finanziamenti dei soci, in La nuova società a responsabilità limitata, a cura di Bione, Guidotti e Pederzini, in Tratt. dir. comm. e dir. pubbli. econ. diretto da Galgano, LXV, Padova, 2012, pp. 59 ss. Contra, Portale, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, cit., pp. 678 ss.; Irace, Sub art. 2497 quinquies c.c., cit., pp. 341 ss.; Vassalli, Sottocapitalizzazione delle società e finanziamenti dei soci, in Riv. dir. impr., 2006, pp. 263 ss.; Moramarco, La postergazione dei finanziamenti dei soci nella società a responsabilità limitata ed il concordato preventivo, in Dir. fall., 2007, II, pp. 88 ss.; Esposito, Il “sistema delle reazioni revocatorie alla restituzione dei finanziamenti postergati, in Società, 2006, pp. 561 ss.; Lo Cascio, Commento all’art. 2467 c.c., in Società a responsabilità limitata. La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, Milano, 2004, pp. 79 ss.; Bartalena, I finanziamenti dei soci nella s.r.l., cit., pp. 397 ss.; Presti, La nuova disciplina della società a responsabilità limitata. Il punto di vista del giurista, in AA.VV., La riforma delle società di capitali, a cura di Abriani e Onesti, Milano, 2004, pp.129 ss.; Panzani, La postergazione dei crediti nel nuovo concordato preventivo, in Fallimento, 2006, 682. In giurisprudenza, v., ex plurimis, Cass., 4 febbraio 2009, n. 2706, in Fallimento, 2009, 789; Trib. Terni, 26 aprile
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cio natura di credito militano più argomenti testuali: (i) la stessa lettera dell’art. 2467 c.c. porta ad escludere che possa trattarsi di apporto di capitale di rischio, in quanto la disposizione sull’obbligo di restituzione delle somme rimborsate nell’anno antecedente il fallimento sarebbe stata, diversamente, del tutto inutile, poiché un apporto di capitale non genera alcun mai alcun obbligo di restituzione durante societate; (ii) l’art. 2427 c.c. stabilisce che nella nota integrativa al bilancio i finanziamenti effettuati dai soci alla società, vanno ripartiti per scadenze e con la separata indicazione di quelli con clausola di postergazione rispetto agli altri creditori, il che dimostra che questi finanziamenti vanno considerati debiti della società69; (iii) i finanziamenti vanno collocati nella Voce D 3 dello stato patrimoniale (passivo) ex art. 2424 c.c. e sono trattati dall’O.I.C. n. 19 (‘Debiti’); (iv) ancora l’art. 2467 c.c., là dove prevede la restituzione del rimborso pone un limite temporale annuale quasi che si trattasse di una fattispecie parallela alla revocatoria70. Una volta assunto che si ha a che fare con un vero e proprio credito71, vi sono coloro che ritengono che la disposizione dell’art. 2467 c.c. abbia natura processuale e che per tale motivo debba trovare applicazione esclusivamente in presenza di un concorso di creditori, dunque esclusivamente nell’ambito delle procedure concorsuali e delle esecu-
2012, in www.ilcaso.it; Trib. Padova, 16 maggio 2011, in Fallimento, 2012, p. 219; Trib. Firenze, 26 aprile 2010, cit.; Trib. Messina, 4 marzo 2009, in Fallimento, 2009, p. 795; Trib. Milano, 15 marzo 2008, in www.plurisonline. Nello stesso senso, ma con riferimento alla postergazione volontaria, Maffei Alberti, Prestiti postergati e liquidazione coatta amministrativa, in Banca, borsa, tit. cred., 1983, I, pp. 23 ss. 69 M. Campobasso, sub art. 2467, cit., pp. 250 ss.; Maugeri, Finanziamenti “anomali”, cit., pp. 269 ss.; perplessità, invece, in Paolucci, sub art. 2467, cit., pp. 298 ss.; 70 Non a caso nel codice della crisi la previsione di cui all’art. 2467 c.c. relativa alla retribuzione del rimborso del finanziamento nell’anno anteriore al fallimento è stata ricollocata nell’art. 164 c.c.i.i. e aggiunta alle ipotesi di inefficacia dei pagamenti anticipati. 71 In tal senso si postula che il creditore postergato possa chiedere il fallimento della società debitrice v., Trib. Lecco, 4 ottobre 2017, ined.; Trib. Rovigo, 18 agosto 2017, in www.ilcaso.it; Trib. Lecce, 13 gennaio 2015, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, 765; Trib. Firenze, 6 giugno 2012, in www.unijuris.it.; Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., pp. 1292 ss. il quale osserva, anche, che il credito postergato va computato ai fini della soglia dei trentamila euro di cui all’art. 15 l. fall.; per Trib. Prato, 25 febbraio 2015, in www. ilcaso.it, il creditore postergato può agire con l’azione revocatoria ordinaria, in quanto creditore; in dottrina, v., Marsili, La (ir)rilevanza dei debiti per il rimborso dei finanziamenti soci ex art. 2467 c.c. relativamente alla configurazione dello stato d’insolvenza della società in liquidazione, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, pp. 766 ss.
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zioni forzate individuali72; la postergazione rileverebbe, dunque, soltanto quando si tratta di operare la distribuzione delle somme che rinvengono dal patrimonio del debitore. A tale lettura si contrappone quella di quanti, invece, ritengono trattarsi di fenomeno avente natura sostanziale e carattere imperativo operante anche durante societate; pertanto, sarebbe vietato agli amministratori il rimborso di tali finanziamenti sino a che non siano pagati tutti gli altri creditori o non sia stata rimossa la condizione di sottocapitalizzazione73.
72 Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., pp. 1291 ss.; Vittone, Questioni in tema di postergazione dei finanziamenti soci, cit., pp. 928 ss.; Portale, I finanziamenti dei soci nelle società di capitali, cit., pp. 668 ss.; Fazzutti, sub art. 2467 c.c., pp. 48 ss.; Bonfatti, Prestiti da soci, finanziamenti infragruppo e strumenti ibridi di capitale, in Il rapporto banca-impresa nel nuovo diritto societario. Atti del Convegno di Lanciano 9-10 maggio 2003, a cura di Bonfatti e Falcone, Milano, 2004, pp. 311 ss.; Irrera, sub art. 2467, in Il nuovo diritto societario, diretto da Cottino, Bologna, 2004, pp.1794 ss.; Mezzanotte, Graduazione del rischio d’impresa e finanziamenti concessi a società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 2011, I, pp. 88 ss.; Mandrioli, La disciplina dei finanziamenti soci nelle società di capitali, cit., pp. 174 ss.; De Angelis, Dal capitale leggero al capitale sottile: si abbassa il livello di tutela dei creditori, in Società, 2002, pp. 1457 ss.; Lo Cascio, La riforma della società a responsabilità limitata e le procedure concorsuali, in Fallimento, 2005, pp. 237 ss.; Fabiani, La giustificazione delle classi nei concordati e il superamento della par condicio creditorum, in Riv. dir. civ., 2009, II, pp. 711 ss.; Bertolotti, I finanziamenti dei soci, cit., pp. 942 ss. A questa conclusione perviene, se si vuole, anche G. Ferri jr., In tema di postergazione legale, in Riv. dir. comm., 2004, pp. 975 ss., là dove esclude che gli amministratori possano rifiutare la richiesta di pagamento formulata dal socio finanziatore; Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Il codice civile. Commentario, fondato da Schlesinger e diretto da Bisnelli, Milano, 2010, pp. 467 ss.; la visione processualistica è, ora, condivisa in altri ordinamenti v., art. 92 della Ley Concorsual spagnola del 9 luglio 2003, n. 22 e successive modificazioni, §§ 39, Insolvenzordnung tedesca. 73 Cfr. Messore, La compensazione del debito da aumento di capitale e la postergazione legale dei finanziamenti soci, in Banca, borsa, tit. cred., 2018, II, pp. 380 ss.; Briolini, Verso una nuova disciplina delle distribuzioni del netto?, Riv. soc., 2016, pp. 64 ss.; Strampelli, Distribuzioni ai soci e tutela dei creditori, Torino, 2009, pp. 57 ss.; Desana, La sollecitazione all’investimento, i finanziamenti dei soci, i titoli di debito, cit., pp. 185 ss.; Sangiovanni, I finanziamenti dei soci di s.r.l. e fallimento, in Fallimento, 2007, pp. 1396 ss.; Balp, I finanziamenti dei soci sostitutivi del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, in Riv. soc., 2007, pp. 344 ss.; M. Rescigno, Problemi aperti in tema di s.r.l.: i finanziamenti dei soci, la responsabilità, in Società, 2005, pp. 15 ss.; M. Campobasso, I finanziamenti dei soci, Torino, 2004, pp. 158 ss.; Terranova, sub art. 2467, pp. 182 ss.; Presti, sub art. 2467, cit., pp. 102 ss.; Maugeri, Finanziamenti “anomali” dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, Milano, 2005, pp.133 ss.; Vassalli, Sottocapitalizzazione delle società e finanziamenti dei soci, cit., pp. 263 ss.; Bartalena, I finanziamenti dei soci nella s.r.l., cit., pp. 394 ss.; Colombo, Il bilancio nella riforma, in Il nuovo diritto delle società di capitali e delle società cooperative. Atti del con-
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Il percorso non è, però, lineare perché oltre alle ipotesi estreme (e cioè in un vertice alto il caso della normale gestione societaria ‘in continuità’ e in un vertice basso l’apertura di una procedura concorsuale) ci deve confrontare anche con lo scenario della liquidazione in bonis e della liquidazione per incapienza del patrimonio ma senza che si possa aprire il fallimento74. Non si può negare che dal punto di vista testuale, la circostanza che il legislatore abbia utilizzato il lemma “rimborso” porterebbe a postulare che anche durante la vita della società sia vietato estinguere il debito. Ma, prima ancora di porre in discussione tale affermazione invero di grande impatto perché imporrebbe al debitore divieti che la legge fallimentare e la legge civile in materia di obbligazioni non pongono, è utile portare preliminarmente l’attenzione sul fatto che una cogenza im-
vegno (Piacenza, 14-15 marzo 2003), a cura di Rescigno e Sciarrone Alibrandi, Milano, 2004, pp. 203 ss.; Tassinari, Sottocapitalizzazione delle società di capitali e riforma del diritto societario, in AA.VV., Corporate Governance e nuovo diritto societario. Atti della prolusione all’Anno Accademico 2003-2004. Scuola di Notariato della Lombardia, Milano, 2003, pp. 143 ss.; Scano, I finanziamenti dei soci, in Riv. dir. comm., 2003, pp. 896 ss.; Parrella, Finanziamenti dei soci e postergazione del credito di restituzione: il nuovo art. 2467 c.c., in Dir. giur., 2007, pp. 364 ss.; Abriani, Finanziamenti “anomali” dei soci e regole di corretto finanziamento nella società a responsabilità limitata in il diritto delle società oggi – innovazioni e persistenze, studi in onore di Giuseppe Zanarone, cit., pp. 319 ss.; Gobio Casali, I finanziamenti dei soci tra postergazione e azioni revocatorie, in www.ilcaso.it.; Marchisio, I “finanziamenti anomali” tra postergazione e prededuzione, in Riv. not., 2012, pp. 1295 ss.; Trib. Milano, 6 febbraio 2015, in www.ilcaso.it 74 Nel caso della liquidazione volontaria in bonis si tende ad affermare che il rimborso può essere effettuato e che la natura postergata del credito del socio debba essere eccepita dagli amministratori v., Trib. Milano, 14 marzo 2014 e 15 gennaio 2014, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; meno agevole è apprezzare cosa debba accadere quando si apre una liquidazione volontaria ma emerge la circostanza che le risorse sono insufficienti per remunerare tutti i creditori. In tale ipotesi ci si chiede se lo scenario liquidatorio sia equiparabile alle regole del concorso o se queste non possano essere importate. Una risposta è stata fornita da Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., pp. 1292 ss., ad avviso del quale l’amministratore non dovrebbe porsi questo interrogativo ma in presenza di uno stato di crisi dovrebbe attivare, necessariamente, una reazione facendo accesso ad un procedimento regolativo della crisi, sì che non facendolo si espone a responsabilità; v., anche Rubino De Ritis, sub art. 2467, cit., pp. 284 ss. a proposito del ricorrere di una fattispecie di responsabilità dell’organo amministrativo; Trib. Bari, 5 febbraio 2018, in Ilsocietario.it. Per la tesi della applicabilità dei principi esposti nel testo durante societate, v., Picciau, Esigibilità dei finanziamenti postergati ex lege e loro rilevanza ai fini dello stato di insolvenza della società, in Giur. comm., 2018, I, pp. 265 ss.; Prestipino, Diritto al rimborso e postergazione nella disciplina dei finanziamenti dei soci, Milano, 2015 pp. 127 ss.
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perativa del disposto dell’art. 2467 c.c. è smentita dallo stesso contenuto, in alcun modo equivocabile, del suo primo comma che dispone che «il rimborso dei finanziamenti ... omissis ... avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito». Se, infatti, la comminatoria della restituzione interviene solo in caso di fallimento (e solo per le restituzioni infrannuali), non può revocarsi in dubbio, da un lato, che le restituzioni dei finanziamenti soci non sono di per sé vietate e dall’altro, che l’inefficacia non colpisce, neppure in caso di fallimento, i rimborsi intervenuti prima dell’anno anteriore75. Diversamente il legislatore avrebbe imposto uno specifico divieto, utilizzando locuzioni inequivoche, come ha fatto quando ha inteso vietare taluni comportamenti; si pensi ai divieti contenuti agli artt. 2357, 2357-ter, 2357-quater e 2358 c.c., dove si stabilisce che “la società non può”, a quella degli artt. 2331, 2360 c.c. ove l’affermazione è ancora più netta “è vietato” o, ancora, a quella dell’art. 2463-bis c.c. ove si dispone che “è fatto divieto”. Sotto il profilo dell’individuazione del periodo temporale sospetto, non può non osservarsi, inoltre, come la scelta del legislatore (rispetto all’art. 2467 c.c.), di definire una speciale comminatoria di inefficacia, diversa e autonoma da quella prevista dall’art. 65 l. fall.76 per i pagamenti dei debiti non scaduti effettuati nei due anni anteriori la dichiarazione di fallimento, costituisca ulteriore prova del fatto che il credito per finanziamenti del socio non può considerarsi “non scaduto” per definizione, come lo si dovrebbe reputare se fosse stato immanente nell’ordinamento, come sostengono i fautori della tesi sostanzialistica, un divieto di suo rimborso. Se il credito non fosse esigibile, sarebbe stata sufficiente la previsione di cui all’art. 65 l. fall.77, o si sarebbe dovuto predicare che il rimborso costituisce un indebito oggettivo.
75 Così anche, Bonfatti, Prestiti da soci, cit., pp. 311 ss.; Lo Cascio, La postergazione e la restituzione dei rimborsi dei finanziamenti, in La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, VIII, Milano, 2003, pp. 79 ss.; Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., pp. 1292 ss.; così pure accade con il nuovo art. 164 c.c.i.i. 76 Ancorché giustamente Cass., 24 ottobre 2017, n. 25163, in dejure.it, abbia precisato che l’azione promossa dal curatore è azione che deriva dal fallimento ai sensi dell’art. 24 l. fall. 77 Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., pp. 1292 ss.; contra, Paolucci, sub art. 2467, cit., pp. 301 ss.; M. Campobasso, sub art. 2467, cit., pp. 254 ss.; Rubino De Ritis, sub art. 2467, cit., pp. 284 ss.
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Sennonché, una ulteriore dimostrazione della non condivisibilità della tesi più rigorosa la si rinviene nel fatto che affermare un divieto di restituzione dei finanziamenti soci durante societate, sino a che non siano stati soddisfatti tutti gli altri creditori, equivarrebbe ad assimilare gli stessi – assimilazione che la medesima dottrina nega esistere in profilo diretto – agli apporti di capitale78. 7.2. La postergazione come protezione e la regola della libertà patrimoniale del debitore. L’obbligo di restituzione del rimborso del finanziamento infrannuale altro non è che una vera e propria protezione a favore dei creditori estranei. Faccia pure la società la scelta del rimborso, ma se poi sopravviene il fallimento entro l’anno, questo dovrà essere restituito. Assistiamo ad una sorta di inesigibilità postuma e condizionata, non preventiva e necessitata79. Se così non fosse i diritti di ‘libertà’ del debitore sarebbero fortemente compromessi. Le norme sul fallimento, organizzate in funzione di garantire un certo trattamento omogeneo a tutti i creditori rischiano di condurre a torsioni interpretative se non correttamente perimetrate. Ed allora, per meglio definire il reale contenuto della postergazione occorre rimettere in fila alcune categorie del diritto delle obbligazioni ed in particolare quelle che pertengono all’adempimento. L’ordinamento pone a disposizione di tutti i creditori la possibilità di reagire all’inadempimento del comune debitore, sì che occorre stabilire come organizzare l’esercizio plurimo di queste reazioni. È necessario, infatti, considerare che occorre trovare un bilanciamento fra la protezione del diritto di libertà del debitore di gestire il suo patrimonio senza condizionamenti esterni e la protezione del diritto di credito al quale è ancillare la garanzia patrimoniale. La presenza dei rimedi costituiti dai
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Così ritiene Bartalena, I finanziamenti dei soci nella s.r.l., cit., pp. 394 ss. Se si volesse invocare il paradigma della condizione ci sarebbe da confrontarsi con una condizione risolutiva (il rimborso è valido ed efficace, salvo che nell’anno successivo non venga dichiarato il fallimento), non con una condizione sospensiva come invece sostenuto da Paolucci, sub art. 2467, cit., pp. 299 ss.; Strampelli, Distribuzioni ai soci e tutela dei creditori, cit., pp. 57 ss. Non si può, cioè, costruire il diritto del socio al rimborso come condizionato (sospensivamente) all’integrale pagamento dei creditori estranei, come sostenuto da Trib. Roma, 6 febbraio 2017, in www.ilcaso.it, sul presupposto, assai discutibile, della inesigibilità del credito. Per la negazione della tesi del credito sospensivamente condizionato v., Picciau, Esigibilità dei finanziamenti postergati ex lege e loro rilevanza ai fini dello stato di insolvenza della società, cit., pp. 264 ss. 79
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mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale consente di affermare che la libertà del debitore non è incondizionata80 quando si tratta del compimento di atti che depauperano il patrimonio; il rimedio dell’azione revocatoria ordinaria è, un po’ il simbolo della scelta di campo che è stata operata81. Da qui si deve partire per affrontare l’argomento correlato del rapporto fra debitore e più creditori. La disposizione di cui all’art. 2741 c.c. (che discende dall’art. 1949 del codice del 1865 e che trova il suo progenitore nell’art. 2093 del codice francese napoleonico) dice chiaramente cosa deve accadere quando più creditori vantano più pretese nei confronti del medesimo debitore. Tale regola, in un certo qual senso sussidiaria rispetto quella di cui all’art. 2740 c.c. vale quando si è in presenza di una patologia della gestione del patrimonio del debitore82. Va ricordato che il debitore gestisce il suo patrimonio secondo la sua discrezionalità sino a quando non incontra un limite specifico. Questo limite può essere rappresentato dal fatto che nel suo agire non deve pregiudicare i diritti altrui e ciò può accadere quando, compiendo atti di dismissione del patrimonio83, impedisce ai creditori di far valere la garanzia generica. Fermi questi limiti, il debitore può manovrare liberamente il suo patrimonio84. A maggior ragione, si può, infatti, fondatamente sostenere che, in presenza di più obbligazioni passive, il debitore può pagare chiunque, senza alcun obbligo di rispettare la par condicio creditorum sino a quando vi sia la prospettiva di un regolare soddisfacimento di tutti. Il debitore, imprenditore o no che sia, non deve distribuire le risorse in modo paritario fra i creditori, ma deve soddisfare i creditori secondo la fisiologia del rapporto, guardando innanzi tutto alla scadenza dell’obbligazione85. Già
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Miraglia, Responsabilità patrimoniale, in Enc. giur., Roma, 1991, XXVII, pp. 5 ss. Lucchini Guastalla, Danno e frode nella revocatoria ordinaria, Milano, 1995, pp. 119 ss. Perplessità sulla soluzione sono espresse da Roppo, La responsabilità patrimoniale del debitore, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, XIX, Torino, 1985, pp. 378 ss. 82 Ciccarello, Privilegio del credito e uguaglianza dei creditori, Milano, 1983, pp. 19 ss.; P.G. Jaeger, Par condicio creditorum, cit., pp. 96 ss.; Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1990, pp. 5 ss. 83 Miraglia, Responsabilità patrimoniale, cit., pp. 5 ss. 84 Per una simile, ma più rigorosa impostazione v., Cossu, Revocatoria ordinaria (azione), in Dig. disc. priv. sez. civ., XVII, Torino, 1998, pp. 453 ss. 85 A. Patti, I privilegi, in Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, 2003, pp. 27 ss.; Roppo, La responsabilità pa81
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questa postulazione inclina verso l’ipotesi che l’adempimento del debito postergato mediante compensazione sia lecito. Quando non esiste una situazione di patologia nel patrimonio del debitore, i criteri di esecuzione dei pagamenti sono tutt’affatto diversi da quelli ispirati al principio di parità. A tale conclusione si perviene se si esamina la norma in tema di imputazione dei pagamenti. Nell’ambito del rapporto bilaterale creditore-debitore, se vi sono più obbligazioni86, il criterio di soddisfacimento non è quello della distribuzione paritaria percentuale (fra più ragioni di credito) ma quello della scadenza del debito e poi quello della protezione del debito meno garantito; la descrizione scalare contenuta nell’art. 1193 c.c. né è un esempio. L’imputazione del pagamento va fatta in modo proporzionale solo quando non soccorrono gli altri (e precedenti) criteri87. Il criterio di imputazione dei pagamenti può essere trasferito alla fattispecie nella quale non vi sono più debiti bilaterali, ma vi sono più debiti/crediti fra un debitore e più creditori. Anche in questo caso, le risorse disponibili nel patrimonio del debitore non vanno distribuite paritariamente ma vanno attribuite ai singoli creditori in ragione, ad esempio, della scadenza del debito88. Da queste prime e semplici riflessioni, sortisce già una prima, provvisoria, conclusione. Il principio della par condicio creditorum non è affatto assoluto perché non va invocato quando il patrimonio del debitore è sufficiente a garantire il soddisfacimento di tutti i creditori. Ciò significa che la par condicio è disciplina che si applica solo quando più creditori concorrono sul patrimonio del debitore e quel patrimonio non è capiente per garantire il soddisfacimento di tutti.
trimoniale del debitore, cit., pp. 408 ss. 86 Cass., 3 ottobre 2013, n. 22639, in Foro it., Rep. 2013, voce Obbligazioni in genere, n. 51. 87 In dottrina, v., Rodeghiero, Imputazione del pagamento e pluralità di creditori, in Riv. dir. civ., 2007, II, pp. 363 ss.; Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, in Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, 1984, pp. 149 ss. 88 Secondo Cass., 12 luglio 2005, n. 14594, in Foro it., Rep. 2005, voce Obbligazioni in genere, n. 43, «La disciplina dell’imputazione del pagamento, pur presupponendo l’esistenza di una pluralità di rapporti obbligatori omogenei tra le medesime parti, è applicabile analogicamente anche in presenza di una pluralità di creditori, qualora uno di essi sia legittimato a ricevere il pagamento sia in proprio che per conto dell’altro».
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Di par condicio, allora, si deve discutere solo in presenza di un concorso; cioè il concorso di più creditori su un patrimonio insufficiente89, un concorso che esprime già, in nuce, un conflitto. A questa prima conclusione si deve, però, subito apporre una postilla. Perché il criterio del pari trattamento sia invocabile non è sufficiente che vi sia una patologia nel patrimonio del debitore e una pluralità di creditori; si rivela, infatti, necessario che il concorso fra creditori sia gestito all’interno di una procedura di concorso, ovverosia di un procedimento affidato alla autorità giudiziaria nell’ambito del quale siano previste regole di concorso che altro non sono che le regole in tema di privilegi, di graduazione fra privilegi e altri crediti90. Ciò significa che vi saranno altri contesti nei quali pur in presenza di una patologia nel patrimonio del debitore e di una pluralità di creditori, si potrà non applicare il principio della parità di trattamento per effetto di deroghe convenzionali. All’esterno del perimetro delle procedure di concorso, i creditori sono liberi di stabilire fra di loro come debba essere ripartito il patrimonio responsabile, purché tali accordi non pregiudichino il diritto dei creditori che non partecipano all’accordo. Si pensi, sin d’ora, agli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis l. fall.91; ma anche al fenomeno della postergazione volontaria (v., infra).
89 Miglietta, Prandi, I privilegi, Torino, 1995, pp. 13 ss.; Ciccarello, Privilegio del credito e uguaglianza dei creditori, Milano, 1983, pp. 11 ss.; Patti, I privilegi, cit., pp. 28 ss. 90 Schlesinger, L’eguale diritto dei creditori di essere soddisfatti sui beni del debitore, in Riv. dir. proc., 1995, pp. 323 ss.; Ciccarello, Privilegio del credito, cit., pp. 13 ss. 91 Nel perseguire l’accordo con i creditori, non v’è necessità del rispetto della par condicio creditorum; la negoziazione individuale è emblematica dell’opzione di rendere inoperante un principio di parità di trattamento; il creditore si convince della convenienza dell’accordo per quanto gli è proposto, non per quanto possa confrontarlo con altri, tant’è che, per paradosso, l’accordo può risultare deliberatamente discriminatorio. Sul fatto che non debba essere assicurata la par condicio, v. in luogo di molti, Nocera, Analisi civilistica degli accordi di ristrutturazione dei debiti, Torino, 2017, pp. 70 ss.; Luchetti, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria, diretta da Ambrosini, Bologna, 2017, pp. 681 ss.; Giorgi, Poteri del giudice nell’omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione del debito, in Dir. fall., 2015, I, pp. 423 ss.; Pagni, Evoluzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, protezione del patrimonio e omologazione, in Fallimento, 2014, pp. 1080 ss.; Balestra, Sul contenuto degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. comm., 2014, I, pp. 283 ss.; Inzitari, Gli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis l. fall.: natura profili funzionali e limiti dell’opposizione degli estranei e dei terzi, in Dir. fall., 2012, I, pp. 14 ss.; Gentili, Accordi di ristrutturazione e tutela dei terzi, in Dir. fall.,
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Il principio della par condicio, pertanto, è ancor più residuale perché la sua applicazione, al fondo, dipende dal fatto che taluno – o il debitore o un creditore – chieda che la regolazione della patologia del patrimonio responsabile92 avvenga, proprio, facendo ricorso a procedure nelle quali si situano le disposizioni in tema di graduazione (per qualità di rango o per qualità di preferenza all’interno della categoria privilegiata). Questo spiega la ragione per la quale nel sistema ora vigente, tanto l’iniziativa del creditore ai sensi dell’art. 6 l. fall. o dell’art. 492 c.p.c., quanto l’iniziativa del debitore ai sensi dell’art. 161 l. fall. – lasciando in disparte le altre procedure come la liquidazione coatta amministrativa, il concordato preventivo e la composizione della crisi da sovraindebitamento – debbano essere lette come espressione dell’esercizio di un potere processuale93 e cioè quello di chiedere che la regolazione della patologia si fondi sulle disposizioni che applicano – ancorché solo talora virtualmente94 – le regole di concorso. Attraverso questo percorso, si sono gettate le basi per ragionare sulla tutela di un creditore che sembra pur esso pregiudicato dal rispetto del principio di parità di trattamento.
2009, I, pp.641 ss.; Roppo, Profili strutturali e funzionali dei contratti “di salvataggio” (o di ristrutturazione dei debiti d’impresa), in Dir. fall., 2008, I, pp. 364 ss.; Nigro, La disciplina delle crisi, cit., pp. 75 ss. 92 Si potrebbe aprire, qui, una ampia parentesi relativa alla individuazione del patrimonio responsabile rispetto agli apporti di terzi. La par condicio, infatti, presuppone un patrimonio responsabile, quello del debitore, sì che ogniqualvolta taluni creditori siano dotati di garanzie che insistono su beni di terzi, è evidente che la par condicio non si estende a tali risorse aggiuntive (v., P.G. Jaeger, Par condicio creditorum, cit., 102). Si tratta di un tema molto importante nelle procedure di concordato preventivo, là dove si postula che il ricorso a risorse che non derivano dal patrimonio del debitore consente di distribuire le ricchezze aggiuntive secondo canoni che non osservano la regola di parità di trattamento; sul punto v., Fabiani, Appunti sulla responsabilità patrimoniale “dinamica” e sulla deconcorsualizzazione del concordato preventivo, cit., pp. 45 ss.; D’Attorre, Le utilità conseguite con l’esecuzione del concordato in continuità spettano solo ai creditori o anche al debitore?, in Fallimento, 2017, pp. 316 ss.; Cass., 8 giugno 2012, n. 9373, in Foro it., 2012, I, 2671; contra, però, Vattermoli, Concordato con continuità aziendale, absolute priority rule e new value exception, in Riv. dir. comm., 2014, II, pp. 331 ss. 93 Mazzamuto, L’esecuzione forzata, in Trattato dir. priv., diretto da P. Rescigno, 20, II, Torino, 1985, pp. 198 ss. 94 Il creditore che avvia una procedura esecutiva singolare mira a incassare quanto ricavato dalla liquidazione del bene pignorato, ma è consapevole che nella procedura possano intervenire altri creditori e che pertanto si possa giungere ad una distribuzione delle risorse informata al principio della par condicio.
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Non a caso, la postergazione legale costituisce semplicemente una qualità deteriore del credito: una sorta di “privilegio negativo” (o di “antiprivilegio” come si esprime il lodo) di segno opposto a quello delle cause legittime di prelazione previste dall’art. 2741 c.c. e come queste destinata ad operare solo nelle ipotesi di conflitto tra creditori, allorquando il realizzo dei beni oggetto della garanzia si riveli insufficiente a soddisfare integralmente le pretese di tutti coloro che partecipano al concorso95. Sotto questo profilo non si spiegherebbe, altrimenti, perché dovrebbe riservarsi un diverso trattamento alla postergazione, che con i privilegi condivide in senso opposto la funzione96. La postergazione attiene alla responsabilità patrimoniale del debitore e nulla ha che vedere con l’esigibilità del credito, invero dimostrata, peraltro, dal fatto che i finanziamenti ben possono essere fruttiferi97. Negare, in assenza di un divieto espresso, la libertà degli amministratori di rimborsare durante societate il credito esigibile del socio finanziatore sorto in regime delle condizioni espresse dall’art. 2467 c.c. equivale ad affermare il principio – che non è dato rintracciare nel diritto positivo – che l’adempimento spontaneo del debitore sia soggetto al rispetto della par condicio, mentre nessuno ha mai posto in dubbio la piena sovranità del debitore in bonis nello stabilire quali debiti, esigibili, soddisfare e quali no98. A questo punto si rivela importante tracciare una demarcazione fra obbligazioni per debito e obbligazioni per responsabilità.
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G. Ferri jr., Impresa in crisi e garanzia patrimoniale, in Diritto Fallimentare. Manuale Breve, Milano, 2008, pp. 40 ss.; M. Rescigno, Osservazioni sul progetto di riforma del diritto societario in tema di società a responsabilità limitata, in AA.VV., Il nuovo diritto societario tra società aperte e società private, Milano, 2003, pp. 66 ss.; Galletti, Il concorso nel fallimento, cit., pp. 1290 ss. 96 G. Ferri jr., In tema di postergazione legale, cit., pp. 975 ss., il quale osserva che mentre la legge nulla dice in ordine ai doveri degli amministratori relativamente al rimborso del finanziamento postergato, al contrario, al comma 1 dell’art. 2467 c.c. sia afferma espressamente che tale rimborso, se avvenuto nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, deve essere restituito; da questa disciplina sembra potersi ricavare che il credito del socio avente ad oggetto il rimborso è appunto esigibile alla scadenza pattuita dalle parti e che, dunque, il relativo pagamento non solo non è vietato ma deve ritenersi addirittura doveroso per gli amministratori. Questa sembrerebbe essere anche la valutazione di M. Rescigno, Osservazioni sul progetto di riforma del diritto societario in tema di società a responsabilità limitata, cit., pp. 66 ss. 97 Picciau, Esigibilità dei finanziamenti postergati ex lege e loro rilevanza ai fini dello stato di insolvenza della società, cit., pp. 259 ss. 98 A. Patti, Fallimento e sistemi di graduazione dei crediti, in Dir. Fall., 2002, I, pp. 1414 ss.; Mandrioli, La disciplina dei finanziamenti, cit., pp. 177 ss.
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Un conto è affermare che il pagamento del debito scaduto, anche se postergato, è legittimo nel senso che sul piano della obbligazione per debito non sorge alcuna pretesa alla restituzione (salva la fattispecie del rimborso infrannuale seguito dal fallimento); altro conto è escludere che quel pagamento possa generare una responsabilità in chi lo effettua. Il tema è quello tracciato in una recente decisione a proposito della possibilità di configurare il compimento di un atto lesivo della par condicio, come condotta imprenditoriale che nelle società di capitali può esporre l’autore ad una delle azioni di responsabilità previste nel codice civile. Ciò può capitare quando l’atto dell’amministratore non ha procurato un danno al patrimonio ma (solo) una lesione alla par condicio99; il caso è quello dell’amministratore che ha eseguito un pagamento (rivelatosi poi) revocabile. Se sono state adoperate ‘normali’ risorse per estinguere un debito, la società non può reclamare alcun danno perché il pagamento di un debito scaduto è un atto neutrale (tanto è vero che non può essere impugnato con l’azione revocatoria ordinaria)100. L’azione di responsabilità ex art. 2393 c.c. sembra impercorribile e tuttavia di recente il giudice di legittimità ha affermato la possibile responsabilità101. Sennonché, anche ammettendo che il rimborso generi responsabilità, questa responsabilità per violazione della par condicio presuppone l’apertura del concorso fallimentare e quindi, a ben vedere, si torna alla postulazione precedente. La responsabilità c’è solo se matura il diritto della procedura alla restituzione del rimborso; ma se matura questo diritto relativo ad una obbligazione per debito, si consuma anche il diritto risarcitorio, salvo che non si dimostri che il rimborso del debito postergato abbia drenato risorse dal patrimonio della società che se altrimenti destinate avrebbero attutito il danno per i creditori. Ma allora ci si pone sul terreno delle obbligazioni per responsabilità102 e, dunque, con riguar-
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Se la revocatoria colpisce un ‘limite normativo (v., G. Ferri jr., Le pretese del terzo revocato nel fallimento, Milano, 2011, pp. 183 ss.), costituito dalla violazione di un precetto, non per questo è dimostrato un danno al patrimonio che giustifichi l’azione di responsabilità. 100 Trib. Milano, 18 gennaio 2011, in Fallimento, 2011, p. 588. 101 Cass., 23 gennaio 2017, n. 1641, in Fallimento, 2017, p. 662; Fauceglia, Brevi note sul risarcimento dei danni per pagamenti preferenziali, in Società, 2017, pp. 595 ss.; Balestra, Azioni di responsabilità e legittimazione del curatore: la questione dei pagamenti preferenziali, in Fallimento, 2017, pp. 662 ss. 102 Picciau, Esigibilità dei finanziamenti postergati ex lege e loro rilevanza ai fini dello stato di insolvenza della società, cit., pp. 272 ss.; Pecoraro, Sulla responsabilità per l’indebito rimborso dei finanziamenti ai soci, in Società, 2017, pp. 49 ss.; v., Cass. Pen.,
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do al concordato non si porrà un problema di non fattibilità giuridica del piano ma, se mai, di frode oggettiva103. Così, al netto di questa ipotesi (che reclama una non marginale difficoltà probatoria), resta il fatto che un atto commissivo quale è il pagamento del credito finanziario è del tutto legittimo. A maggior ragione è legittimo l’effetto compensativo104. 7.3. Le postergazioni controverse e gli effetti sulla compensazione. Le questioni in tema di postergazione si rivelano, di poi, ancor più complicate in ragione del fatto che non sempre è agevole tracciare un confine fra credito finanziario e credito non finanziario. Questo può dipendere, ad esempio, dal classico caso del socio che si rende cessionario di un credito commerciale che un terzo vanta verso la società105.
10 maggio 2017, n. 50188, in dejure.it, che ha condannato per bancarotta per distrazione l’amministratore che aveva rimborsato il credito postergato del socio. 103 Fabiani, La ricerca di un equilibrio fra poteri del giudice ed interesse delle parti nel concordato preventivo, in Foro it., 2014, I, c. 3187; Cass., 26 giugno 2014, n. 14552, in Foro it., 2014, I, p. 3170, secondo la quale «L’accertamento, ad opera del commissario giudiziale, di fatti integranti le fattispecie previste nell’art. 173 l. fall. determina la revoca dell’ammissione al concordato, indipendentemente dal voto espresso in adunanza, e quindi anche nelle ipotesi in cui i creditori medesimi siano stati resi edotti di quell’accertamento»; Cass., 29 luglio 2014, n. 17191, in Foro it., Rep. 2014, voce Concordato preventivo, p. 236. 104 Guerrieri, I finanziamenti dei soci, in Trattato di dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, LXV, Padova, 2012, pp. 81, ss.; Picciau, Esigibilità dei finanziamenti postergati ex lege e loro rilevanza ai fini dello stato di insolvenza della società, cit., pp. 272 ss.; in senso opposto, Abriani, Debiti infragruppo e concordato preventivo: tra postergazione e compensazione, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, I, pp. 699 ss.; tuttavia vi è un passaggio della sua acuta elaborazione che di per sé dimostra l’inconsistenza della tesi qui avversata. Si dice: «In questa seconda ipotesi i crediti – entrambi chirografari o postergati – sono destinati a compensazione legale», ma si è già visto che se un credito è inesigibile (perché postergato) a nulla rileva che sia inesigibile anche quello contrapposto. Il fatto è che il credito postergato, come più volte enunciato nel testo non è affatto inesigibile. 105 Desana, La sollecitazione all’investimento, i finanziamenti dei soci, i titoli di debito, cit., pp. 181 ss. Secondo la lettura nettamente prevalente l’espressione «s’intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati» va intesa in chiave assai più sostanziale che formale. Da ciò ne consegue che si ricade nell’art. 2467 c.c. anche quando il finanziamento viene erogato in forme diverse dal denaro ma come un diretto apporto di utilità; un diritto apporto di utilità che può derivare dall’acquisto di un credito vantato da un terzo verso il debitore concordatario. In questa circostanza se è pur vero che il socio non ha effettuato alcun versamento a favore del debitore concordatario a titolo di finanziamento, è altrettanto vero che il socio ha procurato risorse al debitore
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Ma può dipendere anche dal fatto che vi sono crediti che sorgono
quando estingue un debito del debitore concordatario nei confronti di un terzo. L’esperienza giurisprudenziale è decisamente severa nel ritenere applicabile la regola di cui all’art. 2467 c.c. a tutte le forme di finanziamento, ivi comprese ipotesi come la concessione di fideiussioni, e cioè una condotta che non è equiparabile al finanziamento (Trib. Padova, 16 maggio 2011, in Fallimento, 2012, p. 221; Maugeri, Sul regime concorsuale dei finanziamenti soci, cit., pp. 815 ss.). Si assume che nella nozione di finanziamento vadano ricompresi i contratti con causa di finanziamento (Calderazzi, Il perimetro soggettivo nei finanziamenti dei soci, in Fallimento, 2012, pp. 224 ss.; M. Campobasso, Finanziamento del socio, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, pp. 446 ss.; Mandrioli, La disciplina dei finanziamenti soci nelle società di capitali, cit., pp. 176 ss.; Salafia, I finanziamenti dei soci alle società a responsabilità limitata, in Società, 2005, pp. 1081 ss.; Trib. Pescara, 22 settembre 2016, cit.; Trib. Como, 3 novembre 2015, in www.ilcaso.it), o altri strumenti quali l’acquisto di crediti (Trib. Tivoli, 30 settembre 2010, in www.ilcaso.it, aveva affermato che il pagamento di crediti della società in crisi da parte di un socio potesse configurare un finanziamento anomalo; così pure l’accollo del debito della società per Bertolotti, I finanziamenti dei soci, in Il nuovo diritto societario nella dottrina e nella giurisprudenza 2003-2009, diretto da Cottino, Bologna, 2009, pp. 940 ss.; Pedersoli, Sulla nozione di “finanziamento” ai fini dell’applicazione della regola di postergazione, in Giur. comm., 2013, I, pp. 1202 ss.); così come la prestazione di garanzie senza rinuncia al diritto di regresso (Paolucci, sub art. 2467, cit., pp. 288 ss.; Postiglione, La nuova disciplina dei finanziamenti dei soci di s.r.l.: dubbi interpretativi e limiti applicativi, in Società, 2007, pp. 929 ss.; Bertolotti, I finanziamenti dei soci, cit., pp. 940 ss.; Lolli, sub art. 2467, in Il nuovo diritto delle società, diretto da Maffei Alberti, Padova, 2005, pp. 1812 ss.; Pedersoli, Il trattamento delle garanzie rilasciate dai soci e applicazione dell’art. 2467 c.c., in Giur. comm., 2015, II, pp. 168 ss.). Per la nozione aziendalistica di finanziamento v. Desana, La sollecitazione all’investimento, i finanziamenti dei soci, i titoli di debito, cit., pp. 178 ss.; Trib. Napoli, 8 agosto 2014, in Banca, borsa, tit., cred., 2016, II, p. 61. Può accadere anche il caso inverso. Benché in dottrina non manchi qualche voce autorevole ad avviso della quale il regime della postergazione presuppone che vi sia identità soggettiva fra titolare del credito e socio, sì che il credito trasferito dal socio ad un terzo perderebbe tale rango sfavorevole (Presti, sub art. 2467, cit., pp. 109 ss.), secondo l’interpretazione prevalente il solo mutamento soggettivo del creditore non modifica il rango del credito (Abriani, Finanziamenti anomali infragruppo e successiva rinegoziazione: tra postergazione legale e privilegio convenzionale (due pareri pro veritate), in Rivista di diritto societario, 2009, pp. 731 ss.; Portale, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Riv. soc., 1991, pp. 164 ss.; Balp, I finanziamenti dei soci «sostitutivi» del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, in Riv. soc., 2007, pp. 345 ss.; Maugeri, Finanziamenti «anomali» dei soci, cit., pp. 139 ss.; M. Campobasso, sub art. 2467, cit., pp. 244 ss.; De Campo, Lo strano caso della postergazione dei finanziamenti dei soci, in Società, 2015, pp. 46 ss.; Trib. Milano, 23 ottobre 2017, in Ilsocietario.it; Trib. Milano, 6 febbraio 2015, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, II, p. 513; Trib. Milano, 4 dicembre 2014, in Società, 2015, p. 839). A questa conclusione si può pervenire, non tanto per evidenti ragioni di efficienza del sistema (nel senso che sarebbe sin troppo semplice aggirare il regime della postergazione cedendo il credito), quanto per un’applicazione analogica di quanto è previsto ai sensi dell’art. 1263 c.c., a tenore del quale il credito è trasferito al cessionario con i privilegi. Orbene, se è noto che la posterga-
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sicuramente come crediti commerciali e che per loro natura si trasformano, strada facendo, in crediti postergati; tale mutazione del credito viene ricondotta all’idea, piuttosto diffusa, secondo la quale ogni forma di assistenza finanziaria equivale nella sostanza ad un finanziamento. Così, il socio che ha eseguito prestazioni (in genere di servizi) a favore della società e che ha maturato crediti a tale titolo, ove non si attivi per riscuotere il credito, di fatto consente alla società di approvvigionarsi altrove e in questo modo fornisce una assistenza finanziaria alla società106. Il socio, trascorso un certo tempo (forse si può immaginare l’anno come termine di grandezza, considerando, ad esempio, proprio l’art. 2467 c.c.), rimane pur sempre creditore della società ma il suo credito è divenuto finanziario e come tale postergato107, anche se ciò accade ex post; il credito diviene postergato nel momento in cui si è conclamata la volontà del creditore-socio di non esigere il credito.
8. Prime ragioni per la compensabilità dei crediti postergati. Ove si volesse aderire all’opinione che vuole equiparato il finanziamento dei soci ad un apporto di capitale, l’istituto della compensazione non potrebbe mai applicarsi per assenza della condizione oggettiva della sua operatività, così come individuata dall’art. 1241 c.c., costituita della coesistenza di due posizioni debitorie. Infatti, se il finanziamento
zione è qualificata anche come un “anti-privilegio”, ben si comprende che il trasferimento del credito riguarda non solo la misura dello stesso ma anche il suo rango, tanto favorevole (privilegio), quanto sfavorevole (postergato). Par dunque logico che chi acquista un credito derivante da un finanziamento effettuato dal socio a favore della società nel momento in cui appariva più corretto un conferimento, acquista un credito postergato, dovendosi cristallizzare la situazione al momento del finanziamento (Abriani, Finanziamenti ‹‹anomali›› e postergazione: sui presupposti di applicazione dell’art. 2467, cit., pp. 1360 ss.; Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Codice civile. Commentario fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano, 2010, pp. 451 ss.; Moramarco, La postergazione del finanziamento dei soci nelle società a responsabilità limitata ed il concordato preventivo in Dir. fall., 2007, II, pp. 86 ss.; Trib. Milano, 6 febbraio 2015, cit.) 106 Ma per Trib. Padova, 23 ottobre 2015, www.ilcaso.it, tutte le forniture effettuate durante il periodo di crisi originerebbero, da subito, un credito postergato; v., anche, Trib. Reggio Emilia, 10 giugno 2015, www.ilcaso.it. A tale conclusione è pervenuta anche Cass., 31 gennaio 2018, in www.ilcaso.it. 107 Abriani, Debiti infragruppo e concordato preventivo: tra postergazione e compensazione, cit., pp. 699 ss.
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fosse riqualificato d’imperio in conferimento di capitale lo stesso non genererebbe alcun obbligo di restituzione108. Venendo, ora, al tema centrale della compensabilità dei crediti postergati ex art. 2467 c.c., e chiarito, da un lato, che la compensazione dell’art. 56 l. fall. è impermeabile alla sorte della soddisfazione dei crediti antergati a quello opposto in compensazione e, dall’altro, che non esiste alcun divieto di rimborso dei finanziamenti soci scaduti e che questo, ove occorso, rileva negativamente solo nel fallimento (tra l’altro con una significativa limitazione temporale) non si ravvisa motivo alcuno per cui l’eccezione di compensazione non debba valere anche per i crediti postergati, attesa la circostanza che essa opera automaticamente ex lege.109 Semmai, seri problemi di ammissibilità potrebbe presentare quel piano che prevedesse l’integrale recupero del credito da parte del debitore concordatario e ciò perché il debitore in bonis ben potrebbe eccepire la compensazione. Nel concordato, davvero, si fatica ad apprezzare la giustificazione del divieto di compensazione rispetto al credito postergato vantato verso il debitore concordatario, posto che – non dichiarato il fallimento – quel debito è stato estinto correttamente perché mai sarebbe sorto il diritto della società al rimborso. Ciò nondimeno, occorre essere cauti per altro verso e precisare che il tema della postergazione resta critico laddove nell’anno che precede la presentazione del concordato la società abbia erogato dei rimborsi ai soci, posto che in tal caso vi sarebbe un potenziale difetto di convenienza fra soluzione concordataria e soluzione fallimentare. Nel caso in cui vi siano stati rimborsi ai soci, nel concordato tali rimborsi non possono essere richiesti in restituzione mentre nel fallimento quelli infrannuali andrebbero restituiti alla società. Questa analisi differenziale potrà condurre ad un difetto di convenienza, ma al pari di quanto accade per la presenza di pagamenti revocabili.
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Spada, La provvista finanziaria, cit. pp. 9 ss. A proposito della legittimità della compensazione fra credito da finanziamento postergato e debito per versamento da aumento di capitale v., Massima n. 23 dei Collegi notarili di Firenze-Prato-Pistoia; infatti, la compensazione comporta la contestuale estinzione dei reciproci crediti (il credito postergato e il debito da conferimento), con l’effetto di incrementare la consistenza del capitale di rischio di un importo pari al valore nominale del credito del socio. Contra, Trib. Roma, 6 febbraio 2017, cit.; Cagnasso, Aumento di capitale e compensazione con crediti postergati del socio di s.r.l., in Giur.it., 2017, pp. 1141 ss. 109
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Una volta condiviso che l’accertamento della presenza di pagamenti revocabili non vale ai fini della frode110 (sempre che nel ricorso del debitore la circostanza sia stata palesata), ma rileva sul versante della convenienza, la sussistenza di rimborsi ai soci non pregiudica l’ammissione al concordato, ma incide sulla formazione del consenso dei creditori che potranno valutare un possibile difetto di convenienza in sede di approvazione o in sede di omologazione con le limitazioni imposte nell’art. 180 l. fall. Questo problema del disallineamento fra fallimento e concordato, evapora quando i crediti postergati si contrappongano a debiti; infatti, il meccanismo della compensazione opera in parallelo nel concordato e nel fallimento attesane la piena legittimità. La distinzione fra rimborso e compensazione va enfatizzata perché lo reclama il diritto positivo. 8.1. La decisività del criterio della comune esigibilità e l’ordine di compensazione. Il quesito sottoposto all’arbitro, al fondo, si risolveva, al di là di tutte le elucubrazioni, in una nota ben precisa: “il credito postergato è un credito esigibile?”. Nei Parr. precedenti si è spiegata la ragione per la quale il credito postergato resta un credito esigibile; se così è quel credito si compensa nello stesso momento in cui vengono a coesistere i due contro-crediti ed a quel punto davvero non ha alcun rilievo il fatto che vi sia, o no, omogeneità (tant’è che risultano compensabili anche crediti diversi da quelli pecuniari perché opera la conversione in denaro di cui all’art. 59 l. fall.)111.
110 V., Cass., 23 giugno 2011, n. 13817, in Foro it., 2011, I, c. 2308; Gaboardi, sub art. 173, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da Cavallini, Milano, 2010, III, pp. 652 ss.; Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale. Profili di diritto sostanziale, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da Buonocore e Bassi, I, Padova, 2010, pp. 476 ss.; Schiano Di Pepe, Alcune considerazioni sui poteri dell’autorità giudiziaria con riguardo al concordato preventivo, in Dir. fall., 2010, II, pp. 324 ss.; Censoni, Il concordato preventivo: organi, effetti, procedimento, in Il nuovo diritto fallimentare. Novità, diretto da Jorio-Fabiani, Bologna, 2010, pp. 1010 ss.; Filocamo, L’art. 173, primo comma legge fall. nel «sistema» del nuovo concordato preventivo, in Fallimento, 2009, pp. 1467 ss.; Galletti, La revoca dell’ammissione al concordato preventivo, in Giur. comm., 2009, I, pp. 748 ss. 111 Giuliano, La compensazione, cit., pp. 152 ss.; Vanzetti, Compensazione e processo fallimentare, cit., pp. 19 ss.; Macario-Ivone, Gli effetti del fallimento per i creditori, cit., pp. 1349 ss.; Cass., 16 agosto 1990, n. 8322, in Fallimento, 1991, p. 345. In tal senso non pare condivisibile la tesi di Galletti, I crediti/debiti originariamente commerciali, cit., ad avviso del quale la compensazione sarebbe vietata ai sensi dell’art. 1246 n. 5 c.c. a tenore del quale la compensazione non opera quando è vietata dalla legge, perché così
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I parametri cui ancorarsi per legittimare la compensazione sono: (i) esigibilità bilaterale e (ii) fatto genetico bilaterale anteriore all’apertura di un concorso formale. Nessun significato assume, invece, la pari ordinazione fra crediti. Se il credito postergato è esigibile va compensato con i debiti esigibili e non con i debiti (a loro volta) postergati. Tant’è che una pari postergazione (sia dal lato attivo che passivo, ma con i limiti della difficoltà di ascrivere ai finanziamenti upstream natura di crediti postergati) non potrà mai generare compensazione se si ritiene che il credito postergato non è esigibile. Due crediti, al pari inesigibili, non si compensano fra loro. Svolto questo chiarimento, non si può neppure trascurare la regola in materia di compensazione relativa alla imputazione di pagamenti. Quando non esiste una situazione di patologia nel patrimonio del debitore, i criteri di esecuzione dei pagamenti sono tutt’affatto diversi da quelli ispirati al principio di parità. A tale conclusione si perviene quando si esamina la norma in tema di imputazione dei pagamenti. Nell’ambito del rapporto bilaterale creditore-debitore, se vi sono più obbligazioni112, il criterio di soddisfacimento non è quello della distribuzione paritaria percentuale (fra più ragioni di credito) ma quello della scadenza del debito e poi quello della protezione del debito meno garantito; la descrizione scalare contenuta nell’art. 1193 c.c. né è un esempio. L’imputazione del pagamento va fatta in modo proporzionale solo quando non soccorrono gli altri (e precedenti) criteri113. Il criterio di imputazione dei pagamenti può essere trasferito alla fattispecie nella quale non vi sono più debiti bilaterali, ma vi sono più debiti/crediti fra un debitore e più creditori. Anche in questo caso, le risorse disponibili nel patrimonio del debitore non vanno distribuite paritariamente ma vanno attribuite ai singoli creditori in ragione, ad esempio, della scadenza del debito114.
si inverte il percorso logico posto che si deve dimostrare che è vietata. 112 Cass., 3 ottobre 2013, n. 22639, in Foro it., Rep. 2013, voce Obbligazioni in genere, n. 51. 113 In dottrina, v., Rodeghiero, Imputazione del pagamento e pluralità di creditori, in Riv. dir. civ., 2007, II, pp. 363 ss.; Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1984, pp. 149 ss. 114 Secondo Cass., 12 luglio 2005, n. 14594, in Foro it., Rep. 2005, voce Obbligazioni in genere, n. 43, “La disciplina dell’imputazione del pagamento, pur presupponendo l’esistenza di una pluralità di rapporti obbligatori omogenei tra le medesime parti, è applicabile analogicamente anche in presenza di una pluralità di creditori, qualora uno
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Orbene, la regola di cui all’art. 1193 c.c. vale per ogni ipotesi di estinzione dell’obbligazione, tanto è vero che si applica per espresso rinvio (art. 1249 c.c.) anche alla compensazione. Se ci sono più crediti del socio verso la società e questi sono maggiori dei crediti che la società vanta verso il socio, prima si estinguono per compensazione i crediti scaduti e poi, fra questi, si inizia a compensare dal credito meno garantito che, guarda caso, è proprio il credito postergato. Pertanto, non solo i crediti postergati si compensano ma si compensano per primi se concorrono con altri diversi crediti (ad esempio di natura commerciale). Nell’ipotesi del concorso fallimentare, la ripulsa verso la compensazione viene desunta dall’obbligo di restituzione dei rimborsi effettuati nell’anno precedente115, ma si è visto che un conto è il rimborso e altro conto è la compensazione. In astratto si potrebbe formulare un diverso ragionamento: volendo qualificare la compensazione alla stregua di un pagamento, come abbiamo visto non essere, al più dovrebbero essere esclusi dalla compensazione solo i controcrediti sorti negli ultimi dodici mesi antecedenti l’apertura del fallimento, dato che solo i rimborsi avvenuti in questo periodo sono colpiti dalla comminatoria di inefficacia del comma 1° dell’art. 2467 c.c. Così, però, non è perché si è sempre negato che la compensazione sia, di per sé, revocabile116. Ma se anche per pura ipotesi descrittiva si volesse giungere a questa conclusione per il fallimento, l’inesistenza del fenomeno della revocato-
di essi sia legittimato a ricevere il pagamento sia in proprio che per conto dell’altro”. 115 Cfr. Maugeri, I finanziamenti “anomali”, cit., pp. 136 ss.; Vattermoli, Concordato con continuità aziendale, absolute priority rule e new value exception, cit., pp. 378 ss.; Martorano, Compensazione del debito per conferimento, in AA.VV., La riforma delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da Abbadessa-Portale, 1, Torino, 2006, pp. 519 ss.; Portale, “Prestiti subordinati” e “prestiti irredimibili” (appunti), in Banca, borsa, tit. cred., 1996, I, pp. 13 ss.; analogamente, Campobasso, sub art. 2467, cit., pp. 258 ss.; Penta, Il problema della sottocapitalizzazione nelle S.r.l., in www.ilcaso.it, doc. n. 195/2010; Locoratolo, Postergazione dei crediti e fallimento, pp. 130 ss.; Caputo Nassetti, Del debito subordinato delle banche, in Dir. comm. internaz., 2003, pp. 267 ss.; Maffei Alberti, Crediti postergati e liquidazione coatta amministrativa, in Banca, borsa, tit. cred., 1983, I, pp. 25 ss.; Guizzi, Partecipazioni qualificate e gruppi di società, cit., pp. 293 ss.; Trib. Milano 11 novembre 2010, in Società, 2011, p. 635. 116 Cass., 30 maggio 2013, n. 13658, in Foro it., Rep. 2013, voce Fallimento, n. 335; Cass., 28 maggio 2008, n. 14067, in Foro it., Rep. 2008, voce Fallimento, n. 437; Cass., 6 dicembre 2006, n. 26154, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, II, p.469; Cass., 17 luglio 1997, n. 6558, in Fallimento, 1998, p. 50.
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ria nel concordato porta ad escludere che la compensazione pre-concordato con poste creditorie postergate sia inefficace.
9. Conclusioni. Quanto sin qui enunciato dimostra come l’istituto della compensazione delineato dall’art. 56 l. fall., per effetto dell’interpretazione corrente sia destinato a rappresentare un punto di svolta rispetto ai dogmi della par condicio creditorum, della tassatività delle cause legittime di prelazione, della graduazione fra crediti, così da presentarsi come la chiave di volta per l’inoperatività del “privilegio negativo” della postergazione legale-societaria. Tuttavia, il nulla-osta alla compensazione va, anche, calibrato secondo un criterio di proporzionalità con il dovere, di tutti, di prestare specifica attenzione alle, invero non infrequenti, pratiche poste in essere nel periodo crepuscolare della società al fine di far conseguire ai socifinanziatori, tramite operazioni artificiose, taluni vantaggi che i creditori esterni non riescono a conseguire. In queste occasioni, quando ci si confronta con un concordato, la via maestra è segnata dalla repressione della condotta gestita con il procedimento di revoca ai sensi dell’art. 173 l. fall. contestando alla società la frode in danno ai creditori consistente nel creare le condizioni per l’operare della compensazione. Nel fallimento (e sussidiariamente nel concordato), resta ferma la possibilità di valutare se le condotte degli amministratori integrino i presupposti per il promovimento delle azioni di responsabilità, così come non va emarginata una, ancora inesplorata, tutela rimediale risarcitoria a favore dei soci, quelli che non hanno beneficiato del rimborso.
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La garanzia dello Stato per le operazioni di cartolarizzazione di crediti classificati come sofferenze. Profili civilistici e giuseconomici* Sommario: 1. La cartolarizzazione dei crediti in sofferenza e del rischio di credito. – 2. La garanzia statale per le operazioni di cartolarizzazione di crediti classificati come sofferenze (c.d. GACS): profili civilistici. – 2.1. (Segue). L’operatività della garanzia. – 2.2. (Segue). La GACS come meccanismo di credit enhancement. – 2.3. (Segue). La GACS e il contratto autonomo di garanzia. – 3. L’operazione di cartolarizzazione dei crediti in sofferenza. – 4. I soggetti coinvolti. – 5. Conclusioni.
1. La cartolarizzazione dei crediti in sofferenza e del rischio di credito. Le operazioni di cartolarizzazione (o securitization), come è noto, permettono lo smobilizzo di portafogli di crediti – sia in sofferenza che non – attraverso il loro trasferimento a una società veicolo (special purpose vehicle o, breviter, SPV) costituita ad hoc che, per finanziare l’acquisto, provvede all’emissione di titoli (cc.dd. asset backed securities o, breviter, ABS) destinati alla negoziazione nel mercato. Gli anni recenti hanno conosciuto una incertezza generalizzata che è stata capace di sconvolgere la stabilità dei sistemi mettendo a dura prova l’ordine giuridico dei mercati internazionali1. Identificata come la più grande crisi dopo quella del 1929, la recente crisi si caratterizza in
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Il presente contributo costituisce la relazione presentata al convegno annuale AEDBF I crediti deteriorati nell’industria bancaria italiana tenutosi in Milano il 14 e 15 ottobre 2016 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. 1 Così Alpa, Mercati mondiali in crisi. Ragioni del diritto e cultura globale, in Riv. trim. dir. econ., 2009, p. 86.
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quanto avente carattere finanziario e non economico. La sua scaturigine può individuarsi nella cartolarizzazione del rischio di credito2. Le recessioni economiche contribuiscono nel corso del tempo all’incremento dei crediti in sofferenza (sottoclasse della generale categoria dei crediti deteriorati o non performing loans, breviter NPLs, caratterizzata dall’essere una esposizione nei confronti di un soggetto in stato di insolvenza – anche non accertato giudizialmente – o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dalla banca)3, provocando un calo significativo dell’offerta di credito (il c.d. credit crunch). I riflessi sull’economia dimostrano che la stretta creditizia praticata dalle banche ai propri clienti mette a dura prova gli investimenti delle imprese con la logica conseguenza di acuire le spinte di recessione4. Concordemente si ritiene che la recente crisi abbia trovato il suo evento scatenante nel mercato dei mutui immobiliari negli Stati Uniti d’America con il fenomeno del predatory lending, ossia la concessione dei cc.dd. mutui subprime con incredibile facilità a soggetti a basso merito creditizio, privi di garanzie o con precedenti casi di insolvenza, che venivano letteralmente sollecitati ad indebitarsi al fine di far lievitare l’attività degli enti creditizi. La bolla immobiliare negli Stati Uniti è stata così sostenuta da finanziamenti che raggiungevano il 100% del valore dell’immobile e che, in alcuni casi, premiavano con ulteriore credito l’apprezzamento della valutazione del bene5.
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Merusi, Per un divieto di cartolarizzazione del rischio di credito, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, I, p. 253 ss. 3 Si definiscono esposizioni creditizie “deteriorate” le esposizioni creditizie per cassa (finanziamenti e titoli di debito) e “fuori bilancio” (garanzie rilasciate, impegni irrevocabili e revocabili a erogare fondi, etc.) verso debitori che ricadono nella categoria non-performing come definita nel Regolamento di esecuzione (UE) n. 680/2014 del 16 aprile 2014 della Commissione, e successive modificazioni e integrazioni (Implementing Technical Standards – ITS). Le esposizioni creditizie deteriorate sono ripartite nelle categorie delle sofferenze, inadempienze probabili, esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate. Cfr. altresì la circolare Banca d’Italia 30 luglio 2008, n. 272 – X° aggiornamento, Avvertenza generale B.2.2.1. 4 Colombini, Crisi finanziarie. Criticità e indicazioni per il futuro, in Riv. trim. dir. econ., 2014, p. 30. 5 Così Colombini, La crisi finanziaria e la riforma Obama, in Riv. trim. dir. econ., 2010, p. 204.
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L’uso delle tecniche di cartolarizzazione e degli strumenti derivati sul rischio di credito avrebbe annullato o trasferito ad altri soggetti il rischio di inadempimento dei mutuatari6. Difatti, la riduzione del credit crunch è legata a processi di cessione dei NPLs per il ripristino di migliori e ottimali condizioni sul piano dell’erogazione del credito alle imprese e famiglie7. A far da sfondo a siffatta modalità di gestione dei crediti in sofferenza vi è quel modello di banca chiamato originate to distribute8, sicuramente (quantomeno in teoria) vantaggioso dal punto di vista della valutazione e della distribuzione del rischio, che manifesta però la sua inadeguatezza nell’ottica del rapporto tra il prestatore di fondi e l’utilizzatore finale degli stessi, riducendo l’interesse e i benefici del monitoraggio dell’utilizzo delle risorse concesse9.
2. La garanzia statale per le operazioni di cartolarizzazione di crediti classificati come sofferenze (c.d. GACS): profili civilistici. Il decreto legge 14 febbraio 2016, n. 18, convertito con modificazioni in legge 8 aprile 2016, n. 49 ha previsto il rilascio di una garanzia statale per le operazioni di cartolarizzazione di crediti classificati come sofferenze (c.d. GACS)10. Siffatta novità legislativa si inserisce nel percorso di rinnovamento del sistema bancario italiano partito dalla riforma delle
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Cfr. Cardia, Diritto, etica, mercato, in Diritto, mercato ed etica, a cura di Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2010, p. 72. 7 Colombini, Crisi finanziarie, cit., p. 30. 8 Con siffatta espressione (contrapposta al modello originate to hold, distinto dalla creazione dei prestiti per la detenzione sino a scadenza nell’attivo della banca) si indica una «peculiare modalità di disintermediazione bancaria, a sua volta espressione della spinta alla massiccia utilizzazione da parte delle banche di tecniche di mitigazione del rischio di credito, favorite da una congiuntura economica caratterizzata da bassi tassi di interesse e da accresciuta liquidità e quindi da una forte propensione all’investimento»: così, precisamente, Miola, Le cartolarizzazioni e la crisi dei mercati finanziari, in www.orizzontideldirittocommercale.it, 2009, p. 3 del dattiloscritto. Sul modello originate to distribute cfr. anche Colombini, La crisi finanziaria, cit., p. 201 ss.; Venturi, Globalizzazione, interconnessione dei mercati e crisi finanziaria. Identificazione di possibili interventi correttivi, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, I, p. 80 ss. 9 V. Draghi, Per un’etica dell’agire economico. Lezioni dalla crisi finanziaria globale, in Diritto, mercato ed etica, a cura di Bianchi, Ghezzi e Notari, cit., p. 75. 10 In generale, sulle garanzie prestate dallo Stato, v. Gioffrè, Le garanzie prestate dallo Stato, Padova, 1983.
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banche popolari (d.l. 24 gennaio 2015, n. 3, convertito con modificazioni in legge 24 marzo 2015, n. 33), l’autoriforma delle fondazioni bancarie11, la riforma delle banche di credito cooperativo (operata con il medesimo d.l. in analisi) e la velocizzazione dei tempi di recupero credito (con il c.d. decreto banche)12. Il sistema creditizio italiano, pur essendo solido nel suo insieme, presenta una criticità per l’elevato livello di crediti in sofferenza concentrato in alcune banche. La crisi finanziaria ha infatti incrementato l’entità degli NPLs presenti nei bilanci bancari oltre i livelli medi riscontrati nelle altre economie europee13. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, per diciotto mesi dalla data di entrata in vigore del decreto (periodo prorogabile per ulteriori diciotto mesi previa approvazione da parte della Commissione europea)13b, è autorizzato a concedere la garanzia dello Stato per il rimborso e la corresponsione degli interessi dei titoli emessi nell’ambito di operazioni
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Avvenuta con la firma del protocollo di intesa in data 22 aprile 2015 dal Ministro dell’Economia e delle Finanze e dal Presidente dell’Acri (Associazione di fondazioni e casse di risparmio). Tra i principi cardine contenuti nel protocollo c’è la diversificazione degli investimenti: una fondazione non può concentrare più del 33% dell’attivo patrimoniale in un singolo soggetto. L’autoriforma recide definitivamente il legame tra circuiti politici locali e gestione degli istituti che in alcuni casi ha reso possibile una gestione non corretta degli istituti stessi. 12 Ci si riferisce al d.l. 3 maggio 2016, n. 59, conv. con modificazioni in l. 30 giugno 2016, n. 119. 13 I dati della Banca d’Italia, aggiornati al 30 maggio 2016 (in Banca d’Italia, Supplemento al bollettino Moneta e Banche – Luglio 2016), evidenziano che: a) il totale dei NPLs è pari a 360 miliardi di euro: nel quarto trimestre 2015 i crediti deteriorati lordi sono diminuiti in valore assoluto per la prima volta dal 2008 e la loro quota sul totale dei finanziamenti si è stabilizzata; b) tra questi si può distinguere tra inadempienze probabili o esposizioni scadute o sconfinanti, categorie per cui il rientro tra le esposizioni in bonis è possibile, che ammontano a 160 miliardi, e le sofferenze pari a 200 miliardi di euro (in entrambi i casi si tratta di valori lordi che non esprimono il peso effettivo di queste posizioni sui bilanci bancari); c) il peso delle sofferenze sui bilanci bancari non corrisponde al valore nominale dei prestiti perché le banche hanno già provveduto a svalutazioni e accantonamenti nei bilanci; le sofferenze nette ammontano quindi a 85 miliardi di euro, in calo di 2 miliardi rispetto al 31 dicembre 2015; d) a fronte degli 85 miliardi di sofferenze nette, ci sono garanzie e coperture per 122 miliardi di euro. 13bis Nelle more della pubblicazione del presente lavoro, la Commissione Europea – confermando le conclusioni di cui alla decisione richiamata infra alla nt. 18 – ha prorogato il regime di garanzia italiano per agevolare la cartolarizzazione dei crediti in sofferenza fino al 7 marzo 2019. Cfr. la decisione della Commissione UE del 31 agosto 2018 – case sa. 51026 – Italy – Pronunciation of the Italian scheme for the securitization of non-performing loans.
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di cartolarizzazione di cui all’art. 1 l. 130/199914. L’operazione di securitization deve essere stata originata da parte di banche e di intermediari finanziari iscritti all’albo di cui all’art. 106 t.u.b. aventi sede legale in Italia e deve avere ad oggetto la cessione di crediti pecuniari (compresi i crediti derivanti da contratti di leasing) classificati come sofferenze, strutturata nel rispetto della disciplina dettata dal recente intervento normativo in analisi. Per la prestazione della GACS è stato istituito, ex art. 12 l. 49/2016, un apposito fondo. La gestione di tale Fondo di garanzia è stata affidata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – con d.m. 3 agosto 2016 in materia di «Fondo di garanzia di cui all’art. 12, co. 1, del d.l. 14 febbraio 2016, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 2016, n. 49, recante disciplina in materia di garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze (GACS)» – alla Consap s.p.a. (Concessionaria servizi assicurativi pubblici s.p.a.), società interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che ha ereditato dall’INA la gestione dei fondi di garanzia e solidarietà, tra i quali il più noto e importante è sicuramente il Fondo di garanzia per le vittime della strada disciplinato dagli artt. 283 ss. cod. ass. La Consap è stata individuata quale soggetto in house – ai sensi dell’art. 192, co. 2, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 – più idoneo alla gestione dell’intervento, avendone valutato la struttura organizzativa societaria, le competenze professionali e le specifiche esperienze acquisite nella gestione di attività analoghe, nonché i relativi risultati conseguiti in termini di efficienza, economicità e qualità dei servizi resi. Si rende necessario un distinguo tra le varie classi di titoli cartolarizzati. Se in passato l’emissione di titoli veniva suddivisa in più classi (senior, mezzanine e junior), attualmente la prassi prevede l’emissione
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Sulla l. 30 aprile 1999, n. 130 cfr., inter alios, Messina, Profili evolutivi della cartolarizzazione, Torino, 2009, p. 11 ss.; Sepe, voce Cartolarizzazione, in Dig. disc. priv., sez. comm., V agg., Torino, 2009, p. 69; Troiano, Le operazioni di cartolarizzazione. Profili generali, Padova, 2003; Carnovale, La cartolarizzazione dei crediti (la nuova normativa e i profili di vigilanza), in questa Rivista., 2002, p. 477 ss.; Carota, Della cartolarizzazione dei crediti, Padova, 2002; Fauceglia, La cartolarizzazione dei crediti, Bologna, 2002; Ferro Luzzi, La cartolarizzazione: riflessioni e spunti ricostruttivi, in Banc., 2001, 1, p. 24 ss.; Maffei Alberti, a cura di, Legge 30 aprile 1999, n. 130. Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti. Commentario, in Nuove leggi civ. comm., 2000, p. 754 ss.; Pardolesi a cura di, La cartolarizzazione dei crediti in Italia. Commentario alla legge 30 aprile 1999, n. 130, Milano, 1999; Proto, La nuova legge sulla cartolarizzazione dei crediti, in Il fallimento, 1999, p. 1176 ss.
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di due sole classi. La c.d. tranche senior è quella che sopporta per ultima le eventuali perdite legate ai mancati incassi sui crediti cartolarizzati, mentre la c.d. tranche junior è costituita da titoli privi di rating ed è la prima a sopportare le anzidette perdite, pur beneficiando – nel caso in cui i crediti vengano regolarmente incassati e i portatori dei titoli senior siano integralmente soddisfatti – del c.d. excess spread, un premio aggiuntivo con cui i titoli in parola sono maggiormente remunerati15. La tranche mezzanine, invece, è quella classe di titoli che, con riguardo alla corresponsione degli interessi, è postergata rispetto alla classe senior e può essere antergata al rimborso del capitale dei titoli junior. Ai sensi dell’art. 8 l. 49/2016 la garanzia dello Stato è onerosa16, può essere concessa solo sui titoli senior e, in caso di emissione di più tranche di titoli senior, la GACS può essere richiesta per ciascuna tranche, anche singolarmente. Essa diviene efficace solo quando la società cedente abbia trasferito a titolo oneroso oltre il 50% dei titoli junior e, in ogni caso, un ammontare dei titoli junior (nonché, ove emessi, dei titoli mezzanine)17, che consenta l’eliminazione contabile dei crediti oggetto dell’operazione di cartolarizzazione dalla contabilità della società cedente e, a livello consolidato, del gruppo bancario cedente, in base ai princìpi contabili di riferimento in vigore nell’esercizio di effettuazione dell’operazione. 2.1. (Segue). L’operatività della garanzia. La GACS è incondizionata, irrevocabile e a prima richiesta a beneficio del detentore del titolo senior. Essa copre i pagamenti contrattualmente previsti, per interessi e capitale, a favore dei detentori dei suddetti titoli per la loro intera durata. La garanzia è concessa con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze su istanza documentata della società cedente o, in caso di operazione di cartolarizzazione realizzata da più società cedenti, da tutte le
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Cfr. Messina, Profili evolutivi, cit., p. 184. La garanzia è concessa a fronte di un corrispettivo annuo determinato a condizioni di mercato sulla base della metodologia puntualmente indicata all’art. 9, co. 3, l. 49/2016. 17 Lo Stato, le amministrazioni pubbliche e le società direttamente o indirettamente controllate da amministrazioni pubbliche non possono acquistare titoli junior o mezzanine emessi nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione per le quali è stata chiesta la GACS. 16
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società cedenti congiuntamente (art. 10 l. 49/2016). Per quel che concerne l’escussione della GACS (art. 11 l. 49/2016), ciò è possibile, per il detentore dei titoli senior, entro i nove mesi successivi alla scadenza, nel caso di mancato pagamento, anche parziale, delle somme dovute per capitale o interessi. Per l’escussione è necessario il rispetto dei termini perentori previsti dalla disciplina. Nell’ipotesi di mancato pagamento che perduri per sessanta giorni dalla scadenza del termine per l’adempimento i detentori dei titoli senior, di concerto e tramite il rappresentante degli obbligazionisti, inviano alla società cessionaria la richiesta per il pagamento dell’ammontare dell’importo scaduto e non pagato. Decorsi trenta giorni ed entro sei mesi dalla data di ricevimento della richiesta alla società cessionaria senza che questa abbia provveduto al pagamento, i succitati soggetti possono richiedere l’intervento della GACS. Entro trenta giorni dalla data di ricevimento della documentata richiesta di escussione della garanzia dello Stato, il Ministero dell’Economia e delle Finanze provvede alla corresponsione dell’importo spettante ai detentori del titolo senior non pagato dalla società cessionaria, senza aggravio di interessi o spese. Con il pagamento, il Ministero è surrogato nei diritti dei detentori dei titoli senior e provvede, ferme restando le limitazioni contrattualmente stabilite per l’esercizio di tali diritti e subordinatamente al pagamento di quanto dovuto a titolo di interessi ai portatori dei suddetti titoli, al recupero della somma pagata, degli interessi al saggio legale maturati a decorrere dal giorno del pagamento fino alla data del rimborso e delle spese sostenute per il recupero. A tal proposito, il recente d.m. è intervenuto nel dettare una più specifica disciplina sull’operatività della garanzia. In primo luogo, ai fini dell’ammissione alla GACS il regolamento dei titoli e i contratti dell’operazione prevedono che il mancato pagamento di un importo dovuto a titolo di interessi sui titoli senior e l’escussione della garanzia non comportano la decadenza dal beneficio del termine della società di cartolarizzazione. È poi prevista una rigorosa elencazione di quali modifiche non possono essere apportate ai titoli senza il preventivo consenso del Ministero. L’efficacia della GACS è sospensivamente condizionata al trasferimento della maggioranza dei titoli junior entro dodici mesi dalla data di adozione del decreto di concessione della garanzia. Qualora ciò non avvenga, la società cedente decade dall’ammissione al beneficio della garanzia e la richiesta deve essere nuovamente presentata. La garanzia è inefficace, inoltre, qualora la decisione della società di cartolarizzazione o dei portatori dei titoli di revocare l’incarico del
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soggetto incaricato della riscossione (c.d. servicer) abbia determinato un peggioramento del rating del titolo senior, nel caso in cui siano stati modificati il regolamento dei titoli o gli altri contratti dell’operazione in difformità da quanto previsto dalla l. 49/2016 e dal d.m. attuativo e, in ogni caso, il Ministero dell’Economia e delle Finanze potrà rivalersi nei confronti della società cedente nel caso in cui la garanzia sia stata concessa sulla base di atti o dichiarazioni che siano risultati mendaci, inesatti o incompleti. Una simile forma di garanzia trova dei precedenti in alcune disposizioni che prevedevano la garanzia statale sulle obbligazioni emesse dall’IRI e da alcune banche, disponendo l’automata operatività della garanzia su semplice comunicazione dell’inadempimento dell’obbligato, (art. 1, co. 2, l. 5 dicembre 1978, n. 825 e art. 4, co. 2, d.l. 14 settembre 1979 n. 439). Con la GACS il legislatore ha manifestato un importante interventismo statale giustificato da esigenze di stabilità dell’intero sistema bancario e finanziario, che non configura comunque un aiuto di Stato distorsivo della concorrenza, apparendo compatibile con quanto disposto dall’art. 107 t.f.u.e.18 essendo l’ordinamento italiano intervenuto con modalità e condizioni in linea con quelle di mercato. 2.2. (Segue). La GACS come meccanismo di credit enhancement. La GACS può essere intesa come un meccanismo di c.d. external credit enhancement19. Con tale locuzione si intende una forma di incremento delle garanzie sulle obbligazioni emesse dalla società veicolo volta a ridurre il livello complessivo di rischio creditizio implicito nei titoli emessi20.
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Cfr. la Decisione della Commissione UE del 10 febbraio 2016 – Case SA.43390 (2016/N) – Italy – Italian securitisation scheme, che conclude affermando che «(…) the pricing structure provided is in line with market conditions. The risk taken by the State is remunerated at a level which a market operator would require, including a strong link between the risk taken and the composition of the benchmark basket as well as between the time during which that risk is retained and the remuneration paid». 19 Sul credit enhancement cfr. Scano, Credit enhancement e riqualificazione della cessione dei crediti nell’ambito delle operazioni di asset securitization, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, II, p. 120 ss. 20 Cfr. Messina, Profili evolutivi, cit., p. 17; nonché Lisanti, Gli intermediari finanziari coinvolti in un’operazione di securitization, in La cartolarizzazione, a cura di Pardolesi, cit., p. 119.
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Le tradizionali forme di external credit enhancement sono fornite da banche e imprese di assicurazione per il tramite di lettere di credito, polizze assicurative o garanzie autonome che determinano un incremento dei costi dell’operazione21. Alla stregua di esse, la GACS consegue il medesimo risultato pratico, che è quello di un più efficace collocamento dei titoli sul mercato, in quanto una garanzia aggiuntiva permette alle ABS della tranche senior un rating maggiore, che si traduce – in ultima istanza – in un collocamento a costi inferiori22. In materia di cartolarizzazione, un analogo meccanismo di garanzia – coi dovuti distinguo legati al soggetto garante – si rinviene nella disciplina regolamentare sulla emissione delle obbligazioni bancarie garantite o covered bonds (d.m. Economia e Finanze 14 dicembre 2006, n. 310), forma di cartolarizzazione introdotta nel nostro ordinamento con la novella che ha inserito nella l. 130/1999 la disciplina con la quale sono state ampliate le attività oggetto di cartolarizzazione estendendo la portata delle disposizioni relative alla separazione patrimoniale alle «operazioni aventi ad oggetto le cessioni di crediti fondiari e ipotecari, di crediti nei confronti delle pubbliche amministrazioni o garantiti dalle medesime, anche individuabili in blocco, nonché di titoli emessi nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti della medesima natura, effettuate da banche in favore di società il cui oggetto esclusivo sia l’acquisto di tali crediti e titoli, mediante l’assunzione di finanziamenti concessi o garantiti anche dalle banche cedenti, e la prestazione di garanzia per le obbligazioni emesse dalle stesse banche ovvero da altre»23. Una delle principali caratteristiche dei covered bonds rispetto ai tradizionali titoli cartolarizzati risiede nella prestazione – da parte della società cessionaria – di una garanzia irrevocabile, a prima richiesta, incondizionata ed autonoma rispetto alle obbligazioni assunte dalla banca emittente, entro i limiti del patrimonio separato. Essa interviene sia nel caso di inadempimento della banca nei confronti dei portatori dei titoli
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In proposito v. Fauceglia, La cartolarizzazione, cit., p. 27; Sull’interconnessione e complementarietà del credit enhancement con l’attività svolta dalle agenzie di rating v. ancora Messina, Profili evolutivi, cit., p. 55. 22 In materia si veda Spano, Appunti e spunti in tema di cartolarizzazione dei crediti, in Giur. comm., 1999, I, p. 449; e Scano, Credit enhancement, cit., p. 122, ove è citata copiosa dottrina straniera. 23 Sull’argomento cfr. Galanti e Marangoni, La disciplina italiana dei Covered Bond, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale della Banca d’Italia, n. 58, 2007.
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che in caso di sottoposizione della banca alla procedura di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sospensione dei pagamenti in caso di amministrazione straordinaria ex art. 74 t.u.b. Una simile garanzia riveste i connotati del contratto autonomo di garanzia (o garantievertrag)24, essendo esplicitamente disapplicati gli artt. 1939, 1941, co. 1, 1944, co. 2, 1945, 1955, 1956 e 1957 c.c.25. In tal caso, però, la peculiare struttura dell’operazione di cartolarizzazione fa sì che ci si trovi dinanzi non ad un rapporto trilaterale fra ordinante, garante e beneficiario, ma – più semplicemente – fra la SPV e i portatori dei titoli26. Infatti, a differenza delle ordinarie operazioni di cartolarizzazione, l’emissione delle obbligazioni avviene immediatamente ad opera della banca, senza l’intervento di una SPV costituita ad hoc. L’emissione di covered bonds è eseguita secondo uno schema che prevede la cessione, da parte di una banca (anche diversa da quella emittente i titoli) a favore di una società veicolo, di attivi di elevata qualità creditizia che vengono segregati dalla SPV in un patrimonio destinato ex art. 3 l. 130/1999. Queste attività sono acquistate dalla società cessionaria con le risorse reperite attraverso un finanziamento subordinato erogatole dalla banca cedente o da un’altra banca. L’emissione, però, viene svolta da parte della banca
24 Con riferimento al contratto autonomo di garanzia, cfr., senza pretesa di completezza, Cappai, Le garanzie autonome nel commercio internazionale, in Le operazioni di finanziamento, a cura di Panzarini, Dolmetta e Patriarca, Bologna, 2016, pp. 1173 ss.; Bertolini, Il contratto autonomo di garanzia nell’evoluzione giurisprudenziale, in Nuova giur. civ. comm., 2010, pp. 435 ss.; Montanari, Garanzia autonoma ed escussione abusiva: nuove tendenze rimediali in una diversa prospettiva ermeneutica, in Europa dir. priv., 2008, pp. 987 ss.; Corrias, Garanzia pura e contratti di rischio, Milano, 2006, pp. 424 ss.; Barillà, Il formalismo nelle garanzie astratte: operazione economica e prospettiva della banca garante, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, II, pp. 409 ss.; Portale, Il contratto autonomo di garanzia nel commercio internazionale (appunti per una lezione), in Riv. giur. sarda, 1998, pp. 843 ss.; Id., Le garanzie bancarie internazionali, Milano, 1989; Meo, Fideiussioni e polizze fideiussorie: la clausola a prima richiesta, in Contr. impr., 1998, pp. 921 ss.; Id., Fideiussioni bancarie e garanzie a prima richiesta: le tutele cautelari, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, I, pp. 443 ss.; Nappi, Studi sulle garanzie personali, Torino, 1997; Mastropaolo, I contratti autonomi di garanzia2, Torino, 1995; Bonelli, Le garanzie bancarie a prima domanda nel commercio internazionale, Milano, 1991; Cicala, Sul contratto autonomo di garanzia, in Riv. dir. civ., 1991, I, pp. 143 ss.; Navarreta, Causalità e sanzione degli abusi nel contratto autonomo di garanzia, in Contr. impr., 1991, pp. 285 ss.; Pontiroli, Spunti critici e profili ricostruttivi per lo studio delle garanzie bancarie a prima richiesta, ivi, 1989, pp. 1018 ss.; Benatti, Il contratto autonomo di garanzia, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, I, pp. 171 ss. 25 Cfr. Messina, Profili evolutivi, cit., p. 177. 26 Galanti - Marangoni, La disciplina, cit., pp. 36 s.
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emittente, che può essere anche diversa dalla banca cessionaria degli attivi27. Ciò nondimeno, è stato rilevato che, nonostante le peculiarità dello schema dell’operazione, la garanzia prestata dalla società veicolo cessionaria a favore dei portatori dei titoli mantenga la natura di contratto autonomo di garanzia28. 2.3. (Segue). La GACS e il contratto autonomo di garanzia. Da un primo commentatore della nuova forma di garanzia statale è stato posto in risalto che un’analoga natura giuridica di garanzia autonoma non può essere individuata nella GACS29. Nel c.d. sistema aperto delle sufficienti cautele a protezione del credito previsto dall’art. 1179 c.c., la GACS potrebbe invece essere ricondotta entro l’alveo della generale categoria delle garanzie personali, così come la pluralità di modelli tipici e atipici anche divergenti dalla fideiussione in base al combinato disposto tra la norma da ultimo citata e l’art. 2424, co. 3, c.c., almeno secondo l’impostazione seguita dalla dottrina fino all’abrogazione di detto comma (a decorrere dal 1° gennaio 2016) che, a proposito dello stato patrimoniale delle s.p.a., distingueva – come è noto – tra fideiussione, avalli e altre garanzie personali30. Il fatto che la GACS sia una garanzia «a prima richiesta», non sarebbe infatti di per sé sufficiente a determinare il distacco dell’obbligazione di garanzia da quella principale. Sul punto, si è assistito ad oscillanti prese di posizione da parte della giurisprudenza di legittimità. Se in alcuni pronunciati viene affermata l’identità di significato tra l’accezione «a prima richiesta» e quella «senza eccezioni», assicurando al creditore beneficiario l’immediata disponibilità del quantum garantito in deroga alla regola enunciata nell’art. 1945 c.c.31, in differenti occasioni è stato concluso che solamente la clausola
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Messina, Profili evolutivi, cit., pp. 165 ss. Galanti - Marangoni, La disciplina, cit., p. 36. 29 Fiscale, GACS (Garanzia Cartolarizzazione Sofferenze) – Lo Schema di garanzia statale italiano per i titoli senior emessi nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione di NPLs, in Dirittobancario.it, 2016, p. 8. 30 In dottrina sull’argomento v. Chessa, Il forfaiting, Napoli, 2016, pp. 89 s.; Corrias, Spunti in tema di garanzie personali del credito, in Riv. dir. impr., 2014, p. 430; Campobasso, Coobbligazione cambiaria e solidarietà disuguale, Napoli, 1974, p. 138. 31 Così Cass., 10 gennaio 2012, n. 65, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, II, pp. 512 ss., con nota di Tartaglia, Le polizze fideiussorie a garanzia dei rimborsi fiscali e la loro 28
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«senza eccezioni» è idonea a eliminare il vincolo di accessorietà dell’obbligazione di garanzia a quella principale32. Il che, sostenuto da attenta dottrina33, parrebbe trovare conferma in una nota pronunzia delle Sezioni Unite34, in quanto la sola espressione «a prima richiesta» non sarebbe di per sé sufficiente a determinare l’autonomia della prestazione del garante, necessitando di essere accompagnata dalla formula «senza eccezioni». Viceversa, la previsione della locuzione «a prima richiesta e senza eccezioni» presume l’autonomia della garanzia35, salvo «evidente, patente irredimibile discrasia» con quanto dedotto in contratto36. Tenuto conto dell’interpretazione dell’intero regolamento contrattuale ex art. 1363 c.c. e in assenza di elementi che in concreto denotino la inequivoca volontà di escludere l’accessorietà della garanzia all’obbligazione principale37, la previsione della sola clausola «a prima richiesta» as-
autonomia a margine di una fattispecie particolare; Cass., 12 dicembre 2008, n. 29215, consultabile su De Jure. 32 Cfr. Cass., 3 maggio 2005, n. 19300, in Foro it., 2006, I, p. 2132; Cass., 21 aprile 1999, n. 3964, in Riv. notariato, 1999, II, pp. 1271 ss. 33 Corrias, La valenza delle clausole «a prima richiesta» e «senza eccezioni» nella qualificazione dei contratti di garanzia personale del credito, in Vita not., 2014, p. 578; dello stesso A., Garanzia pura, cit., pp. 424 ss. Sull’insufficienza della sola clausola «a prima richiesta», oltre a quanto si indicherà nel prosieguo, cfr. anche Cicala, Sul contratto, cit., p. 144; Meo, Fideiussioni, cit., pp. 925 ss.; Barillà, Contratto autonomo di garanzia e Garantievertrag (Categorie civilistiche e prassi del commercio), Frankfürt am Main, 2005, pp. 163 ss., spec. pp. 179 ss. 34 Cass., S.U., 18 febbraio 2010, n. 3947, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, II, pp. 257 ss., con note di Barillà, Le Sezioni Unite e il Garantievertrag un quarto di secolo dopo: una pronuncia “storica” fa chiarezza sui differenti modelli di garanzie bancarie autonome, e Nappi, Un tentativo (non convincente) di “definitivamente chiarire” la differenza tra fideiussione e Garantievertrag. In senso conforme cfr. Cass., 20 ottobre 2014, n. 22233. 35 Aderisce a tale linea interpretativa Chessa, Il forfaiting, cit., p. 92 (ove ampi richiami bibliografici e giurisprudenziali), il quale afferma che «una simile interpretazione si rivela, invero, la più aderente alla lettera del dettato giurisprudenziale considerato singolarmente, ma anche raffrontato con altre pronunce in cui la Suprema Corte, al fine di far valere l’equivalenza tra le due locuzioni, ha fatto uso della preposizione ovvero contrariamente alla congiunzione e per unire la dicitura a prima richiesta con quella della clausola senza eccezioni». In giurisprudenza, da ultimo, Trib. Taranto, 1 febbraio 2016, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, pp. 434 ss., con nota di Barillà, Clausola “a prima richiesta”, prova della frode e condictio indebiti nelle garanzie autonome tra commercio interno e internazionale. 36 Così Cass., S.U., 18 febbraio 2010, n. 3947, cit. 37 Oltre agli Autori citati supra alla nt. 33, v. Barillà, Clausola “a prima richiesta”, cit., pp. 466 ss.; Bozzi, Garanzie atipiche, in Diz. dir. priv., Milano, 2011, p. 826; Chinè,
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sume la valenza di invertire l’onere della prova in ordine alla sussistenza e alla fondatezza delle eccezioni nel rapporto intercorrente tra garante e beneficiario. Il garante, perciò, è tenuto solo provvisoriamente ad effettuare la prestazione garantita senza opporre eccezioni38. Nella GACS, invero, le vicende relative al rapporto sottostante intercorrente tra lo Stato e la società di cartolarizzazione non sono ininfluenti rispetto all’efficacia della garanzia. In primo luogo, come si è visto, questa è condizionata al trasferimento della maggioranza dei titoli junior entro un determinato periodo dall’adozione del decreto di concessione della garanzia. Inoltre, le vicende relative ai titoli rilevano, ai fini dell’efficacia, qualora vi siano circostanze che determinino un peggioramento del rating dei titoli senior ovvero nel caso di modifiche al regolamento dei titoli o di altri contratti dell’operazione. In questa precisa scelta legislativa è stato ravvisato uno dei principali limiti alle potenzialità della GACS, in quanto orientata in direzione opposta alle esigenze di certezza ricercate dagli investitori in una garanzia statale39. Come è stato posto in risalto dalle Sezioni Unite40, con la garanzia autonoma viene trasferito da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso all’inadempimento – colpevole o meno – della prestazione. Il contenuto dell’obbligazione del garante è qualitativamente diverso da quello del debitore principale, non dovendo assicurare la prestazione dedotta in contratto, bensì il soddisfacimento dell’interesse economico del creditore-beneficiario disatteso con l’inadempimento. Il garante è co-
Contratto autonomo di garanzia, in Enc. giur., Agg., Roma, 2007, p. 5. In giurisprudenza, oltre alle pronunzie citate a partire dalla nt. 31, cfr. Cass., 20 marzo 2014, n. 6517, e Trib. Prato, 6 maggio 2013, ambedue in Banca, borsa, tit. cred., 2015, II, pp. 397 ss., con nota di Cuccovillo, Garanzia “a prima domanda” e funzione cauzionale;p Trib. Cagliari, 24 febbraio 2014, in Riv. giur. sarda, 2014, pp. 337 ss., con nota di Corrias, Sugli indici di autonomia delle garanzie personali del credito (l’ipotesi della fideiussione “a prima richiesta”). Contra, sull’interpretazione del contratto contenente la sola clausola «a prima richiesta» come contratto autonomo di garanzia v. però, da ultimo, le non condivisibili conclusioni di Trib. Napoli, 17 novembre 2015, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, pp. 435 ss., con nota di Barillà, Clausola “a prima richiesta”, cit. 38 Corrias, Garanzia pura, cit., pp. 429 ss.; Calderale, Fideiussione e contratto autonomo di garanzia, Bari, 1989, p. 229; F. Bonelli, Le garanzie bancarie «a prima domanda», in Le garanzie contrattuali. Fideiussione e contratti autonomi di garanzia nella prassi interna e nel commercio internazionale, a cura di Draetta - Vaccà, Milano, 1994, pp. 206 s. 39 Così Fiscale, op. cit., p. 8. 40 Cass., S.U., 18 febbraio 2010, n. 3947, cit.
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sì obbligato non tanto ad adempiere in egual maniera del debitore (come nella fideiussione), quanto piuttosto a tenere indenne il beneficiario dal pregiudizio conseguente al mancato adempimento della prestazione dedotta in contratto. L’utilitas pratica della fattispecie è quella di sottrarre il creditore dal rischio dell’inadempimento mediante il trasferimento dello stesso sul garante41. I confini della questione relativa all’incidenza del trasferimento del rischio economico in capo al garante sull’intero rapporto sinallagmatico sono limpidi nell’impostazione ermeneutica del contratto proposta dalla dottrina42. Col contratto autonomo di garanzia si è dinanzi ad un’operazione di mera intermediazione finanziaria ove il garante agisce mosso esclusivamente da un intento professionale senza alcun interesse alla soluzione del rapporto sottostante, in una condizione di neutralità ed imparzialità rispetto agli interessi delle parti. Più precisamente, il garante svolge la sua attività di intermediazione per conto e nell’interesse del cliente, dal quale riceve un compenso per l’attività svolta (la messa a disposizione di una determinata somma di denaro al beneficiario, creditore dell’ordinante) e la certezza di ottenere il rimborso di quanto eventualmente corrisposto al beneficiario. Il corrispettivo rappresenta unicamente il lucro di impresa per l’attività di intermediazione per la mera messa a disposizione della somma di danaro a favore del beneficiario43. Con la garanzia autonoma il garante isola ed assume un rischio commerciale e lo trasforma in un rischio finanziario44, assicurando così solo
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In tal senso v., ancora, Cass., S.U., 18 febbraio 2010, n. 3947, cit.; Trib. Cagliari, 27 gennaio 2012 (ord.), in Banca, borsa, tit. cred., 2013, II, p. 109 ss., con nota di Camedda, Brevi note in tema di polizza fideiussoria ed escussione abusiva delle garanzie autonome; cfr. anche il peculiare indirizzo argomentativo di Arbitro Bancario Finanziario – Collegio di Napoli, 20 giugno 2011, n. 1290, il quale – oltre a riconoscere l’impresa quale parte naturale del contratto – ravvisa il concreto della fattispecie nel «potersi proporre al mercato forte della garanzia di un intermediario finanziario la cui nota solvibilità riduce i costi negoziali». 42 Corrias, Garanzia pura, cit., p. 445 ss.; Lobuono, Contratto e attività economica nelle garanzie personali, Napoli, 2002, p. 110 ss.; Miola, Le garanzie intragruppo, Torino, 1993, p. 17 ss.; Meo, Funzione professionale e meritevolezza degli interessi nelle garanzie atipiche, Milano, 1991, p. 69 ss. 43 Ancora, Meo, Funzione professionale, cit., p. 196 ss. 44 Per Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, p. 334, la banca con l’operazione in analisi riesce a perseguire il risultato di isolare il rischio finanziario da quello commerciale, che non riuscirebbe invece a realizzare ricorrendo alla fideiussione, specie in ragione degli artt. 1945 e 1952 c.c. Sulle differenze tra rischio commerciale e rischio finanziario cfr. Garioni, I finanziamenti delle esportazioni, in Fi-
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un equilibrio di natura finanziaria e non il rischio dell’inadempimento dell’ordinante nei confronti del beneficiario. Infatti, l’operazione contrattuale in esame non è caratterizzata dall’estensione della garanzia patrimoniale su cui può contare il beneficiario, connotato tipico della fideiussione, bensì da una temporanea assunzione, da parte del garante, del rischio originariamente gravante sul creditore, che poi viene nuovamente riversato sul debitore-ordinante attraverso il meccanismo del regresso. Il servizio che in definitiva viene fornito dal garante è la temporanea assunzione del rischio finanziario, relativo all’insolvenza dell’ordinante, a cui si espone chi concede un servizio finanziario. La funzione così perseguita è quella di una copertura di rischi atipici45, non ammettendo la possibilità del garante di proporre eventuali eccezioni circa il rapporto principale (fatto salvo il limite della nullità del contratto per illiceità della causa, allorché il vizio si estende anche al contratto autonomo di garanzia, di talché il garante ha la possibilità di opporsi all’escussione della garanzia in via di exceptio doli). È evidente che, nel caso della GACS, il rischio trasferito allo Stato è tipico (i.e. il mancato pagamento, anche parziale, delle somme dovute per capitale o interessi relative a titoli cartolarizzati senior), così come sono tipiche le cause di inefficacia della garanzia, che prescindono da una generica illiceità della causa del rapporto contrattuale base46.
3. L’operazione di cartolarizzazione dei crediti in sofferenza. Come è stato posto in evidenza47, le operazioni di cartolarizzazione sono storicamente connotate da una certa eterogeneità: non esiste un modello di securitization. Ogni operazione, infatti, può differire in ra-
nanziamento e internazionalizzazione di impresa, a cura di Berlinguer, Torino, 2007, p. 495 ss. 45 Cfr. Barillà, Clausola “a prima richiesta”, cit., p. 468. 46 La portata di questo limite è discussa: se da una parte si ritiene che nel contratto autonomo di garanzia deve essere contenuto il riferimento al contratto principale (cfr. Nappi, La garanzia autonoma. Profili sistematici, Napoli, 1992, p. 182; Portale, Le garanzie bancarie, cit., p. 49), altri ritengono che la contrarietà a norme imperative è sempre rinvenibile in virtù del collegamento negoziale esistente tra contratto principale e garanzia autonoma (Trib. Taranto, 1° febbraio 2016, cit.; Barillà, Clausola “a prima richiesta”, cit., p. 468; Mastropaolo, I contratti autonomi, cit., p. 362). 47 Da Messina, Profili evolutivi, cit., p. 3.
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gione sia della tipologia di crediti ceduti, sia dell’allocazione del rischio tra i soggetti coinvolti, sia che in ragione delle garanzie che assistono la cessione. Attribuire alla GACS una natura fideiussoria appare, però, altrettanto inopportuno. Infatti, la garanzia prestata dallo Stato non origina da una fonte contrattuale, bensì dalla legge e da un provvedimento amministrativo concessorio48. La GACS, infatti, non viene concessa esclusivamente per rafforzare la tutela del portatore dei titoli, ma è il risultato di una trama finalizzata a perseguire un interesse più ampio di stabilità dei mercati e tutela del risparmio, che trascende le vicende del singolo rapporto. L’art. 4 l. 49/2016, contrariamente a quanto appena descritto, disciplina in maniera minuziosa tutti i passaggi dell’operazione, fornendo uno schema che lascia pochi margini alla prassi degli operatori del mercato. È stato rilevato che la creazione di uno schema definito permette così una rapida valutazione dell’operazione ai fini dell’ammissione alla GACS49. La strutturazione dell’operazione di cartolarizzazione non prescinde, nelle sue basi, dal dettato dell’art. 2 l. 130/1999 per quel che concerne il programma dell’operazione e, in particolare, l’assoggettabilità dei titoli alla disciplina del t.u.f., in ordine al contenuto del prospetto informativo nonché alle specificazioni dovute nel caso in cui i titoli siano offerti a investitori professionali o meno. Il recente intervento legislativo ha però fatto suoi molteplici aspetti che prima erano rimessi all’autonomia degli operatori. Peculiare rilevanza è data alla tipologia di crediti oggetto dell’operazione: questi debbono essere trasferiti alla società cessionaria per un importo non superiore al loro valore contabile netto alla data della cessione. L’art. 2 d.m. Economia e Finanze 3 agosto 2016 prevede inoltre che i crediti oggetto di cartolarizzazione siano classificati e segnalati in sofferenza in data antecedente alla cessione alla SPV. Una grande attenzione è poi riservata – in ragione dell’operatività della GACS – all’emissione dei titoli. È previsto, infatti, che l’operazione di cartolarizzazione contempli l’emissione di titoli di almeno due classi diverse, in ragione del grado di subordinazione nell’assorbimento delle perdite. Di queste, la classe di titoli maggiormente subordinata (titoli
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Cfr. Gioffrè, Le garanzie, cit., pp. 171 s. Fiscale, GACS, cit., p. 6.
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junior) non ha diritto a ricevere il rimborso del capitale, il pagamento degli interessi o altra forma di remunerazione fino al completo rimborso del capitale dei titoli delle altre classi (senior e l’eventuale mezzanine). È inoltre prevista la possibilità di concludere dei contratti accessori per la copertura finanziaria al fine di ridurre il rischio di tasso (ad esempio, contratti di swap) e linee di credito miranti alla gestione del rischio di eventuali disallineamenti fra i fondi rivenienti dagli incassi e dai recuperi effettuati in relazione al portafoglio dei crediti ceduti e i fondi necessari per pagare gli interessi sui titoli senior. Particolare precisione è stata dedicata altresì alle caratteristiche dei titoli senior e, ove emessi, dei mezzanine, con l’indicazione delle modalità di remunerazione e rimborso del capitale. Il d.m. attuativo ha specificato che per titoli senior si intendono quei titoli di classi che non siano subordinate ad altre classi della stessa emissione. Tale condizione si verifica allorquando, conformemente alla priorità di pagamento applicabile dopo l’avvio di azione esecutiva (c.d. post-enforcement priority) e, ove applicabile, la priorità di pagamento derivante da una messa in mora (c.d. post-acceleration priority), nessun’altra classe riceve pagamenti per capitale e interessi in via prioritaria rispetto ad essa. Da ultimo, le modalità di organizzazione dell’operazione di cartolarizzazione trovano il proprio schema preordinato ex lege anche per quel che concerne l’ordine di priorità dei pagamenti. È prevista, infatti, una rigorosa imputazione delle somme – al netto del quantum dovuto al soggetto incaricato della riscossione dei crediti ceduti per la prestazione della propria attività – rivenienti dai recuperi e dagli incassi realizzati in relazione al portafoglio dei crediti ceduti e dai contratti accessori50.
50 In ordine, tali somme debbono essere utilizzate per soddisfare: 1) eventuali oneri fiscali; 2) somme dovute ai prestatori di servizi; 3) pagamento delle somme dovute a titolo di interessi e commissioni in relazione all’attivazione della linea di credito; 4) pagamento delle somme dovute a fronte della concessione della GACS sui titoli senior; 5) pagamento delle somme dovute alle controparti di contratti di copertura finanziaria; 6) pagamento delle somme dovute a titolo di interessi sui titoli senior; 7) ripristino della disponibilità della linea di credito, qualora utilizzata; 8) pagamento delle somme dovute a titolo di interessi sugli eventuali titoli mezzanine; 9) rimborso del capitale dei titoli senior fino al completo rimborso degli stessi; 10) rimborso del capitale dei titoli mezzanine fino al completo rimborso degli stessi; 11) pagamento delle somme dovute per capitale e interessi o altra forma di remunerazione sui titoli junior. I pagamenti dovuti ai prestatori di servizi e alle controparti di contratti per la copertura del rischio di tasso possono essere condizionati al raggiungimento di determinati obiettivi nella riscossione o recupero in relazione al portafoglio di crediti ceduti ovvero possono essere postergati
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In questo scenario, deve ritenersi che alle operazioni di cartolarizzazione de quo possano altresì applicarsi le norme contenute nell’art. 7.1 l. 130/1999, introdotto dalla l. 21 giugno 2017, n. 96. Tale norma disciplina oggi le operazioni di cartolarizzazione dei crediti qualificati come deteriorati – ergo compresi i crediti in sofferenza (cfr. supra, §1) –, definite dalla dottrina come operazioni di «cartolarizzazione dinamica»51, con un intervento legislativo che, sebbene sottenda l’apprezzabile ratio di offrire agli operatori nuovi strumenti di reazione al fenomeno dei nonperforming loans efficaci ed efficienti, deve condividersi si presenti come parziale e disorganico52.
4. I soggetti coinvolti. Lo schema di garanzia di cui alla l. 49/2016 presenta una particolare complessità perché oltre ai soggetti tipicamente impiegati nell’operazione di cartolarizzazione, si rende necessaria la partecipazione di
al completo rimborso del capitale dei titoli senior. Altresì, la remunerazione dei titoli mezzanine può essere differita ovvero postergata al completo rimborso del capitale dei titoli senior ovvero può essere condizionata a obiettivi di performance nella riscossione o recupero in relazione al portafoglio di crediti ceduti. 51 Così Carrière, Le nuove frontiere della cartolarizzazione: tra profili sistematici e incertezze di disciplina, in Riv. dir. banc., 11, 2017, p. 2, che distingue tra operazioni di «cartolarizzazione finalizzata alla ristrutturazione» (art. 7.1, co. 3 e 8, l. 130/1999), in virtù delle quali le società di cartolarizzazione possono acquisire o sottoscrivere azioni, quote e altri titoli e strumenti partecipativi derivanti dalla conversione di parte dei crediti del cedente e concedere finanziamenti al fine di migliorare le prospettive di recupero dei crediti oggetto di cessione e di favorire il ritorno in bonis del debitore ceduto, così formando – a giudizio del C. (op. loc. cit., pp. 9 ss.) – un confuso schema di gestione collettiva del risparmio dedicato alla gestione attiva dei crediti deteriorati passibili di ristrutturazione; e operazioni di «cartolarizzazione immobiliare» (art. 7.1, co. 4 e 5, l. 130/1999), in cui è previsto che possa essere costituita una SPV avente come oggetto sociale esclusivo il compito di acquisire, gestire e valorizzare, nell’interesse esclusivo dell’operazione di cartolarizzazione, i beni immobili e mobili registrati nonché gli altri beni e diritti concessi o costituiti, in qualunque forma, a garanzia dei crediti oggetto di cartolarizzazione, ivi compresi i beni oggetto di contratti di leasing. Le somme in qualsiasi modo rivenienti dalla detenzione, gestione o dismissione di tali beni e diritti, dovute dalla società veicolo alla società di cartolarizzazione ex art. 3 l. 130/1999, sono assimilate ai pagamenti effettuati dai debitori ceduti e sono destinate in via esclusiva al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi e al pagamento dei costi dell’operazione. 52 V. sul punto l’analisi critica di Carrière, Le nuove frontiere, cit., pp. 2 ss.
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una molteplicità di attori, con un consequenziale forte impatto sui costi dell’operazione. È infatti necessaria – oltre ai soggetti tradizionalmente coinvolti nelle operazioni di cartolarizzazione – innanzitutto la partecipazione di un advisor qualificato e indipendente per il monitoraggio della conformità del rilascio della GACS. Di centrale importanza è il ruolo attribuito nell’operazione alle agenzie di rating53, che debbono valutare i titoli senior nella loro affidabilità e garanzia della capacità del debitore di rimborsare capitale e interessi alla scadenza finale del prestito. La valutazione deve essere affidata ad una agenzia esterna di valutazione del merito di credito (c.d. ECAI, acronimo di External Credit Assessment Institutions) accettata dalla Banca Centrale Europea e non deve essere inferiore all’ultimo gradino della scala di valutazione del merito di credito investment grade (usualmente non inferiore a BBB). All’agenzia di rating è garantito l’accesso ad una notevole mole di informazioni sui titoli. Questa valutazione può anche essere privata e destinata esclusivamente al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che deve qui intendersi come committente ed unico destinatario della valutazione
53 Sulle agenzie di rating, con specifico riguardo ai profili maggiormente problematici cfr. D’Amato, La responsabilità civile delle agenzie di rating, in Nuovo dir. soc., 2016, pp. 91 ss.; Castelli, La normativa sulle agenzie di rating: ratio, contenuti ed applicazione nel contesto europeo, in Riv. trim. dir. econ., suppl. al f. 1, 2015, pp. 60 ss.; Maietta, La responsabilità delle società di rating, in Danno resp., 2015, pp. 836 ss.; Principe, Le agenzie di rating, Milano, 2014; Bussani, Le agenzie di rating fra immunità e responsabilità, in Riv. dir. civ., 2014, pp. 1337 ss.; Sacco Ginevri, Brevi note sull’affidamento riposto nei credit rating dagli intermediari finanziari, in Riv. trim. dir. econ., 2014, II, pp. 18 ss.; Troisi, Rating e affidamento dell’investitore: profili di responsabilità dell’agenzia, ivi, p. 166 ss.; Montalenti, Le agenzie di rating, in Giur. comm., 2013, I, pp. 511 ss.; Porzio, Le agenzie di rating, in questa Rivista, 2013, pp. 405 ss.; Girino, La responsabilità civile delle agenzie di rating nel Regolamento n. 462/2013, in Amm. fin., 2013, 9, pp. 71 ss.; Amorosino, Rilevanze pubblicistiche dell’attività di rating finanziario, in Dir. banc., 2013, pp. 415 ss.; Pinelli, Le agenzie di rating nei mercati finanziari globalizzati, in Riv. trim. dir. econ., 2012, I, pp. 229 ss.; Presti, Take the «AAA» train: note introduttive sul rating, in Analisi giur. econ., 2012, pp. 251 ss.; Olivieri, I servizi di rating tra concorrenza e regolazione, ivi, pp. 283 ss.; Vella, Il rating: alla ricerca di una «terza via», ivi, pp. 323 ss.; Lener – M. Rescigno, Agenzie di rating e conflitti di interesse: sintomi e cure, ivi, pp. 353 ss.; Ponzanelli, Quando sono responsabili le agenzie di rating, ivi, pp. 441 ss.; Carriero, Previsioni, opinioni, certezze: le agenzie di rating, in Europa dir. priv., 2012, pp. 873 ss.; Scaroni, La responsabilità delle agenzie di rating nei confronti degli investitori, in Contr. impr., 2011, pp. 764 ss.; Sanna, La responsabilità civile delle agenzie di rating nei confronti degli investitori, Napoli, 2011.
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nonostante il corrispettivo sia a carico della società cedente proponente l’agenzia di valutazione o della società cessionaria. Una siffatta fattispecie legale di assunzione dell’altrui debito ricalca lo schema dell’accollo (privativo) ex lege54, in quanto a monte dell’assunzione legale vi è un precedente accordo tra il terzo accollante (società cedente o cessionaria) e il debitore originario (lo Stato). Inoltre, la società cessionaria deve impegnarsi a non richiedere la revoca del rating da parte delle agenzie coinvolte fino al completo rimborso del capitale dei titoli senior. Viene così superato uno dei principali limiti della disciplina di cui alla l. 130/1999, in cui la valutazione del merito creditizio da parte di soggetti terzi era un passaggio solo eventuale, limitato al caso in cui i titoli fossero offerti ad investitori non professionali. La maggior o minore probabilità di riscossione dei crediti oggetto dell’operazione di cartolarizzazione è fondamentale per valutare il rischio cui sono esposti i singoli investitori55. Ancora, per quel che concerne i soggetti coinvolti, l’incaricato della riscossione dei crediti ceduti (c.d. NPLs servicer) è diverso dalla società cedente, indipendente e non appartenente al suo stesso gruppo56. L’e-
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Cfr. Rescigno, Accollo «ex lege», in Banca, borsa, tit. cred., 1954, pp. 205 ss.; Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1959, p. 242; Tomassetti, Assunzione unilaterale ed espromissione ex lege, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1997, pp. 45 ss. Non può ravvisarsi la figura dell’espromissione, nelle linee tracciate dall’Autore da ultimo citato (p. 46), nonché da Cass., 18 giugno 1990, n. 6131, in cui «l’effetto assuntivo è completamente autonomo da un qualsiasi accordo negoziale tra le parti e si verifica esclusivamente in forza della norma ad essa preordinata». Difatti, la fattispecie assuntiva in analisi è strettamente interconnessa alla richiesta di concessione della GACS, a cui il rilascio della valutazione dei titoli è finalizzata. 55 Rordorf, Cartolarizzazione dei crediti e tutela del risparmio, in Riv. soc., 2000, p. 1166. 56 Nella prassi l’ipotesi della riscossione dei crediti ceduti affidata all’originator è diffusa e permette alla società cedente di recuperare – attraverso i compensi per l’attività di servicing – almeno una porzione del differenziale tra l’interesse che avrebbe ricevuto sui crediti trasferiti alla società veicolo ed il tasso di interesse più basso pagato agli investitori. In giurisprudenza v. Comm. Trib. Prov. Sassari, 10 giugno 2004, n. 67, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, II, pp. 87 ss., con nota di Scano, Credit enhancement, cit. L’A. da ultimo citato – a cui adde Rucellai, La legge sulla cartolarizzazione dei crediti, in Giur. comm., 1999, I, p. 420 – ha sottolineato (p. 125) come lo svolgimento di tale servizio è generalmente valutato favorevolmente, in quanto l’originator si trova in una posizione preferenziale rispetto ad altri soggetti per lo svolgimento dell’attività di servicing. Vedi però le considerazioni svolte infra al §5, spec. alla nt. 61.
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ventuale decisione della società cessionaria o dei portatori dei titoli di revocare l’incarico di tale soggetto non deve però determinare un peggioramento del rating del titolo senior. Una siffatta scelta legislativa può apparire per certi versi contradditoria, in quanto conduce giocoforza ad un incremento dei costi dell’operazione (per i compensi dovuti per il servicing, che nel caso di specie assumerebbe le vesti di un appalto di servizi, in quanto nella riscossione dei crediti in sofferenza l’attività materiale prepondera su quella giuridica)57 che confligge con i fini di acquisizione di liquidità che animano le operazioni di cartolarizzazione e la stessa introduzione della GACS e che può cagionare confusione nei debitori ceduti col rischio di un rallentamento dei flussi di cassa, se non di un mancato recupero dei crediti58. Si ritengono poi necessari una società di revisione che certifichi l’eliminazione contabile dei crediti oggetto dell’operazione di cartolarizzazione dalla contabilità della banca nonché, sebbene ciò non sia esplicitamente richiesto59, un professionista che predisponga la documentazione e confermi – con un parere pro veritate – la validità del regolamento dei titoli senior e l’insussistenza di quelle cause che possano comportare l’inefficacia della GACS.
5. Conclusioni. La recente crisi finanziaria ha rivelato che un comportamento irresponsabile da parte degli operatori del mercato può mettere a rischio le basi del sistema finanziario, portando ad una mancanza di fiducia tra tutte le parti coinvolte – in particolare i risparmiatori – e a conseguenze potenzialmente gravi sul piano socioeconomico. Nonostante ciò, non si è saputa sfruttare l’occasione per sviluppare e ripensare l’approccio al mercato, con la politica succube dell’economia e quest’ultima sottomessa «ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia»60.
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Così Sepe, La cartolarizzazione: profili giuseconomici e problematiche aperte, in Riv. crit. dir. priv., 2004, p. 568. 58 Cfr. Scano, Credit enhancement, cit., p. 125. 59 Ma si conviene con le osservazioni di Fiscale, GACS, cit., p. 10 circa l’opportunità di questa figura. 60 La dottrina sociale della Chiesa Cattolica è stata molto attenta al fenomeno: così Papa Francesco nell’Enciclica Laudato Si’, Città del Vaticano, 2015, n. 189. Sulla patologia del rapporto tra etica e mercato v. Cardia, Diritto, etica, mercato, cit., pp. 72 s., il quale
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In questo contesto, la GACS – per quanto un intervento dello Stato in maniera così decisa e incisiva sui mercati rappresenti decisamente un unicum per i nostri tempi – assicura ai risparmiatori maggiori garanzie, migliorandone la posizione. Anche questo è un modo per incoraggiare il risparmio, come esplicita l’art. 47 cost. La finalità principe della GACS è quella di assistere le banche italiane nella cartolarizzazione e nella cancellazione dei prestiti in sofferenza dai loro bilanci, nell’obiettivo di attrarre un’ampia gamma di investitori, incentivare le banche a recuperare i prestiti in sofferenza nel più breve tempo possibile e incrementarne la liquidità. Lo Stato, nel prestare la propria garanzia assume un rischio limitato, operando solo su quei titoli caratterizzati da un’elevata qualità creditizia e solo dopo che sarà stata venduta oltre la metà della tranche junior. Ciò significa che l’intervento statale è subordinato alla reazione del mercato a quei titoli che presentano un rischio più elevato e non sono garantiti. Da ultimo, il fatto che la remunerazione dello Stato per il rischio assunto sia a livelli di mercato supporta l’esclusione della configurabilità della GACS come aiuto di Stato. Se ciò nelle intenzioni del legislatore è mirato a condurre ad aumentare l’efficienza e la probabilità del recupero dei prestiti in sofferenza, quest’ultimo fine può scontrarsi con le accennate possibili inefficienze conseguenti alla designazione di un NPLs servicer esterno. Nondimeno, però, l’affidamento dell’attività di servicing ad un soggetto terzo e indipendente consente di evitare sia un riflusso di rischio in capo all’originator (la cui compatibilità con la tecnica della securitization appare quantomeno distonica)61, sia deplorevoli operazioni di
pone in evidenza come «il cordone ombelicale tra etica, diritto, mercato» sia «la più solida garanzia non solo perché l’uomo non si riduca a essere nemico agli altri uomini per la propria esclusiva soddisfazione, ma perché il lavoro dei singoli e della collettività, la legittima accumulazione di ricchezza, raggiungano traguardi sempre più grandi a favore del benessere e della crescita di tutta la famiglia umana». Sul tema v. anche Capriglione, Etica della finanza, mercato, globalizzazione, Bari, 2004, passim. 61 E la prassi dei mercati, specie anglosassoni, evidenzia come sia raccomandabile che l’originator non assuma la funzione di servicer ovvero, qualora ricopra questa funzione, nel servicing agreement deve essere specificato che egli agisce non in proprio, ma in qualità di agent della società veicolo. Ancora, il contratto dovrebbe inoltre prevedere che all’originator-servicer venga corrisposto un compenso fisso e non parametrato ai crediti recuperati, in quanto – per l’appunto – è considerato incompatibile con la causa della cartolarizzazione che il cedente assuma un rischio connesso a crediti oramai ceduti. È infine fondamentale l’adozione di sistemi di individuazione e rendicontazione
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camuffamento dei bilanci bancari62, definitivamente raggiungendo la eliminazione da questi ultimi e la traslazione sul mercato dei crediti deteriorati, perseguita per l’appunto con l’operazione di cartolarizzazione63. La GACS assume però ancor più rilevanza se si pone in evidenza la sua stretta interconnessione con il c.d. decreto banche e con le misure ivi contenute in tema di garanzie mobiliari e velocizzazione del recupero dei crediti, che permette di accelerare i tempi di recupero dei crediti deteriorati e rendere più economiche e con minori ostacoli le relative procedure esecutive. In questo scenario, è possibile anche superare le riserve di chi aveva ravvisato nella GACS uno strumento utile, ma insufficiente per sbloccare e dare una svolta decisa al mercato degli NPLs nel nostro ordinamento64. È forse vero che la precisa scelta legislativa di non conferire autonomia alla garanzia statale rispetto al rapporto fondamentale è una scelta «che va nella direzione opposta rispetto alle esigenze di certezza che gli investitori solitamente ricercano in una garanzia statale»65, ma nell’orditura che sta ridisegnando un nuovo sistema delle garanzie per il sistema bancario si sta assistendo ad un risoluto e rinnovato favor argentariorum. Pegno non possessorio, finanziamento alle imprese garantito dall’alienazione dell’immobile concesso in garanzia sospensivamente condizionata all’inadempimento del debitore (art. 47-bis t.u.b.), patto marciano66
che consentano di preservare la separazione dei crediti recuperati dal patrimonio della società cedente. In argomento cfr. Scano, Credit enhancement, cit., pp. 128 s. 62 In quanto non vi sarebbe una reale traslazione del rischio: cfr. Sepe, La cartolarizzazione, cit., pp. 543 ss.;. Fauceglia, La cartolarizzazione, cit., p. 50. 63 V. le conclusioni di Scano, Credit enhancement, cit., pp. 128 s., il quale afferma che «la cartolarizzazione (…) deve contraddistinguersi per una effettiva cessione dei crediti al veicolo; per un’effettiva acquisizione di liquidità; per l’allontanamento dalla sfera dell’originator del rischio di mancato realizzo dei crediti ceduti, da spostare sugli investitori». Sul punto v. anche Sepe, La cartolarizzazione, cit., pp. 543 ss. 64 Così Fiscale, GACS, cit., p. 10. 65 In tali termini, ancora, Fiscale, GACS, cit., p. 10. 66 Oltre alla fattispecie di cui all’art. 47-bis t.u.b. si veda, a tal proposito, anche il nuovo art. 120-quinquiesdecies, co. 3, t.u.b., introdotto dal d.lgs. 21 aprile 2016, n. 72 di attuazione della direttiva 2014/17/UE in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, il quale – tenuto conto del divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c. – prevede la possibilità che, in caso di inadempimento del mutuatario-consumatore (concretantesi nel mancato pagamento di un ammontare pari a diciotto rate mensili), la restituzione delle somme ovvero il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia ipotecaria o dei proventi della vendita del medesimo bene alla banca comporta l’estinzione dell’intero debito a carico del consumatore derivante dal contratto di credito.
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da un lato, GACS dall’altro, sono gli estremi di un percorso finalizzato in definitiva non solo ad incentivare le banche a recuperare i prestiti in sofferenza, ma a conferire loro strumenti maggiormente efficaci a tale scopo.
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Autorità private e mercati finanziari: il caso dei portali di equity crowdfunding* Sommario: 1. Premessa. Esposizione del problema. – 2. I gestori di trading venues di strumenti finanziari: analogie e differenze. – 2.1. I mercati regolamentati e gli altri sistemi multilaterali di negoziazione. – 2.2. I portali di equity crowdfunding. – 3. I modelli della regolazione privata. – 3.1. Una tassonomia della regolazione privata. – 3.2. Le funzioni regolative dei gestori dei mercati regolamentati. – 3.3. Confronto con la disciplina dei gestori dei portali di crowdfunding. – 4. Natura delle regole poste dai gestori di portali. – 5. Osservazioni conclusive.
1. Premessa. Esposizione del problema. Così scriveva il prof. Bianca nel volume al quale è dedicato questo Convegno: «Un problema, che ricorre ancora in dottrina è quello che attiene alla possibilità di ravvisare nel negozio una fonte normativa di diritto obiettivo […] l’affermazione che l’atto negoziale è costitutivo di norme può rispondere infatti all’idea di un autonomo ordinamento dei privati ma può anche rispondere all’idea di un unico ordinamento statale che conceda ai privati una ristretta competenza normativa». L’osservazione è quanto mai attuale. La crescente complessità sociale, la globalizzazione e lo sviluppo tecnologico, di pari passo con i mutamenti degli assetti istituzionali ed economici, sono alla base del rinnovato interesse teorico nei confronti del tema delle autorità (e delle fonti) private1. La gestione dei mercati organizzati di strumenti finanziari
* Il presente contributo è stato pubblicato in Sirena e Zoppini, a cura di, I poteri privati e il diritto regolazionale, Roma, 2018, pp. 529-553. 1 Diffusamente sul tema, Di Cataldo e Sanfilippo, a cura di, Le fonti private del diritto commerciale, Atti del convegno di studi, Milano, 2008.
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rappresenta il terreno di elezione per l’osservazione del fenomeno: fin dagli anni Novanta del secolo scorso, la presa di coscienza del fallimento dello Stato ha indotto a rimettere agli stessi operatori – con gli strumenti propri dell’autonomia d’impresa – la definizione delle dinamiche di mercato, nelle distinte fasi di making, monitoring ed enforcement della regolamentazione. Il dibattito sulle autorità private dei mercati finanziari sembra poter ricevere nuova linfa a seguito della comparsa di un’ulteriore realtà organizzata, i portali di equity crowdfunding, che occupano una posizione peculiare rispetto alle altre trading venues. I portali, infatti, non organizzano l’attività di negoziazione, bensì la sottoscrizione ed eventualmente la rivendita di valori mobiliari, con la finalità di facilitare il reperimento di capitali da parte di piccole e medie imprese (e di imprese sociali), nonché di organismi di investimento collettivo del risparmio e di società che investono prevalentemente in piccole e medie imprese (v. ora la definizione di cui all’art. 1, co. 5-novies, Testo Unico della Finanza, d’ora in poi t.u.f.)2.
2 Nel tempo si è assistito ad una progressiva apertura dello strumento dell’equity crowdfunding. Inizialmente, nel d.l. 179/2012 (c.d. Decreto crescita bis, convertito con modificazioni dalla l. 221/2012), che ha introdotto gli artt. 50-quinquies e 100-ter t.u.f., era stato congegnato per le sole start-up innovative. Successivamente, con il d.l. 31 maggio 2014, n. 83 (c.d. Decreto Cultura e Turismo, convertito con l. 29 luglio 2014, n. 106), sono state ammesse al lancio delle offerte tramite portali le start-up turismo, e con il d.l. 24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti, convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo 2015, n. 33, c.d. Investment compact) il legislatore ha esteso anche alle PMI innovative costituite nella forma di s.r.l. la possibilità di raccogliere capitali di rischio attraverso il crowdfunding. Infine, la l. 11 dicembre 2016 n. 232 (Legge di Bilancio 2017) ha esteso la disciplina contenuta negli artt. 50-quinquies e 100-ter t.u.f. in materia di equity crowdfunding a tutte le piccole e medie imprese (PMI) come definite dalla disciplina dell’Unione europea (Raccomandazione 361/2003/CE). Sul punto, si rinvia a Fregonara, Il restyling del Regolamento Consob in tema di equity crowdfunding, in Nuovo dir. soc., 2016, 6, pp. 33 ss. In sede di recepimento della dir. 2014/65/ UE, il d. lgs. 3 agosto 2017, n. 129 ha introdotto nell’art. 1 t.u.f. la seguente definizione: «5-novies. Per “portale per la raccolta di capitali per le piccole e medie imprese e per le imprese sociali” si intende una piattaforma on line che abbia come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitale di rischio da parte delle piccole e medie imprese, come definite dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera (f), primo alinea, del regolamento (UE) 2017/1129, delle imprese sociali e degli organismi di investimento collettivo del risparmio o di altre società che investono prevalentemente in piccole e medie imprese». Con il medesimo decreto, sono stati modificati gli artt. 50-quinquies la cui rubrica è ora “Gestione di portali per la raccolta di capitali per le piccole e medie imprese e per le imprese sociali”; e 100-bis. t.u.f. Inoltre sono stati conseguentemente abrogati i co. 5-decies e 5-undecies dell’art. 1 t.u.f., relativi alle nozioni di “start-up innovativa” e “PMI innovativa”.
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Sebbene non siano species del genus “sede di negoziazione”3, i portali svolgono pur sempre una funzione ausiliaria rispetto all’incrocio fra domanda e offerta di capitali, funzione che comporta da parte dei gestori l’esercizio del potere di ammissione ed esclusione di emittenti e operatori. I poteri dei gestori dei portali – a differenza di quanto accade per le società di gestione di mercati regolamentati – si dispiegano nelle lacune lasciate dalle previsioni di legge, scarne quanto alla disciplina del servizio e del tutto mute quanto allo statuto degli emittenti ammessi ai portali (fatta eccezione per il regime alternativo di circolazione delle quote di cui all’art. 100-ter, co. 2-bis, t.u.f.)4. Emblematico è il caso delle regole societarie di trasparenza: la disciplina dei patti parasociali, ad esempio, non è posta dalla legge; il Regolamento Consob5 si limita a imporre ai
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Come sembra chiaramente escludere il nuovo testo dell’art. 1, co. 5-octies, lett. c), sostituito per effetto delle modifiche al t.u.f. introdotte con il d. lgs. 3 agosto 2017, n. 129. 4 Le deroghe agli artt. 2468 e 2474 c.c. per start-up e PMI costituite in forma di società a responsabilità limitata sono in funzione della possibilità di offerta tramite portali on-line, ma non sono subordinate all’ammissione. Infatti, l’art. 26 d.l. 179/2012 riconosce alle start up innovative la facoltà di creare, nei limiti imposti dalla legge, categorie speciali di quote potendone determinare il contenuto (co. 2); conformemente ai limiti imposti dalle leggi speciali, le suddette quote possono essere oggetto di offerta al pubblico (co. 5); e infine decade il divieto delle operazioni sulle proprie quote “qualora l’operazione sia compiuta in attuazione di piani di incentivazione che prevedano l’assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti, collaboratori o componenti dell’organo amministrativo, prestatori di opera e servizi anche professionali”. La disciplina descritta è stata di recente estesa a tutte le PMI dall’art. 57, co. 1, d.l. 24 aprile 2017, n. 50. 5 La fonte primaria è rappresentata dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, c.d. Decreto Crescita bis, convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, che ha introdotto nella trama del t.u.f. gli artt. 50-quinquies, co. 2, originariamente rubricato “Gestione dei portali per la raccolta di capitali per le start-up innovative”, e 100-ter, “Offerte attraverso portali per la raccolta di capitali”, a cui la Consob ha dato attuazione tramite il Regolamento n. 18592/2013, “Raccolta di capitali di rischio da parte di imprese start-up innovative tramite portali on-line”, sottoposto precedentemente a consultazione il 29 marzo 2013 e poi pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 162 del 12 luglio 2013. L’estensione dei soggetti ammessi alla raccolta sul portale e la Valutazione dell’Impatto della Regolazione (VIR) hanno imposto un aggiornamento della disciplina. All’esito delle due consultazioni del 19 giugno 2015 e del 3 dicembre 2015, la revisione del Regolamento è stata approvata con delibera del 24 febbraio 2016, n. 19520 e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 4 marzo 2016. La modifica introdotta dalla l. 232/2016 ha comportato la sottoposizione a nuova consultazione del Reg. 18592/2013, consultazione apertasi il 6 luglio 2017 e conclusasi in data 21 agosto 2017. Per una sintesi, cfr. Documento di consultazione Revisione del Regolamento n. 18592/2013 del 26 giugno 2013 sulla raccolta di capitali di rischio tramite portali on-line, pubblicato il 6 giugno 2017, disponibile in http://www. consob.it/web/area-pubblica/consultazioni?viewId=consultazioni_in_corso.
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gestori dei portali di verificare la presenza di apposite clausole nello statuto degli emittenti6. Obbligo che legittima il gestore a “omologare” le regole statutarie degli emittenti, e, eventualmente, a conformarne il contenuto all’interno dei propri regolamenti. L’anomìa che contraddistingue le società ammesse ai portali di equity crowdfunding si contrappone al sistema di regolazione delle società quotate, disegnato dalla legge (t.u.f. e, in funzione residuale, codice civile) e dai regolamenti Consob; rispetto a queste ultime, i gestori dei mercati in cui ha luogo la quotazione svolgono un ruolo marginale, promuovendo al più l’autodisciplina. Di qui l’interrogativo sulla natura giuridica delle regole di diritto societario eventualmente inserite dal gestore del portale nell’ambito del proprio regolamento: se esse rientrino nel novero delle c.d. mandatory rules – nel senso di regole di diritto obiettivo – che esplicano la propria efficacia sul piano della validità, indipendentemente dalla corretta recezione negli statuti delle società emittenti (potendo pertanto dar luogo all’invalidità delle deliberazioni assunte in violazione); ovvero, all’opposto, interferiscano esclusivamente nell’ambito dei rapporti tra gestore ed emittente, collocandosi sul piano delle regole di responsabilità. La tesi di fondo che qui si intende sostenere è che il dovere di verificare la pre-
In particolare, l’art. 100-ter co. 2, t.u.f., costituisce il fondamento legale dell’esercizio del potere regolamentare in materia di emittenti: «La Consob determina la disciplina applicabile alle offerte di cui al comma precedente, al fine di assicurare la sottoscrizione da parte di investitori professionali o particolari categorie di investitori dalla stessa individuate di una quota degli strumenti finanziari offerti, quando l’offerta non sia riservata esclusivamente a clienti professionali, e di tutelare gli investitori diversi dai clienti professionali nel caso in cui i soci di controllo della piccola e media impresa o dell’impresa sociale cedano le proprie partecipazioni a terzi successivamente all’offerta». A livello regolamentare, gli obblighi di verifica sullo statuto dell’emittente imposti ai gestori dei portali sono enunciati ai sensi dell’art. 24, rubricato “Condizioni relative alle offerte sul portale”. 6 Cfr. art. 24, c. 1, reg. Consob: «Ai fini dell’ammissione dell’offerta sul portale, il gestore verifica che lo statuto o l’atto costitutivo delle piccole e medie imprese preveda: a) il diritto di recesso dalla società ovvero il diritto di co-vendita delle proprie partecipazioni nonché le relative modalità e condizioni di esercizio nel caso in cui i soci di controllo, successivamente all’offerta, trasferiscano direttamente o indirettamente il controllo a terzi, in favore degli investitori diversi dagli investitori professionali o dalle altre categorie di investitori indicate al comma 2 che abbiano acquistato o sottoscritto strumenti finanziari offerti tramite portale. Tali diritti sono riconosciuti per almeno tre anni dalla conclusione dell’offerta; b) la comunicazione alla società nonché la pubblicazione dei patti parasociali nel sito internet della società».
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senza di determinate clausole nello statuto degli emittenti7, imposto dal regolamento Consob 8 ai gestori dei portali, non incida sulla natura delle regole concernenti l’ammissione degli emittenti al portale medesimo e si debba pertanto escludere che a tali regole possa ascriversi valore di fonti di diritto obiettivo.
2. I gestori di trading venues di strumenti finanziari: analogie e differenze. 2.1. I mercati regolamentati e gli altri sistemi multilaterali di negoziazione. A seguito della prima direttiva Mifid il nostro ordinamento finanziario contempla un trittico di fattispecie nel sistema delle trading venues: i mercati regolamentati di strumenti finanziari, gli altri sistemi multilaterali di negoziazione (ora ulteriormente distinti in sistemi multilaterali e sistemi organizzati di negoziazione: cfr. art. 1, co. 5-octies, t.u.f.) e gli internalizzatori sistematici. Questi ultimi rappresentano semplicemente una particolare modalità di svolgimento della propria attività di negoziazione o di esecuzione ordini da parte degli intermediari; manca dunque l’elemento della terzietà del gestore del sistema di scambi rispetto agli operatori, caratteristico dei mercati 9. Nell’introdurre la
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Precisamente il riferimento è alle clausole in materia di trasparenza dei patti parasociali e di exit in caso di passaggio di mano del controllo: cfr. art. 24 del Regolamento («il diritto di recesso dalla società ovvero il diritto di co-vendita delle proprie partecipazioni nonché le relative modalità e condizioni di esercizio nel caso in cui i soci di controllo, successivamente all’offerta, trasferiscano direttamente o indirettamente il controllo a terzi, in favore degli investitori diversi dagli investitori professionali o dalle altre categorie di investitori indicate al comma 2 che abbiano acquistato o sottoscritto strumenti finanziari offerti tramite portale»). Tra le informazioni che devono essere fornite al momento dell’offerta vi sono, inoltre, la descrizione delle clausole riguardanti le ipotesi in cui i soci di controllo cedano le proprie partecipazioni a terzi successivamente all›offerta (modalità per la way out dall’investimento, presenza di eventuali patti di riacquisto, eventuali clausole di lock up e put option a favore degli investitori, ecc.) con indicazione della durata delle medesime, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 2465 (All. 3 al Regolamento, punto 3, lett. d). 8 Diffidente rispetto alla “ideologia tecnocratica”, è Irti, Sul problema delle fonti di diritto privato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, p. 699. 9 Per un approfondimento della disciplina prevista per le singole trading venues, si rinvia alla manualistica di settore, in specie Costi, Il mercato mobiliare10, Torino, 2016;
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nozione di “sedi di negoziazione”, non a caso, in occasione del recepimento della direttiva Mifid II ne sono stati esclusi gli internalizzatori sistematici10. La regolazione dell’attività di scambio, nel caso degli internalizzatori sistematici, rimane nel campo dell’autonomia d’impresa e non sconfina nell’eteronomia che contraddistingue tutti (e solo) i sistemi multilaterali. Come è noto, i sistemi multilaterali di negoziazione permettono l’incontro di interessi multipli di acquisto e di vendita il cui abbinamento (a differenza dei c.d. sistemi organizzati di negoziazione) avviene in base a regole non discrezionali (art. 1, co. 5-octies, t.u.f.). Le scelte riguardanti l’oggetto delle negoziazioni e l’organizzazione del mercato stesso sono rimesse alla piena discrezionalità del gestore, nel rispetto dei «requisiti minimi di funzionamento» fissati dalla Consob. Anche i mercati regolamentati sono sistemi multilaterali, caratterizzati tuttavia da un quid pluris, ovverosia gli «strumenti finanziari, […] (sono) ammessi alla negoziazione conformemente alle regole e/o ai suoi sistemi» (quotazione), il quale è «amministrato e/o gestito da un gestore del mercato, […] e che è autorizzato e funziona regolarmente e conformemente alla parte III» (art. 1, co. 1, lett. w-ter, t.u.f.), ed inoltre è retto da un regolamento predisposto dalla società di gestione (art. 64-quater t.u.f.). La differenza sul piano definitorio rispetto ai sistemi multilaterali di negoziazione si riflette sul piano della disciplina (artt. 65-bis ss. t.u.f.), in particolare nelle previsioni concernenti il regolamento, che definisce le coordinate organizzative e di funzionamento delle negoziazioni di strumenti finanziari, permettendo al gestore di esercitare le funzioni di standard setting, supervision e dispute resolution. Non mancano tra le sub-fattispecie del genus “sede di negoziazione” punti di convergenza a livello di disciplina. Tuttavia, per i mercati regolamentati risulta prevalente la componente giuridica del servizio, nel mentre per i sistemi multilaterali (e per i sistemi organizzati) risulta pre-
Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare8, Torino, 2015. 10 Cfr. l’art. 1, co. 5-octies, t.u.f. (così come sostituito dal d. lgs. n. 129/2017) che definisce “sede di negoziazione” i mercati regolamentati, i sistemi multilaterali di negoziazione e i sistemi organizzati di negoziazione, dovendosi intendere con tale ultima espressione ogni «sistema multilaterale diverso da un mercato regolamentato o da un sistema multilaterale di negoziazione che consente l’interazione tra interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi». Si veda inoltre l’art. 1, co. 5-ter, che nel definire gli internalizzatori sistematici marca ora la differenza fra il carattere “organizzato” della negoziazione per proprio conto (o dell’esecuzione di ordini) e i sistemi multilaterali.
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valente la componente logistica11. La discrasia è confermata dal diverso regime della vigilanza e, ancor prima, dalle norme in tema di autorizzazione, in quanto soltanto il provvedimento che attribuisce la qualità di mercato regolamentato (e pertanto riveste valore costitutivo)12 richiede un sindacato sui contenuti del regolamento (art. 64-quater, c. 3, lett. b), t.u.f.). Se è vero infatti che tanto i mercati regolamentati quanto gli altri sistemi multilaterali di negoziazione sono sottoposti a vigilanza su base continuativa, al fine di verificare che «la regolamentazione del mercato sia idonea ad assicurare l’effettivo conseguimento della trasparenza del mercato, dell’ordinato svolgimento delle negoziazioni e della tutela degli investitori» (art. 62, co. 2, t.u.f.), e la conformità alla disciplina comunitaria (art. 62-quinquies, t.u.f.), non si può trascurare che soltanto rispetto ai mercati regolamentati la legge riconosce alla Consob il potere innominato di adottare, nei casi di necessità e urgenza, i provvedimenti opportuni, e addirittura di sostituirsi al gestore (art. 62, co. 3, t.u.f.: v. altresì la diversa articolazione dei poteri sostitutivi in materia di ammissione, sospensione ed esclusione dalle negoziazioni, di cui agli artt. 66-ter ss.). 2.2. I portali di equity crowdfunding. I portali, come si è detto, non rientrano nel concetto di sedi di negoziazione, ora esplicitamente accolto dal nuovo testo del t.u.f., avendo l’offerta on-line ad oggetto esclusivamente la sottoscrizione o la rivendita di strumenti finanziari rappresentativi di capitale. Essi rappresentano, per contro, canali alternativi impegnati a facilitare la raccolta di capitali da parte di PMI, alla condizione che almeno nella misura minima del 5%,
11 La componente giuridica e la componente logistica sono assunte come valore, la prima collocata in ascisse e la seconda in ordinate, di un immaginario sistema di assi cartesiani attraverso il quale, Motti, spiega «la relazione tra due classi di variabili giuridicamente significative». Con precisione alle ascisse sono posti i dati funzionali, come il sistema di contrattazione e l’accesso alle informazioni; mentre sull’asse verticale i dati strutturali che permettono di discernere tra le diverse tipologie di mercato. Continua l’A. affermando che «se le osservazioni formulate in precedenza sono condivisibili, il variare delle caratteristiche del sistema di contrattazione determina l’applicabilità di regole che riguardano essenzialmente il «modo di essere» del mercato, nel mentre il variare delle tipologie di prodotti e/o investitori determina l’applicabilità di regole che incidono anche sul «modo di operare» dell’organismo di gestione (e perciò potenzialmente idonee a fondare uno statuto speciale della funzione organizzatoria)». Motti, Mercati borsistici e diritto comunitario, Milano, 1997, pp. 133-135. 12 Motti, Tipologia e disciplina delle trading venues, in Dir. banc., 2, 2009, p. 191 ss.
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i titoli siano stati sottoscritti da parte di un investitore professionale13, ovvero da organismi di investimento collettivo del risparmio e di società di capitali che investono prevalentemente in PMI. Il portale, pertanto, rappresenta semplicemente una soluzione temporanea al finanziamento di impresa, per la durata dell’offerta, al termine della quale l’impresa può (ma non necessariamente deve) fare ingresso in una borsa maggiore o in un mercato di crescita per le PMI14. Tuttavia, anche i gestori dei portali adottano un provvedimento (l’ammissione dell’emittente) che permette di lanciare un’offerta al pubblico: in effetti, l’offerta sul portale è offerta al pubblico, sia pure temporalmente limitata, svolta in esenzione della disciplina del prospetto per ragioni quantitative15. L’attività di un portale, da questo punto di vista, non è diversa da quella caratteristica dei gestori di un mercato regolamentato allorché ammettono un titolo alla quotazione. Sul piano della natura, la funzione è infatti analoga, ma si biforca sul piano della disciplina. In primo luogo, perché nel mercato maggiore, la borsa, l’offerta è preceduta dalla pubblicazione del prospetto di quotazione ed ha carattere stabile (nel mentre le offerte tramite portale, oltre ad essere limitate nel tempo, sono consentite solo al di sotto delle soglie quantitative di esenzione dalla relativa disciplina: v. ora il Regolamento UE 2017/1129)16. In secondo luogo, perché gli effetti dell’ammissione all’offerta tramite portale sullo statuto dell’emittente sono pressoché nulli, a differenza di quanto accade a seguito dell’ammissione a quotazione in borsa. In terzo luogo, perché sulle decisioni del gestore del portale in materia di ammissione, sospensione o esclusione dei titoli non si esplica alcun controllo da parte della Consob.
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Cfr. art. 24, co. 2, reg. Consob. Nella riscrittura dell’art. 61 t.u.f. ad opera della recente riforma intervenuta, ai sensi del comma 1, lett. g), è definito «mercato di crescita di una PMI: un sistema multilaterale di negoziazione registrato come un mercato di crescita per le PMI in conformità all’art. 69», articolo quest’ultimo che descrive i termini della fattispecie citata e le condizioni di ammissibilità e di operatività. 15 Per una serie di rinvî a cascata – art. 100-ter, c. 1, letto in combinato disposto con l’art. 100, c. 1, lett. c) del t.u.f., e l’art. 2, co. 1, lett. g) del Reg. 18592/2013 – la soglia nel massimo è determinata, ai sensi dell’art. 34-ter, c. 1, lett. c), Reg. Emittenti, nel corrispettivo totale di euro 5 milioni. 16 Il Regolamento si applica a decorrere dal 21 luglio 2019, con eccezione per l’art. 1, par. 3, e l’art. 3, par. 2, che si applicano, invece, a far data dal 21 luglio 2018, nonché per l’art. 1, par. 5, co. 1, lett. a), b) e c), e per l’art. 1, par. 5, co. 2, che si applicano a decorrere dal 20 luglio 2017. 14
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3. I modelli della regolazione privata. Disegnata la mappa delle autorità private dei mercati finanziari, bisogna volgere l’attenzione al rapporto fra poteri privati dei gestori di mercato e regolatore pubblico. Il fenomeno di demutualization17, che è seguito all’abbandono della gestione dei mercati in forma burocratica18, ha chiamato gli stessi operatori alla definizione delle dinamiche di mercato, nelle fasi di making, monitoring ed enforcement della regolazione attraverso il ricorso agli strumenti del diritto privato; poteri che devono necessariamente coordinarsi con i poteri della Consob. L’autorità di vigilanza e i singoli gestori dei mercati hanno instaurato una relazione dialettica, che, sviluppatasi lungo il crinale del confronto tra le regole del mercato di ascendenza privata e le regole di produzione pubblica, è destinata ad acuirsi per effetto prima degli scandali finanziari, poi del deflagrare della crisi. 3.1. Una tassonomia della regolazione privata. Dei possibili rapporti di partecipazione tra i soggetti privati e l’autorità di vigilanza del mercato nei processi regolativi, voce autorevole in dottrina ha tentato una riconduzione a razionalità elaborando una «vera e propria tassonomia della regolazione privata»19. È possibile designare due diversi modelli, la c.d. audited self regulation e la c.d. coregolazione, quali possibili forme di cooperazione tra soggetto privato e pubblico20.
17 Motti, Problemi attuali in tema di regolamentazione e governance delle borse «universali», Lamandini e Motti, a cura di, Scambi su merci e derivati su commodities – quali prospettive?, Milano, 2006, p. 128 ss., in part. p. 133. 18 Per un ampio excursus, Motti, Mercati borsistici, cit. 19 L’espressione è mutuata da Motti, Etica e regolatori privati: il caso dei mercati di borsa, in Aa. Vv., Studi per Franco Di Sabato, I, Napoli, 2009, p. 524, nota 26. 20 La classificazione bipartita è ormai consolidata a livello sia nazionale che comunitario, ma Cafaggi approfondisce il coordinamento tra la regolazione privata e la regolazione pubblica in quattro differenti tipologie: «a) una che pone regolatori pubblici e privati in posizione di sostanziale parità e prevede una compartecipazione allo svolgimento di funzioni che chiamiamo coregolamentazione; b) un’altra che invece opera attraverso una delega di potere dal regolatore pubblico al singolo o alla pluralità di enti autoregolamentati o regolatori privati, mantenendo al regolatore pubblico responsabilità sostanziali dell’attività anche attraverso i terzi; c) una forma che non costituisce delega in senso tecnico ma prevede una forma di promozione e un potere di controllo di legittimità; d) una quarta che prevede il riconoscimento e la legittimazione dell’attività
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La distinzione tiene conto, come parametro fondamentale, della posizione dei soggetti coinvolti nei processi regolativi. L’autoregolazione contempla la coincidenza tra chi pone la regola e il destinatario della stessa, di modo che c’è un cumulo della qualità di regolatore e regolato in capo ad un unico soggetto21. Di converso, c’è una scissione tra regolatore e regolato in caso di coregolamentazione22: il regolato sarà un soggetto terzo su cui ricadranno i precetti regolamentari definiti dall’asse regolatore privato – regolatore pubblico23. Di conseguenza, l’espressione self regulation non risulta appropriata, laddove la struttura di gestione del mercato non sia espressione diretta dei soggetti regolati (come avveniva un tempo, limitatamente ai broker/ dealer, per i vecchi mercati-associazione). Rispetto agli emittenti, che possono al più contare su una rappresentanza simbolica dei propri interessi negli organi di governo, autoregolamentazione e regolazione privata non sono sinonimi24.
regolamentare svolta dai soggetti privati attraverso un provvedimento di approvazione o di semplice incorporazione in un atto amministrativo o legislativo». Cfr. Cafaggi, Un diritto privato europeo della regolazione? Coordinamento tra pubblico e privato nei nuovi modelli regolativi, in Pol. dir., 2004, pp. 234-235. 21 «Con il termine autoregolamentazione, il cui concetto deriva dalla psicologia del comportamento, si designa genericamente, quando ci si riferisce al comportamento economico, l’adozione da parte degli attori economici di certe regole di condotta nelle relazioni reciproche oppure nei confronti di terzi sul mercato e nella società, regole il cui rispetto è frutto di un accordo tra gli stessi attori, senza meccanismi coercitivi esterni»: cfr. parere del Comitato economico e sociale europeo, Autoregolamentazione e coregolamentazione nel quadro legislativo dell’UE, punto 3.2, disponibile in http://eur-lex.europa.eu/ legal-content/IT/TXT/?uri=uriserv:OJ.C_.2015.291.01.0029.01.ITA 22 «Infine, per coregolamentazione si intende generalmente una forma di regolamentazione delle parti interessate (stakeholder) che è promossa, orientata, guidata o controllata da una terza parte (sia essa un organismo ufficiale o un’autorità di regolamentazione indipendente) di norma dotata di poteri di esame, di controllo e, in alcuni casi, sanzionatori»: cfr. parere del Comitato economico e sociale europeo, Autoregolamentazione e coregolamentazione nel quadro legislativo dell’UE, cit., punto 3.4. 23 Cafaggi, Diritto privato, cit., pp. 206-218. 24 Cfr. Carson, Self-Regulation in Securities Markets (January 1, 2011). World Bank Policy Research Working Paper No. 5542, consultabile all’indirizzo SSRN: https://ssrn. com/abstract=1747445, 33: «Strictly speaking, the functions of exchanges’ listing departments and listed company regulation are not self-regulatory because issuers are not regulating themselves through the exchange, as broker-dealers traditionally have. Issuers usually have only nominal, if any, representation on exchange boards and committees. Listing is a regulatory function that exchanges perform on the basis of contract - the listing agreement».
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La filosofia di fondo che muove i due sistemi è altrettanto differente. L’audited self regulation è ispirata al metodo della responsive regulation25, in quanto affida al volere del privato la definizione delle regole o di standard, anche attraverso esplicita delega conferita dall’autorità pubblica che ne fissa l’ubi consistam, per acquistare solo ex post i crismi della giuridicità26. Dunque, l’an e il quomodo della regolazione, ovvero il solo quomodo, se l’an è predefinito a livello superiore dal soggetto di diritto pubblico, sono riempiti di contenuto dalla discrezionalità rimessa al privato27. La coregolazione è un modello che contempla la convivenza del regolatore privato e pubblico nei meccanismi di determinazione di standard o di fissazione di clausole contrattuali28, nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di proporzionalità29. In una dinamica multilevel system detto modello regolativo consente forme di coordinamento tra il regolatore pubblico e il regolatore privato in raccordo con le spinte normative di origine comunitaria. In quest’ottica, la coregolamentazione può svilupparsi sia in senso orizzontale30 – a carattere cooperativo nei rapporti di reciprocità tra il regolatore pubblico e privato – sia in direzione verticale, gerarchica31, promanante dal legislatore nazionale ovvero
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Cafaggi, Crisi della statualità, pluralismo e modelli di autoregolamentazione, in Pol. dir., 2001, 4, p. 547. L’A. asserisce che «il fenomeno trova […] una sua ratio economica in quanto diretto a ridurre i costi di coordinamento derivanti dai fallimenti di mercato ma anche una dimensione etica, nel tentativo di definire all’interno delle diverse comunità degli affari sistemi di regole di condotta dotati di un dispositivo etico comune». 26 Cafaggi, Crisi, cit., p. 555. 27 «L’autoregolamentazione originaria o delegata, a seconda che le norme siano elaborate per semplice autolimitazione degli interessati (detta anche «autoregolamentazione privata») oppure sotto la vigilanza di un’entità sovraordinata (Stato, organi di regolamentazione, associazioni di categoria, l’Unione europea) che definisce alcuni parametri da rispettare obbligatoriamente (detta anche «autoregolamentazione pubblica»)»: v. il parere del Comitato economico e sociale europeo, Autoregolamentazione e coregolamentazione nel quadro legislativo dell’UE, (cit.), punto 3.3, lett. a). 28 Cafaggi, La responsabilità dei regolatori privati – tra mercati finanziari e servizi professionali, in Merc. conc. reg., 2006, 1, p. 20. 29 Del Prato, Qualificazione degli interessi e criteri di valutazione dell’attività privata funzionale tra libertà e discrezionalità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 408 ss., in part. p. 411. 30 Amorosino, parla di regolamentazione multistrato nella reciprocità tra fonte primaria, secondaria e terziaria di carattere tecnico: Amorosino, Costituzione economica, in Dir. banc., 2017, 2, p. 233. 31 Cafaggi, La responsabilità, cit., p. 22.
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comunitario32. Più precisamente, il paradigma su cui si impronta la coregolamentazione è il principio di command – per cui il regolatore privato è tenuto ad apporre la regola nei limiti statuiti dal regolatore pubblico, tale da far accrescere l’accountability di quest’ultimo nella definizione degli standard33. 3.2. Le funzioni regolative dei gestori dei mercati regolamentati. Nella quadratura dei rapporti tra la regolazione espressione di autonomia privata e la regolazione tesa al perseguimento di un interesse generale, non si può ipotizzare un’effettiva scissione tra i piani di interessi pubblici/privati che inevitabilmente si intersecano. Infatti, come se
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«Si possono distinguere, senza pretesa di una descrizione esaustiva, diversi modelli di riallocazione della funzione regolativa in ragione del livello in cui operano o meglio delle diverse modalità di coordinamento tra livelli ed eventualmente della assegnazione di priorità all’uno o all’altro: 1) vi sono sistemi che distribuiscono le funzioni di regolazione verticalmente su uno o più livelli ancora generalmente associati a modelli di regolazione pubblica (coordinamento verticale) ma dove si vanno sempre sviluppando sistemi di autoregolazione europea o misti che vedono la compresenza, nella stessa struttura o in diverse strutture tra loro coordinate, di regolatori pubblici e privati; 2) vi sono sistemi che collocano la funzione prevalentemente ad un livello definito in base alle competenze, istituendo modalità di coordinamento tra regolatore/i pubblico/i e regolatore/i privato/i (coordinamento orizzontale). Agli altri livelli vengono attribuite competenze prevalentemente esecutive; 3) vi sono poi modelli in cui si intersecano distribuzione tra livelli verticali e orizzontali, finendo talvolta per crearsi una regolazione diagonale in cui operano un livello pubblico europeo ed uno privato o autoregolato nazionale; 4) vi sono ancora sistemi di regolazione privata che operano sia a livello europeo che nazionale in cui il ruolo del regolatore pubblico è quello di assicurare il coordinamento nella produzione di standard ed agire, ove questo non operi in modo efficace, con funzione sostitutiva; 5) vi sono infine modelli di coordinamento verticale operanti esclusivamente sul piano della regolazione privata aventi il compito di assicurare la coerenza tra l’operato dei regolatori privati nazionali e quello europeo. Anche in questo caso, sempre più spesso, il coordinamento verticale e quello orizzontale non sono facilmente distinguibili». Così Cafaggi, Diritto privato, cit., p. 211; Id., La responsabilità, cit., p. 21, in cui proprio con riferimento al panorama del diritto dei mercati finanziari, l’A. cita il caso dei rapporti tra la dir. 2004/39/CE e la legge nazionale sulla tutela del risparmio che vi ha dato attuazione. Ulteriori aree interessate dalla coregolazione, che coinvolgono il piano della disciplina nazionale e quello comunitario, sono le pratiche commerciali sleali, il settore della privacy e la sicurezza dei prodotti: Cafaggi, La responsabilità, cit., p. 26 ss. Un importante contributo al modello della coregolamentazione è stato offerto nell’armonizzazione delle regole del contratto sul piano europeo, a cui ampiamente dedica attenzione: Cafaggi, La regolazione privata nel diritto europeo dei contratti, in Contratto e impr., 2008, 1, p. 104 ss. 33 Cafaggi, Diritto privato, cit., p. 218.
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fosse un sistema di vasi comunicanti, gli interessi che spingono i due regolatori sono interagenti, in quanto la regolazione privata realizza nella dimensione particolare un interesse privato che trova collocazione nella dimensione universale di un interesse generale alla cura del quale è preposto il regolatore pubblico. Quest’ultimo passaggio apre la strada ad una rimeditazione dei confini tra il diritto pubblico e il diritto privato nello scandagliare la natura giuridica dei poteri di un gestore di mercato, con evidenti riflessi sul piano della disciplina dei rimedi. Al quesito se nell’attività gestoria prevalga la componente pubblicistica ovvero quella privatistica, come è noto, sono state date risposte diverse. Secondo un’opinione tuttora diffusa, occorre indagare l’attività di gestione di un mercato attraverso il prisma del diritto pubblico34. Stando a questo indirizzo, la gestione di un mercato sarebbe da qualificare oggettivamente come pubblico servizio, ossia come attività svolta in regime di concessione e, per tale via, pur sempre riconducibile all’autorità statale. La regolazione privata si pone senza soluzione di continuità ad articolare nei dettagli la regola posta dall’autorità di settore35, per cui i rapporti tra SGM e Consob si articolano in termini di coregolamentazione36: la regola privata è legata a doppio filo con quella pubblica nella cura in concreto dell’interesse generale. Infatti, i cultori di tale convincimento fondano le proprie ragioni sulla necessità di astrarre dall’interesse privato del gestore, che potrebbe vulnerare la bontà della regola stessa, con esiziali conseguenze rispetto all’interesse generale37 potenzialmente
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Amorosino, Manuale di diritto del mercato finanziario3, Torino, 2014, p. 94; Pace, Ammissione, sospensione, esclusione dai mercati regolamentati – poteri della Consob e delle società di gestione dei mercati, Torino, 2012; Mafrellotti, Esercizio di funzioni normative e partecipazione dei soggetti privati: a proposito dei regolamenti della società di gestione della borsa, in Riv. ital. dir. pubbl. com., 2000, p. 1020 ss.; Capriglione, Sub art. 64, in Comm. t.u.f., a cura di Alpa e Capriglione, Padova, 1998, I, p. 619. 35 Pace parla in proposito di un “passaggio di consegne” dalle fonti pubblicistiche alla regolamentazione delle società privatizzate aventi le caratteristiche di una vera e propria “successione di norme nel tempo”, inveratosi per effetto dell’art. 56 del d. lgs. 415/1996: cambia il soggetto titolare del relativo potere di fare la regola del mercato ma non il suo DNA originario. Così Pace, Ammissione, cit., p. 124. 36 Pace, Amissione, cit., 86 ss. Nelle pagine indicate, l’A. si addentra in una meticolosa analisi sui rapporti tra la regolamentazione della SGM e i poteri della Consob di carattere autorizzativo e sostitutivo. 37 La Consob opera in un contesto di mercati imperfetti al fine di eludere il rischio che la norma privata possa innescare atteggiamenti di moral hazard, adverse selection ovvero di insider trading: Cavazzuti, La Consob e la regolamentazione del mercato, in Quaderni fin., 2000, 38, 9, disponibile in http://www.consob.it/c/portal/layout?p_l_
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sacrificato dalla ricerca di un compromesso tra interessi divergenti nel singolo mercato38. Conclusione che sembra porsi in linea con la necessità di garantire l’attuazione dei principi costituzionali di utilità sociale, a cui deve conformarsi la libertà di iniziativa economica, di cui all’art. 41, co. 2, di eguaglianza sostanziale, ex art. 3, co. 2, e di tutela del risparmio ex art. 47 Cost. Pertanto, il regolamento del mercato si allontana dallo schema negoziale, per essere invece collocato tra le fonti normative del diritto, quale frammento in cui si riflette il potere dell’autorità pubblica; al regolamento del mercato si dovrebbero riconoscere i caratteri di generalità, astrattezza e innovatività nell’ordinamento generale, dati dalla facoltà di dettare le condizioni di una serie indeterminata di rapporti realizzati tra il gestore e gli utenti39. Ha fornito nuove argomentazioni alla tesi in commento la legge sul risparmio, l. 262/2005, che ha attribuito alla Consob, in sede di ammissione, sospensione ed esclusione dalla quotazione, il potere di veto nel merito ovvero il potere di imporre il riesame delle decisioni prese dal gestore di una SGM40. Il che ha in parte compensato la caduta del principale argomento a sostegno della tesi pubblicistica, per effetto della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 33 d. lgs. 80/1998, che estendeva la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai servizi pubblici dei mercati finanziari41. Seppur ragionevole nelle sue premesse, la tesi pubblicistica non sembra in grado né di cogliere le trasformazioni del pubblico potere, né di spiegare le dinamiche dei mercati a gestione privata. In primis, è ormai
id=510530&p_v_l_s_g_id=0. In tale prospettiva, Pace sottolinea che la regolamentazione di mercato, seppur proveniente da un soggetto privato, non può porsi in contrasto con i principi che ispirano i regolatori pubblici: Pace, Ammissione, cit., pp. 111 ss. 38 Bigliazzi Geri, Osservazioni minime su «poteri privati» ed interessi legittimi, in Riv. giur. Dir. lav. e prev. soc., 1981, 4, pp. 259 ss. L’A., per superare la formazione di posizioni di autorità all’interno dei rapporti privati, teorizza l’estensione anche al diritto privato, con particolare attenzione agli istituti della famiglia, delle associazioni e dei rapporti di lavoro, della figura dell’interesse legittimo. Contra di Majo, Le forme di tutela contro i cosiddetti «poteri privati», nota a Cass., S. U., 2 novembre 1979, n. 5688, in Giur. it., 1980, I, pp. 440 ss. 39 Manfrellotti, Esercizio, cit., p. 1022. 40 Secondo la formulazione vigente ante riforma del t.u.f., i poteri della Consob diventano maggiormente incisivi nelle operazioni di listing e delisting, come previsto dal combinato disposto degli artt. 64, c. 1-ter, e 74, c. 1-bis, t.u.f. Pace, Ammissione, cit., p. 195. 41 Per un maggiore approfondimento, Caringella, Manuale di diritto amministrati9 vo , Roma, 2016, pp. 315 ss.
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accolta nel diritto positivo42 una definizione mobile di pubblica amministrazione, o meglio “a geometrie variabili”, per cui non è sufficiente l’espletamento di attività finalizzate alla cura in concreto di un interesse pubblico, poiché a questo deve aggiungersi l’investitura formale. Non che quest’ultima non possa avere come destinatario un soggetto di diritto comune: tuttavia, tale investitura non può coincidere con il rilascio dell’autorizzazione alla gestione di un determinato mercato regolamentato. A ciò si aggiunga che, ove tale investitura vi fosse, la conseguenza sarebbe la declinazione delle regole procedimentali dell’agere pubblico43 anche in capo alle società di gestione, con l’effetto di ricadere in una burocratizzazione del mercato, ingabbiando in una struttura rigida il sistema finanziario, la cui efficienza (concorrenzialità, competitività) rappresenta un valore ontologico. In secundis, come corollario, il rilievo pubblicistico della funzione gestoria si rifletterebbe sulla natura delle regole poste dal gestore: a queste ultime non potrebbe riconoscersi natura di norme di azione, perché non sono volte a disciplinare il fluire di un’attività procedimentalizzata, essendo, per contro, dirette a regolare i rapporti che il gestore contrae con l’utente. Ed infatti, le regole che i gestori adottano per governare i propri processi decisionali mirano semplicemente – al pari dei modelli organizzativi adottati dalla generalità delle imprese – ad evitare responsabilità e sanzioni. Prevalente è la tesi che riconosce alla gestione dei mercati regolamentati natura privatistica: il potere connesso alla funzione gestoria è originario, quale espressione del potere di iniziativa economica, e non derivato per effetto di un atto amministrativo di concessione, che farebbe risalire l’imputabilità dell’attività allo Stato44. Detta concezione ha incontrovertibili conferme nell’evidenza normativa: l’art. 61 t.u.f., nella versione previgente alla riforma del t.u.f., esordisce con l’affermazione del carattere di impresa dell’attività di organizzazione e gestione dei mercati, affermazione che vale a spogliare le trading venues delle scorie
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Cfr. art. 7, co. 2, c.p.a., mutuato dall’esperienza comunitaria. I riferimenti sono molteplici, ma in linea meramente esemplificativa si può ricordare il rispetto del principio della trasparenza, che comporta l’applicazione della disciplina dell’accesso agli atti come dettata in seno agli artt. 22 e 23 della l. 241/1990. 44 Nella letteratura giuridica, tra le fila dei sostenitori della tesi privatistica si citano Costi, Il mercato, cit.; Annunziata, La disciplina, cit.; Motti, Problemi, cit., pp. 145 ss., in part. p. 155; Galgano, Regolamenti contrattuali e pene private, in Contr. e impr., 2001, 509 ss.; Sepe, Sub. art. 62, in Comm. t.u.f., a cura di Alpa e Capriglione, cit., pp. 590 ss. 43
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giuspubblicistiche, ancorandole alla disciplina dell’impresa45. Per di più, dall’interpretazione del dato testuale della novella de qua non si evincono indici presuntivi di poteri accrescitivi nella direzione del diritto pubblico, anzi la fattispecie astratta è meramente ricognitiva di poteri che sarebbero comunque spettati al gestore, quale manifestazione dell’autonomia privata e della più generale libertà di iniziativa economica. Inoltre, il regolamento della società di gestione, quale legge privata, è atto integrante per relationem il rapporto contrattuale in essere tra la società di gestione stessa e l’utente, il quale lo accetta all’atto dell’adesione46. Di conseguenza, è dal diritto privato che si estrapolano i rimedi. I rapporti tra gestore di un mercato regolamentato e Consob si sviluppano sull’impianto dell’audited self regulation, in cui la self regulation47 definisce il quomodo della gestione del mercato nei rapporti con l’utenza, intervenendo doverosamente nei casi in cui ne sia fatto obbligo dalla legge o dalla Consob48.
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Annunziata, La disciplina, cit., p. 271. Annunziata, La disciplina, cit., p. 275. 47 Ramajoli, Self regulation, soft regulation e hard regulation nei mercati finanziari, in rRm, 2016, 2, pp. 53 ss. L’A. definisce la self regulation come forma di esercizio dell’autonomia privata che ricorre «quando un gruppo di soggetti e/o una formazione sociale esponenziale di tale gruppo fissano autonomamente regole che li riguardano» e prosegue osservando che nell’ambito dei mercati finanziari sia una prassi diffusa tra gli operatori in grado di anticipare ovvero indirizzare le scelte in sede legislativa, tale da assumere le fattezze di una hard law in fieri. Ed è in ragione di questa forza propulsiva che la self regulation, nell’impianto generale del diritto, rappresenta un momento di raccordo tra la legislazione nazionale e quella comunitaria, oltre che di contatto con i modelli di soft regulation e hard regulation. 48 In giurisprudenza il dibattito non ha avuto rilevanti echi. Infatti, nel merito della questione sovviene una sola ordinanza emessa dal Trib. Milano, 9 febbraio 2000. Nella controversia de qua, i brokers ricorrenti, operatori nel mercato telematico dei contratti a premio (Mpr), attivano un procedimento cautelare ante causam volto all’accertamento della nullità per contrarietà a legge, statuto e regolamento delle delibere attraverso le quali nel tempo la Borsa Italiana s.p.a. ha compresso il mercato dei premi e ampliato quello dei derivati. I ricorrenti fondano le proprie ragioni – particolarmente – sulla lettura dell’art. 63, co. 1, lett. b), t.u.f., secondo cui il regolamento del mercato deve assicurare nelle proprie prescrizioni la regolarità delle negoziazioni e la tutela degli investitori, inteso come dovere in capo al gestore di una SGM di garantire nell’interesse generale la corretta concorrenza tra i mercati. Di contraltare, Borsa Italiana basa la propria difesa sulla natura imprenditoriale riconosciuta al gestore del mercato dall’art. 61 t.u.f., avente pertanto piena libertà di scelta in materia di organizzazione interna e di gestione delle negoziazioni nel mercato. Il G.D. ha accolto le conclusioni, propendendo per la tesi privatistica, per cui le scelte di mercato non possono essere censurate a meno che non siano del tutto arbitrarie ovvero irrazionali, patologia su cui è riconosciuto il potere di 46
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Vi è tuttavia anche un terzo orientamento, che esamina atomisticamente le singole funzioni svolte dai gestori, anziché concludere per una valenza tout court privatistica ovvero pubblicistica. Possono, infatti, coesistere atti che rappresentano una manifestazione di autonomia negoziale con atti che, invece, si innestano con l’agere pubblico nella cura di un interesse generale49, per cui si può discorrere appunto di rapporti «eterogenei»50. Di conseguenza taluni aspetti devono essere affrontati attraverso gli strumenti della disciplina generale del contratto, principalmente nella sfera dell’organizzazione e gestione del mercato e della prestazione dei servizi, aspetti che si riversano nella fisionomia del vincolo normativo in essere con gli operatori sul mercato, alla stregua del riconoscimento legislativo come attività di impresa51. Ma il multiforme novero di poteri riconosciuti alla Consob in seno al t.u.f. – regolamentari, autorizzativi, di vigilanza ispettiva e informativa, oltre che sostitutivi in casi specificatamente individuati52 – comporta che altri
intervento della Consob. Tra i primi annotatori della ordinanza, Costi, nel rendere un parere pro veritate, caldeggia le conclusioni raggiunte dal giudice meneghino con il richiamo dei principi generali che, all’indomani del Decreto Eurosim, governano i mercati regolamentati. Scrive l’A. in conformità alla previsione dell’art. 61, co. 1, t.u.f., «si tratta di un’attività “privata”, che non integra in alcun modo neppure i caratteri del servizio pubblico in senso oggettivo, anche se sottoposta ad una disciplina speciale»: Costi, Libertà d’impresa e gestione dei mercati regolamentati, in Giur. comm., 2000, II, p. 104. Di Chio assume una posizione di compromesso tra le soluzioni raggiunte dall’autorità giudiziaria e la tesi pubblicistica, imperante fino a poco tempo prima. Infatti, sottolinea che l’autonomia d’impresa del gestore di un mercato regolamentato non si dispiega in termini di piena libertà di scelta nella gestione bensì è «condizionata» in quanto subordinata ad un giudizio di conformità ai principi dettati dalla Consob. Dunque, in una prospettiva di complesso le scelte di gestione non devono arrivare a collidere con l’obiettivo di interesse generale alla tutela del mercato: Di Chio, I limiti dell’autonomia imprenditoriale delle società di gestione dei mercati regolamentati, nota a Trib. Milano, 9 febbraio 2000 (ord.), in Giur. it., 2000, pp. 1435 ss. 49 Notari, Contratto e regolamentazione nella quotazione di borsa, in Riv. soc., 2003, 3, p. 505. 50 Data la natura ambivalente delle funzioni che possono essere ricostruite in capo al gestore nell’esercizio dei servizi di mercato, si discosta dai postulati della tesi “privatistica pura”: Ventoruzzo, Natura giuridica e disciplina del rapporto tra società di gestione di mercati regolamentati e intermediari ammessi all’attività di negoziazione: considerazioni a margine di un caso di “cancellazione” di contratti conclusi tra operatori, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, pp. 710 ss., in part. p. 720, a cui si rimanda per più ampî riferimenti dottrinari. 51 Notari, Contratto, cit., pp. 505-506. 52 Notari, Contratto, cit., pp. 497 ss.
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segmenti dell’attività del servizio-mercato seguano un’impostazione di matrice pubblicistica: «le funzioni regolamentari, decisorie, di vigilanza e sanzionatorie che la disciplina italiana affida alla società di gestione del mercato e che caratterizzano soprattutto il rapporto tra di essa e le società emittenti di titoli quotati» si proiettano, nel particolare, alla cura di un interesse generale, del quale a livello superiore si pone a custode l’autorità indipendente. Pertanto, la chiave di lettura di questo profilo dei rapporti non potranno che essere i principi del diritto amministrativo53. 3.3. Confronto con la disciplina dei gestori dei portali di crowdfunding. La legge descrive la funzione economica del gestore di portali, consistente nel facilitare la raccolta di capitale di rischio da parte delle PMI, degli organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società che investono prevalentemente in PMI (cfr. art. 1, co. 5-novies, t.u.f.), senza far cenno alle regole di funzionamento54. Vi è solo un accenno indiretto alla disciplina del portale nell’art. 50-quinquies, co. 2, t.u.f., nel quale vengono regolati l’accesso e l’esercizio dell’attività di gestione; inoltre, il citato articolo descrive la funzione economica assolta dalle piattaforme on-line, non accennando, però, né a regole di funzionamento, né al rapporto con intermediari ed emittenti ammessi al portale – vi è solo la previsione della competenza della Consob a fissare, con proprio regolamento, i principi e i criteri direttivi in materia di regole di condotta che i gestori dei portali devono rispettare nel rapporto con gli investitori (co. 5, lett. d). Neppure l’art. 100-ter – che in relazione alla distribuzione tramite portale deroga sia all’obbligo della forma scritta che all’obbligo di prospetto – accenna alla funzione regolatoria del gestore, limitandosi ad attribuire alla Consob il potere di determinare la disciplina applicabile alle offerte tramite portale, affinché una quota dei titoli sia sottoscritta da investitori professionali, nonché «di tutelare gli investitori diversi dai
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Notari, Contratto, cit., p. 506. Per tale aspetto, non ha innovato il nuovo testo introdotto dal d. lgs. 3 agosto 2017, n. 129: «per portale per la raccolta di capitali per le piccole medie imprese e per le imprese sociali” si intende una piattaforma on-line che abbia come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitale di rischio da parte delle piccole e medie imprese, come definite dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), primo alinea, del regolamento (UE) 2017/1229, delle imprese sociali e degli organismi di investimento collettivo del risparmio o di altre società che investono prevalentemente in piccole medie imprese». 54
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clienti professionali nel caso in cui i soci di controllo della piccola e media impresa o dell’impresa sociale cedano le proprie partecipazioni a terzi successivamente all’offerta» (co. 2). L’articolo de quo, inoltre, effettua un mero rimando implicito al diritto di co-vendita e rimane silente in tema di trasparenza dei patti parasociali. Tale ultimo obbligo si deduce per implicito dall’interpretazione del dato normativo, in quanto è strumentale alle operazioni di cessione del controllo, diretto e indiretto, nel caso in cui vengano in rilievo circostanze come il controllo congiunto da patto di sindacato, al quale la norma fornisce una copertura normativa, seppur generica. Solo con il Regolamento Consob è introdotta una disciplina dell’ammissione al portale. L’art. 24 del Regolamento, al primo comma, prescrive che il gestore del portale debba verificare che lo statuto dell’emittente preveda la comunicazione alla società nonché la pubblicazione dei patti parasociali nel sito internet della società stessa, e inoltre riconosca il diritto di recesso o di co-vendita delle partecipazioni possedute, nonché modalità e condizioni di esercizio, qualora i soci di controllo trasferiscano, dopo il lancio dell’offerta, il proprio pacchetto di partecipazioni a investitori non professionali. Ai fini del perfezionamento degli ordini di adesione, poi, l’art. 25 ordina la costituzione della provvista nel conto indisponibile dell’emittente, a tutela del diritto di revoca riconosciuto all’investitore. Dunque è evidente come si pongano problemi di coordinamento con la disciplina della circolazione della partecipazione sociale (in caso di offerta riguardante partecipazioni esistenti)55 e dell’aumento di capitale (in caso di offerta riguardante azioni o quote di nuova emissione). Nel prevedere l’obbligo di verificare la presenza di determinate clausole statutarie, il Regolamento Consob non conferisce esplicitamente alcun potere di conformarne il contenuto. Tuttavia – a parte le valutazioni di opportunità sul piano concorrenziale – nulla vieta che il gestore decida di suggerire un modello di clausola o ne disciplini in altro modo la redazione, anche al fine di chiarire i presupposti degli obblighi previsti dal Regolamento (ad esempio, la nozione di patto parasociale, i termini per la comunicazione alla società, le conseguenze in caso di violazione dell’obbligo, ecc.). E ciò a ben vedere potrebbe accadere anche per
55 Per un raffronto critico con la disciplina dettata in tema di s.p.a. e s.r.l., Dentamaro, Equitycrowdfunding, trasferimento del controllo e strumenti a difesa dell’investitore. Qualche problema applicativo?, in Giustiziacivile.com, 2017.
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materie non contemplate dal Regolamento Consob (per citare un solo esempio, le categorie speciali di quote di società a responsabilità limitata, di cui si ammette la creazione negli statuti a norma dell’art. 26 d.l. 179/2012), nell’ottica di favorire la standardizzazione degli strumenti finanziari ammessi al portale, e di riflesso la confrontabilità delle offerte56. Il che apre la strada all’esercizio di una funzione regolativa – non contra legem, bensì praeter legem – da parte del gestore. La possibilità che il gestore appresti una disciplina che vada al di là delle regole di funzionamento del portale è d’altra parte suggerita anche da altre previsioni del Regolamento Consob, come ad esempio nelle ipotesi indicate dall’All. 3 – Relazione sull’attività d’impresa e sulla struttura organizzativa, allorché dispone che sia presentata, al momento del rilascio dell’autorizzazione, una dettagliata descrizione delle attività che il gestore intende svolgere. Fra queste, in particolare, le modalità di selezione delle offerte da presentare sul portale, le informazioni periodiche sui traguardi raggiunti dagli emittenti, gli eventuali meccanismi di valorizzazione o di rilevazione dei prezzi degli strumenti ammessi, gli eventuali meccanismi per facilitare i flussi informativi fra gli emittenti e gli investitori, la politica di identificazione e di gestione dei conflitti di interesse. In sintesi, si può concludere che potenzialmente i gestori dei portali possono svolgere una funzione regolatoria, ma – a differenza dei gestori di mercati regolamentati – essa si svolge in assenza di una precisa base giuridica e, dunque, è totalmente affidata agli strumenti negoziali.
4. Natura delle regole poste dai gestori di portali. Quale forma di regolamentazione giusprivatistica, attraverso il modulo tipico dei contratti per adesione, le regole del portale sono trasfuse nella disciplina del contratto con ciascun emittente, che al pari di ogni
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La libertà, seppur per le sole PMI, di creare categorie speciali di quote permette di discriminare nella compagine sociale i soci fondatori dai soci sottoscrittori di quote offerte attraverso crowdfunding, i quali possono non avere una vocazione alla gestione della società. Sotto questo aspetto si assiste ad un avvicinamento tra i modelli societari della s.r.l. e della s.p.a. Sul punto, tra i primi commenti all’art. 26 d.l. 179/2012, Cappelli, L’equity based crowdfunding e i diritti del socio, in Orizz. dir. comm., 2014. Similmente, Guaccero, La start-up innovativa in forma di società a responsabilità limitata: raccolta del capitale di rischio ed equity crowdfunding, in Banca, borsa, tit. cred., 2014, pp. 713 ss.
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altro contratto assolve a una funzione normativa (art. 1372 c.c.)57. Questione diversa è se a tali regole possa altresì riconoscersi valore di fonte di diritto obiettivo. Si ritiene opportuno affrontare tale argomento esaminando il possibile contenuto dei requisiti di ammissione degli emittenti al portale. Pur nel silenzio delle fonti sia primarie che secondarie al riguardo, il gestore ben potrebbe stabilire regole destinate a garantire la standardizzazione dei titoli ammessi, a rafforzare la tutela degli investitori e addirittura dettare prescrizioni – oltre che nelle materie evocate dal regolamento Consob: diritto di exit, trasparenza dei patti parasociali – in materia di diritti di partecipazione, obblighi di informazione, governance. Il ruolo attribuito ai gestori dei portali pone l’interrogativo se le regole da questi eventualmente elaborate, quanto meno in relazione ai compiti ad essi attribuiti dalla Consob, rimangano confinate ai soli rapporti negoziali o acquistino rilevanza “reale” svolgendo una funzione analoga alle regole di diritto obiettivo che governano l’azione societaria. Come si è detto, la Consob rinvia a un potere omologatorio del gestore del portale, il quale potrebbe limitarsi a un controllo caso per caso di conformità della regola statutaria di trasparenza dell’emittente; ovvero, potrebbe adottare una regola di ammissione degli emittenti che funga da filtro sul contenuto delle clausole. In quest’ultimo caso, pertanto, procederà al riscontro della corrispondenza della clausola statutaria con la regola privata astratta, posta dal gestore medesimo. In considerazione della possibilità di istituire un confronto con la disciplina legale delle società “diffuse”, sembra opportuno esaminare le possibili modalità di esercizio di tale potere, in relazione agli obblighi di trasparenza dei patti parasociali. Si ipotizzi la sussistenza di una regola adottata dal gestore del portale, che subordini l’ammissione dell’emittente alla presenza di una conforme clausola nell’atto costitutivo/statuto. Potrebbero verificarsi due situazioni: i contenuti della regola sono correttamente trasfusi nella clausola statutaria, o – all’opposto – la clausola statutaria non è presente o è difforme rispetto a quanto richiesto ai fini dell’ammissione al portale (senza che ciò sia stato rilevato al momento dell’ammissione stessa). In
57 Si dovrebbe distinguere nella struttura contrattuale, accanto ad un profilo descrittivo, che identifica l’oggetto del contratto, un profilo c.d. normativo ovvero regolatorio, volto a dettare i precetti che le parti, nei loro rapporti reciproci, dovranno seguire. V. per tutti Orlandi, Le condizioni generali di contratto come fonte secondaria, in Tradizione civilistica e complessità del sistema, valutazioni storiche e prospettive della parte generale del contratto, a cura di Macario e Miletti, Milano, 2006, pp. 361 ss.
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entrambe le situazioni, ci si può chiedere che cosa accada ove una deliberazione assembleare sia stata assunta in difetto di pubblicità del patto parasociale, con il voto determinante dei partecipanti al patto. Nella prima situazione, vale a dire qualora nello statuto vi fosse una clausola conforme alle regole del portale, si configurerebbe sicuramente un vizio della delibera, per effetto della violazione di una clausola statutaria, vizio dal quale consegue l’impugnabilità della deliberazione. All’opposto, la violazione degli obblighi di trasparenza dei patti parasociali nell’ambito delle società quotate – come è noto – configura un vizio di invalidità per violazione di legge (art. 122, co. 4, t.u.f.). Si tratterebbe, dunque, di una ulteriore manifestazione di quel fenomeno denominato da autorevole dottrina come negozializzazione o contrattualizzazione del diritto societario58. Nonostante la seconda situazione alla quale si è accennato possa apparire un’ipotesi di scuola (poiché presuppone una grave negligenza del gestore in sede di verifica dei requisiti per l’ammissione al portale), conoscitivamente è utile prospettare il caso in cui un emittente sia ammesso al portale nonostante la regola statutaria non vi fosse, ovvero fosse difforme rispetto alle prescrizioni del gestore. L’interrogativo è se la decisione adottata con il voto marginale dei partecipanti al patto parasociale, nonostante la mancata pubblicità di quest’ultimo, sia da ritenersi invalida per violazione di regole di diritto obiettivo, ossia la regola posta dal gestore del portale, così da porre il vizio sul medesimo piano della violazione di legge. A siffatta prospettazione non è d’ostacolo la carenza del carattere di legge in senso formale. La vischiosità data dal generico riferimento al concetto di legge, infatti, viene arginata da solida giurisprudenza e dottrina che attribuiscono al lemma significato comprensivo di ogni norma ascrivibile come fonte riconosciuta dall’ordinamento59. Un esempio significativo è offerto dal rinvio di cui all’art. 2391-bis c.c. alle previsioni del Regolamento Consob in tema di operazioni con parti correlate: il legislatore demanda all’autorità di controllo il compito di stabilire i principi generali, esercitando funzioni paranormative, tanto da evocare
58 Rossi, Competizione regolamentare e contrattualizzazione del diritto societario, in Mercato delle regole e regole del mercato, il diritto societario e il ruolo del legislatore, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Venezia, 13 - 14 novembre 2015, in Collana della Rivista delle società, Milano, 2016, p. 23 ss., in part. p. 30. 59 Zanarone, L’invalidità delle deliberazioni assembleari, in Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, 3**, Torino, 1993, p. 220, nt. 3.
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il rischio di una possibile inversione dell’ordine delle fonti60. Tuttavia, essendo tali funzioni sorrette da «una adeguata ed espressa delega da parte della fonte primaria»61, la disciplina in esame è stata considerata un esempio virtuoso di interrelazione tra autonomia privata, norme secondarie e norme primarie62. Ora, a parte la diversa natura (impresa e non autorità pubblica) del gestore dei portali, non sembra che il medesimo carattere di legge in senso sostanziale possa essere attribuito alle regole adottate dal gestore del portale, sia pure in vista di interessi generali (un livello adeguato di tutela degli investitori, evitando disparità di trattamento; il più efficace assolvimento delle funzioni di verifica in sede di ammissione dell’emittente al portale): non vi è nella fonte primaria un esplicito riconoscimento alla Consob del potere di delegare funzioni regolative al gestore, non essendo sufficiente a tal fine il potere di adottare tutte le misure necessarie alla tutela degli investitori (art. 100-ter t.u.f.)63, né il potere di verifica attribuito dal Regolamento Consob al gestore implica necessariamente un potere conformativo dell’autonomia statutaria nei confronti degli emittenti. Può accadere che per mezzo della regolazione privata si addivenga a tracciare un precetto, una regola o una convenzione attinente al caso, tale da colmare lacune lasciate da chi conferisce la “delega”. Il trasferimento di poteri regolatori ai privati da parte di soggetti pubblici all’interno del contesto dei mercati comporta un rinvio essenzialmente
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L’opinione è di Montalenti, che in plurime occasioni ha rimarcato il concetto. V. in particolare Montalenti, Nuove clausole generali del diritto commerciale tra civil e common law, in Impresa società mercati finanziari, Torino, 2017, p. 38, a cui si rinvia per ulteriori riferimenti sul punto. 61 Marchetti, Il crescente ruolo delle autorità di controllo nella disciplina delle società quotate, in Regole del mercato, cit., p. 63. Afferma l’A. che «in linea preliminare e di metodo osservo come di per sé il fatto che un’autorità di controllo abbia un potere di dettare norme in materia societaria non mi inorridisce». 62 Montalenti, Impresa società di capitali mercati finanziari, cit., p. 33; Id., Operazioni con parti correlate, in Giur. comm., 2011, I, pp. 319 ss. 63 Come è noto, il problema se una generica previsione, che attribuisca al regolatore pubblico il potere di adottare qualsiasi misura necessaria alla tutela degli investitori, sia sufficiente a fondare una regola di diritto societario, si pose a suo tempo in relazione alla Rule 19c - 4 della Securitiuies and Exchnge Commission, introdotta al fine di evitare che il NYSE eliminasse la regola one share-one vote dai propri listing requirements, In argomento, v. per tutti Bainbridge, The Short Life and Resurrection of SEC Rule 19c-4. Washington University Law Quarterly, 1991, 69, pp. 565-634, consultabile all’indirizzo SSRN: https://ssrn.com/abstract=315375 o http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.315375.
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agli strumenti privatistici del contratto64, ma il passaggio di consegne è pur sempre governato dal principio di legalità65, elemento imprescindibile affinché la regulatory law, travalicando il piano della razionalità materiale66, possa trovare posto nella sistematica delle fonti del diritto. Il principio di legalità è ordre savant all’interno di un sistema fluido come quello del mercato67: non c’è un’abdicazione nell’organizzare i sottosistemi e nella redistribuzione delle competenze68, ma al contrario la funzione della legge è di amalgamare una frammentata realtà regolatoria, feudalizzata in plurime autorità private. L’autoregolamentazione, come forma di partecipazione nella creazione della regola, deve porsi in costante dialettica con il principio di legalità, appunto, e con i suoi corollari di sovranità e democraticità69, immettendosi, solo per tale via, nello svolgimento del sistema delle fonti70. L’autoregolamentazione non può atteggiarsi a fonte del diritto in quanto è una forma di produzione periferica del diritto che erode il principio di legalità comportando come corollario un deficit in termini di democraticità71.
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L’effetto è che la regolazione privata soggiace al vaglio della disciplina della concorrenza, diretta ad assicurare l’equilibrio tra i regolatori privati e il controllo sui rischi di abuso. Cafaggi, La dimensione, cit., p. 317. 65 «La sovranità statale, nel farsi inizio e principio di altre fonti normative, erode e disintegra sé stessa»: Irti, Sul problema, cit., p. 702. 66 Teubner, Juridification – Concepts, aspects, Limits, Solutions, in Teubner, a cura di, Juridification of Social Spheres: A comparative Analysis in the Areas of Labor, Corporate, Antitrust and Social Welfare Law, Berlin, 1987, p. 19. 67 La preminenza di norme giuridiche inderogabili è elemento dirimente tra il diritto commerciale come pensato dai sistemi di civil law rispetto ai sistemi di common law, la cui ossatura va ricercata maggiormente nel precedente giurisprudenziale: Goode, Il diritto commerciale del terzo millennio, in Giuristi stranieri di oggi, Milano, 2003, p. 17 ss. 68 Criscuolo, L’autodisciplina, Autonomia privata e sistemi delle fonti, Napoli, 2000, pp. 7 e 89. 69 Cafaggi, La dimensione, cit., p. 320. 70 Spiega Irti che «il criterio formale, da cui dipende l’appartenere o non appartenere di una norma al sistema prescelto, risale indietro ad un fatto; ma questo fatto, dal suo canto, non può rimanere tale, e deve tradursi in criterio formale. La storia è in grado di descrivere genesi o efficacia di una norma, ma non di spiegare la sua validità. La validità di una norma – ossia perché una posizione del volere umano si converta in volere giuridico – è spiegabile soltanto in base ai criteri procedurali del singolo ordinamento. La scelta dell’ordinamento, che il giurista assume per sovrano ed esclusivo, è insieme, scelta di una gerarchia delle fonti»: Irti, Sul problema, cit., p. 698 ss. 71 Si dissolve il rapporto di necessaria verticalità tra la democrazia politica su cui ap-
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Tanto autorizza a concludere, alla stregua del principio di legalità e alla luce del sistema delle fonti, che anche se vi fossero delle regole in materia di trasparenza dei patti parasociali dirette a conformare il contenuto delle clausole statutarie degli emittenti ammessi, queste non sarebbero ascrivibili al rango di norme, e non potrebbero pertanto fungere da regole di validità. Si potrà ipotizzare, per contro, che la violazione della regola posta dal gestore configuri un inadempimento degli impegni assunti dall’emittente, legittimando l’adozione di provvedimenti che incidono sulla permanenza dell’offerta sul portale (salvo il diritto al risarcimento del danno in favore di chi abbia subito un pregiudizio per effetto della negligenza del gestore nel disporre l’ammissione al portale).
5. Osservazioni conclusive. Globalizzazione, deterritorializzazione e progresso tecnologico72 sono le coordinate che definiscono lo spazio entro cui collocare lo studio delle autorità private nel contesto dei mercati finanziari. La comparsa di queste nuove micro-razionalità73 normative si spiega alla luce dell’esigenza di confezionare regole per i nuovi mercati del diritto in maniera celere e pronta alla mutevolezza dei rapporti che legano a doppia elica società e mercati74. Così cambiano le relazioni tra diritto, società e politica75; e nel tempo cambiano i connotati e le prerogative
poggia la produzione legislativa e la democrazia normativa, eco della prima nel contesto della regolazione privata. M. Orlandi, Le condizioni, cit., p. 378. 72 Fortunato, Crisi, economia di mercato e modelli alternativi: provocazioni per il giurista, in Orizz. dir. comm., 2013, p. 11; Montalenti, Impresa, cit., p. 13; Id., Il diritto commerciale dalla separazione dei codici alla globalizzazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, pp. 391 ss., in part. p. 397; Hamaui, La competizione fra mercati e intermediari ed il nuovo ruolo della regolamentazione, in Banca, Impresa, Soc., 2000, 2, p. 289. 73 Rodotà, Repertorio di fine secolo, Bari, 1999, pp. 35 ss. 74 Lipari, Fonti del diritto e autonomia dei privati (Spunti di riflessione), in Riv. dir. civ., 2007, p. 732. 75 La relazione di questi indicatori – c.d. “collegamento strutturale” – è alla base del trilemma regolativo di Teubner, secondo il quale «l’inanità del diritto nell’occuparsi di fenomeni sociali o politici si traduce in un gap regolativo, nelle tre diverse forme dell’incongruenza, dell’iperlegalizzazione ovvero dell’ipersocializzazione»: Teubner, Il Trilemma regolativo. A proposito della polemica sui modelli giuridici post – strumentali, in Pol. dir., 1987, 1, pp. 85 ss., in part. p. 101. V. anche, Torre, La “privatizzazione” delle fonti di diritto penale, un’analisi comparata dei modelli di responsabilità penale nell’esercizio dell’attività d’impresa, Bologna, 2013, pp. 50 ss.
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dei regolatori privati e pubblici: ne è testimone l’evoluzione storica dei compiti della Consob76. L’amministrativizzazione del diritto dei mercati finanziari, che ha progressivamente accresciuto le funzioni paranormative della Consob77, si è accompagnata all’introduzione dei sistemi di private ordering78. Gli stessi protagonisti del mercato79 partecipano in vario modo al processo di produzione delle regole80 al fine di avvicinare la risposta giuridica agli interessi regolati. Non è “diritto mite”81 né tanto meno bisogno di meno diritto82: rimane cogente il legame con il centro del potere legislativo83, e la dispersio-
76 Tra le prime monografie dedicate all’Autorità di vigilanza del mercato, è doveroso citare le preziose pagine di Minervini, La Consob. Lezioni di diritto del mercato finanziario, Napoli, 1989. 77 Bianchi, Le linee di tendenza dell’evoluzione dei poteri della Consob (nei confronti degli emittenti), in Regole del mercato, cit., pp. 339-341 ss. In argomento, Rescigno in un suo saggio illustra la sussistenza di due distinti approcci dogmatici al fenomeno: un primo riconducibile alle autorevoli opinioni di Merusi e Marzona, i quali hanno sostenuto trattarsi di pronunce normative aventi pari grado sostanziale rispetto a quelle di rango primario, sino ad ammettere la valenza applicativa del principio della lex posterior; un secondo, la cui paternità è riconducibile a Denozza, che «rammenta la necessità di una diretta derivazione dall’investitura legislativa del potere regolamentare, sottolineando in misura più o meno marcata la necessità che l’investitura legislativa, il «passo indietro» del legislatore, sia non solo espresso, ma anche accompagnato da una indicazione sufficientemente precisa dei principi generali, delle scelte fondamentali entro le quali tale potestà normativa deve muoversi». Rescigno, La Consob: un legislatore-giudice «dimezzato»?, in Stato mer., 61, 2001, p. 107 ss. 78 Marchetti, Il crescente ruolo, cit., p. 66; Cafaggi, Un diritto privato, cit., p. 207. 79 Gitti, Vecchi e nuovi confini dell’autonomia contrattuale, in Tradizione, a cura di Macario e Miletti, cit., p. 395. 80 Il decentramento normativo porta a non collocare concettualmente lo Stato in una posizione di gerarchia rispetto ai governati, poiché i rapporti si sviluppano orizzontalmente (c.d. herethical): Torre, La “privatizzazione”, cit., pp. 19, 32 e 57 ss. 81 Criscuolo prende in prestito la denominazione dal titolo del saggio di Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge, diritti e giustizia, Torino, 1992, sottolineando come sia un’espressione «fortemente suggestiva nella misura in cui non voglia preludere ad una perdita da parte del diritto del suo ruolo intrinseco che è stato e deve rimanere quello di promozione e di governo dei fenomeni sociali, di selezione politica degli obiettivi e dei valori». Criscuolo, L’autodisciplina, cit., p. 19. 82 Irti, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 2003, VIII-IX. 83 Come è stato osservato, «formule come deregulation… non alludono al bisogno di “meno diritto”, ma ad una diversa organizzazione del sistema delle fonti e ad una diversa finalizzazione delle regole…così la deregulation implica la sostituzione della fonte regolatrice privata a quella pubblica, non la fine della regolamentazione giuridica»: Rodotà, Del ceto dei giuristi e di alcune sue politiche del diritto, in Pol. dir., 1986, pp. 8 ss.
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ne delle competenze è moderata sull’impronta del principio di proporzionalità e del principio di sussidiarietà84; i regolatori privati sono tuttora riconoscibili come autorità private il cui potere si articola coerentemente alle regole del contratto85.
Federica Boncristiano
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Lipari, Fonti, cit., 729; Rangone, Mercati finanziari e qualità delle regole, in Banca, impresa, soc., 2010, 1, pp. 55 ss. In specie, l’A. contempla il ricorso ai principi di adeguatezza oltre che di proporzionalità, inteso quest’ultimo come «criterio di esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con il minore sacrificio degli interessi dei destinatari» e che troverebbe enunciazione, per il diritto dei mercati finanziari, nella lettera dell’art. 23, l. 262/2005. Alpa afferma che si è passati dal “mito dello stato onnipresente” alla “mistica della volontà privata sostitutiva dell’intervento statale.”: Alpa, La c.d. giuridificazione delle logiche dell’economia di mercato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, pp. 725 ss. 85 L’uso delle categorie del contratto «sorregge la fondazione costituzionale dell’autonomia privata» con il derivante beneficio di porre l’istituto de quo senza soluzioni di continuità con il divenire economico e sociale. C. Scogliamiglio, «Statuti» dell’autonomia privata e regole ermeneutiche nella prospettiva storica e nella contrapposizione tra parte generale e disciplina di settore, in Tradizione, a cura di Macario e Miletti, cit., pp. 289290.
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I patti parasociali e le partecipazioni rilevanti nelle banche. I Tribunale di Genova, sez. specializzata in materia di impresa, ordinanza 19 settembre 2018; Giudice unico Calcagno; Malacalza Investimenti s.r.l. c. Banca Carige s.p.a. Banche – Partecipazioni – Soci che posseggono una quota del capitale sociale pari o superiore al 10 per cento – Patto parasociale per la nomina dei membri del c.d.a. – Influenza notevole – Necessità dell’autorizzazione della Autorità di Vigilanza – Sussiste (D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, artt. 22, 24) Banche – Partecipazioni – Soci che posseggono una quota del capitale sociale pari o superiore al 10 per cento – Patto parasociale per la nomina dei membri del c.d.a. – Mancanza della autorizzazione della Autorità di Vigilanza – Inibizione dei diritti di voto – Applicazione proporzionale nei confronti di tutti i pasciscenti per la quota superiore al 10 per cento (D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, artt. 19, 22, 139) Banche – Partecipazioni – Soci che posseggono una quota del capitale sociale inferiore al 10 per cento – Patto parasociale per la nomina dei membri del c.d.a. – Accertamento in concreto dell’esistenza di una influenza notevole – Impossibilità in sede di procedimento ex art. 700 c.p.c. (D.lgs. 1 settembre 1993, artt. 19, 24; Cod. proc. civ., art. 700) Il patto parasociale concluso tra soci che posseggono una quota pari o superiore al 10% del capitale sociale deve essere considerato rilevante ai sensi dell’art. 22 e 24 t.u.b. e necessita quindi della autorizzazione dell’Autorità di Vigilanza anche se non contenga un accordo sulla gestione societaria ma si limiti a disciplinare l’esercizio del voto per la nomina di un organo amministrativo. (1) L’inibizione all’esercizio dei diritti sociali inerenti una partecipazione superiore al 10% del capitale non autorizzata ai sensi dell’art. 19 t.u.b. ed assunta congiuntamente da più pasciscenti-concertisti ai sensi dell’art. 22, co. 1-bis
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t.u.b. ha natura sanzionatoria e, pertanto, deve colpire in modo (proporzionalmente) eguale tutti i pascicenti e non, invece, seguendo un criterio cronologico, inibire per prima quella partecipazione vincolata al patto parasociale che sia stata assunta da ultima e solo dopo, per la differenza, le partecipazioni assunte in precedenza. (2) In caso di esercizio di concerto dei diritti sociali per una percentuale del capitale inferiore al 10 per cento l’influenza notevole non può ritenersi sussistere automaticamente ma deve essere oggetto di accertamento in concreto sulla base di valutazioni complesse che non possono essere effettuate nel procedimento ex art. 700 c.p.c. (3)
(Omissis) Il Giudice, all’esito dell’udienza in data 15 settembre, sentiti i difensori; rilevato che in data 17 settembre parte ricorrente ha depositato un documento nel fascicolo telematico, allegandone la sopravvenienza rispetto all’udienza; ritenuto che tale documento, al di là della sua natura pubblica o meno, non solo non verrà esaminato, ma dovrà essere espunto dal fascicolo, dovendo sullo stesso essere promosso un contraddittorio nella realtà impossibile, attesi i tempi ristretti della decisione, conseguenti alla data fissata per l’Assemblea ordinaria della Società Carige S.p.A.; ritenuto che, egualmente, la memoria depositata da Pop12 Sàrl in data 18 settembre 2018 non solo non verrà esaminata ma, come il precedente documento, dovrà essere espunta dal fascicolo; osserva quanto segue. 1. I fatti dedotti e le difese delle parti. Malacalza Investimenti S.r.l., da ora Malacalza, ha depositato ricorso
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ai sensi dell’art. 700 cpc esponendo i seguenti fatti. Il 9 luglio 2018 Raffaele Mincione, titolare attraverso la Pop 12 Sàrl, da ora Pop 12, di una partecipazione del capitale sociale di Banca Carige SpA, da ora Carige, pari al 5,428%, ha chiesto al CdA la convocazione dell’Assemblea ai sensi dell’art. 2367 cc per deliberare la revoca del CdA in carica e la nomina di un nuovo organo amministrativo, iniziativa assunta dopo l’ingresso nella compagine societaria avvenuto nel febbraio 2018. Nei giorni successivi alla richiesta di convocazione dell’Assemblea, una iniziativa analoga è stata assunta dal ricorrente e nel frattempo il Prof. Avv. Tesauro ha rassegnato le dimissioni da Consigliere e Presidente del CdA e nei giorni successivi hanno presentato le dimissioni altri tre consiglieri. Il 3 agosto 2018, dopo l’invito pervenuto dalla BCE con comunicazione 20 luglio di fissare l’Assemblea entro il termine del 30 settembre al fine di provvedere alla nomina un nuovo Presidente del CdA, l’organo amministrativo ha convocato l’assemblea ordinaria dei soci per la data del 20 settembre 2018. Successivamente alla
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convocazione dell’Assemblea sono intervenute le dimissioni di altri quattro consiglieri, con la conseguente decadenza dell’intero organo collegiale (otto su quindici), ai sensi dell’art. 18 c. 2 Statuto Carige. Ne è seguita una richiesta di integrazione dell’Ordine del Giorno da parte dell’esponente contenente la proposta, ove ritenuto decaduto l’intero consiglio di Amministrazione, di procedere alla nomina dei componenti previa determinazione del loro numero, integrazione accolta dal CdA. In relazione al rinnovo del CdA, oltre alla lista dell’esponente sono state presentate altre tre liste. Tra queste, quella presentata da Pop12 in esecuzione del patto di sindacato sottoscritto con la Compania Financiera Lonestar SA, società riconducibile a Gabriele Volpi, da ora Lonestar, e da Spininvest Srl, riconducibile a Aldo Spinelli, è affetta da gravissime irregolarità comportando l’esercizio concertato di diritti pari ad una quota di partecipazione del 15,198% del capitale, oltre la soglia consentita dal combinato disposto degli artt. 19 e 22 t.u.b. ed oltre quella, più bassa, che consente ai pattisti di esercitare insieme una influenza notevole, in assenza delle prescritte autorizzazioni da parte del BCE. Il patto è stato comunicato alla Consob ed alla Banca d’Italia ma i pattisti non hanno chiesto l’autorizzazione prevista dal combinato degli artt. 19 e 22 t.u.b. e 5 Delibera CICR 675/2011. La ricorrente ha allegato l’inidoneità dei pattisti al conseguimento dell’autorizzazione all’acquisto di partecipazioni qualificate. In merito ai presupposti in diritto del ricorso, la difesa Malacalza ha argomentato sotto i seguenti profili.
La necessità dell’autorizzazione per l’acquisizione di concerto di partecipazioni superiori al 10% del capitale di una banca o che attribuiscono la possibilità di esercitare un’influenza notevole come previsto dall’art. 19 del t.u.b., regime autorizzativo esteso, attraverso l’art. 22 c. 1-bis t.u.b. e 5 Decreto CICR 2011 anche ai casi in cui l’acquirente o candidato tale non acquisti da solo ma di concerto con una o più persone, con l’intento di esercitare, secondo le modalità concordate, i diritti associati alle partecipazioni; l’articolo 5 co. 2 configura il concerto anche quando gli accordi siano stipulati entro l’anno successivo alla acquisizione. La mancata richiesta di autorizzazione comporta le conseguenze di cui all’art. 24 t.u.b., precisamente la automatica sterilizzazione dei diritti sociali. Le conseguenze, sotto il profilo dell’illegittimo esercizio dell’influenza notevole, determinano la venuta meno del diritto alla presentazione della lista di candidati, siccome espressione di uno dei diritti proprio della partecipazione, nonché la venuta meno di ogni diritto di voto, dovendo ritenersi la conseguenza dell’ipotesi di influenza notevole non autorizzata sanzionata con la sterilizzazione di tutta la partecipazione. Qualora si ritenesse il superamento del 10% e dunque la sterilizzazione della quota superiore al 10%, poiché l’ultimo acquisto in ordine di tempo, quello che ha portato al superamento della soglia, è stato effettuato dalla Pop12, la riduzione dovrebbe colpire prima di tutto la sua partecipazione, che sarebbe ridotta allo 0,2%, con la conseguente insussistenza della quota minima richiesta
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dallo Statuto della Banca per la presentazione delle liste di candidati. In punto di presenza del periculum in mora, la ricorrente ha argomentato sull’ammissibilità della tutela cautelare preassembleare e sulla necessità di un intervento tempestivo, sia ai fini di tutela del socio ricorrente, sia ai fini di tutela della banca. Sotto quest’ultimo specifico profilo la difesa Malacalza ha ricordato la rilevanza del contenuto della delibera, diretta alla nomina di un nuovo organo di gestione, il cui insediamento non dovrà essere inficiato da elementi di illegittimità, pena un grave nocumento alla società, atteso il compito al quale l’organo è chiamato per rispettare le indicazioni provenienti dalla Banca Centrale Europea, la quale ha chiesto la presentazione di un piano approvato dal CdA entro il 30 novembre “per ripristinare e assicurare in modo sostenibile l’osservanza dei requisiti patrimoniali”. Individuata la legittimazione passiva della sola Banca, essendo l’ordine richiesto rivolto alla stessa o al Presidente dell’Assemblea, e comunque la ritenuta opportunità di citare anche Pop12, la ricorrente ha chiesto: in via principale ordinare alla Banca o al Presidente dell’Assemblea di inibire l’ammissione della lista presentata da Pop12 e di non ammettere all’esercizio del diritto di voto i soggetti aderenti al patto nella misura del 15,198% del diritto di voto o alla diversa percentuale di azioni, comunque inferiore al 10%, tale da consentire l’influenza notevole, con ordine esteso a ogni ulteriore azione che dovesse risultare dei pattisti e di ogni altro socio che dovesse aderire al patto; in subordine, in ragione del superamento del
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10%, non mettere in votazione la lista e non ammettere all’esercizio del diritto di voto la quota eccedente il 10%, con ordine esteso come nella domanda in via principale e, in via di estremo subordine, non ammettere al voto le azioni possedute da Pop12 o un numero di azioni pari al 5,198% del capitale. Si è costituita Pop12 la quale, precisata la sua natura e i rapporti interni alla proprietà – società di diritto lussemburghese con attività di sub-holding, controllata interamente da altra società di diritto lussemburghese, a sua volta controllata da un trust governato dalla legge dell’isola di Jersey – ha allegato di aver acquistato, nelle date del 6 e 13 febbraio 2018, azioni ordinarie per una complessiva quota del 5,428% del capitale sociale di Carige, acquisto regolarmente comunicato alla Consob ed alla Banca ai sensi dell’art. 120 t.u.f. per superamento del 5%. Ha poi precisato di aver chiesto alla Banca, in data 23.2.2018, di considerare la nomina di un nuovo CdA, rappresentativo dell’assetto azionario come mutato con il suo ingresso. Ottenuta risposta negativa, nella successiva data del 9 luglio 2018 ha richiesto la fissazione di Assemblea ai sensi dell’art. 2367 c.c., proponendo la revoca del CdA e la nomina di un nuovo organo gestorio a seguito delle dimissioni del Presidente del CdA Prof. Avv. Tesauro e di altri due consiglieri. Con comunicazione 23.7.2018 Malacalza ha chiesto la convocazione dell’Assemblea degli azionisti, ai sensi dell’art. 2367 cc, integrata in data 16.8.2018. Il 23 agosto 2018, a seguito delle dimissioni della maggioranza dei membri del CdA, quest’ultimo è decaduto ai sensi di Statuto. Il 23 ago-
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sto sono stati presi contatti con Lonestar e Spininvest per discutere un possibile accordo, contatti ai quali ha fatto seguito la sottoscrizione di un patto parasociale in data 25.8.2018, avente esclusivamente ad oggetto la votazione in Assemblea del nuovo CdA. Il patto è stato comunicato alla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 20 t.u.b. ed alla Consob ai sensi degli artt. 122 t.u.f. e 127 RE, nonché alla Banca. A seguito della notifica del ricorso, conosciuto attraverso la nota fatta pervenire alla stampa da Malacalza il giorno del deposito, l’esponente ha inviato alla Banca d’Italia alcuni pareri legali in merito alle caratteristiche del patto ed all’assenza nello stesso dei requisiti dell’acquisto concertato di cui agli artt. 19 e 22 t.u.b. Con nota del 13 settembre 2018 la Banca d’Italia ha ritenuto necessaria l’autorizzazione preventiva del patto, siccome comportante una quota di partecipazioni pari al 15,198%, ed ha concesso 15 giorni per l’invio dell’istanza di autorizzazione. La convenuta ha eccepito: 1. la cessazione della materia del contendere conseguente all’intervento della Banca d’Italia; 2. la violazione del termine fissato dal Tribunale per la notifica del ricorso e del decreto, con richiesta di termine a difesa; 3. l’inammissibilità della tutela preassembleare attesa la presenza dello strumento tipico previsto dall’art. 2378 cc, nonché la mancata indicazione della causa di merito; 4. Il difetto di legittimazione della Banca e la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri pattisti; 5. l’insussistenza del fumus boni iuris per mancanza del concerto, stante il tenore specifico del patto, diretto a governare il compor-
tamento con unico riferimento all’Assemblea del 20 settembre, in assenza di qualunque impegno a perseguire una politica di gestione societaria comune e l’assenza di una pluralità di acquisizioni, avendo la sola Pop12 acquistato partecipazioni, dovendo l’incremento di Lonestar considerarsi involontario; 6. L’insussistenza del pericolo nel ritardo in quanto i motivi allegati da parte ricorrente risultano diretti a permettere al socio di maggioranza di eliminare la lista concorrente depositata da Pop12. La convenuta ha concluso ribadendo tutte le eccezioni sollevate, ha chiesto la reiezione del ricorso e l’eliminazione di una serie di affermazioni in quanto offensive, ai sensi dell’art. 89 c.p.c., nonché, essendo eccedenti rispetto alle esigenze difensive, la pronuncia di risarcimento dei danni da determinarsi in via equitativa. Si è costituita Carige la quale, riportato il contenuto della comunicazione di Banca d’Italia del 13 settembre 2018, si è rimessa alla decisione del Tribunale. Ha depositato memoria di intervento la Compania Financiera Lonestar SA la quale, precisato di aver acquisito nel corso del 2015 una partecipazione del 6,011% poi incrementata al 9,087% nel dicembre 2017, per effetto della sottoscrizione dell’aumento di capitale finalizzato al salvataggio della Banca, avvenuta unicamente sulle partecipazioni inoptate, ha argomentato a sua volta sull’insussistenza di un acquisto di concerto per le caratteristiche specifiche del patto e sull’insussistenza di un’influenza notevole, nonché sull’inammissibilità delle richieste della ricorrente in quanto la previsione di sterilizzazio-
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ne deve comunque riguardare solo la quota eccedente il 9,99%, nonché la presenza di un danno grave e irreparabile a carico in realtà dei pattisti in caso di accoglimento del ricorso nei termini richiesti. Parte convenuta Pop12 ha insistito nelle eccezioni preliminari e pregiudiziali ed in particolare nella richiesta di dichiarazione di cessazione della materia del contendere. 2. Eccezioni pregiudiziali e preliminari Tempestività della notifica Nel decreto di fissazione di udienza pronunciato il 5 settembre, la scrivente ha indicato, quale data di perfezionamento della notifica, il 10. Costituendosi, Pop12 ha lamentato di aver ricevuto la notifica il giorno 11, dunque in ritardo rispetto a quanto previsto nel decreto ed ha chiesto un termine a difesa. In sede di udienza le parti hanno discusso sul momento di perfezionamento del procedimento notificatorio, avvenuto secondo le disposizioni del Regolamento CE n. 1393/2007. In particolare, parte ricorrente ha chiesto di poter depositare parere di un legale lussemburghese relativo al momento di perfezionamento delle notifiche secondo il diritto del granducato, Pop12 ha contestato l’applicabilità, ai fini della valutazione del procedimento, del diritto del residente destinatario ed ha comunque contestato la richiesta di produzione. La lettura dei documenti “Signification” e “Proces-verbal de constat de recherche”, depositati in originale dalla ricorrente, atti del procedimento notificatorio, permette di comprendere come l’Ufficiale Giudiziario – Hussier de Justice –, abbia effettuato un accesso presso la sede di Pop12 in data 7
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settembre, non individuando una cassetta delle lettere né insegne riferibili alla convenuta. Dall’esame del verbale di ricerca risulta che l’huissier ha rinvenuto una cassetta della posta con l’indicazione “PopSarl e Pop18” e ritenendo l’indicazione non riferibile a Pop12, non ha lasciato il documento oggetto di notifica. Ha poi inviato il verbale e l’atto in data 10.9 con raccomandata, ricevuta materialmente il 12.9. A mente del primo comma dell’art. 9 del Regolamento comunitario n. 1393 del 2007, la data della notificazione o della comunicazione cui fare riferimento per l’individuazione del momento perfezionativo della stessa è quella in cui l’atto è stato notificato, o comunicato, secondo la legge dello Stato membro richiesto. Al fine di evitare gravi inconvenienti al notificante, soprattutto in presenza di termini o decadenze processuali da rispettare o evitare, il legislatore comunitario ha voluto garantire l’esigenza del notificante ad avvalersi di strumenti di notificazione affidabili sotto il profilo della disciplina temporale della loro efficacia, richiamando il contrapposto principio della lex fori. Il secondo comma dell’art. 9 precisa infatti che, nell’ipotesi in cui un atto deve essere notificato o comunicato entro un determinato termine, la data da prendere in considerazione per l’avvenuta notifica è quella fissata dalla legge dello stato mittente. In tal senso, dunque, non è più l’ordinamento ad quem, ma è quello dove viene celebrato il processo a dettare le regole del procedimento notificatorio e del momento perfezionativo dello stesso. Al di là della questione teorica, per stessa dichiarazione della convenuta Pop12 la notifica sarebbe avvenuta
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con un solo giorno di ritardo: attesi i tempi molto stretti per la decisione, la scrivente ha dato ampio spazio alla discussione in sede di udienza, sì che la difesa della convenuta ha avuto modo di esplicare appieno il suo diritto a contraddire. Per altro la parte non ha chiesto la dichiarazione di nullità della notifica, ma soltanto un ulteriore termine ed a fronte dell’ampio contraddittorio, deve ritenersi che Pop12 non abbia subito dal limitato ritardo alcun nocumento alla sua difesa. Ammissibilità del ricorso cautelare preassembleare. È pacifica la natura residuale dello strumento dell’art. 700 c.p.c., nonché la specificità dello strumento di impugnativa delle delibere assembleari, previsto dall’art. 2378 cc. Lo stesso art. 24 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, da ora t.u.b., prevede l’impugnativa della delibera dell’Assemblea nel caso di inosservanza al divieto di sterilizzazione del voto e degli altri diritti in mancanza di autorizzazione del concerto, qualora la delibera o il voto sia stato assunto con il voto determinante delle partecipazioni non autorizzate, a tanto legittimando la stessa Banca d’Italia. In generale, occorre verificare se esiste uno spazio di tutela non coperto dal rimedio della sospensione della delibera assembleare; questa è la questione, che naturalmente si atteggia diversamente caso per caso, e che deve essere risolta alla luce del principio per cui il diritto alla tutela giurisdizionale, di rango costituzionale, si declina anche con la tutela cautelare. Il riconoscimento del significato costituzionale della tutela cautelare, come necessario ed essenziale corollario del più generale principio di effettività della tutela giurisdizionale di
cui all’art. 24 Cost., si trova affermato per la prima volta nella pronuncia della Corte costituzionale del 25 giugno 1985, n. 190 nella quale si legge come la tutela cautelare eserciti una «funzione strumentale all’effettività della stessa tutela giurisdizionale» e venga precisato che «la disponibilità di misure cautelari costituisce espressione precipua del “principio per il quale la durata del processo non deve andare a danno dell’attore che ha ragione”». Tale riconoscimento si traduce, in primo luogo, in direttiva per il legislatore, il quale è tenuto a prevedere forme di tutela cautelare idonee a neutralizzare il pregiudizio (derivante dalla durata del processo) che assuma i caratteri dell’irreparabilità e dell’imminenza, così la Corte cost. 190/1985. È dunque costituzionalmente necessaria la disponibilità di misure cd. anticipatorie, capaci di arginare l’eventualità che, tenuto conto della natura e della funzione del diritto, il protrarsi dell’insoddisfazione del diritto o la sua soddisfazione tardiva arrechi al titolare del diritto stesso un pregiudizio non riparabile ex post. Tale riconoscimento vincola il giudice comune a preferire, tra le diverse interpretazioni delle norme processuali astrattamente possibili, quella che assicuri pienamente, in conformità con il dettato costituzionale, l’esercizio della tutela cautelare, cfr., ad esempio, Corte cost., sentenza 8 luglio 1996, n. 249. Questione del tutto diversa è poi il giudizio sulla esistenza in particolare del “periculum in mora”, requisito che si colora in modo particolare perché nel caso di specie la sua valutazione comporta un inevitabile raccordo con la tutela successiva data dall’impugnativa della delibera assembleare.
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Nel caso in esame la valutazione della legittimità della presentazione della lista, o meglio l’esame della validità della lista in quanto rappresentativa di un patto assunto come illegittimo, ha natura tipicamente anticipatoria, in quanto permette di verificare prima la correttezza dell’espressione del voto che verrà espresso. Un intervento successivo, coinvolgendo l’intera votazione del CdA, porterebbe ad aggiustamenti difficoltosi, se non impossibili, non potendo intervenire la sospensiva con modalità “chirurgiche”, ma dovendo la pronuncia investire la pronuncia di nomina nella sua interezza. Stabilita l’ammissibile natura anticipatoria della cautela richiesta, questione diversa investe l’ammissibilità della domanda cautelare per mancata indicazione della causa di merito. È noto che, con la riforma dell’art. 669-octies c.p.c. del 2005, è stato eliminato il vincolo di strumentalità in senso stretto; tuttavia, è sempre richiesta l’allegazione della causa di merito rispetto alla quale la cautela richiesta ha natura anticipatoria. Sebbene nel caso di specie Malacalza non abbia espressamente indicato quale sia la causa di merito, la cui introduzione è comunque facoltativa e che, nel caso in esame, pare essere solo in astratto possibile stante l’ormai prossima decisione assembleare, tuttavia nel corpo dell’atto ha più volte indicato come l’oggetto del merito sia la presenza di un acquisto concertato superiore al 10% in assenza di richiesta di autorizzazione da parte dei paciscenti e comunque la necessità di applicare la normativa sull’influenza notevole, in quanto conseguenza della proprietà delle partecipazioni confluite nel patto.
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Sul litisconsorzio dei partecipanti al patto parasociale 25 agosto 2018. Secondo la prospettazione della ricorrente, l’unico destinatario dell’ordine richiesto sarebbe la Banca, o meglio il presidente dell’assemblea fissata al prossimo 20 settembre; la stessa citazione in giudizio di Pop12 avrebbe un carattere di opportunità, stante la sua qualità di presentatore della lista. La situazione è analoga a quella di richiesta cautelare di sospensione di garanzia a prima richiesta: se il destinatario dell’ordine di non pagare è certamente il garante, la giurisprudenza riconosce la necessità di chiamare in giudizio anche il garantito, sebbene terzo rispetto al contratto, in quanto contraddittore rispetto alle ragioni del contraente che eccepisce il dolo generale. Anche in questo caso non può esservi pronuncia sulla legittimità della presentazione della lista in assenza del presentatore della lista stessa. Ma se la cognizione rimane limitata al potere di depositare la lista ed alla questione del collegamento della stessa con i voti che è destinata a veicolare, non esiste litisconsorzio necessario con gli altri esponenti del patto, i quali ben possono intervenire ad adiuvandum, come ha fatto Lonestar. Cessazione della materia del contendere. In sede di comparsa di costituzione Pop12 ha chiesto la dichiarazione di cessazione della materia del contendere a fronte della comunicazione della Banca d’Italia in data 13 settembre, con la quale l’Istituto ha dichiarato che il patto parasociale comunicato in data 29 agosto 2018, in quanto le partecipazioni detenute dai soci “si commisurano complessivamente al 15,198% del capitale di Banca Cari-
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ge SpA, al di sopra della soglia del 10%”, comporta l’avvio del procedimento autorizzativo disciplinato dagli artt. 22 e ss. della Direttiva 2013/35/ UE, come recepiti dagli artt. 19 e ss. d.lgs. 385/1993, t.u.b., e dall’art. 5 del decreto del Presidente del CICR 27 luglio 2011, n. 675. In sede di discussione Pop12 ha reiterato la richiesta, alla quale si è opposta la difesa Malacalza. Dunque, la Banca d’Italia ha ritenuto l’esistenza di un acquisto di concerto rilevante ai sensi del combinato disposto degli artt. 19 c. 1, 22 c. 1-bis t.u.b. e art. 5, co. 2, Delibera CICR 675/2011. Per quanto attiene all’aspetto sanzionatorio, posto che è circostanza pacifica che alla data del 13 settembre i pattisti non avessero chiesto alcuna autorizzazione, l’Istituto di vigilanza ha chiarito che in mancanza di autorizzazione “non possono essere esercitati i diritti di voto e gli altri diritti che consentono di influire sulla società per la quota azionaria che nel complesso eguaglia o eccede la suindicata quota del 10% del capitale di Banca Carige”. Certamente la decisione della Banca d’Italia, che Pop12 ha dichiarato in udienza di aver intenzione di osservare, interviene a chiarire quale sia la posizione dell’Istituto di vigilanza in merito al significato dell’operazione posta in essere da Pop12, Lonestar e Spininvest, ma lascia aperte numerose questioni, come sottolineato dalla difesa della ricorrente. Secondo Malacalza, le partecipazioni presenti nel patto non devono essere valutate solo nel loro oggettivo superamento del 10%, ma anche sotto il diverso profilo dell’essere una partecipazione che consegna una influenza notevole sulla banca in capo ai pattisti, con conseguenza as-
sunte diverse sotto il profilo sanzionatorio. Inoltre, altro punto controverso attiene alle modalità di computo della quota indicata come non richiedente autorizzazione da parte della Banca d’Italia, vale a dire a chi deve essere imputata la riduzione delle partecipazioni nella misura del 5,208%, atteso che la comunicazione del 13 settembre non fornisce chiarimenti e le posizioni delle parti su tale profilo sono diverse. I convenuti, per altro, hanno comunque contestato la sussistenza di un concerto rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 22, c. 1-bis, t.u.b. e 5, co. 2, Decreto CICR 267/2011, e quindi, se pure la posizione assunta dall’Istituto di Vigilanza ha assoluto rilievo in questa sede, la scrivente dovrà darsi carico di argomentare rispetto alle difese più significative sul punto allegate dai convenuti. Ne segue che, se pure l’intervento dell’Istituto assume rilievo nel procedimento, non comporta però la cessazione della materia del contendere. 3. Presupposti dell’azione cautelare. 3.1 Il fumus boni iuris. Prima di esaminare le questioni in diritto occorre fissare alcuni punti in fatto. Nel febbraio 2018 Pop12 acquista partecipazioni pari al 5,428% del capitale Carige. Lonestar nel corso del 2015 acquista una partecipazione pari al 6,011%, aumentata al 9,087% nel dicembre 2017, in occasione della sottoscrizione dell’aumento di capitale deliberato, attraverso la sottoscrizione di azioni inoptate. In data 25 giugno 2018 si dimette il Consigliere e Presidente del CdA prof. Avv. Tesauro, nelle successive date del 27 giugno e 6 luglio rassegnano le loro dimissioni i consiglieri Stefano Lunardi e
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Francesca Balzani – doc. da 14 a 16 Malacalza –. In data 9 luglio Pop12 invia al CdA una richiesta di convocazione dell’assemblea degli azionisti ai sensi dell’art. 2367 cc, chiedendo la discussione della revoca del CdA in carica, oltre, in caso di accoglimento del primo punto, la nomina del nuovo consiglio; in data 23 luglio anche Malacalza chiede, ai sensi dell’art. 2367 c.c., la convocazione dell’assemblea ordinaria dei soci indicando quale punti all’ordine del giorno la revoca dei componenti del CdA e, in caso di approvazione, la nomina del nuovo consiglio – doc. 1 e 13 Malacalza, 7 e 8 Pop12 –. Il CdA convoca l’Assemblea, il 3 agosto 2018, per il giorno 20 settembre – doc. 19 Malacalza –. La ricorrente il 16 agosto deposita una richiesta di integrazione dell’OdG, chiedendo la nomina di un nuovo CdA nel caso in cui, a seguito di dimissioni, il precedente consiglio dovesse ritenersi decaduto – doc. 10 Pop12 –. Dal 16 luglio al 23 agosto si dimettono altri cinque consiglieri, da cui segue la decadenza dell’intero consiglio, secondo il disposto dell’art. 18 co. 12 dello Statuto – doc. 24 Malacalza –, essendo venuta meno la maggioranza dell’organo (nominato in numero di quindici componenti, misura massima prevista dallo stesso art. 18). Chiariti i fatti rilevanti, nell’esame della fondatezza delle domande, condotto nei limiti della cognizione cautelare, occorre soffermarsi prima di tutto su un punto centrale della controversia. Secondo la tesi della ricorrente, il patto parasociale del 25 agosto 2018 sottoscritto da Pop12, Lonestar e Spininvest, comportante l’esercizio congiunto di diritti sociali riferiti ad una partecipazione pari al 15,198% del
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capitale Carige rileva, sotto il profilo della necessità di una autorizzazione preventiva da parte della BCE, sia in quanto fattispecie di influenza notevole sulla banca, sia in quanto ipotesi di superamento del 10% del capitale. La ricorrente chiede infatti al Giudice di valutare la partecipazione, qualificata in termini di rilevante concerto tra i pattisti, con riguardo ad entrambe le fattispecie. Occorre, al fine di valutare, prima della fondatezza la correttezza di una tale impostazione, ricordare sinteticamente le norme che trovano applicazione nel caso di specie. La disciplina è contenuta nel Capo III, titolo II, del d.lgs. 1.9.1993, n. 385, t.u.b., come modificato dal d.Lgs. 27.1.2001, n. 21, attuativo della direttiva 2007/44/ CE. Come si legge nella Relazione illustrativa della Banca d’Italia al decreto CICR 675/2011, contenente le norme tecniche e di dettaglio della disciplina delle partecipazioni bancarie di cui al Capo III t.u.b., la direttiva ha inteso “garantire la massima armonizzazione delle procedure e dei criteri per la valutazione prudenziale delle acquisizioni di partecipazioni qualificate nel settore finanziario...”, in modo che il controllo sia svolto in modo uniforme all’interno del mercato unico tra i diversi settori bancari, finanziario e assicurativo. L’uniformità del controllo è stata poi garantita attraverso l’attribuzione del potere di autorizzazione alla BCE, come da d.lgs. 2016/223. L’art. 19 t.u.b., co. 1, detta: “È soggetta ad autorizzazione preventiva l’acquisizione a qualsiasi titolo in una banca di partecipazioni che comportano il controllo o la possibilità di esercitare un’influenza notevole sulla banca stessa o che attribuiscono una quota dei diritti di voto o del capitale
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almeno pari al 10%, tenuto conto delle azioni già possedute...”. L’art. 22, co. 1-bis, t.u.b. prevede l’applicazione dell’intero Capo III anche in caso di “acquisizione di partecipazioni da parte di più soggetti che, in base ad accordi in qualsiasi forma conclusi, intendono esercitare in modo concertato i relativi diritti, quando tali partecipazioni, cumulativamente considerate, raggiungono o superano le soglie indicate nell’articolo 19”. Il decreto n. 675 del 2011 del CICR, all’art. 5 detta una regola importante nel suo comma 2, introdotta, secondo quanto si legge nella relazione illustrativa della Banca d’Italia, per evitare elusioni della disciplina sugli acquisti di concerto, considerando tali, e quindi richiedendo la preventiva autorizzazione, anche i patti di voto stipulati nell’anno successivo all’acquisto. La relazione illustrativa della Banca d’Italia precisa che la direttiva 2007/44/CE richiedeva l’assoggettamento ad autorizzazione preventiva delle acquisizioni da parte di più soggetti che intendevano esercitare di concerto i relativi diritti – regola dettata nell’art. 22 t.u.b. – mentre lasciava agli stati membri la decisione se assoggettare ad autorizzazione anche la stipula di patti di voto in assenza di nuovi acquisti di partecipazioni o indipendentemente da essi: il t.u.b. ha escluso questo ampliamento e quindi il comma 1 dell’art. 5 parla di “acquisti di concerto”, mentre, per i patti di voto stipulati in assenza di acquisti o indipendentemente da essi rimane solo il potere di intervento ex post previsto dall’art. 20 t.u.b. Il comma 2 dell’art. 5 decreto CICR, però, prevede appunto che siano considerati acquisti di concerto anche i patti di voto stipulati
entro l’anno successivo all’acquisto di partecipazioni. L’art. 19, co. 1, t.u.b., quindi, individua i casi di acquisizione di partecipazioni nei quali è necessario richiedere l’autorizzazione preventiva prevedendo tre ipotesi: quando tramite le partecipazioni si acquisisce il controllo, ipotesi qui irrilevante, o “la possibilità di esercitare un’influenza notevole sulla banca stessa” oppure quando (le partecipazioni) attribuiscono una quota dei diritti di voto o del capitale almeno pari al 10%. La disposizione contiene quindi due fattispecie di influenza notevole sulla Banca: nel caso di partecipazioni inferiori al 10%, occorrerà verificare caso per caso la sussistenza dei presupposti individuati dalla normativa, primaria e secondaria, mentre nel caso di raggiungimento della soglia del 10% l’autorizzazione preventiva sarà sempre necessaria perché l’influenza notevole si presume. Questa indicazione si ricava anche da altre disposizioni presenti nel sistema: l’art. 2359 c.c., come modificato dal d.lgs. n. 127/1991, contiene una presunzione di influenza notevole quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa, come nel caso di Carige; sul punto la giurisprudenza ha chiarito che la percentuale indicata costituisce una presunzione di influenza, in questo caso declinata in termini di collegamento, vedi in ultimo C. Cass., Sez. II, 3 maggio 2017, n. 10726, in massima: “Secondo la previsione dell’articolo 2359 terzo comma codice civile sono collegate le società sulle quali un’altra società esercita una influenza notevole. L’influenza
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si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati...”; il principio contabile internazionale c.d. IAS n. 28 egualmente prevede una presunzione di influenza notevole legata al potere di esercizio di una determinata percentuale di voti in assemblea (nel caso specifico il 20% ma in generale la soglia si riduce per le società quotate sui mercati regolamentati); ancora, se si leggono i requisiti prudenziali previsti dal Reg. UE 575/2013, si rileva che la partecipazione qualificata è ancora una volta definita in termini di 10% oppure di una partecipazione “che consenta l’esercizio di una influenza notevole sulla gestione di tale impresa”, così 4(1), n. 36 del CRR e tale definizione si trova anche nella Circolare n. 285/2013 di Banca d’Italia contenente le disposizioni di vigilanza per le banche. Se quindi il patto parasociale del 25 agosto costituisce un accordo di concerto rilevante ai sensi delle disposizioni contenute nel combinato disposto degli artt. 19 co. 1 e 22 co. 1-bis t.u.b. e 5 decreto CICR 675/201 – (Acquisti di concerto) “1. Sono soggette ad autorizzazione preventiva della Banca d’Italia l’acquisizione e la variazione di partecipazioni da parte di più soggetti che, in base ad accordi in qualsiasi forma conclusi, intendono esercitare in modo concertato i relativi diritti, quando tali partecipazioni, cumulativamente considerate e unitamente a quelle già possedute, raggiungono o superano le soglie di cui all’articolo 2 ovvero attribuiscono il controllo o la possibilità di esercitare un’influenza notevole sull’impresa vi-
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gilata. 2. L’acquisto è considerato di concerto anche quando gli accordi siano stipulati entro l’anno successivo all’acquisizione o alla variazione della partecipazione” –, ne segue che la posizione dei pattisti è illegittima in quanto gli stessi non hanno richiesto l’autorizzazione preventiva. All’esito di questa valutazione, che, si ricorda, è stata effettuata dalla Banca d’Italia, occorrerà attendere la decisione dell’Autorità di vigilanza europea: qualora la partecipazione superiore al 10% venga autorizzata, i pattisti potranno successivamente esercitare i diritti corrispondenti al 15,198%; in caso negativo, invece, si potrà porre la diversa questione se, comunque, il 9,99% della partecipazione, rimasta in capo ai pattisti all’esito dell’applicazione dell’art. 24 t.u.b., configuri una situazione di influenza notevole sulla Banca, con la necessità di un ulteriore procedimento autorizzativo. Ritiene chi scrive che questa sia l’unica lettura che permette di rispettare la posizione delle parti nel quadro normativo, considerando che l’attuale esercizio dei diritti corrispondenti al solo 9,99% del capitale da parte di Loneastr, Spininvest e Pop12 è temporaneo, in attesa della decisione sull’autorizzazione da parte della BCE. Né può chiedersi al Giudice di intervenire valutando la presenza di una influenza notevole sulla Banca nel caso concreto, in un momento nel quale l’esistenza di una tale situazione è già presunta dalla legge. La fattispecie di influenza notevole sulla banca è espressamente prevista, infatti, come già ricordato, per i casi di partecipazioni inferiori al 10% e richiede valutazioni complesse per l’individuazione della sua sussistenza.
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Tale complessità emerge dall’articolo 4 della delibera CICR 675/2011, dove si legge che la Banca d’Italia individuerà le ipotesi di influenza notevole e si indicano due esempi – (Influenza notevole) 1. Sono soggette ad autorizzazione preventiva della Banca d’Italia le acquisizioni di partecipazioni, anche indirette, dalle quali discenda la possibilità di esercitare un’influenza notevole sull’impresa vigilata. 2. La Banca d’Italia individua i casi in cui l’autorizzazione è richiesta, tenendo conto che per influenza notevole si intende il potere di partecipare alla determinazione delle politiche finanziarie e operative dell’impresa partecipata, senza averne il controllo, anche se la partecipazione attribuisce una percentuale di diritti di voto inferiore a quella presa in considerazione ai fini degli obblighi autorizzativi di cui all’articolo 2. A questi fini la Banca d’Italia considera, tra l’altro, come indici di influenza notevole la circostanza che, a seguito dell’acquisto o della variazione della partecipazione, il potenziale acquirente: a) possa essere rappresentato nell’organo con funzione di gestione o nell’organo con funzione di supervisione strategica dell’impresa vigilata; b) disponga di diritti di voto determinanti nelle decisioni assembleari di natura strategica dell’impresa vigilata” –, dalla lettura delle “Guidelines for the prudential assessment of aquisition and increase of holdings in the financial sector” dove è contenuto un elenco di situazioni che devono essere tenute in considerazione quali fattori rilevanti per determinare l’esistenza dell’influenza notevole, ma non esaustivi – vedi doc. 33 Malacalza –, nonché da quanto scritto dall’ABI alla Banca d’I-
talia nella fase di consultazione precedente l’emissione delle regole per il decreto CICR 675/2011, documento nel quale si chiede l’applicazione del principio contabile internazionale, IAS, n. 28 che la definisce “il potere di partecipare alla determinazione delle politiche finanziarie e gestionali della partecipata senza averne il controllo”. Volendo fornire una lettura coordinata delle disposizioni che prevedono la preventiva autorizzazione in presenza di una situazione di influenza notevole sulla banca, nelle ipotesi sotto soglia del 10% e sopra soglia, paiono esistere, ad un primo esame, alcuni aspetti di criticità, in particolare con riferimento agli aspetti sanzionatori. Infatti, l’art. 24 t.u.b., nel suo riferimento alla sospensione dei diritti inerenti “alle partecipazioni per le quali le autorizzazioni previste dall’articolo 19 non siano state ottenute”, fornisce una indicazione chiara con riguardo alle ipotesi di raggiungimento e superamento della soglia del 10%, ma non è altrettanto chiaro per quanto attiene alle partecipazioni che, sotto soglia, comportano una influenza notevole. Una prima valutazione delle due ipotesi porterebbe a ritenere, quale unica interpretazione non foriera di illegittima disparità di trattamento di fattispecie comuni nel presupposto, la necessità di individuare nel caso concreto una percentuale dalla quale deriva l’influenza notevole, con il conseguente legittimo esercizio della partecipazione di valore inferiore. Questa pare essere, per altro, la stessa posizione della ricorrente, in particolare nel punto riportato in neretto a pagina 29 del ricorso. Tuttavia, la circolare di Banca d’Italia n. 288/2015, riferita alla vigilanza degli intermediari
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finanziari, se nel caso di superamento del 10% conferma la sospensione, in mancanza di autorizzazione, solo per la quota eccedente quella percentuale, nel caso di influenza notevole sotto soglia prevede invece il divieto di esercizio dei diritti relativi all’intera partecipazione. In realtà il sistema risulta coerente e conferma la decisione già indicata sull’impossibilità di una valutazione contemporanea delle due ipotesi: nel caso di influenza notevole sotto la soglia del 10% l’ente di vigilanza, in caso di negazione dell’autorizzazione, determinerà la quota di partecipazione che dovrà essere alienata per l’eliminazione della illegittima posizione di influenza, come da art. 24 co. 3 t.u.b.; prima di tale valutazione, però, non è possibile conoscere la percentuale che realizza la fattispecie richiedente l’autorizzazione, dunque non possono che essere sospesi i diritti legati alla totalità di tale partecipazione. Nel caso, invece, di influenza notevole presunta per partecipazioni pari o superiori al 10%, l’autorizzazione riguarderà la percentuale oltre la soglia e quindi da subito è possibile individuare la misura della partecipazione sospesa. Per completare il quadro deve ritenersi, come già sopra argomentato, che qualora l’ente di vigilanza negasse l’autorizzazione all’acquisto di una partecipazione pari al 10% o più, lo stesso potrà valutare nuovamente la quota residua del 9,99% in termini di influenza notevole sotto soglia e quindi effettuare un nuovo procedimento autorizzativo. Per completare l’argomento relativo alla richiesta di valutazione delle partecipazioni concertate in termini di influenza notevole sulla banca anche quale fattispecie sotto soglia, pare uti-
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le un rilievo riguardante il comportamento della ricorrente, la quale non risulta abbia sollevato contestazioni in termini di mancata autorizzazione per influenza notevole nei confronti di Lonestar, la quale, tramite sottoscrizione di azioni inoptate nel dicembre 2017, ha da quella data una partecipazione pari al 9,087%, assolutamente prossima al 9,99% residuato in capo ai pattisti. Concludendo, il presente procedimento può avere ad oggetto unicamente le conseguenze della mancata richiesta di autorizzazione all’acquisizione delle partecipazioni oggetto del patto sottoscritto il 25 agosto e pari al 15,198%, in quanto rappresentative di un concerto rilevante secondo il disposto degli artt. 19, 22 co 1-bis t.u.b. e 5 c. 2 decreto CICR 675/2011. Non può invece essere oggetto di esame la residua misura della partecipazione del 9,99% in termini di influenza notevole sulla banca, siccome richiedente anch’essa una autorizzazione preventiva. Come sopra ricordato, la Banca d’Italia, nella sua comunicazione del 13 settembre, ha ritenuto l’esistenza di un concerto rilevante nel patto parasociale del 25 agosto, concludendo per la necessaria la richiesta di autorizzazione all’esercizio dei diritti relativi alla partecipazione. Tale decisione, di grande autorevolezza per la posizione di vigilanza e autonomia interna al sistema bancario di Banca d’Italia, non esime però dalla valutazione degli argomenti sollevati dalla convenuta Pop12 e dall’intervenuta Lonestar per contestare la presenza della fattispecie. In sostanza le difese sono due: l’acquisizione nell’anno di partecipazioni
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avrebbe riguardato la sola Pop12, in quanto Lonestar avrebbe solo sottoscritto azioni in conseguenza ed in coincidenza con l’operazione di aumento del capitale che ha interessato la Banca ed il patto, in quanto riferito esclusivamente all’esercizio del voto nell’assemblea del 20 settembre, non costituirebbe un concerto, in quanto non farebbe riferimento alcuno ad un accordo sulla gestione societaria. Con riguardo al primo profilo, se pure si volesse leggere l’art. 22 co. 1-bis “acquisizione di partecipazioni da parte di più soggetti”, come indicativo della necessità che l’acquisto riguardi più di un soggetto, nel caso di specie Lonestar ha acquistato delle partecipazioni attraverso la sottoscrizione di azioni inoptate e dunque la fattispecie sussiste. Per quanto poi attiene al profilo dell’esercizio di concerto dei diritti, se per escludere lo stesso fosse sufficiente indicare la limitazione all’esercizio del voto in una assemblea, sarebbe facile pensare ad una elusione del divieto; inoltre, poiché l’assemblea in vista della quale il concerto è diretto riguarda la nomina di un nuovo consiglio di amministrazione, è chiaro che alla scelta dei soggetti che dovranno rappresentare la società, tramite la presentazione di una lista, sottende una politica societaria della quale i candidati sono espressione. Confermata quindi la presenza della fattispecie del superamento della soglia rilevante per l’influenza notevole presunta, realizzata attraverso un patto espressione di un concerto tra i pattisti, occorre chiedersi come la partecipazione residua, pari al 9,99%, debba essere suddivisa e se, come richiesto dalla ricorrente, la riduzione della partecipazione, o meglio la so-
spensione dell’esercizio dei diritti relativi alla partecipazione non autorizzata, debba essere imputata alla sola Pop12. La tesi della ricorrente si fonda sulla considerazione che la convenuta è stata il soggetto il quale, con il suo acquisto, ha fatto scattare la fattispecie dell’autorizzazione preventiva, portando le partecipazioni oltre il 10%. La tesi non può essere condivisa. La sospensione dei diritti ha natura sanzionatoria e deve colpire, in misura eguale, tutti i pattisti, in quanto è l’accordo, nella sua natura di concerto rilevante, che ha dato origine alla fattispecie richiedente l’autorizzazione. Inoltre, l’art. 139 t.u.b. prevede una sanzione amministrativa nel caso di omissione delle prescritte autorizzazioni e non può ritenersi che detta sanzione debba applicarsi solo al soggetto che, in presenza di un patto, abbia effettivamente portato la partecipazione oltre la soglia rilevante ai fini dell’autorizzazione. Ne segue che la partecipazione del 9,99%, riconoscibile, allo stato e salve le risultanze del procedimento autorizzativo, in capo ai componenti del patto del 25 agosto 2018, deve essere suddivisa proporzionalmente tra loro, nel rispetto delle partecipazioni dedotte nel patto. Poiché la percentuale di partecipazione sospesa in termini di sanzione è pari al 5,208%, l’esito delle proporzioni matematiche sarà dato da un conteggio nel quale al numeratore dovrà essere posto il prodotto della moltiplicazione della partecipazione originaria per la partecipazione residua ed al numeratore la somma delle partecipazioni prima della sospensione. 3.2 Pericolo nel ritardo. Per quanto riguarda il pericolo nel ritardo, ritiene chi scrive che la rile-
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vanza di questo elemento, nel caso specifico, investa soprattutto la convenuta Carige. La considerazione dell’interesse della società è individuato in modo specifico come oggetto di bilanciamento nel giudizio sulla sospensione della delibera societaria dall’art. 2378 cc. Tale valutazione deve entrare anche in questo giudizio, avente natura anticipatoria rispetto alla decisione assembleare, come per altro già ritenuto da altra decisione di questo Tribunale, in ordinanza 24.3.2017, RG 2771/2017. Nel comunicato stampa di Carige del 22 luglio 2018 – doc. 18 Malacalza –, sono riportati alcuni passaggi del progetto di decisione notificato in data 20 luglio dalla BCE. Il documento contiene una prima parte relativa alla necessità per Carige di convocare una assemblea per la nomina di un nuovo presidente del CdA (problema come visto reso poi più grave in quanto tra luglio e la fine di agosto sono intervenute le dimissioni della maggioranza del CdA), ma soprattutto la Banca Europea comunica “di non approvare il piano di conservazione del capitale presentato dal Soggetto vigilato il 22 giugno 2018” ed invita a presentare “alla BCE al più tardi entro il 30 novembre 2018, un piano approvato dal consiglio di amministrazione per ripristinare ed assicurare in modo sostenibile l’osservanza dei requisiti patrimoniali al più tardi entro il 31 dicembre 2018. Tale piano dovrebbe valutare tutte le opzioni, ivi inclusa un’aggregazione aziendale”. Da quanto sopra emerge come la partecipazione al voto per la nomina del nuovo CdA da parte di un gruppo di partecipazioni non legittime, in quanto esercitate in assenza delle
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necessarie autorizzazioni, potrebbe portare ad un danno irreparabile, riferito alla composizione di un consiglio che nascerebbe viziato. Sotto un altro angolo visuale, se si negasse ora la tutela nei termini sopra esposti, una volta esaurita la votazione con la partecipazione del patto parasociale nella pienezza della quota di partecipazioni, in caso di impugnazione ai sensi dell’art. 2378 cc, si potrebbe ritenere il vulnus tanto grave da condurre ad una sospensione dell’intera delibera, con conseguenze gravissime per la Banca, con specifico riguardo ai compiti che la BCE ha chiaramente individuato per il prossimo consiglio di amministrazione. Egualmente, una composizione parzialmente illegittima del CdA non può che portare un danno difficilmente riparabile in capo alla ricorrente. È ben vero che la riduzione della partecipazione riguarda il solo 5,208%, ma per quanto argomentato in sede di discussione dalle difese, deve ritenersi che anche una partecipazione in questa misura possa avere, in una società quale Carige, concreta rilevanza. 4. Considerazioni conclusive. Nel corso della discussione parte ricorrente ha argomentato anche in termini di rispetto delle norme riguardanti la raccolta delle deleghe in vista dell’Assemblea. Tale profilo, se pur genericamente presente all’interno delle domande formulate, dal contenuto estremamente ampio, non è stato però oggetto di alcun esame nel ricorso, e dunque non deve essere oggetto di valutazione. Quanto alla richiesta di cancellazione di espressioni offensive, se pure in alcuni passaggi la difesa Malacalza ha utilizzato espressioni poco chiare e
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adombranti situazioni di illegittimità a carico della convenuta Pop12, tuttavia le stesse possono essere ricondotte ad una situazione di estrema conflittualità esistente tra i soci, come emerso anche nel corso della discussione nonché dal deposito, successivo alla riserva, di atti e note mai autorizzati. Non vi è quindi spazio per tale pronuncia. Non può però non osservarsi che ogni valutazione riguardante la qualità degli appartenenti al patto, la loro reputazione in termini di garanzia di una gestione sana e prudente della banca – come da comma 5 art. 19 t.u.b. – sarà oggetto di approfondita indagine da parte degli organi di vigilanza, ma non assume alcun rilievo in questa sede. Il ricorso va quindi accolto nei seguenti limiti: Carige, o meglio il presidente dell’Assemblea che si terrà il prossimo 20 settembre, dovrà considerare la lista presentata da Pop12 come rappresentativa di un patto che può esercitare i diritti di voto limitatamente ad una quota pari al 9,99% delle partecipazioni. La quota dovrà considerarsi suddivisa tra i partecipanti al patto nella misura sopra determinata.
Per quanto attiene alle spese di lite, Malacalza è stata costretta ad introdurre il presente ricorso, attesa la mancata richiesta dei sottoscrittori del patto del 25 agosto 2018 dell’autorizzazione preventiva, e dunque le spese, nella misura della metà, devono essere poste a carico di Pop12 e compensate nel residuo, atteso il limitato accoglimento delle domande. Le spese devono essere dichiarate interamente compensate tra le altre parti, attesi gli argomenti e le posizioni assunte. PQM Visti gli artt. 669-bis e ss., 700 c.p.c.; respinte le eccezioni pregiudiziali e preliminari sollevate da parte convenuta Pop12 S. à r.l., accoglie il ricorso per quanto di ragione e per l’effetto dispone che Carige SpA, o il Presidente dell’Assemblea ordinaria degli azionisti fissata per il prossimo 20 settembre, ammetta la lista presentata da Pop12 S. à r.l. come rappresentativa di diritti di voto derivanti dal patto parasociale del 25 agosto 2018 pari al solo 9,99% del capitale sociale; (Omissis)
II Per completezza pubblichiamo di seguito la Comunicazione della Banca d’Italia del 13 settembre 2018 menzionata sia nella ordinanza del Tribunale di Genova, sia nel commento che segue. Banca d’Italia: comunicazione del 13 settembre 2018 (diretta a Compania Financiera Lonestar S.A., Pop 12 S.à r.l., Spininvest S.r.l. e, per conoscenza, a Banca Carige S.p.A.)* Oggetto: Carige S.p.A. – Patto di sindacato avente ad oggetto l’esercizio del voto nella nomina degli organi sociali.
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Con nota del 29 agosto u.s. è stata comunicata a questo Istituto l’avvenuta sottoscrizione, in data 25 agosto u.s., di un patto parasociale tra i seguenti tre azionisti di Banca Carige: Pop 12 S.à r.l., Compania Financiera Lonestar S.A. e Spininvest S.r.l. Le partecipazioni detenute dai soci aderenti al patto parasociale si commisurano complessivamente al 15,198% del capitale di Banca Carige S.p.A., al di sopra della soglia del 10% che – ai sensi degli artt. 22 e segg. della Direttiva 2013/36/ UE (CRD IV), come recepiti dagli artt. 19 e segg. del d.lgs. 385/1993 (Testo Unico Bancario) e dall’art. 5 del decreto del Presidente del C.I.C.R. 27 luglio 2011 n. 675 – comporta l’avvio del procedimento autorizzativo disciplinato dalle medesime norme. Ai sensi dell’art. 4(1)(c) del Regolamento (UE) n. 1024/2013 del 15 ottobre 2013, la competenza ad adottare il relativo provvedimento spetta alla Banca Centrale Europea su proposta della Banca d’Italia, con le modalità stabilite dall’art. 15 del citato Regolamento e dagli artt. 85 e segg. del Regolamento (UE) n. 468/2014 della Banca Centrale Europea del 16 aprile 2014. In relazione a quanto precede, d’accordo con la Banca Centrale Europea, si invitano gli aderenti al patto parasociale a inviare a questo Istituto, entro il termine di 15 giorni dal ricevimento della presente nota, l’istanza di autorizzazione relativamente alla partecipazione congiunta posseduta nel capitale di Banca Carige, accludendo la documentazione necessaria a dimostrare il possesso dei requisiti previsti dalla richiamata normativa in materia. Qualora entro tale termine non risultasse presentata l’istanza per l’autorizzazione, questo Istituto avvierà il procedimento amministrativo di ufficio. La Banca d’Italia fa presente che, ai sensi dell’art. 24 del Testo Unico Bancario, in mancanza di autorizzazione, non possono essere esercitati i diritti di voto e gli altri diritti che consentono di influire sulla società per la quota azionaria che nel complesso eguaglia o eccede la suindicata soglia del 10% del capitale di Banca Carige.
* Il testo della comunicazione è stato dapprima citato in un comunicato stampa della Banca in data 13 settembre 2018 (disponibile nella sezione «investor relations – comunicati stampa» del sito web di Banca Carige o, direttamente, all’indirizzo https://goo.gl/ xgdNhf) e, poi, letto dal segretario in apertura dell’assemblea ordinaria dei soci celebratasi in data 20 settembre 2018, come ne viene dato atto dal relativo processo verbale, cui si rinvia: verbale d’assemblea ordinaria dei soci celebratasi in data 20 settembre 2018, disponibile nella sezione «corporate governance – 2018 – assemblea ordinaria 20 settembre 2018 – verbale della seduta» del medesimo sito web o, direttamente, all’indirizzo «https:// goo.gl/1u3z3v», 29-30.
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Giovanni Maria Fumarola
(1-3) L’affaire Carige ovvero della sterilizzazione del voto. Questioni intorno alle partecipazioni rilevanti (non autorizzate) in banche. Sommario: 1. I fatti controversi – 2. La (succinta) comunicazione della Banca d’Italia e il riferimento (improvvido) agli «altri diritti» – 3. La presentazione di una lista e la sollecitazione delle deleghe quali «altri diritti» da sterilizzarsi. L’estensione della sterilizzazione per interposizione di persona – 4. Le memorie difensive: la cessazione della materia del contendere e l’involontarietà dell’acquisto – 5. La sterilizzazione della partecipazione ultra limen per l’eccedenza. Inquadramento sistematico della fattispecie generale – 6. La sterilizzazione della partecipazione notevolmente influente. La tesi dell’eccedenza e sua critica. La tesi dell’intero e la sua (dubbia) estensione all’obbligo di alienazione – 7. L’ordine nella sterilizzazione delle partecipazioni in caso di acquisti di concerto. Il criterio della proporzionalità e sua critica. Il criterio dell’ordine cronologico quale tutela del concertista malgré soi.
1. I fatti controversi. Una sociedad anonima panamense, una société à responsabilité limitée lussemburghese ed una società a responsabilità limitata (nell’ordine, per brevità, la «S.A.», la «s.à r.l.» e la «s.r.l.») detengono partecipazioni nel capitale di una banca, emittente azioni negoziate su un mercato regolamentato, commisurate, rispettivamente ed approssimativamente, al 9, 5,5 e 0,5%. Il consiglio d’amministrazione della banca convoca l’assemblea degli azionisti con all’ordine del giorno – formatosi in esito a due richieste incrociate, ma convergenti nell’oggetto, ex articolo 2367 c.c. ed una ex articolo 126-bis t.u.f. – la nomina, fra l’altro, dei componenti del consiglio d’amministrazione in esito alla revoca dei precedenti, intanto decaduti per effetto di una clausola statutaria simul stabunt, simul cadent1.
1 Per l’esattezza la richiesta di integrazione dell’ordine del giorno non ha proposto di integrare alcunché dal punto di vista della sostanza delle materie da trattare ma si è limitata a prevedere un coordinamento dell’o.d.g. già adottato – che contemplava la revoca degli amministratori – con la possibile circostanza della decadenza dell’intero consiglio per effetto della clausola statutaria simul stabunt, simul cadent (il punto dell’o.d.g. di cui se ne proponeva l’aggiunta risultava del seguente tenore: «Nel caso in cui, per effetto di dimissioni o di altre ipotesi di cessazione dalla carica, l’intero Consiglio di Amministrazione si intenda decaduto ai sensi dell’art. 18.12 dello Statuto, nomina del nuovo Consiglio di Amministrazione, previa determinazione del numero dei membri
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Non oltre i dodici mesi successivi all’ultimo incremento della partecipazione – quella della s.à r.l. – i tre azionisti vincolano ad un patto parasociale la totalità delle azioni della banca da loro detenute, per una complessiva quota di capitale, quindi, commisurata al 15%. Con il patto in parola si obbligano a far convergere irrevocabilmente i propri voti sulla lista dei candidati consiglieri d’amministrazione frattanto presentata dalla s.à r.l., a sostegno della quale quest’ultima ha pure promosso una sollecitazione di deleghe di voto ex articolo 138 t.u.f. E perciò, rilevando il patto sia per gli effetti dell’articolo 122 t.u.f. sia per quelli dell’articolo 20, co. 2, t.u.b., vengono compiutamente adempiuti gli obblighi pubblicitari previsti dalle due disposizioni citate e, fra l’altro, ne viene data comunicazione alla banca che ne cura la pubblicazione per estratto sul proprio sito web.2 A non troppi giorni dalla celebrazione dell’assemblea, il maggior azionista della banca – un’altra s.r.l. – adisce il Tribunale di Genova presentando un ricorso ex articolo 700 del codice di rito civile, dolendosi dell’omesso ottenimento dell’autorizzazione preventiva da parte dei tre paciscenti, imposta dall’articolo 19 del t.u.b., così come integrato dagli articoli 22 del t.u.b. medesimo e 5 del decreto del presidente del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio numero 675 del 2011, attuativo della delega di cui all’articolo 19, co. 9, del t.u.b. (nel prosieguo, per brevità, decreto C.I.C.R.). I tre paciscenti, insomma, avrebbero acquisito senza autorizzazione – circostanza questa incontestata – «partecipazioni che comportano il controllo o la possibilità di esercitare un’influenza notevole … o che attribuiscono una quota dei diritti di voto o del capitale almeno pari al 10 per cento» (art. 19, co. 1) «in base ad accordi [che permettono di] eser-
del Consiglio medesimo, ai sensi dell’art. 18 dello Statuto, nonché determinazione dei compensi degli Amministratori»), circostanza poi verificatasi, tant’è che il consiglio di amministrazione, nel deliberare l’integrazione, ha precisato che «A seguito dell’intervenuta decadenza del Consiglio di Amministrazione, i punti 1, 2 e 3 dell’ordine del giorno già pubblicato – che contemplava la revoca degli amministratori – non saranno posti in discussione né in votazione». I passi citati sono tratti, rispettivamente, dalla versione ultima dell’avviso di convocazione e da un comunicato stampa della banca in data 3 settembre 2018 che dava notizia dell’avvenuta integrazione dell’o.d.g. (entrambi disponibili nella sezione «investor relations – comunicati stampa» del sito web di Banca Carige (www.gruppocarige.it) o, direttamente, agli indirizzi https://goo.gl/ksvweY e https://goo. gl/ckEPor). 2 Disponibile nella sezione «governance – azionariato – patti parasociali» del sito web di Banca Carige o, direttamente, all’indirizzo «https://goo.gl/LxYARH».
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citare in modo concertato i relativi diritti» (art. 22, co. 1-bis), e ciò anche perché «l’acquisto – da ultimo quello della s.à r.l. – è considerato di concerto anche quando gli accordi siano stipulati entro l’anno successivo all’acquisizione o alla variazione della partecipazione» (art. 5, co. 2). Per la precisione, ad avviso del ricorrente risulta chiaro che, in assenza di autorizzazione, non solo i paciscenti abbiano ecceduto in modo concertato la soglia del 10% ma anche che ambiscano ad esercitare in modo congiunto un’influenza notevole sulla banca, attesa l’aspirazione della lista (solo formalmente presentata da un paciscente ma in sostanza espressione del patto nel suo complesso) a conquistare la maggioranza dei seggi consiliari – ivi inclusi lo scranno presidenziale e quello dell’amministratore delegato, per i quali la lista già ne indica i nominativi dei candidati – e per di più in presenza di una regola elettorale statutaria marcatamente improntata alla proporzionalità3. Da ciò, il ricorrente fa discendere l’applicazione della sanzione civilistica prevista dall’articolo 24, co. 1 t.u.b. e cioè il divieto di esercitare «i diritti di voto e gli altri diritti che consentono di influire sulla società» inerenti le «partecipazioni per le quali le autorizzazioni … non siano state ottenute ovvero siano state sospese o revocate». E siccome tra gli «altri diritti», in ipotesi, vi sarebbe anche quello di presentare liste di candidati per l’elezione degli organi sociali, ne viene prospettata l’illegittimità di quella presentata dalla s.à r.l. A una simile conclusione – argomenta il ricorrente – si giungerebbe per due vie: sia ritenendo inibiti – o sterilizzati, com’è più à la page dire – i diritti inerenti la complessiva partecipazione non autorizzata e vincolata al patto, per effetto del supposto esercizio dell’influenza notevole – a cui sarebbe collegata proprio questa sanzione, quella della sterilizzazione per l’intero – sia ritenendo sterilizzati solo i diritti inerenti
Circostanza poi ribadita dal delegato del socio ricorrente nel corso dell’assemblea, al cui processo verbale si rinvia: verbale d’assemblea ordinaria dei soci celebratasi in data 20 settembre 2018, disponibile nella sezione «corporate governance – 2018 – assemblea ordinaria 20 settembre 2018 – verbale della seduta» del sito web di Banca Carige o, direttamente, all’indirizzo https://goo.gl/1u3z3v, 32-33. Quanto alla regola elettorale di cui all’art. 18, co. 9, dello statuto sociale (disponibile nella sezione «governance – documenti societari» del medesimo sito web o, direttamente, all’indirizzo https://goo.gl/ nRWXDY), si tratta di un’applicazione pura del metodo d’Hondt o dei quozienti o delle divisioni successive (sul quale, per notazioni generali di teoria dei sistemi elettorali, si rinvia, per tutti, alla tassonomia dello Schepis, I sistemi elettorali: teoria, tecnica, legislazioni positive, Empoli, 1955, p. 99). 3
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la partecipazione eccedente, e ciò per via dell’applicazione di un criterio cronologico, addotto per determinare l’ordine secondo cui procedere alla sterilizzazione dei diritti: atteso, cioè, che la partecipazione della s.à r.l. è stata incrementata per ultima, l’esercizio dei diritti della medesima dovrà essere il primo ad essere inibito e solo dopo, in mancanza o per la differenza per eguagliare la soglia legale (i.e. il 10%), dovrà procedersi ad inibire i diritti delle partecipazioni in seguito acquisite o incrementate dagli altri paciscenti. Per una via o per l’altra, dunque, verrebbe meno il valido esercizio dei diritti inerenti una partecipazione rappresentante l’aliquota di capitale richiesta dallo statuto della banca per la presentazione di liste e, di conseguenza, quella presentata dovrà ritenersi non ammissibile al voto giacché da considerarsi come decaduta, cioè come non presentata sin dal principio. Onde scongiurare l’irreparabile periculum (in mora) di far ammettere al voto partecipazioni determinanti che potrebbero dar ardito a future impugnazioni con effetti demolitori per la nomina dei consiglieri d’amministrazione, il ricorrente domanda quindi al Tribunale di emanare un provvedimento d’urgenza affinché ingiunga alla banca, nella persona di chi presiederà l’assemblea, «[(i)] di inibire l’ammissione della lista presentata … e di non ammettere all’esercizio del diritto di voto i soggetti aderenti al patto nella misura del 15,198% del diritto di voto o alla diversa percentuale di azioni, comunque inferiore al 10%, tale da consentire l’influenza notevole … [(ii)] in subordine, in ragione del superamento del 10%, non mettere in votazione la lista e non ammettere all’esercizio del diritto di voto la quota eccedente il 10% … e [(iii)], in via di estremo subordine, non ammettere al voto le azioni possedute [dalla s.à r.l.] o un numero di azioni pari al 5,198% del capitale». L’illegittimità invocata dal ricorrente, in conclusione, si fonda alternativamente sulla prospettata violazione di due delle tre fattispecie contemplate dall’articolo 19, comma primo, del t.u.b.: il mancato conseguimento dell’autorizzazione all’assunzione di partecipazioni che, pur non attribuendo il potere di controllo, consentano l’esercizio di influenza notevole oppure che comunque eccedano la soglia del 10%4.
4 Per un esempio della risonanza mediatica che la vicenda ha avuto si vedano – limitatamente agli articoli c.d. hardcopy di quotidiani – Carige, l’affondo di Malacalza per inibire il voto a Mincione & C, in Il Messaggero, 6 settembre 2018, e “Mincione e Volpi, capitali offshore”, in La Repubblica, 11 settembre 2018.
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2. La (succinta) comunicazione della Banca d’Italia e il riferimento (improvvido) agli «altri diritti». Ad ancora meno giorni dalla celebrazione dell’assemblea e con anticipo sulla costituzione in giudizio dei tre paciscenti – che d’ora in avanti saranno chiamati concertisti, atteso che, nella specie, il sindacato di voto stipulato rileva quale «accordo» ai sensi del già citato art. 5, la cui rubrica parla proprio di «Acquisti di concerto» – la Banca d’Italia, prendendo atto del sindacato, rappresenta loro che «in mancanza di autorizzazione – per la quale comunque invita a presentarne l’istanza –, non possono essere esercitati i diritti di voto e gli altri diritti che consentono di influire sulla società per la quota azionaria che nel complesso eguaglia o eccede la suindicata soglia del 10% del capitale di Banca Carige». Ora, la comunicazione in parola di certo non ha avuto il merito di far sì che il Tribunale si pronunciasse in modo minimamente più sereno – cioè con il conforto di poter aderire ad un inequivoco statement dell’autorità di vigilanza – in ragione del silenzio serbato dalla Banca d’Italia su certi punti di critica rilevanza e della vaghezza della comunicazione, che avrebbe dovuto avere l’utilità d’essere chiarificatrice nel momento preassembleare, con l’improvvido riferimento agli «altri diritti che consentono di influire sulla società». Difatti, calandosi nei panni del giudice che pure ha dovuto considerare queste parole nel momento della redazione del proprio provvedimento, ove si interpretasse il riferimento all’«influenza» come forma ellittica dell’espressione «influenza notevole», ciò sembrerebbe tradire una parificazione tra il caso dell’esercizio (in concreto) dell’influenza notevole e quello della partecipazione superiore al 10%, circostanze tenute ben distinte dal ricorrente, e pour cause5. Sembrerebbe, cioè, che la partecipazione superiore al 10% consenta nel caso concreto di influire notevolmente sulla banca: indicando la sterilizzazione della sola partecipazione eccedente, quindi, la Banca d’I-
Circostanze in sostanza sottese, rispettivamente, alle domande sub (i) e (ii). Da un punto di vista di strategia di litigation, il fine pratico dell’inibizione all’ammissione ai voti della lista sarebbe raggiungibile con maggiori aggravi nel caso della seconda domanda perché implicherebbe che Tribunale accolga il criterio cronologico – supra nel testo e sul quale ampiamente infra – in thesi addotto dal ricorrente, mentre in accoglimento della prima domanda si pronuncerebbe solamente sulla sterilizzazione totale della partecipazione vincolata al patto. Ecco, allora, che appare evidente la preferenza del ricorrente per la prima via, non a caso in testa al cumulo di domande. 5
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talia smentirebbe, in anticipo sul Tribunale, la tesi del ricorrente per cui nel caso di influenza notevole ad essere sterilizzata dovrebbe essere l’intera partecipazione non autorizzata. Ove, invece, s’intendesse l’«influenza» in senso lato e slegata da ogni fattispecie tipizzata – cioè come generico potere di concorrere alle decisioni inerenti il governo della società – si darebbe il caso di una rinuncia della Banca d’Italia a prendere una posizione sull’esercizio dell’influenza notevole da parte dei concertisti, limitandosi a considerare solo uno dei tre casi contemplati dall’articolo 19 del t.u.b. ossia il superamento della soglia del 10%, e ciò con la conseguenza di sterilizzare i diritti solo per la differenza6. In questa seconda ipotesi, quindi, rimarrebbe inascoltata la domanda del ricorrente fondata sull’allegazione delle circostanze dalle quali deriverebbe l’esercizio concertato dell’influenza notevole e, di conseguenza, sarebbe destinato a rimanere inattuato il più favorevole effetto inibitorio prospettato (inerente cioè la totalità della partecipazione). E nel tentativo di recuperare l’inibizione per l’intera partecipazione – giustificando allo stesso tempo il silenzio dell’autorità sul punto – il delegato del ricorrente poi dirà durante l’assemblea che la «Banca d’Italia non si è espressa per la banale ragione che nessuno l’ha interpellata in proposito»7. Tuttavia, così argomentando, non ci sarebbe dovuta essere nemmeno una pronuncia in merito alla partecipazione ultra limen, sulla quale pure nessuno ha interpellato la Banca d’Italia, o per lo meno nessuno l’ha fatto a livello di interlocuzione ufficiale e non sommersa. Evidentemente, invece, l’autorità di vigilanza – al pari del Tribunale, come si discorrerà ampiamente infra – ha preferito non addentrarsi nelle complessità in cui si sarebbe imbattuta se avesse dovuto accertare la sussistenza dell’influenza notevole, fermandosi quindi alla ragione più liquida, ossia il (facilmente accertabile) superamento della soglia in assenza di autorizzazione. Andando più a fondo, è d’immediata evidenza notare come la formulazione del dispositivo della comunicazione in parola ricalca con evidenza quella del primo comma dell’articolo 24 del t.u.b.8, sicché traspare
6 (Almeno) in ciò è inequivocabile il dato testuale della comunicazione nel riferirsi alla quota che «eccede». 7 Verbale d’assemblea, p. 34. 8 «Non possono essere esercitati i diritti di voto e gli altri diritti che consentono di influire sulla società inerenti alle partecipazioni per le quali le autorizzazioni previste dall’arti. 19 non siano state ottenute ovvero siano state sospese o revocate».
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con innegabile nitore la scelta del funzionario-estensore della Banca d’Italia di affidarsi al (ritenuto) sicuro wording del t.u.b. Purtroppo però, l’aver citato letteralmente la prima parte del comma modificandone la conclusione non ha giovato alla chiarezza del periodo nel suo insieme: se qui il riferimento ai «diritti che consentono di influire sulla società» seguito dall’esplicita menzione della soglia può ingenerare l’equivoco appena ora descritto – quello cioè della commistione fra le due fattispecie – li invece crea meno impacci perché, riferendosi genericamente a tutte e tre le fattispecie dell’articolo 19 (partecipazioni ultra soglia, notevolmente influenti e di controllo), rimette all’interprete il compito di determinare quali siano questi «altri – quindi necessariamente ulteriori e diversi dal voto – diritti che consentono di influire sulla società», in ciascuno dei tre casi. Ma oltre che improvvida, la scelta di ricalcare la formulazione testuale dell’articolo 24 del t.u.b. sembrerebbe pure errata e per dimostrare ciò è opportuna una breve notazione sulla genesi dell’inciso in parola. Infatti, di fianco al diritto di voto, gli «altri diritti che consentono di influire sulla società» hanno fanno apparizione all’articolo 24 medesimo in occasione del coordinamento delle disposizioni di riforma organica del diritto societario del 2003 (d.lgs. 5 e 6 del 2003) con quelle dei testi unici bancario e finanziario, attuato con d.lgs. 37/2004, e ciò per la necessita di tenere conto della novità rappresentata dall’introduzione nell’ordinamento degli strumenti finanziari partecipativi9, i cui apporti sottostanti
Gli unici Autori di cui consta un interesse sulla portata e sul significato delle disposizioni di coordinamento sarebbero Albano e Sciumbata, nell’ambito di opere dedicate al commento delle sole disposizioni del decreto 37 del 2004 [rispettivamente: Commento sub art. 24 t.u.b., in Il coordinamento della riforma del diritto societario con i testi unici della banca e della finanza, a cura di Maimeri, Milano, 2006, e Commento sub art. 2 (art. 9.10), in Società, banche ed intermediazione finanziaria, norme di coordinamento (D.Lgs. 6 febbraio 2004, n. 37), a cura di Id., Milano, 2004]. Il primo ha avuto modo di osservare che «nella nuova formulazione l’effetto sospensivo non riguarda più il solo diritto di voto – che comunque è attribuito anche ai portatori di strumenti finanziari, con ciò determinando l’eliminazione di qualsiasi riferimento al capitale, sostituito dalla nuova definizione di partecipazione – ma anche i cosiddetti “altri diritti” in grado di influire sulla società, ovvero i diritti amministrativi attribuiti ai portatori di strumenti finanziari (art. 2346, comma 6, e 2351, comma 5)» (p. 120), cui adde Mazzini, Commento sub art. 25 t.u.b., in Testo unico bancario. Commentario, a cura di Porzio, Belli, Losappio, Rispoli Farina e Santoro, Milano, 2010, p. 253, e Santoni, Commento sub art. 24 t.u.b., in Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia3, a cura di Capriglione, I, Padova, 2012, p. 300 («l’adeguamento del T.U.B. alla riforma delle società di capitali ha comportato l’inclusione anche “degli altri diritti che consentono 9
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pur non essendo imputati a capitale sociale nondimeno possono riconoscere ai propri portatori vari altri diritti di natura amministrativo-partecipativa e quindi la possibilità di influire sulla gestione sociale10.
di influire sulla società. Si tratta dei c.d. diritti amministrativi spettanti ai titolari di strumenti finanziari partecipativi diversi dalle azioni»). Osservazione richiamata dallo stesso A. anche in punto di commento all’analoga disposizione nel t.u.f.: Albano, Commento sub art. 14 t.u.f., in Il coordinamento, cit., p. 345 («per l’individuazione dei diritti attribuiti agli s.f.p. rilevanti ai fini della vigilanza, si fa riferimento agli “altri diritti che consentono di influire sulla società”»), cui adde Corvese, Commento sub art. 14 t.u.f., in Commentario t.u.f. Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni, a cura di Vella, I, Torino, 2012, p. 187. Il secondo A., nello stesso senso, ritiene che l’aggiunta della locuzione riguardante «gli altri diritti che consentono di influire sulla società» «viene mutuata dalla definizione di partecipazioni rilevanti, introdotta alla lettera h-quinquies del comma 2 dell’articolo 1 del t.u.b.» (p. 58); aggiunge poi in punto di commento sub articolo 16 del t.u.f. [Commento sub art. 3 (art. 953), p. 184] che «si tratta, più o meno, delle disposizioni che l’art. 24 del t.u.b. detta in ambito bancario». Nello stesso senso, seppur succintamente, Mucciarelli, L’autorizzazione all’acquisto di partecipazioni al capitale delle banche, in Banche e mercati finanziari, a cura di Vella, Torino, 2009, pp. 94-95 (ove, in nota 36, si cita ulteriore dottrina sul più generale tema del coordinamento tra il t.u.b. e la riforma del diritto societario: Sepe, Nuovo diritto societario e partecipazione al capitale delle banche, in Nuovo diritto societario e intermediazione bancaria, a cura di Capriglione, Padova, 2003, 81 ss.; Santoro, Il coordinamento del testo unico bancario con la riforma delle società. Due profili problematici: gli assetti proprietari e l’indipendenza degli esponenti aziendali, in Dir. banc., 2005, pp. 3 ss. 10 Osserva sul punto Albano (Commento, cit., 120) che «ben non si comprende quali siano tali diritti e a quali “diversi atti” il legislatore faccia riferimento nel prevedere la sanzione dell’impugnabilità in caso di inosservanza del divieto di esercizio dei medesimo; tuttavia … pare congruo ritenere che l’unico diritto amministrativo attribuibile agli strumenti finanziari, oltre al diritto di voto, in grado di determinare una influenza sulla società e concretarsi in un atto rispetto al quale si possa porre la questione dell’impugnabilità, sia il potere di nomina, ai sensi dell’art. 2351, comma 6, dei componenti indipendenti del consiglio di amministrazione». Nello stesso senso, ivi citato, Sciumbata, Commento, cit., p. 58 («Risulta, per vero, difficile all’interprete riconoscere quali siano in concreto questi diritti che consentono di influire sulla società. … L’esito non può che essere un senso di disagio e di disorientamento dell’interprete, che deve accertare l’esistenza di un fenomeno, che però non può concretamente identificare»). Per un elenco esaustivo dei diritti amministrativi attribuibili agli s.f.p., ragioni di brevità impongono un rinvio, per tutti, alla ricognizione del Notari e Giannelli, Commento sub art. 2346, c. 6, c.c., in Azioni, a cura di Notari, in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi e Notari, Milano, 2008, pp. 106-109) preceduta dalla considerazione di carattere generale per cui «sembra potersi ritenere che ai possessori di s.f.p. ex art. 2346, comma 6, possano essere liberamento attribuiti uno o più dei diritti amministrativi già spettanti agli azionisti e in concorso con gli stessi, potendosi giungere, a questo riguardo, quasi ad una parificazione degli uni agli altri, sia in senso qualitativo (gli stessi diritti), sia in senso quantitativo (lo stesso insieme di diritti)». Posizione poi
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Al fine di ricomprendere nelle nozioni di partecipazione anche i nuovi strumenti, infatti, il decreto legislativo 37 ha provveduto, in entrambi i testi unici, a riscriverne la disposizione definitoria – opportunamente eliminando, fra l’altro, la specificazione «al capitale» – 11 e a inserire, in più punti, l’inciso in parola («altri diritti che consentono di influire sulla società»)12. Le disposizioni così integrate – tra cui l’articolo 24 del t.u.b. – non sembrerebbero essere in altro modo interpretabili se non avendo riguardo del contesto sistematico cui le proprie disposizioni modificative – quelle di coordinamento cioè – sono da iscriversi, ossia un corpus normativo per l’appunto di mero coordinamento, con la conseguenza che non sembrerebbe esservi altra ragione ispiratrice di un simile ampliamento di fattispecie se non quella di adeguamento ai nuovi strumenti finanziari partecipativi. Non dal punto di vista sistematico, perché nel decreto di coordinamento non vi è altro che modifiche di mera correzione o uniformazione
ribadita in Id., Gli strumenti finanziari partecipativi: punti fermi e problemi aperti negli orientamenti interpretativi del notariato milanese, in Riv. soc., 2018, pp. 1147 ss. 11 Definizione che ora quindi – in modo coincidente tra gli articoli 1, co. 2, lett. hquater, t.u.b. e 1, co. 6-bis, t.u.f. – tiene anche conto degli «gli altri strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi o comunque i diritti previsti dall’articolo 2351, ultimo comma, del codice civile». Dalla nozione di partecipazione dettata dal t.u.f. sono tuttavia eccettuate le società d’investimento a capitale variabile e fisso per le quali l’articolo 14, co. 2 – ante 2015 – e terzo post, opportunamente chiarisce che «si fa riferimento alle sole azioni nominative»; sul punto è stato infatti affermato che la «riforma del diritto societario … almeno per quanto riguarda la nozione di partecipazione, non ha riguardato le società a capitale variabile: ciò, del resto, appare comprensibile, dal momento che vi è una relazione biunivoca tra apporto a capitale ed azioni nominative, che non può venir meno, proprio per la peculiarità della disciplina del capitale e dell’oggetto sociale, con l’emissione di strumenti finanziari, i cui conferimenti, non vengono imputati a capitale» (così Albano, Commento sub art. 14 t.u.f., 344, nota 3, cui adde Corvese, Commento, cit., p. 187). 12 In ragione dell’ampliamento della definizione risulta pertanto ampliato anche l’ambito oggettivo di applicazione di quelle disposizioni contenenti il riferimento alle «partecipazioni» e così, ad esempio, per gli articoli 24, 25, 108 e 110 del t.u.b. e 14, 15 e 16, co. 1 e 2, del t.u.f. in tema di intermediari (ma non anche di emittenti, atteso che, all’articolo 120, l’originario perimetro del «diritto di voto inerente alle azioni quotate» è stato ampliato semplicemente aggiungendo le parole «od agli strumenti finanziari»). Gli «altri diritti…» compariranno poi, circa un anno più tardi, anche nella corrispondente disposizione in materia di partecipazioni rilevanti nel codice delle assicurazioni private (articolo 74 del decreto legislativo 209 del 2005).
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con la disciplina novellata delle società di capitali13 sicché sarebbe in palese antitesi con le intenzioni del legislatore coordinante l’interpretare gli «altri diritti» come un qualcosa di ulteriore e diverso rispetto alle mere esigenze di coordinamento rese necessarie in esito alla riforma (i.e. sarebbe incoerente sostenere che gli «altri diritti» sono tutti gli altri diritti amministrativi diversi dal voto) e neppure dal punto di vista sostanziale perché non si riuscirebbe a spiegare quali nuovi diritti amministrativi – che già non vi fossero prima della riforma – necessiterebbero di essere contemplati nei due testi unici, alla riforma antecedenti, sicché, non essendovene di nuovi, se il legislatore bancario e finanziario avesse voluto inibirne l’esercizio oltre al diritto di voto, ben avrebbe potuto prevederlo sin da subito e non in sede di mero coordinamento di disposizioni successive alla riforma. Inoltre, corrobora questa ricostruzione anche la lettera dell’articolo 2, ultimo comma, del decreto C.I.C.R. a mente del quale «Le modalità di calcolo di cui ai precedenti commi – i.e. delle partecipazioni rilevanti – non si applicano alle partecipazioni rappresentate da strumenti finanziari che attribuiscono i diritti previsti dall’articolo 2351, ultimo comma, del codice civile; questi ultimi rilevano se il loro possesso configura un’ipotesi di influenza notevole ai sensi dell’articolo 4 del presente decreto». La disposizione in parola, infatti, avrebbe il merito di attenuare i dubbi interpretativi nutriti sugli «altri diritti che consentono di influire», rinsaldando – senza ormai troppe esitazioni, ove ve ne fossero – il nesso tra questi e gli s.f.p.: se gli strumenti rilevano in tanto in quanto attribuiscano diritti da cui derivi la possibilità di esercitare un’influenza notevole allora, del tutto simmetricamente gli «altri diritti che consentono di influire»14 non possono che essere quelli degli s.f.p.
13 Diverso sarebbe stato il caso di un corpus solo parzialmente destinato al coordinamento tra disposizioni, nel qual caso modifiche a carattere innovativo avrebbero avuto piena ragion d’essere e dunque sarebbe stato ragionevole sostenere che il legislatore ha solo colto l’occasione del coordinamento per ampliare una fattispecie già prevista, ma il cui ampliamento poco ha a che fare con le ragioni del coordinamento. Tuttavia, non ne è certamente questo il caso – si ribadisce – trattandosi di un decreto i cui articoli sono pressoché totalmente dedicati a modifiche di coordinamento (con le disposizioni della riforma) o di correzione (delle disposizioni della riforma) e le cui rubriche di capi e sezioni fanno insistito riferimento al coordinamento e alla correzione medesimi. 14 Va da sé, influire notevolmente; specificazione del resto superflua – e che perciò il t.u.b. non fa – atteso che sarebbe pressoché solo teorica l’ipotesi di influenza (non notevole ma) dominante da possesso di s.f.p., se non altro per il limite di «un amministratore» ex articolo 2351, ult. co., c.c. (sul quale ampiamente Notari, Gli strumenti, cit.,
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Ora, se dunque gli «altri diritti» hanno come presupposto ontologico l’esistenza di strumenti finanziari che ne attribuiscano la facoltà di esercizio ai propri portatori, non si comprenderebbe davvero la ragione per cui la Banca d’Italia abbia disposto la sterilizzazione di «altri diritti» inerenti a strumenti che la banca neppure aveva emesso, circostanza, ovviamente, conoscibile in ragione della pubblicità ai sensi dell’articolo 2346, comma sesto, secondo periodo, del codice civile. Il riferimento agli «altri diritti» dovrebbe quindi considerarsi come non presente giacché il profilo oggettivo della fattispecie pacificamente non sussiste; detto più esplicitamente, cioè, la sterilizzazione disposta dalla Banca d’Italia non è giuridicamente possibile con riguardo ai diritti ulteriori a quello di voto, atteso che questi – secondo l’unica interpretazione possibile dell’articolo 24 del t.u.b., come citato letteralmente nella comunicazione – non possono che essere esercitati dai portatori di s.f.p., nella specie assenti.
3. La presentazione di una lista e la sollecitazione delle deleghe quali «altri diritti» da sterilizzarsi. L’estensione della sterilizzazione per interposizione di persona. Una simile proposta di soluzione – a questione tutt’altro che formalistica – è un’utile occasione per anticipare un possibile rilievo critico ad una assunzione di fondo della pronuncia del Tribunale: il fatto che per una società non emittente s.f.p. il riferimento agli «altri diritti» sia da considerarsi inoperante importerebbe, in esito ad una sterilizzazione, l’insensibilità agli effetti di questa di tutti quegli altri diritti amministrativi diversi dal voto inerenti una partecipazione non autorizzata. In altre parole, se non vi sono «altri diritti» attribuiti da s.f.p. a poter essere sterilizzati saranno solo i diritti di voto. Ed esempio di diritto amministrativo diverso dal voto – e dunque, almeno a rigore, non sterilizzabile – sarebbe proprio un diritto non insignificante nel caso di specie, ossia il diritto di presentare una lista di candidati per l’elezione dell’organo amministrativo o di controllo, ritenuto non a torto dal Tribunale «espressione di uno dei diritti proprio della
1147, nota 12, per una ricognizione della dottrina sul punto e per l’orientamento della commissione societaria del Consiglio notarile di Milano).
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partecipazione»: constatazione sì corretta ma inconferente in quanto pur sempre un diritto che «altro diritto» ai fini dell’articolo 24 non è. Il Tribunale, in altre parole, sarebbe finito per confondere (e sussumere) – forse suggestionato dalla ricostruzione proposta dal ricorrente e poi ribadita in assemblea15 – il diritto a presentare una lista fra gli «altri diritti» in potenza oggetto di inibizione. A sostegno di questa tesi, poi, si potrebbe aggiungere, argomentando a contrario, che ove si identificassero gli «altri diritti» negli altri diritti amministrativi ulteriori dal voto, potrebbero aver luogo distorsioni di non poco momento: per limitarci al caso di specie anche la richiesta di convocazione dell’assemblea ex articolo 2367 – a rigore – sarebbe da considerarsi ex post come non proponibile, al pari della presentazione della lista, perché in qualche modo influente sulla società e perché diritto esercitato, per effetto della sterilizzazione, in carenza del possesso dell’aliquota minima di capitale richiesta16)
Ove si fa riferimento non solo al «diritto di voto ma anche alla sospensione degli altri e, tra questi ultimi, del diritto a presentare una lista» (verbale d’assemblea, p. 34). 16 La questione indirizza il più generale problema relativo ai profili temporali della sterilizzazione e della legittimazione all’esercizio dei diritti basati sul criterio della c.d. data di registrazione. Limitandoci al caso di specie, che come già notato riguarda una banca con azioni quotate, la legittimazione all’esercizio del diritto di voto e, ancor più in particolare, quello alla presentazione di una lista è determinata, com’è noto, con riguardo ad una data antecedente all’assemblea – rispettivamente quella di cui agli articoli 83-sexies, comma secondo, e 147-ter, co. 1-bis, secondo periodo, del t.u.f. – e dunque potrebbe accadere che l’acquisto o l’incremento della partecipazione poi sterilizzata sia compiuto in seguito a tale record date ma prima della celebrazione dell’assemblea. Esemplificando, si pensi ad un azionista titolare in t0 di una partecipazione del 2% che – a fronte di una quota minima ex articolo 147-ter, comma primo, del t.u.f. pari allo 1,5% – presenta una lista in t1, momento al quale la sua partecipazione rimane invariata; in t2 incrementa la sua partecipazione sino a raggiungere l’11% omettendo di ottenere l’autorizzazione ex articolo 19 del t.u.b.: aderendo ora per linearità d’esposizione – ma si vedrà infra essere la soluzione preferibile – al criterio della sterilizzazione dell’eccedenza (nel caso di superamento non autorizzato della soglia), al momento dell’evento assembleare t3 la partecipazione residua si commisurerebbe al solo 1%, ammontare che porterebbe a dire – ex post – che non sarebbe stato possibile presentare la lista sin dal principio. E lo stesso esempio potrebbe valere, mutatis mutandis, per il caso dell’incremento successivo alla record date del voto, in particolar modo nel caso della sterilizzazione dell’intera partecipazione (che si vedrà oltre essere la soluzione preferibile per il caso della partecipazione notevolmente influente). Ragioni di equità porterebbero ad escludere un effetto sanante della record date nei confronti della successiva inibizione (i.e. la salvezza della lista o dei diritti di voto cui si risulta legittimati a quella data) e ciò se non altro per evitare di incentivare un comportamento preordinato all’elusione della disciplina autorizzatoria, cioè l’incremento (non autorizzato) della partecipazione attuato proprio dopo 15
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Aderendo alla tesi qui proposta, quindi, nel caso non vi siano anche diritti amministrativi attribuiti da s.f.p. da sterilizzare, ai sensi dell’articolo 24 potrà essere inibito il solo diritto di voto, sicché, in astratto, (i) il ricorrente avrebbe dovuto vedersi rigettata la domanda di non ammissione al voto della lista presentata dalla s.à r.l. e (ii) il Tribunale non avrebbe dovuto discorrere neppure incidentalmente di tale profilo, perché il solo diritto oggetto di inibizione sarebbe stato quello di voto. Tuttavia, anche se in pratica la conclusione è stata nel senso dell’ammissione al voto della lista, la stessa è stata raggiunta per tutt’altra via come si vedrà ampiamente infra e cioè perché la sterilizzazione della sola partecipazione eccedente ha fatto si che residuasse in capo alla s.à r.l. una partecipazione che, ex post, comunque eccedeva la quota minima necessaria per la presentazione di una lista ex articolo 147-ter, co. 1, del t.u.f., con la conseguenza (logicamente erronea) che, ove la sterilizzazione si fosse spinta sino a determinare un residuo infra quota minima, la lista con ogni probabilità sarebbe stata dichiarata dal giudice non ammissibile al voto. Abbandonando per un attimo la situazione contingente e tornando sul piano delle considerazioni generali, l’obiettiva oscurità della lettera di legge espone, tuttavia, la tesi proposta a non poche incertezze. Non si comprenderebbe, ad esempio, la ragione per cui il legislatore ha voluto che gli azionisti si vedano sterilizzato il solo diritto di voto mentre i portatori di strumenti finanziari l’intero set di «altri diritti» loro attribuiti. Ma del resto non potrebbe che essere così: se il legislatore avesse voluto sterilizzare il solo diritto di voto degli s.f.p. ben avrebbe potuto lasciare immutata la lettera della legge, giacché quello su «argomenti specificatamente indicati» è pur sempre un «diritto di voto» ai sensi dell’articolo 2346, così come consegnatoci dalla riforma e, dunque – una volta allargata la nuova nozione di «partecipazione» – sarebbe stato sin dall’origine già ricompreso nel diritto di voto da sterilizzarsi ai sensi dell’articolo 24. Inoltre, la volontà di inibire qualcosa di ulteriore al diritto di voto trasparirebbe anche dalla formulazione del vigente secondo comma dell’articolo 24, che oltre all’impugnazione della «deliberazione» – inerente quindi l’esercizio del voto – configura pure l’impugnazione del
che la registrazione in proprio favore cristallizzi il diritto di voto o la presentazione della lista.
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«diverso atto, adottat[o] con il … contributo determinant[e]» della partecipazione17. Infine, quanto ad una possibile giustificazione razionale di una simile scelta di politica legislativa, non sembrerebbe esservi altra ragione se non una sorta di compensazione per i minori diritti amministrativi attribuibili agli s.f.p.: essendo per questi «escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti» ma solo consentito «su argomenti specificatamente indicati», è forse parso congruo al legislatore prevedere la sterilizzazione anche degli ulteriori diritti amministrativi quasi a compensare il maggior sacrificio inferto alle azioni, ossia la sterilizzazione del voto (tendenzialmente pieno). Se si ha poi riguardo della citata disposizione dell’articolo 2, ult. co, del decreto C.I.C.R., a mente del quale gli s.f.p. rilevano solo «se il loro possesso configura un’ipotesi di influenza notevole», appare ancora più chiara la logica della compensazione: se gli s.f.p. rilevano solo se attributivi di un simile potere, allora appare ragionevole – se non preferibile – disporre la sterilizzazione dell’insieme dei diritti che accordano il potere di influenza medesimo, giacché è ben possibile che tali diritti siano diversi ed ulteriori al solo «diritto di voto su argomenti specificatamente indicati» e quindi, diversamente, si imporrebbe all’interprete un difficile distinguo fra quelli che in concreto attribuiscono il potere di influenze e quelli che non lo attribuiscono. Inoltre – e forse in modo minimamente persuasivo – si potrebbe muovere un’obiezione di carattere teleologico alla tesi proposta, con esclusivo riguardo al diritto di presentare una lista, che nel caso in questione rileva più d’ogni altro. Se è vero che la scelta del legislatore di inibire il solo diritto di voto e non anche gli altri diritti amministrativi è
17 L’attuale formulazione del secondo comma dell’articolo 24 non risale all’editio princeps del t.u.b. bensì è stata introdotta anch’essa con la riforma del 2003 e poi corretta dal decreto di coordinamento del 2004, sicché anche il riferimento ai «diversi atti» impugnabili simmetricamente fa il paio con la comparsa degli s.f.p. e, con essi, con le conseguenti modifiche del comma primo. Sarebbe questo, quindi, un ulteriore indice del fatto che l’astratta impugnabilità di atti d’influenza diversi dal voto non sia elemento significativo al fine di ammettere l’inibizione di questi atti – quali generici diritti inerenti la partecipazione sociale – ma sia stato un ampliamento del rimedio impugnatorio – prima ammissibile solo contro delle deliberazioni assembleari – in conseguenza dell’ampliamento dei diritti sterilizzabili, i.e. quelli attribuiti dagli s.f.p. In tal senso, con scetticismo sul funzionamento del rimedio dell’impugnazione per tali «atti», Sciumbata, Commento, cit., p. 59 («in astratto sembra che gli atti diversi siano il frutto dei diritti che consentono di influire sulla società»).
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dovuta per l’ovvia circostanza che con esso si manifesta precipuamente il potere di influenzare la gestione sociale, allora non ritenere oggetto di inibizione anche un diritto così inscindibilmente legato al voto – specie in materia di nomina dell’organo amministrativo – com’è il diritto di presentazione di una lista, frustrerebbe apertamente lo scopo della disciplina, ossia l’inibire ogni influenza esercitabile da persone che prima non siano state soggette ad un preventivo vaglio sulle «condizioni atte a garantire una gestione sana e prudente della banca, valutando[ne] la qualità … la solidità finanziaria … la reputazione [e] … l’idoneità … di coloro che, in esito all’acquisizione, svolgeranno funzioni di amministrazione» (art. 19, co. 5 t.u.b.). Sarebbe, infatti, perverso ammettere al voto una lista di candidati amministratori da tutti votabile e presentata da chi non si sia sottoposto ad un controllo dell’autorità di vigilanza riguardante, fra l’altro, l’idoneità degli stessi candidati amministratori. Vale la pena sottolineare, in conclusione, che alla ora prospettata inibizione anche del diritto di presentazione della lista si perviene non attraverso la sussunzione del diritto in parola negli «altri diritti» bensì nel considerarlo diritto inscindibilmente connesso, quasi accessorio, a quello di voto18 e ciò in coerenza con la tesi per cui gli «altri diritti» sono solo quelli inerenti gli s.f.p. Quest’ultima tesi, che potrebbe dirsi sostanzialistica, indirizza allora ad un’ulteriore questione, parimenti non irrilevante per il caso concreto: ci si potrebbe chiedere, nel caso di inibizione del voto spettante ai concertisti, della sorte dei diritti di voto che per l’assemblea in questione sono stati sollecitati dalla stessa s.à r.l, presentatrice della lista. In modo del tutto simmetrico al diritto di presentazione della lista, formalisticamente si potrebbe sostenere l’estraneità del diritto a sollecitare deleghe di voto con il voto stesso. Ed infatti, la legge non solo non ne subordina l’esercizio al possesso di aliquote minime di capitale ma ora – dopo l’abrogazione dell’articolo 139 del t.u.f. relativo ai «Requisiti [di partecipazione] del committente»19 – lo consente ad un «promotore» che può addirittura essere esterno alla compagine sociale. Sicché, nell’e-
18 Si ribadisce conclusivamente che ne deriva quindi l’erroneità del riferimento agli «altri diritti» nella comunicazione della Banca d’Italia, i quali rimarrebbero comunque inerenti i soli – e nella specie non emessi – s.f.p. 19 Prima della sua abrogazione operata con decreto legislativo 27 del 2010, l’articolo 139 del t.u.f. prevedeva che «Il committente deve possedere azioni che gli consentano l’esercizio del diritto di voto nell’assemblea per la quale è richiesta la delega in misura almeno pari all’uno per cento del capitale».
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ventualità che il promotore sia pure socio ed il suo diritto di voto venga sterilizzato – ancorché interamente – i voti espressi per deleghe da questi sollecitate a rigore dovrebbero essere insensibili alla sterilizzazione20. Per altro verso, anche qui si potrebbe obiettare come una simile ricostruzione frustri lo scopo della legge: la sollecitazione, da parte di un promotore che sia pure azionista con voto sospeso, di deleghe di voto – specie se la proposta è rappresentata dalla lista, e questa è presentata dal medesimo azionista non autorizzato – sarebbe comunque un modo di orientare – se non influire – l’evento assembleare e quindi la gestione sociale, orientamento che la legge mira ad escludere21. Ad ogni modo, non essendo state oggetto di pronuncia del giudice, se non incidentalmente, le questioni della presentazione della lista e della sollecitazione del voto, non sembra opportuno dilungarsi oltre sul punto. (22)
20 La tesi in parola avrebbe pure il pregio d’essere coerente con il ruling della Consob in tema di accertamento del controllo di fatto – che, mutatis mutandis, non pare scorretto applicare estensivamente anche all’influenza notevole (così Bertone (e Notari), Commento sub art. 2359 c.c., in Azioni, cit., p. 697) – e cioè che «non sembra potersi sostenere che i voti delegati da parte degli altri azionisti siano sempre caratterizzati da una certa stabilità o continuità del loro esercizio sufficiente a ritenere controllante il socio che ne abbia tratto vantaggio» (così Mollo e Montesanto, Il controllo societario nel Testo unico della finanza. Problemi e prospettive di riforma, in Quaderni giuridici Consob, 8, 2015, p. 48, ove si cita l’opinione scettica di Ricciardiello, La nuova disciplina in materia di sollecitazione delle deleghe di voto: inizia la stagione italiana dei proxy fights?, in Giur. comm., 2012, I, p. 151). Si veda, però, anche l’opinione contraria di Bertone (e Notari, Commento, p. 697) per la quale il «collegamento – i.e. l’influenza notevole – può viceversa risultare episodico e discontinuo e riguardare solo una parte ristretta, ancorché significativa, dei poteri relativi all’indirizzo della gestione sociale» (e quindi riguardare anche i voti delegati, in esito o meno ad una sollecitazione); a sua volta parzialmente in senso contrario Santosuosso, Sul collegamento societario nell’ambito dei poteri di fatto di società su società, in Giur. comm., 2002, I, pp. 715 e 721, per cui l’episodicità non significa mera occasionalità. 21 Sembrerebbe invece ardita la tesi espressa in assemblea dal delegato del socio ricorrente che, al fine di perorare la non ammissione al voto di tutte le azioni oggetto di delega sollecitata, ha asserito l’esistenza di un «accordo», rilevante ai fini del concerto previsto dal decreto del presidente del C.I.C.R., tra promotore delle sollecitazione – la s.à r.l. – e azionisti sollecitati, ai quali, dunque, la sterilizzazione si estenderebbe giacché il «fenomeno della concertazione … non è sottoposto a vincoli formali; non si deve dimostrare l’esistenza di un accordo formale in quanto il fenomeno di collaborazione si esprime nelle forme più svariate» (verbale d’assemblea, p. 35). 22 Anzi, il giudice non può far a meno di notare che «Nel corso della discussione parte ricorrente ha argomentato anche in termini di rispetto delle norme riguardanti la raccolta delle deleghe in vista dell’Assemblea. Tale profilo, se pur genericamente presente
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Da ultimo, per connessione al tema dell’estensione della sterilizzazione, la querelle che poi ha avuto luogo durante l’assemblea – incentrata sui fondi d’investimento in thesi riconducibili ad uno dei concertisti (23) – è un’utile occasione per notare come la norma di chiusura del sistema delle disposizioni antielusive nel t.u.b. sia rappresentata in definitiva dall’articolo 22: oltre alla già citata estensione da concerto contemplata al comma 1-bis, al comma primo è prescritto il generale criterio nel computo delle partecipazioni per il quale «si considerano anche le partecipazioni acquisite o comunque possedute per il tramite di società controllate, di società fiduciarie o per interposta persona». È di certo superfluo passare in rassegna la moltitudine di casi in cui ricorre una disposizione dalla formulazione analoga (il rilievo, cioè, di società controllate, fiduciarie e interposte persone), perciò ci si limita qui a notare che l’accertamento in concreto dell’interposizione di persona – come nel caso di specie – possa rappresentare un ulteriore ostacolo nell’esatta determinazione del perimetro di sterilizzazione. Ed infatti, per un verso, non può che condividersi la lamentata (da parte del ricorrente) impossibilità di sollevare in un momento precedente (i.e. la proposizione del ricorso ex articolo 700) la questione dell’interposizione giacché, almeno in società quotate, nessuna disposizione in tema
all’interno delle domande formulate, dal contenuto estremamente ampio, non è stato però oggetto di alcun esame nel ricorso, e dunque non deve essere oggetto di valutazione». 23 Querelle della quale si legge alle pagine 101 e seguenti del verbale d’assemblea: in estrema sintesi, il delegato del socio ricorrente ha fatto notare come risultino rappresentati in assemblea (circostanza della quale – sostiene – non poteva aversi contezza prima dell’inizio dei lavori assembleari) tre fondi comuni d’investimento complessivamente titolari di circa il 3% del capitale della banca e riconducibili alla s.à r.l. (in verità trattasi di un fondo comune d’investimento – «Athena Capital Global Opportunities Fund» gestito da «Athena Capital Fund, SICAV-FIS», una société d’investissement à capital variable lussemburghese – e di una società d’investimento a capitale variabile maltese, «Eurasia Alternative Investments Fund SICAV PLC. – Eurasia AI Fund 1») e in ragione di ciò la sterilizzazione dovrebbe a questi estendersi in quanto «interposte persone» ai sensi dell’articolo 22, co. 1, del t.u.b. Il delegato in assemblea del fondo e della sicav, dal canto suo, prontamente ha replicato invocando la separatezza fra la titolarità in senso economico dei quotisti del fondo e quella in senso più propriamente giuridico della società di gestione, che, in modo autonomo ed indipendente dai quotisti, decide discrezionalmente sul diritto di voto inerente le azioni gestite (rectius: la cui titolarità è del fondo/ sicav gestito/a). Specificatamente sul rapporto tra esercizio del voto da parte di società di gestione del risparmio e voto di lista si veda: Stella Richter jr, L’esercizio del voto con gli strumenti finanziari gestiti, in I contratto del mercato finanziario, a cura di Gabrielli e Lener, Torino, 2011, I, § 10 (Il voto di lista e il procedimento deliberativo), pp. 791 ss.
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di record date sembrerebbe permettere l’istanza da parte di un azionista per conoscere gli altri legittimati all’intervento e dunque pare arduo disporre di una mappatura dell’azionariato – infra soglia ex articolo 120 del t.u.f., com’è ovvio – in modo da poter scorgere situazioni di illecita interposizione in un momento precedente l’evento assembleare. Per altro verso, è condivisibile pure il rifiuto da parte del presidente d’assemblea di assumersi la responsabilità di non ammettere al voto anche le partecipazioni in thesi riconducibili al concertista dietro lo schermo dei fondi/ sicav: opportunamente rifacendosi a giurisprudenza giudicata «rilevante», è stato ritenuto dal presidente che la non ammissione al voto di un azionista può aver luogo «solo ove rilevi ictu oculi, senza la risoluzione di questioni interpretative, la sussistenza di impedimenti di diritti di voto»24. Infatti, sembrerebbe eccessivo gravare la società di un obbligo preventivo di identificazione degli azionisti interveniendi post record date ma ante assemblea – peraltro possibile solo a certe condizione ex articolo 83-duodecies del t.u.f. – in modo da scorgere proattivamente casi di interposizione fittizia rilevanti e ciò in ragione della conformazione del sistema dei rimedi contro l’esercizio del voto dei non legittimati tendenzialmente di tipo impugnatorio-ex post e solo in minima parte inibitorio-ex ante.
4. Le memorie difensive: la cessazione della materia del contendere e l’involontarietà dell’acquisto. Strettamente connesso alla comunicazione della Banca d’Italia è uno degli argomenti svolti nelle difese di uno dei concertisti, destinatario della comunicazione medesima. Di là dalle eccezioni per certi versi classiche in materia di provvedimenti d’urgenza preassembleari – come l’invocazione della specificità del rimedio ex art. 2378 c.c. che in thesi renderebbe inoperante quello generico ex art. 700 c.p.c. – nella memoria difensiva della s.à r.l. viene eccepita la cessazione della materia del contendere in esito al (supposto) decisum della autorità di vigilanza.
Verbale d’assemblea, 36. La giurisprudenza rilevante addotta si legge essere quella del Tribunale di Brescia, 3 giugno 2009 (in Società, 2010, pp. 1075 ss., con nota di Mina, pp. 1077 ss.; citata anche in Scalese (V.) e Scalese (F.), Codice delle società. Annotato con la giurisprudenza della Corte di Cassazione e dei giudici di merito7, Milano, 2013, p. 182). 24
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E però, il Tribunale non può che notare come la comunicazione – per quanto i destinatari abbiano dichiarato in udienza di volerne osservare il comando – «lascia aperte numerose questioni» e che quindi «se pure [di] assoluto rilievo, in questa sede, la scrivente dovrà darsi carico di argomentare rispetto alle difese più significative sul punto allegate dai convenuti». Altra obiezione mossa dai resistenti che qui rileva – ma che parimenti non ha fatto breccia nel Tribunale – attiene la circostanza che la S.A. avrebbe conseguito la propria partecipazione non in un ammontare volontariamente determinato nella sua esattezza bensì in esito alla sottoscrizione di azioni della banca nella fase della c.d. prelazione dell’inoptato, nell’ambito dell’aumento del capitale iperdiluitivo deliberato al fine di perseguire il rafforzamento patrimoniale, sicché – come principio generale – ad avviso delle memorie della S.A. e della s.à r.l., gli acquisti involontari non dovrebbero concorrere al computo delle partecipazioni. Nell’ordinanza che qui si annota tale rilievo dei resistenti non desta le attenzioni del Tribunale, che omette ogni considerazione sul punto; tuttavia è evidente che, sostenendo ciò, il pensiero dei resistenti non sia potuto che correre a quelle cause di esenzione dall’obbligo di offerta pubblica d’acquisto previste dall’art. 49 del regolamento c.d. emittenti, ad esso delegate dall’art. 106, co. 1, lett. b), num. 1, e co. 5, lett. c) e d), t.u.f., ossia nei casi, rispettivamente, di acquisti fatti «in presenza di una ricapitalizzazione della società quotata ovvero altro intervento di rafforzamento patrimoniale» per «cause indipendenti dalla volontà dell’acquirente» o per «operazioni ovvero superamenti della soglia di carattere temporaneo», circostanze tutte genericamente pensabili per il caso di specie25. Il fatto – dirimente – per cui testualmente il t.u.b.26 non preveda simili classi di esenzioni già di per sé pare sufficiente per qualificare come a
25 Esempi di casi in cui la sottoscrizione di azioni rinvenienti da prelazioni dell’inoptato poteva determinare, o concorrere a determinare, il superamento di una soglia da offerta pubblica obbligatoria possono leggersi nelle comunicazioni della Consob numero DEM/9023135 del 16 marzo 2009, DEM/11009687 del 11 febbraio 2011 (aumento del capitale della società «Giovanni Crespi S.p.A.») e DEM/11019934 del 16 marzo 2011 (aumento del capitale della società «Le Buone Società S.p.A.»). 26 () Così come pure le disposizioni di vigilanza della Banca d’Italia, che prendono in considerazione sì i superamenti involontari delle aliquote di capitale nell’assunzione di partecipazioni ma li prevedono con esclusivo riguardo alle «partecipazioni detenibili dalle banche» (parte III, capitolo 1, sezione I, § 1) e non in banche. Non constano poi,
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dir poco fantasioso un simile rilievo; si aggiunga poi che la supposta involontarietà nella sottoscrizione dell’inoptato prelazionato appare francamente insostenibile alla luce di quanto dichiarato dalla S.A. in sede di market sounding, all’aumento di capitale prodromo, e cioè la conferma a seguire l’aumento del capitale in opzione (6%) oltre che l’impegno a «salire al 9,9%» in prelazione27.
5. La sterilizzazione della partecipazione ultra limen per l’eccedenza. Inquadramento sistematico della fattispecie generale. Pronunciandosi idealmente sulla terza (e più subordinata) domanda del ricorrente, il Tribunale non ha incertezze nel ritenere che il rimedio nel caso di assunzione di una partecipazione superiore alla soglia del 10% – una delle tre fattispecie dell’articolo 19 del t.u.b., insieme alla partecipazione influente e quella di controllo – sia quello della sterilizzazione della partecipazione eccedente, ossia quella che «eguaglia o eccede» il 10%, per dirla à la Banca d’Italia, alla cui comunicazione il Tribunale mostra di attenersi fedelmente. A rigore, tuttavia, la legge non prescrive in modo inequivoco il divieto dell’esercizio dei diritti per l’intera partecipazione oppure per una parte di essa (quella eccedente la soglia) – l’art. 24 del t.u.b. fa infatti sibillinamente riferimento ai diritti «inerenti alle partecipazioni per le quali le autorizzazioni siano state ottenute», non chiarendo quali essi siano – eppure l’interpretazione del Tribunale si inserisce in perfetta coerenza nel solco della dottrina (ormai) pressoché unanime, che sostiene
né nelle disposizioni di vigilanza predette né in altre disposizioni regolamentari, casi di esenzione dall’obbligo di preventiva autorizzazione, che la Banca d’Italia è delegata ad emanare in forza dell’articolo 8 del decreto del presidente del C.I.C.R. numero 675 del 2011. 27 Ne danno notizia il comunicato stampa della banca in data 13 settembre 2018 (disponibile nella sezione «investor relations – comunicati stampa» del sito web di Banca Carige o, direttamente, all’indirizzo «https://goo.gl/jSuYye») e l’articolo Carige, Consob approva prospetto, aumento capitale parte domani, in Reuters, 21 novembre 2017.
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la sterilizzazione dei diritti inerenti la sola partecipazione eccedente (o ultracritica28)29.
28 L’uso delle immaginifiche espressioni corsivate è da attribuirsi, quanto alla prima, all’unica monografia sul tema cioè quella della Calvosa (La partecipazione eccedente e i limiti al diritto di voto, Milano, 1999) – A. che, ironia della sorte, è stata proclamata eletta quale membro del consiglio d’amministrazione della banca nell’assemblea in questione – e, quanto alla seconda, al D’Alessandro (La «trasparenza» della proprietà azionaria e la legge di riforma della Consob, in Giur. comm., 1986, I, p. 327). 29 La soluzione in parola risulta accolta in un provvedimento della Banca d’Italia venuto alla ribalta in occasione di una nota vicenda processuale e pertanto, a differenza della normalità dei casi, poi in parte svelato nei suoi tratti salienti. Si tratta del provvedimento emanato a proposito del caso Mediolanum s.p.a. - Fininvest s.p.a., nel quale, in esito alla sopravvenuta carenza dei requisiti di onorabilità del soggetto che esercitava il controllo su Fininvest s.p.a. medesima, veniva sospeso il diritto di voto per la sola eccedenza (può leggersi della vicenda nell’epigrafe della sentenza che giudicava sull’impugnazione del provvedimento medesimo: TAR Lazio, sez. III, 5 giugno 2015, n. 7966). Quanto alla dottrina, limitandosi qui a quella formatasi sul t.u.b. e rinviando alla successiva nota 30 per una più ampia ricognizione – anche al fine di corroborare le conclusioni cui pervengono gli A. qui di seguito citati – si vedano in tal senso Campobasso, Le partecipazioni al capitale delle banche, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, I, p. (ove si cita la tesi contraria della Antonucci, poi, però, non menzionata nella bibliografia in coda allo scritto; A. che, ad onor del vero, sosterrà poi – in Diritto delle banche4, Milano, 2009, p. 191 – la tesi dell’eccedenza); Calvosa, La partecipazione, cit., pp. 37-38 (ove si richiama anche l’analoga disposizione del § 23-ter, Abs. 1-bis, della BankenGesetz – BankG – la legge bancaria svizzera); Manzone, Partecipazioni al capitale delle banche, in La nuova legge bancaria. Il t.u. delle leggi sulla intermediazione bancaria e creditizia e le disposizioni di attuazione. Commentario a cura di Ferro-Luzzi e Castaldi, I, Milano, 1996, p. 376; Mucciarelli, L’autorizzazione, cit., p. 101; Patroni Griffi, commento sub art. 24 del t.u.b., in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Commento al d.lgs. 1°settembre 1993, n. 385, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi, Porzio e Santoro, I, Bologna, 2003, p. 341; Santoni, Commento, pp. 299-300, che argomenta sulla scorta dell’articolo 16 del t.u.b. e richiamando le istruzioni di vigilanza emanate dalla Banca d’Italia (pure citate dal Mucciarelli, L’autorizzazione, p. 101) che avrebbero «da tempo chiarito che, qualora l’autorizzazione manchi … l’esclusione del diritto di voto si riferisce alle sole azioni possedute comunque eccedenti i limiti di legge». Nel senso della sterilizzazione della sola eccedenza, sembrerebbero essere anche le vigenti istruzioni di vigilanza (titolo II, capitolo I, § 4) nel punto in cui autorizzano chi è divenuto titolare di partecipazioni rilevanti in esito ad operazione di aumento del capitale – nelle quali potrebbe non essere ex ante conoscibile con esattezza l’ammontare della partecipazione post aumento – di richiedere l’autorizzazione ad operazione concluse, aggiungendo però che «il diritto di voto inerente alle azioni che eccedono le predette soglie non può essere esercitato sino a quando il soggetto non abbia ottenuto la prescritta autorizzazione». In forza del rinvio operato dagli artt. 63, 110, 114-quinquies.3 e 114-undecies del t.u.b., la conclusione cui perviene la dottrina ora citata sarebbe da reputarsi valida anche per le partecipazioni non autorizzate assunte, rispettivamente, in società finanziarie e società
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Non trattando il presente lavoro ex professo dell’istituto della sospensione legale del diritto di voto – né acconsentendone ragioni di brevità – si rinvia in nota per una minima ricostruzione sistematica nonché per una ideale linea del tempo delle manifestazioni di quella che è stata giudicata come «tecnica sanzionatoria … collaudata»30 «… che ricalca schemi e modelli già sperimentati soprattutto nella legislazione speciale»31 32.
di partecipazione finanziaria mista capogruppo, intermediari finanziari non bancari ex articolo 106 del t.u.b., istituti di moneta elettronica e di pagamento; non anche per il caso di assunzione di partecipazione da parte di banche in altre imprese in violazione delle disposizioni regolamentari adottate dalla Banca d’Italia per il qual caso non sussisterebbero sanzioni di tipo civilistico (nonostante la specularità della fattispecie rispetto a quella delle partecipazioni in banche: così Calvosa, La partecipazione, cit., p. 50). Da ultimo, né le fonti eurounitarie – fra cui la più volte citata dal Tribunale direttiva 44 del 2007 – né le attuative linee guida CESR-CEBS-CEIOPS, sembrano occuparsi del tema dei rimedi all’inosservanza della disciplina autorizzativa, che rimane di esclusiva potestà del legislatore domestico. 30 Serra, Società di intermediazione mobiliare: profili societari, in Banca, borsa, tit. cred., 1993, I, pp. 336-337. 31 Montefiori, La sospensione del voto e l’obbligo di alienazione nella disciplina delle partecipazioni negli enti creditizi, in Banca, borsa, tit. cred., 1992, I, p. 1093. 32 Tentando di dare una categorizzazione minimamente sistematica alle cause di sospensione del diritto di voto, sembrerebbe possibile una prima summa divisio tra quelle, per così dire, negoziali – cioè aventi fonte nei patti sociali, e segnatamente la limitazione del voto «a una misura massima o disporne scaglionamenti» ex articolo 2351, co. 3, c.c. – e quelle legali, cioè aventi fonte in espresse previsioni della legge (sul crinale tra convenzionale e legale sembrerebbe esservi la «non spettanza» del diritto di voto per le partecipazioni al capitale della Banca d’Italia eccedenti il tetto massimo previsto dall’articolo 3, co. 4, del relativo statuto sociale). Nell’ambito del secondo genus di cause di sospensione, che talvolta la legge qualifica come divieto, è stata suggerita in dottrina – dall’Oppo (in La sospensione legale del voto nelle società per azioni, in Riv. dir. civ., 2000, I, pp. 2 ss., sul punto poi citato in Cacchi Pessani, Le azioni proprie nei presupposti delle offerte pubbliche di acquisto obbligatorie, in Riv. soc., 2004, p. 290, nota 27) – una bipartizione in due species: quella delle cause che hanno «fondamento in situazioni e vicende del rapporto sociale ed è ispirata al miglior regolamento del rapporto e dell’interesse sociali» – le quali, secondo le esemplificazioni dell’A., proverrebbero da disposizioni codicistiche: articoli 2344, 2357-ter, co. 2, 2359-bis, co. 5, 2373, co. 1, e 2373, co. 2, del codice civile ante riforma del 2003 – e quella delle cause «ispirat[e] prevalentemente alla tutela di un interesse esterno alla società e al rapporto sociale (dell’informazione, della “trasparenza”, più semplicemente “del mercato”) o a una reazione contro la ritenuta violazione di quell’interesse», per lo più riconducibili alla legislazione speciale (nel senso dell’omogeneità di queste fattispecie anche Calvosa, Le partecipazioni, cit., p. 33). In parte collocabili nell’ambito della prima species, sarebbero poi quei casi in cui la causa della sospensione è da rinvenirsi in un interesse del socio votante nell’oggetto della de-
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liberazione; si tratterebbe cioè dei casi di whitewash, unitariamente ricostruiti dal Notari, La sterilizzazione del voto nelle società per azioni: appunti in tema di whitewash e dintorni, in Aa.Vv., Studi in ricordo di Pier Giusto Jaeger, Milano, 2011, pp. 400 ss. (ed in particolar modo 414, ove la differenza tra simili casi di sterilizzazione del «voto determinante selettivo» e la generica sospensione del diritto di voto. In ragione di tale differenza – e cioè che il voto sterilizzato nei casi di whitewash «non è sospeso bensì viene esercitato» – non ci si riferirà qui alla sterilizzazione nell’accezione à la Notari, bensì in quella di, indifferentemente, sinonimo di «sospensione» o «divieto» all’esercizio del diritto) ed anche in Riv. dir. comm., 2011, pp. 743 ss. I casi appartenenti alla seconda species sono quelli che, tuttavia, qui rilevano. L’omogeneo contesto sistematico – cioè il diritto bancario e dell’intermediazione finanziaria, le cui disposizioni qui rilevanti spesso sono state oggetto di novella in modo simmetrico – suggeriscono di rappresentare lungo un’unica sequenza temporale il susseguirsi delle varie disposizioni recanti cause legali di sospensione/divieti di voto (a tutela dell’interesse del mercato, per dirla à la Oppo, o «sospension[i] a carattere sanzionatorio» per dirla à la Cacchi Pessani). Trova concordi d’Alessandro (La «trasparenza», cit., p. 335) e Castellano (i controlli esterni, in Tratt. soc. az., diretto da Colombo e Portale, 5, Controlli – Obbligazioni, a cura di Cavalli, Tedeschi, Castellano e Campobasso, Torino, 1988, pp. 310 ss.) la considerazione per cui la disposizione antesignana è da ravvisarsi nell’articolo 5 della legge istitutiva della Consob (legge 216 del 1974) che comminava expressis verbis il divieto di esercizio del voto «inerente alle azioni o quote [dell’emittente] eccedenti» la soglia ivi prevista, al di sotto della quale nessuna autorizzazione era da chiedersi. La stessa formulazione è riproposta dal legislatore in sede di recepimento della direttiva 780 del 1977, a riguardo degli enti creditizi, con l’articolo 7 del d.P.R. 350 del 1985. La continuità nella formulazione del rimedio al divieto di voto viene però meno tornando il legislatore a disciplinare la materia delle partecipazioni rilevanti nelle banche: l’articolo 9 della legge 281 del 1985 esibisce, approssimativamente lo stesso wording sibillino del vigente articolo 24 del t.u.b. e cioè il divieto al «diritto di voto inerente alle azioni o quote per le quali sia stata omessa la comunicazione» (sul quale si veda Ferro-Luzzi, Art. 9, commi 1 e 2, legge n. 281/85: prime considerazioni esegetiche, in Banca, borsa e titoli di credito, 1986, I, pp. 425 ss.). Una sistematizzazione della materia creditizia avviene, quindi, con la legge antitrust (legge 287 del 1990) che dedica un intero titolo, il V, alle «partecipazioni al capitale di enti creditizi»: la tecnica normativa si affina rispetto al passato e la formulazione muta nuovamente ma, comunque, il combinato disposto degli articoli 27 e 30 ha portato la dottrina a concludere nel senso del divieto di esercitare il voto solo per la partecipazione eccedente [Così Marchetti, Appunti sul regime transitorio delle partecipazioni al capitale di enti di credito (art. 27, comma 7, l. 287/90), in Banca, borsa, tit. cred., 1991, I, pp. 397 ss.; Montefiori, La sospensione, cit., p. 1104]. Sempre sull’eccedenza sussiste, poi, l’obbligo di alienazione della partecipazione assunta in banche popolari in violazione del tetto massimo di partecipazione di cui all’articolo 30, comma secondo, secondo periodo, del t.u.b. (sul quale, per quanto qui più rileva, si veda l’intero § dedicato in Calvosa, La partecipazione, cit., pp. 19 ss., ove si sostiene, in realtà, come la ratio del tetto si colorisca per uno spiccato profilo di democrazia azionaria più che di interesse di mercato). In modo più pervasivo sembrerebbe invece operare il divieto di voto previsto dall’articolo 4 della legge 1 del 1991 in materia di partecipazione al capitale delle società di intermediazione
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6. La sterilizzazione della partecipazione notevolmente influente. La
mobiliare, che si estende alle «azioni possedute» per le quali non sia stata ottenuta la medesima autorizzazione prevista dalla legge 216 del 1974. Tuttavia, in sede di recepimento delle direttive 22 e 93 del 1993 – rispettivamente relative ai servizi di investimento del settore dei valori mobiliari e degli enti creditizi – con il decreto EUROSIM si assiste al revirement del legislatore verso il divieto inerente le «azioni eccedenti» (articolo 8, comma terzo, del decreto legislativo 415 del 1996), revirement che però è solo parziale in quanto limitato alle partecipazioni acquisite da soggetti in difetto dei requisiti di onorabilità; quanto alla partecipazioni rilevanti non previamente autorizzate il divieto si estende alle azioni per le quali «non siano state effettuate le comunicazioni» (articolo 11, comma primo). Secondo l’articolo 10, comma quinto e decimo, della legge sulle offerte pubbliche (legge 149 del 1992) il divieto colpisce invece l’intera partecipazione il cui titolare non ha adempiuto agli obblighi di promuovere una offerta pubblica d’acquisto (come del resto si legge nel vigente art. 110 del t.u.f.) o di comunicare un accordo inerente l’esercizio del diritto di voto o i limiti alla circolazione delle azioni della società emittente. Il decreto legge sulle privatizzazioni (332 del 1994) prevede all’articolo 3, comma secondo, il divieto ad esercitare i voti «attinenti alle partecipazioni eccedenti» il tetto massimo statutariamente previsto e commisurato dal decreto medesimo al 5%. Il decreto legislativo in materia di fondazioni bancarie (153 del 1999), infine, prevede all’articolo 25, comma terzo, il divieto per le fondazioni all’esercizio del voto nelle assemblee delle banche conferitarie per le azioni eccedenti la soglia del 30%. Venendo alle disposizioni vigenti, ed evitando ripetizioni di quanto già esposto nelle precedenti note a riguardo del t.u.b. e del t.u.f., l’art. 74 del codice delle assicurazioni private non è chiaro nel comminare il divieto alle sole partecipazioni eccedenti («inerenti a partecipazioni per le quali le autorizzazioni previste … non siano state ottenute») a differenza delle disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari, emanate dalla Banca d’Italia con circolare 288 del 2015, che al titolo II, capitolo I, sezione II, § 7, sono chiare nel disporre l’inibizione per l’«eccedenza». Del pari inequivocabile è il riferimento testuale all’eccedenza, rinvenibile agli artt. 121, in materia di partecipazioni reciproche, 14, co. 5, e 16 del t.u.f. in materia di intermediari (si vedano i commenti di Corvese, Commento, cit., pp. 191-192; Id., Commento sub art. 16 t.u.f., in Commentario, a cura di Vella, cit., p. 205; Lacaita, Commento sub artt. 13-14 t.u.f., in Il testo unico dell’intermediazione finanziaria. Commentario al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 a cura di Rabitti Bedogni, Milano, 1998, p. 151; Parrella, Commento sub artt. 15-17, in Commentario al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 a cura di Rabitti Bedogni, cit., p. 158 e Savino, Commento sub art. 16 t.u.f., in Commentario al Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria a cura di Alpa e Capriglione, II, Padova, 1998, pp. 180 ss.), cui rinvia anche l’art. 64-bis in materia di società gestore del mercato regolamentato; non anche in materia di depositari centrali, per i quali l’art. 79-noviesdecies prevede l’inibizione dal voto dell’intera partecipazione di controllo irregolare (non essendovi anche un sistema a soglia fissa). Da ultimo, la disposizione sulla quale constano le maggiori attenzioni della dottrina è l’art. 120 del t.u.f., il cui riferimento alle «azioni quotate od agli strumenti finanziari per i quali sono stati omessi le comunicazioni» per comminare il divieto di voto, ha diviso gli interpreti tra chi sostiene la tesi della sterilizzazione dell’eccedenza e chi quella dell’intera partecipazione. Nel primo senso, si vedano Campobasso, Commento sub art. 120 t.u.f., in Testo Unico della Finanza
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tesi dell’eccedenza e sua critica. La tesi dell’intero e la sua (dubbia) estensione all’obbligo di alienazione. Se, come si è cercato di illustrare in precedenti note, la sanzione della sterilizzazione della partecipazione eccedente la soglia del 10% non autorizzata vanta il conforto di altre (ed analoghe) disposizioni di legge oltre che dell’orientamento dottrinale prevalente, il caso della partecipazione notevolmente influente33 non autorizzata pone all’interprete – ed
(d.lg. 24 febbraio 1998, n. 58). Commentario, **, Emittenti, diretto da Id., Torino, 2002, p. 985; Calvosa, La partecipazione, 40; Costi, Il mercato mobiliare6, Torino, 2010, p. 314; Giannelli, Commento sub art. 120 t.u.f., in La disciplina delle società quotate nel testo unico della finanza d.lgs. 24 febbraio, n. 58. Commentario a cura di Marchetti e Bianchi, Milano, 1999, p. 789, Ferri, Partecipazione rilevante (voce), in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 27; Marchegiani, Commento sub art. 120 t.u.f., in Codice commentato delle società a cura di Abriani e Stella Richter jr, 2, Torino, 2010, p. 3255; Pavone La Rosa, Le società controllate. I gruppi, in Tratt. soc. az. diretto da Colombo e Portale, 2**, Azioni – Gruppi, a cura di Costa, Pavone La Rosa, Scotti Camuzzi e Tanzi, Torino, 1991, p. 656; Zanardo, Commento sub art. 120 t.u.f., in Commentario delle società a cura di Grippo, 3, Torino, 2009, pp. 1825 ss.; nel secondo, invece, Bertolotti, in Disciplina delle società con azioni quotate, Partecipazioni rilevanti e reciproche, in Giur. it., 1998, p. 1537; Id., Commento sub artt. 119-121 t.u.f., in La legge Draghi e le società quotate in borsa, diretto da Cottino, Torino, 1999, p. 109; Blandini, Società quotate e società diffuse, Napoli, p. 190; Corradi, Commento sub art. 120 t.u.f., in Commentario a cura di Vella, cit., p. 1253; Ferrara jr e Corsi, Gli imprenditori e le società10, Milano, 1996, p. 740, nota 4; Giudici, Commento sub art. 120 t.u.f., in Il Testo Unico della Finanza, a cura di Fratini e Gasparri, 2, Torino, 2012, p. 1628; Maviglia, Commento sub art. 120 t.u.f., in Commentario, a cura di Rabitti Bedogni, cit., 649; Quatraro e Picone, Manuale teorico-pratico delle offerte pubbliche di acquisto e scambio. Dottrina, casi e materiali2, Milano, 2004, 177, Salafia, Partecipazioni rilevanti e partecipazioni reciproche nelle società quotate, in Società, 1998, p. 564; Sbisà, I controlli della Consob, in Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 1997, p. 73. Conclusivamente, per una rassegna dei limiti all’assunzione di partecipazioni in società con oggetto sociale a statuto speciale e le conseguenti sanzioni in caso di inosservanza – casi che qui non rilevano – si rimanda a Ibba, Gli statuti singolari, in Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, 8, Società di diritto speciale, a cura di Cirenei, Volpe Putzolu, Cerrai e Ibba, Torino, 1992, p. 605, nota 27. 33 Le notazioni che seguono si basano sul caso dell’influenza notevole giacché questa è stata invocata dal ricorrente nell’adire il Tribunale, tuttavia, in buona parte valgono anche, mutatis mutandis, per il caso del controllo di fatto – nella sua declinazione propria dell’ordinamento bancario di cui all’articolo 23 del t.u.b. – avuto riguardo della comune natura di fenomeno fattuale da cui deriva l’impossibilità di determinarne plasticamente – in astratto, ex ante ed in modo fisso – una corrispondente aliquota di capitale. Nel prosieguo, per riferirsi sinteticamente ad ambo i casi, ci si riferirà, per brevità, alle partecipazioni super rilevanti.
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ha posto, nella specie, alla Banca d’Italia e al Tribunale adito – quesiti di non pronta soluzione34. Della reticenza della comunicazione dell’autorità di vigilanza si è già avuto modo di discorrere e quindi si volgerà ora l’attenzione a come anche il Tribunale si sia ben guardato dallo scendere nel merito della questione. Difatti, ha dapprima ritenuto che «la posizione dei pattisti è illegittima in quanto gli stessi non hanno richiesto l’autorizzazione preventiva. All’esito di questa valutazione … occorrerà attendere la decisione dell’Autorità di vigilanza europea: qualora la partecipazione superiore al 10% venga autorizzata, i pattisti potranno successivamente esercitare i diritti corrispondenti al 15,198%; in caso negativo, invece, si potrà porre la diversa questione se, comunque, il 9,99% della partecipazione, rimasta in capo ai pattisti all’esito dell’applicazione dell’articolo 24 TUB, configuri una situazione di influenza notevole sulla Banca, con la necessità di un ulteriore procedimento autorizzativo» ed ha aggiunto poi che non «può chiedersi al giudice di intervenire valutando la presenza di una influenza notevole sulla Banca nel caso concreto, in un momento nel quale l’esistenza di una tale situazione è già presunta dalla legge», schermandosi con la considerazione per cui una simile statuizione «richiede valutazioni complesse», complessità che emergerebbe nitidamente – ad avviso del Tribunale – dalla disposizione definitoria di diritto speciale applicabile in tema influenza notevole nelle banche, ossia l’articolo 4 del decreto C.I.C.R.35.
34 Seppur a riguardo di una disposizione del t.u.f. che pone il medesimo problema, l’unico A. che sembrerebbe essersi avveduto del problema è Pisani (commento sub art. 14 t.u.f. nel commentario diretto da Campobasso, *, Intermediari e mercati, p. 118) il quale, pur non potendo far leva su alcun indice testuale della disposizione in commento, afferma che «Da notare che la sospensione del diritto di voto riguarda l’intera partecipazione, se questa è di controllo». 35 Articolo che «per influenza notevole … intende il potere di partecipare alla determinazione delle politiche finanziarie e operative dell’impresa partecipata, senza averne il controllo, anche se la partecipazione attribuisce una percentuale di diritti di voto inferiore a quella presa in considerazione ai fini degli obblighi autorizzativi di cui all’articolo 2. A questi fini la Banca d’Italia considera, tra l’altro, come indici di influenza notevole la circostanza che, a seguito dell’acquistò o della variazione della partecipazione, il potenziale acquirente: a) possa essere rappresentato nell’organo con funzione di gestione o nell’organo con funzione di supervisione strategica dell’impresa vigilata; b) disponga di diritti di voto determinanti nelle decisioni assembleari di natura strategica dell’impresa vigilata».
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Una simile ricostruzione non sembrerebbe davvero cogliere nel segno. Per iniziare, il Tribunale sembrerebbe esimersi dal giudicare sulla presenza o meno di influenza notevole adducendo due prime giustificazioni inconferenti: come emerge con evidenza dal passo ora citato, prima si fa riferimento al vaglio a doppia fase (autorizzazione dell’eccedenza del 10% e in seguito, per il caso di autorizzazione negata, del restante 9,99% nei termini dell’influenza notevole) e poi alla circostanza che l’attuale esercizio dei diritti corrispondenti alla partecipazione concertata del 9,99% sia temporaneamente in attesa dell’autorizzazione dell’autorità di vigilanza. Così soggiungendo, infatti, si lascerebbe intendere che sull’eccedenza del 10% non vi siano dubbi per la sterilizzazione, giacché è un dato fattuale che l’autorizzazione manchi, mentre per la seconda fase – ossia il vaglio sul restante 9,99% – sarebbe preferibile per il Tribunale non pronunciarsi, atteso che sull’influenza non v’è certezza e sarebbe, per l’appunto, «complesso» fare certezza ad opera propria36.. Pertanto, si è ritenuta senz’altro sterilizzata l’eccedenza del 10% – non implicando altri accertamenti se non quello sulla mancanza dell’autorizzazione, circostanza peraltro stigmatizzata anche nella comunicazione della Banca d’Italia – ma non invece anche la partecipazione residua, in ragione della supposta impossibilità di accertare la sussistenza di una potenziale influenza notevole. L’iter logico che, ad avviso di chi scrive, meglio parrebbe coerente con la struttura dell’articolo 19 del t.u.b. dovrebbe muovere, invece, dall’assunto per cui il legislatore ha informato la fattispecie autorizzativa sulla base di tre elementi alternativi e disposti per intensità decrescente – controllo, influenza notevole e, residualmente, la soglia del 10% – sicché nel caso il candidato acquirente37 ometta di ottenere l’autorizzazione corrispondente al proprio potere di influenza – ometta, cioè, di fare istanza e ottenere l’autorizzazione per l’assunzione del controllo nel caso abbia intenzione di acquisire una partecipazione di controllo e così
Non si spiegherebbe davvero, allora, quale sia la «serie di ragioni» (verbale d’assemblea, p. 33) che ad avviso del delegato in assemblea del ricorrente giustificherebbe l’omessa pronuncia del Tribunale…ma non quella del presidente d’assemblea, che – si sostiene – avrebbe dovuto non ammettere al voto i concertisti accertando la sussistenza dell’influenza notevole (rifiuto che invece è da ritenersi giustificato e sul quale si rimanda alla nota 24). 37 Definizione ricorrente nelle fonti eurounitarie come, fra le tante, la direttiva 44 del 2007. 36
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via38 – dovranno simmetricamente trovare luogo i divieti di esercizio del voto nel corrispondente ordine di intensità decrescente e cioè prima per il caso di omessa autorizzazione da partecipazione di controllo, poi di influenza notevole e infine, residualmente, da partecipazione superiore al 10% (divieto che, come visto supra, non dovrebbe dubitarsi essere per l’eccedenza nel caso di partecipazione superiore al 10%; si veda oltre, invece, per le possibili soluzioni nel caso di partecipazioni di controllo o di influenza notevole). In definitiva, essendo incontestato l’omesso ottenimento di alcuna autorizzazione, il Tribunale avrebbe dovuto accertare la ricorrenza o meno di un divieto legale e cioè – sulla base di quanto domandatogli dal ricorrente (non anche il caso della partecipazione di controllo) – vagliare la sussistenza dell’influenza notevole in capo ai concertisti e, in caso positivo, avrebbe dovuto applicarne il corrispondente divieto; solo in caso negativo, invece, avrebbe dovuto concludere per la sterilizzazione dell’eccedenza in ragione del superamento della soglia del 10%, circostanza indubbia nel caso specie. E del resto, pur considerato il contesto processuale d’urgenza a contraddittorio ed istruttoria non pieni39, neppure la supposta complessità
38 Non è, invece, dato sapere dalle istruzioni di vigilanza emanate dalla Banca d’Italia (titolo II, capitolo I, § 5 e ss.), che pure scendono nei minimi dettagli dell’iter autorizzativo, se in concreto può darsi il caso di un meccanismo di riconversione (in melius) della domanda autorizzativa in un provvedimento sì positivo ma per una partecipazione ad influenza minore (i.e. se la Banca d’Italia può autorizzare l’acquisto di una partecipazione solo pari al’11% – quindi ultra soglia del 10% – in risposta ad un’unica istanza di autorizzazione per l’acquisto di una partecipazione di controllo del 51%, in ragione di valutazioni prudenziali, in luogo di un rigetto totale). Per quanto interessa ai fini della pronuncia che qui si annota, dalla risposta che si darebbe a questo interrogativo, discenderebbe la conseguenza di proporre una istanza unica di autorizzazione oppure due separate – come adombrato dal Tribunale – nel caso, com’è quello di specie, di acquisizione di partecipazioni che allo stesso tempo potrebbero richiedere due autorizzazioni (da superamento della soglia del 10% e da influenza notevole o da controllo). Al contrario, potrebbe ulteriormente chiedersi – ma qui la risposta appare più scontata – se sia nei poteri della Banca d’Italia riconvertire (in peius) la domanda di autorizzazione in un provvedimento negativo per una partecipazione ad influenza maggiore (i.e. se la Banca d’Italia può negare l’autorizzazione ad un acquisto di una partecipazione ritenuta dal candidato acquirente meramente superiore alla soglia del 10% ma dalla stessa Banca d’Italia attributiva del potere di esercitare un’influenza notevole con la conseguenza non già di sterilizzare la sola eccedenza bensì applicando il più sfavorevole sistema inibitorio di cui infra). 39 Ci si potrebbe allora chiedere al riguardo come avrebbe argomentato il Tribunale se ci si fosse trovati in un diverso contesto processuale, a contraddittorio e istruttoria
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della materia – al pari di tutte le altre complessità ma ancor di più per un giudice scelto tra quelli «dotati di specifiche competenze»40 – sembrerebbe possa giustificare l’omessa pronuncia su una domanda così significativa per l’attore, considerata infatti la prospettata sterilizzazione dell’intera partecipazione vincolata al patto e non solo della porzione eccedente la soglia del 10%. Non appare conferente, poi, nemmeno il generico riferimento alla potestà della Banca d’Italia ad autorizzare l’assunzione di partecipazioni notevolmente influenti, sicché la necessità di un «nuovo procedimento autorizzativo» per l’assunzione di una simile partecipazione oltre a quello necessario per la partecipazione oltre soglia impedirebbe al giudice di pronunciarsi anticipatamente sul punto: altra è tale potestà autorizzativa, altro il giudicare in sede d’urgenza su un divieto legale ad esercitare il voto, avente fonte nell’omesso ottenimento di una autorizzazione (ferma restando, in ogni caso, l’incertezza sul rimedio alla violazione del divieto – i.e. sterilizzazione per l’intero o per l’eccedenza, su cui infra – causata dall’oscurità della lettera della legge, la qual cosa genererebbe una lacuna da colmarsi con l’interpretazione del giudice). La decisione del Tribunale, insomma, lascia comunque impregiudicata la successiva pronuncia dell’autorità di vigilanza sull’autorizzazione e non è in antinomia con essa, limitandosi a decidere sulla (non) inibizione di tutti o parte dei diritti di voto inerenti le partecipazioni non autorizzate in occasione di una certa assemblea e non invece estendendosi anche al merito dell’autorizzazione stessa (i.e. la garanzia che l’acquirente assicuri, fra l’altro, la sana e prudente gestione). Infine, tantomeno sembra convincente la sussistenza di una presunzione di influenza notevole (invero prevista, se non altro, dall’art. 2359, co. 3, secondo periodo, del codice civile41), che ad avviso del Tribunale
estesi: oltre quella d’urgenza, sembrerebbe che l’unica altra occasione processuale in cui verosimilmente potrebbe essere invocata l’inosservanza degli obblighi di autorizzazione ex articolo 19 del t.u.b. sia il giudizio incardinato in esito alla proposta impugnazione – in forza della legittimazione generale ex art. 2377, co 3, c.c. o speciale ex art. 24, co. 2, secondo periodo, del t.u.b. (cioè della Banca d’Italia) – della deliberazione adottata con il voto determinante della partecipazione non autorizzata. 40 Quali dovrebbero essere i magistrati assegnati alle sezioni specializzate in materia di impresa secondo il decreto istitutivo delle sezioni medesime (articolo 2, comma primo, del decreto legislativo 168 del 2003). 41 Ma sul punto il Tribunale si diffonde sino ai particolari, passando in rassegna le (tendenzialmente) concordanti definizioni-presunzioni di fattispecie di influenza notevole: partendo proprio dall’art. 2359 c.c., così come modificato dal decreto legislativo 127
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esenterebbe sì dal pronunciarsi ma – curiosamente – non anche dal ritenere provata l’influenza ai fini degli effetti che questa avrebbe. In altre parole, è stato sostenuto che non può esservi pronuncia esplicita sul punto perché l’influenza sarebbe presunta, tuttavia questa presunzione non si spingerebbe sino a permettere una statuizione sull’effetto che tale influenza avrebbe, cioè l’inibizione all’esercizio del voto. Ad avviso del Tribunale, dunque, potrebbe esservi una pronuncia giudiziale sull’inibizione del voto conseguente all’assunzione di una partecipazione notevolmente influente solo a condizione che sia già intervenuto un provvedimento negativo da parte dell’autorità di vigilanza, che abbia cioè accertato la possibilità di esercitare l’influenza e ne abbia negato l’autorizzazione all’assunzione della partecipazione. Ciò, in definitiva, tradirebbe da parte del Tribunale un’interpretazione della disposizione di cui al primo comma dell’articolo 24 del t.u.b. che pecca per eccesso, leggendovi nel divieto di voto più di quanto in effetti dica e cioè intendendo le partecipazioni «per le quali le autorizzazioni dell’art. 19 non siano state ottenute» come se la legge si riferisse alle partecipazioni «per le quali le autorizzazioni dell’art. 19 siano state richieste e non siano state ottenute». Le legge, insomma, inibisce il voto alle partecipazioni non autorizzate tout court – per le quali sia stata presentata la domanda (evidentemente negata) di autorizzazione ma anche per le quali non sia stata affatto presentata – sicché solo nel primo caso il compito dell’interprete sarà agevolato da una precedente pronuncia dell’autorità di vigilanza, nel secondo caso sarà invece necessario accertare l’omesso ottenimento dell’autorizzazione, e, per far ciò, la sussistenza degli elementi della fattispecie, fra cui la possibilità che la partecipazione acquisita o incrementata accordi al suo titolare l’esercizio di un’influenza notevole. Non sembrerebbe, poi, nemmeno significativa l’obiezione per cui una simile ritrosia serva ad escludere, per lo meno, un’eventuale antinomia tra il decisum dell’autorità giudiziaria con il successivo statement dell’autorità di vigilanza (ineludibile per il candidato acquirente, se non altro, ai sensi dell’obbligo di alienazione di cui al terzo comma dell’articolo 24 del t.u.b., sul quale ci si soffermerà oltre) e ciò in forza dei principi che soprassiedono più in generale tutta la materia dei provvedimenti cautelari ante causam: è vero che il giudice decide sulla base solo del fumus
del 1991, sono citati poi il principio contabile internazionale IAS 28, il Regolamento c.d. CRR (575 del 2013) e le disposizioni di vigilanza emanate dalla Banca d’Italia.
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della sussistenza del divieto di voto permanendo, quindi, la possibilità che la propria decisione venga in seguito sconfessata dalla decisione dell’autorità di vigilanza, preposta per legge a rilasciare l’autorizzazione, ma è anche vero che questo rischio è immanente in tutte quelle pronunce – i provvedimenti cautelari – che per loro natura sono connotate da una certa instabilità42. In ogni caso, una volta chiariti i motivi per cui non potrebbe esservi una pronuncia in punto di sussistenza o meno dell’influenza notevole, il Tribunale imposta in modo metodologicamente condivisibile l’ulteriore questione relativa all’estensione dell’inibizione del voto che vi dovrebbe essere nel caso in cui l’influenza fosse accertata (non evidentemente ad opera del Tribunale ma dell’autorità di vigilanza): dopo aver riconosciuto che «non è altrettanto chiaro – come il caso della soglia fissa cioè – per quanto attiene alle partecipazioni che, sotto soglia, comportino una influenza notevole»43 sostiene che l’«unica interpretazione non foriera di illegittima disparità di trattamento di fattispecie comuni nel presupposto» sarebbe quella di «individuare nel caso concreto una percentuale della quale deriva l’influenza notevole, con il conseguente legittimo esercizio della partecipazione di valore inferiore». In sostanza, si adombra il metodo della sterilizzazione dell’eccedenza adattato però ad una fattispecie a soglia variabile44.
42 Il problema del contrasto tra la decisione dell’autorità giudiziaria e quella dell’autorità di vigilanza si presenterebbe semmai nella circostanza della precedente nota 39, ossia il giudizio di impugnazione della deliberazione adottata con il voto determinante della partecipazione non autorizzata, il cui esito potrebbe essere in contrasto con il successivo esito del procedimento autorizzativo (qualora non intervenga prima della sentenza). 43 Non è d’aiuto in questo caso la formulazione letterale dell’articolo 24 del t.u.b. visto che si riproporrebbe anche qui il problema del determinare quali siano i diritti di voto «inerenti alle partecipazioni per le quali le autorizzazioni previste dall’articolo 19 non siano state ottenute» da sterilizzare e non lo è neppure il decreto C.I.C.R., nulla disponendo sul punto. Quanto all’esclusiva menzione del caso di influenza sotto soglia e non sopra, ciò è da attribuirsi all’esposizione poco ordinata degli argomenti in sentenza che ancor prima di trarre le conclusioni sull’uso – o meno – del metodo dell’eccedenza anche nel caso di influenza notevole ne anticipa il risultato (nel secondo senso). Procedendo qui con ordine, si rinvia infra per una critica alla ricostruzione proposta in sentenza. 44 L’assoluta novità del problema sembrerebbe proprio da ricondursi alla circostanza che nella quasi totalità dei casi scorsi nella precedente nota 32 (di divieto o sospensione del voto eventualmente abbinati ad un tetto massimo alla detenzione di partecipazioni) l’interprete aveva quasi sempre a che fare con soglie fisse, espresse cioè in valori assoluti,
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La concreta operatività del criterio in parola postula delle valutazioni complesse, già in astratto lamentate dal Tribunale ma che seguendo questa via diverrebbero ancor più specifiche giacché chi presiede l’assemblea – o l’autorità giudiziaria, se adita in un momento preassembleare – non potrà solo limitarsi ad accertare la sussistenza o meno dell’influenza notevole ma, in caso di risposta affermativa, dovrà pure accertare in concreto quale sia la soglia al di sotto della quale la possibilità di esercitare l’influenza notevole svanisce45. Individuata la soglia di influenza predetta – sia che essa si commisuri di là dalla soglia del 10% o infra – la sterilizzazione dei diritti di voto opererà solo sulla partecipazione non autorizzata (o sospesa ovvero revocata) ad essa eccedente, con la sola – ed ovvia – differenza che nel caso in cui la partecipazione residua ecceda comunque la soglia del 10% e manchi anche l’autorizzazione da partecipazione extra soglia vi sarà l’ulteriore sterilizzazione nella misura necessaria a ricondurla a legalità, ossia 9,99%. L’enunciazione astratta del criterio in parola – fatta con nonchalance da parte del Tribunale – appare decisamente fluida, eppure, non appena si considerano i profili applicativi sorgono da subito i primi dubbi, per i quali si rinvia in nota46.
sicché non è mai stato costretto a misurarsi con la variabilità della aliquota di capitale che consente di esercitare un’influenza notevole. 45 È facile intuire come i profili applicativi di questo criterio siano fonte d’incertezza: limitandoci al caso di specie, tale soglia dovrebbe essere fissata – avuto riguardo, ad esempio, del track record dell’assenteismo medio degli azionisti in una serie di recenti eventi assembleari o delle proiezioni sull’applicazione della regola elettorale prevista dallo statuto – immediatamente al di sotto di quella porzione di capitale i cui corrispondenti diritti di voto permettano di nominare la rappresentanza nell’organo amministrativo grazie alla quale si apre lo spiraglio dell’esercizio dell’influenza sulla società. Per gli indici rivelatori del controllo di fatto nell’orientamento della Consob, mutatis mutandis applicabili all’influenza notevole [così Bertone (e Notari], Commento, cit., p. 697), si vedano – non trattando il presente scritto ex professo del tema – Sbisà, Società controllate e società collegate, in Contr. e impr., 1997, p. 361, e Mollo e Montesanto, Il controllo, cit., pp. 43 ss., ove, oltre ad ampi riferimenti bibliografici, si rinvia agli indici elaborati nella comunicazione della Commissione relativa al noto leading case Pirelli S.p.A.-Olimpia S.p.A.-Telecom S.p.A. 46 Si pensi, esemplificando, a una società per la quale sia possibile determinare con certezza che l’influenza notevole è esercitabile da una partecipazione pari almeno all’11% perché, tenendo conto dell’assenteismo medio in assemblea e quindi pronosticandone l’affluenza, con una simile percentuale è quasi certo che si riesca a far risultare la propria lista di candidati seconda in ordine di preferenze e quindi a nominare un numero significativo – ma di minoranza – di membri del consiglio di amministrazione. Ove un azionista consegua una partecipazione del 12% in mancanza di alcuna auto-
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In ogni caso, forse proprio in ragione della ora accennata complessità nell’individuare la soglia di concreta influenza notevole, il Tribunale passa a presentare la tesi opposta a quella della sterilizzazione dell’ec-
rizzazione, i diritti di voto inerenti la sua partecipazione dovrebbero considerarsi sterilizzati nella misura di poco più del 2%: dapprima per l’1% quanto ad eccedenza della soglia di influenza notevole e poi per un ulteriore 1% quanto ad eccedenza della soglia residuale ex art. 24 del t.u.b. Nel caso invece la soglia di influenza notevole si commisurasse all’8% e la partecipazione non autorizzata al 9% (in questo caso l’autorizzazione omessa sarebbe, evidentemente, solo quella da partecipazione notevolmente influente e non da partecipazione ultra limen), la sterilizzazione riguarderebbe poco più dell’1% eccedente. E ciò perché, nel ricostruire il metodo adombrato dal Tribunale, non sembrerebbe attribuibile altro significato alla «partecipazione di valore inferiore» se non di «valore immediatamente inferiore», così come del resto ha insistentemente disposto il Tribunale per la sterilizzazione dell’eccedenza e cioè l’ammissione al voto del 9,99%. Di là dalle incertezze di fondo sul metodo col quale si determina in concreto l’aliquota da influenza notevole, è d’immediata intuizione notare come il criterio ora esposto non doni alla sanzione dell’inibizione di certo il pregio d’essere stabile ed effettiva: fissare la partecipazione post sterilizzazione immediatamente al di sotto della soglia da influenza notevole espone al rischio che l’azionista parzialmente inibito si avvalga di un ampio armamentario – si pensi ai multiformi ed opachi casi di interposizione fittizia o di taciti concertamenti – che gli consenta di tornare a disporre della potenza di fuoco goduta prima dell’inibizione. Il rimedio, com’è chiaro, sarebbe allora quello di sterilizzare con un…soprapprezzo, ossia un quid pluris – arbitrariamente quantificato – di partecipazione che scongiuri il rischio di una facile elusione della sanzione. Ma allora – sempre argomentando sulla base del caso delle liste, che catalizza in particolar modo l’esercizio dell’influenza – quanto più l’autorità di vigilanza si cautelasse aumentando la misura della sterilizzazione, tanto più aumenterebbe la sterilizzazione, nella sostanza, anche dei voti liberamente attribuiti dagli azionisti a lui, promotore della lista, non correlati. Insomma, sorgerebbe una inevitabile tensione fra il rischio che l’azionista sterilizzato torni per vie traverse all’esercizio dell’influenza e quello di eccedere ingiustamente nella misura della sterilizzazione. Seguitando nel secondo esempio di cui sopra, se si fissasse il sopraprezzo nella sterilizzazione allo 0,5% (caso del soprapprezzo minimo) oppure al 2% (caso del sopraprezzo significativo) la partecipazione residua ammonterebbe, rispettivamente, al 7,5% e al 6%: nel primo caso è concreto il rischio che, ad esempio, con degli accordi taciti o interposte persone remote si riesca a raggiungere la soglia di influenza notevole e quindi a nominare comunque un numero significativo di amministratori, nel secondo, invece, ipotizzando che la lista presentata, data l’autorevolezza dei candidati, effettivamente goda del supporto di altri azionisti – complessivamente pari all’1% – si rischierebbe di rendere vano anche questo legittimo supporto giacché la lista non riuscirebbe a raggiungere la soglia necessaria per essere la seconda in ordine di preferenze espresse e verrebbe superata da altra lista, e ciò solo per il timore che una sterilizzazione troppo prossima alla soglia di influenza sia facilmente eludibile. Per l’azionista con voto sterilizzato in modo significativo, in definitiva, svanirebbe la legittima aspirazione a vedersi eletti i propri amministratori non per l’esercizio dell’influenza ex se ma per il casuale (e non concertato) appoggio alla lista da parte di altri azionisti.
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cedenza, ossia quella della sterilizzazione dell’intera partecipazione, anticipandosi sin da adesso che sarà questa seconda tesi quella ad essere ritenuta preferibile. In sostanza, si sostiene che sarebbe possibile arginare la vaghezza del t.u.b. con un’applicazione analogica di quanto previsto dalle disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari adottate dalla Banca d’Italia (titolo II, capitolo I, sezione II, § 7 della circolare 288 del 3 aprile 2015) le quali non si limitano a prevedere la sola inibizione delle «azioni eccedenti il limite del 10%» ma aggiungono anche che «In caso di partecipazione di controllo o di influenza notevole il divieto si estende all’intera partecipazione». Ed invero, il rinvio alle disposizioni in parola appare particolarmente calzante: si tratta infatti di un’applicazione sì analogica ma sistematicamente molto forte giacché, in forza del rinvio dell’articolo 110 del t.u.b., la disciplina delle partecipazioni c.d. rilevanti per gli intermediari finanziari non bancari è la medesima di quella delle banche e cioè gli articoli 19 e seguenti del t.u.b. (come meglio chiarito in nota 29). Ne consegue che appare ragionevole applicare il principio della sterilizzazione dell’intera partecipazione, dettato dalla Banca d’Italia per i soli intermediari, anche con riguardo alle banche, visto il silenzio serbato sul punto nelle relative disposizioni di vigilanza e considerata la perfetta identità – in forza del rinvio – fra la normativa primaria delle banche e quelle degli intermediari finanziari. Quella delle disposizioni di vigilanza per le banche, in altre parole, sarebbe una mera dimenticanza giacché davvero risulterebbe difficile individuare una ragionevole motivazione per prevedere un distinguo con le disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari (prevedere, cioè, solo riguardo i secondi la sterilizzazione dell’intera partecipazione pur fondandosi la potestà regolamentare nelle medesime disposizioni di legge). In questo secondo caso, insomma, l’autorità di vigilanza avrebbe avuto l’accortezza di fare chiarezza su una questione applicativa mai affrontata prima, senza alcuna intenzione di differenziare il trattamento delle partecipazioni super rilevanti rispetto a quello delle banche. E del resto, la ratio della disposizione dettata per gli intermediari finanziari con grande duttilità ben si adatterebbe al caso delle banche. Essa, infatti, sembrerebbe assumere una coloritura sanzionatoria, in assonanza con quanto aliunde previsto dal legislatore:47 ad una violazione
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La ratio sanzionatoria sottesa nel divieto di voto per l’intera partecipazione latu
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più palese degli obblighi autorizzativi consegue un divieto di voto più esteso rispetto a quello previsto per la violazione meno palese (l’aver assunto una partecipazione che sia solamente superiore alla soglia del 10% ma che non permetta l’esercizio di un’influenza notevole né del controllo) e ciò in perfetta coerenza con il canone della proporzionalità imposto dal decreto C.I.C.R. (articolo 13) alla Banca d’Italia, quale principio che deve informare l’adozione della regolamentazione attuativa delle disposizioni del t.u.b. Ad avviso del Tribunale, invece, la ratio della sterilizzazione totale sarebbe da ravvisarsi…proprio nell’impossibilità di effettuare un accertamento sulla sussistenza di un’influenza notevole48, tesi corroborata dall’obbligo di alienazione della partecipazione non autorizzata ex art. 24, co. 3, del t.u.b., disposizione che con la sterilizzazione del primo comma farebbe il paio. Si cercherebbe di sostenere, cioè, che le disposizioni di vigilanza dettate per gli intermediari finanziari – e, tramite una lettura estensiva, sul punto applicabili alle banche – prevedono l’inibizione dell’intera partecipazione proprio per togliere l’interprete dall’impaccio di effettuare la complessa valutazione sull’influenza notevole o sul controllo, rimettendo alla Banca d’Italia il compito di farlo, giacché sarebbe comunque una sua doverosa funzione al fine di determinare la
sensu significativa per violazione di un qualche obbligo di legge sembrerebbe sussistere, ad esempio, (i) nell’art. 24, co. 3-bis, del t.u.b. che prevede il divieto di esercizio del voto inerente all’intera partecipazioni di controllo attribuito da «contratto con la banca o clausola del suo statuto» ex art. 19, co. 8-bis, (ii) nell’articolo 79-noviesdecies del t.u.f. nella parte in cui si prevede l’inibizione dal voto dell’intera partecipazione di controllo irregolare assunta in un depositario centrale oppure (iii) nell’art. 110 del t.u.f. ove si dispone l’inibizione del voto «inerente all’intera partecipazione» il cui titolare sia risultato inadempiente all’obbligo di promuovere una offerta pubblica d’acquisto. In modo meno palese – ma nondimeno sussistente – si manifesterebbe la stessa ratio nell’art. 122 del t.u.f. ove, da una lettura sinottica dei co. 4 e 5-ter, si desumerebbe che i patti parasociali per i quali non siano stati adempiuti gli obblighi pubblicitari e che siano conferitari di azioni per un ammontare complessivamente superiore alle soglie ex art. 120 abbiano il voto sterilizzato per la totalità di dette azioni e non solo per l’ammontare ultra limen (i.e. oltre soglia ex art. 120). Lo stesso varrebbe – mutatis mutandis – per la corrispondente disposizione del t.u.b. in tema di patti parasociali (l’art. 20) per i quali l’art. 24 prevede l’inibizione del diritto di voto per le partecipazioni sindacate per le quali sia stata omessa la comunicazione del patto alla Banca d’Italia: non essendovi qui alcuna esenzione de minimis per patti infra soglia, la sterilizzazione è da intendersi con certezza per l’intera partecipazione. 48 «Il sistema risulta coerente e conferma la decisione già indicata sull’impossibilità di una valutazione contemporanea delle due ipotesi».
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partecipazione oggetto di alienazione coattiva, la quale, però, non seguirebbe più la regola in parola – ossia l’alienazione dell’intera partecipazione – bensì solo per la quota determinata dall’autorità, facendo così rivivere il metodo dell’eccedenza, che qui si cercherebbe di confutare. Il comma terzo dell’art. 24 del t.u.b., in verità, tace a proposito di una (doverosa) pronuncia ulteriore della Banca d’Italia sull’ammontare della partecipazione da alienare ma si limita ad attribuirne il potere di fissare il termine entro cui la predetta alienazione deve avvenire49, replicando così i dubbi interpretativi già esposti a proposito del primo comma e cioè continuando a non chiarire quali siano le «partecipazioni per le quali le autorizzazioni previste dall’art. 19 non sono state ottenute» nel caso di partecipazioni notevolmente influenti50. Una lettura sistematicamente simmetrica imporrebbe che l’obbligo di alienazione segua il criterio della sterilizzazione, sicché, così come la seconda, anche il primo avrà ad oggetto l’intera partecipazione; tuttavia anche questa soluzione non può che destare perplessità, soprattutto per la significativa invasività degli effetti che ne deriverebbero. Ed in verità, un caso di dissociazione tra il rimedio della sterilizzazione e quello dell’alienazione coattiva è ravvisabile proprio in una delle disposizioni prese in considerazione nella precedente nota 47 –
Non più anche le modalità dell’alienazione e ciò in forza dell’abrogazione dell’ultimo comma dell’art. 24 del t.u.b. che, nell’editio princeps del testo unico, attribuiva il potere alla Banca d’Italia di richiedere al tribunale di ordinare la vendita delle azioni. 50 I dubbi interpretativi in punto di obbligo di alienazione della partecipazione notevolmente influente non autorizzata non vengono meno dal confronto con la dottrina, che non sembra interessarsi della questione specifica così come, del resto, non si è occupata del più generale tema dell’inibizione del diritto di voto per le partecipazioni notevolmente influenti o di controllo non autorizzate. Si veda, ad esempio, Manzone, Partecipazioni, cit., p. 370, il quale si limita ad osservare che «devono essere alienate (ovviamente nella parte “esuberante”)», e Santoni, Commento, cit., p. 301, che ritiene il divieto si applichi «alla sola percentuale di partecipazione detenuta oltre la soglia, e non anche all’intera quota». Solo la Antonucci (Diritto, cit., p. 193), invero, sembrerebbe avvedersi del problema: «Di meno agevole applicazione è, invece, la parte della disciplina che riguarda le situazioni di controllo che si sganciano dal referente numerico: possono esservi casi in cui è disagevole quantificare il surplus di partecipazione che comportata il controllo, specie nelle società a capitale diffuso». Ancor più in generale, mette conto notare in questa sede come per l’obbligo di alienazione sussistano i medesimi problemi interpretativi infra discussi, inerenti cioè l’articolata casistica della sterilizzazione del voto in seguito ad acquisti di concerto non autorizzati. Le conclusioni cui si perverrà saranno estendibili o meno anche per il caso in parola a seconda che si aderisca alla tesi, di cui nel testo, per cui l’obbligo di alienazione segua o meno le regole proposte per la sterilizzazione. 49
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l’art. 110 del t.u.f. recante le sanzioni da inadempimento dell’obbligo di promuovere un’o.p.a. – quale esempio di manifestazione della ratio sanzionatoria del divieto di voto per l’intera partecipazione: al primo comma, infatti, coesiste il divieto di esercitare il «voto inerente all’intera partecipazione detenuta» con l’obbligo di alienare entro dodici mesi «i titoli eccedenti le percentuali indicate negli artt. 106 e 108». Ma di la da ciò – si potrebbe infatti dire che la questione dell’obbligo di alienazione sia una questione accessoria che non inficia la validità della soluzione proposta alla questione principale – la tesi della sterilizzazione dell’intera partecipazione avrebbe anche il pregio di una maggior linearità applicativa rispetto a quella dell’eccedenza, oltre che a risultare sistematicamente più coerente, come si è cercato di mostrare nelle precedenti note. Infatti, sia che la partecipazione non autorizzata in questione si commisuri oltre o entro la soglia del 10% vi sarà la medesima sanzione, con l’unica differenza che nel primo caso, in un contesto giudiziario, il ricorrente o impugnante potrà valersi di una delle presunzioni di influenza notevole o dominante previste dalla legge – in via generale dall’articolo 2359 del codice civile, com’è noto – nel secondo, invece, graverà su di esso l’onore probatorio. Da ultimo, necessariamente anticipando la questione di fondo trattata nel successivo paragrafo, rimarrebbe da chiedersi come debba atteggiarsi la sterilizzazione dell’intera partecipazione notevolmente influente nel caso di concerto ex articolo 22, comma 1-bis, del t.u.b.; se, cioè, l’interezza è da ragguagliarsi all’intera partecipazione vincolata all’accordo o solo a quella la cui titolarità fa capo ad uno dei concertisti. Per potersi utilmente proporre una soluzione al problema, appare necessaria la previa trattazione dell’istituto del concerto à la t.u.b. e pertanto si rimanda alle conclusioni del successivo §.
7. L’ordine nella sterilizzazione delle partecipazioni in caso di acquisti di concerto. Il criterio della proporzionalità e sua critica. Il criterio dell’ordine cronologico quale tutela del concertista malgré soi. L’ulteriore problema di carattere segnatamente applicativo incontrato dal Tribunale attiene al fatto che né la legge né il decreto C.I.C.R. chiariscano, fra l’altro, il criterio da adottarsi per determinare l’ordine secondo cui procedere alla sterilizzazione delle partecipazioni per il caso in cui
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la violazione della soglia del 10% ex articolo 19 avvenga in esito ad un concerto ex art. 22, co. 1-bis, del t.u.b. Come già accennato, al fine di meglio perseguire la strategia di mettere fuori gioco la lista presentata dai concertisti, il ricorrente propugna la tesi che potremmo dire del criterio cronologico: la sterilizzazione dei diritti di voto deve colpire per prima l’acquisto marginale che per ultimo è risultato ultra limen e poi, per l’intero o per la differenza, i successivi acquisti sino a che la partecipazione complessivamente vincolata al patto non eguagli la soglia legale del 10%51. Il Tribunale invece, dal canto suo, non esita nel ritenere poco condivisibile la ricostruzione di parte atteso che «la sospensione dei diritti ha natura sanzionatoria e deve colpire, in misura eguale, tutti i pattisti» ed indica come criterio da seguirsi quello della sterilizzazione pro quota, il che equivarrebbe a dire, a contrario, che la partecipazione residua (il 9,99%) «deve essere suddivisa proporzionalmente tra loro [i concertisti], nel rispetto delle partecipazioni dedotte nel patto»52.
Limitandoci qui a rappresentare la tesi del ricorrente, ne seguirebbe che – esemplificando ed approssimando il caso di specie – se in t0 i concertisti A, B e C avessero vincolato al patto una partecipazione complessiva del 9,5% (A: 8% + B: 1% + C: 0,5%) e in t1 C avesse incrementato la propria partecipazione del 4,5% per un complessivo 5% (e complessivi 14% del patto), la sterilizzazione avrebbe dovuto colpire il solo ultimo acquisto marginale nella misura di poco più del 4%, risultando di per sé solo sufficiente alla reductio ad legitimitatem del patto (9,99%). Se invece in t1 C avesse incrementato la propria partecipazione dell’1% e in t2 B l’avesse ulteriormente incrementata del 2%, la sterilizzazione avrebbe dovuto colpire dapprima poco più del 2% di B e poi lo 0,5% di C. 52 Seguitando idealmente nel primo caso dell’esempio della nota precedente, occorrerebbe (i) dapprima calcolare l’incidenza percentuale della partecipazione di ciascun concertista – ovviamente post superamento della soglia, ossia in t1 – sul totale delle partecipazioni conferite al patto (A: 8% su 14% = 57,14% – B: 1% su 14% = 7,14% – C: 5% su 14% = 35,7%) e in seguito (ii) applicare le singole percentuali di incidenza sul totale della partecipazione da sterilizzare (~4%) in modo da conoscere, in valore assoluto, di quanto la partecipazione di ciascun concertisti è da sterilizzarsi (A: 57,14% su 4% = 2,28 8% - 2,28 = 5,71% – B: 7,14% su 4% = 0,28 1% - 0,28 = 0,71% – C: 35,7% su 4% = 1,43 5% - 1,43 = 3,57%); e difatti, post sterilizzazione, avremo che A (5,71%) + B (0,71%) + C (3,57%) = 9,99%. Allo stesso risultato si perverrebbe applicando la diversa – solo nell’ordine degli addendi – formula matematica indicata dal Tribunale per la quale «l’esito delle proporzioni matematiche sarà dato da un conteggio nel quale al numeratore dovrà essere posto il prodotto della moltiplicazione della partecipazione originaria per la partecipazione residua ed al numeratore [più ragionevolmente: denominatore] la somma delle partecipazioni prima della sospensione». 51
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Così operando, il concertista che ha presentato la lista – la s.à r.l. – si vedrebbe sterilizzati i diritti inerenti un numero di azioni tale che rimanga in piedi una partecipazione residua che ex ante avrebbe comunque permesso la presentazione della lista stessa, lista che pertanto risulta validamente presentata e, di conseguenza, ammissibile al voto. La tesi del Tribunale è senz’altro da ritenersi preferibile; si cercherà, però, di illustrare nel prosieguo come mai possa esserlo con esclusivo riguardo al caso di specie e non potendo assurgere a regola di carattere generale, idonea a tutti i casi di sterilizzazione di partecipazioni concertate. Nel caso che qui rileva, difatti, non sussiste un’applicazione piana del comma 1-bis né dell’articolo 5 del decreto del presidente del C.I.C.R. ma opera l’estensione di fattispecie di cui al comma secondo di quest’ultimo articolo, ossia la disposizione per cui «L’acquisto è considerato di concerto anche quanto gli accordi siano stipulati entro l’anno successivo all’acquisizione o alla variazione della partecipazione». Si tratta dunque di capire se il criterio della sterilizzazione proporzionale – adottato dal Tribunale avendo riguardo, in concreto, di un caso sub comma secondo – sia applicabile in generale anche ai casi sub comma primo – o, più in generale, a quelli ex comma 1-bis – oppure se per questi debba operare un diverso criterio. Limitandosi alle notazioni sistematiche strettamente indispensabili per la comprensione del problema, si potrebbe notare come la regola degli acquisti da concerto à la t.u.b.-C.I.C.R. (rispettivamente co. 1-bis e art. 5) sia quella per cui la conclusione («in qualsiasi forma») dell’«accordo» debba essere precedente agli acquisti o alla variazione della partecipazione e ciò lo si dedurrebbe da due indici testuali: l’obbligo di computare ai fini del superamento della soglia le partecipazioni (i) «già possedute» (art. 5, co. 1) – cioè quelle staticamente oggetto dell’accordo, detenute dai concertisti prima del momento dinamico della fattispecie, ossia l’acquisto da parte di uno di essi53 – e (ii) «anche» (art. 5, co. 2)
Questa parrebbe l’unica interpretazione coerente con la fattispecie dell’articolo 5: attribuire all’avverbio «già» una coloritura temporale – in modo da computare tutte le partecipazioni, formalmente conferite o meno al patto, acquisite in qualsiasi tempo precedente alla conclusione dell’accordo – da un lato eluderebbe il termine annuale posto dal comma secondo come limite per la rilevanza degli acquisti ante accordo e dall’altro implicherebbe una valutazione sul diverso profilo dell’elemento oggettivo della fattispecie (se, cioè, le partecipazioni formalmente non vincolate ad un patto parasociale possano comunque essere computate sostenendo che pure queste siano parte dell’accordo, 53
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quelle acquistate o incrementate nell’anno precedente alla conclusione dell’accordo. L’eccezione – così potremmo a questo punto chiamarla, seppur in accezione atecnica – sarebbe invece data dal caso della conclusione dell’accordo successiva all’acquisto o incremento della partecipazione (purché, appunto, non oltre i dodici mesi). Oltre a ragioni di mera topografia normativa nonché di letteralità da tipica fattispecie antielusiva – insistentemente ricorrenti nella materia bancaria e dell’intermediazione finanziaria – conforterebbe questa conclusione anche la relazione illustrativa della Banca d’Italia al decreto del presidente del C.I.C.R.54: ad avviso dell’autorità di vigilanza, in sede di recepimento della direttiva 44 del 2007 il legislatore bancario ha sì scelto di non avvalersi della facoltà di ricomprendere nella fattispecie di concerto la statica stipulazione di un patto parasociale in assenza della fase dinamica (i nuovi acquisiti) – per la quale il rimedio, in astratto concorrente, rimarrebbe solo quello dell’art. 20 del t.u.b.55 – ma «per evitare elusioni della disciplina» ha poi previsto l’estensione di fattispecie agli acquisti non più remoti di un anno dalla data di conclusione dell’accordo, periodo sospetto nel quale sono presunti, in via assoluta, come acquisti effettuati in esecuzione anticipata del successivo patto56.
seppur tacitamente). 54 Commento sub art. 5 del decreto C.I.C.R. della relazione illustrativa della Banca d’Italia, disponibile all’indirizzo «https://goo.gl/vWtAyF». 55 Con riguardo alla tutela del mercato dalle statiche – cioè inerente la mera stipulazione in assenza di acquisti o incrementi – pattuizioni parasociali, rispetto a quanto previsto dal t.u.f., il sistema del t.u.b. sembra essere, per un verso, con un minor ambito oggettivo di applicazione e, per l’altro, dotato di una più intensa tutela. L’art. 20 del t.u.b. trova applicazione, infatti, a riguardo solamente di «ogni accordo … che regola o da cui comunque possa derivare l’esercizio concertato del voto» il che sembrerebbe visibilmente meno esteso del catalogo ex articolo 122, commi primo e quinto, del t.u.f. Con riguardo al secondo aspetto, invece, il t.u.b., in aggiunta agli obblighi informativi pure previsti (i soli previsti dal t.u.f.), attribuisce, al comma secondo dell’art. 20, il potere alla Banca d’Italia di «sospendere il diritto di voto dei partecipanti all’accordo» quando da esso «derivi una concertazione del voto tale da pregiudicare la gestione sana e prudente della banca» e cioè badando – precisano le istruzioni di vigilanza emanate dalla Banca d’Italia medesima – «in concreto [ai] riflessi dell’accordo sulle politiche gestionali della banca … [e riservando] particolare attenzione … ai patti che – prevedendo la creazione di una organizzazione stabile cui venga attribuita la competenza ad esprimersi, in via continuativa, sulle scelte gestionali della società – possano alterare la funzionalità dei processi decisionali della banca» (titolo II, capitolo I, § 2.1). 56 () Previsione del tutto analoga a quella dettata dall’articolo 109, comma secondo,
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Ora, appare chiaro come il supposto rapporto di eccezionalità tra gli acquisti ante accordo rispetto a quelli post di per sé potrebbe non essere un argomento decisivo per escludere l’estensione della sterilizzazione pro quota anche al caso generale degli acquisti post accordo; quello che invece sembrerebbe essere minimamente pervasivo è una differenza sostanziale fra i due scenari che si nota guardando al problema sotto l’angolo visuale della ragionevolezza della sanzione civilistica in parola. Nel caso di specie – che è quello sub secondo comma – ben si è pronunciato il Tribunale nel senso di un’equa sopportazione fra i concertisti dell’inibizione del voto e ciò perché, nel momento in cui i soci divengono concertisti, hanno contezza – o diligentemente dovrebbero averla – degli acquisti, e più in generale dell’ammontare delle partecipazioni, degli altri soggetti con cui addivengono alla conclusione dell’accordo (anzi, la ratio estensiva del secondo comma si fonderebbe proprio sul fatto che gli acquisti sono finalisticamente preordinati alla conclusione dell’accordo) sicché non potrebbero certo dolersi per l’aver subito una proporzionale sterilizzazione in ragione dell’omesso ottenimento delle autorizzazioni previste dalla legge. Diverso, invece, sembrerebbe il caso generale ove, come visto, la conclusione dell’accordo precede l’acquisto marginale o l’incremento della partecipazione da parte di alcuno dei concertisti che determina il superamento della soglia in assenza di autorizzazione: è d’immediata evidenza che qui la situazione di illegittimità potrebbe manifestarsi per il fatto di solo uno dei concertisti, rimanendo gli altri inermi (i.e. sprovvisti di ogni rimedio giuridico) di fronte a questa illegittimità sopravvenuta che riguarda – si badi – non la singola posizione del concertista bensì quella di tutti gli aderenti all’accordo. L’esigenza di immaginare per questo caso – che sarebbe, si ripete, quello generale della fattispecie di concerto ex t.u.b. – un criterio diverso da quello proporzionale nell’applicare la sanzione civilistica dell’inibizione dal voto è corroborata da almeno due argomenti sistematici. Il primo è ravvisabile nella disciplina – per la gran parte identica – degli acquisti di concerto rilevanti ai fini dell’obbligo di promuovere
del t.u.f. in tema di acquisti di concerto ai fini della disciplina sull’offerta pubblica di acquisto obbligatoria, sulla quale si veda, per tutti, l’intero § dedicato dalla Mosca (in Azione di concerto e opa obbligatoria, Milano, 2013, pp. 166 ss.: «Emerge chiaramente l’intento antielusivo volto ad ostacolare la strategia dei futuri aderenti consistente nell’acquisto di titoli in vista dell’imminente conclusione del contratto»).
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un’offerta pubblica di acquisto, racchiusa nell’art. 109 del t.u.f., come integrato, quanto agli aspetti definitori, dagli artt. 101-bis, co. 4, 4-bis e 4-ter, del t.u.f. e 44-quater del regolamento c.d. emittenti adottato dalla Consob: sussistendo anche li il rischio che tutti i concertisti siano «solidalmente tenuti agli obblighi» di promozione di un’o.p.a. per il fatto di uno solo di essi, il legislatore ha cura, expressis verbis, di chiarire al primo comma che l’obbligo solidale in parola sussiste anche «a seguito di acquisiti effettuati anche da uno solo di essi» (enfasi aggiunta). E nonostante con una simile disposizione il legislatore non abbia corso il rischio di generare alcuna lacuna interpretativa – come ha fatto, invece, nel caso che qui interessa – non è comunque andato esente da critiche da parte dei commentatori quanto al merito della scelta di politica legislativa57. Il secondo è dato dallo stesso t.u.b., scorrendo gli articoli sino ad arrivare in cauda al titolo VIII dedicato alla parte sanzionatoria: l’inosservanza degli obblighi di autorizzazione è addirittura elevata, all’art. 139, co. 1, quale condotta tipica («L’omissione delle domande di autorizzazione previste dall’art. 19») fondante una fattispecie di illecito amministrati-
57 Limitandoci qui all’essenziale di una materia vasta e ricca di pronunce della Consob, più voci osservano come l’inciso «anche da uno solo di essi» nella sostanza si traduca nel rischio dell’acquisto all’insaputa degli altri concertisti: Bianchi, Commento sub art. 109 t.u.f. nel Commentario a cura di Marchetti e Bianchi, cit., p. 445; Costi, Il mercato, cit., 101 (ove addirittura si cita una tesi – anonima ma probabilmente del Montalenti, di cui infra, poi citato letteralmente dal Picone, di cui sempre infra – per la quale «gli acquisti effettuati da uno degli aderenti senza il consenso degli altri non concorr[ono] a determinare il superamento della soglia complessivamente imputata al sindacato»); Guizzi e Tucci, Acquisto di concerto, in Le offerte pubbliche di acquisto, a cura di Stella Richter jr, Torino, 2011, p. 266; Montalenti, Opa: la nuova disciplina, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, 156-157; Mucciarelli, Commento sub art. 109 t.u.f. nel Commentario a cura di Vella, cit., 1098 e 1102 (citato in Mosca, Azione di concerto, cit., p. 10, nt. 14, ove si aggiunge che la preoccupazione del sorgere dell’obbligo in capo a soggetti che non hanno compiuto alcun acquisto «è da condividere nella misura in cui possono essere tenuti ad adempiere all’obbligo di offerta anche azionisti (“concertisti”) i quali non abbiano autorizzato gli acquisti oltre soglia, ma che si trovano, comunque, a subire le conseguenze dei comportamenti altrui»); Picone, Le offerte pubbliche di acquisto obbligatorie, Milano, 1999, pp. 275-276; Sersale, Commento sub art. 109 t.u.f., in Commentario all’offerta pubblica di acquisto a cura di Fauceglia, Torino, 2010, p. 198 (che tuttalpiù vede la tutela dei concertisti «del tutto ignari» in specifiche pattuizione parasociali sulle quali però vi è chi dubita della validità: Weigmann, La nuova disciplina delle OPA, in La riforma delle società quotate, atti del convegno di studio di Santa Margherita Ligure del 13-14 giugno 1998 a cura di Bonelli, Buonocore, Corsi, Costi, Ferro-Luzzi, Gambino, Jaeger e Patroni Griffi, Milano, 1998, p. 206).
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vo («Se la violazione è commessa da una società o un ente, è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 30.000 fino al 10 per cento del fatturato»). Sicché, dando una lettura congiunta agli artt. 19, 24 e 139 che voglia dirsi sistematicamente ordinata, ritenere il concertista malgré soi inadempiente agli obblighi di autorizzazione al pari degli altri, esporrebbe quest’ultimo non solo alla sterilizzazione proporzionale dei propri diritti e all’obbligo di alienazione coattiva ma anche alla irrogazione della sanzione amministrativa in parola. Una simile conclusione sembrerebbe portare a conseguenze davvero perverse e non solo per i generali principi in materia sanzionatoria (amministrativa) di cui alla legge 689 del 1981 – che qui in più parti non paiono rispettati (in particolare in tema di elemento soggettivo) – ma anche se si ha riguardo degli speciali «Criteri per la determinazione delle sanzioni» dettati dall’art. 144-quater del t.u.b., che impone alla Banca d’Italia – nella sua funzione istruttoria, prima, e decisoria, poi – di tenere conto ai fini della quantificazione della sanzione, fra l’altro, della gravità e durata della violazione e del grado di responsabilità (rispettivamente lettere a e b del comma primo). Non si vede, dunque, come un sistema così gravoso di sanzioni civilistiche e amministrative possa iniquamente essere posto a carico di un soggetto che potrebbe non aver fatto altro che concludere con altri soggetti un accordo che in seguito – e per di più, in thesi, senza o contro la sua volontà o comunque senza alcun rimedio giuridico – sia divenuto ultra limen o attributivo del potere di esercitare un’influenza notevole o il controllo. Tuttavia, se allora si volesse ricercare un diverso criterio che possa arginare le disparità di trattamento sopra lamentate, ci si accorgerebbe come, a loro volta, i casi pratici regolati dal primo comma dell’art. 5 – quelli, cioè, in cui gli acquisti seguono la conclusione dell’accordo – non siano fra loro del tutto omogenei e pertanto non sarebbe ragionevole prevedere per tutti un unico criterio di sterilizzazione. E infatti potrebbe essere utile raggruppare i casi di concerto secondo la seguente tripartizione: superamento della soglia (o conseguimento di una partecipazione super rilevante) in esito all’acquisto o incremento da parte di (i) un solo concertista, (ii) più di un concertista o (iii) tutti i concertisti58.
58 Esemplificando e seguendo la numerazione del testo, si pensi ai concertisti A, B e C che vincolino ad un patto parasociale una partecipazione complessiva del 9,5% (A: 8% + B: 1% + C: 0,5%); potrebbe quindi accadere che (i) solo A incrementi la sua par-
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Nella prima classe di casi – cui appartiene quello di specie – non v’è dubbio che si manifesti in concreto il rischio di sanzione iniqua a carico dei concertisti diversi da quello che ha acquistato o incrementato, sicché le sanzioni della sterilizzazione oltre che quella amministrativa pecuniaria dovrebbe colpire solo quest’ultimo59. D’altro canto, si potrebbe forse obiettare a questa ricostruzione di peccare di un certo semplicismo quanto agli interessi economici sottesi: è pur vero, infatti, che in ultima istanza il concertista con la partecipazione invariata finisce per profittare – in modo sì involontario ma forse non anche indesiderato – della maggior potenza di fuoco dell’accordo di cui è parte, circostanza particolarmente evidente nel caso di sindacato di voto. Nella seconda classe di casi, invece, sembrerebbe ragionevole operare un distinguo: in via preliminare si dovrebbero ritenere estranei da ogni sanzione i concertisti che non hanno acquistato o incrementato – al pari, del resto, di tutti i concertisti diversi da colui che ha acquistato o incrementato nel caso sub (i) – e successivamente occuparsi degli altri.
tecipazione dell’1%, (ii) A e B incrementino le loro partecipazioni rispettivamente dell’1 e del 2% o che (iii) A, B e C incrementino le loro partecipazioni rispettivamente dell’1, del 2 e del 3%. 59 Per generalizzare si potrebbe quindi dire che, nel caso di acquisti o incrementi di partecipazioni compiuti da uno solo dei concertisti in seguito alla conclusione dell’accordo, le sanzioni dovrebbero colpire solo quest’ultimo, nella misura che dipenderà a seconda di quale criterio di sterilizzazione venga adottato (nel caso di superamento della soglia del 10% sarà verosimile sterilizzare la sola eccedenza tale da ricondurre alla legalità la partecipazione complessivamente vincolata al patto). A ben vedere, quindi, non occorrerà ricorrere ad alcun criterio cronologico – come adombrato dal Tribunale («ultimo acquisto in ordine di tempo») – giacché in questa classe di casi solo uno può essere l’acquisto o l’incremento ultra limen; infatti l’esigenza di determinare quale sia l’ultimo fra più acquisti ne postula necessariamente la pluralità e ciò ricondurrebbe il caso in questione alla fattispecie sub (ii) o (iii). Da ultimo, conviene osservare qui e non nel testo, come non sia necessario sgomberare il campo – visto che non viene preso in considerazione neppure incidentalmente – dall’ulteriore criterio astrattamente applicabile e cioè quello della sterilizzazione (e sanzione) in parti uguali, lettura che si fonderebbe sulla (acrobatica) applicazione analogica dell’articolo 1298, comma secondo, del codice civile in tema di presunzione di parità nella ripartizione di un’obbligazione solidale (articolo 2055, comma terzo, con particolare riguardo al fatto illecito). Sul punto, seppur a riguardo dell’obbligo solidale di promozione di un’o.p.a. da concerto, si veda lo scetticismo del Bianchi, Commento, cit., pp. 453-454 (ove si ritiene dubbia la configurazione di una vera e propria «obbligazione solidale in senso tecnico», evocata in più parti in Basso, Commento sub art. 109 t.u.f., nel Commentario a cura di Alpa e Capriglione, cit., p. 1022).
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Per questi ultimi – ma identica conclusione potrebbe valere anche per i concertisti che, nessuno escluso, procedano a acquisti o incrementi sub caso (iii) – non sembrerebbe altrettanto ragionevole operare la sterilizzazione andando a ritroso nel tempo giacché, nel momento in cui ciascun acquisto o incremento avviene, ogni concertista ha contezza – o dovrebbe diligentemente averla – del fatto che la propria azione determina il superamento della soglia o l’accadimento delle più influenti circostanze ex articolo 19 del t.u.b. E dunque, trovandosi tutti i concertisti – o comunque solo quelli che hanno acquistato o incrementato – in…pari causa turpitudinis, non sembrerebbe sostenibile che, ad esempio, colui che incrementa per primo invochi il criterio cronologico per far si che si sterilizzi per prima la partecipazione di chi ha incrementato per secondo e solo dopo, in mancanza o per la differenza, anche la propria (o che chi incrementa per secondo pretenda che si sterilizzi per prima quella di chi ha incrementato per terzo e così via) e questo perché l’ordine cronologico di acquisto non assume alcuna rilevanza tale da giustificare una prioritaria applicazione della sanzione. In altre parole, insomma, a nulla rileva chi ha incrementato per ultimo se comunque tutti i concertisti, compreso il primo, sapevano che la propria azione avrebbe determinato la violazione della legge. In conclusione, quindi, per le classi di casi sub (ii) – limitatamente ai concertisti che hanno acquistato o incrementato – e (iii) – tutti i concertisti – dovrebbe tornare a valere il criterio di sterilizzazione pro quota, di modo che l’applicazione delle sanzioni – civilistica e pecuniaria – conseguenti alla violazione della legge abbia luogo con esclusivo riguardo a questi ultimi e, fra questi, in modo proporzionale a quanto ciascuno ha concorso nell’illegittimità, cioè di quanto ciascuno ha oltrepassato la soglia di legalità in assenza di autorizzazioni. Da ultimo, occorre ragguagliare la proposta di soluzione qui avanzata con il quesito rimasto insoluto nella conclusione del precedente paragrafo: cosa ne sia, cioè, della sterilizzazione delle partecipazioni super rilevanti nel caso siano detenute da più soggetti in concerto tra loro (oppure – se si preferisce, secondo l’angolo visuale del presente § – cosa ne sia del concerto inerente non una semplice partecipazione ultra limen bensì super rilevante). Ed infatti, da un lato il criterio della sterilizzazione dell’intera partecipazione super rilevante è stato trattato nella sua versione, per così dire, base – ossia presupponendo un singolo soggetto quale detentore – e, dall’altro, il criterio dell’ordine cronologico nella sterilizzazione delle partecipazioni dei concertisti diversi da quello malgré soi è stato esposto
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presupponendo la sola eccedenza dalla soglia e non anche il caso della partecipazione super rilevante. In ogni caso, anche ora sembrerebbe ragionevole estendere le conclusioni cui si è già pervenuti e quindi, nei casi di acquisti o incrementi (i) nei dodici mesi ante conclusione dell’accordo, (ii) post conclusione dell’accordo, solo da parte di alcuni dei concertisti, e limitatamente a questi, o (iii) da parte di tutti i concertisti non vi sono ragioni per disattendere la ratio sanzionatoria delle disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari, in thesi analogicamente applicabile alle banche, e dunque dovrebbe avere luogo la sterilizzazione delle intere partecipazioni dei concertisti60. Nel caso, invece, dell’acquisto o dell’incremento da parte di un solo concertista la sterilizzazione riguarderà tutta (e sola) la sua partecipazione.
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60 Le quali, però, potrebbero non essere perfettamente coincidenti con l’intera partecipazione vincolata all’accordo giacché nel caso sub (ii) – così come per il superamento della soglia – rimarrebbe eccettuata la partecipazione del concertista che non ha compiuto acquisti né ha incrementato la partecipazione.
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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni
DOCUMENTI E INFORMAZIONI
Non Performing Loans Banca Centrale Europea: Addendum del marzo 2018 alle linee guida della BCE per le banche sui crediti deteriorati (NPL): aspettative di vigilanza in merito agli accantonamenti prudenziali per le esposizioni deteriorate
Indice: 1. Contesto generale. – 2. Aspetti generali. – 2.1. Ambito di applicazione. – 2.2. Quadro prudenziale generale. – 2.3. Funzionamento delle aspettative di vigilanza. – 3. Definizioni adottate nell’addendum. – 3.1. Definizione di nuove NPE e computo dell’anzianità. – 3.2. Protezione del credito a garanzia delle esposizioni. – 3.3. Definizione di parte garantita e parte non garantita dalle NPE. – 4. Aspettative in merito agli accantonamenti prudenziali. – 4.1. Categorie di aspettative sugli accantonamenti. – 4.2. Quadro dettagliato delle aspettative di vigilanza in termini quantitativi.
1. Contesto generale. Il 20 marzo 2017 la Banca centrale europea (BCE) ha pubblicato le proprie linee guida per le banche in materia di crediti deteriorati (linee guida sugli NPL)1. Il documento chiarisce le aspettative di vigilanza riguardo all’individuazione, alla gestione, alla misurazione e alla cancellazione degli NPL nel contesto dei regolamenti, delle direttive e degli orientamenti in vigore. Le linee guida rilevano l’importanza di effettuare accantonamenti e cancellazioni per i crediti deteriorati2 in maniera tempestiva, al fine di contribuire a rafforzare i bilanci bancari, permettendo agli intermediari di (tornare a) concentrarsi sulla propria attività principale, che in particolare consiste nel finanziamento dell’economia.
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Linee guida per le banche sui crediti deteriorati (NPL). Cfr. sez. 6.6. delle linee guida sugli NPL.
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Documenti e informazioni
Il presente addendum integra le linee guida sugli NPL, precisando le aspettative di vigilanza della BCE nel valutare i livelli di accantonamento prudenziale di una banca per le esposizioni deteriorate3. Come di seguito illustrato nel dettaglio, in questo contesto la BCE valuterà, fra i vari aspetti, il lasso di tempo in cui un’esposizione è stata classificata come deteriorata (ossia la sua “anzianità”) nonché le garanzie reali detenute (ove presenti). Le aspettative di vigilanza della BCE definiscono quello che la BCE ritiene un trattamento prudente delle NPE, per evitare che in futuro si accumulino nei bilanci bancari consistenze eccessive di NPE di elevata anzianità e prive di copertura, tali da richiedere misure di vigilanza. L’addendum non sostituisce né inficia alcun requisito regolamentare o contabile vigente.
2. Aspetti generali. 2.1. Ambito di applicazione. Conformemente alle linee guida sugli NPL, il presente addendum precisa le aspettative di vigilanza della BCE in relazione alle banche significative sottoposte alla sua vigilanza diretta. Questo documento non è vincolante per le banche, ma funge da base per il dialogo di vigilanza. La BCE valuterà almeno con frequenza annuale qualsiasi divergenza tra le prassi delle banche e le aspettative in merito agli accantonamenti prudenziali esposte in questa sede. La BCE riferirà le aspettative di vigilanza illustrate nell’addendum alle nuove NPE classificate come tali a partire dal 1° aprile 2018. Tenendo conto delle specificità delle aspettative (cfr. sezione 4.2.), alle banche sarà quindi chiesto di comunicare alla BCE qualsiasi divergenza tra le loro prassi e le aspettative in merito agli accantonamenti prudenziali nell’ambito del dialogo di vigilanza SREP, a partire dall’inizio del 2021.
2.2. Quadro prudenziale generale. Come indicato anche al capitolo 6.1 delle linee guida sugli NPL, il quadro prudenziale vigente prevede che le autorità di vigilanza decidano se gli accantonamenti delle banche siano adeguati e tempestivi.
3 In questa sede, così come nelle linee guida sugli NPL, i concetti di “crediti deteriorati” (Non-Performing Loans, NPL) ed “esposizioni deteriorate” (Non-Performing Exposures, NPE) sono considerati equivalenti.
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Banca Centrale Europea
Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (CBVB) pone in evidenza la responsabilità delle autorità di vigilanza di esaminare i processi interni delle banche per il controllo della gestione del rischio di credito e la valutazione degli attivi, nonché di assicurare che gli intermediari dispongano di accantonamenti sufficienti per perdite su crediti, in particolare sotto il profilo della valutazione delle esposizioni al rischio di credito e dell’adeguatezza patrimoniale. Queste tematiche sono trattate nelle relative linee guida, fra cui: – “Guidelines on credit institutions’ credit risk management practices and accounting for expected credit losses” del CBVB (2015) e “Guidelines on credit institutions’ credit risk management practices and accounting for expected credit losses” dell’ABE (2017); – “Principi fondamentali per un’efficace vigilanza bancaria” del CBVB (2012) e Basilea 2, secondo pilastro (2006). Più precisamente, rilevano i seguenti articoli della quarta direttiva sui requisiti patrimoniali (Capital Requirements Directive, CRD IV)4. – In conformità all’articolo 74, le banche sono tenute a dotarsi di “adeguati meccanismi di controllo interno, ivi comprese valide procedure amministrative e contabili [...] che riflettano e promuovano una sana ed efficace gestione del rischio”. – Ai sensi dell’articolo 79, lettere b) e c), le autorità competenti devono assicurare che “gli enti si dotino di metodologie interne che consentono loro di valutare il rischio di credito delle esposizioni nei confronti di singoli debitori [...] e il rischio di credito a livello di portafoglio” e che “l’amministrazione e il monitoraggio continui dei portafogli e delle esposizioni soggetti al rischio di credito degli enti, anche al fine di identificare e gestire i crediti problematici e di effettuare rettifiche di valore e accantonamenti adeguati, siano eseguiti tramite sistemi efficaci”. – Inoltre, l’articolo 88 prevede il principio secondo cui l’organo di amministrazione “deve garantire l’integrità dei sistemi di contabilità e di rendicontazione finanziaria, compresi i controlli finanziari e operativi e l’osservanza delle disposizioni legislative e delle norme pertinenti”. – In base all’articolo 97, paragrafo 1, le autorità competenti devono riesaminare i dispositivi, le strategie, i processi e i meccanismi messi in atto dagli enti per conformarsi alla CRD IV e al regolamento sui requisiti patrimoniali (Capital Requirements Regulation, CRR)5. L’articolo 97, paragrafo 3, della CRD
4 Direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE (GU L 176 del 27.6.2013, 338). 5 Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il Regolamento (UE) n. 648/2012 (GU L 176 del 27.6.2013,
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Documenti e informazioni
IV specifica inoltre che “le autorità competenti determinano se i dispositivi, le strategie, i processi e i meccanismi messi in atto dagli enti e i fondi propri e la liquidità da essi detenuti assicurano una gestione ed una copertura adeguate dei loro rischi”. – A questo proposito l’articolo 104, paragrafo 1, elenca i poteri che come minimo vanno conferiti alle autorità competenti, incluso quello previsto alla lettera b) di “chiedere il rafforzamento dei dispositivi, processi, meccanismi e strategie messi in atto conformemente agli articoli 73 e 74” e quello definito alla lettera d) di “esigere che gli enti applichino una politica di accantonamenti specifica o che riservino alle voci dell’attivo un trattamento specifico con riferimento ai requisiti in materia di fondi propri”. Ciò trova riscontro anche negli Orientamenti dell’ABE sulle procedure e sulle metodologie comuni per il processo di revisione e valutazione prudenziale (SREP), che recitano al paragrafo 478, lettera a): le autorità competenti possono richiedere all’ente di “applicare una specifica politica per gli accantonamenti e – ove consentito dalle norme e dai regolamenti contabili – imporre all’ente di aumentare gli accantonamenti”. Nel quadro dell’attuale regime regolamentare, le autorità di vigilanza devono pertanto determinare se le banche dispongano di metodologie e processi di accantonamento efficaci per poter assicurare l’adeguata copertura dei rischi connessi alle NPE. Inoltre la BCE può “chiedere agli enti creditizi di applicare adeguamenti specifici (deduzioni, filtri o misure analoghe) ai calcoli dei fondi propri qualora il trattamento contabile applicato dalla banca non sia ritenuto prudente dal punto di vista della vigilanza”6. Nell’ambito di questo processo le autorità di vigilanza dovrebbero fornire indicazioni riguardo alle proprie aspettative. L’addendum si inquadra in tale contesto.
2.3. Funzionamento delle aspettative di vigilanza. Le aspettative in merito agli accantonamenti prudenziali illustrate nel presente addendum vanno a integrare le linee guida sugli NPL, precisando i livelli di accantonamento ritenuti prudenti dalla BCE. La figura 1 presenta in sintesi il concetto di accantonamenti prudenziali. Nel valutare i livelli di accantonamento di una banca per le esposizioni deteriorate, la BCE terrà conto del grado di protezione del credito esistente e della fascia di anzianità delle NPE, che rappresenta un aspetto di primaria importanza. La sezione 3.2. specifica le forme di garanzia o altre tipologie di protezione dal rischio di credito ritenute adeguate dalla BCE in una prospettiva
1). 6
Cfr. nota 8 della Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sul Meccanismo di vigilanza unico (COM(2017) 591 final).
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Banca Centrale Europea
prudenziale. Le aspettative in merito agli accantonamenti prudenziali sono definite nella sezione 4. Figura 1 Sintesi del concetto di accantonamenti prudenziali
Le aspettative prudenziali in termini quantitativi possono essere più rigide rispetto alle norme contabili, ma non le possono contraddire. Qualora il trattamento contabile applicabile non sia ritenuto prudente in una prospettiva di vigilanza, il livello degli accantonamenti contabili è incluso per intero negli elementi di capitale richiesti alla banca per soddisfare le aspettative di vigilanza. Gli accantonamenti complessivi delle banche ai fini delle aspettative di vigilanza sono costituiti dai seguenti elementi: 1. tutti gli accantonamenti contabili in conformità del principio contabile applicabile, ivi inclusi i potenziali nuovi accantonamenti appostati7; 2. la carenza di accantonamenti rispetto alle perdite attese per le relative esposizioni in default ai sensi degli articoli 158 e 159 del CRR e altre deduzioni di CET1 dai fondi propri connesse a tali esposizioni8. Le banche sono incoraggiate a colmare potenziali lacune rispetto alle aspettative prudenziali appostando il massimo livello di accantonamenti possibile in linea con il principio contabile applicabile. Qualora il trattamento contabile applicabile non sia tale da soddisfare le aspettative in merito agli accantonamenti prudenziali, le banche hanno anche la possibilità di rettificare di propria iniziativa il capitale primario di classe 19.
7 Se rilevante, possono essere incluse anche le cancellazioni parziali effettuate dopo la più recente classificazione a NPE. 8 Salvo il caso in cui le altre deduzioni di CET1 si riflettano già nel calcolo della carenza di accantonamenti rispetto alle perdite attese. 9 Laddove le banche decidano di effettuare di propria iniziativa deduzioni dal capitale primario di classe 1, queste vanno segnalate nel modello COREP C01.00 alla riga 524 “(-) Additional deductions of CET1 Capital due to Article 3 CRR”.
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Nel corso del dialogo di vigilanza, almeno con frequenza annuale nel contesto dello SREP, la BCE discuterà con le banche ogni eventuale divergenza rispetto alle aspettative sugli accantonamenti prudenziali definite nel presente addendum. Nel valutare tali divergenze, la BCE considererà le circostanze specifiche (ad esempio “pulling effect”) che possono rendere inappropriate le aspettative in merito agli accantonamenti prudenziali per un determinato portafoglio o una determinata esposizione. Simili circostanze possono includere, ad esempio, una situazione in cui il debitore effettui, in modo verificabile, regolari pagamenti parziali corrispondenti a una frazione significativa dei pagamenti originariamente stipulati per contratto, qualora tali pagamenti consentano il rientro in bonis dell’esposizione10, indipendentemente dal fatto che si tratti di un’esposizione scaduta o di un’inadempienza probabile, ovvero una situazione in cui l’applicazione delle aspettative di vigilanza, in combinazione con i requisiti patrimoniali di primo pilastro per il rischio di credito, dia luogo a una copertura superiore al 100% dell’esposizione, oppure qualsiasi altra circostanza rilevante. In questo contesto, ogni solida evidenza relativa a un portafoglio specifico può essere utilizzata per corroborare il dialogo di vigilanza. Nel corso del dialogo di vigilanza la BCE valuterà qualsiasi divergenza tra le proprie aspettative di vigilanza e l’approccio seguito dalle singole banche in materia di accantonamenti. Tale processo potrebbe includere attività di accertamento a distanza, ad esempio approfondimenti da parte dei gruppi di vigilanza congiunti (GVC) di pertinenza, ispezioni in loco o entrambi gli interventi. L’esito della valutazione di vigilanza sarà preso in considerazione nell’ambito del processo SREP del Meccanismo di vigilanza unico. Se la BCE, avendo tenuto debito conto delle circostanze specifiche presentate da una banca, ritiene che gli accantonamenti prudenziali effettuati non coprano in misura adeguata il rischio di credito atteso, potrebbe considerare l’adozione di una misura di vigilanza di secondo pilastro. La rilevanza generale dell’addendum deve essere valutata in base al livello di esposizione (data dell’ultima classificazione a NPE e rispettiva anzianità di NPE). Il punto di partenza del dialogo di vigilanza sarà una valutazione svolta al livello di consolidamento applicabile (su base individuale, subconsolidata o consolidata in linea con l’approccio SREP), a cui potrebbe seguire un’ulteriore analisi di vigilanza, se necessario, a un livello più granulare.
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Tenendo conto anche del capitolo 4 e della sezione 5.3.3. delle linee guida della BCE sugli NPL.
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3. Definizioni adottate nell’addendum. 3.1. Definizione di nuove NPE e computo dell’anzianità. Ai fini del presente addendum le “nuove NPE” sono rappresentate da tutte le esposizioni riclassificate da in bonis a deteriorate in linea con la definizione dell’ABE11 successivamente al 1° aprile 2018, indipendentemente dalla loro classificazione in qualsiasi momento anteriore a tale data. Nel presente documento si adotta come riferimento l’anzianità delle NPE ai fini dell’applicazione delle aspettative di vigilanza. Per “anzianità delle NPE” si intende il numero di giorni (convertiti in anni) intercorsi dalla data in cui l’esposizione è stata classificata come deteriorata fino alla data di segnalazione o di riferimento rilevante, a prescindere dall’evento che ha attivato la classificazione come NPE. L’anzianità è quindi computata nello stesso modo per le “inadempienze probabili” e le “esposizioni scadute”; di conseguenza, per le posizioni che passano da “inadempienze probabili” a “esposizioni scadute” il conteggio prosegue, non è riavviato. Se un’esposizione rientra in bonis in conformità con le norme tecniche di attuazione (Implementing Technical Standards, ITS) dell’ABE12 e anche tenendo conto del capitolo 5 delle linee guida sugli NPL, si considererà azzerato il computo dell’anzianità dell’esposizione deteriorata ai fini del presente addendum. Le esposizioni classificate a NPE e rientrate in bonis anteriormente al 1° aprile 2018 che siano riclassificate come deteriorate dopo tale data sono considerate come nuove NPE ai fini del presente addendum, riavviando cioè da zero il computo dell’anzianità dell’esposizione deteriorata
3.2. Protezione del credito a garanzia delle esposizioni. Nell’ambito del presente addendum si applicano principi prudenziali per la definizione dei criteri di ammissibilità relativi alla protezione del credito che sono utilizzati per determinare quali parti di NPE siano da ritenersi garantite oppure non garantite e quindi stabilire se tenere conto delle aspettative di vigilanza in relazione alle esposizioni garantite ovvero alle esposizioni non garantite. Ciò si basa sul presupposto che potrebbe essere necessario innalzare il grado di copertura dei rischi qualora il trattamento contabile non sia reputato prudente in una prospettiva di vigilanza, secondo quanto esposto in precedenza.
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Vi rientrano anche le esposizioni fuori bilancio nonché le NPE detenute dalle filiazioni internazionali di enti significativi. Per le NPE acquistate, le autorità di vigilanza terranno conto delle evidenze emerse dal relativo processo di due diligence. 12 Bozza finale degli Implementing Technical Standards (ITS) on supervisory reporting on forbearance and non-performing exposures (EBA/ITS/2013/03).
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Ai fini di questo addendum, le seguenti tipologie di garanzie o altre forme di protezione dal rischio di credito sono considerate dalla BCE come atte ad assistere interamente o parzialmente le esposizioni deteriorate: (a) qualsiasi tipo di garanzia immobiliare; (b) altre garanzie reali ammissibili o altre forme di protezione dal rischio di credito che soddisfino i criteri di attenuazione di tale rischio, ai sensi della parte tre, titolo II, capi 3 e 4, del CRR, indipendentemente dal fatto che gli enti applichino il metodo standardizzato o il metodo basato sui rating interni. In questo modo si assicurano pari condizioni per tutte le banche.
3.3. Definizione di parte garantita e parte non garantita delle NPE Le aspettative di vigilanza esposte nel presente addendum di basano su una distinzione tra (parti di) NPE garantite e non garantite, come di seguito illustrato. Figura 2 Metodologia integrate per le nuove NPE nell’ambito di applicazione dell’addendum
In generale le aspettative di vigilanza riguardano tutte le aperture di credito deterioriate, utilizzate e non utilizzate. Tuttavia, possono non essere considerate per le aperture di credito non utilizzate che sono revocabili incondizionatamente in qualsiasi momento e senza preavviso, o provviste di clausola di revoca automatica in seguito al deterioramento del merito di credito del debitore Esposizioni interamente non garantite. Ai fini del presente addendum, le NPE si considerano interamente non garantite se non dispongono di una protezione dal rischio di credito in conformitĂ con la sezione.
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Tali esposizioni sono valutate nel contesto del dialogo di vigilanza sulla base delle aspettative di vigilanza per le esposizioni non garantite come precisato nella sezione 4. Esposizioni interamente garantite. Ai fini di questo addendum, le NPE si considerano interamente garantite se dispongono di una protezione dal rischio di credito, in conformità con la sezione 3.2. che sia superiore alle aperture di credito, attuali utilizzate e potenziali non utilizzate, del debitore. Tali esposizioni sono valutate nel contesto del dialogo di vigilanza sulla base delle aspettative di vigilanza per le esposizioni garantite come precisato nella sezione 4. Il valore delle garanzie reali utilizzato dalle banche dovrebbe corrispondere al valore delle garanzie indicato per le esposizioni in conformità con le istruzioni sulle segnalazioni contabili (FINREP) di cui all’Allegato V13 alla voce “Garanzie reali e garanzie ricevute”, escludendo le garanzie o altre forme di protezione dal rischio di credito non considerate ai fini del presente addendum (cfr. sezione 3.2.). Riguardo alla valutazione dei beni immobili, si fa riferimento al capitolo 7 delle linee guida sugli NPL, che definisce le aspettative di vigilanza in proposito, anche con riferimento a scarti di garanzia o rettifiche adeguatamente prudenti. Esposizioni parzialmente garantite. Una metodologia integrata è prevista per le NPE parzialmente garantite, ossia quelle in cui il valore della protezione dal rischio di credito descritta alla sezione 3.2 non è superiore alle aperture di credito, attuali utilizzate e potenziali non utilizzate, del debitore. Una volta che la banca ha stabilito il valore della protezione dal rischio di credito, l’esposizione andrebbe considerata distinta nei due elementi seguenti. 1. Parte garantita: al fine di determinare la quota garantita dell’NPE la banca valuta la protezione dal rischio di credito come indicato in precedenza per le esposizioni interamente garantite. La parte garantita è valutata in conformità con le aspettative di vigilanza per le esposizioni garantite. 2. Parte non garantita: quota pari alle aperture di credito, originarie utilizzate e potenziali non utilizzate, meno la parte garantita dell’esposizione. La parte non garantita è valutata in conformità con le aspettative di vigilanza per le esposizioni non garantite.
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Regolamento di esecuzione (UE) 2017/1443 della Commissione, del 29 giugno 2017, che modifica il Regolamento di esecuzione (UE) n. 680/2014 della Commissione.
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Per le esposizioni interamente garantite o parzialmente garantite, ci si attende che le banche rivedano regolarmente il valore delle garanzie reali in conformità con le linee guida sugli NPL e che tengano tempestivamente conto di qualsiasi variazione concernente le aspettative sugli accantonamenti. Dato il rischio di esecuzione intrinseco nella realizzazione del valore delle garanzie reali, le banche dovrebbero esaminare con molta attenzione i casi in cui la parte garantita dell’esposizione aumenta nel tempo. Tali casi andrebbero corroborati da solide evidenze che dimostrino la sostenibilità dell’incremento delle valutazioni, come illustrato anche nelle linee guida sugli NPL con riferimento ai beni immobili.
4. Aspettative in merito agli accantonamenti prudenziali. 4.1 Categorie di aspettative sugli accantonamenti. Aspettative di vigilanza per le esposizioni non garantite. Le NPE interamente non garantite e la parte non garantita di NPE parzialmente garantite saranno valutate dalla BCE sulla base delle aspettative di vigilanza definite nella sezione 4.2. Aspettative di vigilanza per le esposizioni garantite. In base al quadro prudenziale di riferimento, le banche devono poter realizzare la protezione del credito con “tempestività”. Se una garanzia non è stata realizzata dopo diversi anni dalla data in cui l’esposizione sottostante è stata classificata come deteriorata, per il mancato funzionamento dei processi interni della banca o per ragioni che esulano dal suo controllo (ad esempio, i tempi necessari per la conclusione di un procedimento giudiziario), in linea di massima tale garanzia sarebbe ritenuta inefficace e, di conseguenza, l’esposizione dovrebbe essere trattata come non garantita da un punto di vista prudenziale nel contesto di questo addendum. Ciò significa che si considera prudente la copertura completa tramite accantonamenti prudenziali dopo un periodo di diversi anni. In questo contesto, le NPE interamente garantite e la parte garantita di NPE parzialmente garantite saranno valutate dalla BCE sulla base delle aspettative di vigilanza definite nella sezione 4.2. Si precisa che le garanzie escusse non rientrano al momento nell’ambito di applicazione dell’addendum. Tuttavia, la sezione 7.5 delle linee guida sugli NPL verte sulla valutazione delle garanzie escusse, anche con riferimento a scarti di garanzia o rettifiche adeguatamente prudenti. Inoltre, l’allegato 7 delle citate linee guida contiene raccomandazioni in materia di comunicazioni all’autorità
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di vigilanza ed elementi di informativa relativi alle garanzie escusse, compresa una scomposizione per anzianità.
4.2. Quadro dettagliato delle aspettative di vigilanza in termini quantitativi. La BCE valuterà i livelli di accantonamento prudenziale per le nuove NPE, come definite in precedenza, nel corso del dialogo di vigilanza descritto alla sezione 2.3. di questo addendum, tenendo conto delle aspettative in termini quantitativi sintetizzate nella tavola 1. Tavola 1 Quadro delle aspettative in termini quantitativi Parte non garantita Dopo 2 anni di anzianità come NPE
Parte garantita
100%
Dopo 3 anni di anzianità come NPE
40%
Dopo 4 anni di anzianità come NPE
55%
Dopo 5 anni di anzianità come NPE
70%
Dopo 6 anni di anzianità come NPE
85%
Dopo 7 anni di anzianità come NPE
100%
Per evitare un incremento brusco e repentino dei livelli di accantonamento (effetti “cliff edge”), è importante definire un’adeguata progressione nelle aspettative di vigilanza a partire dal momento in cui l’esposizione è classificata come deteriorata. La BCE valuterà pertanto le esposizioni garantite nel contesto del dialogo di vigilanza, sulla base di un percorso lineare a cominciare dal terzo anno. Queste aspettative sono intese ad assicurare che le banche non accumulino NPE di anzianità elevata a fronte di accantonamenti insufficienti. La BCE ritiene quindi che, per conseguire livelli di accantonamento prudenti, le banche debbano continuare a iscrivere in bilancio gli accantonamenti contabili in linea con le rispettive valutazioni e in conformità con i principi contabili vigenti. Soltanto nell’eventualità che il trattamento contabile applicato da una banca non sia ritenuto prudente dal punto di vista della vigilanza, le autorità di vigilanza possono stabilire misure adeguate valutando caso per caso. Nel corso del dialogo di vigilanza, ci si attende che tutte le banche comunichino ai rispettivi GVC i livelli di copertura per anzianità delle NPE con riferimento alle esposizioni classificate come deteriorate dopo il 1° aprile 2018. Gli scostamenti dalle aspettative sugli accantonamenti prudenziali definite nel presente addendum saranno quindi attentamente esaminati. Ulteriori dettagli in merito alla procedura saranno forniti con congruo anticipo dai GVC alle banche.
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Inoltre, coerentemente con le raccomandazioni formulate nell’allegato 7 delle linee guida sugli NPL, le banche sono altresì incoraggiate a indicare nella propria informativa al pubblico gli accantonamenti per tipologie di attività e per diverse fasce di anzianità delle NPE, data l’importanza di questi elementi per fornire un quadro completo dei loro profili di rischio di credito agli operatori del mercato.
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Lorenzo De Angelis
Le regole contabili degli NPL* Sommario: 1. Definizione – 2. Contabilizzazione secondo i princìpi contabili nazionali – 3. I princìpi contabili internazionali – 4. Segue: la rilevazione iniziale e la classificazione. – 5. Segue: la rilevazione successiva e l’impairment – 6. Evoluzione e prospettive.
1. Definizione. I Non-Performing Loans (NPL)1 sono attività finanziarie deteriorate, ossia crediti non aventi i requisiti della piena liquidità e/o dell’immediata e completa esigibilità alla scadenza pattuita. La Banca d’Italia, in particolare, ha individuato le attività finanziarie deteriorate degli intermediari bancari e finanziari sottoposti alla sua vigilanza, in sintonia con quelle previste ai fini delle segnalazioni statistiche europee armonizzate (Financial Reporting), distinguendole in tre categorie principali a seconda dello scadimento della qualità creditizia del debitore, e precisamente in sofferenze, inadempienze probabili ed esposizioni creditorie scadute e/o dipendenti da sconfinamenti di affidamenti accordati2.
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Il presente scritto è dedicato agli Studi in onore di Gustavo Visentini. Si ringraziano vivamente per i preziosi suggerimenti e i documenti messi a disposizione il dott. Antonio Renzi, Direttore Senior del Servizio Regolamentazione e analisi macroprudenziale della Banca d’Italia, e il Prof. dott. Marco Venuti, Responsabile dell’attività di ricerca dell’O.I.C. e docente di Risk and Management nell’Università di Roma Tre. 1 Sull’argomento si consiglia la lettura della raccolta di studi di Aa.Vv., I crediti deteriorati nelle banche italiane a cura di Cesarini, Torino, 2017, ed ivi segnatamente – per gli aspetti di più specifica attinenza con la materia che forma oggetto del presente contributo – dei saggi di Sciarrone Alibrandi, I non performing loan. Un quadro d’insieme, pp. 1 ss.; e di Lionzo, L’impairment nelle banche: l’evoluzione dei principi contabili e le loro implicazioni organizzative e di bilancio, pp. 23 ss. Per un’interessante ricognizione sul tema cfr. altresì Giannantonio - Mutti, I crediti deteriorati fra la prospettiva regolamentare e contabile: un’evidenza operativa, in Riv. dott. comm., 2018, pp. 443 ss.; e Kpmg, Nonperforming loans in Europe, May 2017, consultabile nel sito www.kpmg.com/ecb. 2 Per quanto più specificamente concerne gli NPL presenti nei portafogli delle banche italiane v. l’Aggiornamento n. 10 della circolare della Banca d’Italia 20 gennaio 2015, n. 272, § 2, a mente del quale le sofferenze consistono nel «complesso delle esposizioni creditizie per cassa e ‘fuori bilancio’ nei confronti di un soggetto in stato di insolvenza (anche non accertato giudizialmente) o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita» formulate dal creditore; le inadempienze probabili sono le obbligazioni creditizie di cui si reputa
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2. Contabilizzazione secondo i princìpi contabili nazionali. Alla luce dei princìpi contabili nazionali – ed in primis delle disposizioni normative dettate dal codice civile – i crediti in questione, sorti da operazioni di natura sia commerciale sia finanziaria, costituiscono in prevalenza elementi dell’attivo circolante, non essendo solitamente «elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente» (art. 2424-bis, co. 1, c.c.) nel complesso aziendale (rectius, nella specie, destinati a permanere durevolmente nel patrimonio sociale)3. Di conseguenza, agli effetti contabili – e segnatamente della loro rilevazione nel bilancio d’esercizio – se iscritti nell’attivo circolante essi devono venire rilevati «tenuto conto … del valore di presumibile realizzo» e, per quanto attiene al fattore temporale, secondo il criterio del costo ammortizzato (art. 2426, co. 1, n. 8, c.c.). Ciò, ovviamente, salvo che tale criterio possa non essere applicato, come nei casi dei bilanci in forma abbreviata e di quelli delle micro-imprese, ed in generale qualora gli effetti dell’impiego del medesimo criterio siano irrilevanti rispetto al valore dei crediti, come si reputa avvenire per i crediti a breve termine, ossia con scadenza inferiore ai 12 mesi4. L’iscrizione dei crediti secondo il loro
improbabile l’integrale adempimento da parte del debitore; le esposizioni scadute e/o sconfinanti deteriorate sono «esposizioni creditizie per cassa, diverse da quelle classificate tra le sofferenze o le inadempienze probabili, che, alla data di riferimento della segnalazione, sono scadute o sconfinanti»; a queste si aggiungono le esposizioni oggetto di concessioni – che in precedenza venivano distinte fra esposizioni creditizie oggetto di accordi di ristrutturazione o di rinegoziazione di piani di rientro – le quali sono a loro volta sceverate a seconda che riguardino concessioni deteriorate e non deteriorate, le prime concernenti «singole esposizioni per cassa e impegni revocabili e irrevocabili a erogare fondi che soddisfino la definizione di Non-performing exposures with forberance measures» (ex Allegato V, parte 2, § 262, degli Its, Implementing Technical Standards) e le seconde concernenti le altre esposizioni creditizie ricadenti nella categoria dei Forborne performing exposures, parimenti definita dagli Its. Analoga definizione delle esposizioni creditizie deteriorate si rinviene nell’Aggiornamento n. 5 della precedente circolare della Banca d’Italia 22 dicembre 2005, n. 262, che le assume corrispondenti «alla somma di sofferenze, inadempienze probabili e esposizioni scadute deteriorate». Merita altresì rilevare che quest’ultimo documento definisce le operazioni «fuori bilancio» come «l’insieme dei derivati, creditizi e finanziari, delle garanzie finanziarie e degli impegni». Sui concetti di non-performing exposures, di crediti impaired e di crediti in default cfr. inoltre Giannatonio - Mutti, I crediti, cit., pp. 448 ss. 3 Si eccettuano i finanziamenti contemplati dall’Oic 15, Crediti, § 21, da allocarsi fra le immobilizzazioni finanziarie. 4 V. infra, nota 12. Sul punto cfr. OIC 15, spec. § 33, anche con riferimento ai
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Lorenzo De Angelis
presumibile valore di realizzazione significa che qualora sorgano fondati dubbi sulla loro certezza, liquidità e – soprattutto – integrale esigibilità il loro valore nominale deve essere conseguentemente diminuito5. A tale svalutazione può procedersi, a seconda delle circostanze, anche in più volte6, sia mediante la decurtazione del valore nominale del credito di dubbia esigibilità, così da mantenere inserito nella contabilità quel minor valore che l’imprenditore o gli amministratori ragionevolmente presumano, secondo il loro prudente apprezzamento, di poter realizzare7, sia ponendo a fronte del loro valore nominale, lasciato inal-
susseguenti §§ 46-48; cui adde Venuti, I crediti e l’informativa di bilancio, Roma, 2011, pp. 33 ss. 5 Trib. Ancona, 30 marzo 2010, in Società, 2010, 1440, con commento di Balzarini, Contenuto del bilancio e clausole della chiarezza e della rappresentazione veritiera e corretta; Trib. Milano, 25 luglio 2008, ivi, 2009, p. 309, con commento di Bonavera, Questioni in tema di adempimento dell’incarico affidato alla società di revisione, e di De Angelis, Violazioni dei principi contabili e riserve dei revisori, spec. pp. 322 s.; App. Palermo, 22 marzo 2002, e Trib. Trapani, 10 agosto 2001, ivi, 2002, p. 872, con commento di Salafia, Corretta redazione del bilancio di esercizio e gravi irregolarità degli amministratori; Trib. Milano, 21 ottobre 1999, in Giur. it., 2000, p. 554, con nota di Weigmann. Cass. penale, 15 giugno 2017, n. 29885, in Il fisco, n. 27/2017, p. 2698, ha deciso che la mancata svalutazione di un credito inesigibile determina la falsità del bilancio, e quindi, in caso di fallimento dell’impresa che lo abbia redatto, l’accertamento della commissione del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (conf. Cass., Ss.Uu. penali, 27 maggio 2016, n. 22474, in Giur. it., 2016, 2007, con nota di A. Rossi , La rilevanza penale del falso valutativo: la motivazione «di conferma» delle Sezioni unite; e in Foro it., 2017, II, p. 693, con nota di Giusti, Spunti di diritto comparato in margine al «nuovo» delitto di falso in bilancio. Secondo Trib. Milano, 3 settembre 2003, in Società, 2004, 1016, con commento di Sottoriva, Valutazione dei crediti in bilancio e ruolo della nota integrativa e della relazione sulla gestione, un credito sul quale sia sorto un contenzioso non deve necessariamente essere considerato inesigibile al fine della sua valutazione in bilancio. La svalutazione dei crediti per insolvenza del debitore può, in particolare, conseguire all’assoggettamento di questo a procedure concordatarie ovvero alla proposizione da parte del medesimo di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182-bis l. fall. 6 Trib. Milano, 5 novembre 2001, in Società, 2002, 722, con commento di Salafia, Iscrizione del fondo rischi ed oneri, contenuto della nota integrativa e altre questioni di bilancio; e in Giur. it., 2002, p. 554, con nota di Cagnasso, Bilancio in forma abbreviata e principio di chiarezza. 7 Trib. Napoli, 24 febbraio 2000, in Società, 2000, 1474, con commento di Sottoriva, Alcune osservazioni su valutazioni dei crediti e copertura dei rischi, ove è precisato che l’importo che così risulta iscritto non è suscettibile di censura da parte dell’Autorità giudiziaria, salva l’ipotesi di assoluta arbitrarietà; in senso conforme Cass., 27 novembre 1982, n. 6431, in Fallimento, 1983, p. 810. Sul principio secondo cui i crediti
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terato, un adeguato stanziamento all’apposito fondo rischi, in modo da esporre per somma algebrica l’ammontare del credito ragionevolmente ritenuto esigibile8. Inoltre, una pretesa creditoria che non sia ravvisata probabilmente od anche solo agevolmente esigibile può non venire iscritta in bilancio9 purché sia esaurientemente menzionata nella nota integrativa10, dalla quale deve comunque risultare – anche qualora i crediti di non sicura esigibilità trovino allocazione in bilancio – il giudizio dei responsabili dell’impresa sulla condotta futura del debitore e, in definitiva, sul grado di probabilità dell’esazione del credito11.
devono essere esposti al loro presumibile valore di realizzo v. altresì Trib. Napoli, 24 aprile 2003, ivi, 2004, 1215, con nota di De Crescienzo, Questioni in tema di responsabilità degli amministratori; e Trib. Prato, 25 settembre 2012, in Società, 2013, p. 269, con commento di Balzarini, Principi di redazione del bilancio d’esercizio e funzione dei principi contabili, spec. pp. 283 ss.; ed inoltre Sottoriva, La redazione del bilancio di esercizio secondo il D.Lgs. 139/2015 e secondo i principi contabili nazionali, Assago, 2015, pp. 173 s.; Sasso, Le società per azioni. Il bilancio d’esercizio, in Giur. sist. dir. civ. e comm., fondata da Bigiavi, II, Torino, 2004, pp. 745 ss. 8 Trib. Milano, 11 novembre 2002, in Società, 2003, p. 1014, con commento di De Giorgi, Responsabilità degli amministratori ex art. 2409 codice civile e quantificazione dei danni. Confuta questa modalità di rilevazione del rischio di inesigibilità dei crediti Villa, Gli elementi di struttura: lo stato patrimoniale e il conto economico, in Aa.Vv., Il bilancio di esercizio, a cura di Palma, Milano, 2016, pp. 111 ss., ad avviso del quale la svalutazione non potrebbe che erodere direttamente il relativo valore contabile; contra, per l’uso alternativo – dipendente da una ragionevole opzione degli estensori del bilancio – del metodo della svalutazione del credito iscritto all’attivo o di quello dell’appostazione di un congruo fondo rischi per temuta inesigibilità dei crediti al passivo, v. Sasso, Le società, cit., II., pp. 741 ss. 9 Ha infatti stabilito Cass., 11 dicembre 2000, n. 15592, in Società, 2001, p. 581, con commento di Cardarelli, Abuso del diritto e impugnazione di delibera assembleare, che presupposto per l’iscrizione in bilancio di un credito è la sua esistenza, sicché non possono figurarvi crediti eventuali o condizionati o semplicemente sperati; v. inoltre Trib. Milano, 25 luglio 2008, cit., p. 309, ed ivi il commento di De Angelis, loc. cit.; v. altresì Sottoriva, La redazione, cit., pp. 167 ss. 10 Cass., 11 dicembre 2000, n. 15592, cit., con commento di Cardarelli, loc. cit.; Trib. Milano, 21 dicembre 1998, in Giur. comm., 1998, II, p. 932. 11 Come già anticipato, l’apprezzamento sulla probabilità dell’esazione di un credito formulato dagli amministratori in base alla valutazione della condotta futura del debitore, compiuto in considerazione della sua solvibilità apparente, non può essere censurato ex post dal giudice alla luce di circostanze sopravvenute, non conosciute e non conoscibili con l’ordinaria diligenza al tempo della redazione del bilancio: così Trib. Napoli, 28 dicembre 2004, in Società, 2005, 375, con commento di Colombo, L’informazione del socio di s.r.l. sulla situazione patrimoniale ex art. 2482-bis; in Foro it., 2005, 1612, con nota di Rordorf; e in Giur. comm., 2005, II, 796, con nota di Di Girolamo, Diritto d’informazione preassembleare dei soci di s.r.l. e principi in tema di
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La vigente disposizione dell’art. 2426, co. 1, n. 8 – introdotta dal d.lgs. n. 139/2015 – stabilisce inoltre che i crediti (e i debiti) devono essere rilevati in bilancio «secondo il criterio del costo ammortizzato, tenendo conto del fattore temporale». La norma fa riferimento ai crediti (ed analogamente ai debiti) finanziari a medio-lungo termine12, di cui possono venire determinati, al pari di ogni altra attività da valutarsi attendibilmente applicando il medesimo criterio, i flussi finanziari: costo ammortizzato da calcolarsi mediante l’applicazione «del metodo del tasso di interesse effettivo, che è quel tasso di interesse che raccorda esattamente il valore contabile agli incassi o pagamenti futuri lungo la vita dello strumento finanziario o, se appropriato, lungo un periodo più breve. Il calcolo comprende tutte le commissioni e i margini pagati o ricevuti che sono parte integrante del tasso d’interesse, i costi di transazione e tutti gli altri premi o sconti»13, previa attualizzazione finanziaria del valore nominale del credito – o del debito – riferito alla sua scadenza14.
redazione del bilancio ex art. 2482-bis, secondo comma, c.c.; in senso conforme Trib. Milano, 21 dicembre 1987, ivi, 1988, II, 932. 12 Per quanto concerne i crediti, l’OIC 15, § 33, precisa che «generalmente gli effetti sono irrilevanti» se questi sono a breve termine, ossia con scadenza inferiore ai dodici mesi, nel qual caso il criterio del costo ammortizzato può non essere applicato. Così pure è previsto dall’art. 12, co. 2, del d.lgs. n. 139/2015 per gli elementi patrimoniali riferiti ad operazioni che non abbiano «ancora esauriti i loro effetti in bilancio», essendovi stati iscritti anteriormente all’esercizio in corso al 1° gennaio 2016: v., ad esempio, il susseguente § 89. I titoli iscritti tra le immobilizzazioni finanziarie per i quali il criterio del costo ammortizzato non sia applicabile e i titoli iscritti nell’attivo circolante ad un valore inferiore a quello desumibile dall’andamento del mercato devono essere valutati al loro costo specifico d’acquisto. 13 Così Sottoriva, Redazione, cit., p. 167; v. altresì Santesso - Sostero, I principi contabili per il bilancio d’esercizio, Milano, 2016, p. 547. 14 Sul procedimento di attualizzazione dei crediti cfr. OIC 15, §§ 41-45; cui adde Superti Furga, Il bilancio di esercizio italiano secondo la normativa europea, Milano, 2017, pp. 170 ss. e 218; Strampelli, Commento all’art. 2426, in Aa.Vv., Le società per azioni a cura di Campobasso M., Cariello e Tombari, I, nel Codice civile e norme complementari diretto da Abbadessa e Portale, Milano, 2016, pp. 2299 ss., spec. pp. 2303 ss.; Sottoriva, Redazione, cit., 170 ss.; ed inoltre Dezzani, Crediti e debiti commerciali scadenti oltre i 12 mesi: criterio del costo ammortizzato e attualizzazione, in Il fisco, n. 7/2017, pp. 663 ss.; Gaiani, Crediti e debiti al costo ammortizzato: complicazioni contabili e ricadute fiscali, ivi, n. 15/2017, pp. 1413 ss.; Pisoni - Bava - Busso - Devalle - Rizzato, Crediti e debiti commerciali: costo ammortizzato in presenza di attualizzazione, ivi, n. 21/2017, pp. 2059 ss. Il minor valore del credito derivante dall’operazione di attualizzazione finanziaria deve essere normalmente rilevato a conto economico dall’impresa creditrice fra le perdite su crediti. Ma talvolta il rispetto del principio substance over form può suggerire una diversa rilevazione contabile. Così, ad esempio, se una società concede un finanziamento
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3. I princìpi contabili internazionali. Quando si fa riferimento agli NPL si intende comunemente alludere ai crediti deteriorati vantati dalle banche o da altri intermediari finanziari assunti sia a titolo originario che per acquisto fattone sul mercato – cioè a titolo derivativo – e pertanto ad essi si rendono applicabili ex art. 2, d.lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, le disposizioni degli Ias/Ifrs, così come recepite negli appositi regolamenti emanati dalla U.E. Fra questi spicca l’Ifrs 9, Financial Instruments – che ha sostituito in parte qua lo Ias 39, Financial Instruments. Recognition and Measurement – nella nuova versione emanata dallo Iasb il 24 luglio 2014 e recepita con Regolamento della Commissione U.E. n. 2016/2067 del 22 novembre 201615, la cui adozione è diventata obbligatoria per gli Stati membri dell’Unione con decorrenza dal 1° gennaio 201816.
4. Segue: la rilevazione iniziale e la classificazione. La rilevazione iniziale del credito già in base alle previsioni dello Ias 39 (Sect. 14), in precedenza applicabile17, ed ora in base a quelle dell’Ifrs 9 (Sect. 3.1.1) deve effettuarsi nel momento del sorgere del relativo diritto in capo al soggetto creditore, che – per i crediti non sottoposti a condizione – è quello della sottoscrizione del contratto18.
a lungo termine – oneroso ma al disotto delle condizioni normali di mercato od anche infruttifero – a una propria controllata per sostenerla sotto il duplice profilo patrimoniale e finanziario, la differenza (negativa) fra il valore nominale e il valore attuale del credito meriterebbe di venire allocata all’attivo ad incremento del valore della partecipazione nella società sovvenuta; e se un’impresa concede un prestito a lungo termine – anche in questo caso, modestamente oneroso o infruttifero – a un suo dipendente per agevolarlo nell’acquisto della casa, l’analoga differenza meriterebbe di venire allocata sì nel conto economico, ma fra i costi per il personale, rappresentando in realtà una retribuzione aggiuntiva, o un fringe benefit, erogato a quel dipendente. 15 Sul processo iniziale dell’emanazione di questo Standard v. lo studio dell’A.B.I., Il progetto Ifrs 9: avvio del progetto e atti del workshop del 28 e 29 maggio 2015, Documento Ias ABI Bluebook n. 152 del 3 giugno 2015; e Venuti, I crediti, cit., pp. 133 ss. 16 Per maggiore comodità di comprensione verrà utilizzata la versione Italiana dell’Ifrs 9, pubblicata nella G.U.U.E. del 29 novembre 2016, n. L. 323, pp. 5 ss., in allegato al suddetto Regolamento; nonché nella Gazzetta Ufficiale del 23 gennaio 2017, 2a serie speciale, parte I, n. 7, pp. 5 ss., ancora in allegato al medesimo Regolamento. 17 Su cui v. Venuti, I crediti, cit., pp. 80 ss. 18 Cfr. Busso, Ias 39. Strumenti finanziari: rilevazione e valutazione, in Ias/Ifrs,
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Secondo entrambi questi Standards la valutazione iniziale avviene al fair value, coincidente normalmente con il prezzo di transazione [Application Guidance (AG) 1.2/A], inclusi i costi di transazione direttamente attribuibili all’operazione nel caso di finanziamenti e crediti successivamente valutati con un criterio diverso dal fair value con impatto a conto economico. È il caso, ad esempio, dei finanziamenti e dei crediti valutati al costo ammortizzato, per i quali i costi di transazione direttamente attribuibili all’operazione sono ripartiti nell’arco temporale della loro durata contrattuale, sulla base del tasso d’interesse effettivo. Qualora l’estensore del bilancio ritenga che il fair value del credito sia diverso dal prezzo di transazione, dovrà iscrivere lo strumento al nuovo valore. Ad esempio, nel caso di finanziamenti e di crediti a lungo termine infruttiferi d’interessi, il fair value coincide con il valore attuale di tutti i flussi di cassa futuri scontati al tasso d’interesse prevalente sul mercato per strumenti similari in termini di valuta di denominazione, di durata contrattuale, o di tipo di tasso d’interesse (Ias 39, Sect. 43-44, e AG 64 e 76; Ifrs 9, Sect. 5.1.1 - 5.1.3, e AG B5.1 e B5.1.2A)19. In sostanza, secondo l’Ifrs 9, la initial recognition (Sect. 3.1.1) deve effettuarsi, per le attività finanziarie in generale, a seconda dei casi, o al costo ammortizzato (Sect. 4.1.2), o al fair value rilevato nelle altre componenti di conto economico complessivo (Sect. 4.1.2/A), od ancora al fair value rilevato nell’utile o nella perdita d’esercizio (Sect. 4.1.4). In particolare l’Ifrs 9 – in continuità con lo Ias 39 – prevede che se nel momento della rilevazione contabile iniziale il fair value di un’attività finanziaria (nella specie, di un credito di natura finanziaria) differisca dal prezzo dell’operazione, l’attività debba essere iscritta come segue:
a cura di Dezzani, Biancone e Busso, Assago, 2016, pp. 1547 ss., ove spec. il cap. 5, Rilevazione iniziale (o Recognition) di un’attività finanziaria o di una passività finanziaria, 1659 ss.; cui adde BDO, Ifrs in practice 2018, Ifrs 9. Financial Instruments, consultabile nei siti www.bdointernational.com o www.bdo.global. 19 Ibidem, cap. 9, Misurazione iniziale di attività e passività finanziarie, 1718 ss. L’eventuale perdita attesa, per il soggetto titolare, da un finanziamento o da un credito è già inclusa nel fair value del prezzo di transazione iniziale in sede di determinazione contrattuale del tasso d’interesse effettivo dell’operazione (v. ora Ifrs 9, Sect. 4.1.3.b; AG B.4.1.1/A e B.4.1.9 – B.4.1.9/E); mentre – sotto la vigenza dello Ias 39 – non ne influenzava il valore iniziale in caso di applicazione del criterio del costo ammortizzato. Su questo aspetto si è incentrata la critica di scarsa prudenzialità dello Ias 39, nel senso che questo non consentiva di anticipare la considerazione di perdite future ragionevolmente suscettibili di profilarsi: cfr. Lionzo, L’impairment, cit., p. 27.
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(i) se il fair value è attestato da un prezzo quotato in un mercato attivo per un’attività identica oppure si basa su una tecnica di valutazione che utilizza solo dati provenienti da mercati osservabili, bisogna rilevare la differenza tra il fair value al momento della rilevazione iniziale e il prezzo dell’operazione come utile o perdita; (ii) in tutti gli altri casi, secondo il fair value rettificato per differirne la variazione fra l’ammontare rilevato al momento della rilevazione iniziale e il prezzo dell’operazione dopo la rilevazione iniziale, iscrivendo tale variazione differita come utile o perdita solo nella misura in cui essa risulti dal cambiamento di un fattore (incluso il tempo) che gli operatori di mercato considererebbero nel determinare il prezzo dell’attività in questione [AG B5.1.2/A, lett. a) e b)]. In tale ipotesi è stato asserito che lo Standard in parola autorizza l’allocazione nel passivo patrimoniale del bilancio, fra i fondi rischi, di una Loan Loss Provision (LLP) da stimarsi sulla base dell’Expected Credit Loss (ECL), ossia della stima della perdita attesa, nei dodici mesi successivi20. L’Ifrs 9 ha introdotto un nuovo criterio per la classificazione delle attività finanziarie nei diversi portafogli contabili, basato sul business model con cui un’impresa gestisce uno strumento finanziario e sulle caratteristiche dei flussi di cassa generati dal medesimo strumento (Sect. 4.1.1-4.1.5). Nello specifico, l’Ifrs 9 prevede che le attività finanziarie siano classificate nei seguenti tre portafogli contabili, in luogo dei quattro previsti dallo Ias 3921, cui corrispondono – come nel precedente Standard – tre differenti criteri di valutazione: A) Attività finanziarie valutate al costo ammortizzato. Possono essere classificate in questo portafoglio solo le attività finanziarie per le quali siano soddisfatte entrambe le seguenti condizioni: – presenza di un business model il cui obiettivo è di detenere l’attività finanziaria con la finalità di incassarne i flussi finanziari; – l’attività finanziaria genera contrattualmente, a date predeterminate, flussi finanziari rappresentativi esclusivamente del rimborso del capitale e dei relativi interessi.
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Lionzo, L’impairment, cit., p. 29. I quattro portafogli previsti dallo Ias 39 erano: (i) fair value through profit or loss distintamente indicanti le attività held for trading e le fair value option; (ii) le attività held to naturity; (iii) loans and receivables; (iv) le attività finanziarie available for sale. 21
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B) Attività finanziarie valutate al fair value con impatto sulle altre componenti del conto economico che confluiscono nel patrimonio netto22. Possono essere classificate in questo portafoglio solo le attività finanziarie per le quali siano soddisfatte entrambe le seguenti condizioni: – presenza di un business model il cui obiettivo è di detenere l’attività finanziaria con la finalità di incassarne i relativi flussi finanziari e di venderla; – l’attività finanziaria genera contrattualmente, a date predeterminate, flussi finanziari rappresentativi esclusivamente del rimborso del capitale e dei relativi interessi. C) Attività finanziarie valutate al fair value con impatto sul conto economico. Rappresenta il portafoglio contabile residuale; pertanto, sono allocate in questo portafoglio le attività finanziarie che non presentano i requisiti per essere classificate nei due portafogli precedenti23.
5. (Segue). La rilevazione successiva e l’impairment. Il nuovo Ifrs 9, alla Sect. 5.2.1, prevede che – dopo la rilevazione iniziale – le attività finanziarie continuino ad essere valutate, come già visto: (i) o al costo ammortizzato, (ii) o al fair value rilevato nelle altre componenti del conto economico che confluiscono nel patrimonio netto, (iii) o al fair value con impatto sul conto economico, cioè rilevato direttamente nell’utile (o perdita) d’esercizio. L’Ifrs 9 ha introdotto altresì un nuovo modello di calcolo delle rettifiche per riduzione di valore (impairment) dei crediti basato sulla rilevazione delle perdite attese (expected losses), applicabile a tutte le attività finanziarie diverse da quelle valutate al fair value con impatto sul conto economico, che consente il riconoscimento delle rettifiche di valore dei crediti in maniera più tempestiva rispetto a quelle che potevano essere
22 Le plusvalenze e le minusvalenze registrate nell’esercizio sono rilevate nelle altre componenti del conto economico (other comprehensive income), mentre il valore cumulato netto delle stesse trova evidenza nel patrimonio netto. 23 La possibilità di designare irrevocabilmente al momento dell’iscrizione iniziale un’attività finanziaria come valutata al fair value con impatto sul conto economico (c.d. Fair value option) è stata limitata ai soli casi in cui serva ad eliminare o a ridurre in maniera significativa eventuali asimmetrie contabili (c.d. accounting mismatches).
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eseguite secondo il modello basato sulle perdite già effettivamente subite (incurred losses) previsto dallo Ias 3924. A mente dello stesso Ias 39, le attività finanziarie consistenti in finanziamenti e crediti dovevano essere valutate al costo ammortizzato utilizzando il tasso di interesse effettivo (Sect. 45-46)25. Per tali attività, ed in particolare per i crediti bancari, tale Standard utilizzava in caso di svalutazione il modello di impairment fondato sul criterio incurred loss (o criterio della perdita subita) il quale permetteva di eseguire svalutazioni successive solo in presenza di eventi sopravvenuti e non noti anteriormente dai quali potesse inferirsi l’inesigibilità, totale o parziale, del credito per effetto della non completa solvibilità del debitore, con conseguente modificazione del credit risk produttivo di una perdita obiettivamente accertata26. Questo criterio non consentiva però, «in quanto guidato da una logica backward looking, di incorporare nella valutazione del credito la previsione di fatti e di eventi futuri non ancora manifestatisi ma comunque percepibili e sintomatici dell’incapacità del debitore di onorare i suoi debiti», in quanto le svalutazioni dei crediti in portafoglio potevano essere riconosciute solo quando vi fosse «l’evidenza di un evento in perdita … collegato al singolo credito o a un gruppo di crediti che presentano caratteristiche similari»27.
24 Questa modifica alle regole contabili è stata chiesta dal Financial Stability Board e dal G-20 per rispondere al problema del «too little too late» messo in evidenza dalla crisi finanziaria deflagrata nel 2008. 25 Busso, IAS 39, cit., cap. 10, Valutazione successiva di attività finanziarie, p. 1732 s. Sulle problematiche relative alla svalutazione dei crediti v. lo studio – alquanto risalente, ma assai espressivo – della Ernst & Young, The Iasb’s new impairment model, London, 2011, consultabile nel sito www.ey.com. 26 Sulle previsioni delle Sect. 58-65 dello Ias 39 v. ancora il commento di Busso, IAS 39, cit., cap. 16, Riduzione di valore e irrecuperabilità di attività finanziarie: «impairment test», pp. 1774 ss. Poteva infatti giustificare la svalutazione successiva dell’attività – nella specie, di un credito – un fatto o un evento in grado di rendere manifestazione certa dell’incapacità del creditore di incassare, in tutto o in parte, il proprio credito (trigger event), suscettibile di tradursi «in un’evidenza obiettiva – non solo percepita – di riduzione di valore del credito», o di «ripercuotersi sui flussi finanziari attesi del credito» in una prospettiva circoscritta al breve termine e cioè entro un anno dalla data di redazione del bilancio, o di «essersi manifestato dopo la rilevazione iniziale del credito»; non essendo possibile – sempre secondo lo Ias 39 – «rilevare le perdite attese la cui conoscenza è in realtà già evidente al momento di prima iscrizione del credito e che sono incorporate nel pricing del prodotto» (così Lionzo, L’impairment, cit., p. 26). 27 Lionzo, L’impairment, cit., p. 25.
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In estrema sintesi, il nuovo modello di impairment introdotto dall’Ifrs 928 prevede che i crediti siano classificati in tre diversi stadi di rischio di credito caratterizzati da differenti gradi di rischiosità (c.d. staging)29: a) Il primo stadio riguarda i crediti sani, non deteriorati (performing) appena emessi o acquistati – se non già impaired – o per i quali l’eventuale perdita di valore va valutata su un orizzonte temporale di 12 mesi (c.d. 12-month ECL); in tal caso gli interessi attivi effettivi sono determinati sul valore contabile lordo del credito. b) Il secondo stadio – intermedio – riguarda i crediti non deteriorati per i quali si sia manifestato un significativo incremento del rischio di credito rispetto alla rilevazione iniziale – ma non tale da rappresentare un credito deteriorato (impaired) – e questo rischio non sia «basso» (low credit risk)30. Per questa categoria di crediti l’eventuale perdita di valore va valutata lungo l’intera vita residua del credito (c.d. lifetime ECL); in tal caso gli interessi attivi effettivi sono determinati sul valore contabile lordo del credito, come avviene per lo stadio precedente. c) Il terzo stadio riguarda i crediti deteriorati per i quali si sia manifestato un incremento del rischio di credito rispetto alla data di rilevazione iniziale che ne abbia peggiorato la qualità fino a renderli impaired31. Ciò accade per effetto di eventi successivi che rendano fondatamente incerta la piena esigibilità di detti crediti (in linea capitale e/o interessi), come ad esempio la constatazione di ripetuti inadempimenti del soggetto debitore alle proprie obbligazioni contrattuali, se non addirittura la cessazione dei pagamenti o l’insolvenza di questo. Per tale categoria di crediti l’eventuale perdita di valore – di tipo lifetime – va valutata sulla base delle previsioni di recupero stimate considerando le caratteristiche contrattuali dei crediti e le garanzie che li assistono; in tal caso gli interessi attivi effettivi sono determinati sul valore contabile del credito,
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Cfr. lo studio di Rizzi, Ifrs 9. Strumenti finanziari. Impairment: confronto tra Ias 39 e Ifrs 9, 13 ottobre 2015, eseguito per conto dell’Odcec di Roma. 29 Lionzo, L’impairment, cit., p. 25 30 L’Ifrs 9 non fornisce un criterio specifico per la qualificazione di un credito come «a rischio basso». A titolo di esempio, lo Standard cita, per le esposizioni creditizie provviste di rating esterno, il livello «investment grade» (AG B5.5.23). 31 I crediti già deteriorati al momento dell’acquisto (ad esempio, nel caso di acquisto di NPL di una banca da parte di un’altra banca) sono allocati da subito nel terzo stadio.
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cioè ad un valore al netto delle rettifiche di valore effettuate sul credito medesimo32. A differenza dello Ias 39, l’Ifrs 9 disciplina in maniera esplicita il concetto di write-off33, stabilendo che, ove non sussistano ragionevoli aspettative di recuperare integralmente o parzialmente il valore contabile lordo di un’attività finanziaria – segnatamente di un credito – questa deve essere cancellata, cioè eliminata contabilmente, in tutto o in parte (c.d. derecognition, su cui v. la Sect. 5.4.4 e le AG B3.2.16.r e B5.4.9). Altrimenti, fermo restando il valore di libro della stessa, deve a questo contrapporsi una congrua provision da stanziare al Fondo a copertura perdite per perdite attese su crediti, da rilevarsi conformemente alla previsione della Sect. 5.5, Riduzione di valore. Con riguardo al suddetto fondo, questo recente Standard stabilisce che ad esso vada imputato, a ciascuna data di riferimento del bilancio, «un importo pari alle perdite attese lungo tutta la vita del credito, se il rischio di credito dello strumento finanziario è significativamente aumentato dopo la rilevazione iniziale» (Sect. 5.5.3). Si tratta del criterio expected credit loss, «imperniato su una logica forward looking e conduce a riconoscere una provision nel caso, non solo di una perdita subita, ma anche semplicemente di una perdita attesa», consentendo con ciò «di anticipare sin da subito nella stima la prospettiva di un cambiamento negativo del rischio di credito»34, qualunque sia l’orizzonte temporale del periodo di osservazione (breve o medio-lungo). Lo stesso Ifrs 9, nel testo novellato, prevede quindi che «se alla data di riferimento del bilancio il rischio di credito relativo a uno strumento finanziario non è aumentato significativamente dopo la rilevazione iniziale», al prefato fondo deve essere imputato «un importo pari alle perdite attese su crediti nei 12 mesi successivi» (Sect. 5.5.5). Si tratta, in questo caso, del criterio indicato come fair value approach, «anch’esso basato su una logica forward looking», che riflette nella stima delle Loan
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Lionzo, L’Impairment, cit., pp. 29 ss. Nel caso di attività finanziarie non valutate al fair value rilevato nell’utile o nella perdita d’esercizio, incidono sul loro valore iniziale i costi dell’operazione direttamente attribuibili all’acquisizione o all’emissione della stessa (Sect. 5.1.1); salvo nell’ipotesi – già accennata in precedenza – in cui il valore iniziale di queste differisca dal prezzo dell’operazione, nel qual caso deve trovare applicazione la Sect. B5.1.2/A (Sect. 5.1.2). 33 Nello Ias 39 il termine write-off è comunque citato in relazione ai concetti di derecognition e impairment. 34 Lionzo, L’Impairment, cit., p. 25.
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Loss Provisions «la perdita generata … da un cambiamento atteso del rischio di credito … [e] corrisponde alla valutazione economica del credito». A parità di altre condizioni, con tale criterio le svalutazioni «sono riconducibili alle informazioni – su perdite, a seconda dei casi, subite o attese – impiegate nella stima e al tasso utilizzato per la determinazione del valore iniziale dei flussi futuri attesi dalla riscossione del credito»35. La valutazione di un significativo incremento del rischio di credito – ad avviso della dottrina che si è occupata funditus della questione – richiede «un costante e incisivo scrutinio della dinamica delle esposizioni creditizie insieme alla definizione di rigorosi criteri di transizione» da uno stadio a un altro, avente appunto lo scopo «di esprimere una significativa variazione del rischio di credito di controparte» alla luce di fonti informative esterne quali «i rating forniti da soggetti terzi, la dinamica di indicatori settoriali/territoriali, le performances economico-finanziarie del debitore, il suo trend di esposizione con il sistema bancario», o interne quali quelle relative «al sistema di rating dell’intermediario, al ritardo dei pagamenti del debitore riscontrati dalla banca, alle aspettative di ristrutturazione del suo debito, alle informazioni sul valore dei suoi collateral»36. Inoltre, un’importante novità dell’Ifrs 9 – rispetto alla valutazione delle rettifiche di valore su crediti in precedenza operata dallo Ias 39 – è rappresentata dall’utilizzo di informazioni forward looking (Sect. 5.5.11; AG B5.5.15-B5.5.18 e B5.5.19 B5.5.54). A differenza di quanto accadeva sotto la vigenza dello Ias 39, in tale processo estimativo l’Ifrs 9 permette ora «di ‘forzare’ le regole contabili per consentire una rilevazione tempestiva e anticipata delle perdite di valore dei crediti in portafoglio, senza attendere specifici eventi di perdita»37.
35 Ibidem. Se la valutazione sia improntata al fair value, tale criterio riflette altresì la perdita generata dal cambiamento atteso dei tassi di interesse sui mercati. Sulle questioni connesse alla valutazione del rischio di credito cfr. Aifirm – Associazione Italiana Financial Industry Risk Managers, Il principio contabile Ifrs 9 in banca: la prospettiva del Risk Manager, Position Paper n. 8, dicembre 2016, consultabile nel sito www.aifirm.it; ed inoltre Basel Committee on Baking Supervision, Guidance on credit risk and accounting for expected credit losses, pubblicato nel dicembre 2015 a cura della Banca per i Regolamenti internazionali, consultabile nel sito www.bis.org. 36 Lionzo, Impairment, cit., pp. 31 ss. 37 Ibidem, 32. L’intento di privilegiare un approccio maggiormente prudenziale si rileva dalla Basis for Conclusions (BC) 5.86 dello stesso Ifrs 9, che qui si riporta testualmente: «Some interested parties would prefer an impairment model that results in a more conservative, or prudential, depiction of expected credit losses. Those interested
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6. Evoluzione e prospettive. Il processo, però, non può ancora intendersi completato. A parte il fatto che da più parti giungono segnali di un’ulteriore, prossima revisione dell’Ifrs 9, nuove regole valutative prudenziali, che però è ragionevole attendersi possano avere impatto anche sul piano contabile, sono state emanate – dopo l’entrata in vigore di questo Standard – dalla Banca Centrale Europea. Si tratta delle «Aspettative di vigilanza in merito agli accantonamenti prudenziali per le esposizioni deteriorate» espresse nell’Addendum sulle linee-guida della BCE per le banche sui crediti deteriorati (NPL) del marzo 201838 il quale, specialmente alla pagina 11 s., ha stabilito che a fronte delle esposizioni deteriorate non garantite o della parte non garantita delle stesse debbano stanziarsi accantonamenti prudenziali in grado di raggiungere, entro due anni dalla data in cui le stesse vengano classificate come NPL, l’ammontare complessivo delle esposizioni medesime; e che invece, a fronte di quelle garantite o della parte garantita di esse, dopo tre anni di anzianità di tali esposizioni come NPL la quota dell’accantonamento prudenziale debba raggiungere il 40% del loro ammontare, dopo quattro anni il 55%, dopo cinque anni il
parties argue that such a depiction would better meet the needs of both the regulators who are responsible for maintaining financial stability and investors and other users of financial statements. However, to be consistent with the Conceptual Framework, faithful representation of expected credit losses implies that the depiction of those credit losses is neutral and free from bias. The depiction of expected credit losses in an unbiased way informs the decisions of a broad range of users of financial statements, including regulators and investors and creditors. In the Iasb’s view, incorporating a degree of conservatism would be arbitrary and would result in a lack of comparability. The risk of an outcome other than the probability-weighted expected outcome is only relevant for particular purposes, such as determining the extent of economic or regulatory capital requirements». 38 In certa misura anticipate dal precedente omologo Addendum dell’ottobre 2017 sui «Livelli minimi di accantonamento prudenziale per le esposizioni deteriorate» (documento di consultazione) il quale a sua volta era intervenuto ad integrazione delle istruzioni della B.C.E. intitolate Linee-guida alle banche in materia di crediti deteriorati (NPL) del 20 marzo 2017: tutti questi atti sono consultabili nel sito www.ecb.europa.eu. Il predetto Addendum dell’ottobre 2017 aveva previsto che a fronte delle esposizioni deteriorate non garantite o della parte non garantita delle stesse dovessero stanziarsi a fini prudenziali accantonamenti che raggiungessero, entro due anni dalla data in cui esse erano state classificate come NPL, l’ammontare complessivo delle esposizioni medesime; di contro, che a fronte di quelle garantite o della parte garantita delle stesse dovessero stanziarsi accantonamenti prudenziali in grado di raggiungere progressivamente, entro sette anni dalla suddetta data, l’ammontare pieno di tali esposizioni (spec. pp. 9 ss.).
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70%, dopo sei anni l’85%, fino a giungere al 100% di detto ammontare entro il settimo anno. Il che può togliere un margine di discrezionalità tecnico-valutativa agli estensori dei bilanci delle banche, introducendo dei livelli più rigidi entro i quali stanziare i menzionati accantonamenti, ma riduce sensibilmente la possibilità di ritardare gli effetti delle svalutazioni dei crediti deteriorati di cui – non solo in Italia – taluni esponenti bancari sembrerebbero essersi avvalsi. E tale provvedimento, per quanto emanato al fine della determinazione del patrimonio di vigilanza delle banche dall’Autorità a ciò preposta, produce innegabili conseguenze anche sul piano contabile, con particolare riguardo alla svalutazione dei crediti o alla quantificazione dei relativi fondi rischi che concorrono alla formazione sia del risultato economico sia del patrimonio netto emergenti dal bilancio d’esercizio di queste. Allo scopo della fissazione di una soglia di rilevanza delle obbligazioni creditizie in arretrato da utilizzarsi nel processo di determinazione dello stato di default per quanto possibile omogenea nell’ambito della U.E., il Regolamento delegato della Commissione del 19 ottobre 2017, n. 2018/171 – che ha integrato il precedente Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, n. 575/2013, modificandone in particolare l’art. 178 – che ha ricevuto applicazione con decorrenza dal 7 maggio 2018 ha stabilito, rispettivamente per le esposizioni al dettaglio (art. 1) e per quelle diverse (art. 2), che il debitore debba essere considerato in stato di default allorché il limite della soglia di rilevanza sia superato, a seconda dei casi, per 90 o per 180 giorni consecutivi; assegnando all’Autorità Bancaria Europea il termine ultimo del 31 dicembre 2020 per fissare tale soglia. È infine utile seguire l’iter della proposta formulata dalla Commissione europea n. 2018/0060 (Cod) del 14 marzo 2018 concernente un’ulteriore modificazione attesa del citato Regolamento n. 575/2013 nella parte dedicata alla «minimum loss coverage for non-performing exposures»39. Tale prospettata modificazione consiste in prevalenza nell’introduzione degli artt. 47.a, 47.b e 47.c, i quali rispettivamente definiscono le non-performing exposures e le forberance measures e indicano le svalutazioni a cui assoggettare le predette esposizioni non performanti, evidenziando altresì i fattori sulla base dei quali le menzionate svalutazioni dovrebbero venire compiute. Ma, per il momento, non si ravvisa producente
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Su cui cfr. il Consultation Paper dell’E.B.A. dell’8 marzo 2018, Draft Guidelines on management of non-performing and forborne exposures.
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Documenti e informazioni
approfondire i contenuti di tale proposta, a cui – a detta degli esperti – potranno ancora venire apportate delle significative revisioni prima della sua definitiva approvazione.
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NORME REDAZIONALI
a. I contributi proposti per la pubblicazione (saggi, note a sentenza, ecc.) debbono essere inviati, in formato elettronico (word), al Direttore responsabile prof. avv. Alessandro Nigro al seguente indirizzo email alessandro.nigro@tiscali.it È indispensabile l’indicazione nella prima pagina (in alto a destra) dell’indirizzo email, per l’invio delle bozze. b. I contributi proposti per la pubblicazione sono preventivamente vagliati dalla Direzione. Quelli che superano tale vaglio vengono trasmessi, in forma anonima, ad uno dei componenti della apposita struttura di revisione, coordinata dal prof. Daniele Vattermoli. Il revisore rimette al coordinatore la sua relazione che, in forma anonima, è trasmessa al Direttore il quale, se la relazione è positiva, autorizza la pubblicazione del contributo.
I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)
II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto
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corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. … 4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).
III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile codice di commercio
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c.c. c.comm.
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Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall. legge cambiaria l.camb. testo unico t.u. testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) t.u.b. testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58) t.u.f. 2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc.
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Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur. Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm.
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Rivista della cooperazione Rivista delle società Rivista del diritto commerciale Rivista del notariato Rivista di diritto civile Rivista di diritto internazionale Rivista di diritto privato Rivista di diritto processuale Rivista di diritto pubblico Rivista di diritto societario Rivista giuridica sarda Rivista italiana del leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Vita notarile 4. Commentari, trattati
Riv. coop. Riv. soc. Riv. dir. comm. Riv. not. Riv. dir. civ. Riv. dir. internaz. Riv. dir. priv. Riv. dir. proc. Riv. dir. pubbl. RDS Riv. giur. sarda Riv. it. leasing Riv. trim. dir. proc. civ. Vita not.
Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cura di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, Torino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume
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CODICE ETICO
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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria
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