Diritto della banca e del mercato finanziario 1/2017

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ISSN 1722-8360

di particolare interesse in questo fascicolo Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009

Diritto della banca e del mercato finanziario

1/2017

Diritto della banca e del mercato finanziario

• La riforma delle banche popolari • La remunerazione degli amministratori • Strumenti elettronici di pagamento • Nuovo procedimento sanzionatorio di Banca d’Italia e Consob

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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è attualmente coordinato dal prof. Daniele Vattermoli. Nell’anno 2016, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Elisabetta Bani, Concetta Brescia Morra, Vincenzo Vito Chionna, Gian Domenico Comporti, Vincenzo De Stasio, Gianluca Guerrieri, Antonia Irace, Raffaele Lenzi, Stefano Pagliantini, Alessandro Palmieri, Andrea Perrone, Antonio Piras, Andrea Pisaneschi, Gaetano Presti, Vincent Ribas, Antonella Sciarrone Alibrandi, Pietro Sirena, Onofrio Troiano, Francesco Vella.


Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria

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SOMMARIO 1/2017

PARTE PRIMA Saggi Trasformazione obbligata di banche popolari, di Fabrizio Maimeri pag. 11 Nuevo régimen jurídico de la retribución de los administradores de las sociedades de capital en el » 27 derecho español, di Miguel Ruiz Muñoz La Quarta direttiva europea in materia di antiriciclaggio, tra luci, ombre e prospettive, di Alberto Urbani e Andrea » 119 Minto

Commenti Uso non autorizzato degli strumenti elettronici di pagamento – Trib. Firenze, 19 gennaio 2016. Pagamento fraudolento con carta di credito e ripartizione della responsabilità. Dagli orientamenti attuali alla revisione della PSD, di Francesco Ciraolo

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PARTE SECONDA Legislazione Pegno mobiliare non possessorio e patto marciano nelle procedure concorsuali – D.l. 3 maggio 2016, n. 59 (convertito con modificazioni nella l. 30 giugno 2016, n. 119): Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione

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Note minime su pegno mobiliare non possessorio e patto marciano nel quadro delle procedure concorsuali, di Alessandro Nigro

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Documenti e informazioni La nuova disciplina delle sanzioni della Banca d’Italia e della Consob – Banca d’Italia: Provvedimento 18 dicembre 2012, come modificato da ultimo in data 3 maggio 2016, recante disposizioni in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa; Commissione Nazionale per le Società e la Borsa: Regolamento generale sui procedimenti sanzionatori della Consob ai sensi dell’art. 24 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 e successive modificazioni (adottato dalla Consob con delibera n. 18750 del 19 dicembre 2013 e successivamente modificato con delibere n. 18774 del 29 gennaio 2014, n. 19158 del 29 maggio 2015 e n. 19521 del 24 febbraio 2016), con osservazioni di Vincenzo Caridi

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Norme

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redazionali


PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ



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Trasformazione obbligata di banche popolari* Sommario: La trasformazione delle banche cooperative. – 2. La trasformazione delle banche popolari “oltre soglia”. – 3. Le critiche alla nuova “trasformazione”. 4. Trasformazione e trasformazioni. – 5. La procedura di trasformazione. – 6. Il diritto di recesso. – 7. Trasformazione e contendibilità. – 8. Sviluppi giudiziari della vendita. – 9. Le banche popolari cooperative residue. – 10. Trasformazione e obbligo di devoluzione del patrimonio ai fondi mutualistici.

1. La trasformazione delle banche cooperative. Il titolo della relazione assegnatami – “Trasformazione” – con la sua icastica e lapidaria semplicità pone me e gli ascoltatori dinanzi al nucleo essenziale della riforma delle banche popolari, per come almeno viene recepita dagli operatori: l’obbligata trasformazione in s.p.a. di quelle banche popolari che raggiungano determinate dimensioni nell’attivo. La riforma per la verità introduce novità di rilievo anche per le banche popolari residue, per la loro governance, per la loro operatività, ma la cifra essenziale sotto la quale viene valutato questo intervento legislativo è data, per l’appunto, dalla “trasformazione”. Finora questo termine evocava la questione dell’ammissibilità di una siffatta trasformazione da società mutualistica a società capitalistica e il punto di partenza era rappresentato dall’art. 14 della l. 17 febbraio 1971, n. 127, con il quale veniva disposto che «le società cooperative non possono essere trasformate in società ordinarie, anche se tale trasformazione sia deliberata all’unanimità». Sappiamo che con la riforma del diritto societario si è registrata l’eliminazione di tale divieto per le società cooperative a mutualità non prevalente: l’art. 2545-decies c.c. dispone

* Il presente scritto riproduce, con aggiornamenti e aggiunte, la relazione al convegno “La riforma delle banche popolari: dalla mutualità alla contendibilità”, organizzato dall’Università di Siena, il 22-23 gennaio 2016.

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infatti che «le società cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente possono deliberare, con il voto favorevole dei soci [in una percentuale che varia in funzione del numero degli stessi], la trasformazione in una società [per azioni]». Per le banche popolari peraltro vigeva un regime particolare sul punto, posto che ad esse non si applicava la l. n. 127/1991 (cfr. art. 29, co. 4, t.u.b., che esclude l’applicazione del d.lgs. n. 1577/1947, modificato dalla l. n. 127/1971) né si poteva riconoscere la qualifica di cooperative a mutualità prevalente (cfr. art. 28, co. 2-bis, t.u.b.). Per questa tipologia di banche, dunque, la trasformazione in s.p.a., quando è giustificata da esigenze di rafforzamento patrimoniale o di razionalizzazione del sistema, può essere autorizzata dalla Banca d’Italia (art. 31 t.u.b.); non di trasformazione ma di fusione che genera una s.p.a. si parla invece a proposito delle banche di credito cooperativo, ed essa può essere autorizzata dalla Banca d’Italia in caso di crisi dell’impresa e a tutela dei creditori sociali (art. 36 t.u.b.). Questa è l’unica via per procedere alla trasformazione (diretta in un caso, indiretta nell’altro), atteso che entrambe le banche cooperative sono escluse dall’ambito di applicazione dell’art. 2545-decies c.c. (cfr. art. 150-bis, co. 1 e 2, t.u.b.). Era chiara quindi la volontà del legislatore di fornire alle banche cooperative una disciplina della trasformazione che fosse specifica, anche in contrasto con i principi codicistici, quando detta trasformazione era vietata per le società cooperative; oggi però, appunto dopo la riforma del diritto societario, è stato il codice civile ad avvicinarsi alle soluzioni del t.u.b., come è accaduto anche in passato, quando l’ordinamento bancario ha fatto da “apripista” verso soluzioni poi generalizzate. Infatti: per il codice civile: le società cooperative possono trasformarsi in s.p.a. solo se sono a mutualità prevalente; per il t.u.b.: a) le banche popolari (che non sono a mutualità prevalente) possono trasformarsi in s.p.a., al ricorrere di certi requisiti (per la verità non molto stringenti) e previa autorizzazione della Banca d’Italia: oggi, sempre a seguito della riforma qui in esame, sono state eliminate le pur lasche condizioni che facevano da presupposto alla trasformazione e a ciò accennerò nel prosieguo; b) le banche di credito cooperativo (che sono a mutualità prevalente) non si possono trasformare in s.p.a. in via diretta, ma solo indirettamente per il tramite di una fusione e anche qui al ricorrere di certi requisiti (un po’ più stringenti) e previa autorizzazione della Banca d’Italia.

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2. La trasformazione delle banche popolari “oltre soglia”. Totalmente diversa rispetto alla situazione del recente passato è quella recata dalla riforma in termini di trasformazione, giacché qui non si tratta di definire, per le banche popolari che superino una determinata soglia quantitativa, se e quando possano trasformarsi, bensì quando e come debbano farlo. Il tutto viene realizzato novellando l’art. 29 t.u.b. stabilendo, al co. 2-bis, che l’attivo di una banca popolare non può superare 8 miliardi di euro e al co. 2-ter l’obbligo di trasformarsi in s.p.a. entro un anno dal superamento di detta soglia, laddove nel frattempo tale superamento non sia stato assorbito. In genere l’obbligo di trasformazione viene imposto quando il capitale sociale scende al di sotto di un certo importo, qui invece quando lo supera. Il mantenimento dell’attivo oltre la soglia e oltre un anno senza che si addivenga agli interventi previsti, espone la banca a sanzioni assai severe, che culminano con la liquidazione. La trasformazione per superamento della soglia deve avvenire attraverso il novellato art. 31 t.u.b. che viene modificato per ogni tipo di trasformazione e non solo per quelle originate dal superamento degli 8 miliardi di attivo. Alla medesima generalizzazione si assiste con la disciplina del diritto di recesso che, nel novellato co. 2-ter dell’art. 28 t.u.b., viene limitato, insieme al collegato diritto al rimborso delle azioni, «nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione, morte o esclusione del socio», quindi in ogni caso in cui l’esercizio di tale diritto è ammissibile. Questo è, come detto, il nucleo della riforma e su questo aspetto sono state espresse le opinioni più svariate e le critiche più accese. Prima di affrontare l’analisi del nuovo regime riassunto nei capoversi precedenti, conviene darne un breve cenno.

3. Le critiche alla nuova “trasformazione”. Cominciamo col dire che è lo stesso d.l. n. 3/2015 a dichiarare nelle premesse i suoi obiettivi, laddove espone la straordinaria necessità ed urgenza «di avviare il processo di adeguamento [del] sistema bancario agli indirizzi europei per renderlo competitivo ed elevare il livello di tutela dei consumatori e di favorire lo sviluppo dell’economia del Paese, promuovendo una maggiore patrimonializzazione delle imprese italiane ed il concorso delle piccole e medie imprese nei processi di innovazione del sistema produttivo», necessità e urgenza, altresì, di «adottare disposizioni

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volte a favorire l’incremento degli investimenti, l’attrazione dei capitali e degli investitori istituzionali esteri, nonché favorire lo sviluppo del credito per l’export». La consueta rassegna di esigenze sovranazionali (le più varie: dai consumatori alle p.m.i., dalla competitività alla maggiore patrimonializzazione, dall’attrazione dei capitali in Italia allo sviluppo dell’export) non chiarisce però la ratio legis ma forse la complica, da un lato, prefigurando un intervento taumaturgico che stenda le sue ali miracolose sull’intera economia nazionale (il che pare davvero troppo attendersi da un provvedimento sulle banche popolari); dall’altro, elencando una serie di formule tralatizie che forniscono una lista così disparata di spunti da riuscire fuorvianti; dall’altro lato ancora, individuando obiettivi e finalità che debbono andar bene per l’intero atto legislativo che non contiene solo le disposizioni sulle banche popolari. Si è poi dubitato che sia sostenibile parlare ragionevolmente di urgenza per un provvedimento che modifica l’ordinamento bancario, che affronta un argomento da anni all’attenzione del parlamento, che poi assegna per la applicabilità dello stesso un termine molto lungo: insomma, tutti fatti e rilievi che fanno dubitare dell’effettiva esistenza di una situazione di urgenza. Per altro verso, proprio la circostanza che di riforma delle banche popolari si parlasse da tempo, e fosse stata invano perseguita attraverso una serie di disegni e progetti di legge presentati in parlamento, autorizzerebbe a ritenere che quell’obiettivo si poteva raggiungere solo attraverso l’istituto del decreto legge, attesa la scarsa funzionalità delle modalità costituzionali con le quali incanalare di norma il processo legislativo. Di fronte ai diversi interessi contrapposti che hanno annullato ogni capacità di provvedere in parlamento, solo il decreto legge costituirebbe lo strumento possibile per procedere. Si è del pari dubitato che la trasformazione forzata in s.p.a. fosse un diktat comunitario, cioè la strada ineludibile per adeguare il “sistema bancario agli indirizzi europei” e “per renderlo competitivo”, osservando1 come il Fondo Monetario Internazionale nel 2014 avesse parlato di “incoraggiamento”: «i supervisori dovrebbero incoraggiare le banche popolari a trasformarsi in società per azioni e a concentrarsi come modo per conseguire sinergie». Fra incoraggiamento e obbligo, la differenza non è piccola.

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Cfr. Brogi, La riforma delle banche popolari, in La riforma delle banche popolari, a cura di Capriglione, Padova, 2015, p. 43.

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Ma al di là delle censure che sono state sollevate alle modalità con le quali si è provveduto, mi pare che, al vertice, ci sia la necessità di indagare se le motivazioni che emergono dal provvedimento sono condivisibili, in modo da sviluppare un’analisi nel merito tecnico e giuridico del medesimo. Sotto il primo profilo è interessante la tesi di chi ritiene «due colossali non verità» i pilastri su cui si fonda la riforma: «la prima è la convinzione che, in materia bancaria, contano solo le grandi dimensioni e, la seconda, è che solo il patrimonio è baluardo di stabilità»2. Al di là delle valutazioni, non v’è dubbio, a mio avviso, che al soddisfacimento di quei due obiettivi sia funzionale la riforma in esame e, direi, lo stesso orientamento della vigilanza europea a nazionale: e allora forse, visti i risultati, qualche approfondimento tutto questo la merita. Anche sotto il profilo giuridico, non sono mancate ricostruzioni dubbiose sulla capacità della riforma di inserirsi coerentemente nel contesto dell’ordinamento bancario e di cogliere davvero le finalità che si propone: diciamo cioè che la disciplina di cui ci occupiamo non ha avuto un’accoglienza particolarmente favorevole3 (anzi è stata salutata, come è noto, anche da iniziative giudiziarie innanzi al giudice amministrativo e al giudice delle leggi) e di questo contesto diffusamente condiviso deve tener conto ogni intervento sul tema.

4. Trasformazione e trasformazioni. Per passare da queste considerazioni generali al tema che mi è stato assegnato, è utile rammentare come le dimensioni assunte da talune banche popolari abbiano da sempre messo in crisi la struttura societaria che le caratterizzava: a questo elemento tra gli altri si riferiva la posizione di Giuseppe Ferri sulle banche popolari, il cui approfondimento ha poi condotto a una revisione della stessa nozione di mutualità. Vista in

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Vitale, La legge di modifica delle Banche popolari. Attacco al credito cooperativo, in Banche popolari, credito cooperativo, economia reale e costituzione, a cura di Cappellin, Casaletti, Coltorti, Porro, Vitale, Soveria Mannelli, 2016, p. 31. 3 Mi riferisco in particolare – e senza alcuna aspirazione di completezza – ai contributi di Costi, Verso una evoluzione capitalistica delle banche popolari?, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, I, p. 575; Fiengo, Il riassetto della disciplina delle banche popolari, in Giur. comm., 2016, I, p. 234; Santoro e Romano, L’ultimo atto di riforma delle banche popolari, in Nuove leggi civ., 2016, p. 210. Da questi contributi emerge, della riforma, una valutazione con poche luci e molte ombre.

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questa ottica, la riforma che stiamo analizzando, giocata tutta sul fattore dimensionale, si configura come una risposta al problema, tardiva ma della quale potrebbe essere eccessivo meravigliarsi. Dopo di che, ci sono tutti i problemi su dove porre l’asticella (perché 8 miliardi di attivo e non un numero diverso), ma questo è un profilo applicativo e tecnico, non di giustificazione dell’intervento. Del resto, sul fattore dimensionale e sulle concrete caratteristiche (di governance e di attività) delle banche cooperative, all’indomani del testo unico, si fondava la tesi di chi si domandava se non fosse stata mancata l’occasione di ridurre d’ufficio allo statuto della s.p.a. anche tutte le banche di credito cooperativo e le popolari, perseguendo e compiendo quella logica di ristrutturazione del sistema bancario che si andava all’epoca costruendo: io stesso, se mi consentite un ricordo personale, in un convegno proprio qui a Siena azzardavo all’epoca l’ipotesi un po’ spericolata per cui ad assicurare la sopravvivenza di queste banche fossero stati il loro “esserci”, l’aver occupato una quota di mercato significativa, di essere, nel complesso, bene amministrate. La tesi, come riconosco, era per i tempi un po’ estremista, ma il suo richiamo serve a dire che la questione della coerenza fra banca popolare e struttura di società cooperativa è tutt’altro che nuova, tutt’altro che una “invenzione” del legislatore di oggi. Ciò detto, debbo però aggiungere che, partendo da uno spunto legato sicuramente alle dimensione di alcune banche popolari, il legislatore della riforma ha colto l’occasione per rivedere tutta la disciplina delle trasformazioni (e delle fusioni), unendola a un nuovo paradigma che vale sia per quelle obbligatorie che per quelle facoltative. La procedura all’apparenza sembra svincolarsi dall’autorizzazione della Banca d’Italia, perché, essendo venuti meno i criteri che dovevano essere riscontrati per giustificare l’operazione, è venuta meno anche la preventiva verifica dell’organo di vigilanza. Questa presunta liberalizzazione però non c’è: cambia presupposti ma non viene meno. Infatti, se non c’è la verifica della ricorrenza delle condizioni, c’è però la necessità di procedere a quella dello statuto inevitabilmente modificato. In quella sede scatta allora l’accertamento delle modifiche apportate con i principi della sana e prudente gestione ai sensi dell’art. 56, co. 1, t.u.b. «Ciò che viene meno non è quindi (…) il preventivo vaglio dell’Autorità di vigilanza in ordine a trasformazioni e fusioni delle banche popolari (nelle forme, rispettivamente, dell’accertamento e dell’autorizzazione e, quindi, parzialmente diverse rispetto alle previgenti), bensì i criteri alla stregua dei quali l’Autorità è chiamata a effettuare questo

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vaglio»4: ricostruzione ineccepibile ma non ho mai ritenuto vi fosse una differenza di sostanza, ma solo di lessico, fra autorizzazione e accertamento, come anche l’art. 56 t.u.b. insegna a proposito di modifiche statutarie.

5. La procedura di trasformazione. Le determinazioni che spettano all’organo di amministrazione per consentire la trasformazione (obbligatoria o meno) sono assunte: a) in prima convocazione, con la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, purché all’assemblea sia rappresentato almeno un decimo dei soci della banca; b) in seconda convocazione, con la maggioranza di due terzi dei voti espressi, qualunque sia il numero dei soci intervenuti all’assemblea. L’eventuale approvazione di operazioni straordinarie consente in ogni caso il diritto di recesso dei soci. Questo diritto però è stato limitato, per le banche popolari e per le banche di credito cooperativo e qualunque sia l’operazione che generi il diritto (trasformazione, fusione, morte ed esclusione del socio, e così via) – lo si deduce dall’uso dell’avverbio «anche» – dall’art. 28, co. 2-ter, t.u.b., il quale dispone: «nelle banche popolari e nelle banche di credito cooperativo il diritto al rimborso delle azioni nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione, morte o esclusione del socio, è limitato secondo quanto previsto dalla Banca d’Italia, anche in deroga a norme di legge, laddove ciò sia necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca. Agli stessi fini, la Banca d’Italia può limitare il diritto al rimborso degli altri strumenti di capitale emessi» Questa norma qualche criticità la suscita. Alcune di minor conto: va bene inserirla al di fuori delle sezioni che compongono il capo V (“Banche cooperative”) perché è norma comune a entrambe le tipologie di queste banche, però non si capisce perché numerare il comma 2-ter, quando i co. dell’art. 28 sono soltanto due. Fa poi il suo ingresso nell’ordinamento bancario la locuzione «patrimonio di vigilanza»: non si è contrari alle novità, lessicali e di contenuto, ma ormai anche a livello comunitario si usa diffusamente il termine «fondi

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Petronzio, La riforma delle banche popolari nel d.l. 24 gennaio 2015, n. 3, in www. dirittobancario.it, febbraio 2015, p. 4.

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propri», sicché «sotto il profilo lessicale la norma di nuova introduzione nasce obsoleta»5. Altre criticità meno banali. È vero che la disposizione deriva dalla riforma delle banche popolari ma anche dalla c.d. CRD IV. Avvertiva infatti la Banca d’Italia nel commento al documento di consultazione (dell’aprile 2015) per le modifiche alle Istruzioni di vigilanza: «analoghe previsioni saranno applicate alle banche di credito cooperativo, una volta emanato il decreto legislativo di recepimento della CRD-IV. La disposizione dell’art. 28, comma 2-ter, infatti, anticipa nella sostanza quella contenuta nel prossimo d.lgs. di recepimento della direttiva che si applicherà a tutte le categorie di banche costituite in forma cooperativa». È evidente che la disposizione è volta a sterilizzare gli effetti negativi sui fondi propri della banca che possano conseguire allo scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio, in relazione alla variabilità del capitale tipica delle società cooperative: di fronte a richieste di recesso diffuse e contestuali, l’ordinamento si tutela in via preventiva riconoscendo alla Banca d’Italia il potere di limitare le conseguenze derivanti da una situazione siffatta, al dichiarato fine di preservare la «computabilità delle azioni» tra i fondi propri dell’ente. Tutto giusto e condivisibile in linea di principio. Ma resta oscuro perché equiparare al recesso anche la morte e l’esclusione. Per la prima è francamente difficile pensare a situazioni epidemiche che falcidino la compagine sociale di una banca cooperativa e spingano gli eredi a chiedere la liquidazione delle azioni intestate al de cuius; per la seconda, se è del pari difficile prefigurare una epidemia di esclusioni, è poco giustificabile che un socio che venga escluso non possa avere indietro l’investimento effettuato comprando a suo tempo le azioni. D’altra parte, la stessa distinzione fra diritti amministrativi e diritti economici operata dall’art. 30, co. 5 e 6, t.u.b. fa ormai pacificamente ritenere che “investimento” sia l’acquisto di azioni di banca popolare e non più la sottoscrizione di un capitale per beneficiare dei servizi mutualistici. Insomma, se la giustificazione in linea teorica è quella che abbiamo ricostruito, essa non si rinviene in tutte le cause che possono produrre il diritto di recesso, che però vengono unitariamente disciplinate.

5 Urbani, Brevi considerazioni in tema di scioglimento del rapporto sociale limitatamente al singolo socio nella riforma della disciplina delle banche popolari, in La riforma delle banche popolari, cit., p. 254.

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6. Il diritto di recesso. È vero che la legge non parla di esclusione, bensì di limitazione del diritto di recesso e allora vediamo in cosa essa consista secondo le Istruzioni di Banca d’Italia. Esaurita la fase della consultazione sopra accennata, dette Istruzioni anzitutto risolvono il problema sollevato da chi affermava che «non si comprende se la limitazione al diritto di rimborso possa essere determinata esclusivamente dalla Banca d’Italia, come sembrerebbe ad una prima lettura, ovvero possa essere anche realizzata, rispetto a una data operazione concreta, attraverso una deliberazione dell’assemblea dei soci, ovvero dell’organo amministrativo, dell’istituto interessato, eventualmente assunta sulla base della regolamentazione generale che verrà nel caso emanata dall’autorità di vigilanza»6. L’opzione scelta dalle Istruzioni è quella di agire sugli statuti delle banche, disponendo che «l’organo con funzione di supervisione strategica assume le proprie determinazioni sull’estensione del rinvio [nel tempo, della operatività del recesso] e sulla misura della limitazione del rimborso delle azioni e degli altri strumenti di capitale tenendo conto della situazione prudenziale della banca. In particolare, ai fini della decisione l’organo valuta: (i) la complessiva situazione finanziaria, di liquidità e di solvibilità della banca o del gruppo bancario; (ii) l’importo del capitale primario di classe 1, del capitale di classe 1 e del capitale totale» in rapporto ai rischi. Per la verità, il legislatore prevedeva che a indicare i criteri per limitare il recesso fosse la Banca d’Italia, mentre la Banca d’Italia ha girato l’incarico alla banca e ciò vuol dire non che l’autorità abbia abdicato al suo diritto, visto il meccanismo di approvazione delle modifiche statutarie, quanto piuttosto che si potrà assistere – salvo verifica di quanto accadrà in concreto – a soluzioni diverse per banche (e statuti) diverse. Siffatta soluzione poi consente alla Banca d’Italia di evitare di disporre dei propri poteri regolamentari in subiecta materia «anche in deroga a norme di legge», circostanza che il su riportato art. dall’art. 28, co. 2-ter, t.u.b. consentirebbe ma suscitando una serie di problemi «in termini di teoria delle fonti dell’ordinamento giuridico. E, del resto, poiché il diritto di recesso del socio dissenziente, nelle società di capitali così come nelle cooperative, è espressamente previsto e disciplinato dal codice civile, ogni norma che vada

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Di Ciommo, Il diritto di recesso nella riforma delle banche popolari, in La riforma delle banche popolari, cit., p. 100.

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a comprimere un aspetto di questo si pone senz’altro in (almeno teorico) contrasto con una fonte dell’ordinamento di rango primario»7. Senza contare che la limitazione del diritto di recesso nelle banche popolari andrebbe armonizzata con i fondi acquisto azioni e con la creazione, da parte di banche, di appositi mercati per il trasferimento di proprie azioni; e senza contare ancora che la disciplina qui in commento non ha avuto un’accoglienza favorevole da parte della giurisprudenza8. Per concludere sul punto, un’ultima notazione. Il periodo finale del co. 2-ter sopra riportato pone analoga limitazione al recesso e al rimborso anche per i titolari di «altri strumenti di capitale emessi» da banche cooperative e, segnatamente, da banche popolari. Siffatta equiparazione (che cancella l’art. 2526, co. 3, c.c. per le banche popolari, cui pure si applicherebbe perché non rientra fra quelli indicati nell’art. 150-bis t.u.b.) introduce una differenza di “appetibilità” degli strumenti finanziari forniti di diritto di voto emessi dalle banche cooperative e quelli emessi dalle banche s.p.a9. Non è un caso del resto che nessuna banca popolare, a quanto mi consta, abbia o sia in procinto di emettere titoli della specie, sicché per ora sembra abortire una delle novità più attese della riforma delle popolari cooperative.

7. Trasformazione e contendibilità. Sempre in tema di trasformazioni, ancora qualche osservazione a mo’ di corollario. Con una scelta che qui non discuto, si è ritenuto che il voto capitario non fosse strumento adatto alla governance bancaria e che doveva essere sostituito con il meccanismo proprio della s.p.a., per garantire democrazia nella nomina del management e contendibilità al capitale. A prescindere, come accennato, sulla condivisibilità di questa impostazione, sta di fatto che l’intervenuta riforma del diritto societario consente ormai di modulare il contenuto amministrativo ed economico delle azioni in modo assai variegato. Sicché, o si rischia un intervento censorio sugli statuti da parte della Banca d’Italia (ma il parametro della “sana e prudente gestione” per quanto elastico, ha pure dei confini), ovvero ben

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Di Ciommo, Il diritto di recesso, cit., p. 101. Richiamo qui Trib. Napoli, 24 marzo 2016, in www.dirittobancario.it. 9 Urbani, Brevi considerazioni, cit., p. 258. 8

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si può immaginare che le nuove popolari s.p.a. articolino i propri titoli di rischio in modo da riprodurre o comunque non allontanarsi troppo dai rapporti di forza esistenti quando erano una s.c.a.r.l. Con buona pace della finalità della riforma, che pare riferirsi a una struttura della società per azioni più simile a quella disegnata dal codice civile che non a quella oggi esistente. Da ultimo, con l’art. 20 del d.l. n. 91/2014, convertito nella legge n. 116/2014, si sono introdotte le azioni a voto maggiorato, sicché ci si è posti «nel solco di una tendenza legislativa sempre più incline ad ampliare gli spazi riservati alle istanze personalistiche dei soci di s.p.a., rendendo quest’ultima meno”anonima”di quanto lo fossero le sue antenate»10. Del resto, la disposizione transitoria inserita nel co. 2-bis del d.l. n. 3/2015 consente che gli statuti delle banche s.p.a. ex popolari trasformate obbligatoriamente «possono prevedere che fino al termine indicato nello statuto, in ogni caso non successivo a ventiquattro mesi (...), nessun soggetto avente diritto di voto può esercitarlo, ad alcun titolo, per un quantitativo di azioni superiore al 5% del capitale sociale». Questa disposizione ha la funzione di traghettare i soci dalla vecchia alla nuova organizzazione partecipativa, tentando di alleviare l’impatto delle modifiche subite dai loro diritti sociali a contenuto amministrativo. Ma la combinazione in statuto di limitazioni temporanee del diritto di voto e di azioni a voto maggiorato finirebbe per mantenere la rilevanza della persona del socio, seppure nel diverso contesto di una società lucrativa. Ciò sarebbe contrario allo spirito della riforma e non coglierebbe quell’obiettivo di assicurare contendibilità e progresso alle nuove banche s.p.a.: di qui l’alternativa sull’approvazione degli statuti di cui ho detto.

8. Gli sviluppi giudiziari della vicenda. Come ho detto, molte sono le titubanze che la disciplina fin qui esaminata in tema di trasformazione obbligata genera sotto diversi aspetti e su di esse non poteva mancare l’avviso della magistratura. Anzi, come è stato osservato, quello del 2016 «è stato un dicembre piuttosto intenso e delicato»11 per la disciplina in esame.

10 Sacco Ginevri, La maggiorazione del diritto di voto fra rilevanza della”persona”e centralità dell’”azione”, in La riforma delle banche popolari, cit., p. 225. 11 Così scrive un anonimo notista il 29 dicembre 2016 in www.giurdanella.it

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Si comincia con l’ordinanza n. 5383 del 2 dicembre 2016, con la quale il Consiglio di Stato si è pronunciato sul ricorso proposto da alcuni soci di istituti di credito interessati alla trasformazione obbligata e ha stabilito: a) di sollevare con separata ordinanza questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del d.i. n. 3/2015, convertito nella legge n. 33/2015, i) «nella parte in cui prevede che, disposta dall’assemblea della banca popolare la trasformazione in società per azioni (...), il diritto al rimborso delle azioni al socio che a fronte di tale trasformazione eserciti il recesso possa essere limitato (anche con la possibilità, quindi, di escluderlo tout court) e non, invece, soltanto differito entro limiti temporali predeterminati e con previsione di un interesse corrispettivo»; ii) «nella parte in cui, comunque attribuisce alla Banca d’Italia il potere di disciplinare le modalità di tale esclusione, nella misura in cui detto potere viene attribuito ‘anche in deroga a norme di legge’ con conseguente attribuzione all’istituto di vigilanza di un potere di delegificazione in bianco, senza la previa e puntuale indicazione, da parte del legislatore, delle norme legislative che possano essere derogate e, altresì, in ambiti verosimilmente coperti da riserva di legge». L’intenzione manifestata è stata messa in atto tramite l’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale del 15 dicembre 2016, n. 527712. Con sentenza n. 287 del 21 dicembre 2016, la Corte costituzionale ha intanto rigettato, in parte ritenendole inammissibili e in parte non fondate, le questioni di legittimità sollevate dalla Regione Lombardia, ancora rispetto all’art. 1 del menzionato d.l., stabilendo in particolare che: (i) «La scelta del legislatore statale di assumere la soglia dell’attivo di 8 miliardi di euro come indice della dimensione della Banca popolare da trasformare in s.p.a. è coerente con lo scopo della norma», sicché il legislatore stesso non è andato oltre le proprie attribuzioni, eventualmente in conflitto con la potestà regionale; (ii) Il governo italiano ha sufficientemente giustificato l’adozione dello strumento del decreto-legge per la riforma delle banche popolari, rispettando quindi il disposto dell’art. 77 cost., il che esclude che «si sia in presenza di evidente carenza del requisito della straordinaria necessità e urgenza di provvedere». È arduo commentare in questa sede sviluppi giudiziari di tal fatta. Mi limito a qualche osservazione.

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Disponibile in www.giustuzia-amministrativa.it.


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Per un verso, può darsi che il governo italiano abbia ben argomentato, ma di riforma delle banche popolari si parla da decenni, l’attuazione della norma varata per decreto legge si snoda in passaggi temporalmente lunghi, sicché nella sostanza l’esistenza della necessità e urgenza seguita a lasciare perplessi. La Corte costituzionale si è pronunciata su profili diversi da quelli da me trattati in queste note, sui quali però dovrà farlo a breve. E qui il rilievo non può che essere rappresentato dalle considerazioni finora svolte, il cui contenuto mi pare lascia intendere come non sarebbe sorprendente che esse trovino una sponda anche in termini di incostituzionalità.

9. Le banche popolari cooperative residue Ho detto che la riforma, oltre a riferirsi a quelle che hanno attivi superiori a 8 miliardi di euro, si occupa anche delle minori, ristrutturandone la disciplina ma riaffermandone l’autonomia e la validità del modello. Su quest’ultimo profilo è lecito però avere qualche perplessità. Infatti, pure a concedere, sebbene contro l’esperienza che finora si è delineata, che le modifiche alle popolari sotto soglia abbiano successo, è evidente che gli eventuali investitori che, agevolati dai nuovi strumenti di investimento nel capitale, ne aumentino la dotazione patrimoniale, sanno che questo intervento trova un limite quantitativo che segna il confine all’utilizzo del modello cooperativo, superato il quale cambierà tutto, anche il rapporto fra investitori e banca, fra soci e banca. E ciò non giova a una prospettiva stabile di crescita delle popolari. Insomma, accanto alle banche popolari too big to be popular,13 vi sono quelle che hanno una crescita limitata, cioè che, se non vogliono trasformarsi ex lege, debbono limitare la propria crescita entro limiti quantitativi di attivo. E allora ne esce ridimensionata l’affermazione per cui il legislatore avrebbe rafforzato la categoria che, depurata obbligatoriamente delle popolari “spurie” per dimensione, ne uscirebbe più omogenea e individuata. Se infatti “grande è bello”, forse è più pragmatico e

13 Mi rifaccio all’espressione usata per il suo contributo da Lemma, «Too big to be popular»: il limite all’attivo delle banche popolari, in La riforma delle banche popolari, cit., p. 173.

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meno allarmistico di quanto sembri a prima vista chi parla di eliminazione, in tempi non lunghi, della categoria delle banche popolari s.c.a.r.l.14.

10. Trasformazione e obbligo di devoluzione del patrimonio ai fondi mutualistici. L’ultima notazione che volevo proporvi concerne l’applicabilità o meno alle banche popolari tenute alla trasformazione dell’obbligo di devoluzione di parte del proprio patrimonio ai c.d. «fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione» previsto dall’art. 245-undecies, co. 1, c.c., secondo la quale la delibera assembleare che decide sulla trasformazione «devolve il valore effettivo del patrimonio, dedotti il capitale versato e rivalutato e i dividendi non ancora distribuiti, eventualmente aumentato fino a concorrenza dell’ammontare minimo del capitale della nuova società, esistenti alla data di trasformazione, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione». A mio avviso la risposta positiva alla domanda si impone alla luce di una analisi meramente letterale della normativa: l’art. 150-bis, co. 2, t.u.b, annovera fra le disposizioni che non si applicano alle banche popolari l’art. 2545-undecies, co. 3, c.c. e non anche il co. 1. Il co.3, che quindi non si applica, è di tutt’altro contenuto: «l’assemblea non può procedere alla deliberazione di cui ai precedenti commi qualora la cooperativa non sia stata sottoposta a revisione da parte dell’autorità di vigilanza nell’anno precedente o, comunque, gli amministratori non ne abbiano fatto richiesta da almeno novanta giorni». La questione è assai delicata, come insegna quanto è avvenuto sul finire dello scorso secolo in capo alle altre banche cooperative, cioè alle banche di credito cooperativo che, avendo proceduto a operazioni straordinarie senza devolvere nulla ai fondi, si sono viste aggredire con successo dai fondi stessi che hanno ottenuto il riconoscimento delle somme loro spettanti dalle nuove banche risultato delle operazioni. Di qui l’intervento del legislatore che, con l’art. 38 del d.lgs. n. 310/2004, ha introdotto il co. 5 dell’art. 150-bis t.u.b., secondo cui «l’art. 2545-undecies, co. 1 e 2, c.c. si applica a tutti i casi di fusione previsti dall’art. 36»: questa esplicitazione legislativa non ci aiuta nella questione che qui

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Mi riferisco a Debenedetti e Fabi, Popolari addio?, Milano, 2015.


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esaminiamo, perché essa si applica alle ipotesi di fusione e alle banche di credito cooperativo (richiama infatti l’art. 36 t.u.b.). È evidente che una simile soluzione costituisce un altro limite e un altro pregiudizio per le banche popolari costrette a trasformarsi dalla legge. Sulla base di questo rilievo, vi è stato chi ha tentato di ragionare a prescindere dal tenore letterale, con una serie di argomenti sicuramente interessanti. In sintesi, si rammenta anzitutto che il cammino legislativo, partito da un divieto di trasformazione e approdato a una trasformazione consentita talvolta e talvolta obbligata, mal si concilia con la tesi della applicabilità alle banche popolari del comma 1 dell’art. 2545-undecies c.c. che «pur non vietando la trasformazione della cooperativa in società per azioni, certamente fungeva da deterrente alla medesima in un momento storico, ormai definitivamente”sdoganato”, in cui al passaggio da società mutualistica a società lucrativa veniva attribuito un certo grado (via via decrescente) di disvalore»15. In secondo luogo, la norma civilistica ha un’evidente valenza redistributiva, muovendo dal presupposto che le società cooperative abbiano beneficiato, nell’arco della loro esistenza, delle agevolazioni di natura fiscale suscettibili di incrementarne il patrimonio, con la conseguenza che, abbandonando lo scopo mutualistico, dette agevolazioni debbano in qualche modo tornare “in mano pubblica”, attraverso lo strumento della devoluzione ai fondi. Ma le banche popolari, come si è visto, non sono soggette alla c.d. legge Basevi (d.lgs. n. 1577/1947 e successive modificazioni) e non sono cooperative a mutualità prevalente (presupposto per ottenere benefici fiscali), onde non si comprende cosa mai dovrebbero restituire attraverso la devoluzione del patrimonio ai fondi. Riportati questi argomenti, non posso non rilevare che il tenore letterale derivante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 33/2015 – cioè anche dopo gli emendamenti e gli aggiustamenti inseriti in sede di conversione – mantiene la precedente versione dell’art. 150-bis t.u.b. su questo punto e quindi include le banche popolari nei soggetti tenuti ad osservare il disposto dell’art. 2545-undecies, co. 1, c.c., sicché appare difficile superare un tenore letterale contrario.

Fabrizio Maimeri

15 Martellone, Trasformazione di banca popolare in società lucrativa e obbligo di devoluzione del patrimonio ai fondi mutualistici ex art. 2545-undecies, comma 1, c.c., in La riforma delle banche popolari, cit., p. 193.

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Nuevo régimen jurídico de la retribución de los administradores de las sociedades de capital en el derecho español Sumario: 1. Introducción. – 2. Sistema retributivo español: derecho vigente hasta la Ley 31/2014. – 3. Los Códigos de conducta: el Código de buen gobierno de las sociedades cotizadas de 2015. – 4. La crisis económica y el fracaso de la autorregulación: La Ley de Economía Sostenible. El acuerdo consultivo sobre las remuneraciones. – 4.1. La Ley de Economía Sostenible y la reforma de la Ley del Mercado de Valores: de lo voluntario a lo obligatorio. – 4.2. El acuerdo consultivo de la junta general de accionistas sobre el IARC: libertad y transparencia. – 5. Régimen jurídico específico de las entidades financieras: del RD-Ley 2/2012 (y Ley 9/2012) a la Ley 10/2014, de ordenación, supervisión y solvencia de las entidades de crédito. – 6. Nuevo régimen jurídico general: la reforma de la LSC por la Ley 31/2014. – 6.1. Introducción. – 6.2. Régimen jurídico general para todas las sociedades de capital y en particular para las sociedades no cotizadas. – 6.2.1. Introducción: la remuneración de los administradores en su condición de tales. – 6.2.2. Gratuidad del cargo y remuneración del consejero ejecutivo. – 6.2.3. Conceptos retributivos. – 6.2.4. Sistema retributivo y reparto de competencias. – 6.2.5. Limitaciones del órgano de administración. – 6.2.6. El criterio de proporcionalidad razonable (retribución adecuada). – 6.2.7. Retribución adecuada y protección de la discrecionalidad empresarial. – 6.2.8. El criterio teleológico: la sostenibilidad y otras cautelas. – 6.3. La remuneración de los consejeros delegados y de los consejeros ejecutivos: delegación de facultades y contrato. – 6.3.1. Introducción: el consejero ejecutivo. – 6.3.2. Sobre la naturaleza jurídica del contrato. – 6.3.3. Organo competente para fijar las retribuciones y cautelas legales. – 6.3.4. Contrato y Registrador Mercantil. – 6.3.5. Sobre la continuidad o no de la doctrina del vínculo. – 6.3.6. Tipología remuneratoria. – 6.3.7. Aspectos de Derecho transitorio. – 6.4. Régimen jurídico especial de las sociedades cotizadas. – 6.4.1. Introducción: el carácter necesariamente remunerado del cargo de consejero. – 6.4.2. La política de remuneraciones de los consejeros: comisión de nombramientos y retribuciones, consejo de administración y aprobación vinculante por la junta general. – 6.4.3. Organo competente para fijar la remuneración de cada consejero: el consejo de administración. – 6.4.4. El informe anual sobre remuneraciones de los consejeros: transparencia, votación consultiva por la junta general ordinaria y posible modificación de la política de remuneraciones. – 6.4.5. La estructura de la remuneración de los administradores de las sociedades cotizadas.

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1. Introducción. La retribución de los administradores y de los altos ejecutivos de las grandes empresas constituye desde hace algunos años y especialmente desde la acentuación de la crisis económica un tema de enorme actualidad1. Por lo general este tipo de empresas a las que nos referimos están constituidas bajo la forma de sociedades anónimas cotizadas2, sin perjuicio de algunas excepciones donde nos podemos encontrar con alguna sociedad anónima no cotizada, o incluso con alguna sociedad de responsabilidad limitada3. Pues bien, la cuestión es que en el marco de la crisis económica y también con cierta conexión con el origen de la misma, se nos presenta de manera escandalosa e inmoral las elevadísimas retribuciones de los administradores y altos ejecutivos de algunas empresas4. Por lo general como decimos se trata de sociedades cotiza-

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Vid., entre otros, Embid Irujo, Sobre el Derecho de sociedades de nuestro tiempo. Crisis económica y ordenamiento societario, Granada, 2013, pp. 75-76; Sánchez-Calero Guilarte, Crisis económica y gobierno corporativo, en RDM, 287, 2013, p. 79 ss. 2 Vid. Sánchez-Calero Guilarte, La retribución de los administradores de sociedades cotizadas (La información societaria como solución), en RdS, 28, 2007, p. 21 ss. 3 Sobre la extensión de la problemática a las sociedades cerradas, anónimas no cotizadas o sociedades de responsabilidad limitada, puede verse Hierro Anibarro/ Zabaleta Díaz, Principios de gobierno corporativo en sociedad no cotizada, en Gobierno corporativo en sociedades no cotizadas, dir. Hierro Anibarro, Madrid, 2014, p. 49 ss. Respecto a otro tipo de entidades con personalidad jurídica, como asociaciones, fundaciones, cajas de ahorro y fundaciones bancarias nos remitimos a Viñuelas Sanz, Gobierno corporativo en asociaciones y fundaciones, en Gobierno corporativo en sociedades no cotizadas, cit., pp. 160-161, p. 173 ss. y p. 192 ss. También Emparanza Sobejano, El gobierno de las entidades público-privadas: las reglas de buen gobierno como mecanismo de transparencia y control, en El gobierno y la gestión de las entidades no lucrativas público-privadas, dirs. Embid Irujo/Emparanza Sobejano, Madrid, 2012, pp. 171-173; y García Alvarez, Los códigos de buen gobierno corporativo en las fundaciones en El gobierno y la gestión de las entidades no lucrativas público-privadas, cit., pp. 207-208. 4 Cfr. Huet/Reygrobellet, Les dirigents exécutifs des sociétés anonymes en europe: enseignements comparatifs et réflexions prospectives, en La direction des socétés anonymes en Europe. Vers des pratiques harmonisées de gouvernance?, dir. Chaput/ Lévi, Paris, 2008, p. 481, esp. P. 513; Recalde/Schönnenbeck, La Ley alemana sobre la proporcionalidad de la remuneración de los miembros de la dirección en las sociedades anónimas, en RDM, 277, 2010, p. 1066. No obstante, desde el ámbito económico, se nos dice que no todo gran salario de un directivo de empresa debe ser calificado de “robo”, que sin duda hay casos escandalosos donde la expresión puede ser utilizada (indemnizaciones millonarias en el caso de las cajas de ahorro rescatadas), pero también hay otros muchos donde esos supersalarios pueden estar justificados por el juego de

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das y más en particular del grupo más selecto de las mismas. Pero aún así, no se puede olvidar que la materia de la retribución está en la raíz de algunos de los problemas básicos del derecho societario5, como son la relación mayoría-minoría (conflictos horizontales)6 y el principio de paridad de trato de los accionistas, como se comprueba hoy día con la existencia del art. 348 bis (Derecho de separación en caso de falta de distribución de dividendos) de la Ley de Sociedades de Capital (en adelante LSC), no aplicable a las sociedades cotizadas, que pretende dar una salida al socio en los casos de no distribución de beneficios7. Y también por lo que se refiere a la delimitación de competencias entre los dos órganos societarios, la junta y la administración, y su repercusión sobre el interés social. En las reflexiones que siguen nos centramos exclusivamente en la problemática jurídica que plantea nuestro objeto de estudio, que lo enfocamos desde tres punto de vista, primero, la libertad del empresario para fijar la remuneración que considere más oportuna para compensar el esfuerzo o tarea del administrador o ejecutivo de empresa; segundo, la transparencia en el sistema adoptado de retribución; y tercero, la posi-

la competencia y de la enorme amplitud del mercado producida en los últimos años, algo similar a lo que viene sucediendo con las retribuciones de algunos de los grandes deportistas (y artistas) gracias a las tecnologías de la comunicación, que en último caso dan lugar a un fuerte incremento de la demanda de talento y de capacidades analíticas y un fuerte aumento de la desigualdad salarial (Vid. Garicano, El dilema de España. Ser más productivos para vivir mejor, Barcelona, 2014, p. 41-44). 5 Vid. Sánchez-Calero Guilarte, Norma y autorregulación en la configuración del régimen retributivo de los consejeros, en La modernización del Derecho de sociedades de capital en España. Cuestiones pendientes de reforma, I, Dirs. Alonso Ledesma et alli, Aranzadi, Cizur Menor, 2012, p. 724. 6 Vid. Fernández del Pozo, El misterio de la remuneración de los administradores de las sociedades no cotizadas. Las carencias regulatorias de la reforma, en RDM, 297, julioseptiembre, 2015, pp. 205-208. 7 Precepto incorporado a la LSC por la Ley 25/2011, de 1 de agosto, de reforma parcial de la LSC y de incorporación al derecho español de la Directiva 2007/36/CE, sobre el ejercicio de determinados derechos de los accionistas de sociedades cotizadas, pero que continúa en suspenso en el momento presente hasta el 31 de diciembre de 2016 (Dis. Trans. LSC, introducida por L. 1/2012 y modificada por L. 9/2015). Sobre el mismo y la polémica levantada puede verse, entre otros, Brene Cortés, Derecho de la minoría al dividendo: el controvertido art. 348 bis LSC, en Revista Aranzadi Doctrinal, 8, 2012, p. 131 ss.; García Sanz, Derecho de separación en caso de falta de distribución de dividendos, en RdS, 38, 2012, pp. 55-71; Zarzalejos Toledano, Derecho de separación en caso de falta de distribución de dividendos, en La Ley Mercantil, número 16, julioagosto, 2015.

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ble existencia de controles o límites sobre la cuantía de las retribuciones. De este modo no entramos en otro tipo de consideraciones sobre determinados aspectos de carácter sociológico, de responsabilidad social o de moralidad8. Respecto a esto último resulta totalmente incomprensible y escandaloso comprobar la existencia de grandes retribuciones en supuestos de insolvencia o incluso de desaparición de las sociedades administradas9. No parece que existan muchas dudas sobre la estrecha conexión de la crisis económica de 2008 con la regulación, o mejor autorregulación, del denominado gobierno corporativo de las grandes empresas, especialmente de las entidades de crédito, donde se ha puesto de manifiesto que han fallado fundamentalmente tres elementos del mismo: los sistemas de control de riesgos, tanto internos como externos10; los mecanismos de selección y de la idoneidad de los administradores y altos ejecutivos y, tercero, la falta de una adecuada regulación de la remuneración de los directivos de la empresa, que es lo que ha propiciado que los sistemas de retribución favorecieran la asunción de riesgos injustificados en lugar de desincentivarlos11. De este modo se ha jugado en exceso con el corto frente al medio y al largo plazo, con el valor de cotización

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Dicho esto, claro está, sin perjuicio de la legítima y necesaria aplicación del art. 1255 del CC, que como es sabido contiene una norma básica de nuestro Derecho de contratos, el límite general de la moralidad y las buenas costumbres, una norma a veces tan olvidada y que como nos recuerda el prof. Aurelio Menéndez (Derecho privado y retribución de los administradores, en AA.VV., Estudios de Derecho mercantil en homenaje al profesor José María Muñoz Planas, Cizur Menor, 2011, p. 473), nos permite deducir la regla del quantum meruit aplicable a las retribuciones de los administradores. 9 Cfr. Sánchez-Calero Guilarte, Norma y autorregulación en la configuración del régimen retributivo de los consejeros, cit., pp. 718 y 725; Sánchez-Calero Guilarte, Retribución de administradores: informe de retribuciones y aprobación consultiva por la junta general, en RDBB, 133, 2014, p. 270; Leon Sanz, Comentario al artículo 217. Remuneraciones de los administradores, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. Juste Mencía, Cizur Menor, 2015, p. 273 ss., esp. 277. 10 Sobre la distinción y proximidad entre la gestión del riesgo y el cumplimiento normativo por parte de los administradores sociales puede verse, recientemente, Alfaro, Comentario al artículo 226. Protección de la discrecionalidad empresarial, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. Juste Mencía, Cizur Menor, 2015, p. 325 ss., esp. 343-356. 11 Vid. León Sanz, El gobierno corporativo de las sociedades cotizadas, en Diario LA LEY, 8109, 20 de junio de 2013; León Sanz, Comentario al artículo 217, cit., p. 277.

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frente a otro valores más realistas que contrapesen al anterior, con el crecimiento por el crecimiento, caso de la fiebre por las fusiones y las opas de todo tipo, por la no alineación de los diferentes intereses en juego, por las retribuciones variables altas sin medida, por un interés social mal definido y por beneficios ficticios frente a retribuciones reales12. A lo anterior, además, hay que añadir algunos viejos problemas básicos de carácter estructural de la gran sociedad anónima13. Concreta y especialmente dos14. Por un lado la ruptura de la correlación entre propiedad y control, esto es, el absentismo accionarial, que tiene su causa en el desinterés de los pequeños y numerosos accionistas por la gestión y como consecuencia de ello la delegación masiva de los derechos de voto en favor del órgano de administración. Y por otro lado, en parte con la finalidad de solventar el conflicto entre mayoría y minoría en la misma gran sociedad anónima y favorecer una gestión neutral, la autonomía de la gestión, que es precisamente lo que da lugar a la autoasignación de las retribuciones y a los problemas de falta de imparcialidad. Frente a estos viejos problemas estructurales se han propuesto tres objetivos: potenciar la democracia accionarial, favorecer la participación de interesados no accionistas, caso del modelo de cogestión alemán, y también justificar el poder de decisión de los ejecutivos, con una clara preferencia por esto último. Así se le da prioridad a la legitimación del proceso de selección de los administradores o bien asegurar su competencia para el cargo. Con todo no se puede olvidar el ineludible “riesgo de empresa” que necesariamente debe asumir todo buen administrador de una gran compañía, lo que supone que hay que compaginar el reconocimiento del poder discrecional (business judgment rule) en los ámbitos propios de la empresa con la responsabilidad de los administradores15. En el Informe Anual de Remuneraciones de los Consejeros de las Sociedades Cotizadas de la CNMV sobre el ejercicio 2014, se nos dice que para el ejercicio 2015, los principios generales más frecuentes de la

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Vid. Sánchez-Calero Guilarte, Norma y autorregulación, cit., pp. 726-731. Vid León Sanz, El gobierno, cit. 14 Una aproximación histórico-comparada, lúcida y brillante, a estos viejos y “nuevos” problemas de las grandes corporaciones puede verse en Gondra, El control del poder de los directivos de las grandes corporaciones. La historia de un problema recurrente en una pieza esencial del sistema económico, en RDM, 269, 2008, p. 841 ss., esp. 871-899. 15 Sobre esto último, con cierto detalle, Alfaro, Comentario al artículo 226, cit., pp. 351-356. 13

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política retributiva de las sociedades son los siguientes. Primero: atraer, retener y motivar a los mejores consejeros. Segundo: asegurar la sostenibilidad de los resultados y de la actividad, así como generar valor a largo plazo para el accionista. Tercero: recompensar el logro de objetivos estratégicos, incluyendo la gestión prudente de riesgos. Cuarto: mantener la competitividad en el marcado retributivo. Quinto: alinear las retribuciones con las recomendaciones de buen gobierno. Sexto: Impulsar la transparencia de las retribuciones y los criterios asociados a su determinación. Y séptimo: mantener un equilibrio razonable entre los componentes fijos y variables de la retribución. En el caso particular de las entidades financieras ponen mayor énfasis en los principios relativos a la gestión prudente del riesgo y a la generación de valor para el accionista. No obstante, hay que decir que el criterio más aplicado para determinar los distintos componentes de la política retributiva, según el mismo informe, es el nivel de responsabilidad asumido por el consejero y el tiempo de dedicación. Mientras que los criterios que menos se tiene en cuenta son los del nivel de solvencia, capitalización o sostenibilidad de la entidad. Otros criterios considerados son los resultados de la sociedad, principalmente en sociedades que no forman parte del Ibex35, y en caso contrario, la cualificación, los conocimientos específicos y méritos profesionales del consejero y los datos comparables de mercado. Y en cuanto a la relación entre las remuneraciones y los resultados de la sociedad, se explica la evolución de las retribuciones totales respecto al beneficio neto atribuido a la sociedad. Pero por lo general no se dan explicaciones sobre la relación entre la remuneración total del consejo y el cumplimiento de los objetivos del plan estratégico u otras medidas de rendimiento de la sociedad.

2. Sistema Retributivo Español: Derecho Vigente Hasta La Ley 31/2014. En cuanto al Derecho español es bien sabido que recientemente ha sido reformado por la Ley 31/2014, de 3 de diciembre, por la que se modifica la Ley de Sociedades de Capital para la mejora del gobierno corporativo, aparecida en el BOE de 4 de diciembre de 2014. El presente trabajo se ocupa fundamentalmente de las novedades introducidas con esta reforma, pero antes conviene recordar nuestro sistema retributivo vigente hasta hace poco con la finalidad de valorar el verdadero alcance de la reforma.

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El régimen general se contenía en los arts. 217 a 220 de la LSC y concretamente se venía a establecer una presunción y cuatro reglas16. La presunción está referida a la gratuidad del cargo, salvo que los estatutos digan lo contrario y determinen el sistema de retribución (art. 217.1). En la sociedad de responsabilidad limitada la remuneración para cada ejercicio económico es competencia de la junta general, de conformidad con lo previsto en los estatutos, salvo que se haga con base en la participación en beneficios (art. 217.2). Cuando la remuneración se fije mediante una participación en beneficios, en la SA se condiciona a un reparto mínimo para los accionistas de un dividendo del 4% o bien otro superior establecido en los estatutos. Y en la SRL según se establezca en los estatutos, con el límite del 10% de los beneficios repartibles entre los socios (art. 218). Si la remuneración es mediante la entrega de acciones o derechos de opción sobre las mismas o que esté referenciada al valor de las acciones, deberá preverse en los estatutos y contar con el acuerdo de la junta general donde se concretarán los diferentes detalles de la operación (art. 219). Y, finalmente, también se alude por algunos en este esquema legal básico al art. 220, que se refiere a la prestación de servicios o de obra de los administradores a la sociedad limitada, que requerirán el acuerdo de la junta general. Pero sobre este último precepto, que no ha sido modificado, debemos anticipar que a nuestro juicio no forma parte del sistema legal retributivo de los administradores sociales17. Como conclusión de este régimen jurídico se puede decir que el supuesto básico, que es el referido especialmente a la gran SA, consiste en la fijación de un sistema retributivo por los estatutos sociales (art. 217.1). Pues bien, salvada la extravagancia de la presunción de gratuidad18, que evoca el art. 1711 del CC sobre la gratuidad del mandato, pero que en cualquier caso resulta plenamente aplicable19 como lo ponen

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Con anterioridad a la LSC la regulación se contenía en los arts. 130 LSA y 66 de la

LSRL. 17

Vid. infra epígrafe 6.3.3. Vid. Esteban Velasco, La administración de la sociedad de responsabilidad limitada, en Tratando de la sociedad limitada, coord. Paz-Ares, Fundación cultural del notariado, Madrid, 1997, pp. 758-759. No obstante, sobre el sentido y alcance de la norma puede verse Paula del Val, La retribución desigual de los administradores en la sociedad anónima. (En torno a la Resolución de la dirección General de los Registros y del Notariado de 25 de febrero de 2014), en RDM, 293, 2014, p. 595 ss., esp. pp. 600-601. 19 Vid. Quijano González, Retribución de consejeros y directivos: la reciente evolución 18

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de manifiesto sendas sentencias del TS de 27 de marzo de 1984 y de 30 de diciembre de 1992, el art. 217.1 nos plantea la necesidad de determinar el alcance de la referencia al sistema retributivo establecido en los estatutos sociales. Hay aquí dos aspectos importantes que hay que desarrollar20, por un lado, el aspecto objetivo referido tanto a la cuestión cualitativa sobre las diferentes modalidades de la retribución, como a la dimensión cuantitativa de la misma. Y por otro, el aspecto subjetivo sobre el ámbito de aplicación, sí comprende a todo tipo de administradores o sólo a los no ejecutivos. Sobre las modalidades de la retribución no parece que existan muchas dudas de que en los estatutos deben constar los concretos conceptos retributivos y el modo de cálculo, esto es, la estructura del paquete retributivo de forma completa: sueldos, dietas, planes de pensiones, primas de seguros, remuneraciones variables, stock options, etc. Y no es posible ningún tipo de delegación de esta tarea de manera directa o indirecta a la junta general, ni un sistema alternativo a decidir por la junta o por el órgano de administración21. Sobre estos aspectos existe una doctrina consolidada tanto de la DGRN22 como del TS23. En cuanto a la cuestión cuantitativa, siempre que no se trate de una participación en beneficios, se presentan más dudas y existe cierto debate. Como es natural hay que partir del principio constitucional de libertad de empresa (SAN 15/2005, sala de lo penal, sec. 3ª, de 13 de abril; STS, 841/2006, sala de lo penal, sec. 1ª, de 17 de julio)24, pero inmediatamente se plantea la duda respec-

en el Derecho español, en Estudios de derecho mercantil en homenaje al profesor J.Mª Muñoz Planas, Cizur Menor, 2011, p. 687 ss., que nos recuerda que ya era así según la LSA de 1951. 20 Vid. Gallego, Comentario al art. 217, en, Com. LSC, II, dir. Rojo/Beltrán, cit., p. 1547 ss.; Paz-Ares, Ad imposibilia nemo tenetur (o por qué recelar de la novísima jurisprudencia sobre retribución de administradores)”, en InDret, 2/2009, pp. 3-4. 21 Vid., entre otros, Marín De la Barcena, voz Administradores (Nombramiento, retribución y terminación del cargo), en Diccionario de derecho de sociedades, dir. Alonso Ledesma, Madrid, 2006, pp. 157-158; Guerrero Trevijano, en Derecho de sociedades, dir. Alonso Ledesma, Barcelona, 2014, pp. 231-232. 22 RRDGRN, 18.2.1991; 26.7.1991; 17.2.1992; 19.3.2001; 12.4.2002. 23 SSTS, sala 1ª, 21.9.2005; 12.1.2007 y, sala 3ª, 6.2.2008. 24 Vid. Sánchez-Calero Guilarte, Norma y autorregulación en la configuración del régimen retributivo de los consejeros, en, La modernización del Derecho de sociedades de capital en España. Cuestiones pendientes de reforma, dirs. Alonso Ledesma et alli, I, Cizur Menor, 2011, p. 731; Melero Bosch/Navarro Frías, Responsabilidad en la determinación de la retribución de los administradores y altos cargos en las sociedades de capital. (Presupuestos de) La responsabilidad de los administradores de las sociedades de capital

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to a si la cuantía o el importe exacto de las retribuciones deben figurar o no en los estatutos. Téngase en cuenta que si bien bajo la regulación anterior del art. 130 de la LSA la cuestión podía ser más dudosa porque hablaba de «retribución»25, el 217.1 LSC habla de «sistema retributivo», no de la retribución en particular. En conclusión parece que se puede sostener que la cantidad o importe por cada concepto retributivo, lo que se ha venido a denominar la «doctrina del milímetro», queda fuera de la reserva estatutaria26. A favor de esta interpretación se dan especialmente algunas razones prácticas (circunstancias cambiantes de la cuantía retributiva, carácter complejo, específico, negociado y estratégico de los paquetes retributivos)27. No se solventa con lo anterior todas las dudas, porque queda pendiente determinar quién es el órgano competente para fijar los importes. En principio, dado que no se establece nada sobre este punto en la LSC, y salvo que los estatutos reserven esta competencia a la junta general de socios, es el órgano de administración el competente para fijar estos importes y decidir la distribución correspondiente28. Hay que tener en cuenta que el art. 209 de la LSC atribuye a los administradores de manera general las tareas de gestión y de representación, de donde se puede deducir que todas las decisiones no atribuidas por la ley o los estatutos a la junta general corresponderán a los administradores29. En

en la fijación de sus retribuciones, en RdS, 40, 2013, p. 209 ss., esp. p. 214 y p. 20 ss. 25 Aunque es cierto que el art. 9 LSA lo hacia de «sistema de retribución», de mismo modo que el art. 124.3 del RRM vigente. 26 Vid. Gallego, Comentario al art. 217, en Com. LSC, II, dir. Rojo/Beltrán, cit., pp. 1549-1550, que nos dice que a la vista de estos datos normativos la Sala tercera de lo contencioso-administrativo del TS deberá reformular la doctrina desarrollada en las sentencias de 13.11.2008, 15.1.2009, 22.6.2009, 29.6.2009 y 26.4.2010, donde a efectos fiscales se sostenía la necesidad de consignar en los estatutos la cuantía exacta de la remuneración. Lo que se ha venido a denominar en sentido crítico por algún autor como la «doctrina del milímetro» [Vid. Paz-Ares, Ad imposibilia nemo tenetur (o por qué recelar de la novísima jurisprudencia sobre retribución de administradores), en InDret, 2/2009, p. 6]. También puede verse León Sanz, La previsión en los estatutos de la retribución de los administradores de las sociedades anónimas. El estado de la cuestión en la doctrina española, en AAVV, I Foro de Encuentro de Jueces y Profesores de Derecho Mercantil, Valencia, 2010, pp. 14-16. 27 Pueden verse RRDGRN: 19.3.2001 y 15.4.2000. Y, especialmente, en la doctrina PazAres, Ad imposibilia, cit., pp. 9 y 13-16. 28 Vid. Marín De la Barcena, voz Administradores, cit., p. 158; Melero Bosch/Navarro Frías, Responsabilidad, cit., pp. 214-215. 29 Vid. Esteban Velasco, Comentario al art. 209, en Comentario a la Ley de Sociedades

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el caso de la SRL recuérdese la salvedad antes mencionada. Pues bien, la cuestión es problemática porque asignar la competencia al propio órgano de administración plantea una claro conflicto de intereses que puede dar lugar a abusos. En este sentido conviene tener presente un viejo límite fijado por el TS (1ª) en sentencia de 1 de julio de 1963, donde, en referencia a la amplia libertad estatutaria para fijar el sistema retributivo, alude a un límite general representado por la defensa del interés social entendido como el interés común a todos los socios. En realidad estamos ante decisiones incompatibles con el deber de fidelidad de los administradores (art. 226 LSC)30. De cara a solventar estos conflictos de intereses y los problemas de autocontratación juega, por un lado, el deber de lealtad de los administradores frente a la sociedad y la fijación de una serie de cautelas por el propio órgano de administración; entre otras algunas de las recomendadas por el Código Uniforme de Buen Gobierno31, como son la determinación del importe en función de los servicios prestados, la supervisión o aprobación por el comité de retribuciones, la impugnación de los acuerdos contrarios al interés social, la posible responsabilidad de los administradores, el carácter indelegable de la competencia por el consejo de administración, exigencia de una mayoría cualificada de dos tercios y la prohibición de que los beneficiarios intervengan en las deliberaciones y votaciones sobre sus propias remuneraciones. Y por otro lado, la junta general parece que debe estar facultada en todo momento para fijar un límite máximo para cada ejercicio económico32. Pero a pesar de todo se puede decir que el montante de la retribución no está sujeto a límites

de Capital, II, dir. Rojo/Beltrán, Cizur Menor, 2011, p. 1484; Sánchez-Calero Guilarte, Retribución de los administradores: Informe de retribuciones y aprobación consultiva por la junta general, en RDBB, 133, 2014, p. 280. 30 Vid. Paz-Ares, El enigma de la retribución de los consejeros ejecutivos, en InDret, 1/2008, p. 54; Vázquez Lepinette, La retribución de los administradores en tiempos de crisis: nuevos hechos, nuevo derecho. Especial referencia al Anteproyecto de Ley de Economía Sostenible, en RDBB, 118, 2010, p. 201; Sánchez-Calero Guilarte, La retribución, cit., p. 44; Melero Bosch/Navarro Frías, Responsabilidad, cit., pp. 215 y 220. 31 Volveremos más adelante sobre estas recomendaciones. 32 Vid. Gallego, Comentario al art. 217, en Com. LSC, Rojo/Beltrán, II, cit., p. 1551; En este sentido se precisa por algún autor (Paz-Ares, El enigma de la retribución de los consejeros ejecutivos, en InDret 1/2008, p. 8) que si los estatutos no cuantifican la remuneración o no fijan un límite máximo, debe entenderse que corresponde a la junta general el establecimiento de los importes o límites oportunos.

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específicos, con la salvedad de las entidades financieras rescatadas33, y que no se solventan todas las situaciones de conflicto de intereses y por tanto de posibles abusos34. En cuanto al aspecto subjetivo, la cuestión aquí es si la normativa mencionada afecta a todos los integrantes del órgano de administración o sólo a los no ejecutivos. O dicho de otro modo, sí los administradores que son a su vez gerentes o altos ejecutivos (consejeros ejecutivos) quedan sometidos o no al sistema retributivo estatutario. Si la respuesta es afirmativa se está ante una única relación jurídica del administrador con la sociedad, de modo que la relación orgánica absorbe a las otras tareas y por tanto quedan sometidas a la norma estatutaria; si por el contrario es negativa se llega a dos tipos de relaciones del administrador con la sociedad, una de carácter orgánico como miembro del órgano de administración y sometido al régimen retributivo estatutario del art. 217.1 LSC, y otra de carácter laboral o mercantil no sometida a dicho precepto y por tanto fuera del control estatutario. La cuestión como es sabido es polémica tanto doctrinal como jurisprudencialmente35. La tesis imperante rechaza la superposición de funciones, de manera que el vínculo orgánico absorbe otras posibles tareas como las de alta dirección o gestión que en todo caso quedan sometidas al régimen estatutario. Así se pronunció inicialmente la Sala de lo Social del Tribunal Supremo36, respecto a la relación

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Respecto a este sector y el tipo de normas específicas puede verse, entre otros, García Alvarez, Posibles límites a la remuneración de los administradores en un contexto de crisis económica, en Crisis económica y responsabilidad en la empresa, dirs. Abriani/ Embid Irujo, Granada, 2013, pp. 179 ss., esp. 189 ss.; Alzaga Ruiz, Retribución de directivos y crisis económica, Cizur Menor, 2012, pp. 76-79; Melero Bosch/Navarro Frías, Responsabilidad, cit., pp. 219-220; Girbau Pedregosa, Restricciones a la remuneración de los administradores y directivos de entidades de crédito: modos, intervención y gobierno corporativo, en RDBB, 129, 2013, p. 173 ss.; Sánchez-Calero Guilarte, Retribución de administradores: informe de retribuciones y aprobación consultiva por la junta general, en RDBB, 133, 2014, p. 271. 34 Vid. Gallego, Comentario al art. 217, en Com. LSC, Rojo/Beltrán, II, cit., p. 1551. 35 Una aproximación a este debate puede verse en A. Desdentado/E. Desdentado, En los límites del contrato de trabajo: administradores y socios, en Revista del Ministerio de Trabajo e Inmigración, 83, p. 41 ss. Y entre los mercantilista pueden verse SánchezCalero Guilarte, La retribución, cit., pp. 28-31; León Sanz, La previsión, cit., p. 13 ss.; Gallego, “Comentario al art. 217”, en Com. LSC, Rojo/Beltrán, II, cit., pp. 1552-1555; Melero Bosch/Navarro Frías, Responsabilidad, cit., pp. 215-216. 36 SSTS, sala 4ª, 29.9.1988, 13.5.1991, 18.6.1991, 27.1.1992, 22.12.1994, 20.11.2002, 26.2.2003, 17.7.2003,

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laboral de alta dirección (RD 1382/1985 y art. 1.3 c del Estatuto de los Trabajadores), en lo que constituye hoy una doctrina consolidada; y le ha seguido con posterioridad, con algún sobresalto, la Sala Primera en el mismo sentido en lo que se denomina la «doctrina del vínculo»37, con similar argumentación, pero con fundamentos jurídicos propios: arts. 9.h) y 130 de la LSA, y 66 de la LSRL, que pasaron a ser los 23.e) y 217 y siguientes de la LSC. Dicha doctrina se basa en lo siguiente, dado que las funciones de gestión son funciones inherentes al cargo de administrador, no cabe mantener dos títulos jurídicos diferentes, de modo que la relación o es orgánica o es laboral y el criterio para su distinción no será el de atender al contenido de las actuaciones concretas desarrolladas por el administrador, sino a la naturaleza del vínculo que le une con la sociedad38. De este modo se nos dice que se abandona la doctrina tradicional39 que permitía la compatibilidad entre las retribuciones en concepto de administrador y otras por prestación de servicios profesionales, que dejaba fuera del control estatutario a estas últimas y podían ser fijadas libremente por el órgano de administración. En definitiva los argumentos para la incompatibilidad son, por un lado, evitar que la sociedad elimine la garantía que supone para los socios el control estatutario o la exigencia (hoy) del art. 218 LSC (fraus legis: SSTS, entre otras, 21.4.2005, 24.4.2007, 31.10.2007, 29.5.2008 y 19.12.2012)40 y por otro, la aplicación del art. 1.3.c) del Estatuto de los Trabajadores (RD Legislativo 1/1995, de 24 de marzo), que excluye de

37 SSTS, sala 1ª, 30.12.1992, 26.4.2002, 21.4.2005, 24.10.2006, del pleno de 12.1.2007 y 24.4.2007. Esta doctrina se ha visto en cierto modo reforzada por la Sala 3ª del TS, sobre materia fiscal, donde se establece la determinación estatutaria y cierta de la retribución para que pueda ser computada como un gasto a efectos del impuesto de sociedades (SSTS, 3ª, de 13 de noviembre de 2008 y otras antes citadas). Sobre estas últimas resoluciones pueden verse, en sentido crítico, Roncero, Comentario a las SSTS de 13 de noviembre de 2008 sobre retribución de administradores. Grado de concreción del sistema retributivo de los administradores en los estatutos sociales de una sociedad anónima, en RdS, 32, 2009, pp. 79-97. 38 Vid., entre otros, Esteban Velasco, La administración de la sociedad de responsabilidad limitada, en Tratando de la sociedad limitada, coord. Paz-Ares, Madrid, 1997, p. 748; Malagón Ruiz, Conflictos societarios; supuestos diversos, Madrid, 2013, p. 33 ss. 39 Vid. Paz-Ares, Ad imposibilia, cit., p. 10. 40 Hay que incluir aquí no sólo las retribuciones periódicas previstas para el tiempo de ejecución de los servicios contractuales, sino también otro tipo de retribuciones, como las indemnizaciones pactadas para el caso de la extinción del vínculo de empleo por decisión de la sociedad (SSTS, 30.12.1992, 31.7.1997, 21.4.2005, 27.4.2007).

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su ámbito de aplicación la actividad que se limite, pura y simplemente, al mero desempeño del cargo de consejero o miembro de los órganos de administración en las empresas con forma societaria y siempre que su actividad sólo comporte la realización de cometidos inherentes a tal cargo (STS, 31.10.2007)41 No obstante, la doctrinas registral (RRDGRN: 3.4.2013, 29.4.2013, 6.5.2013, 22.5.2013 y 12.5.2014)42 y jurisprudencial recogen la posibilidad más o menos excepcional de que en algún caso se esté ante una doble relación jurídica, esto es, cuando las facultades y funciones atribuidas por contrato rebasen las propias de los administradores (SSTS: 9.5.2001, 27.3.2003, 5.3.2004, 21.4.2005, 10.6.2006, 12.1.2007, 24.4.2007, 31.10.2007, 29.5.2008 y 19.12.2012), para lo que se exige un elemento objetivo de distinción entre las actividades debidas por una y otra causa (SSTS: 5.3.2004, 21.4.2005, 31.10.2007 y 29.5.2008). Más concretamente, como ha sostenido la Sala de lo social del TS de manera reiterada (así en las de 20.11.2002, 26.12.2007, 24.5.2011 y 20.11.2012; con antecedentes en otras muchas: 21.1.1991, 3.6.1991, 18.6.1991, 27.1.1992, 11.3.1994), si existe una relación de integración orgánica, en el campo de la administración social, cuyas facultades se ejercitan directamente o mediante delegación interna, la relación no es laboral, sino mercantil, lo que conlleva a que, como regla general, sólo en los casos de relaciones de trabajo, en régimen de dependencia, no calificables de alta dirección, sino como comunes, cabría admitir el desempeño simultáneo de cargos de administración de la sociedad y de una relación de carácter laboral43. A nuestro juicio lo que se está reconociendo en estos casos es la existencia de dos planos en las relaciones entre la sociedad y los administradores44.

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Vid. Malagón Ruiz, Conflictos, cit., p. 37. Vid. Sánchez Rus, Las cláusulas, cit., pp. 23-25. También Fernández del Pozo, El misterio, cit., pp. 208-2010 y 240-243, con referencias a la Resolución de la DGRN de 3 de abril de 2013. Al decir de este autor, lo que no se concebía bajo el régimen jurídico anterior a la Ley 31/2014, es la existencia de un tertium genus de mecanismos retributivos como el que ahora, al parecer, se contempla en el muy discutido y discutible nuevo art. 249 de la LSC, de modo que ahora con la reforma introducida por la Ley 31/2014, estamos ante una partición tripartita de la remuneración de los administradores: la básica de la función supervisora, la complementaria por las funciones ejecutivas y la extra-estatutaria por obras y servicios contratados con un administrador. 43 En la doctrina mercantil puede verse Sánchez Calero, Los administradores en las sociedades de capital2, Cizur Menor, 2007, pp. 271-274. 44 Parece que alude a estos dos planos Fernández del Pozo (El misterio, cit., pp. 208-210 y 240-243) cuando nos dice que lo que no se concebía bajo el régimen jurídico anterior 42

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Uno el plano orgánico, donde la retribución se tiene que acomodar a las exigencias estatutarias propias del órgano de administración; y otro, el plano laboral o profesional de prestación por el administrador de algún tipo de servicio a la sociedad ajeno a las tareas propias de gestión45, que tenía un tratamiento específico en el antiguo art. 67 de la LSRL46 y ahora en el 220 de la LSC, igualmente referido a la sociedad limitada. Pero no acaba aquí la cosa, porque como nos dice el profesor Alfaro47, la cuestión se complica cuando es nombrado administrador una persona que viene desempeñando con anterioridad funciones directivas específicas, como pueden ser las de director financiero o jefe de auditoría interna de la empresa, donde al parecer se ha admitido en algún caso la compatibilidad entre el contrato laboral y el contrato de administración48. En estos casos, nos sigue diciendo, dependerá de la interpretación de la voluntad de las partes determinar qué sucede con el contrato laboral en curso, de modo que en principio se puede entender que queda en suspenso, pero también cabe darlo por concluido a la vista de su contenido. Y concluye diciéndonos que esta doctrina ha sido acogida en el Derecho europeo por la STJUE de 11.11.2010, en el denominado caso “Danosa” (Asunto C-232/09), confirmada a su vez por la de 9 de julio de 2015, caso Balka-

a la Ley 31/2014, es la existencia de un tertium genus de mecanismos retributivos como el que ahora, al parecer, se contempla en el muy discutido y discutible nuevo art. 249 de la LSC, de modo que ahora con la reforma introducida por la Ley 31/2014, estamos ante una partición tripartita de la remuneración de los administradores: la básica de la función supervisora, la complementaria por las funciones ejecutivas y la extra-estatutaria por obras y servicios contratados con un administrador. 45 Vid. Embid Irujo, Comentario al artículo 67, en Comentarios a la Ley de sociedades de responsabilidad limitada, coor. Arroyo/Embid, Madrid, 1997, p. 705; Quijano, Principales aspectos del estatuto jurídico de los administradores: nombramiento, duración, retribución, conflicto de interés, separación. Los suplentes, en Derecho de sociedades de responsabilidad limitada, I, Madrid, 1996, p. 667; También parece que puede entenderse en este sentido a Estebán Velasco, La administración de la sociedad de responsabilidad limitada, en Tratando de la sociedad limitada, coord. Paz-Ares, Madrid, 1997, pp. 746-747 y 760. 46 En este sentido, y en referencia al antiguo art. 67 de la LSRL, se puede entender la STS de 28 de septiembre de 2010, donde a pesar de que los estatutos establecían la gratuidad del cargo se reconoce la licitud de la retribución de los servicios prestados por el administrador a la sociedad como abogado con base en el art. 67 LSRL. 47 Alfaro Aguila-Real, La reforma del gobierno corporativo de las sociedades de capital (XVIII), en Almacen de derecho, martes, 1 de julio de 2014, http://derechomercantilespana. blogspot.com.es, (visitado: 21/12/2015). 48 Vid. STS, 28.9.1987, 6ª, Ar. 6403, citada por Alfaro.

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ya (Asunto C-229/14), con el argumento de que se dan los requisitos de dependencia y ajenidad propios del concepto de trabajador del Derecho laboral europeo49. Enseguida volvemos sobre este novedoso aspecto. Frente a los argumentos que sustentan la doctrina del vínculo se manifestó un sector cualificado de la doctrina mercantilista española haciendo ver la necesidad de la distinción por razón de exigencias de la práctica. En este sentido se apunta la necesidad de diferenciar entre formas simples (administrador único, dos administradores conjuntos o varios administradores solidarios) y formas complejas (consejo de administración) de organizar la administración de una sociedad.50 En las formas simples, como es el caso del administrador único, las funciones ejecutivas de gestión ordinaria constituyen una parte natural o típica del cargo, la supervisión es algo que corresponde a la junta general de socios, de ahí que se pueda sostener que la doctrina del vínculo es aplicable porque la relación jurídica unitaria no parece en principio que se pueda desdoblar en dos contratos (laboral y de arrendamiento de servicios), y por mandato legal (LSC y Estatuto de los Trabajadores) se está ante un contrato mercantil de arrendamiento de servicios especial. Y sin perjuicio de la excepción antes vista en los casos de desempeño de funciones distintas a la de administración social (camarero, cocinero, ingeniero, contable, etc.). Pero además, como en parte se acaba de anticipar, incluso en estos casos de formas simples de organización de la administración societaria y respecto a tareas propias de la administración social, puede ser que no sea aplicable la doctrina del vínculo y se produzca el desdoblamiento de la relación contractual en laboral y mercantil-societaria, si se dan respecto a la primera los requisitos de ajenidad (ni socio mayoritario, ni socio de control: asignación de los frutos de su trabajo a los socios) y dependencia (instrucciones de la junta), como ha reconocido la doctrina jurisprudencial comunitaria que se acaba de citar.

49 Vid. Alfaro Aguila-Real, La reforma del gobierno corporativo de las sociedades de capital (XVIII)”, en Almacen de derecho, martes, 1 de julio de 2014, en http:// derechomercantilespana.blogspot.com.es (visitado: 21/12/2015); Alfaro, Adiós a la teoría del vínculo, en Almacen de derecho, 16 de diciembre de 2015 en http://almacendederecho. or (visitado: 22.12.2015). 50 Paz-Ares, El enigma de la retribución de los consejeros ejecutivos, en RDMV, 2, 2007, p. 15 ss.; Gallego, Comentario al art. 217, en Com. LSC, Rojo/Beltrán, II, cit., pp. 1552-1555; Alfaro Aguila-Real, La reforma del gobierno corporativo de las sociedades de capital (XVIII), cit.; Alfaro, Adiós a la teoría del vínculo, en Almacen de derecho, 16 de diciembre de 2015, en http://almacendederecho.or (visitado: 22.12.2015).

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En los otros casos, cuando se está ante las formas complejas las cosas cambian, porque el consejo de administración, por su condición de órgano colegiado, para lo que está diseñado es más para deliberar y acordar que para ejecutar, de donde se deriva el carácter complejo, cambiante y específico de los paquetes retributivos de los consejeros ejecutivos, su función estratégica o tal vez la necesidad de que sean negociados ad hoc51. De manera muy sintética los argumentos jurídicos que se aducen son los siguientes. Por un lado, que la función ejecutiva no deriva de la designación por la junta, sino del acuerdo del consejo de delegar ciertas tareas, de ahí que sea éste el competente para fijar la retribución correspondiente. Y por otro, lo relativo al contenido material de ambos tipos de funciones, los meros consejeros dedicados a la deliberación, consulta y supervisión, mientras que los ejecutivos son los que gestionan el día a día de la empresa y por tanto mantienen una relación de prestación de servicios para la sociedad, similar a la que puede desempeñar un alto ejecutivo no consejero vinculado a la sociedad por una relación laboral de alta dirección (dependencia y ajenidad). De donde se deriva una duplicidad de relaciones jurídicas compatibles acogida por una corriente jurisprudencial minoritaria (SSTS, Sala 4ª, de 25.10.1990, 13.5.1991, 27.1.1992, 14.6.1994 y 20.10.1998). A lo que se añade que, a pesar de que no exista la relación de ajenidad que requiere el vínculo laboral (así por lo general en las sociedades cerradas donde suelen ser socios mayoritarios o de control), eso no significa que la relación no exista y no merezca por ello una retribución específica. De manera que el administrador ejecutivo mantiene dos relaciones con la sociedad, una mercantil como miembro del consejo de administración, donde se equipara con los demás miembros del consejo, y la otra, como consejero ejecutivo con funciones delegadas, laboral o mercantil, según se den o no las notas de dependencia y ajenidad. Con todo, aunque ciertamente la ley antes de la reforma de finales de 2014 no distinguía, se insiste en los datos de la realidad, asumidos por la generalidad de la doctrina, como es la existencia de una diversidad de deberes de los consejeros según sean ejecutivos o no ejecutivos, sin que esto signifique exoneración alguna, sino responsabilidad por diferentes títulos. Y en cuanto al posible fraude de ley por esta vía, se argumenta en contrario que el fraude de ley no se presume, por lo que pueden caber fines lícitos, porque una concreta patología no se puede identificar con el supuesto de hecho analizado52.

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Ibi. Vid. Paz-Ares, El enigma de la retribución de los consejeros ejecutivos, en RDMV, 2,


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Para terminar con este apartado, como nos dice el prof. Paz-Ares53 la reacción de la práctica societaria frente a la afirmación de la doctrina del vínculo ha sido la inclusión en los estatutos sociales que los consejeros ejecutivos tienen derecho a una retribución adicional a la que perciben los consejeros ordinarios. De este modo se da cobertura estatutaria y se obtiene el visto bueno de los accionistas para las tradicionales remuneraciones «contractuales», si bien con la diferencia de menor concreción de los conceptos retributivos y con la remisión de su cuantificación al consejo de administración.

3. Los codigos de conducta: el Código de buen gobierno de las sociedades cotizadas de 2015. Como es bien sabido con los Códigos de Conducta se ha intentado dotar a las grandes empresas, por lo general sociedades cotizadas, de un sistema de autorregulación que facilitase la mejora del funcionamiento del gobierno corporativo de las mismas. En el caso español se han sucedido a lo largo de estos últimos años cuatro documentos de este tipo, el denominado Código Olivencia de 199854, el Informe Aldama de 2003, el Código Unificado de Buen Gobierno (CUBG) de 200655, con algunas adaptaciones y modificaciones posteriores (2009 y 2013) y finalmente el reciente Código de buen gobierno de las sociedades cotizadas (CBGSC) de febrero de 2015. Estos textos españoles tienen una fuerte inspiración tanto en diversas Recomendaciones europeas56, como en otros textos similares de carácter internacional o nacional57. En el CUBG se dedica-

2007, pp. 15 ss.; Gallego, Comentario al art. 217, cit., pp. 1552-1555. 53 Paz-Ares, Ad imposibilia, cit., pp. 11-12. 54 Vid. Olivencia, La remuneración de los administradores y el código de buen gobierno de las sociedades cotizadas, en AA.VV., La retribución de los administradores en las sociedades cotizadas. Estudio especial de las opciones sobre acciones y otros derechos referidos a las cotizaciones, Madrid, 2003, p. 31 ss.; Jiménez Sánchez, Unas ideas previas al debate sobre la reforma sobre la remuneración de los administradores de las sociedades anónimas cotizadas, en AA.VV., La retribución de los administradores, cit., p. 23 ss. 55 Un comentario del CUBG realizado por diversos autores (Rodríguez Artigas, Alonso Ureba, Esteban Velasco, Quijano González, Velasco San Pedro y Fernández de la Gándara) puede verse en RdS, 27, 2006-2, pp. 31-160. 56 Recomendaciones comunitarias 2004/913/CE, 2005/162/CE y 2009/385/CE, sobre sistemas de remuneración de los consejeros de las empresas que cotizan en bolsa. 57 Vid. Olivencia, Los Códigos de Buen Gobierno: valoración, en El Cronista, Octubre

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ban inicialmente las recomendaciones 35 a 41 a la materia de las retribuciones de los administradores sociales.58 Y en cuanto a su contenido se puede sintetizar en las siguientes recomendaciones: aprobación y transparencia (35), criterios orientadores (36 a 39), votación consultiva por la junta general (40) y transparencia individual de las retribuciones (41). En junio de 2013 el Consejo de la CNMV aprobó una versión revisada del CUBG para adaptarlo a las nuevas disposiciones legales (art. 61 ter LMV), lo que supuso eliminar, entre otras, algunas de las recomendaciones relativas a las remuneraciones, en particular sobre el régimen de aprobación y transparencia dado que en ese momento se trataba ya de requisitos obligatorios para todas las sociedades cotizadas. Con la modificación de 2013 las recomendaciones sobre retribuciones se agruparon de la 33 a la 36, y se concretan, respectivamente, en los siguientes aspectos: entrega de acciones sólo a ejecutivos; sobre la remuneración de los consejeros externos, que sea la necesaria para retribuir la dedicación, cualificación y responsabilidad, pero no tan elevada como para comprometer su independencia; remuneración sobre resultados, en el sentido de que se tome en cuenta las eventuales salvedades del informe del auditor externo y minoren dichos resultados; y, finalmente, cautelas técnicas en las retribuciones variables, para que éstas guarden relación con las tareas desarrolladas y no deriven de manera automática de la evolución general de los mercados, del sector de actividad o de otras circunstancias similares. Finalmente, como se ha anticipado, el Consejo de la CNMV ha aprobado el 18 de febrero de 2015 el nuevo Código de buen gobierno de las sociedades cotizadas (CBGSC). Dicho código se enmarca dentro de la reforma de la LSC producida con la Ley 31/2014, y se ha beneficiado igualmente del apoyo y asesoramiento de la Comisión de expertos en materia de gobierno corporativo. El nuevo código pasa a tener 64 recomendaciones, de las que 23 son nuevas, algunas han desaparecido por razón de su incorporación a la LSC y otras han sido modificadas. El nuevo código será de aplicación en el ejercicio 2015 y las empresas sometidas al mismo darán cuenta de su aplicación, bajo la regla «cumplir o explicar» [art. 540.4.g) LSC], en los informes anuales de gobierno corpo-

2008, pp. 26-31; Sánchez-Calero Guilarte, Crisis económica y gobierno corporativo, en RDM, 287, 2013, pp. 70-71 y 79-88. 58 Sobre las mismas puede verse, Velasco San Pedro, Retribuciones de los consejeros y altos directivos (Recomendaciones 35 a 41), en RdS, 27, 2006-2, pp. 137-147.

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rativo presentados a la CNMV en 2016. Sobre este aspecto tan propio del denominado «Derecho indicativo» o no vinculante hay que mencionar la reciente Recomendación de la Comisión 2014/208/UE, de 9 de abril de 2014, sobre la calidad de la información presentada en relación con la gobernanza empresarial («cumplir o explicar») (DOUE, 12.4.2014), cuya finalidad es ofrecer orientación a las empresas y ayudarlas a mejorar la calidad de su información de la gobernanza empresarial facilitando un marco general que se pueda adaptar a los diferentes contextos nacionales. Se trata de evitar las declaraciones excesivamente generales y que las explicaciones aportadas sobre el no cumplimiento de las recomendaciones sean lo suficientemente clarificadoras (puntos 7 a 10 de la Recomendación comunitaria). Sin embargo, frente al desarrollo pormenorizado de la disposición comunitaria, el nuevo CBGSC se limita a decir que es importante que las explicaciones facilitadas por las sociedades en relación con las recomendaciones que no sigan sean adecuadas (los motivos concretos por los que no se siguen y las posibles reglas alternativas), pero aún así no resulta del todo concorde con la Recomendación de 2014 que sin duda es bastante más exigente en este aspecto. Ahora bien hay que tener en cuenta que con anterioridad el artículo 5.7 de la Orden ECC/461/2013, ya había establecido la obligatoriedad para las sociedades cotizadas de incluir en su informe de gobierno corporativo el grado de seguimiento de cada una de las recomendaciones del código, en aquel momento el CUBG, señalando si las siguen total o parcialmente, y en caso de no seguimiento o de seguimiento parcial, explicar los motivos, de modo que todos los posibles interesados (accionistas, inversores y el mercado en general) cuenten con suficiente información para valorar el comportamiento de la sociedad. Una de las grandes novedades del código de autodisciplina de 2015 es que desarrolla veinticinco principios que supuestamente sustentan a los distintos grupos de recomendaciones59. A las remuneraciones de los consejeros se refiere el último de los principios, el veinticinco, que agrupa a las recomendaciones 56 a 64 referidas a este ámbito. El principio 25 contiene una redacción muy en la línea de lo establecido en el

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El profesor Jesús Alfaro, en una primera aproximación de urgencia al CBGSC, ha realizado una justificada crítica a dichos principios, que tilda de textos inútiles para interpretar las recomendaciones y pide expresamente su supresión (“El nuevo Código de buen gobierno de las sociedades cotizadas. Comentarios de urgencia”, en http:// derechomercantilespana.blogspot.com.es/,visitado 5.3.2015).

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nuevo art. 217 de la LSC y en alguna de las recomendaciones del código anterior60. Y por lo que se refiere a las recomendaciones: que la remuneración sea la necesaria para atraer a los mejores o más adecuados y se retribuya la cualificación y la responsabilidad, pero sin que sea tan elevada como para comprometer la independencia de criterio de los no ejecutivos (56). Que las remuneraciones variables, entrega de acciones, opciones, etc., se circunscriban a los consejeros ejecutivos. Con alguna excepción (57). Que las políticas retributivas incorporen límites y algunas cautelas en el caso de las remuneraciones variables, para asegurar que guardan relación con el rendimiento profesional y no derivan de manera automática de la evolución general de los mercados o de otras circunstancias similares. Y más concretamente, se fijen criterios predeterminados y medibles que tengan en cuenta el riesgo asumido, se promueva la sostenibilidad y la creación de valor a largo plazo, así como la gestión de riesgos; y se establezca un equilibrio entre el cumplimiento de objetivos a corto, medio y largo plazo con la finalidad de evitar la sobrevaloración de hechos puntuales, ocasionales o extraordinarios (58). Que se aplacen una parte importante de los pagos de las remuneraciones variables hasta poder comprobar el cumplimiento de las condiciones establecidas (59). Que se tomen en cuenta las eventuales salvedades del auditor externo que minoren los resultados (60). Que un porcentaje relevante de la remuneración variable de los consejeros ejecutivos esté vinculado a la entrega de acciones o de instrumentos financieros referenciados a su valor (art. 61). El establecimiento de un límite cuantitativo y temporal para la transmisión de las acciones recibidas o el ejercicio de las opciones o derechos, con alguna salvedad (62). Que los contratos con los consejeros incluyan una cláusula clawback, que permita a la sociedad reclamar el reembolso de los componentes variables cuando el pago no haya estado ajustado a las condiciones de rendimiento o se haya abonado sobre datos inexactos (63). Y, finalmente, la fijación de unos límites cuantitativo y temporal a los pagos por resolución del contrato, dos años de la retribución total anual y aplazamiento hasta el momento de la comprobación del cumplimiento de los criterios establecidos (64).

60 Principio 25: “La remuneración del consejo de administración será la adecuada para atraer y retener a los consejeros del perfil deseado y retribuir la dedicación, cualificación y responsabilidad que exija el cargo sin comprometer la independencia de criterio de los consejeros no ejecutivos, con la intención de promover la consecución del interés social, incorporando los mecanismo precisos para evitar la asunción excesiva de riesgos y la recompensa de resultados desfavorables”.

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En general se puede decir que los criterios desarrollados por los códigos de gobierno corporativo están presididos por la finalidad de permitir contratar a los mejores, pero a su vez vienen acompañados de ciertas limitaciones que eviten los pagos excesivos y así mantener cierta proporcionalidad entre retribución y trabajo61. En este último sentido se recomienda que se compruebe si se han efectuado las prestaciones que se alegan, así la recomendación 34 (antes 37) del CUBG que hacía referencia a los consejeros externos y que hablaba de retribuir la dedicación, cualificación y responsabilidad, pero sin que sea tan elevada como para comprometer su independencia, ahora en la recomendación 56 del CBGSC. También se recomienda que las comparaciones realizadas (por ejemplo, mercado de ejecutivos) estén correctamente establecidas, si bien el consejo del CUBG era precisamente no recurrir a estas comparaciones para evitar una tendencia alcista (efecto escalada o ratchet effect), por la enorme dificultad de la comparación. Igualmente que se establezca la relación entre el beneficio social y la prestación realizada, sin remitirla a la evolución general de los mercados o de un sector concreto de actividad, como lo reflejaba la recomendación 36 (antes 39) del CUBG relativa a las cautelas técnicas en las retribuciones variables, y ahora con mayor precisión la 58 del CBGSC. También, aunque el CUBG no decía nada de manera expresa, se apunta, en línea con el moderno Derecho alemán de sociedades, la aplicación de un criterio de proporcionalidad62, hoy incorporado en nuestro derecho positivo, pero que con antelación se podía deducir de la cláusula general del interés social63. Así lo podemos ver desde hace algún tiempo en diversas sen-

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Vid. Melero Bosch/Navarro Frías, Responsabilidad, cit., pp. 241-242. La referencia hay que hacerla al reformado parágrafo 87 de la Aktiengesetz por la Ley de 31 de julio de 2009 (Gesetz zur Angemessenheit der Vorstandsvergütung: VorstAG), si bien se califica de proporcionalidad adecuada (o razonable) y se limita la remuneración a una cuantía que debe ser la habitual (según tareas y prestaciones y situación de la sociedad), salvo que razones particulares justificasen que la remuneración sobrepase ese nivel. De todas formas estos criterios no resuelven todas la dudas, porque el criterio de la habitualidad es complejo y no siempre conduce a una remuneración adecuada (Vid. Recalde/Schönnenbeck, La Ley alemana sobre la proporcionalidad de la remuneración de los miembros de la dirección en las sociedades anónimas, en RDM, 277, 2010, p. 1065 ss., esp. pp. 1068-1070. También Quijano, Retribución de consejeros y directivos: la reciente evolución en el Derecho español, en AAVV, Estudios de Derecho mercantil en homenaje al Profesor José Mª. Muñoz Planas, Cizur Menor, 2011, pp. 704-705). 63 Juste Mencía, Retribución de consejeros, en El gobierno de las sociedades cotizadas, dir. Esteban Velasco, Madrid, 1999, pp. 527-528; Llebot Majo, Los deberes de los 62

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tencias de nuestro Tribunal Supremo: de 1 de julio de 1963, 15 de mayo de 1979, 5 de marzo de 2004 y de 25 de junio de 2012. El CBGSC, en el principio 25 que preside las recomendaciones sobre remuneraciones de los consejeros, dado su estrecho paralelismo con el art. 217 LSC, alude implícitamente al principio de proporcionalidad y expresamente al interés social. A lo que se puede añadir, finalmente, las últimas recomendaciones incorporadas en el CBGSC en relación a los aplazamientos de los pagos (59), la fijación de límites cuantitativos de ciertas remuneraciones (62, 64) o la inclusión de las cláusulas de reembolso (63). Como es sabido en estos casos estamos ante meras recomendaciones sometidas al principio de «cumplir o explicar», pero con la particularidad de que en materia de retribuciones las explicaciones sobre su no cumplimiento no se plantea tan fácil como en otros ámbitos meramente organizativos64. En este sentido se nos dice que la finalidad de las recomendaciones es evitar que los recursos sociales vayan a un fin distinto al de la adecuada compensación de los servicios prestados. De donde se puede entender que el deber de diligencia limita o hace difícil las posibles explicaciones más allá de lo previsto en las propias recomendaciones de buen gobierno, máxime a la vista de las restricciones establecidas en el art. 226.2 LSC sobre la aplicación de la regla de protección de la discrecionalidad empresarial65. Si nos aproximamos a los Informes de Gobierno Corporativo de la Comisión Nacional del Mercado Valores de los últimos años (2007, 2008 y 2009) podemos comprobar lo siguiente66. Primero que las recomenda-

administradores de la sociedad anónima, Madrid, 1996, p. 115 ss.; Paz-Ares, El enigma de la retribución de los consejeros ejecutivos, en InDret, 1/2008, pp. 54-55; Melero Bosch/ Navarro Frías, Responsabilidad, cit., pp. 242-243; García Alvarez, Posibles, cit., pp. 195196. No obstante, esta última autora apunta que los hechos han demostrado que la vía de la impugnación de los acuerdos sociales por lesivos al interés social no han evitado la asunción excesiva de riesgos, lo que ha afectado no sólo al interés social, sino al interés público en el caso de las entidades de crédito, por lo que se pide no sólo intervención sobre transparencia e información para el accionista y el mercado, sino también sobre aspectos sustantivos de los sistema retributivos. 64 Vid. Juste Mencía/Campins Vargas, La retribución de los consejeros delegados o de los consejeros con funciones ejecutivas. El contrato entre el consejero ejecutivo y la sociedad (arts. 249.3 y 4 y 529 octodecies LSC), en Junta general y consejo de administración en la sociedad cotizada (dir. Rodríguez Artigas et alli), II, Cizur Menor, 2016, pp. 792-793. 65 Sobre este aspecto nos remitimos a lo que se dirá más adelante en el epígrafe 6.2.7. 66 Vid. Ruiz de la Vega/Prieto Ruiz, Los sistemas retributivos de los consejeros de las sociedades cotizadas: nivel de transparencia, evolución y estructura de las remuneraciones, en Boletín Trimestral de la CNMV, IV, 2010, p. 81; Sánchez-Calero Guilarte,

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ciones menos implantadas han sido las relativas a la aprobación y transparencia de las retribuciones. Segundo, que menos de la mitad de las sociedades cotizadas somete a la junta general con carácter consultivo el informe sobre política de retribuciones. Tercero, que se formulan reproches a la información facilitada, en el sentido de poco clara, confusa y sin el desglose de los diferentes tipos de retribuciones. Cuarto, si bien el informe sobre retribuciones tiene un alto seguimiento, sin embargo no suele ser claro respecto a las retribuciones variables. En definitiva, como se nos dice de manera autorizada67, los datos facilitados por la CNMV, en los años señalados, mostraron una práctica empresarial insatisfactoria y es lo que en buena medida han propiciado, junto con las nuevas tendencias en el ámbito internacional68, la positivación de la materia, en nuestro caso, inicialmente por medio de la Ley de Economía Sostenible de 2011 y posteriormente por la Ley 31/2014 de modificación de la LSC. En el IAGC de la CNMV de 2013 se puede ver que el grado de seguimiento del CUBG siguió creciendo y se situó de media en el 84% de las recomendaciones, frente al 82,4 % en el 2012. En el caso del selectivo Ibex35 llega al 93,7%. En cuanto a las recomendaciones menos seguidas son las relativas a la presencia de consejeros independientes en los órganos de gobierno, entre las mismas la 49 relativa a los miembros de la comisión de nombramientos y retribuciones, que no fue seguida por el 38,6% de las sociedades. Entre las recomendaciones con un seguimiento medio (70% a 80%) figura la de reservar la remuneración mediante entrega de acciones sólo a los ejecutivos (77,9%), las demás relativas a las retribuciones están por encima de estos porcentajes. Y en su conjunto, la categoría de recomendaciones sobre las retribuciones, es la que más sube en el grado de seguimiento al haberse convertido en normas legales las recomendaciones anteriores sobre aprobación y transparencia. En el último IAGC de de 2014, la CNMV nos revela que continúa la tendencia de mejora progresiva del seguimiento general de las recomendaciones del CUBG iniciada hace ya seis años. Las sociedades cotizadas siguieron el 85,4% de las recomendaciones. Y de nuevo el mayor grado de cumplimiento se da en las empresas del Ibex, donde el porcentaje llega al 93,8%. Las recomendaciones con un menor grado de seguimiento son

Norma y autorregulación, cit., pp. 733-735; Zarzalejos Toledano, Las remuneraciones de los consejeros en las sociedades cotizadas españolas, en LA LEY mercantil, 2, 2014, p. 6. 67 Vid. Sánchez-Calero Guilarte, Norma y autorregulación, cit., pp. 733-735 68 Cfr. Huet/Reygrobellet, Les dirigents, cit., pp. 516-517.

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las relativas a la presencia de consejeros independientes en los órganos de gobierno, las relacionadas con la dedicación de los consejeros, composición de las comisiones de supervisión y control, diversidad de género o composición de la comisión delegada, con un seguimiento inferior a la media. Y por último, como es natural, para el próximo año los IAGC se deberán adaptar al nuevo CBGSC de 2015 y a la reforma de la LSC.

4. La crisis económica y el fracaso de la autorregulación: la ley de economia sostenible. El acuerdo consultivo sobre las remuneraciones. 4.1. La Ley de Economía Sostenible y la reforma de la Ley del Mercado de Valores: de lo voluntario a lo obligatorio. La crisis económica de 2008 ha evidenciado y acentuado las carencias de la autorregulación desarrollada con los códigos de buen gobierno corporativo. Y la verdad es que no resulta del todo extraño, porque ya desde hace algún tiempo se habían alzado voces prestigiosas en el panorama internacional pronosticando cierto fracaso de los sistemas autorregulatorios. La cuestión es que el legislador español, de la misma manera que en otros países, se ha visto en la necesidad de acudir al boletín oficial del estado para solventar algunos de los problemas planteados. En nuestro caso esta primera reconversión de lo voluntario a lo obligatorio se ha producido con la Ley 2/2011, de Economía Sostenible (en adelante LES), donde se introducen algunas modificaciones en la Ley del Mercado de Valores. Concretamente el art. 27 de la LES estableció, en relación a las sociedades cotizadas y las entidades de crédito, la mejora de la transparencia de la remuneración y de las políticas retributivas de los administradores y de sus altos ejecutivos. Más concretamente la Disposición Final 5ª, tres, introdujo un nuevo Capítulo VI dentro del Titulo IV, titulado «Del informe anual de gobierno corporativo», con dos nuevos preceptos, los arts. 61 bis y 61 ter LMV69. El primero de estos preceptos se refiere al Informe Anual de Gobierno Corporativo (IAGC).

69 Preceptos derogados por la Ley 31/2014 de reforma de la LSC para la mejora del gobierno corporativo. Hoy hay que hablar del TRLMV aprobado por el Real Decreto Legislativo 4/2015, de 23 de octubre (BOE, 24.10.2015).

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Y el segundo, reformado a su vez con posterioridad por la D.F. 6ª, uno, de la Ley 26/2013, de 27 de diciembre, de cajas de ahorro y fundaciones bancarias, que sin duda es el más relevante para nosotros, se refiere al Informe Anual sobre Remuneraciones de los Consejeros (IARC). En cuanto al IAGC, según el art. 61 bis LMV, se deberá hacer público anualmente por las sociedades cotizadas en su página web, así como se deberá remitir a la CNMV y ser difundido como un hecho relevante. En cuanto a su contenido, se referirá a la estructura de propiedad de la sociedad, las posibles restricciones a la transmisibilidad de valores o de derechos de voto, estructura de la administración de la sociedad, operaciones vinculadas con los accionistas y sus administradores, sistemas de control de riesgos, funcionamiento de la junta general y desarrollo de las reuniones, grado de seguimiento de las recomendaciones de gobierno corporativo, o la explicación por su no seguimiento, etc. Junto con el IAGC, el art. 61 ter, impone a los consejos de administración de las sociedades anónimas cotizadas la obligación de elaborar el IARC, que deberá contener, de manera similar a las recomendaciones 39 y 40 del CUBG, una información completa, clara y comprensible sobre la política de remuneraciones de la sociedad aprobada por el consejo para el año en curso, la prevista para los años futuros y también la del ejercicio anterior, y se detallará las retribuciones individuales devengadas por cada consejero. El precepto mencionado se ha desarrollado con la Orden ECC/461/2013, cuyo art. 10 detalla el contenido del informe70, y con las Circulares de la CNMV 4/2013, que se refiere a los diferentes modelos de IARC, y la 5/2013, sobre los modelos de IAGC71. Pero sin duda el as-

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Por medio de la citada Orden Ministerial se determinan el contenido y la estructura del informe anual de gobierno corporativo, del informe anual sobre remuneraciones y de otros instrumentos de información de las sociedades anónimas cotizadas, de las cajas de ahorro y de otras entidades que emitan valores admitidos a negociación en mercados oficiales de valores (BOE, 23.3.2013). Como se ha dicho autorizadamente, no se acierta muy bien a entender la demora en la aprobación de esta disposición de desarrollo de la LES de 2011, quizá por la repercusión de la definición normativa de las categorías de consejeros (Vid. Sánchez-Calero Guilarte, Retribución, cit., p. 276). También puede verse Mejías Gómez, La orden ECC/461/2013, de 20 de marzo, sobre contenido y estructura del informe anual de gobierno corporativo y el informe anual de remuneraciones, en RdS, 40, 2013, pp. 573-584. 71 La primera desarrolla los modelos de informe anual de remuneraciones de los consejeros de sociedades anónimas cotizadas y de los miembros del consejo de administración y de la comisión de control de las cajas de ahorro que emitan valores admitidos a negociación en mercados oficiales de valores, y la segunda, los modelos

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pecto más relevante de la nueva normativa imperativa es la exigencia de someter este IARC, con carácter consultivo, y como punto separado del orden del día, a la juntas generales ordinarias de accionistas celebradas a partir del 1 de enero de 2014 (art. 61 ter.2 LMV). Se trata del denominado «say on pay» de origen norteamericano72. Por tanto parece que los accionistas de las sociedades cotizadas se deberán pronunciar sobre la retribución prevista para el futuro, parece que a corto y medio plazo, y sobre la que ya ha sido pagada. En este último caso, probablemente, con la finalidad de poder verificar el cumplimiento o no de la política de retribuciones del ejercicio anterior. Veamos con algo más de detenimiento esta cuestión. 4.2. El acuerdo consultivo de la junta general de accionistas sobre el IARC: libertad y transparencia. Lo primero que se puede decir sobre esta norma es que constituye en cierto modo una devolución de competencias del órgano de administración a la junta general de socios, si bien es cierto que con unas condiciones un tanto especiales dado el carácter meramente consultivo y el contenido que se somete a dicha consulta, no las retribuciones particulares, sino el IARC en su conjunto. Hay que tener en cuenta cuáles son los fines de política jurídica perseguidos con la norma en cuestión. Por un lado dar mayor participación a los accionistas en la compañía, pero sin llegar a establecer que la decisión última quede en sus manos, sino mediante una fórmula sui generis que pretende mejorar el nivel de información de los accionistas y del mercado bursátil en general73. No obstante, este aspecto fundamental de la norma ha dado lugar ya a algunas dudas y críticas por diferentes razones74. En primer lugar porque es generador de una cierta inseguridad jurídica sobre el alcance del mismo, porque no se acaba de entender muy bien cuál puede ser

de informe anual de gobierno corporativo de las sociedades anónimas cotizadas, de las cajas de ahorro y de otras entidades que emitan valores admitidos a negociación en mercado oficiales de valores (BOE, 24.6.2013). 72 La Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act de 2010 (DoddFrankAct). 73 Vid. Sánchez-Calero Guilarte, Retribución, cit., pp. 269 ss., esp. 288 y 291; Melero Bosch/Navarro Frías, Responsabilidad, cit., p. 216 ss. 74 Vid. Sánchez-Calero Guilarte, Norma y autorregulación, cit., p. 743. Más recientemente, del mismo autor, Retribución, cit., p. 282 ss. También, Melero Bosch/ Navarro Frías, Responsabilidad, cit., p. 218.

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la finalidad de una norma que se nos presenta como la gran novedad de la reforma, y en este sentido como la norma que intenta conciliar los intereses de los propietarios, esto es, de los accionistas, con los de los administradores, cuando en realidad su finalidad última parece estar destinada a agotarse en una mera formalidad informativa y de transparencia sin mayor trascendencia75. En segundo lugar, en línea con lo anterior, porque el pretendido carácter consultivo choca frontalmente con el carácter ejecutivo de los acuerdos de la junta general de accionistas76, como así se establece en el art. 159.2 LSC, que habla de que todos los socios (incluso los disidentes y los que no hayan participado en la reunión) quedan sometidos a los acuerdos de la junta general. Y del mismo modo obligan a los administradores. Y tercero por lo incongruente que resulta con la Recomendación europea de 2009 que llama a los accionistas a votar. No obstante, detrás del carácter consultivo está la Recomendación europea de 2004, que trataba de respetar los derechos nacionales que atribuían la competencia sobre remuneraciones exclusivamente al órgano de administración, y también, por otro lado, evitar los posibles efectos retroactivos del acuerdo. Pero sobre esto último hay que decir que la Recomendación europea de 2009 lo permite cuando la retribución se hubiese fundamentado en datos inexactos. Finalmente, en cuanto a los resultados de la votación consultiva sobre el IARC de las sociedades del IBEX 35 para el ejercicios 2013, casi la mitad de las sociedades han recibido más de un 95% de los votos de sus respectivas juntas generales de accionistas, y en el resto de los casos ninguna ha bajado del 70%. Por lo que se refiere al ejercicio 2014, 16 compañías del Ibex35 y 24 no integradas en el selectivo han obtenido un respaldo en sus juntas generales igualmente del 95% de los votos a favor del IARC. Y sólo una compañía (Grifols) ha obtenido menos del 60% de los votos emitidos en la aprobación de dicho informe.

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Se puede decir que la nueva norma constituye un refuerzo de lo ya establecido en el art. 260.9ª LSC en relación al contenido de la memoria, pero que como es sabido presenta como principal carencia informativa la posibilidad de que la información sobre las retribuciones de consejeros y personal de alta dirección se facilite de manera global por concepto retributivo y no de manera individualizada (Vid Melero Bosch/Navarro Frías, Responsabilidad, cit., p. p. 216). 76 Vid. Velasco San Pedro, Retribuciones, cit., p. 145. Y, de nuevo, Sánchez-Calero Guilarte, que habla de una suerte de voto de confianza a la gestión de los administradores (“Retribución, cit., p. 282 ss.).

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5. Regimen jurídico específico de las entidades financieras: del RDLey 2/2012 (y Ley 9/2012) a la Ley 10/2014, de ordenación, supervisión y solvencia de las entidades de crédito. En el caso de las entidades financieras se ha desarrollado un régimen jurídico especial de carácter imperativo que llega a introducir límites cuantitativos a las retribuciones de los consejeros y de los altos directivos.77 Si bien hay que comenzar diciendo que en realidad estamos ante dos régimen jurídicos específicos para las entidades de crédito, porque mientras el primero, el representado por el RD-Ley 2/2012, tiene un claro carácter de urgencia, de marcado acento intervencionista de ciertas entidades y de transitoriedad hasta la desaparición de las causas que lo originaron, el segundo, el más reciente, desarrollado por la Ley 10/2014, de ordenación, supervisión y solvencia de las entidades de crédito (en adelante LOSSEC), es de carácter general, con visos de perennidad y, aunque con un régimen jurídico imperativo, su grado de intervencionismo sobre la materia retributiva es mucho menor. Por lo que se refiere al primero de estos dos regímenes jurídicos señalados, en el art. 5 del RD-Ley 2/2012, de 3 de febrero, de saneamiento del sector financiero (desarrollado por la Orden ECC/1762/2012), modificado a su vez por la Ley 9/2012, de 14 de noviembre, de reestructuración y resolución de entidades de crédito, establece las cuantías máximas anuales a percibir por administradores y directivos de entidades de crédito participadas por el FROB, o bien que reciban apoyo financiero de éste, a lo que se añade la prohibición de fijar remuneraciones variables. Como decimos este régimen jurídico especial claramente intervencionista se justifica por dos razones, bien porque la entidad financiera en cuestión obtuvo ayudas públicas para continuar en el mercado78, o bien porque fue intervenida y la totalidad o parte del capital pasa a estar en manos públicas, concretamente del Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria (FROB)79. Hay que partir de una noción de retribución amplia, de modo que entran todo tipo de retribuciones, dietas, pagos en especie, beneficios discrecionales de pensiones, aportaciones a planes

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Vid. García Alvarez, Posibles límites, cit., pp. 179 ss.; Girbau Pedregosa, Restricciones a la remuneración de administradores y directivos de entidades de crédito: modos, intervención y gobierno corporativo, en RDBB, 129, 2013, pp. 173 ss. 78 Vid. art. 2.2. párrafo 1º, Orden ECC/1762/2012. 79 Vid. García Alvarez, Posibles límites, cit., pp. 190-195.

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de pensiones, indemnizaciones o cantidades asimiladas que los directivos y administradores perciban de las entidades en las que ejerzan cualquier cargo por cuenta o en representación de la entidad participada o apoyada por el FROB. Y en cuanto al régimen jurídico hay que distinguir en función del grado de apoyo financiero mencionado. Si la entidad está participada mayoritariamente por el FROB se suprimen las retribuciones variables y los beneficios discrecionales de pensiones para el ejercicio 2012, si bien se matiza en función de que se mantenga o no la participación mayoritaria en la entidad y desde una comparativa de carácter horizontal. El límite máximo de retribución fija bruta anual para los administradores se fija en cincuenta mil euros, y en el caso de los presidentes ejecutivos, consejeros delegados, cargos similares y directivos no podrá superar los trescientos mil euros. Como se ve la diferencia es notable y se justifica por razón de las mayores tareas y responsabilidades de estos últimos en las tareas de gestión diaria. En todo caso hay que entender que este último es un límite total que engloba al anterior, de modo que esta cifra última no puede ser superada. En cuanto a la retribución variable, cuando es posible, como decimos se establecen parámetros de referencia comparados de carácter horizontal (la media de las entidades equiparables por tamaño y complejidad), lo que resulta criticable por el posible efecto alcista al no haberse fijado ningún tope máximo. En el otro caso de las entidades de crédito que han recibido apoyo financiero público, en principio se remite a la media de las entidades equiparables por complejidad y tamaño, pero lo acompaña en este caso de unos límites máximos sensiblemente superiores a los anteriores. Para los administradores la retribución fija bruta anual no podrá ser superior a cien mil euros, mientras que para los presidentes ejecutivos, consejeros delegados y directivos no podrá superar los quinientos mil euros. Por lo que se refiere a la retribución variable, el límite es similar al antes mencionado y se establece que se corresponda con la media de las entidades equiparables por tamaño y complejidad. En este caso la Orden mencionada sí que fija límites máximos para las retribuciones variables, que no podrá superar el 60% de la retribución fija anual que perciban. Salvo en el caso de los directivos, no administradores, contratados después o simultáneamente a la recepción del apoyo financiero público en cuyo caso la retribución variable podrá llegar al 100% de la retribución fija. Ahora bien, el pago de la retribución variable se aplaza tres años y se condiciona a la obtención de los resultados que justifiquen su percepción (art. 5.2 RD-L 2/2012). La labor de supervi-

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sión y verificación de los planes corresponde al Banco de España80. En cuanto a las posibles salvedades respecto a la imposición de las limitaciones mencionadas, como es natural todas estas limitaciones desaparecerán con el saneamiento de la entidad de crédito y el reintegro del apoyo financiero recibido (art. 5.4 RD-L 2/2012). Pero además, en los casos que se desarrolle algún proceso de integración empresarial, no quedarán sujetos los administradores y directivos que no formasen parte de la entidad auxiliada, aunque pasen a formar parte de la misma. Por último, este sistema de limitaciones se extiende igualmente a otro de los conceptos retributivos como son las indemnizaciones pactadas en los contratos de personal de alta dirección por cese; por extinción del contrato a consecuencia de sanciones por incumplimientos graves, en cuyo caso no se permite indemnización alguna; o bien en los casos de suspensión de los contratos por sustitución de los órganos de administración o de los órganos directivos de las entidades de crédito, o por suspensión provisional de las personas que integran estos órganos por ser calificados como presuntos responsables de infracciones graves según el art. 24 de la Ley 26/198881, donde desaparece la obligación de trabajar y el derecho a ser retribuido. En el primer caso el límite se establece entre trescientos (entidad participada mayoritariamente por el FROB) y quinientos mil euros (entidad con apoyo financiero público) o bien dos años de la remuneración fija estipulada según lo antes visto, la menor de estas dos, con alguna excepción para los contratados después o simultáneamente a la toma de participación o del apoyo financiero público a juicio del Banco de España. En cuanto al régimen general para todas las entidades de crédito82 desarrollado por la LOSSEC de 2014, lo tenemos en sus artículos 28 a 38,

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Vid. Girbau Pedregosa, Restricciones, cit., p. 200 ss. Esta disposición ha sido derogada por la Ley 10/2014, de 26 de junio, de ordenación, supervisión y solvencia de las entidades de crédito. 82 Por entidades de crédito entiende la ley a los bancos, las cajas de ahorro, las cooperativas de crédito y el Instituto de Crédito Oficial (art. 1). Un régimen jurídico muy similar se ha desarrollado para las empresas de servicios de inversión en los artículos 188 y 189 del nuevo TRLMV, aprobado por el RD Legislativo 4/2015, donde el primero de estos artículos se remite expresamente a los artículos 33 y 34 de la LOSSEC. Por empresas de servicios de inversión se entiende aquellas cuya actividad principal consiste en prestar servicios de inversión, con carácter profesiona, a terceros sobre los instrumentos financieros señalados en el artículo 2 (art. 138 TRLMV). Y se consideran empresas de servicios de inversión las siguientes: las sociedades de valores, las agencias de valores, las sociedades gestoras de carteras y las empresas de asesoramiento financiero (art. 143.1 TRLMV). 81

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sobre la regulación del gobierno corporativo y la política de remuneraciones. Más concretamente los preceptos en materia de remuneraciones son los siguientes: el 32 (política de remuneraciones), 33 (principios generales de la política de remuneraciones), 34 (elementos variables de la remuneración), 35 (Entidades de crédito que reciban apoyo financiero público) y 36 (Comité de remuneraciones). Desde un punto de vista muy general se puede apuntar lo siguiente sobre el diseño de este régimen jurídico. Por un lado, sin perjuicio de las concreciones y las particularidades específicas, se puede entender que se corresponde con la nueva filosofía jurídica que inspira la reforma de la LSC por la Ley 31/2014. Es más se puede decir que en el caso de las entidades de crédito se está ante una aplicación más estricta. Por otro, en línea con lo anterior, muchas de las decisiones relevantes a tomar deben estar controladas por el Banco de España como autoridad de supervisión. En tercer lugar, en cuanto a los antecedentes hay que decir que la disposición española transpone parcialmente al Derecho español la Directiva 2013/36//UE, de 26 de junio, de acceso a la actividad de las entidades de crédito y a la supervisión prudencial de las entidades de crédito y las empresas de inversión, en nuestro caso de estudio concretamente los artículos 92 y siguientes. Esta disposición europea hay que conectarla muy estrechamente con el Reglamento 2013/575/UE, también de 26 de junio, sobre los requisitos prudenciales de las entidades de crédito y las empresas de servicios de inversión, artículo 450. Ambas disposiciones se enmarcan dentro los estándares publicados por el Comité de Basilea según los objetivos acordados por el G-2083. Y, finalmente, hay que recordar que las entidades de crédito quedan igualmente sometidas a las normas generales propias de las sociedades mercantiles, pero siempre que no se opongan a las disposiciones específicas vistas, al Reglamento 575/2013/UE, ni a otras disposiciones españolas o europeas que contengan preceptos específicamente referidos a las entidades de crédito y, en particular, a la normativa especial por la que se rigen las cajas de ahorro y las cooperativas (art. 2 LOSSEC). De manera algo más concreta, como se ha anticipado, estamos ante un régimen jurídico general para todas las entidades de crédito, con alguna particularidad para los casos de las entidades que reciban en

83 Sobre la retribución de los administradores y directivos de las entidades de crédito el Comité de Basilea ha difundido dos documentos, en 2010 el titulado Compensation Principles and Estándars Assessment Methodology y en 2014 el documento de consulta Guidelines Corporate governance principles for Banks.

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el futuro apoyo financiero público. De los preceptos mencionados en el párrafo anterior sin duda los más relevantes son los artículos 32, 33 y 34 que desarrollan, respectivamente, la política de remuneraciones, los principios generales de esta política y, finalmente, dentro de dichos principios, los elementos variables de la remuneración. La política de remuneraciones se remite fundamentalmente a los principios del artículo siguiente y delimita el personal sujeto a estas directrices: altos directivos, empleados que asumen riesgos, los que ejercen funciones de control y algunos otros. El artículo 33 establece que la política de remuneraciones de las diferentes categorías de personal mencionadas en el art. 32.1 se determinará de conformidad con los siguientes principios generales: la promoción y compatibilidad con la gestión adecuada de los riesgos, sin ofrecer incentivos que rebasen el nivel tolerado por la entidad; compatibilidad con la estrategia empresarial, los objetivos, los valores y los intereses a largo plazo e incluirá medidas para evitar los conflictos de intereses; el personal de control será independiente y será remunerado con independencia de los resultados de las áreas de negocio que controle; la remuneración de los altos directivos en gestión de riesgos y funciones de cumplimiento será supervisada directamente por el comité de remuneraciones; y se distinguirá de forma clara entre los criterios para el establecimiento de la remuneración fija (experiencia profesional pertinente y responsabilidad en la organización) y la variable (rendimiento sostenible adaptado al riesgo y superior a lo estipulado) cuyos elementos y principios se detallan pormenorizadamente en el extenso y detallado artículo 34.

6. Nuevo regimen juridico general: la reforma de la LSC por la Ley 31/2014. 6.1. Introducción. El origen de la reciente Ley 31/2014, de 3 de diciembre, por la que se modifica la Ley de Sociedades de Capital para la mejora del gobierno corporativo, se encuentra en el Informe de la Comisión de Expertos en materia de Gobierno Corporativo, creada por acuerdo del Consejo de Ministros de 10 de mayo de 2013 y OECC 895/2013, de 21 de mayo, de donde pasa a la Propuesta de Anteproyecto de Ley de Reforma de la LSC del Ministerio de ECC y al Consejo de Ministros para convertirse en Proyecto de Ley. Con la reforma, y por lo que se refiere a nuestro objeto

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de estudio, se ha producido una modificación sustancial del régimen jurídico de la retribución de los administradores, que ha seguido de manera bastante fiel la propuesta normativa presentada en el Informe de la Comisión de Expertos en materia de Gobierno Corporativo. A lo que hay que añadir que dicha reforma está muy en la línea de las pautas marcadas en los últimos años por algunas instancias internacionales (G-20, OCDE, Comité de Basilea) y por la propia Unión Europea en relación a las sociedades cotizadas,84como son: pasar de las meras recomendaciones de los códigos de buen gobierno al derecho positivo, mayores competencias sobre la materia retributiva a la junta general de socios, publicidad de un informe detallado sobre las remuneraciones y, probablemente el aspecto más relevante y de más difícil aplicación, la fijación de un principio de razonabilidad o adecuación de las retribuciones. Pero también, desde un punto de vista más crítico, y en relación a la posición del socio minoritario en las sociedades cerradas, se nos dice que su protección queda comprometida por varias razones: por la relajación del principio de reserva estatutaria y del papel de la junta, por la aparición del «tertiun genus» remuneratorio de los consejeros ejecutivos por la vía del nuevo art. 249 LSC y, finalmente, precisamente por la introducción del principio de adecuación en las retribuciones, que a modo de cláusula de cierre del sistema ofrece una tutela insuficiente porque exige una costosa actuación judicial de incierto éxito y de ineficiente diseño.85 Nos limitamos en este momento a un mero apunte de estas cuestiones que analizaremos más adelante. Antes que nada respecto a la reforma hay que decir que los artículos 61 bis (del informe anual de gobierno corporativo) y 61 ter (del informe anual sobre remuneraciones de los consejeros) de la LMV, introducidos por la LES de 2011 antes referenciada, han quedado derogados (Disposición derogatoria de la Ley 31/2014) y sustituidos, respectivamente, por los nuevos artículos 540 y 541 de la LSC.

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Cfr. Leon Sanz, Comentario al artículo 217, cit., pp. 277-278. Vid. Fernández del Pozo, El misterio, cit., p. 211. Y, más delante (p. 213), nos recuerda este mismo autor como la DGRN ya nos venía hablando en sus resoluciones del alto valor de transparencia de la reserva estatutaria para todos: socios presentes y futuros, administradores igualmente presentes y futuros y terceros (RRDGRN: 4.10.1989, 18.2.1991 y 19.2.2015). En sentido claramente contrario a este planteamiento puede verse Alfaro Aguila-Real, La regulación de la retribución de los administradores en sociedades no cotizadas, en Almacen de derecho, martes 27 de octubre de 2015 (http:// derechomercantilespana.blogspot.com.es), pp. 2-4. 85

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De manera esquemática la reforma del régimen jurídico de la retribución de los administradores sociales se concreta en lo siguiente, por un lado, se han modificado los artículos 217 (remuneración de los administradores), 218 (remuneración mediante participación en beneficios), 219 (remuneración vinculada a las acciones de la sociedad)86, 229 (deber de evitar situaciones de conflicto de intereses: prohibición de remuneraciones externas), 230 (régimen de imperatividad y dispensa: autorización de remuneraciones externas)87 y 249 (delegación de facultades del consejo de administración: el contrato de la sociedad con el consejero ejecutivo) de la LSC, que se pueden entender en principio referidos a todo tipo de sociedades de capital, si bien lo cierto es que estamos también ante el régimen jurídico retributivo de los administradores en el caso de las sociedades no cotizadas. Y, por otro lado, para las sociedades anónimas cotizadas, se ha desarrollado un pormenorizado régimen jurídico específico, sin perjuicio de los aspectos generales regulados por los preceptos mencionados. Con esta finalidad se ha creado una nueva sección 3ª en el capítulo VII del título XIV (sociedades anónimas cotizadas) que lleva por título «especialidades de la remuneración de los consejeros», que concentra las normas básicas y abarca los nuevos artículos 529 sexdecies (carácter necesariamente remunerado), 529 sepdecies (remuneración de los consejeros por su condición de tal), 529 octodecies (remuneración de los consejeros por el desempeño de funciones ejecutivas) y 529 novodecies (aprobación de la política de remuneraciones de los consejeros). A estos preceptos hay que añadir algunos otros, anteriores y posteriores, igualmente modificados que guardan una relación directa con el contenido de los que se acaban de mencionar. Concretamente los artículos 511 bis (competencias adicionales de la junta general de

86 No entramos en el estudio de los artículos 218 y 219 LSC que, como se dice en el Informe de la Comisión de Expertos en materia de Gobierno Corporativo (p. 57), contienen una regulación de conformidad con el art. 217, y en términos similares al régimen jurídico previgente para todo tipo de sociedades de capital (Estos preceptos se corresponden con los artículos 231-88 y 231-89, respectivamente, del ALCM). Como se ha dicho las modificaciones propuestas en los arts. 218 y 219 de la LSC tratan de aclarar, precisar y flexibilizar la regulación del alcance de la determinación en los estatutos de este sistema de remuneración [Vid. Leon Sanz, Comentario al artículo 218. Remuneración mediante participación en beneficios, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. Juste Mencía, Cizur Menor, 2015, pp. 294 y 301]. 87 Sobre este aspecto nos remitimos a Paz-Ares, La anomalía de la retribución externa de los administradores. Hechos nuevos y reglas viejas, en InDret, 1, 2014.

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las sociedades cotizadas: política de remuneraciones de los consejeros) 529 duodecies (categorías de consejeros), 529 quindecies (comisión de nombramientos y retribuciones), 540 (informe anual de gobierno corporativo), 541 (informe anual sobre remuneraciones de los consejeros). Finalmente hay que mencionar el régimen transitorio establecido respecto a algunos de los preceptos mencionados (Disposición transitoria de la Ley 31/2014). Como fuente de inspiración de la nueva normativa hay que hacer referencia al Anteproyecto de Ley de Código Mercantil de 2014 (en adelante ALCM), en el que la materia de la remuneración de los administradores se desarrolla del siguiente modo: las normas generales, en los artículos 231-85 a 231-89, 231-100; y las normas específicas para las sociedades cotizadas en los artículos 283-39 a 283-43. 6.2. Régimen jurídico general para todas las sociedades de capital y en particular para las sociedades no cotizadas. 6.2.1. Introducción: la remuneración de los administradores en su condición de tales. El régimen general comienza, según lo establecido en el nuevo art. 217.1 LSC, con el mantenimiento del carácter gratuito del cargo de administrador salvo que los estatutos sociales digan lo contrario y fijen un sistema de remuneración88. En este último caso dicho sistema de remuneración determinará el concepto o conceptos retributivos a percibir por los administradores en su condición de tales, esto es, sólo como miembros del órgano de administración y al margen de cualquier otro tipo de retribución por el desarrollo de tareas ejecutivas o de dirección89. Aparece de este modo una clara distinción entre un tipo y otro de administradores con importantes consecuencias jurídicas en el régimen jurídico de las retribuciones. En la terminología utilizada por el legislador para referirse, digamos, a los administradores “ordinarios” (los administradores en su condición de tales), esto es, no ejecutivos, o con tareas básicas de gestión y de supervisión, puede haber cierta inspiración en la Recomendación octava (apartado b.ii) del Código Unificado de Buen

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Como es sabido la gratuidad es vista con recelo y sorpresa en las sociedades de capital y sería más conforme a la práctica societaria mercantil presumir lo contrario (Vid. Esteban Velasco, La administración de la sociedad de responsabilidad limitada, en, Tratando de la sociedad limitada, coord. Paz-Ares, Madrid, 1997, pp. 758-759). 89 En este sentido también el art. 231-85 del ALCM.

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Gobierno de 2006, donde se hablaba, por un lado, de la retribución de los consejeros y, por otro, de la retribución adicional de los ejecutivos por sus funciones de este tipo y demás condiciones que deban respetar sus contratos90. Si bien es cierto que respecto a esta distinción acogida en el CUBG se manifestó un sector de la doctrina haciendo ver que, a pesar de todo, el antiguo artículo 130 del TRLSA no hacia diferenciación alguna y por tanto los estatutos debían referirse tanto a los ejecutivos como a los no ejecutivos91. Y es precisamente este aspecto el que ahora ha cambiado con la reforma de finales de 2014, donde efectivamente se introduce la distinción entre uno y otro tipo de administradores. Por tanto parece procedente entender que alguien actúa «en su condición de tal»92, en nuestro caso en la condición de administrador social, cuando lo hace de acuerdo a lo más propio e inherente a dicha naturaleza, esto es, aquello de lo que no se puede desprender, como de hecho sucede con las funciones esenciales de gestión y supervisión que constituyen las tareas básicas del órgano de administración, que hoy se concretan legalmente en las denominadas facultades indelegables de los artículos 249 bis y 529 ter LSC, sin perjuicio de alguna posible ampliación de este catálogo legal93. De este modo se puede sostener

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Vid. León Sanz, Artículo 217, cit., p. 279. Así Alonso Ureba, El modelo de administración de la SA cotizada (Competencias y funcionamiento del Consejo y de la Comisión Ejecutiva) (Recomendaciones 2, 8, 16 a 22, 42 y 43), en RdS, 27, 2006-2, p. 73. 92 No obstante, estamos ante una expresión extraña o no familiar en el ámbito normativo, de ahí que se diga que (al igual que respecto a otras incluidas en la reforma) dista de ser clara en cuanto a su alcance y contenido (Vid. Campins Vargas, Dudas interpretativas del nuevo régimen de remuneración de administradores en la Ley 31/2014, p. 2; lunes, 9 de marzo de 2015, en Almacen de derecho, http://derechomercantilespana.blogspot.com.es (visitado 21.12.2015). O también, en términos más drásticos y no asumibles por nuestra parte, que se trata de una “tramposa locución”, pero sin que se llegue verdaderamente a explicar en qué o en dónde radica la trampa (Vid. Fernández del Pozo, El misterio, cit., p. 240). 93 Vid. León Sanz, Comentario al artículo 249 bis. Facultades indelegables, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. Juste Mencía, Cizur Menor, 2015, pp. 521 ss., esp. 522-523, 524-527: donde nos dice que si bien dichas facultades indelegables constituyen el núcleo esencial de la gestión y supervisión de la sociedad, no obstante, a pesar de la detallada enumeración, no se puede considerar que el catálogo se haya configurado de manera completa o cerrada, de modo que no todo lo que queda fuera puede ser objeto de delegación. En este sentido se apunta que la lista debe ser ampliada con los dispuesto tanto en la propia LSC como en otras disposiciones, como es el caso de la Ley 3/2009, de Modificaciones Estructurales (art. 244 LSC: facultad 91

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que no actúan en su condición de tales los administradores ejecutivos con funciones delegadas según el art. 249 LSC, porque estas tareas no son inherentes al cargo de administrador, sino que sólo las desarrollan alguno o algunos, de modo que no se puede decir que formen parte inescindible de la naturaleza misma del cargo. Pero bien entendido que en ciertos casos ambos tipos de tareas van a confluir en un mismo sujeto administrador, así sucede cuando no hay consejo de administración (organización simple), caso por ejemplo del administrador único, donde si es connatural al cargo la llevanza de la gestión ordinaria de la compañía94. Ahora bien esto no desdice de lo anterior, porque las tareas ejecutivas, caso de la existencia de consejo de administración (organización compleja), pueden ser delegadas en cualquier momento, salvo que los estatutos dispusieran lo contrario. Es más, ahora, y pese al carácter potestativo que tiene la delegación de facultades del consejo de administración, se puede pensar que el nuevo apartado cuarto del art. 236 LSC parece “imponer” en todo caso una suerte de consejero delegado de hecho95. En realidad nada que resulte extraño, porque es bien sabido que el consejo constituye un órgano inadecuado para la gestión ordinaria de la empresa. Pues bien, a nuestro juicio, la referencia de los apartados segundo y tercero del artículo 217 LSC a los administradores en su condición de tales debe ser interpretada en un sentido restrictivo; esto es, que en principio ni la reserva estatutaria ni el importe máximo fijado por la junta general afecta a las retribuciones fijadas de acuerdo con lo establecido en el art. 249 LSC para los consejeros ejecutivos miembros del consejo de administración96. Este entendimiento se ve corroborado

de cooptación para el nombramiento de consejeros; art. 277 LSC: aprobación del reparto de cantidades a cuenta de dividendos; etc.). 94 A lo que hemos hecho referencia anteriormente al referirnos al régimen jurídico previgente (Vid. Alfaro, Adiós a la teoría del vínculo, en Almacén de derecho, 16 de diciembre de 2015, http://almacendederecho.org (visitado: 22.12.2015). 95 Vid. Juste Mencía, Comentario al artículo 236. Presupuestos y extensión subjetiva de la responsabilidad, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. Juste Mencía, Cizur Menor, 2015, pp. 444 ss., esp. 459-460, donde añade que de no acudirse a la invitación que hace el legislador a la delegación, la aplicación de la duplicidad de regímenes puede dar lugar a problemas de coordinación. 96 Así Campins Vargas, Dudas interpretativas, cit., p. 2, quien afirma que lo que no debe resultar dudoso es que aquellas disposiciones expresamente previstas para los administradores “en su condición de tales”, como son la reserva estatutaria (art. 217.2 LSC) y el importe máximo anual fijado por la junta (art. 217.3 LSC), no obligan legalmente

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por lo establecido en los artículos 529 septdecies y 529 octodecies LSC, donde claramente se diferencian los consejeros por su condición de tal de los consejeros por el desempeño de funciones ejecutivas, respectivamente. Y en consecuencia que estos últimos no se integran dentro de la categoría de los administradores en su condición de tales, sino que forman una categoría aparte. Es cierto que estos últimos preceptos están referidos a las sociedades cotizadas, de las que hoy día se puede decir que constituyen un nuevo tipo societario, pero en cualquier caso eso no impide que en el aspecto al que nos referimos la analogía se imponga, porque resulta inconcebible pensar, por un lado, que los administradores en su condición de tales del art. 217 LSC no se correspondan con los consejeros por su condición de tal del artículo 529 septdecies LSC; y, por otro, que los consejeros ejecutivos del 249 LSC no se correspondan con los consejeros por el desempeño de funciones ejecutivas del 529 octodecies LSC, cuando además este último precepto se refiere expresamente al 249 LSC97. En el caso de realización de tareas ejecutivas o de dirección la remuneración se determina ahora en el contrato en el que se plasma la delegación de facultades del consejo de administración (consejeros ejecutivos), según lo previsto en el nuevo artículo 249 LSC, a esto nos acabamos de referir y lo retomaremos más adelante98. Pero sin perjuicio de lo que veamos se debe insistir en las dos novedades más importantes, una primera, que está dando lugar a un importante debate, por la que el nuevo diseño normativo contenido en el precepto citado, y por lo que se refiere a las sociedades no cotizadas, deja en una situación de cierta opacidad (al margen de la reserva estatutaria y del control por la junta), la decisión del órgano de administración sobre la remuneración del consejero delegado y de los consejeros ejecutivos, como así parece deducirse de la lectura del art. 217.2. y 3 en relación con el 249.3. y 4 LSC. Y otra segunda, no menos discutida, por la que parece que se produce la desvirtuación de la doctrina del vínculo, como lo confirma la interpretación conjunta de los dos preceptos que se acaban de citar junto con los artículos 529 duodecies, 529 septdecies y 529 octodecies LSC, aunque es cierto que estos tres últimos están referidos a las sociedades cotizadas.

a los consejeros ejecutivos. 97 No obstante, en contra de la analogía por entender que se trata de tipos societarios distintos, Fernández del Pozo, El misterio, cit., p. 240 ss. 98 Vid. Infra 6.3.

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No entramos en este apartado en mayores detalles sobre esta delicada cuestión y, como decimos, nos remitimos a lo que se dirá más adelante al hablar de la delegación de facultades del consejo de administración y del contrato correspondiente. 6.2.2. Gratuidad del cargo y remuneración pactada del consejero ejecutivo. Respecto a los administradores ejecutivos se puede plantear la duda de si cabe la remuneración pactada a pesar de que en la previsión estatutaria se establezca, implícita o explícitamente, que el cargo es gratuito. Algunas de las primeras opiniones doctrinales al respecto admiten la compatibilidad de la gratuidad estatutaria con el acuerdo retributivo con el ejecutivo, al parecer por el carácter imperativo del contrato99, o bien porque se trata de un título retributivo independiente, aunque no de una función distinta, sustraído a la previsión estatutaria, de carácter contractual según acuerdo del consejo de administración y sin intervención de la junta general100. Por el contrario, se ha llegado a calificar dicha compatibilidad por algún autor de verdadero disparate101. Y en esta misma línea de rechazo de la compatibilidad ha aparecido ya algún pronunciamiento judicial. El mismo niega la inscripción registral de una cláusula estatutaria en la que se establece que el cargo de administrador no será retribuido, pero a su vez admite la retribución de los consejeros ejecutivos por acuerdo del consejo de administración, sin necesidad de acuerdo de la junta y sin necesidad de precisión estatutaria alguna, de acuerdo con lo establecido en el nuevo artículo 249 LSC. Esta cláusula, cuya inscripción fue rechazada por el Registrador mercantil102 fundamentalmente por violación del principio de reserva estatutaria, que a

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Así León Sanz, Comentario al artículo 217, cit., p. 280. En este sentido Cabanas Trejo, La retribución del consejero delegado y la celebración de un contrato con la sociedad, en Diario La Ley, nº 8494, sección doctrina, 5 de marzo de 2015, Ref. D-88, pp. 5-7. Nos dice que se puede hablar de un nuevo título, pero no de una función distinta, porque la función está encuadrada en la competencia propia del consejo de administración de gestión social, pero con asignación a uno de sus miembros, y en este sentido sí que gana autonomía, pues en su simple condición de consejero no le corresponde. Esta encomienda constituye un nuevo título para la LSC reformada, con fundamento en la propia autonomía organizativa del consejo de administración. 101 En este sentido Fernández del Pozo, El misterio, cit., p. 246. 102 El Registrador mercantil del caso comentado es Fernández del Pozo, por tanto sus argumentos los tenemos de manera desarrollada en su trabajo ya citado (El misterio, cit., p. 211 ss.). 100

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juicio de mismo sigue vigente en el art. 217 LSC, entiende de igual modo el Juzgado de lo Mercantil número 9 de Barcelona, en su Sentencia 241/2015, de 27 de noviembre de 2015, que se vulnera el principio de reserva estatutaria de la retribución, sin olvidar que ello es competencia exclusiva de la junta de socios y no del consejo de administración, que según se dice en la sentencia se desprende de los arts. 217, 218 y 219 en relación con los arts. 285 y siguientes, todos ellos de la LSC. En principio, puede resultar un tanto contradictorio y generar cierta confusión y sorpresa para los socios103, como para los propios administradores y los terceros, pero la cuestión tiene claros antecedentes a favor de la compatibilidad que a nuestro juicio hay que valorar. De ahí que, anticipando en parte nuestra conclusión, si unimos a esta compatibilidad histórica la nueva sistemática jurídica donde aparecen, por un lado, claramente diferenciados dos títulos retributivos con un alto grado de independencia, y por otro, que el nuevo título de los consejeros ejecutivos se enmarca en las tareas de gestión, todo ello nos hace pensar que en definitiva la compatibilidad puede y debe ser admitida. Es cierto que los casos de compatibilidad que pasamos a ver, aparecen en situaciones o circunstancias un tanto particulares, probablemente no podía ser de otro modo bajo el régimen jurídico anterior a la reforma, aunque la verdad sea dicha a nuestro juicio no lo son tanto. Así podemos ver que la DGRN se ha pronunciado favorablemente a esta compatibilidad con anterioridad a la reforma, concretamente en su Resolución de 25 de febrero de 2014, al menos en el modo complejo de organizar la administración, como es el consejo de administración, que es precisamente al que está referido el art. 249 LSC. Si bien hay que precisar que en el caso controvertido estamos hablando del contenido de una cláusula estatutaria, tanto de lo relativo al carácter gratuito del cargo de administrador, como sobre el diseño del sistema retributivo para el consejero delegado, que se justifica según la DGRN por la asignación de las funciones ejecutivas a este último, no tanto por la especialidad del contenido porque no se trata de una nueva función, sino en el modo de ejercicio por razón de la estructura del órgano, que no se corresponde con la de simple conseje-

103 Se habla en este sentido, no sin parte de razón, de que puede suponer una grave desprotección de los accionistas o socios en las sociedades no cotizadas donde no se aprueban la política de remuneraciones. Y que en ausencia de otras normas tuitivas, su mejor defensa preventiva debe venir por cláusulas estatutarias que establezcan el carácter gratuito del cargo de consejero delegado [Vid. Juste Mencía/Campins Vargas, La retribución, cit., p. 785].

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ro104. En esta idea favorable a la compatibilidad, pero siempre que exista doble acogimiento estatutario, la gratuidad del cargo por un lado y la reserva sobre la retribución del ejecutivo por otro, se manifiesta algún autor tras la reforma de la LSC por la Ley 31/2014105. Por otro lado, y sobre esta misma cuestión, también el propio Tribunal Supremo ha tenido la oportunidad de pronunciarse en varias ocasiones a favor de la compatibilidad, si bien se trata de casos particulares en los que procedía la aplicación de la doctrina de los actos propios y, además, donde se evidencia el carácter instrumental de la exigencia estatutaria para facilitar el control de los socios106. Bien porque el contrato de un administrador como gerente había sido concertado por el socio único, con lo cual el control por los socios queda asegurado (STS de 31.10.2007), o bien porque a pesar de la gratuidad del cargo según los estatutos, se estima que el conocimiento y la tolerancia por parte del socio demandante respecto de la retribución del administrador durante un período prolongado, sin que hayan cambiado las circunstancias, constituye un hecho suficiente para generar fundadamente en el administrador la confianza en la legitimidad de los pagos realizados y que la impugnación sea contraria a la buena fe (SSTS de 18.6.2013 y 1.9.2015)107. Y como es natural, la gratuidad del cargo no se extiende a otro tipo de prestaciones ajenas a la gestión que pueda realizar el administrador a favor de la sociedad con base en el antiguo art. 67 de la LSRL, hoy 220 LSC, como pueden ser los dictámenes como abogado o cualquier otro tipo de consultoría o de trabajo (STS, 28.9.2010).

104 Un análisis de la misma puede verse en del Val, La retribución desigual de los administradores en la sociedad anónima. (En torno a la Resolución de la dirección General de los Registros y del Notariado de 25 de febrero de 2014), en RDM, 293, 2014, pp. 595 ss., esp. 598-599. En una línea próxima, pero distinta, está la RDGRN de 3 de abril de 2013, sobre la misma nos remitimos a lo dicho supra en el epígrafe 2. Y puede verse a Sánchez Rus, Las cláusulas estatutarias relativas a la retribución de los administradores en las sociedades de capital, en LA LEY mercantil, nº 14, mayo 2015, pp. 14 y 23-25; y Cabanas Trejo, La retribución, cit., pp. 5-7. 105 En este sentido parece Sánchez Rus, Las cláusulas, cit., p. 32. 106 Cfr. Sánchez Rus, Las cláusulas, cit., pp. 26-27. 107 En la STS de 1 de septiembre de 2015, que trata de una sociedad en concurso, se planteó la devolución por los administradores de las retribuciones percibidas porque según los estatutos el cargo era gratuito, pero la Sala resuelve de manera acertada que las retribuciones aprobadas por la junta general (sociedad cerrada y de pocos socios) no deben ser devueltas, porque constituiría una violación de la doctrina de los actos propios y del principio de buena fe que la sustenta.

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6.2.3. Conceptos retributivos. Dentro de los posibles conceptos retributivos a incluir en los estatutos sociales el art. 217.2 desarrolla un catálogo abierto entre los que figuran los siguientes: una asignación fija, dietas de asistencia, participación en beneficios, retribución variable con indicadores de referencia, remuneración en acciones, indemnizaciones por cese salvo que se trate de incumplimiento de funciones y los sistemas de ahorro o de previsión que se consideren oportunos. No se mencionan en esta lista posibles retribuciones en especie, ni los seguros por responsabilidad civil como si sucede en el art. 249 LSC, ni las compensaciones por pactos de no competencia. Parece razonable que se reconozca cierta flexibilidad en la aplicación de estos conceptos retributivos, especialmente en las sociedades no cotizadas, de manera que se permita una mejor adaptación a cada caso ya sea por parte de la junta general de socios o por el propio órgano de administración. Si bien en todo caso se deberán reintegrar a la sociedad las cantidades percibidas en contravención con las normas estatutarias108. Una cuestión que no ha quedado del todo clara tras la reforma de 2014 es la relativa al carácter alternativo de los diferentes conceptos retributivos enumerados por la norma. Con anterioridad, como se ha mencionado109, esto no era posible según una reiterada doctrina de la DGRN, sin embargo ahora se podría interpretar que con la nueva regulación se está ante un nuevo planteamiento que propicia una mayor flexibilidad y que, por tanto, la junta tenga la facultad de optar entre los mecanismos de retribución previstos en los estatutos, que cumplirían una función habilitante110. No obstante, a nuestro juicio, la literalidad de la norma (art. 217 LSC) no despeja todas las dudas a este respecto. 6.2.4. Sistema retributivo y reparto de competencias. Además de la concreción estatutaria del sistema de retribución de los administradores en su condición de tales, que podemos considerar como el primer paso, y sin perjuicio de que mediante una cláusula estatutaria se pueda ir más allá y entrar en mayores detalles sobre las retribuciones; en otro segundo, es la junta general la que deberá aprobar el importe máximo de la remuneración anual del conjunto de los adminis-

108 Así pueden verse, entre otras, SSTS de 30.12.1992 (RJ 1992/10570), 21.4.2005 (RJ 2005/4132) y 10.2.2012 (RJ 2012/5279). 109 Vid. supra epígrafe 2. 110 En este sentido Sánchez Rus, Las cláusulas, cit., p. 17.

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tradores en esta misma condición de tales, que permanecerá vigente en tanto no se apruebe su modificación (art. 217.3)111. Pero también la junta está facultada expresamente para ir más allá, como se establece en el art. 217.3 LSC, y siempre sin perjuicio de lo establecido en los estatutos. Y como tercer paso, es el órgano de administración quien decidirá sobre las cuantías que recibirá cada uno de los integrantes de dicho órgano. Y por encima de los estatutos y de los diferentes tipos de acuerdo, ya sean de la junta o del órgano de administración, están como es natural los principios o criterios desarrollados en la propia Ley de sociedades de capital tanto en su art. 217.4, como en los arts. 218 y 219. En esto consiste fundamentalmente el sistema español de Say on Pay, especialmente en el caso de las sociedades cerradas, dirigido a salvar el conflicto de intereses socios-administrador112. Para las sociedades cotizadas el régimen jurídico es bien distinto y algo más complejo, a ello nos referiremos más adelante. Ahora veamos algo más sobre este nuevo reparto de competencias en cuanto al establecimiento y la determinación de la retribución de los administradores con carácter general. Como decimos el órgano societario competente para asignar (distribuir) los importes concretos de las retribuciones a cada uno de los administradores es el órgano de administración con algunas limitaciones. El mismo art. 217.3 LSC establece que, salvo que la junta general determine otra cosa, corresponde al acuerdo de los propios administradores o, en su caso, a la decisión del consejo de administración, para lo que se deberá tomar en consideración las funciones y responsabilidades de cada consejero113. También será este mismo órgano de administración quien decidirá sobre la retribución de los consejeros ejecutivos, caso de contar con ellos la sociedad, mediante la celebración del correspondiente contrato. Ahora conviene señalar que, en términos generales el nuevo régimen jurídico aporta flexibilidad al sistema y resuelve con mayor claridad una de las dudas que tradicionalmente se venía planteando sobre la competencia para determinar los importes concretos de las retribuciones y, en consecuencia, parece que queda igualmente claro, si es que no lo estaba ya con anterioridad, la no necesidad de consignar dichos importes en los estatutos. Esto es, queda definitivamente pros-

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En similares términos el art. 231-87.1 del ALCM. Para una aproximación comparativa y crítica nos remitimos a Fernández El misterio, cit., pp. 228-240. 113 Así en el art. 231-87.2 ALCM. 112

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crita la denominada «doctrina del milímetro» a la que antes se ha hecho referencia114. En esta línea, si bien su alcance es más amplio porque claramente se decanta por la duplicidad de regímenes jurídicos retributivos, se puede entender la reciente Resolución de la DGRN de 30 de julio de 2015 (BOE, 30.9.2015)115, que estima el recurso planteado frente a la denegación de la inscripción en el Registro mercantil de una cláusula estatutaria que remitía la fijación de la retribución de los consejeros ejecutivos al correspondiente contrato. La resolución alude expresamente a la literalidad del nuevo artículo 249 de la LSC que establece la necesidad de la celebración de un contrato entre el administrador ejecutivo y la sociedad. De manera que es en este específico contrato, según se dice en la propia resolución, en el que deberá detallarse la retribución del administrador ejecutivo. A lo que se añade que la referencia del art. 249.4 LSC a que la política de retribuciones sea aprobada, en su caso, por la junta general no significa, como parece pretender el registrador, que la política de retribuciones detallada deba constar en los estatutos. Esto último, a nuestro juicio, es algo que se puede deducir con cierta claridad de lo establecido en el artículo 529 octodecies LSC, sin perjuicio de que se trata de un precepto referido a las sociedades cotizadas. 6.2.5. Limitaciones del órgano de administración. Pues bien, la determinación de la cuantía de dichas remuneraciones de los administradores en su condición de tales, aunque se parte de una amplia libertad del órgano de administración, está sujeta a una serie de limitaciones. Por un lado juega el límite máximo anual marcado por la junta general, por otro los administradores no siempre estarán en condiciones de fijar su propia remuneración; y finalmente se han desarrollado una serie de criterios que debe seguir el órgano de administración, si bien como decimos estos cánones o principios de regularidad no sólo vinculan al órgano de administración sino a todo tipo de acuerdos en junta o en estatutos116. Respecto a lo primero las dudas que se plantean pueden estar referidas a la determinación de la anualidad, la posible modificación o prórroga del acuerdo y sobre la dificultad de concreción

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Vid. supra epígrafe 2. En sentido crítico sobre la misma puede verse Fernández del Pozo, Acerca de la supuesta autonomía del contrato remuneratorio de los consejeros ejecutivos en relación con los estatutos y con el acuerdo de junta de art. 217 LSC (Lo que no dice la Resolución DGRN de 30 de julio de 2015), en La Ley Mercantil, número 18, octubre, 2015. 116 Vid. Fernández del Pozo, El misterio, cit., p. 229. 115

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de la cuantía máxima en algunos supuestos. En cuanto a la anualidad, si bien puede parecer adecuado que se corresponda con el año natural o con las fechas del ejercicio económico, no parece que exista mucho problema en admitir una delimitación libre o flexible, esto es, de fecha a fecha, con las correspondientes asignaciones en los diferentes ejercicios sociales. Por lo que se refiere a la modificación o prórroga del acuerdo, la norma (art. 217.3 LSC) parece partir de un acuerdo por anualidad cuando habla de que «[E]l importe máximo de la remuneración anual…. deberá ser aprobado por la junta general», pero sigue diciendo que «permanecerá vigente en tanto no se apruebe su modificación»; lo que podría entenderse, por un lado, que la junta puede cambiar de criterio dentro de un mismo ejercicio económico, lo que parece que frustraría las expectativas legítimas de los administradores sobre sus ingresos y atentaría contra derechos adquiridos. Pero esto no parece preocupante por diversas razones: porque el acuerdo no podrá tener efectos retroactivos, porque los pactos con la sociedad deberán ser respetados y, como es natural, porque la sociedad puede destituir al administrador en todo momento. Por otro lado, y es a lo que sin duda se refiere la norma mencionada, lo que se establece es la validez indefinida de dicho acuerdo, en contraste con lo establecido para sociedades cotizadas en el art. 529 novodecies LSC, y al decir de algunos con una cierta desprotección del socio minoritario que queda abocado a la solicitud de la junta117 No obstante, como es sabido, la solicitud de la convocatoria de la junta sólo requiere el 5 por ciento del capital social (art. 168 LSC), por lo que hablar de desprotección del socio minoritario en las sociedades cerradas frente a la alternativa de la reserva estatutaria resulta cuando menos un tanto dudoso. Ahora bien, lo anterior, como es natural, sin perjuicio de que en los estatutos se estableciese algo en contra. Por último, es cierto que en los casos como los de las retribuciones variables o de otro tipo donde la cuantía no se pueda determinar a priori con exactitud, no queda más remedio que el recurso a indicadores o parámetros generales de referencia, como se dice en el propio art. 217.2 LSC respecto al contenido estatutario118, de modo que en estos casos la junta general deberá pre-

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Ibi, p. 225 y 231. Ibi, p. 223. También Sánchez Rus, Las cláusulas estatutarias relativas a la retribución de los administradores en las sociedades de capital, en LA LEY mercantil, nº 14, mayo 2015, p. 12. 118

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cisar lo más posible siguiendo las pautas marcadas por los estatutos119. Este nuevo sistema que limita la intervención de la junta de socios a fijar el montante global de la remuneración de los administradores en su condición de tales, a diferencia de lo que se establece para las sociedades cotizadas, se puede pensar que no tutela de manera suficiente la posición de los socios minoritarios, que probablemente estén interesados en conocer con más detalle el alcance de la distribución de ese importe entre los diferentes administradores120. Especialmente por lo que se refiere a los administradores con funciones ejecutivas que es a donde va a parar la mayor parte de la retribución. No obstante, siempre quedan los controles a posteriori de la impugnación de los acuerdos sociales y la acción de responsabilidad de los administradores por incumplimiento de lo establecido en el art. 217.3 y 4 LSC, en particular por violaciones del interés social en los casos de remuneraciones excesivas, si bien como es natural estas vías tienen sus propias exigencias121. Fundamentalmente, a nuestro juicio, la dificultad mayor puede venir en la aplicación del art. 217.4 LSC, y además, por la entrada en juego en el nuevo sistema de la regla de protección de la discrecionalidad empresarial del art. 226 LSC. Dejamos ahora señaladas estas cuestiones y volveremos sobre las mismas en los apartados siguientes. En segundo lugar, respecto a las limitaciones intrínsecas del propio órgano de administración para fijar la remuneración están en consonancia con la configuración del mismo, de modo que no parece que sea posible en el caso del administrador único, en cuyo caso deberá ser la junta general la que la determine. Y si el administrador a su vez fuese socio, como se nos dice122, aunque el art. 190 LSC no le priva expresamente del derecho de voto en la junta, tampoco se le exceptúa en el apartado tercero, a diferencia de los acuerdos sobre nombramiento o revocación. No obstante, dada la interpretación restrictiva que impone la propia norma y la ampliación expresa mediante la analogía de los

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El precepto de referencia de carácter general puede ser el art. 1273 CC, que como es sabido permite que el objeto obligacional no esté determinado pero sí que sea determinable sin necesidad de nuevo convenio. 120 Vid. Campins Vargas, Dudas interpretativas del nuevo régimen de remuneración de administradores en la Ley 31/2014, p. 2; lunes, 9 de marzo de 2015, en http:// derechomercantilespana.blogspot.com.es (visitado 21.12.2015). 121 Un detallado listado de los obstáculos a superar puede verse en Fernández del Pozo, El misterio, cit., p. 237. 122 Vid. Leon Sanz, Comentario al artículo 217, cit., p. 285.

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supuestos expresamente exceptuados (art. 190.3 LSC), no parece que en estos casos el socio administrador deba quedar privado del derecho de voto123. Sin perjuicio claro está de la posible impugnación del acuerdo por ir contra el interés social. En términos muy parecidos al precepto que se acaba de citar se pronuncia el artículo 228.c), último inciso, en relación a las obligaciones básicas de los administradores derivadas del deber de lealtad, de donde se puede deducir en principio que no existe conflicto de intereses y por tanto tampoco deber de abstener en decisiones que afecten al administrador en su condición de tal124. Otra cosa sucede respecto al consejero delegado y a los consejeros ejecutivos en general, a éstos nos referiremos más adelante, pero conviene anticipar que en estos casos el conflicto de intereses resulta evidente especialmente por razón de la remuneración adicional, de ahí que el precepto que se ocupa de la delegación de facultades del consejo de administración y del contrato a celebrar entre la sociedad y el ejecutivo (art. 249 LSC) establezca la abstención del afectado, tanto en la deliberación como en la votación. Y esto no sólo para las sociedades cotizadas, sino igualmente a las no cotizadas, a pesar de que probablemente el legislador está pensando más en las primeras que en las segundas. Por otra parte, si bien el art. 249 está referido expresamente a los supuestos de consejo de administración, podría pensarse en una aplicación analógica de sus apartados tercero y cuarto a las otras formas de organización

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En este sentido Recalde Castells, cuando dice que «[E]l socio tampoco está obligado a abstenerse en los acuerdos que afectan a su posición en los órganos de la sociedad (nombramiento o cese como administrador, remuneración en su condición de administrador, ejercicio de acción de responsabilidad), incluso aunque de ellos nacieran posiciones jurídicas que le son favorables o se extinguieran obligaciones, ya que estos supuestos se contemplan específicamente en el segundo inciso del apartado 3 de la norma». Y añade, más adelante, al lado de los supuestos que expresamente se mencionan (nombramiento, cese, revocación y la exigencia de responsabilidad de los administradores) parece razonable que la analogía permita la inclusión del acuerdo de la junta en relación con la fijación de la remuneración de administradores, incluso aunque uno de estos fuese socio mayoritario que, con su voto, influyese en la aprobación del acuerdo, porque la remuneración no supone la atribución al socio de un derecho. Nada justifica que sea la minoría, y no el socio mayoritario, quien decida esa cuantía (Comentario al artículo 190. Conflicto de intereses, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. Juste Mencía, Cizur Menor, 2015, pp. 76-79 y 87-88). 124 Vid. Juste Mencía, Comentario al artículo 228, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. Juste Mencía, Cizur Menor, 2015, p. 389.

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de la administración (administrador único, administradores solidarios o mancomunados), donde mediante contrato se asignen funciones ejecutivas y se regule la remuneración125. Finalmente, en tercer lugar, como decimos, se han desarrollado en la norma (art. 217.3 y 4 LSC), una serie de criterios que deberán ser tenidos en cuenta a la hora de fijar la remuneración, como son: las funciones y responsabilidades de los consejeros, el principio de proporcionalidad o adecuación de la retribución y un criterio de carácter finalista. A nuestro juicio estos criterios van más allá de lo meramente programático, en el sentido de que no se trata de unas simples pautas de un programa de gobierno corporativo más o menos exigibles, sino que por el contrario, estamos ante criterios para la concreción de las remuneraciones de obligado cumplimiento por parte del órgano de administración, cuyo incumplimiento debe generar la responsabilidad de sus miembros126. Habla claramente en este sentido la propia norma cuando establece que «[L]a remuneración de los administradores deberá en todo caso guardar… El sistema de remuneración establecido deberá….» En cuanto al primero de estos criterios, el art. 217.3 termina haciendo referencia, en el caso del consejo de administración, a que se deberán tomar en consideración las funciones y responsabilidades atribuidas a cada consejero, si bien parece razonable su generalización a otro tipo de supuestos como son los de administradores solidarios o mancomunados. Es cierto que esta interpretación extensiva que se propone puede chocar con la visión tradicional de igualdad de funciones y de responsabilidades en estos casos, donde no parece admitirse la delegación de facultades, de modo que a una igualdad funcional le corresponde una igualdad retributiva, que cuenta con una doctrina muy consolidada de la Dirección General de los Registros y del Notariado (RRDGRN, 29.4.2013, 3.5.2013, 24.5.2013 y 25.2.2014)127; pero con la nueva regulación se pone el mayor

125 Para más detalles sobre esta cuestión nos remitimos a León Sanz, Comentario al artículo 217, cit., pp. 287-288. 126 En este sentido León Sanz, Comentario al artículo 217, cit., pp. 287-288, donde aclara que, la mención por la Comisión de Expertos de que se trata de referencias programáticas, debe entenderse en el sentido de estándares normativos que fijan las directrices que deben ser seguidos por los administradores en la determinación de la retribución que corresponde a cada administrador. 127 Vid. Paula del Val, La retribución desigual de los administradores en la sociedad anónima. (En torno a la Resolución de la dirección General de los Registros y del Notariado de 25 de febrero de 2014), en RDM, 293, 2014, pp. 595 ss., esp. 603-607;

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de los énfasis en la distinción de funciones y responsabilidades de los consejeros para asignar las remuneraciones correspondientes, lo que parece que debe ser trasladado a los otros supuestos distintos al consejo de administración128. Por tanto, y sin perjuicio de lo establecido en los estatutos y acordado por la junta general de socios, siempre que exista esta diferenciación de funciones y responsabilidades se deberá tomar en cuenta igualmente en esas otras formas de organizar la administración social, porque de lo contrario se podría estar ante un trato discriminatorio contrario al principio de igualdad. Finalmente, en el apartado cuarto del mismo artículo 217, se desarrollan dos criterios de carácter general, un criterio de proporcionalidad o de adecuación de la retribución y otro criterio de carácter teleológico129. Veamos con algo más de detenimiento cada uno de estos dos criterios generales en los apartados siguientes. 6.2.6. El criterio de proporcionalidad razonable (retribución adecuada). Probablemente con el criterio de proporcionalidad razonable o retribución adecuada estamos ante uno de los aspectos más novedosos de la reforma societaria en materia de retribución de los administradores. Puede parecer a primera vista que estamos ante un criterio idóneo para limitar o evitar los abusos, pero quizá no sea así del todo, porque el mismo puede servir tanto para una cosa como para su contraria. Puede ser utilizado en sentido negativo como límite contra las asignaciones retributivas por excesivas, y ésta podría parecer en principio su finalidad primordial; pero también a nuestro juicio puede ser utilizado en sentido positivo como un instrumento de legitimación de retribuciones que, por su cuantía, resultan a todas luces escandalosas, a la vista de los parámetros que complementan el principio de adecuación, como son: importancia de la sociedad (tamaño, cifra de ventas, número de trabajadores, significación económica, etc.), situación económica en cada momento (rentabilidad, expectativas, pérdidas, etc.) o bien, el parámetro probablemente de mayor efectividad, como son los estándares de mercado de empresas comparables. En este

Fernández del Pozo, El misterio, cit., pp. 220-221. 128 León Sanz, Comentario al artículo 217, cit., pp. 285-286; Fernández del Pozo, El misterio, cit., p. 226; Sánchez Rus, Las cláusulas, cit., pp. 19 y 30, donde nos dice que a pesar de todo (carácter omnicomprensivo del cargo y aprobación de la junta), puede responder a una lógica empresarial en el caso de sociedades unipersonales o grupos de sociedades. También, en relación a los trabajos prelegislativos, Paula del Val, La retribución, cit., p. 611. 129 En iguales términos el art. 231-86 ALCM.

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sentido la norma puede constituir un incentivo para <crear imperios> aunque no sea la forma de maximizar la rentabilidad para los accionistas, dado que el mayor tamaño justifica remuneraciones más elevadas130. De aquí se puede pensar que por lo general para las grandes empresas, normalmente sociedades cotizadas, operará más como lo segundo que como lo primero; mientras que para las sociedades cerradas, por lo general pequeñas y medianas, la relación se invierte y puede que acabe convirtiéndose en un criterio restrictivo o limitativo, de modo que la norma como se nos dice por algún autor no aporte en estos casos la necesaria flexibilidad que exigen la diversidad de supuestos.131 Con todo el principio de adecuación de la remuneración a la actividad y responsabilidad asumida en el cargo constituye la regla implícita en la materia, como se viene diciendo por un sector cualificado de nuestra doctrina y por la propia jurisprudencia132, y como se establece desde hace algún tiempo de manera expresa en el Derecho alemán133. La norma comienza diciendo que la remuneración de los administradores deberá en todo caso guardar una proporción razonable con tres

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Vid. Alfaro, Artículo 204. Acuerdos impugnable, en AAVV, Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. Juste Mencía, Cizur Menor, 2015, p. 209. 131 Parece en este sentido León Sanz, Comentario al artículo 217, cit., p. 289. 132 Claramente en este sentido Esteban Velasco, La administración de la sociedad de responsabilidad limitada, en Tratando de la sociedad limitada, coord. Paz-Ares, Madrid, 1997, p. 758; Menéndez, Derecho privado y retribución de los administradores, en Estudios de Derecho mercantil, cit., p. 473. También lo vemos recientemente en algunas SSTS de la sala tercera: 28.12.2011 y dos de 5.2.2015, que hablan de retribución adecuada de los administradores, de modo que habrá que estar a las limitaciones establecidas por el art. 1255 del CC, y si las remuneraciones establecidas las superan, deberán ser consideradas como meras liberalidades y no como gasto deducible a los efectos del impuesto de sociedades. 133 Nos referimos al apartado primero del parágrafo 87 de la AktG (Ley alemana de sociedades anónimas), en el que constituye un elemento tradicional el principio de adecuación de la remuneración con las tareas de administración y la situación de la sociedad (Vid. Kübler, Derecho de sociedades5, tr. esp., Madrid, 2001, p. 313; Teichmann, Chr., “Le dirigeant d’Aktiengesellschaft en Allemagne”, en AAVV, La direction des sociétés anonymes en Europe. Vers des pratiques harmonissées de gouvernance?, dir. Chapult/ Lévi, Paris, 2008, pp. 43-44). En relación a la reciente reforma del precepto alemán puede verse Recalde/Schönnenbeck, La Ley alemana, cit., p. 1068; Val Talens, La retribución de los administradores como instrumento de responsabilidad social corporativa, Comunicación presentada, y leída, en II Seminario Internacional sobre derecho de los negocios, responsabilidad social de la empresa y legal compliance: algunas perspectivas, Universidad Carlos III de Madrid, Noviembre, 2014, p. 5.

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parámetros de referencia: la importancia de la sociedad, la situación económica que tuviera en cada momento y los estándares de mercado de empresas comparables134. Lo primero que hay que decir es que la proporcionalidad se califica de razonable, lo que puede ser entendido como proporcionalidad adecuada o concorde con esos tres parámetros mencionados. Y dentro de esa adecuación o razonabilidad de las remuneraciones nos parece que deben incluirse igualmente la consideración de las funciones y responsabilidades atribuidas a los administradores, porque no parece difícil entender que se trata de aspectos que igualmente contribuyen a fijar una remuneración adecuada. Así parece que se confirma tanto a la vista de la norma alemana que sirve de modelo regulatorio, como del Informe de la Comisión de Expertos en materia de Gobierno Corporativo135. Pero sin embargo, el legislador español ha obviado respecto al modelo seguido el límite de la retribución habitual o usual, una restricción que está formulada en la norma alemana de manera negativa y como una presunción iuris tantum: no superando, sin una razón particular, la retribución usual. De este modo se viene a exigir no sólo que la remuneración sea adecuada, sino también que no supere lo habitual, salvo razones justificadas. Luego digamos que lo adecuado pero no habitual, si se justifica puede ser dado por bueno. Y a la inversa, lo que se considere como remuneración usual o habitual no necesariamente será adecuado o razonable, porque de lo contrario se generaría esa carrera hacia arriba (race to the top), que es precisamente una de las perversiones de los sistemas retributivos de los administradores que se pretende corregir136. En el nuevo art. 217 LSC es cierto que el legislador español no hace referencia expresa al límite de lo habitual, pero a nuestro juicio se puede entender implícito cuando se alude a los estándares de mercado de empresas comparables. En realidad lo que sucede con este tipo de criterios que aluden a lo habitual, lo usual o lo estándar, es que estamos ante recursos de carácter fáctico (datos estadísticos, por ejemplo) para medir la diligencia o negligencia de los sujetos, que deben ser usados con cierta cautela y por lo

134 En esta línea puede verse, con anterioridad a la norma, Duque, La situación actual del problema de la remuneración de los administradores de sociedad, en AAVV, Estudios de Derecho mercantil en memoria del Profesor Aníbal Sánchez Andrés, dirs. Sáenz García de Albizu, et allí, Madrid, 2010, p. 733. 135 Apartado 4.10.1, página 57. 136 Vid. Recalde/Schönnenbeck, La Ley alemana, cit., p. 1070. También se apunta este problema en el CUBG, versión de junio de 2013, pp. 22-23.

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general deben ser completados con un criterio normativo, porque de lo contrario se puede llegar con facilidad a resultados indeseados. Esto es, como nos dice el profesor Diez-Picazo en relación a los usos como modelo de conducta, que pueden dar lugar a que se valoren como buenos a comportamientos descuidados137. Y de ahí, como nos sigue diciendo, la necesidad de distinguir entre los usos como mera facticidad que denota lo que en la práctica es usual, pero que no resulta especialmente útil porque puede llevar a construir modelos claramente incorrectos; y por otro lado, los usos que van más allá de lo meramente fáctico, porque tienen algún contenido normativo, adquirido por la convicción u opinio iuris. De modo que lo relevante no es el dato estadístico, sino la regla de conducta que contiene, y es en este último caso cuando se está ante un modelo con valor de ejemplaridad138. En cuanto a los parámetros de referencia tomados por la norma española para medir la proporcionalidad se puede decir que se alude claramente a una comparación horizontal, pero no a la comparación vertical. Se habla de comparación horizontal cuando la proporcionalidad está referida a otras empresas del sector, teniendo en cuenta su tamaño, su ámbito de actuación y su situación económica en cada momento. De este modo se busca que la comparación sea próxima, si bien como es natural no tiene porque ser así en el caso de las grandes empresas multinacionales. La cuestión es que se pueda estar verdaderamente ante un mercado real de directivos en situación de concurrencia, que es lo que en último caso puede justificar ante los accionistas las retribuciones elevadas por razón de la contratación de los mejores. La comparación vertical, a diferencia de la horizontal que es de carácter externo, tiene un sentido interno, porque trata de mantener una cierta proporcionalidad entre los salarios de los directivos y del empleado medio de la empresa. En este caso la aplicación de la proporcionalidad razonable o adecuada se presenta mucho más dificultosa, entre otras razones porque ambos criterios de comparación pueden entrar en conflicto con cierta facilidad, especialmente en los casos de grandes empresas multinacionales, donde la aplicación del criterio horizontal conduce a una clara desproporción

137 Vid. Díez-Picazo, La culpa en la responsabilidad civil extracontractual, ADC, 2001, pp. 1017-1018, con referencias a Federico De Castro, Derecho Civil de España, I, parte general, p. 400. 138 Sobre la ejemplaridad, y a título meramente erudito, me permito hacer referencia a Gomá Lanzón, Imitación y experiencia, Madrid, 2014, pp. 552 ss., esp. 554-556 y 570-577; y Ejemplaridad pública, Madrid, 2009, pp. 189-193.

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desde un punto de vista vertical139. En este conflicto la solución parece que se decanta con algunas dudas y matices a favor de la comparación horizontal140. En nuestra norma, y sin perjuicio de los inconvenientes que se acaban de mencionar, como decimos no aparece una referencia expresa y clara a la comparación vertical, pero no obstante a nuestro juicio se podría deducir de la mención que se hace a la importancia de la sociedad y a la situación económica que tenga en cada momento, de manera similar a como ha sucedido en el Derecho alemán, donde su parágrafo 87 AktG habla de la situación de la sociedad141. También lo vemos en algunos otros derechos como el inglés y el holandés. En el primero, en el caso de las sociedades cotizadas, en el informe anual sobre remuneraciones debe constar entre otras indicaciones la comparación entre la progresión de la remuneración del director y la de los salarios del personal.142 Y en el segundo, en relación a la política de retribuciones de los administradores, se viene a exigir que se tenga en cuenta la evolución de la remuneración de los asalariados, si bien lo cierto es que no ha sido un criterio muy seguido.143 Más recientemente, en el ámbito europeo, y sólo para las sociedades cotizadas, la Propuesta de Directiva de 4 de abril de 2014, que modifica la Directiva 2007/36/CE, sobre el fomento de la implicación a largo plazo de los accionistas, y la Directiva 2013/34/UE, sobre gobernanza empresarial, pretende introducir en el nuevo artículo 9 bis.3 de la Directiva 2007/36/CE, el criterio de comparación vertical siquiera como una recomendación de buen gobierno. Así parece que

139 En los últimos años se ha pasado de una ratio de entre 20 o 30 a uno en los años 80 del pasado siglo, a otra de 80 a uno en los años 90, y de ahí se ha disparado hacia “el cielo” en los últimos años, 300, 400, 500 o más. En 2004, los veinticinco directivos mejor pagados de los Estados Unidos ganaban una media de 900 veces más que un salario ordinario (Vid. Reygrobellet/Couret, Le dirigeant de société anonyme en France, en La direction des socétés anonymes en Europe. Vers des pratiques harmonisées de gouvernance?, dir. Chaput/Lévi, cit., p. 234). 140 Vid. Recalde/Schönnenbeck, La Ley alemana, cit., pp. 1069-1070; Val Talens, La retribución, cit., p. 6. En ambos casos las referencias vienen hechas al Derecho alemán. 141 Ibi. 142 Vid. Burbidge, Le dirigeant de public limited company et private limited company en Angleterre, en La direction des socétés anonymes en Europe. Vers des pratiques harmonisées de gouvernance?, dir. Chaput/Lévi, cit., p. 75. 143 Vid. Schmieman, Le dirigeant de Naamloze Vennootschap aux Pays-Bas, en La direction des socétés anonymes en Europe. Vers des pratiques harmonisées de gouvernance?, dir. Chaput/Lévi, cit., p. 365.

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se puede deducir de su tenor literal cuando nos dice que en la política de remuneraciones propuesta a los accionistas, se deberá exponer la influencia de las retribuciones de los trabajadores de la sociedad en la configuración de la política o la remuneración de los consejeros. Y además incluir una explicación sobre la ratio entre la remuneración media de los consejeros y la remuneración media de los trabajadores, a tiempo completo, distintos a los consejeros, y los motivos por los que esa ratio se considera apropiada. Sólo por razones excepcionales se podrá omitir esta información, pero siempre explicando los motivos y aportando alguna medida de efecto equivalente. En fin, es cierto que la propuesta de regulación europea apunta a favor de la aplicación de una cierta proporcionalidad en sentido vertical, pero también lo es que deja muchas dudas abiertas144. 6.2.7. Retribución adecuada y protección de la discrecionalidad empresarial. Por otro lado, hay que tener en cuenta que el criterio de la proporcionalidad razonable de la remuneración constituye un mandato legal dirigido a todos, a los socios constituyentes en tanto que partícipes en la elaboración de los estatutos fundacionales, a la junta general y, especialmente, a los administradores a la hora de fijar las remuneraciones de cada uno de los administradores,145 ya sea en su condición de tales, como en los supuestos de administradores ejecutivos, por tanto el contrato al que hace referencia el art. 249.3 y 4 LSC queda igualmente sujeto al principio de adecuación del art. 217.4 LSC. Ahora bien esto no debe ser entendido en el sentido de que los acuerdos de los órganos correspondientes, ya sea el de administración o la junta, en aplicación del principio de adecuación de la remuneración, puedan sin más ser enjuiciados como acuerdos nulos por contrarios a la ley146, sino que parece que deberían valorarse en principio tanto a la luz de la regla de la discrecionalidad empresarial (arts. 225 y 226 LSC), como de la cláusula

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Vid. Val Talens, La retribución, cit., p. 7. Se ha planteado la duda de si el principio de adecuación está referido a la remuneración del conjunto de todos los administradores o a la de cada uno, para concluir con buen criterio a favor de esto último por razón de la diferencia entre el tenor literal del párrafo tercero con el cuarto del mismo art. 217 LSC, que hacen más seguro el criterio interpretativo por el que se opta (Vid. Leon Sanz, Comentario al artículo 217, cit., p. 288). 146 No parece de esta opinión Sánchez Rus, Las cláusulas, cit., p. 14. 145

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del interés social (art. 204 LSC), respectivamente. Y en general, por lo que se refiere a los posibles contratos entre sociedad y administradores, la nulidad deducible del art. 1255 del Código Civil deberá apelar más a la violación de las buenas costumbres (remuneración completamente desproporcionada) que a la violación de la ley147. Respecto al órgano de administración, estamos ante un deber concreto de diligencia derivado del deber general (art. 225 LSC) y en principio, dado que se trata de una decisión estratégica y de negocio, se puede pensar que queda sometida a la discrecionalidad empresarial del art. 226 LSC148. Sin duda se está como decimos ante un mandato legal, pero no un mandato preciso y concreto en cuyo caso no habría margen para la discrecionalidad empresarial, sino ante una norma que deja bastante margen de discrecionalidad y donde el administrador debe realizar un juicio valorativo que parece que debería quedar como regla protegido por la business judgment rule (BJR)149. Así sucede en otros ordenamientos jurídicos, como son los casos tanto del Derecho norteamericano como del Derecho alemán. En el primero las decisiones sobre las remuneraciones están por lo general protegidas por el BJR150. Y en el segundo, la fijación de

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En este sentido Leon Sanz, Comentario al artículo 217, cit., p. 288. Vid. Leon Sanz, Comentario al artículo 217, cit., p. 288, que hace referencia a la STS de 25 de junio de 2012 (RJ 2012, 8853). No parece en el sentido del texto Fernández del Pozo, El misterio, cit., pp. 226 y 238), que habla de que los posibles acuerdos contrarios al art. 217.4 son impugnables por contrarios a la ley, de modo que respecto a este precepto no cabe la aplicación analógica o “extensiva” de lo previsto en el nuevo artículo 226 de la LSC, a lo que añade que existiendo en la base un conflicto de interés, tampoco parece que exista exoneración de la responsabilidad de los administradores. 149 Desde un punto de vista general puede verse, Alfaro, Artículo 226. Protección de la discrecionalidad empresarial, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. Juste Mencía, Cizur Menor, 2015, pp. 324 ss., esp. 330-332, donde nos dice que las decisiones discrecionales por excelencia son las decisiones de inversión y desinversión, entre las que hay que incluir las relativas a personal como a actos de gestión (contratación o despido de directivos). También, Guerrero Trevijano, El deber de diligencia de los administradores en el gobierno de las sociedades de capital. La incorporación de los principios de la business judgment rule al ordenamiento español, Cizur Menor, 2014, pp. 249-260. 150 Vid. Herting/Kanda, en AA.VV. The Anatomy of Corporate Law A Comparative and Functional Approach2, Oxford, 2009, cap. 5; Clark, Corporate Law, 1996, p. 192. Y en la jurisprudencia Rogers v. Hill, 1933, 289 U.S. 583, uno de los pocos casos en los que la retribución ha sido considerada no razonable. Más recientemente, Gross-Brown, Deberes de los administradores en el derecho comparado: El deber de diligencia y el business judgment rule, en RdS, 37, julio-diciembre, 2011. p. 307 ss. 148

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la retribución o la aprobación de los contratos con los integrantes de la Dirección por el Consejo de Vigilancia, están incluidos en el ámbito de aplicación del parágrafo 93.1 AktG que desarrolla el criterio del buen juicio empresarial151. Pues bien, en nuestro Derecho, lo cierto es que el nuevo art. 226 LSC introduce en su apartado segundo dos excepciones a la aplicación de la regla contenida en el apartado primero. Por un lado, excluye expresamente del ámbito de la discrecionalidad empresarial a las decisiones que afecten personalmente a otros administradores y personas vinculadas, a pesar de que estas decisiones pudieran ser consideradas estratégicas y de negocio, de donde parece que se debe deducir sin ningún genero de dudas que la regla de discrecionalidad empresarial no es aplicable para determinar la razonabilidad o adecuación de la remuneración152. Y por otro, también excluye, en particular, aquellas decisiones que tengan por objeto autorizar las operaciones prevista en el artículo 230 LSC. Sobre estas últimas como se nos dice no parece que se planteen grandes dudas porque el propio precepto delimita el margen de discrecionalidad para la autorización de la dispensa correspondiente, además de que se está en terrenos de la deslealtad que quedan fuera del ámbito de la BJR153. Pero no sucede lo mismo respecto a las primeras, porque la exclusión generalizada de la discrecionalidad empresarial a toda operación que

151 Como se ha dicho por la doctrina alemana la fijación de la remuneración no es una cuestión jurídica sino mayormente una cuestión económica, hasta el punto de que, dentro de la gran libertad de que dispone el Consejo de Vigilancia para fijar la retribución de los integrantes de la Dirección, el administrador de una sociedad en dificultades podría, con buenas razones, reclamar una remuneración más elevada porque la gestión en este caso es mucho más delicada que si la sociedad goza de buena salud (Vid. Teichmann, Chr., Le dirigeant d’Aktiengesellschaft en Allemagne, en La direction des sociétés anonymes en Europe. Vers des pratiques harmonissées de gouvernance?, cit., p. 43). También, entre nosotros, con otras referencias, Roncero Sánchez, Protección de la discrecionalidad empresarial y cumplimiento del deber de diligencia, en Junta general y consejo de administración en la sociedad cotizada, Dir. Rodríguez Artigas et alli, II, Cizur Menor, 2016, p. 413. 152 Así parecen Juste Mencía/Campins Vargas, La retribución de los consejeros delegados o de los consejeros con funciones ejecutivas. El contrato entre el consejero ejecutivo y la sociedad (arts. 249.3 y 4 y 529 octodecies LSC), en, Junta general y consejo de administración en la sociedad cotizada, cit., p. 757 ss., esp. p. 787; y Roncero Sánchez, Protección, cit., p. 413. 153 Vid. Guerrero Trevijano, El deber de diligencia, cit., p. 305; idem, La protección de la discrecionalidad empresarial en la Ley 31/2014, de 3 de diciembre, en RDM, 298, octubre-diciembre 2015, p. 147 ss., esp. 166.

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pueda afectar a otros administradores (y personas vinculadas) la verdad es que se puede considerar un tanto excesiva154. Veamos esto último con algo más de detenimiento. La norma parece que se justifica por la previsible existencia en estos casos de un conflicto de interés con la sociedad,155 esto es, un interés personal del administrador (en realidad con otros administradores o personas vinculadas), que incumple lo exigido por el art. 226.1 LSC, y que nos lleva al terreno de la deslealtad (arts. 228,229 y 230 LSC), que como es sabido queda fuera del ámbito de aplicación del criterio del buen juicio empresarial. De ahí que se haya podido decir en un primer momento que la norma carece de sentido156. La cuestión es que se pretende implantar en nuestro ordenamiento jurídico un tratamiento específico de las denominadas decisiones de carácter mixto o fronterizo157, que son aquellas que envuelven a la vez aspectos empresariales (libres de intervención) y posibles conflictos personales (que sí deben ser sometidos a control), como sucede en una serie de casos: fijación de retribuciones de otros administradores y ejecutivos; adopción de medidas defensivas en batallas por el control; aprobación de transacciones vinculadas; etc. Y se dice que respecto a este grupo de casos puede hablarse de un tercer deber, el deber de independencia, a mitad de camino entre el deber de diligencia y el de lealtad. Si bien, se nos sigue diciendo, el desarrollo de este tertiun genus exige responder a la pregunta: ¿cómo debe actuar un administrador o un consejo verdaderamente independiente? Y a partir de ahí arbitrar o desarrollar un régimen de responsabilidad intermedio, ni tan indulgente como el de la diligencia ni tan severo como el de la deslealtad158. Pues bien, a nuestro juicio, la cuestión es que este tratamiento intermedio no está desarrollado del todo ni diferenciado de uno y otro deber.

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Así Guerrero Trevijano, La protección, cit., p. 167. Vid. Guerrero Trevijano, El deber de diligencia, cit., pp. 303-304; Alfaro, Artículo 226, cit., p. 337. 156 Así Guerrero Trevijano, El deber de diligencia, cit., p. 259. 157 La norma probablemente tiene su fuente de inspiración en Paz-Ares, La responsabilidad de los administradores como instrumento de gobierno corporativo, en Indret, Working paper, 162, 2003, pp. 33-34. También puede verse, con posterioridad a la reforma, Roncero Sánchez, Protección, cit., p. 413. 158 Así Paz-Ares, La responsabilidad, en Indret, Working paper, 162, 2003, p. 34. También hablan, tras la reforma, del deber de independencia Díaz Moreno, La business judgment rule, en Las reformas del régimen de sociedades de capital según la Ley 31/2014, Gómez-Acebo Pombo Abogados, Mayo 2015, pp. 48 ss., esp. 53-54; Guerrero Trevijano, La protección, cit., p. 166; y Roncero Sánchez, Protección, cit., p. 413. 155

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En principio parece claro que el tratamiento normativo particular consiste sencillamente en la no aplicación a este tipo de decisiones de la regla de la discrecionalidad empresarial, lo que permite pensar que se está ante un deber de diligencia específico que lo aproxima al deber de lealtad porque puede plantear ciertas situaciones de conflicto de intereses. De este modo se refuerza la legitimidad del órgano de administración, en particular del consejo de administración, como órgano competente tanto para la fijación de las retribuciones concretas de los administradores en su condición de tales (art. 217.3 LSC), como, especialmente, las de los consejeros ejecutivos (art. 249.3 y 4 LSC). Téngase en cuenta que una de las críticas más frecuentes y más justificadas que se viene formulando frente a la competencia del consejo para la fijación de las retribuciones de los consejeros ejecutivos, es que la abstención de los afectados en el acuerdo no constituye una garantía de independencia de los que deben decidir, porque decidirán pensando que harán lo mismo por ellos159. Por tanto en este sentido se puede entender en principio que la norma completa el sistema. Ahora bien, el problema está en lo extremadamente limitado de la regulación de este supuesto nuevo deber de independencia. Porque si no se está ante una situación de deslealtad según los arts. 228 y 229 LSC, y el administrador afectado declara la existencia del conflicto de intereses y no participa en el acuerdo, la buena fe que demuestra este comportamiento permite tanto salvar el interés de la sociedad como postergar el posible interés personal. En estos casos se nos dice que no parece que existan grandes inconvenientes para admitir la aplicación de la BJR160, porque precisamente la ausencia de interés personal es uno de los elementos esenciales que permite presumir la diligencia del afectado, a la vez que su independencia.161 Como dice el profesor Jesús Alfaro, en todo caso, es un problema de si la decisión de los administradores no conflictuados se tomo libre de influencias por parte de los conflictuados, de manera que para ampararse en la BJR, los no conflictuados habrán de justificar («procedimiento adecuado») la no

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Vid., en relación al Derecho inglés, Sánchez Alvarez, Remuneración de los administradores en su condición de tales (arts. 217, 529 sexdecies y 529 septdecies LSC), en Junta general y consejo de administración en la sociedad cotizada, dir. Rodríguez Artigas et allí, II, Cizur Menor, 2016, p. 703, donde nos habla de la «mutual back scratching»: cada administrador protege al otro sabiendo que éste hará lo mismo con él (Davies & Worthington, Principles of Modern Company Law9, London, 2012, p. 401). 160 Así parece Guerrero Trevijano, La protección, cit., pp. 167-168. 161 Vid. Alfaro, Artículo 226, cit., p. 337.

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influencia del segundo en la decisión, lo que dependerá de las circunstancias del caso162. 6.2.8. El criterio teleológico: la sostenibilidad y otras cautelas. En cuanto al criterio finalista, en el mismo art. 217.4 LSC, se añade que el sistema de remuneración deberá perseguir tres tipos de finalidades, una primera de carácter positivo, cuando habla de que dicho sistema esté orientado a promover la rentabilidad y sostenibilidad a largo plazo de la sociedad; y otras dos más de carácter negativo, cuando se impone que se incorpore también en el sistema remuneratorio programado las cautelas necesarias para evitar la asunción excesiva de riesgos y la recompensa de resultados desfavorables. Respecto a lo primero se impone que el sistema remuneratorio esté orientado a promover la rentabilidad y la sostenibilidad a largo plazo de la sociedad. Esta exigencia tiene su razón de ser en evitar en lo sucesivo los planes o políticas remuneratorias demasiado apegadas al corto plazo, especialmente en las sociedades cotizadas y respecto a las remuneraciones de carácter variable, por el enorme riesgo que representan para la rentabilidad y la continuidad de la empresa. El peligro viene por lo general por la conexión con las cotizaciones bursátiles163, si bien el legislador español generaliza la norma a todo tipo de sociedades de capital más allá de las sociedades cotizadas, a diferencia de lo establecido en otros derechos nacionales164. Y también hay que entender que el criterio de la sostenibilidad, a pesar de su mayor proximidad a las remuneraciones variables, es aplicable en principio tanto a unas como a otras. Con todo hay que tener en cuenta que estamos ante conceptos jurídicos in-

162 Vid. Alfaro, J., Artículo 226, cit., p. 338, donde añade que cuando son varios los consejeros conflictuados, de modo que no es posible adoptar una decisión por parte de los no conflictuados por falta de quórum, habrá que entender que la BJR no se aplica y la decisión habrá de escrutinizarse como todas las adoptadas en conflicto de interés. Si bien esto -añade- no significa que la decisión deba anularse o genere responsabilidad. 163 Vid. Portale, Un nuovo capitolo del governo societario tedesco: l’adeguatezza del compenso dei Vorstandsmitglieder, en Riv. soc., 2010, p. 4 ss.; Recalde/Schönnenbeck, La Ley alemana, cit., p. 1071. 164 Cfr. parágrafo 87 AktG. En cuanto a las razones de la exclusión puede verse Recalde/Schönnenbeck, La Ley alemana, cit., p. 1070: entienden como razonable que el criterio también se tuviera en cuenta en las sociedades no cotizadas, si bien el legislador alemán no consideró necesario establecer una obligación legal para las sociedades no cotizadas, ni las sociedades de responsabilidad limitada, por su estructura relativamente más cerrada, con el correspondiente plus de control por parte de los socios.

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determinados de no fácil concreción, no sólo por lo relativo a la sostenibilidad, que pudiera entenderse como una plasmación o evocación del principio de conservación de la empresa, sin duda más propio del derecho concursal, pero que en cualquier caso habrá que entender dentro de los límites constitucionales de la libertad de empresa; sino también por lo que se refiere a la rentabilidad, que puede ser entendida de muy variadas formas. Así, como nos dice Sánchez-Calero Guilarte, con esta expresión se puede estar aludiendo al resultado positivo del ejercicio, al mantenimiento o aumento del dividendo, a la creación de valor, a la evolución de la cotización bursátil o al beneficio por acción165. Y verdaderamente podría pensarse en alguno de estos sentidos, pero a nuestro juicio, dada la generalidad con la que está formulada la norma y la cantidad de nuevos problemas que podría general cualquiera de la opciones que se ofrecen, aconsejan optar por un sentido lo más genérico posible, esto es, algo en la misma línea de la sostenibilidad, con lo cual hay que concluir que ambas expresiones resultan en cierto modo redundantes. Ahora bien, la mención expresa del largo plazo no puede significar que las políticas empresariales a corto o medio plazo deban ser demonizadas y no puedan tener ninguna influencia en la política remuneratoria166. Y no parece que deba ser así porque se podría llegar a una situación contradictoria entre la rentabilidad de la sociedad y su sostenibilidad. En este sentido hay que recordar la protección específica con la que cuentan los administradores sociales a partir de la reforma según el nuevo artículo 226 LSC: «protección de la discrecionalidad empresarial» (business judgment rule).167 Por tanto hay que valorar en sus justos términos el mandato normativo. En el mismo se establece de manera acertada, y siguiendo en este punto fielmente el modelo alemán, que dicho sistema remuneratorio deberá estar “orientado”, esto es, pensado o dirigido hacia el desarrollo duradero de la empresa, pero sin que esto signifique que se tenga que abandonar del todo el corto o el medio pla-

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Sánchez-Calero Guilarte, ¿Cómo medimos el rendimiento empresarial que es presupuesto de la retribución?, en El blog de Juan Sánchez-Calero Guilarte, 22 de septiembre de 2015, http://jsanchezcalero.com, visitado: 21/12/2015. 166 Buena prueba de lo que se dice lo vemos en la reciente Ley 10/2014, de 26 de junio, de ordenación, supervisión y solvencia de las entidades de crédito, donde en su exposición de motivos se habla de alinear la política de remuneraciones con los riesgos en el medio plazo de la entidad. 167 Vid., entre otros, Alfaro, Artículo 226, cit., p. 325 ss.; Guerrero Trevijano, El deber, cit., esp. p. 245 ss.

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zo. Y esto por diferentes razones, por un lado, porque conceptualmente la cuestión no es nada clara y puede chocar frontalmente con la posible causa disolutoria fijada en los estatutos; y por otro, porque el interés social no está sometido a un plazo concreto sino que puede deambular de uno a otro plazo en función del tipo de empresa o negocio168. Por lo que se refiere a las cautelas de carácter negativo, el sistema remuneratorio, por un lado, no deberá incentivar la asunción excesiva de riesgos para la sociedad. En este sentido parece que por lo que se refiere a las remuneraciones variables deben tener un carácter plurianual, a pesar de que nada dice la norma, pero es la cautela que más sentido puede tener de cara a evitar tanto los riesgos excesivos, como a favorecer la sostenibilidad de la empresa. En todo caso sobre esta cuestión no se puede olvidar que el sistema jurídico de control de la gestión societaria se sustenta en los deberes de diligencia y de lealtad, que como en parte hemos anticipado no sólo no penalizan la asunción de ciertos riesgos, sino que se desarrollan fórmulas o principios dirigidos a incentivar precisamente la toma de cierto nivel de riesgos (discrecionalidad empresarial). Finalmente, también incorpora el sistema remuneratorio alguna cautela para evitar la recompensa de resultados desfavorables. No nos dice nada más la norma a este último respecto, pero no obstante, la inteligencia de la norma puede ser entendida en un doble sentido. Por un lado, a sensu contrario, que se deben valorar los resultados favorables para fijar la remuneración de los administradores, y por otro, que en el caso de resultados desfavorables el sistema debe penalizar, o al menos no recompensar, la remuneración de dichos administradores. En este sentido se podía entender la recomendación 35 del CUBG, cuando establecía: «Que las remuneraciones relacionadas con los resultados de la sociedad tomen en cuenta las eventuales salvedades que consten en el informe del auditor externo y minoren dichos resultados». Dentro de las posibles cautelas que se pueden introducir con la finalidad mencionada están las cláusulas contractuales de restitución de las remuneraciones que no se consideren acordes a los resultados169. Ir algo más allá del ámbito con-

168 Vid. Recalde/Schönnenbeck, La Ley alemana, cit., pp. 1071-1072; Sánchez Alvarez, Remuneración, cit., pp. 716-717. 169 Se trata de las denominadas clawbacks norteamericanas (vid. León Sanz, La retribución de los administradores y de los ejecutivos en caso de crisis de la empresa”, en Estudios de Derecho mercantil en memoria del Profesor Aníbal Sánchez Andrés, dirs. Sáenz García de albizu, et allí, Madrid, 2010, p. 759).

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tractual se presenta más dificultoso sin el respaldo de una norma concreta, ya sea para reducir o para exigir la restitución de ciertas remuneraciones170. En todo caso, alguna vía se ha abierto en este sentido cuando se establece en el nuevo artículo 227.2 LSC, sobre el deber de lealtad de los administradores, que la infracción de dicho deber no sólo obliga a indemnizar el daño al patrimonio social, sino también a devolver a la sociedad el enriquecimiento injusto obtenido por el administrador. Pero como se ve se trata de una vía bastante estrecha. La Propuesta de Directiva mencionada se limita en este aspecto, y sólo para las sociedades cotizadas, a decir que la política de remuneraciones informará sobre la posibilidad de que la sociedad exija la devolución de la remuneración variable (art. 9.3.III). Luego parece que se plantea más como un derecho informativo del socio, bien de la existencia de alguna norma o cláusula contractual al respecto, o bien de la existencia de alguna recomendación de buen gobierno sobre lo mismo. 6.3. La remuneración de los consejeros delegados y de los consejeros ejecutivos: delegación de facultades y contrato. 6.3.1. Introducción: el consejero ejecutivo. Como anticipamos la remuneración de los administradores, miembros del consejo de administración, que desempeñen tareas ejecutivas o de dirección está sometida a un nuevo régimen jurídico. En estos casos (consejero delegado o consejero con funciones ejecutivas), como se establece en el nuevo artículo 249.3 y 4 LSC, será necesario la celebración de un contrato entre el consejero y la sociedad, donde se detallarán todos los conceptos por los que se pueda obtener una retribución por el desempeño de funciones ejecutivas, incluidas, en su caso, la posible indemnización por cese anticipado, las cantidades pagadas por primas de seguros o aportadas a sistemas de ahorro. De modo que el consejero no podrá percibir retribución alguna por el desempeño de funciones ejecutivas cuyas cantidades o conceptos no estén previstos en dicho contrato171. Y no parece que exista inconveniente en la celebración de un

170 Normas en este sentido, de reducción o limitación, las vemos en el parágrafo 87.2 de la AktG, y más drásticas de restitución en el Código suizo de obligaciones, en su art. 678 (Vid. Val Talens, La retribución, cit., p. 8). 171 En general sobre este nuevo precepto puede verse Leon Sanz, Comentario al artículo 249. Delegación de facultades del consejo de administración, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo

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contrato de este tipo con carácter gratuito amparado por la autonomía de la voluntad.172 Volveremos sobre esto último un poco más adelante al hablar del carácter necesario de dicho contrato y de la intervención del Registrador mercantil. Una cuestión previa importante es qué se debe entender por consejero ejecutivo para concretar el ámbito subjetivo de aplicación de la norma que comentamos. El legislador parte de la equiparación entre el consejero delegado y el consejero con funciones ejecutivas en virtud de otro título, probablemente lo hace con la intención de evitar posibles huidas del régimen jurídico previsto para los consejeros delegados173. Pero el artículo 249.3 LSC no define la figura del consejero con funciones ejecutivas, se limita a aludir al consejero delegado o consejero con funciones ejecutivas como supuestos en los que se deberá celebrar un contrato entre éste y la sociedad. Una definición del consejero ejecutivo la tenemos en el ámbito de las sociedades cotizadas, de donde pudiera plantearse su posible aplicación analógica174. El nuevo art. 529 duodecies (categorías de consejeros) LSC nos dice lo siguiente: «1. Son consejeros ejecutivos aquellos que desempeñan funciones de dirección en la sociedad o su grupo, cualquiera que sea el vínculo jurídico que mantengan con ella. No obstante, los consejeros que sean altos directivos o consejeros de sociedades pertenecientes al grupo de la entidad dominante de la sociedad tendrán en ésta la consideración de dominicales. Cuando un consejero desempeñe funciones de dirección y, al mismo tiempo, sea o represente a un accionista significativo o que esté repre-

(Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. Juste Mencía, cit., pp. 497 ss., esp. 507 ss. y 511 ss.; y Juste Mencía/Campins Vargas, La retribución, cit., p. 757 ss. 172 Vid. Leon Sanz, Comentario al artículo 249, cit., p. 508. 173 Vid. Leon Sanz, Comentario al artículo 249, cit., p. 518; Juste Mencía/Campins Vargas, La retribución, cit., pp. 770-771. También, Alfaro, en relación a la reforma proyectada [La reforma, cit., p. 4), habla de que se trata de una concreción del principio de calificación de los contratos de acuerdo con su causa y no con la denominación que le hayan dado las partes (los contratos son lo que son y no lo que las partes dicen que son), de modo que los “apoderados generales”, “gerentes” o “directores generales” pueden quedar sometidos a esta regulación si no existe la figura del consejero-delegado pero tienen asignadas las funciones propias de éste. 174 Vid. Alarcón Elorrieta, Otra vuelta de tuerca a la retribución de los consejeros por funciones ejecutivas en sociedades no cotizadas, en LA LEY mercantil, 14, mayo 2015, p. 5, que habla de que la remisión que hace el art. 529 octodecies al art. 249 permite extender la definición de funciones ejecutivas a las sociedades no cotizadas.

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sentado en el consejo de administración, se considerará como ejecutivo. 2. Son consejeros no ejecutivos todos los restantes consejeros de la sociedad, pudiendo ser dominicales, independientes u otros externos. 3. (…)» Según este precepto el dato relevante para la calificación de un consejero como ejecutivo es el desempeño de funciones de dirección en la sociedad o su grupo, con independencia del vínculo jurídico que mantenga con ella, y con la salvedad respecto a los altos directivos de las sociedades filiales. Se han de tratar por tanto de consejeros con funciones ejecutivas relevantes y atribuidas de manera estable, como sucede con el consejero director general o bien otros supuestos similares. El legislador ha optado por una definición conocida que probablemente viene del CUBG de 2006, donde se definía al consejero ejecutivo como aquel que desempeña funciones de alta dirección o sea empleado de la sociedad o de su grupo175. Ahora el nuevo CBGSC de 2015 se remite a las definiciones legales del artículo mencionado. El problema radica en que el precepto relativo a las cotizadas no coincide del todo con el art. 249.3 LSC, porque según éste el consejero deberá desarrollar las funciones ejecutivas en la sociedad que administra, cosa que no siempre será así según el art. 529 duodecies.1 LSC porque permite que esas tareas puedan ser desarrolladas en una sociedad filial del grupo. Y en estos casos no tendrían que mantener un contrato con la sociedad cotizada sino con la filial donde desempeñan las funciones ejecutivas.176 Pues bien, hecha esta salvedad, a nuestro juicio, la idea de consejero ejecutivo a la que se refiere el art. 249.3 no tiene porque diferir de la del art. 529 duodecies.1 LSC, y se puede concretar con los antecedentes mencionados del anterior Código Unificado de buen gobierno, que hoy han sido traídos al art. 249 bis.h), donde se habla, en relación a las facultades indelegables del consejo, del nombramiento y destitución de directivos que tuvieran dependencia directa del consejo o de alguno de sus miembros, así como el establecimiento de las condiciones básicas de sus contratos, incluyendo

175 El Anexo III (Definiciones) del Código Unificado hablaba de los consejeros ejecutivos como aquellos que desempeñen funciones de alta dirección o sean empleados de la sociedad o de su grupo (art. 8 de la Orden ECC/461/2013, de 20 de marzo), y de los altos directivos como aquellos que tenga dependencia directa del consejo o del primer ejecutivo de la compañía, en todo caso, el auditor interno. Esta idea la vemos ahora en el art. 249 bis h) LSC, cuando desarrolla las facultades indelegables del consejo. 176 Así Juste Mencía/Campins Vargas, La retribución, cit., pp. 772-773.

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su retribución177. Parece que es en estos casos donde nos encontramos con el contrato al que se refiere el art. 249.3, como expresamente se dice en el precepto, y por tanto sometidos al acuerdo en pleno del consejo, incorporarse al acta, y con la abstención del interesado. En definitiva, sobre la base de los anterior, a la vista de la formulación tan amplia de la norma (atribución de funciones ejecutivas en virtud de otro título) se puede decir que cualquier consejero que desempeñe una función de dirección de cierta relevancia y de manera permanente (por ejemplo, consejero delegado, director de marketing, dirección de sucursales, dirección financiera, dirección comercial, dirección de recursos humanos, etc.)178, esto es, tareas que vayan más allá de las funciones gestoras y supervisoras básicas, cuyo referente viene marcado en principio por las facultades indelegables del art. 249 bis LSC179, deben quedar sometidos a este régimen jurídico y celebrar con la sociedad el contrato correspondiente. En todo caso hay que tener en cuenta que la casuística, especialmente en las sociedades cerradas, puede ser muy variada. 6.3.2. Sobre la naturaleza jurídica del contrato. Otra cuestión es la relativa a la naturaleza jurídica del contrato, en un principio se puede estar a favor de su calificación como mercantil, tanto por su tipicidad ahora claramente jurídico-societaria, como por su sometimiento por la misma razón a la jurisdicción mercantil, y ello sin perjuicio de la posible aplicación de disposiciones específicas sobre seguridad social o en materia fiscal180. No obstante, como en parte se ha anticipado respecto al régimen jurídico anterior a la reforma de 2014, la relación de los consejeros ejecutivos con la sociedad es doble, aunque hasta ahora esta duplicidad se ha venido negando, fundamentalmente por la Sala 1ª del TS, por la falta de la ajenidad en la relación y la con-

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Ibi, pp. 773-774. Vid. Alarcón Elorrieta, Otra vuelta de tuerca a la retribución de los consejeros por funciones ejecutivas en sociedades no cotizadas, p. 6. 179 Vid. Leon Sanz, Comentario al artículo 249 bis. Facultades indelegables, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. Juste Mencía, cit., pp. 521 ss., esp. 524, donde nos dice este autor que el catálogo de facultades indelegables no debe entenderse de manera estricta como una lista cerrada. También puede verse Quijano, Los presupuestos de la responsabilidad de los administradores en el nuevo modelo del consejo de administración, en RDM, 296, abril-junio 2015, pp. 151-154, esp. 153. 180 Vid. Leon Sanz, Comentario al artículo 249, cit., p. 508. 178

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siguiente aplicación de la teoría del vínculo181. No obstante la Sala de lo Social del mismo TS ha reconocido la existencia de la relación laboral si se dan las notas de dependencia y ajenidad. Y esta última existe a su juicio siempre que la participación accionarial del administrador ejecutivo sea inferior al 50% del capital social (SSTS, 4ª, de 29.1.1997 y 20.11.2003). Pero lo cierto es que ahora con la nueva regulación sobre las remuneraciones de los administradores la distinción y doble relación se reconoce expresamente. Por un lado, la relación mercantil del consejero en su condición de tal en el artículo 217.2 y 3 LSC, y por otro, la relación del mismo sujeto como consejero ejecutivo en el artículo 249.3 y 4 LSC (arts. 529 septdecies y 529 octodecies LSC en el caso de las sociedades cotizadas)182. Pues bien, a la vista del art. 1.3 TRLET183, este contrato de la sociedad con el consejero ejecutivo puede ser calificado de laboral si se dan las notas de ajenidad y dependencia propias de toda relación laboral. Lo primero si los administradores no son socios mayoritarios ni de control y lo segundo si están sometidos a la dirección y supervisión del consejo de administración184. Y esto es algo que hoy día se ve corroborado de manera clara por el Derecho europeo a la vista de la doctrina jurisprudencial desarrollada en las SSTJUE de 11.11.2010 (caso Danosa) y 9.7.2015 (caso Balkaya)185. En último caso, si no se dan las notas de ajenidad y dependencia, estaremos ante una relación de prestación de servicios de carácter mercantil-societario186. No obstante, no parece que un sector de nuestra doctrina sea muy optimista respecto a este posible cambio de la calificación de la naturaleza jurídica contractual, incluso a pesar de las recientes reformas fiscales187, la solución a

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No obstante esta misma Sala 1ª del TS reconoce que si se prueba la existencia de una relación laboral de alta dirección y que las retribuciones se perciben por la actividad de gerente, en este caso la jurisdicción competente es la laboral, de acuerdo con el art. 9.5 de la LOPJ y de los arts. 1 y 2 de la Ley de Procedimiento Laboral (STS, 1ª, de 27.3.2003). 182 Vid. Alfaro, Adiós a la teoría del vínculo, en Almacen de derecho, 16 de diciembre de 2015 http://almacendederecho.or (visitado: 22.12.2015); Juste Mencía/Campins Vargas, La retribución, cit., pp. 781-782. 183 Aprobado por Real Decreto Legislativo 2/2015, de 23 de octubre (BOE, 24.10.2015). 184 Vid. Alfaro Aguila-Real, La reforma, cit., p. 3, en relación al proyecto de reforma; Alfaro, Adiós, cit., pp. 4-5. 185 Vid. supra epígrafe 2. Y Alfaro, Adiós, cit., p. 5 ss. 186 En esta línea con anterioridad a la reforma puede verse la SAP de Teruel de 24.5.1997, con numerosas referencias a resoluciones de las Salas 1ª y 4ª del TS. 187 Vid. Juste Juste Mencía/Campins Vargas, La retribución, cit., p. 782. Las referencias

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este problema entienden debe venir del Derecho laboral, y tras más de veintiséis años de una doctrina jurisprudencial muy consolidada de rechazo de la laboralidad de la relación de los consejeros según el art. 1.3 c) TRLET, los tribunales de este orden jurisdiccional pueden continuar en la misma dirección, realizando una declaración de incompetencia de jurisdicción a las posibles reclamaciones de los consejeros ejecutivos por el incumplimiento de las cláusulas de sus contratos de alta dirección con la sociedad. 6.3.3. Organo competente para fijar las retribuciones de los consejeros ejecutivos y cautelas legales. La competencia para fijar estas remuneraciones corresponde en este caso de manera exclusiva, con algún matiz que veremos más adelante respecto a las sociedades cotizadas, al consejo de administración, como se establece en el art. 249.3 LSC que dice que el contrato en cuestión deberá ser aprobado previamente por dicho consejo188. Pero dado que esta atribución de competencias es fuente de posibles conflictos de interés la norma introduce una serie de cautelas. Así la exigencia de un voto favorable de las dos terceras partes de los miembros del consejo de administración, la abstención del consejero interesado en la deliberación y en la votación, la incorporación del contrato como anejo al acta de la sesión por razones de transparencia; y, finalmente, la conformidad -en su caso- del contrato con la política de retribuciones aprobada por la junta general. La salvedad que se hace en este último punto puede obedecer a dos razones, por un lado, a que la política de retribuciones sólo es obligatorio su sometimiento a la junta general en las sociedades cotizadas; y por otro, a que en las sociedades no cotizadas cabe la posibilidad de que se establezca en los estatutos o se decida por su junta general el sometimiento de dicha política de retribuciones a ésta, pero de no ser así, la decisión parece que queda por completo en manos del órgano de administración (cfr. arts. 160, 161, 249, 511 bis y 529 novodecies LSC). A

fiscales están hechas al art. 15 de la Ley 27/2014 del impuesto de sociedades, donde se establece la deducibilidad fiscal de las retribuciones que consten en el correspondiente contrato, con independencia de su carácter mercantil o laboral. 188 En cuanto a la posibilidad de que el contrato deba ser aprobado por la junta general por establecerlo así los estatutos sociales no parece que deban existir mayores inconvenientes, pero lo que no cabe en ningún caso es la delegación de esta competencia por su carácter de indelegable según el art. 249 bis.g) LSC (Vid. Leon Sanz, Comentario al artículo 249, cit., p. 509-510).

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lo que hay que añadir que tampoco es obligatorio en las sociedades no cotizadas el Informe Anual de Remuneraciones de los Consejeros (art. 541 LSC). No obstante, sin perjuicio claro esta de las normas de control de las decisiones del órgano de administración y, especialmente, de la aplicación del principio de proporcionalidad o de adecuación de las retribuciones del art. 217.4 LSC, dado que como se establece expresamente en este apartado cuarto del precepto su contenido es aplicable «en todo caso», por consiguiente también al contrato con los ejecutivos y de igual modo a las retribuciones en las sociedades cotizadas. Igualmente son aplicables en todo caso los artículos 218 y 219 LSC, sobre remuneración mediante participación en beneficios y remuneración vinculada a las acciones de la sociedad, respectivamente189. De lo anterior es cierto que se deriva un cierto déficit informativo y participativo para los socios de las sociedades cerradas que es objeto de crítica190. Si bien, a nuestro juicio, hay que decir que argumentar de contrario frente a la literalidad de los nuevos textos legales, no resulta nada fácil. Es más, entendemos que los argumentos críticos desarrollados no son del todo suficientes. Veamos algunos de estos argumentos: i) Así, sostener que pese a todo el art. 217.3 resulta compatible con lo establecido en el art. 249 sin otro argumento que la falta de mención

189 No obstante, parece dudoso para algunos, por ejemplo, la eventual aplicación a los consejeros ejecutivos de las reglas previstas en los arts. 217 a 219 LSC en aquellas cuestiones en las que el legislador no haya introducido la expresión “en su condición de tal”, como son la presunción legal de gratuidad del cargo, la proporcionalidad o razonabilidad de la remuneración y los límites legales impuestos a la participación en beneficios y a la remuneración vinculada a las acciones (Así Campins Vargas, Dudas interpretativas, cit., p. 2). 190 Si bien no todos con la misma intensidad y de la misma forma, pueden verse, entre otros, especialmente a Fernández del Pozo, en sendos trabajos, El misterio, cit., pp. 240248, esp. 244 ss.; y Acerca de la supuesta autonomía del contrato remuneratorio de los consejeros ejecutivos en relación con los estatutos y con el acuerdo de junta del art. 217 LSC (Lo que no dice la Resolución DGRN de 30 de julio de 2015), en La Ley Mercantil, número 18, octubre, 2015. También a Sánchez Rus, Las cláusulas, cit., pp. 30-32; Marín de la Bárcena, La reforma de la retribución de los administradores de las sociedades de capital, en Gómez-Acebo & Pombo, Gestión del Conocimiento (A. Carrasco Perrera, F. Cordón Moreno, A. Díaz Moreno, J.M., Gómez Benítez y F. Marín de la Bárcena), Las reformas del régimen de sociedades de capital según la Ley 31/2014, Mayo, 2015, pp. 42-43; Alarcón Elorrieta, Otra vuelta de tuerca a la retribución de los consejeros por funciones ejecutivas en sociedades no cotizadas, en LA LEY mercantil, nº 14, mayo 2015. Y finalmente, pero sólo en parte, Campins Vargas, Dudas interpretativas, cit., p. 2.

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en este último de la no aplicación del primero, no resulta convincente. Por contra, a nuestro juicio, es precisamente la falta de toda referencia en el último al primero lo que prueba justamente lo contrario, que el legislador los desconecta, que los límites o exigencias del 217 no son trasladables al 249. Sin perjuicio claro está de la salvedad del 217.4 que habla de “en todo caso”. ii) En esta misma línea de compatibilizar y permitir la aplicación cumulativa de ambos preceptos, se dice que el art. 249 LSC constituiría una derogación singular del rigor del 220 LSC, pero sin perjuicio de la aplicación del 217 LSC. Pero esta solución no parece posible, porque en buena lógica lo procedente es entender que los artículos 249 y 220 de la LSC actúan en planos distintos. El primero en relación a la delegación de facultades del consejo de administración, y la retribución de las funciones ejecutivas, y el segundo, que está referido exclusivamente a la sociedad limitada y no ha sido modificado, sobre el concurso de la junta para la prestación de servicios de los administradores a dicha sociedad; pero en este caso tareas ajenas o añadidas a los cometidos específicos de su posición orgánica (asesoramiento jurídico, consultoría empresarial, servicios de ingeniería, ebanista, cocinero, camarero, etc.)191, esto es, transacciones vinculadas192. Y así se puede decir que lo confirma la doctrina jurisprudencial, también la registral, a propósito de las excepciones vistas respecto a la aplicación de la doctrina del vínculo con anterioridad a la reforma de la LSC por la Ley 31/2014193. Con todo,

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Así se viene entendiendo desde la aparición de la LSRL (Vid. Embid Irujo, Comentario al artículo 67, en Comentarios a la Ley de sociedades de responsabilidad limitada, coord. Arroyo/Embid, Madrid, 1997, p. 705; Quijano, Princpales aspectos del estatuto jurídico de los administradores: nombramiento, duración, retribución, conflicto de interés, separación. Los suplentes, en AA.VV., Derecho de sociedades de responsabilidad limitada, I, Madrid, 1996, p. 667; También parece que puede entenderse en este sentido a Estebán Velasco, La administración de la sociedad de responsabilidad limitada, en Tratando de la sociedad limitada, coord. Paz-Ares, Madrid, 1997, p. 746-747 y 760). 192 Vid. Alfaro Aguila-Real, La regulación, cit., p. 2: Repetimos: el art. 220 LSC no se refiere a la retribución de los administradores sino a la celebración de una transacción vinculada entre el administrador y la sociedad. 193 Vid. supra epígrafe 2. El propio Fernández del Pozo, El misterio, cit., pp. 208-210 y 240-243), con referencias a la Resolución de la DGRN de 3 de abril de 2013, auque muy crítico con la reforma, parece no obstante entenderlo de este modo cuando nos dice que lo que no se concebía bajo el régimen jurídico anterior a la Ley 31/2014, es la existencia de un tertium genus de mecanismos retributivos como el que ahora, al parecer, se contempla en el muy discutido y discutible nuevo art. 249 de la LSC, de modo que ahora con la reforma introducida por la Ley 31/2014, estamos ante una partición

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a pesar de estar en planos normativos distintos, es cierto que puede resultar chocante la severidad del artículo 220 LSC frente a la flexibilidad y libertad del 249 LSC. Pero hay que decir que el primero de los preceptos resuelve en un doble sentido un tanto paradójico un problema genérico de autocontratación194. Por un lado limita su ámbito subjetivo sólo para las sociedades limitadas, sin ningún genero de dudas, como lo reafirma lo establecido en el art. 230.2.II in fine, donde se establece de manera reiterativa para las sociedades limitadas la posibilidad de dispensa con la autorización de la junta. Así el legislador deja claro que no cabe su extensión automática a la sociedad anónima, de modo que para ésta la operación puede ser aprobada por el órgano de administración195, y en consecuencia estaríamos en estos casos ante un tratamiento similar al de art. 249 LSC. Y, por otro lado, la norma se refiere de manera genérica a los administradores, por tanto cabe tanto estar ante las fórmulas simples como complejas del órgano. Y en las fórmulas simples (administradores únicos, mancomunados y solidarios), probablemente las más frecuentes en las sociedades limitadas, el control sólo puede venir de la junta, porque en estos casos no existe nadie más que pueda intermediar entre la sociedad y el administrador. De ahí el sentido y el alcance del art. 220 LSC, que puede ser que todavía nos deje alguna duda, pero que como se ha señalado probablemente sea debida a que fue mal diseñado.196 iii) Se critica igualmente el entendimiento de que las retribuciones por la vía del art. 249 LSC quedan fuera del acuerdo de la junta ex art. 217.3 LSC, porque se dice que eso lleva a un tratamiento dispar del órgano de administración en función de su estructura y diseño, esto es, las fórmulas simples sometidas a la transparencia y control riguroso del 217.3 LSC, mientras que en el caso de consejo no por aplicación del otro precepto, lo que se califica de falta de coherencia y de una mínima justificación. Pues bien, a nuestro juicio, y como en parte se acaba de

tripartita de la remuneración de los administradores: la básica de la función supervisora, la complementaria por las funciones ejecutivas y la extra-estatutaria por obras y servicios contratados con un administrador. 194 Vid. Gallego, Comentario artículo 220, en Com. LSC, Rojo/Beltrán, II, cit., pp. 15691571. 195 Vid. Juste Mencía, Artículo 230. Régimen de imperatividad y dispensa, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. J. Juste Mencía, Cizur Menor, 2015, p. 419. 196 Vid. Alfaro Aguila-Real, La regulación, cit., p. 2.

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anticipar, lo que sucede es sencillamente que en la fórmulas simples del órgano de administración la remisión al control de la junta es imprescindible, porque como decíamos no existe un órgano intermedio al que se le pueda encomendar la tarea de control, como sí sucede en el caso del consejo de administración que es al que se refiere el art. 249 LSC. iv) Tampoco parece convincente cuando se dice que la mención en el art. 217.3 a las funciones y responsabilidad constituye una referencia implícita al art. 249, porque según se dice es sobre la base del reconocimiento de la diferenciación de funciones del 217.3 como se justifica la retribución desigualitaria entre las tareas de supervisión y las ejecutivas. Es cierto que la mayor diferenciación de funciones viene dada por las tareas que se acaban de mencionar, pero eso no permite hacer decir a la norma algo que claramente no dice, la deducción interpretativa pretendida va más allá de lo que la hermenéutica jurídica permite, porque también caben diferenciaciones entre los administradores supervisores (presidente, dominicales, independientes, miembros de comisiones, etc.). Resulta mucho más razonable entender que el legislador sólo ha querido romper con el igualitarismo incomprensiblemente “impuesto” desde instancias reglamentarias (arts. 124.3 y 185.4 RRM), sin que la norma se deba trascender al art. 249 LSC. De manera que ahora la desigualdad retributiva es posible tanto respecto a uno como a otro tipo de administradores. En cuanto a los administradores en su condición de tales queda claro con la reforma y por lo que se refiere a los ejecutivos ya se podía entender así con anterioridad, de modo que la reforma en este punto sólo confirma lo existente. v) Ni, por otra parte, lo relativo a que la cobertura estatutaria es necesaria para la retribución de las funciones ejecutivas, porque en las sociedades anónimas no cotizadas no se contempla la intervención de los socios en la determinación de la remuneración adicional, lo que hace imprescindible la plasmación estatutaria. Pero este argumento choca frontalmente con el contenido normativo, que nos dice con claridad todo lo contrario. vi) O bien que hay que extender por analogía el principio de reserva estatutaria a la retribución de las funciones ejecutivas, porque en un sentido amplio integran el sistema de remuneración de los administradores. Lo que de nuevo choca con la literalidad de los textos y con las exigencias de la aplicación analógica. vii) O, finalmente, que la delegación de facultades determina una relación de naturaleza societaria que permite hablar respecto a la retribución del consejero delegado como de administradores «en su condi-

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ción de tales»197, cuando la diferenciación normativa es palmaria (arts. 217 y 249 LSC), como lo corroboran los artículos 529 septdecies y 529 octodecies LSC. A pesar de toda esta batería de argumentaciones, a nuestro modo de ver, no se supera la tajante distinción que el legislador nos hace entre uno y otro tipo de administradores, los administradores en su condición de tales (supervisores) y los ejecutivos198, sin perjuicio de que respecto a estos últimos se pueda pensar con razón que se llega a flexibilizar el sistema retributivo más de lo necesario. Una posibilidad de dar transparencia y cierta participación en estos casos a los socios hubiese podido ser a través de la memoria199, si bien la reforma producida con la Ley 31/2014 no ha incidido en este aspecto y se mantiene en el art. 260.11ª LSC200 que las informaciones sobre las remuneraciones de los administradores se puedan dar de forma global por concepto retributivo y no de manera individualizada, lo que reduce considerablemente el factor de transparencia de la memoria sobre estos aspectos. Y más aún en el caso de la memoria abreviada, a la que se refiere el art. 261 LSC201, que, sin perjuicio de algún posible desarrollo reglamentario, parece permitir la omisión de todos los datos relativos a las retribuciones de los administradores, con la cual la situación no sólo no se mejora sino que se empeora en las pequeñas sociedades con la re-

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Sobre el sentido y alcance de la expresión legal nos remitimos a lo dicho supra epígrafe 6.2.1. 198 Así Campins Vargas, Dudas interpretativas, cit., p. 2, quien afirma que lo que no debe resultar dudoso es que aquellas disposiciones expresamente previstas para los administradores “en su condición de tales”, como son la reserva estatutaria (art. 217.2 LSC) y el importe máximo anual fijado por la junta (art. 217.3 LSC), no obligan legalmente a los consejeros ejecutivos; podrá resultar criticable desde un punto de vista dogmático pero es la regla que se deduce de una interpretación literal, sistemática y teleológica de la ley. También Alfaro Aguila-Real, La regulación, cit., p. 5. 199 Vid. Fernández del Pozo, El misterio, cit., p. 239. 200 Precepto modificado con posterioridad a la Ley 31/2014 por la Disp. Final 4ª.cinco de la Ley 22/2015, de 20 de julio, de Auditoría de Cuentas (BOE, 21.7.2015). Ahora con esta reforma las informaciones sobre la remuneración de los administradores han pasado de la indicación 9ª a la 11ª, sin que haya sufrido variación alguna lo relativo a que dichas informaciones se puedan dar de forma global por concepto retributivo. 201 Precepto igualmente modificado con posterioridad a la Ley 31/2014 por la Disp. Final 4ª.seis de la Ley 22/2015, de 20 de julio, de Auditoría de Cuentas (BOE, 21.7.2015). En este caso la modificación sí que es de consideración como se dice en el texto.

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forma de estos preceptos por la Ley 22/2015, de Auditoría de Cuentas202. No obstante, respecto a estas informaciones de la memoria, y de cara a facilitar el conocimiento por los socios de las retribuciones extraestatutarias, se sostiene203, probablemente con acierto, que hay que entender estas retribuciones acordadas por el consejo de administración como un concepto distinto de las retribuciones estatutarias, de modo que la memoria deberá presentarlas de manera separada y dar información sobre las mismas. Pero además, de cara a la aprobación de la gestión social, el derecho de información del socio debe permitir el conocimiento de la retribución del consejero delegado (arts. 197 y 204 LSC)204. Otra posibilidad que se señala de dar transparencia y participación al socio es el recurso a lo establecido en el art. 220 LSC205, pero como acabamos de ver este precepto no se refiere a la retribución de los administradores. En definitiva, a nuestro juicio, los apartados segundo y tercero del art. 217 LSC con su referencia expresa a «los administradores en su condición de tales» dejan fuera de su ámbito de aplicación a los administradores con funciones ejecutivas del art. 249 LSC206. Efectivamente esta nueva configuración del sistema normativo deja fuera del control estatutario y del control de la junta a estas últimas retribuciones, porque no provienen de su condición genérica de administrador, sino por un título más específico,207 como es el de consejero delegado o de consejero ejecutivo que ahora cuenta con una regulación autónoma y diferenciada, por mucho que su contenido no sea muy distinto. Y siempre con el límite marcado por las facultades indelegables del artículo 249 bis LSC208. De todo esto se deduce como ya se ha visto que a pesar de la gratuidad

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Vid. Fernández del Pozo, El misterio, cit., pp. 239-240. Así Cabanas Trejo, La retribución, cit., p. 10. 204 En este sentido Juste Mencía/Campins Vargas, La retribución, cit., p. 786. 205 Así parece Fernández del Pozo, El misterio, cit., p. 210 y 246). En este sentido, si bien parte de que no es propiamente materia de retribución, igualmente podría entenderse a Martínez Sanz, en Broseta/Martínez Sanz, Manual de Derecho Mercantil22, I, Madrid, 2015, p. 509. 206 Así Campins Vergas, Dudas interpretativas, cit., p. 2; Cabanas Trejo, La retribución, cit., p. 7; Alfaro Aguila-Real, La regulación, cit., p. 279 ss. 207 En este sentido Cabanas Trejo, La retribución, cit., p. 7. 208 En el caso de las sociedades cotizadas el precepto citado se completa con lo establecido en el 529 ter LSC, con la importante excepción en su apartado segundo respecto a los casos en los que concurran circunstancias de urgencia, donde la indelegabilidad se suprime sin perjuicio de la posterior ratificación por el consejo de administración. 203

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estatutaria del cargo, y de lo contradictorio que pueda parecer, la labor específica del consejero ejecutivo podría ser retribuida y, en su caso, estas cantidades no computarían en el montante estatutario fijado para la retribución de los administradores en su condición de tales. Es más, el consejero ejecutivo puede ser retribuido tanto por una vía como por la otra.209 Y en todo caso, ahora, con esta nueva configuración legal, parece que los pagos efectuados por cualquiera de estas dos vías deberán ser computados como gastos de la sociedad a efectos fiscales, de modo que se resuelve también otro de los problemas existentes con anterioridad a la reforma210. Con todo, como venimos diciendo, tanto los estatutos como la junta se pueden pronunciar al respecto con carácter dispositivo, amén de la facultad de intervención de la junta general en asuntos de gestión del art. 161 LSC211. Y en todo caso siempre queda la aplicación del art. 217.4 LSC con los principios en el contenidos, especialmente por lo que se refiere al principio de adecuación de la retribución212, como la de los artículos 218 y 219, que precisamente estos últimos están referidos a algunas de la formas más habituales de remunerar a los consejeros con funciones ejecutivas. Y de cara a la aplicación de estos preceptos, aunque no sólo, hay que resaltar las reformas introducidas en los artículos 251 y 204 LSC. El primero, que se remite a su vez al segundo213, relativo a la impugnación de acuerdos del consejo de administración, donde se rebaja del cinco al uno por ciento del capital social el derecho de mino-

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Así Cabanas Trejo, La retribución, cit., p. 7. Ibi. También supra epígrafe 2. 211 Vid. Esteban Velasco, Comentario al artículo 161. Intervención de la junta general en asuntos de gestión, en Comentario de la Ley de sociedades de capital, dirs. Rojo/ Beltrán, Cizur Menor, 2011, p. 1209 ss.; Recalde, Artículo 161. Intervención de la junta general en asuntos de gestión, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. J. Juste Mencía, Cizur Menor, 2015, pp. 51 ss., esp. 57 ss. De especial interés es lo relativo a las consecuencias sobre la responsabilidad de los administradores, en particular cuando la junta desposee a los administradores del juicio empresarial o de discrecionalidad que le atribuye el art. 226 LSC. 212 Sobre esto nos remitimos a lo visto supra en el epígrafe 6.2.6. in fine. 213 Sobre el alcance de la remisión puede verse Díaz Moreno, Comentario artículo 251. Impugnación de acuerdos del consejo de administración, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. Juste Mencía, Cizur Menor, 2015, pp. 541 ss., esp. 547-550, donde nos dice que la remisión no puede ser interpretada ciegamente, sino cuando corresponda, mutatis mutandis. 210

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ría para la impugnación de dichos acuerdos214. De este modo se facilita de manera importante que el socio de la sociedad cerrada, a pesar de no ser un derecho individual, pueda recurrir las decisiones del consejo de administración sobre las retribuciones de los administradores contrarias a las normas mencionadas. Y el segundo, por lo que se refiere a la impugnación de los acuerdos de la junta general, del mismo modo (art. 206 LSC)215, cuando lesionen el interés social, ya sea por daño al

214 Vid. Juste, Derechos de minoría, en Derecho de sociedades de responsabilidad limitada, I, coord. Rodríguez Artigas et al, Madrid, 1996, p. 716; idem, Derechos de minoría, en Diccionario de derecho de sociedades, dir. Alonso Ledesma, Iustel: Madrid, 2006, pp. 518-521. Como nos dice este autor con los derechos de minoría se trata de resolver un delicado conflicto de intereses entre la tutela de los minoritarios y la funcionalidad de la sociedad (evitar posturas obstruccionistas), por lo que su determinación es siempre discutida. Y los posibles abusos por unos u otros deben ser solucionados por medio de la cláusula del interés social, que es precisamente a donde apunta la legitimación de los minoritarios, y la figura del abuso del derecho. No obstante, igualmente se nos advierte que el reconocimiento de un derecho de minoría puede contener un cierto efecto perverso, cuando se emplea la técnica legislativa para despojar al socio de un derecho individual, de modo que en estos casos bajo la apariencia de una mayor protección de los minoritarios se está favoreciendo de hecho al grupo de control de la sociedad. Sobre el reformado artículo 251 puede verse, Díaz Moreno, Comentario artículo 251, cit., pp. 541 ss., esp. 551-554, donde nos apunta que debe entenderse que cualquier socio, con independencia de la magnitud de su participación en el capital, estará legitimado para impugnar los acuerdos del consejo contrarios al orden público, a pesar de que el art. 251 no establece distinción alguna, por aplicación de los principios generales en materia de validez e invalidez de los negocios jurídicos. 215 Es cierto que en este caso se introduce un límite (el 1% del capital social) respecto a la norma previgente, pero se trata de algo muy sutil, que como se ha dicho está orientado, en línea con el Estudio del Comité de Expertos, a evitar impugnaciones movidas por cálculos estratégicos o razones oportunistas, a evitar un ejercicio abusivo del derecho a impugnar que parece considerarse especialmente probable en las acciones promovidas por socios de muy limitada participación [Vid. Massaguer, Artículo 206: Legitimación para impugnar, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. Juste Mencía, Cizur Menor, 2015, pp. 255-256]. Límite que a su vez está matizado en un doble sentido, por la posible reducción, no su elevación, en estatutos y por el reconocimiento de legitimación individual al socio frente a los posibles acuerdos contrarios al orden público. Y, además, teniendo en cuenta que se suele partir de un concepto de orden público bastante amplio (Vid., con otras referencias doctrinales y jurisprudenciales, Afaro, Artículo 204: acuerdos impugnables, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. Juste Mencía, cit., pp. 184-189; Baena Baena, Legitimación activa y pasiva para la impugnación de acuerdos sociales [arts. 206.1,2 y 3, 251.1 y 495.2.b) LSC], en Junta general y consejo de administración en la sociedad cotizada, I, dirs. Rodríguez

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patrimonio social en beneficio de la mayoría o de un tercero, o bien por abuso de la mayoría (en interés propio o de partes relacionadas sin que responda a una necesidad razonable de la sociedad) en perjuicio de la minoría, según se establece en el nuevo art. 204 LSC216. Y precisamente uno de los grupos de casos más relevantes sobre acuerdos contrarios al interés social o acuerdos abusivos lo constituye el de la fijación ilegal de la remuneración de los administradores, las denominadas “retribuciones tóxicas”217, donde nos encontramos con una abundante jurisprudencia en defensa de los socios minoritarios. Es más, en situaciones de conflicto de intereses, según el nuevo art. 190.3 LSC, en el caso de impugnación del acuerdo por el minoritario, la carga de la prueba sobre la adecuación de la remuneración con el interés social recaerá sobre la sociedad o sobre el socio mayoritario218. Y, finalmente, tampoco pude dejar de mencionarse algunas de las reformas introducidas respecto a la legitimación de la minoría para el ejercicio de la acción social de responsabilidad frente a los administradores (art. 239 LSC), que favorecen en alguna medida la posición del minoritario (art. 168 LSC) de cara a la exigibilidad de responsabilidades por la fijación abusiva o excesiva de retribuciones219. Por un lado, por el reconocimiento de la acción directa sin necesidad del concurso previo de la sociedad en los casos de infracción del deber de lealtad (art. 239.1.II LSC)220, que viene acompañada además de la devolución a la sociedad del enriquecimiento injusto obtenido por el administrador con dicha infracción (art. 227.2 LSC)221, si bien es cierto que el legislador no ha previsto en este caso la legitimación extraordi-

Artigas et alli, Cizur Menor, 2016, pp. 560-561). 216 Vid. Alfaro, Artículo 204. Acuerdos impugnables, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades de capital en materia de gobierno corporativo (Ley 31/2014). Sociedades no cotizadas, coord. Juste Mencía, Cizur Menor, 2015, pp. 194 ss., esp. 198 ss. 217 Ibi, pp. 208-210; también Alfaro, La regulación, cit., pp. 5-6. 218 Sobre las dificultades interpretativas de la norma puede verse Recalde Castell, Artículo 190. Conflicto de intereses, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades, cit., p. 85-86. 219 Vid. Juste Mencía/Massaguer, Artículo 239. Legitimación de la minoría, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades, cit., 2015, p. 463 ss.; Saldaña Villoldo, La nueva acción social de responsabilidad tras la Ley 31/2014 para la mejora del gobierno corporativo, en La Ley Mercantil, número 15, junio, 2015. 220 Vid. Juste Mencía/Massaguer, Artículo 239, cit., pp. 468-470, donde, no obstante, parece que nos dice que en este punto la reforma no supone un cambio sustancial en la posición de la minoría. 221 Vid. Saldaña Villoldo, La nueva, cit., pp. 11-12.

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naria de la minoría por lo que parece que la competencia es exclusiva del órgano de administración222. Y por otro, por la compensación de los gastos a los socios que interpongan esta acción en el caso de estimación total o parcial de la demanda (art. 239.2 LSC)223. 6.3.4. Contrato y Registrador Mercantil. Por otro lado, dado que estamos ante un contrato de carácter necesario e imperativo, parece que el Registrador Mercantil deberá intervenir para verificar la celebración de dicho contrato entre la sociedad y el consejero delegado o consejero ejecutivo. Pero en cuanto a la necesidad de que se incluya dicho contrato en la escritura pública de solicitud de inscripción, y su calificación por el registrador mercantil, ya se han pronunciado con fundamento algunas opiniones en sentido negativo224. La razón de esta negativa se puede entender por el carácter confidencial del contenido del contrato y el deber de secreto de los administradores. Téngase en cuenta que la legitimación para solicitar certificación de los acuerdos del consejo de administración reside, en principio, sólo en los propios administradores, pues ni siquiera los socios de manera aislada parece que estén legitimados por razón de protección de los intereses sociales225. Sólo en caso de actuar como titulares de derechos de minoría, ahora, cuando representen el uno por ciento del capital social (art. 251.1 LSC), y de cara a permitir la impugnación de los acuerdos de dicho consejo por los socios se puede entender que estén legitimados para solicitar dichas certificaciones del acta del consejo de administración226. En todo caso lo que sí parece necesario es que conste en las

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Vid. Juste Mencía, Artículo 227. Deber de lealtad, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades, cit., p. 374. 223 Para más detalles sobre esta nueva norma nos remitimos a Juste Mencía/Massaguer, Artículo 239, cit., pp. 470-476. 224 Vid. León Sanz, Comentario al artículo 249, cit., p. 511. 225 Vid. Sánchez Calero, Los administradores en las sociedades de capital2, Cizur Menor, 2007, pp. 696-697. No obstante, como se ha dicho anteriormente, el acceso a la información sobre la retribución del consejero delegado puede venir por la vía del derecho de información del socio [Vid. Juste Mencía/Campins Vargas, La retribución, cit., p. 786]. 226 Vid. Martínez Sanz, Comentario art. 142, en AA.VV., Comentarios a la LSA, Coord. Arroyo/Embid Irujo, II, Madrid, 2001, pp. 1515 ss, esp. 1524, donde nos dice el carácter instrumental del derecho a solicitar certificación respecto de la impugnación debe llevar, aun reconociendo que se trata de una cuestión opinable, a admitir dicha solicitud que tienda a impugnar un acuerdo del consejo. De mismo modo Sánchez Calero, Los

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certificaciones del acta del consejo de administración que se presentan a inscripción, la celebración del contrato y su aprobación de acuerdo con los requisitos establecidos en el artículo 249.3227. No obstante, frente a lo que se acaba de decir, hay quien entiende que el contrato no es imprescindible, ni tampoco es necesaria la manifestación sobre el mismo a los efectos de inscribir el nombramiento en el Registro Mercantil228. Lo primero porque se dice que, de acuerdo con el Informe de la Comisión de Expertos, el contrato sólo es necesario para fijar la retribución del consejero ejecutivo, de manera que si no recibe retribución por esta vía se puede prescindir del mismo. En cuanto a lo segundo, además de lo anterior, porque las consecuencias de la posible infracción no afectan a la validez del nombramiento. Por nuestra parte entendemos que, aún siendo gratuito, la literalidad y la imperatividad del mandato legal apuntan claramente en sentido afirmativo cuando se establece expresamente en el artículo 249.3 que «será necesario que se celebre un contrato», sin que en este apartado tercero se haga referencia alguna a la remuneración229, sino que es en el apartado cuarto del mismo precepto donde se alude a la retribución; pero esta referencia a la retribución, a nuestro juicio, puede ser entendida como uno más de los posibles elementos de dicho contrato, si bien en caso de existir se trata de un elemento necesario. En realidad, en la base de todo esto está el hecho de que entre la sociedad y el administrador, sea o no ejecutivo, lo que existe es una relación contractual, de modo que el contrato es de todo punto necesario, al margen tanto del tipo de formalización que se pueda exigir en cada caso, como del grado de integración legal que se establezca; y, por supuesto, sin perjuicio de la calificación de la administración social como un órgano, cosa que no está reñida con la existencia de la relación contractual.230 En nuestro caso, como vemos, se impone

administradores, cit., p. 697; Fernández de la Gándara, El secretario del consejo de administración, en El gobierno de las sociedades cotizadas, coord. Esteban Velasco, Madrid, 1999, pp. 273 ss., esp. 285 y 297. En sentido contrario Salelles, El funcionamiento del Consejo de administración, Madrid, 1995, p. 251. 227 León Sanz, Comentario al artículo 249, cit., p. 511. 228 Así Cabanas Trejo, La retribución, cit., pp. 8-9. 229 En este sentido León Sanz, Comentario al artículo 249, cit., p. 508. 230 No entramos en detalles sobre la cuestión contractual que, como es sabido, viene siendo polémica, como recordatorio del debate correspondiente nos remitimos a Sánchez Calero, Los administradores, cit., p. 100-103; y a Morillas Jarrillo, Las normas de conducta de los administradores de las sociedades de capital, Madrid, 2002, pp. 71142. En el sentido del texto puede verse, entre otros, Girón Tena, Derecho de sociedades

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una formalización por escrito, que se deduce claramente del tenor literal del apartado tercero del art. 249 LSC, donde se establece que el contrato aprobado deberá incorporarse como anejo al acta de la sesión. Pero además se pueden añadir otros argumentos que refuerzan lo que se dice, por un lado, uno de especial relevancia, como es la referencia normativa que se hace al contrato del que hablamos en el art. 249 bis. h) LSC. En esta norma se establece como una de las competencias indelegables del consejo de administración: «[E]l nombramiento y destitución de los directivos que tuvieran dependencia directa del consejo o de alguno de sus miembros, así como el establecimiento de las condiciones básicas de sus contratos, incluyendo su retribución», de este modo se nos está diciendo que esos contratos, entre los que están los del consejero delegado y los de los consejeros ejecutivos, no sólo abarcan a los aspectos retributivos sino a todas las condiciones básicas de la relación contractual. Aspectos básicos de la relación como pueden ser las cláusulas de exclusividad o permanencia, cláusulas penales por la infracción de la prohibición de competencia o de los deberes de lealtad, cláusulas sobre los deberes de confidencialidad de los consejeros, cláusulas sobre la prohibición de competencia postcontractual, sobre el uso de los bienes sociales, sobre la obligación de la sociedad de suscribir como tomador pólizas de D&O, etc. Y, finalmente, por otro lado, que su celebración y formalización por escrito resulta conveniente por razones de seguridad jurídica, para que de este modo quede constancia de dicho carácter gratuito, a lo que contribuye también su puesta de manifiesto (en el sentido de dar noticia de su celebración) ante el Registrador mercantil. 6.3.5. Sobre la continuidad o no de la “doctrina del vínculo”. En cuanto a la continuidad o no de la denominada doctrina del vínculo, como se ha anticipado, con esta nueva regulación se puede decir que se produce su desvirtuación, porque con el nuevo régimen se deslindan claramente los dos posibles tipos de tareas a desarrollar por los consejeros. Una por su condición de tales y otra por el desempeño de

anónimas, Universidad de Valladolid, 1952, pp. 338-339; Oriol Llebot, Los deberes y la responsabilidad de los administradores, en La responsabilidad de los administradores de las sociedades mercantiles5, dir. Rojo/Beltrán, Valencia, 2013, pp. 24-25; y más recientemente, de manera contundente y clara con referencia los orígenes de la polémica, a Alfaro Aguila-Real, La regulación, cit., pp. 2-3.

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funciones ejecutivas, de modo que sólo la remuneración de las primeras debe quedar reflejado en el sistema retributivo delineado en los estatutos, como ahora se establece expresamente en el art. 217.2 LSC, pero no así respecto a las segundas que quedan remitidas al correspondiente contrato a tenor de lo establecido en el art. 249.3 y 4 LSC. El problema radica en que con la nueva sistemática jurídica quizá no se disipan del todo algunas de las razones justificativas de la doctrina del vínculo. Estamos pensando, por un lado, en el carácter absorbente del título orgánico y las funciones de gestión que le son propias, que podría a pesar de todo dificultar la separación de ambos tipos de relaciones jurídicas. No obstante, a nuestro juicio, no sería esta la interpretación correcta a la vista de los preceptos mencionados a los que habría que añadir el 249 bis LSC. Y por otro, conectado con lo anterior, la dificultad que plantea el Derecho laboral, que debe ser salvada mediante la calificación de la relación jurídica como mercantil o laboral, como se ha visto, en función de que se den o no las notas características de dependencia y ajenidad propias de esta última231. A lo que hay que añadir, por último, que en el caso de las sociedades cerradas, por la vía del contrato se elimina la garantía que supone para los socios el control estatutario y de la junta, esto es, el déficit informativo y participativo al que se ha hecho referencia anteriormente, que en último caso también podría ser utilizado como argumento para mantener la doctrina del vínculo. No obstante, y a pesar de todo, tampoco vemos demasiado apoyo a este último planteamiento a la vista de las nuevas normas. En definitiva, a nuestro juicio, lo más razonable sería entender que la teoría del vínculo ya no resulta de aplicación, pero mucho nos tememos que a falta de una norma laboral clara al respecto se mantenga la tendencia de los últimos años en la jurisdicción laboral232. 6.3.6. Tipología remuneratoria. Por lo que se refiere a los diferentes tipos de remuneraciones la norma establece la necesaria concreción de forma detallada en el contrato, por razones de transparencia, con la finalidad de mitigar el conflicto de intereses propio de las situaciones con riesgo de autocontratación. El art. 249.4 de la LSC alude expresamente a la posible indemnización por cese anticipado en las funciones ejecutivas, las cantidades pagadas por primas

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Vid. supra 6.3.2. Ibi.


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de seguros o aportadas a sistemas de ahorro, quedando excluida cualquier otra retribución no incluida en el contrato. De este modo deben estar mencionadas en el contrato tanto las retribuciones en especie, como cualquier otro tipo de retribución, caso de las gratificaciones por haber prestado algún servicio a la sociedad dentro del ámbito de la gestión. Respecto a las indemnizaciones por cese viene existiendo desde hace algún tiempo un intenso debate sobre su licitud, fundamentalmente porque puede coartar la libertad societaria para la destitución del consejero delegado o consejero ejecutivo (contravención del principio de libre revocabilidad ad nutum de los administradores del art. 223 LSC)233. Los últimos datos españoles sobre el importe que llegan a alcanzar en algunos casos estas retribuciones pueden dar una idea del alcance de la problemática234. No obstante, este tipo de cláusulas contractuales se suelen incorporar en los contratos con los administradores ejecutivos y ahora con la nueva regulación no hay duda de su legitimidad235. Es cierto que en estos casos se platean problemas de coordinación entre la facultad de destitución de la sociedad y el contenido contractual, pero pueden y deben ser salvados acudiendo a las normas generales. Esto es, aplicando los controles a los que quedan sometidas las decisiones del órgano de administración, tanto por razón del deber de diligencia, como por el deber de lealtad, y exigir la correspondiente responsabilidad de sus integrantes. Lo primero aplicando el principio de proporcionalidad o adecuación de la retribución, en cuyo

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Vid., entre otros, Martínez Sanz, Manual, cit., p. 503; Juste Mencía, Retribución de consejeros, en El gobierno de las sociedades cotizadas, Coord. Esteban Velasco, Madrid: 1999, p. 533; García de Enterría, Los pactos de indemnización del administrador cesado, en RDM, 216, 1995, pp. 473 ss., esp. 505 ss. 234 Como se ha publicado recientemente, con apoyo en los datos facilitados por la propia CNMV, y antes de la aprobación de las nuevas normas, las indemnizaciones por cese se han multiplicado por cuatro entre los años 2011 a 2014 y las practica el 85% de las empresas del Ibex35. Dentro de estas indemnizaciones recogidas en un estudio elaborado por el Diario El Mundo (19.9.2015, p. 30), muestra que algunas indemnizaciones de este tipo han alcanzado más de 24 millones de euros (Telefónica, año 2012), más de 15 millones (CaixaBank, año 2014), 11 millones (Endesa, año 2014), más de 8 millones (Ferrovial, año 2012) y otros muchos casos por encima de las seis cifras. 235 Vid. León Sanz, Comentario al artículo 249, cit., p. 516. No obstante, hay quien considera que: no se entiende que, si los socios pueden revocar ad nutum a los administradores (como una medida de control indirecto de la gestión), se encuentren con la obligación de pagarles las indemnizaciones por cese pactadas en los contratos suscritos por el propio consejo sin previsión estatutaria o sin acuerdo de la junta general al respecto (Vid. Marín de la Bárcena, La reforma, cit., p. 43).

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caso puede dar lugar a la responsabilidad de los administradores por violación de su deber de diligencia, si bien como hemos visto atemperada dicha responsabilidad según el nuevo art. 226 LSC236. También, como es natural, por los otros principios y criterios contenidos en el art. 217.4 LSC. Y, lo segundo, por violación de su deber de lealtad por actos contrarios al interés social, como puede ser introducir en el contrato protecciones injustificadas o desproporcionadas frente a la posible destitución. En definitiva, las denominadas cláusulas de “blindaje” pueden ser tenidas por ineficaces si resultan desproporcionadas o injustificadas, porque las normas generales sobre las retribuciones forman parte de los límites específicos a la autonomía de las partes237. Otro tipo de retribuciones, que en todo caso habrá que incluir en el contrato, además de las retribuciones fijas, pueden ser la participación en beneficios a la que se refiere el art. 218 LSC, la retribución mediante acciones o mediante opciones sobre acciones del art. 219 LSC, las indemnizaciones por pacto de no competencia, los pagos en especie (vivienda, vehículo, colegios de los hijos, etc.), las primas de seguros de responsabilidad civil, dietas, remuneraciones por pertenencia a comisiones del consejo, bonus plurianuales vinculados a resultados, entre otros. Naturalmente en estos casos los mandatos legales contenidos en los preceptos que se acaban de citar deberán ser respetados. Las únicas salvedades vienen dadas por el abono de los gastos soportador por el ejecutivo, que no deben ser calificados de remuneraciones, y por los regalos o atenciones de mera cortesía en atención a los usos238. Estos últimos no mencionados en el art. 249.4 LSC, pero sí en el art. 229.1.e) LSC239, sobre el deber del administrador de evitar situaciones de conflicto de interés, donde se prohíbe las remuneraciones de terceros salvo que se trate de atenciones de mera cortesía. En todo caso sobre esta prohibición cabe la posibilidad de dispensa por parte de la junta general a tenor de lo establecido en el también reformado artículo 230 LSC240.

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Vid. supra 6.2.6. Vid. Alfaro Aguila-Real, La reforma, cit., pp. 3-4. 238 Vid. León Sanz, Comentario al artículo 249, cit., pp. 515-516. 239 Vid. Juste Mencía, Comentario al artículo 229. Deber de evitar situaciones de conflicto de interés, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades, cit., pp. 404-405. 240 Juste Mencía, Comentario al artículo 230. Deber de evitar situaciones de conflicto de interés, en Comentario de la reforma del régimen de las sociedades, cit., p. 414 ss. 237

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Finalmente, hay que mencionar la existencia de varias Recomendaciones comunitarias sobre el sistema de remuneración de los consejeros de las sociedades que cotizan en bolsa, la 2004/913/CE y la 2005/162/ CE, que fueron completadas a su vez por la más reciente C(2009) 3177. Como se dice se trata de meras recomendaciones dirigidas a las sociedades cotizadas y con esta misma naturaleza de soft law han sido trasladas a nuestro nuevo CBGSC de 2015. A las mismas nos referiremos con algo más de detalle a continuación al hablar de las particularidades del régimen jurídico en el caso de las sociedades cotizadas. No obstante, como se apunta con buen criterio241, si bien su ámbito de aplicación está referido a las sociedades cotizadas, eso no impide que podamos valorar dichas recomendaciones como expresión del principio de una retribución proporcionada o adecuada, y en este sentido tomarlas como referencia también para las sociedades no cotizadas. 6.3.7. Aspectos de Derecho transitorio. Finalmente permítasenos una breve referencia a los aspectos de derecho transitorio. Sobre esto lo primero que llama la atención es que el legislador se haya olvidado del artículo 249 LSC (Disposición transitoria. Régimen transitorio de la Ley 31/2014). Se hace referencia a que las modificaciones introducidas en los arts. 217 a 219 LSC (además de otros relativos a las sociedades cotizadas) deberán incorporarse en la primera junta general que se celebre a partir de su entrada en vigor el 1 de enero de 2015, pero nada se dice respecto a las posibles delegaciones de funciones existentes con anterioridad pero no sustentadas en contrato alguno, o bien lo están en un contrato que no se corresponde con el ahora exigido por el art. 249 LSC. Es cierto que la omisión puede estar justificada en principio porque la competencia no es de la junta general sino del consejo de administración, no obstante parece que lo razonable hubiese sido incorporar alguna precisión normativa al respecto por razones de seguridad jurídica, especialmente por lo que se refiere a si el contrato es necesario o no. Sobre esto último ya nos hemos pronunciado en sentido afirmativo, pero también hubiese sido conveniente el pronunciamiento legal en cuanto al plazo para la adaptación y sobre las posibles consecuencias de su incumplimiento. Pues bien, ante el silencio normativo, parece que hay que entender que las obligaciones derivadas del artículo 249 entraron en vigor el 24

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León Sanz, Comentario al artículo 249, cit., p. 513.

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de diciembre de 2014; pero dado que para la formalización de los nuevos contratos será necesario por lo general adaptar los estatutos sociales a las exigencias de los artículos 217 y 249 LSC, esto permite y aconseja entender que la disposición transitoria señalada también debe ser aplicada en este caso242. Lo que significa, a nuestro juicio, que habrá que esperar a la primera junta general que se celebre a partir del 1 de enero de 2015, donde se deberán modificar los estatutos sociales, y a continuación, en la primera sesión que se celebre del consejo de administración (que deberá reunirse, al menos, una vez al trimestre)243 se deberá proceder bien a la celebración ex novo, o bien a la renovación del contrato en cuestión entre el consejero ejecutivo y la sociedad, de acuerdo a lo establecido en el nuevo art. 249 LSC. Y en el caso de incumplimiento de la regularización de la situación del consejero, como se nos dice, no parece que deba afectar ni a la permanencia en el cargo, ni tampoco a la integridad de las facultades otorgadas, pero sin perjuicio de las posibles consecuencias fiscales.244 No obstante, dado lo tajante de la norma lo más aconsejable parece que es la revisión de los contratos y su adaptación a la nueva regulación245. 6.4. Régimen jurídico especial de las sociedades cotizadas. 6.4.1. Introducción: carácter necesariamente remunerado del cargo de consejero. Los elementos que caracterizan al régimen jurídico especial sobre las remuneraciones de los consejeros en las sociedades cotizadas son los siguientes: el carácter necesariamente remunerado del cargo, la existencia e intervención de la comisión de nombramientos y retribuciones, la necesidad de aprobar por la junta general la política de remuneraciones de los consejeros, la fijación de las remuneraciones para cada uno de los consejeros por el consejo de administración y la elaboración del informe anual sobre remuneraciones de los consejeros que deberá ser

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León Sanz, Comentario al artículo 249, cit., p. 517. Como es sabido ahora así en el art. 245.3 LSC. 244 Vid. Cabanas Trejo, La retribución, cit., p. 11. 245 En este sentido Marín de la Bárcena, La reforma, cit., p. 44, donde nos dice también que con base en la Disposición transitoria segunda del Código Civil (regla general de Derecho transitorio) se puede afirmar que, al menos en la relación interna, los contratos ya establecidos no deberían verse afectados y que sólo será necesaria la sujeción al nuevo régimen legal cuando se disponga su modificación o extinción. 243

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sometido también a votación, si bien de carácter consultivo, en la junta general ordinaria de accionistas. Veamos algunos detalles de esta nueva regulación. Lo primero que destaca en este régimen especial es el carácter necesariamente remunerado del cargo de consejero, salvo que los estatutos dispongan lo contrario (art. 529 sexdecies LSC)246. Como se dice en el Informe de la Comisión de Expertos la especial responsabilidad y dedicación exigible a los consejeros de las sociedades cotizadas aconseja que el cargo sea necesariamente remunerado. 6.4.2. La política de remuneraciones de los consejeros: comisión de nombramientos y retribuciones, consejo de administración y aprobación vinculante por la junta general de accionistas. El elemento fundamental del sistema retributivo en la sociedad cotizada lo constituye la política de remuneraciones de los consejeros, que deberá ser elaborada y propuesta (velando, además, por su observancia) por la comisión de nombramientos y retribuciones al consejo de administración [art. 529 quindecies.3.g) LSC]. Este, a su vez, deberá aprobarla y presentarla a la junta general de accionistas para su aprobación definitiva por la misma [art. 511 bis.1.c) LSC], al menos cada tres años, como un punto separado del orden del día (art. 529 novodecies LSC)247. Ahora bien, y esto constituye un aspecto relevante de la reforma, la política de remuneraciones deberá ser revisada antes del transcurso de esos tres años, si el IARC resulta rechazado por la junta general ordinaria en la votación consultiva, en cuyo caso se deberá someter a la siguiente junta general de accionistas que se celebre248 con carácter previo a su aplicación para el ejercicio siguiente, salvo que dicha política se hubiera aprobado en esa misma junta general ordinaria. En todo caso, cualquier modificación o sustitución de la política de remuneraciones requerirá la previa aprobación de la junta general. La propuesta presentada por el consejo de administración deberá estar motivada y acompañada de un informe de la comisión de nombramientos y retribuciones, y ambos documentos se pondrán a disposición de los accionistas en la página web de la sociedad desde la convocatoria de la junta

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De igual modo en el art. 283-39 del ALCM. Se corresponde con el art. 283-42 del ALCM. 248 Así en el Informe de la Comisión de Expertos en materia de Gobierno Corporativo, p. 59. 247

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general (art. 529 novodecies LSC). Esta política de remuneraciones de los consejeros, que se ajustará en lo que corresponda al sistema de remuneraciones estatutariamente previsto, contendrá tanto la remuneración anual del conjunto de los consejeros en su condición de tales, con indicación del importe máximo de la remuneración anual de los mismos en aquella condición (art. 529 septdecies.1 LSC)249; como las remuneraciones de los consejeros que desempeñen funciones ejecutivas previstas en los contratos aprobados conforme al art. 249 LSC, que igualmente se ajustará a dicha política. En este último caso, la política de remuneraciones de los consejeros hará referencia a la cuantía de la retribución fija anual, con sus posibles variaciones, los parámetros para la fijación de los componentes variables y los términos y condiciones principales de sus contratos, comprendiendo en particular, la duración, indemnizaciones por cese anticipado o terminación de la relación contractual, pactos de exclusividad, no concurrencia post-contractual y permanencia o fidelización (art. 529 octodecies.1 LSC). De aquí se puede deducir en principio que el legislador impone la determinación por la política de remuneraciones de la cuantía de la retribución fija anual del conjunto de los consejeros ejecutivos, pero no así por lo que se refiere a los otros conceptos remuneratorios (retribuciones variables, indemnizaciones por cese, etc.), donde sólo se exige el establecimiento de unos parámetros para la posterior determinación por el consejo de administración y sin perjuicio de un cierto control autorregulatorio250. Algunos de los primeros comentaristas de la norma ya han manifestado lo llamativo que resulta este tratamiento tan superficial de los componentes retributivos que suelen ser los más cuantiosos251 y los más polémicos. No obstante, la redacción de la norma se presta a ser interpretada en un sentido algo distinto, porque hablar como lo hace el precepto de «los términos y condiciones principales de sus contratos» con mención expresa (en particular) a las indemnizaciones por cese anticipado, puede pensarse con razón que va más allá de unos meros parámetros de referencia. En definitiva, como establece el art. 529 novodecies.5 LSC, cualquier remuneración que perciban los consejeros por el ejercicio o terminación

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Se corresponde con el art. 283-40.1 ALCM. Nos remitimos a lo visto en el epígrafe 3 y a lo que se dice en el epígrafe 6.4.5. 251 Asi Juste Mencía/Campins Vargas, La retribución, cit., p. 789, donde nos dicen que la norma supone un cambio respecto a lo previsto en el Proyecto de Código Mercantil que fija un límite para las retribuciones variables del 1% de los beneficios del ejercicio de la sociedad antes de impuestos, si bien se ha seguido la propuesta del Informe de la Comisión de Expertos favorable hacia una mayor autorregulación en este aspecto. 250

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de su cargo y por el desempeño de funciones ejecutivas será acorde con la política de remuneraciones vigente en cada momento, con la salvedad de las remuneraciones que expresamente haya aprobado la junta general de accionistas. En este último caso el legislador admite la posibilidad de que la junta establezca pagos singulares a los administradores al margen de la política de retribuciones252. Se puede entender que se quiere aportar un cierto grado de flexibilidad al sistema retributivo en el caso de las sociedades cotizadas, pero dado como está desarrollado dicho sistema debe tratarse si no de algo excepcional, sí de algo no generalizable y de carácter particular. Y en cualquier caso también le serán aplicables las disposiciones generales sobre la materia de los arts. 217 y siguientes de la LSC. 6.4.3. Organo competente para fijar la remuneración de cada consejero: el consejo de administración. En cuanto a la competencia para la aprobación de las remuneraciones de cada uno de los consejeros, tanto en las funciones de administración supervisora como por sus funciones ejecutivas, corresponde al consejo de administración. En el primer caso, además de respetar el sistema remuneratorio previsto estatutariamente, el importe máximo de la remuneración anual a satisfacer al conjunto de los consejeros por su condición de tal y la política de remuneraciones, el consejo tendrá en cuenta las funciones y responsabilidades atribuidas a cada consejero, la pertenencia a comisiones del consejo y las demás circunstancias objetivas que considere relevantes (art. 529 septdecies.2 LSC)253. En estos aspectos se puede decir que la norma especial reitera lo establecido en el régimen general del art. 217.3 LSC al que antes nos hemos referido. Pero también, como es natural, la decisión del consejo de administración deberá tomar en consideración los otros principios o criterios de carácter general que deben guiar la fijación de las remuneraciones, como lo son el de proporcionalidad razonable (adecuación) y los criterios finalistas, todos ellos antes mencionados y regulados en el apartado cuarto del mismo artículo 217 LSC254. Por lo que se refiere a los consejeros con funciones ejecutivas, además de estos principios de carácter general que se acaban de mencionar, como ya sabemos, la remuneración se concreta

252

Vid. Sánchez Rus, Las cláusulas, cit., p. 11. Así en el art. 283-40.2 ALCM. 254 Vid. León Sanz, Comentario al artículo 217, cit., p. 287. 253

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a través de los contratos aprobados según lo establecido en el art. 249 LSC, que deberá ser conforme con la política de remuneraciones y con el art. 529 octodecies LSC255 a cuyo contenido acabamos de hacer referencia en el apartado anterior. 6.4.4. El informe anual sobre remuneraciones de los consejeros: transparencia, votación consultiva por la junta general ordinaria y posible modificación de la política de remuneraciones. El IARC constituye el instrumento de transparencia de la sociedad frente a los accionistas y frente a terceros, porque es el medio que permite y facilita a todos acceder al sistema de remuneración de los consejeros y a su aplicación. Como hemos visto la obligatoriedad de dicho informe para las sociedades cotizadas se incorpora en un primer momento en el art. 61 ter de la LMV por medio de la Ley de economía sostenible de 2011, que tuvo además su desarrollo reglamentario por medio de la Orden ECC/461/2013, de 20 de marzo y la Circular 4/2013, de 12 de junio, de la CNMV. Este precepto de la LMV ha sido derogado y sustituido por el nuevo art. 541 de la LSC256 que incorpora parte de su contenido. La nueva norma, si bien en parte es una continuidad de la anterior, contiene algunas modificaciones. El consejo de administración de las sociedades anónimas cotizadas deberá elaborar y publicar anualmente un informe sobre las remuneraciones de los consejeros que, por lo que se refiere a su aspecto subjetivo, incluirá tanto las que perciban o deban percibir en su condición de tales, como por el desempeño de funciones ejecutivas (art. 541.1 LSC). Esta clara distinción entre un tipo y otro de remuneraciones obedece a la nueva regulación sobre la materia según hemos visto. Y por lo que se refiere a su aspecto objetivo, deberá incluirse en el IARC tanto la política de remuneraciones de los consejeros aplicable en el ejercicio en curso como la aplicada o en aplicación del ejercicio cerrado, esto es, la del ejercicio inmediatamente anterior (art. 541.2 LSC). La del ejercicio en curso se dice que la información facilitada deberá ser completa, clara y comprensible. Y respecto a la del ejercicio cerrado, que igualmente en buena lógica aunque nada se dice deberá ser completa clara y comprensible, se añade que incluirá un resumen global sobre la aplicación de dicha política, así como el detalle de las

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De igual modo en el art. 283-41 del ALCM. Se corresponde con el art. 283-43 del ALCM.


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remuneraciones individuales devengadas por todos los conceptos por cada uno de los consejeros en dicho ejercicio. El IARC se difundirá por la sociedad como hecho relevante de forma simultánea al informe anual de gobierno corporativo. Conviene resaltar respecto a este contenido que el IARC es el único documento que ofrece una información individualizada y pormenorizada de las retribuciones de cada uno de los consejeros. El aspecto más relevante de este informe desde su introducción en el año 2011 era la necesidad de su aprobación con carácter consultivo, y como punto separado del orden del día, por la junta general ordinaria de accionistas. Este aspecto continúa, pero además con la reforma de 2014, como se ha anticipado al hablar de la política de remuneración de los consejeros, se incorpora una importante novedad que da más valor a esta votación que se presenta como algo más que meramente consultiva. Como se establece en el art. 529 novodecies.4 LSC, el rechazo del IARC por la junta general ordinaria produce un efecto directo en la política de remuneraciones de los consejeros, que debe ser revisada257 y aprobada para su aplicación en el ejercicio siguiente por la junta general con carácter previo a su aplicación, sin esperar al transcurso del período de tres años. De este modo, en términos generales, se puede decir que se cumple la finalidad de política jurídica de reforzar el papel de la junta y la participación de los accionistas. Y en términos más concretos, se impone, en su caso, la revisión de la política de remuneraciones que se supone debe tener por finalidad corregir o salvar aquellos aspectos que hayan podido influir de manera más relevante en el rechazo del informe anual sobre las remuneraciones por la junta general. Pero ahora bien, si tenemos en cuenta que dicho informe está referido a la política de remuneraciones aplicable al ejercicio en curso y a la aplicación de la política de remuneraciones del ejercicio cerrado, esto es, el pasado. Esto significa que los acuerdos de rechazo y posterior revisión de la política de remuneraciones por la junta no van a tener consecuencias sobre las retribuciones de dichos ejercicios económicos, dado que la nueva política de remuneraciones no será aplicable hasta el ejercicio siguiente a aquel en el que se produjo el rechazo del IARC (art. 529 novodecies.4

257 El Informe de la Comisión de Expertos en materia de Gobierno Corporativo habla en este sentido, si bien comienza el párrafo en cuestión diciendo: «Sin perjuicio del carácter consultivo de esta votación….», p. 59.

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LSC)258. De ahí que cualquier decisión en materia retributiva de los consejeros que se haya adoptado o se pueda adoptar por el consejo (por el ejercicio o terminación del cargo y por el desempeño de funciones ejecutivas) para ese nuevo ejercicio deberá ser acorde con la nueva política de remuneraciones (vigente en cada momento), como se establece expresamente en el apartado quinto del mismo art. 529 novodecies.5 LSC, y sin perjuicio de las remuneraciones que expresamente haya aprobado la junta general de accionistas. 6.4.5. La estructura de la remuneración de los administradores de las sociedades cotizadas. Como decíamos más arriba en el ámbito de las sociedades cotizadas existen una serie de Recomendaciones comunitarias que ahora, dado su carácter de reglas no vinculantes, han sido incorporadas en el nuevo CBGSC de 2015259. Se trata de las siguientes: Recomendación de la Comisión 2004/913/CE, de 14 de diciembre de 2004, relativa a la promoción de un régimen adecuado de remuneración de los consejeros de las empresas con cotización en bolsa (DOUE, 29.12.2004); Recomendación de la Comisión 2005/162/CE, de 15 de febrero de 2005, relativa al papel de los administradores no ejecutivos o supervisores y al de los comités de consejos de administración o de supervisión, aplicables a las empresas que cotizan en bolsa (DOUE, 25.2.2005); y, especialmente, la Recomendación de la Comisión C(2009) 3177 (Bruselas, 30.4.2009), que complementa las Recomendaciones 2004/913/CE y 2005/162/CE en lo que atañe al sistema de remuneración de los consejeros de las empresas que cotizan en bolsa. El punto tercero de la Recomendación de 2009 estructura la remuneración de los consejeros del siguiente modo: i) En el caso de componentes variables en la remuneración se deben fijar límites. Y el componente fijo deberá ser lo suficiente para que la so-

258 Respecto a las indemnizaciones por cese se apunta que al aplicar el criterio del devengo el conocimiento de su importe por medio del IARC se produce ex post, producido el cese del consejero, sin margen para que la junta pueda influir sobre el mismo, lo que no parece que sea la mejor de las soluciones en el elemento retributivo donde se presentan los problemas más graves [Así Juste Mencía/Campins Vargas, La retribución, cit., p. 790]. Este aspecto, nos dicen los autores citados, el legislador parece que lo deja confiado al cumplimiento de las recomendaciones de buen gobierno, concretamente a la recomendación 64 del CBGSC. 259 Sobre la incorporación de estos aspectos en el CBGSCde 2015 nos remitimos a lo visto en el epígrafe 3.

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ciedad pueda retener el componente variable en caso que el consejero no cumpla los criterios de rendimiento fijados. ii) El pago de los componentes variables se debe supeditar al cumplimiento de unos criterios de rendimiento predeterminados y medibles. Y dichos criterios tienen que promover la sostenibilidad y la creación de valor en la empresa a largo plazo y abarcar criterios no financieros. iii) Una parte importante de la remuneración variable debe aplazarse durante un período de tiempo mínimo. La parte se determinará en función del peso relativo que tenga el componente variable en comparación con el componente fijo de la remuneración. iv) El contrato con los consejeros ejecutivos debe incluir una cláusula que permita a la sociedad reclamar el reembolso de los componentes variables satisfechos sobre la base de datos manifiestamente inexactos. v) En cuanto a las indemnizaciones por cese no deben superar un importe establecido o un determinado número de años de remuneración anual, por lo general, no más de dos años de la parte fija de la remuneración. Y en ningún caso se abonará si la rescisión del contrato obedece a un inadecuado rendimiento. vi) Respecto a la remuneración en acciones la transmisión no debe hacerse efectiva hasta transcurrido un plazo de al menos tres años desde su adjudicación. De manera similar en los casos de otorgamiento de opciones sobre acciones o bien remuneraciones en función de los precios de las mismas. Y en todo caso sujeta a unos criterios de rendimiento predeterminados y medibles. Además, adquirida la propiedad de las acciones, los consejeros deberán retener una parte de las mismas, salvo en lo necesario para realizar la adquisición, hasta el final de su mandato, cuyo importe podría ser dos veces el valor de la remuneración anual total. Finalmente, las opciones sobre acciones no deben ser utilizadas para remunerar a los consejeros no ejecutivos. vii) Por último, lo relativo a la información sobre la política de remuneración de los consejeros, donde se impone algo más de detalle sobre los aspectos anteriores. Para concluir sólo nos resta añadir un pequeño apunte respecto a la naturaleza de las Recomendaciones comunitarias. Como es sabido constituyen “Derecho” no vinculante (soft law), pero a pesar de esta calificación, como ha dicho el Tribunal de Justicia260, el Juez nacional no puede obviar la existencia de la Recomendación, especialmente cuando ilus-

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Vid. STJCE, de 13 de diciembre de 1989 (Asunto Grimaldi, 322/88).

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tran disposiciones nacionales adoptadas con el fin de darles aplicación o bien cuando tienen por finalidad completar las disposiciones comunitarias dotadas de fuerza vinculante, si bien no se impone en todo caso una interpretación conforme pero sí la necesidad de una justificación por su no aplicación261. En definitiva se impone un claro paralelismo con la regla «cumplir o explicar» de los códigos de buen gobierno.

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Vid. Alonso García, Sistema jurídico de la Unión Europea, Cizur Menor, 2007, pp. 217-218.

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La Quarta direttiva europea in materia di antiriciclaggio, tra luci, ombre e prospettive* Sommario: 1. La linea di continuità tra la direttiva (UE) n. 2015/849 (con il corollario della recente proposta di modifica) e le precedenti direttive “antiriciclaggio”: le novità di fondo della “Quarta direttiva” immediatamente rilevabili. – 2. Le “nuove forme” di riciclaggio e di terrorismo e talune conseguenti problematiche per gli ordinamenti giuridici, nazionali e sovranazionali. – 3. Le modifiche apportate in materia di obblighi di adeguata verifica della clientela. – 4. (Segue) Vecchie e nuove questioni in tema di «titolarità effettiva». – 5. (Segue) L’obbligo per gli Stati membri di istituire registri centrali nazionali ai fini di una più agevole individuazione della titolarità effettiva di determinati rapporti o operazioni. – 6. Il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo nell’era del Meccanismo Unico di Vigilanza.

1. La linea di continuità tra la direttiva (UE) n. 2015/849 (con il corollario della recente proposta di modifica) e le precedenti direttive “antiriciclaggio”: le novità di fondo della “Quarta direttiva” immediatamente rilevabili. Secondo i programmi originari degli organi dell’Unione Europea, entro il 26 giugno 2017 gli Stati membri avrebbero dovuto dare attuazione, nei rispettivi ordinamenti nazionali, alla direttiva (UE) n. 2015/849 relativa alla prevenzione del sistema finanziario a fini di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. La tragica recrudescenza del terrorismo anche sul territorio del Vecchio Continente ha tuttavia fatto impieto-

* Il presente scritto costituisce una versione italiana, con alcuni adattamenti e integrazioni ritenuti opportuni, di un articolo in corso di pubblicazione sulla Law and Economics Yearly Review dal titolo Recent Trends in Designing the EU Anti-Money Laundering Regulatory Landscape: The Fourth AML Directive Between Lights, Shadows and Future Perspectives. Il lavoro è frutto delle riflessioni comuni dei due autori. Ciò nonostante, la redazione materiale dei parr. 1, 3 e 5 è dovuta ad Andrea Minto e quella dei parr. 2, 4 e 6 ad Alberto Urbani.

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samente maturare, in brevissimo tempo, il convincimento che fosse quanto mai opportuno non soltanto anticipare il più possibile la piena entrata in vigore delle nuove misure, ma addirittura implementare da subito anche ulteriori strumenti in grado di contrastare con la massima efficacia possibile il finanziamento di qualsivoglia organizzazione o iniziativa, anche individuale, di stampo terroristico, a prescindere dallo specifico substrato ideologico che la possa eventualmente alimentare. È così – tralasciando in questa sede altri passaggi preliminari, ininfluenti ai fini ben circoscritti che qui ci prefiggiamo – che su impulso iniziale del Consiglio europeo del 18 dicembre 2015 e nell’ambito di un più articolato piano d’azione per rafforzare la lotta contro il finanziamento del terrorismo presentato dalla Commissione il 2 febbraio 20161, negli ultimi mesi si è avviato l’iter legislativo per l’approvazione di una ennesima direttiva atta a modificare la precedente prima ancora della sua entrata in vigore; al tempo stesso, la Commissione ha incoraggiato gli Stati membri a compiere ogni sforzo per recepire anticipatamente la direttiva del 2015, ossia entro il 1° gennaio 2017. L’esito di tale impegno a ritmi serrati è stata la recentissima «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e che modifica la direttiva 2009/101/CE»2, presentata il 6 luglio 2016 e che si spererebbe di far approvare così in fretta da richiederne l’attuazione agli Stati membri addirittura insieme alla precedente. La direttiva n. 2015/849/UE è, come noto, la quarta direttiva europea in materia, o quanto meno viene correntemente menzionata come tale. La prima, risalente all’ormai lontano 1991 (n. 91/308/CEE) e che all’epoca si ispirò in molti punti alla legislazione italiana che in quegli stessi anni si stava implementando (anche grazie alla dedizione e alla lungimirante esperienza del giudice Giovanni Falcone, da molti giustamente considerato il padre putativo quanto meno della legge italiana 5 luglio 1991, n. 197), già conteneva tutti i tratti essenziali della disciplina ancora oggi in vigore; la seconda, n. 2001/97/CE, estese l’applicazione di molte delle prescrizioni antiriciclaggio, all’inizio concepite soltanto per

1 V. Commissione europea, Comunicazione al Parlamento Europeo e al Consiglio relativa a un piano d’azione per rafforzare la lotta al finanziamento del terrorismo, COM (2016) 50 final. 2 Documento COM (2016) 450 final.

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le banche e per gli intermediari finanziari in generale, ad altre categorie di operatori economici interessati alla produzione o alla compravendita di beni di elevato valore economico, nonché ai c.d. professionisti legali e contabili; la terza infine, n. 2005/607CE (poi integrata dalla n. 2006/70/ CE), aggiunse norme più dettagliate in ordine all’identificazione della clientela e declinò in modo differenziato gli obblighi di adeguata verifica della clientela in ragione del grado stimato di rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo più o meno elevato3. Occorre dire da subito che, in termini generali, la direttiva del 2015 non apporta modifiche tali da sconvolgere l’insieme delle regole già in vigore: ancora una volta, come sin qui è sempre avvenuto nel quarto di secolo trascorso dal varo della prima direttiva, l’Unione Europea ha scelto, saggiamente, di introdurre via via le modifiche che nel corso del tempo si rendevano necessarie o quanto meno opportune senza però alterare l’impianto originario, rivelatosi nel suo insieme valido ed efficace. In pratica, si è dunque adottato un metodo che potrebbe definirsi di “manutenzione ordinaria” della disciplina in materia, aggiornandola costantemente sulla scorta dell’esperienza maturata e della presumibile costante evoluzione dei fenomeni che si intendono contrastare. Il provvedimento in argomento, che si sostituirà integralmente alle precedenti direttive sempre a far data dal 26 giugno 2017 (o dal 1° gennaio 2017, secondo i riferiti auspici più recenti), si propone soprattutto di recepire le raccomandazioni del Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI) del febbraio 20124, ma certo non rivoluziona l’assetto normativo

3 Per una sintesi dell’evoluzione storica della disciplina, v., ex multis, Erlin-Karnell, Ryder, The Robustness of EU Financial Crimes Legislation: A Critical Review of the EU and UK Anti-Fraud and Money Laundering Scheme (May 2016), in European Business Law Review, 2017, Forthcoming, disponibile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=2816980; Van der Broek, Preventing money laundering: A legal study on the effectiveness of supervision in the European Union, Eleven Publishing, 2015, partic. p. 17 ss. 4 Cfr. FATF-GAFI, International standards on combating money laundering and the financing of terrorism & profileration, February 2012, reperibile anche all’indirizzo internet http://www.fatf-gafi.org/media/fatf/documents/recommendations/pdfs/FATF_ Recommendations.pdf. Si tenga conto, però, che queste Raccomandazioni sono state già aggiornate nei primi mesi del 2016. Per una loro prima illustrazione, v. ad es. i contributi di Baldassarre e Gara - Pavesi in Profili internazionali dell’attività di prevenzione e contrasto del riciclaggio di capitali illeciti, a cura di Condemi e De Pasquale, Roma, 2004, p. 302 ss.; Gilmore, Dirty Money: the evolution of international measures to counter money laundering and the financing of terrorism4, Council of Europe Publishing, 2011, pp. 15-21; Kaetzle, Kordys, Fourth Money Laundering Directive: increased risk management requirements, in Compliance & Risk, 2015, 4(5), p. 2 ss.

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vigente, confermando in particolare l’articolazione basata sui due pilastri essenziali degli obblighi di adeguata verifica della clientela e di segnalazione delle operazioni sospette5. In estrema sintesi, le novità più significative della Quarta direttiva sembrano riguardare soprattutto, da un lato, la nozione stessa di «riciclaggio», che ora ricomprende espressamente i reati fiscali tra quelli possibile presupposto del riciclaggio, e, dall’altro, l’ampliamento degli obblighi di adeguata verifica della clientela, specie ai fini di una migliore e più rapida identificazione dei titolari effettivi delle posizioni e delle operazioni monitorate. La nuova direttiva si presta peraltro, altresì, ad una valutazione d’insieme dell’attuale organizzazione della pluralità di pubbliche autorità impegnate nella supervisione sulla normativa in materia, anche alla luce del nuovo assetto della vigilanza bancaria quale risulta dall’avvento dell’Unione Bancaria e in particolare del Meccanismo unico di vigilanza. Le considerazioni che seguono, lungi dal voler costituire un esame organico e approfondito dell’insieme delle regole recate dal provvedimento, si propongono assai più modestamente come spunti di riflessione in ordine a taluni punti specifici delle novità introdotte, allo scopo essenziale di porne in evidenza pregi ed eventuali rischi o ambiguità alla luce del contesto generale nel quale la rinnovata disciplina si troverà ad

5 Può essere utile evidenziare, al riguardo, che diversamente da quanto si riscontra in alcune legislazioni nazionali come ad esempio quella italiana (cfr. art. 36 ss. del d.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231), in ambito europeo non si è sin qui imposto ai soggetti destinatari di specifiche norme antiriciclaggio di registrare i dati della clientela e le operazioni di importo più rilevante, bensì soltanto di conservare copia dei documenti utilizzati per l’identificazione: così, ora, l’art. 40 della direttiva (UE) n. 2015/849; analogo discorso può farsi in riferimento alle limitazioni all’uso del denaro contante e (almeno in parte: cfr. infatti l’art. 10 della direttiva (UE) n. 2015/849) dei titoli al portatore (art. 49 del d.lgs. n. 231/2007 cit.). Deve tuttavia segnalarsi che, tra novità più significative che potrebbero essere recate dall’approvazione della Proposta di direttiva poc’anzi accennata nel testo, v’è anche quella di inserire alcuni dati identificativi essenziali dei titolari di conti bancari e di conti di pagamento in un istituendo registro centrale o sistema elettronico di reperimento dei dati, a livello dei singoli Stati membri: cfr. 15° e 16° considerando della Proposta ed art. 32-bis dell’ipotizzato testo modificato della direttiva (UE) n. 2015/849. Quanto invece agli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette, la Proposta potrebbe recare una utilissima integrazione all’art. 32 della Quarta direttiva, in base alla quale le Financial Intelligence Units dei singoli Stati membri verrebbero abilitate ad ottenere informazioni, a fini antiriciclaggio o di contrasto del finanziamento del terrorismo, da parte di qualsiasi soggetto obbligato quand’anche in assenza di una segnalazione di operazione sospetta.

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operare. Al tempo stesso, e a margine, si cercherà di tener conto anche dei possibili riflessi che la cennata proposta di ulteriore direttiva (il cui articolato è stato diffuso quando queste note erano già in avanzata fase di elaborazione), potrebbe produrre sui singoli aspetti di volta in volta considerati qualora dovesse venire approvata nel testo ad oggi predisposto.

2. Le “nuove forme” di riciclaggio e di terrorismo e talune conseguenti problematiche per gli ordinamenti giuridici, nazionali e sovranazionali. Come poc’anzi accennato, dal punto di vista del perimetro applicativo delle disposizioni in parola l’innovazione più rilevante pare costituita dall’esplicita menzione dei reati fiscali tra quelli presupposto del riciclaggio. Beninteso: di per sé, la nozione di riciclaggio non ha subìto modifiche, posto che, come già nella Terza direttiva, l’art. 1 della direttiva (UE) n. 2015/849, al par. 3, lett. a), indica tra le azioni che, se commesse intenzionalmente, costituiscono riciclaggio, «la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni»; parimenti, le lettere che seguono fanno riferimento ad altre azioni (ad esempio, alla lett. b), al«l’occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi»), ma sempre e tutte incentrate su una «attività criminosa» commessa a monte6. Orbene, però, la novità segnalata si coglie proprio nella definizione normativa di tale «attività criminosa», giacché il successivo art. 3, par. 4, nel declinarla in più punti, alla lett. f) ora cita esplicitamente «tutti i reati, compresi i reati fiscali relativi a imposte dirette e indirette, quali specifi-

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Per la nozione di «riciclaggio» nella Terza direttiva v., ex multis, Ferwerda, Definitions of money laundering in practice, in The economic and legal effectiveness of the European Union’s anti-money laundering policy, a cura di Unger, Ferwerda, Van den Broek, Deleanu, Cheltenham, UK, Edward Elgar, 2014, p. 87 ss.; Van den Broek, Preventing, cit., p. 4.

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cati nel diritto nazionale, punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata massima superiore ad un anno ovvero, per gli Stati membri il cui ordinamento giuridico prevede una soglia minima per i reati, tutti i reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata minima superiore a sei mesi». Per vero, almeno se si guarda alle legislazioni attuative di molti Stati membri, l’espresso riferimento ai reati fiscali non apporta modifiche di sostanza, posto che il testo previgente (cfr. art. 3, parr. 4 e 5, direttiva n. 2005/60/CE) già menzionava, genericamente, quali presupposto del riciclaggio tutti i «reati gravi», sicché il rapporto da species ad genus dei reati fiscali rispetto agli illeciti di natura penale complessivamente intesi (a meno di voler considerare tutti i reati tributari come bagatellari o quanto meno di minor rilievo) già orientava ad una lettura comprensiva dei primi7. Sennonché non può evidentemente mancarsi di rilevare come la specificazione introdotta finisca, nella sostanza, per certificare una sorta di eterogenesi delle finalità della disciplina in materia, concepita in origine per contrastare il reimpiego di denaro o altre utilità generati da specifici reati considerati di particolare allarme sociale, ma progressivamente piegata in misura crescente anche alla prevenzione e alla repressione dell’evasione fiscale in sé considerata8. L’obiettivo è chiaro e, per molti versi, condivisibile: fermo restando il naturale interesse al contrasto dell’evasione fiscale prima ancora dei singoli Stati membri che dell’Unione quale entità a sé stante, è noto infatti e pacificamente accolto da tempo che i comportamenti fiscalmente scorretti determinano, tra gli altri effetti negativi per la collettività, di-

7 Esplicite ad esempio sul punto, nella disciplina italiana e prima ancora del varo della direttiva del 2005, già le Istruzioni operative per la segnalazione di operazioni sospette diramate dalla Banca d’Italia, provv. 12 gennaio 2001, Introduzione, par. 1 e Parte seconda, Introduzione alla casistica; in dottrina v. inoltre Borlini, Issues of the International Criminal Regulation of Money Laundering in the Context of Economic Globalization, Paolo Baffi Centre Research, Paper No. 2008-34. 8 Già prima tale tendenza era stata posta in rilievo, ad esempio, da Burrell, Preventing Tax Evasion through Money Laundering Legislation, Journal of Money Laundering Control, 2000, Vol. 3 (I), p. 304 ss.; Mariano-Florentino, The Tenuous Relationship between the Fight Against Money Laundering and the Disruption of Criminal Finance, Journal of Criminal Law and Criminology, 2003, Vol. 93, p. 311 ss.; più di recente, v. Tavares, Relationship between Money Laundering, Tax Evasion and Tax Havens, Special Committee on Organised Crime, Corruption and Money Laundering (CRIM), Thematic Paper on Money Laundering, 2013.

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storsioni della concorrenza a danno degli operatori economici corretti e virtuosi, alterando le fisiologiche e naturali dinamiche di mercato9. Al di là delle sanzioni che giustamente e comunque accompagnano la violazione delle prescrizioni in materia, è lecito tuttavia chiedersi se, almeno in contesti culturali nei quali il disvalore sociale dell’evasione fiscale è meno avvertito che altrove, sul piano fattuale tale estensione possa finire per “annacquare” la sensibilità degli operatori e quindi allentare la loro collaborazione, ad esempio inducendoli psicologicamente a vagliare con minor rigore o con una sensibilità attenuata i sospetti di riciclaggio alimentato da proventi dall’evasione rispetto a quelli generati da reati che destano maggior allarme sociale o connessi a finalità terroristiche. Come riconosciuto con franchezza ed onestà dalla stessa direttiva n. 2015/849 all’11° considerando, inoltre, un diverso motivo di perplessità può derivare dalla circostanza che nei singoli ordinamenti nazionali degli Stati membri il diritto penale tributario è ad oggi tutt’altro che armonizzato, con la conseguenza che, di riflesso, la stessa nozione di riciclaggio potrà avere una estensione più o meno ampia a seconda che, in quel determinato Paese, un certo comportamento fiscale assuma o meno la veste di reato10. Con riguardo a possibili operazioni di riciclaggio poste in essere in paesi diversi da quelli in cui, in ipotesi, sia stato consumato il reato fiscale, appare evidente, quanto meno, la difficoltà per i soggetti chiamati ad individuare eventuali operazioni sospette di discernere i comportamenti fiscalmente illeciti rispetto a quelli viceversa leciti secondo le regole vigenti in ordinamenti diversi da quello di appartenenza, posto che non si può ovviamente presumere in capo a tali soggetti il possesso di un siffatto livello di cultura in materia tributaria. Sotto tutt’altro profilo, il fugace riferimento di poc’anzi al contrasto del finanziamento di attività terroristiche offre altresì lo spunto per evidenziare come la nuova normativa confermi ancora una volta l’affianca-

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Cfr. International Monetary Fund, Financial System Abuse, Financial Crime and Money Laundering – Background Paper, 2001; Smith, Competition in the European Financial Services Industry: The Free Movement of Capital Versus Regulation of Money Laundering, in University of Pennsylvania Journal of International Business Law, 1993, n. 3, p. 101 ss. 10 Ne consegue la precisazione, contenuta nella proposta di modifica dell’art. 57, che «Le differenze fra le definizioni di reati fiscali contemplate dal diritto nazionale non impediscono alle FIU di fornire assistenza ad un’altra FIU e non limitano lo scambio, la diffusione e l’uso delle informazioni di cui agli articoli 53, 54 e 55».

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mento di questo secondo intento alla più “tradizionale” lotta al riciclaggio del denaro di provenienza illecita. Nessuna modifica legislativa è stata apportata al riguardo, tant’è vero che l’art. 1, par. 5, della direttiva, nel definire il «finanziamento del terrorismo», come la precedente continua a rinviare ai reati di cui agli artt. da 1 a 4 della decisione quadro del Consiglio n. 2002/475/GAI. Non si può tuttavia trascurare che nel momento in cui si scrive sono recentissime, purtroppo, le immagini degli ennesimi attentati che hanno insanguinato il suolo francese: dapprima la strage di pedoni sul lungomare di Nizza e, soltanto pochi giorni dopo, l’uccisione di un sacerdote durante la Santa Messa in una chiesa di Rouen; pressoché in contemporanea – e solo per rimanere in Europa – in Germania alcuni passeggeri venivano attaccati, a colpi d’ascia, su un treno per pendolari. Eventi quali quelli appena ricordati (e i molti altri fortunatamente sventati in via preventiva) testimoniano con grande chiarezza come le strategie terroristiche, specie quelle di stampo jihadista, stiano rapidamente cambiando i propri connotati di fondo: ciò sia perché all’occupazione materiale di vasti territori (il c.d. e ben noto “Stato islamico”, o “califfato”) si sono andate affiancando (e forse, in prospettiva, sostituendo) azioni terroristiche condotte in aree diverse da quelle d’origine, sia anche perché, accanto a stragi eclatanti, si riscontrano sempre più spesso iniziative autonome individuali o di piccoli gruppi informali. Ne consegue la necessità di approntare con tempestività strumenti, sia preventivi che repressivi, il più possibile appropriati. Ebbene, per quanto qui viene in rilievo, la ricordata decisione del Consiglio pare a tutt’oggi adeguata nelle due definizioni di «reati terroristici» (art. 1) e di «reati riconducibili a un’organizzazione terroristica» (art. 2) che fornisce, dal momento che già dal 2002 declina entrambi i sintagmi con lungimirante ampiezza, sicché questi risultano ben in grado di comprendere l’insieme eterogeneo e proteiforme del fenomeno terroristico anche nelle sue odierne manifestazioni11. Sotto lo stretto versante normativo relativo alla disciplina de qua, può dunque solo auspicarsi, al più, una costante

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Ai fini della Quarta direttiva antiriciclaggio, per «finanziamento del terrorismo» si intende la fornitura o la raccolta di fondi, in qualunque modo realizzata, direttamente o indirettamente, con l›intenzione di utilizzarli, o sapendo che sono destinati ad essere utilizzati, in tutto o in parte, per compiere uno dei reati di cui agli articoli da 1 a 4 della decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio (v. art. 1, co. 5, Direttiva 2015/849/UE). Sulla nozione di terrorismo fornita dalla disciplina europea antiriciclaggio v. Durrieu, Rethinking Money Laundering & Financing of Terrorism in International Law, 2013, Leiden, p. 118.

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revisione degli indicatori di anomalia per l’emersione delle operazioni sospette che vengono diffusi dalle autorità competenti in molti Stati membri (ancorché talvolta sotto forma di meri red flags o criteri d’allerta); indicatori o alerts certo non imposti e nemmeno menzionati dalla direttiva, ma ciò nondimeno sicuramente valutabili con favore alla luce, ad esempio, sia della ripetuta insistenza circa la necessità di un approccio olistico basato sul rischio, come già nel 22° considerando, sia dell’articolata previsione di poteri di vigilanza regolamentare, in particolare all’art. 8 e nelle prescrizioni di cui al Capo VI della nuova direttiva. Ma anche a prescindere da ciò, è evidente che una vigile attenzione da parte degli operatori tesa a scorgere con sagacia e tempestività ogni possibile sintomo di comportamenti potenzialmente finalizzati al finanziamento di iniziative di stampo terroristico – quand’anche di modesta entità, stanti le modalità di per sé talvolta molto elementari con le quali sono state prima organizzate e poi condotte talune delle più recenti azioni della specie – può costituire un utile baluardo a supporto del contrasto del fenomeno di cui stiamo parlando. La permanente validità della confermata nozione di attività terroristiche presupposta dalla disciplina europea antiriciclaggio, d’altra parte, come ovvio non può minimamente affievolire l’attenzione alla ricerca e al contrasto di tutte le nuove possibili modalità di finanziamento della criminalità di matrice terroristica. Di ciò, infatti, si è dimostrata ben consapevole la cennata Proposta di modifica della direttiva in esame, che non a caso sin dalle prime battute tiene a rimarcare come «i recenti attentati terroristici [abbiano] evidenziato l’emergere di nuove tendenze in particolare per quanto riguarda le modalità con cui i gruppi terroristici finanziano e svolgono le proprie operazioni. Taluni servizi basati sulle moderne tecnologie che stanno diventando sempre più popolari come sistemi finanziari alternativi restano al di fuori del campo di applicazione della legislazione dell’Unione o beneficiano di deroghe non più giustificate» (così testualmente il 2° considerando, ma si vedano anche il 6° con riferimento più specifico all’impiego delle nuove valute virtuali e l’11° e il 12° in relazione all’uso di carte prepagate). Di qui la decisione, assai opportuna12, di prospettare innanzi tutto l’estensione degli obblighi in subiecta materia anche ai «prestatori di

12 Valuta infatti con favore questa proposta specifica anche la European Banking Authority nella sua Opinion […] on the EU Commission’s proposal to bring Virtual Currencies into the scope of Directive (EU) 2015/849 (4AMLD), resa l’11 agosto 2016 e pubblicata sul sito internet istituzionale della stessa Autorità.

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servizi la cui attività principale e professionale consiste nella fornitura di servizi di cambio tra valute virtuali13 e valute legali» ed ai «prestatori di servizi di portafoglio digitale che offrono servizi di custodia delle credenziali necessarie per accedere alle valute virtuali», attività, queste, il cui esercizio dovrebbe per di più essere condizionato dagli Stati membri al possesso di una licenza o quanto meno di una registrazione14. In secondo luogo, si profila l’inasprimento della disciplina relativa all’uso delle carte prepagate (per le quali, ad esempio, non sarà più possibile l’utilizzazione online qualora anonime), a maggior ragione se emesse in paesi terzi. In effetti, al di là dei loro innegabili vantaggi e delle promettenti opportunità per lo sviluppo dei commerci e come anche alcune indagini investigative sembrano aver riscontrato, sia il ricorso alla c.d. bitcoin sia l’impiego delle carte prepagate possono al tempo stesso offrirsi meglio di altri come mezzi rapidi, anonimi e sicuri per foraggiare le reti terroristiche internazionali o, assai più semplicemente, per pagare taluni aspetti logistici correlati ad azioni criminali, soprattutto in ragione del maggior grado di anonimato che offrono rispetto ai tradizionali strumenti per il trasferimento di fondi; senza considerare, inoltre, i minori controlli pubblici che li hanno sin qui accompagnati. Di fronte a rischi siffatti15, l’ordinamento giuridico europeo e, di riflesso, quelli nazionali

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Per «valute virtuali» la Proposta di direttiva intende, testualmente, «una rappresentazione di valore digitale che non è né emessa da una banca centrale o da un ente pubblico né è necessariamente legata a una valuta legale, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di pagamento e può essere trasferita, memorizzata o scambiata elettronicamente». Per i primi riferimenti, limitatamente agli studi condotti in Italia, oltre al lavoro monografico di Capaccioli, Criprovalute e bitcoin: un’analisi giuridica, Milano, 2015, v. Caramignoli e Di Pietro, Il fenomeno Bitcoin: moneta «virtuale» con effetti «reali» sull’economia, in Riv. Guardia Fin., 2013, p. 1731 ss.; Mancini, Valute virtuali e bitcoin, in La moneta ai tempi di Internet – Dove si tufferà zio Paperone?, a cura di Morera, Olivieri, Sciarrone Alibrandi, in Analisi giur. econ., 2015, p. 117 ss.; Scalcione, Gli interventi delle autorità di vigilanza in materia di schemi di valute virtuali, ivi, p. 139 ss.; Gasparri, Timidi tentativi giuridici di messa a fuoco del bitcoin: miraggio monetario crittoanarchico o soluzione tecnologica in cerca di un problema?, in Dir. inform., 2015, p. 415 ss.; Vardi, “Criptovalute” e dintorni: alcune considerazioni sulla natura giuridica dei bitcoin, ivi, 2015, p. 443 ss. 14 Si tratterebbe dunque, in ipotesi, di qualcosa di meno di una vera e propria autorizzazione: una sorta di mera “vigilanza anagrafica”, per certi versi sulla falsariga di quella che, fino alla riforma recata dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, in Italia caratterizzava i soggetti operanti nel settore finanziario iscritti nell’Elenco generale di cui all’art. 106 t.u.b. 15 Con specifico riferimento ai rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo legati all’utilizzo delle «monete virtuali», v. Ogunbadewa, The Virtues and Risks Inherent

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non potevano pertanto rimanere ancora a lungo inerti nel colmare innegabili lacune della disciplina del sistema finanziario.

3. Le modifiche apportate in materia di obblighi di adeguata verifica della clientela. L’altro ambito della normativa europea in materia di contrasto del riciclaggio del denaro di provenienza illecita e di finanziamento del terrorismo innovato dalla direttiva (UE) n. 2015/849, come anticipato in premessa, è quello degli obblighi di adeguata verifica della clientela. Al riguardo, le linee direttrici seguite dall’intervento di riforma paiono essere state due, entrambe fondate peraltro sul convincimento degli organi “comunitari” che la Terza direttiva si stesse rivelando, in alcuni punti di questo “pilastro” della disciplina, eccessivamente permissiva16. V’è così, innanzitutto, un “giro di vite” in ordine alle circostanze in presenza delle quali sorge l’obbligo di procedere all’adeguata verifica della clientela. Le novità, in proposito, non riguardano né il caso dell’instaurazione di un rapporto d’affari, né l’operazione occasionale (unica o frazionata) non inferiore a 15.000 euro (peraltro con alcune deroghe rilevanti, riferite in primo luogo ai soggetti che operano in modo occasionale o su scala molto limitata, come stabilisce l’art. 2, parr. 3 e 4), né ancora le ipotesi di sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, né infine quelli di dubbi circa la veridicità o l’adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell’identificazione del cliente: fattispecie, queste, tutte già previste nella direttiva ancora in vigore. L’inasprimento dei controlli, invece, si manifesta nell’aggiunta di tre nuovi casi specifici: l’operazione occasionale di trasferimento elettronico di fondi – definito alla stregua

in the ‘Bitcoin’ Virtual Currency, University of Wales System – Cardiff Law School, 2014; Bryans, Bitcoin and Money Laundering: Mining for an Effective Solution, in Indiana Law Journal, vol. 89, 2014, p. 441 ss.; Böheme, Christin, Edelman, Moore, Bitcoin: Economics, Tecnology and Governance, in Journal of Economic Perspectives, vol. 29, n. 2, 2015, p. 213 ss.; La Rocca, La prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo nelle nuove forme di pagamento. Focus sulle valute virtuali, in Aa.Vv., La moneta ai tempi di Internet – Dove si tufferà zio Paperone?, cit., p. 201 ss. 16 Si veda, in particolare, quanto scritto nel Commission Staff Working Document impact assessment accompagnatorio della proposta di Quarta Direttiva a proposito degli obblighi semplificati di adeguata verifica della clientela, considerati testualmente «overly permissive» (ivi, III.4.2, box 6).

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dell’art. 3, punto 9), del regolamento (UE) n. 2015/847 –, al cui ricorrere la soglia di rilevanza scende addirittura a soli 1.000 euro; nell’ambito di attività di negoziazione di beni, l’operazione in contanti, ancora una volta occasionale e parimenti unitaria o frazionata, di importo non inferiore a 10.000 euro; infine, con riguardo specifico ai prestatori di servizi di gioco d’azzardo, al momento della puntata e/o dell’incasso delle vincite, l’operazione di importo pari o superiore a 2.000 euro. Trattasi, in tutta evidenza e come anche l’esperienza insegna, di modalità di circolazione della ricchezza che possono prestarsi più facilmente di altre all’impiego per finalità illecite e che nel caso del trasferimento elettronico di fondi (ma certo anche qualora il gioco d’azzardo avvenga via internet) possono per di più trarre vantaggio dalla celerità e dai caratteri di maggiore opacità propri dei canali informatici e telematici17. Di tal modo, si introduce la previsione di soglie d’importo differenziate a seconda della tipologia di operazione considerata e del grado di rischio che l’ordinamento “comunitario” vi riconnette, come d’altronde in alcuni Stati membri già avviene da tempo facendo applicazione della regola – ribadita a chiare lettere dall’art. 5 della nuova direttiva – che consente alle legislazioni nazionali di imporre prescrizioni più severe, ma mai più blande, di quelle dell’Unione. Poiché tale differenziazione è articolata per soggetti, non sussiste tuttavia il pericolo che il soggetto destinatario della prescrizione possa non ricordare agevolmente il limite di importo concernente la sua specifica attività, come invece purtroppo talora avviene in legislazioni nazionali quali quella italiana allorquando, sempre nell’ambito della disciplina antiriciclaggio, si fissano limiti di importo per il trasferimento del denaro diversificati, oggi, a seconda che si ricorra al contante ovvero ad un assegno o ad un libretto bancario o postale al portatore18.

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Cfr., sul punto, anche il 19° considerando della Quarta direttiva in parola. In dottrina, si vedano però già Pomante, Internet e criminalità, Torino, 1999; sia consentito un rinvio anche ad Urbani, Disciplina antiriciclaggio e ordinamento del credito, Padova, 2005, p. 39 ss.; inoltre Levi, E-gaming, money laundering and the problem of risk assessment, in Research Handbook on Money Laundering, a cura di Unger, Van der Linde, Edward Elgar, Cheltenham, 2013, p. 332 ss.; Chong, Lopez-de-Silanes, Money Laundering and its Regulation, IDB Working Paper, 2007, No. 493; Chaikin, Risk-Based Approaches to Combating Financial Crime, Journal of Law and Financial Management, 2009, Vol. 8, No. 2, pp. 20-27. È evidente che si tratta sostanzialmente delle stesse questioni sulle quali poggiano le misure contenute nella Proposta di modifica della direttiva relativamente alle «monete virtuali», cui si è accennato nel paragrafo precedente. 18 Cfr. Verhage, Global governance = global compliance? The uneven playing field

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Similmente a quanto accade per molti profili della vigilanza regolamentare di banche ed intermediari finanziari, inoltre, anche la Quarta direttiva antiriciclaggio, come già la precedente, fa proprio un approccio basato sul grado di rischio di volta in volta valutato (c.d. risk based approach)19. Ad onor del vero, però, mentre la direttiva n. 2005/60/ CE, dopo aver fissato le regole generali in materia di obblighi di adeguata verifica della clientela, introduceva a seguire obblighi di verifica prima «semplificati» (artt. 11-12) e poi «rafforzati» (art. 13), a seconda appunto del livello di rischiosità del rapporto o dell’operazione stimato in via preventiva dal legislatore, la disciplina di nuova introduzione conferma sì, sul piano formale, tale distinzione, ma vi innesta taluni elementi di novità. In particolare, se relativamente ai secondi le innovazioni apportate non paiono di grande momento, eccezion fatta per la significativa estensione delle prescrizioni più severe anche ai casi di coinvolgimento delle «persone politicamente esposte» residenti nello stesso Stato membro del soggetto incaricato della verifica quando invece in precedenza ciò riguardava le sole persone politicamente esposte residenti in un altro Stato membro o in un paese terzo20, viceversa in tema di obblighi semplificati emerge un approccio metodologico marcatamente diverso rispetto al passato: a tal riguardo, infatti, non si rinviene più una indicazione puntuale delle circostanze atte a legittimare i controlli attenuati (ad esempio, qualora la controparte del rapporto o dell’operazione fosse un ente creditizio o finanziario tenuto agli stessi o comunque ad analoghi obblighi antiriciclaggio), bensì, soltanto, si affida al singolo Stato membro ovvero al singolo soggetto obbligato il compito di individuare settori che possano ritenersi oggettivamente a basso rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Almeno nella voluntas legis, in tutta evidenza non si tratta tuttavia di un perico-

in anti-money laundering, in The Routledge Handbook of White-Collar and Corporate Crime in Europe, a cura di Van Erp, Huisman, Vande Walle, Oxford, 2015, p. 479. 19 Cfr. Pisani, L’adeguata verifica e l’approccio basato sul rischio nella disciplina antiriciclaggio, in Il fisco, 2012, 1, p. 1151; Dallapellegrina, Masciandaro, The Risk Based Approach in the New European Anti-Money Laundering Legislation: A Law and Economics View, Paolo Baffi Centre Research Paper No. 2008-22. 20 Si confrontino, al riguardo, da un lato l’art. 13, par. 4, della direttiva n. 2005/60/CE e, dall’altro, l’art. 20 della direttiva (UE) n. 2015/849. Si tenga tuttavia presente che la Proposta di direttiva in discussione prevede invece nuove misure di adeguata verifica rafforzata nei casi di operazioni che coinvolgano paesi terzi definiti «ad alto rischio»: cfr. art. 18-bis della direttiva (UE) n. 2015/849, secondo le modifiche prospettate.

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loso pertugio aperto nel muro spesso delle verifiche, atto a rimettere in toto alla libera determinazione dello Stato membro o del soggetto deputato alla verifica la scelta di adottare o meno, in determinati casi, delle verifiche semplificate: ciò sia perché tale decisione è guidata da un articolato elenco di criteri orientativi raccolto nell’Allegato II della direttiva, sia anche perché sull’uno o sull’altro, seppur a diverso titolo e con strumenti ed esiti naturalmente diversificati, graverà la spada di Damocle delle misure di carattere sanzionatorio.

4. (Segue) Vecchie e nuove questioni in tema di «titolarità effettiva». La seconda linea di maggiore incisività delle misure di adeguata verifica della clientela, intrapresa dalla direttiva in discorso, attiene invece ai criteri di determinazione del c.d. «titolare effettivo» del rapporto o dell’operazione. È noto21 che tale verifica va condotta non tanto e non solo nei confronti del «cliente» in quanto tale, il quale potrebbe essere ad esempio anche una società di capitali, bensì soprattutto del «titolare effettivo» del rapporto o dell’operazione, come molto articolatamente definito, ora, dall’art. 3, n. 6), della Quarta direttiva, il quale nel caso appena citato potrebbe essere individuato – tra le fattispecie possibili – nella o nelle persone fisiche che detengano il controllo della persona giuridica. L’esperienza applicativa degli ultimi anni ha indotto gli organismi “comunitari” a rivedere proprio tali criteri di determinazione della titolarità effettiva, comprendendo fattispecie prima non contemplate nonché puntualizzandone altre in modo più preciso. Dal primo punto di vista, è agevole osservare innanzi tutto come ora, a differenza del passato, relativamente alle società il «possesso» o il «controllo» del soggetto giuridico possa avvenire anche mediante «altra partecipazione in detta entità», dove il termine «altra» fa palese riferimento alle «azioni o diritti di voto» immediatamente prima citati. La

21 Si veda, oggi, l’art. 13, par. 1, lett. a) e b), della direttiva n. 2015/849/UE. Cfr., per tutti, Pisani, Gli obblighi di adeguata verifica della clientela nella disciplina antiriciclaggio, in Il fisco, 2008, 1, p. 1789 ss.; Starola, I criteri connessi agli obblighi di adeguata verifica e di identificazione della clientela, in Corr. trib., 2009, p. 882 ss.; Costanzo, The risk-based approach to anti-money laundering and counter-terrorist financing in international and EU standards: What it is, what it entails, in Research Handbook on Money Laundering, cit., p. 349 ss.

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precisazione, nella sua seconda componente, sembra debba intendersi ascrivibile in particolar modo alle quote di capitale sociale non rappresentate da azioni, ma con molta probabilità altresì a quegli strumenti finanziari partecipativi che, pur non attribuendo diritti di voto, comunque mettano in condizione chi li detiene di condizionare la società che li ha emessi. Inoltre, con disposizione che per certi versi sembra volersi proporre come una norma di chiusura, il nuovo testo aggiunge ai precedenti il caso del«la persona fisica o [del]le persone fisiche che occupano una posizione dirigenziale di alto livello», ma ciò solo «se, dopo aver esperito tutti i mezzi possibili e purché non vi siano motivi di sospetto, non è individuata alcuna persona secondo i criteri di cui al punto i) [id est, il controllo di tipo partecipativo di cui sopra, diretto o indiretto che sia], o, in caso di dubbio circa il fatto che la persona o le persone individuate sia o siano i titolari effettivi» (art. 3, n. 6), lett. a), punto ii)). Affatto diversa era evidentemente l’ipotesi, nella precedente direttiva, del«la persona fisica o [del]le persone fisiche che esercitano in altro modo il controllo sulla direzione di un’entità giuridica». Tornando al controllo mediante partecipazione, almeno ad un approccio iniziale potrebbe invero suscitare qualche legittimo interrogativo il veder ribadito anche nel nuovo provvedimento, come già nel testo della direttiva abroganda, che le azioni rilevanti, ai fini della determinazione della titolarità effettiva, possono essere anche al portatore. Ad una riflessione più meditata, però, la ratio di tale previsione pare rintracciabile in una possibile duplice direzione. Innanzi tutto, se si considera che l’agile trasferibilità dei titoli mediante semplice consegna rende impossibile al soggetto chiamato alla verifica monitorare nel continuo l’evolversi della compagine sociale, non sarebbe inappropriato ritenere che il legislatore europeo abbia voluto implicitamente richiedere il riscontro dell’eventuale sussistenza di una delle condizioni che comportano la qualificabilità del socio come «titolare effettivo» (in primis la partecipazione che attribuisca diritti di voto in percentuale maggiore del 25%)22 al momento dell’adunanza assem-

22 Da osservarsi come, secondo la Proposta di modifica ormai più volte citata, tale percentuale dovrebbe scendere al 10% «qualora il soggetto giuridico sia un’entità non finanziaria passiva, quale definita dalla direttiva 2011/16/CE»: si è nuovamente di fronte ad un irrigidimento della disciplina di giusta introduzione, atteso che – come posto in evidenza anche dalla Relazione accompagnatoria della Proposta, par. 5, lett. i), nonché, più stringatamente, dal 18° considerando – «per gli intermediari che non svolgono alcuna

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bleare: in fondo – potrebbe dirsi ed infatti assai spesso, ad altri fini, si usa dire – ciò che conta è soprattutto la condizionabilità della volontà sociale (a partire dalla nomina dei componenti degli organi di amministrazione e controllo) e ciò si produce tipicamente proprio al momento dell’assemblea. Tuttavia – e di qui la ragione di perplessità, tanto più rilevante in prospettiva antiriciclaggio o di contrasto del finanziamento del terrorismo – in tal modo non si impedisce al “vero” titolare effettivo di consegnare i titoli azionari ad un prestanome compiacente e fedele subito prima delle verifiche assembleari al solo fine di non far apparire il proprio nome in quella sede, facendosi restituire le azioni un istante dopo e così dunque conservando in pieno, sul piano fattuale, il controllo sulla società in questione. Non è un caso, d’altronde, che molti ordinamenti nazionali23 abbiano introdotto da tempo il principio – per le società con titoli non quotati in mercati regolamentati, le sole che per espressa previsione normativa vengono in rilievo in questa sede – della nominatività obbligatoria dei titoli azionari che attribuiscano diritti di voto, in modo da arrestare sul nascere siffatti, tutto sommato, agevoli stratagemmi. Orbene, presumibilmente qui il legislatore europeo si è trovato invece, per così dire, le mani legate, avendo dovuto prendere atto che vi sono legislazioni di altri Stati membri – come quelle del Lussemburgo24

attività economica e servono esclusivamente a creare una distanza tra i titolari effettivi e i beni, la soglia del 25% è piuttosto facile da eludere. L’istituzione di una soglia inferiore laddove esista un rischio specifico limiterà i soggetti su cui i soggetti obbligati dovrebbero raccogliere informazioni aggiuntive a quelli che presentano un rischio elevato di utilizzo per fini illeciti. Di conseguenza ciò favorirà l’individuazione dei titolari effettivi, con un’attenzione particolare ai soggetti che operano come intermediari e che non creano reddito direttamente ma per lo più veicolano redditi da altre fonti (definiti come entità non finanziarie passive ai sensi della direttiva 2011/16/CE». 23 È il caso, ad esempio, della Francia (v. l’art. L. 212-3 del Code monétaire et financier, il quale circoscrive alle sole società quotate, che però qui non vengono in rilievo, l’iniziale libertà di scelta tra azioni nominative ed azioni al portatore offerta dall’art. R224-2 del Code de commerce; cfr. Le Cannu e Dondero, Droit del sociétés6, Paris, LGDJ, 2015, p. 726), dell’Italia (cfr., ad integrazione dell’apparente maggiore flessibilità dell’art. 2354, co. 1, c.c. italiano, il r.d.l. 25 ottobre 1941, n. 1148, convertito con modificazioni dalla l. 9 febbraio 1942, n. 96) e del Regno Unito (cfr. Sec. 112(2) Companies Act 2006. 24 V. artt. 37 ss. l. 10 agosto 1915 «concernant les sociétés commerciales» e successive modificazioni. Proprio a fini antiriciclaggio, con l. 28 luglio 2014 è stato tuttavia prescritto il deposito obbligatorio delle azioni al portatore presso una società depositaria a ciò autorizzata: in argomento v. Charlier, Takerkart-Wolf, Licata, Réforme du régime des actions au porteurs, in ACE Comptabilité, fiscalité, audit, droit des affaires au Luxembourg, 2014, n. 10, p. 21 ss.

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o dei Paesi Bassi25, solo per citarne un paio – che viceversa conoscono le azioni al portatore incorporanti diritti di voto: pertanto, è prudentemente e accortamente approdato alla scelta di comprendere il più ampio ventaglio possibile di “titolarità effettive” a fini antiriciclaggio, per quanto forse consapevole degli ineludibili limiti intrinseci poc’anzi evidenziati. Per tale ragione, seppure la prima argomentazione non sia priva di fondamento, la spiegazione più plausibile sembra dover essere rintracciata altrove. In particolare, occorre considerare che diversamente da quanto accade in altri contesti, nella materia che ci occupa ciò che viene preminentemente in rilievo non è tanto l’influsso sulla volontà sociale che consegue al controllo, quanto piuttosto l’utilità economica che il potenziale riciclatore26 trae dalla partecipazione, investendo denaro di provenienza illecita nella sottoscrizione o nell’acquisto dei titoli e ricavandone così correlati vantaggi patrimoniali muniti della patente di piena legalità. Sicché, appunto, a tal fine anche le azioni prive di diritto di voto – ad ancor maggior ragione se al portatore, data la loro più facile circolabilità – possono concorrere, al pari di quelle nominative, a conseguire lo scopo. Una recente ed assai interessante decisione dell’Arbitro Bancario Finanziario italiano assume tra le altre, a fondamento delle conclusioni cui perviene, proprio tale prospettiva teleologica27, giungendo a ravvisare nel limite normativo del quarto del capitale sociale una sorta di presunzione assoluta di titolarità effettiva proprio in relazione al solo beneficio economico che il socio può trarre dalla sua partecipazione, anche a prescindere dai poteri che l’interessenza può o meno determinare in termini di governance della società. Passando infine ad un ulteriore ed ultimo profilo, almeno un cenno, sempre in tema di individuazione del «titolare effettivo» nell’ambito degli obblighi di adeguata verifica della clientela, merita la posizione dei trust. Di questi, per vero, già si parlava nella direttiva in via di superamento, ma citandoli nel più ampio contesto delle entità giuridiche, quali le fondazioni, e di istituti giuridici, quali appunto i trust, che

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Si veda l’art. 2:82 del Codice civile olandese, riguardante le NV («Naamloze Vennootschap»), ossia le società anonime. 26 Ma un discorso analogo vale evidentemente anche per il finanziamento del terrorismo. 27 V. Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Milano, dec. n. 488 del 22 gennaio 2015, dove si sottolinea altresì, al riguardo, la necessità di contestualizzare lo specifico fine della disposizione in argomento nell’ambito delle prescrizioni in materia di adeguata verifica della clientela.

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amministrano e distribuiscono fondi; inoltre, la loro rilevanza ai fini che qui interessano era subordinata – se ci è consentito sintetizzare in modo un po’ approssimativo – al superamento della stessa soglia del 25% già incontrata per le società, ma riferita naturalmente in questo caso al futuro o ai futuri beneficiari ovvero all’esercizio del controllo sul patrimonio del trust28. La nuova direttiva, invece, anche da questo punto di vista mostra di voler estendere la propria portata applicativa, da un lato citando come possibili titolari effettivi, in un elenco, il costituente, il o i trustee, il guardiano qualora esista, i beneficiari ovvero, se non ancora determinate, la categoria di persone nel cui interesse principale è istituito o agisce il trust, nonché qualunque altra persona fisica che eserciti in ultima istanza il controllo sul trust, anche ma non solo attraverso la proprietà diretta o indiretta; dall’altro, eliminando ogni riferimento alla soglia del 25%. Sicché, dunque, qualora si accedesse ad un lettura rigorosa, prudente e formale del nuovo testo normativo, come forse dovuto ed anche preferibile, nella maggior parte dei casi la titolarità effettiva di un trust dovrebbe essere attribuita in capo ad una pluralità di soggetti, con conseguente aggravio di adempimenti in termini di adeguata verifica. Con l’intento di fare concreta applicazione del principio di proporzionalità in ragione dello specifico grado di rischio, la recente Proposta di direttiva prevede la distinzione (solo adombrata dalla direttiva (UE) n. 2015/849 nel momento in cui all’art. 31, par. 4, considera unicamente il trust che «gener[i] obblighi fiscali», espressione che non verrebbe però riprodotta nel testo emendato), in breve, tra trust operanti nel quadro di attività finalizzate ad ottenere profitti e trust di altro tipo, ad esempio aventi intenti caritatevoli o di salvaguardia dei patrimoni familiari, prescrivendo soltanto per i primi (attraverso un’integrazione non già della direttiva antiriciclaggio, quanto piuttosto della già ricordata n. 2009/101/CE), al pari delle società con fini di lucro, adempimenti pubblicitari sulla loro titolarità effettiva e rendendo talune informazioni essenziali che li riguardano liberamente accessibili a qualunque terzo e alla società civile in generale; al tempo stesso

28 Cfr. Vicari, Dal beneficiario del trust al suo titolare effettivo: percorsi nella disciplina Antiriciclaggio del trust, in Trust, 2009, p. 614 ss.; specie in Italia, la questione è affrontata soprattutto in ambito tributario: per tutti, v. Marino, Monitoraggio fiscale, titolare effettivo e trust opachi, in Corr. trib., 2014, p. 3109 ss. e Mione, Le recenti modifiche alla disciplina del c.d. monitoraggio fiscale: la problematica individuazione del «titolo effettivo» del trust, in Dir. prat. trib., I, p. 601 ss.

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– qui invece nella Quarta direttiva quale dovrebbe risultare all’esito dell’ulteriore processo di revisione della disciplina – tutti i trust, senza distinzione, verrebbero sottoposti alle disposizioni antiriciclaggio in tema di titolarità effettiva, ma rendendo i dati riguardanti i trust del secondo tipo accessibile non più a tutti, bensì ai soli portatori di interessi legittimi (così il “nuovo” par. 4 bis che si vorrebbe inserire nell’art. 31 della direttiva (UE) n. 2015/849). Sul punto, tuttavia, la Proposta appare ad onor del vero farraginosa e dunque forse poco funzionale ad una semplice applicazione sul piano pratico in chiave antiriciclaggio e di contrasto del finanziamento del terrorismo: presumibilmente la Commissione ha cercato di affiancare a tali finalità ulteriori e più generali obiettivi di “trasparenza del mercato”, i quali però non sono così facilmente sovrapponibili alle prime, di tal ché potrebbe risultare opportuno un qualche intervento correttivo in sede di approvazione definitiva del provvedimento.

5. (Segue) L’obbligo per gli Stati membri di istituire registri centrali nazionali ai fini di una più agevole individuazione della titolarità effettiva di determinati rapporti o operazioni. Soprattutto allo scopo di agevolare gli accertamenti a chi vi sia tenuto, la Quarta direttiva (UE) n. 2015/849 inserisce, a corredo delle prescrizioni in materia di obblighi di adeguata verifica della clientela, alcune norme (quelle cioè del Capo III, artt. 30-31) del tutto nuove rispetto al precedente impianto di misure antiriciclaggio. In particolare, si prevede che gli Stati membri, per prima cosa, impongano alle società e alle altre entità giuridiche costituite sul loro territorio di ottenere e conservare «informazioni adeguate, accurate e attuali sulla loro titolarità effettiva, compresi i dettagli degli interessi beneficiari detenuti» (art. 30, par. 1), ed inoltre che provvedano ad istituire – ovviamente, se già non presente – un registro centrale nazionale in cui siano raccolte le informazioni suddette, ad esempio un registro di commercio, un registro delle imprese ai sensi dell’art. 3 della direttiva n. 2009/101/CE in tema di protezione degli interessi dei soci o dei terzi ovvero un registro pubblico (art. 30, par. 3). Le caratteristiche di tali registri dovranno essere comunicate dai singoli Stati membri alla Commissione, la quale entro due anni dall’entrata in vigore della Quarta direttiva dovrà trasmettere al Parlamento e al Consiglio una relazione tesa a realizzare la sicura ed efficace interconnessione dei registri nazionali di cui sopra attraverso la piattaforma

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centrale europea istituita ai sensi dell’art. 4 bis della già più volte citata direttiva n. 2009/101/CE. In proposito, la Proposta di direttiva che abbiamo più volte ricordato potrebbe tuttavia portare ad un curioso, inaspettato e repentino revirement del legislatore europeo. Secondo il testo attuale della Quarta direttiva, infatti, l’accesso alle informazioni in argomento – che dovrà avvenire nel rispetto delle norme sulla protezione dei dati e per il quale potrà essere altresì prevista la preventiva registrazione online e il pagamento di una tassa di importo non eccedente i costi amministrativi – avrebbe dovuto essere consentito non soltanto ai soggetti tenuti all’adeguata verifica delle clientela, alle autorità competenti e alle Financial Intelligence Units dei vari Paesi, come era naturale attendersi, bensì anche «a qualunque persona od organizzazione che possa dimostrare un legittimo interesse» (cfr. art. 30, par. 4, co. 1, lett. c)). Ciò, in tutta evidenza, aprirebbe (o, meglio, avrebbe dovuto aprire) la strada alla consultazione di tali banche dati ad una platea potenzialmente molto vasta e diversificata di soggetti interessati, ad esempio per finalità di giornalismo d’inchiesta o di ricerca scientifica, secondo un chiaro e, per molti versi, apprezzabile intento di sempre maggiore trasparenza delle relazioni economiche. Al tempo stesso ed a ben guardare, però, si sarebbe profilata in tal modo una progressiva e sempre più articolata polifunzionalità dell’impianto di misure antiriciclaggio, teleologicamente orientato in una crescente pluralità di direzioni: il contrasto del finanziamento di attività terroristiche, la lotta – come sopra si è visto – all’evasione fiscale ed ora, appunto, la trasparenza informativa circa la titolarità effettiva di un’ampia gamma di rapporti e operazioni. Donde un legittimo interrogativo: solo l’esperienza, infatti, avrebbe potuto dire se questa linea di tendenza avrebbe prodotto sinergie positive o se, viceversa, avrebbe corso il rischio di annacquare le originarie e purtroppo sempre attualissime finalità di contrasto del riciclaggio del c.d. denaro sporco in un magma troppo eterogeneo e quindi meno efficace e significativo. Stiamo tuttavia usando il condizionale giacché, appunto, prima ancora che questa previsione trovi concreta attuazione, la recentissima Proposta di direttiva preconizza la soppressione della lett. c) testé riportata, con la prima conseguenza che con riferimento alle società e alle altre «entità giuridiche», qualora la modifica venisse confermata, l’accesso alle informazioni sulla titolarità effettiva verrebbe garantito alle autorità competenti, alle FIU, ai soggetti obbligati all’adeguata verifica, ma non più ai portatori di un interesse legittimo. Ciò nonostante, se si tiene conto della contestuale ipotesi di modificare la direttiva n. 2009/101/CE, come già sopra accennato parlando dei trust e al pari di questi, tale ultima

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esclusione non riguarderebbe le società aventi finalità lucrative (ossia di gran lunga la maggioranza), finendo dunque per confermare almeno in gran parte l’orientamento iniziale della Quarta direttiva a favore di una maggiore trasparenza informativa al pubblico in ambito societario nonché, di conseguenza, la rilevata “lievitante” polivalenza funzionale delle misure antiriciclaggio.

6. Il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo nell’era del Meccanismo Unico di Vigilanza. Dal punto di vista dell’assetto organizzativo della Pubbliche Autorità nella lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, anche ad una sommaria e rapida lettura della direttiva (UE) n. 2015/849 il primo dato che balza immediatamente agli occhi è la maggiore attenzione che il nuovo provvedimento riserva al profilo della cooperazione tra le autorità rispetto al precedente, come d’altronde anticipato già del 54° considerando della Quarta direttiva. Se infatti il provvedimento del 2005 dedicava alla cooperazione un unico stringatissimo articolo, il 38, mediante il quale incaricava la Commissione di prestare l’assistenza necessaria per facilitare sia il coordinamento sia lo scambio di informazioni tra le varie Financial Intelligence Units (di seguito FIU) dei singoli Stati membri, quella di recente approvazione sviluppa l’argomento in ben nove articoli, distinguendo tra cooperazione nazionale, cooperazione con le AEV (cioè con ABE, EIOPA ed ESMA, le tre autorità di vigilanza microprudenziale dell’ESFS, European System of Financial Supervisors) e cooperazione tra le FIU e la Commissione29. Quanto a quest’ultima dimensione, incuriosisce per vero la formula meno stringente rispetto al corrispondente testo della Terza direttiva, giacché ora la Commissione «può» prestare l’assistenza necessaria alle FIU; la variazione lessicale non sembra comunque dover essere sopravvalutata, quanto meno alla luce del cennato contesto di maggior attenzione ai profili di collaborazione nel quale oggi si inserisce e degli obiettivi perseguiti.

29 La Proposta di direttiva aggiunge addirittura un quarto ambito di cooperazione, quello cioè tra autorità competenti, elencando una serie di casi nei quali queste ultime non potranno in alcun modo respingere le richieste di assistenza provenienti da una o più delle altre (art. 50 bis, da inserire nella direttiva (UE) n. 2015/849)

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Piuttosto, l’analisi d’insieme delle disposizioni in discorso desta interesse se considerato da un diverso punto di osservazione. Quando, nel 2005, venne approvata la Terza direttiva, ovviamente il Meccanismo Unico di Vigilanza era ancora ben lungi dal venire anche soltanto concepito, vigendo, sotto il profilo del riparto di competenze, la sostanziale cesura tra vigilanza bancaria e governo della moneta. In tale contesto, era pertanto del tutto naturale che nella Terza direttiva mancasse qualunque riferimento non solo al Sistema Europeo di Vigilanza Finanziaria e alle sue componenti, nati alcuni anni più tardi, ma anche alla Banca Centrale Europea, all’epoca, appunto, pressoché estranea alla vigilanza sulle banche. L’architettura della supervisione pubblica sull’attività bancaria, però, come noto negli ultimi tempi in Europa è radicalmente mutata: dopo l’entrata in vigore del Regolamento (UE) n. 1024/2013 e il conseguente avvento dell’Unione Bancaria, la vigilanza bancaria è stata accentrata in capo alla Banca Centrale Europea, per quanto tali poteri siano esercitati nell’ambito di un meccanismo di vigilanza unico che vede coinvolte anche le autorità di vigilanza nazionali. Suscita pertanto qualche legittimo interrogativo la constatazione che la nuova direttiva di cui ci stiamo occupando citi sì, come abbiamo accennato, le AEV, ma nemmeno menzioni la Banca Centrale. Il quadro normativo antiriciclaggio riformato, infatti, mette piuttosto al centro del sistema la Commissione, considerata sin dal 24° considerando «nella posizione adatta per esaminare specifiche minacce transfrontaliere che potrebbero incidere sul mercato interno e che non possono essere identificate ed efficacemente contrastate dai singoli Stati membri», reputando pertanto opportuno «incaricarla di coordinare la valutazione dei rischi connessi ad attività transfrontaliere»: ciò si riflette nell’art. 51, il quale, seppur con quella formula sopra evidenziata, a stretto rigore attenuata rispetto al passato, affida alla Commissione il ruolo di prestatrice di assistenza alle VIU per favorire la cooperazione tra di loro all’interno dell’Unione, ma prima ancora – e forse soprattutto – nell’art. 6, laddove la Commissione viene incaricata della «valutazione dei rischi di riciclaggio e del finanziamento del terrorismo che gravano sul mercato interno e relativi alle attività transfrontaliere» e, a tal fine, le viene altresì chiesto di predisporre entro la data di entrata in vigore della Quarta direttiva una relazione che analizzi e valuti tali rischi a livello dell’Unione, in seguito aggiornandola almeno ogni due anni. Mentre, pertanto, per la vigilanza bancaria ha preso avvio un sistema composito che vede al vertice la Banca Centrale Europea e in ruolo au-

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siliario, per quanto essenziale, le singole autorità di vigilanza nazionali30, in materia antiriciclaggio e di contrasto del finanziamento del terrorismo non si ha – sia ben chiaro: fortunatamente, giacché sarebbe stata improvvida la costituzione di un ennesimo organismo a livello di Unione Europea operante prevalentemente, seppur certo non esclusivamente, in ambito finanziario – una sorta di “FIU europea”, essendo stato affidato tale ruolo, seppur in termini peculiari, alla Commissione, alla quale sono stati parimenti conferiti poteri che, nel linguaggio della legislazione bancaria, si direbbero di “vigilanza regolamentare”31, mentre le AEV si limitano soltanto ad elaborare «progetti di norme tecniche di regolamentazione» (così l’art. 45, par. 6, co. 1, della direttiva (UE) n. 2015/849), ad esempio con riferimento all’assolvimento delle prescrizioni antiriciclaggio da parte dei soggetti obbligati appartenenti ad un gruppo, da presentare poi, ancora una volta, alla Commissione. Evidentemente, dunque, il legislatore europeo non ha ritenuto di valorizzare quelle utili ed importanti sinergie tra vigilanza bancaria e contrasto dell’economia criminale poste in luce da tempo32, trascurando da un lato come la lotta contro i fenomeni in discorso non possa prescindere dal coinvolgimento in prima linea di quelle autorità tecniche di vigilanza che, proprio in ragione della loro missione istituzionale, assai bene conoscono i meccanismi di circolazione del denaro e, dall’altro, che un intermediario bancario o finanziario “piegato” alle ragioni dell’economia criminale è più vulnerabile anche con riguardo alla sua attività tipica, per di più alterando le fisiologiche dinamiche concorrenziali di mercato. Certo, poiché la “nuova vigilanza” europea vede fattivamente implicate le autorità di vigilanza nazionali e poiché, d’altronde, la stessa Quarta direttiva antiriciclaggio, all’art. 48, prescrive agli Stati membri di imporre alle proprie autorità compenti controlli circa il rispetto della normativa in questione, dotandole dei poteri adeguati allo scopo, probabilmente l’imbarazzo testé manifestato è destinato, sul piano fattuale, a ridimensionarsi non poco; vero è, inoltre, che siccome l’ambito applicativo del provvedimento travalica i soli intermediari bancari, o più in generale

30 Naturalmente a prescindere, in questa sede, dal profilo delle interrelazioni funzionali tra le AEV dell’ESFS (in primis l’EBA) e la BCE. Sull’argomento, che trascende, com’è evidente, le riflessioni condotte in questa sede, v., tra i molti, Weissman, European Agencies and Risk Governance in EU Financial Market Law, London, 2016. 31 Si pensi in particolar modo al disposto dell’art. 45, par. 7, della direttiva in discorso. 32 Sul punto, ci si permette di rinviare ancora una volta all’ampia disamina in Urbani, Disciplina, cit., partic. p. 89 ss.

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finanziari, per coinvolgere molte altre categorie di soggetti che svolgono attività affatto diverse, forse il legislatore europeo ha ritenuto che la Commissione godesse di una posizione per così dire più trasversale, meno incentrata cioè sulla sola intermediazione del bene-denaro oggetto dei due fenomeni che con queste misure si intende contrastare. Resta tuttavia l’impressione, a nostro sommesso avviso criticabile, che gli estensori della direttiva ora in corso di attuazione, in modo forse non del tutto consapevole o comunque voluto, abbiano preso le mosse dal presupposto di considerare la lotta al riciclaggio non tanto ontologicamente – il che sarebbe corretto – quanto piuttosto intrinsecamente come del tutto “altra” rispetto alla vigilanza bancaria, finendo però in tal modo per stemperare i benèfici influssi sinergici poc’anzi richiamati. Sarà questo, forse, argomento di riflessione quando, presumibilmente non tra molti anni, si porrà mano ad una quinta direttiva in materia. Anche la Proposta di modifica della Quarta, infatti, continua purtroppo a pretermettere il tema.

Alberto Urbani - Andrea Minto Postilla di aggiornamento Nel momento in cui si licenziano le bozze di questo lavoro, la Proposta di modifica della Quarta direttiva antiriciclaggio, COM (2016) 450 final, non è stata ancora approvata dai competenti organi dell’Unione Europea. Ne consegue che – contrariamente a quanto risulta dal testo della Proposta e a quanto di conseguenza annunciato nel corpo del contributo qui pubblicato – il termine assegnato agli Stati membri per dare attuazione alla direttiva (UE) n. 2015/849 non è stato anticipato al 31 dicembre 2016, bensì è rimasto fissato al 26 giugno 2017. Con specifico riguardo all’ordinamento italiano, poi, la l. 12 agosto 2016, n. 170, all’art. 15, ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi con i quali recepire la direttiva in questione. A tal proposito, il Ministero dell’economia e delle finanze ha proposto in pubblica consultazione uno schema di decreto legislativo di recepimento; tale consultazione è rimasta aperta fino al 20 dicembre 2016 e, allo stato, non si ha notizia della approvazione definitiva del provvedimento.

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COMMENTI

Uso non autorizzato degli strumenti elettronici di pagamento Tribunale

di

Firenze, Sezione III, sentenza 19 gennaio 2016; G.U. Ghelardini.

Strumenti elettronici di pagamento – Carte di credito – Smarrimento – Uso non autorizzato – Azione di rimborso nei confronti dell’emittente e dell’intermediario – Necessità per l’emittente e l’intermediario di fornire la prova che il titolare abbia agito con dolo o colpa grave denunciando tardivamente lo smarrimento – Sussistenza. (D.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, artt. 7 e 12) Strumenti elettronici di pagamento – Carte di credito – Smarrimento – Uso non autorizzato – Azione di rimborso nei confronti dell’emittente e dell’intermediario – Necessità per il titolare di precisare la data e il luogo dello smarrimento o sottrazione per dimostrare la diligenza nella custodia – Non sussistenza. (D.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, artt. 7 e 12) Strumenti elettronici di pagamento – Carte di credito – Smarrimento – Uso non autorizzato – Operazioni anomale per entità e frequenza – Azione di rimborso nei confronti dell’emittente e dell’intermediario – Obbligo per l’intermediario di rimborsare il titolare – Sussistenza – Obbligo per l’emittente di tenere indenne l’intermediario – Sussistenza. (D.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, art. 7) Strumenti elettronici di pagamento – Carte di credito – Smarrimento – Uso non autorizzato –Azione di rimborso nei confronti dell’emittente e dell’intermediario – Franchigia a carico del titolare – Applicazione della franchigia fissa sull’importo complessivo da rimborsare e non su ogni singola operazione non autorizzata – Necessità. (D.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, art. 12) In base al d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, attuativo della direttiva 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, qualora il titolare di una carta di credito rubata o smarrita neghi di aver disposto determinate operazioni

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di pagamento, l’emittente nei cui confronti sia stata proposta azione di rimborso deve fornire la prova della tardività della denuncia che il titolare ha l’obbligo di presentare, ovvero dimostrare che questi abbia agito con dolo o colpa grave. Ai fini della valutazione della tempestività della denuncia, tuttavia, non rileva la circostanza che l’ultima operazione di pagamento autorizzata precedesse di un paio di mesi quelle contestate, poiché, da un lato, ciò prova solo che il titolare della carta faceva un uso sporadico di tale strumento di pagamento, mentre, dall’altro, appare probabile che il furto o lo smarrimento sia avvenuto nel giorno stesso del primo utilizzo non autorizzato della carta. (1) Il fatto che il titolare della carta abbia avuto contezza del furto o dello smarrimento della stessa a distanza di otto giorni dalla supposta perdita di possesso non implica necessariamente che egli abbia omesso di custodire diligentemente la carta, o che abbia agito in colpa grave. Nessuna norma, infatti, impone la verifica periodica e ravvicinata della disponibilità della carta da parte del suo proprietario, né assume decisiva rilevanza la circostanza che questi abbia omesso, in sede di denuncia penale, di fornire particolari circa la data ed il luogo dello smarrimento o della sottrazione. (2) Nell’ipotesi di operazioni di pagamento a mezzo carta palesemente anomale, per entità e frequenza, l’obbligo di rimborsare il titolare della carta che le abbia disconosciute grava, in solido, sull’ente che ha emesso lo strumento e sulla banca che gestisce il conto addebitato, posto che quest’ultima, in virtù dei propri doveri professionali, avrebbe dovuto rilevare l’anomalia delle predette operazioni, effettuare opportune verifiche e contattare direttamente il proprio cliente. Tuttavia, dato che l’emittente trae, sostanzialmente in via esclusiva, i vantaggi economici legati alla gestione della carta, questi deve tenere indenne la banca di quanto dalla stessa pagato al titolare della carta, in conseguenza dell’uso indebito dello strumento. (3) La franchigia di 150 euro, a carico del titolare della carta abusivamente utilizzata da terzi, è da applicare sul totale complessivo degli importi addebitati e non sulle singole operazioni contestate. In difetto di una esplicita previsione normativa sul punto, infatti, non vi è ragione per interpretare in modo ampio il disposto dell’art. 12 d.lgs. n. 11/2010. (4)

(Omissis) Fatto – Con atto di citazione ritualmente notificato il Sig. X ha convenuto in giudizio, innanzi alla sezione distaccata di Empoli, Y s.p.a. e Banca s.p.a., al fine di sentirle condannare al pagamento, in solido tra loro, della

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somma di euro 32.750,85 - oltre interessi legali dal 17.10.2011 sino al saldo effettivo - a titolo di rimborso di somme addebitate in conseguenza di utilizzo illecito, da parte di soggetto terzo ignoto, della carta di credito di cui era titolare.


Tribunale di. Firenze

In particolare, l’attore ha esposto che in data 17.06.2009 aveva stipulato con la Banca un contratto per l’emissione della carta di credito del circuito Y; che lo stesso aveva regolarmente ricevuto il suddetto strumento di pagamento; che sulla carta di credito l’attore aveva apposto la propria sottoscrizione; che i pagamenti effettuati a mezzo della carta venivano addebitati sul conto corrente intestato all’attore, aperto presso Banca. L’attore ha aggiunto che, alla fine di agosto 2011, la carta di credito era stata trafugata o comunque smarrita; che lo stesso, tuttavia, si era accorto del fatto solo in data 03.09.2011, con immediata richiesta a Y di bloccare la carta; che in data 05.09.2011 aveva denunciato lo smarrimento alla Stazione dei Carabinieri di Castelfiorentino; che nel periodo dal 27.08.2011 al 01.09.2011, ignoti avevano indebitamente utilizzato la propria carta di credito, effettuando acquisti per euro 32.750,85; che le sottoscrizioni apposte sui relativi scontrini di pagamento erano palesemente contraffatte; che lo stesso, precedentemente, non aveva mai effettuato pagamenti per importi così elevati, tanto più in un concentrato arco temporale come quello in questione; che lo stesso, invano, aveva chiesto alle convenute il riaccredito della somma addebitata in conseguenza dell’illecito utilizzo della propria carta di credito. Premessa una ricognizione in diritto della normativa applicabile e richiamati gli artt. 8 e ss del d.lgs. n. 11 2010 (Attuazione della direttiva 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno) l’attore ha quindi dedotto il grave inadempimento delle convenute, Y, per aver convenzionato negozianti inaffidabili, avendo gli stessi omesso ogni con-

trollo sulla legittimità del possesso della carta e sulla autenticità delle sottoscrizioni, e, la Banca, per essersi avvalsa di istituto emittente a sua volta inaffidabile e per aver dato corso agli addebiti sul conto malgrado la loro evidente natura anomala per entità e frequenza. Lo stesso ha quindi chiesto la condanna delle convenute in solido al rimborso delle somme addebitate, in subordine, con applicazione della franchigia di legge ai sensi dell’articolo 12 del d.lgs. n. 11 del 2010. Si è costituita in giudizio Y s.p.a., opponendosi all’accoglimento della domanda attorea. La stessa, premesso in punto di diritto che il titolare della carta elettronica è responsabile di ogni danno cagionato dall’indebito o illecito uso della carta in caso di dolo o colpa grave, ha eccepito la sussistenza nella fattispecie di tali ultime condizioni, per il ritardo con cui l’attore aveva dato comunicazione dell’avvenuto smarrimento/furto della carta, circostanza che non aveva permesso a Y di evitare l’utilizzo indebito della stessa, con il conseguente azzeramento del plafond mensile a disposizione dell’attore. La stessa ha inoltre rilevato che, avuto riguardo alla data dell’ultimo utilizzo della carta effettuato dall’attore, che era del 04.06.2011, in assenza di elementi contrari e data anche la genericità della denuncia sporta dall’attore, ben poteva presumersi che quest’ultimo avesse omesso - negligentemente - la custodia della propria carta addirittura per 90 giorni (ovvero, dal 04.06.2011 al 03.09.2011, data quest’ultima in cui l’attore ha asserito di essersi accorto della sottrazione/ furto); che comunque, anche ipotizzando che lo smarrimento/furto della carta di credito fosse avvenuto il

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27.8.2011, data del primo utilizzo non autorizzato, inescusabile era stato il comportamento dell’attore, per avere lo stesso comunicato lo smarrimento solo otto giorni dopo, circostanza che evidenziava, a suo dire, grave diligenza nella custodia della carta; che Y, circa il mancato riscontro dell’autenticità delle sottoscrizioni dei clienti, era sostanzialmente impossibilitata a tale verifica, eventualmente di competenza dei singoli esercenti; che, parimenti, nessuna doglianza poteva essere mossa in relazione alla dedotta anomalia nell’uso della carta, da questa non rilevabile. Si è costituita in giudizio, altresì, la banca, opponendosi anch’essa all’accoglimento della domanda attorea. Ha evidenziato che Y è attualmente la carta di credito più diffusa e conosciuta in Italia, di talché non vi era alcun elemento da cui dedurre l’inaffidabilità della società emittente e che la stessa aveva esclusivamente l’obbligo di addebitare sul conto corrente dell’attore le somme di cui agli estratti conto ad essa inoltrati da Y. Per il resto si è associata alle difese di Y, circa la colpa grave del cliente e la assenza di responsabilità delle convenute. In subordine sul presupposto che ogni eventuale responsabilità non poteva che gravare sull’emittente la carta, ha chiesto in via riconvenzionale “trasversale” di essere manlevata da Y. Y si è opposta all’accoglimento della domanda di manleva, ribadendo l’esclusiva responsabilità nella vicenda del Sig. X. A seguito della soppressione ex lege della sezione distaccata di Empoli, previa sostituzione del giudice istruttore (provvedimento presidenziale del

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26.11.2013), la causa è stata trattata presso la sede principale ed è stata istruita documentalmente. All’udienza del 29.09.2015 le parti hanno precisato le conclusioni, riportandosi agli atti. Con ordinanza depositata il 25.11.2014, è stato disposto l’esperimento di procedimento di mediazione, che si è concluso con esito negativo. All’udienza odierna le parti hanno discusso oralmente la causa, previo deposito di note conclusive autorizzate. 1) La domanda di risarcimento del danno per grave inadempimento dell’ente emittente la carta di credito e della Banca. La domanda va disattesa. In coerenza con la disciplina generale in materia di inadempimento contrattuale, anche ad ammettere infatti l’esistenza di inadempimenti imputabili all’ente emittente, per la mancata rilevazione di grossolana falsificazione della firma del titolare sugli scontrini di acquisto e della stessa anomalia nell’utilizzo della carta, per quantità e frequenza, resterebbe a carico del cliente una significativa quota di concorso colposo nella fattispecie produttiva del danno. Non v’è dubbio infatti che lo stesso smarrimento della carta denoti la violazione da parte del cliente dell’obbligo di custodia della stessa assunto contrattualmente. Fermo restando che nella fattispecie non ricorrono gli estremi della colpa grave a carico del titolare della carta, per le ragioni che meglio saranno illustrate nel paragrafo che segue, troverebbe nella fattispecie senz’altro applicazione il principio di cui all’art. 1227 c.c., atteso il concorso di colpa del danneggiato,


Tribunale di. Firenze

con conseguente riduzione proporzionale del quantum risarcibile. In concreto avuto riguardo alle caratteristiche della fattispecie l’efficienza causale della negligente condotta dell’attore sarebbe infatti quantificabile in almeno il 30% del danno complessivo. La richiesta di rimborso integrale degli addebiti effettuati per inadempimento dell’emittente e della banca, non può pertanto essere accolta. Occorre pertanto passare senz’altro all’esame della più favorevole disciplina di cui alla domanda di ipotesi. 2) La domanda di rimborso proposta in via subordinata L’attore ha posto a fondamento della richiesta il disposto di cui all’articolo 12, III co., del d.lgs. n. 11/2010, il quale prevede che «salvo il caso in cui l’utilizzatore abbia agito con dolo o colpa grave ovvero non abbia adottato le misure idonee a garantire la sicurezza dei dispositivi personalizzati che consentono l’utilizzo dello strumento di pagamento, prima della comunicazione eseguita ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera b), l’utilizzatore medesimo può sopportare per un importo comunque non superiore complessivamente a 150 euro la perdita derivante dall’utilizzo indebito dello strumento di pagamento conseguente al suo furto o smarrimento». L’articolo 7, comma 1, lettera b) dispone che «l’utilizzatore abilitato all’utilizzo di uno strumento di pagamento ha l’obbligo di: (...) comunicare senza indugio, secondo le modalità previste nel contratto quadro, al prestatore di servizi di pagamento o al soggetto da questo indicato lo smarrimento, il furto, l’appropriazione indebita o l’uso non autorizzato dello strumento non

appena ne viene a conoscenza». Si osserva che, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, n. 5, del medesimo decreto, per “strumento di pagamento” si intende «qualsiasi dispositivo personalizzato e/o insieme di procedure concordate tra l’utilizzatore e il prestatore di servizi di pagamento e di cui l’utilizzatore di servizi di pagamento si avvale per impartire un ordine di pagamento», ivi compresa, quindi, la carta di credito. Il menzionato decreto, in particolare, introduce una ripartizione del rischio connesso all’utilizzo di strumenti elettronici di pagamento tale da fare ricadere sull’intermediario il rischio stesso, a meno che non risulti una colpa grave dell’utilizzatore-cliente, sul quale resta comunque una partecipazione al rischio nella misura di Euro 150,00 (c.d. franchigia), da applicarsi salvo diversa pattuizione contrattuale migliorativa per il cliente stesso. Con riferimento all’onere della prova, la disciplina legislativa prevede che, «quando l’utilizzatore di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un’operazione di pagamento eseguita, l’utilizzo di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l’operazione sia stata autorizzata dall’utilizzatore medesimo, né che questi abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto con dolo o colpa grave a uno o più degli obblighi di cui all’articolo 7» (art. 10 co. 2 d.lgs. n. 11/2010). Circa la nozione di colpa grave, va poi richiamata quella giurisprudenza di legittimità secondo cui la stessa consiste in «un comportamento consapevole dell’agente che, senza volontà di arrecare danno agli altri, operi con straordinaria e inescusabile imprudenza o negligenza, omettendo di osservare

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non solo la diligenza media del buon padre di famiglia, ma anche quel grado minimo ed elementare di diligenza generalmente osservato da tutti» (sulla scorta di Cass., 19 novembre 2001, n. 14456, cui si può aggiungere, più di recente Cass. 13 ottobre 2009, n. 21679). In tal modo il Legislatore ha inteso favorire, salvi i casi in cui la condotta dell’utilizzatore appare dolosa o gravemente colposa, la diffusione degli strumenti elettronici di pagamento, anche al fine di garantire la tracciabilità del medesimo, ponendo a carico dell’intermediario i rischi connessi al loro indebito uso e l’onere della prova circa la sussistenza degli elementi impeditivi del diritto dell’utilizzatore al rimborso (tardiva denuncia della perdita di possesso della carta, dolo, colpa grave). E ciò a prescindere dal fatto che il suddetto uso sia stato o meno cagionato da condotta colposa dell’utilizzatore (così di regola nel caso dello smarrimento della carta elettronica). La scelta del legislatore, che parzialmente deroga ai principi generali in materia di responsabilità da inadempimento ed quella della ripartizione dell’onere probatorio in materia contrattuale, appare senz’altro ragionevole, solo ove si consideri che l’emittente, soggetto che agisce nell’abito di attività imprenditoriale, nella sua veste professionale può senz’altro provvedere ad una valutazione preventiva del rischio conseguente all’uso indebito delle carte ed alla conseguente assicurazione del medesimo. I relativi costi assicurativi ben potranno poi essere “spalmati” sulla platea degli utilizzatori, così evitandosi la concentrazione del rischio su questi ultimi. Tanto premesso in punto di diritto, ritiene il giudicante che la domanda sia fondata.

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L’attore ha esposto di aver preso coscienza dell’avvenuto smarrimento (ovvero furto) della propria carta di credito solo in data 03.09.2011, e di aver immediatamente comunicato l’accaduto a Y, disconoscendo le operazioni oggetto di causa. Poiché l’attore nega di aver mai disposto le operazioni oggetto di causa, era onere delle convenute fornire la prova della tardività della denuncia ovvero della sussistenza di dolo o colpa grave. Nessuna concreta prova è stata invece sul punto fornita. Invero, quanto alla tempestività della denuncia, non rileva la circostanza che l’ultima operazione in senso cronologico rispetto a quelle contestate risalga al giugno 2011. Ciò infatti non prova che la carta è stata smarrita in epoca immediatamente successiva all’ultimo utilizzo non contestato, ma solo che l’attore faceva un uso sporadico di tale strumento di pagamento. D’altra parte è assai probabile che il furto della carta di credito - ovvero lo smarrimento della stessa, seguito da appropriazione da parte di ignoti male intenzionati - sia avvenuto proprio in data 27.08.2011, ovvero nel giorno del suo primo utilizzo non autorizzato. L’esperienza insegna che l’utilizzo illecito di uno strumento di pagamento avviene, generalmente, immediatamente dopo al conseguimento del possesso dello stesso, al fine di anticipare ed eludere provvedimenti di “blocco”. Nessuna colpa grave è poi ravvisabile per il fatto che l’attore abbia avuto contezza dello smarrimento della carta solo dopo otto giorni. Ciò infatti non implica necessariamente che il Sig. X abbia omesso di cu-


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stodire diligentemente lo carta, ovvero abbia agito in colpa grave. Nessuna norma impone la verifica periodica e ravvicinata della disponibilità della carta da parte del suo titolare. La circostanza che egli si sia reso conto dello smarrimento, verosimilmente, a distanza di otto giorni dalla perdita di possesso non implica colpa grave. Nemmeno fornisce elementi decisivi in tal senso la circostanza che l’attore abbia omesso in sede di denuncia penale di fornire particolari circa la data ed il luogo dello smarrimento/ sottrazione. È infatti del tutto coerente e logico, in caso di sottrazione occulta ovvero di smarrimento, che il titolare non sia in grado di collocare con precisione il momento della perdita del possesso sotto il profilo spaziale o temporale. Segue da quanto sopra che l’attore ha diritto al rimborso delle somme addebitategli, detratta la franchigia di legge (euro 150,00). La franchigia è da applicare sul totale complessivo degli importi addebitati e non sulle singole operazioni, così come sembra sostenere la stessa parte attrice nei propri atti difensivi. In difetto di una esplicita previsione sul punto non vi è infatti ragione per interpretare in modo ampio il disposto di cui all’art 12 citato. Né d’altra parte si pongono problemi sotto il profilo di cui all’art. 112 c.p.c., avendo l’attore comunque richiesto in sede di precisazione delle conclusioni il rimborso dell’intera somma addebitata per le operazioni disconosciute. Sotto il profilo della legittimazione passiva l’obbligo non può che gravare sull’ente emittente la carta, e cioè su Y s.p.a., soggetto su cui in ultima analisi

deve ricadere l’onere economico conseguente agli indebiti utilizzi della banca. Quanto alla posizione di Banca ritiene il giudicante che sussista violazione dei doveri ad essa facenti carico per non aver rilevato la anomalia delle operazioni in contestazione per frequenza ed entità. Invero, non è contestato che l’attore facesse un uso del tutto saltuario della carta, con addebiti mensili di poche centinaia di euro. La circostanza che, nel giro di pochi giorni a cavallo dell’agosto settembre 2011, fossero risultati acquisti per importo complessivo di euro 30.000,00, tali da utilizzare l’intero plafond di entrambe le mensilità, avrebbe dovuto senz’altro porre sull’avviso la banca sulla necessità di effettuare opportune verifiche, contattando direttamente il titolare. D’altra parte, quale operatore professionale, la stessa poteva rendersi agevolmente conto della suddetta anomalia. La Banca va quindi condannata in solido con Y al relativo rimborso. Poiché è incontestato che gli addebiti contestati ammontano ad euro 32.750,85, le convenute, al netto della franchigia, vanno condannate al pagamento di euro 32.600,85, oltre interessi legali dal 17.10.2011 sino al saldo effettivo. 3) Della domanda trasversale di manleva. La Banca ha proposto domanda trasversale di manleva nei confronti di Y, chiedendo che questa sia condannata a tenerla indenne da ogni eventuale onere. La domanda è fondata. L’onere economico derivante dall’uso indebito della carta non può

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che gravare che sul soggetto emittente, ente che trae, sostanzialmente in via esclusiva, i vantaggi economici legati alla gestione della carta. Y va pertanto condannata a manlevare la Banca di quanto la stessa pagherà a parte attrice in esecuzione della presente sentenza. 4) Spese di lite. Le spese di lite, liquidate nel dispositivo ai sensi del d.m. 55/2014, seguono la soccombenza. Le convenute vanno quindi condannate a rimborsare le spese di lite attoree. A sua volta Y deve farsi carico delle spese della Banca.

P.Q.M. Visto l’articolo 281-sexies c.p.c., il Tribunale di Firenze, III sezione civile in composizione monocratica, definitivamente decidendo, ogni altra istanza respinta: - condanna Y s.p.a. e Banca s.p.a. a rimborsare a favore del Sig. X, in solido tra loro, la somma di euro 32.600,85, oltre interessi legali decorrenti dal 17.10.2011 sino al saldo; - condanna Y s.p.a. a manlevare Banca di quanto la stessa pagherà all’attore in esecuzione della presente sentenza. (Omissis)

(1-4) Pagamento fraudolento con carta di credito e ripartizione delle responsabilità. Dagli orientamenti attuali alla revisione della PSD*. Sommario: 1. Introduzione. La massiccia diffusione degli strumenti di pagamento elettronici e l’apparente disinteresse della giurisprudenza. – 2. La disciplina delle operazioni di pagamento non autorizzate nel d.lgs. n. 11/2010. – 3. (Segue) L’imputazione delle responsabilità per operazioni non autorizzate, tra colpa grave del titolare dello strumento di pagamento e diligenza del bonus argentarius. – 4. Gli orientamenti dell’ABF in materia di responsabilità dell’utente per uso non autorizzato degli strumenti di pagamento. – 5. La sentenza del Tribunale di Firenze del 19 gennaio 2016: a) la valutazione della diligenza del titolare della carta; b) la legittimazione passiva dell’emittente la carta e della banca presso la quale il titolare ha il conto; c) la responsabilità della banca per violazione dei propri obblighi di diligenza professionale; d) la franchigia a carico del titolare della carta. – 6. Due questioni controverse: a) la responsabilità dell’esercente convenzionato; b) il risarcimento dei danni non patrimoniali. – 7. Le novità attese dall’adozione della PSD 2: una normativa soddisfacente?

* Nelle more della stampa del presente contibuto (ultimato nel mese di ottobre 2016), l’autore è stato nominato membro dell’Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Palermo. Le opinioni in questa sede espresse hanno comunque carattere personale e non rappresentano in alcun modo la posizione del Collegio.

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1. Introduzione. La massiccia diffusione degli strumenti di pagamento elettronici e l’apparente disinteresse della giurisprudenza. Se si considera l’enorme e sempre crescente diffusione degli strumenti di pagamento elettronici (e delle carte di pagamento in particolare1), unitamente alla ricchissima casistica relativa all’uso illecito dei medesimi (connessa agli innumerevoli episodi di furto, clonazione o fraudolenta captazione delle credenziali di accesso ai sistemi di pagamento, attuati con forme e tecnologie sempre più insidiose e sofisticate), è facile constatare come la giurisprudenza civilistica si sia occupata di tali fenomeni con una frequenza piuttosto limitata, che appare inversamente proporzionale alla loro indiscutibile rilevanza sociale. Le ragioni di tale apparente “disinteresse” sono, in realtà, agevolmente individuabili e trovano le loro radici storiche nella mancanza, a lungo lamentata, di una disciplina legale vincolante, concernente l’impiego degli strumenti di pagamento elettronici e l’addebito delle responsabilità in caso di abusi. Com’è noto, invero, fino a tempi relativamente recenti, la regolamentazione della materia è rimasta affidata a fonti di soft law o di matrice pattizia2, con la conseguenza che l’ambiente normativo venutosi a creare – per alcuni versi lacunoso, per altri di incerta applicazione, in ogni caso non favorevole alla clientela bancaria, quale parte debole del rapporto contrattuale inerente all’erogazione di servizi di pagamento – ha fortemente scoraggiato le inizia-

1 Risulta, invero, che tra gli strumenti di pagamento elettronici in atto disponibili sul mercato, le payment cards (carte di credito e carte di debito) siano quelli più diffusi per i pagamenti al dettaglio, essendo utilizzate per circa un terzo del totale di questi ultimi (Commissione Europea, Libro Verde, Verso un mercato europeo integrato dei pagamenti tramite carte, internet e telefono mobile, 11 gennaio 2012, COM (2011) 941 def., p. 4). 2 Sotto il primo profilo, rilevano in particolare la Raccomandazione 87/598/CEE della Commissione dell’8 dicembre 1987, relativa ad un codice europeo di buona condotta in materia di pagamento elettronico, la Raccomandazione 88/590/CEE della Commissione del 17 novembre 1988 concernente i sistemi di pagamento, in particolare il rapporto tra emittente e proprietario della carta, e la Raccomandazione 97/489/CE del 30 luglio 1997 sugli strumenti di pagamento elettronici (in argomento, Sciarrone Alibrandi, La raccomandazione comunitaria n. 97/489 relativa alle operazioni mediante strumenti di pagamento elettronici, con particolare riferimento alle relazioni tra gli emittenti ed i titolari di tali strumenti, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, I, p. 497); sotto il secondo profilo, vanno invece rammentate le condizioni generali di contratto tra banca e cliente elaborate dall’ABI, che disciplinavano, ancora prima della PSD, diversi tipi di servizi/ strumenti di pagamento (ad es., i servizi Bancomat/Pagobancomat).

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tive giudiziarie degli utenti di servizi di pagamento nei confronti degli intermediari, specie nei casi, peraltro assai comuni, di contestazioni aventi un valore economico contenuto. L’adozione della direttiva 2007/64/CE (Payment Services Directive, PSD), recepita in Italia con d.lgs. n. 11/2010, ha certamente rappresentato una tappa di fondamentale importanza, nella disciplina della materia: con l’obiettivo di contribuire all’istituzione di una Single Euro Payment Area (SEPA), infatti, la normativa europea ha introdotto un’articolata regolamentazione dei servizi di pagamento di nuova generazione (i.e. elettronici) e, tramite una puntuale definizione dei diritti/doveri delle parti coinvolte nelle operazioni di pagamento (gli utenti dei servizi di pagamento, da un lato, i prestatori di servizi di pagamento, dall’altro), ha per la prima volta definito condizioni normative dettagliate e vincolanti, che potessero fungere da presupposto per un incremento della fiducia verso gli strumenti di pagamento elettronici (e, quindi, del loro impiego)3. Al riguardo, si lasciano senz’altro apprezzare le disposizioni in materia di ripartizione dei rischi e delle responsabilità per i casi di uso non autorizzato degli strumenti di pagamento, che dettano, come vedremo, regole di particolare favore nei confronti degli utenti/pagatori, sia in termini di contenimento delle loro responsabilità, sia in ragione di una sostanziale traslazione sul prestatore dei servizi di pagamento dell’onere probatorio relativo ad operazioni abusive (v. par. 2). È curioso, peraltro, che al rinnovato contesto normativo (destinato, nel prossimo futuro, ad ulteriori cambiamenti, imposti dalla recentissima dir. UE 2015/2366 del 25 novembre 20154, cd. PSD 2: v. infra, par. 7) non abbia fatto seguito un significativo incremento delle pronunce giurisprudenziali in tema di servizi di pagamento, e ciò a dispetto della frequenza, cui prima si accennava, con cui si riscontrano, nella realtà quotidiana, abusi e frodi nell’uso degli strumenti di pagamento elettronici. Anche in questo caso, tuttavia, la spiegazione può essere rinvenuta (in parte) nell’avvento di quel nuovo sistema di risoluzione

Per un commento della vigente normativa v. Mancini, Rispoli Farina, Santoro, SciarAlibrandi, Troiano, a cura di, La nuova disciplina dei servizi di pagamento, Torino, 2011; Rispoli Farina, Santoro, Sciarrone Alibrandi, Troiano, a cura di, Armonizzazione europea dei servizi di pagamento e attuazione della direttiva 2007/64/CE, Milano, 2009. 4 Per esteso, Direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2015 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che modifica le direttive 2002/65/CE, 2009/110/CE e 2013/36/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010, e abroga la direttiva 2007/64/CE. 3

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delle controversie tra banca e cliente rappresentato dall’Arbitro Bancario Finanziario. Vuoi per la già evidenziata modestia delle liti relative all’uso illegittimo di carte e strumenti di pagamento (sovente contenute entro importi di poche centinaia di euro), vuoi per i vantaggiosi costi di accesso a tale forma di giustizia alternativa, uniti all’indubbia rapidità del processo decisionale, vuoi, non da ultimo, per l’atteggiamento di favor spesso manifestato verso i clienti degli intermediari, l’ABF è presto diventato il principale catalizzatore delle doglianze in materia di abuso degli strumenti di pagamento, incamerando, nel volgere di pochi anni, un numero di ricorsi relativi alla materia in esame ben più alto di quello concernente altri settori di sua competenza5. A ciò si aggiunga che, anche nelle rare sentenze reperibili, la giurisprudenza si è mostrata poco incline ad applicare la nuova normativa sui servizi di pagamento (basata sul principio del rischio di impresa e su forme di responsabilità che evocano assai da vicino, in certi casi, quella di tipo oggettivo, con conseguenze particolarmente gravose specie per l’intermediario6), restando piuttosto ancorata ad un approccio tradizionalistico, fondato sul classico regime civilistico della responsabilità per colpa (legata, in particolare, alla violazione dei doveri di diligenza incombenti alla banca)7.

In base all’ultima Relazione sull’attività dell’Arbitro Bancario e Finanziario, presentata nello scorso mese di giugno, i ricorsi in materia di carte di credito e di debito presentati nel 2015 ammontano a 2037 (secondi solo ai ricorsi in materia di cessione del quinto, pari a 7410), contro, ad es., i 987 ricorsi in materia di conti correnti, i 728 in materia di mutui ed i 172 in materia di credito ai consumatori. 6 Sul rapporto tra responsabilità oggettiva e rischio d’impresa, data l’estrema vastità della bibliografia di riferimento, ci limitiamo a rinviare a Alpa, La responsabilità oggettiva, in Contr. e impr., 2005, n. 3, p. 961; Cavazzuti, Rischio di impresa, in Enc. dir., agg. IV, 2000, ove ulteriori riferimenti bibliografici. Sempre utili, in argomento, risultano inoltre le pagine di Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961. 7 Nella giurisprudenza di merito in tema di servizi di pagamento, afferma la responsabilità contrattuale della banca, per violazione degli obblighi sulla stessa gravanti quale mandataria del cliente (in particolare, per mancata attivazione di un adeguato presidio di sicurezza nell’ambito dei servizi di home banking, quale l’istituzione di un sistema one time password), Trib. Milano, 4 dicembre 2014, in Resp. civ. prev., 2015, n. 3, p. 908, con nota di Frau, Home banking, captazione di credenziali di accesso dei clienti tramite phishing e responsabilità della banca. Analoga impostazione in Trib. Firenze, 20 maggio 2014, in Nuova giur. civ., 2015, n. 2, p. 137, con nota di Salomoni, Responsabilità dell’operatore bancario nei confronti del cliente in caso di addebito non autorizzato su conto corrente on line. Va dato atto, peraltro, che, secondo un diverso orientamento, la responsabilità della 5

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In questo contesto, dunque, la sentenza in commento appare di indubbio interesse, poiché opera una corretta applicazione del regime introdotto con il d.lgs. n. 11/2010, affrontando un caso che ci permette di analizzare, al contempo, una serie di problematiche che la stessa normativa di riferimento lascia per larga parte irrisolte. Pertanto, nella prima parte di questo lavoro, ci soffermeremo sui criteri di imputazione delle responsabilità per uso non autorizzato degli strumenti di pagamento e sulle modalità di suddivisione delle medesime tra titolare e prestatore di servizi di pagamento, tenendo altresì conto degli orientamenti in materia rivenienti dalle decisioni dell’ABF (par. 2-4). Nella parte centrale, ci concentreremo sul caso deciso dalla sentenza in commento, analizzando le singolari statuizioni del Tribunale di Firenze in punto di responsabilità degli intermediari coinvolti nelle operazioni di pagamento a mezzo carta di credito (par. 5). Infine, dopo avere accennato ad alcune questioni che l’attuale disciplina dei servizi di pagamento lascia tuttora indefinite (par. 6), faremo riferimento alle recenti disposizioni della PSD 2, nel tentativo di stabilire se esse siano in grado di fornire un’adeguata risposta normativa alle problematiche in questa sede evidenziate (par. 7).

banca, a fronte di illecite interferenze di terzi nelle operazioni di pagamento, si fonderebbe sull’art. 2050 c.c. e/o sulla normativa posta a protezione dei dati personali (d.lgs. n. 196/2003, Codice della privacy): v. ad es. Trib. Milano 16 marzo 2009 (reperibile su www.ilcaso.it); Trib. Palermo, 20 dicembre 2009 (banca dati DeJure); Trib. Palermo, 12 gennaio 2010, in Resp. civ. prev., 2011, n. 9, 1827, con nota di Frau, Sottrazione di credenziali informatiche, bonifici non autorizzati e responsabilità civile della banca da trattamento di dati personali; Trib. Siracusa, 15 marzo 2012, in Corr. merito, 2012, n. 7, 663, con nota di Valore, Phishing sul conto postale e trattamento dei dati personali. Da segnalare, al riguardo, la recentissima Cass., 23 maggio 2016, n. 10638, la quale, dopo avere stabilito che, in base al rinvio all’art. 2050 c.c., operato dall’art. 15 del Codice della privacy, l’istituto che svolga un’attività di tipo finanziario o creditizio risponde, quale titolare del trattamento di dati personali, dei danni conseguenti al fatto di non aver impedito a terzi di introdursi illecitamente nel sistema telematico del cliente e di effettuare illegittime disposizioni di bonifico (a meno che non provi che l’evento dannoso non gli è imputabile perché discendente da trascuratezza, errore o frode dell’interessato o da forza maggiore), evidenzia come tali principi siano coerenti con quanto disposto dal d.lgs. n. 11/2010, in ordine all’obbligo del prestatore del servizio di pagamento di assicurare che i dispostivi personalizzati forniti dai gestori non siano accessibili a soggetti diversi dal legittimo titolare e di provare la genuinità delle transazioni disconosciute dal cliente. In dottrina, sul rapporto tra disciplina dei servizi di pagamento e disciplina della protezione dei dati personali, v. Delfini, Finocchiaro, Diritto dell’informatica, Torino, 2014, p. 756 ss.

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2. La disciplina delle operazioni di pagamento non autorizzate nel d.lgs. n. 11/2010. Il caso deciso dal Tribunale di Firenze muove dal disconoscimento, da parte del titolare di una carta di credito, di una serie di operazioni di pagamento eseguite presso esercizi convenzionati, per il non indifferente importo di € 32.750. Assumeva l’attore, in particolare, che la propria carta di credito fosse stata trafugata (o che fosse stata semplicemente smarrita) a fine agosto 2011 e che nel periodo intercorso tra tale momento e la richiesta di blocco dello strumento (effettuata il 3 settembre 2011), ignoti ne avessero fatto illecito uso per effettuare diversi acquisti, falsificando palesemente la firma del titolare sugli scontrini di pagamento. Al fine di ottenere il rimborso delle somme sottrattegli, pertanto, l’attore conveniva in giudizio, chiedendone la condanna in solido, sia la banca con la quale aveva stipulato il contratto per il rilascio della carta di credito, presso la quale intratteneva il conto corrente addebitato, che il gestore del circuito di affiliazione della carta, rilevando il grave inadempimento di quest’ultimo, per avere convenzionato negozianti inaffidabili (avendo costoro omesso di effettuare i necessari controlli sulla titolarità della carta e sull’autenticità delle sottoscrizioni), e della prima, per essersi avvalsa di istituto emittente inaffidabile e per avere dato corso, con addebito su conto corrente, ad operazioni di pagamento ictu oculi anomale, per entità e frequenza8. Il Tribunale, dopo avere rigettato la domanda principale di integrale risarcimento del danno da grave inadempimento (sul presupposto che l’attore avesse concorso alla produzione del danno, con proprio atteggiamento colposo consistente nella negligente custodia della carta rubata o smarrita), risolve la controversia attraverso l’inquadramento della fattispecie nella cornice dettata dal d.lgs. n. 11/2010. La normativa in oggetto, invero, disciplina i rapporti tra utente e prestatore di servizi di pagamento secondo criteri che, in punto di responsabilità per operazioni non autorizzate, possono essere così sintetizzati:

8 Da quanto è dato evincere, dunque, nella fattispecie ci troviamo in presenza di un sistema di pagamento “a tre parti”, in cui un unico soggetto opera in veste sia di issuer che di acquirer (ossia di emittente la carta e di convenzionatore degli esercenti), concedendo eventuali licenze ad altri intermediari (v. nt. 39).

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- il titolare dello strumento di pagamento sopporta le perdite relative ad operazioni non autorizzate compiute prima della denuncia di furto o smarrimento (e della richiesta di blocco) dello stesso, da effettuare con tempestività al prestatore di servizi di pagamento o al soggetto da questi indicato, entro un massimale di 150 euro (limite che non trova applicazione, tuttavia, ove il titolare abbia agito con dolo o colpa grave, o abbia omesso di adottare le misure idonee a garantire la sicurezza dei dispositivi personalizzati che consentono l’utilizzo dello strumento di pagamento) (art. 12.3)9; - successivamente alla denuncia, le perdite restano a carico del prestatore di servizi di pagamento (tenuto a bloccare immediatamente lo strumento del quale sia stato denunciato il furto o lo smarrimento, impedendone l’uso non autorizzato), salvo il caso in cui l’utilizzatore abbia agito in modo fraudolento (art. 12.1); - con riferimento all’onere della prova, infine, è previsto che, ove l’utilizzatore di uno strumento di pagamento contesti di avere eseguito una determinata operazione, il prestatore di servizi di pagamento debba dimostrare che detta operazione è stata regolarmente autenticata, registrata e contabilizzata (tanto più che l’utente del sistema non riuscirebbe in alcun modo a procurarsi la prova di un errore contabile o di un eventuale disguido tecnico), nonché il dolo o la grave negligenza del titolare dello strumento (fermo restando, peraltro, che l’uso di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento non è di per sé sufficiente a dimostrare che l’operazione sia stata autorizzata dall’utilizzatore o che questi abbia agito fraudolentemente o contravvenuto, con dolo o colpa grave, agli obblighi previsti dalla legge) (art. 10). Da quanto osservato, è agevole evincere che la suddivisione delle responsabilità per uso non autorizzato degli strumenti di pagamento obbedisce, nella sostanza, ad un criterio di matrice economica, secondo

9 Per completezza, rammentiamo altresì che la Banca d’Italia, con disposizioni attuative dell’art. 12.5, ha stabilito che la responsabilità patrimoniale dell’utilizzatore venga completamente esclusa (fatta eccezione per i casi di dolo, colpa grave, o di mancata adozione delle misure idonee a garantire la sicurezza dei dispositivi necessari per l’esecuzione dei pagamenti) ove vengano utilizzati strumenti cd. “a maggior sicurezza” (connotati, in quanto tali, da un rischio di frode o disconoscimento assai inferiore rispetto agli altri strumenti di pagamento) da parte di soggetti qualificabili come consumatori (Banca d’Italia, Attuazione del Titolo II del Decreto legislativo n. 11 del 27 gennaio 2010 relativo ai servizi di pagamento (Diritti ed obblighi delle parti), 5 luglio 2011).

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il quale ciascuna delle parti coinvolte in un’operazione di pagamento deve farsi carico dei rischi che meglio è in grado di prevenire, gestire o sopportare (teoria del cheapest cost avoider10). Pertanto, se il cliente è senz’altro responsabile per non avere custodito con la dovuta diligenza lo strumento di pagamento o le chiavi di accesso che ne abilitano l’uso, per avere omesso di denunciare tempestivamente la perdita di possesso del medesimo, al fine di consentirne il blocco da parte dell’emittente, o per non averne a propria volta chiesto il blocco in situazioni di pericolo, il prestatore di servizi di pagamento deve assumersi quei rischi che ineriscono più direttamente alla propria sfera professionale, in quanto insiti nell’attività imprenditoriale svolta (rischio di impresa)11. In un’ottica puramente economica, del resto, quest’ultimo, come rammentato nella pronuncia in commento, «può senz’altro provvedere ad una valutazione preventiva del rischio conseguente all’uso indebito delle carte ed alla conseguente assicurazione del medesimo», trasferendo poi i relativi costi, in misura frazionata, sulla vasta platea dei propri clienti. Come specificato in altra sede, la ratio di tale regime è duplice, mirandosi, da un lato, a responsabilizzare l’utente di servizi di pagamento (indotto al rispetto di canoni comportamentali idonei, in teoria, ad impedire eventuali abusi degli strumenti di pagamento ad opera di terzi), dall’altro, ad obbligare gli intermediari ad adottare i presidi tecnici più evoluti e, dunque, più validi ad evitare possibili frodi (restando a carico dei prestatori di servizi di pagamento, invero, le conseguenze derivanti dalle falle nella sicurezza dei prodotti o dei servizi offerti: v. infra, par. 3)12.

Si tratta di un’elaborazione della dottrina economica, finalizzata ad individuare un efficiente criterio di allocazione delle responsabilità nei giudizi risarcitori, basato sulle capacità di prevenzione degli eventi dannosi (Calabresi, The Costs of Accidents. A Legal and Economic Analysis, 1970, New Haven and London; una ristampa in lingua italiana è stata pubblicata da Giuffré nel 2015, con il titolo Costo degli incidenti e responsabilità civile. Analisi economico-giuridica). 11 Il richiamo al principio del rischio di impresa è frequente anche nelle decisioni dell’ABF: v. ad es. Coll. Roma, 15 ottobre 2010, n. 1111; Coll. Roma, 28 gennaio 2013, n. 510; Coll. Coord., 26 ottobre 2012, n. 3498 e 24 giugno 2014, n. 3947. 12 Sul punto, mi sia consentito rinviare a Ciraolo, Le carte di debito nell’ordinamento italiano. Il servizio Bancomat, Milano, 2008, pp. 181-182. 10

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3. (Segue) L’imputazione delle responsabilità per operazioni non autorizzate, tra colpa grave del titolare dello strumento di pagamento e diligenza del bonus argentarius. Per quanto l’attuale impostazione legislativa possa apparire apprezzabile, va al tempo stesso rilevato come le norme in esame risentano di una certa ambiguità, non priva di ripercussioni anche sotto il profilo della loro applicazione pratica. In particolare, si allude al fatto che, come già osservato, il discrimine tra responsabilità del titolare dello strumento di pagamento e responsabilità dell’intermediario corre essenzialmente lungo il filo dell’accertamento della grave negligenza (o del dolo) del primo, posto che il riscontro di tale elemento comporta la responsabilità illimitata dell’utilizzatore, neutralizzando anche il massimale di 150 Euro, previsto con riferimento alle operazioni abusive di pagamento eseguite prima della citata notifica al prestatore di servizi di pagamento (dopo, infatti, l’utilizzatore risponde solo se ha agito in modo fraudolento, art. 12.1). È di tutta evidenza, dunque, che l’interprete si trova costretto ad operare, caso per caso, una valutazione delle circostanze in cui ha avuto luogo l’operazione di pagamento contestata, al fine di accertare se il comportamento del titolare dello strumento di pagamento possa ritenersi contrario a quegli standard minimi di diligenza e di prudenza nei quali si concretizza, secondo l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la nozione di colpa grave13. In altri termini, occorrerà stabilire se l’inadempimento, da parte dell’utente del servizio di pagamento, di uno o più obblighi a lui incombenti (custodia ed uso corretto dello strumento, tempestiva notifica del furto, dello smarrimento o dell’uso non autorizzato dello stesso, o, più in generale, rispetto delle prescrizioni contrattuali inerenti all’uso del medesimo) possa ritenersi giustificabile, o se appaia essere, piuttosto, il frutto di una straordinaria ed inescusabile leggerezza. La normativa (inclusa quella secondaria), invero, non specifica, né tanto meno esemplifica – operando, al più, un rinvio “in bianco” alle condizioni contrattuali -, le situazioni in cui si può effettivamente ritenere che la custodia dello strumento sia stata oltremodo negligente; non indica, se non in modo del tutto generico, quali accorgimenti debba in concreto osservare l’utilizzatore per evitare che possano essere compiute operazioni

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Sul concetto di colpa grave v., per tutte, Cass., 13 ottobre 2009, n. 21679.


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senza il suo consenso; non chiarisce in quali casi ed entro quali termini la notifica all’emittente possa considerarsi tempestiva (o, viceversa, tardiva), né quando un eventuale ritardo si possa considerare scusabile, ecc., limitandosi a fornire, sul punto, un’unica indicazione (di notevole rilevanza pratica, ma anch’essa piuttosto generica): l’uso di uno strumento di pagamento non prova necessariamente che l’operazione sia stata autorizzata dal titolare, o che questi abbia violato, con grave negligenza, gli obblighi cui era tenuto (art. 10, co. 2)14. Volgendo lo sguardo ai prestatori di servizi di pagamento, di contro, è possibile rilevare come questi non soltanto vadano incontro alla difficoltà di dimostrare l’assoluta correttezza (sotto l’aspetto tecnico e contabile) delle operazioni eseguite e l’eventuale negligenza (grave) del proprio cliente, ma debbano anche assumersi, in ogni caso, la

14 Alla luce di quanto osservato, non v’è dubbio che la prova della colpa grave dell’utilizzatore possa risultare assai difficoltosa per l’intermediario, su cui grava il relativo onere. È diffuso convincimento, nondimeno, che detta prova possa essere fornita dal prestatore di servizi di pagamento anche facendo ricorso allo strumento delle presunzioni (art. 2797 c.c.), in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti (così anche ABF, Coll. Coord., 29 novembre 2013, n. 6198; dubbioso, sul punto, Troiano, Art. 10, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., pp. 134-135, secondo il quale la normativa comunitaria non ammetterebbe la possibilità di riconoscere la responsabilità dell’utente sulla base di prove meramente presuntive). Desta interesse, al riguardo, una recente decisione dell’ABF, che, nel soffermarsi sul contenuto dell’art. 10, co. 2, d. lgs. n. 11/2010, così afferma: «Contrariamente alla chiarezza che il dato testuale sembrerebbe mostrare prima facie, nel senso di escludere automaticamente qualsiasi presunzione al riguardo, deve infatti rilevarsi che l’espressa enunciazione del dettato normativo dispone che il solo compimento dell’operazione fraudolenta non costituisca “di per sé” e “necessariamente” prova della colpa grave dell’utilizzatore. L’unica presunzione che appare vietata dalla richiamata disposizione è quella relativa dell’affermazione della colpa grave esclusivamente collegata all’utilizzo della carta; da ciò ne discende, a contrario, che sia invece ammissibile tale presunzione, laddove sussista una serie di elementi di fatto univoca e convergente, sicché possa ragionevolmente ritenersi che l’uso fraudolento sia effettivamente riconducibile sul piano causale alla condotta dell’utilizzatore. Nel caso di specie sembrano emergere elementi di grave colpa, posto che il furto è collocato in un arco di tempo di oltre un giorno (tra le 13.00 del giorno 11.11.2013 alle ore 14.00 del giorno 12.11.2013, durante la pausa pranzo); che il ricorrente sembra essersi avveduto della sottrazione con due giorni di ritardo; che il frodatore ha compiuto un solo prelievo diretto, senza altri tentativi (comportamento anomalo per le frodi). Su questa linea, il ricorrente non sembra aver custodito con diligenza né la carta, né le credenziali» (ABF, Coll. Milano, 3 novembre 2015, n. 8251). L’ambivalenza dell’analoga disposizione comunitaria (art. 59.2 PSD) era stata già evidenziata dal sottoscritto in Ciraolo, Prelievi fraudolenti e responsabilità della banca nell’erogazione del servizio Bancomat, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, n. 1, II, pp. 42-43.

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responsabilità della sicurezza e dell’affidabilità del servizio nei confronti dell’utenza, in virtù sia di quanto oggi dispone l’art. 8.1 d.lgs. n. 11/201015 che, più in generale, dei propri obblighi di diligenza professionale. A fronte di frodi perpetrate con mezzi sempre più ingegnosi e sofisticati, invero, l’intermediario è gravato dall’onere di adeguare prontamente e con costanza i presidi di sicurezza adottati (offrendo alla clientela, ad esempio, servizi di sms alert16, o utilizzando sistemi “a doppio fattore”, basati sull’uso congiunto di password identificative e codici “usa e getta” forniti da appositi dispositivi17), essendo altrimenti

15 In particolare, l’art. 8.1, lett. a), prevede che il prestatore di servizi di pagamento che emette uno strumento di pagamento ha l’obbligo di assicurare che i dispositivi personalizzati che consentono l’utilizzo del medesimo non siano accessibili a soggetti diversi dall’utilizzatore. 16 È infatti evidente che l’attivazione del servizio di sms alert rappresenta un presidio organizzativo idoneo ad evitare gli utilizzi fraudolenti successivi al primo, consentendo al titolare di bloccare immediatamente la carta, a seguito della ricezione dell’apposito messaggio. Per tale ragione l’ABF ha spesso ribadito che compete all’intermediario, in quanto operatore professionale, mettere a disposizione della propria clientela il predetto servizio (ABF, Coll. Roma, 30 settembre 2015, n. 7707 e 14 aprile 2014, n. 2338), potendo in alternativa fornirsi di una dichiarazione liberatoria del cliente che non intenda avvalersene (ABF, Coll. Roma, 15 settembre 2014, n. 5953). L’Arbitro ha ritenuto, viceversa, che la mancata attivazione dei servizi di sms alert non integri, da sola, la colpa grave dell’utilizzatore, ravvisabile, invece, allorquando quest’ultimo, pur avendo ricevuto il messaggio di allerta, non si sia affrettato ad eseguire la comunicazione necessaria ad effettuare il blocco dello strumento (ABF, Coll. Roma, 11 settembre 2015, n. 7096 e 30 novembre 2010, n. 1387). Resta il dubbio, nondimeno, che possa integrare la colpa grave il comportamento del soggetto che, pur avendo scelto di attivare il servizio, abbia omesso di controllare il proprio cellulare. Sembra escluderlo il Coll. coord., dec. 26 ottobre 2012, n. 3498, nel momento in cui rileva come «l’efficienza del servizio di sms alert dipenda da tutta una serie di variabili che in parte sfuggono al controllo dell’utente (funzionalità della linea telefonica) in parte presupporrebbero una condotta talora obiettivamente inesigibile, ossia la costante e ininterrotta sorveglianza del proprio cellulare (si pensi al solo caso in cui l’utente, per libera scelta o per necessità, abbia il telefono spento nel momento in cui perviene il messaggio e non lo riaccenda se non in un momento successivo nel quale la segnalata operazione irregolare non potrebbe comunque più essere impedita». 17 Proprio con riferimento ai sistemi di sicurezza a due fattori, considerati tra i più evoluti secondo lo stato dell’arte, il Collegio di coordinamento dell’ABF ha precisato che, ove l’intermediario abbia adottato tali sistemi, non potrà presumersi automaticamente che eventuali operazioni non autorizzate siano riconducibili ad una grave negligenza dell’utente nel custodire i codici e i dispositivi di identificazione forniti dall’intermediario, ma la condotta del cliente dovrà essere valutata in maniera più rigorosa (dec. n. 3498/2012, cit.). Per converso, l’Arbitro riconosce la responsabilità dell’intermediario sia nei casi in cui esso non abbia adottato sistemi di sicurezza in linea con i migliori

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responsabile delle operazioni di pagamento non autorizzate, eseguite da terzi approfittando di eventuali carenze tecniche del sistema18. La stessa giurisprudenza di legittimità, del resto, ha già da tempo chiarito che, anche laddove il cliente omettesse di rispettare determinati obblighi comportamentali, la banca rimarrebbe comunque tenuta ad osservare, nella fornitura dei propri servizi, la diligenza (qualificata) del bonus argentarius, da valutare tenendo conto dei rischi professionali tipici della sfera di riferimento (ciò che impone di verificare se l’intermediario abbia o meno adottato le misure più idonee a garantire la sicurezza del servizio contro eventuali abusi o manomissioni)19.

standard esistenti, che nelle ipotesi in cui detti standard siano introdotti attraverso procedure macchinose (nella specie, accesso ad un call center per la creazione di password ad hoc) e non comunicate in termini personalizzati alla clientela (ABF, Coll. Napoli, 22 luglio 2015, n. 5769). 18 In questa logica si spiega l’affermazione di responsabilità dell’intermediario per i casi di clonazione delle carte di pagamento, trattandosi di un evento che non dipende tanto dalla negligenza dei titolari degli strumenti di pagamento contraffatti (i quali, anzi, ne mantengono la disponibilità, restando all’oscuro dell’avvenuta clonazione), quanto dalla possibilità di duplicarli con maggiore o minore facilità (in dottrina, Ciraolo, Le carte di debito, cit., pp. 183-184, ove altri riferimenti bibliografici). Vero è che le carte di ultima generazione, munite di microprocessore, rendono la clonazione molto più difficoltosa e, comunque, non rapidamente ottenibile, ma, come precisato anche dall’ABF, non è sufficiente dotare la carta di microchip per escludere la responsabilità dell’intermediario, dovendo invece risultare che sono stati adottati «i più avanzati dispositivi di sicurezza messi a disposizione dell’evoluzione tecnologica», nonché «circostanze di fatto tali da escludere con sufficiente persuasività una possibile clonazione dello strumento di pagamento e da attestare una non diligente custodia dello stesso» (Coll. coord., dec. n. 3947 del 24 giugno 2014). Nient’affatto semplice, peraltro, risulta la prova dell’eventuale clonazione (che dovrebbe essere, a rigore, a carico del cliente che invoca l’evento): determinanti risultano, al riguardo, le analisi tecniche incentrate sulle sequenze numeriche memorizzate sulla banda magnetica della carta, poiché lo strumento può ritenersi clonato quando risulti l’assenza di consequenzialità tra il codice finale di un’operazione e quello iniziale della transazione successiva, in quanto ciò dimostra che le operazioni sono state effettuate fisicamente con un duplicato della carta e non mediante quella originale (cfr. ABF, Coll. Roma, 7 febbraio 2011, n. 260; ABF, Coll. Milano, 17 giugno 2011, n. 1282; in arg. v. anche ABF, Coll. Coord., 21 febbraio 2014, n. 991). La clonazione è stata considerata provata anche in presenza di operazioni eseguite all’estero contemporaneamente ad altre eseguite con la carta originale nel Paese del cliente (cfr. ABF, Coll. Milano, 24 febbraio 2011, n. 387). 19 Cass., 12 giugno 2007, n. 13777 (in Banca, borsa, tit. cred., 2009, n. 1, II, 21, con nota del sottoscritto, Prelievi fraudolenti, cit.), e, sulla stessa scia, Cass., 19 gennaio 2016, n. 806 (in Banca, borsa, tit. cred., 2016, n. 4, II, 394, con nota di Marasà, Utilizzo fraudolento di carta bancomat e diligenza professionale della banca, e in Foro it., 2016, n. 2, I, 455), che, con riferimento ad un caso di manomissione di uno sportello banco-

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Può discutersi, peraltro, se in queste ultime ipotesi la responsabilità della banca assorba e copra del tutto quella del cliente negligente, o se, di contro, possa ravvisarsi – come a chi scrive pare corretto - un concorso di colpa ex art. 1227 c.c. (ove il titolare dello strumento abbia contribuito, con il proprio comportamento gravemente colposo, al verificarsi del danno), ma resta ferma, in entrambi i casi, una responsabilità (quanto meno concorrente) dell’intermediario fornitore di servizi di pagamento20. Come risolvere, tuttavia, il caso in cui le operazioni fraudolente siano state poste in essere malgrado l’intermediario abbia adottato

mat, ha cassato la sentenza impugnata, invitando il giudice del rinvio a valutare se il comportamento della banca, in ordine al riscontrato difetto di manutenzione e custodia dell’apparecchiatura, alla condotta tenuta dal responsabile presente nella sede della medesima ed al prelievo abusivo effettuato in misura di gran lunga eccedente il plafond giornaliero, possa integrare il difetto di diligenza ex art. 1176, co. 2, c.c., anche a fronte dell’inosservanza dell’obbligo, da parte del cliente, di non favorire la lettura del PIN e di provvedere al blocco immediato della carta. 20 In quest’ottica, l’ABF ha ritenuto che, nonostante la colpa grave dell’utilizzatore nella custodia della carta bancomat, l’intermediario sia responsabile per i prelievi successivi al primo, ove non predisponga un adeguato sistema di sms alert (ABF, Coll. Roma, 21 novembre 2014, n. 7790; v. anche nt. 16), o se non impedisce prelievi oltre il plafond giornaliero previsto in contratto (ABF, Coll. Milano, 27 luglio 2015, n. 7802; ABF, Coll. Roma, 15 settembre 2014, n. 5961). Degna di nota, inoltre, è la già citata decisione del Collegio di coordinamento del 24 giugno 2014, n. 3947, la quale, pur affermando la responsabilità dell’utilizzatore di una carta bancomat per grave negligenza nella custodia dello strumento, ha accertato la responsabilità concorrente del prestatore dei servizi di pagamento, ai sensi dell’art. 1227 c.c., per non aver predisposto idonei strumenti di sicurezza (quale l’invio di sms alert a seguito dei prelievi) e, al contempo, per aver omesso di attivarsi, consentendo la realizzazione di 10 delle 12 operazioni contestate in poco meno di 24 ore. L’inerzia dell’intermediario, invero, integrerebbe violazione sia dell’art. 8, co. 1, lett. c) del d. lgs. 11/2010 (che impone al prestatore dei servizi di pagamento di «assicurare che siano sempre disponibili strumenti adeguati affinché l’utilizzatore dei servizi possa effettuare la comunicazione di cui all’art. 7, comma 1, lettera b))» che dell’art. 8 del d.m. 112/2007, in materia di prevenzione delle frodi sulle carte di pagamento, che considera sussistente il rischio di frode, tra l’altro, quando si verificano 7 o più richieste di autorizzazione nelle 24 ore per una stessa carta di pagamento. Per tali motivi, l’intermediario è stato condannato a restituire al cliente le somme relative alle operazioni successive alla settima. Conforme, ABF, Coll. Milano, dec. n. 2817 del 13 aprile 2015, secondo la quale l’intermediario è responsabile per l’uso indebito di una carta di pagamento, in concorso con il cliente di cui sia stato accertato il comportamento gravemente colposo, laddove non abbia predisposto «sistemi automatici di blocco delle operazioni da postazione remota in presenza di comportamenti decisamente non in linea con l’operatività corrente del proprio cliente».

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adeguati presidi tecnici di sicurezza e non risulti, al contempo, alcuna negligenza da parte del cliente? Orbene, in simili situazioni – ricorrenti, evidentemente, ogni qualvolta non sia possibile ricostruire con esattezza l’intera dinamica delle transazioni non autorizzate – deve ritenersi che sia onere dell’intermediario individuare l’origine dell’addebito dovuto a causa ignota e dimostrare che esso, oltre ad essere formalmente regolare (sotto il profilo procedurale, contabile e tecnico), è riconducibile ad una delle circostanze che fondano la responsabilità dell’utente ex art. 7 d.lgs. n. 11/201021. In difetto di tale prova, invero, l’intermediario incorre in una forma di responsabilità oggettiva, posto che, come rilevato in dottrina, esso deve farsi carico del “rischio da ignoto tecnologico”, immanente alla propria organizzazione imprenditoriale, senza potersi liberare fornendo la prova di un comportamento diligente, o meglio, nella fattispecie, dell’adozione degli standard di sicurezza più elevati secondo lo stato dell’evoluzione tecnologica22. Si tratta, del resto, di conclusione che trova ancora una volta scaturigine dal principio del rischio di impresa, in virtù del quale l’intermediario deve sopportare le conseguenze negative (non imputabili a terzi) dell’attività da cui trae utilità economica (potendo peraltro frazionare il relativo costo, come già precisato, sulla totalità dei propri clienti, attraverso la determinazione dei prezzi di vendita dei propri beni e servizi).

21 Per un’applicazione di tali principi v. Trib. Bari, 27 marzo 2014 (banca dati Pluris Cedam). 22 Cfr. Troiano, Art. 10, cit., p. 133, secondo il quale grava senz’altro sul fornitore il rischio della causa destinata a rimanere sconosciuta, non potendosi escludere che l’operazione contestata – benché correttamente registrata e contabilizzata – sia dovuta ad un malfunzionamento delle procedure o ad altri inconvenienti (cfr. art. 10, co. 1, d.lgs. n. 11/2010). In termini analoghi, Maffeis, Ordini di pagamento e di investimento on line nella giurisprudenza di merito e nella fonte persuasiva dinamica dell’ABF, in Riv. dir. civ., 2013, 5, p. 1276 ss., il quale ritiene che, in ipotesi di operazioni di pagamento che l’intermediario dimostri essere state regolarmente autorizzate e contabilizzate, il cliente debba provare – di regola, attraverso presunzioni – di non avere disposto l’operazione medesima, competendo a quel punto all’intermediario la prova del fatto doloso o colposo della propria controparte. In difetto, trattandosi di operazioni dovute a causa non identificabile, l’intermediario sarà ritenuto responsabile, a titolo di responsabilità oggettiva (non essendo ammesso a fornire alcuna prova contraria), a prescindere dall’adozione di misure di sicurezza evolute ed efficienti.

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4. Gli orientamenti dell’ABF in materia di responsabilità dell’utente per uso non autorizzato degli strumenti di pagamento. La molteplicità di casi in cui si verificano usi non autorizzati di strumenti di pagamento elettronici, e le difficoltà che volta per volta insorgono in sede di accertamento e ripartizione delle relative responsabilità, trovano pieno riscontro nelle numerosissime decisioni adottate dall’ABF, organismo innanzi al quale, come anticipato, in materia di servizi di pagamento (e di payment cards, per quanto qui specificamente importa) si è in pochi anni formata una casistica estremamente significativa. La già evidenziata ambiguità della disciplina di riferimento, peraltro, ha in più occasioni dato origine ad orientamenti contrastanti tra le diverse articolazioni territoriali dell’ABF, con conseguente necessità di più di un intervento chiarificatore ad opera del Collegio di coordinamento. Negli ultimi anni, nondimeno, il ruolo dell’Arbitro si è rivelato assai prezioso al fine di delineare i profili di responsabilità dell’utente e del prestatore di servizi di pagamento, sicché un esame degli indirizzi che possono ritenersi ormai consolidati appare di indubbia utilità. a) Con riferimento agli obblighi di custodia dello strumento di pagamento e di riservatezza del PIN, ad esempio, l’Arbitro ha riconosciuto la colpa grave del cliente nei soli casi in cui questi abbia agito con macroscopica negligenza, lasciando incustoditi sia la carta che il relativo codice. Di recente, pertanto, è stata affermata la responsabilità del titolare di una carta di pagamento conservata in una borsa, a sua volta lasciata in una macchina non sorvegliata e non chiusa a chiave23; viceversa, è

ABF, Coll. Milano, 4 novembre 2015, n. 8304. Per un caso analogo, concernente il furto di una borsa esposta all’interno di un locale pubblico (e successiva esecuzione di prelevamenti di denaro con uso di carta e PIN), si veda ABF, Coll. Roma, 11 settembre 2015, n. 7073. Si badi che in simili situazioni la responsabilità dell’utente viene desunta anche dalla ravvicinata distanza tra furto della carta ed utilizzo non autorizzato della medesima. Invero, la morfologia delle attuali carte (basate sulla combinazione di un microchip e del PIN) non consente la lettura del codice direttamente dalla carta se non tramite tecniche sofisticate, costose e connotate da tempi notevolmente lunghi. La vicinanza temporale tra la sottrazione della carta e l’effettuazione (senza difficoltà) di operazioni abusive induce a presumere, dunque, che i malfattori abbiano potuto reperire con grande facilità i codici segreti abbinati alla carta, ancorché nascosti o camuffati dal titolare. Va rammentato, nondimeno, che, secondo il Collegio di coordinamento (dec. n. 6168/2013, cit., e, fra le successive, ABF, Coll. Roma, 7 aprile 2014, n. 2092), la colpa grave dell’utente non può presumersi esclusivamente in base alla suddetta circostanza, la quale non consente, di per sé, di rilevare un comportamento caratterizzato da grave 23

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stata esclusa la responsabilità del cliente in un caso di furto di uno strumento di pagamento contenuto in una borsa conservata nel bagagliaio di un’automobile, unitamente al cellulare su cui era stato memorizzato il PIN24, non potendosi ritenere che, nella specie, il comportamento del titolare dello strumento fosse contrario a quel grado minimo di avvedutezza che caratterizza la colpa grave. Più complesso, invece, il caso – non infrequente nella pratica – in cui i codici di accesso ai servizi di pagamento vengano sottratti con l’inconsapevole collaborazione del titolare dello strumento di pagamento: si tratta di quelle frodi informatiche realizzate con le diverse varianti della

negligenza. In taluni casi, pertanto, l’Arbitro ha ritenuto che, malgrado l’imminenza delle operazioni non autorizzate rispetto al furto dello strumento, l’esame dei fatti concreti non lasciasse emergere quel comportamento gravemente colposo dell’utente che la legge richiede per limitare la responsabilità dell’intermediario (nella specie, il titolare di una carta risultava «vittima di una modalità di furto che il concatenarsi degli eventi, e proprio i tempi stretti, inducono a ritenere ben congegnata e caratterizzata da quella che potrebbe definirsi una “professionalità” dei malfattori, rispetto alla quale, di conseguenza, non è ragionevolmente plausibile presumere una colpa grave del soggetto che l’ha subita»: ABF, Coll. Roma, 20 luglio 2015, n. 5666). Un caso diverso, molto comune nella pratica, è quello dell’affidamento della carta di pagamento ad un familiare, ad un dipendente o ad un collaboratore, in spregio delle disposizioni contrattuali che prevedono l’uso strettamente personale dello strumento ed il divieto di cessione a terzi. Ebbene, al riguardo, l’Arbitro ha avuto modo di precisare che tale divieto non impedisce un affidamento temporaneo della carta ad un familiare, che venga delegato dal titolare a farne un uso specifico. Fuori da queste ipotesi, invece, si ravvisa una responsabilità illimitata del titolare, non potendosi ammettere che questi si disinteressi per lunghi periodi del proprio strumento di pagamento (sul punto v. Liberati Buccianti, L’affidamento ad un familiare della carta di pagamento e l’obbligo di diligente custodia, in Nuova giur. civ., 2013, n. 10, p. 849). Di recente, inoltre, l’Arbitro ha affermato che non possono escludersi situazioni, come quella di una persona invalida al 100%, nelle quali l’utilizzo dello strumento di pagamento da parte di terzi (specie se legati al titolare da rapporti di coniugio, parentela o da rapporti equiparabili) è opportuno o addirittura necessario, in quanto riconducibile a casi di forza maggiore (ABF, Coll. Roma, 2 aprile 2015, n. 2628). 24 A quest’ultimo proposito, l’Arbitro ha più volte evidenziato l’impossibilità di tenere a mente i sempre più numerosi codici di identificazione personale oggigiorno previsti per l’accesso a determinati servizi, ritenendo quindi giustificabile la memorizzazione del PIN connesso alla carta di pagamento nel telefono cellulare, sempre che vengano rispettate opportune cautele nella custodia dello strumento su cui il codice è trascritto (ABF, Coll. Coord., 6168/2013, cit.). Più di recente, è stato altresì precisato che la diffusa prassi di trascrivere il PIN nella memoria del cellulare non implica la colpa grave dell’utilizzatore solo se la trascrizione avviene con cautele idonee ad impedirne la visualizzazione a chiunque venga in possesso del telefono (ABF, Coll. Roma, 1 agosto 2014, n. 5028).

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famigerata tecnica del phishing25. Con riferimento a tali ipotesi, invero, l’ABF ha stabilito che il cliente risponde solo ove il raggiro sia stato attuato con modalità del tutto evidenti (ad es., invio di una semplice e-mail non collegata all’utilizzo del sito dell’intermediario, con invito a digitare dati personali del cliente26, ovvero recapito di e-mail sgrammaticate e dal contenuto palesemente fasullo27), mentre nelle situazioni più complesse (ossia laddove la frode sia compiuta con tecnologie e mezzi più sofisticati, come ad es. nel caso del cd. man in the browser28), la responsabilità resta a carico del prestatore del servizio di pagamento. Anche in questi casi, pertanto, si tratta di valutare le concrete modalità con cui il raggiro del cliente è stato realizzato, al fine di stabilire se la con-

Com’è noto, il phishing consiste, in sintesi, nell’invio di e-mail apparentemente provenienti da una banca, o dall’emittente la carta, con le quali si sollecita l’utente a comunicare propri dati e credenziali riservati (PIN, password, user ID), che il truffatore carpisce ed utilizza per porre in essere operazioni di pagamento fraudolente. In dottrina v., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, Salomoni, Responsabilità, cit., p. 142. 26 Si veda, ad es., ABF, Coll. Milano, dec. n. 5701 del 20 luglio 2015. Analogamente, in giurisprudenza, Trib. Prato, sent. 19 marzo 2014, n. 335 (banca dati DeJure), che, con riferimento ad un’ipotesi di operazioni abusivamente effettuate su un conto corrente on line per un valore di oltre 21.000 euro, ha ritenuto altamente negligente ed imprudente – e dunque causa diretta degli addebiti illegittimi dei quali si chiedeva il rimborso – il comportamento di un soggetto che aveva «comunicato senza alcuna sicurezza i dati di accesso al proprio conto on line rispondendo ad una e-mail pervenuta al suo indirizzo di posta elettronica senza aver preventivamente verificato, secondo l’ordinaria diligenza, la provenienza della stessa». 27 ABF, Coll. Napoli, dec. n. 3968 del 24 giugno 2014. 28 Si tratta di una tecnica consistente nella diffusione di virus informatici (c.d. trojan o malware) nel sistema informatico del soggetto truffato, in grado di acquisire le credenziali di accesso ai servizi on line e di trasmetterle al truffatore. Se il phishing non esclude una responsabilità del titolare (che ben potrebbe, con l’uso di un minimo di diligenza, evitare il raggiro, anche in ragione dell’ormai diffusa conoscenza del fenomeno), la tecnica del man in the browser è ben più pericolosa, giacché potenzialmente idonea a trarre in inganno anche soggetti normalmente avveduti (ABF, Coll. Coord., dec. n. 3498 del 26 ottobre 2012). I Collegi, pertanto, in diverse decisioni hanno precisato che l’intermediario è responsabile – in via esclusiva o in concorso con il cliente – laddove non abbia adottato dispositivi in grado di ostacolare la pirateria informatica e di offrire un’adeguata protezione nell’uso della rete. Il tema si ricollega, peraltro, alla questione dell’esigibilità, da parte dell’utente, di un costante aggiornamento dei propri software antivirus, quale ordinaria cautela volta a proteggere il proprio sistema operativo da pericolosi attacchi esterni (sulla necessità che il cliente garantisca in ogni momento la messa in sicurezza del computer adoperato per le operazioni di home banking, ABF, Coll. Milano, dec. n. 3815 del 18 giugno 2014. In dottrina, sul punto, Troiano, Pironti, Art. 8, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., pp.122-123). 25

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dotta fraudolenta possedesse o meno l’attitudine a trarre in inganno una persona minimamente avveduta, ovvero se, in altri termini, l’uso di un grado elementare di prudenza e diligenza sarebbe valso ad evitare il danno; b) con riferimento agli obblighi di denuncia gravanti sull’utilizzatore, invece, l’ABF ha più volte messo in evidenza come questi sia tenuto a comunicare con sollecitudine (“senza indugio”) al prestatore di servizi di pagamento il furto, lo smarrimento o l’uso non autorizzato dello strumento, ovvero a richiederne il blocco (ad es., in seguito alla ricezione di un sms di allerta). Il problema, come dapprima accennato, riguarda tuttavia la sussistenza della pretesa tempestività nella denuncia (o nel blocco della carta), posto che non sempre il titolare dello strumento di pagamento si accorge della sottrazione o dello smarrimento del medesimo, o ha repentina contezza dell’avvenuta esecuzione di operazioni fraudolente, con la conseguenza che ritarda, anche di parecchi giorni, gli adempimenti obbligatori a proprio carico29. Ora, se è vero che non si può pretendere che l’utilizzatore abbia in qualsiasi momento il controllo del proprio strumento di pagamento (non potendosi esigere che questi eserciti una continua ed incessante vigilanza sullo stesso), o che debba avere conoscenza pressoché immediata dell’uso illecito del medesimo (si pensi alle ipotesi di spendita di carte clonate, che avvengono a totale insaputa del titolare), è pur vero che il possesso di mezzi di pagamento intrinsecamente esposti a rischi di frode e di utilizzi non autorizzati dovrebbe comunque imporre al titolare “un monitoraggio dei conti destinati a recepire le operazioni effettuate a loro mezzo, onde appunto verificarne il corretto impiego”; comportamento che appare essere, invero, una proiezione degli obblighi di diligente custodia dello strumento gravanti sull’utilizzatore30.

29 Come già ricordato, ad es., l’ABF ha ritenuto responsabile un soggetto che si era avveduto del furto della propria carta di pagamento con (appena) due giorni di ritardo. Considerato inoltre che il ladro aveva compiuto un solo prelievo diretto, senza altri tentativi andati falliti (comportamento anomalo per le frodi), è stata riconosciuta la colpa grave dell’utilizzatore per non aver custodito con diligenza né la carta, né le relative credenziali (ABF, Coll. Milano, 3 novembre 2015, n. 8251). In giurisprudenza, v. invece Trib. Palermo, 22 ottobre 2014 (in banca dati DeJure), che, ritenendo la colpa grave del titolare di una carta di credito rubata per avere effettuato la comunicazione del furto alla banca emittente ben 17 giorni dopo avere presentato la denuncia/querela, lo ha condannato a rifondere alla stessa emittente quanto da quest’ultima pagato agli esercenti convenzionati, in ragione delle operazioni abusivamente compiute nel periodo compreso tra il furto e la comunicazione dello stesso. 30 In questi termini, ABF, Coll. Roma, 5 luglio 2012, n. 2301 e, analogamente, ABF,

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Anche qui, dunque, la mancanza di una regola sufficientemente dettagliata impone di valutare le specifiche circostanze dell’omessa o tardiva denuncia, per stabilire se il titolare dello strumento abbia contravvenuto a quei doveri minimi di diligenza ed accortezza che chiunque dovrebbe osservare. Ed ancora una volta si tratta di contemperare gli obblighi di diligenza e correttezza comportamentale posti a carico del titolare con quelli gravanti sull’intermediario, che, ribadiamo, è ritenuto comunque responsabile, ove non appronti strumenti idonei a consentire la denuncia o il blocco dello strumento, o se non propone alla clientela dispositivi di sicurezza in linea con la più evoluta tecnologia31.

5. La sentenza del Tribunale di Firenze del 19 gennaio 2016: a) la valutazione della diligenza del titolare della carta; b) la legittimazione passiva dell’emittente la carta e della banca presso la quale il titolare ha il conto; c) la responsabilità della banca per violazione dei propri obblighi di diligenza professionale; d) la franchigia a carico del titolare della carta. Nel contesto sopra descritto si colloca la sentenza del Tribunale di Firenze qui annotata, che, come sopra accennato, decide una controversia relativa alla spendita non autorizzata di una carta di credito affiliata ad un noto circuito, facendo applicazione dei principi sopra menzionati. Ed invero, dopo avere inquadrato la questione nell’alveo del d.lgs. n.

Coll. Napoli, 9 agosto 2012, n. 2748. Entrambe le decisioni sono riferite a casi di omessa verifica dei conti da parte del cliente protrattasi per periodi piuttosto lunghi (6-8 mesi), presupponendosi che detta verifica non debba essere continua (ciò che non potrebbe invero pretendersi), ma effettuata quanto meno secondo criteri minimi di diligenza (ad es., in occasione dell’invio degli estratti conto periodici). Che il titolare di una carta non sia tenuto ad un controllo continuativo o periodico delle risultanze del suo conto, è affermato, in termini generici, da ABF, Coll. Roma, 27 marzo 2015, n. 2371. 31 In quest’ottica, ad es., l’Arbitro ha considerato irrilevante, ai fini della valutazione della condotta del titolare, il ritardo nella comunicazione del furto della carta e nel blocco, ritenendolo privo, nella fattispecie concreta (utilizzo abusivo dello strumento concretizzatosi in un unico prelevamento), di incidenza causale sulla perdita economica determinatasi. Di contro, dato che il prelievo abusivo risultava superiore al limite giornaliero a disposizione del cliente, e che la previsione di un plafond rappresenta un presidio di sicurezza volto a limitare il rischio di utilizzi fraudolenti oltre un certo importo massimo, l’intermediario è stato condannato a rifondere al cliente l’intera somma fraudolentemente prelevata dal suo conto (ABF, Coll. Roma, 5 dicembre 2014, n. 8155).

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11/2010 ed identificato le norme nella specie rilevanti (artt. 7 e 12, in punto di doveri e responsabilità dell’utilizzatore; art. 10, in punto di ripartizione dell’onere della prova), il giudice fiorentino si esprime in senso favorevole al titolare della carta, accogliendo la domanda di rimborso da questi proposta in via subordinata32. La pronuncia appare interessante sotto diversi profili, che qui di seguito si proverà ad evidenziare. a) Un primo punto su cui soffermarsi concerne la valutazione della (presunta) negligenza del titolare della carta, per non avere prontamente denunciato la perdita di possesso dello strumento di pagamento. A tal proposito, invero, il Tribunale non soltanto rileva che l’intempestività della denuncia non potesse essere desunta dalla circostanza che l’ultimo utilizzo della carta ad opera del titolare risalisse al giugno del 2011 (collocandosi le operazioni non autorizzate a fine agosto dello stesso anno), ma esclude altresì la configurabilità di una colpa grave di quest’ultimo, per essersi reso conto dello smarrimento della carta (ed aver proceduto alla denuncia del fatto) dopo ben otto giorni dalla data del presunto furto (anch’essa situata dal Tribunale, come si dirà a breve, a fine agosto 2011). Entrambe le affermazioni appaiono condivisibili. La prima circostanza, infatti, non prova affatto che la carta fosse stata smarrita in prossimità dell’ultimo utilizzo non contestato, ma solo che di essa veniva fatto un uso occasionale e sporadico. Come rilevato nella motivazione, del resto, è dato di comune esperienza che l’uso illecito di uno strumento smarrito o sottratto avvenga, semmai, immediatamente dopo il conseguimento del possesso dello stesso da parte del malintenzionato (evento che, difatti, può ragionevolmente presumersi avvenuto nello stesso giorno del primo utilizzo non autorizzato), onde prevenire gli effetti del blocco dello strumento medesimo. La seconda circostanza, invece, non implica ipso facto che il titolare abbia omesso di custodire la carta con la dovuta diligenza, o che abbia agito con colpa grave, poiché, come correttamente rilevato nella pronuncia in esame, nessuna norma impone la verifica periodica e ravvicinata della disponibilità della carta da parte del titolare (sicché il

32 Si rammenta, in proposito, che il Tribunale ha rigettato la domanda principale di integrale risarcimento del danno per grave inadempimento contrattuale dell’ente emittente e della banca presso cui era acceso il conto addebitato (v. supra, par. 2), ritenendo sussistente un concorso di colpa del soggetto danneggiato (art. 1227 c.c.): lo smarrimento stesso della carta, infatti, denoterebbe la violazione da parte del titolare degli obblighi di custodia assunti contrattualmente.

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fatto che questi si sia accorto dello smarrimento a distanza di otto giorni non può essere ascritto ad una grave negligenza nella custodia dello strumento33)34. Il Tribunale, in sostanza, adotta un criterio di valutazione degli obblighi del titolare dello strumento che appare connotato da un’apprezzabile elasticità, in ciò distanziandosi, peraltro, dal maggior rigore mostrato, sul punto, in diverse sedi giudicanti35. Come in altra occasione osservato, del resto, l’obbligo di custodire con cura lo strumento di pagamento (cui si ricollega, sul piano logico, anche quello di provvedere ad una tempestiva comunicazione della perdita di possesso del medesimo, posto che tale evento dovrebbe essere prontamente percepito da chi assume di avere conservato con attenzione i propri strumenti di pagamento) non significa che possa esigersi dal titolare l’esercizio di una costante ed ininterrotta vigilanza sulla permanenza del documento nella propria sfera personale (come sembra emergere, per converso, da alcune risalenti pronunce giurisprudenziali36), dovendosi pur tenere in conto che le carte di pagamento non sono necessariamente destinate ad un impiego continuativo e quotidiano e che, allo stesso tempo, un ritardo nella denuncia del furto o dello smarrimento potrebbe essere, a seconda delle circostanze, validamente motivato37.

Si badi, peraltro, che l’obbligo di comunicare senza ritardo la perdita o il furto dello strumento di pagamento decorre da quando l’utilizzatore abbia avuto conoscenza di tali accadimenti (art. 7, co. 1, lett. b), d.lgs. n. 11/2010). A ben vedere, dunque, nel caso specifico la colpa grave dell’utilizzatore non consisterebbe nell’avere consapevolmente omesso/ritardato la denuncia, ma nell’aver colpevolmente ignorato (a causa di una custodia dello strumento poco accorta), per un periodo relativamente lungo, la perdita di possesso della propria carta di credito. In dottrina, propende per un’interpretazione ampia dell’art. 7 cit., che tenga cioè in considerazione anche la conoscibilità del furto o dello smarrimento dello strumento di pagamento, Pironti, Art. 7, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., p. 116, secondo il quale tale lettura sarebbe in linea con la volontà legislativa di conformare la condotta dell’utente ai canoni generali della diligenza. 34 Il Tribunale nega, peraltro, che possa avere rilevanza l’omissione, in sede di denuncia penale presentata dall’attore, di indicazioni circostanziate relative a data e luogo dello smarrimento/sottrazione della carta. È logico, infatti, che in caso di sottrazione occulta, ovvero di smarrimento dello strumento di pagamento, il titolare possa non essere capace di ricostruire con precisione il momento della perdita del possesso. 35 V., ad es., nt. 29 e, infra, nt. 36. 36 App. Milano, 16 novembre 1993, in Contr., 1994, n. 2, p. 160. In dottrina, Tencati, Il pagamento attraverso assegni e carte di credito, Padova, 2006, pp. 939-940. 37 A tal proposito, mi permetto di rinviare ancora a Ciraolo, Le carte di debito, cit., pp. 191-193. 33

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Pure in questo caso, dunque, si tratta di evitare automatiche attribuzioni di responsabilità in capo all’utente, fondate su un ricorso eccessivamente disinvolto allo strumento delle presunzioni: così come va riconosciuto, in altri termini, che l’uso dello strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento non equivale di per sé a colpa grave del titolare, allo stesso modo devono essere valutate le specifiche circostanze in cui si è verificato l’impiego fraudolento, onde poter stabilire se il titolare abbia o meno violato, con inescusabile superficialità, i doveri (sia di custodia che di tempestiva denuncia) inerenti al rilascio del singolo strumento di pagamento; b) altro aspetto meritevole di attenzione è quello della legittimazione passiva rispetto alla domanda di rimborso, avanzata dall’attore sia nei confronti dell’ente emittente la carta di credito, che della banca depositaria del conto su cui venivano addebitati i pagamenti a mezzo carta (ritenuti entrambi responsabili e condannati in solido a restituire al titolare della carta le somme sottrattegli mediante l’uso non autorizzato dello strumento di pagamento). Il punto rileva, a nostro avviso, per un duplice ordine di motivi. In primo luogo, infatti, occorre precisare che la normativa sui servizi di pagamento, ai cui principi il giudicante fa espresso richiamo, è essenzialmente focalizzata sulla definizione dei rapporti fra le parti di ogni operazione di pagamento (il debitore-pagatore, da un lato, il creditorebeneficiario, dall’altro) ed i rispettivi prestatori di servizi di pagamento, posto che interesse primario del legislatore è, appunto, la disciplina di tali servizi e non anche il rapporto di valuta intercorrente tra creditore e debitore nell’operazione di pagamento (rapporto rispetto al quale la normativa si mantiene, volutamente, in posizione di sostanziale neutralità38). Proprio in quest’ottica, d’altronde, il d.lgs. n. 11/2010 si preoccupa di tracciare anche il confine tra la responsabilità dell’utilizzatore dello strumento di pagamento ed il proprio prestatore di servizi di pagamento, secondo gli schemi in precedenza illustrati (v. par. 2). Con riferimento a quel peculiare mezzo di pagamento che è la carta di credito, tuttavia, si pone il problema di individuare il soggetto che riveste il ruolo di prestatore di servizi di pagamento dell’utilizzatore,

38 Sul punto, tuttavia, riconosce alle disposizioni comunitarie una “portata regolatoria indiretta” Sciarrone Alibrandi, L’adempimento dell’obbligazione pecuniaria tra diritto vivente e portata regolatoria indiretta della Payment Services Directive 2007/64/CE, in Banca d’Italia, Quaderni di ricerca giuridica, Roma, 2008, n. 63, p. 59 ss.

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assumendosi le relative responsabilità, anche in ordine ad eventuali operazioni non autorizzate. Conviene ricordare, al riguardo, che a differenza delle carte di debito (laddove l’emittente è la stessa banca presso la quale il titolare dello strumento intrattiene il conto su cui vengono annotate le operazioni di pagamento), i circuiti delle carte di credito possiedono caratteristiche tecniche più complesse (e, peraltro, tra loro diversificate), ben potendo accadere che il soggetto emittente (issuer) non coincida con la banca che cura il collocamento delle carte e gestisce il conto corrente su cui vengono eseguiti gli addebiti39. In tale evenienza – ri-

Si suole distinguere, in particolare, tra card schemes a quattro parti (detti anche “sistemi cooperativi”) e a tre parti (o “sistemi proprietari”). Nel primo modello, in Europa maggiormente diffuso (ne sono esempi i circuiti Visa Europe e Master Card), «the issuer has a contractual relationship with the cardholder and the acquirer has a contractual relationship with the card payment acceptor», mentre nel modello a tre parti (quali, ad es., American Express e Diners Club), un medesimo soggetto (la cd. “governance authority”) agisce «as issuer and acquirer and has a direct contractual relationship with both the cardholder and the card payment acceptor». Quest’ultimo schema conosce tuttavia una variante, in base alla quale anche altri prestatori di servizi di pagamento possono ottenere una licenza di issuing e/o acquiring (BCE, Card Payments in Europe – A Renewed Focus for SEPA on Cards, April 2014, pp. 18-19). In definitiva, dunque, i sistemi a tre parti differiscono da quelli a quattro parti in quanto i primi prevedono l’intervento di soli tre soggetti (il pagatore/titolare della carta, il beneficiario/commerciante e il sistema), laddove nei secondi sono presenti il pagatore/titolare della carta, il prestatore di servizi di pagamento emittente (o prestatore pagatore), il beneficiario/commerciante e il suo prestatore di servizi di pagamento (prestatore acquirer o prestatore beneficiario), ed il sistema si limita essenzialmente a fornire l’infrastruttura e a rilasciare le licenze che consentono ai suoi membri di operare sui due versanti (issuing e acquiring) del mercato. È chiaro, peraltro, che quando un sistema a tre parti autorizza più prestatori ad emettere carte e ad accreditare operazioni, si avvicina notevolmente ad un sistema a quattro parti (non contemplando più la presenza di un unico operatore nella duplice veste di issuer e di acquirer) (v. Commissione Europea, Libro Verde, Verso un mercato europeo integrato dei pagamenti tramite carte, internet e telefono mobile, 11 gennaio 2012, COM (2011) 941 def., all. 2, pp. 27-8). In letteratura, per una descrizione del funzionamento dei circuiti delle carte di pagamento, Trifilidis, Carte di pagamento e tutela della concorrenza. Funzione ed effetti della “commissione interbancaria multilaterale – MIF”, in Mercato, concorrenza, regole, 2004, n. 3, pp. 561-564. Per completezza, rammentiamo altresì che la PSD 2 (sulla quale ci soffermeremo nel prosieguo) consente ai prestatori di servizi di pagamento di emettere strumenti di pagamento card-based anche se non gestiscono il conto dell’utilizzatore. Tale possibilità – già ampiamente sfruttata, come sopra illustrato, nel settore delle carte di credito – dovrebbe estendersi, in futuro, anche al mercato delle carte di debito, poiché la nuova normativa europea elimina l’ostacolo sinora rappresentato dall’inaccessibilità, per l’ente che intenda emettere carte di debito senza gestire i conti dell’utilizzatore, alle informazioni relative ai conti detenuti dal proprio cliente presso altri intermediari. L’art. 65 PSD 2, infatti, 39

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corrente proprio nel caso esaminato dal Tribunale di Firenze – occorre dunque determinare se il prestatore di servizi di pagamento del pagatore si identifichi con l’ente che emette lo strumento, con l’intermediario che lo distribuisce (e che gestisce il relativo conto), o con entrambi. Le previsioni normative sul punto non appaiono, invero, del tutto univoche: se, infatti, nel delineare gli obblighi a carico dei prestatori di servizi di pagamento in relazione agli strumenti di pagamento, l’art. 8 del d.lgs. n. 11/2010 si riferisce espressamente al soggetto emittente, altre disposizioni sembrano invece avere riguardo all’ente che gestisce il conto su cui vengono registrate le operazioni di pagamento (si pensi, ad es., all’art. 25, comma 6, in tema di mancata o inesatta esecuzione di un’operazione di pagamento)40. Nell’ipotesi di uso non autorizzato di uno strumento di pagamento, tuttavia, il regime dell’allocazione delle responsabilità sembra sostanzialmente strutturato attorno alle sole figure del titolare dello strumento e dell’emittente41, ed è forse questa la ragione per la quale la sentenza in commento, muovendosi lungo il solco della disciplina dei servizi di pagamento (della quale si sforza altresì di ricostruire la ratio), riconosce in primis la responsabilità dell’ente emittente (quale prestatore di servizi di pagamento del soggetto pagatore), fondando invece quella della banca sulla violazione dei propri obblighi di diligenza professionale qualificata42.

dispone che, al ricorrere di certe condizioni, l’emittente strumenti di pagamento basati su carta ottenga dal prestatore di servizi di pagamento di radicamento del conto del pagatore immediata conferma (sotto forma di semplice risposta affermativa o negativa) circa la disponibilità, sul conto di quest’ultimo, dell’importo richiesto per l’esecuzione di un’operazione di pagamento basata su carta. 40 Non a caso, con specifico riferimento alle carte di credito, la dottrina ha ritenuto opportuno, quanto meno al fine di valutare l’esatto adempimento del prestatore di servizi di pagamento del pagatore, considerare come tale (oltre all’emittente) anche la banca tenutaria del conto corrente addebitato (Sciarrone Alibrandi, Dellarosa, Art. 25, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., p. 266). 41 Cfr., in particolare, gli artt. 10 (in punto di prova dell’autenticazione, della corretta registrazione e contabilizzazione dell’operazione di pagamento, nonché dell’assenza di malfunzionamento delle procedure o di altri inconvenienti) e 12 (ove, tra gli obblighi del prestatore di servizi di pagamento, viene richiamato quello posto a carico dell’emittente dall’art. 8, co.1, lett. c)). 42 È pur vero, tuttavia, che una responsabilità della banca (sotto forma di rimborso delle somme sottratte al proprio cliente) si sarebbe potuta ravvisare, a ben vedere, anche ai sensi del d.lgs. n. 11/2010. Le operazioni di pagamento con carta di credito che prevedano l’addebito su un conto, invero, possono scomporsi in due segmenti, corrispondenti a distinti servizi di pagamento: l’emissione (e la gestione degli utilizzi) della carta, da un

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Coerentemente con tale impostazione, alla condanna in solido delle società convenute nei confronti dell’utilizzatore fa seguito l’accoglimento della domanda di manleva proposta dalla banca nei confronti dell’emittente, obbligato a rifondere alla prima quanto dalla stessa versato all’attore in esecuzione della sentenza. In linea con la lettura del dato normativo che si è dianzi proposta, trova quindi conferma l’affermazione secondo cui, in caso di utilizzo abusivo di uno strumento di pagamento basato su carta, principale responsabile è comunque l’ente emittente, in quanto soggetto che «trae, sostanzialmente in via esclusiva, i vantaggi economici legati alla gestione della carta» e sul quale gravano, pertanto, sia gli obblighi di efficienza e sicurezza del servizio previsti dalla legge che i rischi relativi al compimento di operazioni non autorizzate (con le eccezioni illustrate al par. 2); c) fatto salvo quanto sopra, altrettanto interessante appare il riconoscimento di una responsabilità della banca ove era stato acceso il conto carta, per via di un’asserita violazione degli obblighi alla stessa imposti dal proprio status di operatore professionale. Senza addentrarci nelle pieghe di un tema così vasto quale quello della responsabilità civile della banca43, giova ricordare ancora una volta che, per consolidata opinione dottrinaria e giurisprudenziale, quest’ultima, nello svolgimento di ogni tipo di atto o operazione, è tenuta ad adempiere tutte le obbligazioni assunte nei con-

lato, ed un trasferimento di fondi (in favore dell’emittente) tramite addebito diretto su conto di pagamento, dall’altro. Come chiarito dalla stessa Autorità di vigilanza, pertanto, mentre il disconoscimento di operazioni di pagamento a mezzo carta andrebbe sottoposto all’emittente, le opposizioni all’operazione di addebito andrebbero indirizzate al prestatore di servizi di pagamento che gestisce il conto, nel rispetto dei requisiti fissati dagli artt. 13 e 14 d.lgs. n. 11/2010 (Banca d’Italia, Attuazione del Titolo II del Decreto legislativo n. 11 del 27 gennaio 2010 relativo ai servizi di pagamento (Diritti ed obblighi delle parti), cit., Sez. II, par. 2.1.2). Ebbene, avendo specifico riguardo alla fase di addebito diretto del conto, conseguente alla spendita (abusiva) della carta, si può affermare che nella fattispecie sussistessero tutti i presupposti indicati dall’art. 13 cit. ai fini di un rimborso del pagatore ad opera del suo prestatore di servizi di pagamento (la banca): si trattava, invero, di un’operazione di pagamento già eseguita, disposta su iniziativa o per tramite del beneficiario (l’emittente), rispetto alla quale: a) l’autorizzazione data dal pagatore non specificava, al momento del rilascio, l’importo dell’operazione medesima (posto che il titolare della carta di credito autorizza preventivamente gli addebiti mensili, ignorandone l’esatto ammontare) e b) l’importo dell’operazione superava quello che il pagatore avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi, tenendo presente il suo precedente modello di spesa, le condizioni del suo contratto quadro e le circostanze del caso. 43 In argomento, di recente, Gaggero, Responsabilità civile della banca (I agg.), in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, 2016, ove copiosi riferimenti bibliografici.

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fronti dei clienti con la diligenza particolarmente qualificata dell’accorto banchiere, figura che assurge a parametro di valutazione della condotta dell’intermediario44. La diligenza posta a carico dell’operatore bancario, invero, non è quella comune del buon padre di famiglia, ma quella “professionale”, e va dunque valutata in relazione alla natura della specifica attività esercitata, secondo il disposto dell’art. 1176, co. 2, c.c. Sulla scorta di tale principio, nel caso di specie è stata ravvisata la violazione degli obblighi professionali facenti carico alla banca, in ragione del mancato rilevamento, da parte di quest’ultima, della palese anomalia delle operazioni di pagamento contestate dal correntista. In virtù delle proprie elevate competenze tecniche, infatti, la banca avrebbe dovuto accorgersi che dette operazioni divergevano, per entità e frequenza, dal consueto uso della carta da parte del titolare (trattavasi, invero, di transazioni per circa 30.000 euro, poste in essere nell’arco di pochissimi giorni e tali da comportare il raggiungimento del plafond a disposizione del cliente, avvezzo peraltro ad un utilizzo sporadico e ben più misurato della carta…), e dunque «effettuare opportune verifiche, contattando direttamente il titolare». Il Tribunale, pertanto, pare affermare – in contrasto, peraltro, con alcuni precedenti giurisprudenziali45 – che tra gli obblighi non codificati degli intermediari bancari, espressione del più generale dovere di diligenza nell’espletamento di ogni incarico, sussista anche quello di monitorare con scrupolosità le movimentazioni dei conti dei propri clienti, (anche) in relazione all’uso degli strumenti di pagamento ad essi collegati, al fine di riscontrare eventuali operazioni sospette e avvisare il titolare. Si badi, peraltro, che, nella specie, la responsabilità della banca – basata sulla generica asserzione di una “violazione dei doveri ad essa facenti carico” – sembrerebbe articolarsi, tra le righe della succinta motivazione, sotto un duplice profilo: in primis, per la mancata rilevazione dell’anomalia delle operazioni a mezzo carta e per l’omessa informazione del titolare, di cui già si è detto; in secundis, e di conseguenza,

V. supra, nt. 19. Con specifico riferimento al servizio di home banking, ad es., Trib. Verona, 2 ottobre 2012, in Resp. civ. prev., 2013, n. 4, 1284, con nota di Frau, Home banking, cit., esclude che la banca abbia un obbligo (normativo o contrattuale) di costante monitoraggio sui movimenti dei conti intestati ai propri clienti, finalizzato ad avvedersi della loro entità e frequenza. Sarebbe del resto impossibile, per l’intermediario, operare una selezione tra la miriade di flussi di dati elettronici che ad esso affluiscono giornalmente, peraltro anche al di fuori dei normali orari d’ufficio. 44 45

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per aver dato ugualmente corso, malgrado le circostanze, agli addebiti poi contestati dal proprio cliente (in tal senso erano state formulate le domande dell’attore). Sul punto, tuttavia, la sentenza soffre di un’eccessiva stringatezza, che non soltanto rende scarsamente intelligibile il percorso argomentativo seguito dal giudicante, ma lascia in ombra anche l’individuazione del fondamento giuridico della condanna dell’intermediario, finendo col riposare su una motivazione in verità alquanto vaga. E anche se, a ben vedere, la responsabilità della banca sembrerebbe riconducibile più all’omesso riscontro delle anomalie sopra indicate, che non all’avvenuta esecuzione degli addebiti46, si avverte comunque la mancanza di una più accurata ricostruzione, sotto il profilo normativo, degli obblighi gravanti sull’ente creditizio, atta a conferire maggiore solidità alle statuizioni del giudicante. Ora, a tal riguardo, a noi sembra che se, per un verso, alla banca possa rimproverarsi di non aver posto in essere, in quanto operatore professionale tenuto al massimo grado di diligenza, uno sforzo organizzativo adeguato ad assicurare un corretto adempimento delle proprie obbligazioni, nonché a prevenire ogni danno ai propri clienti (nella specie, mediante predisposizione di adeguate misure tecniche di rilevazione ed intervento, a fronte di circostanze anomale relative all’uso della carta di credito del proprio correntista)47, per altro verso, la responsabilità della

46 Sotto il profilo eziologico, tuttavia, non viene espressamente chiarito in che modo la semplice omessa informazione al correntista possa avere causato, di per sé, diretto o indiretto pregiudizio al medesimo, potendosi solo supporre che alla banca venga contestato di aver impedito al proprio cliente, non tempestivamente avvisato, di bloccare l’esecuzione degli addebiti irregolari, o di adottare altre opportune cautele. 47 Sull’obbligo della banca, discendente dai principi generali di cui agli artt. 1856 e 1710 c.c. e dalle Istruzioni di vigilanza emanate dalla Banca d’Italia, di adottare modelli organizzativi adeguati alla tipologia di operazioni poste in essere, conformi alle best practices del settore e volti a prevenire eventi pregiudizievoli a danno della clientela, o inadempimenti in genere, v. Scano, Operazioni in conto corrente e obblighi di monitoraggio della banca, in Giur. comm., 2011, n. 3, p. II, p. 608 (ove ulteriori richiami bibliografici). In proposito, peraltro, vale la pena di ricordare che con il 16° aggiornamento del 17 maggio 2016 alle Disposizioni di vigilanza, la Banca d’Italia ha disposto che le banche che prestano alla propria clientela servizi di pagamento tramite canale internet si attengano agli “Orientamenti finali sulla sicurezza dei pagamenti via internet” emanati a fine 2014 dall’ABE, rimettendo poi alla valutazione di ogni intermediario la scelta se conformarsi anche agli esempi di Migliori Prassi di cui all’Allegato 1 dei citati Orientamenti (per maggiori dettagli v. Banca d’Italia, “Recepimento in Italia degli orientamenti dell’ABE in materia di sicurezza dei pagamenti tramite canale internet”, Resoconto della consultazione, 23 maggio 2016, disponibile su www.bancaditalia.it).

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banca troverebbe ulteriore ed ancor più compiuta giustificazione sotto il diverso (ma contiguo) profilo della violazione, da parte dell’intermediario, del dovere di protezione della controparte contrattuale (ovvero dei generali doveri di correttezza e buona fede in executivis). Più precisamente, è comune opinione che dall’insieme di norme in materia di mandato (artt. 1710, co. 2, 1712, co. 1, 1713, co. 1, 1718, co. 3, e 1732, co. 3) discenda, quale manifestazione del principio di esecuzione del contratto secondo buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), un obbligo generale del mandatario di comunicare al mandante ogni circostanza rilevante ai fini dello svolgimento del rapporto, anche se precedente al conferimento del mandato, ma che si suppone ignorata dal mandante. Da tali principi si desume altresì che la banca mandataria debba astenersi dal compimento dell’atto gestorio qualora ravvisi, secondo la diligenza richiesta, l’esistenza di un potenziale danno per il mandante (e questi non sia stato preventivamente avvertito)48. Del pari, anche la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, pur non potendosi pretendere che l’istituto di credito si trasformi nel controllore esterno della regolarità delle operazioni disposte da un proprio cliente sul suo conto, rientra nel dovere di esecuzione del contratto di conto corrente (mandato) secondo correttezza e buona fede il rifiuto di operazioni ictu oculi anomale, tali da compromettere palesemente l’interesse del correntista49. In quest’ottica, dunque, si può affermare che, una volta ricevuto l’estratto conto da parte dell’emittente, la banca, quale operatore professionale, non avrebbe dovuto procedere passivamente ad effettuare gli addebiti, ma avrebbe dovuto, semmai, rendersi conto delle anomalie verificatesi nell’utilizzo della carta ed informarne con sollecitudine il cliente, ovvero rifiutarsi, fino a contraria disposizione del correntista, di

Su tali aspetti v. ancora Scano, Operazioni, cit., p. 609, il quale ritiene, tuttavia, che gli obblighi di astensione e di informazione a carico della banca andrebbero ricollegati al dovere di diligenza del mandatario, anziché al più attenuato dovere di comportarsi seconda buona fede. 49 Cass., 31 marzo 2010, n. 7956, in Giur. comm., 2011, n. 3, p. II, 601, con nota di Scano, Operazioni, cit. (nel merito, v. anche Trib. Nocera Inf., 13 febbraio 2013, n. 432, reperibile sulla banca dati DeJure). La S.C. ha specificato, peraltro, che in tali circostanze il dovere di protezione dell’altro contraente, inerente all’obbligo di esecuzione del contratto secondo buona fede, dovrebbe indurre la banca, prima di dare corso ad operazioni del tutto anomale (nella specie, si trattava di un’operazione che appariva immediatamente come un’artificiosa messa in scena, finalizzata a commettere un illecito), ad informarne quanto meno il proprio cliente. 48

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dare corso agli addebiti da quest’ultimo pre-autorizzati, essendo tenuta, in forza dei principi sopra richiamati (per come declinati nell’ambito del contratto di conto corrente/mandato), ad assumere le iniziative più idonee ad evitare un potenziale danno in capo al proprio cliente. Ne discende, in conclusione, che la banca, in quanto mandataria del cliente, è tenuta a sopportare il rischio di tutte le operazioni “anomale” (ancorché regolari sul piano formale) effettuate sui conti del proprio correntista, nel senso che, ove, per negligenza nell’espletamento dell’incarico, o per mancata predisposizione di idonei presidi tecnici, non si avveda dell’anormalità della specifica operazione, o vi dia esecuzione senza nemmeno darne avviso all’interessato, risponderà civilmente dei danni subiti dalla propria clientela (salvo, come nel caso di specie, eventuale rivalsa verso terzi)50; d) degna di nota, infine, è l’affermazione secondo cui la franchigia di 150 euro è da applicare sul totale complessivo degli importi addebitati e non sulle singole operazioni contestate. In questo senso, dunque, il Tribunale si uniforma agli orientamenti in atto prevalenti, superando le incertezze manifestate in passato da parte della dottrina. Allo stato, infatti, è comune opinione che la franchigia rappresenti un importo applicabile (in misura fissa e non in base al valore più o meno elevato

50 Può risultare utile, al riguardo, un paragone con gli orientamenti relativi ai casi di pagamento di assegno con firma di traenza falsa: la banca sarebbe infatti tenuta, secondo la giurisprudenza, a dimostrare che la falsificazione non poteva essere scoperta nemmeno usando la massima diligenza, con la conseguenza che essa finisce per doversi accollare il rischio del falso, secondo un criterio di responsabilità che è stato definito come sostanzialmente oggettivo (Astone, Conto corrente bancario, in La prova e il quantum nel risarcimento del danno, a cura di Cendon, t. II, Torino, 2014, p. 1492; accenna invece ad una “vera e propria presunzione di colpa”, in luogo di una responsabilità oggettiva per rischio di impresa, Franzoni, L’illecito, Milano, 2010, p. 332). Va tuttavia precisato che, secondo la S.C., la misura della diligenza richiesta alla banca resta sempre quella dell’accorto banchiere, sicché, nel caso di falsificazione della firma di traenza di un assegno, occorrerà verificare se detta falsificazione fosse riscontrabile attraverso un attento esame diretto del titolo da parte dell’impiegato addetto, o in forza di mezzi e strumenti di agevole utilizzo e di diffusa reperibilità, o se, piuttosto, fosse riscontrabile solo tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento, o tramite particolari cognizioni teoriche o tecniche, che l’intermediario non deve necessariamente possedere (Cass., 20 marzo 2014, n. 6513, in Foro it., 201, 5, I, 1775; più di recente, Cass., 21 giugno 2016, n. 12806). Simili affermazioni, in punto di diligenza esigibile dalla banca, possono a nostro avviso estendersi anche alle situazioni in cui si riscontri, ad es., l’anomalia di determinate operazioni di pagamento.

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delle operazioni abusive51) all’insieme delle transazioni non autorizzate effettuate con un unico strumento trafugato. In difetto di più dettagliate indicazioni normative (in particolare, di elementi di carattere oggettivo che legittimino una “moltiplicazione” della franchigia per il numero delle operazioni fraudolente), quindi, il Tribunale accede ad un’interpretazione restrittiva del disposto dell’art. 12 cit., privilegiando, sotto questo aspetto, una logica di favore verso il titolare dello strumento di pagamento abusivamente utilizzato. Del resto, se è vero che il pagamento della franchigia dà luogo ad una forma di responsabilità oggettiva dell’utente (tenuto, invero, a sopportare il relativo sacrificio economico, indipendentemente da ogni sua colpa)52, siffatta interpretazione appare a nostro avviso preferibile, essendo in linea con il carattere eccezionale di tale fattispecie. Per di più, vale ancora una volta l’affermazione secondo cui gli intermediari hanno comunque la possibilità di redistribuire sulla totalità della clientela, attraverso la determinazione dei costi relativi ai servizi resi, le perdite sopportate a seguito di operazioni di pagamento non autorizzate, mentre il sacrificio del singolo utente incolpevole merita di essere contenuto entro limiti specificamente circoscritti.

6. Due questioni controverse: a) la responsabilità dell’esercente convenzionato; b) il risarcimento dei danni non patrimoniali. Qualche cenno va rivolto, infine, a due tematiche non affrontate dalla sentenza in commento (in quanto estranee all’oggetto del giudizio, per come delimitato dalle domande delle parti), ma sulle quali riteniamo opportuno soffermare ugualmente l’attenzione. La vastità delle questioni da indagare richiederebbe, per vero, un grado di approfondimento in questa sede impossibile, per cui ci limiteremo a sviluppare solo alcune brevi riflessioni, rinviando ad altra sede per una più dettagliata trattazione.

Analoga interpretazione del disposto normativo proviene dal Collegio di coordinamento dell’ABF (dec. n. 6168/2013, cit.), che ha così superato le precedenti decisioni secondo cui la franchigia poteva essere modulata, tenendo conto di parametri – invero non previsti da alcuna norma - quali la proporzione con la somma fraudolentemente sottratta, il grado di negligenza dell’intermediario, il peso specifico della partecipazione del cliente all’operazione fraudolenta, ecc. 52 Così, Troiano, Cuocci e Pironti, Art. 12, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., p. 149. 51

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a) Il primo aspetto attiene alla responsabilità dell’esercente convenzionato che abbia colposamente consentito l’uso di una carta di pagamento a soggetto diverso dal titolare. Questione appena lambita dalla pronuncia che si annota, in ragione di un fugace riferimento al convenzionamento, da parte dell’emittente, di esercenti dimostratisi inaffidabili (ed ad una pretesa responsabilità del primo, in ragione di tale negligente condotta). Il problema si pone, tipicamente, in relazione all’uso delle carte di credito, occorrendo, come noto, che in tale evenienza l’esercente provveda a verificare la corrispondenza tra la firma apposta dal titolare sulla carta e quella apposta sulle note di spesa dall’utilizzatore (dovendosi altresì pretendere, in caso di dubbio circa l’identità dell’acquirente, l’esibizione di un valido documento di riconoscimento)53. Proprio con riferimento alle carte di credito, invero, anteriormente al d.lgs. n. 11/2010 dottrina e giurisprudenza propendevano ad affermare una responsabilità dell’esercente convenzionato nei confronti dell’emittente, qualora il primo versasse in dolo o colpa grave (dubbia essendo la rilevanza della sola culpa levis) nell’accettazione della carta. Tale conclusione, coerente con le prevalenti ricostruzioni giuridiche del fenomeno della carta di credito54, troverebbe oggi ulteriore conferma nel disposto dell’art. 7 d.lgs. n. 11/2010: imponendo anche all’esercente convenzionato, quale utilizzatore dello strumento di pagamento (in veste di beneficiario), un uso del medesimo conforme alle condizioni contrattuali che ne disciplinano l’impiego, detta norma riverserebbe su tale soggetto (se inadempiente) le conseguenze relative alla spendita abusiva dello strumento, salvo eventuale ripartizione delle medesime con il titolare o con l’emittente che, con

53 Nulla quaestio, invece, in caso di spendita di carte di debito, poiché in tal caso l’operazione di pagamento viene disposta in virtù dell’uso della carta congiuntamente alla digitazione del PIN (ferma restando la necessità di identificare l’acquirente in caso di operazioni sospette). 54 Fenomeno perlopiù ricondotto, come noto, allo schema della delegazione di pagamento (Spada, Carte di credito: “terza generazione” dei mezzi di pagamento, in Riv. dir. civ., 1976, I, p. 483 ss.; Niccolini, Carte di credito e carte bancarie (voce), in Enc. giur., V, Roma, 1995; De Marchi, Carte di credito e carte bancarie, in Banca, borsa, tit. cred., 1970, I, p. 321), pur non mancando autorevoli voci difformi, nel senso della cessione di crediti futuri (Dolmetta, La carta di credito, Milano, 1982), o dell’accollo (Di Nanni, Pagamento e sostituzione nella carta di credito, Napoli, 1983). La compatibilità tra le conclusioni accennate nel testo e le teorie della delegazione di pagamento e della cessione di crediti è dimostrata da Onza, Estinzione dell’obbligazione pecuniaria e finanziamento dei consumi: il pagamento con la “carta”, Milano, 2013, p. 116 ss.

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il proprio comportamento doloso o negligente, abbiano concorso a provocare il danno55. Va peraltro soggiunto che i contratti di convenzionamento tra emittenti ed esercenti prevedono, di norma, la c.d. clausola di charge back, in virtù della quale l’emittente è legittimato ad addebitare all’esercente gli importi relativi ad operazioni disconosciute dal titolare ed a questi riaccreditati, di regola sul presupposto che l’esercente abbia violato i propri obblighi di comportamento diligente e prudente in sede di accettazione della carta56. Quasi del tutto trascurata, invece, è la responsabilità dell’esercente negligente nei confronti del titolare della carta, probabilmente anche in ragione del fatto che questi, specie nel regime post-PSD, rinviene nel prestatore di servizi di pagamento, anziché nel commerciante, il naturale destinatario delle proprie pretese57. In linea di principio, tuttavia, non sembra potersi escludere una responsabilità aquiliana del fornitore convenzionato verso il titolare dello strumento di pa-

Onza, Estinzione, cit., pp. 128-129. Per un inquadramento dei diversi tipi di charge back, sottoposto a condizioni o incondizionato, Farace, Le clausole di riaddebito dopo il d. legsl. 21 febbraio 2014, n. 21, in Riv. dir. civ., 2014, n. 4, p. 919. La legittimità delle clausole di charge back è stata affrontata anche da ABF, Coll. coord., 15 ottobre 2012, n. 3299, secondo cui sarebbe nulla una clausola che «formulata in termini generici e indistinti, conduca all’esclusione di responsabilità dell’emittente anche nel caso in cui siano riconoscibili in capo a quest’ultimo gli estremi di un comportamento doloso o gravemente colposo». Il Collegio aggiunge inoltre che «la clausola mantiene invece la sua validità ed efficacia per le ipotesi di esclusione di responsabilità derivanti da colpa lieve o, ma ciò è implicito nel costrutto negoziale e fedele al più generale principio della responsabilità per inadempimento, per le ipotesi in cui l’evento generatore del chargeback debba ricondursi alla violazione da parte dell’esercente degli obblighi di comportamento diligente e prudente gravanti su quest’ultimo». V. anche ABF, Coll. Napoli, 2 dicembre 2014, n.7966 e Coll. Milano, 26 luglio 2013, n. 4073. 57 Alle tutele assicurate all’utilizzatore dello strumento di pagamento dalla vigente normativa, si aggiunga inoltre l’argomento più volte richiamato dall’ABF (in linea, peraltro, con la precedente dottrina: Restuccia, La carta di credito nell’ordinamento giuridico italiano e comunitario, Milano, 1999, p. 100 ss.), secondo cui «i pagamenti con carta di credito sono opponibili al titolare solo se la firma apposta in calce ai relativi scontrini di spesa sia riconducibile al medesimo». Si afferma, infatti, che l’apposizione della firma sulla nota spesa abbia l’effetto di delegare l’emittente a pagare una determinata somma all’esercente-delegatario, con la conseguenza che, ove il titolare dalla carta disconosca la paternità delle operazioni addebitate, o manca lo jussum delegatorio, o la prova della sua esistenza, «tanto più che spetta all’intermediario verificare la regolarità formale dei documenti di spesa prodotti dall’esercente» (v. ABF, Coll. Milano, 22 ottobre 2015, n. 8173 e 29 dicembre 2014, n. 8636). 55

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gamento, come confermato, d’altronde, anche da recenti pronunce della S.C.58; b) la seconda questione concerne l’ammissibilità del risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti all’uso non autorizzato di uno strumento di pagamento. Il problema – a sua volta innestato su una tematica di grande complessità e ampiezza, che non è pensabile poter sviscerare in questa sede – è stato scarsamente affrontato, in dottrina come in giurisprudenza, e risulta quindi ben lontano dal raggiungimento di posizioni consolidate. Sul punto occorre muoversi, dunque, lungo le coordinate generali fornite dalla giurisprudenza di legittimità, e usando comunque estrema cautela. Orbene, è a tutti noto che, a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite con le sentenze gemelle del 200859, i danni non patrimoniali si considerano risarcibili solo nei casi previsti dalla legge (in primis, nelle ipotesi di reato), ovvero, secondo una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., allorquando venga pregiudicato un diritto inviolabile della persona riconosciuto dalla Costituzione (ad es., la salute, o la reputazione) e la lesione abbia carattere di gravità e serietà (restando esclusi dalla tutela risarcitoria, per converso, i danni cd. bagatellari, consistenti in meri disagi, fastidi o interferenze nella serenità o nel benessere dell’individuo). Fortemente dibattuto, tuttavia, è il rapporto tra (risarcibilità del) danno non patrimoniale e violazione di obblighi contrattuali, posto che l’apertura al risarcimento di tali danni, manifestata dalla S.C. anche in

58 Secondo Cass., 19 gennaio 2010, n. 694, nell’ipotesi in cui il titolare di una carta di credito smarrita abbia esercitato un’azione di risarcimento nei confronti di un terzo che abbia accettato il pagamento di un’operazione commerciale mediante l’illecita utilizzazione di detta carta da parte di un estraneo, con relativa falsificazione della firma del suddetto titolare, colui che ha accettato il pagamento ha l’onere di provare l’eventuale comportamento colposo del titolare nella custodia della carta medesima, vertendosi in tema di responsabilità extracontrattuale. Si veda anche Cass., 6 maggio 2008, n. 11052, concernente la violazione, da parte del beneficiario del pagamento, dell’obbligo di verificare la corrispondenza tra la firma apposta sullo scontrino di vendita con quella apposta sul retro della carta dal titolare. In dottrina, Peratello, Utilizzo abusivo della carta di credito e responsabilità extracontrattuale dell’esercente, nota di commento a Giud. di pace Genova Sestri, 29 novembre 1999, in Foro pad., 2000, n. 1, p. 128; Palmigiano, Vecchio Verderame, Carta di credito, smarrimento e firme contraffatte: chi ne paga le conseguenze?, nota di commento a Giud. di pace Palermo, 15 aprile 2003, in Vita not., 2003, n. 3, p. 1283. 59 Cass. S.U., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975, in Foro it., 2009, 1, 120.

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materia di responsabilità contrattuale, è fondata su considerazioni che non hanno trovato, in dottrina, unanime consenso, persistendo tra gli studiosi ampie divergenze di vedute60. In un contesto connotato da limiti così stringenti, da un lato, e da perduranti incertezze interpretative, dall’altro, è dunque lecito domandarsi se – fuori dai casi in cui sussistano fattispecie di reato, con conseguente obbligo risarcitorio in capo all’autore del fatto criminoso – esista uno spazio per il risarcimento di danni non patrimoniali dipendenti da operazioni di pagamento non autorizzate61. Più precisamente, si tratta di stabilire se il prestatore di servizi di pagamento risponda, a titolo di danno non patrimoniale, anche laddove non abbia impedito l’accesso al sistema di pagamento da parte di soggetto non titolato, causando un pregiudizio non soltanto economico al proprio cliente. La sopra descritta limitazione dell’area di risarcibilità dei danni non patrimoniali non rende agevolmente ipotizzabile una simile eventualità, anche in ragione del pregiudizio spesso esiguo che, in siffatte circostanze, il danneggiato subisce (sicché l’eventuale lesione ad un bene costituzionalmente protetto – che andrebbe ad ogni buon conto individuato – difetterebbe comunque del requisito della gravità). Diverso tuttavia il caso in cui le operazioni fraudolente raggiungano – come accaduto nella fattispecie in esame – un ammontare di significativa rilevanza, sino a determinare, in ipotesi, uno svuotamento pressoché integrale della liquidità del danneggiato. È con riferimento a tali circostanze, invero, che, in un caso di appropriazione indebita delle credenziali di accesso al servizio di home banking, è stato di recente riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente all’inadempimento dell’intermediario: si è infatti ritenuto che la perdita di tutte le disponibilità liquide sul conto

60 Per una rassegna delle differenti opinioni dottrinarie, Saporito, Patrimonialità e non patrimonialità del danno, in Trattato della responsabilità civile, a cura di Stanzione, Padova, 2012, t. II, p. 1153 ss. Più di recente, v. Castronovo, Il danno non patrimoniale nel cuore del diritto civile, in Eur. dir. priv., 2016, n. 2, p. 314 ss. 61 Rammentiamo che l’art. 11 d.lgs. n. 11/2010, in materia di responsabilità del prestatore di servizi di pagamento per le operazioni di pagamento non autorizzate, dispone che questi debba rimborsare immediatamente al pagatore l’importo di dette operazioni (riportando il conto eventualmente addebitato nello stato in cui si sarebbe trovato ove l’operazione non avesse avuto luogo), ammettendo altresì che possa essere previsto il risarcimento di “danni ulteriori” in conformità alla disciplina applicabile al contratto tra utilizzatore e prestatore di servizi di pagamento (co. 4). Sul rapporto tra rimedi restitutori e risarcitori, nella disciplina della PSD, cfr. De Stasio, Operazione di pagamento non autorizzata e restituzioni, Milano, 2013, p. 13 ss.

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avesse causato al correntista una grave sofferenza e preoccupazione, meritevole di ristoro62. Anche in letteratura, del resto, si riconosce cautamente che l’inadempimento contrattuale, nell’ambito della prestazione di servizi di pagamento, possa dare luogo, in certe ipotesi, al risarcimento di danni anche non patrimoniali, in conformità alle indicazioni giurisprudenziali cui sopra si è fatto cenno63. Si tratta, va detto, dei primi, sporadici segnali di una tendenza non ancora matura, che merita tuttavia di essere seguita con attenzione: non è escluso, infatti, che in futuro tale orientamento possa trovare ulteriori conferme, specie sul piano giurisprudenziale, in conseguenza del sempre maggiore grado di diffusione degli strumenti di pagamento elettronico e delle sempre più fantasiose tecniche utilizzate per il compimento delle frodi informatiche.

7. Le novità attese dall’adozione della PSD 2: una normativa soddisfacente? Come accennato in premessa, l’attuale normativa in materia di servizi di pagamento si accinge a subire i cambiamenti imposti dall’adozione della PSD 2, che dovrà essere recepita negli Stati membri entro il termine del 13 gennaio 2018. La nuova PSD si propone di ammodernare il quadro giuridico già tracciato dalla dir. 2007/64, in considerazione dei notevoli sviluppi tecnologici registrati nel mercato dei pagamenti al dettaglio e dell’avvento di nuovi strumenti e servizi di pagamento (non sempre coperti, in tutto o in parte, dalle disposizioni in vigore)64. L’obiettivo finale del legislatore

V. ancora Trib. Milano, 4 dicembre 2014, cit. Cfr. Dellarosa, Art. 26, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, cit., p. 286. 64 V. 4° considerando PSD 2: «(…) Rilevanti settori del mercato dei pagamenti, in particolare i pagamenti tramite carta, Internet e dispositivo mobile, rimangono frammentati lungo le frontiere nazionali. Molti prodotti e servizi di pagamento innovativi non rientrano, interamente o in buona parte, nell’ambito di applicazione della direttiva 2007/64/CE. Inoltre, in alcuni casi l’ambito di applicazione della direttiva 2007/64/CE e, in particolare, gli elementi da esso esclusi, come determinate attività connesse ai pagamenti, si sono rivelati in alcuni casi troppo ambigui, troppo generici o semplicemente superati rispetto all’evoluzione del mercato. Tale situazione ha causato incertezza giuridica, potenziali rischi per la sicurezza della catena di pagamento e la mancanza di pro62 63

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europeo è quello di creare le condizioni normative per un mercato dei pagamenti maggiormente integrato, basato su regole chiare, adeguate all’evoluzione del mercato e di uniforme applicazione, che funga da fattore di sviluppo per la crescita economica dell’Unione65. Sorge spontaneo chiedersi, tuttavia, se la nuova normativa sarà in grado di offrire adeguate soluzioni alle problematiche rappresentate in questa sede, specie alla luce dell’insistenza esercitata dal legislatore sul profilo, di cruciale rilevanza, della sicurezza dei pagamenti elettronici66. Trattasi, invero, di un fattore che consente di rafforzare la fiducia degli utenti nei servizi di pagamento e che rappresenta, quindi, una condizione di fondamentale importanza per il buon funzionamento del relativo mercato67. Ora, va subito notato che l’impianto della PSD 2 replica, nella sostanza, i contenuti di fondo della normativa antecedente, potendosi constatare che: - la normativa prevede specifici obblighi a carico sia dell’utente (uso dello strumento di pagamento in conformità alle condizioni contrat-

tezione dei consumatori in alcuni settori. Si è rivelato difficile per i prestatori di servizi di pagamento lanciare servizi di pagamento digitali innovativi, sicuri e di facile utilizzo e fornire a consumatori ed esercenti metodi di pagamento efficienti, comodi e sicuri. Esiste al riguardo un grande potenziale positivo che occorre sfruttare in modo più coerente». 65 Cfr. 5° considerando PSD 2: «Il continuo sviluppo di un mercato interno integrato per pagamenti elettronici sicuri è essenziale al fine di sostenere la crescita dell’economia dell’Unione e garantire che i consumatori, i commercianti e le imprese dispongano di possibilità di scelta e condizioni di trasparenza in relazione ai servizi di pagamento in modo da trarre il massimo vantaggio dal mercato interno». 66 Si prendano in esame, ad es., le disposizioni in materia di gestione dei rischi operativi e di sicurezza (art. 95 PSD 2), in base alle quali i prestatori di servizi di pagamento devono adottare misure di mitigazione e meccanismi di controllo dei rischi relativi ai servizi di pagamento che prestano, nonché stabilire procedure per la gestione degli incidenti di diverso tipo e gravità che possono verificarsi nel corso della loro attività. I prestatori di servizi di pagamento, inoltre, devono fornire all’autorità competente, come minimo su base annua, una valutazione aggiornata e approfondita dei suddetti rischi operativi e di sicurezza e dell’adeguatezza delle misure poste in essere per affrontarli. 67 Cfr. 7° considerando PSD 2: «Negli ultimi anni, i rischi di sicurezza relativi ai pagamenti elettronici sono aumentati. Ciò è dovuto alla crescente complessità tecnica dei pagamenti elettronici, al continuo aumento del numero di pagamenti elettronici effettuati in tutto il mondo e all’avvento di nuovi tipi di servizi di pagamento. La sicurezza dei servizi di pagamento è una condizione fondamentale per il buon funzionamento del relativo mercato. È quindi opportuno che gli utenti di tali servizi godano di un’adeguata protezione contro tali rischi. I servizi di pagamento sono essenziali per il funzionamento di attività economiche e sociali cruciali».

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tuali, notifica al prestatore di servizi di pagamento del furto, dell’appropriazione indebita o dell’uso non autorizzato dello strumento di pagamento, custodia degli strumenti di pagamento e delle credenziali di accesso personalizzate) che del prestatore di servizi di pagamento (assicurare l’inaccessibilità delle credenziali di accesso personalizzate a soggetti diversi dall’utilizzatore, assicurare la disponibilità di mezzi adeguati ad effettuare la notifica o il blocco dello strumento, impedire qualsiasi utilizzo dello strumento una volta effettuata la notifica, ecc.), suddividendoli secondo la rispettiva capacità di controllo di determinati eventi; - i rischi per le operazioni di pagamento non autorizzate gravano sull’utente entro limiti molto ridotti, a meno che egli non abbia agito in modo fraudolento o con grave negligenza (casi per i quali è prevista, di contro, una responsabilità illimitata del pagatore); - in punto di ripartizione dell’onere della prova, è confermato il principio secondo cui, ove l’utente contesti di avere eseguito una determinata operazione di pagamento, il prestatore di servizi di pagamento deve dimostrare che essa è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata, e che non ha subito le conseguenze di guasti tecnici o altri inconvenienti. Del pari, si ribadisce che l’utilizzo di uno strumento di pagamento non dimostra, di per sé, che l’operazione di pagamento sia stata autorizzata dal pagatore, né che questi abbia agito in modo fraudolento o con grave negligenza. La prova della frode, o della grave negligenza dell’utente, è a carico del prestatore di servizi di pagamento (eventuali condizioni contrattuali che aumentino l’onere della prova per il consumatore, o lo riducano per l’emittente, andrebbero considerate nulle e prive di effetti). Ai principi di vecchio conio si aggiungono, tuttavia, alcune interessanti novità, volte a rafforzare, nel loro complesso, il regime di tutele approntato nei confronti dell’utente. Infatti, oltre alla significativa riduzione dell’importo della franchigia a carico di quest’ultimo (ammontante ad un massimo di soli 50 euro68), si prevede che il pagatore diligente non debba sopportare alcuna perdita derivante dall’uso di uno strumen-

68 La riduzione della franchigia è giustificata dal fine di «incentivare l’utente dei servizi di pagamento a notificare senza indugio al relativo prestatore l’eventuale furto o perdita di uno strumento di pagamento e di ridurre pertanto il rischio di operazioni di pagamento non autorizzate». Allo scopo, l’importo di 50 euro è stato ritenuto «adeguato al fine di garantire una protezione armonizzata e di livello elevato degli utenti nell’Unione» (v. 71° considerando PSD 2).

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to rubato, smarrito o oggetto di appropriazione indebita, ove tali eventi «non potevano essere notati dal pagatore prima di un pagamento, ad eccezione dei casi in cui il pagatore ha agito in modo fraudolento», o se «la perdita è stata causata da atti o omissioni di dipendenti, agenti o succursali di un fornitore di servizi di pagamento o di un’entità a cui sono state esternalizzate le attività» (art. 74, co.). Se l’ultimo caso può essere riferito, ad es., all’operato dei dipendenti o collaboratori (in senso lato) del prestatore di servizi di pagamento, che abbiano perpetrato abusi di strumenti di pagamento altrui, approfittando di dati acquisiti nello svolgimento delle proprie mansioni (donde la piena ed integrale responsabilità dell’intermediario preponente), o che, in ragione di un comportamento doloso o anche solo negligente (ad es., comunicazione – intenzionale o accidentale – di dati riservati, di codici di accesso, ecc.), abbiano consentito a terzi di agire in modo fraudolento, il primo sembra invece evocare – se non si fraintende il senso di una previsione che non può certo definirsi cristallina – i casi da noi rappresentati al par. 5, sub a). Sembra, infatti, che il legislatore abbia inteso conferire rilevanza a tutte quelle circostanze in cui il comportamento del titolare di uno strumento di pagamento (che abbia omesso, ad es., di denunciarne tempestivamente il furto o la perdita) possa ritenersi giustificabile, alla luce di specifici elementi di fatto dai quali si evinca che il pagatore non avrebbe potuto immediatamente rendersi conto dell’evento che ha dato luogo all’abuso (si pensi, ad es., alle ipotesi di appropriazione indebita dello strumento di pagamento – quale può essere l’uso, da parte di soggetti non autorizzati, delle credenziali di accesso ai servizi di home banking –, che avvengono a totale insaputa del titolare)69.

69 Cfr. 71° considerando PSD 2: «Non dovrebbe sussistere alcuna responsabilità a carico del pagatore qualora questi non sia stato in grado di venire a conoscenza della perdita, del furto o dell’appropriazione indebita dello strumento di pagamento». In linea con queste affermazioni pare doversi leggere, quindi, il riferimento all’impossibilità di notare il furto, lo smarrimento, ecc., “prima di un pagamento” (quello abusivo): solo quando ha notizia dell’operazione non autorizzata (tramite sms o altra comunicazione da parte del prestatore di servizio), infatti, l’utente è in condizione di attivarsi per porre fine agli abusi, versando diversamente in colpa grave, per violazione degli obblighi a lui incombenti. Si badi, infine, che anche la PSD 2, nel disciplinare la limitazione di responsabilità dell’utente per operazioni non autorizzate, si riferisce ai soli casi – tassativi – di furto, smarrimento o appropriazione indebita dello strumento di pagamento, omettendo di considerare le ipotesi di clonazione o duplicazione dello stesso. Peraltro, anche ove si volessero equiparare tali fattispecie a quelle di furto o smarrimento (con conseguente esonero da responsabilità dell’utente, di norma impossibilitato a notare l’evento danno-

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Di notevole rilevanza, inoltre, è il disposto dell’art. 74, co. 2, ai cui sensi, se il prestatore di servizi di pagamento del pagatore non esige una “autenticazione forte”70 del cliente, il pagatore non sopporta alcuna conseguenza finanziaria, salvo che abbia agito in modo fraudolento. Allo stesso modo, qualora non accettino un’autenticazione forte del cliente, il beneficiario o il suo prestatore di servizi di pagamento saranno tenuti a “rimborsare” al prestatore di servizi di pagamento del pagatore il danno causatogli. Si tratta di previsioni, inedite nella precedente versione della PSD, che sanciscono l’importanza di accorgimenti tecnici (nella specie, mezzi di autenticazione del cliente) tali da rendere i pagamenti più affidabili e sicuri, con la conseguenza che

so), si perverrebbe comunque alle medesime conclusioni già raggiunte dalla dottrina, che afferma la responsabilità del prestatore di servizi di pagamento, in ragione della mancanza di sicurezza del servizio erogato (v. supra, nt. 18). 70 L’autenticazione “forte” è una procedura che consente al prestatore di servizi di pagamento di verificare l’identità di un utente o la validità dell’uso di uno strumento di pagamento (compreso l’uso delle credenziali di sicurezza personalizzate), basata sull’impiego di due o più elementi (classificabili nelle categorie “qualcosa che l’utente conosce”, ad es. una password, “qualcosa che l’utente possiede”, ad es. una carta o una chiavetta OTP, e “qualcosa che caratterizza l’utente”, ad es. un’impronta digitale) tra loro indipendenti (nel senso che la violazione di uno non compromette l’affidabilità degli altri), concepita in modo da assicurare la riservatezza dei dati di identificazione (art. 4, nn. 29 e 30, PSD 2). Gli Stati membri devono provvedere a che un prestatore di servizi di pagamento applichi l’autenticazione forte del cliente nei casi previsti dall’art. 97 PSD 2, ossia quando il pagatore: a) accede al suo conto di pagamento on line; b) dispone un’operazione di pagamento elettronico; c) effettua qualsiasi azione, tramite un canale a distanza, che può comportare un rischio di frode nei pagamenti o altri abusi. Al riguardo, particolarmente significativi, sotto il profilo tecnico, appaiono i Draft Regulatory Technical Standards specifying the requirements on strong customer authentication and common and secure communication under PSD 2, elaborati dall’EBA nel mese di agosto 2016 (www.eba.europa.eu) al fine di disciplinare la procedura di autenticazione forte del cliente e le relative esenzioni, le misure per assicurare la protezione delle credenziali di sicurezza degli utenti e gli standard di sicurezza comuni per la comunicazione tra i diversi operatori del settore. Con più diretta attinenza al caso in commento, inoltre, si noti che gli RTS prevedono, tra l’altro, che: «The strong customer authentication procedure shall include mechanisms to (…) prevent, detect and block fraudulent payment transactions before the PSP’s final authorization», comprendendovi anche: «i. parameterised rules, including black lists of compromised or stolen card data, ii. signs of malware infection in the session and known fraud scenarios, iii. an adequate transaction history of the payer to evaluate its typical spending behavioral patterns, iv. information about the customer device used; v. a detailed risk profile of the payer and/or the payer’s device».

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il soggetto che ritenesse di fare a meno di simili presidi di sicurezza – come accadrebbe, ad es., se ai fini dell’acquisto a distanza di beni e servizi fosse sufficiente comunicare solo gli estremi di una carta di pagamento – sopporterebbe le “conseguenze finanziarie” relative alle operazioni non autorizzate dall’utente71. Ebbene, alla luce di quanto brevemente osservato, si può ragionevolmente ritenere che il regime normativo delineato dalla PSD 2 in tema di allocazione delle responsabilità per operazioni di pagamento fraudolente sia idoneo a risolvere i problemi interpretativi e applicativi prospettati dalla normativa in via di sostituzione? Ed ancora, può affermarsi che le nuove regole consentano di raggiungere quegli obiettivi di sicurezza e affidabilità degli strumenti di pagamento, nonché di protezione dell’utente consumatore, su cui si fonda lo sviluppo del mercato dei pagamenti al dettaglio auspicato dallo stesso legislatore europeo? A noi pare che la risposta possa essere solo in parte positiva, persistendo ancora, al riguardo, diversi profili di insoddisfazione. Certo, va dato atto che, nell’ottica di un generale favor verso l’utilizzatore di strumenti di pagamento (funzionale anche all’incremento dei pagamenti elettronici, quale effetto della maggiore fiducia verso i medesimi che si vorrebbe instillare nell’utenza), il legislatore europeo ha confermato un regime di ripartizione dei rischi e delle responsabilità per le operazioni non autorizzate nettamente sbilanciato – dal punto di vista sostanziale e probatorio – a carico del prestatore di servizi di pagamento. È indubbio, infatti, che su quest’ultimo continui a gravare, per le ragioni sopra evidenziate, il maggior onere per le operazioni di pagamento abusive. Né va sottaciuto che le tutele nei confronti dell’utente sono state rafforzate sia dalla previsione di ulteriori fattispecie di esonero dalla responsabilità (art. 74, co. 1, lett. a) e b), e comma 2), sia dall’ampliamento, secondo termini e modalità che in questa sede non è possibile descrivere, del novero dei soggetti chiamati a rispondere in caso di operazioni fraudolente (il riferimento è alle responsabilità di quei soggetti che la PSD 2, con il tecnicismo cui anche lo studioso del diritto dell’economia fatica ad

71 Nella sua genericità, l’uso dell’espressione “conseguenza finanziaria” (seguita peraltro dal termine “danno finanziario”, utilizzato nel medesimo contesto e nella stessa accezione) evoca, oltre al diritto al rimborso delle somme oggetto di pagamento non autorizzato, il risarcimento del danno ulteriore che il pagatore (o il prestatore di servizi di pagamento del pagatore) possa avere subito per effetto di operazioni effettuate in mancanza di forme di autenticazione forte.

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abituarsi, definisce come «prestatori di servizi di disposizione di ordini di pagamento»72). È altrettanto certo, tuttavia, che al di là di alcuni miglioramenti (si pensi alle citate disposizioni relative all’impiego di metodi di autenticazione forte), in materia di responsabilità per le operazioni non autorizzate la PSD 2 non si discosta poi molto dall’impostazione accolta nella pregressa disciplina, perpetuando i richiami a nozioni generiche e di portata non univoca, cui sono state sino ad oggi ricondotte le maggiori difficoltà interpretative (con evidenti riflessi sul contenzioso giudiziario ed extragiudiziario). Emblematico è il richiamo all’elemento della grave

72 La PSD2 nasce, invero, con l’intento di adeguare il quadro normativo dell’Unione ad una realtà più evoluta di quella contemplata all’epoca della prima PSD, che vede la presenza di operatori e servizi finora non assoggettati alla normativa sui servizi di pagamento, con evidenti conseguenze sotto il profilo della tutela dei consumatori, della sicurezza, della responsabilità, della concorrenza e delle questioni legate alla protezione dei dati. Tra tali soggetti rientrano, ad es., i prestatori di servizi di disposizione di ordine di pagamento (payment initiation services providers), ossia servizi che consentono all’utente di disporre un ordine di pagamento relativamente ad un conto detenuto presso un altro prestatore di servizi di pagamento, attraverso i quali viene assicurato al venditore-beneficiario del pagamento che il pagamento stesso è stato disposto, così da incentivarlo ad eseguire la propria prestazione (consegna dei beni o erogazione di un servizio) senza indebiti ritardi. Più in particolare, detti servizi, già diffusi in diversi Paesi membri (ad es., Sofort in Germania, IDeal in Olanda, o Trustly in Svezia), consentono di effettuare pagamenti on line attraverso la creazione di un collegamento telematico tra il conto del pagatore ed il conto del commerciante (il 27° considerando PSD2 si riferisce, con termini più tecnici, ad «un software che fa da ponte tra il sito web del commerciante e la piattaforma di online banking della banca del pagatore per disporre pagamenti via Internet sulla base di bonifici»), ponendosi come una valida e più economica alternativa ai “classici” pagamenti a mezzo carta (per effettuare transazioni via internet, infatti, il cliente deve solo disporre di un conto di pagamento con accesso remoto, mentre il commerciante non deve necessariamente aderire ad un card scheme e sopportare i relativi costi). Essi si basano, pertanto, sull’accesso, diretto o indiretto, dei relativi prestatori al conto del pagatore, accesso che deve essere dunque garantito dal prestatore di servizi di pagamento di radicamento del conto del pagatore (cfr. 29° e 32° considerando PSD2). Per completezza, ricordiamo altresì che ai fornitori di servizi di disposizione di ordine di pagamento si affiancano, accomunati dall’inclusione nella categoria dei third parties providers, i prestatori di servizi di informazione sui conti, che offrono un servizio on line di consolidamento delle informazioni relative ai diversi conti di cui uno stesso soggetto dispone, anche presso diversi intermediari, consentendogli di avere una visione complessiva, e organizzata per categorie, della propria situazione finanziaria e delle proprie abitudini di spesa. Anche tale servizio postula, ovviamente, l’accesso del fornitore alle informazioni relative ai conti del proprio cliente, con conseguenti problemi di riservatezza dei dati personali degli utenti e di responsabilità dell’operatore.

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negligenza dell’utente-pagatore, quale discrimine per l’attribuzione di una responsabilità non limitata al massimale di 50 euro, o il già commentato riferimento all’insufficienza dell’uso dello strumento di pagamento ai fini della prova della grave negligenza del pagatore. Né vanno esenti da analoghi rilievi critici le nuove fattispecie di esonero totale della responsabilità dell’utente, essendo prevedibile che risulterà difficile appurare, ad es., quando quest’ultimo non abbia potuto notare, prima di un pagamento, il furto o lo smarrimento del proprio strumento di pagamento (sicché solo il bassissimo ammontare del massimale, probabilmente, agirà come deterrente per le controversie tra utenti e prestatori di servizi di pagamento, inducendo i primi a sopportare l’esiguo costo della franchigia, ancorché percepito come ingiusto). Le conseguenze, sul piano pratico, appaiono duplici: da un lato, le difficoltà nell’accertare l’esistenza di una grave negligenza dell’utente continueranno ad alimentare il contenzioso (giudiziale e stragiudiziale) tra utenti e prestatori di servizi di pagamento; dall’altro, come nell’attuale regime, la genericità di tale nozione potrà dare luogo a divergenze (anche rilevanti) tra gli ordinamenti nazionali, in materia di responsabilità delle parti di un’operazione di pagamento, a discapito dell’esigenza di uniformità perseguita a livello europeo ai fini della realizzazione di un mercato unico ed integrato. A seguito dell’adozione della PSD, era stato osservato che, con un po’ di coraggio, si sarebbe potuto fare a meno del requisito della colpa grave dell’utente, trattandosi di un elemento particolarmente insidioso, fonte di inevitabili difficoltà interpretative, a danno soprattutto dell’utente-consumatore73. Bisogna prendere atto, purtroppo, che ancora una volta quel coraggio è mancato.

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73 L’affermazione è di Troiano, Contratto di pagamento (voce), in Enc. dir., Annali V, 2012, pp. 408-9, il quale sottolinea, da un lato, «il rischio che la colpa grave possa finire per assolvere il ruolo di grimaldello per sconfessare il regime di responsabilità consumer friendly adottato al livello europeo», evidenziando, dall’altro, la necessità che gli operatori professionali non sovrastimino, nella valutazione economica costi/benefici, il potenziale impatto di tale requisito.

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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni



LEGISLAZIONE

Pegno mobiliare non possessorio e patto marciano nelle procedure concorsuali D.l. 3 maggio 2016, n. 59 (convertito con modificazioni nella l. 30 giugno 2016, n. 119): Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione

Art. 1 Pegno mobiliare non possessorio 1. Gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese possono costituire un pegno non possessorio per garantire i crediti concessi a loro o a terzi, presenti o futuri, se determinati o determinabili e con la previsione dell’importo massimo garantito, inerenti all’esercizio dell’impresa1. 2. Il pegno non possessorio può essere costituito su beni mobili, anche immateriali, destinati all’esercizio dell’impresa e sui crediti derivanti da o inerenti a tale esercizio, a esclusione dei beni mobili registrati. I beni mobili possono essere esistenti o futuri, determinati o determinabili anche mediante riferimento a una o più categorie merceologiche o a un valore complessivo. Ove non sia diversamente disposto nel contratto, il debitore o il terzo concedente il pegno è autorizzato a trasformare o alienare, nel rispetto della loro destinazione economica, o comunque a disporre dei beni gravati da pegno. In tal caso il pegno si trasferisce, rispettivamente, al prodotto risultante dalla trasformazione, al corrispettivo della cessione del bene gravato o al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo, senza che ciò comporti costituzione di una nuova garanzia. Se il prodotto risultante dalla trasformazione ingloba, anche per unione o commistione, più beni appartenenti a diverse categorie merceologiche e oggetto di diversi pegni non possessori, le facoltà previste dal comma 7 spettano a ciascun creditore pignoratizio con obbligo da parte sua di restituire al datore della ga-

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Comma così modificato dalla legge di conversione 30 giugno 2016, n. 119.

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Legislazione

ranzia, secondo criteri di proporzionalità, sulla base delle stime effettuate con le modalità di cui al comma 7, lettera a), il valore del bene riferibile alle altre categorie merceologiche che si sono unite o mescolate. È fatta salva la possibilità per il creditore di promuovere azioni conservative o inibitorie nel caso di abuso nell’utilizzo dei beni da parte del debitore o del terzo concedente il pegno2. 3. Il contratto costitutivo, a pena di nullità, deve risultare da atto scritto con indicazione del creditore, del debitore e dell’eventuale terzo concedente il pegno, la descrizione del bene dato in garanzia, del credito garantito e l’indicazione dell’importo massimo garantito. 4. Il pegno non possessorio ha effetto verso i terzi esclusivamente con la iscrizione in un registro informatizzato costituito presso l’Agenzia delle entrate e denominato «registro dei pegni non possessori»; dal momento dell’iscrizione il pegno prende grado ed è opponibile ai terzi e nelle procedure esecutive e concorsuali3. 5. Il pegno non possessorio, anche se anteriormente costituito ed iscritto, non è opponibile a chi abbia finanziato l’acquisto di un bene determinato che sia destinato all’esercizio dell’impresa e sia garantito da riserva della proprietà sul bene medesimo o da un pegno anche non possessorio successivo, a condizione che il pegno non possessorio sia iscritto nel registro in conformità al comma 6 e che al momento della sua iscrizione il creditore ne informi i titolari di pegno non possessorio iscritto anteriormente4. 6. L’iscrizione deve indicare il creditore, il debitore, se presente il terzo datore del pegno, la descrizione del bene dato in garanzia e del credito garantito secondo quanto previsto dal comma 1 e, per il pegno non possessorio che garantisce il finanziamento per l’acquisto di un bene determinato, la specifica individuazione del medesimo bene. L’iscrizione ha una durata di dieci anni, rinnovabile per mezzo di una nuova iscrizione nel registro effettuata prima della scadenza del decimo anno. La cancellazione della iscrizione può essere richiesta di comune accordo dal creditore pignoratizio e datore del pegno o domandata giudizialmente. Le operazioni di iscrizione, consultazione, modifica, rinnovo o cancellazione presso il registro, gli obblighi a carico di chi effettua tali operazioni nonché le modalità di accesso al registro stesso sono regolati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia, da adottarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, prevedendo modalità esclusivamente informatiche. Con il medesimo decreto sono stabiliti i diritti di visura e di certificato, in misura idonea a garantire almeno la copertura dei costi di allestimento, gestione e di evoluzione del registro. Al fine di consentire l’avvio della attività previste dal presente articolo, è autorizzata la spesa di euro 200.000 per l’anno 2016 e di euro 100.000 per l’anno 20175.

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Comma Comma 4 Comma 5 Comma 3

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2016, n. 119. 2016, n. 119. 2016, n. 119. 2016, n. 119.


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7. Al verificarsi di un evento che determina l’escussione del pegno, il creditore, previa intimazione notificata, anche direttamente dal creditore a mezzo di posta elettronica certificata, al debitore e all’eventuale terzo concedente il pegno, e previo avviso scritto agli eventuali titolari di un pegno non possessorio trascritto nonché al debitore del credito oggetto del pegno, ha facoltà di procedere6: a) alla vendita dei beni oggetto del pegno trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del credito fino a concorrenza della somma garantita e con l’obbligo di informare immediatamente per iscritto il datore della garanzia dell’importo ricavato e di restituire contestualmente l’eccedenza; la vendita è effettuata dal creditore tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni di non apprezzabile valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati; l’operatore esperto è nominato di comune accordo tra le parti o, in mancanza, è designato dal giudice; in ogni caso è effettuata, a cura del creditore, la pubblicità sul portale delle vendite pubbliche di cui all’articolo 490 del codice di procedura civile; b) alla escussione o cessione dei crediti oggetto di pegno fino a concorrenza della somma garantita, dandone comunicazione al datore della garanzia7; c) ove previsto nel contratto di pegno e iscritto nel registro di cui al comma 4, alla locazione del bene oggetto del pegno imputando i canoni a soddisfacimento del proprio credito fino a concorrenza della somma garantita, a condizione che il contratto preveda i criteri e le modalità di determinazione del corrispettivo della locazione; il creditore pignoratizio comunica immediatamente per iscritto al datore della garanzia stessa il corrispettivo e le altre condizioni della locazione pattuite con il relativo conduttore8; d) ove previsto nel contratto di pegno e iscritto nel registro di cui al comma 4, all’appropriazione dei beni oggetto del pegno fino a concorrenza della somma garantita, a condizione che il contratto preveda anticipatamente i criteri e le modalità di valutazione del valore del bene oggetto di pegno e dell’obbligazione garantita; il creditore pignoratizio comunica immediatamente per iscritto al datore della garanzia il valore attribuito al bene ai fini dell’appropriazione9; 7-bis. Il debitore e l’eventuale terzo concedente il pegno hanno diritto di proporre opposizione entro cinque giorni dall’intimazione di cui al comma 7. L’opposizione si propone con ricorso a norma delle disposizioni di cui al libro quarto, titolo I, capo III-bis, del codice di procedura civile. Ove concorrano gravi motivi, il giudice, su istanza dell’opponente, può inibire, con provvedimento d’urgenza, al creditore di procedere a norma del comma 710.

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Alinea così modificato dalla legge di conversione 30 giugno 2016, n. 119. Lettera così modificata dalla legge di conversione 30 giugno 2016, n. 119. 8 Lettera così modificata dalla legge di conversione 30 giugno 2016, n. 119. 9 Lettera così modificata dalla legge di conversione 30 giugno 2016, n. 119. 10 Comma inserito dalla legge di conversione 30 giugno 2016, n. 119. 7

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Legislazione

7-ter. Se il titolo non dispone diversamente, il datore della garanzia deve consegnare il bene mobile oggetto del pegno al creditore entro quindici giorni dalla notificazione dell’intimazione di cui al comma 7. Se la consegna non ha luogo nel termine stabilito, il creditore può fare istanza, anche verbale, all’ufficiale giudiziario perché proceda, anche non munito di titolo esecutivo e di precetto, a norma delle disposizioni di cui al libro terzo, titolo III, del codice di procedura civile, in quanto compatibili. A tal fine, il creditore presenta copia della nota di iscrizione del pegno nel registro di cui al comma 4 e dell’intimazione notificata ai sensi del comma 7. L’ufficiale giudiziario, ove non sia di immediata identificazione, si avvale su istanza del creditore e con spese liquidate dall’ufficiale giudiziario e anticipate dal creditore e comunque a carico del medesimo, di un esperto stimatore o di un commercialista da lui scelto, per la corretta individuazione, anche mediante esame delle scritture contabili, del bene mobile oggetto del pegno, tenendo conto delle eventuali operazioni di trasformazione o di alienazione poste in essere a norma del comma 2. Quando risulta che il pegno si è trasferito sul corrispettivo ricavato dall’alienazione del bene, l’ufficiale giudiziario ricerca, mediante esame delle scritture contabili ovvero a norma dell’articolo 492-bis del codice di procedura civile, i crediti del datore della garanzia, nei limiti della somma garantita ai sensi del comma 2. I crediti rinvenuti a norma del periodo precedente sono riscossi dal creditore in forza del contratto di pegno e del verbale delle operazioni di ricerca redatto dall’ufficiale giudiziario. Nel caso di cui al presente comma l’autorizzazione del presidente del tribunale di cui all’articolo 492-bis del codice di procedura civile è concessa, su istanza del creditore, verificate l’iscrizione del pegno nel registro di cui al comma 4 e la notificazione dell’intimazione11. 7-quater. Quando il bene o il credito già oggetto del pegno iscritto ai sensi del comma 4 sia sottoposto ad esecuzione forzata per espropriazione, il giudice dell’esecuzione, su istanza del creditore, lo autorizza all’escussione del pegno, stabilendo con proprio decreto il tempo e le modalità dell’escussione a norma del comma 7. L’eventuale eccedenza è corrisposta in favore della procedura esecutiva, fatti salvi i crediti degli aventi diritto a prelazione anteriore a quella del creditore istante12. 8. In caso di fallimento del debitore il creditore può procedere a norma del comma 7 solo dopo che il suo credito è stato ammesso al passivo con prelazione. 9. Entro tre mesi dalla comunicazione di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 7, il debitore può agire in giudizio per il risarcimento del danno quando l’escussione è avvenuta in violazione dei criteri e delle modalità di cui alle predette lettere a), b), c) e d) e non corrispondono ai valori correnti di mercato il prezzo della vendita, il corrispettivo della cessione, il corrispettivo della locazione ovvero il valore comunicato a norma della disposizione di cui alla lettera d)13.

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Comma inserito dalla legge di conversione 30 giugno 2016, n. 119. Comma inserito dalla legge di conversione 30 giugno 2016, n. 119. 13 Comma così modificato dalla legge di conversione 30 giugno 2016, n. 119. 12

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10. Agli effetti di cui agli articoli 66 e 67 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 il pegno non possessorio è equiparato al pegno. 10-bis. Per quanto non previsto dal presente articolo, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al libro sesto, titolo III, capo III, del codice civile14. Art. 2 Finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato 1. Al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, dopo l’articolo 48 è aggiunto il seguente articolo: «Art. 48-bis (Finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato). - 1. Il contratto di finanziamento concluso tra un imprenditore e una banca o altro soggetto autorizzato a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico ai sensi dell’articolo 106 può essere garantito dal trasferimento, in favore del creditore o di una società dallo stesso controllata o al medesimo collegata ai sensi delle vigenti disposizioni di legge e autorizzata ad acquistare, detenere, gestire e trasferire diritti reali immobiliari, della proprietà di un immobile o di un altro diritto immobiliare dell’imprenditore o di un terzo, sospensivamente condizionato all’inadempimento del debitore a norma del comma 5. La nota di trascrizione del trasferimento sospensivamente condizionato di cui al presente comma deve indicare gli elementi di cui all’articolo 2839, secondo comma, numeri 4), 5) e 6), del codice civile. 2. In caso di inadempimento, il creditore ha diritto di avvalersi degli effetti del patto di cui al comma 1, purché al proprietario sia corrisposta l’eventuale differenza tra il valore di stima del diritto e l’ammontare del debito inadempiuto e delle spese di trasferimento. 3. Il trasferimento non può essere convenuto in relazione a immobili adibiti ad abitazione principale del proprietario, del coniuge o di suoi parenti e affini entro il terzo grado. 4. Il patto di cui al comma 1 può essere stipulato al momento della conclusione del contratto di finanziamento o, anche per i contratti in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, per atto notarile, in sede di successiva modificazione delle condizioni contrattuali. Qualora il finanziamento sia già garantito da ipoteca, il trasferimento sospensivamente condizionato all’inadempimento, una volta trascritto, prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite successivamente all’iscrizione ipotecaria. Fatti salvi gli effetti dell’aggiudicazione, anche provvisoria, e dell’assegnazione, la disposizione di cui al periodo precedente si applica anche quando l’immobile è stato sottoposto ad espropriazione forzata in forza di pignora-

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Comma aggiunto dalla legge di conversione 30 giugno 2016, n. 119.

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mento trascritto prima della trascrizione del patto di cui al comma 1 ma successivamente all’iscrizione dell’ipoteca; in tal caso, si applica il comma 10. 5. Per gli effetti del presente articolo, si ha inadempimento quando il mancato pagamento si protrae per oltre nove mesi dalla scadenza di almeno tre rate, anche non consecutive, nel caso di obbligo di rimborso a rate mensili; o per oltre nove mesi dalla scadenza anche di una sola rata, quando il debitore è tenuto al rimborso rateale secondo termini di scadenza superiori al periodo mensile; ovvero, per oltre nove mesi, quando non è prevista la restituzione mediante pagamenti da effettuarsi in via rateale, dalla scadenza del rimborso previsto nel contratto di finanziamento. Qualora alla data di scadenza della prima delle rate, anche non mensili, non pagate di cui al primo periodo il debitore abbia già rimborsato il finanziamento ricevuto in misura almeno pari all’85 per cento della quota capitale, il periodo di inadempimento di cui al medesimo primo periodo è elevato da nove a dodici mesi. Al verificarsi dell’inadempimento di cui al presente comma, il creditore è tenuto a notificare al debitore e, se diverso, al titolare del diritto reale immobiliare, nonché a coloro che hanno diritti derivanti da titolo iscritto o trascritto sull’immobile una dichiarazione di volersi avvalere degli effetti del patto di cui al medesimo comma, secondo quanto previsto dal presente articolo, precisando l’ammontare del credito per cui procede. 6. Decorsi sessanta giorni dalla notificazione della dichiarazione di cui al comma 5, il creditore chiede al presidente del tribunale del luogo nel quale si trova l’immobile la nomina di un perito per la stima, con relazione giurata, del diritto reale immobiliare oggetto del patto di cui al comma 1. Il perito procede in conformità ai criteri di cui all’articolo 568 del codice di procedura civile. Non può procedersi alla nomina di un perito per il quale ricorre una delle condizioni di cui all’articolo 51 del codice di procedura civile. Si applica l’articolo 1349, primo comma, del codice civile. Entro sessanta giorni dalla nomina, il perito comunica, ove possibile a mezzo di posta elettronica certificata, la relazione giurata di stima al debitore, e, se diverso, al titolare del diritto reale immobiliare, al creditore nonché a coloro che hanno diritti derivanti da titolo iscritto o trascritto sull’immobile. I destinatari della comunicazione di cui al periodo precedente possono, entro dieci giorni dalla medesima comunicazione, inviare note al perito; in tal caso il perito, entro i successivi dieci giorni, effettua una nuova comunicazione della relazione rendendo gli eventuali chiarimenti. 7. Qualora il debitore contesti la stima, il creditore ha comunque diritto di avvalersi degli effetti del patto di cui al comma 1 e l’eventuale fondatezza della contestazione incide sulla differenza da versare al titolare del diritto reale immobiliare. 8. La condizione sospensiva di inadempimento, verificatisi i presupposti di cui al comma 5, si considera avverata al momento della comunicazione al creditore del valore di stima di cui al comma 6 ovvero al momento dell’avvenuto versamento all’imprenditore della differenza di cui al comma 2, qualora il valore di stima sia superiore all’ammontare del debito inadempiuto, comprensivo di tutte le spese ed i costi del trasferimento. Il contratto di finanziamento o la sua modificazione a norma del comma 4 contiene l’espressa previsione di un apposito conto corrente bancario senza spese, intestato al titolare del

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D.l. 3 maggio 2016, n. 59

diritto reale immobiliare, sul quale il creditore deve accreditare l’importo pari alla differenza tra il valore di stima e l’ammontare del debito inadempiuto. 9. Ai fini pubblicitari connessi all’annotazione di cancellazione della condizione sospensiva ai sensi dell’articolo 2668, terzo comma, del codice civile, il creditore, anche unilateralmente, rende nell’atto notarile di avveramento della condizione una dichiarazione, a norma dell’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con cui attesta l’inadempimento del debitore a norma del comma 5, producendo altresì estratto autentico delle scritture contabili di cui all’articolo 2214 del codice civile. 10. Può farsi luogo al trasferimento a norma del presente articolo anche quando il diritto reale immobiliare già oggetto del patto di cui al comma 1 sia sottoposto ad esecuzione forzata per espropriazione. In tal caso l’accertamento dell’inadempimento del debitore è compiuto, su istanza del creditore, dal giudice dell’esecuzione e il valore di stima è determinato dall’esperto nominato dallo stesso giudice. Il giudice dell’esecuzione provvede all’accertamento dell’inadempimento con ordinanza, fissando il termine entro il quale il creditore deve versare una somma non inferiore alle spese di esecuzione e, ove vi siano, ai crediti aventi diritto di prelazione anteriore a quello dell’istante ovvero pari all’eventuale differenza tra il valore di stima del bene e l’ammontare del debito inadempiuto. Avvenuto il versamento, il giudice dell’esecuzione, con decreto, dà atto dell’avveramento della condizione. Il decreto è annotato ai fini della cancellazione della condizione, a norma dell’articolo 2668 del codice civile. Alla distribuzione della somma ricavata si provvede in conformità alle disposizioni di cui al libro terzo, titolo II, capo IV del codice di procedura civile. 11. Il comma 10 si applica, in quanto compatibile, anche quando il diritto reale immobiliare è sottoposto ad esecuzione a norma delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. 12. Quando, dopo la trascrizione del patto di cui al comma 1, sopravviene il fallimento del titolare del diritto reale immobiliare, il creditore, se è stato ammesso al passivo, può fare istanza al giudice delegato perché, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, provveda a norma del comma 10, in quanto compatibile. 13 Entro trenta giorni dall’estinzione dell’obbligazione garantita il creditore provvede, mediante atto notarile, a dare pubblicità nei registri immobiliari del mancato definitivo avveramento della condizione sospensiva. 13-bis. Ai fini del concorso tra i creditori, il patto a scopo di garanzia di cui al comma 1 è equiparato all’ipoteca. 13-ter. La trascrizione del patto di cui al comma 1 produce gli effetti di cui all’articolo 2855 del codice civile, avendo riguardo, in luogo del pignoramento, alla notificazione della dichiarazione di cui al comma 515. (Omissis)

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Articolo così modificato dalla legge di conversione 30 giugno 2016, n. 119.

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Note minime su pegno mobiliare non possessorio e patto marciano nel quadro delle procedure concorsuali* 1. Le due figure del pegno mobiliare non possessorio e del patto marciano, introdotte dal d.l. n. 59/2016, convertito dalla l. n. 119/2016, presentano molti profili di affinità. Esse infatti: - rispondono ad una identica ratio; - hanno sostanzialmente uno stesso ambito soggettivo ex latere debitoris; - prospettano taluni connotati strutturali analoghi. Conseguentemente, anche il loro trattamento in sede concorsuale, e specificamente in sede fallimentare, è largamente affine. 2. Le due figure vengono in considerazione in sede fallimentare sotto due aspetti: - quello della realizzazione, nel concorso, della garanzia; - quello della revocabilità. A. Cominciamo dal primo aspetto, esaminando innanzi tutto la disciplina dettata per il pegno non possessorio. a. Ricordiamo che, ai sensi del co. 7 dell’art. 1 della l. n. 119/2016, al verificarsi di un evento che determina l’escussione del pegno, il creditore – previa intimazione e avviso – ha facoltà di procedere: - alla vendita dei beni oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del credito fino a concorrenza della somma garantita; - alla escussione dei crediti oggetto di pegno, anche qui fino a concorrenza della somma garantita; - se previsto nel contratto di pegno iscritto, alla locazione del bene oppure all’appropriazione dei beni oggetto del pegno. Orbene, ai sensi del co. 8, in caso di fallimento del debitore il creditore può procedere a norma del co. 7 solo dopo che il suo credito è stato ammesso al passivo. Quindi, una volta chiesta ed ottenuta l’ammissione al passivo, il creditore può direttamente provvedere alla realizzazione della garanzia pignoratizia senza vincoli di sorta, se non quelli posti dal contratto di pegno e quello costituito dalla necessità di riservare alla procedura l’eccedenza del ricavato rispetto all’ammontare del credito.

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Intervento alla tavola rotonda su Le garanzie: pegno non possessorio e patto marciano. Una rottura con il passato?, tenutasi nell’ambito del Convegno di Alba del 19 novembre 2016.

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Si tratta di una forma di autotutela esecutiva portata all’estremo limite, la quale differisce sia da quella prevista dal diritto concorsuale comune, cioè dall’art. 53 l. fall., secondo cui il creditore pignoratizio deve essere autorizzato alla vendita extraconcorsuale dal giudice delegato, sia da quella contemplata dal co. 7-quater dello stesso art. 1, il quale, con riferimento alla esecuzione forzata, stabilisce – analogamente appunto all’art. 53 l. fall. – che su istanza del creditore il giudice dell’esecuzione debba autorizzare all’escussione del pegno, stabilendo anche il tempo e le modalità dell’escussione medesima. Né è dato capire il perché di queste difformità e soprattutto della seconda. Tanto più considerando la diversa soluzione adottata, come si vedrà, nella stessa legge a proposito del patto marciano. Quel che appare sicuro, comunque, è che quanto il creditore ricava dall’escussione viene da esso incassato in via direttamente satisfattiva. Il che potrebbe, sul piano sistematico, essere utilizzato a conforto della tesi secondo cui anche la disposizione dell’art. 53 l. fall. debba intendersi nel senso di consentire ai creditori da essa contemplati una soddisfazione diretta al di fuori dei riparti. Un’ultima notazione: la disposizione che stiamo esaminando parla espressamente di fallimento del debitore. Ma che succede nell’ipotesi del fallimento del terzo datore di pegno? Con riferimento all’art. 53, si discute se le facoltà da esso concesse al creditore competano anche quando la prelazione si riferisce al debito di un terzo. Trattandosi di norma costituente eccezione alle regole concorsuali, dovrebbe ritenersi di stretta interpretazione; e lo stesso dovrebbe dirsi con riguardo alla norma che qui interessa. b. Passiamo al patto marciano. Anche qui la legge (il nuovo art. 48bis t.u.b.) prende espressamente in considerazione l’ipotesi del fallimento, stabilendo al co. 12 che «quando dopo la trascrizione del patto … interviene il fallimento del titolare del diritto reale immobiliare [oggetto del patto] il creditore, se è stato ammesso al passivo, può fare istanza al g.d. perché, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, provveda a norma del co. 10, in quanto compatibile». Il co. 10, a sua volta, stabilisce che quando il diritto reale immobiliare oggetto del patto sia sottoposto ad esecuzione forzata, il giudice dell’esecuzione su istanza del creditore provvede all’accertamento dell’inadempimento del debitore, nomina un esperto per determinare il valore di stima e stabilisce i termini per il versamento dell’eventuale differenza tra il valore di stima del bene e l’ammontare del debito inadempiuto. Avvenuto il versamento, il giudice dell’esecuzione dà atto dell’avveramento della condizione, al quale consegue il trasferimento del diritto reale immobiliare oggetto del patto.

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Nel caso di fallimento, dunque, i diversi passaggi di cui al co. 10 sono di competenza del giudice delegato, che deve provvedere su istanza del creditore. Qui è chiara la “vicinanza” con l’art. 53 l. fall., vuoi per ciò che concerne la necessità della ammissione al passivo vuoi per ciò che concerne la necessità dell’autorizzazione del g.d. Naturalmente – come è anche nell’art. 53 l. fall. – il creditore potrà scegliere di non avvalersi della speciale autotutela e di lasciare che la procedura abbia il suo corso ed il suo esito normale, che consentirà pur sempre il suo soddisfacimento in quanto creditore privilegiato: ricordiamo, a tale proposito, che in base al co. 13-bis, ai fini del concorso tra i creditori, il patto marciano è espressamente equiparato all’ipoteca. Va tenuto presente, a quest’ultimo riguardo, che non sempre il creditore può avvalersi della speciale autotutela esecutiva. L’avveramento della condizione presuppone l’accertamento dell’inadempimento del debitore: non però di un inadempimento qualsiasi, ma dell’inadempimento qualificato di cui al co. 5 (mancato pagamento per oltre nove mesi dalla scadenza di almeno tre rate, ecc.). Tutto allora dipende dal fatto che, al momento della dichiarazione di fallimento, si sia già prodotto o no l’inadempimento qualificato. Se sì, il creditore può scegliere se avvalersi del patto marciano o “accontentarsi” del suo grado di creditore ipotecario; se no, avrà solo quest’ultima alternativa. B. Veniamo al secondo aspetto, quello della revocabilità, considerando innanzi tutto, anche qui, il pegno non possessorio. a. Il co. 10 dell’art. 1 stabilisce espressamente che «agli effetti di cui agli art. 66 e 67 della l. fall. il pegno non possessorio è equiparato al pegno». Da ciò si desume che il pegno non possessorio è integralmente soggetto alla disciplina della revocatoria sia ordinaria sia fallimentare, compresa la disciplina esonerativa di cui al co. 3 dell’art. 67. Aggiungerei che dovrebbe ritenersi soggetto anche alla disciplina della revocatoria aggravata di cui all’art. 69 l. fall., nonché, nell’ipotesi di concessione del pegno per crediti anteriori, certamente ammissibile nonostante il silenzio sul punto della legge, a quella dell’art. 64 l. fall., ove si accolga l’idea che la costituzione di una garanzia non contestuale a cui non corrisponda un qualche vantaggio per il debitore dovrebbe essere qualificata come atto a titolo gratuito. La disciplina che stiamo esaminando non contiene disposizioni particolari per il caso in cui il pegno non possessorio abbia in concreto connotati di rotatività per effetto della trasformazione o dell’alienazione dei beni che ne costituiscano l’oggetto. Si tende però a ritenere – ed è opinione certamente condivisibile – che in quel caso possano trovare applicazione le regole positivamente poste dal d.lgs. n. 170/2004 per i

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contratti di garanzia finanziaria e, in particolare, l’art. 9 di tale decreto, per il quale, agli effetti degli art. 66 e 67 l. fall., la prestazione di una garanzia sulla base di una clausola di sostituzione non comporta costituzione di una nuova garanzia e si considera effettuata alla data della prestazione della garanzia originaria, con tutto ciò che allora ne consegue in termini di “collocazione” temporale della garanzia in relazione al periodo sospetto. b. Non vi è alcuna norma che disciplini la revocabilità del patto marciano. Non si dovrebbe avere dubbi, comunque, al riguardo: anche il patto marciano è quindi da ritenere integralmente soggetto alla disciplina della revocatoria sia ordinaria, sia fallimentare negli stessi termini visti prima a proposito del pegno non possessorio. Va sottolineato che, questa volta per espressa previsione della legge, anche il patto marciano può essere stipulato successivamente alla concessione del finanziamento: di qui la tranquilla applicabilità, se del caso, dei n. 3 e 4 dell’art. 67 co. 1 (nonché, eventualmente, dell’art. 64 nel quadro di quell’orientamento di cui si è detto prima a proposito del pegno non possessorio). 3. Un rapido accenno all’ipotesi che il debitore sia ammesso ad una procedura di concordato preventivo. In questo caso, non dovrebbero porsi problemi particolari: da un lato, l’espressa assimilazione delle due nuove figure rispettivamente all’ipoteca ed al pegno consentirà la tranquilla applicazione delle relative regole; dall’altro, in mancanza di norme specifiche sul punto, i meccanismi di autotutela esecutiva che caratterizzano le due figure non potranno scattare in pendenza della procedura, ai sensi e per effetto dell’art. 168 l. fall. 4. Due notazioni conclusive. a. La prima notazione. Il disegno di legge delega in materia di riforma organica delle discipline della crisi e dell’insolvenza attualmente pendente avanti la Camera dei Deputati contiene esplicite previsioni in ordine all’introduzione nel nostro ordinamento delle due figure fin qui esaminate. È singolare però che in quello stesso disegno di legge si contempli fra le linee guida, da un lato, la riduzione dei privilegi e dall’altro, ancor più specificamente, l’esclusione della operatività – nella liquidazione giudiziale (cioè nell’attuale fallimento) – di esecuzioni speciali. E ciò sia per assicurare la maggiore possibile efficienza delle procedure concorsuali e sia, in particolare, per ampliare le possibilità di soddisfacimento dei creditori chirografari.

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Il contrasto non potrebbe essere più netto ed evidente. Il che però non sorprende più di tanto: il nostro legislatore ormai ci ha abituato a simili “storture”, frutto di incertezza di idee, quando non di vera e propria confusione. b. La seconda notazione riguarda specificamente il pegno mobiliare non possessorio. Ed è che l’autotutela esecutiva assicurata dalla nuova forma di garanzia e “resistente” anche all’apertura di una procedura concorsuale liquidativa potrebbe tradursi in un pesante ostacolo alle soluzioni delle crisi imperniate sulla continuazione dell’impresa: penso, ovviamente, all’affitto o alla vendita dell’azienda.

Alessandro Nigro

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DOCUMENTI E INFORMAZIONI

La nuova disciplina delle sanzioni della Banca d’Italia e della Consob Con il d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, di recepimento della direttiva 26 giugno 2013 2013/36/UE sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (c.d. CRD IV), è stata – fra l’altro – interamente ridisegnata la disciplina delle sanzioni amministrative di competenza della Banca d’Italia e della Consob, praticamente riscrivendo le disposizioni in materia contenute rispettivamente nel t.u.b. (art. 144 ss.) e nel t.u.f. (art. 187-bis ss.; art. 190 ss.). E così, in particolare: - sono state ridelineate le fattispecie sanzionatorie, anche per tenere conto dei nuovi assetti della vigilanza nei due settori interessati; - è stata ridefinita l’area dei destinatari delle sanzioni (si tornerà appresso sul punto); - sono stati vistosamente aumentati gli importi delle sanzioni pecuniarie (per le sanzioni nei confronti di società o enti si può oggi arrivare sino al 10% del fatturato; per le sanzioni nei confronti di persone fisiche si può arrivare oggi fino a 5 milioni di euro); - si è prevista, nel caso di violazioni connotate da scarsa offensività e pericolosità, la possibilità per l’A.V. di ordinare, in alternativa alla sanzione pecuniaria, di porre termine alle violazioni medesime (art. 144-bis t.u.b.; art. 194-quater t.u.f.); - si è prevista la possibilità per l’A.V., nel caso di sanzioni pecuniarie nei confronti di amministratori, sindaci ecc., di applicare anche la sanzione accessoria dell’interdizione per un certo periodo dallo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione, ecc. presso intermediari autorizzati (art. 144-ter, co. 3, t.u.b.; art. 190-bis, co. 3, t.u.f.); - si sono introdotti specifici parametri per la quantificazione, nei casi concreti, delle sanzioni: gravità e durata della violazione, grado di responsabilità, capacità finanziaria del responsabile, ecc. (art. 144-quater t.u.b.; art 194-bis t.u.f.); - si è ridisciplinata la procedura sanzionatoria, sia quanto alla fase dinanzi all’A.V. – rispetto alla quale sono stati ribaditi i principi, già sanciti dalla legge del 2005, del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori, della verbalizzazione e della distinzione fra funzioni istruttorie e funzioni decisorie – sia

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quanto alla fase giurisdizionale avanti, rispettivamente, la Corte d’appello di Roma, per le sanzioni ex t.ub., e le Corti d’appello territoriali, per le sanzioni ex t.u.f. – rispetto alla quale sono state introdotte nuove regole in punto di svolgimento del processo, imperniato oggi su di un’udienza pubblica di discussione, e di contenuto della sentenza che tale processo definisce (art. 145, co. 4 ss., t.u.b.; art. 195, co. 4 ss., t.u.f.); - si è demandata alla A.V. l’emanazione di disposizioni di attuazione delle nuove normative (art. 145-quater t.u.b.; art. 196-bis t.u.f.). *********** Di tutte le novità fin qui sommariamente indicate quella più rilevante sembrerebbe poter essere considerata la ridefinizione dell’area dei destinatari delle sanzioni. Nella normativa previgente, le sanzioni avevano come destinatari tendenzialmente solo le persone fisiche “esponenti” degli intermediari alle quali fossero imputabili le violazioni, gli intermediari essendo tendenzialmente soltanto obbligati in solido al pagamento delle sanzioni, con obbligo di rivalsa nei confronti degli “esponenti”. Nella nuova normativa, le sanzioni colpiscono direttamente le società o enti nei cui confronti siano accertate le violazioni, da chiunque poi siano state concretamente commesse, prevedendosi, in aggiunta, sanzioni nei confronti degli “esponenti” solo quando la violazione accertata nei confronti dell’intermediario sia conseguenza della violazione di doveri propri di quegli “esponenti” e ricorrano una o più di certe condizioni, espressamente indicate dalla legge, quali per esempio l’avere la condotta dell’esponente inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione o sui profili di rischio aziendali (art. 144-ter, co. 1, t.u.b.; art. 190-bis, co. 1, t.u.f.). Si tratta di un mutamento radicale dell’impostazione stessa del sistema sanzionatorio, che, certamente, come è stato notato (Assonime, Il regime delle sanzioni nel decreto di recepimento della CRD - IV, Circolare n. 20/2016, in Riv. soc., 2016, 1178), risponde all’esigenza di accelerare e rendere più snello il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni, incidendo così tanto sulla efficacia quanto sulla effettività del realtivo regime, ma che, a chi scrive, pare potersi leggere anche e proprio quale ulteriore momento di emersione del ruolo oggi rivestito dalla adeguatezza degli assetti organizzativi latamente intesi, nell’ambito della disciplina dell’impresa societaria in genere e di quella operante nel mercato finanziario in specie. La circostanza emerge con particolare evidenza quando si abbia riguardo al regime sanzionatorio introdotto dal d. l.gs. n. 72/2015 nel t.u.b. E ciò in relazione tanto alle fattispecie di illecito sanzionate, quanto alle condizioni alle quali è prevista una sanzione anche a carico dei componenti degli organi di amministrazione, direzione e controllo e del personale dell’ente nei confronti del quale l’illecito è stato accertato. Sul primo versante, basterà notare che mentre le violazioni aventi ad oggetto prescrizioni di portata organizzativa sono sanzionate in ogni caso (art. 144, co. 1, lett. a), t.u.b.), ossia a prescindere da qualsiasi altra condizione, come si

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La nuova disciplina delle sanzioni della Banca d’Italia e della Consob

è già ricordato, essendo al più consentito alla Banca d’Italia, in presenza di violazioni connotate da scarsa offensività o pericolosità, di adottare, in luogo della sanzione amministrativa pecuniaria, la già citata misura dell’ordine di eliminazione delle infrazioni (art. 144-bis t.u.b.), le violazioni relative ad obblighi di comportamento sono sanzionate solo quando assumono carattere rilevante sulla base di quanto stabilito dalla Banca d’Italia «tenuto conto dell’incidenza delle condotte sulla complessiva organizzazione e sui profili di rischio aziendali» (art. 144, co. 8, t.u.b.). Il che rende chiaro che ci troviamo di fronte ad un apparato sanzionatorio con il quale si intende reagire a mancanze di ordine organizzativo o che comunque generano conseguenze sul piano della adeguatezza degli assetti aziendali. Sul secondo versante, invece, va rilevato che la sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti degli esponenti aziendali, alla quale nei casi più gravi può conseguire l’interdizione temporanea, per un verso, è contemplata solo in relazione alle citate violazioni aventi ad oggetto prescrizioni di portata organizzativa (art. 144-ter, co. 1, t.u.b.) e, per altro verso, è condizionata, oltre che alla compartecipazione causale dell’esponente (ovvero dell’organo cui lo stesso appartiene) all’inadempimento accertato nei confronti dell’ente, al ricorrere di una o più di tre specifiche condizioni, tutte – ancora una volta – accomunate dalla incidenza sul piano organizzativo della condotta dell’esponente aziendale interessato. Ed infatti, questa chiave di lettura, che all’evidenza si attaglia alla già citata condizione rappresentata dalla rilevante incidenza della condotta dell’esponente sulla complessiva organizzazione o sui profili di rischio aziendali (art. 144-ter, co. 1, lett. a), t.u.b.), serve altresì a spiegare tanto la condizione rappresentata dall’avere la condotta dell’esponente contribuito all’inottemperanza dell’ente a provvedimenti specifici dell’A.V. aventi ad oggetto il governo societario, l’adeguatezza patrimoniale, il contenimento del rischio, l’organizzazione amministrativa e contabile, nonché i controlli interni e i sistemi di remunerazione e incentivazione (art. 144-ter, co. 1, lett. b), t.u.b.), quanto la condizione rappresentata dall’avere le violazioni imputabili all’esponente o all’organo di appartenenza riguardato gli obblighi imposti a garanzia della professionalità, onorabilità, indipendenza e competenza degli esponenti aziendali, quelli finalizzati a neutralizzare i rischi connessi ai conflitti di interesse dei medesimi o quelli previsti in materia di remunerazione e incentivazione (art. 144-ter, co. 1, lett. c), t.u.b.). Ciò detto, va poi pure rilevato che la ridefinizione dell’area dei destinatari delle sanzioni amministrative contemplate da t.u.b. e t.u.f., la quale – è il caso di notare – non attenua per nulla la preesistente contiguità del sistema sanzionatorio amministrativo con il sistema repressivo penale, proprio avendo riguardo alla ratio che si è appena individuata, è idonea a generare implicazioni anche sul piano della responsabilità civile – segnatamente di quella nei confronti dell’ente – dei componenti degli organi di amministrazione, direzione e controllo. A prescindere dalla diretta sanzionabilità sul piano amministrativo degli esponenti aziendali, infatti, la circostanza che, come si è visto, l’irrogazione di una

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sanzione amministrativa a carico dell’ente presuppone in un gran numero di casi un difetto di ordine organizzativo, potrebbe indurre l’ente sanzionato a far valere sul piano civilistico l’inadempimento dei propri organi agli obblighi relativi all’adeguatezza degli assetti aziendali previsti in via generale dal diritto societario comune (alla luce del combinato disposto degli artt. 2381, co. 3 e 2403 c.c.), dei quali in definitiva le prescrizioni di portata organizzativa contemplate dalla legislazione di settore – ed oggi poste al centro del relativo sistema delle sanzioni amministrative – rappresentano ad un tempo una specificazione ed un adattamento. *********** In esecuzione della “delega” di cui al d.lsl. n. 72/2015, sia la Banca d’Italia sia la Consob hanno emanato disposizioni di attuazione della nuova normativa: la prima, modificando le disposizioni in materia adottate con provvedimento del 18 dicembre 2012; la seconda, modificando il regolamento generale sui procedimenti sanzionatori adottato con delibera 19 dicembre 2013. Fra le diverse novità della disciplina regolamentare merita di essere segnalata la definitiva consacrazione della regola secondo la quale la proposta sanzionatoria da parte dell’ufficio con funzioni istruttorie all’organo con funzioni decisorie, con cui si chiude la fase appunto istruttoria, deve essere formalmente comunicata ai destinatari delle sanzioni (o, quanto meno, a quelli che abbiano partecipato all’istruttoria, in particolare presentando controdeduzioni alle contestazioni), ai quali deve essere anche consentito di poter presentare all’organo con funzioni decisorie osservazioni scritte sulla proposta medesima. Una regola direttamente estraibile dai principi generali sopra ricordati (quello del contraddittorio, della piena conoscenza degli atti istruttori, ecc.), che aveva trovato conforto nella giurisprudenza della Corte EDU (v. in particolare la notissima sentenza 4 marzo 2014, resa nel caso Grande Stevens, in Dir. banc., 2015, I, 439, con nota redazionale), ma che la giurisprudenza della nostra Suprema Corte si era finora – tenacemente quanto irragionevolmente – rifiutata di riconoscere (v. Cass., 10 marzo 2016, n. 1725 e 24 febbraio 206, n. 3656, entrambe in Dir. banc., 2016, I, 529, con nota di Amorosino, Principi del giusto procedimento, procedure sanzionatorie di Consob e Banca d’Italia e giurisprudenza riduzionista della Cassazione). Con l’entrata in vigore dei nuovi testi regolamentari (che pubblichiamo di seguito: I e II) entrano altresì in vigore le modifiche di cui si è detto prima al tit. VI del t.u.b. e alla parte V del t.u.f. introdotte dal d. lgs. n. 72/2015 (art. 2, co. 3, e art. 6, co. 2, di quel decreto). Le nuove normative prospettano molti e delicati nodi problematici. a) Taluni sono antichi. E fra questi spicca quello relativo al mantenimento del tradizionale rimedio giustiziale contro le sanzioni amministrative nel settore che qui ne occupa (risalente, come si sa, alla legge bancaria del 1936-1938), costituito da un giudizio di opposizione in unico grado davanti alla Corte d’appello e secondo un rito che, nonostante i recentissimi ritocchi di cui si è prima detto, resta pur sempre un rito sommario.

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La nuova disciplina delle sanzioni della Banca d’Italia e della Consob

Sono note le vicende che hanno interessato il particolare quanto delicato profilo della tutela giurisdizionale nei confronti dei provvedimenti sanzionatori della Banca d’Italia e della Consob e che hanno innescato quello che era stato giustamente definito come il “balletto” delle giurisdizioni. Il codice del processo amministrativo del 2010, nel tentativo di riordinare secondo un disegno omogeneo la competenza giurisdizionale in materia, aveva attribuito anche e proprio le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti sanzionatori delle c.d. Autorità indipendenti, fra le quali erano espressamente indicate la Banca d’Italia e la Consob, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 133, lett. l), estendendola al merito (art. 134, lett. c) e devolvendo anche le medesime alla competenza funzionale del TAR del Lazio (art. 135, lett. c); con conseguente abrogazione delle previgenti norme del t.u.b. e del t.u.f. che attribuivano rispettivamente alla Corte d’appello di Roma ed alle Corti territoriali la cognizione delle opposizioni alle sanzioni previste dall’uno o dall’altro. Questa normativa ha avuto vita breve: infatti, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, delle disposizioni in questione, sia (con la sentenza 27 giugno 2012, n. 162, in Dir. banc., 2012, I, 729) nella parte concernente le sanzioni Consob, sia (con la sentenza 15 aprile 2014, n. 94, ivi, 2014, I, 307) nella parte concernente le sanzioni Banca d’Italia. Ne è conseguita ovviamente la “reviviscenza” del sistema tradizionale. C’era da augurarsi che, nel quadro del “ridisegno” dell’intera disciplina in materia imposto dalla Direttiva comunitaria, si cogliesse l’occasione per un riordino di tale disciplina anche per l’aspetto che stiamo considerando. Così non è stato ed il sistema tradizionale è stato integralmente conservato. Sono quindi destinati a riemergere i dubbi che tale sistema ha da sempre fatto sorgere, sotto il profilo della sua conformità ai principi costituzionali. Dubbi che, nell’attuale contesto connotato da una sempre maggiore sensibilità verso l’esigenza di assicurare la più ampia possibile tutela giurisdizionale nei confronti dei poteri che incidano gravemente su diritti soggettivi, appaiono sempre più fondati. Perchè se, da un lato, è vero che il doppio grado dei giudizi di merito non trova una diretta protezione costituzionale e che, d’altro parte, i riti sommari nel processo civile non possono considerarsi di per sé inidonei a tutelare posizioni di diritto soggettivo, non è meno vero che le “deviazioni” dal modello normale del processo civile, articolato su due gradi di giudizio e strutturato secondo un rito che consente la piena esplicazione del diritto di difesa delle parti, necessitano di una specifica giustificazione, nel nostro caso tutt’altro che semplice da ritrovare o costruire. E perché, d’altro canto, risulta evidente l’assoluta irrazionalità dell’attuale ripartizione della giurisdizione in materia di sanzioni nel settore finanziario lato sensu inteso. Non si comprende, infatti, perché la giurisdizione in ordine alle sanzioni nel sub settore bacario ed in quello finanziario debba spettare al giudice ordinario (peraltro, non senza qualche singolarissima eccezione: per esempio, in base all’art. 145-bis t.u.b., la tutela giurisdizionale rispetto ai provvedimenti sanzionatori emessi dagli “Organismi” preposti alla tenuta dell’elenco dei confidi, alla tenuta dell’elenco di chi può concedere il c.d. microcredito,

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ecc., spetta al giudice amministrativo), mentre la giurisdizione in ordine alle sanzioni nel sub settore assicurativo debba spettare al giudice amministrativo (art. 326, co. 7, cod. ass.). Così come, del resto, non si comprende perché, quanto alle prime, la competenza debba spettare, per le sanzioni ex t.u.b. alla Corte d’appello di Roma e per le sanzioni ex t.u.f. alle Corti d’appello territoriali. b) Altri nodi problematici sono nuovi. E fra questi spicca quello dell’ambito di applicazione ratione temporis della nuova disciplina. Le nuove normative appaiono, sul punto, chiare. In base, rispettivamente, all’art. 2, co. 3, e all’art. 6, co. 2, d.lgs. n. 72/2015, le modifiche apportate al tit. VIII t.u.b. ed alla parte V t.u.f. si applicano «alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate» dalle due A.V. nell’esercizio delle rispettive competenze; mentre alle «violazioni commesse prima della data di entrata in vigore» di quelle disposizioni continuano ad applicarsi le norme previgenti. Analoga previsione è contenuta sia nel provvedimento della Banca d’Italia sia nel regolamento Consob. Il nodo critico è, però, se queste normative, là dove precludono l’applicazione alle violazioni anteriori di parti della nuova disciplina che risultino più favorevoli ai destinatari rispetto al regime previgente (e tale può considerarsi, in particolare, il nuovo assetto per il quale gli esponenti degli intermediari sono oggi sanzionabili non più direttamente ed esclusivamente ma solo in aggiunta agli intermediari e sussistendo specifiche condizioni) possano essere sospettate di incostituzionalità sotto il profilo della violazione del principio del favor rei, cioè della retroattività delle norme punitive più favorevoli. Si tratta di un tema tanto importante quanto delicato, perché se, per un verso, la Corte costituzionale ha di recente (con la sentenza 20 luglio 2016, n. 193) giudicato infondata la questione di costituzionalità dell’art. 1 della l. n. 689 del 1981, là dove non prevede l’applicazione della legge sopravvenuta più favorevole agli autori degli illeciti amministrativi, per altro verso il principio del favor rei, oltre ad essere ormai saldamente radicato nella giurisprudenza della Corte EDU, rinviene un preciso fondamento costituzionale nel canone dell’uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost., alla luce del quale non sembra dubbio che l’applicazione della disciplina più favorevole sopravvenuta debba considerarsi regola generale immanente nell’ordinamento con riguardo a tutte le sanzioni, sia penali che amministrative. [Vincenzo Caridi]

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I Banca d’Italia – Provvedimento 18 dicembre 2012, come modificato da ultimo in data 3 maggio 2016, reante disposizioni in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa (Omissis) Sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa Sezione I Disposizioni di carattere generale 1. Premessa La disciplina sanzionatoria risponde all’esigenza di censurare il mancato rispetto delle norme poste a presidio della sana e prudente gestione dell’attività bancaria e finanziaria, della correttezza e trasparenza dei comportamenti e della prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo. La disciplina e l’attività sanzionatoria tendono ad assicurare l’effettività delle regole; le sanzioni hanno carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo. Le presenti disposizioni attuano le previsioni legislative che attribuiscono alla Banca d’Italia competenze in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa, come modificate in seguito al recepimento della Direttiva 2013/36/UE (c.d. CRD IV)1. La Direttiva ha dettato, tra l’altro, disposizioni armonizzate relative al regime sanzionatorio, in un’ottica tesa a rafforzarne l’efficacia. In particolare, la Direttiva: prevede l’applicabilità di sanzioni sia nei confronti delle persone fisiche sia nei confronti delle persone giuridiche; fissa i limiti massimi edittali per le sanzioni pecuniarie; affianca alla tradizionale sanzione pecuniaria altre misure di natura non patrimoniale. Nel recepire la Direttiva, il legislatore ha esteso il nuovo regime – per ragioni di omogeneità ed efficienza – a tutte le violazioni e a tutti i soggetti sottoposti dal Testo unico bancario (“t.u.”) e dal Testo unico della finanza (“t.u.f.”) alla potestà sanzionatoria della Banca d’Italia; un regime in parte differenziato continua a trovare applicazione in materia di trasparenza e di antiriciclaggio.

1 Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE.

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La legge prevede l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti delle società o enti e, in presenza di specifici presupposti, delle persone fisiche responsabili delle violazioni; per i casi di maggiore gravità, prevede altresì l’applicazione alle persone fisiche dell’interdizione temporanea dall’assunzione di cariche in intermediari bancari, finanziari, assicurativi o presso fondi pensione. Le presenti disposizioni disciplinano la procedura sanzionatoria amministrativa e ne definiscono gli aspetti di dettaglio in attuazione delle regole stabilite dalla legge. Il Regolamento (UE) n. 1024/20132, che ha istituito il “Meccanismo di Vigilanza Unico” (MVU) operativo dal 4 novembre 2014, prevede l’attribuzione alla Banca Centrale Europea (BCE), tra l’altro, di poteri sanzionatori diretti nei confronti dei soggetti3 “significativi” quando la violazione ha ad oggetto atti giuridici europei direttamente applicabili (regolamenti dell’Unione Europea, regolamenti o decisioni della BCE) e la sanzione da irrogare ha natura pecuniaria. La BCE ha poteri sanzionatori diretti anche nei confronti dei soggetti “meno significativi”, nel caso di violazioni di regolamenti e decisioni della BCE che creano obbligazioni dirette nei confronti di quest’ultima4. In tutti gli altri casi, la sanzione è applicata dall’autorità nazionale. In particolare, nell’ambito dell’MVU, la Banca d’Italia: nel caso di soggetti “significativi”, può intervenire esclusivamente su richiesta della BCE per applicare le sanzioni alle persone fisiche, per sanzionare le violazioni delle norme nazionali (comprese quelle di recepimento delle direttive riferite all’ambito dei compiti di vigilanza della BCE), e/o per applicare misure non pecuniarie. In queste ipotesi la Banca d’Italia può anche interessare la BCE ai fini dell’avvio di una procedura sanzionatoria5;

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Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi. Cfr., altresì, il Regolamento (UE) n. 468/2014 della Banca centrale europea del 16 aprile 2014, che istituisce il quadro di cooperazione nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico tra la Banca centrale europea e le autorità nazionali competenti e con le autorità nazionali designate (c.d. “Framework Regulation” o “Regolamento quadro sull’MVU”). 3 L’art. 2, punto 20, del Regolamento (UE) n. 468/2014 elenca i soggetti sottoposti alla vigilanza nell’ambito dell’MVU, includendovi le banche, le società di partecipazione finanziaria, le società di partecipazione finanziaria miste e le succursali di enti creditizi insediate negli Stati membri partecipanti, nonché, a certe condizioni, le controparti centrali. 4 Cfr. il Regolamento (CE) n. 2532/98 del Consiglio del 23 novembre 1998, come modificato dal Regolamento (UE) n. 2015/159 del Consiglio del 27 gennaio 2015, che prevede i limiti e le condizioni per l’esercizio del potere sanzionatorio da parte della BCE per la violazione degli obblighi previsti dai regolamenti o dalle decisioni dalla stessa adottati. 5 Art. 18, paragrafo 5, del Regolamento (UE) n. 1024/2013 e art. 134, paragrafo 2, del

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- nel caso di soggetti “meno significativi”, può applicare le sanzioni di propria iniziativa; - in ogni caso – indipendentemente dalle dimensioni del soggetto – mantiene la piena potestà sanzionatoria nelle materie che esulano dall’attribuzione dei compiti di vigilanza alla BCE (es. correttezza e trasparenza dei comportamenti, prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo). Le presenti disposizioni si applicano anche alle procedure sanzionatorie avviate dalla Banca d’Italia nell’ambito dell’MVU, secondo quanto previsto dalla Sezione III. La Banca d’Italia accerta le violazioni, conduce l’istruttoria, irroga le sanzioni ovvero comunica agli interessati di non avere dato seguito alla procedura sanzionatoria avviata nei loro confronti. La disciplina e l’attività sanzionatoria sono ispirate a un approccio: - dissuasivo, tale da scoraggiare la violazione delle regole e la reiterazione del comportamento anomalo; - proporzionale, al fine di graduare l’intervento sanzionatorio in relazione a ogni circostanza rilevante; - oggettivo, per assicurare omogeneità di giudizio nella concreta valutazione delle diverse fattispecie; - trasparente, nei confronti dei soggetti interessati.

2. Fonti normative La materia è disciplinata dai seguenti articoli del t.u. (d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385): - art. 133, che prevede l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie in materia di abuso di denominazione; - artt. 139 e 140, che prevedono l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie per la violazione delle disposizioni in materia di partecipazioni; - art. 144, che indica le norme del medesimo t.u. la cui violazione – estesa anche alle relative disposizioni generali o particolari impartite dalle autorità creditizie – determina l’applicabilità di sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti delle società o degli enti, nonché gli importi minimi e massimi delle sanzioni medesime; - art. 144-bis, che prevede, per le violazioni connotate da scarsa offensività o pericolosità, la possibilità di applicare alla società o agli enti un ordine volto a eliminare le infrazioni, quale sanzione alternativa a quella pecuniaria, e stabilisce che, in caso di inadempimento dell’ordine entro il termine fissato dalla

Regolamento (UE) n. 468/2014.

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Banca d’Italia, si applichi una sanzione pecuniaria più elevata rispetto all’importo previsto per la violazione originaria; - art. 144-ter, che indica i presupposti in presenza dei quali le violazioni commesse determinano l’applicabilità di sanzioni amministrative pecuniarie e della sanzione amministrativa accessoria dell’interdizione temporanea dall’esercizio di funzioni presso intermediari nei confronti degli esponenti e del personale dei soggetti indicati nell’art. 144, indicando gli importi minimi e massimi e la durata delle sanzioni medesime; - art. 144-quater, che elenca i criteri per la determinazione dell’ammontare delle sanzioni amministrative pecuniarie e della durata delle sanzioni accessorie; - art. 144-quinquies, che estende la disciplina delle sanzioni prevista dal t.u. alle violazioni delle disposizioni dell’Unione europea direttamente applicabili (regolamento UE n. 575/2013 e relative norme tecniche di regolamentazione e di attuazione emanate dalla Commissione Europea, o atti dell’EBA direttamente applicabili ai sensi del regolamento UE n. 1093/2010), nelle stesse materie a cui si riferiscono le disposizioni richiamate agli articoli 139, 140, 144, 144-bis e 144-ter del t.u.; - art. 144-sexies, che prevede sanzioni amministrative pecuniarie per i soci e gli amministratori che violano l’obbligo di astensione stabilito dall’art. 53, comma 4, del t.u.; - art. 145, che disciplina la procedura sanzionatoria amministrativa; - art. 145-quater, che attribuisce alla Banca d’Italia il compito di emanare disposizioni di attuazione del Titolo VIII del t.u. La materia è, altresì, disciplinata dai seguenti articoli del t.u.f. (d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58): - artt. 188 e 189, che prevedono l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie per la violazione delle disposizioni in materia di abuso di denominazione e di partecipazioni al capitale; - art. 190, che indica le norme del medesimo t.u.f. la cui violazione, estesa anche alle relative disposizioni generali o particolari emanate dalla Banca d’Italia o dalla Consob, determina l’applicabilità delle sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti delle società o enti, nonché gli importi minimi e massimi delle sanzioni medesime; - art. 190-bis, che indica i presupposti in presenza dei quali la violazione di disposizioni del t.u.f. in tema di disciplina degli intermediari, dei mercati e della gestione accentrata di strumenti finanziari determina l’applicabilità di sanzioni amministrative pecuniarie e della sanzione amministrativa accessoria dell’interdizione temporanea dall’esercizio di funzioni presso intermediari nei confronti degli esponenti e del personale dei soggetti indicati nell’art. 190, indicando gli importi minimi e massimi e la durata delle sanzioni medesime; - art. 192-quater, che prevede sanzioni amministrative pecuniarie per i soci e gli amministratori che violano l’obbligo di astensione stabilito dall’art. 6, comma 2-novies, del t.u.f.; - art. 194-bis, che elenca i criteri per la determinazione dell’ammontare delle sanzioni amministrative pecuniarie e della durata delle sanzioni accessorie;

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- art. 194-ter, che estende la disciplina delle sanzioni prevista dagli articoli 189, 190 e 190-bis alle violazioni delle disposizioni dell’Unione europea direttamente applicabili in materia prudenziale (regolamento UE n. 575/2013 e relative norme tecniche di regolamentazione e di attuazione emanate dalla Commissione Europea, o atti dell’EBA direttamente applicabili ai sensi del regolamento 1093/2010); - art. 194-quater, che prevede, per le violazioni connotate da scarsa offensività o pericolosità, la possibilità di applicare alla società o enti un ordine volto a eliminare le infrazioni, quale sanzione alternativa a quella pecuniaria, e stabilisce che, in caso di inadempimento dell’ordine entro il termine fissato dalla Banca d’Italia o dalla Consob, si applichi una sanzione pecuniaria più elevata rispetto all’importo previsto per la violazione originaria; - art. 195, che disciplina la procedura sanzionatoria amministrativa; - art. 195-bis, che disciplina la pubblicazione delle sanzioni; - art. 196-bis, che attribuisce alla Banca d’Italia e alla Consob il compito di emanare disposizioni di attuazione del Titolo II della Parte V del t.u.f. Si richiamano, inoltre: - il Regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi; il Regolamento (UE) n. 468/2014 della Banca centrale europea del 16 aprile 2014, che istituisce il quadro di cooperazione nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico tra la Banca centrale europea e le autorità nazionali competenti e con le autorità nazionali designate; - il Regolamento (UE) n. 2015/159 del Consiglio del 27 gennaio 2015, che modifica il regolamento (CE) n. 2532/98 sul potere della Banca centrale europea di irrogare sanzioni; - le disposizioni della l. 24 novembre 1981, n. 689 (“Modifiche al sistema penale”), e successive modificazioni, che trovano applicazione per gli aspetti della procedura sanzionatoria non disciplinati o non derogati dall’art. 145 del t.u. o dagli artt. 188 e 190 del t.u.f.; - l’art. 44 del d.lgs. 18 agosto 2015, n. 136 (“Attuazione della direttiva 2013/34/ UE relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, recante modifica della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE, per la parte relativa ai conti annuali ed ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari, nonché in materia di pubblicità dei documenti contabili delle succursali, stabilite in uno Stato membro, di enti creditizi ed istituti finanziari con sede sociale fuori di tale Stato membro, e che abroga e sostituisce il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87”), che indica le disposizioni adottate ai sensi del medesimo decreto legislativo la cui violazione determina l’applicabilità di sanzioni amministrative pecuniarie, i soggetti destinatari nonché gli importi minimi e massimi delle sanzioni e che prevede l’applicabilità dei capi V e VI del titolo VIII del t.u. alla procedura sanzionatoria e ai criteri per la determinazione delle sanzioni;

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- l’art. 2 del d.p.r. 14 marzo 2001, n. 144 (“Regolamento recante norme sui servizi di bancoposta”), per ciò che concerne le attività di bancoposta svolte da Poste Italiane s.p.a.; - l’art. 67-septies decies del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (“Codice del consumo, a norma dell’articolo 7 della l. 29 luglio 2003, n. 229”), che prevede l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie per la violazione delle disposizioni in materia di commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori contenute nel medesimo decreto legislativo; - l’art. 24 della l. 28 dicembre 2005, n. 262 (“Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari”) relativo ai procedimenti della Banca d’Italia per l’adozione di provvedimenti individuali; - l’art. 56 del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231 (“Attuazione della direttiva 2005/60/ CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione”), che indica le norme del medesimo decreto legislativo la cui violazione determina l’applicabilità di sanzioni amministrative pecuniarie, i soggetti destinatari nonché gli importi minimi e massimi delle sanzioni e che prevede l’applicabilità dell’art. 145 del t.u.; - l’art. 60 del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, che stabilisce la procedura per l’accertamento e la contestazione delle violazioni di cui agli artt. 57 e 58 del medesimo d.lgs. e per l’irrogazione delle sanzioni; il regolamento della Banca d’Italia dell’11 dicembre 2007, che disciplina le modalità di esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi concernenti l’attività di vigilanza della Banca d’Italia; - il regolamento della Banca d’Italia del 25 giugno 2008, recante l’individuazione dei termini e delle unità organizzative responsabili dei procedimenti amministrativi di competenza della Banca d’Italia relativi all’esercizio delle funzioni di vigilanza in materia bancaria e finanziaria, ai sensi degli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. 3. Ambito di applicazione e destinatari della disciplina Le presenti disposizioni disciplinano la procedura sanzionatoria per le violazioni accertate dalla Banca d’Italia nell’esercizio dei compiti in materia di vigilanza sulla sana e prudente gestione dell’attività bancaria e finanziaria, sulla correttezza e trasparenza dei comportamenti e di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo6.

6 Restano escluse dall’ambito delle presenti disposizioni le sanzioni in materia di diritti e obblighi delle parti nella prestazione di servizi di pagamento, bonifici transfrontalieri, trattamento del contante.

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Esse sono dirette ai soggetti sottoposti alla potestà sanzionatoria della Banca d’Italia ai sensi degli artt. 145 del t.u. e 195 del t.u.f. Per quanto riguarda le società o enti, tali soggetti comprendono, in particolare: - le banche italiane, comunitarie ed extracomunitarie; - i soggetti abilitati di cui all’art. 1, comma 1, lettera r) del t.u.f.7; - le società capogruppo di gruppi bancari e di SIM, le società appartenenti a tali gruppi e le società incluse nell’ambito della vigilanza consolidata di cui all’art. 65 del t.u. e all’art. 12 del t.u.f.; - gli intermediari finanziari iscritti nell’albo di cui all’art. 106 del t.u.; - le società finanziarie capogruppo di gruppi finanziari, le società appartenenti a tali gruppi e le società incluse nell’ambito della vigilanza consolidata di cui all’art. 109 del t.u.; - gli istituti di moneta elettronica italiani, comunitari ed extracomunitari; - gli istituti di pagamento italiani, comunitari ed extracomunitari; - i confidi8; - Poste Italiane spa, per l’attività di bancoposta; - i soggetti ai quali sono state esternalizzate funzioni aziendali essenziali o importanti. Le persone fisiche sottoposte alla procedura sanzionatoria, al ricorrere dei presupposti stabiliti dagli articoli 144-ter del t.u. e 190-bis del t.u.f., comprendono gli esponenti e il personale delle società o enti indicati al precedente alinea, in particolare: - coloro che svolgono funzioni di amministrazione, direzione o di controllo; - i dipendenti ai quali è affidata, nell’ambito della struttura aziendale, la responsabilità di specifiche funzioni presso aree o settori operativi; - coloro che operano sulla base di rapporti, anche diversi dal rapporto di lavoro subordinato, che ne determinano l’inserimento nella struttura organizzativa. Sono inoltre sottoposti alla procedura sanzionatoria i soggetti incaricati della revisione legale dei conti, in relazione alle loro responsabilità in materia di contabilità, per la mancata comunicazione alla Banca d’Italia di atti o fatti, rilevati nello svolgimento dell’incarico, che possano costituire grave violazio-

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Ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettera r) del t.u.f. “soggetti abilitati” sono le SIM, le imprese di investimento comunitarie con succursale in Italia, le imprese di investimento extracomunitarie, le SGR, le società di gestione UE con succursale in Italia, le Sicav, le Sicaf, i GEFIA UE con succursale in Italia, i GEFIA non UE autorizzati in Italia, i GEFIA non UE autorizzati in uno Stato dell’UE diverso dall’Italia con succursale in Italia, nonché gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’ articolo 106 del t.u. e le banche italiane, le banche comunitarie con succursale in Italia e le banche extracomunitarie, autorizzati all’esercizio dei servizi o delle attività di investimento. 8 Fino alla compiuta attuazione della riforma del Titolo V del t.u., il riferimento è da intendersi ai confidi previsti dall’art. 155 del t.u., nel testo precedente all’entrata in vigore del Titolo III del d.lgs. 141/2010.

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ne delle norme disciplinanti l’attività bancaria ovvero che possano pregiudicare la continuità dell’impresa o comportare un giudizio negativo, un giudizio con rilievi o una dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio sul bilancio, nonché per il mancato invio alla Banca d’Italia di ogni altro dato o documento richiesto. La medesima procedura trova applicazione, altresì, nei confronti delle persone fisiche, delle società o degli enti destinatari delle disposizioni in materia di obbligo di astensione (artt. 53, comma 4, del t.u. e 6, comma 2-novies, del t.u.f.), abuso di denominazione (artt. 133 del t.u. e 188 del t.u.f.), partecipazioni (artt. 139 e 140 del t.u., nonché art. 189 del t.u.f.) e prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo (d.lgs. 231/2007)9. 4. Disposizioni transitorie e finali Le presenti disposizioni entrano in vigore decorsi 15 giorni dalla loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana; esse si applicano alle violazioni commesse dopo la loro entrata in vigore. Ai procedimenti amministrativi pendenti alla stessa data e fino alla loro conclusione continueranno a essere applicate le disposizioni previgenti. A far data dall’entrata in vigore delle presenti disposizioni, è abrogato il provvedimento della Banca d’Italia del 27 giugno 2011, recante Disciplina della procedura sanzionatoria amministrativa ai sensi dell’art. 145 del d.lgs. 385/93 e dell’art. 195 del d.lgs. 58/98 e delle modalità organizzative per l’attuazione del principio della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie. SEZIONE II PROCEDURA SANZIONATORIA 1. Fasi della procedura La procedura sanzionatoria si articola nelle seguenti fasi: - accertamento delle violazioni; - contestazione delle violazioni; - presentazione delle controdeduzioni ed eventuale audizione personale; - valutazione del complesso degli elementi istruttori;

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Con riferimento agli agenti in attività finanziaria e ai mediatori creditizi si richiama quanto previsto dagli articoli 128-decies ss. e 144, comma 5-bis, del t.u.

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- proposta al Direttorio di irrogazione delle sanzioni o di archiviazione del procedimento; - trasmissione della proposta agli interessati ed eventuale presentazione di ulteriori osservazioni al Direttorio; - adozione del provvedimento sanzionatorio o archiviazione del procedimento da parte del Direttorio; - notifica e pubblicazione del provvedimento. 1.1. Accertamento delle violazioni La Banca d’Italia avvia la procedura sanzionatoria amministrativa nei casi in cui accerta la violazione delle norme per le quali è prevista l’irrogazione di sanzioni amministrative. La Banca d’Italia accerta la violazione una volta acquisiti gli elementi necessari a valutare la sussistenza di un’irregolarità sanzionabile. Nelle materie disciplinate da norme di principio (di carattere generale o gestionale), in coerenza con esigenze di certezza e prevedibilità della sanzione, la Banca d’Italia valuta la condotta tenendo anche in considerazione eventuali provvedimenti a carattere generale emanati allo scopo di precisare il contenuto del precetto. La Banca d’Italia valuta la fattispecie anche alla luce degli interventi correttivi eventualmente adottati nei confronti degli intermediari, inclusi richiami, ordini, divieti e altri provvedimenti particolari, fra i quali la rimozione di esponenti. Nei casi in cui fatti di possibile rilievo sanzionatorio di competenza della Banca d’Italia siano stati riscontrati dalla BCE oppure nell’ambito di verifiche condotte da parte della UIF, della Guardia di Finanza o di altre Autorità, la Banca d’Italia esamina la segnalazione ai fini dell’eventuale accertamento della sussistenza di una violazione sanzionabile. Ove sia necessario, ai fini dell’accertamento di una violazione, acquisisce ulteriori elementi. L’accertamento si perfeziona con l’apposizione agli atti del visto del Capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria o, in caso di sua assenza o impedimento, del Vice Capo Dipartimento. Da tale data, comunicata nella lettera di contestazione, decorrono i termini per la notifica della contestazione delle violazioni agli interessati. L’accertamento delle violazioni è condotto dalla Banca d’Italia secondo un approccio unitario, inquadrando le potenziali irregolarità nell’ambito della complessiva azione di vigilanza. Per le violazioni relative alla trasparenza delle condizioni contrattuali e alla correttezza dei rapporti con i clienti di cui all’art. 144, comma 1, lettere b), c), d), e), e comma 4, del t.u. le sanzioni amministrative sono applicate esclusivamente nei confronti della società o dell’ente responsabile. Nell’esame delle relative fattispecie, ai fini dell’avvio della procedura sanzionatoria, la rilevanza delle violazioni può essere desunta: - dalla loro idoneità a determinare significativi rischi legali o reputazionali; - dal loro carattere diffuso o sistematico in relazione all’articolazione territoriale o all’operatività dell’intermediario;

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- dalla mancata ottemperanza a richiami o indicazioni dell’Autorità di Vigilanza; - dall’inadeguatezza dei presidi organizzativi e di controllo adottati dall’intermediario ad assicurare il rispetto della normativa in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari e correttezza delle relazioni con la clientela. 1.2. Contestazione delle violazioni Il procedimento sanzionatorio ha inizio con la contestazione formale da parte della Banca d’Italia, nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili, delle violazioni riscontrate10. La contestazione è effettuata da parte del Servizio o della Filiale competente della Banca d’Italia. La contestazione avviene mediante apposita notifica, entro 90 o 180 giorni dall’accertamento, rispettivamente per le procedure avviate ai sensi dell’art. 145 del t.u. e dell’art. 195 del t.u.f. In entrambi i casi, il termine è di 360 giorni per le società o enti aventi la sede legale all’estero e le persone fisiche residenti all’estero. La lettera di contestazione, oltre agli elementi formali idonei a qualificarla come atto di contestazione introduttivo della procedura sanzionatoria amministrativa, contiene: - il riferimento all’accertamento ispettivo, all’attività di vigilanza o alla documentazione acquisita, dalla quale sia emersa la violazione; - la data in cui si è concluso l’accertamento della violazione; - la descrizione della violazione; - l’indicazione delle disposizioni violate e delle relative norme sanzionatorie; - l’indicazione dell’unità organizzativa presso la quale può essere presa visione dei documenti istruttori; - l’invito, nei confronti dei soggetti cui sono contestate le violazioni, a far pervenire al Servizio Coordinamento e Rapporti con l’Esterno (“CRE”) della Banca d’Italia11, unità organizzativa responsabile del procedimento, eventuali controdeduzioni nel termine di 30 giorni; - l’indicazione delle altre unità organizzative della Banca d’Italia alle quali le eventuali controdeduzioni devono essere trasmesse in copia, con i relativi indirizzi; - l’indicazione della facoltà per la società o l’ente e per le persone fisiche

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Ai sensi dell’art. 60, comma 1, del d.lgs. 231/2007 la Banca d’Italia cura la contestazione agli interessati delle violazioni delle disposizioni del medesimo decreto riscontrate nell’esercizio dell’attività di vigilanza per le quali il Ministero dell’Economia e delle Finanze è competente per l’irrogazione della sanzione. La Banca d’Italia inoltra al Ministero, per il seguito di competenza, gli atti relativi all’accertamento della violazione nonché le relative contestazioni. 11 Nel caso di violazioni delle disposizioni del d.lgs. 231/2007 per le quali il potere sanzionatorio è attribuito al Ministero dell’Economia e delle Finanze, le controdeduzioni e ogni ulteriore atto istruttorio vanno indirizzati a detto Ministero

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destinatarie delle contestazioni di chiedere nella fase istruttoria un’audizione personale, anche con l’assistenza di un avvocato o di altro consulente, nel termine di 30 giorni; - l’avvertenza che, in caso di mancata partecipazione all’istruttoria attraverso la presentazione delle controdeduzioni e/o la partecipazione all’audizione personale, non sarà consentito presentare ulteriori osservazioni scritte al Direttorio in merito alla proposta del Servizio CRE; - il termine di conclusione del procedimento amministrativo. La lettera di contestazione viene notificata secondo le modalità previste dall’ordinamento. In base all’art. 14 della l. 689/1981, la notificazione può essere effettuata, con le forme previste dal codice di procedura civile, anche da un funzionario dell’amministrazione che ha accertato la violazione12. Di norma, la notifica della contestazione viene effettuata a mani del legale rappresentante della società o ente (o di altra persona delegata) o delle persone fisiche interessati nel corso di una riunione presso l’intermediario interessato o presso la Filiale competente della Banca d’Italia. La contestazione alle persone fisiche può avvenire anche, nei casi e nelle forme previsti dalle disposizioni vigenti, presso la casella di posta elettronica certificata (PEC) indicata dagli interessati ai fini delle comunicazioni con la Banca d’Italia. Le società, gli enti o i soggetti interessati forniscono tempestivamente le informazioni richieste dalla Banca d’Italia, ivi comprese quelle relative al luogo e alla data di nascita, alla residenza e al codice fiscale delle persone fisiche che possono essere destinatarie delle contestazioni, verificandone esattezza e completezza, indicando altresì le domiciliazioni, le deleghe degli interessati e il relativo indirizzo di PEC; comunicano, inoltre, eventuali variazioni delle informazioni fornite. Le società o gli enti forniscono altresì le informazioni richieste dalla Banca d’Italia in merito alle remunerazioni13, fisse e variabili, in qualunque forma riconosciute o erogate negli ultimi tre anni (o, per gli incarichi ricoperti o le attività esercitate da meno di tre anni, nel diverso minore periodo di riferimento) agli esponenti o al personale interessati dal procedimento14.

12 Ai sensi dell’art. 14, comma 5, della l. 689/1981, per i soggetti residenti all’estero, qualora la residenza, la dimora o il domicilio non siano noti, la notifica della contestazione non è obbligatoria. 13 Per la nozione di “remunerazioni”, si fa riferimento alle pertinenti definizioni contenute nella Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013, e successive modifiche e integrazioni (Parte Prima, Titolo IV, Capitolo 2, Sezione I, par. 3). Ai fini delle presenti disposizioni le remunerazioni sono considerate al lordo delle imposte. 14 Per le società o enti appartenenti ad un gruppo, andranno indicate le remunerazioni, fisse e variabili, in qualunque forma riconosciute o erogate per gli incarichi ricoperti o le attività esercitate all’interno del gruppo.

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1.3. Presentazione delle controdeduzioni I destinatari del procedimento sanzionatorio esercitano il diritto di difesa attraverso la partecipazione al procedimento. Essi pertanto hanno la facoltà di presentare, in ordine agli addebiti contestati, deduzioni scritte e documenti, che la Banca d’Italia valuta con riguardo all’oggetto del procedimento. I documenti difensivi sono presentati a firma del legale rappresentante della società o dell’ente destinatario della contestazione, o di altra persona da questi espressamente delegata. Nel caso di procedura avviata nei confronti di persone fisiche, le controdeduzioni sono presentate, anche congiuntamente, dai singoli soggetti destinatari delle contestazioni, i quali allegano altresì la documentazione riferita alle remunerazioni indicate nel paragrafo 1.2, ultimo alinea15. Le controdeduzioni vanno trasmesse al Servizio CRE, responsabile del procedimento sanzionatorio, preferibilmente tramite PEC all’indirizzo cre@pec.bancaditalia.it, nel termine di 30 giorni dalla data di notifica della lettera di contestazione. Le controdeduzioni vanno trasmesse inoltre in copia alle altre Unità indicate nella lettera di contestazione. I soggetti interessati possono richiedere, con specifica istanza debitamente motivata e firmata da tutti i richiedenti, una breve proroga. La proroga, di norma non superiore a 30 giorni, può essere concessa, secondo criteri di proporzionalità, anche in relazione alle caratteristiche operativo-dimensionali dell’intermediario e alla complessità degli addebiti. La mancata presentazione di documenti difensivi non pregiudica il seguito della procedura sanzionatoria. Le controdeduzioni possono avere carattere individuale o essere sottoscritte congiuntamente da due o più dei soggetti interessati (ivi compreso il legale rappresentante della banca, della società o dell’ente, o altra persona da questi espressamente delegata). Gli interessati indicano nelle controdeduzioni l’indirizzo, preferibilmente di PEC, al quale inviare le comunicazioni relative alla procedura sanzionatoria. In caso di trasmissione cartacea, il testo dei documenti difensivi va trasmesso anche su supporto informatico fisico (ad es. CD, DVD etc.) munito di attestazione di conformità all’originale (cfr. allegato A). Ferma restando la pienezza del diritto di difesa, l’attività difensiva si svolge nel rispetto del principio della leale collaborazione delle parti nel procedimento amministrativo. In tale ottica, tenuto conto dell’esigenza di assicurare l’economicità dell’azione amministrativa, le controdeduzioni devono essere svolte, anche al fine di favorire la migliore comprensione delle argomentazioni difensive presentate, in modo essenziale, rispecchiando l’ordine delle contestazioni; ove

15 Qualora le contestazioni indirizzate alla persona fisica si riferiscano a violazioni cessate ed aventi uno specifico riferimento temporale, le remunerazioni rilevanti sono quelle riconosciute o erogate nei tre anni precedenti alla violazione contestata.

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superiori alle 50 pagine, devono concludersi con una sintesi delle principali argomentazioni difensive presentate. La documentazione eventualmente allegata deve essere pertinente ai fatti contestati e alle argomentazioni difensive svolte. In via generale, non è necessaria la produzione di documentazione aziendale, specialmente se già nota all’Autorità di Vigilanza ovvero antecedente la data di conclusione degli accertamenti ispettivi. Gli allegati vanno presentati in modo ordinato e corredati da un elenco; la produzione di documentazione inutilmente sovrabbondante, disordinata o inconferente può costituire elemento di valutazione negativo del grado di cooperazione degli interessati con l’Autorità di Vigilanza. Entro il medesimo termine di 30 giorni il legale rappresentante della società o ente (o altra persona da questi delegata) o le persone fisiche destinatarie delle contestazioni possono chiedere, con specifica istanza indirizzata al Servizio CRE, un’audizione personale in sede di istruttoria16. Le audizioni delle persone fisiche destinatarie della contestazione hanno carattere strettamente personale e non possono quindi svolgersi per delega; è consentita la partecipazione con l’assistenza di un avvocato o di altro consulente. Le audizioni di norma hanno luogo nei 30 giorni successivi presso le Filiali della Banca d’Italia con compiti di vigilanza. Nel caso in cui l’audizione si svolga oltre il termine previsto per l’invio delle controdeduzioni, non è possibile produrre in tale sede materiale integrativo delle controdeduzioni. Delle audizioni personali viene redatto un sintetico verbale, sottoscritto dall’interessato. L’eventuale rinuncia all’audizione deve essere comunicata tempestivamente in forma scritta, preferibilmente tramite PEC, al Servizio CRE e alla Filiale indicata per lo svolgimento dell’audizione. 1.4. Sospensione della procedura e integrazione delle contestazioni La sospensione del procedimento è disciplinata dall’art. 8 del provvedimento della Banca d’Italia del 25 giugno 2008. Ferme restando le ipotesi di sospensione dei termini di conclusione del procedimento sanzionatorio, nel caso in cui nel corso dell’attività di supervisione siano riscontrati fatti nuovi che costituiscono violazione delle medesime disposizioni contestate nell’ambito della procedura sanzionatoria, la Banca d’Italia può integrare le contestazioni già formulate nei confronti dei soggetti responsabili; la contestazione integrativa non modifica i termini di conclusione del procedimento. Con riferimento alle contestazioni integrative, gli interessati presentano le proprie controdeduzioni e hanno facoltà di chiedere una breve proroga e avanzare istanza di audizione nei tempi e con le modalità previste dal paragrafo 1.3.

16 Al fine di consentire un tempestivo svolgimento dell’audizione, la richiesta deve essere presentata con atto distinto rispetto a ogni altro atto presentato nel corso della procedura sanzionatoria (controdeduzioni, documentazione a supporto, richieste di proroga, ecc.).

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1.5. Istruttoria del Servizio CRE e proposta al Direttorio Il Servizio CRE è l’unità responsabile dei procedimenti sanzionatori avviati dalla Banca d’Italia ai sensi delle presenti disposizioni; in tale qualità cura la tenuta di tutti gli atti e documenti utilizzati nel corso della procedura sanzionatoria. In particolare, verifica che sia correttamente instaurato il contraddittorio con i destinatari delle contestazioni e sia salvaguardata la possibilità degli stessi di partecipare al procedimento amministrativo; consente inoltre agli interessati – nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità ed economicità dell’azione amministrativa – l’accesso agli atti del procedimento, con le modalità e nei limiti previsti dalla l. 241/1990 e dal Regolamento della Banca d’Italia recante la disciplina delle modalità dell’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi concernenti l’attività di vigilanza in materia bancaria e finanziaria (cfr. par. 2). Il Servizio CRE procede quindi all’analisi di tutti gli elementi istruttori acquisiti agli atti del procedimento sanzionatorio; in particolare, alla luce delle difese svolte dagli interessati e dei documenti di parte, nonché del complesso delle informazioni raccolte, effettua una ponderata valutazione degli addebiti contestati, della rilevanza delle violazioni e dell’eventuale responsabilità personale, secondo i criteri contenuti nelle presenti disposizioni. L’accentramento della fase istruttoria è preordinato ad assicurare omogeneità di valutazione nell’esame delle fattispecie, nel rispetto della parità di trattamento. Le conclusioni istruttorie confluiscono in una proposta motivata che è trasmessa, unitamente agli atti del procedimento, al Direttorio, previo visto del Capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria. La proposta di irrogazione delle sanzioni ha ad oggetto anche le modalità di pubblicazione del relativo provvedimento, in conformità con quanto previsto dal t.u. e dal t.u.f. per i casi di pubblicazione anonima o differita (cfr. paragrafo 1.7). Secondo quanto previsto dagli artt. 144-bis del t.u. e 194-quater del t.u.f., nel caso in cui dall’istruttoria risulti che la violazione accertata è connotata da scarsa offensività o pericolosità, la proposta al Direttorio può avere ad oggetto l’irrogazione, in luogo della sanzione pecuniaria, di un ordine rivolto alla società o ente per imporre l’eliminazione delle infrazioni riscontrate entro il termine fissato nel provvedimento. Con l’ordine la Banca d’Italia può indicare le misure da adottare a questo scopo. Nei casi di particolare complessità, di novità delle questioni emerse o di rilevanza sistemica, anche su indicazione del Capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria, il Servizio CRE trasmette gli atti del procedimento alla Commissione per l’Esame delle Irregolarità, che, esaminati gli atti del procedimento, formula un parere vincolante ai fini della successiva proposta al Direttorio da parte del Servizio CRE. La proposta al Direttorio è trasmessa, di regola tramite PEC, ai soggetti interessati i quali abbiano partecipato all’istruttoria attraverso la presentazione delle controdeduzioni e/o la partecipazione all’audizione personale. Entro 30 giorni dalla ricezione, il legale rappresentante della società o ente (o altra persona da questi delegata) o le persone fisiche destinatarie del provvedi-

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mento oggetto della proposta possono trasmettere al Direttorio sintetiche osservazioni scritte aventi ad oggetto esclusivamente i fatti esaminati nel corso dell’istruttoria e i contenuti della proposta formulata dal Servizio CRE; non possono essere introdotti fatti nuovi, salvo gli eventi verificatisi successivamente alla conclusione dell’istruttoria. Le osservazioni per il Direttorio sono trasmesse preferibilmente tramite PEC all’indirizzo spa.contraddittoriosanzioni@pec.bancaditalia.it. Agli scritti difensivi presentati in questa fase del procedimento si applicano le disposizioni previste dal paragrafo 1.3 con riguardo alle modalità di trasmissione, all’essenzialità e alla pertinenza dei contenuti delle controdeduzioni. Le osservazioni per il Direttorio presentate oltre il termine prescritto non saranno prese in considerazione. Nel rispetto del principio di separazione tra la fase istruttoria e la fase decisoria, il Direttorio della Banca d’Italia, esaminate le ulteriori osservazioni eventualmente presentate dagli interessati in merito alla proposta formulata dal Servizio CRE e acquisito il parere dell’Avvocato Generale o, in caso di sua assenza o impedimento, dell’Avvocato Capo, adotta un provvedimento motivato. Con il provvedimento il Direttorio può: - accogliere la proposta; - chiedere supplementi di istruttoria17; - discostarsi, in tutto o in parte, dalla proposta; - archiviare il procedimento. L’eventuale provvedimento di irrogazione delle sanzioni è adottato dal Direttorio dalla Banca d’Italia entro 240 giorni dalla scadenza del termine, comprensivo di eventuali proroghe, per la presentazione delle controdeduzioni. Il termine del procedimento sanzionatorio avviato – per irregolarità relative a un medesimo intermediario – nei confronti di una pluralità di persone fisiche si considera unico, anche a prescindere dal concorso degli interessati nella violazione; esso si calcola dalla scadenza del termine, comprensivo di eventuali proroghe, per la presentazione delle controdeduzioni da parte del soggetto che ha ricevuto per ultimo la notifica della contestazione. In caso di trasmissione ai soggetti interessati della proposta formulata dal Servizio CRE, il termine per l’adozione del provvedimento da parte del Direttorio è sospeso dalla data di ricezione della comunicazione fino alla scadenza del termine per la presentazione delle deduzioni al Direttorio da parte del soggetto che ha ricevuto per ultimo la comunicazione della proposta. Resta ferma, in ogni fase del procedimento, la possibilità per la Banca d’Italia di adottare, ai sensi delle vigenti disposizioni, provvedimenti specifici nei confronti degli intermediari vigilati, anche volti alla cessazione dei comporta-

17 In caso di richiesta da parte del Direttorio di supplementi di istruttoria, il contraddittorio sulla relazione integrativa trasmessa al Direttorio dal Servizio CRE si svolge secondo le medesime modalità previste per la proposta iniziale.

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menti non conformi al principio di sana e prudente gestione o alla rimozione di esponenti aziendali, nonché lettere di richiamo. Nell’ambito dell’istruttoria la Banca d’Italia esamina le argomentazioni difensive presentate e il complesso degli altri elementi informativi disponibili, valutando in particolare se vi sia stata una tempestiva e completa rimozione degli effetti della violazione da parte dell’interessato. Qualora il Servizio CRE riscontri che i fatti oggetto di contestazione risultino giustificati o che gli interventi posti in essere abbiano portato alla eliminazione delle carenze rilevate, ne tiene conto nella proposta motivata per il Direttorio ai fini della conclusione del procedimento con provvedimento di archiviazione18. Il Direttorio della Banca d’Italia, qualora ne riscontri i presupposti, può sempre adottare un provvedimento di archiviazione del procedimento, ni confronti di tutti o alcuni degli interessati. Il provvedimento di archiviazione viene comunicato ai soggetti interessati. 1.6. Irrogazione della sanzione Ai sensi del t.u. e del t.u.f., la Banca d’Italia può irrogare sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti delle società o enti e nei confronti delle persone fisiche. Secondo quanto previsto dagli artt. 144-ter del t.u. e 190-bis del t.u.f., nei casi di maggiore gravità, alle persone fisiche può essere irrogata, accanto alla sanzione pecuniaria, la sanzione amministrativa accessoria dell’interdizione temporanea dall’esercizio di funzioni presso intermediari. A tal fine assume rilievo il ricorrere di una o più delle seguenti circostanze: - la condotta posta in essere in violazione degli obblighi previsti dalla normativa di riferimento ha comportato un grave pregiudizio alla stabilità dell’intermediario o del sistema o un impatto rilevante sulla fiducia del pubblico; - il responsabile ha conseguito, direttamente o indirettamente, un vantaggio dalla violazione; - al responsabile sono state già applicate con provvedimento esecutivo una o più sanzioni pecuniarie amministrative per violazioni in materia bancaria e finanziaria commesse dopo l’entrata in vigore delle presenti disposizioni e nei 5 anni precedenti all’irrogazione della nuova sanzione. L’importo della sanzione pecuniaria e la durata dell’eventuale sanzione accessoria, stabiliti entro i limiti previsti dalla legge, vengono fissati tenendo conto di ogni circostanza rilevante per apprezzare nel caso concreto la significatività della violazione e il suo grado di offensività o pericolosità. A questi fini, anche in relazione alla tipologia della violazione e alla natura (persona fisica o giuridica) del responsabile, vengono valutati, tra l’altro, i seguenti elementi:

18 Ai sensi dell’art. 7 della l. 689/1981, che sancisce l’intrasmissibilità agli eredi dell’obbligazione relativa alla sanzione irrogata, la procedura sanzionatoria nei confronti di persone fisiche si estingue in caso di decesso del soggetto interessato.

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- la durata della violazione; - la capacità finanziaria del responsabile, quale desumibile: nel caso di una società o ente, dal fatturato netto dell’ultimo esercizio; nel caso di una persona fisica, dalle remunerazioni, fisse e variabili, in qualunque forma riconosciute o erogate negli ultimi tre anni per la carica ricoperta o per l’attività esercitata presso l’intermediario19. Le remunerazioni risultano dalla documentazione prodotta nel corso del procedimento o da ogni altra informazione o dato disponibili; - la gravità della violazione, in particolare in relazione a: • i suoi riflessi, anche potenziali, sulla clientela, su altri portatori di interessi qualificati o sui mercati o sulla situazione tecnica, organizzativa e gestionale dell’azienda e del gruppo di appartenenza, nonché l’eventuale assunzione nei confronti dell’intermediario di misure inibitorie o di provvedimenti specifici, straordinari, ingiuntivi o di crisi; • l’attendibilità della rappresentazione della situazione aziendale fornita all’Autorità di Vigilanza; • le ipotesi in cui, con un’unica azione od omissione, sia commessa la violazione di diverse disposizioni o più violazioni della medesima disposizione; - i casi di precedenti violazioni in materia bancaria o finanziaria commesse dal medesimo soggetto; - i pregiudizi arrecati a terzi attraverso la violazione, nella misura in cui il loro ammontare sia determinabile; - l’entità del vantaggio ottenuto o delle perdite evitate attraverso la violazione, nella misura in cui essa sia determinabile; - l’attività svolta dai soggetti sottoposti alla procedura sanzionatoria per eliminare o attenuare le conseguenze dell’infrazione, anche cooperando con l’Autorità di Vigilanza; - il grado di responsabilità dei soggetti sottoposti alla procedura sanzionatoria, in relazione agli elementi informativi disponibili (ad es., per quanto riguarda gli esponenti: effettivo assetto dei poteri, condotte concretamente tenute, durata dell’incarico); - le conseguenze della violazione, anche potenziali, sulla stabilità complessiva del sistema finanziario. Ai fini delle presenti disposizioni e per il calcolo dei massimali previsti dal t.u. e dal t.u.f., per fatturato della società o dell’ente si intende: a) per le banche, le società finanziarie, i soggetti abilitati di cui all’art. 1, comma 1, lettera r), del t.u.f., gli intermediari finanziari iscritti nell’albo di cui all’art. 106 del t.u., gli istituti di moneta elettronica, gli istituti di pagamento, i confidi, la società Poste Italiane S.p.A. per l’attività di Bancoposta: l’aggregato

19 Nel caso di procedimenti riferiti a società o enti appartenenti ad un gruppo, la capacità finanziaria della persona fisica interessata dal procedimento è determinata considerando le remunerazioni, fisse e variabili, in qualunque forma riconosciute o erogate per gli incarichi ricoperti o le attività esercitate all’interno del gruppo.

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definito nell’art. 316 Tabella 1 del Regolamento (UE) n. 575/2013; b) per le imprese di assicurazione e di riassicurazione: l’aggregato risultante dalla somma algebrica delle seguenti voci del conto economico: premi netti; commissioni attive; proventi e oneri derivanti da strumenti finanziari a fair value rilevato a conto economico; interessi attivi e altri proventi derivanti da altri strumenti finanziari e investimenti immobiliari; oneri netti relativi ai sinistri; commissioni passive; per le imprese non appartenenti a gruppi, si ha riguardo alle corrispondenti voci del bilancio individuale; c) per le imprese diverse da quelle indicate alle lettere a) e b): l’aggregato pari alla somma degli importi ricavati dalla vendita di prodotti e dalla prestazione di servizi e corrispondenti alla loro normale attività, previa detrazione degli sconti concessi sulle vendite nonché dell’imposta sul valore aggiunto e di altre imposte direttamente legate al fatturato; Il fatturato è riferito all’ultimo esercizio e, per le società o enti appartenenti a un gruppo bancario, finanziario, di SIM o tenuti a redigere il bilancio consolidato, è calcolato di regola sulla base dei dati consolidati. 1.7 Notifica e pubblicazione del provvedimento La Banca d’Italia notifica i provvedimenti sanzionatori agli interessati. Il provvedimento sanzionatorio è pubblicato senza ritardo e per estratto sul sito web della Banca d’Italia con indicazione delle violazioni accertate, delle disposizioni violate, dei soggetti sanzionati e delle sanzioni rispettivamente applicate. La Banca d’Italia, tenuto conto della natura della violazione e degli interessi coinvolti, può stabilire modalità ulteriori per dare pubblicità al provvedimento, ponendo le relative spese a carico dell’autore della violazione. Qualora sia proposto ricorso contro il provvedimento sanzionatorio, la Banca d’Italia ne fa menzione senza ritardo a margine della pubblicazione sul proprio sito web, indicando l’autorità adita e le date di notifica e deposito del ricorso; le informazioni sono successivamente integrate con l’indicazione degli estremi dei provvedimenti, anche cautelari, adottati dall’autorità adita sul ricorso, anche se non passati in giudicato. Le medesime informazioni sono pubblicate con riguardo ai giudizi di impugnazione dei provvedimenti adottati dall’autorità adita sul ricorso. Ai sensi dell’art. 145, commi 3-bis e 3-ter, del t.u. e dell’art. 195-bis, commi 2 e 3, del t.u.f., la Banca d’Italia può disporre la pubblicazione in forma anonima del provvedimento sanzionatorio quando quella ordinaria abbia ad oggetto dati personali la cui pubblicazione appaia sproporzionata rispetto alla violazione sanzionata, possa comportare rischi per la stabilità dei mercati finanziari o pregiudicare lo svolgimento di un’indagine penale in corso o possa causare un pregiudizio sproporzionato ai soggetti coinvolti, purché tale pregiudizio sia determinabile. Ove le stesse situazioni sopra richiamate abbiano carattere temporaneo, la Banca d’Italia può differire la pubblicazione del provvedimento sanzionatorio al momento in cui esse sono venute meno. Le informazioni pubblicate restano sul sito web della Banca d’Italia per

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cinque anni dalla pubblicazione del provvedimento sanzionatorio. Successivamente alla cancellazione, i soggetti sanzionati possono richiedere, con specifica istanza all’indirizzo pubblicazioni.esitoricorsi@pec.bancaditalia.it, la pubblicazione sul sito web della Banca d’Italia dell’esito della procedura di impugnazione del provvedimento sanzionatorio, indicando gli estremi del provvedimento adottato dall’autorità adita sul ricorso. 2. Accesso agli atti del procedimento sanzionatorio I soggetti sottoposti al procedimento sanzionatorio possono accedere aidocumenti del procedimento nella parte in cui li riguardano, in base alle disposizioni della l. 7 agosto 1990, n. 241. Il diritto di accesso è riconosciuto, con le limitazioni e le esclusioni previste in base alla l. 241/1990 e avuta anche presente la tutela assicurata dall’ordinamento ai dati personali e alla riservatezza dei terzi, ai titolari di interessi diretti, concreti e attuali, corrispondenti a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. Ai sensi dell’art. 25 della l. 241/1990, le richieste di accesso devono essere motivate, al fine di consentire in particolare di verificare la sussistenza dei predetti interessi. L’esercizio del diritto di accesso è disciplinato dal regolamento della Banca d’Italia adottato con provvedimento dell’11 dicembre 2007. Le istanze di accesso devono essere presentate, con le modalità stabilite dal citato regolamento e preferibilmente tramite PEC, al Servizio CRE, responsabile del procedimento. Al fine di consentire una tempestiva disamina delle istanze, esse devono essere presentate con atto distinto rispetto a ogni altro atto presentato nel corso della procedura sanzionatoria (controdeduzioni, documentazione a supporto, richieste di audizione, ecc.); devono inoltre essere formulate mediante l’apposito modulo, disponibile presso le Strutture o nel sito internet della Banca d’Italia, o comunque recare nell’oggetto la dicitura “Procedimento sanzionatorio a carico di... – Istanza di accesso a documenti amministrativi”. Conformemente ai principi alla base del procedimento sanzionatorio, degli accessi effettuati nel corso della fase istruttoria viene redatto un sintetico verbale, sottoscritto dall’interessato. 3. Pagamento della sanzione Il pagamento è effettuato entro il termine di 30 giorni (cfr. art. 18, comma 4, l. 689/1981) dalla notifica del provvedimento. I soggetti sanzionati danno tempestiva comunicazione del pagamento effettuato alla Banca d’Italia attraverso la trasmissione del modello F23. Alle sanzioni amministrative non si applica l’art. 16 della l. 689/1981, che ammette il pagamento in misura ridotta. Il mancato pagamento della sanzione nei termini determina l’applicazione

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degli interessi a norma di legge. 4. Impugnazione del provvedimento sanzionatorio Il provvedimento sanzionatorio può essere impugnato ai sensi di legge. La proposizione del ricorso non sospende il pagamento della sanzione. La Banca d’Italia, nel costituirsi in giudizio e nel corso di esso, presenta le memorie e produce gli atti e documenti a difesa della legittimità del provvedimento sanzionatorio. 5. Informativa all’EBA Ai sensi degli articoli 145-ter del t.u. e 195-ter del t.u.f., la Banca d’Italiacomunica all’EBA le sanzioni applicate ai fini dell’assolvimento degli obblighi informativi previsti dall’articolo 69 della direttiva 2013/36/UE. SEZIONE III APPLICAZIONE DELLE SANZIONI NELL’AMBITO DELL’MVU 1. Soggetti “significativi”20 Fuori dei casi di potestà sanzionatoria diretta della BCE, la Banca d’Italia avvia il procedimento sanzionatorio su richiesta della BCE e previo accertamento della sussistenza dei presupposti per l’avvio. La Banca d’Italia, qualora ritenga sussistere i presupposti per l’avvio di un procedimento sanzionatorio di propria competenza nei confronti di soggetti significativi o di esponenti o personale degli stessi, chiede alla BCE di formulare una richiesta di avvio, ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 2, del Regolamento (UE) n. 468/2014. Il procedimento sanzionatorio dinanzi alla Banca d’Italia è regolato dalle precedenti sezioni. I provvedimenti adottati nei confronti dei soggetti significativi e dei loro esponenti o personale sono comunicati alla BCE. 2. Soggetti “meno significativi” La procedura per l’irrogazione delle sanzioni nei confronti dei soggetti meno significativi e dei loro esponenti e personale da parte della Banca d’Italia è integralmente regolata dalle precedenti sezioni. La Banca d’Italia trasmette periodicamente alla BCE le informazioni richieste ai sensi dell’articolo 135 del Regolamento (UE) n. 468/2014.

20 L’elenco dei soggetti “significativi” è pubblicato sul sito web della BCE all’indirizzo https://www.bankingsupervision.europa.eu/ecb/pub/pdf/List_for_publishing_20151230. pdf?8f3c2b2083bb3ab264 82fe79fdcb68f6.

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Regolamento Consob procedimento sanzionatorio

Commissione Nazionale per le Società e la Borsa – Regolamento generale sui procedimenti sanzionatori della Consob ai sensi dell’art. 24 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 e successive modificazioni (Adottato dalla Consob con delibera n. 18750 del 19 dicembre 2013 e successivamente modificato con delibere n. 18774 del 29 gennaio 2014, n 19158 del 29 maggio 2015 e n. 19521 del 24 febbraio 2016)1 (Omissis) INDICE: CAPO I - Disposizioni generali Art. 1 - Finalità e ambito di applicazione; Art. 2 - Responsabilità del procedimento; Art. 3 - Comunicazioni relative al procedimento sanzionatorio. CAPO II - Procedimento Art. 4 - Avvio del procedimento; Art. 5 - Diritto di difesa; Art. 6 - Istruttoria del procedimento;

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Note: La delibera 18750 del 19.12.2013 e l’annesso regolamento sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 5 dell’8.1.2014. (La delibera 18750 del 19.12.2013 ha abrogato il “Regolamento concernente la determinazione dei termini di conclusione e delle unità organizzative responsabili dei procedimenti sanzionatori della Consob”, adottato dalla Consob con delibera n. 12697 del 2 agosto 2000 e successive modificazioni; ha abrogato gli articoli 1, 2 e 3 della delibera n. 15086 del 21 giugno 2005, recante “Disposizioni organizzative e procedurali relative all’applicazione di sanzioni amministrative e istituzione dell’Ufficio Sanzioni Amministrative” e ha modificato l’articolo 4, comma 1, della medesima delibera n. 15086 del 21 giugno 2005). Il regolamento è stato poi modificato dalla delibera n. 18774 del 29.1.2014, pubblicata nella G.U. n. n. 33 del 10.2.2014; dalla delibera n. 19016 del 3.9.2014 pubblicata nella G.U. n. 211 dell’11.9.2014, in vigore dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella G.U.; dalla delibera n. 19158 del 29.5.2015 pubblicata nella G.U. n. 130 dell’8.6.2015, in vigore dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella G.U., salvo quanto disposto dall’art. 2 della delibera n. 19158 del 29.5.2015; dalla delibera n. 19521 del 24.2.2016 pubblicata nella G.U. n. 55 del 7.3.2016, in vigore dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella G.U., il comma 2 dell’art. 2 della delibera n. 19521 del 24.2.2016 dispone che: “Le modifiche apportate dalla presente delibera al Regolamento sul procedimento sanzionatorio si applicano ai procedimenti sanzionatori avviati per le violazioni commesse dopo la data di entrata in vigore della presente delibera”.

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Art. 7 - Riunione e separazione di procedimenti; Art. 8 - Fase decisoria; Art. 8-bis - Pubblicazione del provvedimento. CAPO III - Disposizioni finali Art. 9 - Entrata in vigore Appendice CAPO I Disposizioni generali Art. 1 (Finalità e ambito di applicazione) 1. Il presente regolamento reca la disciplina generale del procedimento sanzionatorio della Consob in applicazione dei principi della piena conoscenza degli atti istruttori, del contraddittorio, della verbalizzazione nonché della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie rispetto all’irrogazione della sanzione. Art. 2 (Responsabilità del procedimento) 1. L’unità organizzativa responsabile del procedimento sanzionatorio è l’Ufficio Sanzioni Amministrative. 2. Il responsabile del procedimento sanzionatorio è il Responsabile dell’Ufficio Sanzioni Amministrative. Esso può assegnare la responsabilità di singoli procedimenti ad altro dipendente della stessa unità organizzativa. Di tale assegnazione è data comunicazione ai destinatari della lettera di contestazione degli addebiti. 3. Il responsabile del procedimento sanzionatorio assicura il legittimo, adeguato, completo e tempestivo svolgimento dell’istruttoria, garantendo l’ effettività del diritto di difesa dei destinatari della lettera di contestazione degli addebiti e del contradditorio. Art. 3 (Comunicazioni relative al procedimento sanzionatorio) 1. Le comunicazioni e le notificazioni relative al procedimento sanzionatorio sono effettuate presso la casella di posta elettronica certificata (PEC) indicata alla Consob dai soggetti interessati o nelle altre forme previste dall’ordinamento vigente.

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Regolamento Consob procedimento sanzionatorio

CAPO II Procedimento Art. 4 (Avvio del procedimento) 1. L’avvio del procedimento sanzionatorio è disposto a mezzo di lettera di contestazione degli addebiti sottoscritta congiuntamente dal responsabile della Divisione competente e dal Direttore Generale o, su delega di quest’ultimo, dal Vice Direttore Generale. La contestazione degli addebiti è effettuata entro il termine di centottanta giorni, ovvero di trecentosessanta giorni se gli interessati risiedono o hanno la sede all’estero, dall’accertamento compiuto sulla base degli elementi comunque acquisiti e dei fatti emersi a seguito dell’attività di vigilanza svolta dalla Consob e delle successive valutazioni. 2. Il termine di conclusione del procedimento sanzionatorio è stabilito in duecento giorni e decorre dal trentesimo giorno successivo alla data di perfezionamento per i destinatari della notificazione della lettera di contestazione degli addebiti. Nel caso di procedimento sanzionatorio avviato nei confronti di più soggetti, il predetto termine, da considerarsi unico per tutti i destinatari della lettera di contestazione, decorre dal trentesimo giorno successivo alla data di perfezionamento dell’ultima notificazione. La data di conclusione dei procedimenti sanzionatori è resa nota nel sito internet dell’Istituto con modalità idonee a garantire la riservatezza2. La lettera di contestazione degli addebiti contiene: a) il riferimento all’attività di vigilanza, alle eventuali verifiche ispettive o alla documentazione comunque acquisita dalla quale sia emersa la violazione; b) la descrizione della violazione; c) l’indicazione delle disposizioni violate e delle relative norme sanzionatorie; c-bis) l’indicazione del numero univoco del procedimento3; d) l’indicazione dell’unità organizzativa responsabile del procedimento; d-bis) la comunicazione che la data di conclusione del procedimento è consultabile nel sito internet della Consob, successivamente all’espletamento delle procedure di notificazione della lettera di contestazione degli addebiti4; e) l’indicazione dell’unità organizzativa presso la quale può essere presa visione ed estratta copia dei documenti istruttori e le modalità di presentazione della relativa istanza;

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Comma così sostituito con delibera n. 19158 del 29.5.2015 Lettera inserita con delibera n. 19158 del 29.5.2015. Lettera inserita con delibera n. 19158 del 29.5.2015.

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f) l’indicazione della facoltà per i soggetti destinatari delle contestazioni di presentare eventuali deduzioni e documenti, nonché di chiedere l’audizione personale nel termine di trenta giorni; f-bis) l’indicazione della facoltà per i destinatari della lettera di contestazione degli addebiti che abbiano presentato le deduzioni scritte ai sensi dell’articolo 5, comma 2, ovvero abbiano partecipato all’audizione prevista dall’articolo 5, comma 4, di presentare proprie deduzioni finali scritte alla Commissione nei trenta giorni successivi alla data di ricezione della relazione finale dell’Ufficio Sanzioni Amministrative prevista dall’articolo 6, comma 45; g) l’indicazione della casella di posta elettronica certificata (PEC) presso la quale effettuare le comunicazioni relative al procedimento sanzionatorio; h) l’invito a comunicare con il primo atto utile l’eventuale casella di posta elettronica certificata (PEC) presso la quale il soggetto interessato intende ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al procedimento sanzionatorio. 4. Nell’ipotesi in cui sussistano i presupposti indicati dall’articolo 194-quinquies, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, la lettera di contestazione degli addebiti contiene anche l’indicazione del termine e delle modalità con le quali l’interessato potrà effettuare il pagamento in misura ridotta6 Art. 5 (Diritto di difesa) 1. I destinatari della lettera di contestazione degli addebiti esercitano il proprio diritto di difesa nella fase istruttoria, anche con l’assistenza di terzi, mediante la presentazione di deduzioni scritte e documenti, l’accesso agli atti nonché l’audizione personale in merito agli addebiti contestati. Inoltre, ai destinatari della lettera di contestazione degli addebiti, che abbiano presentato le deduzioni scritte ai sensi dell’articolo 5, comma 2 ovvero abbiano partecipato all’audizione prevista dall’articolo 5, comma 4, è trasmessa la relazione dell’Ufficio Sanzioni Amministrative per l’esercizio della facoltà prevista dall’articolo 8, comma 27. 2. Le deduzioni scritte e i documenti sono inviati all’Ufficio Sanzioni Amministrative entro il termine di legge di trenta giorni dalla data di perfezionamento per il destinatario della notifica di della lettera di contestazione degli addebiti. Tale termine può essere prorogato, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, a seguito di motivata richiesta dei soggetti interessati.

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Lettera inserita con delibera n. 19158 del 29.5.2015. Comma così sostituito con delibera n. 19521 del 24.2.2016. Comma così sostituito con delibera n. 19158 del 29.5.2015.


Regolamento Consob procedimento sanzionatorio

3. I destinatari della lettera di contestazione degli addebiti possono chiedere, con istanze separate, alla Divisione che ha formulato le contestazioni di avere accesso agli atti del procedimento sanzionatorio e all’Ufficio Sanzioni Amministrative di avere accesso esclusivamente agli ulteriori atti del procedimento sanzionatorio confluiti nel fascicolo istruttorio successivamente all’avvio del procedimento medesimo. Ove l’istanza di accesso sia presentata alla Divisione che ha formulato le contestazioni entro il termine previsto dal comma 2, primo periodo, il termine per la presentazione di deduzioni scritte e documenti è sospeso, per una sola volta, dalla data di presentazione dell’istanza fino alla data in cui è consentito l’accesso8. 4. Entro il termine di cui al comma 2, primo periodo, i destinatari della lettera di contestazione degli addebiti possono chiedere, con istanza separata, di essere sentiti personalmente. L’Ufficio Sanzioni Amministrative comunica agli istanti la data dell’audizione. Tale data, anche a fronte di istanze di differimento reiterate, può essere differita, su richiesta motivata, per un periodo comunque non superiore a trenta giorni. In caso di accoglimento della richiesta di differimento, il termine di conclusione del procedimento è sospeso per il periodo intercorrente tra la data inizialmente stabilita per l’audizione e la data di effettivo svolgimento della stessa ovvero, in caso di mancata audizione, per il termine massimo di trenta giorni. All’audizione possono partecipare, su richiesta dell’Ufficio Sanzioni Amministrative, funzionari della Divisione che ha formulato le contestazioni. Dell’audizione è formato apposito processo verbale che viene sottoscritto dai soggetti partecipanti. 4-bis. Ferma restando la garanzia del diritto di difesa, l’attività difensiva nell’ambito del procedimento sanzionatorio si svolge nel rispetto del principio della leale collaborazione delle parti con la Consob. La produzione di documentazione inutilmente sovrabbondante, disordinata, inconferente o ingiustificatamente dilazionata, può costituire elemento di valutazione negativo del grado di cooperazione degli interessati con la Consob9. Art. 6 (Istruttoria del procedimento) 1. L’Ufficio Sanzioni Amministrative, ricevute le deduzioni e i documenti dei destinatari della lettera di contestazione degli addebiti o scaduto il termine per la loro presentazione, procede all’esame degli atti del procedimento sanzionatorio. 2. L’Ufficio Sanzioni Amministrative può chiedere alla Divisione che ha formulato le contestazioni, nonché ad ogni altra unità organizzativa il cui supporto

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Comma così sostituito con delibera n. 19016 del 3.9.2014. Comma aggiunto con delibera n. 19521 del 24.2.2016.

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sia ritenuto utile, una relazione tecnica sulle difese svolte dai destinatari della lettera di contestazione degli addebiti e su ogni altro aspetto meritevole di approfondimento. Le relazioni tecniche predisposte dalle unità organizzative interessate sono trasmesse dall’Ufficio Sanzioni Amministrative ai predetti soggetti, i quali hanno facoltà di presentare, entro trenta giorni dalla ricezione, proprie osservazioni in replica. 3. Nel caso previsto al comma 2, il termine di conclusione del procedimento sanzionatorio è sospeso per un periodo pari a trenta giorni decorrenti dalla data di protocollazione della nota con la quale l’Ufficio Sanzioni Amministrative trasmette la relazione tecnica ai destinatari della lettera di contestazione degli addebiti. 4. All’esito dell’esame degli atti del procedimento e a conclusione della fase istruttoria, l’Ufficio Sanzioni Amministrative predispone una relazione finale nella quale formula proposte motivate in merito alla sussistenza della violazione contestata e alla specifica determinazione del tipo e dell’entità della sanzione ovvero in merito all’archiviazione, e la trasmette alla Commissione entro trentacinque giorni precedenti alla scadenza del termine di conclusione del procedimento10. 4-bis. Ai fini della determinazione degli importi edittali delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogabili dalla Consob, il fatturato rilevante è il fatturato annuo dell’ultimo esercizio il cui bilancio alla data della violazione risulta approvato dall’organo competente. Tale fatturato è calcolato in conformità ai criteri previsti nell’Appendice del presente Regolamento11. 4-ter. Nella relazione indicata dal comma 4, l’Ufficio Sanzioni Amministrative, valutati i presupposti indicati dall’articolo 194-quater del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, può formulare proposta motivata in merito all’applicazione dell’ordine di eliminare le infrazioni contestate, in luogo della sanzione amministrativa pecuniaria. Con il provvedimento di applicazione dell’ordine la Consob può indicare le misure da adottare a questo scopo entro il termine fissato nel provvedimento stesso. Resta ferma, in ogni fase del procedimento, la possibilità per la Commissione di adottare, su proposta della Divisione competente, ai sensi delle vigenti disposizioni, provvedimenti specifici nei confronti dei soggetti vigilati, anche volti alla cessazione dei comportamenti non conformi alla normativa di riferimento12. 4-quater. Nei casi previsti dal comma 4-ter, l’Ufficio Sanzioni Amministrative, qualora riscontri dall’esame delle deduzioni e dei documenti presentati dai sog-

10 Comma già sostituito con delibera n. 19016 del 3.9.2014 e poi con delibera n. 19158 del 29.5.2015 e infine così modificato con delibera n. 19521 del 24.2.2016 dopo le parole: “alla specifica determinazione”, ha inserito le seguenti parole: “del tipo e dell’entità”. 11 Comma aggiunto con delibera n. 19521 del 24.2.2016. 12 Comma aggiunto con delibera n. 19521 del 24.2.2016.

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getti interessati ai sensi dell’articolo 5, che gli interventi posti in essere abbiano portato alla eliminazione delle infrazioni contestate, ne tiene conto nella proposta motivata per la Commissione ai fini della conclusione del procedimento13. Art. 7 (Riunione e separazione di procedimenti) 1. L’Ufficio Sanzioni Amministrative, a condizione che ciò non determini un ritardo nella definizione dei procedimenti, può disporre la riunione di procedimenti nei casi in cui la violazione contestata sia stata commessa da più persone, in concorso o in cooperazione fra loro, ovvero se essa sia stata commessa da più persone con condotte indipendenti. La riunione dei procedimenti può essere altresì disposta qualora per la natura delle violazioni contestate sia opportuna una valutazione congiunta delle singole posizioni dei soggetti interessati. 2. Nel caso di procedimento avviato nei confronti di più soggetti, l’Ufficio Sanzioni Amministrative può disporre la separazione delle singole posizioni dei soggetti interessati qualora ciò sia ritenuto necessario per assicurare il corretto e adeguato esercizio dell’attività istruttoria. Art. 8 (Fase decisoria) 1. Contestualmente alla trasmissione alla Commissione, fatti salvi i tempi occorrenti per l’eventuale traduzione in lingua straniera, la relazione finale predisposta dall’Ufficio Sanzioni Amministrative, con l’omissione delle parti sottratte all’esercizio del diritto di accesso, è trasmessa ai destinatari della lettera di contestazione degli addebiti, che abbiano presentato le deduzioni scritte ai sensi dell’articolo 5, comma 2, ovvero abbiano partecipato all’audizione prevista dall’articolo 5, comma 4. 2. Entro il trentesimo giorno successivo alla data di ricezione della relazione dell’Ufficio Sanzioni Amministrative da parte dei destinatari della lettera di contestazione degli addebiti, gli stessi possono presentare alla Commissione proprie controdeduzioni scritte in replica alle considerazioni dell’Ufficio Sanzioni Amministrative. Qualsiasi documento presentato successivamente a tale termine non sarà preso in considerazione. 3. Nel caso previsto al comma 1, il termine di conclusione del procedimento sanzionatorio è sospeso dalla data di protocollazione della relazione dell’Ufficio

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Comma aggiunto con delibera n. 19521 del 24.2.2016.

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Sanzioni Amministrative fino alla scadenza del termine per la presentazione delle controdeduzioni scritte da parte del soggetto che ha ricevuto per ultimo la relazione dell’Ufficio Sanzioni Amministrative. 4. Le controdeduzioni scritte previste al comma 2 replicano sinteticamente alle considerazioni dell’Ufficio Sanzioni Amministrative in merito alla sussistenza e alla gravità della violazione contestata. Qualora, in presenza di motivate ragioni, superino le 15 pagine, esse riportano un indice e una sintesi delle argomentazioni difensive presentate. Si applica l’articolo 5, comma 4-bis14. 5. Il procedimento sanzionatorio si conclude con l’adozione da parte della Commissione del provvedimento sanzionatorio, dell’atto di archiviazione ovvero della proposta di applicazione di misura sanzionatoria di competenza di altra Amministrazione o Autorità. 6. I provvedimenti o gli atti previsti dal comma 5 sono notificati o comunicati ai destinatari della lettera di contestazione degli addebiti. 7. La disciplina prevista dal presente articolo si applica anche nel caso in cui la Commissione richieda all’Ufficio Sanzioni Amministrative una relazione integrativa. L’Ufficio Sanzioni Amministrative provvede alla trasmissione della relazione integrativa entro 45 giorni dalla richiesta, salve motivate ragioni. In tale ipotesi, il termine di conclusione del procedimento è sospeso dalla data della richiesta della relazione integrativa fino al ventesimo giorno successivo alla scadenza del termine per la presentazione delle controdeduzioni scritte da parte del soggetto che ha ricevuto per ultimo la relazione integrativa15. Art. 8-bis (Pubblicazione del provvedimento) 1. Il provvedimento sanzionatorio è pubblicato per estratto nel Bollettino della Consob dopo la notizia dell’avvenuta notificazione al soggetto interessato ovvero, nel caso di più soggetti, dopo la notizia dell’avvenuta ultima notificazione. 2. L’estratto contiene almeno: a) le fonti normative poste alla base del procedimento sanzionatorio; b) i fatti contestati e la disposizione violata; c) la sintetica indicazione degli atti del procedimento; d) la decisione della Commissione con la menzione del soggetto sanzionato, l’indicazione della violazione accertata, del tipo e dell’entità della

14 Comma così modificato con delibera n. 19521 del 24.2.2016 dopo le parole: “argomentazioni difensive presentate.” ha aggiunto il seguente periodo: “Si applica l’articolo 5, comma 4-bis.” 15 Articolo così sostituito con delibera n. 19158 del 29.5.2015.

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sanzione applicata nonché dei criteri posti alla base della determinazione della sanzione, ai sensi dell’articolo 194-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. 3. A margine del provvedimento pubblicato sono annotate le informazioni riguardanti l’avvenuta presentazione di ricorso giurisdizionale da parte del soggetto interessato con riguardo a: 1) l’autorità adita e le date di notifica e deposito del ricorso; 2) l’indicazione degli estremi dei provvedimenti, anche cautelari, adottati dall’autorità adita sul ricorso, anche se non definitivi; 3) la decisione sul ricorso. 4. Le medesime informazioni sono pubblicate con riguardo ai giudizi di impugnazione dei provvedimenti adottati dall’autorità adita sul ricorso. La Commissione può disporre nel provvedimento sanzionatorio modalità ulteriori di pubblicazione, ponendo le relative spese a carico del soggetto interessato. La Commissione può disporre la pubblicazione del provvedimento in forma anonima, il differimento della stessa, ovvero l’esclusione della pubblicazione, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 195-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 5816. CAPO III Disposizioni finali Art. 9 (Entrata in vigore) 1. Il presente regolamento entra in vigore il sessantesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Esso si applica ai procedimenti sanzionatori avviati successivamente alla sua entrata in vigore. Ai procedimenti sanzionatori avviati prima dell’entrata in vigore del presente regolamento continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nel “Regolamento concernente la determinazione dei termini di conclusione e delle unità organizzative responsabili dei procedimenti sanzionatori della Consob”, adottato dalla Consob con delibera n. 12697 del 2 agosto 2000 e successive modificazioni, nonché quelle contenute nella delibera n. 15086 del 21 giugno 2005, recante “Disposizioni organizzative e procedurali relative all’applicazione di sanzioni amministrative e istituzione dell’Ufficio Sanzioni Amministrative”, nel testo vigente prima dell’entrata in vigore del regolamento medesimo17.

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Articolo inserito con delibera n. 19521 del 24.2.2016. Comma così modificato con delibera n. 18774 del 29.1.2014.

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Appendice 1. Nozione di fatturato 1.1. Il fatturato è calcolato in conformità ai seguenti criteri: a) per le banche, gli altri soggetti abilitati di cui all’articolo 1, comma 1, lettera r), del Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), le società finanziarie, gli istituti di moneta elettronica di cui al titolo V-bis del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (TUB), gli istituti di pagamento di cui al titolo V- ter del TUB, i confidi di cui all’articolo 112 del TUB, la Società Poste Italiane S.p.A. per l’attività di Banco Posta: - l’aggregato costituito dalla somma delle seguenti voci di provento così come definite nella direttiva 86/635/CEE, al netto, se del caso, dell’imposta sul valore aggiunto e di altre imposte direttamente associate ai suddetti proventi: i) interessi e proventi assimilati; ii) proventi su titoli: - proventi di azioni, quote ed altri titoli a reddito variabile, - proventi di partecipazioni, - proventi di partecipazioni in imprese collegate; iii) proventi per commissioni; iv) profitti (netti) da operazioni finanziarie (da non considerare le operazioni relative ai titoli non inclusi nel portafoglio di negoziazione); v) altri proventi di gestione. b) per le imprese di assicurazione e di riassicurazione: - il valore dei premi lordi emessi, che comprendono tutti gli importi incassati o da incassare a titolo di contratti di assicurazione stipulati direttamente da dette imprese o per loro conto, inclusi i premi ceduti ai riassicuratori, previa detrazione delle imposte o tasse parafiscali riscosse sull’importo dei premi o sul relativo volume complessivo. I suddetti contratti di assicurazione includono anche i contratti che non rientrano nella definizione di contratto di assicurazione secondo i principi contabili internazionali di riferimento; c) per le imprese diverse da quelle indicate dalle lettere a) e b): - gli importi ricavati dalla vendita di prodotti e dalla prestazione di servizi realizzati dalle imprese interessate e corrispondenti alle loro normali attività, previa detrazione degli sconti concessi sulle vendite nonché dell’imposta sul valore aggiunto e di altre imposte direttamente legate al fatturato. 1.2 Per le società e gli enti tenuti alla redazione del bilancio consolidato, o nel caso di una impresa controllata da una impresa tenuta alla redazione del bilancio consolidato, il fatturato rilevante è di norma il fatturato consolidato annuo dell’ultimo esercizio il cui bilancio consolidato, alla data della violazione, risulta approvato dall’organo competente dell’impresa capogruppo. 1.3 Nel caso in cui il dato del fatturato rilevante, come sopra determinato, risultasse non attendibile o non determinabile, la Commissione, di norma, prenderà in considerazione, anche tenuto conto dell’applicazione dei criteri di cui all’articolo 194-bis del TUF, il fatturato annuo relativo al primo

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esercizio precedente, a quello che evidenzia un dato non attendibile o non determinabile, che non presenti le suddette criticità. Nel caso in cui il dato del fatturato rilevante come sopra determinato, risultasse non significativo, la Commissione, di norma, prenderà in considerazione, anche tenuto conto dell’applicazione dei criteri di cui all’articolo 194-bis del TUF, il calcolo di una media del fatturato degli ultimi tre esercizi precedenti all’esercizio che presenta i sopra indicati profili di non significatività (ove esistenti)18.

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Appendice aggiunta con delibera n. 19521 del 24.2.2016.

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NORME REDAZIONALI

I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)

II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. …

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Norme redazionali

4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).

III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile c.c. codice di commercio c.comm. Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall.

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Norme redazionali

legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)

l.camb. t.u. t.u.b. t.u.f.

2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur.

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Norme redazionali

Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm. Rivista della cooperazione Riv. coop. Rivista delle società Riv. soc. Rivista del diritto commerciale Riv. dir. comm. Rivista del notariato Riv. not. Rivista di diritto civile Riv. dir. civ. Rivista di diritto internazionale Riv. dir. internaz. Rivista di diritto privato Riv. dir. priv. Rivista di diritto processuale Riv. dir. proc. Rivista di diritto pubblico Riv. dir. pubbl. Rivista di diritto societario RDS Rivista giuridica sarda Riv. giur. sarda Rivista italiana del leasing Riv. it. leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Riv. trim. dir. proc. civ. Vita notarile Vita not.

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Norme redazionali

4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesin­ger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cu­ra di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, To­rino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Tori­no, Tratt. soc. per az., diretto da Co­lombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume

IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze.

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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria

L’abbonamento alla rivista decorre dal 1° gennaio di ogni anno e dà diritto a tutti i numeri relativi all’annata, compresi quelli già pubblicati. L’abbonamento si intende rinnovato in assenza di disdetta da comunicarsi almeno 60 giorni prima della data di scadenza a mezzo lettera raccomandata a.r. da inviare a Pacini Editore S.r.l. Cedola di sottoscrizione - Abbonamento Italia 2017 (4 fascicoli): € 120,00 - Abbonamento Estero 2017 (4 fascicoli): € 170,00 - Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 35,00 Modalità di Pagamento ☐ assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Srl - PISA ☐ versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Srl - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 G 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) ☐ carta di credito ☐ MasterCard ☐ VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma.................................................................

Inviare il presente modulo all’Editore: Pacini Editore Srl via Gherardesca - 56121 Ospedaletto-Pisa Tel. 050 313011 - Fax 050 3130300 www.pacinieditore.it • info@pacinieditore.it è possibile acquistare la rivista direttamente sul sito dell’Editore




Familia 5-6 2016

Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa

Rivista bimestrale

maggio - agosto 2016

D iretta Da S alvatore Patti Tommaso Auletta, Mirzia Bianca, Maria Giovanna Cubeddu, Lucilla Gatt (vicedirettore), Fabio Padovini, Massimo Paradiso, Enrico Quadri, Carlo Rimini, Giovanni Maria Uda

IN EVIDENZA The day-by-day operaTion and enforcemenT of judgmenTs relaTive To parenTal responsibiliTies. some observaTions based on The iTalian experience

Familia è indirizzata a chiunque necessiti di uno strumento autorevole e costantemente aggiornato per affrontare le problematiche più complesse del Diritto di Famiglia. Alla rivista è collegato un sito web costantemente aggiornato che prevede le seguenti aree: Famiglia; unioni civili; minori; separazione e divorzio; successioni mortis causa e donazioni.

Carlo Rimini

coinTesTazione dei conTi correnTi bancari e comunione legale dei beni: le ricaduTe nel TraTTamenTo successorio

Pietro Sirena

l’adozione nelle unioni civili. smenTiTa la cassazione Mario Segni

Pacini

Rivista di Diritto Tributario

www.rivistadirittotributario.it

6

Rivista bimestrale

2016

Vol. XXVI - Dicembre 2016

6

Diretta Da Mauro Beghin - Pietro Boria - Loredana Carpentieri (coordinamento di direzione) Gaspare Falsitta - Augusto Fantozzi - Andrea Fedele - Guglielmo Fransoni - Salvatore La Rosa - Francesco Moschetti - Pasquale Russo - Roberto Schiavolin - Giuseppe Zizzo

In evidenza: • Note critiche intorno al concetto di abuso del diritto nella recentissima codificazione

Gaspare Falsitta • La posizione sostanziale e processuale del pubblico ufficiale in ordine alle imposte dovute

sull’atto rogato Simone Ghinassi • La cessione delle partecipazioni nella disciplina di participation exemption: spunti per una

modifica normativa Giuseppe Ingrao • Immobili “culturali”: la ratio dell’agevolazione fiscale secondo la Consulta nell’assenza

dell’art. 9 Cost. Silvia Giorgi • Controlli fiscali e reati tributari con soglia di punibilità: la Cassazione rimarca i diritti della

difesa ex art. 220 disp. att. c.p.p. Tommaso Rafaraci

acini

Pacini

Rivista bimestrale cartacea e online Diretta da M. Beghin, P. Boria, L. Carpentieri, G. Falsitta, A. Fantozzi, A. Fedele, G. Fransoni, S. La Rosa, F. Moschetti, P. Russo, R. Schiavolin, G. Zizzo

www.rivistadirittotributario.it

La rivista si articola in sezioni contenenti le più importanti pronunce giurisprudenziali, le sentenze e le decisioni inedite, commentate con collegamenti ad altri argomenti di interesse professionale e la dottrina più autorevole del settore. Alla rivista è collegato un sito web che seleziona le novità più rilevanti che interessano la materia (sentenze, novità legislative, progetti, circolari, ecc.) e fornisce un primo rapido commento.

Novità

Labor

Il lavoro nel diritto

La nuova disciplina dei licenziamenti Tutele del lavoratore illegittimamente licenziato dalla Riforma Fornero al Jobs Act Sapere

professionale

1

1

Il testo si occupa della disciplina del licenziamento, individuale e collettivo, partendo anzitutto dall’analisi del dato normativo per poi analizzare le più importanti e rilevanti novità e modifiche apportate, in particolar modo, nel 2012, dalla legge n. 92 meglio nota come Riforma Fornero, e nel 2015 con il famoso Jobs Act e decreti attuativi; il tutto, ovviamente, alla luce della copiosa e interessante giurisprudenza sul punto. Il testo vuole essere di aiuto a tutti gli operatori del diritto, ma anche ai lavoratori e datori di lavoro, che quotidianamente si trovano ad affrontare le problematiche legate al recesso nell’ordinamento giuslavoristico. La lettura del volume è resa, senza dubbio, più agevole dalla presenza di schemi, sintesi, casi giurisprudenziali, al fine di rendere più chiara la normativa come riformata, ovvero l’articolo 18 della legge n. 300 del 1970, concernente la tutela del lavoratore che subisce – a suo dire – un licenziamento illegittimo.

La nuova disciplina dei licenziamenti

Pacini

Rivista bimestrale cartacea e online Diretta da Oronzo Mazzotta

La nuova disciplina dei licenziamenti Tutele del lavoratore illegittimamente licenziato dalla Riforma Fornero al Jobs Act  Manuela Rinaldi

 Manuela Rinaldi - Avvocato del Foro di Avezzano (AQ); dal 2011 è Docente tutor in Diritto del lavoro presso la UTIU - Università Telematica Internazionale Uninettuno; già Docente di Diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza Università di Teramo, sede distaccata di Avezzano, Diritto del lavoro e Diritto Sindacale; Dottore di ricerca in Diritto dell‘Economia e dell‘Impresa, Diritto Internazionale e Diritto Processuale Civile, Curriculum Diritto del lavoro, con tesi su “L‘infortunio in itinere nella giurisprudenza“, Tutor Prof. Arturo Maresca, conseguito presso l‘Università La Sapienza - Roma; Docente in vari corsi di Formazione per professionisti e aziende; Autore di numerose pubblicazioni, sia opere monografiche che collettanee; Relatore a Convegni e Seminari, quali ad esempio Convegno “Le ultime riforme della Giustizia Civile”, presso la Corte di Cassazione, Roma, 28 marzo 2014 con relazione sul tema “Problemi del rito Fornero tra Consulta e Cassazione”.

www.rivistalabor.it

Pacini

€ 19,00

Manuela Rinaldi pp. 152 euro 19 Il testo si occupa della disciplina del licenziamento, individuale e collettivo, partendo dall’analisi del dato normativo per poi analizzare le più importanti e rilevanti novità e modifiche apportate, in particolar modo, nel 2012, dalla legge n. 92 meglio nota come Riforma Fornero, e nel 2015 con il famoso Jobs Act e decreti attuativi; il tutto, ovviamente alla luce della copiosa e interessante giurisprudenza sul punto. La lettura del volume è resa, senza dubbio, più agevole dalla presenza di schemi, sintesi, casi giurisprudenziali, al fine di rendere più chiara la normativa come riformata, ovvero l’articolo 18 della legge n. 300 del 1970, concernente la tutela del lavoratore che subisce – a suo dire – un licenziamento illegittimo.

Labor è indirizzata a chiunque necessiti di uno strumento autorevole e costanteact I Diritto e II mente aggiornato per affrontare le problematiche più complesse Jobs del del Lavoro. Alla rivista è collegato un sito web che seleziona lei iure novità più rilevanti che interessano la materia (sentenze, anzitutto, ma anche novità legislative, proJobs act getti, circolari, ecc.) e fornisce un primo rapido commento. Mariacarla Giorgetti è Professore Ordinario di Diritto Processuale Civile, Diritto Fallimentare e di Diritto dell’Arbitrato presso l’Università degli Studi di Bergamo. È autore di numerose pubblicazioni in materia di diritto processuale civile – con particolare attenzione alle tematiche relative al processo del lavoro – di diritto dell’arbitrato e di diritto fallimentare. È membro del Comitato editoriale della Rivista di diritto processuale. È avvocato in Milano, Bergamo e Ancona. Ha maturato una pluriennale esperienza nel contenzioso ordinario, civilistico e laburistico, arbitrale, fallimentare e concorsuale, in ambito nazionale ed internazionale.

ISBN 978-88-6315-984-4

9 788863 159844

€ 29,00

Mariacarla Giorgetti

I e II

Prospettive applicative

i PraticiPacini

PraticiPacini

4

Il lavoro analizza l’articolato e complesso insieme dei provvedimenti del Governo Renzi finalizzati a rendere più semplice e competitivo il mercato del lavoro nel nostro Paese. Sono individuati gli scopi pratici perseguiti dal Riformatore sin dal disegno di legge-delega, poi concretizzatosi nella legge n. 183/2014, e sono analizzati i contenuti del d.l. n. 34/2014, che ha dato vita al cd. Jobs Act I. Nella seconda parte dell’opera, dedicata al cosiddetto Jobs Act II, sono oggetto di analisi i decreti attuativi, tra cui spicca, per impatto pratico, il decreto dedicato al contratto a tutele crescenti, istituto destinato a determinare il superamento delle forme di lavoro atipico.

Pacini

LABOR 5 -6 2016

Vol. XXVI - Dicembre

Rivista di

Diritto Tributario

Jobs act I e II - Prospettive applicative

nali;

Familia

ISSN 1592-9930

5-6

www.rivistafamilia.it

pubblicità 40345-Crisi matrimonio-Andreola

Pacini

oste

online

www.rivistafamilia.it

Rivista di Diritto Tributario

opea;

Rivista bimestrale cartacea e Diretta da Salvatore Patti

Periodico bimestrale - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in a.p. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, Aut. MBPA/CN/PI/0007/2016

con le modi-

Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa

ISSN 1121-4074

016

Familia

LABOR

issn 2531-4688

5-6

Il lavoro nel diritto

Rivista bimestrale

settembre-dicembre 2016

Diretta Da Oronzo Mazzotta

www.rivistalabor.it

IN EVIDENZA La (in)derogabilità della normativa lavoristica ai tempi del Jobs Act Raffaele De Luca Tamajo

Il neotipo e il prototipo: precarietà e stabilità Carlo Cester

Il “fatto materiale”: una riflessione interpretativa Riccardo Del Punta

Prospettive applicative

Le “quote di genere” negli organi di governo delle società

Mariacarla Giorgetti pp. 376 euro 29

Focus su articolo 18 e lavoro pubblico privatizzato

Il lavoro analizza l’articolato e complesso insieme dei provvedimenti del Governo Renzi finalizzati a rendere più semplice e competitivo il mercato del lavoro nel nostro Paese. Sono individuati gli scopi pratici perseguiti dal Riformatore sin dal disegno di legge-delega, poi concretizzatosi nella legge n. 183/2014, e sono analizzati i contenuti del d.l. 34/2014, che ha dato vita al cd. Jobs Act I. Nella seconda parte dell’opera, dedicata al cosiddetto Jobs Act II, sono oggetto di analisi i decreti attuativi, tra cui spicca, per impatto pratico, il decreto dedicato al contratto a tutele crescenti, istituto destinato a determinare il superamento delle forme di lavoro atipico.

Le Riviste

Marina Brollo

Alessandro Lima

Giurisprudenza commentata Cinzia Carta, Antonio Preteroti, Francesco Paolo Luiso, Elisabetta Tarquini

Pacini


4/2016 Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009

Diritto della banca e del mercato finanziario

di particolare interesse in questo fascicolo

Società bancarie e società di diritto comune

Sicaf

Sostegno finanziario infragruppo

Contratti derivati impliciti

Pacini

ottobre-dicembre

4/2016 anno xxx

www.parolaalladifesa.it

La rivista è liberamente consultabile. Oltre ai fascicoli, il sito ospita gli aggiornamenti, curati dalla redazione scientifica e riferiti alla giurisprudenza e alla legislazione più recente, e le NEWS sui temi di principale attualità nel settore penale.

2 DUEMILASEDICI novembre-dicembre

PAROLA alla DIFESA

Rivista bimestrale online free access dell’UNIONE CAMERE PENALI italiane Diretta da B. Migliucci, G. Spangher, G. Flora

PAROLA alla DIFESA rivista bimestrale diretta da Beniamino Migliucci, Giorgio Spangher, Giovanni Flora

2

www.parolaalladifesa.it

DUEMILASEDICI

novembre-dicembre Comitato scientifico:

Familia 5- 6 2016

A. De Caro, F. Dinacci, O. Dominioni, G. Fiandaca, L. Filippi, A. Gaito, M. Gallo, A. Gargani, G. Garuti, A. Giarda, F. Giunta, G. Insolera, A. Lanzi, V. Maiello, V. Manes, A. Marandola, N. Mazzacuva, G. Pecorella, D. Siracusano, L. Stortoni

Familia

maggio - agosto 2016

D iretta Da S alvatore P atti Tommaso Auletta, Mirzia Bianca, Maria Giovanna Cubeddu, Lucilla Gatt (vicedirettore), Fabio Padovini, Massimo Paradiso, Enrico Quadri, Carlo Rimini, Giovanni Maria Uda

www.rivistafamilia.it

some observaTions based on The iTalian experience

Carlo Rimini

coinTesTazione dei conTi correnTi bancari e comunione legale dei beni: le ricaduTe nel TraTTamenTo successorio

Pietro Sirena

l’adozione nelle unioni civili. smenTiTa la cassazione Mario Segni

Pacini

Judicium n. 1/2017

il processo civile in Italia e in Europa

Rivista trimestrale

Marzo 2017

1

Diretta da: B. Sassani • F. Auletta • A. Panzarola • S. Barona Vilar • P. Biavati • A. Cabral • G. Califano D. Dalfino • M. De Cristofaro • G. Della Pietra • F. Ghirga • A. Gidi • M. Giorgetti • A. Giussani G. Impagnatiello • G. Miccolis • M. Ortells Ramos • F. Santangeli • R. Tiscini

In evidenza: La trascrizione della domanda di opposizione di terzo ordinaria

LABOR 5 -6 2016

Cristina Asprella

plina del licenzia, partendo dall’aer poi analizzare ovità e modifiche , nel 2012, dalla e Riforma Fornero, obs Act e decreti alla luce della codenza sul punto. enza dubbio, più hemi, sintesi, casi endere più chiara ovvero l’articolo 970, concernente bisce – a suo dire

LABOR

issn 2531-4688

5-6

Il lavoro nel diritto

Rivista bimestrale

settembre-dicembre 2016

Diretta Da Oronzo Mazzotta

www.rivistalabor.it

IN EVIDENZA La (in)derogabilità della normativa lavoristica ai tempi del Jobs Act Raffaele De Luca Tamajo

Il neotipo e il prototipo: precarietà e stabilità

Riconoscimento ed esecuzione dei provvedimenti stranieri, con particolare riferimento alla materia familiare Paolo Biavati

Per un nuovo concetto di giurisdizione

Carlo Cester

Il “fatto materiale”: una riflessione interpretativa Riccardo Del Punta

Antonio Cabral

Le “quote di genere” negli organi di governo delle società Marina Brollo

eel ti o-

Focus su articolo 18 e lavoro pubblico privatizzato Alessandro Lima

dei provvedimenti e e competitivo il ti gli scopi pratici delega, poi conlizzati i contenuti I. Nella seconda sono oggetto di pratico, il decreto ato a determinare

Giurisprudenza commentata Cinzia Carta, Antonio Preteroti, Francesco Paolo Luiso, Elisabetta Tarquini

Pacini

Il giudicato come limite alle sentenze della Corte costituzionale e delle Corti europee Ulisse Corea

Le nuove Rules del Tribunale unificato dei brevetti Mariacarla Giorgetti

Prospettive ed evoluzione del processo esecutivo in Italia

ato finanziario

Giuseppe Miccolis

I nuovi confini del binomio mutatio-emendatio libelli come ridisegnati dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite del 2015

2 DUEMILASEDICI novembre-dicembre

PAROLA alla DIFESA

Les nova dans la procédure d’appel: l’évolution du procès civil italien Achille Saletti

Variations sérieuses sul riesame della motivazione Bruno Sassani

PAROLA alla DIFESA

Pacini

rivista bimestrale diretta da Beniamino Migliucci, Giorgio Spangher, Giovanni Flora

2

www.parolaalladifesa.it

DUEMILASEDICI

novembre-dicembre Comitato scientifico: A. De Caro, F. Dinacci, O. Dominioni, G. Fiandaca, L. Filippi, A. Gaito, M. Gallo, A. Gargani, G. Garuti, A. Giarda, F. Giunta, G. Insolera, A. Lanzi, V. Maiello, V. Manes, A. Marandola, N. Mazzacuva, G. Pecorella, D. Siracusano, L. Stortoni

Pacini

il processo civile in Italia e in Europa Rivista trimestrale cartacea e online Diretta da B. Sassani, F. Auletta, A. Panzarola, S. Barona Vilar, P. Biavati, A. Cabral, G. Califano, D. Dalfino, M. De Cristofaro, G. Della Pietra, F. Ghirga, A. Gidi, M. Giorgetti, A. Giussani, G. Impagnatiello, G. Miccolis, M. Ortells Ramos, F. Santangeli, R. Tiscini

www.judicium.it

Silvia Ricci

ottrina, commenti a sentenze pprofondimenti di problemi e si concentra sull’attualità, larmente significativi, infor-

Pacini

Judicium

ISSN 1592-9930

5-6

Il diritto della famiglia e delle successioni in Europa

Rivista bimestrale

IN EVIDENZA The day-by-day operaTion and enforcemenT of judgmenTs relaTive To parenTal responsibiliTies.

eri, G. Falsitta, A. , F. Moschetti, P.

ase.

La rivista offre, nella sua prima parte, contributi di dottrina, commenti a sentenze di rilevante interesse, rassegne di giurisprudenza, approfondimenti di problemi della pratica, spunti di varietà; nella seconda parte si concentra sull’attualità, normative italiane e comunitarie, documenti particolarmente significativi, informazioni sulle novità.

ISSN 1722-8360

Parola alla difesa

portanti pronunce giurispruate con collegamenti ad altri ù autorevole del settore. Alla à più rilevanti che interessacircolari, ecc.) e fornisce un

a

Rivista trimestrale Diretta da Alessandro Nigro

1

no e o;

ziato o al Jobs Act

Diritto della banca e del mercato finanziario

Saggi

Diritto della banca e del mercato finanziario

Judicium, un periodico di “procedura” che esamina tutti i differenti processi civili del nostro ordinamento giuridico anche in una prospettiva internazionale. Particolare attenzione viene dedicata alla giurisprudenza più attuale e interessante.

Pacini



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