Diritto della banca e del mercato finanziario 2/2011

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Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009

Diritto della banca e del mercato finanziario

2/2011

Saggi

ISSN 1722-8360

di particolare interesse in questo fascicolo

• Banca e trasparenza

• Titoli dematerializzati

• Le Autorità europee di vigilanza finanziaria

• Sintesi di giurisprudenza

aprile-giugno

2/2011 anno xxv

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marzo-aprile

2/2011 anno XXV


Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è coordinato dal prof. Vittorio Santoro.


Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria

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SOMMARIO 2/2011

PARTE PRIMA Saggi Sulle nozioni di “banca” e di “trasparenza”: spunti dal d. lgs. n. 141/2010, di Aldo Angelo Dolmetta

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Criteri di proporzionalità ed efficacia dei modelli di risk management, di Fabrizio Maimeri

» 241

Contribución al estudio de la naturalezza jurídica de los valores anotados, di Guillermo Caballero German

» 263

Commenti Anatocismo nei rapporti bancari – Cass., SS. UU., 23 novembre 2010, n. 24418

» 303.

Anatocismo nei conti bancari. Prime riflessioni sui principi fissati dalle S.U. nella sentenza n. 24418/2010, di Roberto Marcelli

» 312

Cancellazione dal registro delle imprese ed estinzione delle società – Cass., SS. UU., 9 aprile 2010, n. 8426; Trib. Padova, 20 febbraio 2011

» 321

Cancellazione ed estinzione delle società: prosegue la “storia infinita”, di Alessandro Nigro

» 325


Rassegne pag. 331

Sintesi di giurisprudenza (II trimestre 2010)

PARTE SECONDA Legislazione Regolamento 24 settembre 2010, n. 1093, del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione Europea, che istituisce l’Autorità bancaria europea

» 33

Le Autorità di vigilanza di Raffaele D’Ambrosio

» 109

Norme

redazionali

finanziaria

dell’Unione,

» 145


PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ



SAGGI

Sulle nozioni di «banca» e di «trasparenza»: spunti dal d.lgs. n. 141/2010 * Sommario: 1. Suggestioni dal decreto n. 141. – 2. Nozioni di «banca». – 3. Attività «bancarie» e disciplina delle operazioni. – 4. Opacità del legislatore e instabilità del t.u.b. – 5. Nozioni di «trasparenza». – 6. «Oltre» l’informazione: l’equilibrio.

1. Suggestioni dal decreto n. 141 Come quelli dei relatori che mi hanno preceduto, anche il mio intervento viene a occupare uno spazio ampio e a prendere un taglio largo. Forse, è il momento che sta passando il diritto bancario – disciplina, in Italia, quanto mai piena di tormenti e di trasformazioni – a sollecitare interrogativi di vocazione generale. Certo è, in ogni caso, che il recentissimo decreto n. 141/2010 (con relativi «dintorni»), di notevole ortopedia del t.u.b., ha portato ad emersione una serie ampia, e importante, di domande. E tutto ciò, in buona parte, viene a riflettersi sulla materia della trasparenza in modo diretto (anche se, talora, per il medio di più passaggi). Cerco di definire per bene il primo punto che mi preme segnalare nella presente sede, anche perché il tema è proprio di vertice. Si pone oggi, dunque, un duplice interrogativo: quello dell’opportunità, o meno, di continuare a imperniare la legge centrale del settore [meglio, una delle due leggi centrali, posta la presenza, a fianco del t.u.b., del

*

In ricordo di Giovanni Emanuele Colombo. Rivisto nella forma e con l’aggiunta delle note, lo scritto propone la relazione presentata al Convegno «Nuove regole per le relazioni tra banche e clienti. Oltre la trasparenza?», sotto il patrocinio della Cassa di Risparmio di San Miniato s.p.a. (San Miniato, 22-23 ottobre 2010).

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t.u.f. 1] su delle sfere soggettive 2, così come conformate – è questo l’altro dei due passaggi – dall’esercizio congiunto della raccolta del risparmio e dell’erogazione del credito 3. Duplice interrogativo che, per vero, non

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Stando a quanto pare evocare lo stesso art. 10 t.u.b., là dove appunto qualifica l’«attività bancaria» come un’«attività finanziaria», tra le «altre» (co. 3). Il che, d’altro canto, indubbiamente dà a questo attuale «settore» dell’eteronormazione una forte dimensione di evanescenza: mancando una definizione legale di «attività finanziaria» (cfr., inter alios, Porzio, Banca e attività bancaria, in Enc. del dir., agg. IV, Milano, 2000, p. 166), pullulano però diverse, e numerose, accezioni in cui il termine «finanziario» viene impiegato (in primis) dal legislatore. Nella letteratura odierna, inoltre, corrono definizioni (di base, se così si può dire) che, in pratica, non significano niente (come quella di attività conformata da «operazioni aventi ad oggetto denaro e come obiettivo finale il denaro sperato», riportata da Artale, Criscuolo e Panico, Le attività, i soggetti, i collaboratori esterni, in Diritto delle banche e degli intermediari finanziari a cura di Galanti, Padova, 2008, p. 353, nota 128). 2 Secondo l’involuta strutturazione seguita dal t.u.b., l’«esercizio congiunto» è nozione che vale a definire un’attività come «bancaria»; a suo turno, questa attività [che sembrerebbe essere descritta come addirittura non pensabile se non in termini di «unica impresa» (cfr. la frase finale del co. 1)] serve (solo) per definire un soggetto: le «banche», appunto (cfr. il passaggio dal co. 1 al co. 2 dell’art. 10; sul tema dell’impresa bancaria non autorizzata v. infra, nota 15). In effetti, la disciplina, che volta per volta si trova poi dettata, viene ritagliata in termini pressoché costanti in relazione non già ad attività, bensì ai «soggetti banca». Il fatto è, inoltre, che le cose sembrano tendere a non rimanere entro il livello dell’involuzione ovvero della circolarità. Così è, almeno, quanto pare accadere per la disciplina delle operazioni nel contesto del co. 1 dell’art. 115 [ma potrebbe pure risultare, sul piano dommatico, un portato proprio di un’impostazione soggettivistica per nulla condivisibile (: lo strumento concettuale del patrimonio destinato, e perciò separato, si manifesta più che sufficiente al bisogno)]. Secondo questa disposizione, invero, tutte le attività svolte da una banca risultano (in astratto; prima, così, di correzioni del tipo dell’art. 25-bis t.u.f.) sottoposte alle regole di trasparenza: non solo quelle identificative e ben oltre la semplice aggiunta di quelle accessorie (su cui v. la anche la successiva nota 14 e testo corrispondente). Ma proprio qualunque, ammessa come non ammessa (v. anche infra nel testo, all’inizio del n. 3): quand’anche, ad esempio, di vendita di libri per corrispondenza o di smercio di hardware per computer (di solito, un’impostazione soggettiva si pone a modello quello della persona fisica: sì che il centro di imputazione dell’azione, che ne viene a derivare, scivola quasi inavvertito da un piano di funzionalità, e intrinsecamente limitato, a una prospettiva a raggio aperto, verso l’indeterminatezza delle attività). 3 Le osservazioni sull’«esercizio congiunto», che vengo a svolgere nel corso del presente saggio – o almeno la loro maggiore parte – valgono, se non mi inganno, anche facendo riferimento a(lla coppia-limite data da erogazione del credito e da) raccolta del risparmio tout court. Peraltro, esse vengono svolte tenendo in mente l’ipotesi principale, di raccolta del risparmio «tra il pubblico» (come dispone appunto la norma dell’art. 10) e con «obbligo di rimborso» (come prevede non la disposizione definitoria, bensì quella per sé disciplinare dell’art. 11, secondo un dettato legislativo all’evidenza alquanto confuso: e cfr. anche i contenuti della nota immediatamente successiva).

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si pone solo a livello di «trasparenza» delle operazioni contrattuali, ma pure – e ancora prima – a livello di disciplina dell’impresa. Come si vede, l’interrogativo è veramente di base: si discute, in definitiva, dello stesso significato da assegnare, per così dire, al termine «banca» (suoi derivati compresi) 4. Non pochi i fatti che, di recente, si propongono al riguardo come spie segnaletiche. Per fermarli alla rinfusa, si tratta tra l’altro dei seguenti. La normativa contenuta del decreto n. 141 ha dato, così, alquanto impulso alla somiglianza della disciplina sulle finanziarie con la regolamentazione sulle banche (cfr. anche solo l’attuale art. 110); se certo non si è ancora giunti all’identità, oggi non si può non parlare – come in effetti si è parlato – delle prime se non come di naturali «sorelle minori» delle seconde. E nella medesima prospettiva sta il finalmente raggiunto divieto di abuso di «denominazione finanziaria» (nuovo co. 1-quater dell’art. 133), a completamento di quello di attività finanziaria non autorizzata: e a pareggiamento, almeno sul piano «ideale», degli omologhi divieti da tempi lontani fissati per le banche. Come pure concorre a segnare l’autonoma considerazione ormai propria del credito la distinta disciplina introdotta dal nuovo art. 111 per l’attività di microcredito, a cui pure resta estraneo ogni profilo relativo alla raccolta.

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A volere prendere sul serio il «combinato disposto» del co. 1 dell’art. 10 e del co. 1 dell’art. 11, si dovrebbe giungere a ritenere che – «fuori» dal «decreto legislativo» di cui al t.u.b. – la nozione di «banca» vada sempre a fissarsi su quella coniata dal solo art. 10, senza sorta di specificazioni ulteriori: e, come tale, idonea a ricomprendere pure le finanziarie (per la raccolta azionaria, come pure per quelle ex art. 11, co. 4, lett. c.). Non mi risulta, peraltro, che una simile tesi sia stata proposta; del resto, sarebbe davvero singolare se la legge basica del settore (insieme al t.u.f.) assumesse a protagonista proprio un «significato anomalo» (e v. la chiusa della precedente nota 2). Fuori da ciò – e al di là di ogni definizione legislativa –, resta comunque che quella di «banca», come tutte le altre, è nozione (non «ontologica», bensì) relativa (che varia) e di contesto (= prodotta dai singoli, diversi quadri di riferimento). Così, per limitarsi qui all’esempio più banale, una cosa è l’impresa autorizzata a emettere assegni circolari, un’altra il «banchiere» di cui alla legislazione sull’assegno bancario (a sua volta diverso, poi, a seconda che il titolo sia «emesso o pagabile» in Italia ovvero fuori dal relativo territorio). Ma sul punto, per il derivato del «bancario», v. anche il cenno svolto infra, nota 17. Il punto della variabilità (per diritto positivo) della nozione di «banca» è talora affiorato in letteratura, specie nel confronto tra legge centrale di settore e codice. Cfr., così, Pavone La Rosa, Recensione, in Riv. dir. civ., 1961, II, p. 91 s.; Minervini, Impresa bancaria e contratti bancari, in Banca, borsa tit. cred., 1966, I, p. 268 s.; più di recente, Antonucci, Diritto delle banche, Milano, 2006, p. 63 s. (sembra, almeno). Cfr., altresì, Porzio, Banca, cit., p. 161, che discorre di «forza espansiva della definizione» del testo unico.

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Né sicuramente si potrebbe passare sotto silenzio in proposito la rinnovata importanza, sul piano delle operazioni, della materia del credito al consumo: con regole che, se da un lato incidono persino sulle imprese dei dettaglianti [cfr. il co. 5 dell’art. 122 rispetto ai contenuti delle condizioni di «vendita» da costoro offerte al mercato] 5, dall’altro adesso verrebbero a pretendere di stare del tutto a parte dalle altre norme sulla «trasparenza contrattuale» (art. 115 co. 3). E ancora si deve ricordare – tra i dintorni legislativi del decreto n. 141 – l’introduzione nel testo unico «bancario» di una disciplina di identificazione oggettiva e di sostanza estranea tanto all’esercizio del credito, quanto anche alla raccolta del risparmio: qual è quella relativa alla «prestazione di servizi di pagamento» (artt. 114-sexies ss. e 126-bis ss.) 6; disciplina che, essa pure, rivendica in via espressa la richiesta di volersi separare dal resto (cfr., di nuovo, il co. 3 dell’art. 115).

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Nel senso – è bene precisare – della limitazione di merito, e della correlativa marginalizzazione anche concettuale, prodotte appunto dal divieto di dilazione onerosa di cui all’attuale disposizione (mentre la disciplina precedente si risolveva, praticamente, in una sorta di semplice tautologia: per il rilievo che, se il «finanziamento» è «effettuato dal fornitore», allora consiste nella «mera dilazione del pagamento» del corrispettivo v. Costi, L’ordinamento bancario, ed. IV, Bologna, 2007, p. 694 s.). A proposito di questo co. 5 non sembra inopportuno, nell’occasione, svolgere altre due notazioni: nell’immediato, di trascuratezza legislativa (su questo tema in generale v. infra, n. 4). Testarda, la norma del co. 5 ha mantenuto la sostanza del riferimento che era contenuto nella lettera c) del co. 2 del vecchio art. 121 («soggetti autorizzati alla vendita»). Ciononostante, mi pare affatto sicuro che l’attuale termine «vendita» vada intesa sulla sostanziale falsariga dell’art. 128 co. 1, codice del consumo (secundum quid, peraltro; così: «ai contratti di vendita sono equiparati i contratti di permuta e di somministrazione nonché quelli di appalto, di opera e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura» di beni/servizi, senza aggiunta di altre parole). L’altra osservazione muove dal riscontro che non sembra essere scritta la sanzione per la violazione del divieto. La constatazione che il detto co. 5 non è ricompreso nell’ambito dell’art. 144 può rafforzare l’impressione, mi pare, che il divieto incida direttamente sull’atto, come ipotesi dunque di nullità virtuale: e allora, credo, nullità necessariamente parziale (la dilazione resta e senz’altro gratuita). 6 Non risulta che i primi commentatori del nuovo capo del t.u.b., come derivato dalla direttiva PSD, abbiano in una qualche misura segnalato questa avvenuta introduzione di materia oggettivamente «estranea» (che, peraltro, in termini di «soggetti-impresa» già da tempo vantava, tra l’altro, l’inserimento degli istituti di moneta elettronica, ex artt. 114bis ss.). Com’è naturale, l’immissione di un’attività – diversa da quella della raccolta, quanto da quella dell’erogazione – tradizionalmente svolta in Italia da banche non può non sollevare il problema relativo all’eventuale individuazione di altre attività «accessorie» destinate a lasciare, per la disciplina delle operazioni, l’alveo del capo I per rifluire nel capo II-bis.

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Ora, queste circostanze – nel loro insieme, di significatività senz’altro spessa – vengono a innestarsi, a riflettersi su degli elementi che non possono non considerarsi strutturali.

2. Nozioni di «banca». Sul fronte delle imprese «bancarie», così, occorre notare come la norma definitoria dell’art. 10 si limiti a prevedere la compresenza dell’esercizio e del risparmio e del credito: un esercizio congiunto dunque, non già (per forza) collegato tra queste due attività, di funzionalità della prima nei confronti della seconda 7. D’altro canto, l’attività di raccolta con «obbligo di rimborso» ben può assumere anche i tratti dell’efficienza economica: si pensi anche solo al caso dell’attività di depositi a vista di danaro, con corrispettivo posto a carico del depositante e giustificato dalla così conseguita sicurezza della relativa custodia 8. Per quanto sia

7 Osservano Artale, Criscuolo e Panico, Le attività, cit., p. 306 che «la definizione contenuta nell’art. 10 non introduce quel collegamento funzionale tra l’attività della raccolta e quella di erogazione del credito che parte della dottrina riscontra quale elemento essenziale dell’attività bancaria; ne deriva che l’attività può essere qualificata bancaria anche se il risparmio raccolto non viene utilizzato per l’erogazione del credito, purché le due attività di raccolta e di erogazione siano svolte congiuntamente». Di recente, si esprime ancora nel senso del collegamento funzionale Brescia Morra, Commento all’art. 10, in Testo unico bancario. Commentario a cura di Porzio, Belli, Losappio; Rispoli Farina, Santoro, Milano, 2010, p. 90: ma proprio di sfuggita e senza dare spiegazioni («l’attività bancaria è caratterizzata dal coordinamento fra le operazioni passive e attive. Per individuare un intermediario bancario è necessario che le due attività siano esercitate congiuntamente. Si tratta, più precisamente, di un’attività di raccolta del risparmio per l’erogazione del credito»); e v. pure, per la posizione di quest’autrice, anche la prossima nota 9. Per la rilevazione dell’«opportunità di svincolare la definizione di “attività bancaria” dal requisito dell’intermediazione (nel credito)» v. già Bigiavi, Il fallimento Giuffrè, in Giur. it., 1959, I, 2, c. 355, che appunto «auspica[va]» la «riforma della legislazione speciale». 8 A ciò si avvicina, del resto, la stessa pratica degli ultimi anni che vede priva di retribuzione (quando non del tutto, quasi) i conti deposito; e il transito dalla raccolta gratuita alla raccolta come affare di per sé stessa appare così breve da potere rimanere pressoché indistinguibile sul piano del fatto. Per una ulteriore «forma» di raccolta come autonoma impresa v. (in termini per certi versi rovesciati rispetto a quelli proposti nel precedente capoverso) la normativa dell’art. 4 d.m. 24 maggio 1999, n. 228 (Regolamento dei fondi comuni di investimento), per cui la raccolta confluita appunto nel patrimonio di un fondo può essere «investita»,

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tratto non poco «misconosciuto» dalla nostra letteratura, la raccolta del risparmio può porsi come autonoma impresa, oltre che a fungere da possibile fattore della produzione di una impresa di credito. Sempre che poi – e anche fermando il discorso al livello del diritto oggi positivo – la sussistenza di un esercizio della raccolta sia davvero così necessaria alla definizione di «banca» di cui all’art. 10: lo potrà essere a livello statutario o anche programmatico (cfr. l’art. 14), ma lo stesso non mi pare possa dirsi per il livello dell’effettiva operatività 9. O comunque risulti, questo fatto dell’esercizio della raccolta, in una qualche misura determinante: al di là di ogni classico richiamo ai minimi di capitale, per ipotizzare l’opposto basta porre mente all’importanza raggiunta dai coefficienti di patrimonializzazione 10. Insomma, la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito delineano due attività: e separate. Che in quanto tali andrebbero separatamente disciplinate e nella loro consistenza oggettiva. Dire quindi, come fa l’art. 10, che l’impresa bancaria è frutto dell’esercizio di due distinte attività – congiunte in un unico soggetto – finisce per rappresentare, più che altro, il portato di un semplice feticcio storico. E non v’è dubbio che una distinta considerazione normativa del risparmio e del credito – che, del resto, verrebbe a conformarsi al disposto costituzionale dell’art. 47 11 –

tra l’altro, in «depositi bancari di danaro» (co. 2, lett. c.; sul punto v. Costi, Il mercato mobiliare, ed. VI, Torino, 2010, p. 193 s.). 9 Almeno per quanto mi consta, infatti, l’eventualità che – nell’operativo – una banca (ottenuta la autorizzazione) si astenga dall’attività di raccolta (tra il pubblico, con obbligo di rimborso) non viene a comportare sanzioni di sorta. Il rilievo mi pare possa vantare anche l’indiretto conforto di Brescia Morra, Commento all’art. 10, cit., p. 91, che – accennata la tesi dell’esercizio funzionale (sopra, nota 7) – poi senz’altro afferma: «esistono banche che non esercitano l’attività bancaria». Per l’esplicita affermazione che la banca può – non deve – dare corso all’esercizio la raccolta v. Artale, Criscuolo e Panico, Le attività, cit., p. 354 s. 10 Risalente è ormai la notazione del «definitivo abbandono del vecchio convincimento» per cui una banca «potrebbe anche non avere capitale proprio e … vivere esclusivamente come intermediaria tra il pubblico che risparmia e gli intraprenditori di commerci ed industrie» [cfr. Portale, La ricapitalizzazione delle aziende di credito (problemi e ipotesi), in Ricapitalizzazione delle banche e nuovi strumenti di ricorso al mercato, a cura del medesimo, Milano, 1982, p. 5]. 11 In effetti, sotto il profilo strutturale i due temi non potrebbero essere tenuti più separati dalla prospettiva costituzionale: e non solo sotto il profilo sintattico. Nessuna interrelazione compare. Neppure risulta vero, anzi, che la norma «regol[i] le due distinte attività economiche del risparmio e del credito» (questa formula si trova, ad esempio, in Principe, L’impresa finanziaria, Milano, 1998, p. 82): solo il credito è assunto nel formato

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non porterebbe solo al già preannunciato compiuto pareggio di tutte le imprese che esercitano credito 12: pure – forse soprattutto, oggi – apri-

dell’impresa (e in termini di peculiare rigore); per contro, l’assunzione costituzionale del risparmio si pone in termini di «bene» (= somma di danaro disponibile a essere impiegata) ovvero quale risorsa (in evidente collegamento con il co. 1 dell’art. 42: come ascritto, cioè, alla categoria dei «beni economici»). Altro discorso è che, sotto il profilo funzionale, la tutela del «bene» risparmio si manifesti come uno dei fini della regolamentazione eteronoma della impresa di credito: nella prospettiva costituzionale, questo vale non differentemente per «tutte le forme» in cui l’investimento venga a realizzarsi. Non è vero, però, che la tutela del risparmio sia il fine dominante, o addirittura esclusivo, della richiamata regolamentazione (così invece Costi, da ultimo in op. cit., pp. 238 e 242): ché questa tesi finisce per negare la sussistenza di un arco, e di una gerarchia, dei valori costituzionali. E nemmeno vero è – ancora si deve aggiungere, per altro verso – che la tutela del risparmio predichi una qualche disciplina di favor negoziale per le imprese di credito (secondo una tesi tradizionale delle espressioni bancarie: cfr., anche negli ultimi anni, Giorgianni e Tardivo, Diritto bancario, Milano, 2006, p. 411): nulla, sul piano costituzionale, autorizza disparità di trattamento a favore di questo tipo di imprese (sul punto v. altresì le osservazioni critiche che ho svolto in Garanzie bancarie, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, p. 517 s.). 12 Non è forse inutile precisare in modo esplicito: nel senso, come rilievo generale e di tendenza, di un pareggiamento delle finanziarie alle banche, non viceversa; verso l’alto, dunque. Tra le altre cose, appare discutibile la scelta del legislatore vigente di consentire alle finanziarie, e di vietare alle banche, il ricorso alla forma della s.r.l. Al fondo di tale differente trattamento non può stare, a me pare, il fatto dell’esercizio congiunto (sia nel senso forte dell’esercizio funzionale, quanto in quello debole dell’esercizio compresente): se non altro, perché la norma dell’attuale art. 2483 c.c. rende la forma della s.r.l. strutturalmente inidonea per la raccolta del risparmio tra il pubblico e con obbligo di rimborso (non diversamente quella previgente dell’art. 2486, co. 3). Sicché, in questa prospettiva, una norma di divieto per le banche si manifesta, nella migliore delle ipotesi, prescrizione del tutto inutile (in proposito, scrive Costi, L’ordinamento, cit., p. 320 che «le ragioni» dell’esclusione, in effetti, «non sono evidenti»). Neppure mi paiono idonee a supportare sia un divieto, sia una diversità di regime, le «ragioni di carattere storico», come individuate nello «scarsissimo utilizzo delle società di capitali diverse dalla s.p.a.» (la frase è di Calandra Bonaura, La banca: l’impresa e i contratti, nel Tratt. dir. comm. diretto da Cottino, Padova, 2001, p. 65). Piuttosto, a me pare si debba tenere conto del fatto della «minore affidabilità complessiva, sotto il profilo sia organizzativo che patrimoniale, di questo tipo societario rispetto alla s.p.a.» (così Zanarone, Della società a responsabilità limitata, nel Comm. cod. civ. oggi diretto da Busnelli, Milano, 2010, p. 1800, per spiegare la ragione tipologica del detto divieto di raccolta tra il pubblico). Ed è ragione, questa, sì tradizionale per il tipo, ma oggi ancora più forte per via della «trasformazione tipologica» che la riforma del 2003 ha portato alla s.r.l.: da «piccola s.p.a.» a modello organizzativo destrutturato e senza anima. Ora, una società così informe, che può anche finire per risultare una società di persone o quasi (per il beneficio della responsabilità limitata), non si adatta (salvo, appunto, snaturarne le attuali

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rebbe al risparmio la ricerca dei propri (veri) confini unitari di regolamentazione, in luogo della frammentazione attuale 13. Senza contare, inoltre, che una simile prospettiva verrebbe (tra l’altro, anche) a liberare i servizi di pagamento, di consulenza ecc., dall’«angusto giogo» delle attività c.d. accessorie, perché svolte da un soggetto che risulta definito dal detto «esercizio congiunto»; e insieme consentirebbe – è qui da osservare quasi in limine – di conservare alle attività accessorie il limitato spazio problematico loro proprio: di riferimento e confronto con un oggetto «sociale» più o meno esclusivo (ovvero, secondo un’impostazione assai risalente, con la misura di «capacità» dell’ente) 14.

caratteristiche) all’esercizio di una attività tanto importante, quanto delicata, quale è il credito. E ciò evidentemente vale come per le banche, anche per le finanziarie. 13 Alla radice l’osservazione è proprio di metodo, subito attualizzandosi una fila di domande. E così, alla rinfusa, solo per rendere l’idea: perché la raccolta andrebbe regolamentata solo se «pubblica»? E, del resto, cosa vuol dire «pubblica»? Fino a che punto è corretto tenere affatto distinte (due camere incomunicabili) la pubblica raccolta bancaria e quella societaria? Quale il senso (non ideale, ma) concreto della distinzione fatta dall’art. 11 tra il co. 2 (monopolio bancario della raccolta pubblica), i co. 2-bis e 2-ter («non costituisce raccolta» pubblica) e il co. 4 («il divieto di raccolta» pubblica «non si applica …»)? Che rapporti corrono tra raccolta pubblica e sollecitazione del pubblico risparmio? Quale l’equilibrio tra Banca d’Italia e Consob? Dove finisce la nozione di «obbligo di rimborso»? E, vista la ricchezza attuale della catena dei passaggi intermedi (se non altro) è davvero corretto considerare l’investimento in capitale di rischio e quello in capitale di credito come due universi del tutto separati? 14 Di fronte al testo dell’art. 10, co. 3, parla giustamente di «elasticizzazione dell’oggetto» Belli, A margine del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. La nozione di attività e la despecializzazione degli intermediari, in Studi sulla nuova legge bancaria a cura di Mezzacapo, Roma, 1994, p. 39. Ora, per la verità bisognerebbe comprendere la ragione che pretende la «regola dell’oggetto esclusivo» delle banche (la formula è di Porzio, Banca, cit., p. 159): e prima di ogni altra cosa, se impinge nell’attività del credito o in quella della raccolta o, per avventura, in ciascuna di queste. Peraltro, una volta fissata la regola è connaturato alla stessa che l’attività ulteriore (rispetto a quelle identificative) sia (debba essere) di minore incidenza e penetrazione: accessoria, dunque, nel linguaggio proprio dell’impresa. Sotto il profilo dell’impresa, il punto vero sta, piuttosto, nella definizione del criterio di affinità (tra le attività identificative e quella accessoria): ovvero l’esplicitazione della parola «connessa» di cui all’art. 10. In proposito, a me pare che il richiamo, che si trova talora formulato, alla norma dell’art. 2135 c.c. resti alquanto nell’estrinseco (la norma del codice vive infatti una questione di qualificazione, non di correttezza); non più opportuno si manifesta, poi, il richiamo alla pubblicità, che – a parte tutto il resto (l’abbondante resto, anzi) – dà un’indicazione solo di genere funzionale; e deludente – non v’è dubbio davvero – risulta il richiamo, comune alla letteratura, delle cose di «lunga tradizione». Più utile, mi pare, potrebbe essere muoversi sul piano della verifica attività per attività, in termini oggettivi, strutturali e concreti: così il «maneggio del denaro» delle banche po-

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Ma occorre, a questo punto, passare anche al lato del collocamento dei prodotti «bancari».

3. Attività «bancarie» e disciplina delle operazioni. L’attuale impostazione – come impressa dalla norma dell’art. 10 e imperniata su di un soggetto connotato dal «congiunto esercizio» – comporterebbe, in una prospettiva accentuata e in assenza di opportune mediazioni ulteriori, che tutte e cinque le imprese potenzialmente esercitabili dalle banche restino soggette alla medesima normativa della trasparenza bancaria: quella della raccolta, come quella di erogazione di credito e così pure le imprese strumentali, le connesse e le «altre attività finanziarie»; con la sola esclusione, quindi, degli atti meramente preparatori o occasionali (seppure strumentali). Per l’appunto si confronti – nell’appena richiamata prospettiva («attività svolte dalle banche») – il venire a «combinarsi» del disposto dell’art. 115, co. 1, con quello dell’art. 10. E comporterebbe altresì che detta disciplina di trasparenza resti applicabile solo ai soggetti di cui all’esercizio congiunto: anche al di là, beninteso, della fattispecie dell’impresa bancaria non autorizzata 15.

trebbe dichiarare in linea certi servizi di pagamento (salvo riscontro concreto); la pratica del rischio di credito potrebbe condurre l’assonanza del credito di firma (tecnicamente la rivalsa non è credito) ecc. Detto questo, va ancora notato che (come d’altra parte si svolge nel testo: cfr. spec. il penultimo capoverso del n. 3) il punto dell’affinità si pone anche sotto il profilo del contratto: in termini peraltro diversi. A questo livello, difatti, il tema è in buona sostanza quello di individuare il perimetro delle attività che è opportuno dotare di una disciplina contrattuale uguale (per il perseguimento della stessa finalità, tipo appunto quella della trasparenza) o comunque, in più sfumati termini, collocare in un unico corpo legislativo (quale, appunto, il t.u.b.). 15 Secondo Porzio (Banca, cit., p. 160 s.; dello stesso autore v. anche Le imprese bancarie, Torino, 2007, p. 116 ss.) per la disciplina del testo unico (e presumibilmente pure per quella fuori: cfr. sopra, nota 4) l’impresa non autorizzata non sarebbe una «banca»: con la conseguenza che la stessa non le sarebbe applicabile («salva l’applicazione delle norme penali»). In nota (30, p. 161) l’autore peraltro dichiara che «non può nascondersi un certo disagio dinanzi a questa conclusione» per la disciplina della trasparenza, «trattandosi, in genere, di norme a tutela del cliente, ma essa sembra inevitabile; in effetti, la cifra di questa tesi (che carica di alquanta forza penetrativa la formula, per sé innocua, di cui al co. 1, lett. b.) è massimalistica e la stessa, mi pare, contraddittoria: non si vede, in verità, per quale ragione dovrebbe in una qualche misura premiarsi un’impresa perché non è andata a munirsi della pur prescritta autorizzazione. Per quanto possa comportare

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Ora, non v’è dubbio che tutto ciò porterebbe risultati a dir poco stravaganti – quand’anche non incostituzionali, per l’irragionevolezza delle disparità di trattamento così condotte (rispetto alle medesime attività quando svolte da altro «genere» di soggetti) – a riguardo, se non altro, delle attività strumentali (si pensi, ad esempio, a quelle di tipo informatico) e delle attività connesse (in un’ottica di impianto soggettivo, con raggio sostanzialmente «costretto» dal fatto, storico come attuale: dalle tradizionali cassette di sicurezza, dunque, alla gestione dei patrimoni immobiliari, caratteristica delle banche di maggiori dimensioni) 16. Vero è che le cose delle operazioni non sono esaurite da un simile sfondo. Il fronte dato del «soggetto banca» da tempo non è più un monolite: e l’espresso riferimento normativo alle finanziarie – in addizione appunto alle banche (di cui appunto al co. 1 dell’art. 115) – finisce per assegnare almeno un lato di oggettività alla materia (in definitiva, è la proiezione contrattuale di un’attività a essere presa in considerazione: di più attività, al limite; peraltro, comunque fuori da un ambito di «congiunto esercizio») 17. Materia che propone pure altre peculiarità. Da un lato, la

delle difficoltà applicative, la regola di fondo dovrebbe prestare omaggio, appunto, al canore di coerenza della struttura rispetto alla funzione: posto il confronto tra regola comune e regola speciale, l’impresa non autorizzata resterà soggetta alla disciplina meno favorevole. Resta il caso della normativa «neutra» [come può essere, ad esempio, quella di cui alla recente legge sulla mediazione circa i «contratti bancari» (art. 5, co. 1, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28)]: ma ove non compaia una diversa ragione oggettiva, perché si dovrebbe distinguere a secondo della presenza, o assenza, dell’autorizzazione? 16 Sembrerebbe non avvedersi di simile ordine di circostanze Spena, Commento all’art. 115, in Testo unico bancario. Commentario, cit., p. 949, il quale – di fronte al co. 1 dell’art. 115 – dopo avere annotato che è il «criterio soggettivo … utilizzato … per le banche … a consentire l’individuazione dello spettro di attività cui si applica la disciplina», subito aggiunge: l’«attività bancaria [va] individuata nel tradizionale collegamento tra la raccolta del risparmio e l’esercizio del credito». 17 In ragione di quanto appena rilevato nel testo, non penso occorra ricorrere a interpretazioni estensive o analogiche (e tantomeno all’«argomento» esaminato nel primo capoverso della precedente nota 4) per ritenere applicabili alle finanziarie – in misura dell’operatività loro autorizzata (per quella non autorizzata v. la nota 15) – la disciplina dei «contratti bancari» di cui al codice civile. Se si preferisce: la nozione di «banca» assunta dalla normativa contrattuale del codice viene propriamente a ritagliarsi in relazione al rapporto tra operatività contrattuale e tipologia di impresa. Di un’eventuale applicazione analogica è da parlarsi, casomai, fuori dal contesto dell’impresa: per l’effettuazione isolata, cioè, di contratti oggettivamente «bancari» [comunque con non irrilevanti differenze di disciplina: per fare un esempio, si pensi – in relazione al tipo «apertura di credito» – all’obbligo di tenere in disponibilità del benefi-

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disciplina di cui all’attuale capo I del titolo VI prescinde da specifiche radici causali delle operazioni [solo a seguito dell’inserimento dell’art. 120ter, di cui al decreto n. 141, anzi, compare – sporadico – il riferimento a puntuali attività di impresa 18]. Dall’altro, questa stessa disciplina (che, allo stato, sembrerebbe sostanzialmente sprovvista di nome, o quasi) e quelle del credito al consumo e dei servizi di pagamento – che tutte stanno, comunque, sotto il segno della trasparenza (cfr. la denominazione del titolo VI) – dichiarano di volere stare separate: ma poi tendono, e per non pochi aspetti, a congiungersi, quando non a sovrapporsi (cfr., tanto per dire, i richiami interni agli artt. 125-bis; 126-quinquies; 127bis, co. 5). Nei fatti, d’altro canto, questa tensione viene raggiunta più o meno, a seconda dei casi; con il conseguente prodursi di parecchi ed evidenti imbarazzi interpretativi 19.

ciario le somme promesse rispetto alle attività preparatorie all’adempimento da parte del debitore (e vicenda non dissimile si pone, del resto, anche per la promessa di mutuo)]. 18 Che vadano oltre al mero, e generico, riferimento all’attività di finanziamento tout court (art. 116, co. 1, e anche 117, co. 4, che usa la locuzione «contratti di credito) Anche la normativa dell’art. 120-quater, pure appena introdotta, viene a riguardare il genere delle operazioni di finanziamento, senza connotazioni ulteriori. Nei fatti, la disposizione citata nel testo è la sola – tra quelle del capo I – che risulta consegnata a una puntuale attività: di finanziamento «immobiliare», nel senso specifico di cui al co. 1, quella dell’art. 120-ter. È poi da precisare che la parola «mutuo», di cui a questa norma, non viene qui a esprimere una radice causale di negozio: e non solo perché il co. 2 parla – deciso – di «finanziamenti»; ma soprattutto perché non si vede alcuna ragione per escludere dalla relativa disciplina di estinzione anticipata gli altri contratti di credito a tempo determinato (cfr. amplius sul punto, con diretto riferimento al previgente regime, Dolmetta e Sciarrone Alibrandi, La facoltà di «estinzione anticipata» nei contratti bancari, con segnato riguardo alla disposizione dell’art. 7 legge n. 40/2007, in Riv. dir. civ., 2008, II, p. 543 ss.). Del resto, nella normativa di trasparenza del t.u.b., la parola «mutuo» esprime una sineddoche (versione «parte per il tutto»): come indica la lettura dell’intero contesto formato dall’art. 120-quater (in particolare, va confrontato il testo del co. 1 con l’espressione posta al centro del co. 2). L’accoglienza nel testo unico di questa regola – come, per la verità, pure di quella (per più di un verso vicina) dell’art. 120-quater, che comunque risulta dedicata a un profilo di disciplina, per sé, alquanto specifico – si giustifica, d’altra parte, in ragione della sua natura oggettiva di normativa di «paracompletamento»: come funzionale, in particolare, alla materia della «trasparenza in senso lato» (su cui v. infra, n. 5). 19 Emblematico il caos delle previsioni sulle «spese». In linea di principio (e salvo verifica volta per volta) non credo possa negarsi la ragionevolezza (e correttezza) di un’attività interpretativa che – sistematica – passi attraverso i tre «settori» (v. sul punto le osservazioni di Nigro, Linee di tendenza delle nuove discipline di trasparenza. Dalla trasparenza alla consulenza, relazione al Convegno di San Miniato citato sopra). Sembra naturale chiedersi, così, se la formula «ogni altro

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In definitiva, in questa materia l’attuale impostazione dell’art. 10 sembra funzionare da tappo – o quantomeno da freno – per un’adeguata posizione del relativi problemi (per fare un esempio di percezione immediata: la normativa sui servizi di pagamento sarebbe legittimata a stare dentro una legge base del settore «bancario» solo perché ritenuta attività «accessoria», storicamente svolta dalle banche, oppure la sua inclusione potrebbe pure essere giustificata per una diversa tipologia di ragioni?). Oltre al tema dell’articolazione dei contenuti (su cui v. qualche cenno infra), la materia ricerca dunque nuove e migliori «simmetrie». Che vanno dalla corretta definizione del perimetro delle operazioni da considerare per un «insieme» (: tra gli antipodi dei servizi di investimento degli artt. 21 ss. t.u.f. alle cassette di sicurezza); alla relativa collocazione sistematica (distinta sì, ma comunque soggetta ai principi generali delle regolamentazione contrattuale in quanto tale) 20; alla individuazione

prezzo e condizione praticati», di cui all’art. 117 co. 4 non trovi opportuna illuminazione contenutistica nei disposti dell’art. 121 co. 1, lett. e., e co. 2. Certo è, in ogni caso, che la regolamentazione attuale dà vita a complicazioni notevoli: anche perché non sempre il rapporto tra le serie è diretto (ovvero mediato dalle sole regole comuni al genere contrattuale). Basti pensare alle difficoltà ricostruttive in materia di jus variandi che derivano dalla sussistenza dei co. 3 e 4 dell’art. 33 del codice del consumo (cfr. Pagliantini, La nuova disciplina del cd. Jus variandi nei contratti bancari prime note critiche, in Contratti, 2011, p. 191 ss.). A parte ciò, che il «senso reale» della norma dell’art. 115, co. 3, sia tutto da costruire è dimostrato, mi pare, dalle seguenti tre osservazioni. a) Se ci si ferma alla mera lettera della disposizione, la disciplina della surroga, di cui all’art. 120-quater, non si applica alle operazioni di credito ai consumatori [questo punto, peraltro, appare superabile osservando che quella del credito al consumo è materia che – ove non fosse stata dotata di una disciplina propria – senz’altro sarebbe ricompresa in quella degli artt. 115 ss. (capo I): se ne potrebbe dedurre che – per tutti i punti non provvisti di una disciplina specifica all’interno del capo II (e nemmeno nell’ambito del codice del consumo) – venga ad applicarsi la disciplina di riferimento comune (salvo specifiche ragioni ostative)]. b) Lo scavalcamento del divieto di anatocismo, di cui all’art. 120, co. 2, vale per le operazioni di credito al consumo? c) Posti i co. 1 e 3 dell’art. 120, la disciplina sulle valute sembrerebbe proprio prescindere dai dicta dell’art. 115 co. 3. 20 Talvolta, l’operazione di soggezione alle regole base può risultare determinante per la stessa comprensione di una figura. Potrebbe essere il caso dello «sconfinamento», portato a legge dal decreto n. 141 nei nuovi artt. 125-octies e 121, co. 1, lett. i. A leggere da sole queste norme, potrebbe venire da pensare che si tratta di un nuovo «prodotto creditizio» (così lo chiama Mazzini, in Guida al diritto. Dossier, settembre 2010, p. 74): caratterizzato, in punto di fattispecie, da un assoluto potere unilaterale della banca di concedere fondi e, in punto di rapporto, dalla falsariga sostanziale dell’apertura a tempo indeterminato (cfr. in specie i co. 2 e 3 dell’art. 125-octies). Non si vede nessuna ragione, però, per cui la banca non dovrebbe rimanere soggetta – sull’an delle singole «conces-

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di quanto, nell’assunto contesto, comune non sia e alla rilevazione del conseguente ritaglio (per la famiglia delle operazioni di credito la distinzione prima, dopo appunto le norme comuni, si pone sugli eventuali legami con l’utilizzo delle somme concesse; ma certo una cosa è il fatto di cui all’attuale art. 125-quinquies, un’altra quello del leveraged buy-out e un’altra ancora quello della finanza di progetto) 21. Ciò fermato, in questa sede non è davvero possibile indugiare ancora su queste tematiche cardinali: altre ne seguono; se ne dipartono, anzi. Occorre quindi voltare pagina e dipanare la matassa del discorso verso quest’ulteriore direzione: non meno delle precedenti sollecitata, nei giorni attuali, dal decreto n. 141/2010 (dintorni, anche qui, compresi) e anche essa iscrivibile, svolgendo una determinata linea prospettica, nella questione della trasparenza (qui, del legislatore).

4. Opacità del legislatore e instabilità del t.u.b. Le osservazioni sviluppate nella precedente parte dell’esposizione vanno dirette verso un’evoluzione di opportuno «riordino» legislativo: meglio, forse, di una reidentificazione della materia e di una conseguente riedificazione delle sue regole. Ora, l’idea dell’opportunità di riscrivere (ab imo o giù di lì) la legge fondamentale del settore «bancario» sembrerebbe ricorrente, per la verità. Qualche anno fa (ben prima che il testo

sioni» – al canone della buona fede oggettiva, qui sub specie di tolleranza e affidamento. D’altro canto, i principi pure importano una migliore lettura del rapporto: se la «concessione» della banca avviene a mezzo pagamento di terzi, rimane sempre la tradizionale lettura del fenomeno in chiave di anticipazione del mandatario ex art. 1719 c.c.; se per contro avviene per accredito diretto, si innesta un rapporto spot: che è sì di credito, ma semplicemente nella versione a vista (la richiesta di pagamento fissando essa l’esigibilità della somma). Ciò posto, è appena il caso di aggiungere la non opportunità – sul piano del controllo delle imprese che esercitano il credito – di «agevolare» la pratica di sconfinamento (il monito è risalente: cfr., così, Martorano, Insolvenza dell’impresa e revoca del fido bancario, in Il Fallimento, 1985, p. 256). 21 Sotto questo profilo della connessione strutturale la strada sembra, tuttora, molto lunga e accidentata (al di là dell’epidermica constatazione della tendenza del credito a «espandersi oltre sé stesso»): prima ancora che per l’angolo visuale della ricostruzione (dommatica e disciplinare), proprio per quello della mappatura dei fenomeni materiali. Per avere un’idea delle difficoltà del tema già a livello delle sue singole «componenti», può essere utile la lettura delle pagine appena dedicate da De Cristofaro alla materia dei «contratti collegati» (ex art. 125-quinquies) in La nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori e la riforma del t.u. bancario, in Contratti, 2010, p. 1055 ss.

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unico diventasse maggiorenne), nel licenziare un suo volume «bancario» Porzio sentiva l’esigenza di segnalare ai lettori che l’opera stava «sotto la minaccia di un nuovo testo unico (art. 43 delle legge sulla tutela del risparmio)»; là dove, proprio in quei giorni, Nigro andava ammonendo di non cadere nella tentazione di costruire, sulla base di quella (limitata) norma, corpi normativi inevitabilmente affetti dal morbo dell’eccesso di delega. Nei fatti, al di là dell’importante considerazione (ipoteticamente) unitaria di t.u.b. e t.u.f., l’art. 43 sembrava lasciare un po’ tanto in bianco un qualunque percorso di taglio costruttivo 22. Difficile di per sé stessa, l’opera di rivisitazione per il medio periodo si rivela ancora più complicata, e tanto, quando si viene a riscontrare il luogo – comune, quanto vero – per cui l’effettivo tratto caratterizzante dell’attuale testo unico si situa nel suo continuo cambiare. Perché costringe le imprese a costanti – e defatiganti – attività di adeguamento, perché distrae l’attenzione da prospettive di maggiore respiro, se non altro. Nel nostro concreto, poi, queste continue modifiche – quand’anche di spessore, com’è sicuramente nel caso del decreto n. 141/2010 – vanno a dirigersi su pezzi staccati e sembrano riflettere ottiche parcellari e frammentate. La dimensione del tasso di instabilità del t.u.b. è davvero preoccupante 23. Non tutto viene a dipendere dal legislatore comunitario; solo in parte (modesta), del resto, il fenomeno può essere spiegato da voracità e dinamicità dell’economia attuale. E in ogni caso, specie di fronte a

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Cfr. Nigro, Commento all’art. 43, in La tutela del risparmio a cura di Nigro e Santoro, Torino, 2007, p. 605, che – oltre alla «assoluta indeterminatezza dei principi e criteri di delega» – sottolineava l’«intrinseca irrazionalità derivante dal fatto di prevedere in una stessa legge una disciplina diretta di una certa materia e contemporaneamente l’attribuzione al governo di un potere di modifica di quella disciplina». Solo un’aggiunta: la constatazione della assoluta tradizionalità dell’eccesso di delega in materia bancaria – il riscontrarla, anzi, in sempre più numerose occasioni – non rende meno grave il relativo vizio. Il libro di Porzio cui pure si allude nel testo è Le imprese bancarie, cit. 23 Secondo il «testo coordinato, per finalità esclusivamente informative», dalla Banca d’Italia nel gennaio 2011 («versione aggiornata al decreto legislativo 30 dicembre 2010, n. 239»), i provvedimenti modificativi del t.u.b., che – distintamente – si sono verificati nel corso del 2010 salgono al significativo numero di sei. Non sembra, peraltro, che la cosa finisca qui. Se non altro perché – come avverte De Cristofaro, La nuova disciplina, cit., p. 1043 – l’art. 13 l. 4 giugno 2010, n. 96 (legge comunitaria 2009) ha introdotto quattro nuove previsioni di delega, gravitanti in materia di credito al consumo (ma interessante è anche leggere, nella prospettiva della «raccolta di informazioni», l’«Avvertenza» che Maimeri antepone al suo recente volume su La commissione di massimo scoperto tra prassi e legge, Bari, 2010).

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un tipo di legge che per sua propria funzione dovrebbe rimanere relativamente fermo, occorrerebbe accorta meditazione e alta professionalità dei conditores legis [una elevata «capacità tecnica» 24]. Occorrerebbe proprio un prodotto legislativo buono e trasparente, insomma. Il punto, anzi, sembrerebbe venire oggi a rivestire i tratti della priorità. Oggi, il prodotto legislativo decisamente non è (buono, né) trasparente. All’opposto, i recenti interventi del legislatore «bancario» risultano caratterizzati – in via fisiologica, verrebbe addirittura da dire – da una pregnante, forte opacità. E in particolare, il decreto n. 141/2010, che si manifesta complicatissimo da utilizzare. Un po’ in tutti i sensi: dalla denominazione in poi (che intende riferirsi unicamente al titolo VI, quando invece, tra l’altro, si viene a rivoluzionare il titolo V; a creare un titolo VI-bis; a incidere sul II, sull’VIII). Così, ad esempio, in punto di impianto il decreto sembra andare a casaccio: gli argomenti trattati (: i diversi blocchi, cioè) non seguono né l’ordine del t.u.b. (come in fondo poteva essere naturale), né quello della legge delega. Il nuovo capo III del titolo VI – la cui rispondenza effettiva ai contenuti della delega appare, si nota per incidens, tutta da verificare 25 – si vota a «regole generali e controlli» e così pure le rispettive rubriche degli artt. 127 e 128:

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Pur concordando con Minervini, La Banca d’Italia, oggi, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, p. 630, nel ritenere in sé «auspicabile» la «rilegificazione [della] materia bancaria e finanziaria», è difficile nel contempo non rilevare anche il «pesante deficit di capacità politica e di capacità tecnica che sempre più spesso connota la produzione legislativa nel nostro ordinamento» (Nigro, Commento all’art. 43, cit., p. 606; cfr. altresì il cenno infra, nota 30). 25 Prendo ad esempio il co. 1 dell’art. 127. Credo che il punto della legge delega, che più si avvicini, sia quello di cui alla lettera f) dell’art. 33 («…rafforzare ed estendere i poteri amministrativi inibitori e l’applicazione delle sanzioni amministrative (…) al fine di assicurare un’adeguata reazione a fronte dei comportamenti scorretti a danno della clientela»). Se questo è vero, risulta francamente assai difficile giustificare l’introduzione – nel corpo di questo comma – della formula «finalità indicate nell’art. 5»: al di là di ogni valutazione ulteriore sull’«oltre» con cui la medesima principia (sulla clausola di sana e prudente gestione v. anche infra, nota 37). Il punto merita, peraltro, una riflessione di ordine più generale: di puro riflesso funzionale. L’eccesso di delega è parte fondante della tradizione del diritto bancario italiano: come anche del vigente testo unico. Che farci? Ci si deve convivere. Ma tradizione e abitudine non eliminano il vizio (di incostituzionalità). Lo diffondono, piuttosto. Che dire della scomparsa dell’art. 116-bis? Di fatto la sua abrogazione non pare sia dipesa da altro che dalla sua mancata ricopiatura nel testo di capo I steso dal decreto n. 141 (art. 4: «… il capo I (…) è sostituito dal seguente…»). Sulla regola delle «decisioni di rating» anche il cenno infra, nota 29.

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le altre norme del capo (che poi sarebbe il quarto; artt. 127-bis, 128-bis e 128-ter), invece, sembrano ancora cercare l’accoglienza di una famiglia. E che dire del co. 7 dell’art. 9 che va a sostituire l’art. 199 t.u.f. («…fino alla riforma organica della disciplina delle società fiduciarie e di revisione…»)? Per il credito al consumo sembrerebbero addirittura non esservi regole di diritto transitorio (cfr. l’art. 3 del decreto n. 141). Le disposizioni sull’entrata in vigore sono prive di organicità: per il credito al consumo tutto dipende dalle disposizioni attuative della Vigilanza; per le altre materie di cui al titolo VI, l’art. 6 (sempre del decreto in questione) non si preoccupa proprio di eventuali interventi delle autorità creditizie 26. Nella permanente opportunità di procedere al sopraccennato riordino strutturale, è indispensabile, dunque, recuperare almeno un minimo di trasparenza del legislatore: il bisogno di certezza del diritto delle imprese interessate va protetto 27. Anche con proposte ardite: come quella – più utopistica che provocatoria, forse – di costruire una responsabilità risarcitoria a carico del legislatore negligente per opacità. In fondo, sul piano del diritto vigente non sembrerebbe impossibile pervenire all’ipotesi di una responsabilità delle Autorità indipendenti anche quanto ai loro provvedimenti di carattere generale 28.

26 Amplius sull’«entrata in vigore ratione temporis» del decreto n. 141, De Cristofaro, La nuova disciplina, cit., p. 1044 s. Cfr., altresì, le Istruzioni di Banca d’Italia, trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, 10 febbraio 2011, p. 70. Com’è noto, dopo il n. 141 è sopravvenuto il d.l. 14 dicembre 2010, 218. Il cui contributo di chiarezza non pare poi così decisivo. Il co. 10 dell’art. 120-quater, nella versione del n. 141, recitava: «sono fatti salvi i co. 4-bis, 4- ter e 4-quater dell’art. 8» della Bersani bis; il co. 1 dell’art. 4 del n. 218, alla lettera b., tra l’altro abrogava l’art. «8, co. 1, 2, 3, 3-bis e 4» della detta legge. Risultato: il testo del co. 10 dell’art. 120-quater curato dalla Banca d’Italia (cfr. sopra, nota 23) è uguale a quello scritto nel n. 141 (per fortuna!). Assunta l’instabilità (non meramente momentanea) del t.u.b., sembra chiara – a prescindere da tutto il resto – l’opportunità di fissare della regole funzionali della stabilità (perlomeno) del diritto transitorio. 27 Ma facendo, se così si può dire, il proprio e corretto lavoro: non sollevando conflitti istituzionali con il potere giudiziario (per la peculiare vicenda dell’intervento legislativo del «milleproroghe» contro le Sezioni Unite in materia di prescrizione dell’azione di ripetizione di pagamenti indebiti affluiti su conto corrente sia consentito il rinvio al mio Prescrizione e «operazioni bancarie in conto corrente»: sul comma 61 della legge n. 10/2011, in www. ilcaso.it, II, 239/2011). 28 Quello della responsabilità civile da torto delle Autorità indipendenti è tema scottante. E solo sotto l’aspetto della ricerca dommatica dei confini perimetrali della medesima (che, come si dice nel testo, è profilo meritevole dei più attenti approfondimenti). Ma anche sotto l’aspetto del diritto vivente; e secondo più livelli: da quello del riconoscimento giudiziario della responsabilità delle Autorità (cfr. Cass., 1 aprile 2009, n. 7958,

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5. Nozioni di «trasparenza». Sempre intorno alla nozione di trasparenza: da quella del legislatore a quella dei contenuti impostativi delle operazioni (sul prodotto legislativo «buono», cui si accennava poco fa). In questo periodo di tempo ci si chiede – e così fa, per l’appunto, il presente Convegno; del resto, il decreto n. 141/2010 non manca davvero di sollecitare la riflessione anche su questo riguardo (non foss’altro per la riformulazione da capo della disciplina per il credito al consumo) – se si debba «andare oltre» la trasparenza. E dove. Oltre la trasparenza, c’è l’equilibrio. Meglio, dipende da cosa di preciso si vuole intendere con la locuzione «trasparenza delle operazioni “bancarie”». Secondo un riferimento normativo senz’altro immediato, la formula viene a riassumere in via descrittiva la disciplina volta a volta contenuta, a seconda dei periodi di tempo (e degli «oggetti»), nel Titolo VI del testo unico (v., così, in avvio della presente esposizione). È noto però che questa non è l’unica dimensione lungo la quale la formula si trova a correre. Per quanto si può dire ormai tradizionale nella nostra letteratura, infatti, la «trasparenza delle operazioni “bancarie”» viene a esprimere (altri) due ordini principali di significato: uno di insieme, lato, e uno per contro specifico. Al primo di questi livelli essa vuole manifestare l’idea di un contenimento e di una correzione – direttamente a livello di contratto (ovvero di offerta di beni/servizi al mercato) – del potere di predisposizione unilaterale delle condizioni e termini di una operazione contrattuale da parte di uno dei contraenti: qui, la «banca» (su questo potere v. anche infra, nota 36 e testo corrispondente).

in Giur. it., 2009, p. 2053 ss. che la afferma in capo alla Banca d’Italia in relazione al codice privacy per la materia della centrale dei rischi; tra le più importanti nei confronti della Consob, v., oltre alla recentissima pronuncia di Cass. 23 marzo 2011, n. 6681, Trib. Milano, 25 luglio 2008, in www.ilcaso.it) a quello dell’incostituzionalità dell’art. 6-bis dell’art. 24 l. 28 dicembre 2005, n. 262 (come introdotto dall’art. 4 d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 303: e il punto importante nel senso che quest’ultima legge rappresenta una «risposta» al tentativo di «moralizzazione» della Banca d’Italia portato, per l’appunto, dalla legge sul risparmio), secondo quanto correttamente sottolineato – in ragione sia dell’eccesso di delega, sia dell’«area di irresponsabilità» (relativa) che così si vuole creare in materia di controllo – da una parte della dottrina (cfr. Siclari, tra l’altro, in La limitazione della responsabilità civile della autorità di vigilanza sui mercati finanziari recata dall’art. 24, comma 6 bis della legge n. 262/2005: un primo monito della Cassazione?, in Giur. it., 2009, p. 2307 ss.).

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Nelle sue terminazioni specifiche, invece, la trasparenza indica – nel campo dell’informazione – un certo tipo di trasmissione di notizie: in sintesi, portare sé ad altri in modo univoco, comprensibile e completo (cosicché in questo senso si può trasporre il termine tra l’altro anche ai «mancati agiti» del legislatore). È a tale livello, naturalmente, che la stessa viene a «fronteggiarsi» con l’equilibrio appunto, posto che questo ultimo propriamente attiene al merito contenutistico delle operazioni medesime: tanto sotto il profilo direttamente economico, quanto sotto quello di tratto regolamentare. Il tutto – pur sempre – sotto il mantello informante (e creativo) della clausola generale della buona fede oggettiva 29: e madre, per così dire, di entrambi i filoni (seppure anch’essa buona fede oggettiva rinviante, in punto di definizione specifica dei relativi suoi portati, alla fonte superiore e prima della Costituzione). Ora, l’interrogativo corrente sull’«andare oltre la trasparenza» può essere riportato – facendo immediato riferimento alla contingenza attuale del vivente diritto italiano – all’esigenza di implementare (: di «andare oltre», proprio) quella versione assai light di trasparenza che si trova contenuta nella normativa del t.u.b.; se si preferisce, le tre versioni lights oggi scritte in questo testo di legge (artt. 116 ss.; 121 ss.; 126-bis ss.). E limitarsi così a indicare la generica opportunità di fare le cose un po’ più sul serio 30. Ma la domanda può anche assumere toni più forti, il tema

29 Su questi punti in generale v., in via segnata, Nigro, da ultimo in Linee di tendenza, cit. e Dolmetta, da ultimo in Lezioni di diritto bancario, Milano, 2010, pp. 45 ss. e 67 ss. Nel lavoro appena citato, Nigro segnala l’emersione di un ulteriore aspetto della trasparenza in senso lato: «un obbligo di “assistenza” del cliente nelle scelte (…) che potrebbe anche arrivare ad essere definito di consulenza» (di tale filone l’autore indica come espressione normativa gli artt. 124-bis e 124, co. 5, nonché le Istruzioni di vigilanza del 2009, sez. XI, par. 2). Ora, questo ordine di rilevi viene a collegarsi in modo assai forte con quanto appena infra si passa a osservare in materia di t.u.f. e protezione per le «operazioni non adeguate» (testo e nota 31; per incidens: l’emergere ad esistenza di un simile filone rende cosa ancora più singolare la scomparsa dell’art. 116-bis). Ferma la gemmazione dal canone-madre della buona fede oggettiva, l’effettiva autonomia di questo filone di consulenza/protezione viene a dipendere – a me parrebbe – dal perimetro che si intenda assegnare a quello dell’equilibrio: se limitato (o meno) al momento in via diretta e immediata pertinente agli «oneri economici» delle operazioni. 30 Anche per il collegamento con le osservazioni svolte nel precedente n. 3, il punto del «nomen» legislativo «trasparenza delle condizioni contrattuali» finisce per rivelarsi meno banale di quanto prima facie potrebbe sembrare. La regola di cui all’art. 120 co. 2, che consente alle banche di scavalcare il comune divieto di anatocismo, non appartiene alla trasparenza. E neppure di trasparenza sono quelle sulle valute di cui ai co. 01 e 1 del medesimo articolo. Nell’attuale, dunque, esse si trovano, in buona sostanza, fuori

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prendere una parte sostantiva di maggiore densità: come detto, oltre la trasparenza informativa c’è l’equilibrio oggettivo del rapporto tra impresa e cliente. Si tratta, allora, di dare corpo a questo profilo: il se di una simile impostazione.

6. «Oltre» l’informazione: l’equilibrio. In questa prospettiva – che nella presente sede intende rimanere, come si vede, sempre ancorata al livello dell’impostazione – appare opportuno osservare, ancora, che la preposizione «oltre», di cui alla domanda, non va intesa nel senso di un abbandono generale (tanto meno indiscriminato) di un versante a favore dell’altro. In proposito, i relativi rapporti si pongono, piuttosto, come «variabili». Per date situazioni, è vero che equilibrio e trasparenza informativa esplicitano soluzioni alternative: per fare un esempio attinente in modo diretto alla materia regolata dal t.u.f. (e dintorni), è evidente che per le operazioni non adeguate – pur in un contesto contrattuale comunque orientato a realizzare la protezione dei risparmi del cliente 31 – l’irrilevanza delle scelte di

posto: dei corpi estranei nel contesto di un discorso di trasparenza (il flebile richiamo all’uniformità tra operazioni attive e passive non basta certo a cambiare le cose). Al di là di ogni valutazione di merito su (costituzionalità e) opportunità di queste norme, peraltro, è anche chiaro che – se le stesse ci sono – da qualche parte dovranno pure stare. Dove? E di riflesso: a cosa (a quali compiti) va destinata la normativa contrattuale del t.u.b.? 31 In questa materia, che fa perno sulla norma base dell’art. 23 t.u.f., sono ancora correnti in letteratura sia la catalogazione del rapporto tra contratto e concrete operazioni in termini di relazione tra contratto quadro e singoli ordini, sia la qualificazione dell’agire dell’intermediario come puro e semplice mandatario. Né l’uno, né l’altro di queste definizioni possono, tuttavia, convincere. Per il primo profilo, la corrente ricostruzione meramente strutturale tende gravemente ad occultare che, nella specie, il senso del contratto non è quello di procurare al cliente un mezzo sicuro e docile per potere effettuare, nel futuro, gli investimenti che eventualmente ritenga, quanto piuttosto quello di «preparare» gli investimenti medesimi: è funzionale a una loro effettuazione; a una «buona» loro effettuazione, meglio. Anche l’altro punto del mandato lascia grossi margini di perplessità: e ciò quanto più venga a pesare – nella scelta concreta dell’investimento – la «opinione» dell’intermediario: tra consulenza a protezione. Come si dice nel testo, la definizione effettiva del punto dipende da più o meno orientate scelte legislative (e poi regolamentari): è chiaro, tuttavia, che la figura del mandato viene – per sé – a supporre non il perseguimento dell’interesse oggettivo del dominus, quanto invece lo svolgimento della valutazione

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rischio (appunto inadeguato) compiute dal cliente è l’unica scelta realmente conforme all’opzione dell’equilibrio. Per altre situazioni, invece, i due profili risultano tra loro complementari; così, una perequazione disciplinare eventualmente raggiunta non toglie, tra le altre cose, la necessità di una informativa chiara e completa in punto di rendicontazione (non avrei dubbi, pertanto, nell’escludere che la sopravvenuta scomparsa dell’aggettivo «completa» dal testo dell’art. 119 co. 1, come condotta dal decreto n. 141/2010, porti a una qualche novità di segno interpretativo 32). Vero è, altresì, che equilibrio e trasparenza informativa rimangono entità ben distinte e separate (solo) a livello di conformazione astratta, ovvero teorica. Nel loro confrontarsi a livello di singoli profili o istituti spesso le cose vanno alquanto vicine, quando non si toccano. Così è, per fare un esempio, in materia di anatocismo: le relative prescrizioni di divieto (da cui l’«attività bancaria» per gran parte è oggi – non giustificatamente – sottratta dal co. 2 dell’art. 120), in effetti, «si situa a cavallo tra esigenza di trasparenza ed esigenza di equilibrio» 33. E così pure può capitare, per fare un altro esempio, in materia di intitolazione e imputazione delle pretese creditorie. Si tratta di un punto importante, che negli ultimi tempi è venuto a (ri)emergere nel contesto della sofferta materia rappresentata dalla «commissione di massimo scoperto». In breve: una

soggettiva che del proprio interesse ha fatto, appunto, il mandante (e cfr., in via peculiare, la norma dell’art. 1711, co. 2, c.c.); così come, del resto, il mandato in rem propriam rappresenta, istituzionalmente, la genetica potenzialità del conflitto di interessi. Non può, perciò, non allontanarsi comunque dai relativi schemi l’agire gestorio che abbia quale stella polare quello dell’oggettivo e adeguato interesse del cliente [per avvicinarsi, questo, al genere degli schemi della gestione ex lege (di cui, è opportuno segnalare, la disciplina degli artt. 2030 s. è solo una delle ipotesi: non tra quelli maggiori, come segnala se non altro la tutela)]. 32 Non foss’altro per l’evidente eccesso di delega (sopra, nota 25) in cui, diversamente, cadrebbe la disposizione (constata il «non marginale rilievo» dell’«alterazione» così introdotta De Cristofaro, La nuova disciplina, cit., p. 1046). Nel merito, poi, non si riesce davvero a comprendere il senso dell’affermazione della Relazione al decreto, per cui il sacrifico della completezza «permetterà (…) di evitare che l’eccesso di informazione (…) pregiudichi l’obiettivo di fornire alla clientela comunicazioni (…) chiare». In punto di rendicontazione, un’informazione incompleta è – per definizione – non chiara: cosa è mai possibile capire (e controllare la correttezza di comportamento del proprio partner contrattuale) se viene fornito qualche dato sì e qualche dato no? Sul punto dell’attuale art. 119 v. anche Nigro, Linee di tendenza, cit. 33 Così già Portale e Dolmetta, Recenti sviluppi del diritto bancario italiano, in Vita notarile, 1991, p. 411, nota 34.

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commissione, che si parametri in modo proporzionale a importo e durata dell’utilizzato, viene a essere – sotto il profilo strutturale, non meno che da quello della (eventuale) giustificazione causale – una maggiorazione di interessi; nelle condizioni contrattuali predisposte da talune banche, peraltro, la clausola viene inserita in una casella a parte, diversa dagli interessi. Sorge oggettivamente il problema, così, della ragione di una simile caratterizzazione, da parte del predisponente: in termini, appunto, di clausola di «non interessi». È dunque agevole constatare: si tratta di un profilo che parte dall’angolo dell’opacità per poi svilupparsi come un problema di merito sostanziale (di causa dell’attribuzione, per la precisione). Perché, in effetti, la richiesta di due retribuzioni a fronte di un’unica prestazione posta in essere dalla banca 34? Ora, non è questo che uno spunto: evocativo di un tema per sé generale e molto promettente, qual è quello dell’onere della banca di dare espressione univoca, e puntuale, alle proprie condizioni economiche – come condotto dalla buona fede oggettiva e dagli artt. 116, co. 1, 117, co. 1, 4 e 6. Molto promettente e, per la verità, anche potenzialmente assai ampio (basti pensare ai «titoli» delle «spese» esigite, per indicare un campo; e al suo proporsi, sempre per sé, pure per le condizioni regolamentari). In questa sede, tuttavia, non pare possibile soffermarcisi ulteriormente: ormai si deve passare, piuttosto, a stringere il discorso. E quindi riprendere in mano il quesito, che più sopra si è formulato, sull’opportunità di «andare oltre» la trasparenza (informativa), alla ricerca dell’equilibrio (in termini impostativi). La risposta positiva, a mio giudizio, si trova (se non si vuole dire imposta, se non altro) assai caldamente raccomandata dal disposto della

34 Cfr. Trib. Tortona, 19 maggio 2008, in www.ilcaso.it: «in caso di utilizzazione del fido, il cliente deve non soltanto gli interessi già calcolati sulla somma utilizzata, ma anche questa ulteriore percentuale (e quindi pur sempre un interesse) calcolato sulla somma in concreto utilizzata (…) Tale pretesa o tale preteso rapporto obbligatorio o patto contrattuale deve ritenersi nullo per mancanza di causa (…) infatti la remunerazione della utilizzazione della somma messa a disposizione dalla banca consiste negli interessi corrispettivi che vengono appunto calcolati sulla somma utilizzata e per tutto il periodo di tempo in cui la somma è utilizzata». E la stessa forma di opacità che travalica nel merito sostanziale può avvenire, ad esempio, in materia di valute. Nell’onere della trasparenza informativa sta dentro quello di «chiamare le cose con il loro nome» (di diritto comune per sé, ma con riferimenti diretti anche la specie del diritto bancario, come si viene ad accennare nel testo) e quindi pure quello di non predisporre più voci per un solo titolo (ovvero per la stessa causale: si tratta, in sostanza, della richiesta di un doppio pagamento per un’unica prestazione).

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vigente Costituzione. Si tratta di una tutela che va a tenere conto anche – non solo, ma in segnata specie – del lato proposto dalla domanda di prodotti («bancari»): e il nostro sistema risulta imperniato, in effetti, su un’organizzazione di mercato non a giungla di asfalto, bensì guidata da principi di impostazione senz’altro preterindividualistica. È un insieme di cose, dunque, che indirizza verso la detta soluzione. E cose assai note, per la verità. In sintesi: la clausola generale dell’utilità sociale, di cui all’art. 41 e il dovere generale di solidarietà dell’art. 2, quest’ultima sia in sé, sia in termini di congiunzione e innervamento della prima. Questi due pilastri portanti, d’altro canto, poggiano direttamente sul valore finale costituito dal cardine espresso dal co. 2 dell’art. 3 35. È da aggiungere: a coprire l’arco sta la forte ampiezza da riconoscere alla nozione di «iniziativa» dei privati (valore, inoltre, la cui permanenza e sviluppo è pure fatto oggetto di tutela); e pure sta la rilevanza, quanto meno indiretta, che non si può negare possegga il precetto dell’art. 36. Oltre al valore finale, non si può non ricordare, del resto, anche il valore strumentale indotto da una tutela importante della domanda: che risulta così funzionale all’incremento del grado di efficienza delle imprese («bancarie» e non), come perseguito per il medio del cliente, assunto quest’ultimo (specie) quale strumento di attivazione per controllare conformità e correttezza dell’esercizio del potere di predisposizione dell’offerta contrattuale del prodotto 36. Dalla trasparenza informativa all’equili-

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Per una «bozza» di svolgimento del nesso tra la normativa di trasparenza e il principio finale dello sviluppo della persona di cui al co. 2 dell’art. 3 Cost. v. il mio Normativa di trasparenza e ruolo della Banca d’Italia, in Dir. banc., 1998, I, p. 37 s. 36 Lungi dal rappresentare una situazione di «mero fatto», come ancora oggi spesso si sente ripetere, il potere di predisposizione esprime invece un peculiare momento giuridico: un «diritto», in quanto legittimato dall’ordinamento (cfr., per quanto occorra, la norma dell’art. 1341, co. 1, c.c.) e secondo quanto è consono, del resto, a un’economia di mercato. Economia di mercato non vuole dire, tuttavia, economia a «giungla d’asfalto»: non lo significa in via automatica e necessaria; e non lo significa per il diritto italiano, posto che la vigente nostra Costituzione è socialmente orientata: alla via della solidarietà. Pertanto, il potere di predisposizione è – nel momento stesso in cui viene concesso – soggetto a controllo: per l’abuso del potere ovvero per il suo uso non corretto perché non conforme a funzione, secondo una linea che, muovendo da un controllo di razionalità (secondo un profilo di struttura minima essenziale: v. Exceptio doli generalis, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, I, p. 157: «controllo sulla razionalità sulle scelte decisionali interne all’esercizio del diritto»), si inerpica sino a quello di conformità a utilità sociale e solidarietà (ivi, p. 169). Cfr. Cass., 18 settembre 2009, n. 20106: «si ha abuso del diritto quando un potere viene esercitato con modalità non necessarie e irri-

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brio; e da questo – lungo una dorsale ascendente netta solo a livello di impostazione dommatica – verso la tutela di una corretta gestione delle risorse 37. Come si vede, la svolta serie di rilievi sta a monte, proprio prima di ogni specifica considerazione relativa al settore bancario/finanziario. A questo ultimo livello tocca, quindi, l’individuazione della misura – o delle misure – di attestazione dell’equilibrio, economico come regolamentare. E qui il discorso si congiunge con quella dimensione di «cantiere da aprire» sulle operazioni (bancarie/finanziarie, appunto), cui si accennava prima: dalla definizione del perimetro delle operazioni da considerare in termini di «insieme» in giù. Un discorso nuovo: tutto da rifare. Nel convincimento che comunque non potrebbero non contare anche le specificità interne all’«insieme» (per la famiglia del credito conta in via peculiare, mi pare, la constatazione di stare in un paese poverissimo di materie prime), in materia mi preme comunque segnalare, in relazione alla disciplina delle operazioni «bancarie», un aspetto di ricerca di nuove simmetrie e di nuovi confronti (così ancora ricollegandomi ai contenuti della prima parte dell’esposizione). Dato lo sviluppo della società attuale, quella di essere dotati di un conto corrente di corrispondenza si manifesta esigenza sociale ormai basica e non rinunciabile. Il

spettose di correttezza e buona fede, con uno sproporzionato e ingiustificato sacrificio di controparte». 37 Parte della letteratura critica fortemente la clausola della «sana e prudente gestione», di cui all’art. 5 e di cui ora pure all’art. 127 (sul punto v. sopra, nota 25). Cfr. in via segnata Minervini, La Banca, cit.; cfr. pure, di recente, Porzio, La sana e prudente gestione, in Dir. banc., 2008, I, p. 385 ss., che tra l’altro stima la stessa abbia «fatto il suo tempo». In realtà, non si riesce a comprendere come una qualunque attività impresa potrebbe mai essere svolta in modo insano e imprudente; la regola è «immanente all’intero arco delle imprese e deducibile – nelle sue linee di primissima e fondamentale articolazione – dai principi costituzionali che imprimono funzione di utilità sociale alle strutture definite come “beni economici” (art. 42, co. 1, Cost.): e quindi implicano anche la corretta conservazione e riproduzione delle risorse allocate» (cfr. il mio Il divieto di anatocismo per le banche dalla gestione del pregresso ai rapporti attuali. Per un uso laico della «certezza del diritto», in Banca, borsa, tit. cred., 2005, II, p. 135, nota 18). Da ciò pure, peraltro, la fascia di indeterminatezza che connota la clausola nel suo livello di specifica collocazione nel t.u.b.; e la conseguente preoccupazione che la stessa possa venire utilizzata «a mano libera» dalla Banca d’Italia. E da ciò ancora, per la via ulteriore, l’alternativa tra il considerarla – sempre nella specifica estrinseca di cui al t.u.b. – semplicemente inutile ovvero cercare di innervarla di contenuti sistematici (e necessariamente di ordine costituzionale, a mio giudizio, se si intende perseguire simile via).

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pensiero non può non andare, allora, al c.d. conto corrente semplice: secondo un’idea avanzata (ma poi lasciata per gran parte cadere) dalla Banca d’Italia 38. Ora, di per sé questo conto semplice dovrebbe – proprio per il suo carattere di basicità – essere congegnato come prodotto di protezione avanzata per l’utente: e su un’omologa falsariga dovrebbe pure confrontarsi (diritto comunitario permettendo) il lato più basico e sociale del settore dell’erogazione creditizia (che ovviamente non coincide con il credito al consumo tout court). E su questo settore (dell’erogazione del credito in genere) vado a chiudere con altre due notazioni, sempre nel segno della ricerca della «misura» dell’equilibrio. Entrambe gravitanti sul tema dell’usura, le stesse presentano vettorialità distinte: a sottolineare la difficoltà intrinseca della materia (e pure quella di soddisfare l’insistita esigenza di trovare un buon «bilanciamento» dei piatti). In materia di usura la tendenza attuale è di mettere sullo stesso piano tutti gli oneri economici: di trattare tutto allo stesso modo (interessi compensativi, come moratori, commissioni, spese). Questa tendenza «unificante», se può dirsi corretta sotto il profilo penale 39, non lo è però sotto il profilo della disciplina civilistica della materia. La sanzione civilistica dell’usura, come delineata dall’art. 1815 co. 2 c.c., si adatta solo al genere dei corrispettivi. Riferirla agli interessi moratori significherebbe, in realtà, premiare l’inadempiente per il fatto di essere tale: ovvero, per usare un’espressione più tecnica, introdurre ex lege una clausola di esonero da responsabilità. D’altra parte, per le spese il problema della quantità appare – di per sé – già risolto a monte: le stesse si fissano sui costi realmente sopportati (anche nella variante à forfait, naturalmente, giacché il relativo concetto non va oltre la segnalazione di una misura non di dettaglio preciso, bensì di approssimazione); fuori da quest’ambi-

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La versione originaria del conto semplice («…un conto corrente di base, molto semplice e comprensivo di servizi minimi») si trova nelle «quasi istruzioni» del marzo 2009 («i documenti illustrano la disciplina che la Banca d’Italia intende adottare…»), p. 25 s., n. 3.11 («…gli interventi sulle disposizioni. “Conto corrente semplice”»). La versione di approdo – che si richiama anch’essa all’art. 117, co. 8, ma dichiara anche di avere acquisito l’«intesa della Consob» (cfr. l’art. 127, co. 3) – è ribadita nelle ultime Istruzioni del 10 febbraio 2011, sez. I, n. 4, p. 23 s. 39 Nella prospettiva penalistica, infatti, l’accento determinante va naturaliter a porsi sul lato della domanda (che è appunto l’oggetto diretto e immediato della relativa tutela). E, per il cliente, più importante di tutto è l’ammontare complessivo dell’esborso che gli viene richiesto, non già i titoli delle diverse voci che lo compongono.

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to, quindi, nulla – come spesa – può dirsi dovuto 40. Fuori da quest’ambito si esce dal nomen (v. sopra). L’altra notazione muove dalla affermazione, che spesso ci si trova ad ascoltare, per cui quella sull’usura è una legge sostanzialmente fatta per l’interesse delle banche. Il giudizio è corretto, secondo me: ma perché questa normativa nasconde, nell’attuale, un vizio di base. Se l’equilibrio è prospettiva che viene a tenere in modo speciale del lato della domanda, a rilevare è la richiesta di credito al mercato. Né si scorge ragione per frammentare quest’ultima. Sì che, in ultima analisi, un tasso soglia calcolato solo sugli interessi praticati dalle banche – senza quindi contare (ad esempio) quelli portati dal mercato obbligazionario – non può per definizione essere un indicatore di «normalità adeguata»: manifestandosi, per l’appunto, solo autorefenziale.

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Senza, quindi, che venga ad assumere una qualunque rilevanza l’ultra dimidium. E in realtà lo stesso tema della misura delle spese (oltre quello dei limiti di legittimità del ribaltamento sul cliente, perciò) si atteggia in maniera proprio diversa di quanto accada per il corrispettivo (come anche, e reciprocamente, per la liquidazione di un danno): sul filo della diligenza circa le azioni (quali e come) poste in essere dall’impresa (qui bancaria) in correlazione alle richieste spese. Cfr. amplius il mio Carte di credito revolving: inadempimento di singole rate, «oneri economici» ed usura civilistica, in Contratti, 2010, p. 1071.

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Criterio di proporzionalità ed efficacia dei modelli di risk management * L’argomento del presente lavoro presuppone anzitutto un’analisi del concetto di proporzionalità, quindi la sua declinazione in termini giuridici, infine il suo utilizzo nell’ambito delle Istruzioni della Banca d’Italia e, in particolare, in quelle relative alle disposizioni su Basilea 2. Il tutto per giungere a fornire qualche suggerimento in ordine alle possibilità con le quali inquadrare la struttura di controllo del rischio nell’ambito del sistema dei controlli interni. 1. Avviando il discorso secondo la menzionata scansione logica, possiamo cominciare col dire che nel più autorevole Dizionario della lingua italiana 1 la proporzionalità è definita come la «relazione esistente fra grandezze o classi di grandezze fra loro proporzionali; rapporto fra elementi in proporzione fra di loro», in un approccio semantico sicuramente tendente al profilo matematico-geometrico, dal quale però si estrapola una prima generale caratterizzazione del lemma. Quando si parla di proporzionalità, scattano concetti di adeguatezza, di coerenza, di corrispondenza, insomma una necessaria corrispettività fra due elementi. Di fronte a una situazione o a una nozione giuridica, la reazione deve essere adeguata e proporzionale, in modo da non rompere quel nesso di necessaria colleganza che i due elementi portano con sé.

* Il presente lavoro rielabora la relazione tenuta a Urbino il 15 ottobre 2010, al convegno, organizzato da ACRI e Assbank, dal titolo: Basilea 3 e il risk management nelle banche regionali 1 Battaglia, Grande Dizionario della lingua italiana, XV, Torino, 1988.

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Limitando a questo breve cenno l’approccio linguistico, occorre aver subito riguardo al profilo giuridico di questo principio. E allora va rammentato 2 che il principio di proporzionalità ha avuto una certa notorietà e un significativo utilizzo fra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento nel diritto amministrativo: lo si adottò come criterio per giustificare il sacrificio degli interessi dei privati di fronte a un provvedimento della p.a.: «la regola direttrice dell’amministrazione in questo conflitto si è far prevalere la cosa pubblica alla privata col minimo possibile sacrificio della privata proprietà e libertà» 3. Assai più di recente ma nella stessa linea vi era chi richiamava la necessità di una garanzia che «valga a tutelare indirettamente gli interessi degli individui privati contro un’azione amministrativa per essi gravosa oltre quanto sarebbe strettamente richiesto dall’interesse pubblico» 4. Sembra dunque costituire un’intuizione condivisa in dottrina che il principio in esame integri un criterio alla stregua del quale valutare (e censurare in sede propria) i provvedimenti amministrativi che ledano gli interessi dei privati oltre la misura ritenuta sufficiente per raggiungere quelli pubblici. 2. Ma questa situazione si è, per così dire, cristallizzata, nel senso che non risulta sia stata portata alle conseguenze che si sono ora accennate e occorre aspettare, per trovare l’intuizione fatta realtà, il passaggio comunitario. Passaggio che si concretizza anzitutto in via legislativa, con l’art. 5, § 3, del Trattato CE 5, ora rifluito nell’art. 5 della

2 Cfr. le considerazioni e i riferimenti contenuti nell’elaborato di Fantigrossi, Sviluppi recenti del principio di proporzionalità nel diritto amministrativo italiano, Liuc Paper n. 228, settembre 2008, passim. 3 Romagnosi, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 1814, p. 16; continua l’a. che, «senza di questa regola limitatrice e regolatrice non si trova più punto d’appoggio, né confine onde arrestare l’arbitrario e fissare qualche regola alla pubblica amministrazione: nella stessa guisa che, rotto il principio dell’equità, ossia dell’eguaglianza dei diritti civili, nei quali in sostanza consiste la giustizia, convien cadere nell’estremo opposto del diritto del più forte, che è un assurdo in termini, vale a dire nel solo esercizio arbitrario della forza». Lo stesso Orlando, nel suo Primo Trattato Completo di Diritto amministrativo italiano, I, Lodi, 1897, p. 159, ebbe a scrivere che lo Stato «deve far sentire il suo intervento solo in quei rapporti in cui esso è necessario o almeno più utile, lasciando nel resto che i suoi sudditi si determinino ed agiscano seguendo gli impulsi della propria volontà». 4 Alessi, Sistema istituzionale del diritto amministrativo italiano2, Milano, 1958, p. 181. 5 «L’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente Trattato».

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versione consolidata del Trattato sull’Unione europea (dopo gli accordi di Lisbona), il cui § 4 recita: «in virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Le istituzioni dell’Unione applicano il principio di proporzionalità conformemente al protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità» 6. Passaggio comunitario che si manifesta altresì in una coerente giurisprudenza, che ispira quella nazionale e che pone al centro della valutazione dei provvedimenti amministrativi il rispetto del principio di proporzionalità. Anche in ambito comunitario il principio de quo postula che le autorità non possano imporre, né con atti normativi né con atti amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino, tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore, cioè sproporzionata, a quella strettamente necessaria, nel pubblico interesse, per il raggiungimento dello scopo che l’autorità medesima è tenuta a perseguire. Le corti comunitarie ne hanno fatto uno strumento di sindacato giurisdizionale sovranazionale, con la conseguenza che debbono ritenersi soggette all’osservanza del principio di proporzionalità: a) le misure di carattere normativo e di natura amministrativa adottate da organi comunitari, in particolare dalla Commissione; b) le misure normative o amministrative adottate dagli Stati membri in esecuzione degli obblighi comunitari; c) le disposizioni che disciplinano eventuali ipotesi di deroga a favore degli Stati membri, in relazione a libertà fondamentali previste dal Trattato. Poiché i principi dell’ordinamento comunitario sono stati espressamente inseriti dal legislatore nazionale tra i principi generali dell’attività amministrativa (cfr. art. 1, co. 1, della legge n. 241 del 1990, come modificata dalla legge n. 15 del 2005), si sono poste le basi per un penetrante sindacato da parte dei giudici amministrativi, sotto il profilo della stretta legalità, sul rispetto del canone della proporzionalità nell’agire delle pubbliche amministrazioni.

6 Cfr. voce Principio di sussidiarietà, in Istituto per l’Enciclopedia della Banca e della Borsa, Nuovo Dizionario di Borsa e Finanza, Roma, 2002, p. 1339, nozione che si lega concettualmente a quella di proporzionalità, tanto che entrambe sono disciplinate nel menzionato art. 5 del Trattato nella versione successiva agli accordi di Lisbona.

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3. Prima di procedere in ordine ai provvedimenti amministrativi, mette conto rammentare come il principio in parola sia correttamente tenuto presente dallo stesso legislatore nazionale, al quale pure si applicava, già secondo le risalenti modulazioni dello stesso, di cui si è detto in apertura. Anche in questo ambito conviene procedere per esempi, curiosando fra disposizioni che, sia pure indirettamente, hanno attinenza anche con gli operatori bancari e finanziari, Un primo esempio lo si coglie nel d.lgs. 231 del 2001 sulla “disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, il cui art. 6, al comma 4, consente che, «negli enti di piccole dimensioni», i compiti attribuiti all’organo di vigilanza sul funzionamento e sull’aggiornamento del modello di organizzazione e di gestione «possono essere svolti direttamente dall’organo dirigente». Un’applicazione diretta, senza richiami espliciti al principio, ma rispettosa del suo contenuto, operata dal legislatore direttamente, tenendo conto, nel suo intervento, delle ridotte dimensioni (e, conseguentemente, della scarna struttura organizzativa) del soggetto, tali da non consentirgli di dotarsi di un organismo ad hoc. Un altro esempio è fornito dal “codice in materia di protezione dei dati personali” (d.lgs. 196 del 2003), al cui art. 3 viene affermato il principio di necessità nel trattamento dei dati, secondo il quale «i sistemi informativi e i programmi informatici sono configurati riducendo al minimo l’utilizzazione di dati personali e di dati identificativi, in modo da escluderne il trattamento quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante, rispettivamente, dati anonimi o opportune modalità che permettano di identificare l’interessato solo in caso di necessità». In questa norma la dottrina ha riconosciuto «l’esplicarsi di canoni più generali, di proporzionalità e ragionevolezza, dei quali è nota nell’esperienza costituzionale l’operatività come strumenti di controllo del coerente esercizio di un potere (in relazione al sindacato delle leggi e degli altri atti normativi, …), ma che hanno carattere di trasversalità rispetto ai vari rami del diritto» 7. Insomma, i dati personali e i dati identificativi debbono essere “trattati” in misura quanto più possibile minimale o per nulla, tutte le volte in cui le finalità perseguite con detto trattamento possano essere raggiunte mediante l’utilizzo di dati anonimi

7 D’Orazio, Il principio di necessità nel trattamento dei dati personali, in Il Codice del trattamento dei dati personali, a cura di Cuffaro, D’Orazio e Ricciuto, Torino, 2007, p. 25.

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e procedure che comunque consentano l’identificazione del soggetto solo in casi di necessità. 4. Tornando al “passaggio comunitario” del principio di proporzionalità, va detto che esso apre, a ben vedere, due prospettive: la prima sullo stesso processo legislativo (di cui alla precedente esemplificazione), nella misura in cui le norme del Trattato UE sono sovraordinate a quelle nazionali; la seconda in ambito amministrativo, dove il principio di proporzionalità, già manifestato e predicato quasi due secoli fa come parametro di verifica degli atti, diviene a maggior ragione canone irrinunciabile in tal senso. Questa osservazione non è priva di significato ai fini del discorso che si è intrapreso, dal momento che non è dubitabile che gli atti della Banca d’Italia, come quelli delle altre autorità indipendenti di settore, hanno natura amministrativa e quindi ad essi già di per sé si applica il principio di proporzionalità, nella duplice veste di limite all’agire dell’autorità stessa e di parametro per impugnare l’esito di tale agire. Si vedrà che la Banca d’Italia ha avuto modo di precisare, chiarire, definire detto principio in modo più o meno articolato nelle varie sedi in cui l’ha richiamato, ma non v’è dubbio che all’operato della stessa il principio, come affinato dalla giurisprudenza mediante il passaggio comunitario, trovi senz’altro applicazione nelle materie dalla medesima Banca regolate. E la giurisprudenza sul punto ha avuto modo di rimarcare la c.d. teoria dei tre gradini, originata dalla dottrina tedesca 8 (idoneità, necessarietà e adeguatezza), nel senso che l’idoneità implica la valutazione del rapporto tra il mezzo impiegato e il fine perseguito; la necessarietà l’obbligo di scelta della soluzione comportante il raggiungimento dell’obiettivo attraverso il minimo sacrificio degli interessi configgenti 9; l’adeguatezza il vincolo quantitativo relativo alla soluzione adottata, vincolo che rappresenta la misurazione del grado

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Sandulli, Proporzionalità, in Diz. dir. pubbl., a cura di Cassese, Milano, 2006, V, 4643. 9 Ancora con riferimento all’art. 3 del codice in materia di protezione di dati personali, osserva D’Orazio, Il principio di necessità, cit., p. 26: «nell’ordinamento che l’ha perfezionato (e che, si ricorda, il legislatore italiano ha preso a riferimento per formulare la disposizione qui commentata), il principio di indispensabilità, intermedio fra i tre su cui fa perno il canone proporzionale, è noto anche come “regola del mezzo più mite” (Gebot des mildesten Mittels)».

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di soddisfazione degli interessi meritevoli di tutela 10. Questa teoria ha trovato applicazione in varie decisioni di variegato contenuto, dalla irrogazione di sanzioni 11, alla verifica sulla congruità della misura

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Cfr. T.A.R. Emilia-Romagna, 11 novembre 2008, n. 4482, in Merito, fasc. 12, 138, con nota di Attanasio, Tempi e modi di utilizzazione del principio di proporzionalità: «l’applicabilità del principio di proporzionalità impone un’indagine c.d. “trifasica” che, dopo l’accertamento della necessità della misura, nonché della sua idoneità allo scopo da raggiungere, conduca all’individuazione della misura strettamente proporzionata con il fine da raggiungere; e, pertanto, l’opzione preferita nell’arco delle possibili scelte da parte della procedente autorità deve inderogabilmente coincidere con “la misura più mite”, in modo che lo strumento in concreto prescelto non superi la soglia di quanto appaia necessario per il soddisfacimento dell’interesse pubblico perseguito». 11 Cons. St., 22 marzo 2005, n. 1195, in Foro amm. Cons. Stato, 2005, 761: «la proporzione della sanzione disciplinare in relazione alla gravità dell’infrazione è tipica valutazione discrezionale della pubblica amministrazione datrice di lavoro, di per sé insindacabile dal giudice amministrativo, tranne nei casi in cui appaia manifestamente anomala o sproporzionata o particolarmente severa in quanto determinata nel massimo consentito»; nello stesso senso cfr. Cons. St., 12 novembre 2008, n. 5670, ivi, 2008, 3104. Ancora in tema di sanzioni, ma con esplicito riferimento alle esperienze bancarie, è da segnalare Cass., 15 giugno 2010, n. 14305, ined., innanzi alla quale era stato presentato ricorso avverso una decisione della Corte di appello di Roma, che aveva confermato la legittimità di un provvedimento sanzionatorio nei riguardi degli amministratori di BCC. Le sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia – hanno deciso i supremi giudici – in ragione delle rilevate carenze nell’organizzazione e nei controlli interni, nonché nell’erogazione, gestione e controllo del credito, non possono essere condizionate né dalle dimensioni della banca né dall’assenza di una stabile retribuzione, oltre che di una specifica professionalità, in capo agli stessi amministratori. Una simile situazione di fatto «non determina alcuna limitazione ai doveri di diligenza, di accortezza e prudenza insiti in quel tipo di attività esercitata; e neppure al rispetto della normativa di vigilanza bancaria, da osservarsi rigorosamente in relazione sia alle specifiche responsabilità connesse con la funzione che l’amministratore si è assunto volontariamente, che alle peculiarità dell’attività di gestione del credito, dalla quale scaturiscono imprescindibili esigenze di vigilanza sulle procedure operative e di controllo del rischio, quale che sia la dimensione della banca». Occorre peraltro ricordare che, nella fattispecie de qua la Banca d’Italia ha contenuto in una misura vicina al minimo l’importo irrogato a ogni amministratore, mostrando così, in concreto, di aver tenuto conto di quanto sostenuto dai ricorrenti. Ai fini che interessano il discorso intrapreso, si è di fronte a una situazione in cui la proporzionalità non cede il passo ma certo si trova a essere affermata in un contesto tutt’affatto specifico, nel quale rimane effettivamente difficile consentire a una diligenza minore (e quindi a un livello di colpa/sanzione minore) nel rispetto della normativa di tutela del risparmio e di stabilità degli operatori, in funzione delle ridotte dimensioni e della meno complessa capacità organizzativa delle piccole banche. Sulla menzionata sentenza cfr. Assonime, Diligenza professionale e governance della “piccola” banca, nella collana “Il caso”, n. 6/2010, Roma, 2010.

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della partecipazione pubblica al capitale di una società privatizzata 12, dall’ambiente 13 alla tutela della concorrenza 14. Ma l’elenco è sicuramente lacunoso (si pensi all’uso che del concetto di proporzionalità si fa nel diritto del lavoro: la “giusta causa” e il “giustificato motivo” nel licenziamento) e quindi vale solo a precisare che sicuramente la giurisprudenza e anche il legislatore hanno adottato il principio di proporzionalità come canone applicativo ed ermeneutico, di modo che non deve sembrare né una novità né, tanto meno, una “invenzione” delle Istruzioni di vigilanza il tema che si va affrontando. Se il tutto non è nuovo – e se ne avrà conferma fra breve – va anche detto che a questa prospettiva non ha arriso il successo che, alla fine del secolo scorso, qualcuno preconizzava per questo principio. Non resta infatti che consentire con chi afferma che «la dottrina aveva ipotizzato che il principio di proporzionalità, lungi dal rappresentare una mera componente riconducibile al più generale principio di ragionevolezza, fosse invece destinato a sostituire quest’ultimo, come parametro di sindacato sull’azione amministrativa, potendo rappresentare, con il suo ancoraggio al meccanismo puntuale dei tre gradini progressivi di esame, una valida alternativa all’impiego di una clausola ritenuta vaga e dai contenuti troppo incerti. In questo modo si riteneva che il nuovo meccanismo di controllo avrebbe sostituito, in larga parte, il tradizionale sindacato sull’eccesso di potere» 15. In realtà così non è stato e non v’è

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È il caso della Sea-Aeroporti di Milano, di cui a Cons. St., 1° aprile 2000, n. 1885, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2000, 459, con nota di Galletta, Una sentenza storica sul principio di proporzionalità con talune ombre in ordine al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. 13 Cons. St., 16 aprile 2006, n. 2087, in Giorn. dir. amm., 2006, 1106, con nota di Galetta, La proporzionalità quale principio generale dell’ordinamento, nonché T.A.R. Milano, n. 5289/2007 e T.A.R. Puglia, sede di Lecce, n. 2247/2007, citate in Fantigrossi, Sviluppi recenti del principio di proporzionalità, cit., p. 11. 14 Cons. St., 14 maggio 2001, n. 2670, in Guida al dir., fasc. 30, 82; Cons. St., 18 ottobre 2002, n. 5714, in Cons. Stato, 2002, I, 2263; Cons. St., 17 aprile 2007, n. 1736, in Foro it., 2007, III, 550: «in forza anche del richiamo ai principi dell’ordinamento comunitario contenuto nell’art. 1, co. 1, l. 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, anche nel nostro ordinamento, per i provvedimenti limitativi della sfera giuridica del cittadino, vige il principio di proporzionalità, nei suoi tre profili dell’idoneità, della necessari età e dell’adeguatezza: ciò vale a maggior ragione nel sistema antitrust, articolato su due piani, nazionale e comunitario, il cui rapporto è retto dal principio di sussidiarietà». 15 Fantigrossi, Sviluppi recenti del principio di proporzionalità, cit., p. 7. Le nozioni di proporzionalità e ragionevolezza, connotate parimenti da indeterminatezza e polivalenza, «sono contigue e tendono a confondersi, così come i criteri che

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ancora la dimestichezza che dovrebbe essere ormai acquisita con questo principio come strumento di sindacabilità dell’agire amministrativo, anche se qualche decisione lascia intravedere spazi ulteriori di sviluppo in questa direzione. Ma questa situazione, doverosamente da segnalare, non inficia i passaggi dell’argomentare che si sta disegnando. 5. Si diceva della sensazione di star percorrendo strade già tracciate: si pensi che anche la procedura richiamata dall’art. 23 della legge n. 262 del 2005, della quale si dirà più avanti, vale a dire il procedimento di consultazione, obbligatorio per le autorità regolamentari, opera nell’ambito di un percorso che approda a sponde comunitarie. In un documento della UE del 2009 16, si legge espressamente quanto segue: «la Commissione ha i seguenti obblighi: deve effettuare ampie consultazioni prima di proporre atti legislativi; nella relazione che accompagna ogni proposta legislativa deve esporre le ragioni che portano a concludere che la proposta soddisfa i principi di sussidiarietà e di proporzionalità; deve tenere conto degli oneri che ricadono sulla Comunità, sui governi nazionali, sugli enti locali, sugli operatori economici e sui cittadini. Il Parlamento europeo e il Consiglio devono fornire una giustificazione relativa alla sussidiarietà qualora introducano un emendamento che incida sulla portata dell’azione comunitaria. Nel corso della procedura di consultazione e di cooperazione, il Consiglio deve esporre al Parlamento i motivi per cui propende a favore dell’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. (…) La Corte di giustizia e il Tribunale di primo grado, infine, possono valutare la legittimità degli atti delle istituzioni per quanto riguarda l’osservanza del principio di sussidiarietà». Se si ha presente la stretta connessione già segnalata, a livello comunitario, fra sussidiarietà e proporzionalità e se si riflette sulla portata

ne derivano: negli ordinamenti in cui essi hanno avuto sviluppo, la proporzionalità è tuttavia, schematizzando, canone rivolto ad una relazione tra mezzi e scopi, mentre la ragionevolezza, strumento consolidato del giudizio sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge, ha ad oggetto una relazione tra norme e solitamente si svolge utilizzando un’altra norma (tertium comparationis); entrambi, con ampi margini di reciproca concorrenza e sovrapposizione, hanno portata generale alla quale soggiace ogni manifestazione dei pubblici poteri»: D’Orazio, Il principio di necessità, cit., pp. 26-27. 16 Relazione della Commissione sulla sussidiarietà e la proporzionalità, 16a relazione “Legiferare meglio”, relativa al 2008, Bruxelles, 25 settembre 2009, COM(2009) 504 definitivo, p. 3.

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processuale che questi principi hanno nei procedimenti innanzi alle corti comunitarie, quella menzionata situazione italiana di scarso utilizzo, proprio in sede processuale, del principio di proporzionalità non può che essere destinata ad attenuarsi. 6. Se è consentita una prima puntualizzazione del percorso sin qui compiuto, si crede di poter dare per acquisito: • il principio di proporzionalità è noto al legislatore e alla giurisprudenza; • esso ha in dottrina autorevoli ispiratori, risalenti nel tempo, che ne hanno delineato i contenuti; • esso è altresì stabilmente radicato, oltre che nell’attività del legislatore, nel diritto amministrativo, nel quale segna le caratteristiche dell’agire della p.a. e, insieme, lo strumento per sindacarla; quest’ultimo aspetto è, ad oggi, ancora scarsamente sviluppato, a differenza di quanto accade a livello comunitario, ma non ha importanza significativa ai fini che qui interessano; • il processo che si è delineato è stato accompagnato e sollecitato dal diritto comunitario, nel quale i due principi di sussidiarietà e di proporzionalità (intimamente legati) guidano l’azione di tutti gli organi della UE, compresi quelli giurisdizionali; • il contenuto minimale del principio di proporzionalità consiste dunque nel limitare l’azione dello Stato (e, in via generale, dell’autorità) entro confini che segnino il limite minimo di ingerenza nei diritti e negli interessi dei privati. Più che una caratteristica positiva dell’agire amministrativo, detto principio si definisce in via negativa come un limite dell’agire medesimo, il che vuol dire riconoscere che l’azione del potere pubblico è sì necessaria e ben può contrastare con il diritto dei privati, ma proprio questo effetto di contrasto (e di probabile lesione) deve essere contenuto nella misura minore possibile; • ciò detto, il problema si sposta a verificare caso per caso quale sia questa misura, con l’inevitabile opinabilità di una simile operazione, ma non vi è dubbio che questa operazione vada effettuata dall’autorità (e dal legislatore). In via generale, tuttavia, la proporzionalità impone che non sia possibile travalicare il limite costituito da quanto è strettamente necessario per il raggiungimento dell’interesse pubblico che si intende perseguire. 7. Ancorché, come si è avuto modo di dimostrare, la nozione non sia nuova e quindi da sempre il principio di proporzionalità deve informa-

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re l’azione delle autorità, compresa la Banca d’Italia, da qualche anno quest’ultima ha mostrato particolare attenzione a questo principio e qua e là ne ha tracciato qualche definizione nei suoi provvedimenti. Senza pretese di completezza, se ne forniscono di seguito alcuni esempi che si ritengono rilevanti o per l’importanza del provvedimento o per la maggiore analiticità delle affermazioni. 7.1. Nelle disposizioni di vigilanza sulla compliance (roneata del 10 luglio 2007) vi è solo un accenno al principio in esame quando, nel precisare che si sono dettati criteri generali, riconoscendo alle banche piena discrezionalità nella scelta delle soluzioni organizzative per realizzarli, si afferma che dette disposizioni «si applicano alle banche e ai gruppi bancari secondo il principio di proporzionalità, in coerenza quindi con le specifiche caratteristiche dimensionali e operative» (§ 1). 7.2. Questi principi vengono declinati nella “Guida per l’attività di vigilanza” 17 (circolare n. 269 del 7 maggio 2008), in cui si rammenta (§ I.5 Proporzionalità e macro-categorie) che «la disciplina prudenziale dispone, anche al fine di contenere gli oneri per gli intermediari, che gli adempimenti richiesti ai soggetti vigilati siano graduati in funzione delle loro caratteristiche, dimensioni, complessità (principio di proporzionalità). Detto principio trova speculare applicazione nelle attività di controllo, nell’esercizio delle quali assumono specifico rilievo l’impatto sistemico e la problematicità degli intermediari. Al fine di applicare il principio di proporzionalità, i soggetti vigilati sono ripartiti in cinque “macro-categorie”» 18: 1) intermediari con significativa presenza internazionale;

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Guida che «delinea le modalità del processo di revisione e valutazione prudenziale (SREP) secondo uno schema di riferimento unitario per gli addetti alla vigilanza, a distanza e ispettiva, delle strutture centrali e periferiche dell’Istituto. Considerata la complessità e l’articolazione che assume l’attività di vigilanza sugli intermediari e la molteplicità delle strutture e degli addetti ad essa preposti, la Guida costituisce un punto di riferimento organico atto a garantire la coerenza dei comportamenti. Sono disciplinate tutte le attività di controllo sugli intermediari, ad eccezione delle fasi costitutive e di quelle relative alle procedure straordinarie» (§ I.1). 18 Da segnalare che la Guida ha presente la classificazione degli intermediari contenuta nel t.u.b. prima delle modifiche apportate in materia, a cominciare dal d.lgs. 10 del 2010 (recepimento della direttiva PSD) per finire (per ora!) al d.lgs. 141 del 2010 (recepimento della direttiva sui contratti di credito con consumatori).

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2) intermediai a rilevanza sistemica nazionale 19; 3) intermediari medio-grandi 20; 4) intermediari minori 21; 5) soggetti sottoposti a regolamentazione particolare 22. Queste macro-categorie sono coerenti con le classi ICAAP previste dalla normativa prudenziale. «I criteri applicativi del principio di proporzionalità indicati nella Guida costituiscono un orientamento generali per l’analisi che può, in virtù della conoscenza diretta dell’intermediario, individuare l’opportuno grado di estensione e di approfondimento delle analisi in relazione al complesso delle informazioni disponibili, alla passata dinamica delle variabili tecniche, al quadro congiunturale, generale e settoriale, all’evoluzione dei mercati di riferimento».

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Soggetti – inclusi quelli controllati da intermediari con sede in un Paese estero – con totale attivo uguale o superiore a 20 miliardi di euro e, convenzionalmente, altri intermediari, diversi da quelli di cui al punto 1), autorizzati ad utilizzare sistemi interni di misurazione dei rischi per il calcolo dei requisiti patrimoniali (intermediari con “sistemi riconosciuti”). 20 Soggetti – non rientranti nelle macro-categorie 1) e 2) – per i quali ricorre almeno una delle seguenti condizioni: totale attivo compreso tra 3,5 e 20 miliardi di euro (banche e intermediari 107); patrimonio gestito superiore a 10 miliardi di euro (intermediari prevalentemente attivi nella gestione del risparmio); controvalore annuo di negoziazioni – in conto proprio o in conto terzi – superiore a 150 miliardi di euro (intermediari prevalentemente attivi nella negoziazione per conto proprio ovvero nell’intermediazione per conto terzi). 21 Soggetti per i quali è presente almeno una delle seguenti condizioni: totale attivo pari o inferiore a 3,5 miliardi di euro (banche, essenzialmente BCC, e intermediari 107); patrimonio gestito pari o inferiore a 10 miliardi di euro (intermediari prevalentemente attivi nella gestione del risparmio); controvalore annuo di negoziazioni – in conto proprio o in conto terzi – pari o inferiore a 150 miliardi di euro (intermediari prevalentemente attivi nella negoziazione per conto proprio ovvero nell’intermediazione per conto terzi). 22 Si tratta degli: IMEL; intermediari 106; SIM autorizzate esclusivamente a uno o più dei seguenti servizi: i) consulenza in materia di investimenti e ricezione e trasmissione di ordini senza detenzione di denaro o titoli appartenenti ai clienti; ii) servizi di investimento aventi ad oggetto esclusivamente strumenti finanziari derivati con sottostante non finanziario; le SGR, pur se assoggettate a una regolamentazione prudenziale diversa da quella fondata sui tre pilastri (requisiti patrimoniali, controllo prudenziale, informativa al pubblico) sono ripartite tra le macro-categorie 3) e 4) in funzione della dimensione.

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7.3. Nel marzo 2008 la Banca d’Italia ha emanato disposizioni in materia di organizzazione e governo societario delle banche (roneata del 4 marzo 2008) – sulla quale si tornerà più avanti – e qualche mese dopo ha diffuso una nota di chiarimenti (roneata del 19 febbraio 2009), nella quale si sofferma espressamente sul criterio di proporzionalità (§ 8). A questo riguardo il documento osserva che «è stato chiesto di individuare indici di complessità (dimensionale, operativa, organizzativa) che agevolino l’applicazione delle Disposizioni secondo il criterio di proporzionalità. Concorrono a definire il grado di complessità delle banche i seguenti profili: • dimensione degli attivi (a titolo indicativo, si presume che le banche appartenenti alla “classe 3”, come definita nella circolare della Banca d’Italia n. 263 del 27 dicembre 2006), siano da considerarsi tra quelle di minore dimensione e complessità operativa/organizzativa); • tipologia di attività svolta (ad esempio, le banche operanti in determinati settori di attività, come quello della gestione del risparmio o della negoziazione per conto proprio o in conto terzi, potrebbero configurare ipotesi di complessità operativa/organizzativa); • struttura proprietaria dell’intermediario (il controllo totalitario da parte di un intermediario estero potrebbe, in talune circostanze, configurare condizioni di limitata complessità operativa/organizzativa; strutture proprietarie caratterizzate dalla presenza di rilevanti interessi di minoranza potrebbero, invece, richiedere l’adozione di assetti di governance complessi dal punto di vista operativo/organizzativo); • quotazione su mercati regolamentati (la quotazione di strumenti finanziari emessi, avuto presente il vaglio esercitato dagli investitori, potrebbe rendere necessaria l’adozione di assetti di governance tali da configurare condizioni di complessità operativa/organizzativa); • appartenenza ad un gruppo bancario (banche facenti parte di gruppi, operative in comparti finanziari tradizionali e che ricorrono ai servizi offerti dalla capogruppo o da altre componenti il gruppo, potrebbero essere caratterizzate da un limitato grado di complessità operativa/organizzativa); • appartenenza ad un network operativo (l’utilizzo di servizi e infrastrutture offerte da organismi di categoria potrebbe configurare condizioni di limitata complessità operativa/organizzativa)». Come si vede, sia pure per declinarli in termini di governance, questi chiarimenti indicano alcuni parametri oggettivi da tenere presente per adeguare l’intervento alla tipologia del destinatario.

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7.4. Nel regolamento congiunto adottato da Banca d’Italia e Consob il 29 ottobre 2007 in materia di organizzazione e procedura degli intermediari che prestano servizi si investimento o di gestione collettiva del risparmio (nel quale è disciplinato, ad esempio il modello organizzativo da seguire per eliminare o attenuare situazioni di conflitto di interesse), l’art. 4, rubricato “Principi generali”, dispone, al comma 2, che «gli intermediari applicano le disposizioni del presente Regolamento in maniera proporzionata alla natura, alla dimensione e alla complessità dell’attività svolta nonché alla tipologia e alla gamma dei servizi prestati». Ancora un rinvio esplicito al principio de quo, che viene declinato avendo riguardo ai due elementi più frequentemente richiamati (natura, dimensione e complessità dell’attività svolta) cui si aggiungono, con riferimento alla prestazione di servizi di investimento, la tipologia e la gamma di detti servizi, offerti dal singolo intermediario. 7.5. L’art. 23 della legge 28 dicembre 2005, n. 262 (c.d. legge sulla tutela del risparmio) dispone che le autorità di vigilanza (Banca d’Italia, Consob, Isvap e Covip) debbano conformarsi a una serie di principi; in particolare, «nella definizione del contenuto degli atti di regolazione generale, le Autorità (…) tengono conto in ogni caso del principio di proporzionalità, inteso come criterio di esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con il minore sacrificio degli interessi dei destinatari» (comma 2). L’ultimo comma dispone infine che le Autorità «disciplinano con propri regolamenti l’applicazione dei principi di cui al presente articolo. In attuazione di questa disposizione, la Banca d’Italia ha messo in consultazione (nell’ottobre 2009) un documento che è poi sfociato nel Regolamento del 24 marzo 2010, nel quale vi è traccia esplicita del principio di proporzionalità nell’ultimo dei “considerato”, ove si puntualizza: «considerato che il principio di proporzionalità richiede che le attività svolte nell’ambito dei procedimenti normativi, e in particolare le analisi di impatto e le consultazioni, siano improntate a criteri di economicità ed efficienza in funzione della rilevanza dei rischi per le finalità di vigilanza». Nel documento di consultazione l’argomento è affrontato con maggior dettaglio, affermandosi che detto principio deve intendersi in un duplice senso: «a) nei contenuti degli atti normativi, che nel perseguimento delle finalità di vigilanza devono, per quanto possibile, tendere al contenimento dei costi a carico dei destinatari: a tal fine è introdotto in particolare lo strumento dell’analisi d’impatto, con specifico riferimento all’analisi costi-benefici: b) nel processo di formazione della regolamentazione, il cui livello di approfondimento in tutte le fasi – dall’analisi

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d’impatto alla consultazione fino alla successiva revisione periodica – è improntata a criteri di economicità ed efficienza, in funzione della rilevanza dei rischi per le finalità di vigilanza». In particolare, il documento fornisce un’interpretazione del riferimento al «minor sacrificio degli interessi dei destinatari» di cui al menzionato art. 23, comma 2, della legge n. 262 del 2005, criterio che, «lungi dal comportare subordinazione delle finalità di vigilanza rispetto a tali interessi, costituisce piuttosto – come del resto espressamente chiarito dalla norma di legge – una esplicitazione del più generale principio di proporzionalità, inteso come esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine». Per completezza, va osservato che l’analisi di impatto è richiesta dal più volte citato art. 23, il cui comma 2 prevede altresì che gli atti delle Autorità siano «accompagnati da una relazione che ne illustra le conseguenze sulla regolamentazione, sull’attività delle imprese e degli operatori e sugli interessi degli investitori e dei risparmiatori». A questa prescrizione, la Banca d’Italia ha risposto con la circolare n. 277 del 20 luglio 2010 (“Linee guida per l’analisi di impatto della regolamentazione”), in cui l’intero cap. IV è dedicato al principio di proporzionalità, che viene applicato all’interno dell’attività di vigilanza in sede di predisposizione dell’analisi di impatto della regolamentazione (AIR), deducendosene tre implicazioni sotto il profilo organizzativo: a) ambito di applicazione: la necessità di ottimizzare risorse e tempi per condurre l’AIR fa sì che non siano sottoposti ad analisi quei provvedimenti la cui rilevanza – sotto il profilo dei rischi per le finalità di vigilanza o dei presumibili effetti prodotti – venga giudicata del tutto marginale; b) metodologia di analisi: anche nell’ambito dei provvedimenti normativi sui quali viene condotta l’AIR, può essere efficiente modulare la profondità dell’analisi. Sotto il profilo strettamente metodologico, ad esempio, per modifiche regolamentari di minore rilevanza l’analisi costibenefici può essere sostituita da un’analisi costi-efficacia, nella quale si assume che i benefici siano sempre superiori ai costi e si scelga l’opzione meno onerosa; c) allocazione di compiti e responsabilità: l’ampiezza dell’ambito di applicazione dell’AIR suggerisce una ripartizione di competenze tra i vari soggetti potenzialmente in grado di fornire un contributo. In generale, nelle autorità in cui opera un’unità dedicata all’analisi d’impatto, le AIR meno complesse sono direttamente curate dalle unità con competenze normative, mentre quelle più articolate sono condotte dall’unità dedicata. Vengono così a delinearsi due tipologie di AIR che, ancorché articolate nelle stesse fasi, si differenziano per il livello di dettaglio:

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• AIR semplificata (AIRS): si caratterizza per una maggiore flessibilità di contenuto. È costituita da tutte le fasi previste 23, ma queste possono essere sviluppate con minore approfondimento rispetto all’AIR completa. La relazione sull’analisi d’impatto può confluire nella stessa relazione di accompagnamento della normativa; • AIR completa (AIRC): si caratterizza per la necessità di condurre una valutazione completa ed esauriente delle ragioni economiche alla base dell’intervento e dei costi e dei benefici delle opzioni regolamentari disponibili. La relazione sull’analisi d’impatto deve contenere tutti gli elementi utili per una scelta ponderata da parte della Banca d’Italia delle soluzioni regolamentari più efficienti. 8. Prima di affrontare la normativa in tema di Basilea 2 che può tornare utile sia per puntualizzare ulteriormente la nozione di proporzionalità, sia per passare ad applicarla nell’ambito del risk management, si possono riassumere gli ulteriori avanzamenti che il ragionamento intrapreso sembra aver acquisito: • il principio di adeguatezza è anzitutto un limite all’azione dell’autorità (nella sua veste legislativa e amministrativa) quindi, se efficacemente rispettato, la disposizione già dovrebbe essere “bilanciata” in relazione alle caratteristiche del destinatario e all’importanza del bene pubblico perseguito; nessuna attività (se non di verifica ex post e, se mai, di censura) va richiesta ai privati; • un primo elemento che, dicono le stesse disposizioni comunitarie (oltre che la legge sulla tutela del risparmio), deve essere tenuto presente dall’autorità è rappresentano dal minor sacrificio da imporre ai destinatari. Ciò vuol dire una particolare attenzione agli oneri che scaturiscono dal provvedimento in capo a chi deve rispettarlo; • va da sé che “sacrificio” non va inteso solo in termini economici e quindi vuol dire fare attenzione agli oneri di vario tipo che si pongono a carico dei destinatari. Non deve essere recato un pregiudizio eccedente i limiti strettamente necessari;

23

Le fasi del processo normativo e dei relativi adempimenti sono così schematizzate: a) discussione interna, analisi fallimenti mercato/regolamentazione, input altri stakeholder; b) programmazione normativa; c) prima bozza di normativa e avvio AIR; d) eventuale fase di preconsultazione, raccolta di input da stakeholder; e) pubblicazione proposta e AIR preliminare; f) consultazione; g) emanazione della normativa e AIR definitiva.

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• se quanto finora detto costituisce una valutazione di carattere generale rispetto ai destinatari, l’azione dell’autorità deve graduarsi, in termini di sacrifici da imporre, in funzione delle tipologie di detti destinatari. E qui il discorso si fa più vicino al tema che si sta affrontando: le disposizioni di vigilanza debbono essere differenziate in funzione della tipologia dei soggetti cui sono destinate; • in questa logica, il problema si sposta sulla determinazione degli elementi discretivi fra le diverse tipologie: dalla rassegna di disposizioni fin qui effettuata, si può declinare la maggiore o minore complessità degli intermediari, oltre che su metri di tipo quantitativo, anche in relazione alla tipologia di attività svolta, alla struttura proprietaria, alla quotazione o meno sul mercato, all’appartenenza o meno a un gruppo bancario; all’appartenenza o meno a una rete operativa; • il principio di proporzionalità sembra poi essere coniugato anche “in casa” dell’autorità, ma per valutare lo sforzo che la stessa deve porre in essere, dal momento che la predisposizione del materiale di corredo dell’intervento – e delle motivazioni che lo giustificano – è anch’essa proporzionata alla portata dell’intervento stesso. 9. Esaurita, almeno nella misura che queste note impongono, la parte riferita alla nozione all’utilizzo del principio di proporzionalità, non resta che esaminarne la portata nell’ambito della disciplina del risk management e, in genere, delle nuove disposizioni sul capitale delle banche, susseguenti all’accordo su Basilea 2. Per il modo con il quale s’intende sviluppare quest’ultima parte del lavoro, si confida che su di esso non abbiano incidenza le modifiche di Basilea 3. La nota circolare n. 263, secondo quanto è proprio dell’utilizzo del principio di proporzionalità da parte dell’autorità, assicura che a tale principio è stata data attuazione nella predisposizione della normativa di vigilanza: «in attuazione del principio di proporzionalità, che informa ampie parti della nuova disciplina, la regolamentazione tiene conto delle diversità degli intermediari – in termini di dimensioni, complessità e altre caratteristiche – dettando, per taluni ambiti, regole differenziate e sollecitando, in via più generale, un’applicazione delle disposizioni coerente con le specificità di ciascun intermediario». Questa affermazione conferma come il principio in parola debba essere applicato dall’autorità che dispone il provvedimento e che sulle sue scelte il destinatario del provvedimento medesimo può al più sindacare nelle sedi proprie, ma non ha potere contrattuale o di modifica. È vero che vi è la fase di consultazione, ma essa è, ovviamente, necessaria ma non vin-

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colante per l’autorità, che quindi potrebbe non modificare, nella specie, la valutazione di proporzionalità che ha ravvisato come esatta, nonostante le critiche avanzate dagli stakeholder in sede di risposta alla consultazione. Sembra anche qui doversi imporre un paio di osservazioni: la prima è che tener conto dei sacrifici, cioè della proporzionalità, non vuol dire limitare l’azione dell’autorità, come la Banca d’Italia ha espressamente dichiarato e come si è sopra riportato; la seconda è che maggiore è l’importanza dell’intervento e minori i margini di effettivo rispetto del principio in esame 24. Infatti, è logico che se l’osservanza di tutti i destinatari del provvedimento è da ritenersi vitale per il sistema, certo si avrà attenzione alla tipologia di questi ultimi e alle loro caratteristiche, ma se davvero tutti devono rispettarlo in modo il più possibile completo e dettagliato, i margini per tener conto delle diversità pur individuate ed esistenti non possono che essere inferiori di quelli che si avrebbero in ipotesi di minor importanza dell’intervento. Quanto si è fin qui detto, ove lo si condivida, porta a concludere che sulle possibilità di osservare in modo differenziato il provvedimento de quo (cioè la circolare n. 263) ha già deciso il provvedimento stesso. E in effetti articolate e diverse sono le scelte che ogni intermediario è chiamato a compiere per adeguarsi, dalla scelta dei metodi per calcolare il capitale di vigilanza necessario, alle altre e segmentate prescrizioni di cui è ricco l’accordo di Basilea. Poco quindi c’è da aggiungere su questo tema, in ordine al discorso intrapreso, se non l’aspetto di verificare se e in che misura davvero la scelta effettuata dall’autorità sia la meno invasiva e la meno pregiudizievole che poteva effettuarsi, a parità di efficacia della prescrizione imposta come necessaria. Ma qui il discorso, oltre a portarci lontano e a farsi squisitamente tecnico – quindi non pienamente “proporzionale” alle attitudini di chi scrive – rischia di essere anche teorico: infatti si tratterebbe, a ben vedere, di sindacare l’interpretazione che del principio in parola ha fornito la Banca d’Italia nelle varie fattispecie, il tutto ovviamente ai fini di una censura che, oltre che improbabile, si appaleserebbe pure estremamente opinabile e, date le premesse in termini di doverosità e di importanza del provvedimento, forse anche sterile.

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Significative a questo riguardo le considerazioni derivanti dalla fattispecie decisa da Cass. 14305/2010, commentata in nota supra al § 4.

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10. Diverso invece e, parere a chi scrive, più produttivo è indagare sulle modalità con le quali il provvedimento in esame intende coinvolgere gli organi nel controllo/attuazione delle nuove prescrizioni. Ciò perché, come si tenterà di fare al termine di queste note, si apre uno scenario di ben altro interesse e, probabilmente, suscettibile di oggettive scelte differenziate, dal momento che si tratta di inserire i nuovi controlli nell’ambito del Sistema di Controllo Interno, operazione per la quale ampia è la discrezionalità tecnica di ogni intermediario. È utile allora cominciare a stabilire cosa il provvedimento richieda. Anzitutto si richiede di formalizzare le politiche per il governo dei rischi e di aggiornarle/monitorarle nel tempo, per mantenerne l’efficacia; la responsabilità primaria nel far ciò è rimessa agli organi di governo della banca, secondo le rispettive competenze. Se si ragiona in termini di banche regionali, è lecito immaginare che sia adottato il “modello latino”, vale a dire quello articolato su un consiglio di amministrazione e un collegio sindacale, con la conseguenza che nel primo si sommano le competenze di elaborare scelte strategiche con le competenze di gestione 25, che la Banca d’Italia ama trattare separatamente, probabilmente prefigurando una elaborazione che vada bene anche per le banche che hanno adottato il modello dualistico. Del resto, la gestione del rischio è un atto sicuramente gestorio e quindi la competenza esclusiva del consiglio nel compierlo è ribadita dall’art. 2380-bis, co. 1, c.c., secondo il quale «la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale». Fermo restando quindi che è sempre al consiglio che ci si riferisce, in sede di supervisione strategica esso deve: a) individuare gli orientamenti strategici e le politiche di gestione del rischio, provvedendo al loro riesame periodico al fine di assicurare l’efficacia nel tempo; b) assicurare nel continuo che i compiti e le responsabilità siano allocati in modo chiaro e appropriato, con particolare riguardo ai meccanismi di delega;

25 Le menzionate disposizioni in tema di governance bancaria chiariscono (premessa, § 3) che «la funzione di supervisione strategica si riferisce alla determinazione degli indirizzi e degli obiettivi aziendali strategici e alla verifica della loro attuazione; la funzione di gestione consiste nella conduzione dell’operatività aziendale volta a realizzare dette strategia»; «la funzione di supervisione strategica e quella di gestione, attenendo unitariamente all’amministrazione dell’impresa, possono essere incardinate nello stesso organo aziendale; tipicamente ciò avviene nell’ambito del consiglio di amministrazione».

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c) verificare che l’assetto delle funzioni di controllo dei rischi sia definito in coerenza con gli indirizzi strategici, che le funzioni medesime abbiano un’autonomia di giudizio appropriata e siano fornite di risorse qualitativamente e quantitativamente adeguate; d) assicurarsi che venga approntato un sistema di flussi informativi in materia di gestione e controllo dei rischi accurato, completo e tempestivo; e) garantire che la funzionalità, l’efficienza e l’efficacia del sistema di gestione e controllo dei rischi siano periodicamente verificate e che i risultati di tali verifiche siano portati a conoscenza dello stesso organo di supervisione; nel caso emergano carenze e anomalie, promuovere con tempestività idonee misure correttive; f) con riferimento al processo ICAAP, definire e approvare le linee generali del processo, assicurarne l’adeguamento tempestivo in relazione a modifiche significative delle linee strategiche, dell’assetto organizzativo, del contesto operativo di riferimento e promuovere il pieno utilizzo delle risultanze dell’ICAAP a fini strategici e nelle decisioni d’impresa; in sede di gestione esso deve: a) verificare nel continuo l’efficienza e l’efficacia complessiva del sistema di gestione e controllo dei rischi; b) definire le responsabilità delle strutture e delle funzioni aziendali coinvolte, in modo che siano chiaramente attribuiti i relativi compiti e siano prevenuti potenziali conflitti di interesse; assicurare, altresì, che le attività rilevanti siano dirette da personale qualificato, con adeguato grado di autonomia di giudizio e in possesso di esperienze e conoscenze proporzionate ai compiti da svolgere; c) definire i flussi informativi volti ad assicurare agli organi aziendali e alle funzioni di controllo la piena conoscenza e governabilità dei fattori di rischio; d) con riferimento al processo ICAAP, dare attuazione a tale processo curando che lo stesso sia rispondente agli indirizzi strategici e che soddisfi i seguenti requisiti: consideri tutti i rischi rilevanti; incorpori valutazioni prospettiche; utilizzi appropriate metodologie; sia conosciuto e condiviso dalle strutture interne; sia adeguatamente formalizzato e documentato, individui i ruoli e le responsabilità assegnate alle funzioni e alle strutture aziendali, sia affidato a risorse quali-quantitativamente adeguate e dotate dell’autorità necessaria a far rispettare la pianificazione; sia parte integrante dell’attività gestionale. L’organo di controllo vigila sull’adeguatezza e sulla rispondenza del sistema di gestione e controllo dei rischi, nonché del processo ICAAP, ai requisiti stabiliti dalla normativa. Per lo svolgimento delle proprie attri-

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buzioni, tale organo dispone di adeguati flussi informativi da parte degli altri organi aziendali e delle funzioni di controllo interno. Il processo di valutazione, gestione e controllo dei rischi assunti dall’intermediario nell’esercizio della sua attività rappresenta il nucleo essenziale di ogni intermediario finanziario, bancario e non, il che spiega e giustifica l’analiticità e la pervasività delle previsioni. A ben vedere, l’approccio del regolatore non è molto lontano e diverso da quello che lo stesso ha utilizzato delineando le funzioni di internal audit o di conformità. Non si vuole certo perdersi nel tentativo di distribuire competenze e limiti di operatività dell’uno o dell’altro organismo, limitandosi tuttavia a sottolineare come sicuramente al risk management viene attribuita una funzione preventiva di mappatura delle attività (e delle unità operative) a rischio, di analisi dello stesso, di gestione e, infine, di neutralizzazione, funzione preventiva che accomuna la finalità di questo complesso di controlli a quello proprio della compliance. La domanda allora è dove allocare, nella struttura del singolo intermediario, queste funzioni di controllo del rischio, in un’ottica sì di efficienza ma anche di riduzione degli oneri. Ciò specie per quelle banche di più ridotte dimensioni: insomma, utilizzare il principio di proporzionalità in questo ambito. Sotto il predetto aspetto le disposizioni di vigilanza lasciano margini abbastanza ampi perché ogni intermediario operi le proprie scelte. In questa logica, almeno per i rischi qualitativi, sfruttare, ampliandone i compiti, la funzione di conformità sembrerebbe una via possibile. Più complesso è il discorso per i rischi quantitativi, per i quali le alternative sono più articolate e meno facilmente riassumibili in via generale, potendosi limitare a immaginare un irrobustimento delle unità operative dedicate alla gestione dei singoli rischi, in modo da costruire strutture e procedure di controllo ad hoc per ogni tipologia di rischio quantitativo. In altri termini, per le banche di limitate dimensioni e complessità, si potrebbe tentare, prima di creare nuove funzioni, di irrobustire, sviluppare, aggregare quelle esistenti. È chiaro che a questa eventuale attività deve affiancarsi, da un lato, un completo e puntuale sistema di deleghe interne e, dall’altro, una messa a punto ancora migliore, rispetto a quanto si sia già fatto in sede di redazione del progetto di governo societario, del meccanismo dei flussi informativi, in modo che a queste eventuali pluralità di centri di controllo si contrapponga una informazione completa verso la funzione centrale di risk management. Si tratta, a ben vedere, di profili problematici già noti e all’attenzione di ogni consiglio di amministrazione, che acquisiscono nuova forza e importanza in sede di individuazione dei presidi sui rischi.

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Infine, come strumento organizzativo da utilizzare, vi è sempre quello della esternalizzazione, il quale ha la caratteristica, voluta dall’organo di vigilanza, di mantenere in capo all’intermediario la responsabilità ultima dell’attività esternalizzata. Ciò allora presuppone che la banca si preoccupi di attivare un meccanismo di report sui quali basare un sistema di controllo sull’attività del soggetto esterno, in funzione del quale consapevolmente far fronte alla sua immanente e imprescindibile responsabilità. In altri termini, esternalizzare non vuol dire affrancarsi dalle responsabilità, bensì viverle e gestirle in modo diverso dall’ipotesi in cui quelle attività fossero svolte “in casa”. Si ha insomma la conclusiva impressione che del principio di proporzionalità possa farsi adeguato utilizzo nella scelta delle soluzioni organizzative da porre in essere per la gestione dei diversi tipi di rischio, ambito nel quale in effetti il regolatore ha lasciato margini significativi, che ogni intermediario deve saper utilizzare al meglio, al fine di minimizzare gli oneri senza intaccare l’efficacia dei presidi e dei controlli.

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Contribución al estudio de la naturaleza jurídica de los valores anotados* Sommario: 1. Las dificultades para la interpretación de las normas sobre valores representados por medio de anotaciones en cuenta – 1.1. El uso de remisiones normativas y ficciones. – 1.2. El uso de términos técnico-jurídico tradicionales – 1.3. Las divergencias (parciales) entre la ley y el desarrollo normativo – 2. Las singularidades de los valores anotados en cuenta – 2.1. La intermediación forzosa – 2.1.1 La interposición de una entidad de custodia – 2.1.2. El carácter forzoso de la intermediación – 2.2 La fungibilidad – 2.2.1 Los bienes fungibles – 2.2.2 El carácter sustituible de los valores tabulares – 2.3 La incorporeidad – 2.3.1. Las cosas incorporales en el Código Civil – 2.3.2. El carácter incorporal de los valores anotados – 3. La trascendencia jurídica de las características de los valores anotados – 3.1 La proyección normativa de la intermediación forzosa – 3.1.1 El riesgo de custodia – 3.1.2. La reparación del riesgo de custodia: la responsabilidad de la entidad custodia – 3.2. La proyección normativa de la fungibilidad – 3.2.1. La segregación de las cuentas de valores – 3.2.2. La individualización débil de los valores anotados – 3.2.2.1. La imposibilidad de identificar los valores anotados por medio de las Referencias de Registro – 3.2.2.2. Las cuentas de valores como elemento identificador de las posiciones jurídicas (fungibles) anotadas en cuenta – 3.2.3. El riesgo de confusión y la inflación de las cuentas de valores – 3.3. La proyección normativa de la incorporeidad – 3.3.1. La «transferencia contable» – 3.3.2. La posesión de valores anotados – 3.3.3. El carácter solemne de la «transferencia contable» – 4. Observaciones finales. Hacia una interpretación sistemática y autónoma del régimen de los valores anotados.

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Fue el Profesor Anibal Sánchez Andrés quien me sugirió como tema de tesis el estudio de los valores anotados en cuenta, a cuya disciplina venía él prestando atención especial, como lo demuestra la publicación post morten de un artículo inédito sobre la materia titulado Valores anotados y construcción jurídica de las anotaciones en cuenta, en RDMV 1/2007, pp. 3-38 y recogido posteriormente en Sánchez Andrés, Estudios jurídicos sobre el Mercado de Valores, en Sáenz, Oleo, Martínez (Ed.), Navarra, 2008, pp. 725-770. La pronta e inesperada partida del Profesor Sánchez Andrés impidió compartir con él los frutos de la investigación iniciada bajo su cercana y atenta dirección. Esa deuda de gratitud, imposible de pagar, es el motivo para dedicar este trabajo a la memoria de uno de mis más queridos maestros, cuya generosidad y rigor intelectual son un ejemplo a seguir para todos sus discípulos. La presente es una versión reducida del artículo publicado en el libro Estudios de Derecho Mercantil. Homenaje al Profesor Aníbal Sánchez Andrés, Civitas, 2010.

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1. Las dificultades para la interpretación de las normas sobre valores representados por medio de anotaciones en cuenta. Transcurridos más de veinte años desde la regulación de la desmaterialización total de los valores en España subsisten discrepancias acerca de la interpretación de esta (nueva) forma de representación de derechos. La sustitución del soporte documental por uno puramente contable ha dado lugar a diversas opiniones sobre cuál es la naturaleza jurídica de los valores anotados 1. Una parte de la doctrina considera que, no obstante la supresión del soporte documental, no existe obstáculo para aplicar mutatis mutandis la doctrina de los títulos-valor a las anotaciones en cuenta 2. Así, por ejemplo, la ley establece que las excepciones oponibles por el emisor al titular se limitan a las contenidas en el documento referido en el Artículo 6 y «las que hubiera podido esgrimir

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Se ofrece aquí una clasificación de los autores en torno a criterios generales sobre la naturaleza jurídica de los valores anotados en cuenta, sin sugerir una identidad de pensamiento entre los adscritos a un mismo grupo. 2 Dentro de esta amplia opinión es posible distinguir quienes consideran que las anotaciones en cuenta constituyen «derechos-valor», entre ellos: Paz-Ares, La desincorporación de los títulos-valor (El marco conceptual de las anotaciones en cuenta), en Aa.Vv. El nuevo mercado de valores, Madrid, 1995, passim y en RDM, 1996, pp. 7-34; Eizaguirre, Derecho de los títulos valores, Madrid, 2003, pp. 75 y 386; ibídem, Bases para una reelaboración de la teoría general de los Título-valor, en RDM, 1982, p. 88; Garcimartín, Direct and Indirect Holding: The Challenge of the Functional Approach, en UNIDROIT Seminar on Intermediated Securities. Bern, Switzerland, 15-17 September 2005, Appendix 2, disponible en www. unidroit.org/english/workprogramme/study078/item1/main.htm (última visita mayo 2010), p. 5; Garcia-Pita y Lastres, Naturaleza jurídica de los valores tabulares, en RDBB, 1999, pp. 55-56; Bercovitz, El Derecho del mercado de capitales, en RDBB, 1988, p. 85; Angulo Rodríguez, Derecho de crédito representados en anotaciones, en Jiménez Sánchez (Coord.), Negocios sobre derechos no incorporados a títulos valor y sobre relaciones jurídicas especiales, Madrid, 1992, pp. 304-305; Domínguez Garcia, Acciones y obligaciones representadas mediante anotaciones en cuenta: aspectos dogmáticos y de régimen jurídico, en RdS, 1995, pp. 39, 41 y 117; ibídem, Acciones y obligaciones representadas mediante anotaciones en cuenta: aspectos dogmáticos y de régimen jurídico, en RdS, 1995, pp. 158-159; y Diaz Moreno, La prenda de anotaciones en cuenta, en RCDI, 1991, pp. 375-379. En la doctrina italiana, a favor de la parificazione funzionale entre la disciplina de los títulos-valor y los valores desmaterializados, vid. Spada, La circolazione della richezza assente alla fine del millennio (riflessioni sistematiche sulla dematerializzazione dei titoli di massa), en Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, 417; Libonati, Titoli di credito e strumenti finanziari, Milano, 1999, p. 135; Martorano, Titoli di credito3, Milano, 1997, pp. 23-25; Cian, Titoli dematerializzati e circolazione «cartolare», Milano, 2001, pp. 30-37; La Sala, Disciplina del possesso e acquisto di buona fede in regime di dematerializzazione, en Riv. soc., 2004, pp. 1408-1409; Cardarelli, L’azione dematerializzata. Dallo statuto alla fattispecie, Milano, 2001, p. 4.

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en el caso de que los valores hubieran estado representados por medio de títulos». Otra parte de la doctrina, postula la sujeción de los valores anotados a los principios y reglas del Registro de la Propiedad 3. En este sentido, la normativa desarrollo prescribe expresamente la aplicación a los registros contables de los principios de prioridad y tracto sucesivo, de clara raigambre hipotecarista. Otros autores asumen una opinión ecléctica, sosteniendo que los valores tabulares pueden ser equiparados a los títulos-valor en el aspecto funcional (facilitación y aseguramiento del tráfico), en cambio en el aspecto estructural (los registros contables), se acercan más a la disciplina registral 4. En fin, una minoría plantea que las anotaciones en cuenta constituyen una disciplina especial, distinta del régimen de los títulos-valor y del Registro de la Propiedad 5.

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Entre éstos, vid. Fernández del Poso, Un nuevo registro de “bienes”: el sistema de anotaciones en cuenta, en RCDI, 1989, p. 1219; Garrido de Palma, Sánchez Gonzalez, La Sociedad anónima en sus principios configuradores, en Estudios sobre la sociedad anónima, Madrid, 1991, pp. 59-60; Santos Martínez, Acciones y obligaciones representadas mediante anotaciones en cuenta, en Alonso Ureba (Coord.), Derecho de Sociedades Anónimas, Madrid, 1991, II, vol. I, p. 341; Pérez De La Cruz Blanco, Anotaciones a cuenta de la crisis documental de los valores mobiliarios, en Estudios de derecho bancario y bursátil. Homenaje a E. Verdera, Madrid, 1994, pp. 2120-2122, especialmente nota 9 y 10; ibídem, Valores representados mediante anotaciones en cuenta, en Menéndez (Dir.), Lecciones de Derecho Mercantil4, Madrid, 2006, pp. 885-886. Algunos autores, no obstante sostener que los valores anotados en cuenta constituyen un Derecho nuevo, fundan principalmente el régimen sobre los principios registrales. En este sentido, Espina, Las anotaciones en cuenta. Un nuevo método de representación de los derechos, Madrid, 1995, p. 426; Cortés Carcía, La desmaterialización de los títulos-valor, Valladolid, 2002, p. 197; Zunzunegui, El valor anotado en cuenta y su régimen jurídico, en RDBB, 1994, pp. 833 y 836. En esta colección dispar de opiniones en torno a la aplicación del régimen registral, una mención especial merece Sànchez Calero, Régimen de los valores representados por anotaciones en cuenta, en Verdera (Coord.), El Nuevo Mercado de Valores, Studia.Albornotiana LIX, Bolonia, 1993, pp. 95-96 y 101 y Martìnez-Echevarrìa, Valores mobiliarios anotados en cuenta. Concepto, naturaleza y régimen jurídico, Pamplona, 1997, pp. 151-164; ibídem, La naturaleza jurídica de los valores anotados en cuenta; el desarrollo de la doctrina de los Wertrechte en el Derecho Español, en Derecho & Empresa, 2005, pp. 20-21, quienes – luego de afirmar la aplicación de algunos principios registrales a los valores anotados –, destacan la dimensión contable de los mismos. 4 En este grupo se encuentra, Sánchez Andrés, Valores anotados, cit., p. 740; Perdices, El libro registro de socios. La legitimación del socio en las sociedades de capital, Madrid, 2000, p. 226 nota 316; Perdices Veiga, Representación y transmisión de acciones, en Uría,Menéndez,Olivencia (Dir.), Comentarios al régimen general de las sociedades mercantiles, Cizur Menor, 2010, IV, vol. 2, p. 666. 5 En este sentido se pronuncia, Recalde, En torno a la pretendida nominatividad de las anotaciones en cuenta y su régimen de publicidad, en RDBB, 1993, pp. 395-402; ibí-

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Esta diversidad doctrinal es una muestra elocuente de la dificultad de engarzar el régimen de los valores anotados dentro de las figuras jurídicas tradicionales. La normativa vigente tampoco contribuye a dilucidar ese problema. El Capítulo II («De los valores representados por medio de anotaciones en cuenta») del Título I de la Ley del Mercado de Valores contiene tan sólo ocho artículos, de los cuales, los cinco últimos concentran las reglas sustantivas de la disciplina contable. La cuidada redacción de este último grupo de normas facilita la lectura de las mismas, dejando una impresión de absoluta coherencia entre las disposiciones del Capítulo. Sin embargo, la interpretación de los referidos textos presenta dificultades derivadas de tres circunstancias concomitantes: 1) el uso de remisiones normativas y ficciones, así como; 2) de términos técnicojurídicos tradicionales para regular los valores anotados y, en fin; 3) la (parcial) falta de sintonía entre la ley y el posterior desarrollo normativo, cuestiones a las que nos referiremos seguidamente. 1.1. El uso de remisiones normativas y ficciones. Los redactores han utilizado remisiones normativas y ficciones para la regulación de algunos extremos del régimen de los valores anotados. En las normas legales sobre representación contable encontramos dos ficciones. La primera de ellas se refiere al carácter fungible de los valores anotados: «reglamentariamente se establecerán las condiciones para que los valores representados mediante anotaciones en cuenta funcionen como fungibles a efectos de las operaciones de compensación y liquidación» 6. La segunda ficción es utilizada para regular la prenda sobre valores anotados: «la inscripción de la prenda equivale al desplazamiento posesorio del título» 7. Por su parte, el recurso a la remisión normativa aparece también en dos ocasiones. La primera, a propósito de la transmisión de los valores anotados, establece que «la inscripción de la transmisión a favor del adquirente producirá los mismos efectos que la

dem, La representación de valores: títulos y anotaciones en cuenta, en Ureba, MartínezSimancas (Dir.), Instituciones del Mercado Financiero, Madrid, 1999, V, pp. 2637-2650; ibídem, Electronificación de los títulos-valor, en Revista de la contratación electrónica, 2001, apartado III.2.D; González Castilla, Representación de acciones por medio de anotaciones en cuenta, Valencia, 1999, pp. 446-457. 6 Artículo 8.3 LMV. 7 Artículo 10.1 LMV.

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tradición de los títulos» 8. La segunda remisión la encontramos en la regla de limitación de excepciones: la entidad emisora sólo podrá oponer las excepciones derivadas del documento determinante del contenido de los valores anotados «y las que hubiese podido esgrimir en el caso de que los valores hubiesen estado representados por medio de títulos» 9. Tanto las ficciones como las remisiones normativas son normas jurídicas incompletas; esto es, se trata de normas cuyas consecuencias jurídicas se extraen de otras normas jurídicas 10. En lo que aquí más interesa, esta observación implica que la ley ordena la aplicación de determinadas consecuencias normativas previstas para un supuesto de hecho (original) a otro diverso. La consideración por parte de la ley de la inscripción contable de la prenda como equivalente al desplazamiento posesorio del título constituye una ficción; esto es, «la equiparación voluntaria de algo que se sabe que es desigual» 11. Los legisladores conocen (o debieran conocer) que, desde un punto de vista fenomenológico, el desglose realizado en la cuenta de valores para la constitución de la prenda no es lo mismo que el traspaso posesorio de un título-valor. Sin embargo, por medio de la ficción consiguen una remisión oculta de la regulación de los valores anotados al régimen de los títulos-valor. Otras remisiones – esta vez, explícitas – al régimen de los títulos-valor aparecen al ordenarse la aplicación a los valores representados por medio de anotaciones en cuenta de la regla de limitación de excepciones del emisor frente al adquirente establecida para los títulos-valor (supuesto de hecho original) o al aplicarse las consecuencias jurídicas de la tradición del título a la inscripción de la transmisión a favor del adquirente en la respectiva cuenta de valores. Utilizando técnicas legislativas diferentes – la remisión normativa o la ficción –, la ley ordena la aplicación del régimen de los títulos-valor a un supuesto de hecho diverso: las anotaciones en cuenta. La utilización de las mencionadas técnicas legislativas no es neutra. La doctrina más atenta ha destacado que el uso de ficciones o de remisiones pretende en ocasiones “mantener la apariencia de continuidad” entre un régimen preexistente y uno nuevo. Esta suposición cobra sentido en el caso en

8

Artículo 9.1 LMV. Artículo 9.4 LMV. 10 Larenz, Metodología de la Ciencia del Derecho2, Barcelona, 2001, p. 249. 11 Larenz, Metodología, cit., p. 255. 9

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estudio. Los legisladores pueden haber tenido distintas y válidas razones para transmitir la idea de no existir variaciones sustanciales entre el régimen de los títulos-valor y la disciplina de las anotaciones en cuenta. La potencial intranquilidad de los mercados frente a las novedades derivadas del paso de una desmaterialización parcial a la supresión total del soporte documental debió ser considerada, a la sazón, un riesgo necesario de mitigar. Sin embargo, transcurridas tras más de dos décadas desde el debut de la desmaterialización total y comprobada la utilidad y ventajas de la misma, es oportuno poner en duda los beneficios del uso de ficciones y de remisiones normativas en el ámbito de los valores anotados. Porque uno de los inconvenientes del uso de las referidas técnicas legislativas es «el peligro de ignorar la diferencia efectiva» entre los supuestos de hecho considerados por la ley como equivalentes 12; esto es, en nuestro caso, desconocer las diferencias existentes entre los títulos-valor y las anotaciones en cuenta. Sostener esa equivalencia no ya durante la transición, sino en plena vigencia del sistema de anotaciones en cuenta puede conducir a interpretaciones erradas, más preocupadas por mantener la continuidad y coherencia del ordenamiento que por explicar de manera coherente los supuestos de hecho normativos y las consecuencias jurídicas a ellos asignados; es decir, el funcionamiento real de los valores anotados. 1.2. El uso de términos técnico-jurídico tradicionales. Un segundo problema para la inteligencia de las normas sobre valores anotados es el uso de términos técnico-jurídicos tradicionales. Así, por ejemplo, la ley establece que «no estará sujeto a reivindicación» el adquirente de buena fe de valores anotados. La idea de continuidad también está presente en este recurso a un vocabulario propio del Derecho común. De este modo se traslada a los valores anotados el rico y depurado acervo legal y doctrinal del Derecho de propiedad y de la protección dominical –aplicable a los títulos-valor merced la incorporación de los derechos en el papel –, conservándose de ese modo un mismo hilo conductor entre los valores anotados, los títulos-valor y las reglas generales del Código Civil.

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Larenz, Metodología, cit., p. Larenz 256; Gómez Orbaneja, Ficciones y conceptos formales en el Derecho, Cizur Menor, 2008, pp. 31-32.

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Sin embargo y según explicaré más adelante, la idea de una reivindicación de los valores anotados presenta dificultades. La fungibilidad – pero también la naturaleza incorporal – de los derechos representados tabularmente pone en duda la posibilidad de individualizar los valores con el grado de precisión necesario para el éxito de la acción reivindicatoria 13. Por esta razón, la doctrina más atenta tempranamente observó que la acción del verus dominus para repatriar valores irregularmente transmitidos recae sobre el tantumdem, acercándose más a una acción de naturaleza personal que real 14. Si la acción reivindicatoria no puede prosperar por la naturaleza incorporal (y fungible) de los valores anotados, pierde relevancia la tutela del adquirente a non domino, pues de facto estará protegido frente a la acción del verus dominus. Y si el verus dominus no puede reivindicar los valores irregularmente transmitidos, es el propio concepto de propiedad sobre los valores anotados el que parece claudicar. Se advierte sin dificultad hasta qué punto la utilización de un lenguaje técnico-jurídico tradicional contribuye a pasar por alto las «anomalías» de los valores anotados, obstaculizando la depuración de la figura y la construcción de un régimen jurídico adecuado. 1.3. Las divergencias (parciales) entre la ley y el desarrollo normativo. Una tercera dificultad para comprender el régimen de los valores anotados es la distinta orientación seguida en algunas materias por la ley y por el posterior desarrollo normativo. A este respecto, no es una casualidad el hecho de haber transcurrido cuatro años desde la entrada en vigencia de la Ley del Mercado de Valores y la aprobación del Real Decreto 116/1992, sobre la representación de valores por medio de

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Con todo, la imposibilidad de individualizar los valores anotados no es absoluta (vid. infra el texto que acompaña la nota 70). 14 Vid. Sánchez Andrés, Valores anotados, cit., p. 762; Paz-ares, La desincorporación, cit., p. 103; Perdices, Libro registro, cit., p. 242. La naturaleza incorporal de los valores anotados es incompatible con el ejercicio de la acción reivindicatoria – al menos entendida de conformidad a la interpretación al uso – por faltar la posesión sobre valores anotados (vid. infra el texto que acompaña la nota 92). En nuestra opinión, el uso del término técnico-jurídico «reivindicación» para describir una operación de naturaleza estrictamente contable – ajena a la idea de posesión – genera confusión. Por esta razón, es conveniente ensayar una terminología diversa – «acción de rectificación» – para referirnos, en general, al derecho del titular tabular a exigir el reconocimiento contable de la titularidad.

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anotaciones en cuenta y la compensación y liquidación de operaciones bursátiles (en adelante, RDAC). En lo que interesa a este trabajo, el cambio más significativo operado por el RDAC es la aplicación expresa a los valores anotados en cuenta de ciertos principios de clara raigambre hipotecarista, contrastando con la inclinación de los legisladores por la equivalencia con los títulos-valor, según antes hemos indicado. Así, por ejemplo, el RDAC ordena la aplicación de los principios de prioridad y tracto sucesivo a la llevanza de los registros contables. Esta (aparente) diversa orientación entre las normas legales y reglamentarias ha dado fundamento suficiente para una ardua discusión doctrinal acerca de la naturaleza predominantemente «registral» o «cartular» de los valores representados tabularmente. Sin embargo, se debe subrayar que tanto el texto legal como el reglamentario contribuyen a la idea de continuidad de los valores anotados, o bien con los títulos-valor o bien con el Registro de la Propiedad, regímenes ambos con profundo arraigo en el ordenamiento y en la doctrina de los autores 15. En nuestra opinión, la doctrina no ha logrado salvar las incoherencias entre el análisis dogmático (desde una perspectiva cartular, registral o mixta) y el funcionamiento empírico del régimen contable. En este sentido, centrar el estudio de la disciplina tabular en torno al estudio de las propiedades normativas de los valores anotados ha respaldado, en el plano metodológico, la opción continuista del legislador, sin atender debidamente a las particularidades de la representación contable. En otras palabras, el debate doctrinal está desenfocado: se analizan las propiedades normativas, sin investigar previamente la fattispecie de los valores anotados y detectar los problemas propios de esa disciplina. Es imprescindible invertir el orden metodológico utilizado hasta ahora en el estudio de los valores anotados: primero se deben analizar los problemas específicos de la representación contable y luego precisar el sentido y alcance de las propiedades normativas de los valores anotados.

15 La regulación española en materia de valores anotados es un buen ejemplo de path dependence. Vid. Micheler, Doctrinal Path Dependence and Functional Convergence: The Case of Investment Securities, January 31, 2006, passim, disponible en www.papers. ssrn.com.

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2. Las singularidades de los valores anotados en cuenta. Del análisis de la normativa sobre la representación contable se pueden deducir las notas distintivas de los valores tabulares bien frente a otras formas de representación bien respecto de otro tipo de bienes. En nuestra opinión, esas características son el tratarse de posiciones jurídicas intermediadas (1), fungibles (2) e incorporales (3). 2.1. La intermediación forzosa. 2.1.1. La interposición de una entidad de custodia. La representación contable está intrínsecamente ligada a la existencia de registros o cuentas de valores, a cuyo cargo se debe designar a una Empresa de Servicios de Inversión (ESI) 16. La ley establece que la llevanza de las cuentas de valores será atribuida por el emisor a una única entidad de custodia para cada emisión 17. Esta afirmación es consistente tanto con la organización de las cuentas de valores cotizados como no cotizados. En efecto, respecto de los valores no admitidos a cotización en un mercado secundario oficial, el emisor debe designar a una entidad de custodia, pudiendo escoger para ese cometido entre las Empresas de Servicios de Inversión y las entidades de crédito autorizadas para realizar la actividad de custodia de valores representados por medio de anotaciones en cuenta. La entidad designada custodiará la totalidad de los valores pertenecientes a una misma emisión en un registro o cuenta de valores organizado en un único escalón, sin intervención de otras entidades 18. Respecto de los valores admitidos a negociación, la existencia de una única entidad custodia es menos evidente debido a la organización del registro en un doble escalón. Según establece la Ley del Mercado de Valores, la llevanza del registro central corresponde a la Sociedad de Sistemas y la de los registros de detalle se encarga a las entidades (custodias)

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Desde la perspectiva de la regulación de los mercados, la custodia de valores constituye un servicio de inversión auxiliar. La expresión «custodia» sustituye la referencia tradicional a la prestación de servicios de depósito de valores, utilizada sin inconvenientes para los títulos-valor, pero inadecuada en el ámbito de la representación contable, conforme a la naturaleza incorporal de los valores tabulares, explicada más adelante. Vid. los artículos 63.2(a) LMV y 5.3.b) de la Orden EHA 35/2008. 17 Artículo 7.1 LMV. 18 Artículo 11 y 47 RDAC.

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adheridas a la Sociedad de Sistemas 19 20. En el registro central y en las cuentas de detalle constan inscritos, respectivamente, para cada entidad adherida la totalidad de los valores pertenecientes a una misma emisión y para cada inversor el saldo de valores propios en la referida emisión. Bien mirado, el denominado «sistema de doble escalón» constituye un único registro de valores para cada emisión. La coincidencia entre las anotaciones realizadas a nivel del registro central y en la pluralidad de registros de detalle se alcanza a través de las denominadas «Referencias de Registro» 21. Con todo, la reciente trasposición de la Directiva MiFID ha modificado la existencia de un “registro único” al permitir a las entidades de custodia “depositar” los instrumentos financieros de los clientes en una cuenta individual u ómnibus abierta con un tercero idóneo 22. De esta forma la ley reconoce la existencia de cuentas de valores extravagantes al «registro único», generándose un sistema de tenencia indirecta de valores, cuyo régimen normativo, sin embargo, no se precisa 23. 2.1.2. El carácter forzoso de la intermediación. La intervención de una entidad de custodia es un elemento estructural del sistema de anotaciones en cuenta 24. Sin la colaboración de la

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Vid. Artículo 44 bis LMV y D.T. Primera Ley 44/2002. Con todo, la regla de organización de las cuenta de valores cotizados en un «doble escalón» a cargo de la Sociedad de Sistemas presenta varias excepciones (vid. los artículos 7.3 y 44 bis.2 LMV). 21 Vid. la Exposición de Motivos del RDAC. 22 Vid. el artículo 40.1 RD 217/2008. En la doctrina, vid., Santillán Fraile, Cuentas ómnibus y régimen de separación del art. 80 LC, en RDCP, 2009, pp. 225 y 229-230. 23 Sobre esta cuestión, vid. mi trabajo, La protección del adquirente a non domino de valores anotados en cuenta, Cizur Menor, 2010, Parte Tercera. 24 Por esta razón, a los valores desmaterializados se les ha denominado también «valores intermediados». Vid. Thévenoz, Intermediated Securities, Legal Risk, and the International Harmonization of Commercial Law, en Stan. J.L. Bus. & Fin., 13, 2008, p. 38]; Garcimartín, Gómez-Sancha, Los trabajos de Unidroit sobre valores depositados en intermediarios, en AEDIP, 2002, par. 2; Garcimartín, Direct and Indirect Holding: The Challenge of the Functional Approach, en UNIDROIT Seminar on Intermediated Securities. Bern, Switzerland, 15-17 September 2005, Appendix 2, disponible en www.unidroit. org/english/workprogramme/study078/item1/main.htm (última visita mayo 2010), p. 2; Afrell, Wallin-Norma, Direct or Indirect Holdings – a Nordic Perspective, en ULR 1-2, 2005, p. 283; Cardarelli, L’azione dematerializzata, cit., pp. 232-234. Una visión crítica de esta expresión, en Van Setten, The Law of Institutional Investment Management, Oxford, 2009, p. 221. 20

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ESI custodia, el titular no puede disponer contablemente ni ejercer los derechos representados por medio de anotaciones en cuenta 25. El carácter «intermediado» de los valores anotados marca una diferencia estructural con el régimen de los títulos-valor. En efecto, en los títulos-valor existe una relación directa e inmediata entre el titular y el título representativo de los derechos. Asimismo, el titular puede comprobar por sus propios sentidos las inscripciones existentes en el título y entenderlas con un mínimo de conocimiento acerca de las prácticas comerciales. Nada de ello puede predicarse respecto de los valores anotados. La intermediación forzosa rompe la relación directa e inmediata entre el titular contable y la cosa (los derechos representados), característica de los títulos-valor y, en general, de los derechos reales. Tampoco la regulación vigente de la representación contable establece un mecanismo de acceso directo a la información contenida en las cuentas de valores y – de establecerlo – esa información no podría ser comprendida por un sujeto con una formación comercial ordinaria, pues las anotaciones son códigos aritméticos, organizados de acuerdo con «un sistema informatizado de referencias numéricas», por medio del cual se deja constancia de las notas particulares de cada modificación de la cuenta de valores 26. La intermediación forzosa de las entidades de custodia tampoco acerca a la representación contable a la lógica del Registro de la Propiedad. Si bien en ambos registros interviene un tercero, las diferencias son evidentes. En primer lugar, la intervención del Registrador no es forzosa. Los bienes inmuebles existen con independencia de la inscripción en el Registro de la Propiedad. En cambio, la representación contable – y, por lo tanto, el nacimiento y la conservación de los valores anotados – está indisolublemente ligada a la anotación de los derechos en una cuenta de valores. De lo anterior nace otra diferencia sustantiva: los registradores de la propiedad no «custodian» bienes inmuebles, sino que dan noticia de las situaciones jurídicas que los afectan. Por el contrario, no sólo la conservación, sino la propia existencia de los valores anotados queda bajo la esfera de control de la entidad de custodia. Asimismo la inscripción en el Registro de la Propiedad no altera la relación directa e inmediata entre el dueño y el bien inmueble. En cambio, la representa-

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Artículo 25 RDAC. Vid., Recalde, La representación de los valores, cit., pp. 2642-

2643. 26

Artículo 47.2 RDAC y 21 del Reglamento de la Sociedad de Sistemas.

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ción contable supone la necesaria intervención de la entidad de custodia para el ejercicio y para la disposición contable de los valores anotados. De todo lo anterior, se concluye que la intermediación forzosa constituye una característica consustancial a la representación contable, ausente en los títulos-valor y en el Registro de la Propiedad. 2.2. La fungibilidad. 2.2.1. Los bienes fungibles. Los bienes fungibles son «las cosas que en el tráfico se tratan como homogéneas y equivalentes, por lo que son perfectamente sustituibles entre sí», como por ejemplo dos billetes de diez euros 27. Aunque es evidente que dos cualesquiera billetes de diez euros son distintos (basta con comparar la numeración), «en la valoración social se trata de cosas absolutamente idénticas, porque no hay interés en tener [un] determinado billete» 28 29. 2.2.2. El carácter sustituible de los valores tabulares. La Ley del Mercado de Valores establece, que un reglamento regulará las condiciones para que los valores representados mediante anotaciones en cuenta funcionen como fungibles a efectos de las operaciones de compensación y liquidación 30. Una primera lectura de la referida norma puede dejar la impresión de circunscribir la fungibilidad de las anotaciones en cuenta al estricto ámbito de las operaciones de liquidación y compensación de valores 31. Sin embargo, esta aproximación es

27 Díez-Picazo, Sistema de Derecho Civil11, Madrid, 2003, I, p. 405. En el mismo sentido, Albaladejo, Derecho Civil17, Madrid, 2006, I, pp. 513-514; Lacruz Berdejo, Elementos de Derecho Civil3, Madrid, 2003, I, vol. 3, pp. 27-28. 28 Biondi, Los Bienes2, Barcelona, 2003, pp. 80-81; Guzmán Brito, Derecho Romano Privado, I, Santiago de Chile, 1997, p. 440. 29 El Código Civil confunde la noción de bienes fungibles con la de consumibles. No obstante, en varios artículos la fungibilidad es utilizada en el sentido usualmente atribuido al término por la doctrina. Así, por ejemplo, se establece que el precio de la venta de ciertas cosas fungibles – por ejemplo, valores – se tendrá por cierto indicando el precio de la cosa en una determinada Bolsa o mercado (artículo 1448 CC). 30 Artículo 8.3 LMV. 31 En este sentido, Paz-ares, La desincorporación, cit., p. 103; Garcimartín, Direct and Indirect Holding, cit., p. 9; Perdices, Libro registro de socios, cit., pp. 241-242; Barrada Orellana, Pignoración de acciones no incorporadas a títulos y de participaciones sociales, en Del Pozo, Díaz (Coord.), Contratación bancaria: jornadas celebradas en Tarragona, 6 y 7 de marzo de 1997, Madrid-Barcelona, 1998, p. 344, nota 31.

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desvirtuada expresamente por la normativa de desarrollo de la Ley del Mercado de Valores: «1. Los valores representados por medio de anotaciones en cuenta correspondientes a una misma emisión que tengan unas mismas características tienen carácter fungible. En consecuencia, quien aparezca como titular en el registro contable lo será de una cantidad determinada de los mismos sin referencia que identifique individualmente los valores. 2. En particular, se considerarán fungibles entre sí todas las acciones de una misma clase y serie y los demás valores de un mismo emisor cuyas características, desde el origen o de modo sobrevenido, sean las mismas» 32.

La redacción ambigua de la norma legal (no la reglamentaria) tiene una explicación histórica. La fungibilidad de los valores anotados se establece como una respuesta al colapso operativo de las Bolsas derivado de la imposibilidad de liquidar oportunamente el ingente número de operaciones realizadas diariamente en los mercados bursátiles (paperwork crunch) 33. Esta imposibilidad (física) es consecuencia de la necesidad de liquidar los referidos contratos bursátiles mediante la entrega material (tradición) de los específicos títulos-valor negociados. El traslado físico – además del transporte de los documentos – demanda una importante actividad administrativa, con el consiguiente retardo y aumento de los costes de operación 34. El paperwork crunch es una crisis de la transmisión – no de la negociación – de los valores cotizados. Por esta razón, las reformas – tanto paliativas como sustitutivas 35 – ensayadas para resolver este problema tuvieron como elemento común

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Artículo 17 RDAC. Para una revisión del paperwork crunch en los Estados Unidos de América, vid. Guttman, Transfer of securities: State and Federal interaction, en Cardozo Law Review, 12, 1990, pp. 446-448; Donald, The Rise and Effects of the Indirect Holding System: How Corporate America Ceded Its Shareholders to Intermediaries, disponible en http://papers.ssrn.com (última visita Mayo 2010), p. 10. Sobre la crisis del papel en España, vid. Garrigues, El Decreto de 25 de abril sobre liquidación de operaciones bursátiles, desde el punto de vista del Derecho Mercantil (Servicio de Estudios de la Bolsa de Madrid), pp. 20-21; López de Garayo, Evolución histórica y reforma del sistema de liquidación de las operaciones bursátiles, en Papeles de Economía Española. Suplemento sobre el sistema financiero, 1991, p. 24; Paz-ares, La desincorporación, cit., pp. 87-89. 34 Vid. López de Garayo, Evolución histórica, cit., p. 24. 35 Seguimos aquí las expresiones acuñadas por el profesor Olivencia en el trabajo La incorporación del derecho al título y su desincorporación (Análisis histórico y dogmático), en Aa.Vv., Anotaciones en cuenta de Deuda del Estado, Madrid, 1987, p. 19. 33

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y central la creación de sistemas de compensación y liquidación, para cuya operación es imprescindible el carácter sustituible de los valores 36. Esa es la causa primigenia de la fungibilidad de los valores anotados en cuenta. Sin embargo, si bien la fungibilidad de los valores desmaterializados – y, en particular, anotados – nace unida a los sistemas de compensación y liquidación, se independiza de éstos, extendiéndose a todos los ámbitos del régimen tabular, sin importar si se trata de valores cotizados o no cotizados 37. La representación contable sólo puede operar si los valores anotados pertenecientes a una misma emisión se consideran como sustituibles entre sí, pues – entre otras cosas – la referida fungibilidad permite: i) la llevanza contable de las cuenta de valores a base de saldos; esto es, con la indicación de «una cantidad determinada de los mismos sin referencia que identifique individualmente los valores» 38; ii) el registro de las transmisiones por medio de simples apuntes contables (abono, adeudo, desglose y remoción del desglose); iii) realizar el pago de una obligación de dar valores anotados – sujetos o no a un sistema de liquidación y compensación – con el traspaso de unos individuos cualesquiera de la misma especie y calidad (tantumdem eiusdem generis et qualitatis), sin necesidad de individualizarlos; iv) organizar las cuentas de valores como registros de titularidades y no de bienes individualizados 39. La información contenida en las cuentas de valores refleja siempre – y exclusivamente – el estado actual de la titularidad contable; no es posible, al modo de los registros de bienes, extraer de las cuentas de valores datos «históricos» de las operaciones sobre unos determinados valores 40; y v) la vigilancia de la correcta operación del sistema a

36 Es evidente la influencia del artículo 2.4 del Decreto 1128/1974, de 25 de abril (coloquialmente conocido como «Decreto de Fungibilidad») en la redacción y en el espíritu del artículo 8.4 LMV. Sin embargo, téngase presente que en la época del «Decreto de Fungibilidad» los títulos-valor existían como tales – aunque inmovilizados –, de modo que imponer la fungibilidad «a los efectos del sistema» tenía pleno sentido. 37 Afirman la necesaria fungibilidad de los valores anotados en cuenta, Recalde, Arts. 60-61, cit., p. 625; Santos Martínez, Acciones y obligaciones, cit., pp. 435-436; GarcíaPita, Naturaleza jurídica, cit., p. 62; González Castilla, Representación de acciones, cit., p. 293; Espina, Las Anotaciones en cuenta, cit., p. 381; Rodríguez Martínez, Instrumentación y gestión de valores anotados en cuenta, Valencia, 2006, pp. 77-80. 38 Artículo 17.1 RDAC. 39 Artículo 31.2 y 47 RDAC. 40 Parte de esta información se puede suplir consultando el «libro diario de inscripciones» (artículo 24 RDAC) y la Referencia de Registro.

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través del control de saldos de las cuentas de valores. El control no se realiza para cada valor, sino considerando el resultado de cada cuenta de valores 41. Como se puede apreciar, si bien el carácter fungible de los valores anotados nace como parte de una «solución operativa», llega a constituir un elemento esencial de la representación contable, contribuyendo significativamente al dinamismo del mercado y a la rebaja de los costes de operación 42. De ahí que sea errado concebir la fungibilidad de los valores tabulares como un simple instrumento de los sistemas de compensación y liquidación. La sustituibilidad está indisolublemente ligada a la naturaleza contable de las cuentas de valores y, por lo tanto, es consustancial al sistema de valores anotados, sin distinción entre valores no sujetos y sujetos a sistemas de compensación y liquidación. 2.3. La naturaleza incorporal. 2.3.1. Las cosas incorporales en el Código Civil. «Incorporales sunt, quae tangi non possunt, qualia sunt ea, quae iure consistent» 43. La mayoría de las codificaciones europeas no acogieron explícitamente la distinción romanista entre cosas corporales e incorporales, como ocurre en el caso del Código Civil, que en este punto, como en otros, siguió el modelo del Código Civil francés. Sin embargo, la clasificación está presente en algunos artículos. Así, por ejemplo, el codificador se refiere a las cosas incorporales al regular la entrega de la cosa vendida (artículo 1464 CC) 44. El progresivo desarrollo del tráfico de derechos ha motivado importantes avances en la interpretación de la reglas sobre cesión de crédi-

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Artículo 33 y 48 RDAC. Sin embargo, el carácter fungible de un grupo de valores puede desaparecer (temporalmente) en razón de alguna circunstancia especial, como por ejemplo, la existencia de derechos reales limitados u otros gravámenes, préstamos o la expedición de certificados de legitimación. Con todo, en nuestra opinión, esta circunstancia excepcional y transitoria no es óbice para sostener el carácter naturalmente fungible de los valores tabulares. 43 Gayo, Instituciones, 2.14 44 García Goyena, Concordancias, motivos y comentarios del Código Civil español, Madrid, 1852, III, p. 578, comentando el artículo 1387 del Proyecto de Código Civil (actual artículo 1464 CC) menciona como antecedente la clasificación gayana entre cosas corporales e incorporales. 42

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tos 45. Sin embargo, son escasos los estudios doctrinales sistemáticos acerca del régimen de las cosas incorporales, si bien no faltan referencias aisladas, por ejemplo, a propósito de la posesión de derechos 46. Esta ausencia de regulación y de estudios sistemáticos dificulta la comprensión del régimen de los valores anotados y de ahí la tendencia a buscar una explicación por analogía con las reglas de las cosas corporales. 2.3.2. El carácter incorporal de los valores anotados. Los valores anotados, en cuanto bienes carentes de materialidad «creados por el Derecho», son cosas incorporales 47. La representación contable constituye «un sistema informatizado de referencias numéricas» incapaz de dotar de materialidad a los valores tabulares. Ni la emisión de certificados de legitimación por parte de las entidades custodias, ni los bits de los ordenadores donde se almacena la información sobre los registros contables, ni las imágenes de las cuentas de valores en las pantallas de los ordenadores de las entidades custodias deben confundirse con los derechos representados. Todos ellas son herramientas de la representación contable, pero no «incorporan» al derecho representado. La supresión del soporte documental hace innecesario utilizar el artilugio de la incorporación para sujetar a los derechos a un régimen de transmisión ágil y seguro 48 49.

45

Vid. Pantaleón, Cesión de créditos, en ADC, 1988, pp. 1033-1131. Vid. Castán Tobeñas, Derecho Civil español, común y foral7, Madrid, 1949, p. 582; Díez-Picazo, Fundamentos de Derecho Civil Patrimonial, Madrid, 2008, III, pp. 678-680; Martín Pérez, Artículo 437, en Comentarios al Código Civil y Compilaciones Forales2, V, Madrid, 1993, pp. 147-157. 47 Conforme, Sánchez Andrés, Sobre las orientaciones del Proyecto de Real Decreto para la «Representación de Valores por medio de anotaciones en cuenta y compensación y liquidación de operaciones bursátiles», en Estudios jurídicos sobre el Mercado de Valores, Sáenz, Oleo, Martínez (Ed.), Navarra, 2008, p. 654. Para una teoría general, vid. Guzmán Brito, Las cosas incorporales en la Doctrina y en el Derecho positivo, BarcelonaBuenos Aires-Mexico D.F.-Santiago de Chile, 1995, pp. 30-38, especialmente nota 37. 48 Vid. Rojo Fernández-Río, El sistema de anotaciones en cuenta (Análisis del Real Decreto regulador), en Aa.Vv., Anotaciones en cuenta de Deuda del Estado, Madrid, 1987, p. 107. 49 Los valores anotados tampoco son bienes inmateriales; no son creaciones intelectuales individualizadas y tuteladas por el ordenamiento, como, por ejemplo, las marcas o las obras literarias. Entre otras diferencias, los bienes inmateriales no se producen en serie, sino son productos singulares del ingenio. Por esta razón, no son fungibles entre sí, ni tampoco bienes destinados al tráfico – en cuanto primordialmente orientados a pasar 46

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Los valores anotados son derechos o posiciones jurídicas naturalmente destinadas al tráfico; «valores negociables», según expresamente señala la Ley del Mercado de Valores 50. Precisamente por esa destinación al tráfico, los valores tabulares se sujetan a un estatuto jurídico especial y privilegiado: el régimen de las anotaciones en cuenta, distinto al régimen común de transmisión de las cosas incorporales (cesión de créditos) 51.

3. La trascendencia jurídica de las características de los valores anotados. La intermediación forzosa, el carácter fungible y la naturaleza incorporal son elementos esenciales de los valores anotados y no deben aislarse unos de otros. Una visión global y ajustada a la realidad de la disciplina tabular requiere estudiar cuáles son las proyecciones normativas de las notas características de los valores tabulares. 3.1. La proyección normativa de la intermediación forzosa. 3.1.1. El riesgo de custodia. La intervención de una entidad de custodia constituye un elemento estructural del sistema de anotaciones en cuenta. El titular no puede disponer contablemente ni ejercer los derechos anotados sin la colaboración de la ESI custodia. En consecuencia, una anomalía de la disciplina de los valores anotados – en comparación a la generalidad de los derechos reales – es la necesaria falta de inmediatez entre el titular y los valores 52.

de un patrimonio a otro – sino a un uso (o reproducción) reiterado. Vid. Ascarelli, Teoría de la Concurrencia y de los bienes inmateriales, trad. Verdera/Suárez-Llanos, Barcelona, 1970, p. 286. En el mismo sentido, Díez-Picazo, Fundamentos, cit., III, pp. 186-189. 50 Artículo 5.1 LMV. 51 Con todo, las partes pueden sustraerse del régimen privilegiado propio de las anotaciones en cuenta y sujetar la transmisión al régimen común de la transmisión de las cosas incorporales (cesión de créditos). 52 La relación directa e inmediata del titular con el objeto es un elemento esencial para calificar una relación jurídica como un derecho real, de acuerdo con la distinción clásica de los derechos patrimoniales entre derechos reales y personales o, la más reciente distingue, de acuerdo con la función económica, entre los derechos patrimoniales de disfrute y de obligación (vid. Díez-Picazo, Fundamentos, I6, pp. 84-90 y III5, p. 68). La intermediación forzosa es una circunstancia sin parangón dentro de la disciplina de los títulos-valor ni, en general, en el Derecho de bienes.

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Un aspecto íntimamente ligado a la interposición forzada de las entidades de custodia es la sujeción del inversor a una (nueva) contingencia denominada «riesgo de custodia», consistente en la posible pérdida de los valores por parte del titular a consecuencia de la negligencia o fraude de la entidad de custodia 53. Supóngase que una entidad custodia vende sin autorización los valores del cliente A en el mercado, adquiriéndolos B, quien desconoce cualquier irregularidad. En ese caso, B adquiere a non domino los valores y A sólo puede dirigirse contra la entidad de custodia. El riesgo de custodia no está presente en la disciplina de los títulosvalor debido a la ausencia de una intermediación forzosa; en cambio, el titular de un derecho representado documentalmente debe soportar el riesgo de destrucción, pérdida o sustracción del título 54. Una situación parecida al riesgo de custodia podría encontrarse en el régimen del Registro de la Propiedad en los asientos realizados sin una correspondencia con la realidad extrarregistral; por ejemplo, si A suplanta al titular inscrito y otorga una escritura de compraventa a favor B, produciéndose la inscripción. Sin embargo, las diferencias son manifiestas. Además del hecho de ser el Registro de la Propiedad una institución administrativa integrada por funcionarios altamente cualificados; los inmuebles bienes perfectamente identificables (no fungibles) y el número de operaciones realizadas significativamente inferior a las negociadas diariamente en los mercados de valores, interesa destacar la distinta función desempeñada en la transmisión por cada entidad a cargo del registro. Las entidades custodias de valores cotizados intervienen en los procedimientos de

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El riesgo de custodia se entiende como «the risk of loss of securities held in custody occasioned by the insolvency, negligence or fraudulent action of the custodian or of a sub-custodian». BIS, Cross-Border Securities Settlements (Basle, March, 1995), Appendix 1, p. 38, disponible en www.bis.org/publ/cpss12.pdf (última visita mayo 2010). En el mismo sentido, Guadamillas Muñoz, Sistemas de compensación y liquidación de pagos y valores, en Información Comercial Española, n. 801, 2002, p. 100. Sobre el riesgo de custodia, vid. Goode, The Nature and Transfer of Rights in Dematerialized and Immobilized Securitiesó, en Oditah (Ed.), The Future for the Global Securities Market, Oxford, 1996, pp. 117-118; Schwarcz, Intermediary Risk in a Global Economy, en 50 Duke Law Journal, 2001, p. 1544. 54 Así lo ha puesto de relieve Spada («La circolazione», cit., p. 424), quien, al referirse a los riesgos inherentes a la disciplina de los valores desmaterializados, señala: «[c]erto, il titoli di credito può essere smarrito, sottratto o distrutto e lo strumento finanziario dematerializzato soffre di altre non meno gravi volatilità: di quelle che affliggono l’informatica e di quelle generate dal comportamento dell’intermediario».

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compensación y liquidación de valores a nombre propio, pero en interés de los clientes 55. Asimismo, las entidades custodias usualmente mantienen una cartera de valores propios y realizan activamente operaciones sobre los mismos. Por estas razones, pueden transmitir valores ajenos sin despertar sospecha en los demás miembros del mercado 56. Los registradores no poseen (usualmente) ni negocian una cartera de bienes inmuebles, ni habitualmente intervienen en la transmisión de las fincas pertenecientes a los titulares inscritos, pues ello sucede extra tabulas, sino que – cumplidos los requisitos legales – mediante los asientos en el Registro dan publicidad de las situaciones jurídicas sobre los inmuebles inscritos 57. Por esas razones, el riesgo de custodia de los bienes inscritos en el Registro de la Propiedad es mínimo. La probabilidad de ocurrencia del riesgo de custodia tiene un reflejo en el régimen de responsabilidad. Así, las reglas de responsabilidad de los Registradores son de menor severidad que las impuestas a las entidades de custodia 58. 3.1.2. La reparación del riesgo de custodia: la responsabilidad de la entidad custodia. El reverso del protagonismo desempeñado por las entidades de custodia en el régimen de los valores anotados es el régimen de responsabilidad especial de las mismas. Las entidades de custodia no sólo llevan las cuentas de valores, interponiéndose forzosamente entre el titular

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Vid. Recalde, La representación de los valores, cit., p. 2646. En la doctrina italiana, vid. La Sala, L’acquisto a non domino di strumenti finanziari dematerializzati, en Banca, borsa, tit. cred., 2004, I, pp. 483-484. 56 La normativa sobre valores anotados exige al transmitente el poder de disposición sobre los valores cedidos de conformidad al registro contable de la entidad adherida, criterio que concuerda con la exigencia de «la libre disposición de la cosa debida» para la eficacia del pago de una obligación de dar, de conformidad al art. 1160 CC. Sin embargo, es la entidad de custodia quien debe verificar si el ordenante tiene poder de disposición de conformidad al registro contable. El diseño normativo encarga esta labor de control a la propia entidad adherida, no al adquirente ni a la entidad adherida del adquirente (aunque en el caso de las acciones de nominatividad obligatoria también pueden intervenir – aunque ex post ­– la sociedad emisora). En el ejemplo anterior, es la entidad custodia incumplidora quien debe supervisar la regularidad de las operaciones. Con todo, esta vulnerabilidad del sistema es la contrapartida de una mayor agilidad en la liquidación. Si la normativa exigiera para cada operación la comprobación de la autorización del cliente, el sistema se tornaría lento. 57 Díez-Picazo, Fundamentos, T. III5, cit., p. 340. 58 Artículos 296 y ss. LH.

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contable y los valores anotados, sino que intervienen activamente en la transmisión de los valores. El control absoluto de las cuentas de valores por parte de las entidades de custodia tiene como contrapartida el aumento de la diligencia exigida en el cumplimiento de las prestaciones asociadas a la conservación de las posiciones jurídicas de los clientes. La regla de responsabilidad de las ESI custodias contiene un supuesto de hecho amplio 59: cualquier infracción de las reglas establecidas para la llevanza de los registros da lugar a la responsabilidad de la entidad de custodia, siendo la omisión, las inexactitudes o el retraso en las inscripciones sólo ejemplos de incumplimiento. Asimismo, las «reglas» infringidas abarcan no sólo las legales y de desarrollo sino también las aprobadas por la Sociedad de Sistemas 60.

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«La falta de práctica de las correspondientes inscripciones, las inexactitudes y retrasos en las mismas y, en general, la infracción de las reglas establecidas para la llevanza de los registros darán lugar a la responsabilidad de la entidad incumplidora, salvo culpa exclusiva del perjudicado, frente a quienes resulten perjudicados. Dicha responsabilidad, en la medida de lo posible, habrá de hacerse efectiva en especie» (Artículo 7.5 LMV, desarrollado reglamentariamente en el artículo 27 RDAC). 60 La referida norma legitima a todos los perjudicados para exigir responsabilidad por la infracción cometida por la entidad custodia. Dentro de esta amplia referencia, dos son los principales, pero no únicos, interesados en ejercer esta acción de responsabilidad: el emisor de los valores – por ejemplo, por las comunicaciones erróneas – y el cliente, expuesto al riesgo de custodia y a otros incumplimientos contractuales. En este sentido, expresamente el art. 83-decies del Testo unico delle dispozioni in materia di intermediazione finanziaria. Sin embargo, no se trata de una regla «especial» de responsabilidad, sino de una repetición innecesaria de las reglas generales (Cian, Strumenti finanziari dematerializzati, Diritto cartolare e Diritto societario», en Banca, borsa, tit. cred, 2005, I, p. 20), no obstante que la responsabilidad del intermediario dentro del sistema de strumenti finanziari dematerializzati es destacada por la doctrina italiana (vid. Oppo, Tramonto dei titoli di credito di massa ed esplosione dei titoli di legittimazione», en Riv. dir. civ., 1998, I, 650; Libonati, Titoli di credito, cit., p. 129; Cian, Titoli dematerializzati, cit., pp. 42 y 421). Los sujetos pasivos de la acción de responsabilidad de acuerdo con la normativa vigente son las ESI custodias y la propia Sociedad de Sistemas, quien responde ante el titular perjudicado tanto por la falta de debida diligencia en el ejercicio de las funciones de control y vigilancia del sistema (culpa in vigilando) como de los perjuicios directamente imputables (Artículo 27 RDAC). Por ello se ha sostenido con acierto la responsabilidad conjunta de la entidad de custodia y de la Sociedad de Sistemas en caso de no poder precisarse cuál de ellas cometió la infracción. La responsabilidad conjunta debe entenderse simple, en opinión de Sánchez Andrés (Valores anotados, cit., p. 750) y, por el contrario, solidaria, en opinión de Eizaguizze (El régimen de las acciones; documentación y transmisión, en Aa.Vv,, El nuevo régimen jurídico de la sociedad anónima, Madrid, 1991 y en Jornadas sobre el nuevo régimen de jurídico de la sociedad anónima, Madrid, 1991, p. 92) y Recalde (La representación de valores, cit., pp. 2654-2655), quien

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La responsabilidad civil de las entidades de custodia por infracciones sólo se excluye en caso de «culpa exclusiva del perjudicado». La responsabilidad alcanza incluso aquellos supuestos en los cuales, si bien no hubo culpa de la ESI, el daño resulta imputable en razón de la «responsabilidad especial por riesgo» 61. Por lo tanto, la regla de responsabilidad exige a la entidad de custodia una suma diligencia, limitada sólo por la culpa exclusiva del perjudicado o por los casos de fuerza mayor 62. La forma de resarcimiento al perjudicado presenta una especial configuración: «cuando el perjuicio consista en la privación de determinados valores y ello sea razonablemente posible, la entidad procederá a adquirir valores de las mismas características para su entrega al perjudicado» 63. El titular perjudicado puede exigir a la entidad de custodia la reparación in natura, si es «razonablemente posible». Posibilidad que en la mayoría de los casos existirá – tanto si se trata de valores cotizados como no cotizados – debido a la posición privilegiada de la entidad de custodia para procurarse en el mercado esos valores, aun siendo ilíquidos 64. Nuevamente emerge aquí el carácter fungible de los valores tabulares, permitiendo sustituir los valores perdidos por otros de la misma clase, esta vez para satisfacer la responsabilidad pecuniaria de la entidad de custodia. La reparación in natura es un remedio más expedito que el ejercicio de la acción reivindicatoria (rectius, de rectificación), en cuanto incumbe al inversor probar la infracción para el surgimiento – concurriendo los demás requisitos – de responsabilidad de la entidad de custodia, ahorrándose el actor la necesaria individualización de los valores perdidos – las más de las veces insuperable – indispensable para el éxito de la acción «reivindicatoria». De esta forma, la tradicional acción

induce la misma por la existencia de una fianza colectiva constituida por dichas entidades a favor de los organismos de compensación y liquidación para el cumplimiento de sus obligaciones. 61 Sánchez Andrés, Valores anotados, cit., p. 749; Eizaguizze, El régimen de las acciones, cit., p. 92. 62 En este sentido, Sánchez Andrés, Valores anotados, cit., p. 747; Santos Martínez, Acciones y obligaciones, cit., pp. 423-424; Hernández Sainz, Las entidades encargadas de los registros de anotaciones en cuenta: organización y régimen de responsabilidad, en RDBB, 1996, pp. 90-91; Martínez-Echevarría, Valores mobiliarios anotados, cit., p. 43; Angulo Rodríguez, Derecho de crédito, cit., p. 298. En contra, Díaz Moreno, La prenda, cit., p. 386, quien sostiene que la entidad de custodia responde incluso ante el caso fortuito o fuerza mayor, en función del criterio objetivo de riesgo profesional. 63 Artículo 27.4 RDAC. 64 Díaz Moreno, La prenda, cit., p. 386.

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dominical en el ámbito contable es relegada a un segundo plano 65. A priori la indemnización en especie aparece para el titular perjudicado como un remedio ágil y con un resultado equivalente al obtenido en caso de haber podido ejercer con éxito una acción de naturaleza real. Sin embargo, a nadie escapará que estamos ante una acción personal de responsabilidad y, por lo tanto, sujeta al riesgo de insolvencia de la ESI custodia. Riesgo eludido por el propietario en el régimen general de los bienes a través del ejercicio de las correspondientes acciones reales, inmunes ante los efectos de la declaración de insolvencia (derecho de separación). La debilidad frente al concurso de la acción especial de responsabilidad de las entidades custodias se intenta mitigar a través de la creación del Fondo de Garantía de Inversiones. El inversor puede accionar en contra del Fondo ante la imposibilidad de recuperar el dinero o valores a consecuencia del estado de insolvencia de la entidad de custodia. Sin embargo, la cobertura del Fondo tiene límites, superados los cuales vuelve a recaer el riesgo de custodia sobre el patrimonio del inversor, emergiendo nuevamente la peculiar configuración de los valores anotados como consecuencia de la intermediación forzosa de la entidad de custodia. 3.2. La proyección normativa de la fungibilidad. 3.2.1. La segregación de las cuentas de valores. De acuerdo con las reglas generales aplicables a las cosas fungibles, el titular de los valores anotados está sujeto al riesgo de mezcla o confusión 66. Los valores anotados son bienes fungibles y, por lo tanto, están sujetos al riego de mezcla o confusión. Sin embargo, el diseño normativo de la representación contable cuida de mitigar ese riesgo a través de distintos mecanismos, dentro de los cuales destaca la segregación de las cuentas de valores.

65 La reparación «en la medida de lo posible» in natura, no constituye una evaluación previa de los daños, sino tan sólo una determinación de la forma de pago. La responsabilidad de la entidad de custodia alcanza la reparación completa de los daños causados al cliente. La determinación del quantum de la indemnización debe considerar la existencia, por ejemplo, de dividendos, derechos de suscripción preferente o la imposibilidad de haber ejercido los derechos políticos. 66 El Código Civil establece que «si por la voluntad de sus dueños se mezclan dos cosas de igual o diferente especie [ ] cada propietario adquirirá un derecho proporcional a la parte que le corresponda atendido el valor de las cosas», generándose una copropiedad (Artículo 381 CC.). Conforme, Díez Picazo, Fundamentos, T. III5, cit., pp. 319-320.

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La normativa vigente establece la separación de los fondos y valores de la ESI custodia respecto de los clientes y de éstos entre sí (principio de doble separación) 67. La separación patrimonial – prescrita ya en el Código de Comercio para los comisionistas 68 – constituye uno de los principios fundamentales de la custodia de valores 69. La segregación de las cuentas de valores cumple una función instrumental respecto de la atribución al titular contable de una propiedad excluyente y exclusiva sobre los valores: sólo es posible predicar un derecho de dominio sobre un bien determinado; la ausencia de identificación del bien impide al titular reivindicarlo y, en general, ejercer cualquier acción real. Desde la perspectiva del Código Civil, la propiedad individual constituye la regla general y ello es consistente con el carácter predominantemente determinado de los bienes, a la sazón, de mayor valor. La individualización tampoco genera problemas en el ámbito de los títulosvalor, si la atención se presta al documento y no a los derechos a él incorporados. Las dificultades aparecen a consecuencia de la fungibili-

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Sobre el principio de la doble separación, vid., D’Alessandro, Dissesto di intermediario mobiliare e tutela dei clienti, en Giur. comm., 1997, I, 467; La Sala, L’acquisto a non domino, cit., pp. 486-487. La ESI debe mantener los registros y cuentas necesarias para permitir «en todo momento y sin demora distinguir los activos de un cliente de los de los otros clientes y de sus propios activos», incluso cuando la custodia de los instrumentos financieros se encargue a un tercero. Además, la llevanza de los registros de valores deberá asegurar la exactitud de la información en ellos contenida, debiendo conciliarse continuamente con los registros de terceros donde consten los activos de los clientes, así como prever medidas para disminuir el riesgo de pérdida debido a una incorrecta gestión del registro [Artículos 70 ter. 1 (f) LMV; 17.3; 31 y 47 RDAC; y 39 y 40 RD 217/2008]. Así, por ejemplo, en el sistema de doble escalón, los valores de una misma clase anotados en IBERCLEAR a nombre de las entidades adheridas se dividen en una cuenta de valores propios y una cuenta de terceros, donde aparecen inscritos (y mezclados) la totalidad de los valores de la misma clase de los clientes. La indicación del número de valores perteneciente a cada cliente aparece en las cuentas de detalle a cargo de cada entidad adherida. Si se recuerda el carácter de registro único del sistema de doble escalón se comprende como las cuentas de valores propios a nombre de la entidad de custodia y las cuentas de detalle a nombre de los clientes sirven para mitigar el riesgo de mezcla o confusión. 68 Artículo 268 CdC. 69 Sobre el principio de separación patrimonial, vid. Sánchez-Calero-Guilarte, Confusión de patrimonios y servicios de inversión, en Banca, borsa, tit. cred., 1995, I, pp. 785 ss.; Roldán Fernández, La insolvencia de las empresas de servicios de inversión (ESI), en Estudios sobre la Ley concursal: libro homenaje a Manuel Olivencia, V, MadridBarcelona, 2005, pp. 5557-5561.

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dad de los valores anotados. En este escenario, establecer la propiedad individual sobre los valores anotados es una opción de política jurídica. Nada impide conformar esa propiedad de forma colectiva (al modo, por ejemplo, de las cuotas en un fondo de inversión). Sin embargo, una vez decidido ese diseño normativo es necesario crear las condiciones para operar de acuerdo a la reglas del Derecho (individual) de dominio y, por consiguiente, arbitrar los mecanismos para individualizar los valores anotados, según estudiaremos seguidamente. 3.2.2. La individualización débil de los valores anotados. 3.2.2.1. La imposibilidad de identificar los valores anotados por medio de las Referencias de Registro. Una parte de la doctrina sostiene que las Referencias de Registro permiten reconstruir los abonos y los adeudos realizados en las cuentas de valores y así identificar los valores vinculados a una operación 70. En consecuencia, si la entidad adherida a IBERCLEAR transmite los valores de un cliente a otro sin autorización del titular, esta operación se puede rastrear por medio de las RRs e identificar él o los abonos y adeudos incorrectos. El seguimiento de las operaciones permite distinguir los valores en razón del origen – esto es, al asociarse los valores a la operación que sirve de causa a la transmisión – y, de ese modo, identificarlos. El funcionamiento de las Referencias de Registro como compartimentos estancos en el interior de cada cuenta de valores es la idea subyacente a la identificación de los valores a través de las RRs. Supóngase que, como resultado de sucesivas negociaciones en Bolsa, se transmiten 100 acciones XYZ de la cuenta de A a la de B, quien es dueño de otras 100 acciones de la misma clase. Luego, B transmite 150 acciones XYZ a C y éste 50 acciones XYZ a D y 50 acciones XYZ a E. Si las RRs aíslan grupos de valores en razón del origen, significaría que ­los valores acreditados en la cuenta de D y E son «los mismos» acreditados inicialmente en la cuenta de A. Esta afirmación se comprobaría del modo siguiente: i) la operación entre A y B produce los movimientos contables siguientes: se cancela en la cuenta de A la RR1(100), utilizada para justificar la orden de venta y se da

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Garcimartín, Direct and Indirect Holding, cit., pp. 7, 12 y 14; Gómez-Sancha, Direct and Indirect holding systems: practical implications, en UNIDROIT Seminar on Intermediated Securities. Sao Paulo, Brazil, 13-14 Octubre 2005, Appendix 3, p. 6, disponible en www.unidroit.org/english/conventions/2009intermediatedsecurities/study78-archive-e. htm.

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de alta una RR2(100) en la cuenta de B para amparar la adquisición; ii) la operación entre B y C contablemente produce los movimientos siguientes: se cancela la RR2 (100) para justificar (parcialmente) la orden de venta de B y se da de alta una (nueva) RR3(150) a favor de C; y iii) la operación entre C y los adquirentes D y E significa contablemente dar de baja parcialmente la RR3(150) para justificar las órdenes de venta – subsistiendo por el remanente de 50 acciones [ahora RR3(50)] – y dar de alta dos nuevas Referencias de Registro amparando, respectivamente, la adquisiciones de D [RR4(50)] y de E [RR5(50)].

Sin embargo, un análisis más profundo del ejemplo demuestra la ineptitud de las Referencias de Registro para identificar los valores. Por una parte, los valores anotados son bienes incorporales y no se pueden «marcar», al modo de las cosas materiales; por otra parte, las RRs son efímeras y variables 71. El razonamiento utilizado para explicar el seguimiento de los valores desde la cuenta del titular A hasta el titular D y E omite considerar que de la cuenta de B se tomaron al menos dos RRs para justificar la venta a C: la RR2 (100) y supongamos – otra RR generada por la compra a F de 50 acciones XYZ [RR6 (50)]. La RR3 (150) «funde» la RRs justificantes de la venta a favor de C [la RR2 (100) y la RR6 (50)]. En adelante no es posible saber cuáles de esas 150 acciones tienen origen en la cuenta de A y cuáles en la cuenta de F. Por la misma razón, tampoco es posible saber, si las 50 acciones XYZ transmitidas posteriormente a D y a E proceden de la cuenta de A o de la cuenta de F. El movimiento real de las cuentas de valores adheridas a un sistema de compensación y liquidación es mucho más complejo que este ejemplo. En la práctica es improbable encontrar casos en los cuales pueda reconstruirse la cadena de operaciones para identificar los valores buscados. Por todo lo anterior, adherimos a la opinión mayoritaria y negamos la posibilidad de identificar los valores por medio de las RRs 72. Las Referencias de Registro es un mecanismo de control de saldos; no aíslan

71

En el mismo sentido, González Castilla, Representación de acciones, cit., p. 390; Rodríguez Martínez, Instrumentación, cit., p. 168. 72 Sánchez Andrés, Valores anotados, cit., p. 739; Recalde, La desmaterialización de valores privados. El sistema de anotaciones en cuenta, en Estudios de Derecho Mercantil en homenaje al profesor Manuel Broseta Pons, III, Valencia, 1995, p. 3101, nota 26; ibídem, La representación de los valores, cit., p. 2635; ibídem, Electronificación, cit., apartado IV.4; González Castilla, Representación de acciones, cit., pp. 390 y 450, aunque admite que pueden hacerlo en el caso de valores cedidos en prenda, usufructo u otros derechos similares (vid. infra la nota 76).

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grupos de valores al interior de las cuentas, ni sirven, por lo tanto, para individualizarlos. Una vez que los valores son abonados en una cuenta no pueden distinguirse de los demás en razón del origen. Los valores al interior de una cuenta se confunden con aquellos que – antes o después – forman parte de la misma 73. 3.2.2.2. Las cuentas de valores como elemento identificador de las posiciones jurídicas (fungibles) anotadas en cuenta. Los valores anotados en cuenta son posiciones jurídicas fungibles y, por lo tanto, de difícil, pero no imposible individualización. Aunque esa identificación es tan sutil y efímera como la propia existencia de los valores anotados. La identificación de los valores tabulares se logra a través de las cuentas de valores 74. Según ya hemos explicado, el diseño normativo español prevé la apertura de una cuenta o registro individual por cliente y por valor. La afectación de un cierto número de valores (saldo) a una cuenta permite diferenciarlos de otros de la misma clase. Así como la singularización de los bienes fungibles corporales suele realizarse aislando ciertos individuos de sus congéneres – por ejemplo, al ensacar el trigo o al embotellar el vino –, del mismo modo los bienes fungibles incorporales pueden identificarse adscribiéndolos en cuentas de valores distintas. Sin embargo, en uno y otro caso, esa individualización por saldos no elimina el riesgo de mezcla o confusión. La posibilidad de reconocer unos bienes fungibles entre otros de la misma clase depende de la subsistencia de aquellas circunstancias de hecho y externas capaces de diferenciarlos; en nuestro caso, la adscripción a una cuenta de valores. Los valores anotados presentan, pues, una individualidad débil y pasajera. La debilidad consiste en tratarse de una «individualización estática» subsistente tan sólo mientras los valores permanecen adscritos a una cuenta. Una vez que los derechos «salen» de la cuenta de valores del titular – y aunque no se transmitan a

73 Un argumento significativo a favor de esta opinión es que Iberclear ha implementado un procedimiento especial para la amortización de obligaciones por sorteo ante la imposibilidad de individualizar los valores al interior de una cuenta de valores (vid. Descripción de procedimientos. Operaciones Financieras. Amortización por sorteo, de 02 de marzo de 1998; Zunzunegui, El valor anotado, cit., p. 839, nota 35; González Castilla, Representación de acciones, cit., p. 448, nota 973). 74 En el mismo sentido, Lassalas, L’inscription en compte des valeurs: la notion de propriété scripturale, Auvergne, 1997, par. 723; De Luca, Res quae tangi non possunt (a proposito di dematerializzazione, pegno e individuazione del “bene”)», en Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, p. 319; Cian, Titoli dematerializzati, cit., p. 294.

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través de un sistema de liquidación y compensación – pierden aquello que los distingue de otros individuos de la misma clase 75. Con todo, los valores anotados pueden ser identificados si circulan de un patrimonio a otro sin «salir» de una determinada cuenta de valores. Así, por ejemplo, ocurre con los valores objeto de una prenda, un usufructo o una garantía financiera pignoraticia. En estos casos, la constitución del derecho real se perfecciona con la inscripción de los valores en la cuenta del titular pleno y el posterior desglose. El desglose implica el bloqueo de un determinado número de valores dentro de la cuenta del constituyente del derecho real, conservándose de ese modo la individualización de los valores por medio de la cuenta o registro contable 76. 3.2.3. El riesgo de confusión y la «inflación» de las cuentas de valores. La individualización débil de los valores anotados genera otro potencial problema en la representación contable: la «inflación» de las cuentas

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Con todo, si el abono de los valores es el primero realizado en la cuenta de destino - «vacía» –, todavía es posible sostener – aunque sea por medio de una ficción (vid. Rogers, Negotiability, cit., pp. 503-506) – que los valores provenientes de la cuenta de origen son los mismos ahora inscritos en la cuenta de destino. Esta hipótesis es improbable, aunque no imposible (vid. Lener, La dematerializazzione dei titoli azionari e il sistema Monte Titoli, Milano, 1989, p. 27). La existencia de valores en la cuenta de destino – hipótesis más probable – complica el seguimiento de los valores. Si con posterioridad al abono de los valores se ha realizado algún adeudo en la cuenta de valores – por ejemplo, para cumplir una venta – no es posible conocer si los valores adeudados corresponden o no a aquellos transmitidos desde la cuenta de origen, perdiéndose el rastro. En cambio, si no se ha producido algún movimiento en la cuenta de destino, podría afirmarse – con cierta laxitud – que es posible identificar los valores siguiendo el razonamiento siguiente: si una vez abonados los valores en la cuenta de destino, ésta no ha sido adeudada, los valores «están» en esa cuenta, no obstante estar confundidos con otros preexistentes. Sin embargo, esta identificación «laxa» no permite fundar una titularidad real. La razón de exigir una individualización específica radica en la oponibilidad erga omnes de la titularidad real. El raciocinio antes propuesto podría servir para determinar el patrimonio beneficiado de una cierta operación y derivar de ello – cumplidos los demás requisitos legales – la legitimación pasiva de una demanda de responsabilidad patrimonial a favor del titular perjudicado, pero no permite individualizar los valores a los efectos de alegar una titularidad real, pues las acciones reipersecutorias exigen la individualización precisa del bien. 76 Sólo con algún matiz se puede compartir la opinión de González Castilla (Representación de acciones, cit., p. 390), seguida por Rodríguez Martínez (Instrumentación, cit., pp. 154 y 168), quien sostiene que las Referencias de Registro individualizan los valores cedidos en prenda, usufructo u otros derechos similares. En nuestra opinión, la individualización de los valores gravados deriva de la inmovilización provocada por el desglose y no de una determinada RR.

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de valores; esto es, la carencia a nivel superior de un saldo suficiente de valores de la misma clase por parte de la entidad custodia para satisfacer los derechos de los clientes. La «inflación» de las cuentas de valores se pretende evitar a través de distintos mecanismos de control de saldos, siendo – en el régimen español – el más sofisticado el de las Referencias de Registro 77. El mecanismo de control de las referencias de registro es un mecanismo de control de saldos a priori, cuyo funcionamiento puede describirse sumariamente del modo siguiente: cada vez que se abonan valores a nombre de un nuevo titular como resultado de una compra se genera una (nueva) RR, quedando registrada tanto a nivel del registro central como de detalle. La misma RR deberá presentar el titular cuando proceda a la venta de los referidos valores, a fin de producir la cancelación de los derechos en la cuenta del (ahora) enajenante, al mismo tiempo del alta de unas nuevas RRs a favor del adquirente y así sucesivamente 78 79. Asegurada la correspondencia de los saldos de las cuentas de detalle con el saldo global por medio de las referencias de registro, se garantiza la fiabilidad de la individualización de los valores a través de las cuentas de valores. Sin embargo, esas medidas no han sido suficientes para impedir desajustes. Hoy en día si un vendedor no justifica oportunamente la venta de valores cotizados con la entrega de las respectivas RR, la venta se considera vencida y se activa por IBERCLEAR el procedimiento de préstamo de valores para cubrir la falta de los mismos. Si existen interesados en prestar valores, la operación se justifica con las RRs de los valores prestados y no se produce ninguna alteración en el proceso de liquidación. Sin embargo, si no se encuentran prestamistas suficientes – situación de no escasa ocurrencia y dependiente de muchas variables (la liquidez del valor, las circunstancias

77

Sin embargo, las Referencias de Registro tienen una aplicación restringida: no se aplican a los valores no cotizados ni a los valores cotizados sujetos al procedimiento de liquidación a base de saldos. En estos últimos se realizan sólo controles periódicos de saldos a posteriori. En la actualidad solamente la liquidación de los derechos de suscripción preferente se sujetan al procedimiento de liquidación a base de saldos. 78 Vid. www.iberclear.com/IBERCLEAR/NuesBursa/BursaSist.asp. 79 Desde un punto de vista jurídico, la efectividad de las RRs como mecanismos de control está asociada a la prohibición de practicar abonos o adeudos en las cuentas de valores sin que esté expedida o dada de baja la RR correspondiente (artículo 32.2. RDAC), con lo cual se pretende evitar la circulación de más derechos de los existentes a nivel central.

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del mercado en esa jornada, etc.) –, la falta de valores se debe cubrir recurriendo al mecanismo de recompra. Éste se inicia por IBERCLEAR mediante la colocación de una orden de compra a un Miembro del Mercado – designado rotativamente – por el número de valores faltantes, cuya liquidación se realizará de acuerdo con las reglas generales (D+3). En consecuencia, la operación de venta incumplida podrá ser justificada – todo lo mejor – siete días después del día de la contratación (D+7). No obstante, en virtud del principio de aseguramiento de la entrega, desde D+3 el comprador aparece como titular contable de unos valores aun no justificados, produciéndose un desajuste (temporal) entre el saldo a nivel del registro central y la sumatoria de saldos a nivel de los registros de detalle 80. Esto es, se han creado RRs sin dar de baja otras tantas 81. La «inflación» de las cuentas de valores es una patología del sistema de anotaciones en cuenta. El desajuste provocado por el mecanismo de recompra es sólo uno de los supuestos posibles. Por esta razón, la asignación de ese riesgo debe estar convenientemente regulada. El régimen vigente aborda el problema negándolo: si para adquirir un valor es necesario amparar el abono con una RR, el ajuste entre la cuenta central y la de detalle está garantizado, pues de existir un desajuste, basta con encontrar y eliminar el abono (inválido) realizado sin la correspondiente RR para recomponer el balance. La solución legal es criticable, pues asigna entre los clientes-inversores el riesgo de «inflación» de las cuentas de valores de forma arbitraria y contradictoria. La arbitrariedad reside en hacer depender la tutela del

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La «inflación» de valores en el sistema español fue reconocida oficialmente por primera vez en la EM del RD 363/2007, de 16 de marzo y también – aunque solapadamente – en el Informe CNMV-Banco de España. Los sistemas de compensación, liquidación y registro de valores en Europa. Situación actual, proyectos en curso y recomendaciones, diciembre 2007, p. 34 nota 20, disponible en www.bde.es. 81 La potencial «inflación» de las cuentas de valores en el supuesto antes examinado está ligada al principio de aseguramiento de la entrega: una vez aceptada una orden de compra por el sistema, el comprador – si dispone de fondos para realizar el pago del precio – recibirá siempre en D+3 el abono de los valores en la cuenta respectiva La supresión del principio de aseguramiento de la entrega – y con ello, de la hipótesis de «inflación» de las cuentas a consecuencia de la recompra – es una de las modificaciones propuestas en el documento Reformas en el sistema de compensación, liquidación y registro de valores bursátiles: documento para consulta pública, de 12 de febrero de 2010, elaborado por la CNMV disponible en www.cnmv.es/DocPortal/DocFaseConsulta/ CNMV/CarReformaSistemaCompensacion.pdf.

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inversor de un hecho fuera del control de los clientes: la existencia de una RR anudada a la adquisición 82. La contradicción radica en la existencia de dos criterios normativos contrapuestos de asignación del riesgo de «inflación» de las cuentas de valores, según se trate de valores cotizados o no cotizados, pues las RRs sólo se aplican a los primeros. En el caso de los valores no cotizados, el abono realizado sin el amparo de una referencia numérica es válido y, por lo tanto, el adquirente de buena fe deviene siempre en titular contable. Quien debe soportar la pérdida es el titular indebidamente despojado de los valores. Por las razones antes indicadas, en el caso de un desajuste «definitivo», entendemos más adecuado – aunque ello probablemente requiere de una modificación legal – optar por una distribución proporcional de las pérdidas entre todos los clientes de una entidad custodia con derechos sobre valores de una misma clase 83. Esta asignación colectiva del riesgo de pérdida contrasta con la idea de una propiedad exclusiva sobre los valores individuales, según establece la Ley del Mercado de Valores, siguiendo el modelo normativo de los títulos-valor. Sin embar-

82 Supongamos que la ESI vende sin autorización del cliente A valores a B. Si la adquisición por B está amparada por una RR, A pierde la cualidad de titular contable, pudiendo solamente demandar a la ESI los perjuicios derivados del incumplimiento del contrato de custodia. Por el contrario, si la adquisición de B no está amparada por una RR, B no llega a ser titular contable (el abono es inválido) y, por lo tanto, sólo puede demandar a la ESI custodia los perjuicios causados por la infracción a las normas sobre llevanza de los registros de valores. 83 Esta es la solución comúnmente aceptada en el Derecho Comparado. Así se desprende tanto de la Convención de Ginebra sobre valores intermediados como de los trabajos del Legal Certainty Group a nivel europeo. En el mismo sentido, se pronuncia el UCC (vid. Mooney, Beyond negotiability: a new model for transfer and pledges of interest in securities controlled by intermediaries, en 12 Cardozo Law Review, 1990, p. 352; Rocks, A U.S. perspective on the UNIDROIT project in light of industry experience under U.C.C. article 8 and related law, en UNIDROIT Seminar on Harmonised Substantive Rules regarding Securities Held with an Intermediary. Rome, Italy, 12 November 2003, p. 14; Schroeder, Is Article 8 finally ready this time?, en 291 CBLR, 1994, p. 354); el Article L211-10 Code monétaire et financier; y el proyecto de reforma en marcha en el Reino Unido [vid. Law Commission, Law Commission Project on Intermediated Investment Securities (June, 2006), Issues affecting Account holders and Intermediaries, par. 4.173 y 4.178, disponible en http://www.lawcom. gov.uk/investment_securities.htm, última visita febrero 2010]. En contra, defendiendo la congruencia del sistema español, Garcimartín, Direct and Indirect Holding, cit., p. 14. En la doctrina italiana, a favor de la solución propuesta, aun sin texto expreso, La Sala, L’acquisto a non domino, cit., pp. 520-523.; en contra, Cian, La tutela, cit., p. 256, señalando que la legislación italiana opta por el sacrificio individual sobre el colectivo.

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go, un análisis detenido del régimen vigente revela que estamos ante una titularidad colectiva: los derechos de cada cliente sobre valores de una misma clase representan una cuota de los valores (fungibles) inscritos en la cuenta de terceros de la entidad de custodia a nivel de IBERCLEAR. Mientras existe ajuste entre ambos niveles, la proporción será de uno a uno. Pero si se produce un desajuste – y ello, insistimos, es una patología connatural a la representación contable –, la cuota de cada cliente variará de acuerdo a la proporción del saldo individual en el total de la cuenta de terceros, siendo más adecuado a la naturaleza fungible de los valores anotados la asignación colectiva que individual del riesgo. 3.3. La proyección normativa de la naturaleza incorporal. Los valores anotados son derechos o posiciones jurídicas destinadas naturalmente al tráfico. En cuanto derechos, son cosas incorporales; en cuanto destinadas al tráfico, circulan sin necesidad de estar incorporados en un soporte documental 84. Esta circunstancia de hecho suele pasar inadvertida, no obstante las importantes consecuencias jurídicas de la misma. 3.3.1. La «transferencia contable». La Ley del Mercado de Valores establece que la transmisión tabular de los valores anotados en cuenta «tendrá lugar por transferencia contable. La inscripción de la transmisión a favor del adquirente producirá los mismos efectos que la tradición de los títulos» 85. La doctrina mayoritaria entiende que los valores anotados en cuenta se transmiten de acuerdo con la teoría del título y modo 86. En cambio,

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Vid. Rojo Fernández-Río, El sistema de anotaciones en cuenta, cit., p. 109. Artículo 9.1 LMV. El precepto ha sido desarrollado normativamente en el artículo 31.5. RDAC: «[l]a inscripción a nombre del titular que se produzca en los registros contables de las Entidades adheridas o, siendo éstas las titulares, en los registros a cargo del servicio, será la que produzca los efectos previstos en los artículos 9, 10 y 11 de la Ley del Mercado de Valores y preceptos concordantes de este Real Decreto». Esta precisión reglamentaria ahorra a la doctrina extensos debates acerca de si es la anotación a nivel del registro central o de detalle la que produce la adquisición, como ocurre, por ejemplo, en la doctrina italiana (vid. La Sala, L’acquisto a non domino, cit., pp. 510-514). 86 En este sentido, Sánchez Andrés, Sobre las orientaciones del Proyecto de Real Decreto para la «Representación de Valores por medio de anotaciones en cuenta y compensación y liquidación de operaciones bursátiles», en Estudios jurídicos sobre el Mercado de 85

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otros autores sostienen que la transmisión de los valores tabulares debe sujetarse a las reglas de la cesión de créditos en consideración a la naturaleza incorporal de los valores tabulares 87. En nuestra opinión, debe seguirse la doctrina mayoritaria, por las razones siguientes: la transmisión de los valores anotados estructuralmente presenta – a diferencia de la cesión de créditos, que opera solo consensus – dos fases en el iter de la transmisión: el nacimiento de obligaciones (título) y la producción de las consecuencias jurídico reales (modo) 88. La doctrina mayoritaria suele entender el abono o el desglose de los valores como una forma ficticia de entrega, como no puede ser de otro modo, si se pretende aplicar las reglas de la transmisión por «tradición» a

Valores, Sáenz, Oleo, Martínez (Ed.), Navarra, 2008, pp. 715-723 y en RGD, 1992, p. 722; ibídem, Valores anotados, cit., pp. 758-759; Paz-ares, La desincorporación, cit., p. 100; Recalde, La representación de valores, cit., pp. 2629 y 2634; Fernández Del Pozo, Un nuevo registro de “bienes”, cit., p. 1225; Mendoza Villar, El sistema de anotaciones en cuenta desde una perspectiva jurídica, en Papeles de Economía Española, Suplemento sobre el sistema financiero, 1991, p. 52; Sánchez Calero, Régimen, cit., pp. 105-106; Velasco San Pedro, La documentación de la posición del socio, en Alonso Ureba, Duque, Esteban Velasco, García Villaverde, Sánchez Calero, Derecho de Sociedades Anónimas,I, Madrid, 1991, p. 337; Angulo Rodríguez, Derecho de crédito, cit., p. 298; Díaz Moreno, Príes Picardo, Negocios sobre acciones representadas en anotaciones en cuenta, en Jiménez Sánchez. (Coord.), Negocios sobre derechos no incorporados a títulos valor y sobre relaciones jurídicas especiales, Madrid, 1992, p. 327. Duda, sin negarlo categóricamente, Santos Martínez, Acciones y obligaciones, cit., pp. 448 y 458. La teoría del título y modo es utilizada también por parte de la doctrina francesa para explicar la transferencia contable, destacando el carácter excepcional de la misma en un sistema jurídico que reconoce, como regla general, la transmisión solo consensus (vid. Lassalas, L’inscription en compte des valeurs, cit., par. 714-727; ohl, Droit des sociétés cotées3, Paris, 2008, par. 206). 87 Vid. Pérez de la Cruz Blanco, Anotaciones, cit., p. 2121 nota 10; Madrid Parra, La circulación de valores al portador y de los anotados en cuenta, en RDBB, 1990, pp. 86-89. Siguiendo esa línea de argumentación, pero con un alcance completamente distinto, Espina (Las anotaciones en cuenta, cit., pp. 423-468) propone que la transmisión de los valores anotados debe sujetarse a las reglas de la cesión de créditos, aunque el legislador ha modificado los requisitos formales (la inscripción en la cuenta de valores constituye una formalidad ad solemnitatem de la cesión) y los efectos (prescribiendo unos exorbitantes) de la cesión de créditos. En nuestra opinión, la solemnidad no afecta al negocio, sino al modo de adquirir, según explicamos seguidamente en el cuerpo de este trabajo. 88 Artículos 9 y 10 LMV y 50 y 51 RDAC. En efecto, por una parte, la Ley del Mercado de Valores equipara los efectos de la inscripción de la transmisión a favor del adquirente a los propios de la tradición de los títulos y, por otra, se establece reglamentariamente que la entidad de custodia debe verificar la existencia de un «título verdadero, válido y bastante» para proceder a la «transferencia contable» (Artículo 50.2 RDAC y artículo 8.2 (a) in fine RDL 5/2005).

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unos valores cuya existencia sólo resulta aparente secundum tabulas 89. Lo singular de esa interpretación es la aplicación de la adquisición por tradición a un supuesto de hecho nuevo 90 91. La cuestión ahora es determinar el sentido y alcance de la remisión normativa a la teoría del título y modo en el ámbito de las anotaciones en cuenta, según se acepte o rechace la posesión de valores anotados. 3.3.2. La posesión de valores anotados. Acerca de la posesión de valores anotados existe una referencia explícita en la Ley del Mercado de Valores: «la inscripción de la prenda equivale al desplazamiento posesorio del título» 92. La norma no establece que la inscripción contable constituya una forma de posesión de los valores anotados sino que la inscripción contable cumple la misma función que la entrega del título en materia de títulos-valor (al portador); esto es, hacer públicas situaciones jurídicas 93. En consecuencia, entendemos que la norma citada no puede entenderse como un argumento a favor de la posesión de valores tabulares, debiendo remitirnos al régimen general para resolver acerca de la aplicación de la figura en el ámbito de la representación contable. La doctrina manifiesta apreciaciones encontradas acerca de la posesión de valores anotados 94. En España la posesión de valores anotados

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Vid. Díez-Picazo, Fundamentos, III5, cit., p. 871. Conforme con el carácter ficticio de la tradición de valores anotados, Sánchez Andrés, Valores anotados en cuenta, cit., p. 758; Cortés García, La desmaterialización, cit., p. 261. 90 Artículo 609 y 1085 CC. Vid. Madrid Parra, Representación y transmisión de acciones. Cláusulas limitativas, en RDM, 1992, p. 203. 91 De acuerdo con el Código Civil, el modo de adquirir por tradición no se aplica a la transmisión de los derechos reales no poseíbles, como la hipoteca o las servidumbres negativas, para cuya constitución y transmisión basta el otorgamiento de escritura pública y la inscripción en el Registro de la Propiedad [vid. Albaladejo, Artículo 609, en Albaladejo (Dir.), Comentarios al Código Civil y Compilaciones Forales, VIII, 1, Madrid, 1987, pp. 5-6 y 13; ibídem, Derecho Civil, III, cit., p. 133; Díez-Picazo, Fundamentos, III5, cit., p. 864; Lacruz, Elementos, III, 2, p. 224; Osorio Morales, Comentario STS de 26 de febrero de 1942, en RGLJ, 1942, p. 545]. 92 Artículo 10.1 in fine LMV. 93 En este sentido, Sánchez Andrés, Valores anotados, cit., p. 729; Paz-ares, La desincorporación, cit., p. 97. En la doctrina italiana, Oppo, Tramonto, cit., p. 649; Libonati, Titoli di credito, cit., p. 126. 94 Las opiniones favorables a la posesión sobre los valores tabulares consideran que el objeto de la posesión es o bien el valor representado contablemente o bien la propia

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podría construirse como una quasi possesio fundada en el disfrute reiterado de un derecho 95 96. Sin embargo, no compartimos esta idea por tres razones. En primer lugar, no todos los valores anotados constituyen

anotación contable (Cian, Dematerializzazione degli strumenti finanziari e «possesso» della registrazione in conto», en Banca, borsa, tit. cred., 2002, II, p. 176). En Francia, a favor – aunque algunos puntualizando que existe sólo una equivalencia entre anotación y posesión –, Martin, De l’inscription en compte d’actifs scripturaux, en Rec. Dalloz Ch., 1998, p. 16; ibídem, De la nature corporelle des valeurs mobilières (et autres droits scripturaux), en Rec. Dalloz Ch., 1996, pp. 47-51; Lassalas, L’inscription en compte des valeurs, cit., par. Vauplane, Le régime juridique du transfert de propriété des titres cotés, en Banque et Droit, 1994, pp. 14-15; Reygrobellet, Le droit de propriété du titulaire d’instruments financiers dématérialisés, en RTD Comm., 1999, pp. 305-316. En contra de la posesión de valores desmaterializados, Nizard, Les Titres Négociables, Paris, 2003, pp. 306-307; Frison - Roche - Jockey, Pourquoi existe-t-íl encore des titres au porteur?, en J.C.P. éd. E., 1994, p. 173; aparentemente, Causse, Principe, nature et logique de la dématérialisation, en J.C.P. éd. E., 1992, p. 533. En Italia, la doctrina mayoritaria niega la posesión sobre valores anotados en cuenta (vid. Spada, La circolazione, cit.; Oppo, Tramonto, cit., p. 649; Cian, Dematerializzazione e possesso, cit., pp. 176-186; La Sala, Disciplina del possesso, cit., pp. 1403-1408; Cardarelli, L’azione dematerializzata, cit., pp. 91-99). En el Derecho inglés, en contra de la posesión de valores desmaterializados, Benjamin, The Law of Global Custody2, Butterworths, 2003, par. 3.6; Law Commission, The UNIDROIT Convention on Substantive Rules regarding Intermediated Securities. Further Updated Advice to HM Treasury (May, 2008), par. 5.39, disponible en www.law.com.gov.uk/docs/ intermediated_securities_advice_May2008.pdf (última visita mayo 2010). 95 Artículo 430 CC. A grosso modo la doctrina civil respecto a la posesión de derechos puede dividirse en tres grupos. Una parte de los autores considera que la posesión de derechos sólo puede predicarse respecto de los derechos reales – en cuanto éstos permiten un ejercicio estable y de hecho, que recae mediatamente sobre una cosas corporal –, excluyendo la posesión de derechos personales [vid. Pérez - Alguer, Derecho de cosas3, III, 1, Barcelona, 1971, pp. 147-148, a quien sigue Castán Tobeñas, Derecho Civil, común y foral12, II, 1, Madrid, 1984, pp. 608-611]. Otra parte de la doctrina, admite una (cuasi) posesión en el caso de derechos reales o personales cuyo ejercicio es reiterado [vid. Lacruz, Elementos, cit., III, 1, pp. 47-48; Albaladejo, Derecho Civil, cit., III, pp. 4950; Díez-Picazo, Fundamentos, cit., III5, pp. 678-679 y 731; Yzquierdo Tolsada, Lecciones sobre posesión y usucapión, Madrid, 2002, p. 22. Finalmente, otros autores sólo admiten la posesión tanto de derechos reales como personales si éstos recaen (mediata o inmediatamente) sobre una cosa corporal. En este sentido, vid. Miquel Gonzáles, Posesión, en EJBC, Madrid, 1995, III, p. 4950; Martín Pérez, Artículo 437, cit., pp. 147-157, especialmente p. 151. 96 A favor de admitir la posesión de valores anotados, aunque sin explicitar los fundamentos de la misma, Eizaguirre, La opción por el concepto amplio de título-valor, en Estudios en homenaje al Profesor Menéndez, I, Madrid, 1996, p. 1139 nota 30; Domínguez García, La emisión de obligaciones por sociedades anónimas, Pamplona, 1994, p. 39; García-Pita, Naturaleza jurídica, cit., p. 61, quien considera que se trata de una posesión especialísima: «se posee registral o contablemente».

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derechos o posiciones jurídicas cuyo ejercicio es reiterado, como, por ejemplo, los instrumentos financieros derivados. En segundo lugar, entendemos que la posesión de derechos de acuerdo al Código Civil es admisible sólo si el derecho recae mediata o inmediatamente sobre una cosa, situación ausente en los valores anotados 97. En tercer lugar, sostener la existencia de una (cuasi) posesión sobre los valores anotados nada aporta al régimen propio de la representación contable, y, por el contrario, produce confusión. La posesión de valores tabulares o bien carece de las consecuencias jurídicas típicas de la posesión o bien los problemas que podría resolver son satisfechos por otros medios 98. La posesión de valores anotados no permite al poseedor, por ejemplo, usucapir ni entablar interdictos posesorios 99. Tampoco sirve para resolver los conflictos que en el ámbito de las cosas corporales se suelen solventar de acuerdo con la máxima beati possidetis. Así ocurre, por ejemplo, si se paga indebidamente un crédito representado por medio de anotaciones en cuenta, asunto

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Seguimos la opinión del profesor Miquel González sobre la posesión de derechos (vid. supra la nota 95). 98 En este sentido, aunque a propósito de la posesión de derechos en general, vid. Guzmán Brito, Las cosas incorporales, cit., pp. 161-170. 99 El artículo 1930 CC. excluye de los bienes usucapibles a los derechos subjetivos personales, como, por ejemplo, los del accionista frente al emisor (vid. Lacruz, Elementos, cit., III, 1, p. 48; Albaladejo, Derecho Civil, cit., III, p. 166; Díez-Picazo, Fundamentos, cit., III5, pp. 806-807; Miquel González, Posesión, cit., p. 4950; Puig Brutau, Fundamentos de Derecho Civil3, III, 1, Barcelona, 1989, p. 74; Yzquierdo Tolsada, Lecciones, cit., p. 22). Por otra parte, la protección interdictal del titular contable es discutible. Sobre el ejercicio de la acción interdictal por parte del titular contable de acciones totalmente desmaterializadas se pronunció la sentencia del Tribunale di Milano, de 08 de junio de 2001, negando la tutela interdictal concedida por el giudice designato (sentencia del Tribunale de Milano, de 26 de marzo de 2001). La sentencia ha sido comentada críticamente por Cian (Dematerializzazione e possesso, cit., especialmente, pp. 176-180), quien afirma que el rechazo de la acción interdictal debió haberse fundado en la «inidoneità del rapporto giuridico in cui consiste lo strumento finanziario ad essere oggetto di possesso in senso tecnico», p. 180). En nuestra opinión, de acuerdo con el Derecho español, el titular contable no está legitimado para ejercer la acción interdictal, al menos, por dos razones. Primero, porque los interdictos posesorios sólo proceden respecto de derechos reales o personales ejercidos sobre una cosa y que impliquen la tenencia o disfrute de la misma (Miquel Gonzáles, Posesión, cit., p. 4950; Martín Pérez, Artículo 437, cit., pp. 149-150). Segundo, porque la acción de responsabilidad en contra de la ESI custodia (remedio especial) resta utilidad a la tutela interdictal (acción común), debiéndose denegar la acción común por existir un remedio especial.

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resuelto, tanto activa como pasivamente, por las reglas sobre legitimación contable. Como se advierte, la referencia a la posesión de valores anotados es inútil o sólo sirve para duplicar conceptos, al asignar al término «posesión» el contenido de otras figuras jurídicas con sustantividad propia en el régimen contable. 3.4. El carácter solemne de la «transferencia contable». Descartada la posesión de valores anotados conforme al carácter incorporal de los mismos, podemos volver sobre la interpretación de la remisión normativa a la tradición en el ámbito de la representación contable. En nuestra opinión, la inscripción de la transmisión a favor del adquirente y la tradición comparten una similar configuración – ambas constituyen la segunda fase de la transmisión (modo) – y producen unos «mismos efectos legales»: ambas dan lugar a la adquisición derivativa del bien desde el patrimonio del dans al del accipiens (función) 100. Con todo, la ley no identifica la anotación contable a favor del adquirente con la tradición, sino indica solamente que «producirá[n] los mismos efectos». Por lo tanto, entendemos que, no obstante las similitudes, la inscripción contable y la tradición son modos de adquirir distintos. La primera diferencia radica en ser la tradición un modo de adquirir posesorio o real. En cambio, la transferencia contable opera con prescindencia de la posesión, improcedente en materia de valores anotados. La adquisición de la titularidad contable no es una tradición ficticia porque no existe, ni siquiera simbólicamente, alguna cosa corporal que entregar y recibir. Consideramos que la transferencia contable es un modo de adquirir solemne y consiste en la anotación realizada por la ESI custodia en la cuenta de valores del adquirente o en el desglose en la cuenta de valores del enajenante 101. Esto significa que, mientras no se cumpla

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Vid. Díaz Moreno, Prenda, cit., pp. 357-358. En el Derecho Romano, se distinguía entre los modos de adquirir el dominio reales – entre ellos, la traditio y la ocupatio – y solemnes, como, por ejemplo, la mancipatio, la in iure cessio o la iudicatio (vid. Guzmán Brito, Derecho Romano Privado, cit., I, p. 528). En la legislación vigente, también subsisten algunos modos de adquirir solemnes, como la transmisión por escritura pública en que se deja constancia de la entrega del bien, si de la misma escritura no resultare o se dedujere claramente lo contrario (artículo 1462.2 CC). Díez-Picazo (La tradición y los acuerdos traslativos en el Derecho español, en ADC, 1966, p. 562) sostiene que, en el ejemplo antes citado, la solemnidad consiste en la suscripción de la escritura pública, en ausencia de la cual el solo consensus 101

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con la referida forma legal, no tiene lugar jurídicamente la transmisión secundum tabulas de los valores 102. La segunda diferencia se funda en la naturaleza contable de los valores anotados 103. La transmisión tabular de los valores anotados se compone de dos elementos: el adeudo en la cuenta del enajenante y el abono en la cuenta del adquirente 104. Sin embargo, esa duplicidad de actos es ajena a la adquisición por tradición, pues la entrega es un hecho indivisible. La distinta configuración de la transmisión tabular permite entender que la adquisición secundum tabulas o bien se produce con el abono, o bien requiere, además, el adeudo en la cuenta del enajenante. La Ley del Mercado de Valores omite toda referencia al adeudo, equiparando la inscripción de la transmisión a favor del adquirente a la tradición de los títulos. En el desarrollo reglamentario, el adeudo adquiere mayor visibilidad, pero sin llegar a convertirse en un requisito sine qua non de la adquisición por medio del abono 105. Supongamos que A vende a B 100 acciones XYZ. La entidad adherida a cargo de la cuenta de A (IM1) aporta las respectivas Referencias de Registro para justificar la venta en IBERCLEAR, quien las da de baja y crea unas nuevas Referencias de Registro a favor de B. La entidad adherida compradora abona los valores en la cuenta de B, pero el IM1 no adeuda la cuenta de A. En nuestra opinión, B adquiere los valores por «transferencia contable», pues han sido abonados en la cuenta,

de las partes no produce la transmisión. De modo similar, el mero consenso de las parte no produce la transmisión contable de los valores anotados, para lo cual es condición sine qua non la anotación en la cuenta de valores. 102 Entre otras cosas, esto significa que la inscripción contable no puede ser sustituida, al menos, no con los mismos efectos jurídicos, por el cumplimiento de otras formalidades, al modo de una «tradición espiritualizada» (vid. Sánchez Andrés, Valores anotados, cit., p. 758; Perdices - Veiga, Representación y transmisión de acciones, cit., pp. 713-714; aparentemente, también, Madrid Parra, La legitimación en los valores anotados, en Estudios en Homenaje al profesor Justino Duque, I, Valladolid, 1998, pp. 803-804. En contra, Garrido de Palma - Sánchez González, La Sociedad anónima, cit., p. 61, nota 109). 103 Sobre la naturaleza contable de los valores anotados, vid. la doctrina citada en la nota 3. 104 En general, la doctrina no presta atención al adeudo como elemento de la transferencia contable. Se refieren a esta duplicidad de movimientos contables Sánchez Calero, Régimen, cit., p. 106; Recalde, La representación de valores, cit., pp. 2634-2635; Santos Martínez, Acciones y obligaciones, cit., p. 450; y, especialmente, Martínez-Echevarría, Valores mobiliarios anotados, cit., pp. 160-162. 105 Vid. los artículos 16.3; 32.2; 37 y 41 RDAC. En ninguno de los artículos citados se vincula la eficacia del abono a la facción del adeudo.

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sin importar si se realizó o no el adeudo en la cuenta de A, quien si bien contablemente aparece como titular de 100 acciones XYZ, jurídicamente no lo es, pues ya las enajenó (adquisición derivativa) 106. En consecuencia, la adquisición por «transferencia contable» conforme al carácter incorporal de los valores anotados consiste en el abono (o el desglose) a favor del adquirente, sin exigir necesariamente el adeudo en la cuenta del enajenante 107. Con todo, esto no significa independizar el abono y el adeudo correspondientes a un mismo negocio causal traslativo, pues – insistimos – se trata (jurídicamente) de una adquisición derivativa. Por una parte, el abono es condición necesaria, pero no suficiente para adquirir secundum tabulas; se requiere, además, de un título valido y bastante, justificante de la facción del adeudo y del abono. Por otra parte, jurídicamente la enajenación de los valores puede ocurrir sin adeudar la cuenta del transmitente – como ocurre en el ejemplo anterior 108 –, aunque no será lo usual ni lo conveniente para el buen funcionamiento del sistema; pero de ese fallo deberá hacerse cargo – de acuerdo a la normativa vigente – la entidad de custodia del transmitente, sin afectar la eficacia de la adquisición.

106 Los términos «abono» y «adeudo» pueden entenderse en un sentido contable o jurídico. En el sentido contable, se refieren precisamente a la facción de apuntes en las cuentas de valores. En cambio, en el lenguaje jurídico, el «abono» se asocia a la adquisición y el «adeudo» a la enajenación de los valores. Sin embargo, en el lenguaje jurídico la correlación descrita desaparece si se analiza el asunto con mayor detenimiento. Por una parte, el abono es condición indispensable, pero no suficiente para la adquisición contable. Así, por ejemplo, la eficacia del abono está sujeta, en el caso de los valores inscritos en Iberclear, al alta de una Referencia de Registro. Por otra parte, la enajenación puede producirse jurídicamente sin debitar la cuenta del enajenante (como en el ejemplo antes indicado) o no tener lugar, no obstante haberse realizado el adeudo (por ejemplo, si la transmisión carece de un título válido). En consecuencia, jurídicamente no es correcto suponer una correlación necesaria entre el abono y la adquisición y el adeudo y la enajenación. Los términos «abono» y «adeudo» son utilizados en este trabajo en el sentido contable. 107 La expresión «no hay crédito sin débito» utilizada para explicar el sistema de transmisión de valores anotados no debe interpretarse formalmente – en el sentido de considerarse el adeudo como parte de la solemnidad de la transferencia contable y, por consiguiente, constituir un elemento imprescindible para la adquisición – sino en el sentido de ser el español un sistema de adquisición derivativo; esto es, un régimen donde jurídicamente la adquisición por parte del accipiens supone necesariamente la salida del bien del patrimonio del dans. 108 La adquisición de valores sin un previo débito (ni baja de RRs) a causa del uso del mecanismo de recompra es otro argumento a favor de excluir el adeudo como elemento necesario de la transferencia contable (vid. retro el texto que acompaña la nota 80).

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4. Observaciones finales. Hacia una interpretación sistemática y autónoma del régimen de los valores anotados. El estudio de los valores anotados en cuenta a partir de las características propias y evitando conceptualizaciones a priori bajo el signo de otras figuras jurídicas arraigadas en el ordenamiento, es una tarea pendiente de la doctrina. Abordar esa labor tiene, al menos, dos ventajas. En primer lugar, la interpretación sistemática y autónoma de las normas sobre valores anotados contribuirá de modo determinante al desarrollo de un tráfico ágil, pero sobre todo, más seguro de los instrumentos financieros representados tabularmente. En efecto, la modelación del régimen jurídico de las anotaciones en cuenta conforme a la lógica intrínseca de la representación contable permitirá visualizar los verdaderos problemas de la disciplina y construir soluciones coherentes con el sistema contable. En este sentido es necesario replantear – cuando no excluir – la aplicación y alcance de conceptos jurídicos tradicionales, cuyo encaje en el sistema de representación contable es difícil o inútil. Así, por ejemplo, la interpretación de la buena fe exigida para la protección del adquirente a non domino debe realizarse de acuerdo con las particulares circunstancias del tráfico de valores anotados, sin extrapolar acríticamente los criterios de solución desarrollados en el ámbito de los títulos-valor o del Registro de la Propiedad. Entender la noción de buena fe como el desconocimiento por parte del adquirente de la divergencia entre la titularidad contable (apariencia objetiva) y la realidad extra-registral es técnicamente objetable, pues desconoce las notas características de la representación contable: la intermediación forzosa de la entidad de custodia impide el acceso del adquirente a la cuenta de valores del transmitente y, por lo tanto, no es posible construir la noción de buena fe sobre un supuesto de hecho (la apariencia) inexistente en el tráfico de valores anotados. A nuestro juicio, la buena fe del adquirente de valores anotados debe reconducirse a la idea primigenia de «inocencia»; esto es, a la creencia del accipiens de adquirir los valores del verdadero titular y, por lo tanto, sin dañar el patrimonio ajeno, con exclusión de toda referencia a una apariencia de titularidad contable derivada de la inscripción tabular. En segundo lugar, la explicación del régimen legal conforme con las particularidades de los valores anotados sentará las bases para un proyecto aún más ambicioso (pero no por ello menos urgente): la construcción de un régimen común para los valores anotados (sistema de tenencia directa) y para los valores indirectos (sistema de tenencia indirecta).

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La Ley del Mercado de Valores consagra un régimen de tenencia directa para los valores emitidos en el mercado español (arts. 5 a 12 LMV) y un sistema de tenencia indirecta, carente de una regulación sistemática, para los valores extranjeros negociados en el mercado interno. Sin embargo, este modelo ha sido alterado radicalmente por la Ley 47/2007, de 19 de diciembre, que traspone la Directiva MiFID, al permitirse a terceros la custodia de valores (nacionales o extranjeros) por medio de cuentas ómnibus, dándose lugar a hipótesis de tenencia indirecta de valores nacionales. El imparable desarrollo de los sistemas de tenencia indirecta hace imprescindible regularlos sistemáticamente, so pena incumplir el objetivo fundamental de tutelar a los inversores. En vistas a ese desafío inminente del legislador, se debe subrayar que los valores anotados y los valores indirectos se diferencian en cuanto a la naturaleza de los derechos representados, pero comparten una idéntica configuración: son posiciones jurídicas intermediadas, fungibles e incorporales. Sobre esos elementos comunes es posible sentar las bases de una disciplina general de la representación contable. Así, por ejemplo, la (re)definición de la noción de buena fe antes apuntada para los valores anotados, es igualmente aplicable a los valores indirectos.

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COMMENTI

Anatocismo nei rapporti bancari CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sezioni Unite Civili, sentenza 23 novembre 2010, n. 24418; Pres. De Luca, Rel. Rordorf, P.M. Ceniccola (concl. parz. diff.); Banca Popolare Pugliese s.c.a.r.l. (avv. De Angelis, Dell’Anna, Tarzia) c. L.G. (avv. Nuzzaci, Tanza) (Conferma App. Lecce 19 febbraio 2009) Apertura di credito in conto corrente – Capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori – Nullità – Ripetizione di indebito – Prescrizione – Decorrenza dal momento in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati (Cod. civ., artt. 1422, 2033, 2935) Apertura di credito in conto corrente – Capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori – Nullità – Ricomputo degli interessi debitori senza capitalizzazione (Cod. civ., artt. 1362, 1363)

Nei contratti di apertura di credito in conto corrente, accertata la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, il termine di prescrizione decennale dell’azione di ripetizione di indebito inizia a decorrere dalla data in cui siano stati effettivamente pagati gli interessi non dovuti, vale a dire –quando nel corso del rapporto il correntista abbia effettuato versamenti con sola funzione ripristinatoria della provvista – a decorrere dal momento in cui sia stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. (1) Nei contratti di apertura di credito in conto corrente, accertata la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, questi devono essere ricalcolati senza capitalizzazione alcuna, non potendo il giudice disporre la loro capitalizzazione annuale sulla base di altra clausola del contratto che preveda tale capitalizzazione per gli interessi creditori. (2) 303


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(Omissis) Svolgimento del proces– Il sig. L.G. con atto notificato il 21 giugno 2001, citò in giudizio dinanzi al tribunale di Lecce, la Banca Popolare Pugliese, in prosieguo indicata come Banca. Riferì di aver versato a detta banca, dopo la chiusura di alcuni rapporti di conto corrente, con essa intrattenuti tra il 1995 e il 1998, un importo comprensivo di interessi computati ad un tasso extralegale e capitalizzati trimestralmente per l’intera durata dei menzionati rapporti. Chiese quindi che, previa declaratoria di nullità della clausola contrattuale inerente agli interessi sopra indicati, la banca convenuta fosse condannata a restituire quanto indebitamente a questo titolo percepito. La Banca si difese contestando la fondatezza della pretesa dell’attore ed eccependo la prescrizione del diritto azionato. L’adito tribunale, accolse in parte le domande del sig. L.G. e condannò la banca a restituirgli l’importo di euro 113.571,08. Chiamata a pronunciarsi sui contrapposti gravami delle parti, la Corte d’appello di Lecce, con sentenza non definitiva, resa pubblica il 19.2.2009, accolse parzialmente la sola impugnazione principale, in quanto ritenne che validamente fosse stata pattuita la corresponsione di interessi ad un tasso extralegale. Confermò invece la declaratoria di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale dei medesimi interessi, escludendo di potervi validamente sostituire un meccanismo di capitalizzazione annuale e ribadì il rigetto dell’eccezione di prescrizione con cui l’istituto di credito aveva inteso paralizzare l’azione di ripetizione di indebito proposta dal correntista. Avverso tale sentenza la Banca ha so

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avanzato ricorso per cassazione prospettando due motivi di censura. Il sig. L.G. si è difeso con controricorso ed ha proposto un ricorso incidentale, articolato in due motivi ed illustrato poi anche con memoria, alla quale la Banca ha replicato, a propria volta con un controricorso del pari illustrato da successiva memoria. La particolare importanza delle questioni sollevate ha indotto ad investirne le Sezioni Unite. All’esito della discussione in pubblica udienza, il difensore della ricorrente ha presentato osservazioni scritte sulle conclusioni del Pubblico Ministero. Motivi della decisione – 1. I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza debbono preliminarmente essere riuniti, come dispone l’art. 335 c.p.c. 2. I due motivi del ricorso principale, entrambi volti a denunciare errori di diritto e vizi di motivazione dell’impugnata sentenza, investono rispettivamente due distinte questioni: a) se l’azione di ripetizione di indebito proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati su un’apertura di credito in conto corrente e chiede perciò la restituzione di quanto, a questo titolo corrisposto alla banca, si prescriva a partire dalla data di chiusura del conto, o partitamente da quando è stato annotato in conto ciascun addebito per interessi; b) se, accertata la nullità dell’anzidetta clausola di capitalizzazione trimestrale, gli interessi debbano essere computati con capitalizzazione annuale o senza capitalizzazione alcuna. 3. Giova premettere che i rapporti di conto corrente dei quali nella pre-


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sente causa si discute risultano essersi svolti ed essere stati chiusi in data precedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 342 del 1999, con cui è stato modificato l’art. 120 del d.lgs, n. 385 del 1993 (Testo Unico bancario). Ad essi non è quindi applicabile la disciplina dettata, in attuazione della richiamata normativa, dalla delibera emessa il 9 febbraio 2000 dal comitato interministeriale per il credito ed il risparmio (CICR). Perciò, anche per effetto della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 25 terzo comma del citato d.lgs. n. 342/99, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 425 del 2000, la disciplina cui occorre qui fare riferimento è esclusivamente quella antecedente al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della menzionata delibera del CICR). Su tale base è stata dichiarata nelle pregresse fasi del giudizio di merito la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi a carico del cliente, che figurava nei contratti di conto corrente bancario di cui trattasi, in conformità all’orientamento di queste Sezioni Unite, secondo cui la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista bancario va esclusa anche con riguardo al periodo anteriore alle decisioni con le quali la Suprema Corte, ponendosi in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale sin lì seguito, ha accertato l’inesistenza di un uso normativo idoneo a derogare al precetto dell’art. 1283 c.c. (Sez. Un. 4 novembre 2004, n. 21095). Deriva da ciò la pretesa del correntista di ripetere quanto indebitamente versato a titolo di interessi illegittimamente computati a suo carico dalla banca, ma occorre stabilire se

all’accoglimento di tale pretesa osti l’intervenuta prescrizione. Infatti, se l’azione di nullità è imprescrittibile, altrettanto non è a dirsi – come chiaramente indicato dall’art. 1422 c.c. – per le conseguenti azioni restitutorie; donde, appunto, la già richiamata necessità di individuare il dies a quo del termine di prescrizione decennale applicabile, in casi come questi, alla condictio indebiti. 3.1. A tale riguardo è opportuno anzitutto ricordare come la pregressa Giurisprudenza di questa Corte, alla quale anche l’impugnata sentenza ha fatto riferimento, abbia già in passato avuto occasione di affermare che il termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme trattenute dalla banca indebitamente a titolo di interessi su un’apertura di credito in conto corrente decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro (Cass. 9 aprile 1984, n. 2262; e Cass. 14 maggio 2005, n. 10127). A siffatto orientamento, che non tutta la dottrina ha condiviso, la banca ricorrente muove critiche che son degne di attenzione. Può condividersi il rilievo secondo cui l’unitarietà del rapporto giuridico derivante dal contratto di conto corrente bancario non è, di per sé solo, elemento decisivo al fine di individuare nella chiusura del conto il momento da cui debba decorrere il termine di prescrizione del diritto alla ripetizione di indebito che, in caso di poste non legittimamente iscritte nel conto medesimo, eventual-

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mente spetti al correntista nei confronti della banca. Ogni qualvolta un rapporto di durata implichi prestazioni in denaro ripetute o scaglionate nel tempo – si pensi alla corresponsione dei canoni di locazione o d’affitto, oppure del prezzo nella somministrazione periodica di cose – l’unitarietà del rapporto contrattuale ed il fatto che esso sia destinato a protrarsi ancora per il futuro non impedisce di qualificare indebito ciascun singolo pagamento non dovuto, se ciò dipende dalla nullità del titolo giustificativo dell’esborso, sin dal momento in cui il pagamento medesimo abbia avuto luogo; ed è sempre da quel momento che sorge dunque il diritto del solvens alla ripetizione e che la relativa prescrizione inizia a decorrere. Nondimeno, con specifico riguardo al contratto di apertura di credito bancario in conto corrente, la conclusione alla quale era pervenuta la giurisprudenza sopra richiamata va tenuta ferma in base alle considerazioni ed entro i limiti di cui appresso. 3.2. Occorre considerare che, con tutta ovvietà, perché possa sorgere il diritto alla ripetizione di un pagamento indebitamente eseguito, tale pagamento deve esistere ed essere ben individuabile. Senza indulgere in inutili disquisizioni nella nozione di pagamento nel linguaggio giuridico e sulla sua assimilazione o distinzione dalla più generale nozione di adempimento, appare indubbio che il pagamento, per dar vita ad un’eventuale pretesa restitutoria di chi assume di averlo indebitamente effettuato, debba essersi tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte di quel medesimo soggetto (il solvens), con conseguente spostamento patrimoniale in favore

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di altro soggetto (l’accipiens); e lo si può dire indebito – e perciò ne consegue il diritto di ripeterlo a norma dell’art. 2033 – quando difetti di una idonea causa giustificativa. Non può, pertanto, ipotizzarsi, il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico, definibile come pagamento, che l’attore pretende essere indebito, perché prima di quel pagamento non è configurabile alcun diritto di ripetizione. Né tale conclusione muta nel caso in cui il pagamento debba dirsi indebito in conseguenza dell’accertata nullità del negozio giuridico in esecuzione al quale è stato effettuato, altra essendo la domanda volta a far dichiarare la nullità di un atto che non si prescrive affatto, altra quella volta ad ottenere la condanna alla restituzione di una prestazione eseguita: sicché questa Corte ha già in passato chiarito che con riferimento a questa ultima domanda il termine di prescrizione inizia a decorrere non dalla data della decisione che abbia accertato la nullità del titolo giustificativo del pagamento ma da quella del pagamento stesso (Cass. 13 aprile 2005, n. 7651). 3.3. I rilievi che precedono sono sufficienti a convincere di come difficilmente possa essere condiviso il punto di vista della ricorrente, che, in casi del genere di quello in esame, vorrebbe individuare il dies a quo del decorso della prescrizione nella data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati dalla banca al correntista. L’annotazione in conto di una siffatta posta comporta un incremento del debito del correntista, o una ri-


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duzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nei termini sopra indicati: perché non vi corrisponde alcuna attività solutoria del correntista medesimo in favore della banca. Sin dal momento dell’annotazione, avvedutosi dell’illegittimità dell’addebito in conto, il correntista potrà naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso. E potrà farlo, se al conto accede un’apertura di credito bancario, allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli. Ma non può agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo. Occorre allora aver riguardo, più ancora che al già ricordato carattere unitario del rapporto di conto corrente, alla natura ed al funzionamento del contratto di apertura di credito bancario, che in conto corrente è regolata. Come agevolmente si evince dal disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., con l’apertura di credito si attua la messa a disposizione, da parte della banca, di una somma di denaro che il cliente può utilizzare anche in più riprese e della quale, per l’intera durata del rapporto, può ripristinare in tutto o in parte la disponibilità eseguendo versamenti che gli consentiranno poi eventuali ulteriori prelevamenti entro il limite complessivo del credito accordatogli. Se, pendente l’apertura di credito, il correntista non si sia avvalso della facoltà di effettuare versamenti, pare indiscutibile che non vi sia alcun pagamento da parte sua, prima del momento in cui chiuso il rapporto

egli provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato. In tal caso, qualora la restituzione abbia ecceduto il dovuto a causa del computo di interessi in misura non consentita, l’eventuale azione di ripetizione di indebito non potrà che essere esercitata in un momento successivo alla chiusura del conto, e solo da quel momento comincerà perciò a decorrere il relativo termine di prescrizione. Qualora, invece, durante lo svolgimento del rapporto il correntista abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce di dire “scoperto”) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento. Non è così, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere. L’accennata distinzione tra atti ripristinatori della provvista ed atti di pagamento compiuti dal correntista per estinguere il proprio debito verso la banca opportunamente richiamata anche nell’impugnata sentenza della Corte d’appello è ben nota alla Giurisprudenza (che ne ha fatto applicare in innumerevoli casi, a partire da Cass.

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18 ottobre 1982, n. 5413, sino a tempi più recenti, si vedano ad es. Cass. 6 novembre 2007, n. 23107; Cass. 23 novembre 2005 n. 24588). Pur se elaborata ad altri fini detta distinzione non può non venire in evidenza anche quando si tratti di stabilire se è o meno configurabile un pagamento asseritamente indebito da cui possa scaturire una pretesa restitutoria ad opera del solvens: pretesa che è soggetta a prescrizione solo a partire dal momento in cui si può affermare che essa sia venuta ad esistenza. Un versamento eseguito dal cliente su un conto il cui passivo non abbia superato il limite dell’affidamento concesso dalla banca con l’apertura di credito non ha né lo scopo né l’effetto di soddisfare la pretesa della banca medesima di vedersi restituire le somme date a mutuo (credito che, in quel momento, non sarebbe scaduto né esigibile), bensì quello di riespandere la misura dell’affidamento utilizzabile nuovamente in futuro dal correntista. Non è, dunque, un pagamento, perché non soddisfa il creditore ma amplia (o ripristina) la facoltà di indebitamento del correntista; la circostanza che, in quel momento il saldo passivo del conto sia influenzato da interessi illegittimamente fin li computati si traduce in un’indebita limitazione di tale facoltà di maggiore indebitamento, ma non nel pagamento anticipato di interessi. Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti, e, perciò, da restituire se corrisposti

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dal cliente all’atto della chiusura del conto. 3.4. Nel caso in esame la corte territoriale ha appunto affermato che i pagamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto di apertura di credito regolato in conto corrente “non costituiscono (sostiene l’appellante) pagamenti (indebiti), ma atti ripristinatori della provvista” (Sent. impugnata pag. 7). La ricorrente non ha censurato tale affermazione, né ha comunque sostenuto che vi fossero in atti elementi dai quali si sarebbe potuto desumere una realtà diversa. Ne consegue che il primo motivo del ricorso principale va rigettato alla luce del seguente principio di diritto: “Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati”. 4. La questione se, accertata la nullità dell’anzidetta clausola di capitalizzazione trimestrale, gli interessi debbano essere computati con capitalizzazione annuale o senza capitalizzazione alcuna forma oggetto, come già detto, del secondo motivo di ricorso. La corte d’appello ha interpretato le clausole riportate nel contratto


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di conto corrente stipulato dal signor L.G. con la banca nel senso che, in caso di conto in attivo per il cliente, la capitalizzazione degli interessi a suo favore fosse prevista a scadenze annuali, mentre, in caso di conto in passivo, la capitalizzazione degli interessi in favore della banca avrebbe dovuto avvenire trimestralmente. Accertata la nullità di quest’ultima previsione contrattuale ed esclusa ogni possibile integrazione legale del contratto, la Corte di appello ha tratto la conclusione che non residui alcuno spazio per la capitalizzazione annuale degli interessi pretesa dalla banca. Secondo la ricorrente siffatta interpretazione non sarebbe conforme ai criteri legali di interpretazione dei contratti ed implicherebbe un’indebita estensione della declaratoria di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale anche alla diversa ipotesi di capitalizzazione annuale degli interessi, rispetto alla quale non sussisterebbero le medesime ragioni di invalidità. 4.1. Neppure siffatte censure colgono nel segno. L’art. 7 del contratto di apertura di credito in conto corrente da cui origina la presente causa contiene due commi: il primo prevede la chiusura contabile annuale dei rapporti, di dare e avere tra le parti, con registrazione in conto degli interessi, delle commissioni e delle spese; il secondo stabilisce che i conti anche saltuariamente debitori siano invece chiusi trimestralmente, quindi con capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati nel periodo a carico del correntista, ferma restando la capitalizzazione annuale di quelli eventualmente spettanti a suo credito.

L’interpretazione che di tale clausola di contratto ha dato la Corte di merito è essenzialmente fondata su un argomento di tipo logico-sistematico, in linea con la previsione dell’art. 1363 c.c., oltre che sul rilievo dato al comportamento successivo delle parti (art. 1362, co. 2, c.c.). Non è apparso infatti sostenibile alla Corte leccese che il primo comma della clausola in esame, nel prevedere la capitalizzazione annuale degli interessi, si riferisse anche a quelli eventualmente maturati a debito del correntista e che, perciò, venuta meno la previsione del secondo comma che assoggettava invece tali interessi debitori alla capitalizzazione trimestrale, dovesse trovare applicazione per essi la capitalizzazione annuale. Si osserva nell’impugnata sentenza che alla capitalizzazione degli interessi debitori per il correntista si riferisce espressamente il secondo comma, prevedendola su base trimestrale, e che tale previsione, immaginata ovviamente come valida al tempo della sua predisposizione, conduce evidentemente ad escludere che agli stessi interessi debitori le parti abbiano inteso applicare anche il regime – diverso ed incompatibile – della capitalizzazione annuale contemplato dal primo comma. Il che ha condotto alla ragionevole conclusione secondo cui il riferimento del medesimo primo comma agli interessi debba essere inteso come limitato agli interessi a credito del correntista, essendo la capitalizzazione di quelli a debito destinata necessariamente a cadere sotto la differente disciplina dettata dal secondo comma. La banca ricorrente, nel contestare che questa interpretazione corrisponda davvero alla comune intenzione

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delle parti del contratto, non individua in modo puntuale quali regole di ermeneutica legale sarebbero state eventualmente violate, né pone in luce contraddizioni logiche nello sviluppo argomentativo che sorregge la conclusione raggiunta dalla Corte di merito. Non appare d’altronde condivisibile l’affermazione secondo cui sarebbe stata in tal modo arbitrariamente estesa la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anche alla clausola di capitalizzazione annuale. Vero è invece che, come già chiarito, quest’ultima clausola è stata considerata irrilevante ai fini della decisione della causa, in quanto non riferibile al calcolo degli interessi a debito del correntista. La capitalizzazione annuale è stata dunque esclusa per difetto di qualsiasi base negoziale che l’abbia prevista e non perché sia stata dichiarata nulla la clausola che la prevedeva. Del resto, non è il caso di tacere che neppure potrebbe essere condivisa la tesi secondo la quale le ragioni di nullità individuate dalla giurisprudenza di questa Corte per le clausole di capitalizzazione degli interessi debitori registrati in conto corrente investirebbero solo il profilo della loro periodizzazione trimestrale. Detta giurisprudenza, come è noto, ha escluso di poter ravvisare un uso normativo atto a giustificare, nel settore bancario, una deroga ai limiti posti all’anatocismo dall’art. 1283 c.c.: ma non perché abbia messo in dubbio il reiterarsi nel tempo della consuetudine consistente nel prevedere nei contratti di conto corrente bancari la capitalizzazione trimestrale degli indicati interessi, bensì per difetto del requisito della “normatività” di tale

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pratica. Sarebbe, di conseguenza, assolutamente arbitrario trarne la conseguenza che, nel negare l’esistenza di usi normativi di capitalizzazione trimestrale degli interessi, quella medesima giurisprudenza avrebbe riconosciuto (implicitamente o esplicitamente) la presenza di usi normativi di capitalizzazione annuale. Prima che difettare di normatività, usi siffatti non si rinvengono nella realtà storica, o almeno non nella realtà storica dell’ultimo cinquantennio anteriore agli interventi normativi della fine degli anni Novanta del secolo passato: periodo caratterizzato da una diffusa consuetudine (non accompagnata però dalla opinio uris ac necessitatis) di capitalizzazione trimestrale, ma che non risulta affatto aver conosciuto anche una consuetudine di capitalizzazione annuale degli interessi debitori, né di necessario bilanciamento con quelli creditori. 4.2. Il rigetto del secondo motivo del ricorso principale può essere dunque accompagnato dall’enunciazione del seguente principio di diritto: “L’interpretazione data dal Giudice di merito all’art. 7 del contratto di conto corrente bancario, stipulato dalle parti in epoca anteriore al 22 aprile 2000, secondo la quale la previsione di capitalizzazione annuale degli interessi contemplata dal primo comma di detto articolo si riferisce solo ad interessi maturati a credito del correntista, essendo invece la capitalizzazione degli interessi a debito previsto dal comma successivo su base trimestrale, è conforme ai criteri legali di interpretazione del contratto, ed, in particolare, a quello che prescrive l’interpretazione sistematica della clausole; con la conseguenza che, dichiarata la nullità


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della surriferita previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c. (il quale osterebbe anche ad un’eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna”. 5. Quanto alla misura del tasso di interesse applicato dalla banca al rapporto in esame, che è la questione su cui vertono i due motivi del ricorso incidentale, è necessario ricordare come la Corte Territoriale abbia reputato soddisfatto il requisito della pattuizione per iscritto del tasso extralegale, posto dall’ultimo comma dell’art. 1284 c.c., perché la difesa dell’istituto di credito ha prodotto in giudizio le proposte contrattuali, firmate dal Sig. L.G., contenenti appunto l’indicazione di un tasso di interesse superiore a quello previsto dalla legge. Il ricorrente non contesta il consolidato principio giurisprudenziale al quale la Corte d’Appello si è richiamata, e cioè che la produzione in giudizio di una scrittura privata ad opera di una parte che non l’abbia sottoscritta costituisce equipollente della mancata sottoscrizione contestuale e pertanto perfeziona il contratto in essa contenuto, purché la controparte del giudizio sia la stessa che aveva già sottoscritto il contratto e non abbia revocato, prima della produzione, il consenso prestato (cfr. Cass. 12 giugno 2006, n. 13548; Cass. 16 maggio 2006, n. 11409; Cass. 8 marzo 2006, n. 4921, e numerose altre conformi). Egli afferma, però, che la banca avrebbe in realtà applicato interessi diversi da quelli indicati nelle surriferite scritture, adeguandosi agli usi correnti su

piazza (primo motivo del ricorso incidentale); ed aggiunge che la Corte di Appello avrebbe trascurato di tenere conto della produzione ad opera della difesa del medesimo Sig. L.G., di una lettera, inviata alla controparte prima dell’inizio della causa, nella quale era stata espressa l’intenzione di revocare la volontà manifestata in qualsiasi precedente scrittura (secondo motivo). 5.1. Nemmeno il ricorso incidentale appare meritevole di accoglimento. La circostanza che la banca possa aver di fatto applicato interessi ad un tasso diverso da quello pattuito – pattuizione la cui validità discende dal principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza sopra richiamata, al quale il Giudice di merito appare essersi correttamente attenuto – non è circostanza idonea ad invalidare ex post la pattuizione stessa; ma implica che sia stata stipulata tra le parti un’altra, priva del necessario requisito formale o ancorata a parametri oscillanti e non adeguatamente predeterminabili. Detta circostanza potrebbe semmai aver rilievo, ai fini della decisione della causa, solo qualora i tassi di interesse in concreto applicati dalla banca fossero stati superiori a quelli indicati nei documenti contrattuali sottoscritti dal correntista e prodotti in giudizio dalla banca medesima; ma ciò non risulta, o comunque il ricorrente incidentale non documenta di averlo provato nel corso del giudizio di merito. Il che basta a privare la sua doglianza di fondamento. L’assunto secondo il quale il Sig. L.G. avrebbe revocato la dichiarazione contrattuale da lui sottoscritta prima che questa fosse prodotta in causa dalla banca, non può essere apprezzato in questa sede. Il ricorrente incidentale si

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limita, infatti, a riportare tra virgolette un passaggio della lettera contenente tale asserita revoca; ma solo la lettura integrale del documento consentirebbe davvero di valutarne la portata negoziale, né lo stesso ricorrente ha indicato con sufficiente precisione in quale atto del giudizio di merito quel documento, sul quale il motivo di ricorso si fonda, è stato prodotto (limitandosi a dire che risulta “prodotto in atti”); e neppure appare averlo auto-

nomamente depositato nella cancelleria di questa Corte: onde non può dirsi siano state a questo riguardo rispettate le prescrizioni dettate, rispettivamente a pena di inammissibilità ed improcedibilità, degli artt. 366, co. 1, n. 6, e 369, co. 2, n. 4, c.p.c. 6. Il rigetto di entrambi i ricorsi e la conseguente reciproca soccombenza induce a compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità. (Omissis)

(1-2) Anatocismo nei conti bancari. Prime riflessioni sui principi fissati dalle S.U. nella sentenza n. 24418/2010 Sommario: 1. Premessa. – 2. Dies a quo della prescrizione dell’azione di ripetizione. – 3. Capitalizzazione annuale e capitalizzazione semplice. 1. Premessa. Dopo oltre dieci anni nei quali la giurisprudenza di merito è venuta assumendo posizioni spesso divergenti su importanti aspetti dell’anatocismo bancario, i cui riflessi economici risultano di apprezzabile rilievo, si è ritenuto opportuno investire le Sezioni Unite della Suprema Corte, per stabilire definitivamente due rilevanti principi di diritto. A. Dies a quo della prescrizione dell’azione di ripetizione. “Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati”. B. La nullità della capitalizzazione trimestrale comporta l’applicazione della capitalizzazione semplice. “L’interpretazione data dal giudice di

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merito all’art. 7 del contratto di conto corrente bancario, stipulato dalle parti in epoca anteriore al 22 aprile 2000, secondo la quale la previsione di capitalizzazione annuale degli interessi contemplata dal primo comma di detto articolo si riferisce ai soli interessi maturati a credito del correntista, essendo invece la capitalizzazione degli interessi a debito prevista dal comma successivo su base trimestrale, è conforme ai criteri legali d’interpretazione del contratto ed, in particolare, a quello che prescrive l’interpretazione sistematica delle clausole; con la conseguenza che, dichiarata la nullità della surriferita previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c. (il quale osterebbe anche ad un’eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale), gli interessi a debito del correntista debbono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna”. 2. Dies a quo della prescrizione dell’azione di ripetizione. Mentre la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale è imprescrittibile, la ripetizione di quanto indebitamente versato a titolo di interessi illegittimamente computati è soggetta alla prescrizione decennale, per la quale si rende necessario individuare il dies a quo. La Suprema Corte richiama nella sentenza annotata la pregressa giurisprudenza con la quale si è più volte affermato come il conto corrente configuri un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti (Cass. n. 2262/84, n. 10127/09). Aggiunge tuttavia che l’unitarietà del rapporto non è, di per sé solo, elemento decisivo al fine d’individuare nella chiusura del conto il momento da cui debba decorrere il termine di prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito. Quando rapporti di durata implichino prestazioni di denaro ripetute nel tempo – quali locazioni o somministrazioni periodiche di cose – l’unitarietà del rapporto contrattuale non impedisce di qualificare indebito ciascun singolo pagamento ed è sempre da quest’ultimo che sorge il diritto alla ripetizione e, di riflesso, il decorso della prescrizione. Il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione può avere luogo solo quando interviene un atto giuridico definibile come pagamento, che l’attore pretende essere indebito, perché prima di quel momento non è configurabile alcun diritto di ripetizione. Il termine di prescrizione inizia pertanto a decorrere non dalla data della decisione che abbia accertato la nullità del titolo giustificativo del pagamento, ma da quella del pagamento stesso (Cass. n. 7651/05).

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Nel caso di un’apertura di credito, l’annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati dalla banca “comporta un incremento del debito del correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento”. Il saldo del conto sarà influenzato da interessi illegittimamente computati dalla banca, che inducono una limitazione nella facoltà di maggior indebitamento, ma che non configurano il pagamento anticipato di interessi. Il correntista potrà agire per ottenere una rettifica delle risultanze del conto per recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti di fido concessogli, ma non potrà agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, non ha ancora avuto luogo. Solo per i versamenti effettuati su un conto passivo, privo di apertura di credito, o quando questi siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti di fido, si configura un effettivo pagamento, tale da poter formare oggetto di ripetizione, ove indebito, individuando il dies a quo della prescrizione nella data di annotazione in conto. Più che il carattere unitario del rapporto, assumono pertanto rilievo le modalità di funzionamento dell’apertura di credito: tutti i versamenti effettuati dal correntista su di un conto che non abbia superato il limite di fido assolvono esclusivamente una funzione ripristinatoria della provvista. Prima della chiusura del conto il titolare del conto può solo avanzare una domanda di accertamento costitutivo, volta alla sola determinazione del saldo 1. Per la distinzione fra le operazioni aventi un natura ripristinatoria della provvista e quelle aventi invece una funzione di effettivo pagamento del debito verso la banca, la Cassazione richiama i criteri sanciti in precedenti pronunce espresse in tema di revocatoria fallimentare (Cass. 5413/82, 23107/07, 245881/05). “Pur se elaborata ad altri fini, detta distinzione non può non venire in evidenza anche quando si tratti di stabilire se è o meno configurabile un pagamento, asseritamente indebito, da cui possa scaturire una pretesa restitutoria ad opera del solvens; pretesa che è soggetta a prescrizione solo a partire dal momento in cui si può affermare che essa sia venuta ad esistenza”. Alla luce della sentenza in esame occorrerà pertanto tenere distinto lo ‘scoperto di fido’ sul quale, in presenza di rimesse, si renderà necessario considerare la prescrizione decennale a partire da ciascun accredito

Mastromarino, Il dies a quo della prescrizione dei diritti dell’indebitamento nel conto corrente bancario, in Guida al Diritto, 2010, sez. Focus. 1

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risultante a ripianamento di interessi precedentemente addebitati dalla banca. Avendo la sentenza della Cassazione richiamato espressamente il carattere solutorio o ripristinatorio del versamento, appare consequenziale mutuare dalle revocatorie anche il criterio del saldo disponibile che non corrisponde necessariamente né al saldo per valuta, né al saldo contabile: risulterebbe oltremodo incongruo che per il ‘gioco’ delle valute un addebito risultasse anteposto ad un precedente accredito, determinando un momentaneo e fittizio scoperto di fido. Analogamente applicabili risulterebbero gli ulteriori criteri ordinariamente impiegati nella determinazione delle poste revocabili. Nella ricostruzione del saldo disponibile, si renderà inoltre necessario depurare gli estratti conto degli interessi, commissioni e spese illegittimamente appostati e ripetibili sino a quel momento: solo in tal modo infatti si potrà accertare se ciascun versamento/accredito è intervenuto in una situazione di effettivo extra-fido, che possa configurare, secondo il disposto dell’art. 1194 c.c., il pagamento di interessi, commissioni e spese sino a quel momento addebitati dalla banca. Il ricalcolo risulterà particolarmente delicato e complesso nell’eventualità di rapporti affidati che presentano, nel periodo precedente l’ultimo decennio, alternativamente saldi a debito entro il fido ed oltre il fido. Inoltre, quando sullo stesso conto insisteranno affidamenti di diversa natura, si renderà necessario uno specifico esame della documentazione sottostante per sceverare la presenza e misura dei distinti ‘scoperti di fido’. Non si rende invece necessario alcun ricalcolo per l’ultimo decennio: risulta infatti irrilevante la natura ripristinatoria o solutoria delle rimesse in conto, rientrando nei termini dell’azione di ripetizione ogni pagamento di interessi fatto nel periodo. Determinante risulterà altresì l’accertamento dei distinti affidamenti concessi dalla banca. In assenza del contratto con la determinazione delle condizioni, si renderà applicabile il tasso legale e/o il tasso previsto dall’art. 117 t.u.b., ma potrà facilmente risultare prescritta l’azione di ripetizione per gli interessi, commissioni e spese addebitati precedentemente al decennio: non risultando provato alcun fido, ogni versamento effettuato in conto viene ad essere imputato, in primis, alle competenze precedentemente addebitate dalla banca. Diversa è la situazione in presenza di contratto che non riporti specificatamente le condizioni del rapporto di conto. In assenza dell’indicazione del tasso di interesse e/o delle altre condizioni, si renderà applicabile il tasso legale e/o l’art. 117 t.u.b., mentre per l’anticipazione

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in conto, se non indicata in contratto o in separato documento, questa potrà essere ricavata dalle indicazioni riportate negli estratti conto. Infatti ai sensi del co. 2 dell’art. 117 t.u.b., il CICR può prevedere che particolari contratti possano essere stipulati in forma diversa. In passato, per lungo tempo, non essendo intervenuta alcuna delibera CICR. al riguardo, hanno continuato a trovare applicazione, ai sensi dell’art. 161, co. 2 e 5, t.u.b., l’art. 3, co. 2 e 3, l. n. 154/92 e il decreto del Ministero del Tesoro 24 aprile 1992, nonché le istruzioni operative della Banca d’Italia 24 maggio 1992, che prevedevano una deroga alla forma scritta “per le operazioni ed i servizi contemplati in contratti già redatti per iscritto” 2. Il contratto uniforme di conto corrente, all’art. 6 delle “Norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi”, prevede espressamente le aperture di credito 3. Sulla base di tali richiami la Cassazione ha riconosciuto in passato la validità delle disposizioni derogatorie alla forma scritta emanate dalla Banca d’Italia: con la sentenza del 9/7/05 n. 14470 la Cassazione ha stabilito: “La sentenza impugnata ha affermato che sulla base della disciplina di legge (art. 3 legge 154/1992 e art. 117 t.u.b.) il contratto di apertura di credito deve essere redatto per iscritto a pena di nullità e che

2 Solo con Delibera del 4 marzo 2003, relativa alla disciplina della trasparenza delle condizioni contrattuali, il C.I.C.R. ha previsto all’art. 10, relativo alla “Forma dei contratti”, che “la Banca d’Italia può individuare forme diverse da quella scritta per le operazioni e i servizi, oggetto di pubblicità ai sensi della presente delibera, che hanno carattere occasionale ovvero comportano oneri di importo contenuto per il cliente”. Le nuove disposizioni di trasparenza della Banca d’Italia prevedono che la forma scritta non è obbligatoria per: a) le operazioni e i servizi effettuati in esecuzione di contratti redatti per iscritto; b) le operazioni e i servizi prestati in via occasionale – quali, ad esempio, acquisto e vendita di valuta estera contante, emissione di assegni circolari – purché il valore complessivo della transazione non ecceda 5.000 euro e a condizione che l’intermediario: 1) mantenga evidenza dell’operazione compiuta; 2) consegni o invii tempestivamente al cliente conferma dell’operazione in forma scritta o su altro supporto durevole, indicando il prezzo praticato, le commissioni e le spese addebitate; c) l’emissione di prodotti di moneta elettronica anonimi non ricaricabili, ovvero nei casi previsti dall’articolo 25, comma 6, lett. d), del d.lgs. n. 231 del 21 novembre 2007. 3 I contratti bancari uniformi precedenti la c.d. legge sulla trasparenza bancaria n. 154/92 e la successiva entrata in vigore del t.u.b. riportavano, all’art. 17: “È facoltà dell’Azienda di credito di assumere o meno gli incarichi del Cliente. Col valersi dei servizi dell’azienda di credito si intendono senz’altro accettate dal Cliente le norme e le condizioni da essa stabilite per singoli servizi (come incasso ed effetto documenti, aperture di crediti documentari, incasso cedole e titoli estratti, custodia od amministrazione titoli, ecc.)”.

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a nulla rilevano eventuali disposizioni meno restrittive emanate in via amministrativa dalla Banca d’Italia. Tale affermazione non può essere condivisa. Le norme emanate dal CICR (nel 1992 in via d’urgenza, in sua sostituzione, dal Ministro del Tesoro) e dalla Banca d’Italia completano ed integrano la norma di legge, in virtù di una facoltà espressamente prevista dalla legge stessa. Non si tratta pertanto di atti amministrativi illegittimi perché contra legem, ma di atti a contenuto ed efficacia normativi, emanati dal CICR e dall’Autorità di vigilanza nell’esercizio di un potere espressamente loro attribuito dal legislatore. Tali norme integrano il precetto legislativo e, nei limiti consentiti dalla legge stessa, vi derogano, con la conseguenza che hanno natura di atti normativi, sia pur non di rango primario e debbono pertanto essere conosciute d’ufficio dal giudice, secondo il principio iura novit curia”. 3. Capitalizzazione annuale e capitalizzazione semplice. La sentenza della Cassazione qui annotata non ha ritenuto che le ragioni di nullità individuate dalla giurisprudenza per le clausole di capitalizzazione degli interessi debitori registrati in conto investano solo il profilo della loro periodizzazione trimestrale. La giurisprudenza ha escluso di poter ravvisare un uso normativo atto a giustificare una deroga ai limiti posti dall’art. 1283 c.c.: risulta pertanto “assolutamente arbitrario trarne la conseguenza che, nel negare l’esistenza di usi normativi di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, quella medesima giurisprudenza avrebbe riconosciuto (implicitamente o esplicitamente) la presenza di usi normativi di capitalizzazione annuale. Prima che difettare di ‘normatività’, usi siffatti non si rinvengono nella realtà storica che (…) non ha affatto conosciuto una consuetudine né di capitalizzazione annuale, né di necessario bilanciamento con gli usi creditori”. La sentenza in argomento perviene pertanto alla conclusione che dalla nullità dell’applicazione degli interessi debitori non può derivare alcuna capitalizzazione: in altri termini, mentre per gli interessi a credito rimarrebbe valida la capitalizzazione annuale convenuta, non essendo intervenuta per essa alcuna nullità, per gli interessi a debito il relativo ammontare potrà essere addebitato solo in sede di chiusura finale del conto. I conti oggetto di esame nella richiamata sentenza della Cassazione, iniziavano e terminavano prima dell’entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000; pertanto si è fatto riferimento esclusivamente alla disciplina antecedente il 22 aprile 2000.

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Si può ritenere che, anche per conti che abbiano travalicato la data di entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000, l’interesse semplice vada comunque ricondotto alla chiusura del conto. La Cassazione riporta espressamente “anche per effetto della declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 25, terzo comma, del citato d.lgs. n. 342/99, pronunciata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 425 del 2000, la disciplina cui occorre qui fare riferimento è esclusivamente quella antecedente al 22 aprile 2000 (data di entrata in vigore della menzionata delibera del CICR)”. Tale affermazione sembra avvalorare la giurisprudenza di merito che sempre più frequentemente ritiene che, con la dichiarata illegittimità del 3° comma dell’art. 25 d.lgs. 342/99 è venuto meno il presupposto legittimante l’art. 7 della Delibera CICR 9 febbraio 2000, finalizzato a disciplinare i rapporti in essere al momento dell’entrata in vigore della Delibera stessa. Né il co. 2 dell’art. 25 conferisce al CICR il potere di prevedere disposizioni di adeguamento, con effetti validanti la sorte delle condizioni contrattuali stipulate anteriormente 4. Con la capitalizzazione semplice gli interessi maturati vengono imputati sul conto solo alla fine del rapporto: l’effetto, rispetto alla capitalizzazione annuale, non è di scarso rilievo. Mentre con la capitalizzazione semplice il processo di cumulo degli interessi segue un andamento lineare, con la capitalizzazione annuale la produzione degli interessi sugli interessi induce nel processo di cumulo un andamento iperbolico.

Cfr.: L’anatocismo dopo la Delibera CICR del 9/2/00: fatta la pentola il diavolo c’è cascato dentro, disponibile sul sito web http://www.assoctu.it. 4

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Ad esempio, per un saldo a debito di € 1.000, ad un tasso del 10% per un periodo di 20 anni, il divario tra i due sistemi di capitalizzazione risulta assai ampio: con la capitalizzazione semplice, ad invarianza di movimenti di conto, dopo 20 anni, il saldo a debito passa a € 3.000, mentre con la capitalizzazione annuale il saldo a debito passa a € 6.727.

Il divario fra l’impiego della capitalizzazione semplice e quella annuale risulta tanto maggiore quanto più ampio è il periodo in rassegna e quanto più elevato è il tasso di interesse.

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Rispetto alla capitalizzazione annuale, l’incidenza degli interessi in capitalizzazione semplice, dopo un ampio arco di tempo (20 anni) si riduce del 40% per un interesse medio del 5%, del 65% per un interesse medio del 10% e dell’80% per un interesse medio del 15%. Il divario del saldo e degli interessi maturati si accresce ancor più se il conto, anziché presentare un andamento monotono a debito, presenta invece alternativamente saldi a credito e saldi a debito 5.

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5 Al riguardo si sottolinea come le sentenze in materia di anatocismo si riferiscano alla nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito: ne consegue che, mentre per detti addebiti è necessario adottare la capitalizzazione semplice, gli interessi a credito mantengono la capitalizzazione annuale. Tale circostanza incrementa apprezzabilmente il divario. Mantenendo le ipotesi dell’esempio precedentemente illustrato – periodo di 20 anni, interesse debitore pari al 10% – con un interesse creditore del 2,5%, se si ipotizza l’alternanza di saldi a debito e a credito in modo tale da mantenere un saldo medio a debito di € 1.000 (in linea con l’esempio riportato nel testo) si evidenzia una differenza dei saldi che può arrivare a circa il 392%.

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COMMENTI

Cancellazione dal registro delle imprese ed estinzione della società I CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sezioni Unite Civili, sentenza 9 aprile 2010, n. 8426; Pres. Vittoria, Rel. Forte, P.M. Apice ( concl. conf.); C. (avv. d’Alessandro) c. Fall. A. s.r.1. (avv. Carpinella) (Conferma App. Roma 10 novembre 2008) Società - Liquidazione - Cancellazione dal registro delle imprese - Cancellazione d’ufficio della cancellazione - Effetti - Presunzione relativa di continuazione dell’attività sociale - Assoggettabilità a fallimento (Cod. civ., art. 2191, 2495; 1. fall., art. 10)

È assoggettabile a fallimento, indipendentemente dal limite temporale posto dall’art.10 1. fall., la società (nella specie, a r.1.) la cui iscrizione della cancellazione sia stata successivamente cancellata d’ufficio per l’insussistenza dei relativi presupposti, con la conseguente presunzione (semplice) di continuazione dell’attività di impresa. (1) II TRIBUNALE DI PADOVA, Giud. registro, Santinello, decr. 20 febbraio 2011 Società - Liquidazione - Cancellazione dal registro delle imprese - Sopravvivenze attive - Cancellazione d’ufficio della cancellazione - Possibilità - Fattispecie (Cod. civ., art. 2191, 2495)

Ove dopo la cancellazione della società (nella specie, una s.r.1.) dal registro delle imprese risulti l’esistenza di beni immobili della medesima società non fatti oggetto della liquidazione, il giudice del registro (nella specie, su istanza del liquidatore) può disporre la cancellazione d’ufficio della iscrizione della cancellazione per difetto dei relativi presupposti. (2) 321


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I (Omissis) 1.2. Con il secondo motivo, il C. lamenta violazione dell’art. 10 della 1. fall. e omessa o insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3 e 5 c.p.c., per avere ritenuto rispettato il termine annuale dalla cancellazione della società dal registro delle imprese avvenuta invece il 13 ottobre 2005, dando rilievo al decreto del giudice del registro del 3 settembre 2007 emesso ai sensi dell’art. 2191 c.c. e che aveva ordinato la “cancellazione della cancellazione”, cioè della pregressa pubblicità della estinzione della società. L’art. 10 della 1. fall. ha la propria ratio nella esigenza di dichiarare il fallimento quando non sia passato troppo tempo dalla fine delle attività dell’imprenditore individuale o collettivo e nel caso, prescindendo da ogni indagine sulla operatività effettiva dell’impresa, si è provveduto a dichiararne il fallimento senza dare rilievo all’assenza di ogni attività societaria o di impresa per oltre un anno prima dell’intervento del giudice per accertare l’insolvenza, violando la predetta norma che nel solo caso di “cancellazione di ufficio di imprenditori collettivi” ha dato facoltà al P.M. e ai creditori di provare la diversa data della cessazione effettiva della attività di impresa, prova che nel caso non è stata invece data. La sentenza impugnata invece di individuare l’attività societaria in effetti svolta e provata, pur dopo la cancellazione della società, ha dato rilievo al decreto di ufficio di “cancellazione della cancellazione” ad opera del giudice del registro, che ha natura di pubblicità e da solo è inidoneo a dimostrare la continuazione o il prosieguo della vita della società.

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Il C. chiude il motivo di ricorso con il seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: «Dica la Corte se, in materia di fallimento, ai fini della decorrenza del termine annuale per dichiarare il fallimento, nel caso di provvedimento di cancellazione del giudice del registro dell’iscrizione della cancellazione della società dal registro delle imprese, debba darsi rilievo al solo dato pubblicitario che precede, ovvero debba considerarsi l’effettiva cessazione dell’attività di impresa dalla data della pregressa cancellazione dal registro delle imprese a richiesta della stessa società». (Omissis) 2.2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. Questa Corte a sezioni unite ha infatti di recente affermato che la cancellazione delle società di capitali come la A. s.r.1. le estingue ai sensi dell’art. 2495 c.c., sostitutivo del previgente art. 2456 c.c. con l’entrata in vigore, il l° gennaio 2004, della riforma delle società con personalità giuridica e delle cooperative di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (così le tre sentenze di queste sezioni unite 20 febbraio 2010 n.ri 4060, 4061, 4062). Se è vero che nella fattispecie la cancellazione ha prodotto l’effetto della estinzione della società a responsabilità limitata che, nella fattispecie, secondo quanto dedotto in ricorso era stata deliberata con l’approvazione del bilancio di liquidazione in data 13 ottobre 2005, la novella della riforma del 2003 non ha modificato la residua disciplina della pubblicità nel registro delle imprese, incidendo nel sistema solo con la configurazione di un effetto analogo per le società commerciali di persone sulla loro limitata soggettività che non esclude la natura


Corte Suprema di Cassazione

comunque dichiarativa della iscrizione nel registro delle imprese come forma di pubblicità che, come afferma la relazione al codice civile, non può essere costitutiva se non per espressa disposizione di legge (art. 2193 c.c.). Dichiarativa è da ritenere quindi anche la cancellazione disposta, ai sensi dell’art. 2191 c.c., dal giudice del registro di cui all’art. 2188 c.c. con decreto reclamabile al tribunale, della “iscrizione” di vicende societarie “avvenuta senza che esistano le condizioni richieste dalla legge”. In tal caso il provvedimento del giudice non ha natura decisoria né definitiva ed è inidoneo a divenire giudicato, per cui non è ricorribile per cassazione (Cass. 22 gennaio 2009, n. 2219) con la conseguenza che è comunque possibile ottenerne una modifica dallo stesso giudice ovvero proporre una ordinaria azione di cognizione sulla esistenza dei requisiti ritenuti insussistenti dal giudice del registro per cui si è disposta la cancellazione della pregressa cancellazione già iscritta, azione che nel caso non risulta neppure iniziata dagli interessati. Appare quindi chiaro che in astratto la A. s.r.1. avrebbe dovuto cessare ogni attività di impresa il 13 ottobre 2005, ma che ciò non è avvenuto avendo gli stessi soci deliberato successivamente (25 ottobre 2005) il trasferimento in Romania della sede sociale; già tale rilievo rende difficilmente credibile la estinzione dell’impresa collettiva che la delibera di trasferimento della sede anche se fittizia conferma essere rimasta in vita dopo la cancellazione, anche essa decisa per potere continuare l’attività d’impresa in Italia senza adempiere ai gravosi oneri

fiscali connessi all’applicazione della nostra legislazione tributaria. Ciò conferma che sicuramente in questo periodo e presumibilmente anche successivamente l’attività d’impresa proseguiva, anche se si volevano sottrarre al fisco gli utili di essa e ciò risulta chiaro dalle dichiarazioni dell’appellante C. nel gravame contro la sentenza di fallimento della società del Tribunale del 20 dicembre 2007, in cui si fa riferimento ad “uscite finanziarie” non meglio precisate di circa € . . . . . . . . ., che, se giustificano debiti tributari per il 2003 e 2004 di circa €. . . . . . . . ., difficilmente si conciliano con la cessazione totale di ogni attività ad ottobre 2005, condizione necessaria per l’iscrizione della cancellazione ritenuta mancante dal giudice del registro. È in tale contesto che detto giudice, con decreto del 3 settembre 2007 ai sensi dell’art. 2191 c.c., ha ritenuto insussistenti le condizioni di legge per la estinzione della società di cui alla cancellazione iscritta su istanza degli amministratori e ha ordinato quindi che la iscrizione di tale vicenda fosse a sua volta cancellata con pubblicità dichiarativa dell’inesistenza della estinzione, che rende presunto relativamente tale evento negativo, salvo prova contraria data dall’interessato della vicenda estintiva o un’eventuale azione di cognizione che nel caso nessuno degli interessati ha proposto. Tale decreto ha determinato una pubblicità dichiarativa del mancato esaurimento di tutti i rapporti giuridici pendenti facenti capo alla s.r.1. A. la cui personalità deve negarsi si sia estinta retroagendo l’accertamento a base del decreto della mancanza dei requisiti per la cancellazione dell’iscri-

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zione della società di capitali e la sua estinzione, che deve ritenersi mai avvenuta, per essere continuata l’attività d’impresa. Come chiarito nelle sentenze citate del 2010 relative alla cancellazione delle società dal registro delle imprese, «la Relazione al libro del lavoro del codice civile, sul neo istituito registro delle imprese (n.ri 98 e ss.), afferma che lo stesso (art. 2188 e ss. c.c., modificati dalla citata legge 29 dicembre 1993, n. 580, istitutiva del registro di cui sopra presso le Camere di commercio, sotto la vigilanza del giudice delegato, ha attuato “un sistema completo ed organico di pubblicità legale, idoneo a portare a conoscenza del pubblico l’organizzazione dell’impresa, le sue vicende e le sue trasformazioni” (n. 99), dato che la “iscrizione ha normalmente efficacia dichiarativa. Eccezionalmente, e solo in quanto la legge espressamente lo dichiari, come avviene ad es. per la costituzione delle società per azioni, delle società in accomandita per azioni, delle società a responsabilità limitata e delle cooperative, la iscrizione ha efficacia costitutiva” (n. 100) », e «crea la presunzione juris et de jure che i fatti iscritti siano noti a tutti» (n. 100). Il rilievo di regola solo dichiarativo della pubblicità comporta che la iscrizione del decreto di cui all’art. 2191 c.c. determina solo la opponibilità ai terzi della insussistenza delle condizioni che avevano dato luogo alla cancellazione della società alla data in cui questa era stata iscritta e di conseguenza della stessa cancellazione della estinzione societaria, per non essersi questa in effetti verificata, con la conseguente presunzione della continuazione della esistenza in vita della

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società e la corretta deduzione della Corte d’appello che ha negato di potere ritenere cessata l’attività d’impresa la quale per l’iscrizione del decreto del giudice del registro doveva presumersi continuata, con conseguente onere della prova di chi aveva interesse a riaffermare la fine dell’impresa collettiva della mancanza di qualsiasi attività d’impresa di questa, da oltre un anno dalla istanza di fallimento. Qualsiasi sia la risposta che si dà al quesito di diritto che chiude il secondo motivo di ricorso, in ogni caso nella concreta fattispecie la pubblicità data al decreto del giudice del registro che ha disposto di cancellare la cancellazione deliberata e iscritta nel 2005 della s.r.1. A. comporta la presunzione della continuazione delle attività societarie non vinta da alcuna prova contraria che solo l’appellante odierno ricorrente avrebbe dovuto dare, per cui anche il secondo motivo di ricorso è da rigettare. (Omissis) II Il Giudice del registro, vista l’istanza del Conservatore del Registro delle Imprese di Padova depositata in data 15.2.2011 con la quale è stata trasmessa la richiesta di cancellazione della cancellazione dal Registro delle Imprese della società I.E.C. s.r.1. in liquidazione effettuata il 30.12.2009 ai sensi dell’art. 2495, comma 1, c.c., richiesta avanzata da C.R. nella sua qualità di liquidatore della predetta società prima della sua cancellazione; ritenuto che l’istanza può essere accolta; ritenuto invero che presupposto della cancellazione dal Registro delle Imprese, ex art. 2495, comma 1, c.c.,


Corte Suprema di Cassazione

sia l’effettivo compimento della liquidazione; ritenuto pertanto che ove il soggetto a ciò legittimato - il liquidatore appunto - dimostri che in realtà la liquidazione non è terminata, possa provvedersi ai sensi dell’art. 2191 c.c. alla cancellazione della cancellazione della società dal registro delle imprese; considerato invero che tale conclusione non contrasti con l’interpretazione data all’art. 2495, nuovo testo, c.c. dalla ben nota sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 4062/10, dal momento che tale decisione, nell’affermare che l’iscrizione nel registro delle imprese della cancellazione della società comporti l’estinzione della società stessa, non preclude, ad avviso del giudicante, l’applicabilità dell’art. 2191 c.c. per i casi in cui, come quello in esame, la

cancellazione sia avvenuta in mancanza dei necessari presupposti; rilevato invero che dalla documentazione allegata all’istanza del liquidatore risulta come, diversamente da quanto indicato nel bilancio finale di liquidazione al 30.11.2009, la società è proprietaria di beni immobili preesistenti (terreni) nel comune di Ferrara; ritenuto pertanto che la liquidazione non poteva dirsi completata al momento della cancellazione della società in data 30.12.2009, sussistendo invece dell’attivo patrimoniale da liquidare P.Q.M. Visto l’art. 2191 c.c. Dispone la cancellazione dell’iscrizione della cancellazione dal Registro delle Imprese di Padova della società I.E.C. s.r.1. in liquidazione, con sede in Padova.

(1-2) Cancellazione ed estinzione delle società: prosegue la “storia infinita” 1. Con le sentenze 22 febbraio 2010, n. 4060, 4061 e 40621, le Sezioni Unite della Cassazione - sia pure con un percorso argomentativo abbastanza faticoso, anche perché caratterizzato dallo sforzo di evitare una diretta “condanna” degli orientamenti assunti in materia dalla stessa Cassazione anteriormente alla riforma del diritto societario - avevano mostrato di voler finalmente condividere, superando qualsiasi residuo

1 Pubblicate (la n. 4060) in Giur. it., 2010, 1610, con nota di Weigmann; in Il fallimento, 2010, 1403, con nota di Capaldo; (la n. 4061) in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, 541, con nota di De Acutis; in Giust. civ., 2010, I, 1648; (la n. 4062) in Dir. banc., 2010, I, 325, con nota di A. Nigro, Ancora su cancellazione ed estinzione delle società: verso l’epilogo della “storia infinita”?; in Le società 2010, 1004, con nota di Dalfino; in Corr. giur., 2010, 1006, con nota di Pedoja.

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dubbio o incertezza, il convincimento (da tempo radicato nella nostra dottrina prevalente) che la cancellazione delle società, di capitali come di persone, dal registro delle imprese determina sempre e comunque l’estinzione delle medesime. Era lecito attendersi, dopo queste sentenze, il definitivo abbandono, almeno da parte della giurisprudenza, di ogni idea di poter disancorare l’estinzione, cioè la fine, delle società dalla cancellazione e di potere, specificamente, introdurre correttivi o rimedi al meccanismo estintivo disegnato dalla legge (anzi dalle leggi, quella societaria e quella fallimentare): quale, in particolare, il rimedio o correttivo offerto dalla (supposta) possibilità, nell’ipotesi in cui, in fatto, la liquidazione non avesse comportato la completa definizione di tutti i rapporti facenti capo alla società, di ricorrere allo strumento della cancellazione d’ufficio ai sensi dell’art. 2191 c.c. (eventualmente su istanza degli interessati: creditori rimasti insoddisfatti, soci, ex liquidatori) della cancellazione della società per la “mancanza delle condizioni richieste dalla legge per l ‘iscrizione” della cancellazione medesima2. Così però non è stato. Da un lato, la giurisprudenza di merito ha continuato a coltivare l’orientamento di cui si è appena detto, dichiaratamente ritenendolo non contrastante con le pronunzie del febbraio 2010 delle Sezioni Unite: così il Tribunale di Padova, nel decreto qui pubblicato. Dall’altro e soprattutto, questo medesimo orientamento sembra essere accolto ora dalle stesse Sezioni Unite, con le due sentenze identiche n. 8426 e 8427 del 9 aprile 2010 (quindi di pochi mesi successive alle altre), di cui si pubblica qui la prima3. In questo secondo gruppo di sentenze, per la verità, le Sezioni Unite non hanno affrontato espressamente il tema: si sono però soffermate a valutare gli effetti, sotto il profilo della decorrenza del termine di cui all’art. 10 1. fall., del decreto con cui il giudice del registro abbia appunto disposto la cancellazione (per la mancanza delle condizioni richieste dalla legge: nella specie, in relazione alla prosecuzione in fatto dell’attività da parte dei soci) dell’iscrizione della cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese ed hanno concluso nel senso che tale decreto comporta il venir meno ex tunc dell’effetto

Per riferimenti di dottrina e giurisprudenza su questo orientamento v. - oltre ad A. Nigro, Ancora, cit., p. 343 ss. - Niccolini, La liquidazione volontaria delle società tra passato e presente, in Le liquidazioni aziendali, a cura di Adamo e Niccolini, Torino, 2010, p. 52 ss. 3 Pubblicata anche in Il fallimento, 2010, 1401, con nota di Capaldo. 2

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estintivo dell’iscrizione della cancellazione ed il sorgere di una presunzione (relativa) di continuazione dell’attività sociale. Con il che - sembra a chi scrive di poter affermare - implicitamente ma inequivocabilmente esprimendo adesione alla tesi di chi ritiene possibile e conforme a legge una simile cancellazione. 2. Le ragioni che, in generale, convincono della inammissibilità e contrarietà alla legge di un simile rimedio (all’effetto estintivo della cancellazione) sono molte e sono già state diffusamente esposte da chi scrive in altra sede4, talchè ci si può limitare qui a riassumerle. Innanzi tutto. L’orientamento di cui stiamo parlando muove esplicitamente dall’antica - e mai sufficientemente criticata - idea (sarebbe meglio dire: preconcetto) secondo la quale la cancellazione di una società dal registro delle imprese presupporrebbe il completamento in fatto della liquidazione e tale completamento non potrebbe ritenersi avvenuto fino a quando vi siano rapporti (attivi o passivi) da definire o, quanto meno, rapporti attivi da definire. Questa idea (o preconcetto) - va ancora una volta sottolineato con forza - da un lato confligge con il sistema del nostro codice, che non assume affatto (né ha mai assunto) la “compiutezza della liquidazione” quale condizione per l’estinzione della società: l’assoluta irrilevanza, ai fini dell’estinzione, delle sopravvivenze o delle sopravvenienze passive è sancita per tabulas dagli art. 2312 e 2495 c.c.; ed identica regola, per coerenza di sistema, non può non valere per le sopravvivenze o sopravvenienze attive e per qualsiasi altro rapporto, sostanziale o processuale. Questa idea (o preconcetto), dall’altro lato, muove da una non esatta identificazione della stessa fattispecie estintiva delle società la quale - come risulta dallo stesso tenore letterale dell’art. 2495 - consta in realtà di due soli elementi, l’approvazione del bilancio (e del piano di riparto) e la cancellazione, tutto il resto - in particolare il completamento della liquidazione - costituendo solo un antecedente che non condiziona affatto il perfezionamento della fattispecie medesima. In secondo luogo. L’orientamento di cui stiamo parlando si pone in frontale contrasto con il sistema generale, che ormai innegabilmente privilegia, nel campo societario, su qualsiasi altra l’esigenza di certezze

4 A. Nigro, Ancora, cit., p. 345 ss. In senso contrario all’orientamento che stiamo considerando v. anche, in giurisprudenza, Trib. Bologna, 8 ottobre 2010, in Le società, 2011, 271, con nota di Bonavera; Trib. Treviso, 19 febbraio 2009, id., 2009, 355, con nota di Zagra; Trib. Lucca, 12 gennaio 2009, in Giur. merito, 2009, 2479.

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definitive ed irretrattabili, di stabilità delle situazioni giuridiche e che, oltretutto, imporrebbe di ritenere, sempre in generale, impossibile, in principio, la cancellazione d’ufficio di iscrizioni aventi natura costitutiva5 (e l’iscrizione della cancellazione delle società - almeno delle società di capitali - ha sicuramente natura costitutiva, come la Suprema Corte ha affermato nelle sentenze del febbraio 2010). E si pone in frontale contrasto, d’altra parte, con la regola posta dall’art. 10 1. fall. con riguardo agli imprenditori collettivi, cioè in primo luogo alle società: perché la presunzione assoluta che la disposizione pone di cessazione dell’impresa in relazione alla cancellazione “regge”, per le società, solo a condizione di ritenere che la cancellazione comporti sempre e comunque l’estinzione definitiva. 3. Qualche notazione si può aggiungere con specifico riguardo alle sentenze n. 8426 e n. 8427/2010 delle Sezioni Unite. Innanzi tutto. Queste sentenze si richiamano esplicitamente al gruppo di sentenze del febbraio 2010, nel cui solco vorrebbero collocarsi (va sottolineato che presidente e relatore sono stati gli stessi nelle due serie di giudizi). In realtà, una pur superficiale lettura e comparazione dei due gruppi di pronunzie evidenzia immediatamente rilevanti profili di contrasto6: e su almeno due aspetti. Da un lato, ed in linea generale, la costruzione della regola dell’art. 2495 c. c. come regola assoluta e rigida, accolta dalla Suprema Corte nel primo dei due gruppi, ha come corollario ovvio7 quello della non ammissibilità di meccanismi i quali - come quello della cancellazione della cancellazione - si traducano operativamente proprio nell’aggiramento, e quindi nella negazione o nello svuotamento, di quella regola8. Dall’altro, ed in particolare, le sentenze più antiche muovono chiaramente dall’idea della totale irrilevanza, ai fini dell’estinzione, della “compiutezza della liquidazione” (c’è, tra l’altro, un espresso richiamo in tal

In senso conforme v., con riferimento all’iscrizione di società per azioni, Marasà e Ibba, Il registro delle imprese, Torino, 1997, p. 198 e in giurisprudenza, con riferimento all’iscrizione dell’atto di trasformazione, Trib. Messina, 3 agosto 2008, in Vita not., 2007, 1105, con nota di Riso. 6 Come sottolineato anche, per esempio, da Capaldo nella nota di commento in Il fallimento, 2010, 1407 ss. 7 Lo si era rilevato già in A. Nigro, Ancora, cit., p. 345. 8 Nello stesso ordine di idee v. ora Niccolini, La liquidazione, cit., p. 53. 5

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senso in un punto dell’articolatissimo principio di diritto che chiude la motivazione, là dove, con riferimento alle società di persone ed all’efficacia della loro cancellazione, si parla di “presunzione del venir meno della capacità e legittimazione di esse ... anche se perdurino rapporti o azioni di cui le stesse società sono parti”). Mentre le sentenze più recenti, altrettanto chiaramente, si collocano in un ordine di idee esattamente opposto, quello - ripetiamo, antico e fonte, si ricordi, di quello stesso orientamento di cui le sentenze del febbraio 2010 hanno voluto espressamente segnare il definitivo superamento per effetto del “nuovo” regime dell’art. 2495 c.c.- che postula quale “condizione di legge” per l’estinzione ciò che le stesse sentenze definiscono come “esaurimento di tutti i rapporti giuridici pendenti facenti capo alla” società. Il contrasto non potrebbe essere più nitido!9 In secondo luogo. La sentenza qui pubblicata afferma, perentoriamente, che la cancellazione della iscrizione della cancellazione della società avrebbe natura dichiarativa e che avrebbe come effetto il sorgere di una “presunzione di continuazione dell’esistenza in vita della società” con la possibilità per gli interessati, ai fini dell’applicazione della regola posta dall’art. 10 1. fall., di fornire la prova contraria. La prima parte di questa affermazione è decisamente discutibile: la cancellazione di un’iscrizione avente natura costitutiva (e l’iscrizione della cancellazione di una società, almeno nel caso delle società di capitali, ha, e lo si è visto, tale natura), sempre che non la si ritenga in principio non ammissibile per la ragione vista prima, non sembrerebbe poter avere natura non costitutiva. La seconda parte confligge, ancora una volta frontalmente, con il sistema, e precisamente con il sistema dell’art. 10 1. fall., nell’ambito del quale la regola, per quanto riguarda gli imprenditori collettivi, e specificamente le società, è assolutamente rigida: o c’è la iscrizione della cancellazione, ed allora la società deve ritenersi iuris et de iure estinta, senza possibilità di prova contraria; o l’iscrizione non c’è (o, in ipotesi, è stata cancellata) ed allora la società deve ritenersi sempre iuris et de iure in vita, senza anche qui possibilità di prova contraria. Il che, poi, conferma quanto si è detto sopra circa la natura necessariamente costitutiva della cancellazione di un’iscrizione avente natura costitutiva.

9 Altrettanto deve ovviamente affermarsi con riguardo al decreto del Tribunale di Padova, che ugualmente muove dalla premessa secondo cui la cancellazione delle società ha come presupposto il completamento della liquidazione.

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4. La conclusione (in qualche misura desolante) è che le Sezioni Unite della Cassazione, con le ultime pronunzie, hanno compromesso in non lieve misura l’opera di chiarificazione intrapresa con le sentenze precedenti. L’auspicio è che le medesime Sezioni Unite abbiano presto occasione di riprendere in esame funditus il tema, per arrivare finalmente ad una ricostruzione della disciplina che sia completa, rispettosa della legge ed intrinsecamente coerente. Alessandro Nigro

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Sintesi di giurisprudenza * (II trimestre 2010) Indice delle materie: I. Banca: A) L’impresa bancaria: profili generali. – B) La crisi dell’impresa bancaria. – C) Depositi bancari. – D) Le cassette di sicurezza. – E) Contratto autonomo di garanzia. – F) Crediti speciali.

I. BANCA Sommario: A) L’impresa bancaria: profili generali. – 1. Vigilanza. – 1.1. La discrezionalità della Banca d’Italia nella determinazione dell’importo delle sanzioni amministrative. – 1.2. La discrezionalità della Banca d’Italia nella valutazione in ordine alla sana e prudente gestione. – 1.3. La discrezionalità della banca nella segnalazione dei crediti in sofferenza alla Centrale dei rischi. – B) La crisi dell’impresa bancaria. – 2. Amministrazione straordinaria. Difetto dei requisiti di professionalità, onorabilità ed indipendenza degli organi di amministrazione. – C) Depositi bancari. – 3. Esecuzione forzata. Obblighi del terzo. – 4. Restituzione somme erroneamente accreditate. – 5. Libretti di deposito al portatore. Responsabilità della banca. – D) Le cassette di sicurezza. – 6. Responsabilità della banca. – 7. Prova del danno. – E) Contratto autonomo di garanzia. – 8. Contratto autonomo di garanzia. Opponibilità della nullità del contratto principale. – 9. Contratto autonomo di garanzia. Identificazione del contratto.

Settantaduesima puntata (le precedenti sono pubblicate in Dir. banc., 1990, I, pp. 350 e 551; 1991, I, pp. 160, 459 e 597; 1992, I, pp. 111, 253, 397 e 581; 1993, I, pp. 112, 264, 471 e 594; 1994, I, pp. 125, 255, 383 e 506; 1995, I, pp. 157, 286, 443 e 601; 1996, I, pp. 109, 265, 403 e 554; 1997, I, pp. 129, 318, 478 e 645; 1998, I, pp. 91, 277 e 637; 1999, I, pp. 171, 290, 411 e 545; 2000, I, pp. 143, 331, 516 e 671; 2001, I, pp. 89, 229 e 383; 2002, I, pp. 145, 327 e 629; 2003, I, pp. 141, 315 e 471; 2004, I, pp. 321, 447 e 657; 2005, I, pp. 109 e 301; 2006, I, pp. 169 e 533; 2007, I, pp. 163, 343 e 583; 2008, I, pp. 153; 363; 549 e 745; 2009, I, pp. 111; 333; 481; 667; 2010, I, p. 147; 349; 759; 187). Questa sintesi intende offrire una prima informazione sulle sentenze relative alle materie di interesse della rivista, depositate o edite nel periodo di riferimento. Hanno collaborato: Alessandro Benocci (§ 1); Cristina Campagna (§ 2); Gennaro Rotondo (§§ 3-5); Filippo Parrella (§§ 6 e 7); Agostino Clemente (§§ 8-10); Stefano Boatto (§ 11). (*)

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Opponibilità delle eccezioni relative al rapporto principale. – 10. Contratto autonomo di garanzia e appalti pubblici. - F) Crediti speciali. – 11. Credito fondiario – 11.1. Credito fondiario e azione esecutiva. - 11.2. Credito fondiario condizionato.

A) L’IMPRESA BANCARIA: PROFILI GENERALI 1. Vigilanza. 1.1. La discrezionalità della Banca d’Italia nella determinazione dell’importo delle sanzioni amministrative. Cass., 15 giugno 2010, n. 14305 (in Diritto & Giustizia, 2010) si occupa di stabilire se le decisioni della Banca d’Italia in materia di determinazione dell’importo di una sanzione amministrativa siano o meno sindacabili giurisdizionalmente. In particolare, si riporta il caso di Tizio, consigliere di amministrazione di una banca, nei confronti del quale la Banca d’Italia ha irrogato una sanzione amministrativa di 18.000 euro a seguito di un’ispezione che aveva accertato carenze nell’organizzazione e nei controlli interni e carenze nella erogazione, gestione e controllo del credito. Tizio propone opposizione alla sanzione amministrativa ai sensi dell’art. 145 t.u.b. lamentando che, nella determinazione dell’importo della sanzione, la Banca d’Italia non avrebbe tenuto conto della bassa retribuzione di Tizio e della sua scarsa professionalità e, in definitiva, non avrebbe tenuto conto dei criteri oggettivi e soggettivi che è doveroso contemperare nella delicata fase di determinazione dell’importo di una sanzione. La Corte d’Appello di Roma rigetta l’opposizione rilevando che, ai sensi dell’art. 144 t.u.b., il minimo e il massimo edittali sono rispettivamente 2.580 e 129.110 euro e che, nella determinazione dell’ammontare di una sanzione, la Banca d’Italia deve tener conto non tanto dei criteri oggettivi e soggettivi riguardanti il soggetto sanzionato, quanto della minore o maggiore gravità della violazione. Tizio ricorre per la cassazione della sentenza d’appello per assenza di motivazione, sostenendo che tanto nel provvedimento della Banca d’Italia, quanto nel provvedimento oggetto di gravame non si evinca come le condizioni personali ed economiche di Tizio abbiano inciso nella determinazione dell’ammontare della sanzione amministrativa. La Suprema Corte replica affermando che, quando la legge indica un minimo ed un massimo edittale, il giudice è titolare di un potere discrezionale di determinare l’entità della sanzione entro questi limiti, allo scopo di commisurarla alla concreta gravità del fatto concreto, senza essere tenuto a specificare i criteri seguiti nel commisurare la sanzione né potendo la relativa statuizione essere censurabile in sede di legittimi-

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tà ove siano stati rispettati i limiti suddetti. Tanto premesso, la Suprema Corte condivide l’iter logico e motivazionale seguito dal giudice di merito, il quale, peraltro insieme alla gravità delle violazioni contestate, ha puntualmente osservato che l’assenza di una stabile retribuzione, oltre che di una specifica professionalità degli amministratori di una banca, non determina alcuna limitazione ai doveri di diligenza, di accortezza e prudenza insiti in quel tipo di attività, né determina alcuna limitazione al rispetto della normativa di vigilanza bancaria, che deve essere osservata rigorosamente in relazione sia alle specifiche responsabilità connesse con la funzione che l’amministratore si è assunto volontariamente, che alle peculiarità dell’attività di gestione del credito, dalla quale scaturiscono imprescindibili esigenze di vigilanza sulle procedure operative e di controllo del rischio, quali che siano le condizioni economiche o personali dei relativi amministratori. 1.2. La discrezionalità della Banca d’Italia nella valutazione in ordine alla sana e prudente gestione. T.A.R. Lazio, 9 aprile 2010, n. 6185 (in Red. Amm. TAR, 2010, 04), riporta un caso di impugnazione, da parte degli ex amministratori e sindaci di una banca, del decreto con il quale il Mef, su proposta della Banca d’Italia, apre a carico della banca la procedura di amministrazione straordinaria ai sensi dell’art. 70 t.u.b.. Nonostante la pronuncia giurisprudenziale esuli parzialmente dai compiti qui assegnati, la sentenza merita un breve commento nella parte in cui stabilisce i limiti entro i quali è giurisdizionalmente sindacabile la discrezionalità utilizzata dalla Banca d’Italia nell’accertamento dei presupposti della proposta di amministrazione straordinaria e, in via residuale, nell’esercizio del proprio potere di vigilanza. Uno dei motivi di impugnazione del decreto di amministrazione straordinaria sarebbe infatti rappresentato dall’arbitrarietà che la Banca d’Italia avrebbe utilizzato nella proposta al Mef di adottare il decreto di amministrazione straordinaria. Infatti, i ricorrenti non contestano i presupposti di fatto del provvedimento, ma la valutazione economica di quei presupposti operata dalla Banca d’Italia. Tuttavia, il giudice amministrativo afferma che si deve considerare che alla Banca d’Italia, come a tutte le autorità di vigilanza operanti in settori delicati dell’economia, l’ordinamento attribuisce una ampia discrezionalità tecnica, che non può essere oggetto di sindacato giurisdizionale, se non nei limiti della irrazionalità, irragionevolezza e travisamento dei presupposti di fatto. Il giudice amministrativo prosegue rilevando che, dalle argomentazioni difensive dei ricorrenti, emerge invece la richiesta di una sostituzione delle valutazioni operate dalla Banca di Italia con altre valutazioni tecnico-economiche che sono proposte dagli stessi ri-

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correnti e che il giudice dovrebbe far proprie. Il giudice amministrativo aggiunge inoltre che le valutazioni della Banca d’Italia in materia di vigilanza devono essere contestualizzate nell’ambito delle finalità alla Banca d’Italia assegnate dall’art. 5 t.u.b. In relazione alla tutela del risparmio di cui all’art. 47 Cost., il credito è un settore considerato particolarmente delicato e, come tale, sottoposto a penetranti poteri di controllo della Banca d’Italia da esercitare in vista delle finalità di stabilità complessiva, efficienza e competitività del sistema finanziario e della «sana e prudente gestione dei soggetti vigilati». Con particolare riferimento alla sana e prudente gestione, l’ordinamento giuridico attribuisce alla Banca d’Italia un ampio potere discrezionale, che può essere oggetto di sindacato giurisdizionale solo nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza o del travisamento dei fatti, trattandosi di discrezionalità tecnica. Infatti, la sana è prudente gestione introduce un c.d. “concetto valvola” che consente alla Banca d’Italia di fare uso legittimo di apprezzamenti riconducibili alla categoria delle cc.dd. “valutazioni tecniche complesse”, per le quali è escluso un sindacato giurisdizionale caratterizzato dalla possibilità di sostituzione della valutazione del giudice a quella precedentemente effettuata dalla Banca d’Italia. 1.3. La discrezionalità della banca nella segnalazione di crediti in sofferenza alla Centrale dei rischi. Cass., 24 maggio 2010, n. 12626 (in Guida al diritto, 2010, 33-34, 67), consolida ulteriormente le posizioni assunte dalla giurisprudenza di merito e di legittimità in materia di segnalazione dei crediti in sofferenza alla Centrale dei rischi e già commentate più volte in questa rassegna. Come già fatto in precedenza, merita comunque rammentare ancora una volta che l’art. 51 t.u.b. impone alle banche di inviare alla Banca d’Italia le segnalazioni periodiche secondo le modalità e nei termini da essa stabiliti. La circolare della Banca d’Italia n. 139/1991 contiene le istruzioni per gli intermediari creditizi in materia di segnalazioni alla Centrale dei rischi. La circolare obbliga le banche ad effettuare in favore della Banca d’Italia una segnalazione mensile avente per oggetto le posizioni di rischio di ciascun cliente e, in sostanziale contropartita, impone alla Banca d’Italia di comunicare alle banche, per ogni nominativo ricevuto, la posizione globale di rischio nei confronti dell’intero sistema creditizio: le posizioni di rischio oggetto di segnalazione si identificano sostanzialmente con quei crediti vantati dalla banca verso il cliente che superino i cc.dd. limiti di censimento indicati dalle stesse istruzioni della Banca d’Italia: tra di essi, vanno sinteticamente annoverati i crediti di ammontare superiore alle soglie monetarie stabilite dalla Banca d’Italia e i cc.dd. «crediti in sofferenza».

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In materia di segnalazione alla Centrale dei rischi, si pone tradizionalmente il problema di stabilire non tanto cosa si intenda per crediti di ammontare superiore alle soglie monetarie, quanto cosa si intenda per «crediti in sofferenza». Il caso in oggetto narra di una banca che segnala alla Centrale dei rischi il proprio credito, ritenuto in sofferenza, verso la società Alfa e revoca conseguentemente l’affidamento precedentemente concesso. La società Alfa domanda al Tribunale di Brindisi di accertare l’illegittimità della segnalazione e della revoca dell’affidamento e di condannare la banca al risarcimento dei danni. Il Tribunale di Brindisi rigetta la domanda giudiziale ma, a seguito di proposizione di gravame, la Corte d’Appello di Lecce accerta che la segnalazione operata dalla banca nel caso concreto è da ritenersi illegittima in quanto l’oggetto della segnalazione è rappresentato da un credito in sofferenza, che è tale solo quando il debitore versa in stato di insolvenza ovvero in situazioni sostanzialmente equiparabili. Nel caso concreto, la Corte d’Appello di Lecce ha ritenuto che una situazione sostanzialmente equiparabile allo stato di insolvenza non ricorresse, in quanto la società Alfa operava regolarmente sul mercato possedendo materiali, attrezzature e macchinari di valore pari a diversi milioni di euro e quindi di valore ben superiore al credito vantato dalla banca; inoltre, non risultavano nei suoi confronti procedure esecutive o elevazioni di protesti per cambiali o assegni e risultava che disponeva di numerose garanzie prestate pure alla banca segnalante, tant’è che il debito nei confronti di quest’ultima, pur contestato giudizialmente era stato regolarmente pagato dai garanti proprio al fine di evitare azioni esecutive. A seguito di ricorso per cassazione presentato dalla banca, volto a dimostrare per Alfa una situazione sostanzialmente equiparabile allo stato di insolvenza, la Suprema Corte premette che il testo delle istruzioni della Banca d’Italia relative alla modalità di segnalazione delle sofferenze dispone che «devono essere segnalati nell’ambito di detta categoria tutti i crediti per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dall’esistenza di garanzie o dalla previsione di perdita. L’apposizione a sofferenza implica pertanto una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito». In relazione ai presupposti per l’applicazione delle istruzioni, la Suprema Corte conferma quindi che l’apposizione a sofferenza del credito, lungi dal poter discendere dalla sola analisi dello specifico o degli specifici rapporti in corso di svolgimento tra la singola banca segnalante ed il cliente, implica una valutazione della complessiva situazione patrimoniale di

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Rassegne

quest’ultimo; ne segue che lo stesso tenore letterale delle Istruzioni e, segnatamente, l’accostamento che tali Istruzioni hanno inteso stabilire tra stato di insolvenza e situazioni sostanzialmente equiparabili inducano a preferire quelle ricostruzioni che hanno proposto, ai fini della segnalazione in sofferenza alla Centrale dei rischi, una nozione levior rispetto a quella dell’insolvenza fallimentare, così da concepire lo stato di insolvenza e le situazioni equiparabili in termini di valutazione negativa di una situazione patrimoniale apprezzata come deficitaria, ovvero, in buona sostanza, di grave e non transitoria difficoltà economica, senza, cioè, fare necessario riferimento all’insolvenza intesa quale situazione di incapienza, ovvero di definitiva irrecuperabilità.

B) LA CRISI DELL’IMPRESA BANCARIA 2. Amministrazione straordinaria. Difetto dei requisiti di professionalità, onorabilità ed indipendenza degli organi di amministrazione. TAR Lazio, 23 giugno 2010, n. 20463 (in Altalex Massimario, 06/2010, 61) ha affrontato la questione relativa alle modalità di applicazione dell’art. 26 d.lgs. 385/93 ed alla violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità (art. 3 Cost.) sollevata da un dirigente di una società assicurativa, rimosso dall’incarico in quanto occupava una posizione dirigenziale presso una banca sottoposta a procedura di amministrazione straordinaria. Nel caso in esame il Ministero dell’Economia e delle Finanze, su proposta della Banca d’Italia ha disposto in data 8 luglio 2009 la procedura di amministrazione straordinaria della Banca MB SpA, con conseguente scioglimento degli organi di amministrazione. La parte ricorrente ha presentato ricorso, denunciando la violazione dell’art. 3 Cost., per cui è consentito l’esercizio del diritto di difesa prospettando i risultati delle proprie prestazioni professionali, e la falsa applicazione dell’art. 26 del d.lgs. 385/93, per cui i requisiti di professionalità, onorabilità ed indipendenza non sono stati oggetto di difetto, in quanto gli eventi che hanno condotto alla crisi dell’istituto di credito non costituiscono necessariamente un indicatore negativo delle singole capacità professionali. Dagli atti di causa è risultato che la parte ricorrente ha impugnato il decreto 24 aprile 1997 n. 186 del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato (oggi Ministero dello Sviluppo economico), confrontandolo altresì con le disposizioni contenute nell’art. 26 d.lgs. 385/93; il professionista ha dimostrato tramite alcuni verbali, la propria estraneità alla crisi della Banca MB SpA, di fatto si è discostato, pur facendo parte di un organo collegiale, da situazioni

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Sintesi di giurisprudenza

adottate con effetti devastanti per lo stato di salute dell’istituto. Il Collegio ha ritenuto fondato il ricorso in quanto nell’individuazione dei requisiti di professionalità e onorabilità si può fare riferimento alle competenze, alle doti e alle qualità del soggetto derivanti dalle esperienze, dalle attività e dai comportamenti tenuti dal professionista nell’esercizio delle sue funzioni, che influiscono sulla propria idoneità professionale e morale a rivestire ruoli dirigenziali e di controllo, e quindi sulla “sana e prudente” gestione dell’impresa. Il Tar del Lazio ha richiamato inoltre l’orientamento della Corte Costituzionale (sent. n. 103 del 23 marzo 2007) che, con riferimento allo spoils system dei dirigenti di livello generale ha ritenuto “che ci sia un’automaticità senza limiti del provvedimento di rimozione dell’incarico professionale, decadenza o destituzione, che non lascia alcun spazio al contraddittorio”.

C) DEPOSITI BANCARI 3. Esecuzione forzata. Obblighi del terzo. Ad avviso di Cass., 3 aprile 2009, n. 8133 (in CED Cassazione, 2009) il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, in quanto funzionalizzato all’individuazione della cosa assoggettata ad espropriazione forzata, all’esito della mancanza o della contestazione della dichiarazione ex art. 548 c.p.c., ha ad esclusivo oggetto il diritto di credito del debitore esecutato nei confronti del terzo pignorato. Ne consegue che, in caso di pignoramento di somme depositate su un libretto bancario vincolato all’ordine del giudice, in quanto ricavate dalla vendita di beni sequestrati ad istanza dell’intestatario, l’oggetto della cognizione non può estendersi alla proprietà dei beni oggetto del sequestro, ma deve limitarsi alla verifica dell’obbligazione debitoria dell’istituto di credito pignorato nei confronti del debitore esecutato. Nella fattispecie, la Corte ha confermato la pronuncia negativa del giudice di merito che, una volta intervenuta l’inefficacia del sequestro, aveva accertato il difetto di titolarità del diritto di proprietà sui beni oggetto della misura cautelare in capo al custode-debitore esecutato, senza stabilire di chi fosse la proprietà dei beni sequestrati (rigetta, App. Bari, 24/10/2005). In argomento v.: Cass., 27 gennaio 2009, n. 1949; Cass., 23 aprile 2003, n. 6449. 4. Restituzione somme erroneamente accreditate. Trib. Bari, sez. II, 21 settembre 2009 [Banca (Omissis) s. coop. a r.l. c. Ca.Vi.; inedita], ha stabilito che il titolare di un libretto di deposito bancario è tenuto a restituire le somme erroneamente ivi accreditate qualora l’istituto di cre-

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Rassegne

dito dimostri che, la registrazione della posta attiva, è stata effettuata in assenza della correlativa provvista. 5. Libretti di deposito al portatore. Responsabilità della banca. Secondo Trib. Padova, sez. I, sent. 10 giugno 2010 [Gr.Am. c. Cassa (Omissis), inedita], la disciplina prevista dall’art. 1836 c.c. non è applicabile ai libretti al portatore, atteso che in tali casi il libretto non è un titolo di credito, non contenendo un credito cartolare, ma un documento diretto ad individuare il soggetto legittimato alla riscossione e che dovrebbe essere il portatore dello stesso. Nel caso in cui il libretto è nominativo ed il soggetto che si presenti allo sportello bancario sia effettivamente il delegato ad operare, la banca, a fronte di una siffatta situazione formalmente ineccepibile, è tenuta esclusivamente a controllare se la delega fosse ancora efficace o fosse venuta meno per decesso del delegante. Fatta tale verifica, alla banca, che abbia adempiuto la prestazione nei confronti del possessore del libretto, anche se non coincidente con il depositante, non può imputarsi alcuna responsabilità né per dolo né per colpa grave. D) LE CASSETTE DI SICUREZZA 6. Responsabilità della banca. Nel periodo in rassegna App. Roma, Sez. II, 24 giugno 2010 (in Banche dati Utet giur.), ha confermato l’orientamento giurisprudenziale tralatizio secondo il quale il furto di cassette di sicurezza non costituisce caso fortuito in quanto è evento prevedibile. Accertata, quindi, la colpa grave nella custodia dei locali, la Corte ha confermato la decisione di primo grado di condanna della banca e dell’istituto di vigilanza al risarcimento del danno nella misura, rispettivamente, dell’80% e del 20%. La Corte ha, inoltre, disatteso la richiesta della banca volta a dirottare l’intera condanna sull’istituto di vigilanza (un cui dipendente avrebbe cooperato al fine di consentire la realizzazione del furto), affermando che la banca risponde comunque contrattualmente verso l’utente, salvo a potersi rivalere nei confronti dell’istituto di vigilanza. Va segnalato, poi, che la Corte, con la decisione in rassegna, non ha affronto il tema della validità o meno della clausola con cui si limita l’importo dei valori immissibili nella cassetta, bensì, muovendo dal presupposto della nullità di questa clausola per violazione dell’art. 1229 c.c. (ai sensi del quale sono nulle le clausole di esclusione o di limitazione della responsabilità per dolo o per colpa grave del debitore), ha rigettato l’eccezione della banca di estensione della nullità all’intero contratto, ai sensi dell’art. 1419 c.c. A quest’ultimo

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Sintesi di giurisprudenza

riguardo la Corte ha rilevato, infatti, che l’istituto della nullità parziale è espressione del principio generale di conservazione del contratto, rispetto al quale l’effetto della propagazione della nullità va considerato eccezionale e può essere giustificato soltanto dalla prova, nella specie non fornita dalla banca, che senza quella clausola il contratto avrebbe perso per essa ogni utilità. 7. Prova del danno. Sempre App. Roma, 24 giugno 2010, cit., ha, infine, ritenuto corretta la decisione del giudice di primo grado di determinare il danno risarcibile in via equitativa, fondandosi su prove presuntive in relazione alla presenza dei valori nella cassetta al tempo del furto, nonché sulla stima di un consulente tecnico d’ufficio ai fini dell’individuazione del valore dei beni trafugati (nella specie gioielli di cui sussisteva una documentazione fotografica, la cui veridicità era risultata confermata a seguito del ritrovamento di alcuni di essi).

E) CONTRATTO AUTONOMO DI GARANZIA 8. Contratto autonomo di garanzia. Opponibilità della nullità del contratto principale. Trib. Nocera Inferiore, 6 aprile 2010 (in Leggi d’Italia Professionale), affronta la questione della opponibilità, da parte del garante e dell’ordinante, della eccezione di nullità di una clausola del contratto principale. Nel caso di specie la clausola nulla era la clausola che stabiliva l’anatocismo trimestrale nei contratti bancari. Per il vero, la sentenza non chiarisce se la garanzia fosse formulata come fideiussione o come contratto autonomo di garanzia ma vi si legge che: “Nel contratto autonomo di garanzia l’impegno del garante di effettuare il pagamento a prima richiesta implica la rinuncia ad opporre le eccezioni che riguardano il rapporto principale, ma in merito a tale clausola opera il limite dell’esecuzione fraudolenta ed il garante può opporre l’exceptio doli nel caso in cui le eccezioni siano fondate sulla nullità del contratto presupposto per contrarietà a nome imperative”. A commento della decisione segnaliamo, tuttavia, che nel caso di specie non era in questione l’esecuzione – in ipotesi fraudolenta – della garanzia, bensì la (estensione della) sua autonomia dal rapporto principale. 9. Contratto autonomo di garanzia. Identificazione del contratto. Opponibilità delle eccezioni relative al rapporto principale. App. Roma, 26 aprile 2010 (in Leggi d’Italia Professionale), come già l’appellata sentenza del tribunale di Roma, si pronuncia sulla legittimità della escus-

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Rassegne

sione di una garanzia. Il giudizio era stato instaurato da una compagnia assicurativa che aveva rilasciato una garanzia a favore di un ministero, che l’aveva escussa. Nell’ambito di tale giudizio doveva essere considerata l’applicabilità della disciplina legale della fideiussione, con riguardo alla accessorietà di tale garanzia; oppure, al contrario, doveva essere qualificata la garanzia come autonoma, in quanto configurabile come un contratto autonomo di garanzia. Nel decidere nel senso della autonomia la Corte ritiene di non poter dare rilievo soltanto alla clausola di pagamento a prima richiesta ma, anche, alla effettiva autonomia voluta dalle parti, desumibile dalla rinuncia del garante alla preventiva escussione del debitore principale, nonché dalla fissazione di un termine di soli trenta giorni per il pagamento, decorrenti dalla presentazione della richiesta del beneficiario, corredata dai documenti indicati nella garanzia stessa. 10. Contratto autonomo di garanzia e appalti pubblici. Cons. St., 28 maggio 2010, n. 3401 (in Leggi d’Italia Professionale), è stato chiamato a giudicare dell’idoneità di una garanzia, qualificata contratto autonomo di garanzia, rilasciata un nome e per conto della mandataria di una costituenda ATI (associazione temporanea di imprese) a soddisfare i requisiti prescritti in un bando di gara. In particolare, il bando richiedeva che la garanzia coprisse gli eventuali inadempimenti di tutte le imprese associande in ATI. La garanzia era stata rilasciata ‘in nome e per conto dell’impresa che avrebbe assunto il ruolo di mandataria, ma senza menzionare tale ruolo. Il Consiglio di Stato, confermando la precedente sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, Sezione autonoma per la Provincia di Bolzano, del 16 maggio 2008, n. 178, ha ritenuto che l’autonomia della garanzia non consentisse di svincolare l’obbligazione garantita dall’identità soggettiva del garantito, che era la sola impresa (futura) mandataria e non tutte le imprese della costituenda ATI: “Ne discende che la cauzione senza eccezioni prestata in favore di impresa singolarmente considerata e nominata, senza alcun riferimento alla costituenda ATI fra più imprese chiaramente individuate, sebbene idonea a svincolare la garanzia dal rapporto obbligatorio di base in relazione alla sola obbligazione dell’impresa futura mandataria, non soddisfa le medesime finalità nei confronti delle obbligazioni assunte dalle altre imprese associande in ATI e, quindi, non può considerarsi corrispondente a quella richiesta dal bando a pena di esclusione”.

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Sintesi di giurisprudenza

F) CREDITI SPECIALI 11. Credito fondiario 11.1..Credito fondiario e azione esecutiva. Il fallimento di una società agisce in giudizio al fine di chiedere la revoca dell’atto di compravendita avente ad oggetto un bene immobile concluso dalla società fallita, in qualità di venditrice, con altra società terza, in qualità di acquirente. Sul bene immobile trasferito risulta costituita ipoteca fondiaria a vantaggio di una banca. Nel frattempo, la società acquirente del bene immobile ipotecato viene dichiarata fallita. In tale contesto, la banca, in qualità di creditrice ipotecaria, agisce in esecuzione forzata sul bene immobile oggetto della garanzia. A tale esecuzione forzata si oppone il fallimento della società che figurava nella vicenda come originaria venditrice dell’immobile. Sul conflitto tra il fallimento di quest’ultima e la banca creditrice titolare di ipoteca fondiaria si esprime il Tribunale di Udine con sentenza 19 novembre 2009 (pubblicata sul sito www.unijuris.it). Il giudice di prime cure respinge l’opposizione all’esecuzione forzata iniziata dalla banca creditrice e titolare di ipoteca fondiaria sostenendo che quest’ultima vanta comunque il diritto di procedere all’esecuzione forzata individuale su quel bene sulla base dei seguenti presupposti: (i) il fallimento non aveva chiesto la revoca dell’ipoteca fondiaria, revoca che sarebbe stata in ogni caso da respingere atteso il decorso del termine per il conseguimento da parte della garanzia dell’effetto stabilizzante previsto dall’art. 39, co. 4, d.lgs. 385/1993; (ii) la piena efficacia della garanzia ipotecaria fondiaria consentiva alla banca di procedere con esecuzione forzata sul bene immobile ipotecato ai sensi e per gli effetti dell’art. 41, co. 2, d.lgs. 385/1993, disposizione che autorizza il creditore ipotecario a iniziare o proseguire l’azione esecutiva anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. Il provvedimento del giudice friulano si pone nel solco di un orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui il privilegio del creditore ipotecario non può essere frustrato dal fallimento del debitore comune, ferma in ogni caso la natura meramente processuale del privilegio in questione. Interessante pare infatti notare che il fallimento della seconda società acquirente, tra i i cui creditori figurava appunto la banca procedente, nessuna obiezione ha sollevato in merito alla iniziativa promossa dalla creditrice ipotecaria. Ciò, come pure adombra il Tribunale friulano, nella consapevolezza che, rispetto al fallimento, il privilegio attribuito al mutuo fondiario ha appunto natura processuale. Su quest’ultimo aspetto si vedano Corte d’Appello di Torino, 5 settembre 2007, in Il fallimento 2008, 186 e ss., con nota di Nardecchia,

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Rassegne

Il difficile rapporto tra credito fondiario e fallimento: irrisolte incertezze interpretative e recenti novità legislative; Trib. di Macerata, 26 gennaio 2008, inedita, e Trib. di Venezia 3 febbraio 2004, Foro padano, 2005, I, c. 203, con nota di Lorcet. 11.2..Credito fondiario condizionato. Con sentenza resa in data 18 maggio 2010, il Tribunale di Latina, Sez. dist. di Terracina (in Juris data – Giuffrè) rigetta la domanda avente a oggetto l’esecuzione forzata su somme di danaro che il debitore aveva ricevuto per effetto della conclusione di un contratto di mutuo fondiario ma che aveva al momento stesso del suo perfezionamento costituito a pegno a favore dello stesso istituto di credito mutuante. Il pegno sarebbe venuto meno nei presupposti costitutivi allorché il debitore avesse fornito alla banca mutuante determinata documentazione. Il Tribunale, attesa la mancanza di disponibilità, a favore del mutuatario, delle somme per effetto della costituzione di garanzia reale sulle medesime qualifica tale fattispecie come contratto di credito fondiario condizionato. Per ciò stesso, ritiene il giudicante, «detto contratto, pur se stipulato con atto pubblico notarile […] non può essere utilizzato come titolo esecutivo dalla banca mutuante che intenda procedere ad espropriazione forzata per la restituzione delle somme erogate, atteso che difetta dei requisiti previsti dall’art. 474, 2° co., n. 3, c.p.c. né il contratto medesimo può assumere valore di titolo esecutivo, per effetto della sua integrazione con le quietanze dei versamenti fatti al mutuatario trattandosi di atti non formalmente omogenei con esso, in quanto manca il ricevimento da parte del notaio della dichiarazione negoziale costituiva di debiti pecuniari. Dunque il contratto condizionato di finanziamento, non documentando l’esistenza di un diritto di credito, nel soggetto finanziatore, dotato del requisito della certezza, è inidoneo, pur se stipulato con atto pubblico notarile, ad assumere efficacia di titolo esecutivo ai fini della restituzione coattiva delle somme promesse (se e nella misura della relativa erogazione)». Sul contratto di mutuo condizionato si veda Cass., 6 giugno 2003, n. 9101, in Foro it., 2003, I, 2646 e in Dir. fall., 2004, II, 231, con nota di Ziino, Inadempimento della promessa di mutuo e tutela del promissario mutuatario.

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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni



LEGISLAZIONE

Il sistema europeo di vigilanza finanziaria A seguito della crisi finanziaria gli organi comunitari hanno avviato la costituzione del sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF), articolato sul Comitato europeo per il rischio sistemico (ESRB) e su tre Autorità di vigilanza, rispettivamente per il settore bancario (EBA), per il settore finanziario (ESMA), per il settore delle assicurazioni e dei fondi pensione (EIOPA). Pubblichiamo qui il regolamento istitutivo dell’EBA (quelli istitutivi dell’ESMA e dell’EIOPA sono pressoché identici) [nota redazionale] Regolamento 24 novembre 2010, n. 1093, del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), modifica la decisione n. 716/2009/CE e abroga la decisione 2009/78/CE della Commissione. IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, visto il trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in particolare l’articolo 114, vista la proposta della Commissione europea, visto il parere della Banca centrale europea (1) visto il parere del Comitato economico e sociale europeo (2) deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria (3) considerando quanto segue: La crisi finanziaria del 2007 e del 2008 ha evidenziato una serie di lacune nella vigilanza finanziaria, sia in casi specifici sia in relazione al sistema finanziario nel suo complesso. I modelli di vigilanza nazionali non sono riusciti a stare al passo con la globalizzazione finanziaria e la realtà integrata e intercon-

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GU C 13 del 20.1.2010, pag. 1. Parere del 22 gennaio 2010 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale). 3 Posizione del Parlamento europeo del 22 settembre 2010 (non ancora pubblicata nella Gazzetta ufficiale) e decisione del Consiglio del 17 novembre 2010. 2

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Legislazione

nessa dei mercati finanziari europei, nei quali numerosi istituti finanziari operano a livello transnazionale. La crisi ha evidenziato gravi lacune in materia di cooperazione, coordinamento, applicazione uniforme del diritto dell’Unione e fiducia tra le autorità nazionali di vigilanza. Prima e durante la crisi finanziaria, il Parlamento europeo ha esortato ad adottare un sistema europeo di vigilanza più integrato al fine di assicurare reali condizioni di parità per tutti gli attori al livello dell’Unione e rispecchiare l’integrazione sempre maggiore dei mercati finanziari nell’Unione (risoluzioni del 13 aprile 2000 sulla comunicazione della Commissione “Messa in atto del quadro di azione per i servizi finanziari: piano d’azione” (4), del 21 novembre 2002 sulle norme di vigilanza prudenziale nell’Unione europea (5), dell’11 luglio 2007 sulla politica dei servizi finanziari per il periodo 2005-2010 – Libro bianco (6), del 23 settembre 2008 recante raccomandazioni alla Commissione sui fondi speculativi e i fondi d’investimento privati (private equity) (7) e del 9 ottobre 2008 recante raccomandazioni alla Commissione sul seguito della procedura Lamfalussy: futura struttura della vigilanza (8), nonché posizioni del 22 aprile 2009 sulla proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’accesso alle attività di assicurazione e di riassicurazione e al loro esercizio (Solvibilità II) (9) e del 23 aprile 2009 sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle agenzie di rating del credito (10). Nel novembre 2008, la Commissione ha incaricato un gruppo di esperti ad alto livello, presieduto da Jacques de Larosière, di formulare raccomandazioni su come rafforzare i meccanismi europei di vigilanza per meglio proteggere i cittadini e ripristinare la fiducia nel sistema finanziario. Nella relazione finale presentata il 25 febbraio 2009 (la “relazione de Larosière”), il gruppo di esperti ad alto livello ha raccomandato che il quadro di vigilanza fosse rafforzato per ridurre il rischio e la gravità di crisi finanziarie future. Il gruppo ha raccomandato riforme della struttura della vigilanza del settore finanziario nell’Unione. Ha inoltre consigliato di creare un Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria, comprendente tre autorità europee di vigilanza, una per il settore bancario, una per il settore degli strumenti finanziari e una per il settore delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali, e ha raccomandato la creazione di un Consiglio europeo per il rischio sistemico. La relazione ha elencato le riforme che gli esperti ritenevano necessarie e sulle quali occorreva avviare i lavori con la massima urgenza.

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GU C 40 del 7.2.2001, pag. 453. GU C 25 E del 29.1.2004, pag. 394. 6 GU C 175 E del 10.7.2008, pag. 392. 7 GU C 8 E del 14.1.2010, pag. 26. 8 GU C 9 E del 15.1.2010, pag. 48. 9 GU C 184 E dell’8.7.2010, pag. 214. 10 GU C 184 E dell’8.7.2010, pag. 292. 5

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Il sistema europeo di vigilanza finanziaria

Nella comunicazione del 4 marzo 2009 dal titolo “Guidare la ripresa in Europa”, la Commissione ha proposto di presentare un progetto legislativo mirante a istituire un Sistema europeo di vigilanza finanziaria e un Comitato europeo per il rischio sistemico. Nella comunicazione del 27 maggio 2009 dal titolo “Vigilanza finanziaria europea” ha fornito maggiori dettagli sulla possibile struttura di questo nuovo quadro di vigilanza, sulla base degli elementi principali contenuti nella relazione de Larosière. Nelle conclusioni del 19 giugno 2009, il Consiglio europeo ha confermato la necessità di istituire un Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria comprendente tre nuove autorità europee di vigilanza. Occorre che il sistema consenta di accrescere la qualità e l’uniformità della vigilanza nazionale, rafforzando la vigilanza dei gruppi transfrontalieri e creando un corpus unico di norme applicabile a tutti gli istituti finanziari nel mercato interno. Esso ha insistito sulla necessità che le autorità europee di vigilanza dispongano di poteri di vigilanza anche in relazione alle agenzie di rating del credito e ha invitato la Commissione a preparare proposte concrete riguardanti le modalità secondo le quali il Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria potrebbe svolgere un ruolo forte nelle situazioni di crisi, sottolineando, allo stesso tempo, che occorre che le decisioni prese dalle autorità europee di vigilanza non incidano sulle competenze degli Stati membri in materia di bilancio. Il 17 giugno 2010 il Consiglio europeo ha convenuto sulla necessità che “gli Stati membri introducano sistemi di prelievi e tasse a carico degli istituti finanziari per assicurare un’equa ripartizione degli oneri e stabilire incentivi volti a contenere il rischio sistemico. Tali prelievi o tasse dovrebbero essere parte di un quadro di risoluzione credibile. Occorre proseguire con urgenza i lavori sulle loro caratteristiche principali e valutare con attenzione le questioni relative a condizioni di parità e agli impatti cumulativi delle varie misure regolamentari”. La crisi finanziaria ed economica ha creato rischi seri e reali per la stabilità del sistema finanziario e per il funzionamento del mercato interno. Il ripristino e il mantenimento di un sistema finanziario stabile e affidabile è un prerequisito essenziale per rinsaldare la fiducia e la coerenza nel mercato interno e per preservare e migliorare in tal modo le condizioni necessarie per la creazione di un mercato interno pienamente integrato e funzionante nel settore dei servizi finanziari. Inoltre, mercati finanziari più profondi e integrati offrono opportunità migliori per i finanziamenti e la diversificazione del rischio e, pertanto, contribuiscono a migliorare la capacità delle economie di assorbire gli shock. L’Unione ha raggiunto il massimo di quanto poteva essere ottenuto con l’attuale sistema dei comitati delle autorità europee di vigilanza. L’Unione non può rimanere in una situazione in cui non esistono meccanismi che garantiscano che le autorità nazionali di vigilanza prendano le migliori decisioni possibili in materia di vigilanza degli istituti finanziari transfrontalieri, in cui la cooperazione e lo scambio di informazioni tra le autorità nazionali di vigilanza sono insufficienti, in cui un’azione comune delle autorità nazionali impone meccanismi complessi per tenere conto del mosaico di requisiti in materia di regolamentazione e di vigilanza, in cui le soluzioni nazionali sono molto spesso

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Legislazione

l’unica opzione possibile per far fronte a problemi a livello dell’Unione e in cui lo stesso testo normativo è oggetto di interpretazioni divergenti. Occorre che il nuovo Sistema europeo di vigilanza finanziaria (in prosieguo: il “SEVIF”) sia concepito in modo da colmare queste lacune e da creare un sistema in linea con l’obiettivo di un mercato finanziario stabile e unico per i servizi finanziari nell’Unione, che colleghi le autorità nazionali di vigilanza all’interno di una robusta rete dell’Unione. Occorre che il SEVIF sia costituito da una rete integrata di autorità di vigilanza nazionali e dell’Unione, in cui la vigi­lanza corrente continui a essere esercitata a livello nazionale. Occorre anche armonizzare maggiormente le norme che disciplinano gli istituti e i mercati finanziari nell’Unione e garantirne l’applicazione uniforme. Oltre all’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea) (in prosieguo: l’“Autorità”), occorre istituire un’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) e un’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), nonché un comitato congiunto delle autorità europee di vigilanza (in prosieguo: il “comitato congiunto”). Dovrebbe far parte del SEVIF un Comitato europeo per il rischio sistemico (in prosieguo: il “CERS”) ai fini dei compiti specificati nel presente regolamento e nel regolamento (UE) n. 1092/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio (11). Occorre che le autorità europee di vigilanza (in prosieguo, collettivamente: le “AEV”) sostituiscano il comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria, istituito con decisione 2009/78/CE della Commissione (12), il comitato delle autorità europee di vigilanza delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali, istituito con decisione 2009/79/CE della Commissione (13), e il comitato delle autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari, istituito con decisione 2009/77/CE della Commissione (14), e assumano tutti i compiti e tutte le competenze di questi comitati, incluso il proseguimento dei lavori e dei progetti in corso, se del caso. Occorre definire chiaramente il campo di azione di ogni autorità europea di vigilanza. Le AEV dovrebbero rispondere al Parlamento europeo e al Consiglio. Laddove tale responsabilità riguardi questioni intersettoriali che sono state coordinate mediante il comitato congiunto, le AEV dovrebbero essere responsabili, tramite il comitato congiunto, di tale coordinamento. Occorre che l’Autorità operi per migliorare il funzionamento del mercato interno, in particolare assicurando un livello di regolamentazione e di vigilanza elevato, efficace e uniforme, tenuto conto degli interessi diversi di tutti gli Stati membri e della natura diversa degli istituti finanziari. L’Autorità dovrebbe tutelare i valori di pubblico interesse quali la stabilità del sistema finanziario, la

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Cfr. pagina 1 della presente Gazzetta ufficiale. GU L 25 del 29.1.2009, pag. 23. 13 GU L 25 del 29.1.2009, pag. 28. 14 GU L 25 del 29.1.2009, pag. 18. 12

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Il sistema europeo di vigilanza finanziaria

trasparenza dei mercati e dei prodotti finanziari e la tutela dei depositanti e degli investitori. L’Autorità dovrebbe altresì prevenire l’arbitraggio regolamentare e garantire condizioni di parità, nonché rafforzare il coordinamento internazionale della vigilanza, nell’interesse dell’economia nel suo complesso, compresi gli istituti finanziari e le altre parti interessate, i consumatori e i dipendenti. Tra i suoi compiti dovrebbe esservi anche quello di promuovere la convergenza in materia di vigilanza e fornire consulenza alle istituzioni dell’Unione nei settori della regolamentazione e della vigilanza dell’attività bancaria, dei pagamenti e della moneta elettronica e nelle materie ad esso connesse della governance, della revisione contabile e dell’informativa finanziaria. Occorre altresì che all’Autorità siano affidate talune responsabilità per le attività finanziarie esistenti e nuove. È opportuno, inoltre, che l’Autorità possa proibire o limitare temporaneamente talune attività finanziarie che mettono a repentaglio il corretto funzionamento e l’integrità dei mercati finanziari o la stabilità generale o parziale del sistema finanziario dell’Unione nei casi specificati e alle condizioni previste negli atti legislativi di cui al presente regolamento. Ove le venisse richiesto di operare tale proibizione temporanea in caso di situazione di emergenza, l’Autorità dovrebbe agire in conformità e a norma delle condizioni di cui al presente regolamento. Nei casi in cui un divieto o una limitazione temporanei di talune attività finanziarie abbiano un impatto intersettoriale, la normativa di settore dovrebbe prevedere che l’Autorità si consulti e coordini la sua azione, se del caso, con l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) e con l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) tramite il comitato congiunto. L’Autorità dovrebbe tenere debitamente conto dell’impatto delle sue attività sulla concorrenza e sull’innovazione nel mercato interno, sulla competitività globale dell’Unione, sull’inclusione finanziaria e sulla nuova strategia dell’Unione per la crescita e l’occupazione. Per conseguire i suoi obiettivi, l’Autorità dovrebbe essere dotata di personalità giuridica e di autonomia amministrativa e finanziaria. Sulla scorta dei lavori degli organismi internazionali, il rischio sistemico dovrebbe essere definito come un rischio di perturbazione, all’interno del sistema finanziario, potenzialmente in grado di produrre conseguenze negative gravi per il mercato interno e l’economia reale. In una certa misura, tutti i tipi di intermediari, infrastrutture e mercati finanziari possono rivestire un’importanza potenzialmente sistemica. Il rischio transfrontaliero comprende tutti i rischi causati da squilibri economici o da fallimenti finanziari in tutta l’Unione o in parti di essa potenzialmente in grado di produrre conseguenze negative significative per le transazioni fra operatori economici di due o più Stati membri, per il funzionamento del mercato interno o per le finanze pubbliche dell’Unione europea o di uno dei suoi Stati membri. Nella sentenza 2 maggio 2006, causa C-217/04 (Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord/Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea), la Corte di giustizia dell’Unione europea ha statuito che “nulla nel tenore te-

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Legislazione

stuale dell’articolo 95 CE [attuale articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)] permette di concludere che i provvedimenti adottati dal legislatore comunitario sul fondamento di tale disposizione debbano limitarsi, quanto ai loro destinatari, ai soli Stati membri. Può infatti rendersi necessario prevedere, sulla scorta di una valutazione rimessa al detto legislatore, l’istituzione di un organismo comunitario incaricato di contribuire alla realizzazione di un processo di armonizzazione nelle situazioni in cui, per agevolare l’attuazione e l’applicazione uniformi di atti fondati su tale norma, appaia appropriata l’adozione di misure di accompagnamento e di inquadramento non vincolanti” (15). La finalità e i compiti dell’Autorità – assistere le autorità nazionali di vigilanza competenti nell’interpretazione e nell’applicazione uni­formi delle norme dell’Unione e contribuire alla stabilità finanziaria necessaria per l’integrazione finanziaria – sono strettamente legati agli obiettivi dell’acquis dell’Unione sul mercato interno dei servizi finanziari. Pertanto, occorre istituire l’Autorità sulla base dell’articolo 114 TFUE. I seguenti atti legislativi fissano i compiti delle autorità competenti degli Stati membri, tra cui la cooperazione reciproca e con la Commissione: la direttiva 2006/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativa all’accesso all’attività degli enti creditizi e al suo esercizio (16), la direttiva 2006/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, relativa all’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi (17), e la direttiva 94/19/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 1994, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (18). La vigente normativa dell’Unione che disciplina il settore oggetto del presente regolamento comprende altresì la direttiva 2002/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2002, relativa alla vigilanza supplementare sugli enti creditizi, sulle imprese di assicurazione e sulle imprese di investimento appartenenti ad un conglomerato finanziario (19), la direttiva 98/78/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 1998, relativa alla vigilanza supplementare sulle imprese di assicurazione appartenenti ad un gruppo assicurativo (20), il regolamento (CE) n. 1781/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2006, riguardante i dati informativi relativi all’ordinante che accompagnano i trasferimenti di fondi (21), la direttiva 2009/110/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, concernente l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta

15

Raccolta pag. I-3771, punto 44. GU L 177 del 30.6.2006, pag. 1. 17 GU L 177 del 30.6.2006, pag. 201. 18 GU L 135 del 31.5.1994, pag. 5. 19 GU L 35 dell’11.2.2003, pag. 1. 20 GU L 330 del 5.12.1998, pag. 1. 21 GU L 345 dell’8.12.2006, pag. 1. 16

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elettronica (22), nonché le parti pertinenti della direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo (23), della direttiva 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori (24), e della direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno (25). È auspicabile che l’Autorità promuova un approccio uniforme nel settore della garanzia dei depositi, per assicurare condizioni di parità e l’equo trattamento dei depositanti in tutta l’Unione. Dato che i sistemi di garanzia dei depositi sono soggetti alla sorveglianza nel loro Stato membro, piuttosto che ad una vera e propria vigilanza regolamentare, è opportuno che l’Autorità possa esercitare i poteri che le sono attribuiti dal presente regolamento in relazione al sistema di garanzia dei depositi stesso e al suo gestore. Conformemente alla dichiarazione (n. 39) relativa all’articolo 290 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), allegata all’atto finale della Conferenza intergovernativa che ha adottato il trattato di Lisbona, l’elaborazione di norme tecniche di regolamentazione richiede una competenza tecnica in una forma specifica al settore dei servizi finanziari. Occorre consentire all’Autorità di fornire tale competenza anche con riguardo a norme o a parti di norme che non sono basate su progetti di norme tecniche di regolamentazione elaborati dall’Autorità stessa. È necessario introdurre uno strumento efficace per fissare norme tecniche di regolamentazione armonizzate in materia di servizi finanziari, in modo da assicurare, in particolare grazie ad un corpus unico di norme, condizioni di parità e la tutela adeguata dei depositanti, degli investitori e dei consumatori in tutta l’Unione. É efficace e opportuno che l’Autorità, in quanto organismo dotato di competenze tecniche altamente specialistiche, sia incaricata dell’elaborazione, in settori definiti dal diritto dell’Unione, di progetti di norme tecniche di regolamentazione che non comportino scelte politiche. Occorre che la Commissione approvi tali progetti di norme tecniche di regolamentazione mediante atti delegati ai sensi dell’articolo 290 TFUE per conferire loro valore giuridico vincolante. Essi dovrebbero essere modificati soltanto in circostanze molto limitate e straordinarie, dal momento che l’Autorità è l’attore a stretto contatto con i mercati finanziari che ne conosce meglio il funzionamento quotidiano. I progetti di norme tecniche di regolamentazione sarebbero soggetti a modifica qualora si rivelassero incompatibili con il diritto dell’Unione, non

22

GU L 267 GU L 309 24 GU L 271 25 GU L 319 23

del del del del

10.10.2009, pag. 7. 25.11.2005, pag. 15. 9.10.2002, pag. 16. 5.12.2007, pag. 1.

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rispettassero il prin­cipio di proporzionalità o violassero i principi fondamentali del mercato interno dei servizi finanziari san­citi nell’acquis dell’Unione in materia di servizi finanziari. La Commissione dovrebbe modificare il contenuto dei pro­getti di norme tecniche di regolamentazione elaborati dall’Autorità solo previo coordinamento con l’Autorità stessa. Per facilitare e accelerare l’iter di adozione di tali norme, occorre imporre alla Commissione un termine per deliberare sull’approvazione dei progetti di norme tecniche di regolamentazione. Date le competenze tecniche dell’Autorità nei settori di elaborazione delle norme tecniche di regolamentazione, occorre prendere atto dell’intenzione dichiarata dalla Commissione di basarsi, come regola generale, sui progetti di norme tecniche di regolamentazione che l’Autorità le ha sottoposto in vista dell’adozione degli atti delegati corrispondenti. Tuttavia, qualora l’Autorità non presenti un progetto di norma tecnica di regolamentazione entro i termini fissati nel pertinente atto legislativo, occorre assicurare che il risultato dell’esercizio del potere delegato sia effettivamente conseguito e che l’efficienza del processo decisionale sia mantenuta. In tali casi, la Commissione dovrebbe pertanto avere il potere di adottare norme tecniche di regolamentazione in mancanza di un progetto presentato dall’Autorità. La Commissione dovrebbe altresì avere il potere di adottare norme tecniche di attuazione mediante atti di esecuzione ai sensi dell’articolo 291 TFUE. Nei settori non coperti da norme tecniche di regolamentazione o di attuazione, occorre che l’Autorità abbia il potere di formulare orientamenti e raccomandazioni sull’applicazione del diritto dell’Unione. Per garantire la trasparenza e rafforzare il rispetto di tali orientamenti e raccomandazioni da parte delle autorità nazionali di vigilanza, l’Autorità dovrebbe poter pubblicare le motivazioni della mancata osservanza di tali orientamenti e raccomandazioni da parte delle autorità di vigilanza. Assicurare la corretta e integrale applicazione del diritto dell’Unione è un prerequisito essenziale per l’integrità, la trasparenza, l’efficienza e il regolare funzionamento dei mercati finanziari, per la stabilità del sistema finanziario e l’instaurazione di condizioni di concorrenza neutre per gli istituti finanziari dell’Unione. Occorre quindi istituire un meccanismo che permetta all’Autorità di trattare i casi di mancata o errata applicazione del diritto dell’Unione che risultino in una violazione dello stesso. Occorre che detto meccanismo sia applicato nei casi in cui il diritto dell’Unione definisce obblighi chiari e incondizionati. Per permettere una risposta proporzionata nei casi di applicazione errata o insufficiente del diritto dell’Unione, occorre applicare un meccanismo articolato in tre fasi. In primo luogo, l’Autorità dovrebbe avere il potere di condurre indagini sui casi di presunta applicazione errata o insufficiente degli obblighi previsti dal diritto dell’Unione da parte delle autorità nazionali nelle loro pratiche di vigilanza, emanando al termine una raccomandazione. In secondo luogo, qualora l’autorità nazionale competente non segua la raccomandazione, la Commissione dovrebbe avere la facoltà di formulare un parere formale, che tenga conto della raccomandazione dell’Autorità e che imponga all’autorità competente di adottare le misure necessarie per assicurare il rispetto del diritto dell’Unione.

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In terzo luogo, per porre fine a situazioni eccezionali di persistente inerzia dell’autorità competente interessata, l’Autorità dovrebbe avere il potere di adottare, in ultima istanza, decisioni indirizzate a singoli istituti finanziari. Occorre che tale potere sia limitato a casi eccezionali, nei quali un’autorità competente non si conformi al parere formale adottato nei suoi confronti e in cui il diritto dell’Unione sia direttamente applicabile agli istituti finanziari, conformemente a vigenti o futuri regolamenti dell’Unione. Le minacce gravi al regolare funzionamento e all’integrità dei mercati finanziari o alla stabilità del sistema finanziario nell’Unione impongono una risposta rapida e concertata a livello di Unione. Occorre che l’Autorità possa, pertanto, imporre alle autorità nazionali di vigilanza l’adozione di misure specifiche per rimediare ad una situazione di emergenza. Il potere di determinare l’esistenza di una situazione di emergenza dovrebbe essere conferito al Consiglio, su richiesta di una qualsiasi delle AEV, della Commissione o del CERS. Occorre che l’Autorità possa imporre alle autorità nazionali di vigilanza l’adozione di misure specifiche per rimediare ad una situazione di emergenza. Le misure adottate al riguardo dall’Autorità dovrebbero fare salvi i poteri della Commissione di cui all’articolo 258 TFUE di avviare pro­cedure di infrazione avverso lo Stato membro di detta autorità di vigilanza per aver omesso di adottare le misure suddette, nonché il diritto della Commissione di richiedere, in tali circostanze, misure provvisorie conformemente al regolamento di procedura della Corte di giustizia dell’Unione europea. Dovrebbero, inoltre, essere fatte salve eventuali responsabilità dello Stato membro in conformità della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea nel caso in cui le sue autorità di vigilanza omettano di adottare le misure richieste dall’Autorità. Per assicurare una vigilanza efficiente ed efficace ed una considerazione equilibrata delle posizioni delle autorità competenti di Stati membri diversi, occorre che l’Autorità possa risolvere le controversie in situazioni transfrontaliere tra le autorità competenti con valore vincolante, anche nei collegi delle autorità di vigilanza. Occorre prevedere una fase di conciliazione, durante la quale le autorità competenti possano raggiungere un accordo. é opportuno che la competenza dell’Autorità copra le controversie relative alla procedura seguita o al contenuto di una misura adottata da un’autorità competente di uno Stato membro o all’assenza di intervento da parte di quest’ultima nei casi specificati negli atti dell’Unione giuridicamente vincolanti di cui al presente regolamento. In una siffatta situazione, una delle autorità di vigilanza interessate dovrebbe avere la facoltà di sottoporre la questione all’Autorità, che dovrebbe agire in conformità del presente regolamento. L’Autorità dovrebbe avere il potere di prescrivere alle autorità competenti interessate di adottare provvedimenti specifici, o astenersi dal farlo, per risolvere la questione, al fine di assicurare la conformità al diritto dell’Unione, con effetti vincolanti per le autorità competenti interessate. Se un’autorità competente non si conforma alla decisione risolutiva nei suoi confronti, l’Autorità dovrebbe avere il potere di adottare decisioni indirizzate direttamente agli istituti finanziari nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione ad essi direttamente applicabile. Il potere di adottare tali decisioni dovrebbe

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applicarsi solo in ultima istanza e, comunque, solo per garantire la corretta e coerente applicazione del diritto dell’Unione. Nei casi in cui la pertinente normativa dell’Unione attribuisca potere discrezionale alle autorità competenti degli Stati membri, le decisioni adottate dall’Autorità non possono sostituire l’esercizio, conforme al diritto dell’Unione, di tale discrezionalità. La crisi ha dimostrato che l’attuale sistema di cooperazione tra autorità nazionali, le cui competenze sono limitate ai singoli Stati membri, è insufficiente nel caso di istituti finanziari che operano a livello transfrontaliero. I gruppi di esperti istituiti dagli Stati membri per esaminare le cause della crisi e avanzare proposte per migliorare la regolamentazione e la vigilanza del settore finanziario hanno confermato che gli attuali meccanismi non costituiscono una base solida per la regolamentazione e la vigilanza future degli istituti finanziari che operano a livello transfrontaliero attraverso l’Unione. Come indicato nella relazione de Larosière, «in sostanza, abbiamo due alternative: la prima soluzione, all’insegna del “chacun pour soi”, o la seconda, all’insegna di una cooperazione europea migliorata, pragmatica e ragionevole a beneficio di tutti per preservare un’economia mondiale aperta. Quest’ultima soluzione porterà indubbi vantaggi economici». I collegi delle autorità di vigilanza hanno un ruolo importante nella vigilanza efficiente, efficace e uniforme degli istituti finanziari che operano in un contesto transfrontaliero. L’Autorità dovrebbe contribuire a promuovere e a monitorare il funzionamento efficiente, efficace e uniforme dei collegi delle autorità di vigilanza e, al riguardo, dovrebbe svolgere un ruolo guida nell’assicurare il funzionamento uniforme e coerente dei collegi delle autorità di vigilanza per gli istituti finanziari transfrontalieri in tutto il territorio dell’Unione. Occorre, pertanto, che l’Autorità goda di pieni diritti di partecipazione ai collegi delle autorità di vigilanza, al fine di semplificare il funzionamento dei collegi delle autorità di vigilanza e il processo di scambio di informazioni al loro interno, e al fine di promuovere la convergenza e l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione da parte dei collegi. Come rileva la relazione de Larosière, «occorre evitare le distorsioni della concorrenza e l’arbitraggio regolamentare che derivano dall’applicazione di prassi di vigilanza diverse, perché ciò può mettere in pericolo la stabilità finanziaria, ad esempio incentivando il trasferimento dell’attività finanziaria verso paesi con una vigilanza meno rigorosa. Il sistema di vigilanza deve essere visto come giusto ed equilibrato». La convergenza nei settori della prevenzione, della gestione e della risoluzione delle crisi, senza trascurare i meccanismi di finanziamento, è necessaria per garantire l’internalizzazione dei costi da parte del sistema finanziario e la capacità delle autorità pubbliche di risolvere le crisi degli istituti finanziari in fallimento, al tempo stesso riducendo al minimo gli effetti dei fallimenti sul sistema finanziario, il ricorso al denaro dei contribuenti per il salvataggio delle banche e l’uso di risorse del settore pubblico, limitando i danni all’economia e coordinando l’applicazione di misure nazionali di risoluzione delle crisi. In tal senso, è tassativo elaborare un insieme di norme comuni su una serie completa di strumenti di prevenzione e risoluzione delle crisi delle banche in fallimento,

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per affrontare in particolare la crisi di istituti di grandi dimensioni transfrontalieri o collegati, e occorre valutare la necessità di conferire all’Autorità pertinenti poteri supplementari, nonché le modalità con cui le banche e gli istituti di risparmio potrebbero dare priorità alla tutela dei risparmiatori. Nel riesame in corso della direttiva 94/19/CE e della direttiva 97/9/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 marzo 1997, relativa ai sistemi di indennizzo degli investitori (26), si prende atto dell’intenzione della Commissione di prestare particolare attenzione all’esigenza di garantire un’ulteriore armonizzazione in tutta l’Unione. Anche nel settore assicurativo si prende atto dell’intenzione della Commissione di esaminare la possibilità di introdurre a livello di Unione norme di tutela dei titolari di polizze assicurative in caso di fallimento delle compagnie di assicurazione. Le AEV dovrebbero svolgere un ruolo importante in questi settori, e dovrebbero essere conferiti loro adeguati poteri riguardo ai sistemi europei dei sistemi di garanzia. La delega di compiti e responsabilità può essere uno strumento utile nel funzionamento della rete di autorità di vigilanza per ridurre la duplicazione di compiti di vigilanza, per promuovere la cooperazione e, in tal modo, per semplificare il processo di vigilanza e ridurre gli oneri a carico degli istituti finanziari. Occorre pertanto che il presente regolamento crei una base giuridica chiara per questo tipo di delega. Ferma restando la regola generale per cui la delega dovrebbe essere autorizzata, gli Stati membri dovrebbero poter introdurre condizioni specifiche per la delega di responsabilità, ad esempio per quanto concerne l’informazione sulle modalità di delega e la loro notifica. La delega di compiti implica che i compiti siano eseguiti dall’Autorità o da un’autorità nazionale di vigilanza diversa dall’autorità responsabile, pur restando la responsabilità delle decisioni in materia di vigilanza in capo all’autorità delegante. Con la delega di responsabilità, l’Autorità o un’autorità nazionale di vigilanza (il delegato) dovrebbe poter decidere su talune questioni di vigilanza in nome proprio al posto dell’autorità delegante. Le deleghe dovrebbero basarsi sul principio dell’attribuzione delle competenze in materia di vigilanza all’autorità di vigilanza che si trova nella posizione migliore per adottare misure nel caso specifico. La ridistribuzione delle competenze sarebbe opportuna, ad esempio, per ragioni di economie di scala o di scopo, di coerenza nella vigilanza di gruppo e di utilizzo ottimale delle competenze tecniche fra le autorità nazionali di vigilanza. Le decisioni del delegato dovrebbero essere riconosciute dall’autorità delegante e da altre autorità competenti come determinanti se tali decisioni rientrano nell’ambito della delega. La pertinente normativa dell’Unione potrebbe inoltre precisare i principi della ridistribuzione delle competenze mediante accordo. Occorre che l’Autorità faciliti e supervisioni gli accordi di delega tra autorità nazionali di vigilanza con tutti i mezzi idonei. Occorre che essa sia preventivamente informata

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GU L 84 del 26.3.1997, pag. 22.

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degli accordi di delega previsti, così che possa esprimere un parere ove necessario. L’Autorità dovrebbe centralizzare la pubblicazione di tali accordi per assicurare che tutte le parti interessate abbiano accesso facilmente, tempestivamente e in modo trasparente alle informazioni sugli accordi. Dovrebbe infine individuare e diffondere le migliori prassi in materia di delega e accordi di delega. Occorre che l’Autorità promuova attivamente la convergenza della vigilanza in tutta l’Unione per instaurare una cultura comune della vigilanza. Le verifiche inter pares costituiscono uno strumento efficiente ed efficace per favorire la coerenza nell’ambito della rete delle autorità di vigilanza finanziaria. Occorre pertanto che l’Autorità elabori il quadro metodologico di tali verifiche inter pares e le effettui su base regolare. Occorre che la verifica si concentri non soltanto sulla convergenza delle pratiche di vigilanza, ma anche sulla capacità delle autorità di vigilanza di raggiungere risultati di alta qualità in materia di vigilanza, nonché sull’indipendenza di tali autorità competenti. Occorre rendere pubblici i risultati delle verifiche inter pares con il consenso dell’autorità competente sottoposta a verifica. Occorre, inoltre, individuare e rendere pubbliche le migliori prassi. Occorre che l’Autorità promuova attivamente una risposta coordinata a livello dell’Unione in materia di vigilanza, in particolare per garantire il regolare funzionamento e l’integrità dei mercati finanziari e la stabilità del sistema finanziario nell’Unione. Oltre ai suoi poteri di azione in situazioni di emergenza, l’Autorità dovrebbe pertanto essere incaricata del coordinamento generale nell’ambito del SEVIF. Il flusso regolare di tutte le informazioni pertinenti tra le autorità competenti dovrebbe essere oggetto di un’attenzione particolare da parte dell’Autorità. Per salvaguardare la stabilità finanziaria, è necessario individuare, in una fase precoce, le tendenze, i rischi potenziali e le vulnerabilità derivanti dal livello microprudenziale, in un contesto transfrontaliero e intersettoriale. Occorre che l’Autorità sorvegli e valuti queste evoluzioni nel suo settore di competenza e, se necessario, informi il Parlamento europeo, il Consiglio, la Commissione, le altre autorità europee di vigilanza e il CERS periodicamente e, se necessario, in casi specifici. Occorre anche che l’Autorità avvii e coordini, in collaborazione con il CERS, le prove di stress su scala dell’Unione per valutare la resilienza degli istituti finanziari a evoluzioni negative dei mercati e assicuri che a livello nazionale sia applicata la metodologia più uniforme possibile per tali prove. Al fine di assolvere correttamente alle proprie funzioni, occorre che l’Autorità effettui analisi economiche dei mercati e dell’impatto dell’andamento potenziale del mercato. Data la globalizzazione dei servizi finanziari e l’accresciuta importanza degli standard internazionali, occorre che l’Autorità promuova il dialogo e la cooperazione con le autorità di vigilanza al di fuori dell’Unione. Essa dovrebbe essere abilitata a stabilire contatti e concludere accordi amministrativi con le autorità di vigilanza e le amministrazioni di paesi terzi, nonché con organizzazioni internazionali, nel pieno rispetto delle funzioni esistenti e delle rispettive competenze degli Stati membri e delle istituzioni dell’Unione. La partecipazione ai lavori dell’Autorità dovrebbe essere aperta ai paesi che hanno concluso con l’Unione

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accordi in base ai quali hanno adottato, e applicano, il diritto dell’Unione e l’Autorità dovrebbe poter cooperare con i paesi terzi che applicano una normativa che è stata riconosciuta come equivalente a quella dell’Unione. Occorre che l’Autorità operi come organismo consultivo indipendente del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione nel settore di sua competenza. Fatte salve le competenze delle autorità interessate, l’Autorità dovrebbe essere in grado di esprimere un parere sulla valutazione prudenziale di fusioni e acquisizioni che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2006/48/CE, quale modificata dalla direttiva 2007/44/CE (27), nei casi in cui tale direttiva esiga consultazioni tra autorità competenti di due o più Stati membri. Per svolgere efficacemente i suoi compiti, occorre che l’Autorità abbia il diritto di chiedere tutte le informazioni necessarie. Per evitare duplicazioni degli obblighi di informativa a carico degli istituti finanziari, occorre che tali informazioni siano fornite, di norma, dalle autorità nazionali di vigilanza più vicine ai mercati e agli istituti finanziari e che tengano conto delle statistiche disponibili. Tuttavia, in ultima istanza, occorre che l’Autorità possa rivolgere una richiesta di informazioni debitamente giustificata e motivata direttamente all’istituto finanziario qualora un’autorità competente nazionale non fornisca, o non possa fornire, dette informazioni tempestivamente. Occorre che le autorità degli Stati membri siano tenute a prestare assistenza all’Autorità nel far rispettare queste richieste dirette. In tale contesto, è essenziale lavorare alla messa a punto di modelli comuni di informativa. Le misure per la raccolta di informazioni dovrebbero far salvo il quadro giuridico del Sistema statistico europeo e del Sistema europeo di banche centrali nel settore statistico. Il presente regolamento dovrebbe pertanto far salvi sia il regolamento (CE) n. 223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2009, relativo alle statistiche europee (28), sia il regolamento (CE) n. 2533/98 del Consiglio, del 23 novembre 1998, sulla raccolta di informazioni statistiche da parte della Banca centrale europea (29). Una stretta cooperazione tra l’Autorità e il CERS è essenziale per rendere pienamente efficace il funzionamento del CERS e garantire il seguito alle sue segnalazioni e alle sue raccomandazioni. Occorre che l’Autorità e il CERS condividano ogni informazione pertinente. Occorre che i dati relativi ad una singola impresa siano trasmessi soltanto su domanda motivata. Quando riceve segnalazioni o raccomandazioni indirizzate dal CERS all’Autorità o ad un’au-

27 Direttiva 2007/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007, che modifica la direttiva 92/49/CEE del Consiglio e le direttive 2002/83/CE, 2004/39/CE, 2005/68/CE e 2006/48/CE perquanto riguarda le regole procedurali e i criteri per la valutazione pru­denziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario (GU L 247 del 21.9.2007, pag. 1). 28 GU L 87 del 31.3.2009, pag. 164. 29 GU L 318 del 27.11.1998, pag. 8.

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torità nazionale di vigilanza, l’Autorità dovrebbe assicurare che vi venga dato seguito, se del caso. Occorre che l’Autorità consulti le parti interessate in merito alle norme tecniche di regolamentazione o di attuazione, agli orientamenti e alle raccomandazioni e dia loro una ragionevole possibilità di formulare osservazioni sulle misure proposte. Prima di adottare progetti di norme tecniche di regolamentazione o di attuazione, orientamenti e raccomandazioni, l’Autorità dovrebbe procedere a un’analisi di impatto. Per ragioni di efficacia, occorre ricorrere a tale scopo a un gruppo delle parti interessate nel settore bancario, che rappresenti in modo proporzionato gli enti creditizi e le imprese di investimento dell’Unione, rappresentando le varie tipologie e dimensioni di imprese ed istituti finanziari, tra cui, se necessario, gli investitori istituzionali e altri istituti finanziari che siano essi stessi utenti di servizi finanziari, le piccole e medie imprese (PMI), i sindacati, il mondo accademico, i consumatori e altri utenti al dettaglio dei servizi bancari. Occorre che il gruppo delle parti interessate nel settore bancario svolga un ruolo di interfaccia con altri gruppi di utenti nel settore dei servizi finanziari istituiti dalla Commissione o dalla normativa dell’Unione. Ai membri del gruppo delle parti interessate nel settore bancario che rappresentano organizzazioni senza scopo di lucro o il mondo accademico dovrebbe essere corrisposto un rimborso adeguato al fine di consentire a persone che non dispongono di finanziamenti né rappresentano le imprese del settore di partecipare pienamente al dibattito sulla normativa finanziaria. Gli Stati membri hanno una responsabilità essenziale nel garantire una gestione coordinata delle crisi e nell’assicurare il mantenimento della stabilità finanziaria in situazioni di crisi, in particolare per quanto riguarda la stabilizzazione e la risoluzione delle crisi di singoli istituti finanziari in fallimento. Occorre che le decisioni adottate dall’Autorità in situazioni di emergenza o per risolvere controversie che influiscono sulla stabilità di un istituto finanziario non incidano sulle competenze degli Stati membri in materia di bilancio. Occorre istituire un meccanismo che permetta agli Stati membri di invocare questa salvaguardia e di rivolgersi in ultima istanza al Consiglio perché decida sulla questione. Non si dovrebbe, tuttavia, abusare di tale meccanismo di salvaguardia, specialmente in rapporto ad una decisione adottata dall’Autorità che sia priva di effetti significativi o concreti sotto il profilo del bilancio, quali una riduzione dei ricavi legata al divieto temporaneo di attività o prodotti specifici ai fini della protezione dei consumatori. Quando decide ai sensi del meccanismo di salvaguardia, il Consiglio dovrebbe votare secondo il principio di un voto per membro. é opportuno conferire al Consiglio un ruolo in materia, date le competenze specifiche degli Stati membri a tale riguardo. Stante la delicatezza della questione, dovrebbero essere previste disposizioni rigorose in materia di riservatezza. Nelle sue procedure decisionali, occorre che l’Autorità sia soggetta alle norme e ai principi generali dell’Unione in materia di giusto processo e di trasparenza. Occorre rispettare pienamente il diritto dei destinatari delle decisioni dell’Autorità ad essere ascoltati. Gli atti dell’Autorità dovrebbero formare parte integrante del diritto dell’Unione.

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Occorre che il principale organo decisionale dell’Autorità sia un consiglio delle autorità di vigilanza, composto dai capi delle pertinenti autorità competenti di ogni Stato membro e presieduto dal presidente dell’Autorità. Rappresentanti della Commissione, del CERS, della Banca centrale europea, dell’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) e dell’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) dovrebbero poter partecipare in qualità di osservatori. Occorre che i membri del consiglio delle autorità di vigilanza agiscano in modo indipendente ed esclusivamente nell’interesse dell’Unione. Come regola generale, il consiglio delle autorità di vigilanza dovrebbe adottare le decisioni a maggioranza semplice secondo il principio di un voto per membro. Tuttavia, per gli atti di natura generale, tra i quali quelli legati alle norme tecniche di regolamentazione e di attuazione, agli orientamenti e alle raccomandazioni, per le questioni relative al bilancio, nonché qualora uno Stato membro chieda all’Autorità di riconsiderare una decisione di proibire o limitare temporaneamente talune attività finanziarie, è opportuno applicare le norme in materia di voto a maggioranza qualificata di cui all’articolo 16, paragrafo 4, del trattato sull’Unione europea e al protocollo (n. 36) sulle disposizioni transitorie allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato sul funzionamento dell’Unione europea. I casi di risoluzione delle controversie tra autorità nazionali di vigilanza dovrebbero essere esaminati da un gruppo ristretto ed imparziale di esperti, composto di membri che non sono rappresentanti delle autorità competenti coinvolte nella controversia né hanno interessi nel conflitto o legami diretti con l’autorità competente interessata. La composizione del gruppo dovrebbe essere adeguatamente equilibrata. La decisione presa dal gruppo dovrebbe essere approvata dal consiglio delle autorità di vigilanza a maggioranza semplice secondo il principio di un voto per membro. Tuttavia, per quanto riguarda le decisioni adottate dall’autorità di vigilanza su base consolidata, la decisione proposta dal gruppo potrebbe essere respinta da membri che rappresentino una minoranza di blocco quale definita all’articolo 16, paragrafo 4, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e all’articolo 3 del protocollo (n. 36) sulle disposizioni transitorie. Il consiglio di amministrazione, composto dal presidente dell’Autorità, da rappresentanti delle autorità nazionali di vigilanza e della Commissione, dovrebbe assicurare che l’Autorità compia la sua missione ed esegua i compiti che le sono affidati. Occorre che il consiglio di amministrazione sia dotato dei poteri necessari, in particolare, per proporre i programmi di lavoro annuali e pluriennali, esercitare alcune competenze di bilancio, adottare il piano dell’Autorità in materia di politica del personale, adottare alcune disposizioni speciali riguardanti il diritto di accesso ai documenti e proporre la relazione annuale. Occorre che l’Autorità sia rappresentata da un presidente a tempo pieno, nominato dal consiglio delle autorità di vigilanza in base ai meriti, alle competenze, alla conoscenza degli istituti e dei mercati finanziari, nonché all’esperienza in materia di vigilanza e di regolamentazione finanziaria, a seguito di una

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procedura di selezione aperta organizzata e gestita dal consiglio delle autorità di vigilanza assistito dalla Commissione. Per la designazione del primo presidente dell’Autorità, la Commissione dovrebbe, in particolare, redigere un elenco ristretto di candidati in base ai meriti, alle competenze, alla conoscenza degli istituti e dei mercati finanziari e all’esperienza in materia di vigilanza e di regolamentazione finanziaria. Per le designazioni succes­sive, la possibilità di avere un elenco ristretto di candidati preparato dalla Commissione dovrebbe essere riesaminata in una relazione elaborata ai sensi del presente regolamento. Prima che la persona selezionata assuma le proprie funzioni, e fino a un mese dopo la sua selezione da parte del consiglio delle autorità di vigilanza, il Parlamento europeo dovrebbe avere la facoltà, dopo aver ascoltato la persona selezionata, di opporsi alla sua designazione. Occorre che la gestione dell’Autorità sia affidata ad un direttore esecutivo, che abbia il diritto di partecipare, senza diritto di voto, alle riunioni del consiglio delle autorità di vigilanza e del consiglio di amministrazione. Per garantire la coerenza intersettoriale delle loro attività, occorre che le AEV si coordinino strettamente attraverso un comitato congiunto ed elaborino posizioni comuni, se del caso. Occorre che il comitato congiunto coordini le funzioni delle AEV in relazione ai conglomerati finanziari e ad altre questioni intersettoriali. Se del caso, occorre che gli atti che dipendono anche dal settore di competenza dell’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) o dell’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) siano adottati in parallelo dalle autorità europee di vigilanza interessate. I presidenti delle AEV dovrebbero avvicendarsi a rotazione annuale alla presidenza del comitato congiunto. Il presidente del comitato congiunto dovrebbe essere un vicepresidente del CERS. Il comitato congiunto dovrebbe disporre di apposito personale fornito dalle AEV, onde consentire uno scambio informale di informazioni e la definizione di una cultura comune della vigilanza tra le AEV. È necessario assicurare che le parti interessate dalle decisioni dell’Autorità possano esperire idonee vie di ricorso. Per tutelare efficacemente i diritti delle parti e per ragioni di semplificazione delle procedure, occorre che le parti possano far ricorso dinanzi ad una commissione di ricorso nei casi in cui l’Autorità dispone di poteri di decisione. Per ragioni di efficacia e di uniformità, occorre che la commissione di ricorso sia un organismo congiunto delle AEV, indipendente dalle loro strutture amministrative e regolamentari. Le decisioni della commissione di ricorso dovrebbero essere impugnabili dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Per garantirne la completa autonomia e indipendenza, occorre che l’Autorità sia dotata di un bilancio autonomo, con entrate provenienti principalmente da contributi obbligatori delle autorità nazionali di vigilanza e dal bilancio generale dell’Unione europea. Il finanziamento dell’Autorità da parte dell’Unione è subordinato all’accordo dell’autorità di bilancio, in conformità del punto 47 dell’accordo interistituzionale del 17 maggio 2006 tra il Parlamento europeo,

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il Consiglio e la Commissione sulla disciplina di bilancio e la sana gestione finanziaria (30). Occorre che si applichi la procedura di bilancio dell’Unione. La revisione contabile dovrebbe essere effettuata dalla Corte dei conti. L’intero bilancio è soggetto alla procedura di discarico. Occorre che all’Autorità si applichi il regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, relativo alle indagini svolte dall’Ufficio per la lotta antifrode (OLAF) (31). Occorre che l’Autorità aderisca anche all’accordo interistituzionale del 25 maggio 1999 tra il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione delle Comunità europee relativo alle inchieste interne svolte dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) (32). Per assicurare condizioni di lavoro aperte e trasparenti, e il pari trattamento del personale, occorre che al personale dell’Autorità si applichino lo statuto dei funzionari delle Comunità europee e il regime applicabile agli altri agenti di tali Comunità (33). È essenziale proteggere i segreti commerciali e le altre informazioni riservate. La riservatezza delle informazioni messe a disposizione dell’Autorità e scambiate in seno alla rete dovrebbe essere soggetta a norme rigorose ed efficaci. La direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (34), e il regolamento (CE) n. 45/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2000, concernente la tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni e degli organismi comunitari, nonché la libera circolazione di tali dati (35), si applicano piena­mente al trattamento dei dati personali ai fini del presente regolamento. Per assicurare la trasparenza del funzionamento dell’Autorità, occorre che a questa si applichi il regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (36). Occorre consentire la partecipazione di paesi terzi all’attività dell’Autorità sulla base di opportuni accordi che dovranno essere conclusi dall’Unione. Poiché gli obiettivi del presente regolamento, vale a dire migliorare il funzionamento del mercato interno assicurando un livello elevato, efficace e uniforme della regolamentazione e della vigilanza prudenziale, proteggere i depositanti

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GU C 139 del 14.6.2006, pag. 1. GU L 136 del 31.5.1999, pag. 1. 32 GU L 136 del 31.5.1999, pag. 15. 33 GU L 56 del 4.3.1968, pag. 1. 34 GU L 281 del 23.11.95, pag. 31. 35 GU L 8 del 12.1.2001, pag. 1. 36 GU L 145 del 31.5.2001, pag. 43. 31

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e gli investitori, garantire l’integrità, l’efficienza e il regolare funzionamento dei mercati finanziari, mantenere la stabilità del sistema finanziario e rafforzare il coordinamento internazionale in materia di vigilanza, non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri e possono dunque, a motivo della portata dell’azione, essere conseguiti meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea. Il presente regolamento si limita a quanto è necessario per conseguire tali obiettivi, in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo. L’Autorità dovrebbe assumere tutti i compiti e i poteri attuali del comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria. Occorre pertanto abrogare la decisione 2009/78/CE della Commissione a decorrere dalla data dell’istituzione dell’Autorità e modificare, di conseguenza, la decisione n. 716/2009/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, che istituisce un programma comunitario a sostegno di attività specifiche nel campo dei servizi finanziari, dell’informativa finanziaria e della revisione contabile (37). Considerate le strutture e le operazioni del comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria, è importante assicurare una stretta collaborazione tra il comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria e la Commissione nello stabilire le opportune disposizioni transitorie, per assicurare che sia limitato il più possibile il periodo durante il quale la Commissione è responsabile dell’istituzione amministrativa e del funzionamento amministrativo iniziale dell’Autorità. È opportuno fissare un termine per l’applicazione del presente regolamento, al fine di assicurare che l’Autorità sia adeguatamente preparata a iniziare la sua attività e di facilitare la transizione dal comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria. L’Autorità dovrebbe essere finanziata in modo adeguato. Almeno inizialmente dovrebbe essere finanziata per il 40% con fondi dell’Unione e per il 60% con contributi degli Stati membri, conformemente alla ponderazione dei voti di cui all’articolo 3, paragrafo 3, del protocollo (n. 36) sulle disposizioni transitorie. Affinché l’Autorità possa essere istituita il 1o gennaio 2011, il presente regolamento dovrebbe entrare in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, HANNO ADOTTATO IL PRESENTE REGOLAMENTO:

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GU L 253 del 25.9.2009, pag. 8.


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CAPO I ISTITUZIONE E STATUS GIURIDICO Articolo 1 Istituzione e ambito di intervento 1. Il presente regolamento istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea) (in prosieguo l’«Autorità»). 2. L’Autorità opera nel quadro dei poteri conferiti dal presente regolamento e nell’ambito di applicazione delle direttive 2006/48/CE, 2006/49/CE e 2002/87/ CE, del regolamento (CE) n. 1781/2006, della direttiva 94/19/CE e delle parti pertinenti delle direttive 2005/60/CE, 2002/65/CE, 2007/64/CE e 2009/110/CE nella misura in cui tali atti si applicano agli enti creditizi e agli istituti finanziari e alle relative autorità di vigilanza competenti, nonché delle direttive, dei regolamenti e delle decisioni basati sui predetti atti e di ogni altro atto giuridicamente vincolante dell’Unione che attribuisca compiti all’Autorità. 3. L’Autorità opera altresì nel settore di attività degli enti creditizi, dei conglomerati finanziari, delle imprese di investimento, degli istituti di pagamento e degli istituti di moneta elettronica, in relazione a questioni non direttamente contemplate negli atti di cui al paragrafo 2, incluse le questioni relative alla governance, alla revisione contabile e all’informativa finanziaria, purché tali azioni dell’Autorità siano necessarie per assicurare l’applicazione effettiva e coerente di tali atti. 4. Le disposizioni del presente regolamento fanno salve le competenze attribuite alla Commissione, in particolare ai sensi dell’articolo 258 TFUE, al fine di assicurare il rispetto del diritto dell’Unione. 5. L’obiettivo dell’Autorità proteggere l’interesse pubblico contribuendo alla stabilità e all’efficacia a breve, medio e lungo termine del sistema finanziario, a beneficio dell’economia dell’Unione, dei suoi cittadini e delle sue imprese. L’Autorità contribuisce a: a) migliorare il funzionamento del mercato interno, con particolare riguardo a un livello di regolamentazione e di vigilanza valido, efficace e uniforme; b) garantire l’integrità, la trasparenza, l’efficienza e il regolare funzionamento dei mercati finanziari; c) rafforzare il coordinamento internazionale in materia di vigilanza; d) impedire l’arbitraggio regolamentare e promuovere pari condizioni di concorrenza; e) assicurare che il rischio di credito e altri rischi siano adeguatamente regolamentati e oggetto di opportuna vigilanza, e f) aumentare la protezione dei consumatori.

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A tali fini, l’Autorità contribuisce ad assicurare l’applicazione uniforme, efficiente ed efficace degli atti di cui al paragrafo 2, favorisce la convergenza in materia di vigilanza, fornisce pareri al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione ed effettua analisi economiche dei mercati per promuovere il raggiungimento degli obiettivi dell’Autorità. Nell’esecuzione dei compiti conferitile dal presente regolamento, l’Autorità presta una speciale attenzione a qualsiasi rischio sistemico posto dagli istituti finanziari il cui fallimento è suscettibile di pregiudicare il funzionamento del sistema finanziario o dell’economia reale. Nello svolgimento dei suoi compiti, l’Autorità agisce in maniera indipendente e obiettiva nell’interesse esclusivo dell’Unione.

Articolo 2 Sistema europeo di vigilanza finanziaria 1. L’Autorità fa parte del Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF). Lo scopo principale del SEVIF è garantire che le norme applicabili al settore finanziario siano attuate in modo adeguato per preservare la stabilità finanziaria, creare fiducia nell’intero sistema finanziario e assicurare una sufficiente protezione dei consumatori di servizi finanziari. 2. Il SEVIF comprende: a) il Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS), ai fini dei compiti specificati nel regolamento (UE) n. 1092/2010 e nel presente regolamento; b) l’Autorità; c) l’Autorità europea di vigilanza (Autorità delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali), istituita con regola­mento (UE) n. 1094/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio; d) l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), istituita con regolamento (UE) n. 1095/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio; e) il comitato congiunto delle autorità europee di vigilanza (“comitato congiunto”), ai fini dello svolgimento dei compiti specificati agli articoli da 54 a 57 del presente regolamento, del regolamento (UE) n. 1094/2010 e del regolamento (UE) n. 1095/2010; f) le autorità competenti o di vigilanza degli Stati membri spe­cificate negli atti dell’Unione di cui all’articolo 1, paragrafo 2, del presente regolamento, del regolamento (UE) n. 1094/2010 e del regolamento (UE) n. 1095/2010. 3. L’Autorità collabora regolarmente e strettamente con il CERS, così come con l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) e l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) attraverso il comitato congiunto, assicurando la coerenza intersettoriale delle attività e raggiungendo posizioni

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comuni nel settore della vigilanza dei conglomerati finanziari e su altre questioni intersettoriali. 4. In virtù del principio di leale cooperazione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, del trattato sull’Unione europea, le parti del SEVIF cooperano con fiducia e pieno rispetto reciproco, in parti­colare garantendo lo scambio reciproco di informazioni utili e affidabili. 5. Le autorità di vigilanza che sono parti del SEVIF sono tenute ad esercitare la vigilanza sugli istituti finanziari che operano nell’Unione conformemente agli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2. Articolo 3 Responsabilità delle Autorità Le Autorità di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettere da a) a d), sono responsabili dinanzi al Parlamento europeo e al Consiglio. Articolo 4 Definizioni Ai fini del presente regolamento si intende per: 1) «istituti finanziari»: gli «enti creditizi» quali definiti all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2006/48/CE, le «imprese di investimento» quali definite all’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/49/CE e i «conglomerati finanziari» quali definiti all’articolo 2, paragrafo 14, della direttiva 2002/87/CE, salvo che, in relazione alla direttiva 2005/60/CE, per «istituti finanziari» si intendono gli enti creditizi e gli enti finanziari quali definiti all’articolo 3, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva; 2) «autorità competenti»: i) le autorità competenti quali definite nelle direttive 2006/48/CE, 2006/49/ CE e 2007/64/CE e di cui alla direttiva 2009/110/CE; ii) in relazione alle direttive 2002/65/CE e 2005/60/CE, le autorità competenti ad assicurare l’osservanza dei requisiti di dette direttive da parte degli enti creditizi e degli istituti finanziari, e iii) in relazione ai sistemi di garanzia dei depositi, gli organismi incaricati della gestione di tali sistemi conformemente alla direttiva 94/19/CE o, qualora il funzionamento del sistema di garanzia dei depositi sia gestito da una società privata, l’autorità pubblica che vigila su tali sistemi, ai sensi di tale direttiva.

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Articolo 5 Status giuridico 1. L’Autorità è un organismo dell’Unione dotato di personalità giuridica. 2. L’Autorità gode, in ciascuno Stato membro, della più ampia capacità giuridica riconosciuta alle persone giuridiche dall’ordinamento giuridico nazionale. In particolare, può acquistare o alienare beni mobili e immobili e stare in giudizio. 3. L’Autorità è rappresentata dal presidente. Articolo 6 Composizione L’Autorità è composta da: 1) un consiglio delle autorità di vigilanza, che svolge i compiti di cui all’articolo 43; 2) un consiglio di amministrazione, che svolge i compiti di cui all’articolo 47; 3) un presidente, che svolge i compiti di cui all’articolo 48; 4) un direttore esecutivo, che svolge i compiti di cui all’articolo 53; 5) una commissione di ricorso, che svolge i compiti di cui all’articolo 60. Articolo 7 Sede L’Autorità ha sede a Londra.

CAPO II COMPITI E POTERI DELL’AUTORITÀ Articolo 8 Compiti e poteri dell’Autorità 1. L’Autorità svolge i seguenti compiti: a) contribuisce all’elaborazione di norme e prassi comuni di regolamentazione e vigilanza di elevata qualità, in particolare fornendo pareri alle

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istituzioni dell’Unione ed elaborando orientamenti, raccomandazioni e progetti di norme tecniche di regolamentazione e di attuazione basati sugli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2; b) contribuisce all’applicazione uniforme degli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione, in particolare contribuendo ad una cultura comune della vigilanza, assicurando l’applicazione uniforme, efficiente ed efficace degli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2, impedendo l’arbitraggio regolamentare, mediando e risolvendo controversie tra autorità competenti, assicurando una vigilanza efficace e coerente sugli istituti finanziari, garantendo il funzionamento uniforme dei collegi delle autorità di vigilanza e prendendo provvedimenti, anche in situazioni di emergenza; c) incoraggia e facilita la delega dei compiti e delle responsabilità tra autorità competenti; d) coopera strettamente con il CERS, in particolare fornendogli le informazioni necessarie per l’assolvimento dei suoi compiti e assicurando un seguito adeguato alle sue segnalazioni e raccomandazioni; e) organizza ed effettua verifiche inter pares delle autorità competenti, anche formulando orientamenti e raccomandazioni e individuando le migliori prassi, al fine di rafforzare l’uniformità dei risultati di vigilanza; f) sorveglia e valuta gli sviluppi di mercato nel suo settore di competenza, incluso se del caso, l’andamento del credito, in particolare, alle famiglie e alle PMI; g) svolge analisi economiche dei mercati per coadiuvare l’Autorità nell’espletamento dei propri compiti; h) promuove la tutela di depositanti e investitori; i) contribuisce al funzionamento uniforme e coerente dei col­legi delle autorità di vigilanza, alla sorveglianza, valutazione e misurazione del rischio sistemico, allo sviluppo e al coordinamento dei piani di risanamento e di risoluzione delle crisi, fornendo un livello elevato di protezione ai depositanti e agli investitori in tutto il territorio dell’Unione, e sviluppando metodi per la risoluzione delle crisi degli istituti finan­ziari in fallimento nonché la valutazione dell’esigenza di idonei strumenti finanziari, conformemente agli articoli da 21 a 26; j) esegue ogni altro compito specifico stabilito dal presente regolamento o da altri atti legislativi; k) pubblica sul sito web, e aggiorna regolarmente, le informazioni relative al suo settore di attività, in particolare, nella sua area di competenza, sugli istituti finanziari registrati, in modo da rendere le informazioni facilmente accessibili al pubblico; l) assume, se del caso, tutti i compiti esistenti e in corso del comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria (CEBS). 2. Per l’esecuzione dei compiti enumerati al paragrafo 1, l’Autorità dispone dei poteri stabiliti nel presente regolamento, ossia: a) elaborare progetti di norme tecniche di regolamentazione nei casi specifici di cui all’articolo 10;

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b) elaborare progetti di norme tecniche di attuazione nei casi specifici di cui all’articolo 15; c) emanare orientamenti e formulare raccomandazioni secondo le modalità previste all’articolo 16; d) formulare raccomandazioni nei casi specifici di cui all’articolo 17, paragrafo 3; e) prendere decisioni individuali nei confronti delle autorità competenti nei casi specifici di cui all’articolo18, paragrafo 3, e all’articolo 19, paragrafo 3; f) nei casi concernenti il diritto dell’Unione direttamente applicabile, prendere decisioni individuali nei confronti di istituti finanziari nei casi specifici di cui all’articolo 17, paragrafo 6, all’articolo 18, paragrafo 3, e all’articolo 19, paragrafo 4; g) emanare pareri rivolti al Parlamento europeo, al Consiglio o alla Commissione, come previsto all’articolo 34; h) raccogliere le informazioni necessarie relative agli istituti finanziari, come previsto all’articolo 35; i) sviluppare metodologie comuni per valutare l’effetto delle caratteristiche del prodotto e dei relativi processi di distribuzione sulla situazione finanziaria di un istituto e sulla protezione dei consumatori; j) fornire una banca dati, accessibile a livello centrale, degli istituti finanziari registrati nella sua area di competenza ove specificato negli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2. Articolo 9 Compiti relativi alla protezione dei consumatori e alle attività finanziarie 1. L’Autorità assume un ruolo guida nella promozione della trasparenza, della semplicità e dell’equità nel mercato per i pro­dotti o servizi finanziari destinati ai consumatori in tutto il mercato interno, anche tramite: a) la raccolta, l’analisi e l’informativa sulle tendenze dei consumatori; b) il riesame e il coordinamento dell’alfabetizzazione finanziaria e delle iniziative formative da parte delle autorità competenti; c) l’elaborazione di standard formativi per l’industria; d) il contributo a favore dello sviluppo di norme comuni in materia di divulgazione. 2. L’Autorità esegue il monitoraggio delle attività finanziarie nuove ed esistenti e può adottare orientamenti e raccomandazioni volti a promuovere la sicurezza e la solidità dei mercati e la convergenza delle prassi di regolamentazione. 3. L’Autorità può altresì emettere segnalazioni nel caso in cui un’attività finanziaria costituisca una seria minaccia per gli obiettivi di cui all’articolo 1, paragrafo 5. 4. L’Autorità istituisce, quale parte integrante dell’Autorità stessa, un comitato

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sull’innovazione finanziaria, che raccoglie tutte le pertinenti autorità nazionali di vigilanza competenti al fine di conseguire un approccio coordinato nella regolamentazione e nella vigilanza delle attività finanziarie nuove o innovative e di fornire all’Autorità consulenza da sottoporre al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione. 5. L’Autorità può proibire o limitare temporaneamente talune attività finanziarie che mettono a repentaglio il corretto funzionamento e l’integrità dei mercati finanziari o la stabilità generale o parziale del sistema finanziario dell’Unione nei casi e alle con­dizioni specificati negli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2, oppure, se così richiesto, in caso di necessità dovuta a situazioni di emergenza in conformità e a norma delle condizioni di cui all’articolo 18. L’Autorità riesamina la decisione di cui al primo comma a intervalli adeguati e almeno una volta ogni tre mesi. Se non è rinnovata decorso un termine di tre mesi, la decisione decade automaticamente. Uno Stato membro può chiedere all’Autorità di riconsiderare la decisione. In tal caso, l’Autorità decide, secondo la procedura di cui all’articolo 44, paragrafo 1, secondo comma, se mantenere la decisione. L’Autorità può altresì valutare la necessità di proibire o limitare determinati tipi di attività finanziaria e, qualora si presenti tale necessità, informarne la Commissione per facilitare l’adozione di tale eventuale divieto o limitazione. Articolo 10 Norme tecniche di regolamentazione 1. Se il Parlamento europeo e il Consiglio delegano alla Commissione il potere di adottare norme tecniche di regolamentazione mediante atti delegati, a norma dell’articolo 290 TFUE, al fine di garantire un’armonizzazione coerente nei settori specificati negli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2, l’Autorità può elaborare progetti di norme tecniche di regolamentazione. L’Autorità sottopone i suoi progetti di norme tecniche all’approvazione della Commissione. Le norme tecniche di regolamentazione sono di carattere tecnico, non implicano decisioni strategiche o scelte politiche e il loro contenuto è limitato dagli atti legislativi su cui si basano. Prima di presentarli alla Commissione, l’Autorità effettua consultazioni pubbliche sui progetti di norme tecniche di regolamentazione e analizza i potenziali costi e benefici, a meno che dette consultazioni e analisi siano sproporzionate in relazione alla portata e all’impatto dei progetti di norme tecniche di regolamentazione interessati o in relazione alla particolare urgenza della questione. L’Autorità chiede altresì il parere del gruppo delle parti interessate nel settore bancario di cui all’articolo 37. Se l’Autorità presenta un progetto di norma tecnica di regolamentazione, la Commissione lo trasmette senza indugio al Parlamento europeo e al Consiglio.

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Entro tre mesi dal ricevimento del progetto di norma tecnica di regolamentazione, la Commissione decide se approvarlo. La Com­missione può approvare i progetti di norme tecniche di regolamentazione solo in parte o con modifiche, se necessario per tutelare gli interessi dell’Unione. Ove non intenda approvare il progetto di norma tecnica di regolamentazione o intenda approvarlo in parte o con modifiche, la Commissione lo rinvia all’Autorità, fornendo le ragioni della sua mancata approvazione o, a seconda dei casi, delle modifiche apportate. Entro un termine di sei settimane, l’Autorità può modificare il progetto di norma tecnica di regolamentazione sulla base delle modifiche proposte dalla Commissione e ripresentarlo come parere formale alla Commissione. L’Autorità invia copia del parere formale al Parlamento europeo e al Consiglio. Se, alla scadenza di tale termine di sei settimane, l’Autorità non ha presentato un progetto modificato di norma tecnica di regolamentazione o ha presentato un progetto di norma tecnica di regolamentazione modificato in modo non coerente con le modifiche proposte dalla Commissione, questa può adottare la norma tecnica di regolamentazione con le modifiche che ritiene pertinenti o respingerla. La Commissione può modificare il contenuto di un progetto di norma tecnica di regolamentazione elaborato dall’Autorità solo previo coordinamento con l’Autorità, come indicato nel presente articolo. 2. Ove l’Autorità non abbia presentato un progetto di norma tecnica di regolamentazione entro il termine fissato negli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2, la Commissione può richiedere il progetto in questione entro un nuovo termine. 3. Solo ove l’Autorità non presenti alla Commissione un pro­getto entro i termini conformemente al paragrafo 2, la Commis­sione può adottare una norma tecnica di regolamentazione mediante un atto delegato senza un progetto dell’Autorità. La Commissione effettua consultazioni pubbliche sui progetti di norme tecniche di regolamentazione e analizza i potenziali costi e benefici, a meno che dette consultazioni e analisi siano spropor­zionate in relazione alla portata e all’impatto dei progetti di norme tecniche di regolamentazione interessati o in relazione alla parti­colare urgenza della questione. La Commissione chiede altresì il parere o la consulenza del gruppo delle parti interessate nel set­tore bancario di cui all’articolo 37. La Commissione trasmette senza indugio il progetto di norma tec­nica di regolamentazione al Parlamento europeo e al Consiglio. La Commissione invia il suo progetto di norma tecnica di regola­mentazione all’Autorità. Entro un termine di sei settimane, l’Au­torità può modificare il progetto di norma tecnica di regolamentazione e presentarlo come parere formale alla Com­missione. L’Autorità invia copia del parere formale al Parlamento europeo e al Consiglio. Se, alla scadenza del termine di sei settimane di cui al quarto comma, l’Autorità non ha presentato un progetto modificato di norma tecnica di rego-

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lamentazione, la Commissione può adot­tare la norma tecnica di regolamentazione. Se l’Autorità ha presentato un progetto modificato di norma tec­nica di regolamentazione entro il termine di sei settimane, la Commissione può modificare il progetto di norma tecnica di regolamentazione in base alle modifiche proposte dall’Autorità o adottare la norma tecnica di regolamentazione con le modifiche che ritiene pertinenti. La Commissione modifica il contenuto del progetto di norma tecnica di regolamentazione elaborato dall’Au­torità solo previo coordinamento con l’Autorità, come indicato nel presente articolo. 4. Le norme tecniche di regolamentazione sono adottate tra­mite regolamento o decisione. Sono pubblicate nella Gazzetta uffi­ciale dell’Unione europea ed entrano in vigore alla data indicata nel relativo atto. Articolo 11 Esercizio della delega 1. Il potere di adottare le norme tecniche di regolamentazione di cui all’articolo 10 è conferito alla Commissione per un periodo di quattro anni a decorrere dal 16 dicembre 2010. La Commis­sione presenta una relazione sui poteri delegati non oltre sei mesi prima della scadenza del periodo di quattro anni. La delega di poteri è automaticamente prorogata per periodi di identica durata, tranne in caso di revoca da parte del Parlamento europeo o del Consiglio ai sensi dell’articolo 14. 2. Non appena adotta una norma tecnica di regolamentazione, la Commissione la notifica simultaneamente al Parlamento euro­peo e al Consiglio. 3. Il potere conferito alla Commissione di adottare norme tec­niche di regolamentazione è soggetto alle condizioni stabilite agli articoli da 12 a 14. Articolo 12 Revoca della delega 1. La delega di poteri di cui all’articolo 10 può essere revocata in qualsiasi momento dal Parlamento europeo o dal Consiglio. 2. L’istituzione che ha avviato una procedura interna per deci­dere l’eventuale revoca della delega di poteri si adopera per infor­marne l’altra istituzione e la Commissione entro un termine ragionevole prima di adottare una decisione definitiva, specifi­cando il potere delegato che potrebbe essere oggetto di revoca. 3. La decisione di revoca pone fine alla delega del potere spe­cificato nella decisione medesima. Gli effetti della decisione decor­rono immediatamente o da una data successiva ivi precisata. La decisione di revoca non incide sulla validità delle norme tecniche di regolamentazione già in vigore. Essa è pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

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Articolo 13 Obiezioni alle norme tecniche di regolamentazione 1. Il Parlamento europeo o il Consiglio possono sollevare obie­zioni a una norma tecnica di regolamentazione entro un termine di tre mesi dalla data di notifica della norma tecnica di regolamen­tazione adottata dalla Commissione. Su iniziativa del Parlamento europeo o del Consiglio tale termine è prorogato di tre mesi. Quando la Commissione adotta una norma tecnica di regolamen­tazione invariata rispetto al progetto di norma tecnica di regola­mentazione presentato dall’Autorità, il termine entro il quale il Parlamento europeo e il Consiglio possono sollevare obiezioni è di un mese dalla data di notifica. Su iniziativa del Parlamento europeo o del Consiglio, tale termine è prorogato di un mese. 2. Se, allo scadere del termine di cui al paragrafo 1, né il Par­lamento europeo né il Consiglio hanno sollevato obiezioni alla norma tecnica di regolamentazione, quest’ultima è pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea ed entra in vigore alla data indicata nell’atto medesimo. La norma tecnica di regolamentazione può essere pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea ed entrare in vigore prima della scadenza di tale termine se il Parlamento europeo e il Consiglio hanno entrambi informato la Commissione della loro intenzione di non sollevare obiezioni. 3. Se il Parlamento europeo o il Consiglio sollevano obiezioni a una norma tecnica di regolamentazione nel termine di cui al paragrafo 1, essa non entra in vigore. Conformemente all’arti­colo 296 TFUE, l’istituzione che solleva obiezioni alla norma tec­nica di regolamentazione ne illustra le ragioni. Articolo 14 Mancata approvazione o modifica del progetto di norme tecniche di regolamentazione 1. Se non approva un progetto di norma tecnica di regolamen­tazione o lo modifica come previsto all’articolo 10, la Commis­sione ne informa l’Autorità, il Parlamento europeo e il Consiglio, motivando la decisione. 2. Se del caso, il Parlamento europeo o il Consiglio possono invitare, entro un mese dalla comunicazione di cui al paragrafo 1, il commissario competente, insieme al presidente dell’Autorità, a un’apposita riunione della commissione competente del Parla­mento europeo o del Consiglio per presentare e illustrare le loro divergenze.

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Articolo 15 Norme tecniche di attuazione 1. L’Autorità può elaborare norme tecniche di attuazione mediante atti di esecuzione a norma dell’articolo 291 TFUE nei settori specificati negli atti legislativi di cui all’articolo 1, para­grafo 2. Le norme tecniche di attuazione sono di carattere tecnico, non implicano decisioni strategiche o scelte politiche e lo scopo del loro contenuto è quello di determinare le condizioni di appli­cazione di tali atti. L’Autorità sottopone i suoi progetti di norme tecniche di attuazione all’approvazione della Commissione. Prima di presentare i progetti di norme tecniche di attuazione alla Commissione, l’Autorità effettua consultazioni pubbliche e ana­lizza i relativi costi e benefici potenziali, a meno che dette con­sultazioni e analisi siano sproporzionate in relazione alla portata e all’impatto dei progetti di norme tecniche di attuazione interes­sati o in relazione alla particolare urgenza della questione. L’Au­torità chiede altresì il parere del gruppo delle parti interessate nel settore bancario di cui all’articolo 37. Se l’Autorità presenta un progetto di norma tecnica di attuazione, la Commissione lo trasmette senza indugio al Parlamento euro­peo e al Consiglio. Entro tre mesi dal ricevimento di un progetto di norma tecnica di attuazione, la Commissione decide se approvarlo. La Commis­sione può prorogare detto termine di un mese. La Commissione può approvare il progetto di norma tecnica di attuazione solo in parte o con modifiche, se necessario per tutelare gli interessi dell’Unione. Ove non intenda approvare un progetto di norma tecnica di attuazione o intenda approvarlo in parte o con modifiche, la Commissione lo rinvia all’Autorità, fornendo le ragioni della sua mancata approvazione o, a seconda dei casi, delle modifiche apportate. Entro un termine di sei settimane, l’Autorità può modi­ficare il progetto di norma tecnica di attuazione sulla base delle modifiche proposte dalla Commissione e ripresentarlo come parere formale alla Commissione. L’Autorità invia copia del parere formale al Parlamento europeo e al Consiglio. Se, alla scadenza del termine di sei settimane di cui al quinto comma, l’Autorità non ha presentato un progetto modificato di norma tecnica di attuazione o ha presentato un progetto di norma tecnica di attuazione modificato in modo non coerente con le modifiche proposte dalla Commissione, questa può adottare la norma tecnica di attuazione con le modifiche che ritiene perti­nenti o respingerla. La Commissione modifica il contenuto di un progetto di norma tecnica di attuazione elaborato dall’Autorità solo previo coordi­namento con l’Autorità, come indicato nel presente articolo. 2. Nei casi in cui l’Autorità non abbia presentato un progetto di norma tecnica di attuazione entro il termine fissato negli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2, la Commissione può richiedere il progetto in questione entro un nuovo termine.

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3. Solo ove l’Autorità non presenti alla Commissione un pro­getto di norma tecnica di attuazione entro i termini conforme­mente al paragrafo 2, la Commissione può adottare una norma tecnica di attuazione mediante un atto di esecuzione senza un progetto dell’Autorità. La Commissione effettua consultazioni pubbliche sui progetti di norme tecniche di attuazione e analizza i potenziali costi e bene­fici, a meno che dette consultazioni e analisi siano sproporzionate in relazione alla portata e all’impatto dei progetti di norme tecni­che di attuazione interessati o in relazione alla particolare urgenza della questione. La Commissione chiede altresì il parere o la con­sulenza del gruppo delle parti interessate nel settore bancario di cui all’articolo 37. La Commissione trasmette senza indugio il progetto di norma tec­nica di attuazione al Parlamento europeo e al Consiglio. La Commissione invia il progetto di norma tecnica di attuazione all’Autorità. Entro un termine di sei settimane l’Autorità può modificare il progetto di norma tecnica di attuazione e presen­tarlo come parere formale alla Commissione. L’Autorità invia copia del parere formale al Parlamento europeo e al Consiglio. Se, alla scadenza del termine di sei settimane di cui al quarto comma, l’Autorità non ha presentato un progetto modificato di norma tecnica di attuazione, la Commissione può adottare la norma tecnica di attuazione. Se l’Autorità ha presentato un progetto modificato di norma tec­nica di attuazione entro tale termine di sei settimane, la Commis­sione può modificare il progetto di norma tecnica di attuazione in base alle modifiche proposte dall’Autorità o adottare la norma tecnica di attuazione con le modifiche che ritiene pertinenti. La Commissione modifica il contenuto dei progetti di norme tec­niche di attuazione elaborati dall’Autorità solo previo coordina­mento con l’Autorità, come indicato nel presente articolo. 4. Le norme tecniche di attuazione sono adottate tramite rego­lamento o decisione. Sono pubblicate nella Gazzetta ufficiale del­l’Unione europea ed entrano in vigore alla data indicata nel relativo atto. Articolo 16 Orientamenti e raccomandazioni 1. Al fine di istituire prassi di vigilanza uniformi, efficienti ed efficaci nell’ambito del SEVIF e per assicurare l’applicazione comune, uniforme e coerente del diritto dell’Unione, l’Autorità emana orientamenti e formula raccomandazioni indirizzate alle autorità competenti o agli istituti finanziari. 2. L’Autorità effettua, se del caso, consultazioni pubbliche sugli orientamenti e sulle raccomandazioni e analizza i potenziali costi e benefici. Dette consultazioni e analisi sono proporzionate rispetto alla sfera d’applicazione, alla natura e all’impatto degli orientamenti o delle raccomandazioni. Ove opportuno, l’Au-

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torità richiede altresì pareri o consulenza al gruppo delle parti interes­sate nel settore bancario di cui all’articolo 37. 3. Le autorità e gli istituti finanziari competenti compiono ogni sforzo per conformarsi agli orientamenti e alle raccomandazioni. Entro due mesi dall’emanazione di un orientamento o di una rac­ comandazione, ciascuna autorità nazionale di vigilanza compe­tente conferma se è conforme o intende conformarsi all’orientamento o alla raccomandazione in questione. Nel caso in cui un’autorità competente non sia conforme o non intenda con­formarsi, ne informa l’Autorità motivando la decisione. L’Autorità pubblica l’informazione secondo cui l’autorità compe­tente non è conforme o non intende conformarsi agli orienta­menti o alla raccomandazione. L’Autorità può anche decidere, caso per caso, di pubblicare le ragioni fornite da un’autorità com­petente riguardo alla mancata conformità all’orientamento o alla raccomandazione in questione. L’autorità competente riceve pre­liminarmente comunicazione di tale pubblicazione. Ove richiesto dall’orientamento o dalla raccomandazione in que­stione, gli istituti finanziari riferiscono, in maniera chiara e detta­gliata, se si conformano all’orientamento o alla raccomandazione in parola. 4. Nella relazione di cui all’articolo 43, paragrafo 5, l’Autorità informa il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione in merito agli orientamenti e alle raccomandazioni che sono stati emessi, indicando quale autorità competente non vi abbia ottem­perato e illustrando il modo in cui l’Autorità intende garantire che l’autorità competente interessata si conformi in futuro ai suoi orientamenti e raccomandazioni. Articolo 17 Violazione del diritto dell’Unione 1. Se un’autorità competente non ha applicato gli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2, comprese le norme tecniche di regola­mentazione e le norme tecniche di attuazione adottate ai sensi degli articoli da 10 a 15, o li ha applicati in un modo che sembra costituire una violazione del diritto dell’Unione, in particolare in quanto ha omesso di assicurare che un istituto finanziario rispetti gli obblighi stabiliti in tali atti, l’Autorità agisce in conformità dei poteri di cui ai paragrafi 2, 3 e 6 del presente articolo. 2. Su richiesta di una o più autorità competenti, del Parla­mento europeo, del Consiglio, della Commissione o del gruppo delle parti interessate nel settore bancario, o di propria iniziativa, e dopo averne informato l’autorità competente interessata, l’Au­torità può effettuare indagini sull’asserita violazione o mancata applicazione del diritto dell’Unione. Fatti salvi i poteri di cui all’articolo 35, l’autorità competente for­nisce senza indugio all’Autorità tutte le informazioni che l’Auto­rità considera necessarie per le sue indagini.

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3. Non oltre due mesi dall’avvio dell’indagine, l’Autorità può trasmettere all’autorità competente interessata una raccomanda­zione in cui illustra l’azione necessaria per conformarsi al diritto dell’Unione. Entro dieci giorni lavorativi dal ricevimento della raccomanda­zione, l’autorità competente informa l’Autorità delle misure adot­tate o che intende adottare per conformarsi al diritto dell’Unione. 4. Se l’autorità competente non si conforma al diritto del­l’Unione entro il termine di un mese dal ricevimento della racco­mandazione dell’Autorità, la Commissione, dopo essere stata informata dall’Autorità, o di propria iniziativa, può esprimere un parere formale per chiedere all’autorità competente di prendere le misure necessarie per rispettare il diritto dell’Unione. Il parere for­male della Commissione tiene conto della raccomandazione dell’Autorità. La Commissione esprime il parere formale entro tre mesi dall’ado­zione della raccomandazione. La Commissione può prorogare tale termine di un mese. L’Autorità e le autorità competenti forniscono alla Commissione tutte le informazioni necessarie. 5. Entro dieci giorni lavorativi dal ricevimento del parere for­male di cui al paragrafo 4, l’autorità competente informa la Com­missione e l’Autorità delle misure adottate o che intende adottare per conformarsi a tale parere formale. 6. Fatti salvi i poteri della Commissione ai sensi dell’arti­colo 258 TFUE, se un’autorità competente non si conforma al parere formale di cui al paragrafo 4 entro il termine ivi specifi­cato e se è necessario rimediare tempestivamente a tale inosser­vanza al fine di mantenere o di ripristinare condizioni neutre di concorrenza sul mercato o per assicurare il regolare funziona­mento e l’integrità del sistema finanziario, l’Autorità può, se i per­tinenti obblighi degli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2, sono direttamente applicabili agli istituti finanziari, adottare una deci­sione nei confronti di un singolo istituto finanziario, imponendo­gli di prendere misure per rispettare gli obblighi imposti dal diritto dell’Unione, tra cui la cessazione di ogni eventuale pratica. La decisione dell’Autorità è conforme al parere formale espresso dalla Commissione ai sensi del paragrafo 4. 7. Le decisioni adottate ai sensi del paragrafo 6 prevalgono su ogni decisione adottata in precedenza dalle autorità competenti sulla stessa materia. In fase di adozione di misure in relazione a questioni che sono oggetto di un parere formale a norma del paragrafo 4 o di una decisione a norma del paragrafo 6, le autorità competenti si con­formano al parere formale o alla decisione, secondo i casi. 8. Nella relazione di cui all’articolo 43, paragrafo 5, l’Autorità indica le autorità competenti e gli istituti finanziari che non hanno rispettato i pareri formali o le decisioni di cui ai paragrafi 4 e 6 del presente articolo.

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Articolo 18 Intervento in situazioni di emergenza 1. In caso di sviluppi negativi che possano seriamente compro­mettere il regolare funzionamento e l’integrità dei mercati finan­ziari nonché la stabilità generale o parziale del sistema finanziario nell’Unione, l’Autorità facilita attivamente e, ove ritenuto neces­sario, coordina le misure adottate dalle pertinenti autorità nazio­nali di vigilanza competenti. Per essere in grado di svolgere tale ruolo di facilitazione e coor­dinamento, l’Autorità è pienamente informata di tutti gli sviluppi rilevanti ed è invitata dalle pertinenti autorità nazionali di vigi­lanza competenti a partecipare in qualità di osservatore alle even­tuali riunioni in materia. 2. Il Consiglio, in consultazione con la Commissione e con il CERS e, se del caso, con le AEV, può adottare una decisione indi­rizzata all’Autorità con la quale determina l’esistenza di una situa­zione di emergenza ai fini del presente regolamento, su richiesta dell’Autorità, della Commissione o del CERS. Il Consiglio riesa­mina tale decisione a intervalli opportuni e almeno una volta al mese. Se non è rinnovata entro il termine di un mese, la decisione decade automaticamente. Il Consiglio può dichiarare la cessazione della situazione di emergenza in qualsiasi momento. Qualora ritengano che sussista la probabilità che si verifichi una situazione di emergenza, il CERS o l’Autorità formulano una rac­comandazione riservata destinata al Consiglio e gli forniscono una valutazione della situazione. Il Consiglio valuta quindi la necessità di convocare una riunione. È garantita a tale riguardo una doverosa attenzione alla riservatezza. Se determina l’esistenza di una situazione di emergenza, il Consi­glio informa debitamente e senza indugio il Parlamento europeo e la Commissione. 3. Se il Consiglio ha adottato una decisione ai sensi del para­grafo 2, e in casi eccezionali se è necessaria un’azione coordinata delle autorità nazionali per rispondere a sviluppi negativi che pos­sano seriamente compromettere il regolare funzionamento e l’in­tegrità dei mercati finanziari o la stabilità generale o parziale del sistema finanziario nell’Unione, l’Autorità può adottare decisioni individuali per chiedere alle autorità competenti di prendere le misure necessarie conformemente alla normativa di cui all’arti­colo 1, paragrafo 2, per affrontare tali sviluppi, assicurando che gli istituti finanziari e le autorità competenti rispettino gli obbli­ghi fissati in tale normativa. 4. Fatti salvi i poteri della Commissione ai sensi dell’arti­colo 258 TFUE, se un’autorità competente non si conforma alla decisione dell’Autorità di cui al paragrafo 3 entro il termine fis­sato nella decisione, l’Autorità può, se i pertinenti obblighi previ­sti negli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2, ivi incluse le norme tecniche di regolamentazione e le norme tecniche di attuazione adottate conformemente ai suddetti atti, sono diretta­mente applicabili agli istituti finanziari, adottare una decisione nei confronti di un singolo istituto finanziario, imponendogli di pren­dere le misure necessarie per rispettare gli obblighi im-

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posti da tale normativa, tra cui la cessazione di ogni eventuale pratica. Ciò si applica soltanto nelle situazioni in cui un’autorità competente non applica gli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2, ivi incluse le norme tecniche di regolamentazione e le norme tecni­che di attuazione adottate conformemente ai suddetti atti, o li applica in un modo che sembra una manifesta violazione di tali atti, e se un rimedio urgente è necessario per ripristinare il rego­lare funzionamento e l’integrità dei mercati finanziari o la stabi­lità generale o parziale del sistema finanziario nell’Unione. 5. Le decisioni adottate ai sensi del paragrafo 4 prevalgono su ogni decisione adottata in precedenza dalle autorità competenti sulla stessa materia. Ogni misura adottata dalle autorità competenti in relazione ai fatti oggetto di una decisione ai sensi dei paragrafi 3 o 4 è compatibile con dette decisioni. Articolo 19 Risoluzione delle controversie tra autorità competenti in situazioni transfrontaliere 1. Fatti salvi i poteri di cui all’articolo 17, se un’autorità com­petente è in disaccordo con la procedura seguita o il contenuto di una misura adottata da un’autorità competente di un altro Stato membro o con l’assenza di intervento da parte di quest’ultima in casi specificati negli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2, l’Auto­rità può, su richiesta di una o più autorità competenti interessate, prestare assistenza alle autorità per trovare un accordo conforme­mente alla procedura di cui ai paragrafi da 2 a 4 del presente articolo. In casi specificati nella normativa di cui all’articolo 1, paragrafo 2, e ove in base a criteri obiettivi sia possibile constatare una con­troversia tra autorità competenti di Stati membri diversi, l’Auto­rità può, di sua iniziativa, prestare assistenza alle autorità per trovare un accordo conformemente alla procedura di cui ai para­grafi da 2 a 4. 2. L’Autorità fissa un termine per la conciliazione tra le auto­rità competenti tenendo conto dei termini eventuali previsti in materia negli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2, nonché della complessità e dell’urgenza della questione. In tale fase l’Autorità funge da Mediatore. 3. Se le autorità competenti interessate non riescono a trovare un accordo entro la fase di conciliazione di cui al paragrafo 2, l’Autorità può, in conformità della procedura di cui all’articolo 44, paragrafo 1, terzo e quarto comma, adottare una decisione per imporre loro di adottare misure specifiche o di astenersi dall’agire al fine di risolvere la questione, con valore vincolante per le auto­rità competenti interessate, e assicurare il rispetto del diritto dell’Unione. 4. Fatti salvi i poteri attribuiti alla Commissione dall’arti­colo 258 TFUE, se un’autorità competente non si conforma alla decisione dell’Autorità e pertanto omette di assicurare che un isti­tuto finanziario rispetti gli obblighi che gli sono direttamente applicabili ai sensi degli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2, l’Au­

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torità può adottare nei confronti del singolo istituto finanziario una decisione individuale che gli impone di adottare le misure necessarie per rispettare gli obblighi che gli incombono ai sensi del diritto dell’Unione, tra cui la cessazione di ogni eventuale pratica. 5. Le decisioni adottate ai sensi del paragrafo 4 prevalgono su ogni decisione adottata in precedenza dalle autorità competenti sulla stessa materia. Ogni misura adottata dalle autorità compe­tenti in relazione ai fatti oggetto di una decisione ai sensi dei para­grafi 3 o 4 è compatibile con dette decisioni. 6. Nella relazione di cui all’articolo 50, paragrafo 2, il presi­dente dell’Autorità espone la natura e il tipo di controversie fra le autorità competenti, gli accordi raggiunti e le decisioni adottate per comporre siffatte controversie. Articolo 20 Risoluzione delle controversie intersettoriali tra autorità competenti Il comitato congiunto, agendo conformemente alla procedura di cui agli articoli 19 e 56, risolve le controversie intersettoriali che dovessero sorgere fra autorità competenti, quali definite all’arti­colo 4, punto 2, del presente regolamento, del regolamento (UE) n. 1094/2010 e del regolamento (UE) n. 1095/2010 rispettivamente. Articolo 21 Collegi delle autorità di vigilanza 1. L’Autorità contribuisce a promuovere e a monitorare il fun­zionamento efficiente, efficace e uniforme dei collegi delle auto­rità di vigilanza di cui alla direttiva 2006/48/CE e a promuovere l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione in tutti i collegi delle autorità di vigilanza. Con l’obiettivo di far convergere le migliori prassi in materia di vigilanza, il personale dell’Autorità ha la facoltà di partecipare alle attività dei collegi delle autorità di vigilanza, comprese le indagini in loco, effettuate congiuntamente da due o più autorità competenti. 2. L’Autorità guida le attività volte ad assicurare un funziona­mento uniforme e coerente dei collegi delle autorità di vigilanza per gli istituti transfrontalieri in tutto il territorio dell’Unione, tenendo conto del rischio sistemico costituito dagli istituti finan­ziari di cui all’articolo 23. Ai fini del presente paragrafo e del paragrafo 1 del presente arti­colo, l’Autorità è considerata un’ «autorità competente» ai sensi della normativa applicabile. L’Autorità può: a) raccogliere e condividere tutte le informazioni pertinenti in collaborazione con le autorità competenti, in modo da faci­litare i lavori del collegio

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e istituire e gestire un sistema cen­trale per rendere queste informazioni accessibili alle autorità competenti nel collegio; b) avviare e coordinare le prove di stress a livello dell’Unione conformemente all’articolo 32 per valutare la resilienza degli istituti finanziari, in particolare il rischio sistemico costituito dagli istituti finanziari di cui all’articolo 23, ad andamenti negativi dei mercati, e valutare il potenziale aumento del rischio sistemico in situazioni di stress, assicurando che a livello nazionale sia applicata una metodologia uniforme per tali prove; può anche, se necessario, formulare una racco­mandazione all’autorità competente per risolvere problemi rilevati nelle prove di stress; c) promuovere attività di vigilanza effettive ed efficaci, ivi com­presa la valutazione dei rischi ai quali gli istituti finanziari sono o potrebbero essere esposti quali determinati secondo la procedura di valutazione della vigilanza o in situazioni di stress; d) supervisionare, conformemente ai compiti e ai poteri speci­ficati nel presente regolamento, i compiti svolti dalle autorità competenti, e) chiedere ulteriori deliberazioni di un collegio in tutti i casi in cui ritenga che la decisione dia luogo a un’applicazione errata del diritto dell’Unione o non contribuisca all’obiettivo della convergenza delle prassi di vigilanza. Può altresì chiedere all’autorità di vigilanza su base consolidata di programmare una riunione del collegio o di aggiungere un punto all’ordine del giorno di una riunione. 3. L’autorità può elaborare progetti di norme tecniche di rego­lamentazione e di attuazione per assicurare condizioni di appli­ cazione uniformi riguardo alle disposizioni relative al funzionamento operativo dei collegi delle autorità di vigilanza e formulare orientamenti e raccomandazioni adottati ai sensi del­ l’articolo 16 per promuovere la convergenza del funzionamento della vigilanza e delle migliori prassi adottate dai collegi delle autorità di vigilanza. 4. L’Autorità svolge un ruolo di mediazione giuridicamente vincolante al fine di risolvere le controversie fra autorità compe­tenti secondo la procedura di cui all’articolo 19. L’Autorità può adottare decisioni di vigilanza direttamente applicabili all’istituto interessato conformemente all’articolo 19. Articolo 22 Disposizioni generali 1. L’Autorità prende debitamente in considerazione il rischio sistemico definito dal regolamento (UE) n. 1092/2010. Essa affronta qualsivoglia rischio di perturbazione dei servizi finanziari che: a) sia imputabile a un deterioramento totale o parziale del sistema finanziario; b) sia potenzialmente in grado di produrre effetti negativi gravi per il mercato interno e l’economia reale.

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L’Autorità prende in considerazione, ove opportuno, il monito­raggio e la valutazione del rischio sistemico, quale elaborato dal CERS e dall’Autorità stessa, e reagisce a segnalazioni e raccoman­dazioni del CERS conformemente all’articolo 17 del regolamento (UE) n. 1092/2010. 2. L’Autorità, in collaborazione con il CERS, elabora un insieme comune di indicatori quantitativi e qualitativi (quadro operativo dei rischi) al fine di individuare e misurare il rischio sistemico. L’Autorità elabora inoltre un sistema adeguato di prove di stress per contribuire ad individuare gli istituti che potrebbero compor­tare un rischio sistemico. Tali istituti sono soggetti ad una vigi­lanza rafforzata e, ove necessario, alle procedure di risanamento e risoluzione delle crisi di cui all’articolo 25. 3. Fatti salvi gli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2, l’Autorità elabora, ove necessario, orientamenti e raccomandazioni supple­mentari per gli istituti finanziari, allo scopo di tener conto del rischio sistemico da essi costituito. L’Autorità assicura che il rischio sistemico costituito dagli istituti finanziari sia preso in considerazione nell’elaborazione dei pro­getti di norme tecniche di regolamentazione e di attuazione nei settori previsti dagli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2. 4. Su richiesta di una o più autorità competenti, del Parla­mento europeo, del Consiglio o della Commissione, o di propria iniziativa, l’Autorità può condurre un’indagine su un tipo parti­colare di istituto finanziario, su un tipo di prodotto o su un tipo di condotta allo scopo di valutare le potenziali minacce per la sta­ bilità del sistema finanziario e raccomandare interventi appro­priati alle autorità competenti interessate. In questi casi l’Autorità può esercitare i poteri che le sono confe­riti dal presente regolamento, in particolare dall’articolo 35. 5. Il comitato congiunto assicura il coordinamento intersetto­riale generale delle attività svolte ai sensi del presente articolo. Articolo 23 Individuazione e misurazione del rischio sistemico 1. Di concerto con il CERS, l’Autorità elabora criteri per l’in­dividuazione e la misurazione del rischio sistemico e un sistema adeguato di prove di stress che prevede una valutazione del poten­ziale rischio sistemico che potrebbero comportare gli istituti finanziari in situazioni di stress. Gli istituti finanziari che potreb­bero comportare un rischio sistemico sono soggetti a una vigi­lanza rafforzata e, ove necessario, alle procedure di risanamento e di risoluzione delle crisi di cui all’articolo 25. 2. L’Autorità tiene pienamente conto dei pertinenti approcci a livello internazionale nell’elaborare i criteri di individuazione e misurazione del rischio sistemico costituito dagli istituti finan­ziari, tra cui quelli stabiliti dal Consiglio per la stabilità finanzia­ria, dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca dei regolamenti internazionali.

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Articolo 24 Capacità costante di reagire ai rischi sistemici 1. L’Autorità si assicura di avere la capacità specialistica e costante per reagire efficacemente alla materializzazione dei rischi sistemici di cui agli articoli 22 e 23, in particolare riguardo alle istituzioni che comportano un rischio sistemico. 2. L’Autorità esegue i compiti ad essa conferiti nel presente regolamento e nella normativa di cui all’articolo 1, paragrafo 2, e contribuisce a garantire un regime coerente e coordinato per la gestione e la risoluzione delle crisi nell’Unione. Articolo 25 Procedure di risanamento e di risoluzione delle crisi 1. L’Autorità contribuisce e partecipa attivamente a elaborare e coordinare efficaci e coerenti piani di risanamento e di risolu­zione delle crisi, procedure in situazioni di emergenza e misure preventive per ridurre al minimo l’impatto sistemico di un even­tuale fallimento. 2. L’Autorità può individuare migliori prassi intese a facilitare la risoluzione delle crisi degli istituti in fallimento e, in partico­lare, di gruppi transfrontalieri, con modalità che evitino il conta­gio, facendo in modo da rendere disponibili strumenti idonei, tra cui risorse sufficienti, e da consentire che i problemi dell’istituto o del gruppo siano risolti in maniera ordinata, efficiente in termini di costi e tempestiva. 3. L’Autorità può elaborare norme tecniche di regolamenta­zione e di attuazione come specificato negli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2, in conformità della procedura di cui agli articoli da 10 a 15. Articolo 26 Sistema europeo dei sistemi di garanzia dei depositi 1. L’Autorità contribuisce a rafforzare il sistema europeo dei sistemi nazionali di garanzia dei depositi agendo a norma dei poteri conferitile dal presente regolamento per garantire la cor­retta applicazione della direttiva 94/19/CE con l’obiettivo di assi­curare che i sistemi nazionali di garanzia dei depositi siano adeguatamente finanziati con i contributi degli istituti finanziari, compresi gli istituti finanziari che sono stabiliti e accettano depo­siti nell’Unione pur avendo la sede centrale al di fuori dell’Unione come previsto dalla direttiva 94/19/CE, e fornisce un elevato livello di protezione per tutti i depositanti in un quadro

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armoniz­zato per tutta l’Unione che non incida sul ruolo stabilizzante di salvaguardia dei sistemi di garanzia reciproci, a condizione che soddisfino la normativa dell’Unione. 2. L’articolo 16 relativo ai poteri dell’Autorità di adottare orientamenti e raccomandazioni si applica ai sistemi di garanzia dei depositi. 3. L’Autorità può elaborare norme tecniche di regolamenta­zione e di attuazione come specificato negli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2, in conformità della procedura di cui agli articoli da 10 a 15.4. Il riesame del presente regolamento previsto all’articolo 81 valuta in particolare la convergenza del sistema europeo dei sistemi nazionali di garanzia dei depositi. Articolo 27 Sistema europeo per la risoluzione delle crisi nel settore bancario e modalità di finanziamento 1. L’Autorità contribuisce a elaborare metodi di risoluzione delle crisi degli istituti finanziari in fallimento, in particolare quelli che potrebbero comportare un rischio sistemico, attraverso modalità che evitino il contagio e consentano di liquidarli in maniera ordinata e tempestiva, ed anche, se del caso, meccanismi di finanziamento coerenti e solidi, ove opportuno. 2. L’Autorità contribuisce a valutare l’esigenza di un sistema di meccanismi di finanziamento coerenti, solidi e credibili, con ido­nei strumenti di finanziamento connessi ad una serie di modalità di gestione coordinata delle crisi nazionali. L’Autorità contribuisce ai lavori sulle questioni attinenti a condi­zioni di parità e sugli effetti cumulativi di eventuali sistemi di pre­lievi e contributi a carico degli istituti finanziari che potrebbero essere introdotti per assicurare un’equa ripartizione degli oneri e stabilire incentivi volti a contenere il rischio sistemico nell’ambito di un quadro di risoluzione delle crisi coerente e credibile. Il riesame del presente regolamento previsto all’articolo 81 valuta in particolare l’eventuale potenziamento del ruolo dell’Autorità in un quadro per la prevenzione, la gestione e la risoluzione delle crisi e, ove necessario, l’istituzione di un Fondo europeo di riso­luzione delle crisi. Articolo 28 Delega di compiti e responsabilità 1. Le autorità competenti, con il consenso del delegato, pos­sono delegare compiti e responsabilità all’Autorità o ad altre auto­rità competenti alle condizioni di cui al presente articolo. Gli Stati membri possono stabilire, per la delega di responsabilità, moda­lità specifiche che devono essere osservate prima che le

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proprie autorità competenti sottoscrivano siffatti accordi di delega e pos­sono limitare la portata della delega a quanto necessario per la vigilanza efficace degli istituti o dei gruppi finanziari transfrontalieri. 2. L’Autorità stimola e facilita la delega di compiti e responsa­bilità tra autorità competenti, individuando i compiti e le respon­sabilità che possono essere delegati o esercitati congiuntamente e promuovendo le migliori prassi. 3. La delega di responsabilità porta alla ridistribuzione delle competenze definite negli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2. L’ordinamento giuridico dell’autorità delegata disciplina la proce­dura, l’applicazione e il riesame amministrativo e giudiziario in relazione alle responsabilità delegate. 4. Le autorità competenti informano l’Autorità degli accordi di delega che intendono concludere. Esse danno esecuzione agli accordi non prima di un mese dopo avere informato l’Autorità. L’Autorità può emanare un parere sul progetto di accordo entro un mese dal ricevimento delle informazioni. L’Autorità pubblica, mediante i mezzi appropriati, gli accordi di delega conclusi dalle autorità competenti, in modo da assicurare che tutti i soggetti interessati siano informati adeguatamente. Articolo 29 Cultura comune della vigilanza 1. L’Autorità contribuisce attivamente a creare una cultura comune a livello di Unione e prassi uniformi in materia di vigi­lanza, nonché ad assicurare l’uniformità delle procedure e la coe­renza degli approcci in tutta l’Unione. L’Autorità svolge almeno le attività seguenti: a) fornire pareri alle autorità competenti; b) promuovere lo scambio efficace di informazioni, sia bilate­rale sia multilaterale, tra le autorità competenti, nel pieno rispetto delle disposizioni applicabili in materia di riserva­tezza e di protezione dei dati, quali stabilite dalla pertinente normativa dell’Unione; c) contribuire a sviluppare standard di vigilanza uniformi e di elevata qualità, tra l’altro in materia di informativa, e standard contabili internazionali in conformità dell’articolo 1, paragrafo 3; d) esaminare l’applicazione delle norme tecniche di regolamen­tazione e di attuazione pertinenti adottate dalla Commis­sione, e degli orientamenti e delle raccomandazioni formulati dall’Autorità e proporre modifiche, se necessario; e) stabilire programmi di formazione settoriale e intersettoriale, agevolare gli scambi di personale e incoraggiare le autorità competenti a intensificare il ricorso a regimi di distacco e ad altri strumenti. 2. L’Autorità può sviluppare, se del caso, nuovi strumenti pra­tici e di convergenza per promuovere approcci e prassi comuni in materia di vigilanza.

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Articolo 30 Verifiche inter pares delle autorità competenti 1. L’Autorità organizza ed effettua regolarmente verifiche inter pares di tutte le attività delle autorità competenti o di parte di esse in modo da rafforzare l’uniformità dei risultati in materia di vigi­lanza. A tale scopo elabora metodi che consentano una valuta­zione ed un raffronto oggettivi delle autorità verificate. In sede di svolgimento delle verifiche inter pares si tiene conto delle infor­mazioni esistenti e delle valutazioni già realizzate riguardo all’au­torità competente in questione. 2. La verifica inter pares include una valutazione dei seguenti elementi, ma non è limitata ad essi: a) l’adeguatezza delle risorse e delle disposizioni di governance dell’autorità competente, in particolare dal punto di vista del­l’applicazione efficace delle norme tecniche di regolamenta­zione e delle norme tecniche di attuazione di cui agli articoli da 10 a 15 e degli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2, e la capacità di rispondere agli sviluppi del mercato; b) il grado di convergenza raggiunto per quanto riguarda l’ap­plicazione del diritto dell’Unione e le pratiche di vigilanza, tra cui le norme tecniche di regolamentazione e le norme tecni­che di attuazione, gli orientamenti e le raccomandazioni adottati ai sensi degli articoli da 10 a 16, e il contributo delle pratiche di vigilanza al conseguimento degli obiettivi definiti dal diritto dell’Unione; c) le migliori prassi sviluppate da alcune autorità competenti e che le altre autorità competenti potrebbero utilmente adottare; d) l’efficacia e il grado di convergenza raggiunto riguardo all’os­servanza delle disposizioni adottate nell’attuazione del diritto dell’Unione, comprese le misure amministrative e le sanzioni applicate nei confronti delle persone responsabili in caso di inosservanza. 3. Sulla base di una verifica inter pares, l’Autorità può formu­lare orientamenti e raccomandazioni a norma dell’articolo 16. Conformemente all’articolo 16, paragrafo 3, le autorità compe­tenti si sforzano di seguire tali orientamenti e raccomandazioni. L’Autorità tiene conto dei risultati della verifica inter pares nel­l’elaborare i progetti di norme tecniche di regolamentazione o di attuazione in conformità degli articoli da 10 a 15. 4. L’Autorità rende pubbliche le migliori prassi che possono essere individuate attraverso le verifiche inter pares. In aggiunta, tutti gli altri risultati delle verifiche inter pares possono essere resi pubblici, previo accordo dell’autorità competente oggetto della verifica.

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Articolo 31 Funzione di coordinamento L’Autorità esercita una funzione di coordinamento generale tra le autorità competenti, in particolare nei casi in cui gli sviluppi nega­tivi potrebbero compromettere il regolare funzionamento e l’in­tegrità dei mercati finanziari o la stabilità del sistema finanziario nell’Unione. L’Autorità promuove la risposta coordinata dell’Unione, in particolare: a) facilitando lo scambio di informazioni tra le autorità competenti; b) determinando la portata e, ove possibile e appropriato, veri­ficando l’affidabilità delle informazioni che dovrebbero essere messe a disposizione di tutte le autorità competenti interessate; c) fatto salvo l’articolo 19, svolgendo una mediazione non vin­colante su richiesta delle autorità competenti o di propria iniziativa; d) informando senza indugio il CERS di ogni potenziale situa­zione di emergenza; e) adottando tutte le misure opportune in caso di sviluppi che possano compromettere il funzionamento dei mercati finan­ziari, al fine di facilitare il coordinamento delle misure adot­tate dalle pertinenti autorità competenti; f) centralizzando le informazioni ricevute, a norma degli arti­coli 21 e 35, dalle autorità competenti in conseguenza degli obblighi regolamentari di informativa a carico degli istituti attivi in più di uno Stato membro. L’Autorità condivide tali informazioni con le altre autorità competenti interessate. Articolo 32 Valutazione degli sviluppi del mercato 1. L’Autorità sorveglia e valuta gli sviluppi di mercato nella sua area di competenza e, se necessario, informa l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) e l’Autorità europea di vigilanza (Auto­rità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), il CERS, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sulle perti­nenti tendenze microprudenziali, sui rischi potenziali e sulle vul­nerabilità. L’Autorità include nelle sue valutazioni un’analisi economica dei mercati in cui operano gli istituti finanziari non­ché una valutazione dell’impatto che il potenziale andamento del mercato può esercitare su tali istituti. 2. In cooperazione con il CERS, l’Autorità avvia e coordina le valutazioni in tutta l’Unione sulla resilienza degli istituti finanziari agli sviluppi negativi dei mercati. A tale scopo, elabora gli ele­menti seguenti, che dovranno essere applicati dalle autorità competenti:

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a) metodologie comuni per valutare l’effetto di scenari econo­mici sulla situazione finanziaria di un istituto; b) strategie comuni di comunicazione dei risultati di tali valu­tazioni sulla resilienza degli istituti finanziari; c) metodologie comuni per valutare gli effetti di particolari pro­dotti o processi di distribuzione sulla situazione finanziaria di un istituto e sui depositanti, sugli investitori e sull’informa­zione dei clienti. 3. Fatti salvi i compiti del CERS definiti nel regolamento (UE) n. 1092/2010, l’Autorità fornisce, almeno una volta all’anno ed eventualmente con maggiore frequenza, valutazioni al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Commissione e al CERS in merito alle tendenze, ai rischi potenziali e alle vulnerabilità nel settore di competenza. Tali valutazioni dell’Autorità comprendono una classificazione dei principali rischi e vulnerabilità e raccomandano, ove necessa­rio, misure preventive o correttive. 4. L’Autorità assicura una copertura adeguata degli sviluppi, dei rischi e delle vulnerabilità intersettoriali, cooperando stretta­mente con l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) e l’Auto­rità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finan­ziari e dei mercati) tramite il comitato congiunto. Articolo 33 Relazioni internazionali 1. Fatte salve le rispettive competenze degli Stati membri e delle istituzioni dell’Unione, l’Autorità può stabilire contatti e con­cludere accordi amministrativi con le autorità di vigilanza, le orga­nizzazioni internazionali e le amministrazioni di paesi terzi. Tali accordi non creano obblighi giuridici per l’Unione e gli Stati mem­bri, né impediscono agli Stati membri e alle loro autorità compe­tenti di concludere accordi bilaterali o multilaterali con tali paesi terzi. 2. L’Autorità fornisce assistenza nell’elaborazione delle deci­sioni in materia di equivalenza dei regimi di vigilanza dei paesi terzi conformemente agli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2. 3. Nella relazione di cui all’articolo 43, paragrafo 5, l’Autorità presenta gli accordi amministrativi concordati con organizzazioni internazionali o amministrazioni di paesi terzi e l’assistenza for­nita nella preparazione delle decisioni in materia di equivalenza.

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Articolo 34 Altri compiti 1. Su richiesta del Parlamento europeo, del Consiglio o della Commissione, o di propria iniziativa, l’Autorità può fornire pareri al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione su tutte le questioni connesse con la sua area di competenza. 2. Per quanto riguarda la valutazione prudenziale di fusioni e acquisizioni che rientrano nell’ambito di applicazione della diret­tiva 2006/48/CE, come modificata dalla direttiva 2007/44/CE, e che, secondo la stessa, richiedono consultazioni tra autorità com­petenti di due o più Stati membri, l’Autorità può, su richiesta di una delle autorità competenti interessate, emanare e pubblicare un parere su una valutazione prudenziale, tranne in relazione ai criteri di cui all’articolo 19 bis, paragrafo 1, lettera e), della diret­tiva 2006/48/CE. Il parere è emanato senza indugio e in ogni caso prima della scadenza del termine per la valutazione in conformità della direttiva 2006/48/CE, come modificata dalla direttiva 2007/44/CE. L’articolo 35 si applica ai settori in relazione ai quali l’Autorità può emanare un parere. Articolo 35 Raccolta di informazioni 1. Su richiesta dell’Autorità, le autorità competenti degli Stati membri forniscono all’Autorità tutte le informazioni necessarie per consentirle di svolgere i compiti che le sono attribuiti dal pre­sente regolamento, a condizione che tali autorità abbiano accesso legale alle informazioni in questione e la richiesta di informazioni sia necessaria in relazione alla natura del compito in questione. 2. L’Autorità può anche chiedere che le siano fornite informa­zioni a cadenza regolare e in modelli specificati. Tali richieste sono presentate, ove possibile, usando modelli comuni di informativa. 3. Su richiesta debitamente motivata di un’autorità competente di uno Stato membro, l’Autorità può fornire qualsiasi informa­zione necessaria per consentire all’autorità competente di adem­piere alle sue funzioni, conformemente all’obbligo del segreto professionale previsto dalla normativa settoriale e all’articolo 70. 4. Prima di richiedere le informazioni in base al presente arti­colo, e per evitare la duplicazione degli obblighi di informativa, l’Autorità si avvale delle eventuali statistiche pertinenti esistenti, prodotte e divulgate dal Sistema statistico europeo e dal Sistema europeo di banche centrali. 5. In mancanza di informazioni o quando le autorità compe­tenti non forniscono le informazioni tempestivamente, l’Autorità può presentare una richiesta debitamente giustificata e motivata ad altre autorità di vigilanza, al ministero responsabile delle finanze ove questo disponga di informazioni prudenziali, alla

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banca centrale nazionale o all’istituto statistico dello Stato mem­bro interessato. 6. In mancanza di informazioni o quando le informazioni non sono fornite tempestivamente ai sensi del paragrafo 1 o 5, l’Au­torità può presentare una richiesta debitamente giustificata e motivata direttamente agli istituti finanziari interessati. La richie­sta motivata spiega perché sono necessarie le informazioni rela­tive ai rispettivi singoli istituti finanziari. L’Autorità informa le pertinenti autorità competenti delle richie­ste in conformità del presente paragrafo e del paragrafo 5. Su richiesta dell’Autorità, le autorità competenti assistono l’Auto­rità nella raccolta delle informazioni. 7. L’Autorità può utilizzare informazioni riservate ottenute ai sensi del presente articolo unicamente ai fini dello svolgimento dei compiti che le sono attribuiti dal presente regolamento. Articolo 36 Rapporti con il CERS 1. L’Autorità coopera strettamente e regolarmente con il CERS. 2. L’Autorità comunica regolarmente e tempestivamente al CERS le informazioni di cui ha bisogno per eseguire i suoi com­piti. Tutti i dati necessari allo svolgimento dei suoi compiti che non si presentano in forma sintetica o aggregata sono forniti senza indugio al CERS su richiesta motivata, secondo le modalità definite all’articolo 15 del regolamento (UE) n. 1092/2010. L’Au­torità, in cooperazione con il CERS, dispone di adeguate proce­dure interne per la divulgazione di informazioni riservate, in particolare informazioni riguardanti i singoli istituti finanziari. 3. Conformemente ai paragrafi 4 e 5, l’Autorità garantisce un seguito adeguato alle segnalazioni e alle raccomandazioni del CERS di cui all’articolo 16 del regolamento (UE) n. 1092/2010. 4. Quando riceve una segnalazione o una raccomandazione inviatale dal CERS, l’Autorità convoca senza indugio una riunione del consiglio delle autorità di vigilanza ed esamina le implicazioni della segnalazione o della raccomandazione per l’esecuzione dei suoi compiti. Decide, secondo la procedura di decisione pertinente, qualsiasi misura da adottare conformemente alle competenze che le sono conferite dal presente regolamento per risolvere i problemi rile­vati nelle segnalazioni e nelle raccomandazioni. Se non dà seguito ad una raccomandazione, l’Autorità comunica le sue ragioni al CERS e al Consiglio. 5. Quando riceve una segnalazione o una raccomandazione inviata dal CERS ad un’autorità nazionale di vigilanza competente, l’Autorità esercita, se necessario, i poteri che le sono conferiti dal presente regolamento per assicurare il seguito tempestivo.

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Quando non intende seguire la raccomandazione del CERS, il destinatario comunica e ne discute le ragioni con il consiglio delle autorità di vigilanza. L’Autorità competente tiene debitamente conto delle argomenta­ zioni del consiglio delle autorità di vigilanza nell’informare il Con­siglio e il CERS ai sensi dell’articolo 17 del regolamento (UE) n. 1092/2010. 6. Nell’esecuzione dei compiti che le sono assegnati dal pre­sente regolamento, l’Autorità tiene in massima considerazione le segnalazioni e le raccomandazioni del CERS. Articolo 37 Gruppo delle parti interessate nel settore bancario 1. Per facilitare la consultazione delle parti interessate nei set­tori pertinenti per i compiti dell’Autorità, è istituito un gruppo delle parti interessate nel settore bancario. Il gruppo delle parti interessate nel settore bancario è consultato sulle misure adottate ai sensi degli articoli da 10 a 15 riguardo alle norme tecniche di regolamentazione e alle norme tecniche di attuazione e, ove que­ste non riguardino i singoli istituti finanziari, ai sensi dell’arti­colo 16 sugli orientamenti e sulle raccomandazioni. Quando occorre agire con urgenza e la consultazione risulta impossibile, il gruppo delle parti interessate nel settore bancario è informato quanto prima possibile. Il gruppo delle parti interessate nel settore bancario si riunisce almeno quattro volte all’anno. 2. Il gruppo delle parti interessate nel settore bancario si com­pone di trenta membri che rappresentano in modo proporzionato gli enti creditizi e le imprese di investimento operanti nell’Unione, i rappresentanti dei loro dipendenti, nonché i consumatori, gli utenti dei servizi bancari e i rappresentanti delle PMI. Almeno cin­que dei suoi membri sono esponenti del mondo accademico indi­ pendenti e di altissimo livello. Dieci dei suoi membri rappresentano gli istituti finanziari, tre dei quali rappresentano le banche cooperative e di risparmio. 3. I membri del gruppo delle parti interessate nel settore ban­cario sono nominati dal consiglio delle autorità di vigilanza su proposta delle relative parti interessate. Nella sua decisione, il con­siglio delle autorità di vigilanza provvede, per quanto possibile, a garantire un equilibrio geografico e di genere ed una rappresen­tanza adeguati delle parti interessate di tutta l’Unione. 4. L’Autorità fornisce tutte le informazioni necessarie nel rispetto del segreto professionale di cui all’articolo 70 e assicura un adeguato supporto di segreteria al gruppo delle parti interes­sate nel settore bancario. Ai membri del gruppo delle parti inte­ressate nel settore bancario che rappresentano organizzazioni senza scopo di lucro è garantito un adeguato rimborso, ad esclu­sione dei rappresentanti delle imprese del settore. Il gruppo delle parti interessate nel settore bancario può istituire gruppi di lavoro su questioni tecniche. La durata del mandato dei membri del gruppo delle parti interessate nel settore

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bancario è di due anni e mezzo, al termine dei quali ha luogo una nuova procedura di selezione. I membri del gruppo delle parti interessate nel settore bancario possono essere nominati per due mandati consecutivi. 5. Il gruppo delle parti interessate nel settore bancario può emanare pareri e fornire consulenze all’Autorità su qualsiasi que­stione in relazione ai compiti dell’Autorità, concentrandosi in par­ticolare sui compiti di cui agli articoli da 10 a 16 e agli articoli 29, 30 e 32. 6. Il gruppo delle parti interessate nel settore bancario adotta il proprio regolamento interno a maggioranza dei due terzi dei suoi membri. 7. L’Autorità pubblica i pareri e le consulenze del gruppo delle parti interessate nel settore bancario e i risultati delle sue consultazioni. Articolo 38 Salvaguardie 1. L’Autorità assicura che nessuna decisione adottata ai sensi degli articoli 18 o 19 incida in alcun modo sulle competenze degli Stati membri in materia di bilancio. 2. Quando uno Stato membro ritiene che una decisione presa ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 3, incida sulle sue competenze in materia di bilancio, entro due settimane dalla notifica della decisione dell’Autorità all’autorità competente può informare l’Autorità e la Commissione che l’autorità competente non appli­ cherà la decisione. Nella sua notifica, lo Stato membro precisa chiaramente come e perché la decisione incide sulle sue competenze in materia di bilancio. Nel caso di una tale notifica, la decisione dell’Autorità è sospesa. Entro un mese dalla notifica dello Stato membro, l’Autorità comu­ nica a quest’ultimo se mantiene la sua decisione, se la modifica o se l’annulla. Se la decisione è mantenuta o modificata, l’Autorità dichiara che non vi sono incidenze sulle competenze in materia di bilancio. Se l’Autorità mantiene la sua decisione, il Consiglio, non oltre due mesi da quando l’Autorità ha informato lo Stato membro ai sensi del quarto comma, decide a maggioranza dei suffragi espressi, in una delle sue riunioni, se mantenere la decisione dell’Autorità. Se il Consiglio, dopo aver considerato la questione, non decide di mantenere la decisione dell’Autorità, conformemente al quinto comma, gli effetti della decisione dell’Autorità cessano. 3. Quando uno Stato membro ritiene che una decisione presa ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 3, incida sulle sue competenze in materia di bilancio, entro tre giorni lavorativi dalla notifica della decisione dell’Autorità all’autorità competente può informare l’Autorità, la Commissione e il Consiglio che l’autorità compe­tente non applicherà la decisione.

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Nella sua notifica, lo Stato membro precisa chiaramente come e perché la decisione incide sulle sue competenze in materia di bilancio. Nel caso di una tale notifica, la decisione dell’Autorità è sospesa. Entro dieci giorni lavorativi il Consiglio convoca una riunione e decide, a maggioranza semplice dei membri, se revocare la deci­sione dell’Autorità. Se il Consiglio, dopo aver considerato la questione, non decide di revocare la decisione dell’Autorità, conformemente al quarto comma, la sospensione della decisione dell’Autorità cessa. 4. Qualora il Consiglio abbia deciso, conformemente al para­grafo 3, di non revocare una decisione dell’Autorità relativa all’ar­ticolo 18, paragrafo 3, e lo Stato membro interessato continui a ritenere che la decisione dell’Autorità incida sulle sue competenze in materia di bilancio, tale Stato membro può informare la Com­missione e l’Autorità e chiedere al Consiglio di riesaminare la que­stione. Lo Stato membro interessato espone chiaramente i motivi del suo disaccordo con la decisione del Consiglio. Entro un termine di quattro settimane dalla notifica di cui al primo comma, il Consiglio conferma la sua decisione originaria o adotta una nuova decisione conformemente al paragrafo 3. Il termine di quattro settimane può essere prorogato di altre quat­tro settimane dal Consiglio, se le particolari circostanze del caso lo richiedono. 5. È vietato, in quanto incompatibile con il mercato interno, il ricorso abusivo al presente articolo, specialmente in rapporto ad una decisione adottata dall’Autorità che sia priva di effetti signi­ficativi o concreti sotto il profilo del bilancio. Articolo 39 Procedure decisionali 1. Prima di adottare le decisioni di cui al presente regolamento, l’Autorità informa ogni destinatario specificato della sua inten­zione di adottare la decisione, precisando il termine assegnatogli per esprimere il suo parere, tenuto conto dell’urgenza, della com­plessità e delle potenziali conseguenze della questione. Lo stesso vale, mutatis mutandis, anche nel caso delle raccomandazioni di cui all’articolo17, paragrafo 3. 2. Le decisioni dell’Autorità indicano le ragioni sulle quali si basano. 3. I destinatari delle decisioni dell’Autorità sono informati dei mezzi di ricorso disponibili ai sensi del presente regolamento. 4. Quando l’Autorità ha adottato una decisione ai sensi dell’ar­ticolo 18, paragrafo 3 o 4, riesamina la decisione a intervalli opportuni. 5. Le decisioni prese dall’Autorità ai sensi degli articoli 17, 18 o 19 sono pubblicate menzionando l’autorità competente o l’isti­tuto finanziario interessati e i principali elementi della decisione, a meno che la pubblicazione non sia in conflitto con gli interessi legittimi degli istituti finanziari alla protezione dei

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loro segreti commerciali o possa compromettere gravemente il regolare fun­ zionamento e l’integrità dei mercati finanziari o la stabilità gene­rale o parziale del sistema finanziario dell’Unione.

CAPO III ORGANIZZAZIONE SEZIONE 1 Consiglio delle autorità di vigilanza Articolo 40 Composizione 1. Il consiglio delle autorità di vigilanza è composto da: a) il presidente, senza diritto di voto; b) il capo dell’autorità pubblica nazionale competente per la vigilanza degli enti creditizi in ogni Stato membro, che par­tecipa di persona almeno due volte all’anno; c) un rappresentante della Commissione, senza diritto di voto; d) un rappresentante della Banca centrale europea, senza diritto di voto; e) un rappresentante del CERS, senza diritto di voto; f) un rappresentante per ognuna delle altre due autorità euro­pee di vigilanza, senza diritto di voto. 2. Il consiglio delle autorità di vigilanza convoca le riunioni con il gruppo delle parti interessate nel settore bancario su base periodica, almeno due volte l’anno. 3. Ogni autorità competente è responsabile della nomina di un supplente di alto livello scelto nell’ambito della propria autorità, il quale può sostituire il membro del consiglio delle autorità di vigilanza di cui al paragrafo 1, lettera b), nel caso in cui questi non possa partecipare. 4. Quando l’autorità di cui al paragrafo 1, lettera b), non è una banca centrale, il membro del consiglio delle autorità di vigilanza di cui alla predetta lettera può decidere di portare un rappresen­tante, senza diritto di voto, della banca centrale dello Stato membro. 5. Negli Stati membri in cui più di un’autorità è responsabile della vigilanza ai sensi del presente regolamento, tali autorità si accordano su un rappresentante comune. Tuttavia, quando un punto previsto per la discussione del consiglio delle autorità di vigilanza non rientra nella competenza dell’autorità nazionale rappresentata dal membro di cui al paragrafo 1, lettera b), detto membro può portare un rappresentante dell’autorità nazionale competente, senza diritto di voto.

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6. Ai fini della direttiva 94/19/CE, il membro del consiglio delle autorità di vigilanza di cui al paragrafo 1, lettera b), può essere accompagnato, se necessario, da un rappresentante, senza diritto di voto, dei pertinenti organismi incaricati della gestione dei sistemi di garanzia dei depositi in ogni Stato membro. 7. Il consiglio delle autorità di vigilanza può decidere di ammettere osservatori. Il direttore esecutivo può partecipare alle riunioni del consiglio delle autorità di vigilanza, senza diritto di voto. Articolo 41 Comitati e gruppi di esperti interni 1. Il consiglio delle autorità di vigilanza può istituire comitati o gruppi di esperti interni per compiti specifici che gli sono attri­buiti e può prevedere la delega di alcuni compiti e decisioni ben definiti ai comitati e ai gruppi di esperti interni, al consiglio di amministrazione o al presidente. 2. Ai fini dell’articolo 19, il consiglio delle autorità di vigilanza convoca un gruppo di esperti indipendente incaricato di facilitare una risoluzione imparziale delle controversie, comprendente il suo presidente e due dei suoi membri che non siano rappresen­tanti delle autorità competenti che sono parti della controversia e non abbiano né interesse nel conflitto né legami diretti con le autorità competenti interessate. 3. Fatto salvo l’articolo 19, paragrafo 2, il gruppo di esperti propone una decisione al consiglio delle autorità di vigilanza affinché venga adottata in via definitiva, secondo la procedura di cui all’articolo 44, paragrafo 1, terzo comma. 4. Il consiglio delle autorità di vigilanza adotta il regolamento interno del gruppo di esperti di cui al paragrafo 2. Articolo 42 Indipendenza Nello svolgimento dei compiti che sono loro assegnati dal pre­sente regolamento, il presidente e i membri con diritto di voto del consiglio delle autorità di vigilanza agiscono in piena indipen­denza e obiettività nell’interesse esclusivo dell’Unione nel suo insieme, senza chiedere né ricevere istruzioni da parte di istitu­zioni o organi dell’Unione, dai governi degli Stati membri o da altri soggetti pubblici o privati. Né gli Stati membri, né le istituzioni o gli organi dell’Unione, né altri soggetti pubblici o privati cercano di influenzare i membri del consiglio delle autorità di vigilanza nello svolgimento dei loro compiti.

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Articolo 43 Compiti 1. Il consiglio delle autorità di vigilanza fornisce orientamenti al lavoro dell’Autorità ed è incaricato di adottare le decisioni di cui al capo II. 2. Il consiglio delle autorità di vigilanza emana pareri, formula raccomandazioni e prende decisioni ed emana i pareri di cui al capo II. 3. Il consiglio delle autorità di vigilanza nomina il presidente. 4. Entro il 30 settembre di ogni anno, il consiglio delle auto­rità di vigilanza adotta, su proposta del consiglio di amministra­zione, il programma di lavoro dell’Autorità per l’anno successivo e lo trasmette per informazione al Parlamento europeo, al Consi­glio e alla Commissione. Il programma di lavoro è adottato fatta salva la procedura di bilancio annuale ed è reso pubblico. 5. Il consiglio delle autorità di vigilanza, su proposta del con­siglio di amministrazione, adotta la relazione annuale sulle atti­vità dell’Autorità, compresa l’esecuzione dei compiti del presidente, sulla base del progetto di relazione di cui all’arti­colo 53, paragrafo 7, e la trasmette, entro il 15 giugno di ogni anno, al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Commissione, alla Corte dei conti e al Comitato economico e sociale europeo. La relazione è resa pubblica. 6. Il consiglio delle autorità di vigilanza adotta il programma di lavoro pluriennale dell’Autorità e lo trasmette per informazione al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione. Il programma di lavoro pluriennale è adottato fatta salva la pro­cedura di bilancio annuale ed è reso pubblico. 7. Il consiglio delle autorità di vigilanza adotta il bilancio ai sensi dell’articolo 63.8. Il consiglio delle autorità di vigilanza esercita l’autorità disci­plinare sul presidente e il direttore esecutivo e può rimuoverli dal­l’incarico conformemente all’articolo 48, paragrafo 5, o all’articolo 51, paragrafo 5, rispettivamente. Articolo 44 Processo decisionale 1. Le decisioni del consiglio delle autorità di vigilanza sono adottate a maggioranza semplice dei suoi membri. Ogni membro dispone di un solo voto. Per gli atti di cui agli articoli da 10 a 16 e le misure e decisioni adottate in base all’articolo 9, paragrafo 5, e al capo VI e in deroga al primo comma del presente paragrafo, il consiglio delle autorità di vigilanza delibera a maggioranza qualificata dei membri, quale definita all’articolo 16, paragrafo 4, del trattato sull’Unione euro­pea e all’articolo 3 del protocollo (n. 36) sulle disposizioni transitorie.

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Per quanto riguarda le decisioni adottate ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 3, nel caso di decisioni prese dall’autorità di vigilanza su base consolidata, la decisione proposta dal gruppo di esperti si considera adottata se è approvata a maggioranza semplice, a meno che non sia respinta da membri che rappresentino una minoranza di blocco quale definita all’articolo 16, paragrafo 4, del trattato sull’Unione europea e all’articolo 3 del protocollo (n. 36) sulle disposizioni transitorie. Per tutte le altre decisioni adottate ai sensi dell’articolo 19, para­grafo 3, la decisione proposta dal gruppo di esperti è adottata a maggioranza semplice dei membri del consiglio delle autorità di vigilanza. Ogni membro dispone di un solo voto. 2. Le riunioni del consiglio delle autorità di vigilanza sono convocate dal presidente di propria iniziativa o su richiesta di un terzo dei membri, e sono presiedute dal presidente. 3. Il consiglio delle autorità di vigilanza adotta e pubblica il proprio regolamento interno. 4. Il regolamento interno fissa nel dettaglio le modalità di voto, tra cui, se del caso, le regole in materia di quorum. I membri non votanti e gli osservatori, a eccezione del presidente e del direttore esecutivo, non assistono alle discussioni del consiglio delle auto­rità di vigilanza relative a singoli istituti finanziari, salvo diversa­mente disposto all’articolo 75, paragrafo 3, o negli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2.

SEZIONE 2 Consiglio di amministrazione Articolo 45 Composizione 1. Il consiglio di amministrazione comprende il presidente e altri sei membri del consiglio delle autorità di vigilanza eletti da e fra i membri con diritto di voto dello stesso consiglio delle auto­rità di vigilanza. Tranne il presidente, ogni membro del consiglio di amministra­zione ha un supplente che può sostituirlo in caso di impedimento. Il mandato dei membri eletti dal consiglio delle autorità di vigi­lanza è di due anni e mezzo. Il mandato può essere rinnovato una volta. La composizione del consiglio di amministrazione è equi­librata e proporzionata e riflette l’insieme dell’Unione. I mandati si sovrappongono e si applicano opportune modalità di rotazione. 2. Il consiglio di amministrazione adotta le sue decisioni a maggioranza dei membri presenti. Ogni membro dispone di un solo voto.

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Il direttore esecutivo e un rappresentante della Commissione par­tecipano alle riunioni del consiglio di amministrazione senza diritto di voto. Il rappresentante della Commissione ha diritto di voto nelle que­stioni di cui all’articolo 63. Il consiglio di amministrazione adotta e pubblica il proprio rego­lamento interno. 3. Le riunioni del consiglio di amministrazione sono convo­cate dal presidente di sua propria iniziativa o su richiesta di almeno un terzo dei membri, e sono presiedute dal presidente. Il consiglio di amministrazione si riunisce prima di ogni riunione del consiglio delle autorità di vigilanza e ogni qual volta il consi­glio di amministrazione lo ritenga necessario. Esso si riunisce almeno cinque volte l’anno. 4. I membri del consiglio di amministrazione possono farsi assistere da consulenti o esperti, fatte salve le disposizioni del regolamento interno. I membri senza diritto di voto, ad eccezione del direttore esecutivo, non assistono alle discussioni del consi­glio di amministrazione che riguardano singoli istituti finanziari. Articolo 46 Indipendenza I membri del consiglio di amministrazione agiscono in piena indi­pendenza e obiettività nell’interesse esclusivo dell’Unione nel suo insieme, senza chiedere né ricevere istruzioni da parte di istitu­zioni o organi dell’Unione, dai governi degli Stati membri o da altri soggetti pubblici o privati. Né gli Stati membri, né le istituzioni o gli organi dell’Unione né altri soggetti pubblici o privati cercano di influenzare i membri del consiglio di amministrazione nell’assolvimento dei loro compiti. Articolo 47 Compiti 1. Il consiglio di amministrazione assicura che l’Autorità assolva la sua missione ed esegua i compiti che le sono affidati ai sensi del presente regolamento. 2. Il consiglio di amministrazione propone all’adozione del consiglio delle autorità di vigilanza il programma di lavoro annuale e pluriennale. 3. Il consiglio di amministrazione esercita le sue competenze di bilancio conformemente agli articoli 63 e 64. 4. Il consiglio di amministrazione adotta il piano dell’Autorità in materia di politica del personale e, ai sensi dell’articolo 68, paragrafo 2, stabilisce le necessarie modalità di applicazione dello statuto dei funzionari delle Comunità europee (in prosieguo: lo «statuto dei funzionari»).

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5. Il consiglio di amministrazione adotta le disposizioni parti­colari relative al diritto di accesso ai documenti dell’Autorità, con­formemente all’articolo 72. 6. Il consiglio di amministrazione sottopone all’approvazione del consiglio delle autorità di vigilanza una relazione annuale sulle attività dell’Autorità, tra cui i compiti del presidente, sulla base del progetto di cui all’articolo 53, paragrafo 7. 7. Il consiglio di amministrazione adotta e pubblica il proprio regolamento interno. 8. Il consiglio di amministrazione nomina e revoca i membri della commissione di ricorso a norma dell’articolo 58, paragrafi 3 e 5.

SEZIONE 3 Presidente Articolo 48 Nomina e compiti 1. L’Autorità è rappresentata dal presidente, che è un profes­sionista indipendente impiegato a tempo pieno. Il presidente è incaricato di preparare i lavori del consiglio delle autorità di vigilanza e di presiedere le riunioni del consiglio delle autorità di vigilanza e del consiglio di amministrazione. 2. Il presidente è designato dal consiglio delle autorità di vigi­lanza in base ai meriti, alle competenze, alla conoscenza degli isti­tuti e dei mercati finanziari, nonché all’esperienza in materia di vigilanza e di regolamentazione finanziaria, tramite una proce­dura di selezione aperta. Prima di assumere le proprie funzioni e fino a un mese dopo la selezione da parte del consiglio delle autorità di vigilanza, il Par­lamento europeo può, dopo aver ascoltato il candidato scelto dal consiglio delle autorità di vigilanza, opporsi alla designazione della persona selezionata. Il consiglio delle autorità di vigilanza elegge al suo interno anche un supplente, che assume le funzioni di presidente in assenza di quest’ultimo. Il supplente non è eletto tra i membri del consiglio di amministrazione. 3. Il mandato del presidente è di cinque anni ed è rinnovabile una volta. 4. Nel corso dei nove mesi che precedono la scadenza del mandato di cinque anni del presidente, il consiglio delle autorità di vigilanza valuta: a) i risultati conseguiti nel corso del primo mandato e il modo in cui sono stati raggiunti; b) i doveri e le esigenze dell’Autorità per gli anni successivi.

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Il consiglio delle autorità di vigilanza, tenuto conto della valuta­zione, può rinnovare il mandato del presidente una volta, con riserva di conferma da parte del Parlamento europeo. 5. Il presidente può essere rimosso dal suo incarico solo dal Parlamento europeo, a seguito di una decisione del consiglio delle autorità di vigilanza. Il presidente non impedisce al consiglio delle autorità di vigilanza di esaminare le questioni che lo riguardano, in particolare la necessità di rimuoverlo dal suo incarico, e non partecipa alle deli­berazioni relative a tali questioni. Articolo 49 Indipendenza Fatto salvo il ruolo del consiglio delle autorità di vigilanza in rela­zione ai compiti del presidente, il presidente non chiede né riceve istruzioni da parte di istituzioni o organi dell’Unione, dai governi degli Stati membri o da altri soggetti pubblici o privati. Né gli Stati membri, né le istituzioni o gli organi dell’Unione, né altri soggetti pubblici o privati cercano di influenzare il presidente nell’assolvimento dei suoi compiti. Conformemente allo statuto dei funzionari di cui all’articolo 68, il presidente, terminato l’incarico, è tenuto ad osservare i doveri di onestà e delicatezza nell’accettare determinate funzioni o deter­minati vantaggi. Articolo 50 Relazione 1. Il Parlamento europeo e il Consiglio possono invitare il pre­sidente, o il suo supplente, a fare una dichiarazione, nel pieno rispetto della loro indipendenza. Il presidente fa una dichiarazione dinanzi al Parlamento europeo e risponde a eventuali domande poste dai suoi membri ogni volta che ne sia richiesto. 2. Qualora richiesto, il presidente trasmette al Parlamento europeo una relazione scritta sulle principali attività dell’Autorità almeno quindici giorni prima della dichiarazione di cui al paragrafo 1. 3. Oltre alle informazioni di cui agli articoli da 11 a 18 e agli articoli 20 e 33, la relazione include anche le eventuali informa­zioni pertinenti richieste dal Parlamento europeo su una base puntuale.

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SEZIONE 4 Direttore esecutivo Articolo 51 Nomina 1. L’Autorità è gestita da un direttore esecutivo, che è un pro­fessionista indipendente impiegato a tempo pieno. 2. Il direttore esecutivo è nominato dal consiglio delle autorità di vigilanza, previa conferma del Parlamento europeo, in base ai meriti, alle competenze, alla conoscenza degli istituti e dei mer­cati finanziari, nonché all’esperienza in materia di vigilanza e di regolamentazione finanziaria e all’esperienza manageriale, tramite una procedura di selezione aperta. 3. Il mandato del direttore esecutivo è di cinque anni ed è rin­novabile una volta. 4. Nel corso dei nove mesi che precedono la scadenza del mandato del direttore esecutivo, il consiglio delle autorità di vigi­lanza valuta in particolare: a) i risultati conseguiti nel corso del primo mandato e il modo in cui sono stati raggiunti; b) i doveri e le esigenze dell’Autorità per gli anni successivi. Il consiglio delle autorità di vigilanza, tenuto conto della valuta­zione di cui al primo comma, può rinnovare il mandato del diret­tore esecutivo una volta. 5. Il direttore esecutivo può essere rimosso dal suo incarico solo con una decisione del consiglio delle autorità di vigilanza. Articolo 52 Indipendenza Fatti salvi i rispettivi ruoli del consiglio di amministrazione e del comitato delle autorità di vigilanza in relazione ai compiti del direttore esecutivo, il direttore esecutivo non chiede né riceve istruzioni da parte di istituzioni o organi dell’Unione, dai governi degli Stati membri o da altri soggetti pubblici o privati. Né gli Stati membri, né le istituzioni o gli organi dell’Unione né altri soggetti pubblici o privati cercano di influenzare il presidente nell’assolvimento dei suoi compiti. Conformemente allo statuto dei funzionari di cui all’articolo 68, il direttore esecutivo, terminato l’incarico, è tenuto ad osservare i doveri di onestà e delicatezza nell’accettare determinate funzioni o determinati vantaggi.

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Articolo 53 Compiti 1. Il direttore esecutivo si occupa della gestione dell’Autorità e prepara i lavori del consiglio di amministrazione. 2. Il direttore esecutivo è responsabile dell’esecuzione del pro­gramma di lavoro annuale dell’Autorità, sotto la guida del comi­tato delle autorità di vigilanza e sotto il controllo del consiglio di amministrazione. 3. Il direttore esecutivo prende le misure necessarie, in parti­colare l’adozione di istruzioni amministrative interne e la pubbli­cazione di avvisi, per assicurare il funzionamento dell’Autorità conformemente al presente regolamento. 4. Il direttore esecutivo prepara il programma di lavoro plu­riennale di cui all’articolo 47, paragrafo 2. 5. Ogni anno, entro il 30 giugno, il direttore esecutivo elabora un programma di lavoro per l’esercizio successivo, come previsto all’articolo 47, paragrafo 2. 6. Il direttore esecutivo redige un progetto preliminare di bilancio dell’Autorità ai sensi dell’articolo 63 e dà esecuzione al bilancio dell’Autorità ai sensi dell’articolo 64. 7. Ogni anno il direttore esecutivo prepara un progetto di rela­zione che prevede una parte dedicata alle attività di regolamenta­zione e di vigilanza dell’Autorità e una parte dedicata alle questioni finanziarie e amministrative. 8. Il direttore esecutivo esercita nei confronti del personale del­l’Autorità le competenze di cui all’articolo 68 e gestisce le que­stioni relative al personale.

CAPO IV ORGANISMI CONGIUNTI DELLE AUTORITË EUROPEE DI VIGILANZA SEZIONE 1 Comitato congiunto delle autorità europee di vigilanza Articolo 54 Istituzione 1. È istituito il comitato congiunto delle autorità europee di vigilanza. 2. Il comitato congiunto funge da forum in cui l’Autorità coo­pera regolarmente e strettamente con l’Autorità europea di vigi­lanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) e l’Autorità europea di

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vigilanza (Auto­rità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) e assicura l’uniformità intersettoriale, in particolare per quanto concerne: –– i conglomerati finanziari; –– la contabilità e la revisione dei conti; –– le analisi microprudenziali degli sviluppi intersettoriali, dei rischi e delle vulnerabilità in termini di stabilità finanziaria; –– i prodotti di investimento al dettaglio; –– le misure di contrasto al riciclaggio di denaro; –– lo scambio di informazioni con il CERS e lo sviluppo dei rap­porti tra il CERS e le AEV. 3. Il comitato congiunto dispone di apposito personale fornito dalle AEV, che svolge funzioni di segreteria. L’Autorità fornisce un adeguato contributo di risorse per le spese amministrative, di infrastruttura e operative. 4. Qualora un istituto finanziario svolga un’attività multisetto­riale, il comitato congiunto provvede alla composizione di diver­genze a norma dell’articolo 56. Articolo 55 Composizione 1. Il comitato congiunto è composto dai presidenti delle AEV e, se del caso, dal presidente di uno dei sottocomitati istituiti a norma dell’articolo 57. 2. Il direttore esecutivo, un rappresentante della Commissione e il CERS sono invitati alle riunioni del comitato congiunto, non­ché di ogni sottocomitato di cui all’articolo 57, in qualità di osservatori. 3. Il presidente del comitato congiunto è nominato in base a un sistema di rotazione annuale fra i presidenti delle AEV. Il pre­sidente del comitato congiunto è un vicepresidente del CERS. 4. Il comitato congiunto adotta e pubblica il suo regolamento interno. Il regolamento interno può specificare gli altri parteci­panti alle riunioni del comitato congiunto. Il comitato congiunto si riunisce almeno una volta ogni due mesi. Articolo 56 Posizioni congiunte e atti comuni Nel quadro dei compiti che le sono attribuiti ai sensi del capo II, in particolare in relazione all’attuazione della direttiva 2002/87/CE, ove opportuno, l’Autorità adotta posizioni comuni con l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assi­curazioni e delle pensioni aziendali e professionali) e con l’Auto­rità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), a seconda dei casi.

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Gli atti di cui agli articoli da 10 a 15 e agli articoli 17, 18 o 19 del presente regolamento per quanto riguarda l’applicazione della direttiva 2002/87/CE e di qualsiasi altro atto dell’Unione di cui all’articolo 1, paragrafo 2, che rientri anche nel settore di compe­tenza dell’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) o dell’Au­torità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) sono adottati, in parallelo, dall’Autorità, dall’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicu­razioni e delle pensioni aziendali e professionali) e dall’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), se necessario. Articolo 57 Sottocomitati 1. Ai fini dell’articolo 56, è istituito un sottocomitato per i conglomerati finanziari del comitato congiunto. 2. Il sottocomitato si compone delle persone di cui all’arti­colo 55, paragrafo 1, e di un rappresentante ad alto livello nomi­nato tra il personale in servizio della corrispondente autorità competente di ogni Stato membro. 3. Il sottocomitato elegge tra i suoi membri il presidente, che è altresì membro del comitato congiunto. 4. Il comitato congiunto può istituire altri sottocomitati.

SEZIONE 2 Commissione di ricorso Articolo 58 Composizione e funzionamento 1. La commissione di ricorso è un organismo congiunto delle AEV. 2. La commissione di ricorso è composta di sei membri e sei supplenti, persone di indubbio prestigio che abbiano dato prova delle conoscenze pertinenti e di esperienza professionale, anche nell’ambito della vigilanza, a livello sufficientemente elevato in campo bancario, assicurativo, delle pensioni aziendali e profes­sionali, dei mercati azionari o altri servizi finanziari, ad eccezione del personale in servizio delle autorità competenti o di altre isti­tuzioni nazionali o dell’Unione coinvolte nelle attività dell’Auto­rità. La commissione di ricorso è in possesso delle sufficienti competenze giuridiche necessarie a fornire consulenza giuridica sulla legittimità dell’esercizio dei poteri dell’Autorità.

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La commissione di ricorso designa il suo presidente. 3. Due membri della commissione di ricorso e due supplenti sono nominati dal consiglio di amministrazione dell’Autorità da un elenco ristretto di candidati proposto dalla Commissione, a seguito di un invito a manifestare interesse pubblicato nella Gaz­zetta ufficiale dell’Unione europea, e previa consultazione del consi­glio delle autorità di vigilanza. Gli altri membri sono nominati conformemente al regolamento (UE) n. 1094/2010 e al regolamento (UE) n. 1095/2010. 4. Il mandato dei membri della commissione di ricorso è di cinque anni. Tale mandato può essere rinnovato una volta. 5. Il membro della commissione di ricorso nominato dal con­siglio di amministrazione dell’Autorità è rimosso durante il suo mandato solo per colpa grave e se il consiglio di amministrazione decide in tal senso, previa consultazione del consiglio delle auto­rità di vigilanza. 6. Le decisioni della commissione di ricorso sono adottate con la maggioranza di almeno quattro dei suoi sei membri. Laddove la decisione oggetto di ricorso rientri nell’ambito di applicazione del presente regolamento, la maggioranza comprende almeno uno dei due membri della commissione di ricorso nominati dall’Autorità. 7. La commissione di ricorso è convocata dal suo presidente quando necessario. 8. Le AEV assicurano un adeguato sostegno operativo e ammi­nistrativo alla commissione di ricorso tramite il comitato congiunto.

Articolo 59 Indipendenza e imparzialità 1. I membri della commissione di ricorso sono indipendenti nelle loro decisioni. Essi non sono vincolati da alcuna istruzione. Essi non esercitano altre funzioni in relazione all’Autorità, al suo consiglio di amministrazione o al suo consiglio delle autorità di vigilanza. 2. I membri della commissione di ricorso non prendono parte a un procedimento di ricorso in cui abbiano un conflitto di inte­ressi, se vi hanno precedentemente preso parte come rappresen­tanti di una delle parti o se sono intervenuti nell’adozione della decisione oggetto del ricorso. 3. Se, per uno dei motivi di cui ai paragrafi 1 e 2, o per qual­sivoglia altro motivo, un membro della commissione di ricorso ritiene che un altro membro non possa partecipare al procedi­mento di ricorso, ne informa di conseguenza la commissione di ricorso. 4. Qualsiasi delle parti del procedimento di ricorso può ricu­sare un membro della commissione di ricorso per uno dei motivi di cui ai paragrafi 1 e 2 ovvero per sospetta parzialità. La ricusazione non può né fondarsi sulla cittadinanza dei membri né essere

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ammessa quando una delle parti del procedimento di ricorso, pur essendo a conoscenza dell’esistenza di un motivo di ricusazione, abbia ciò nonostante compiuto atti procedurali diversi dall’opposizione alla composizione della commissione di ricorso. 5. La commissione di ricorso decide quali provvedimenti deb­bano essere adottati nei casi di cui ai paragrafi 1 e 2, senza la par­tecipazione del membro interessato. Ai fini della decisione, il membro interessato è sostituito nella commissione di ricorso dal suo supplente. Qualora anche que­st’ultimo si trovi in una situazione similare, il presidente dell’Au­torità designa un sostituto fra i supplenti disponibili. 6. I membri della commissione di ricorso si impegnano ad agire in modo indipendente e nel pubblico interesse. A tal fine, essi rendono una dichiarazione di impegni e una dichia­razione di interessi, con la quale indicano o l’assenza di interessi che possano essere considerati in contrasto con la loro indipen­denza o eventuali interessi diretti o indiretti che possano essere considerati in contrasto con la loro indipendenza. Tali dichiarazioni sono rese pubbliche annualmente e per iscritto.

CAPO V MEZZI DI RICORSO Articolo 60 Ricorsi 1. Qualsiasi persona fisica o giuridica, incluse le autorità com­petenti, può proporre ricorso contro una decisione dell’Autorità di cui agli articoli 17, 18 e 19, e contro ogni altra decisione adot­tata dall’Autorità in conformità degli atti dell’Unione di cui all’ar­ticolo 1, paragrafo 2, avente come destinatario la predetta persona, o contro una decisione che, pur apparendo come una decisione presa nei confronti di un’altra persona, riguardi detta persona direttamente e individualmente. 2. Il ricorso, insieme a una memoria che ne espone i motivi, è presentato per iscritto all’Autorità entro due mesi dalla data della notifica della decisione alla persona interessata o, in assenza di notifica, dal giorno in cui l’Autorità ha pubblicato la sua decisione. La commissione di ricorso decide in merito al ricorso nei due mesi dalla presentazione del ricorso. 3. La presentazione di un ricorso conformemente al para­grafo 1 non ha effetto sospensivo.

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La commissione di ricorso può, tuttavia, sospendere l’esecuzione della decisione impugnata, se ritiene che le circostanze lo richiedano. 4. Se il ricorso è ammissibile, la commissione di ricorso ne esa­mina il merito. Invita le parti del procedimento di ricorso a pre­sentare, entro un termine determinato, le osservazioni sulle proprie notificazioni o sulle comunicazioni provenienti dalle altre parti del procedimento di ricorso. Le parti del procedimento di ricorso possono presentare osservazioni orali. 5. La commissione di ricorso può confermare la decisione presa dall’organo competente dell’Autorità o rinviare il caso a tale organo. Quest’ultimo è vincolato dalla decisione della commis­sione di ricorso e adotta una decisione modificata sul caso in questione. 6. La commissione di ricorso adotta e pubblica il proprio rego­lamento interno. 7. Le decisioni adottate dalla commissione di ricorso sono motivate e pubblicate dall’Autorità. Articolo 61 Azione dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea 1. Le decisioni della commissione di ricorso e, nei casi in cui non vi è la possibilità di ricorso dinanzi alla commissione di ricorso, le decisioni dell’Autorità possono essere impugnate dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, a norma del­l’articolo 263 TFUE. 2. Gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione, come pure qualsiasi persona fisica o giuridica, possono intentare un’azione giudiziaria dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea avverso le decisioni dell’Autorità a norma dell’articolo 263 TFUE. 3. Quando l’Autorità ha l’obbligo di intervenire e omette di adottare una decisione, può essere avviato dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea un procedimento per carenza a norma dell’articolo 265 TFUE. 4. L’Autorità è tenuta a prendere i provvedimenti necessari per conformarsi alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.

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CAPO VI DISPOSIZIONI FINANZIARIE Articolo 62 Bilancio dell’Autorità 1. Le entrate dell’Autorità, organismo europeo a norma dell’ar­ticolo 185 del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Con­siglio, del 25 giugno 2002, che stabilisce il regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità euro­pee (1) (in prosieguo: il «regolamento finanziario»), sono costituite in particolare da una combinazione di: a) contributi obbligatori delle autorità pubbliche nazionali com­petenti per la vigilanza degli istituti finanziari, che sono ero­gati in conformità di una formula basata sulla ponderazione dei voti di cui all’articolo 3, paragrafo 3, del protocollo (n. 36) sulle disposizioni transitorie. Ai fini del presente articolo, l’ar­ticolo 3, paragrafo 3, del protocollo (n. 36) sulle disposizioni transitorie continua ad applicarsi oltre la scadenza del 31 ottobre 2014 ivi stabilita; b) una sovvenzione dell’Unione iscritta nel bilancio generale dell’Unione europea (sezione Commissione); c) le eventuali commissioni pagate all’Autorità nei casi previsti dai pertinenti strumenti del diritto dell’Unione. 2. Le spese dell’Autorità comprendono almeno le spese di per­sonale, retributive, amministrative, di infrastruttura, di forma­zione professionale e operative. 3. Le entrate e le spese devono essere in pareggio. 4. Le previsioni di tutte le entrate e di tutte le spese dell’Auto­rità sono predisposte per ciascun esercizio finanziario, che coin­cide con l’anno civile, e sono iscritte nel bilancio dell’Autorità. Articolo 63 Elaborazione del bilancio 1. Entro il 15 febbraio di ogni anno, il direttore esecutivo redige un progetto di stato di previsione delle entrate e delle spese per l’esercizio successivo e lo trasmette al consiglio di amministra­zione e al consiglio delle autorità di vigilan-

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GU L 248 del 16.9.2002, pag. 1.

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za, unitamente alla tabella dell’organico. Ogni anno, il consiglio delle autorità di vigi­lanza elabora, sulla base del progetto redatto dal direttore esecu­tivo e approvato dal consiglio di amministrazione, lo stato di previsione delle entrate e delle spese dell’Autorità per l’esercizio successivo. Questo stato di previsione, che include un progetto di tabella dell’organico, è trasmesso dal consiglio delle autorità di vigilanza alla Commissione entro il 31 marzo. Prima dell’ado­zione dello stato di previsione, il progetto preparato dal direttore esecutivo è approvato dal consiglio di amministrazione. 2. Lo stato di previsione è trasmesso dalla Commissione al Par­lamento europeo e al Consiglio (in prosieguo, congiuntamente: l’«autorità di bilancio») unitamente al progetto di bilancio del­l’Unione europea. 3. Sulla base dello stato di previsione, la Commissione inseri­sce nel progetto di bilancio dell’Unione europea le previsioni che ritiene necessarie relativamente all’organico e all’importo della sovvenzione a carico del bilancio generale dell’Unione europea, conformemente agli articoli 313 e 314 TFUE. 4. L’autorità di bilancio adotta la tabella dell’organico dell’Au­torità. L’autorità di bilancio autorizza gli stanziamenti a titolo della sovvenzione destinata all’Autorità. 5. Il bilancio dell’Autorità è adottato dal consiglio delle auto­ rità di vigilanza. Esso diventa definitivo dopo l’adozione defini­tiva del bilancio generale dell’Unione europea. Se del caso, si procede agli opportuni adeguamenti. 6. Il consiglio di amministrazione notifica senza indugio all’au­torità di bilancio che intende attuare un progetto che può avere implicazioni finanziarie significative per il finanziamento del suo bilancio, in particolare per quanto riguarda i progetti in campo immobiliare, quali la locazione o l’acquisto di edifici. Esso ne informa la Commissione. Qualora un ramo dell’autorità di bilan­cio intenda emanare un parere, esso informa l’Autorità della sua intenzione, entro due settimane dal ricevimento delle informa­zioni sul progetto. In assenza di risposta, l’Autorità può procedere con l’operazione prevista. 7. Per il primo anno di funzionamento dell’Autorità, che si conclude il 31 dicembre 2011, il finanziamento dell’Autorità da parte dell’Unione è subordinato a un accordo dell’autorità di bilancio, secondo quanto indicato al punto 47 dell’accordo inte­ristituzionale sulla disciplina di bilancio e la sana gestione finanziaria.

Articolo 64 Esecuzione e controllo del bilancio 1. Il direttore esecutivo esercita le funzioni di ordinatore e dà esecuzione al bilancio dell’Autorità. 2. Entro il 1o marzo successivo alla chiusura dell’esercizio finanziario, il contabile dell’Autorità trasmette i conti provvisori, accompagnati dalla relazione sulla gestione finanziaria e di bilan­cio dell’esercizio, al contabile della Commissione e alla Corte dei conti. Il contabile dell’Autorità trasmette la relazione sulla gestione finanziaria e di bilancio anche ai membri del consiglio delle autorità di

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vigilanza, al Parlamento europeo e al Consiglio entro il 31 marzo dell’esercizio successivo. Il contabile della Commissione consolida i conti provvisori delle istituzioni e degli organismi decentrati ai sensi dell’articolo 128 del regolamento finanziario. 3. Dopo aver ricevuto le osservazioni della Corte dei conti sui conti provvisori dell’Autorità, conformemente all’articolo 129 del regolamento finanziario, il direttore esecutivo stabilisce i conti definitivi dell’Autorità sotto la propria responsabilità e li tra­smette, ai fini dell’acquisizione del parere, al consiglio di amministrazione. 4. Il consiglio di amministrazione emana un parere sui conti definitivi dell’Autorità. 5. Entro il 10 luglio successivo alla chiusura dell’esercizio finanziario, il direttore esecutivo trasmette i conti definitivi, accompagnati dal parere del consiglio di amministrazione, ai membri del consiglio delle autorità di vigilanza, al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Commissione e alla Corte dei conti. 6. I conti definitivi sono pubblicati. 7. Entro il 30 settembre il direttore esecutivo invia alla Corte dei conti una risposta alle osservazioni di quest’ultima, con copia al consiglio di amministrazione e alla Commissione. 8. Il direttore esecutivo presenta al Parlamento europeo, su richiesta di quest’ultimo, come previsto all’articolo 146, para­grafo 3, del regolamento finanziario, ogni informazione necessa­ria per la corretta applicazione della procedura di discarico per l’esercizio finanziario in questione. 9. Il Parlamento europeo, su raccomandazione del Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata, dà discarico, entro il 15 maggio dell’anno N + 2, all’Autorità sull’esecuzione del bilan­cio, che comprende le entrate provenienti dal bilancio generale dell’Unione europea e delle competenti autorità, dell’esercizio finanziario N. Articolo 65 Disposizioni finanziarie Le disposizioni finanziarie applicabili all’Autorità sono adottate dal consiglio di amministrazione previa consultazione della Com­missione. Tali disposizioni possono discostarsi dal regolamento (CE, Euratom) n. 2343/2002 della Commissione, del 19 novem­bre 2002, sul regolamento finanziario quadro degli organismi di cui all’articolo 185 del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio che stabilisce il regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee (2), solo se lo richie­dono le esigenze operative specifiche dell’Autorità e unicamente previo accordo della Commissione.

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GU L 357 del 31.12.2002, pag. 72.

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Articolo 66 Misure antifrode 1. Ai fini della lotta contro le frodi, la corruzione e altre atti­vità illecite, all’Autorità si applica senza restrizioni il regolamento (CE) n. 1073/1999. 2. L’Autorità aderisce all’accordo interistituzionale relativo alle indagini interne svolte dall’OLAF e adotta immediatamente le disposizioni opportune che si applicano a tutto il personale dell’Autorità. 3. Le decisioni di finanziamento, gli accordi e gli strumenti di applicazione che ne derivano prevedono espressamente che, se necessario, la Corte dei conti e l’OLAF possono effettuare un con­trollo in loco presso i beneficiari degli stanziamenti dell’Autorità e presso gli agenti responsabili della loro allocazione.

CAPO VII DISPOSIZIONI GENERALI Articolo 67 Privilegi e immunità All’Autorità e al suo personale si applica il protocollo (n. 7) sui privilegi e le immunità dell’Unione europea allegato al trattato sul­l’Unione europea e al TFUE. Articolo 68 Personale 1. Al personale dell’Autorità, compreso il direttore esecutivo e il presidente, si applicano lo statuto dei funzionari e il regime applicabile agli altri agenti, nonché le regole adottate congiunta­mente dalle istituzioni dell’Unione ai fini della loro applicazione. 2. Il consiglio di amministrazione, di concerto con la Commis­sione, adotta le necessarie disposizioni di esecuzione, secondo le modalità di cui all’articolo 110 dello statuto dei funzionari. 3. L’Autorità esercita, relativamente al suo personale, le com­petenze conferite all’autorità investita del potere di nomina dallo statuto dei funzionari e all’autorità abilitata a stipulare contratti dal regime applicabile agli altri agenti. 4. Il consiglio di amministrazione adotta disposizioni che con­sentano di ricorrere a esperti nazionali distaccati dagli Stati mem­bri presso l’Autorità.

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Articolo 69 Responsabilità dell’Autorità 1. In materia di responsabilità extracontrattuale, l’Autorità risarcisce, conformemente ai principi generali comuni agli ordi­namenti degli Stati membri, i danni cagionati dall’Autorità stessa o dal suo personale nell’esercizio delle sue funzioni. La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a conoscere delle con­troversie relative al risarcimento dei danni. 2. La responsabilità personale finanziaria e disciplinare del per­sonale dell’Autorità nei confronti dell’Autorità è disciplinata dalle disposizioni pertinenti applicabili al personale dell’Autorità. Articolo 70 Obbligo del segreto professionale 1. I membri del consiglio delle autorità di vigilanza e del con­siglio di amministrazione, il direttore esecutivo e il personale del­l’Autorità, ivi compresi i funzionari temporaneamente distaccati dagli Stati membri e tutte le altre persone che svolgono compiti per l’Autorità su base contrattuale, sono soggetti all’obbligo del segreto professionale, conformemente all’articolo 339 TFUE e alle disposizioni della pertinente normativa dell’Unione, anche dopo la cessazione dalle loro funzioni. Ad essi si applica l’articolo 16 dello statuto dei funzionari. Conformemente allo statuto dei funzionari, il personale, dopo la cessazione dal servizio, è tenuto a osservare i doveri di onestà e delicatezza nell’accettare determinate funzioni o determinati vantaggi. Né gli Stati membri, né le istituzioni o gli organi dell’Unione né altri soggetti pubblici o privati cercano di influenzare i membri del personale dell’Autorità nell’assolvimento dei loro compiti. 2. Fatti salvi i casi rilevanti per il diritto penale, qualsiasi infor­mazione riservata ricevuta dalle persone di cui al paragrafo 1 nel­l’esercizio delle loro funzioni non può essere divulgata ad alcuna persona o autorità, se non in forma sintetica o aggregata cosicché non si possano individuare i singoli istituti finanziari. Inoltre, l’obbligo di cui al paragrafo 1 e al primo comma del pre­sente paragrafo non impedisce all’Autorità e alle autorità nazio­nali di vigilanza di utilizzare le informazioni per garantire l’osservanza degli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2, e in parti­colare nelle procedure di adozione delle decisioni. 3. I paragrafi 1 e 2 non ostano a che l’Autorità proceda allo scambio di informazioni con le autorità nazionali di vigilanza pre­visto dal presente regolamento e da altra normativa dell’Unione applicabile agli istituti finanziari.

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Tali informazioni sono coperte dal segreto professionale di cui ai paragrafi 1 e 2. L’Autorità inserisce nel proprio regolamento interno le disposizioni pratiche per l’attuazione delle norme di riservatezza di cui ai paragrafi 1 e 2. 4. L’Autorità applica la decisione 2001/844/CE, CECA, Euratom della Commissione, del 29 novembre 2001, che modi­fica il regolamento interno della Commissione (1). Articolo 71 Protezione dei dati Il presente regolamento fa salvi gli obblighi a carico degli Stati membri in relazione al trattamento dei dati personali di cui alla direttiva 95/46/CE o gli obblighi a carico dell’Autorità in relazione al trattamento dei dati personali di cui al regolamento (CE) n. 45/2001 nell’esercizio delle sue competenze. Articolo 72 Accesso ai documenti 1. Ai documenti detenuti dall’Autorità si applica il regola­ mento (CE) n. 1049/2001. 2. Il consiglio di amministrazione adotta, entro il 31 maggio 2011, le disposizioni pratiche di attuazione del regolamento (CE) n. 1049/2001. 3. Le decisioni prese dall’Autorità in applicazione dell’arti­colo 8 del regolamento (CE) n. 1049/2001 possono essere oggetto di una denuncia al Mediatore o di un ricorso alla Corte di giusti­zia dell’Unione europea, previo ricorso alla commissione di ricorso, se del caso, alle condizioni previste rispettivamente agli articoli 228 e 263 TFUE. Articolo 73 Regime linguistico 1. Il regolamento n. 1 del Consiglio, che stabilisce il regime lin­guistico della Comunità economica europea (2), si applica all’Autorità.

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GU L 317 del 3.12.2001, pag. 1. GU 17 del 6.10.1958, pag. 385.


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2. Il consiglio di amministrazione decide riguardo al regime linguistico interno dell’Autorità. 3. I servizi di traduzione necessari per il funzionamento del­l’Autorità sono forniti dal Centro di traduzione degli organismi dell’Unione europea. Articolo 74 Accordo sulla sede Le necessarie disposizioni relative all’ubicazione dell’Autorità nello Stato membro in cui si trova la sede e alle strutture messe a disposizione dal predetto Stato membro, nonché le norme speci­fiche applicabili in tale Stato membro al direttore esecutivo, ai membri del consiglio di amministrazione, al personale dell’Auto­rità e ai loro familiari sono fissate in un accordo sulla sede con­cluso, previa approvazione del consiglio di amministrazione, fra l’Autorità e il predetto Stato membro. Il predetto Stato membro garantisce le migliori condizioni possi­bili per il buon funzionamento dell’Autorità, offrendo anche una scolarizzazione multilingue e a orientamento europeo e adeguati collegamenti di trasporto. Articolo 75 Partecipazione di paesi terzi 1. La partecipazione ai lavori dell’Autorità è aperta ai paesi terzi che hanno concluso accordi con l’Unione in virtù dei quali hanno adottato e applicano il diritto dell’Unione nei settori di competenza dell’Autorità di cui all’articolo 1, paragrafo 2. 2. L’Autorità può cooperare con i paesi terzi di cui al para­grafo 1 che applichino una normativa riconosciuta come equiva­lente nei settori di competenza dell’Autorità di cui all’articolo 1, paragrafo 2, come previsto negli accordi internazionali conclusi dall’Unione conformemente all’articolo 216 TFUE. 3. Conformemente alle pertinenti disposizioni degli accordi di cui al paragrafo 1, sono elaborate disposizioni dirette a precisare, in particolare, la natura, la portata e le modalità della partecipa­zione dei paesi di cui al paragrafo 1 ai lavori dell’Autorità, com­prese le disposizioni relative ai contributi finanziari e al personale. Esse possono prevedere una rappresentanza in seno al consiglio delle autorità di vigilanza in qualità di osservatore, ma assicurano che detti paesi non partecipino alle discussioni relative a singoli istituti finanziari, tranne qualora esista un interesse diretto.

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CAPO VIII DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI Articolo 76 Azioni preparatorie 1. A seguito dell’entrata in vigore del presente regolamento, e prima dell’istituzione dell’Autorità, il CEBS, in stretta collabora­zione con la Commissione, prepara la sostituzione del CEBS con l’Autorità. 2. Una volta istituita l’Autorità, la Commissione è responsabile dell’istituzione amministrativa e del funzionamento amministra­tivo iniziale dell’Autorità fino al momento in cui questa abbia nominato il direttore esecutivo. A tale scopo, fino a quando il direttore esecutivo non assume le sue funzioni in seguito alla nomina da parte del consiglio delle autorità di vigilanza a norma dell’articolo 51, la Commissione può distaccare ad interim un funzionario per svolgere le funzioni di direttore esecutivo. Tale periodo è limitato al tempo necessario alla nomina del direttore esecutivo dell’Autorità. Il direttore esecutivo ad interim può autorizzare tutti i pagamenti coperti dagli stanziamenti previsti nel bilancio dell’Autorità, pre­via approvazione del consiglio di amministrazione, e può conclu­dere contratti, anche relativi al personale, in seguito all’adozione della tabella dell’organico dell’Autorità. 3. I paragrafi 1 e 2 fanno salve le prerogative del consiglio delle autorità di vigilanza e del consiglio di amministrazione. 4. L’Autorità succede giuridicamente al CEBS. Entro la data d’istituzione dell’Autorità, tutto l’attivo e il passivo e tutte le ope­razioni del CEBS rimaste in sospeso sono trasferiti automatica­mente all’Autorità. Il CEBS redige un documento attestante lo stato patrimoniale alla data del trasferimento. Tale documento è sottoposto a revisione contabile e approvato dal CEBS e dalla Commissione. Articolo 77 Disposizioni transitorie in materia di personale 1. In deroga all’articolo 68, tutti i contratti di lavoro e gli accordi di distacco conclusi dal CEBS o dal suo segretariato e in vigore al 1o gennaio 2011 sono onorati fino alla scadenza. Gli stessi non sono prorogabili. 2. Al personale che ha sottoscritto i contratti di cui al para­grafo l è offerta la possibilità di concludere un contratto di agente temporaneo ai sensi dell’articolo 2, lettera a), del regime applica­bile agli altri agenti ai vari gradi secondo la tabella dell’organico dell’Autorità.

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Dopo l’entrata in vigore del presente regolamento l’autorità auto­rizzata a concludere contratti effettua una selezione interna riser­vata al personale avente sottoscritto un contratto con il CEBS o con il suo segretariato al fine di verificare le capacità, l’efficienza e l’integrità del personale da assumere. La procedura di selezione interna tiene pienamente conto delle capacità e dell’esperienza dimostrate dal soggetto nello svolgimento delle proprie mansioni prima dell’assunzione. 3. A seconda del tipo e del livello delle funzioni da svolgere, al personale che avrà superato la selezione è offerto un contratto di agente temporaneo di durata corrispondente almeno al periodo di tempo restante in base al precedente contratto. 4. La legislazione nazionale in materia di contratti di lavoro e altri atti pertinenti continuano ad applicarsi al personale con con­tratti precedenti che decida di non presentare domanda per otte­nere un contratto di agente temporaneo o al quale non venga offerto il contratto di agente temporaneo ai sensi del paragrafo 2. Articolo 78 Disposizioni nazionali Gli Stati membri adottano le opportune disposizioni per assicu­rare un’attuazione efficace del presente regolamento. Articolo 79 Modifiche La decisione n. 716/2009/CE è modificata nella misura in cui il CEBS è eliminato dall’elenco dei beneficiari di cui alla sezione B dell’allegato di tale decisione. Articolo 80 Abrogazione La decisione 2009/78/CE della Commissione che istituisce il CEBS è abrogata con effetto dal 1o gennaio 2011.

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Articolo 81 Clausola di revisione 1. Entro il 2 gennaio 2014 e, in seguito, ogni tre anni, la Com­missione pubblica una relazione generale sull’esperienza acquisita grazie all’operato dell’Autorità e alle procedure di cui al presente regolamento. La relazione valuta tra l’altro: a) la convergenza nelle prassi di vigilanza raggiunta dalle auto­rità competenti; i) il grado di convergenza raggiunto nell’indipendenza operativa delle autorità competenti e negli standard equi­valenti alla governance; ii) l’imparzialità, l’obiettività e l’autonomia dell’Autorità; b) il funzionamento dei collegi delle autorità di vigilanza; c) i progressi compiuti verso la convergenza nei settori della prevenzione, della gestione e della risoluzione delle crisi, inclusi i meccanismi di finanziamento dell’Unione; d) il ruolo dell’Autorità riguardo al rischio sistemico; e) l’applicazione della clausola di salvaguardia di cui all’articolo 38; f) l’applicazione del ruolo di mediazione vincolante di cui all’articolo 19. 2. La relazione di cui al paragrafo 1 valuta inoltre: a) se sia opportuno continuare una vigilanza separata di ban­che, assicurazioni, pensioni aziendali e professionali, stru­menti e mercati finanziari; b) se sia opportuno iniziare la vigilanza prudenziale e supervi­sionare l’esercizio dell’attività in modo distinto o tramite un’unica autorità di vigilanza; c) se sia opportuno semplificare e rafforzare la struttura del SEVIF onde aumentare la coerenza tra i livelli macro e micro e tra le AEV; d) se l’evoluzione del SEVIF sia coerente con l’evoluzione globale; e) se la composizione del SEVIF presenti sufficiente diversifica­zione ed eccellenza; f) se siano adeguate la responsabilità e la trasparenza per quanto riguarda gli obblighi di pubblicazione; g) se le risorse dell’Autorità siano adeguate per consentirle di adempiere alle sue responsabilità; h) se sia opportuno mantenere la sede dell’Autorità ovvero riu­nire le AEV in un’unica sede al fine di migliorarne il coordinamento. 3. Riguardo alla questione della vigilanza diretta di istituzioni o infrastrutture di portata paneuropea, e tenuto conto degli svi­luppi del mercato, la Commissione elabora una relazione annuale sull’opportunità di attribuire all’Autorità ulteriori compiti di vigi­lanza in questo settore. 4. La relazione e le eventuali proposte di accompagnamento sono trasmesse al Parlamento europeo e al Consiglio.

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Articolo 82 Entrata in vigore Il presente regolamento entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Esso si applica a decorrere dal 10 gennaio 2011, ad eccezione del­l’articolo 76 e dell’articolo 77, paragrafi 1 e 2, che si applicano a decorrere dalla data dell’entrata in vigore. L’Autorità è istituita il 1o gennaio 2011. Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in cia­scuno degli Stati membri. Fatto a Strasburgo, il 24 novembre 2010.

Per il Parlamento europeo Il presidente J. BUZEK

Per il Consiglio Il presidente O. CHASTEL

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Le Autorità di vigilanza finanziaria dell’Unione * Sommario: 1. I progetti di riforma: i rapporti Turner e de Larosière e le comunicazioni della Commissione del marzo e del maggio 2009. – 2. Il fondamento giuridico dell’architettura del sistema di vigilanza europea; il rispetto dei principi di attribuzione, di sussidiarietà e di proporzionalità. – 2.1. Il fondamento giuridico delle autorità di vigilanza microprudenziale: l’art. 95 TCE (art. 114 TFUE) – 2.2. Il fondamento giuridico dell’organismo di vigilanza macroprudenziale: gli artt. 95 TCE (art. 114 TFUE) e 105 TCE (art. 127 TFUE) – 3. L’architettura del sistema europeo di vigilanza finanziaria – 3.1. Composizione del SEVIF e dell’ESRB e struttura delle autorità. – 3.2. Il riparto di competenze. – 4. Indipendenza e accountability delle Autorità. – 5. Il problema della loro qualificazione giuridica: la riconduzione al novero delle agenzie indipendenti. – 6. Il regime degli atti delle Autorità. – 6.1. La consultazione delle parti interessate nell’adozione dei progetti di atti di regolamentazione e di attuazione e delle raccomandazioni. – 6.2. La disciplina delle decisioni. – 6.3. Posizioni congiunte e atti comuni. – 7. I ricorsi e i rimedi giurisdizionali, la responsabilità.

1. I progetti di riforma: i rapporti Turner e de Larosière e le comunicazioni della Commissione del marzo e del maggio 2009. Il mercato unico e l’introduzione dell’euro hanno favorito l’integrazione dei mercati finanziari. La rimozione delle barriere regolamentari, che impedivano la concorrenza tra intermediari finanziari di diversi paesi, sarebbe però dovuta avvenire nel rispetto di due condizioni: a) lo strumento regolamentare e l’azione di vigilanza non avrebbero dovuto essere utilizzati per attrarre business sulle piazze finanziarie nazionali e sostenere i cc.dd. “campioni nazionali” (competition in laxity); b) la cooperazione tra autorità nazionali avrebbe dovuto favorire una convergenza nelle prassi di vigilanza e un coordinamento nell’azione di controllo

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Il presente lavoro è stato svolto nell’ambito del PRIN 2008TRX2FR su “La crisi dei mercati finanziari” coordinata dal prof. V. Santoro.

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e negli interventi correttivi; queste due condizioni non si sono, tuttavia, realizzate 1. Le soluzioni suggerite per porre rimedio a tale situazione vedono, da un lato, il rafforzamento “of host country supervisory powers over liquidity, and the right of host country supervisors to demand subsidiarisation and to impose adequate capital requirements and restrictions on local business activity”, prospettata dal Turner Review 2, con sostanziale abbandono, quindi, del principio dell’home country control, dall’altro, l’accentramento di taluni poteri di vigilanza presso una o più agenzie comuni, suggerito dal rapporto de Larosière 3. In realtà il Turner Review considera anche la creazione di un organismo comunitario con compiti in materia di vigilanza 4 – sul punto le differenze tra i due rapporti sono meno marcate di quel che si pensi a un primo esame 5 – mentre il rapporto de Larosière non contiene nessuna proposta di rafforzamento dei poteri delle autorità nazionali che, anzi, sono destinate a perdere alcune competenze a favore di quelle comunitarie e a veder ridotto l’ambito della propria discrezionalità. Il rapporto de Larosière sottolinea, comunque, con riferimento al tema in esame 6, la necessità di: a) stabilire norme regolamentari uni-

1 Cfr. Enria, Nuove architetture e nuove regolamentazioni di vigilanza in Europa, Intervento al Congresso Annuale delle Associazioni dei Mercati, Napoli, 13 febbraio 2010. 2 Cfr. FSA, The Turner Review. A regulatory response to the global banking crisis, Londra, marzo 2009, § 2.10. 3 Cfr. de Larosière Report, Brusselles, 25 febbraio 2009, §§ 167-189. 4 Cfr. pag.102, dove è previsto che “the creation of a new European Union institutional structure, which would replace the Lamfalussy committees. This body would be an independent authority with regulatory powers, a standard setter and overseer in the area of supervision, and would be involved, alongside central banks, in macro-prudential analysis, while leaving the primary responsibility for supervision at member state level”. 5 Convergenze tra i due rapporti sono ravvisabili anche nella necessità, sottolineata da entrambi, di prevedere buffers patrimoniali in funzione antiprociclica, una più stringente disciplina dei coefficienti di liquidità, una disciplina del cd. “sistema bancario ombra”. 6 La proposta di una riforma della vigilanza a livello europea segue, nel Rapporto, all’esame delle cause (macroeconomiche e microeconomiche) della crisi finanziaria (§§. 6 ss.) e all’individuazione dei possibili rimedi ad essa, comuni ai principali paesi interessati dalla crisi stessa (38 ss.). Tali rimedi sono individuati nella necessità di eliminare le lacune presenti nella disciplina dei mercati finanziari, con riguardo sia ai soggetti da sottoporre a controllo (intermediari finanziari a rilevanza sistemica, agenzie di rating), sia ai requisiti prudenziali (qualità e misura delle poste del patrimonio di vigilanza, buffers patrimoniali in funzione antiprociclica, coefficienti di liquidità), sia infine alla riconsiderazione dell’ambito di applicazione di alcune regole contabili (in particolare del mark-to-market principle). Rispetto a tali rimedi di carattere generale,

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formi (§§ 198-201), eliminando le eccezioni e le deroghe previste a livello nazionale; b) istituire una vigilanza integrata (§§ 167-189 e 205218), con la creazione, da un lato, di un organismo di vigilanza macroprudenziale, il Consiglio Europeo per il Rischio Sistemico (ESRB) (§§ 173-182), che fa perno sulla BCE, e, dall’altro, di un sistema di tre autorità di vigilanza microprudenziali, l’ESFS (Sistema Europeo delle Autorità di Vigilanza Finanziaria), articolato nell’Autorità Bancaria Europea (EBA), nell’Autorità europea per le assicurazioni e i fondi pensione (EIOPA) e nell’Autorità europea per i valori mobiliari (ESMA) (§§ 183-189). Il rapporto auspica il coinvolgimento del SEBC nella vigilanza macroprudenziale, ma scarta l’ipotesi di conferire a esso compiti di vigilanza microprudenziale 7. La vigilanza microprudenziale segue, in una prima fase, un criterio di riparto di competenze settoriale “per soggetti” (banche, assicurazioni, operatori del mercato mobiliare), secondo lo schema dei preesistenti comitati Lamfalussy, cui le nuove autorità vengono a sostituirsi, e, in una seconda fase, un criterio di riparto di competenze “per finalità”, distinguendo, cioè, tra stabilità finanziaria delle banche, delle assicurazioni e

il Rapporto individua problemi – e rimedi – addizionali a livello europeo (§§. 99 ss.), tra i quali ultimi appunto la creazione di un sistema di vigilanza accentrato, cui sono dedicati i paragrafi 144 e ss. 7 Le ragioni sono indicate nei §§ 171 e 172: “171)…The main reasons for this are: ­– the ECB is primarily responsible for monetary stability. Adding micro-supervisory duties could impinge on its fundamental mandate; – in case of a crisis, the supervisor will be heavily involved with the providers of financial support (typically Ministries of Finance) given the likelihood that tax payers money may be called upon. This could result in political pressure and interference, thereby jeopardising the ECB’s independence; – giving a micro-prudential role to the ECB would be extremely complex because in the case of a crisis the ECB would have to deal with a multiplicity of Member States Treasuries and supervisors; – conferring micro-prudential duties to the ECB would be particularly difficult given the fact that a number of ECB/ESCB members have no competence in terms of supervision; – conferring responsibilities to the ECB/Eurosystem which is not responsible for the monetary policy of a number of European countries, would not resolve the issue of the need for a comprehensive, integrated system of supervision; – finally, the ECB is not entitled by the Treaty to deal with insurance companies. In a financial sector where transactions in banking and insurance activities can have very comparable economic effects, a system of micro-prudential supervision which was excluded from considering insurance activities would run severe risks of fragmented supervision. 172) For all these reasons, the Group takes the view that the ECB should not become responsible for the micro-supervision of financial institutions. However, the Group considers that the ECB should be tasked with the role in ensuring adequate macroprudential supervision in the EU”.

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delle principali istituzioni finanziarie da un lato e vigilanza di correttezza e sul mercato dall’altro (§ 216) 8. Nella prima fase, sempre secondo il rapporto de Larosière, le tre nuove autorità di vigilanza microprudenziale operano sostanzialmente come unità di coordinamento delle autorità nazionali. Esse svolgono, tuttavia, anche compiti più puntuali, quali la mediazione con effetti vincolanti tra le autorità nazionali, l’emanazione di standards di vigilanza di comune applicazione, l’adozione di decisioni tecniche direttamente applicabili ai soggetti vigilati, e, soprattutto, l’autorizzazione e la vigilanza diretta su specifici organismi transnazionali quali le agenzie di rating e i gestori delle strutture post-trading 9. Nella comunicazione del 4 marzo 2009, dedicata in generale agli strumenti volti a “guidare la ripresa in Europa”, la Commissione avalla l’impostazione di base contenuta nel rapporto de Larosière e la recepisce in un piano di azione volto a riformare le modalità di regolamentazione e di vigilanza dei mercati finanziari. Con la comunicazione del 27 maggio 2009 la Commissione delinea, poi, l’architettura della vigilanza finanziaria europea, seguendo fedelmente il citato rapporto 10, anche per quanto

8 È la prospettiva indicata nel § 216 del rapporto ove si legge che: “there may be merit, over time, in evolving towards a system which would rely on only two Authorities. The first would be responsible for banking and insurance issues, as well as any other issue which is relevant for financial stability (e.g. systemically important hedge funds, systemically important financial infrastructures). The second Authority would be responsible for conduct of business and market issues, across the three main financial sectors. Combining banking and insurance supervisory issues in the same Authority could result in more effective supervision of financial conglomerates and contribute to a simplification of the current extremely complex institutional landscape”. Analogo modello è suggerito, per il Belgio, dal rapporto dell’High-Level Committee on a New Financial Architecture presideduto da Lamfalussy, giugno 2009, in http:docufin.fgov.be. Nello stesso senso è la proposta di riforma della disciplina del mercato finanziario in Gran Bretagna nonché il Dodd-Frank Act statunitense del luglio 2010. Su tali profili cfr., oltre al documento della BCE, Recent developements in supervisory structures in the EU Member States (20072010), in www.ecb.europa.eu, Enria e Teixeira, A New Institutional Framework for Financial Regulation and Supervision, in Basel III and Beyond. A Guide to Banking Regulation after the Crisis, a cura di Cannata e Quagliariello, Londra, 2011. 9 Cfr. il § 208-ii) del rapporto de Larosière, secondo cui “the Authority concerned would be responsible for the licensing and direct supervision of some specific EU-Wide institutions, such as Credit Rating Agencies and post-trading infrastructures”. 10 Questo in sintesi il progetto della Commissione, come descritto nel punto 2 della comunicazione. È previsto, innanzitutto, un “Consiglio europeo per il rischio sistemico (ESRC), che controllerà e valuterà i potenziali rischi per la stabilità finanziaria derivanti da sviluppi macroeconomici e del sistema finanziario nel suo insieme (‘vigilanza macroprudenziale’). A

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attiene all’attribuzione di taluni compiti di vigilanza diretta alle autorità di vigilanza comunitarie 11. Nonostante l’avallo della Commissione, il Legislatore comunitario non ritiene però – salvo eccezioni che non intaccano la coerenza dell’impianto generale – di conferire alle autorità europee compiti di vigilanza diretta. Tale scelta è motivata con l’esigenza di rispettare il principio di sussidiarietà, ma trova fondamento, come vedremo meglio fra breve, nella stessa base giuridica dell’architettura del sistema di vigilanza europea.

tal fine l’ESRC allerterebbe preventivamente in merito a rischi sistemici che potrebbero accentuarsi e, laddove necessario, raccomanderebbe provvedimenti per far fronte a tali rischi. La creazione dell’ESRC consentirà di porre rimedio ad una delle principali carenze evidenziate dalla crisi, ovvero la vulnerabilità del sistema finanziario ai rischi sistemici interconnessi, complessi, settoriali e transettoriali”. All’ESRC è affiancato un “Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria (ESFS) consistente in una robusta rete di autorità nazionali di vigilanza finanziaria che cooperano in tandem con le nuove autorità europee di vigilanza per salvaguardare la solidità finanziaria delle singole imprese finanziarie e proteggere gli utenti dei servizi finanziari (‘vigilanza microprudenziale’). La nuova rete europea sarà basata su responsabilità condivise che si rafforzano reciprocamente e abbinerà la vigilanza nazionale delle imprese con la centralizzazione di compiti specifici a livello europeo, in modo tale da promuovere regole armonizzate nonché una prassi coerente di vigilanza e applicazione delle norme. Questa rete dovrebbe basarsi sui principi di partnership, flessibilità e sussidiarietà, e mirerebbe a rafforzare la fiducia tra le autorità nazionali di vigilanza garantendo, tra l’altro, che le autorità di vigilanza del paese ospitante abbiano voce in capitolo in materia di politiche riguardanti la stabilità finanziaria e la tutela dei consumatori; in tal modo essa consentirebbe di far fronte in modo più efficace ai rischi transfrontalieri”. Il sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria è poi così descritto al punto 4 della comunicazione: “a livello dell’UE i tre attuali comitati delle autorità di vigilanza sarebbero sostituiti da tre nuove autorità europee di vigilanza, ovvero un’Autorità bancaria europea (EBA), un’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali (EIOPA) ed un’Autorità europea per i valori mobiliari (ESA), ciascuna dotata di personalità giuridica”. 11 Cr. il punto 4.2.4 della comunicazione del maggio 2009 dove è espressamente chiarito che “alle autorità europee di vigilanza sarà attribuita la responsabilità di autorizzare e sottoporre a vigilanza taluni soggetti di portata paneuropea, ad esempio agenzie di rating del credito e stanze di compensazione di tipo controparte centrale dell’UE. Tali responsabilità potrebbero includere taluni poteri come quello di effettuare indagini, procedere ad ispezioni in loco e prendere decisioni in materia di vigilanza, e verrebbero definite nella legislazione settoriale (ad esempio nel regolamento sulle agenzie di rating del credito). Oltre a rafforzare l’efficacia della vigilanza, questo sistema ne potenzierebbe così l’efficienza creando uno “sportello unico” per gli istituti soggetti a vigilanza. Le autorità europee di vigilanza potrebbero essere inoltre coinvolte nella valutazione prudenziale delle fusioni e acquisizioni europee in tutto il settore finanziario”. Con l’importante precisazione – nota n. 8 – che “la Commissione manterrebbe la competenza esclusiva di applicare la regolamentazione europea sugli aiuti di Stato e, in caso di fusioni di dimensione comunitaria, di valutare le operazioni alla luce del regolamento CE sulle fusioni”.

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2. Il fondamento giuridico dell’architettura del sistema di vigilanza europea; il rispetto dei principi di attribuzione, di sussidiarietà e di proporzionalità. 2.1. Il fondamento giuridico delle autorità di vigilanza microprudenziale: l’art. 95 TCE (art. 114 TFUE). Il fondamento giuridico dell’architettura del sistema di vigilanza europea è individuato nell’art. 95 TCE (ora art. 114 TFUE), salve, per quanto attiene alla vigilanza macroprudenziale, le competenze BCE ex art. 105 TCE (ora art. 127 TFUE). L’art. 95 del TCE (ora art. 114 TFUE) conferisce, precisamente, al Consiglio il potere di adottare misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che hanno a oggetto l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno. Il consiglio delibera secondo la procedura ordinaria (art. 294 TFUE). Con sentenza del 2 maggio 2006 (causa C-217/04) la Corte di giustizia considera (§§ 42-45) che, tra le misure di ravvicinamento, può essere inclusa anche l’istituzione di un organismo comunitario, incaricato di contribuire alla realizzazione di un processo di armonizzazione 12. Nella

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La Corte segue il seguente ragionamento. “42 - Per quanto riguarda la portata delle competenze legislative previste dall’art. 95 CE, occorre ricordare che, come la Corte ha dichiarato al punto 44 della sentenza 6 dicembre 2002, causa C-66/04, Regno Unito/Parlamento e Consiglio (Racc. pag. I-0000), questa disposizione è utilizzata come fondamento normativo solo quando risulti obiettivamente ed effettivamente dall’atto giuridico che quest’ultimo ha come fine il miglioramento delle condizioni di attuazione e di funzionamento del mercato interno. 43 - La Corte ha rilevato altresì, al punto 45 della citata sentenza Regno Unito/ Parlamento e Consiglio, che, con l’espressione «misure relative al ravvicinamento» di cui all’art. 95 TCE, gli autori del Trattato hanno voluto attribuire al legislatore comunitario, in funzione del contesto generale e delle circostanze specifiche della materia da armonizzare, un margine di discrezionalità in merito alla tecnica di ravvicinamento più appropriata per ottenere il risultato auspicato, in particolare in settori caratterizzati da particolarità tecniche complesse. 44 - Si deve aggiungere in proposito che nulla, nel tenore testuale dell’art. 95 CE, permette di concludere che i provvedimenti adottati dal legislatore comunitario sul fondamento di tale disposizioni debbano limitarsi, quanto ai loro destinatari, ai soli Stati membri. Può infatti rendersi necessario prevedere, sulla scorta di una valutazione rimessa al detto legislatore, l’istituzione di un organismo comunitario incaricato di contribuire alla realizzazione di un processo di armonizzazione nelle situazioni in cui, per agevolare l’attuazione e l’applicazione uniformi di atti fondati su tale norma,

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citata comunicazione del 27 maggio 2009 la Commissione fa proprio tale orientamento della Corte di giustizia, rinvenendo appunto il fondamento normativo per l’istituzione delle autorità di vigilanza europee del mercato finanziario nell’art. 95 TCE (ora 114 TFUE), e ciò, innanzitutto, per quanto attiene alla vigilanza microprudenziale 13. La comunicazione insiste sui limiti dei compiti conferiti alle autorità comunitarie – strettamente connessi all’oggetto delle misure poste in atto per rispondere alla crisi finanziaria e a quelle annunciate nella co-

appaia appropriata l’adozione di misure di accompagnamento e di inquadramento non vincolanti. 45 - Occorre tuttavia sottolineare che le mansioni affidate a un organismo del genere devono riconnettersi strettamente alle materie che costituiscono oggetto degli atti di ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri. È quanto avviene, in particolare, qualora l’organismo comunitario così istituito fornisca prestazioni alle autorità nazionali e/o agli operatori idonee ad incidere sull’attuazione omogenea degli strumenti di armonizzazione e ad agevolarne l’applicazione”. 13 Con riferimento alla vigilanza microprudenziale, la Commissione (punto 4.4. della comunicazione) argomenta nel modo seguente: [1] “la base giuridica per istituire le autorità europee di vigilanza dovrebbe essere la disposizione del trattato CE che costituisce la base giuridica specifica della politica che saranno chiamate ad attuare. [2] La crisi finanziaria ed economica ha creato rischi per la stabilità del mercato interno. Il ripristino ed il mantenimento di un sistema finanziario stabile ed affidabile è un prerequisito assoluto per preservare la fiducia e la coerenza del mercato interno e pertanto per preservare e migliorare le condizioni necessarie per la creazione di un mercato interno pienamente integrato e funzionante nel settore dei servizi finanziari. Inoltre, mercati finanziari più profondi ed integrati offrono opportunità migliori per i finanziamenti e la diversificazione del rischio e pertanto contribuiscono a migliorare la capacità delle economie di assorbire gli shock. L’integrazione e la stabilità finanziarie si rinforzano pertanto a vicenda. [3] L’istituzione dell’ESFS e delle tre autorità europee di vigilanza sarà accompagnata dall’elaborazione di regole uniformi che garantiranno l’applicazione coerente della normativa nell’UE e contribuirà pertanto al funzionamento del mercato interno. Le tre autorità europee di vigilanza avrebbero il compito di assistere le autorità nazionali ad interpretare ed applicare in modo uniforme le norme comunitarie. [4] La Corte di giustizia ha riconosciuto che l’articolo 95 del trattato CE riguardante l’adozione di misure per il ravvicinamento delle disposizioni legislative che hanno per oggetto l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno costituisce una base giuridica appropriata per l’istituzione di «un organismo comunitario incaricato di contribuire alla realizzazione di un processo di armonizzazione» se i compiti conferiti a tale organismo sono strettamente connessi all’oggetto degli atti di ravvicinamento delle legislazioni nazionali. [5] Poiché i compiti da conferire alle autorità europee di vigilanza sono strettamente connessi alle misure poste in atto per rispondere alla crisi finanziaria e a quelle annunciate nella comunicazione «Guidare la ripresa in Europa», tali autorità potrebbero essere istituite sulla base dell’articolo 95 del trattato CE in linea con la giurisprudenza della Corte” [numerazione dell’autore].

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municazione “Guidare la ripresa in Europa” – perché la fonte utilizzata non può superare il principio di attribuzione, come ripetutamente sancito dalla Corte di giustizia. Ora, che si rientri nel novero delle competenze attribuite (art. 5 TCE, ora art. 5 del nuovo TUE) risulta dagli artt. 47 e 55 del TCE (artt. 53 e 65 TFUE), che riguardano il mercato interno. E, poiché le finalità e i compiti delle Autorità – assistere le autorità nazionali di vigilanza competenti nell’interpretazione e nell’applicazione uniformi delle norme dell’Unione e contribuire alla stabilità finanziaria necessaria per l’integrazione finanziaria – “sono strettamente legati agli obiettivi dell’acquis dell’Unione sul mercato interno dei servizi finanziari”, le Autorità possono trovare la loro base giuridica nell’articolo 114 TFUE” 14, senza che con ciò sia violato il principio di attribuzione. Si pone, semmai, un problema di rispetto dei principi di sussidiarietà, trattandosi di un settore (quello del mercato interno) nel quale l’Unione ha competenza concorrente con quella degli Stati membri, e di proporzionalità (art. 5, paragrafi 3 e 4). L’orientamento espresso dalla Commissione, negli atti successivi alla comunicazione del maggio 2009 e riconducibili all’iter di approvazione dei regolamenti istitutivi, è nel senso che i principi di sussidiarietà e di proporzionalità sono rispettati col lasciare la responsabilità della vigilanza diretta sugli intermediari alle autorità nazionali 15. E questo è, si ripete, anche il quadro che emerge

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Cfr. il considerando n. 17 dei regolamenti istitutivi dell’EBA e dell’ESMA e il considerando n. 16 del regolamento istitutivo dell’EIOPA. 15 Nelle motivazioni che accompagnano le proposte di regolamento del Parlamento e del Consiglio del settembre 2009 relative all’EBA, EIOPA ed ESMA la Commissione, facendo marcia indietro rispetto a quanto indicato nella comunicazione del maggio 2009, precisa (§ 4) che, per raggiungere l’obiettivo di cui all’art. 95 TCE/114 TFUE, non occorre che alle autorità vengano attribuiti compiti di vigilanza specifici, ma che è sufficiente collegare le varie autorità nazionali. In particolare, secondo la Commissione “l’azione comunitaria può contribuire a colmare le carenze evidenziate dalla crisi e a creare un sistema in linea con l’obiettivo di un mercato finanziario unico UE per i servizi finanziari stabile, collegando le autorità di vigilanza nazionali in una robusta rete comunitaria. Il punto centrale della vigilanza quotidiana resterebbe a livello nazionale, dato che le autorità di vigilanza nazionali continuerebbero a essere responsabili della vigilanza dei singoli istituti. Pertanto le disposizioni proposte non vanno al di là di quanto strettamente necessario per raggiungere gli obiettivi perseguiti. Le proposte sono pertanto conformi ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità di cui all’articolo 5 del trattato”. Così il considerando 66° dei singoli regolamenti istitutivi dell’EBA, ESMA ed EIOPA: “poiché gli obiettivi del presente regolamento, vale a dire migliorare il funzionamento del mercato interno assicurando un livello elevato, efficace e uniforme della regolamentazione e del-

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dalla versione finale dei regolamenti istitutivi delle singole autorità di vigilanza microprudenziale. Compiti di vigilanza diretta non sono attribuiti all’ESMA (in veste di ente subentrante al CESR) neppure dal regolamento UE n. 1060/2009 in materia di agenzie di rating, nonostante che, proprio in quel settore, sia il rapporto de Larosière sia la citata comunicazione della Commissione del maggio 2009 suggerissero l’accentramento a livello comunitario di compiti di vigilanza diretta. In base alle disposizioni del regolamento 1060/2009, infatti, all’ESRB (ora all’ESMA) competono soltanto poteri di coordinamento delle competenti autorità nazionali e il compito di rilasciare pareri nella fase di registrazione o di revoca della stessa, mentre i poteri di vigilanza diretta spettano alle singole autorità nazionali. È solo con l’approvazione del nuovo regolamento che modifica il previgente citato regolamento n. 1060/2009, che sono attribuiti ora all’ESMA compiti di vigilanza diretta sulle agenzie di rating. Nella relazione accompagnatoria della Commissione alla proposta del nuovo regolamento si dà conto di tale mutamento di prospettiva, legandolo all’introduzione, con l’istituzione delle nuove autorità, di un adeguato quadro normativo di riferimento 16. Le Autorità Europee hanno, inoltre, taluni poteri sostitutivi delle autorità nazionali (cfr. gli artt. 17, § 6, 18, § 4, 19, § 4, e 21, § 4 di ciascuno dei regolamenti istitutivi), che vedono quali destinatari finali anche i soggetti vigilati.

la vigilanza prudenziale, proteggere i depositanti e gli investitori, garantire l’integrità, l’efficienza e il regolare funzionamento dei mercati finanziari, mantenere la stabilità del sistema finanziario e rafforzare il coordinamento internazionale in materia di vigilanza, non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri e possono dunque, a motivo della portata dell’azione, essere conseguiti meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea. Il presente regolamento si limita a quanto è necessario per conseguire tali obiettivi, in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo”. 16 Nella relazione si legge, in particolare, che “una vigilanza più consolidata dell’industria dei rating del credito è stata considerata più vantaggiosa al momento dell’adozione del regolamento relativo alle agenzie di rating del credito”, ma che, tuttavia, “in quel momento, il quadro giuridico esistente non era sufficiente per la creazione di una struttura simile”; vi si conclude che “la proposta della Commissione di creare un’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati instaura un quadro giuridico adeguato e consente di delegare a tale autorità i poteri necessari a svolgere i compiti di registrazione e vigilanza delle agenzie di rating”.

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2.2. Il fondamento giuridico dell’organismo di vigilanza macroprudenziale: gli artt. 95 TCE (art. 114 TFUE) e 105 TCE (art. 127 TFUE). Argomentazioni analoghe a quelle concernenti la vigilanza microprudenziale sono svolte dalla Commissione, sempre nella citata comunicazione del maggio 2009, con riferimento alla vigilanza macroprudenziale; vista la contiguità dei compiti di vigilanza macroprudenzale con le funzioni della BCE, la Commissione si fa carico anche di prendere posizione rispetto all’altra norma del Trattato in ipotesi utilizzabile e cioè all’art. 105 TCE (art. 127 TFUE). Di tale norma rilevano precisamente i co. 5 e 6. Il primo conferisce alla BCE compiti soltanto indiretti in materia di vigilanza 17. Il secondo

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La formulazione dei paragrafi 5 e 6 dell’art. 105 TCE (127 TFUE) costituisce l‘esito di un dibattito nel corso della negoziazione del trattato di Maastricht sull’opportunità di affidare al SEBC il controllo sulla stabilità del sistema bancario e finanziario (cfr. Smits, The European Central Bank. Institutional Aspects, L’Aia, 1997, pp. 334 ss.). Ostacolo principale ai fini dell’attribuzione diretta al SEBC di compiti di vigilanza prudenziale va ravvisato nell’eterogeneità degli approcci dei diversi ordinamenti nazionali, nei quali non sempre i compiti di vigilanza sono attribuiti alle banche centrali e non sempre le banche centrali assommano poteri di vigilanza su tutti i segmenti del mercato finanziario (Louis, Vers un sistème européen de banques centrales, Brusselles, 1989). L’art. 105, par. 5, del TCE (ora art. 127 TFUE) dispone che “il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario”. Lo Statuto SEBC, oltre a replicare il contenuto di tale articolo del trattato (art. 3.3), prevede poi (art. 25.1) che “la BCE può fornire pareri ed essere consultata dal Consiglio, dalla Commissione e dalle autorità competenti degli Stati membri sul campo d’applicazione e sull’attuazione della legislazione comunitaria relativa alla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e concernente la stabilità del sistema finanziario”. Dal disposto delle norme comunitarie sopra citate emerge, quindi, innanzitutto, che la BCE contribuisce alla vigilanza finanziaria, ma non la esercita direttamente, come comprovato, d’altro canto, dal fatto che le competenze in materia di vigilanza non rientrano tra i compiti fondamentali del SEBC. Ma emerge anche che i compiti esclusivamente consultivi di cui all’art. 25.1 dello Statuto non esauriscono l’area di applicazione dell’art. 105 TCE (127 TFUE) e dell’art. 3.3. dello Statuto medesimo (cfr., sul punto Smits, op. cit., pp. 338 ss.). Ecco perché i compiti attribuiti, in seno al SEBC, al Comitato per la vigilanza bancaria (Banking Supervision Committee) – composto di rappresentanti di alto livello della BCE, delle banche centrali e delle autorità di vigilanza dei paesi dell’Unione europea – sono, più generalmente, volti a favorire la cooperazione tra autorità di vigilanza e banche centrali su temi di comune interesse e ad analizzare gli assetti strutturali e l’evoluzione congiunturale del sistema bancario europeo.

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consente, invece, di attribuire espressamente alla BCE compiti di vigilanza diretta 18. La Commissione, dopo aver precisato che per assicurare il buon funzionamento del mercato occorre considerare anche la prospettiva macroprudenziale e che l’art. 95 TCE (art. 114 TFUE) permette di estendere tale prospettiva al settore assicurativo, preclusole invece dall’art. 105 TCE (art. 137 TFUE) 19, fa salve le competenze attribuibili alla BCE in applicazione di

18 L’art. 105, paragrafo 6, TCE (art. 127 TFUE) prevede, infatti, che “il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione della BCE, nonché previo parere conforme del Parlamento europeo, può affidare alla BCE compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese di assicurazione”. A tale disposizione del trattato corrisponde l’art. 25.2 dello Statuto SEBC secondo cui appunto “conformemente alle decisioni del Consiglio ai sensi dell’articolo 127, paragrafo 6, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la BCE può svolgere compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, eccettuate le imprese di assicurazione”. Va innanzitutto rilevata la diversa formulazione del paragrafo 6, che fa riferimento alla sola vigilanza prudenziale, rispetto al paragrafo 5, che si riferisce invece anche alla stabilità. Ciò potrebbe portare a un’interpretazione restrittiva quanto alla possibilità di aiutare finanziariamente imprese in crisi, per i timori delle conseguenze negative sui livelli di inflazione (Chemain, L’union économique et monetaire. Aspects juridiques et institutionnels, Parigi, 1996, p. 378 ss.). Non è espressamente previsto che la BCE possa essere designata quale autorità di vigilanza competente; tuttavia, nella diversa gamma degli specifici compiti in merito alle politiche di vigilanza, possono rientrare anche funzioni esecutive che renderebbero la BCE autorità competente (Smits, The European Central Bank, cit., p. 358). L’ambito delle politiche di vigilanza riguarda le banche e le altre istituzioni finanziarie. Il diverso e variegato significato che la legislazione secondaria europea attribuisce a tale locuzione dovrebbe indurre a ritenere che l’attivazione dell’art. 105, co. 6, TCE (127 TFUE) non sia vincolato a un particolare significato rinvenibile nella prima. Tanto più che l’inclusione delle banche nel novero delle istituzioni finanziarie (come ricavabile dalla locuzione “degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie”) e l’espressa esclusione delle imprese di assicurazione (scelta, invero, criticabile in ragione della conglomerazione delle attività finanziarie), indurrebbe a un’interpretazione ampia della categoria. 19 Cfr. punto 3.4. della Comunicazione del maggio 2009, il quale può essere idealmente articolato nei seguenti passaggi logici: [1] “Tutte le parti interessate, ad esempio gli istituti finanziari, gli investitori ed i consumatori, avranno la fiducia necessaria per intraprendere attività finanziarie transfrontaliere solo se si adotteranno disposizioni che riconoscano adeguatamente l’interdipendenza tra i rischi microprudenziali e macroprudenziali. Troppo spesso in passato la vigilanza prudenziale si è concentrata esclusivamente sul livello micro e le autorità di vigilanza hanno valutato i bilanci dei singoli istituti finanziari senza prendere in debita considerazione le interazioni tra gli istituti e tra di essi e il sistema finanziario nel suo insieme. Spetta alle autorità di vigilanza macroprudenziali fornire questa prospettiva più ampia. Tali autorità monitorano e valutano infatti i rischi

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tale ultimo articolo. Cosicché, istituito l’ESRB (regolamento 1092/2010), con distinto regolamento (1096/2010), sono stati affidati espressamente alla BCE, in linea con le raccomandazioni del rapporto de Larosière e con il parere della medesima BCE del 26 ottobre 2009, compiti di segretariato dell’ESRB ex art. 137, co. 6, TFUE (ex art. 105, co. 6, TUE). Qualche dubbio sulla legittimità di tale secondo regolamento è lecito, tuttavia, avanzare, perché l’art. 137, co. 6, TFUE non consente di attribuire alla BCE compiti specifici di vigilanza sulle imprese di assicurazione, mentre la vigilanza macroprudenziale dell’ESRB, di cui la BCE svolge compiti di segretariato, riguarda anche il settore assicurativo (arg. ex

potenziali per la stabilità finanziaria derivanti da sviluppi che possono avere effetti su un dato settore o sul sistema finanziario nel suo insieme. [2] Affrontando tali rischi, l’ESRC sarebbe un elemento essenziale di una struttura di vigilanza integrata dell’UE, necessaria per promuovere l’adozione di provvedimenti tempestivi e coerenti da parte degli Stati membri; tale struttura consentirebbe di prevenire divergenze di approccio e di migliorare il funzionamento del mercato interno. Inoltre, essendo parte integrante del quadro giuridico e istituzionale, l’ESRC agevolerà un’attuazione ed applicazione coerente ed efficace delle norme comunitarie relative ai servizi finanziari transfrontalieri. [3] Avendo considerato una gamma di possibili opzioni, la Commissione considera l’articolo 95 del trattato CE la base giuridica appropriata per istituire l’ESRC come organismo privo di personalità giuridica. Questa base giuridica consentirebbe all’ESRC di avere le caratteristiche fondamentali delineate in precedenza e di disporre di un mandato che copra l’intero settore finanziario senza eccezioni, comprese le assicurazioni. Consentirebbe inoltre all’ESRC di formare, insieme all’ESFS, un quadro innovativo comune per la vigilanza finanziaria, mantenendo una chiara distinzione delle responsabilità tra l’ESRC e le altre istituzioni. [4] La scelta di questa base giuridica non impedisce di conferire alla BCE responsabilità per quanto riguarda compiti aventi attinenza con l’ESRC, tramite un atto adottato sulla base dell’articolo 105, paragrafo 6, del trattato CE”. [numerazione dell’autore]. Il ricorso, anche per l’istituzione dell’ESRC, all’art. 95 del TUE (art. 114 TFUE) sulla base della richiamata pronuncia della Corte di giustizia è ribadito nel 31° considerando del relativo regolamento secondo cui “il CERS dovrebbe contribuire alla stabilità finanziaria necessaria all’ulteriore integrazione finanziaria del mercato interno monitorando i rischi sistemici ed emettendo segnalazioni e raccomandazioni ove opportuno. Tali compiti sono strettamente connessi agli obiettivi della legislazione dell’Unione relativa al mercato interno dei servizi finanziari. Il CERS dovrebbe pertanto essere istituito sulla base dell’articolo 114 TFUE”. Quanto ai rapporti con l’art. 105 TUE (127 TFUE) nelle motivazioni che accompagnano la bozza di regolamento COM (2009) 499, istitutivo dell’ESRC, si precisa che (§ 4): “il regolamento istitutivo dell’ESRB è completato da una decisione del Consiglio che affida alla Banca centrale europea (BCE) il compito di assicurare il segretariato dell’ESRB. Di conseguenza, la BCE fornirà all’ESRB assistenza amministrativa, logistica, statistica ed analitica. Grazie alla suddetta decisione troverà per la prima volta applicazione l’articolo 105, paragrafo 6, del trattato CE che prevede per il Consiglio la possibilità, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione della BCE, nonché previo parere conforme del Parlamento europeo, di affidare alla BCE compiti specifici in merito alla vigilanza prudenziale”.

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art. 2 e 3 del regolamento 1092/2010). In realtà, l’imputazione degli atti dell’ESRB, che non ha personalità giuridica, direttamente all’Unione e non alla BCE dovrebbe risolvere tale problema. Vale a dire, la legittimità del regolamento che attribuisce alla BCE compiti di segretariato dell’ESRB trova una conferma nel fatto che, non essendo alla prima imputabili gli atti del secondo, non si avrebbe in definitiva alcuno sconfinamento della BCE in materia di vigilanza sulle imprese di assicurazione.

3. L’architettura del sistema europeo di vigilanza finanziaria. 3.1. Composizione del SEVIF e del’ESRB e struttura delle autorità. Nella misura strettamente necessaria a illustrare i profili dell’indipendenza e accountability delle Autorità, la loro natura giuridica, il regime dei relativi atti e responsabilità, s’illustra succintamente l’architettura della nuova vigilanza europea. Il sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF) si compone (art. 2 di ciascuno dei regolamenti istitutivi delle autorità e art. 1 del regolamento istitutivo dell’ESRB) del Comitato europeo per il rischio sistemico, delle tre Autorità di vigilanza europee – l’EBA, l’ESMA e l’EIOPA – del comitato congiunto e delle autorità di vigilanza nazionali degli Stati membri. In applicazione del principio di leale cooperazione di cui all’art. 4, co. 3, del nuovo TUE, è previsto innanzitutto che le parti del SEVIF cooperino con fiducia e pieno rispetto reciproco, garantendo lo scambio reciproco di informazioni utili e affidabili. Quello di rappresentare il punto d’incontro tra competenze delle istituzioni comunitarie (la Commissione) e competenze degli Stati membri, in accordo con i principi di sussidiarietà e di leale cooperazione, è, come vedremo, un carattere proprio del modello organizzativo delle agenzie comunitarie. In secondo luogo, è previsto che le autorità di vigilanza, che sono parti del SEVIF, sono tenute a esercitare la vigilanza sul mercato finanziario conformemente agli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione nelle materie indicate nelle direttive di ciascun settore (bancario, assicurativo e mobiliare). Il che, è appena il caso di rilevare, riguarda anche le autorità di vigilanza nazionali 20.

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Un principio simile è contenuto già nei testi unici bancario (art. 6), finanziario (art. 2) e delle assicurazioni (art. 8), ma non nel d.lgs. 252/2005 sulla disciplina delle

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L’ESRB è disciplinato dal regolamento n. 1092/2010. È composto di un consiglio generale, di un comitato direttivo, di un segretariato, di un comitato scientifico consultivo e di un comitato tecnico consultivo (art. 4 reg. cit.). Al consiglio generale competono le decisioni necessarie per l’espletamento dei compiti istituzionali. Il comitato direttivo prepara le riunioni del consiglio generale; il segretariato (disciplinato dal regolamento 1096/2010) ha la gestione corrente dell’ESRB. Presidente dell’ESRB è, nell’assetto organizzativo iniziale, il presidente della BCE; per i mandati successivi al primo, il Presidente dell’ESRB è designato secondo le modalità stabilite da eventuali norme di organizzazione dettate dal Parlamento e dal Consiglio in modifica di quelle attualmente vigenti. Ogni Autorità di vigilanza europea si compone di: a) un consiglio delle autorità di vigilanza, cui sono affidati tutti i compiti principali dell’autorità e, cioè, l’adozione degli atti istituzionali, l’approvazione del bilancio, l’adozione del programma di lavoro, la nomina del presidente (art. 43); b) un consiglio di amministrazione, che ha il compito di proporre al consiglio il programma di lavoro annuale e pluriennale, ha competenze in materia di bilancio e altri compiti amministrativi, nomina la commissione di ricorso (art. 47); c) un presidente, che ha la rappresentanza dell’autorità ed è incaricato di preparare i lavori del consiglio delle autorità e di presiedere quest’ultimo e il consiglio di amministrazione (art. 48); d) un direttore esecutivo, che si occupa della gestione dell’autorità e prepara i lavori del consiglio di amministrazione (art. 53). Il consiglio delle autorità di vigilanza può istituire comitati o gruppi di esperti interni per compiti specifici e può delegare a essi compiti e decisioni determinate. Tali compiti e decisioni possono essere delegate dal consiglio delle autorità anche al consiglio di amministrazione e al presidente (art. 41). Ai fini della composizione del consiglio delle autorità di vigilanza, si segnala la previsione di cui all’art. 40, co. 4, secondo la quale “negli Stati membri in cui più di un’autorità è responsabile della vigilanza…, tali autorità si accordano su un rappresentante comune. Tuttavia, quando un punto previsto per la discussione del consiglio delle autorità di vigilanza non rientra nella competenza dell’autorità nazionale rappresentata dal

forme pensionistiche complementari. Tuttavia, la formulazione delle norme interne è senz’altro meno vincolante in quanto prevede che l’esercizio dei poteri di vigilanza avvenga “in armonia” con le disposizioni comunitarie e non “conformemente” a esse. Qualche “ritocco” alle norme dei citati testi unici si renderà forse necessario, per assicurare un’attuazione efficace dei regolamenti istitutivi delle Autorità dell’Unione (art. 78 di ciascuno di detti regolamenti).

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membro di cui al paragrafo 1 lettera b), detto membro può portare un rappresentante dell’autorità nazionale competente, senza diritto di voto” 21. Il comitato congiunto dei presidenti delle tre Autorità assicura l’uniformità intersettoriale per quanto attiene, tra l’altro, ai conglomerati finanziari, ai prodotti di investimento al dettaglio, alle misure di contrasto al riciclaggio, allo scambio di informazioni con l’ESRB, ecc. In materia di conglomerati finanziari le autorità adottano posizioni congiunte e atti comuni (art. 56) e istituiscono un apposito sottocomitato (art. 57). Non è, invece, parte del SEVIF, ma è un organismo congiunto delle tre autorità di vigilanza, la Commissione di ricorso, che ha il compito di decidere i ricorsi contro gli atti adottati dalle Autorità dell’Unione in sostituzione di quelle nazionali ai sensi degli articoli 17, 18 e 19 di ognuno dei regolamenti istitutivi. 3.2. Il riparto di competenze. Le competenze delle autorità di vigilanza UE sono definite dall’art. 1 di ciascuno dei regolamenti istitutivi, con riferimento a due parametri: il tipo di potere attribuito e l’ambito di esercizio dello stesso. I poteri (e i compiti) sono quelli indicati nel capo secondo di ciascuno dei regolamenti e consistono in estrema sintesi (cfr. l’art. 8, co. 2, di ciascuno dei regolamenti istitutivi): nella redazione di progetti di norme tecniche di regolamentazione (art. 10) e nell’elaborazione di norme tecniche di attuazione (art. 15); nell’adozione di orientamenti o nella formulazione di raccomandazioni indirizzate alle autorità nazionali (art. 16); nell’adozione di atti in sostituzione delle autorità nazionali nei casi previsti dagli artt. 1, 18 e 19 dei regolamenti.

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Per il nostro ordinamento, la previsione ha rilievo in materia d’intermediari del mercato mobiliare e di mercati in senso stretto, dove la vigilanza è ripartita tra la Consob e la Banca d’Italia. Per quanto attiene agli intermediari del mercato mobiliare, il riparto di competenze non è sempre agevole, tanto che esistono aree di vigilanza regolamentare congiunta (art. 6, co. 2-bis, t.u.f.). Per i mercati in senso stretto, la vigilanza regolamentare è, sostanzialmente, attribuita alla Consob, per quanto attiene al trading, e alla Banca d’Italia, d’intesa con la Consob, per quanto attiene al settlment. I poteri di vigilanza della Banca d’Italia sui mercati vanno, però, ricondotti ai compiti attribuiti a quest’ultima nella sua natura di banca centrale, onde un problema di raccordo tra competenze nazionali e comunitarie in materia di regolazione dei mercati andrebbe più correttamente posto, considerando, non soltanto le competenze dell’ESMA, ma anche quelle del SEBC.

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In ambito UE i poteri delle autorità vanno distinti da quelli delle istituzioni dell’Unione e in particolare da quelli della Commissione. Quest’ultima è competente all’adozione dei progetti di norme tecniche di regolamentazione e delle norme tecniche di attuazione. Nel primo caso occorre la previa delega del Parlamento europeo e del Consiglio (art. 10), in ossequio a quanto previsto dall’art. 290 TFUE. Sono, inoltre, fatte salve le competenze della Commissione volte ad assicurare il rispetto del diritto dell’Unione ex art. 258 TFUE. La previsione, contenuta nell’art. 1, co. 4, dei regolamenti ESMA ed EBA e nell’art. 1, co. 5, del regolamento EIOPA, va coordinata con le disposizioni contenute negli artt. 17, 18 e 19 di ciascuno dei regolamenti istitutivi, che nel prevedere i citati poteri sostitutivi delle Autorità UE nei confronti delle autorità di vigilanza nazionali, fanno anch’esse salvi i poteri della Commissione ex art. 258 TFUE. La regola dettata nell’art. 1 dovrebbe però avere – pena la sua inutilità – carattere generale ed essere perciò applicabile anche a casi diversi da quelli espressamente previsti da altre norme dei regolamenti istitutivi delle singole autorità. Rispetto alle autorità degli Stati membri, si è già detto, che in ossequio al principio di sussidiarietà, alle Autorità dell’Unione non sono attribuiti, salvi i predetti poteri sostitutivi e la vigilanza sulle CRA spettante all’ESMA, compiti di vigilanza diretta sugli intermediari appartenenti al settore di competenza. Più delicato è il problema del riparto dei compiti tra le singole autorità di vigilanza UE. Come accennato, nel rapporto de Larosière è previsto, in una prima fase, un riparto di competenze per soggetti e in una fase successiva, ma di là da venire, un riparto di competenze per funzioni. I regolamenti istitutivi – riconducibili alla prima fase del progetto di riforma della vigilanza europea sul mercato finanziario – non sembrano, però, accogliere un rigido criterio soggettivo. Le competenze delle singole autorità sono delimitate dalle direttive e dai regolamenti propri di ciascun settore. E tuttavia, già da una lettura combinata dei regolamenti istitutivi dell’EBA e dell’ESMA, risulta che il criterio soggettivo è, in taluni casi, “corretto” da quello funzionale. La questione riguarda, fondamentalmente, la direttiva 2006/49/CE concernente l’adeguatezza patrimoniale delle banche e delle imprese d’investimento. La direttiva è ricompresa in entrambi i regolamenti istitutivi (art. 1, § 1). Nel caso del regolamento EBA, a essa si fa riferimento nella misura in cui si applica alle banche e agli istituti finanziari, incluse le imprese d’investimento (art. 4, n. 1). Nel caso del regolamento ESMA, il riferimento alla direttiva è limitato dall’inciso “fatte salve le competenze

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dell’EBA in materia di vigilanza prudenziale” 22. Se ne dovrebbe ricavare – il condizionale è d’obbligo in quanto la tesi qui illustrata implica quasi una interpretazio abrogans dell’inciso – che la materia della vigilanza prudenziale delle banche e delle SIM rientri nella pressoché esclusiva competenza dell’EBA. Analoga soluzione non si rinviene, invece (cfr. l’art. 1 del regolamento isitutivo dell’ESMA), per quanto attiene al settore dei fondi d’investimento e dei relativi gestori, integralmente ricondotto alle competenze dell’ESMA, nonostante in esso siano presenti aspetti riconducibili alla vigilanza prudenziale. Un’ulteriore riflessione è suggerita dalla lettura dell’art. 1, § 3, di ciascuno dei due richiamati regolamenti istitutivi dell’EBA e dell’ESMA. In entrambi i casi, i poteri delle predette due autorità sono estesi a profili – quali “le questioni relative la governance, la revisione contabile e l’informativa finanziaria” – non contemplati dalla legislazione comunitaria che ne definisce la specifica competenza, e che tuttavia sono necessari “per assicurare l’applicazione effettiva e coerente” di tale legislazione. Esisterebbero cioè, sembra di capire, materie strumentali o alla vigilanza prudenziale sulle banche e sulle imprese d’investimento o alla vigilanza sui mercati e sui relativi partecipanti, che sono assorbite nella competenza primaria dell’EBA e dell’ESMA, al fine di assicurare l’efficace applicazione della disciplina comunitaria dei settori da ciascuna di esse “governato”. Inoltre, in materie che investono la competenza di tutte e tre le autorità di vigilanza, i rispettivi regolamenti istitutivi prevedono la possibilità di adottare posizioni congiunte o atti comuni (art. 56) o ancora di istituire sottocomitati ad hoc. È il caso, come già accennato, dell’attuazione della direttiva 2002/87/CE sui conglomerati finanziari. La materia dei mercati pone, infine, un problema specifico di riparto e di coordinamento di competenze tra l’ESMA (e l’EBA) da un lato e il SEBC (e l’ESRB) dall’altro. L’ESMA, infatti, ha poteri in materia di “definitività” del regolamento titoli di cui alla direttiva 98/26/CE (cfr. il considerando 18° e l’art. 1, § 1, del regolamento istitutivo) e “agisce…, secondo necessità relativamente… alla compensazione e regolamento e ai derivati” (art. 1, § 3, del regolamento), settori tutti che impattano sui compiti di banca centrale e sulla prevenzione del rischio sistemico. Non contribuiscono, invece, a delimitare il campo di competenze di ciascuna delle autorità le finalità che le stesse devono perseguire e che

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Argomenta anche dal considerando n. 18 che sembra collegare l’inciso unicamente alla direttiva citata.

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sono indicate nel co. 5 dell’art. 1 dei regolamenti istitutivi dell’EBA e dell’ESMA e nel co. 6 dell’art. 1 del regolamento EIOPA. In tutti i regolamenti citati si legge, infatti, che: “l’obiettivo dell’Autorità è proteggere l’interesse pubblico contribuendo alla stabilità e all’efficacia a breve, medio e lungo termine del sistema finanziario, a beneficio dell’economia dell’Unione, dei suoi cittadini e delle sue imprese”. E che, in particolare, “l’Autorità contribuisce a: migliorare il funzionamento del mercato interno, con particolare riguardo a un livello di regolamentazione e di vigilanza valido, efficace e uniforme; garantire l’integrità, la trasparenza, l’efficienza e il regolare funzionamento dei mercati finanziari; rafforzare il coordinamento internazionale in materia di vigilanza; impedire l’arbitraggio regolamentare e promuovere pari condizioni di concorrenza; assicurare che il rischio di credito e altri rischi siano adeguatamente regolamentati e oggetto di opportuna vigilanza/assicurare che l’assunzione di rischi in relazione ad attività nel settore delle assicurazioni, riassicurazioni e pensioni aziendali e professionali sia adeguatamente regolamentata e oggetto di opportuna vigilanza, e aumentare la protezione dei consumatori”. Si tratta, come si vede, di obiettivi comuni a tutti segmenti del mercato finanziario e perciò insuscettibili di fungere da criterio di riparto di competenze tra le autorità 23.

4. Indipendenza e accountability delle Autorità. L’indipendenza delle autorità di vigilanza sul mercato finanziario è condizione essenziale per il corretto esercizio dei relativi compiti. Per tale ragione essa risponde a riconosciuti standards internazionali, enunciati nei Basel Core principles for banking supervision e negli IOSCO Principles of securities regulation e ribaditi, in più occasioni, dalla BCE e dal FMI 24. L’espressa previsione di requisiti d’indipenden-

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Semmai, l’indicazione, per tutte e tre le autorità, di finalità inerenti sia alla stabilità ed efficacia a breve dei mercati finanziari, sia alla tutela dei consumatori indurrebbe a riconsiderare la questione della misura della tutela accordata agli investitori nell’ambito della normativa comunitaria dei mercati finanziari e della connessa responsabilità delle autorità di vigilanza. 24 Il Basel core principle n. 1 prevede che “an effective system of banking supervision will have clear responsibilities and objectives for each agency involved in the supervison of banking organisation” e che, soprattutto, “each of such agency shoul possess operational independence and adequate resources”. Più in dettaglio, lo IOSCO principle n. 6.3 prevede:

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za per le Autorità di vigilanza europee conferma tale impostazione. In linea generale, ciascuna delle tre Autorità nello svolgimento dei suoi compiti “agisce in maniera indipendente e obiettiva nell’interesse esclusivo dell’Unione” (art. 1, co. 5, ultimo periodo). I singoli regolamenti istitutivi, sulla falsariga del modello BCE, declinano poi tale indipendenza nelle forme dell’indipendenza funzionale, personale e finanziaria. Il modello BCE non è tuttavia seguito fino in fondo, in quanto le Autorità di vigilanza dell’Unione non dispongono di competenze normative loro proprie, ma, come vedremo, devono “passare” per la Commissione per l’adozione delle norme tecniche di regolamentazione e di attuazione. Innanzitutto, è previsto (indipendenza istituzionale) che, nell’esercizio dei compiti loro assegnati, il presidente, i membri con diritto di voto del consiglio delle autorità di vigilanza, i membri del consiglio di amministrazione e il direttore esecutivo di ciascuna delle Autorità dell’Unione, nonché i membri del consiglio e del comitato direttivo dell’ESRB agiscono in piena indipendenza e obiettività nell’interesse esclusivo dell’Unione nel suo insieme, senza chiedere né ricevere istruzioni né dai Governi degli Stati membri, né dalle istituzioni o dagli organi dell’unione; e, di converso, che le istituzioni e gli organi dell’unione ed i Governi degli Stati membri o altri soggetti pubblici o privati non cerchino di influenzare i membri degli organi decisionali delle Autorità (artt. 42, 46, 49 e 52 dei regolamenti istitutivi delle singole Autorità e art. 7 del regolamento istitutivo dell’ESRB). In secondo luogo (indipendenza personale), si richiede che sia garantita la stabilità del Presidente e del direttore esecutivo delle Autorità, prevedendo un’ampia durata della loro carica (cinque anni, rinnovabili per una sola volta: artt. 48, co. 3, e 51, co. 3), una procedura articolata per la loro nomina (artt. 48, co. 2, e 51, co. 2, che prevedono l’intervento del Parlamento nella procedura di nomina, che può opporsi alla nomina del presidente ed è chiamato a confermare la nomina del direttore esecutivo)

che “the regulator should be operationally indipendent from esternal political or commercial interference in the exercise of its functions and power”; e che “indipendence will be enhanced by a stable source of funding for the regulator”; precisa, poi, che “in some jurisdiction, particular matters of regulatory policy require consultation with, or even approval by, a government, minister or other authority. The circumstances in wich such consultation or approvali is required or permitted should be clear and the process sufficiently transparent or subject to review to safeguarde its integrity. Generally, it is not appropriate for these circumstances to include decision making on the day-to-day technical matters”.

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e regole restrittive in materia di revoca del mandato (artt. 48, co. 5, e 51, co. 5, che subordinano la revoca ad una decisione nel primo caso del Parlamento a seguito di una decisione del consiglio e nel secondo caso del consiglio). Per la nomina del primo presidente dell’ESRB (presidente della BCE) e del primo vicepresidente dell’ESRB (scelto tra i membri del consiglio generale della BCE) è prevista una durata di cinque anni. Infine, occorre (indipendenza finanziaria) che le Autorità abbiano un proprio bilancio autonomo, distinto da quello dell’Unione Europea, con entrate provenienti principalmente da contributi obbligatori delle autorità nazionali di vigilanza e dal bilancio generale dell’Unione (considerando 59° e art. 62 dei regolamenti istitutivi delle Autorità). Fin qui le norme dei singoli regolamenti istitutivi sull’indipendenza delle Autorità dell’Unione. Va fatta, tuttavia, un’ulteriore considerazione. L’intervento del legislatore comunitario in materia di vigilanza sul mercato finanziario finiva, già in passato, con l’attrarre a livello comunitario buona parte della disciplina del settore e col restringere le competenze del legislatore nazionale. Per tale via l’indipendenza delle autorità di vigilanza nazionali veniva, di fatto, salvaguardata da eventuali ingerenze politiche nazionali. Ebbene, il ruolo delle istituzioni comunitarie nella disciplina del settore finanziario è destinato ad accrescersi a seguito dell’adozione dei regolamenti sulle Autorità di vigilanza dell’Unione. L’art. 10 di ciascuno dei regolamenti istitutivi prevede, infatti, che il Consiglio possa delegare alla Commissione ex art. 290 TFUE l’adozione di norme tecniche di regolamentazione nelle materie individuate dalle direttive di cui all’art. 1, co. 2, di ciascun regolamento, e che i progetti di tali norme tecniche siano elaborati dalle Autorità che li sottopone poi per l’approvazione alla Commissione. Inoltre, l’art. 15 di ciascun regolamento dispone che l’Autorità possa elaborare norme tecniche di attuazione ex art. 291 TFUE nelle stesse materie di cui all’art. 1, co. 2, e che tali norme devono essere sottoposte all’approvazione della Commissione. Nel primo caso si tratta di norme che integrano o modificano determinati elementi non essenziali dell’atto legislativo (direttiva o regolamento) (art. 290, co. 1, TFUE), nel secondo di condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione (art. 291, co. 2, TFUE). Non è, tuttavia, questa la sede per un esame approfondito di tali atti. Si vuole solo sottolineare che l’adozione dei relativi progetti è demandata al consiglio delle autorità, che delibera a maggioranza qualificata (art. 44, co. 1, par. 2). E che ciò, da un lato, contribuisce a sottrarre la disciplina del mercato finanziario ai legislatori nazionali, e, dall’altro, rende più pressante l’esigenza di limitare l’ingerenza dei governi nazio-

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nali nella nomina dei vertici delle autorità nazionali, al fine di assicurare l’indipendenza funzionale dei membri del consiglio di ciascuna autorità. In sostanza, poiché al consiglio delle autorità di vigilanza e al consiglio di amministrazione partecipano con diritto di voto i capi delle autorità di vigilanza nazionali o loro supplenti scelti nell’ambito dell’autorità nazionale medesima (art. 40, co. 3, e 45, co. 1, secondo periodo), la garanzia dell’indipendenza istituzionale si estende ovviamente anche a essi e ciò potrebbe avere delle ricadute in quegli ordinamenti nazionali che prevedono un ruolo del Governo nella nomina dei vertici delle autorità di vigilanza. Tanto più che il citato art. 78 di ciascuno dei regolamenti istitutivi prevede che gli Stati membri adottino le opportune disposizioni per assicurare un’attuazione efficace degli stessi. Inoltre, il meccanismo sopra descritto di produzione delle norme tecniche di regolamentazione e di attuazione rende distonico, a livello nazionale, l’intervento del CICR nell’elaborazione delle norme di vigilanza bancaria. Lo stesso discorso può farsi anche per gli altri segmenti del mercato finanziario, in quei casi in cui la formazione delle regole è demandata a regolamenti ministeriali (requisiti di onorabilità e professionalità di esponenti e partecipanti al capitale di intermediari e soggetti che prestano servizi di mercato). A fronte dei requisiti d’indipendenza sono previsti, anche qui in linea con gli standards internazionali 25, obblighi di trasparenza/accountability delle Autorità di vigilanza microprudenziale e dell’ESRB. Innanzitutto, è prevista la responsabilità politica delle Autorità e dell’ESRB nei confronti del Parlamento e del Consiglio (art. 3 dei regolamenti istitutivi delle Autorità). In secondo luogo, è stabilito che il Parlamento e il Consiglio possono richiedere al presidente di ciascuna delle Autorità di riferire e di trasmettere una relazione scritta, che deve indicare nel suo contenuto minimo informazioni sulle norme tecniche di regolazione e sull’esercizio dei poteri sostitutivi delle autorità nazionali e sulle relazioni internazionali (art. 50 di ciascuno dei regolamenti istitutivi delle Autorità).

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Lo IOSCO, principle n. 6.3, già citato, prevede che “the regualtor should be… accounteble in the use of its powers and resources”; e che “accountability implies: a regulator that operates independently of sectoral interests; a system of public accountability of regulator; a system permitting judicial review of decision of the regulator”; inoltre, “where accountability is through the government or some other external agency, the confidential and commercial sensitive nature of much of information in the possession of the regulator must be respected. Safeguards must be in place to protect such information from inappropriate use or disclosure”.

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Più articolato, considerata la delicatezza dei compiti e degli interessi coinvolti, l’obbligo di rendicontazione dell’ESRB, di cui all’art. 19 del relativo regolamento, ai sensi del quale “almeno una volta l’anno e più frequentemente in caso di turbolenze finanziarie diffuse, il presidente del CERS è invitato ad un’audizione annuale dinanzi al Parlamento europeo in occasione della pubblicazione della relazione annuale del CERS al Parlamento europeo e al Consiglio. Tale audizione è condotta separatamente dal dialogo monetario tra il Parlamento europeo e il presidente della BCE [co. 1]. La relazione annuale di cui al paragrafo 1 contiene le informazioni che il consiglio generale decide di rendere pubbliche… Le relazioni annuali sono rese pubbliche [co. 2]. Su invito del Parlamento europeo, del Consiglio o della Commissione, il CERS esamina altresì questioni specifiche [co. 3]. Il Parlamento europeo può chiedere al presidente del CERS di partecipare a un’audizione delle commissioni competenti del Parlamento europeo [co. 4]. Il presidente del CERS procede almeno due volte all’anno, o più spesso se lo ritiene opportuno, a discussioni orali riservate a porte chiuse con il presidente e i vicepresidenti della commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo sulle attività del CERS in corso… [co. 5]”.

5. Il problema della loro qualificazione giuridica: la riconduzione al novero delle agenzie indipendenti. Le tre Autorità di vigilanza microprudenziale hanno personalità giuridica (art. 5 e considerando 14° di ciascuno dei regolamenti istitutivi), mentre il CERS è configurato come un organismo indipendente senza personalità giuridica (art. 1 e considerando 15°, in fine, del regolamento istitutivo). La conseguenza è l’imputabilità degli atti e dei rapporti giuridici nel primo caso direttamente alle Autorità e nel secondo caso all’Unione. L’ESRB è stato, infatti, istituito ai sensi dell’art. 95 TCE (art. 114 TFUE) e non dell’art. 105 TCE (art. 127 TFUE) e ciò porta a escludere l’imputabilità alla BCE degli atti dell’ESCR. Ciò premesso, occorre verificare a quale modello organizzativo comunitario possano essere ricondotte le Autorità di vigilanza dell’Unione. Esse subentrano, certo, ai comitati previsti dalla procedura Lamfalussy (art. 76 di ciascuno dei regolamenti istitutivi), ma: a) hanno personalità giuridica e godono in ciascuno Stato membro della più ampia capacità giuridica riconosciuta alle persone giuridiche nell’ambito dell’ordinamento giuridico nazionale; b) sono dotate di requisiti d’indipendenza, modellati su quelli previsti per la BCE, seppur, come detto, non equivalenti

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a questi ultimi; c) il loro organo decisionale, il consiglio delle autorità, si compone dei membri delle autorità nazionali e della Commissione; d) incarnano, anche per questa loro composizione, il principio di leale cooperazione sancito dall’art. 4, co. 3, del nuovo TUE; e) si prestano, come vedremo tra breve, a rappresentare un foro di partecipazione per i rappresentanti degli interessi privati. Caratteri, questi, che assimilano le Autorità di vigilanza dell’Unione alle agenzie europee 26, la cui ammissibilità in ambito comunitario sembra ora positivamente ammessa in virtù della previsione nel TFUE di talune disposizioni che fanno riferimento, oltre che alle istituzioni, anche, genericamente, a organi e organismi dell’Unione (cfr., ad esempio, l’art. 263 TFUE sul controllo di legittimità della Corte di giustizia o ancora l’art. 267 TFUE sul ricorso pregiudiziale) 27. In realtà, rispetto alle agenzie europee, di cui ricalcano, seppur non esattamente, il modello organizzativo, le Autorità di vigilanza dell’Unione si caratterizzano per i ricordati requisiti d’indipendenza (i regolamenti istitutivi delle agenzie non prevedono, infatti, normalmente requisiti di indipendenza, previsti invece, ad esempio, nel caso del Garante europeo per la protezione dei dati personali). Si è anche parlato, in dottrina, di una “complicazione” del modello delle agenzie, complicazione della quale le Autorità di vigilanza dell’Unione, qualificate come agenzie indipendenti, rappresenterebbero l’esempio più evidente. In altri termini, secondo tale ricostruzione “al tipo tradizionale di agenzia, ausiliaria rispetto alla Commissione e

26 Cfr. Chiti, L’organizzazione amministrativa comunitaria, in Trattato di diritto amministrativo europeo, Milano, 2007, I, p. 442 ss. 27 Secondo una prima ricostruzione, i Trattati disciplinerebbero compiutamente le istituzioni e taluni organismi espressamente indicati; non vi sarebbe perciò spazio per altri organismi. Inoltre poiché istituzioni e organismi operano nei limiti delle competenze attribuite, l’istituzione di organismi non espressamente previsti sarebbe addirittura contraria al principio di attribuzione. In una risalente pronuncia del 13 giugno 1958 C-9 e 10/56 (sentenza Meroni) la Corte aveva statuito che la costituzione di nuovi soggetti ausiliari e la delega di funzioni a essi sarebbe stata possibile a condizione che le funzioni delegate non avessero carattere discrezionale e fossero chiaramente definite e che l’esercio dei poteri fosse passibile di controllo secondo criteri obiettivi indicati dal delegante; con ciò dimostrando l’eccezionalità dell’utilizzo di nuovi organismi. Secondo una diversa ricostruzione, invece, i Trattati non prevederebbero un sistema rigido di istituzioni e organi (argomenta ex art. 234 TCE), che possono essere perciò istituiti in base a specifiche norme del medesimo o, in mancanza, in base all’art. 308 TCE o all’art. 95 TCE. Sull’utilizzo di tale ultima norma cfr. la sentenza della Corte di giustizia 9 agosto 1994, C-359/92. Tale seconda impostazione sembra appunto confermata dal TFUE.

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strutturata in modo da realizzare, attraverso i propri uffici di vertice, una pluralità di relazioni tra la Commissione e le amministrazioni nazionali, viene affiancandosi un nuovo tipo, nel quale la cooperazione amministrativa si svolge tra autorità indipendenti nazionali e lo stesso organismo comunitario è chiamato ad operare in maniera indipendente tanto dai privati quanto dalle istituzioni politiche dell’Unione, inclusa la Commissione”; si è rilevato, peraltro, che “questo nuovo tipo di agenzie europee… non dovrebbe essere confuso con altre figure dell’organizzazione amministrativa europea fondate sull’indipendenza”. Esso, infatti, “si differenzia, anzitutto, dalla figura in cui l’indipendenza trova la sua massima forza ed estensione, quella del sistema europeo delle banche centrali coordinato dalla Banca centrale europea, giacché in quel caso la Commissione, quale organismo indipendente dai governi nazionali ma legato alla maggioranza politica espressa dal Parlamento europeo, è del tutto esclusa dall’esercizio della funzione”; d’altro canto, “altrettanto netta è la distanza dalle ipotesi nelle quali l’esecuzione della regolazione europea è affidata ad un sistema comune composto da autorità indipendenti e coordinato dalla Commissione, senza che sia istituita un’agenzia europea, come avviene nel settore della concorrenza”. Va, invece, sottolineato che “il nuovo tipo di agenzie europee… è meno lontano dal cosiddetto concerto regolamentare europeo, nel quale coesistono due regolatori europei, un ufficio collegiale composito del quale sono membri i direttori delle autorità nazionali di regolazione o loro rappresentanti e che presenta alcuni indici di indipendenza, e la Commissione. Di tale figura… le agenzie europee indipendenti rappresentano una evoluzione, perché all’ufficio collegiale europeo subentra una figura organizzativa più complessa, dotata di personalità giuridica e provvista di una più compiuta indipendenza” 28. Individuato il modello organizzativo, o meglio la variante prescelta di un modello organizzativo già noto, mancherebbe, tuttavia, una riflessione sulla ratio dell’introduzione di tale variante, e cioè dell’attribuzione a tali agenzie del requisito dell’indipendenza. Nelle legislazioni dei singoli Stati nazionali tale ratio è ricondotta all’esigenza “di evitare non solo il rischio di cattura da parte dei privati, ma anche la soggezione agli orientamenti della maggioranza politica, al fine di garantire ad alcune politiche regolatorie quella stabilità e credibilità

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Chiti, Le trasformazioni delle agenzie europee, in Riv. trim. dir. pubbl., 2010, 1, pp. 69-70.

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che il ciclo politico legato alle scadenze elettorali non riesce necessariamente a garantire” 29. Nei regolamenti istitutivi delle Autorità dell’Unione e, prima ancora, negli atti e negli studi preparatori 30 non si rinviene, invece, traccia alcuna delle ragioni cui l’indipendenza debba essere ricondotta. La questione della configurazione giuridica delle Autorità non dovrebbe avere alcun rilievo pratico, essendo i requisiti d’indipendenza e di trasparenza delle stesse, la loro struttura, il regime dei loro atti e della loro responsabilità nei confronti dei terzi positivamente e compiutamente disciplinati dai singoli regolamenti istitutivi. Evidente ne è, tuttavia, la valenza politica, per la rilevanza assegnata alle funzioni loro attribuite e agli interessi protetti e per le ricadute sullo “statuto” delle autorità nazionali che vi partecipano, alle quali sarà in futuro difficile disconoscere un’effettiva indipendenza funzionale, personale e finanziaria dai rispettivi governi nazionali.

6. Il regime degli atti delle Autorità. 6.1. La consultazione delle parti interessate nell’adozione dei progetti di atti di regolamentazione e di attuazione e delle raccomandazioni. Si è detto che alle Autorità dell’Unione compete la redazione di progetti di norme tecniche di regolamentazione (art. 10) e l’elaborazione di norme tecniche di attuazione (art. 15), entrambe sottoposte all’approvazione della Commissione. In secondo luogo, le Autorità medesime

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Chiti, Le trasformazioni, cit., p. 71. Nel rapporto de Larosière si precisa soltanto, al § 211), che “the Authorities would have the highest degree of independence vis-à-vis the European institutions, which should not interfere in the internal processes and decisions of the Authorities. However, the Authorities would be accountable to the Council, the European Parliament and the Commission. They should report formally to these three institutions on a frequent basis”. Analogamente, il § 4.3. della comunicazione della Commissione del maggio 2009 sancisce che “sarà essenziale garantire l’indipendenza di queste autorità. Esse dovrebbero avere il massimo grado di indipendenza nei confronti delle autorità nazionali diverse dalle autorità di vigilanza e nei confronti delle istituzioni europee, le quali non dovrebbero interferire nelle decisioni delle autorità europee di vigilanza. Le autorità europee di vigilanza dovrebbero tuttavia rendere pienamente conto al Consiglio, al Parlamento europeo e alla Commissione. La trasparenza sarebbe uno strumento fondamentale per far funzionare questo sistema e le autorità europee di vigilanza dovrebbero presentare frequentemente (ad esempio almeno semestralmente) relazioni alle istituzioni europee”. 30

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possono emanare orientamenti o formulare raccomandazioni indirizzate alle autorità nazionali di volta in volta competenti o alle istituzioni finanziarie come definite nei vari regolamenti istitutivi (art. 16). Si è accennato inoltre che, in linea col modello organizzativo delle agenzie, le Autorità rappresentano la sede per l’emersione e la valutazione degli interessi privati coinvolti nell’attività di regolazione. Senza alcuna pretesa di descrivere l’iter di formazione dei predetti atti, si vuole solo sottolineare che le Autorità: nei primi due casi, devono effettuare consultazioni pubbliche e analizzare i potenziali costi e benefici, salvo che “dette consultazioni e analisi siano sproporzionate in relazione alla portata e all’impatto” dei medesimi o “alla particolare urgenza della questione” nonché chiedere il parere del gruppo delle parti interessate nel settore (art. 10, co. 1, secondo periodo, e 15, co. 1, secondo periodo); nel terzo, possono effettuare consultazioni pubbliche e analisi sui costi e benefici, purché esse siano proporzionate alla sfera di applicazione, alla natura e all’impatto degli orientamenti e raccomandazioni (art. 16, co. 2), e possono, se del caso, chiedere pareri o consulenza al gruppo delle parti interessate nel settore 31. Ciascun gruppo delle parti interessate nel settore di competenza delle singole Autorità è disciplinato nell’art. 37 dei regolamenti istitutivi. Ogni gruppo, composto di trenta membri, rappresenta proporzionalmente gli intermediari (in numero di dieci), i loro dipendenti, i consumatori, gli utenti dei servizi, le PMI, il mondo accademico. I membri del gruppo sono nominati dal consiglio delle autorità. Ciascuna delle Autorità assicura un adeguato supporto di segreteria al gruppo stesso.

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Cfr. il 48° considerando dei regolamenti istitutivi dell’EBA e dell’ESMA e il 47° considerando del regolamento istitutivo dell’EIOPA, ai sensi dei quali: “occorre che l’Autorità consulti le parti interessate in merito alle norme tecniche di regolamentazione o di attuazione, agli orientamenti e alle raccomandazioni e dia loro una ragionevole possibilità di formulare osservazioni sulle misure proposte. Prima di adottare progetti di norme tecniche di regolamentazione o di attuazione, orientamenti e raccomandazioni, l’Autorità dovrebbe procedere a un’analisi di impatto. Per ragioni di efficacia, occorre ricorrere a tale scopo a un gruppo delle parti interessate nel settore bancario/ degli strumenti finanziari e dei mercati/dell’assicurazione e della riassicurazione/dei fondi pensionistici aziendali e professionali, che rappresenti in modo proporzionato gli enti creditizi e le imprese di investimento dell’Unione, rappresentando le varie tipologie e dimensioni di imprese ed istituti finanziari, tra cui, se necessario, gli investitori istituzionali e altri istituti finanziari che siano essi stessi utenti di servizi finanziari, le piccole e medie imprese (PMI), i sindacati, il mondo accademico, i consumatori e altri utenti al dettaglio dei servizi bancari/finanziari…”.

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Essendo definito a monte sia l’ambito degli atti in questione, che coincide con quello individuato dalle direttive e dai regolamenti applicabili in ciascuno dei settori del mercato finanziario in cui operano le singole Autorità, sia le finalità cui queste ultime devono improntare la propria azione (art. 1, co. 5, di ciascuno dei regolamenti istitutivi), gli spazi per una regolazione “condivisa” dai destinatari non possono che riguardare l’adeguatezza del raggiungimento degli obiettivi medesimi ed il relativo “costo” per i vigilati. Ecco perché l’intervento dei gruppi delle parti interessate nel settore assicura sostanzialmente il rispetto del principio di proporzionalità 32. L’omessa consultazione del gruppo delle parti interessate nel settore, ove obbligatoria (oltre alla mancata consultazione da parte dell’Autorità, rileva anche la mancata consultazione da parte della Commissione ex art. 10, co. 3, secondo periodo, e 15, co. 3, secondo periodo), oltre che un sintomo di eventuale violazione del principio di proporzionalità, configura comunque a monte una violazione di forme sostanziali, autonomamente impugnabile ex art. 263 TFUE. Impugnabile è, ovviamente, l’atto definitivo per il vizio in cui sia incorsa l’Autorità o la Commissione nell’ambito del procedimento di adozione del medesimo. 6.2. La disciplina delle decisioni. I regolamenti istitutivi dettano, inoltre, regole valevoli per le decisioni delle autorità. Queste ultime sono adottate ai sensi degli artt. 17, 18 e 19 di ciascuno dei regolamenti istitutivi. Nell’ordine, le Autorità attivano poteri sostitutivi delle autorità di vigilanza nazionali, che non abbiano applicato le disposizioni comunitarie o abbiano “omesso di assicurare che un partecipante ai mercati finanziari rispetti gli obblighi stabiliti in tali atti” (art. 17, co. 1). In tal caso, fatta salva la procedura d’infrazione attivabile dalla Commissione ex art. 258 TFUE, l’Autorità “può adotta-

32 Si noti che l’art. 23, co. 2, della legge 262 del 2005 dispone che “nella definizione del contenuto degli atti di regolazione generale, le autorità [e cioè la Consob, la Banca d’Italia, l’ISVAP e la COVIP] tengono conto in ogni caso del principio di proporzionalità, inteso come criterio di esercizio del potere adeguato al raggiungimento del fine, con minore sacrificio degli interessi dei destinatari” e che, “a questo fine”, cioè, in vista della realizzazione del principio di proporzionalità, “esse consultano gli organismi rappresentativi dei soggetti vigilati, dei prestatori di servizi finanziari e dei risparmiatori”.

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re una decisione nei confronti di un singolo partecipante ai mercati finanziari, imponendogli di prendere misure per rispettare gli obblighi imposti dal diritto dell’Unione, tra cui la cessazione di ogni eventuale pratica” (art. 17, co. 6). Poteri d’intervento sostitutivo analoghi le Autorità dell’Unione hanno anche nel caso in cui sia “necessaria un’azione coordinata delle autorità nazionali per rispondere a sviluppi negativi che possano seriamente compromettere il regolare funzionamento e l’integrità dei mercati finanziari o la stabilità generale o parziale del sistema finanziario dell’Unione” (art. 18, co. 3 e 4) o in caso vi sia controversia tra autorità nazionali (art. 19, co. 4). In tutti questi casi, la decisione può riguardare un singolo istituto finanziario, imponendogli di prendere misure necessarie per rispettare gli obblighi imposti dal diritto dell’Unione, tra cui la cessazione di ogni eventuale pratica. Prima di adottare una tale decisione, l’Autorità ne informa il destinatario, indicandogli un termine entro cui questi può esprimere un parere. La stessa regola si applica anche alle raccomandazioni ex art. 17, co. 3, di ciascuno dei regolamenti istitutivi. La decisione finale deve indicare le ragioni sulle quali essa si basa, i mezzi di ricorso esperibili dal destinatario. Le decisioni prese dall’Autorità ai sensi degli articoli 17, 18 o 19 sono pubblicate menzionando l’autorità nazionale competente o l’istituto finanziario interessati e i principali elementi della decisione, a meno che la pubblicazione non sia in conflitto con gli interessi legittimi degli istituti finanziari alla protezione dei loro segreti commerciali o possa compromettere gravemente il regolare funzionamento e l’integrità dei mercati finanziari o la stabilità generale o parziale del sistema finanziario dell’Unione (art. 39, co. 5). 6.3. Posizioni congiunte e atti comuni. Si è già detto, nel parlare del riparto di competenze tra autorità, che nell’attuazione della direttiva 2002/87/CE sui conglomerati finanziari, i regolamenti istitutivi prevedono la possibilità di adottare posizioni congiunte o atti comuni. L’art. 56 di detti regolamenti prevede, per la precisione, che (co. 1) “nel quadro dei compiti che le sono attribuiti ai sensi del capo II, in particolare in relazione all’attuazione della direttiva 2002/87/CE, ove opportuno, l’Autorità adotta posizioni comuni con l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) e con l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), a seconda dei casi”. E che (co. 2) “gli atti di cui agli articoli da 10 a 15 e agli articoli 17, 18 o 19 del presente regola-

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mento per quanto riguarda l’applicazione della direttiva 2002/87/CE e di qualsiasi altro atto dell’Unione di cui all’articolo 1, paragrafo 2, che rientri anche nel settore di competenza dell’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) o dell’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) sono adottati, in parallelo, dall’Autorità, dall’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) e dall’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), se necessario”. In sintesi: per l’adozione delle decisioni vincolanti e per la predisposizione delle norme tecniche della Commissione si richiede l’adozione “parallela” dei relativi atti, il che fa pensare a più atti di identico contenuto adottati da ciascuna autorità; per tutti gli altri casi (raccomandazioni, pareri, ecc.) è prevista, invece, l’adozione di un’unica posizione congiunta a firma di tutte e tre le autorità.

7. I ricorsi e i rimedi giurisdizionali, la responsabilità. Avverso le decisioni delle Autorità è ammesso ricorso (art. 60 di ciascuno dei regolamenti istitutivi) dinanzi all’apposita Commissione di cui all’art. 58, che è un organismo congiunto delle tre autorità. Il ricorso esperibile dalle persone fisiche o giuridiche destinatarie dell’atto adottato ai sensi degli artt. 17, 18 e 19 (ma anche dall’autorità nazionale sostituita in base a dette norme), dovrebbe ritenersi esteso anche al merito, non essendo previsti limiti all’azione (art. 60). Le decisioni della Commissione di ricorso e gli atti dell’Autorità per i quali non è esperibile il ricorso dinanzi alla Commissione sono impugnabili dinanzi alla Corte di giustizia ex art. 263 TFUE (art. 61) e perciò soltanto per vizi di legittimità. Legittimati al ricorso dinanzi alla Corte sono, oltre alle persone fisiche o giuridiche lese dall’atto, anche gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione. Quanto alla responsabilità delle Autorità, i relativi regolamenti prevedono (art. 69, co. 1, di ciascuno dei regolamenti istitutivi) che “in materia di responsabilità extracontrattuale, l’Autorità risarcisce, conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri, i danni cagionati dall’Autorità stessa o dal suo personale nell’esercizio delle sue funzioni. La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a conoscere delle controversie relative al risarcimento dei danni”. L’ESRB, non avendo personalità giuridica, non risponde direttamente dei danni in ipotesi riconducibili ai propri atti, essendo questi ultimi imputabili all’Unione.

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Le suindicate decisioni delle Autorità di vigilanza microprudenziale possono, innanzitutto, recare danno ai destinatari e cioè agli intermediari interessati, i quali possono esperire l’azione risarcitoria ex art. 268 TFUE. Quest’ultima, come ormai riconosciuto dalla Corte di giustizia, è autonoma rispetto a quella di annullamento ex art. 263 TFUE. Il destinatario dell’atto può, perciò, scegliere se avvalersi immediatamente dell’azione risarcitoria o esperire il rimedio del ricorso all’apposita Commissione, per far valere ragioni anche di merito, riservandosi la possibilità di agire in annullamento e in responsabilità in un secondo momento. Quanto alla posizione dei risparmiatori, questi ultimi potrebbero, invece, dolersi della mancata adozione dell’atto da parte dell’autorità nazionale prima e dell’Autorità dell’Unione poi 33. Ove l’adozione dell’atto sia richiesta da una norma comunitaria che sia preordinata alla tutela dei risparmiatori, questi ultimi possono in particolare invocare il risarcimento dei danni in ipotesi patiti, nel primo caso dinanzi al giudice nazionale, nel secondo dinanzi alla Corte di giustizia (art. 69 di ciascuno dei regolamenti istitutivi e art. 268 TFUE). Ma anche nel primo caso l’accertamento se la norma comunitaria conferisca o no diritti ai risparmiatori va rimessa alla Corte di giustizia, tramite il noto meccanismo del ricorso pregiudiziale. Se le norme comunitarie in materia di vigilanza bancaria conferiscano diritti ai risparmiatori azionabili in sede risarcitoria per l’ipotesi in cui l’indisponibilità dei loro depositi sia stata causata da una vigilanza carente, è questione già affrontata dalla Corte di giustizia e dalla stessa decisa in senso negativo nel noto caso Peter Paul del 12 ottobre 2004 34. A fron-

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In tal caso, avverso l’omissione di quest’ultima, è ammessa anche l’azione in carenza ex art. 265 TFUE (art. 61, co. 3), ma non sembra proprio che sia esperibile dai risparmiatori in quanto essi non rivestono la posizione di destinatari dell’atto (arg. ex art. 265, co. 3, TFUE). Resta quindi la sola azione in carenza delle istituzioni dell’Unione e degli Stati membri. 34 Con ordinanza del 16 maggio 2002 la Suprema Corte federale tedesca (Bundesgerichtshof) ha rimesso alla Corte di giustizia alcune questioni interpretative emerse nel corso di un procedimento instaurato dai clienti di una banca dichiarata fallita e non aderente ad alcun sistema di garanzia dei depositi. Nel procedimento a quo è stato richiesto allo Stato tedesco il risarcimento dei danni per non aver tempestivamente recepito la direttiva n. 1994/19/CE sulla garanzia dei depositi e per non aver esercitato sufficienti controlli sulla banca fallita tramite l’Ufficio federale di vigilanza (Bundesaufsichtsamt). Il profilo della mancata attuazione dei controlli ha dato luogo alle seguenti questioni: a) se la predetta direttiva riconosca ai risparmiatori un interesse giuridicamente qualificato ad un corretto esercizio dei poteri di vigilanza ivi disciplinati (art. 3 nn. 2-5), e, qualora

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te di tale pronuncia la dottrina ha invocato settori specifici della disciplina bancaria comunitaria, in cui la tutela dei consumatori assume rilievo pregnante 35, e altri precedenti della stessa Corte di giustizia, sempre in

accertato un siffatto diritto, se esso comprenda anche il diritto al risarcimento del danno, dovuto al negligente od omesso esercizio dei poteri suddetti da parte delle autorità preposte, in misura superiore all’importo minimo fissato quale garanzia dei depositi dall’art. 7, par. 1, della medesima direttiva; b) se la disciplina della garanzia dei depositi e la connessa tutela dei risparmiatori debbano considerarsi speciali ed esclusive, ovvero si ricolleghino ad un più ampio diritto attribuito ai depositanti uti singuli dalle varie direttive comunitarie di coordinamento in materia di vigilanza bancaria. Quanto alla questione sub a), con sentenza del 12 ottobre 2004, la Corte di giustizia ha statuito che la direttiva n. 1994/19/CE garantisce ai depositanti soltanto l’indennizzo minimo da essa previsto, ma non riconosce ai medesimi un interesse giuridicamente qualificato al corretto esercizio dei poteri di vigilanza ivi disciplinati; conseguentemente deve escludersi un diritto dei depositanti stessi al risarcimento del danno in caso di negligente esercizio dei poteri suddetti. Secondo la Corte, siffatta interpretazione della direttiva 94/19/ CE “è corroborata dal suo ventiquattresimo ‘considerando’, il quale esclude che questa possa avere per effetto di comportare la responsabilità degli Stati membri o delle loro autorità competenti nei confronti dei depositanti”. Sulla questione sub b) la Corte ha premesso che le tre direttive di coordinamento poi trasfuse nella dir. n. 2000/12 ed ora nella dir. n. 2006/48/CE, e cioè le direttive n. 1977/780/CEE, n. 1989/299/CEE e n. 1989/646/CEE, non contengono previsioni che riconoscano direttamente diritti ai singoli depositanti, mentre le finalità di armonizzazione della disciplina che ispirano le predette direttive si limitano a quanto: “essenziale, necessario e sufficiente per pervenire al reciproco riconoscimento delle autorizzazioni e dei sistemi di controllo prudenziale il quale consente il rilascio di un’unica autorizzazione valida in tutta la Comunità e l’applicazione del principio del controllo da parte dello Stato membro di origine”; per il raggiungimento di un tale risultato, prosegue la Corte, non sembra necessario anche: “il coordinamento delle norme nazionali relative alle responsabilità delle autorità nazionali nei confronti dei depositanti in caso di vigilanza carente”. Ne consegue – secondo la Corte – che neppure le citate direttive di coordinamento: “possono essere interpretate nel senso che esse attribuiscono ai depositanti diritti in caso di indisponibilità dei loro depositi causata da una vigilanza carente da parte delle autorità nazionali competenti”. È stato, pertanto, escluso che le menzionate direttive: “conferiscano ai singoli, in caso di indisponibilità dei loro depositi causata da una vigilanza carente da parte delle autorità nazionali competenti, diritti che possano far sussistere la responsabilità dello Stato in base al diritto comunitario”. Sulla base delle considerazioni esposte, la Corte ha concluso che né la direttiva n. 1994/19/CE né le altre sopra indicate si oppongono ad una disciplina nazionale che – come quella tedesca – giunga ad escludere la risarcibilità dei danni cagionati ai singoli da carente vigilanza delle Autorità nazionali competenti; a maggior ragione, alla luce della giurisprudenza della Corte, sarebbero compatibili con la predetta normativa comunitaria eventuali norme soltanto limitative della responsabilità delle suddette autorità. 35 Si pensi, innanzitutto, alla direttiva sul credito al consumo (n. 1987/102/CEE): non c’è dubbio che essa abbia come obiettivo diretto la tutela del consumatore, in quanto diversamente dalle direttive generali di coordinamento in materia bancaria fornisce in-

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materia bancaria, che rimarcano, tra le finalità della disciplina comunitaria, la tutela dei depositanti e/o dei consumatori di prodotti e servizi bancari (Panagis Pafitis, 1996, C-441/93, § 49; Parodi, 1997, C-222/95, § 22; Romanelli, 1999, C-366/97, § 12). Chiaramente rivolte alla tutela dei risparmiatori e/o dei consumatori dei prodotti e servizi finanziari sono, inoltre, le direttive in materia di mercato mobiliare 36 e talune norme dei regolamenti istitutivi delle tre Autorità di vigilanza dell’Unione. Secondo i regolamenti istitutivi delle Autorità, ciascuna di esse, infatti: contribuisce ad “aumentare la protezione dei consumatori” (art. 1, co. 5, lett. f); “promuove la tutela di depositanti e investitori/degli investitori/dei titolari di polizze assicurative, degli aderenti e dei beneficiari di schemi pensionistici ” (art. 8, co. 1, lett. h); “assume un ruolo guida nella promozione della trasparenza, della semplicità e dell’equità nel mercato per i prodotti o servizi finanziari destinati ai consumatori” (art. 9, co. 1); “contribuisce a rafforzare il sistema europeo dei sistemi nazionali di garanzia dei depositi/di indennizzo degli investitori… con l’obiettivo di assicurare” che i medesimi forniscano “un elevato livello di protezione per tutti i depositanti/investitori” (art. 26). Tuttavia, come già evidenziato, i regolamenti istitutivi delle autorità di

dicazioni precise in ordine ai soggetti beneficiari delle prescrizioni in essa contenute (art. 1, co. 2, dove sono definiti il consumatore, il creditore ed il contratto di credito). Ma del pari non vi è alcun dubbio che la Direttiva stessa non ha nulla a che vedere con la vigilanza prudenziale sulle banche, in quanto riguarda le operazioni e non i soggetti che le pongono in essere. Tra questi ultimi sono sì inclusi anche gli enti creditizi, ma ciò è indifferente ai fini dell’applicazione delle norme contenute nella direttiva. 36 Specificamente rivolte alla tutela degli investitori sono le direttive in materia di prospetti informativi per l’ammissione a quotazione di valori mobiliari (n. 1980/390/CEE) e per l’offerta al pubblico dei medesimi (n. 1989/298/CEE) di recente consolidate nella direttiva n. 2003/71/CE. Si pensi agli artt. 4 della direttiva n. 80/390/CEE, 11 della direttiva n. 89/298/CEE citt. e 5 della direttiva n. 2003/71/CE, relativi al contenuto del prospetto informativo. Tale documento deve contenere, come indicato nell’ultimo degli articoli richiamati che ricalca in sostanza i primi due, le informazioni necessarie: “affinché gli investitori possano giudicare con cognizione di causa la situazione patrimoniale e finanziaria, i risultati economici e le prospettive dell’emittente e degli eventuali garanti, come pure i diritti connessi agli strumenti finanziari”. Disposizioni analoghe si rinvengono nella direttiva n. 2004/109/CE sulle informazioni periodiche. La tutela del cliente è inoltre considerata dalla direttiva sui servizi di investimento, sia nei considerando sia nell’articolato. La direttiva, diversamente dalle precedenti, riguarda la vigilanza sugli intermediari che offrono al pubblico servizi di investimento. Ma, pur riguardando la vigilanza sugli intermediari, essa privilegia rispetto alla sana e prudente gestione degli stessi le regole di condotta e di trasparenza che devono essere osservate nella prestazione del servizio offerto ai clienti.

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vigilanza dell’Unione annoverano, tra gli obiettivi di queste ultime, non soltanto la tutela dei risparmiatori e dei consumatori, ma anche, tra gli altri, la stabilità e l’efficacia a breve, medio e lungo termine del sistema finanziario. Le autorità perseguono così una pluralità di obiettivi e ciò rende il loro compito complesso e delicato. Considerazione che non può non avere un qualche riflesso nella valutazione delle condizioni e dei limiti della loro eventuale responsabilità nei confronti dei risparmiatori. Proprio nell’ambito di tale apprezzamento la Corte di giustizia ha una vera e propria funzione di creazione del diritto. Le condizioni e i limiti della responsabilità delle autorità devono, infatti, essere ricavate dal diritto interno degli Stati membri (art. 69 cit.), che però non offre soluzioni omogenee. Il criterio della sufficiente gravità della violazione, inizialmente seguito dalla giurisprudenza della Corte per i soli atti normativi degli Stati membri (la cui adozione spetta però nel nostro settore alla Commissione e non delle autorità di vigilanza europee), è stato esteso, nel caso Bergaderm (C-6 e C-9/90 del 4 luglio 2000), anche alla responsabilità delle istituzioni comunitarie e ai loro atti amministrativi. L’applicazione di tale criterio potrebbe indurre a tener conto, nella valutazione della responsabilità delle nuove autorità, della molteplicità degli obiettivi della vigilanza a esse affidati. Molti ordinamenti nazionali hanno poi previsto, in linea con i principi di vigilanza sulle banche e sul mercato finanziario sanciti in sede internazionale 37, norme limitative della responsabilità per i provvedimenti adottati “in buona fede” nell’esercizio dei poteri a esse conferiti dalla legge. Le limitazioni di responsabilità stabilite nei vari ordinamenti vanno dall’esenzione completa di responsabilità nei confronti dei risparmiatori, come avviene in Germania 38, in virtù della norma di legge che considera

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Al riguardo si ricorda che il Principle n. 1 dei Basel Core Principles for E£ffective Banking Supervision include, tra i requisiti fondamentali della regolamentazione della vigilanza bancaria, la “legal protection of supervisor”, specificando, a tal proposito (explanatory memorandum to core princple 1), che le autorità di vigilanza devono poter fare affidamento su di una “protection (normally in law) from personal and institutional liability for supervisory action taken in good faith in the corse of performing supervisory duties”; e che analoga esigenza è ribadita anche nel Principle of Securities Regulation n. 2.5. 38 In Germania il diritto di ottenere il risarcimento dei danni nei confronti della pubblica amministrazione è espressamente riconosciuto dalla Costituzione, il cui art. 34 prevede che la responsabilità civile della P.A. si ha allorché sia violato un dovere d’ufficio posto nell’interesse di un terzo. La dottrina aveva ritenuto che la vigilanza bancaria fosse esercitata esclusivamente nell’interesse generale e che quindi non fosse ravvisabile

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la vigilanza esercitata nell’interesse pubblico e non di terzi determinati (requisito quest’ultimo necessario per configurare ai sensi della Costituzione tedesca una responsabilità civile della P.A.), alla responsabilità per i soli illeciti dolosi, come avviene, anche qui per espressa previsione di legge, in Inghilterra 39, a quella per i soli casi di dolo e di colpa grave,

una responsabilità delle autorità di vigilanza verso i depositanti. La tesi era stata poi supportata dalla giurisprudenza della Suprema Corte che, nella materia della vigilanza sulle assicurazioni, aveva statuito che quest’ultima fosse esercitata nell’interesse generale. Tuttavia in due decisioni, concernenti la vigilanza bancaria – casi Wetterstein e Herstatt – la Corte Suprema aveva sancito che quello dei depositanti rappresentasse invece un interesse protetto dalle norme del settore. In risposta a tale orientamento giurisprudenziale era stata introdotta una norma nella disciplina del credito (art. 6.4 KWG), secondo cui la vigilanza bancaria si considerava svolta unicamente nel pubblico interesse, sancendo così, indirettamente, l’esclusione della responsabilità delle autorità di vigilanza nei confronti dei risparmiatori. Analoghe disposizioni erano state previste anche per la vigilanza sul mercato mobiliare e per quella sulle assicurazioni. Nel 2002 è stato istituito, dalla fusione delle precedenti distinte autorità di vigilanza sulle banche, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, il Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht (BaFin). L’art. 4.4 della Gesetz über die Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht contiene ora una norma che stabilisce che la BaFin nell’esercizio dei poteri attribuitile per legge agisce unicamente nell’interesse pubblico. Con conseguenze analoghe a quelle già viste circa la responsabilità dell’autorità nei confronti dei risparmiatori. 39 La norma limitativa della responsabilità della FSA nell’esercizio di tutte le funzioni di vigilanza, anche bancaria, è contenuta nella Schedule 1, Part IV, paragraph 1, del Financial Services and Markets Act. La responsabilità è confinata ai soli casi di bad faith (mala fede) e quindi ai soli intentional torts, sostanzialmente riconducibili, per la pubblica amministrazione, al tort di misfeasance in public office. In relazione a tale tort si è pronunciata di recente la giurisprudenza della Camera dei Lords, nel caso Three Rivers D.C. and others v. Governor and Company of the Bank of England, che riguarda l’azione di risarcimento danni intentata da alcuni depositanti della Bank of Credit and Commerce International (BCCI) per i danni da essi subiti a seguito del fallimento della stessa BCCI imputati ad un’omessa vigilanza della BoE. L’azione consta di due tronconi: un primo riguarda la responsabilità della BoE per misfeasance in public office; un secondo la responsabilità della medesima per violazione di norme contenute nella prima direttiva comunitaria in materia bancaria. Il tort di misfeasance in public office può configurarsi in due distinte fattispecie: nell’intention to injure (prima fattispecie); nella conoscenza dell’illegalità dell’atto unita all’indifferenza verso il probabile danno che ne deriverebbe a terzi (seconda fattispecie). Detta indifferenza può poi essere intesa in senso soggettivo (agire con la consapevolezza dei rischi del proprio comportamento, ma ignorandoli) oppure in senso oggettivo (il convenuto avrebbe dovuto avere la consapevolezza dei rischi che il proprio agire avrebbe comportato). Il caso BCCI verte sulla ricorrenza o meno dei due indicati elementi della seconda fattispecie del tort di misfeasance in pubblic office ed in particolare sull’esatta portata del secondo. La House of Lords, in una prima pronuncia del 2000, indicava i requisiti al ricorrere dei quali può dirsi integrato il tort di misfeasance in public office ed in particolare quelli relativi alla seconda delle due fattispecie sopra

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come sancito in Francia da un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale 40, e in Italia, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 24 l. n. 262/2005, come modificato dall’art. 4, co. 2, lett. d), d.lgs. n. 303/2006. Le ragioni sottostanti a tali scelte legislative risiedono nella necessità di assicurare sufficienti margini di manovra alle autorità di vigilanza chiamate a scelte complesse in ragione della molteplicità degli interessi affidati alle loro cure. In definitiva, la Corte si trova di fronte, oltreché al criterio della sufficiente gravità della violazione, ove ritenuto applicabile anche agli atti amministrativi degli organismi dell’Unione, ai diversi parametri nazionali d’imputazione della responsabilità, dai quali poter ricavare principi comuni. Sembra, tuttavia, da escludere che possa trovare applicazione il principio di esenzione totale dalla responsabilità nei confronti dei risparmiatori, come previsto dall’ordinamento tedesco. A tacer d’altro, esso sarebbe contrario all’art. 6, co. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), cui l’Unione espressamente aderisce (art. 6 nuovo TFUE), in quanto tale norma, garantendo a ciascuno, prima ancora che

indicate; riteneva, poi, che non vi fosse spazio per un’azione di risarcimento sulla base del diritto comunitario. Quanto al primo aspetto, la House of Lords ha stabilito che per la sussistenza del tort fosse sufficiente la imprudente indifferenza da parte del pubblico ufficiale rispetto alle conseguenze dannose del proprio comportamento. In una successiva pronuncia del 2001, la House of Lords riteneva, inoltre, che, alla luce della nozione del tort di misfeasance in public office da essa precedentemente delineata, i fatti addotti dall’attore avrebbero soddisfatto, ove provati, i requisiti richiesti per la sussistenza del suddetto tort. Il relativo accertamento, tuttavia, avrebbe dovuto essere rimesso al giudice competente per il merito. 40 Nel settore della vigilanza bancaria la giurisprudenza amministrativa francese richiede, per affermare la responsabilità dello Stato (la Commission bancaire non ha personalità giuridica, quindi l’eventuale responsabilità grava sullo Stato) la faute lourde. Il principio era stato affermato inizialmente dal Conseil d’Etat nel giugno 1963, nel caso Sieur Baptst, ma la decisione si limitava ad affermare il principio, senza precisare quando ricorresse la faute lourde. Un chiarimento veniva fornito dallo stesso Conseil d’Etat l’anno successivo, nel caso Sieur D’André. Il giudice rilevava che le irregolarità riscontrate dall’organo di controllo nel corso di un’ispezione presso una banca non erano tali da mettere in pericolo la situazione finanziaria della stessa; e che il non aver dato seguito alle risultanze di tale ispezione non poteva costituire faute lourde. Se ne ricavava che la faute lourde ricorresse solo nel caso in cui l’inerzia della Commission bancaire non avesse impedito irregolarità tali da condurre la banca a una situazione di crisi. Tale consolidato, e restrittivo, indirizzo giurisprudenziale, era dapprima derogato da due pronunce della Court Administrative d’Appel de Paris (casi El Shink e Kechikian) e quindi riaffermato dal Conseil d’Etat, che nell’annullare una delle due ricordate pronunce del giudice inferiore (caso Kechikian), ribadiva la necessità della faute lourde.

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il diritto ad un processo equo, pubblico e celere, il diritto di rivolgersi ad un tribunale per ogni contestazione relativa a suoi diritti e obbligazioni di carattere civile, presuppone a monte l’effettiva tutela del diritto sostanziale 41. Restano i criteri d’imputazione della responsabilità per i casi di dolo o di dolo e colpa grave. Tali criteri tendono per di più ad avvicinarsi, ove si consideri da un lato l’elaborazione giurisprudenziale della Camera dei Lords in materia di misfeasance in public office, tort doloso che include ormai anche i casi di dolo eventuale e dall’altro l’orientamento restrittivo del Conseil d’Etat francese nella valutazione della responsabilità delle autorità preposte alla vigilanza bancaria e finanziaria. La tendenziale convergenza dei criteri d’imputazione di responsabilità rende, in definitiva, più agevole il compito della Corte di trarre dagli ordinamenti degli Stati membri i “principi generali comuni” cui fa riferimento l’art. 69, co. 1, di ciascuno dei regolamenti istitutivi delle Autorità.

Raffaele D’Ambrosio**

**

L’autore è avvocato della Banca d’Italia. Lo scritto riflette opinioni personali e non intende rappresentare posizioni ufficiali dell’ente di appartenenza.

41

L’art. 6, co. 1, della Convenzione non implica affatto che i diritti e le obbligazioni civili suscettibili di tutela giurisdizionale abbiano un determinato contenuto materiale negli ordinamenti degli Stati aderenti, pertanto detto articolo trova, di regola, applicazione nell’ipotesi di barriere procedurali che impediscano o limitino la possibilità di adire i tribunali, non potendo la Corte creare, attraverso l’interpretazione dell’art. 6, co. 1, cit., un diritto sostanziale che non abbia base alcuna nell’ordinamento del singolo Stato. Tuttavia, la Corte medesima ha anche ritenuto che sarebbe contrario alla preminenza del diritto in una società democratica nonché al principio fondamentale presupposto dall’art. 6, co. 1, della Convenzione, secondo il quale le rivendicazioni civili debbano poter essere portate innanzi ad un giudice, la circostanza che uno Stato possa, senza alcun controllo da parte degli organi della Convenzione, sottrarre alla giurisdizione dei tribunali tutta una serie di azioni civili o esonerare da ogni responsabilità civile larghi gruppi o categorie di soggetti. Ebbene, è proprio alla luce di tale ultima precisazione della Corte che va valutata la compatibilità con l’art. 6, co. 1, della Convenzione delle norme che limitano in misura più o meno ampia la responsabilità delle autorità di vigilanza.

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NORME REDAZIONALI

I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)

II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. …

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Norme redazionali

4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).

III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile c.c. codice di commercio c.comm. Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall.

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Norme redazionali

legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 385) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)

l.camb. t.u. t.u.b.

t.u.f.

2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur.

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Norme redazionali

Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm. Rivista del notariato Riv. not. Rivista della cooperazione Riv. coop. Rivista di diritto civile Riv. dir. civ. Rivista del diritto commerciale Riv. dir. comm. Rivista di diritto internazionale Riv. dir. internaz. Rivista di diritto privato Riv. dir. priv. Rivista di diritto processuale Riv. dir. proc. Rivista di diritto pubblico Riv. dir. pubbl. Rivista italiana del leasing Riv. it. leasing Rivista delle società Riv. soc. Rivista giuridica sarda Riv. giur. sarda Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Riv. trim. dir. proc. civ. Vita notarile Vita not.

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Norme redazionali

4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesin­ger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cu­ra di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, To­rino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Tori­no, Tratt. soc. per az., diretto da Co­lombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume

IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze e, successivamente, gli estratti.

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