ISSN 1722-8360
di particolare interesse in questo fascicolo Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009
Diritto della banca e del mercato finanziario
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• Enti pubblici e derivati • Acquisto di titoli pubblici da parte della BCE e Costituzione tedesca
• Rifiuto del credito e obbligo di informazione • Sistemi di garanzia dei depositi
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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è coordinato dal prof. Vittorio Santoro. Nell’anno 2013, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Elisabetta Bertacchini, Marcello Clarich, Antonia Irace, Cinzia Motti, Stefano Pagliantini, Antonio Piras, Michele Sandulli, Maurizio Sciuto, Giuseppe Terranova, Enrico Tonelli, Francesco Vella.
Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria
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SOMMARIO 2/2014
PARTE PRIMA SAGGI La ristrutturazione del debito degli enti pubblici e il problema dei derivati, di Andreina Scognamiglio Prime riflessioni sulla legittimità delle OMT e sul ruolo della BCE alla luce di una recente sentenza della Corte costituzionale tedesca, di Luigi Scipione L’Unione bancaria: una nuova architettura nella governance del credito in Europa, di Michele Miraglia La vigilanza sulle remunerazioni dei banchieri, di Gian Luca Greco
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COMMENTI Sanzioni della Banca D’Italia e giurisdizione – Corte Cost., 5 aprile 2014, n. 94, con nota redazionale Rifiuto del credito e obbligo di informazione – Arb. banc. finanz., Collegio di coordinamento, decisione 29 novembre 2013, n. 6182 Rifiuto del credito e obbligo di informazione in capo all’intermediario: il collegio di coordinamento ABF fa chiarezza, di Giovanni B. Barillà
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PARTE SECONDA LEGISLAZIONE Un nuovo passo verso l’Unione bancaria europea: la Direttiva 2014/49/UE relativa ai sistemi di garanzia dei depositi – Direttiva 16 aprile 2014, n. 490, del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi, con osservazioni di Clarisa L. Ganigian
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redazionali
PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ
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La ristrutturazione del debito degli enti pubblici e il problema dei derivati* Sommario: 1. Premessa. – 2. Ambiguità e contraddizioni del fenomeno dei derivati: la cronaca recente e le prese di posizione del legislatore. – 3. Ambiguità e contraddizioni nelle risposte degli economisti. – 4. La distinzione tra derivati “buoni” e derivati “tossici” come soluzione della contraddizione. – 5. Possibili criteri di distinzione tra derivati di “copertura” e derivati “speculativi”: il criterio tipologico. – 6. Segue: il criterio della funzione. – 7. Una prima conclusione: i derivati speculativi sono incompatibili con lo statuto della pubblica amministrazione. – 8. Derivati speculativi e limiti di ordine pubblico. – 9. L’illusione del derivato di copertura e perciò sicuro. I derivati si muovono sempre in scenari probabilistici. – 10. Reazioni dell’autonomia privata al carattere probabilistico delle valutazioni che assistono la stipula di un derivato: il rafforzamento degli obblighi di protezione a carico degli intermediari. – 11. Reazioni dello statuto della pubblica amministrazione: procedimentalizzazione, regole sul corretto esercizio della discrezionalità, trasparenza. – 12. Importabilità delle garanzie di diritto privato e possibile ulteriore rafforzamento degli obblighi di protezione quando l’intermediario tratta con una unsophisticated sovereign counterparty. – 13. Conclusioni.
1. Premessa. La ristrutturazione del debito pubblico consiste in operazioni che mirano a modificare alcuni parametri del contratto di debito in essere (durata, tipologia ammortamento, tassi di interesse, parametri di
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Questo studio è la rielaborazione, corredata da note, della relazione presentata al Seminario di studi Il sogno di Diocleziano e le sue declinazioni moderne alla prova dei fatti, organizzato dal Dipartimento giuridico dell’Università di Siena in occasione della presentazione del volume di Merusi, Il sogno di Diocleziano. Il diritto nelle crisi economiche, Torino, 2014, tenutosi a Siena, il 10 aprile 2014.
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indicizzazione)1. I derivati sono contratti che hanno ad oggetto alcuni elementi di altri contratti (regolamento del prezzo, tasso di interesse, tasso di cambio, scadenza)2. Se queste definizioni sono esatte, dovremmo dare per scontato che i derivati sono strumenti di cui gli enti pubblici possono disporre per la ristrutturazione contrattuale e per la gestione del loro debito3. E, di fronte alla previsione per la quale l’ammontare degli interessi sul debito pubblico raggiungerà nel 2015 la somma di 100 miliardi di euro4, dovremmo forse anche convenire che si tratta di strumenti cui il nostro paese non può rinunciare5. Il problema è che i derivati sono circondati da una cattiva fama, per i veri e propri disastri si suppone essi abbiano causato. Questa circostanza impone una estrema cautela ed il titolo della relazione che mi è stata assegnata mi sembra contenga, non esplicitato, un punto interrogativo: gli enti pubblici possono stipulare contratti derivati a fini di ristrutturazione del debito pubblico?
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L’art. 3, co. 1, lett. c) del d.p.r. 30 dicembre 2003, n. 398 dispone che «a fini di ristrutturazione del debito pubblico interno ed estero» il Ministro del Tesoro possa essere autorizzato, per ogni anno finanziario, nei limiti stabiliti dalla legge di approvazione del bilancio, ad emanare decreti cornice che consentano al Tesoro di procedere «al rimborso anticipato dei titoli, a trasformazioni di scadenze, ad operazioni di scambio nonché a sostituzione tra diverse tipologie di titoli o altri strumenti previsti dalla prassi dei mercati finanziari internazionali». 2 La Circolare n. 299/99 definisce i derivati come «contratti che insistono su elementi di altri schemi negoziali, quali valuta, tassi di interesse, tassi di cambio, indici di borsa, ed il cui valore economico deriva dal valore del titolo sottostante o da altri elementi di riferimento». 3 Vedi Merusi, Debito pubblico e giudice amministrativo, in Dir. proc. amm., 2014, 1, p. 19, il quale ricorda che i derivati sono ampiamente utilizzati in occasione di operazioni di ristrutturazione del debito per coprire l’emittente contro il rischio di un rialzo, oltre un certo limite, del tasso di riferimento impiegato per determinare il rendimento dei titoli. 4 Cfr. Come sarà l’Italia nel 2015?, in Il Sole 24 Ore, 4 aprile 2013. L’articolo sottolinea come nel 2015 lo Stato italiano si troverà a dover pagare interessi sul debito pubblico per un ammontare maggiore di ventidue miliardi rispetto al 2011, di undici rispetto al 2010 e di cinque rispetto al 2013. 5 Da diversi anni gli enti pubblici hanno avviato politiche di gestione attiva del debito, attraverso operazioni di ristrutturazione del pregresso. La “gestione attiva” del debito dovrebbe consentire agli enti non solo di non soffrire le conseguenze negative della oscillazione del mercato dei tassi di interesse, ma anche di sfruttarle a proprio vantaggio, vedi Pardi, Strumenti finanziari derivati ed enti locali: una relazione difficile, in Riv. Corte dei Conti, 2009, 6, pp. 3 ss.
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2. Ambiguità e contraddizioni del fenomeno dei derivati: la cronaca recente e le prese di posizione del legislatore. La cattiva fama dei derivati sembra trovare conferma in alcuni avvenimenti recenti. Sul fronte giudiziario è del 7 marzo 2014 la notizia dell’assoluzione con formula piena “perché il fatto non sussiste” pronunciata dai giudici della Corte di appello di Milano nel processo simbolo contro quattro banche per la vicenda dei derivati del Comune di Milano6. Nell’ambito di un’operazione di ristrutturazione del debito pregresso, a copertura di una ingente emissione di buoni comunali, l’amministrazione aveva stipulato una serie di derivati, calcolati sulla base dell’andamento dei tassi. Secondo l’accusa, questi contratti avrebbero presentato uno squilibrio iniziale o un costo implicito ingente7, di circa 52 milioni di euro8. Al centro della decisione dei giudici milanesi, è il problema dei costi impliciti. La conclusione della corte di appello di Milano conferma quella già raggiunta dal Consiglio di Stato, nella analoga vicenda che ha riguardato la provincia di Pisa9: i costi impliciti sono ineliminabili in quanto
6 Nelle more della pubblicazione di questo articolo, è stata depositata la motivazione della sentenza di oltre cinquecento pagine. Vedi App. Milano, 3 giugno 2014, n. 1937. 7 I costi impliciti sono dati dalla differenza tra il fair value del prodotto finanziario, comprensivo dei rischi e dei costi sostenuti dalle banche, nonché di un necessario margine di remunerazione del capitale ed il suo valore di mercato, mark to market, dato dalle condizioni di mercato rilevabili all’epoca della stipula del contratto quanto a rendimenti e volatilità. Il costo implicito sembra dunque rappresentare il prezzo del prodotto finanziario. Il termine impiegato per indicare il prezzo, presenta indubbiamente una connotazione negativa. La spiegazione è duplice. Da un lato, il costo non è esplicitato nel contratto concluso tra le parti e, in questo senso, è “occulto” e non può essere veramente equiparato al prezzo di una compravendita. Dall’altro, si parte dall’assunto che lo swap debba avere un valore iniziale pari, di perfetto equilibrio tra le parti. 8 La consulenza tecnica espletata nel giudizio di primo grado aveva poi sostenuto che le perdite del Comune fossero state di gran lunga aggravate dalle successive ricontrattazioni dei derivati, che avevano prodotto esposizioni finanziarie progressivamente crescenti. 9 Vedi Cons. St., sez. V, 27 novembre 2012, n. 5962, in Giur. comm., 2013, 3, p. 398 con nota di Caputo Nassetti, Finalmente un po’ di luce in tema di valutazione di contratti derivati. Osserva il Consiglio di Stato, nella sentenza ora ricordata: «i c.d. costi impliciti rappresentano il corrispettivo riservato all’intermediario per l’ingegnerizzazione del prodotto finanziario. Perciò di per sé non producono una valutazione negativa circa la convenienza economica della complessiva operazione di ristrutturazione del debito». In senso diverso si è espressa in più di una occasione la giurisprudenza dei giudici civili. Il leading case è del Tribunale di Milano, 14 aprile 2011, n. 5118, in www.almaiura.it.
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rappresentano la remunerazione, il margine di profitto, dell’operazione finanziaria. Del resto, ha osservato la stampa economica commentando la notizia10, chiunque chiede un finanziamento ad una banca non sa forse che il tasso che gli viene richiesto è superiore a quello spuntato dalla banca nella ricerca della provvista sul mercato? La legge di stabilità 201411 (art. 1, co. 572) segna il punto più basso della parabola della fortuna dei derivati degli enti locali. Il divieto temporaneo per gli enti di concludere derivati fino alla entrata in vigore di un regolamento che avrebbe dovuto specificare le tipologie dei derivati consentite, sancito nel 200812, è reso definitivo.
La sentenza ha affermato che il mark to market iniziale negativo incorpora una commissione occulta e tale circostanza connota in senso speculativo la causa del contratto di interest rate swap. Il carattere “speculativo” del derivato, e dunque l’assenza di causa di copertura del rischio di variazione dei tassi di interesse, preluderebbe ad una declaratoria di nullità del contratto per difetto genetico della causa concreta. La medesima impostazione è seguita poi da: Trib. Lecce, 9 maggio 2011, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, 6 II, pp. 385 ss; Trib. Orvieto, 12 aprile 2012, ivi, II, pp. 700 ss; Trib. Bari, 5 gennaio 2012 e Trib. Monza, 17 luglio 2012, n. 2028, in www.ilcaso.it. I costi impliciti, o meglio l’occultamento del prezzo del prodotto finanziario, comportano la nullità del contratto anche per App. Milano, 18 settembre 2013, ivi, sia pure sulla base di una motivazione diversa rispetto a quella dei precedenti sopra citati. Secondo la più recente sentenza della Corte d’appello di Milano, l’occultamento del costo del contratto, all’interno delle condizioni economiche dell’atto gestorio, comporta il difetto di accordo su di un elemento essenziale di esso, con la conseguente violazione dell’art. 1709 c.c., ovvero della norma per la quale, nel mandato oneroso, il compenso del mandatario deve essere consapevolmente stabilito tra le parti e non occultato tra le condizioni economiche predisposte dal mandatario. Il problema dei costi impliciti si pone, o si è posto, in termini peculiari in quei casi in cui la controparte del contratto, in particolare la parte che assume la posizione di hedger (colui che stipula il contratto per proteggersi contro un rischio) è una amministrazione locale. L’interpretazione dominante infatti desume dall’art. 41, della l. 26 dicembre 2001, n. 448, che prescrive la finalizzazione delle operazioni di gestione del debito pubblico degli enti locali al contenimento del costo del debito stesso, un vincolo di “convenienza economica” per le operazioni poste in essere dagli enti. 10 Cfr. Sentenza simbolo sulla finanza creativa, in Il Sole 24 Ore, 8 marzo 2014. 11 Per un primo commento alla disciplina, Gaudiello, Operatività in derivati ristretta per gli enti locali dopo la legge di stabilità 2014. Restano salvi i mutui strutturati ed alcune ipotesi particolari, in www.dirittobancario.it. 12 Precisamente la disciplina restrittiva è contenuta nell’art. 62, co. 2 e 6 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella l. 6 agosto 2008, n. 133 e successivamente modificato dall’art. 3 della l. 22 dicembre 2008, n.203. La norma è stata impugnata dinanzi alla Corte costituzionale da varie regioni, per le quali il divieto temporaneo inflitto e pure il rinvio alla fonte regolamentare per la disciplina stabile della materia avrebbero invaso la propria sfera di autonomia costituzionalmente garantita. Il ricorso è stato respinto da Corte cost., 18 febbraio 2010, n. 52, in Banca, borsa, titoli di credito, 2010, 1 II, p. 1 ss. con note di
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Agli enti locali sono consentite solo poche operazioni quali estinzione anticipata o novazione soggettiva di contratti derivati già in essere. Accanto a queste sono ammesse le operazioni del tipo più semplice: essenzialmente l’acquisto del cap, ovvero la fissazione a favore di chi si obbliga a tasso variabile di un tetto massimo di oscillazione del tasso stesso. I due dati sembrerebbero avvalorare una conclusione univoca: intermediari finanziari e funzionari degli enti locali non hanno fatto cattivo uso, o addirittura abuso, di uno strumento di per sé utile, o quanto meno neutro. È lo strumento in sé a mostrarsi inadatto agli enti pubblici perché non offre alcuna garanzia di equilibrio tra le posizioni delle parti e perché è intrinsecamente aleatorio, equivalendo grosso modo ad una scommessa. Ma la scommessa è inaccettabile per l’ente pubblico che gestisce risorse della collettività. Al tempo stesso, nel giugno 2013, i quotidiani hanno riportato la notizia che lo stesso Ministero del Tesoro italiano ha nel suo portafoglio un numero consistente di derivati13. I toni della stampa sono allarmistici (e l’allarme sembrerebbe anche giustificato alla luce di quanto detto sopra). Il Ministero del Tesoro, senza smentire, ha rassicurato14: i derivati sono essenziali per fornire una copertura contro il rischio di un rialzo dei tassi e dunque per contenere gli interessi sul debito15. Sulla stessa onda, un decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 13 dicembre 201316 indica nei derivati uno degli strumenti
Scognamiglio, Profili di costituzionalità dei limiti all’utilizzo degli strumenti finanziari derivati da parte degli enti territoriali, e Girino, Natura e funzione dei servizi di investimento e qualificazione degli strumenti derivati nella giurisprudenza costituzionale. 13 Vedi Tesoro, perdite potenziali di 8 miliardi. L’origine è nei derivati degli anni ’90. 14 Vedi Ministero dell’Economia e delle Finanze, Comunicato n. 103 del 26 giugno 2013, Tesoro: non esiste alcun pericolo per i conti dello Stato in La Repubblica, 26 giugno 2013. 15 Avverte il Comunicato che i derivati mirano alla protezione dai rischi di mercato, primi tra tutti il rischio di cambio e il rischio di tasso di interesse. Infatti, in una situazione di rialzo dei tassi, lo Stato si può comunque trovare a dover emettere titoli a breve termine. La sottoscrizione di derivati consente di neutralizzare «il rischio di aumento del tasso pagato sul debito all’atto del rinnovo dei titoli in scadenza, per la parte coperta dalla gamba “a ricevere” dello swap (a tasso variabile) ed il costo effettivo viene limitato al corrispettivo tasso fisso a pagare “a pagare” nello swap». Avverte pure il Comunicato che, come ogni assicurazione, ove l’evento verso il quale ci si protegge non si verifichi, si sopporta un costo. Ma questo è giustificato «dalla priorità attribuita alla prevenzione di gravi conseguenze in caso di scenari avversi». 16 Si tratta del decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze, 19 dicembre 2013. L’articolo 3 autorizza il Dipartimento del Tesoro ad effettuare «operazioni di ristrutturazione del debito pubblico su base consensuale» e specifica che «le suddette
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attraverso i quali il Dipartimento del Tesoro può effettuare operazioni di ristrutturazione del debito pubblico su base consensuale. Questi dati dovrebbero autorizzare una lettura opposta del fenomeno e delle vicende occorse: i derivati di per sé sono utili per gli enti pubblici. Lo strumento di per sé è buono. In alcuni casi se ne è fatto un cattivo uso.
3. Ambiguità e contraddizioni nelle risposte degli economisti. A sciogliere l’alternativa tra una lettura demonologica17 ed una rassicurante del fenomeno dei derivati, non aiutano neppure gli economisti. Da una parte Merton Miller, premio Nobel per i suoi studi sulla economia finanziaria, ripetutamente si è sforzato di dimostrare l’utilità dei derivati18. Per Miller i derivati sono strumenti di straordinaria efficacia per la gestione dei rischi finanziari, dei rischi legati all’aumento dei prezzi e per la riduzione del costo di molte transazioni finanziarie. La conclusione cui Miller perviene è che, al contrario di quanto si pensa comunemente, la cosiddetta “rivoluzione dei derivati” ha reso il mondo più sicuro, non più pericoloso. E di fronte all’obiezione che i derivati hanno causato perdite ingentissime a carico di alcune organizzazioni, la risposta lapidaria è: “alcune organizzazioni trovano sempre il modo di perdere soldi”. Peraltro sottolinea Miller come negli ultimi decenni le banche abbiano maturato perdite ben maggiori in cattivi affari immobiliari che in derivati. Dall’altra Hyman Minsky19 autore della teoria della fragilità finanziaria endogena, una teoria che non gli ha fruttato il Nobel e che ha trovato
operazioni, incluse quelle effettuate attraverso l’utilizzo di strumenti derivati concluse nell’ambito degli accordi di cui al successivo articolo 5, avranno come obiettivi, sulla base delle informazioni disponibili e delle condizioni di mercato, il contenimento del costo complessivo dell’indebitamento, la protezione dei rischi di mercato e di rifinanziamento e il buon funzionamento del mercato secondario dei titoli di Stato». 17 L’espressione è utilizzata da Ciocca, La nuova finanza in Italia. Una difficile metamorfosi, Torino, 2000, pp. 40 ss. 18 Vedi Miller, On derivatives, New York, 1997, e in particolare gli scritti raccolti nella prima e nella terza parte del volume, rispettivamente intitolate The derivatives revolution e Derivatives markets and risk management, pp. 3 ss. e 79 ss. 19 In particolare, Minsky, The Financial Instability Hipothesis, 1992; Arestis e Sawyer Stabilizing an Unstable Economy, Yale University Press, 2008. Non a caso il secondo studio, pubblicato per la prima volta nel 1986, è stato poi ripubblicato quando è la crisi del 2008 ha portato alla ribalta la teoria dell’economista di Chicago.
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forse conferma nella crisi del 2008, solo dopo la sua morte. Secondo Minsky, la moderna economia di mercato è in sé instabile e soggetta a crisi. Ma queste crisi periodiche non sono indotte da ragioni esterne, quali ad esempio un rialzo di prezzi, una guerra o anche una grande invenzione come internet. Le crisi sono invece indotte dalla dinamica interna del mercato finanziario20, che presenta sempre lo stesso andamento. Nella prima fase, appena successiva ad una crisi, tutti gli operatori assumono un atteggiamento cauto. Prevalgono le posizioni coperte, ovvero le esposizioni sono limitate e chi prende a prestito ha sempre la sicurezza di poter pagare interessi e capitale. Man mano che aumenta la fiducia, prevalgono le posizioni speculative, ovvero chi assume un debito è consapevole di poter far fronte solo agli interessi e che dovrà invece ricorrere al mercato finanziario per la restituzione del capitale. Il rincorrersi delle posizioni speculative dà poi luogo alle situazioni che Minsky definisce di Ponzi finance (dal nome di un finanziere che aveva dato vita ad una sorta di catena di sant’Antonio) in cui chi assume un debito sa di non avere i mezzi per far fronte né agli interessi né al capitale. La speculazione tende quindi a crescere fino ad esplodere quando l’intero castello di carte crolla. Secondo Minsky la fragilità è dunque intrinsecamente un fenomeno finanziario e le crisi, in cui ciclicamente tale fragilità si manifesta, si verificano perché le banche e gli intermediari non assolvono al ruolo di semplici ingranaggi di un meccanismo. Banche ed intermediari tendono invece a diventare essi stessi il motore di un’industria, un’industria del denaro che non ha alcun contatto con l’economia reale.
4. La distinzione tra derivati “buoni” e derivati “tossici” come soluzione della contraddizione. La soluzione più frequente della contraddizione, che dunque emerge sia dalla esperienza e dai dati normativi che dal pensiero degli econo-
20 Secondo la teoria economica dominante, l’instabilità dei valori patrimoniali e della finanza rappresenta una delle forme nelle quali l’instabilità della economia di mercato capitalistica si può presentare. L’instabilità ha poi un volto reale, essendo legata anche all’andamento dei prezzi dei prodotti, e in genere alla domanda, e alle attività produttive. «Al pari della eziologia, la manifestazione della instabilità del capitalismo può essere duplice, reale e finanziaria». In termini chiarissimi, vedi Ciocca, Hyman Minsky e le crisi, in apertacontrada.it, 11 gennaio 2013.
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misti, consiste nel negare che di vera contraddizione si tratti. L’idea, molto diffusa, è che vi sono derivati “buoni” e derivati “tossici”. Così impostato, il quesito se lo statuto proprio della pubblica amministrazione sia compatibile con i derivati sembrerebbe di facile soluzione. Si potrebbe infatti rapidamente concludere che la legittimazione degli enti è limitata ai derivati innocui. È però evidente che questa risposta non esaurisce affatto il problema e si limita a spostare in avanti l’interrogativo, riproponendolo in termini diversi: qual è il contenuto, quale la linea di discrimine tra derivati innocui e derivati pericolosi?
5. Possibili criteri di distinzione tra derivati di “copertura” e derivati “speculativi”: il criterio tipologico. Una prima risposta è fornita da chi ritiene che la distinzione possa essere tracciata tenendo conto della struttura o del tipo del contratto. I derivati buoni sarebbero quelli che – per la loro struttura – offrono una copertura contro un rischio21. I derivati tossici sarebbero invece quelli speculativi, ovvero quelli che – sempre per la loro struttura o architettura – comportano un rischio. È questa, l’idea di fondo accolta dal legislatore del 2008, che aveva rimesso ad un regolamento la individuazione della tipologia dei derivati di copertura, non rischiosi, e perciò compatibili con il peculiare statuto degli enti pubblici.
6. Segue: il criterio della funzione. Una variante più sottile dell’impostazione, che comunque ammette la possibilità di isolare derivati di copertura e derivati speculativi, è proposta da una dottrina recente22. Questa parte da due premesse, che
21 Un’ulteriore funzione positiva dei derivati deriva dalla possibilità di un loro impiego come strumenti di arbitraggio. I derivati consentono infatti di acquistare dove il prezzo è più alto e rivendere rapidamente dove è più basso. L’effetto finale è quello di un tendenziale livellamento dei prezzi sui vari mercati. 22 Barcellona, Contratti derivati puramente speculativi: fra tramonto della causa e tramonto del mercato, in Swap tra banche e clienti. I contratti e le condotte, Quaderni di Banca, borsa, tit. cred., cura di Maffeis, Milano, 2014, p. 121 ss.
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mi sembrano entrambe corrette: l’oggetto del derivato consiste sempre nella negoziazione di un rischio, la “rischiosità” del derivato non sempre ne comporta il carattere speculativo. Il carattere speculativo è assente quando il derivato è stipulato dal titolare effettivo del rischio sottostante. In questo caso il contratto assume una funzione di copertura contro un rischio. Il prezzo è dettato dalla fisiologica contrattazione tra le parti ed esprime il punto di equilibrio razionale tra il costo che chi chiede protezione è disposto a pagare e il rischio che chi offre protezione è disposto a sopportare. Il derivato assume invece carattere speculativo quando il rischio è estraneo alla sfera giuridica di entrambi i contraenti, i quali non hanno nessun collegamento con il rapporto sottostante23. In questi casi l’esigenza di copertura del rischio manca addirittura, dal punto di vista strutturale e il contratto è concluso per una mera finalità speculativa, ovvero per l’aspettativa di conseguire un guadagno in conseguenza della variazione del prezzo del sottostante. Secondo la dottrina in esame i derivati speculativi, in quanto privi della causa di copertura, sarebbero del tutto a-causali e perciò immeritevoli di protezione e nulli. Soluzione alla quale se ne contrappone un’altra, pure autorevolmente sostenuta. Secondo questa impostazione la legittimità dei derivati non è contestabile per la semplice e decisiva ragione che essi sono comunque previsti e dunque autorizzati dall’ordinamento24.
23 La medesima definizione di “derivato speculativo” la ritroviamo in Miller, On derivatives, cit., p. 82 per il quale «in the futures market, a speculator is technically any user who doesn’t actually qualify as a hedger; that is, a speculator is anyone who doesn’t hold the underlying commodity». Secondo Miller tuttavia il fenomeno dei derivati speculativi, nel senso tecnico ora esposto, è molto limitato. È vero che di fronte ad un soggetto che chiede protezione contro un rischio effettivo che lui stesso subisce ve ne è un altro, colui che offre protezione, il quale dunque agisce per una finalità diversa in quello specifico rapporto. Ma costui, a sua volta, nella maggior parte dei casi assume la posizione di hedger in un altro rapporto, così assicurandosi una protezione contro il rischio che si è assunto. 24 Avverte Maffeis, L’ufficio di diritto privato dell’intermediario e il contratto derivato over the counter come scommessa razionale, in Swap tra banche e clienti, cit., pp. 3 ss. che i contratti derivati sono ammessi e perciò sono leciti, indipendentemente dalla circostanza che siano stipulati a scopo di protezione o di speculazione. La ratio della autorizzazione legale risiederebbe – secondo l’Autore – nel riconoscimento da parte del legislatore della utilità sociale di scommesse razionali, quale specie dell’antico genere delle scommesse di abilità. La qualificazione dei derivati come scommesse legalmente autorizzate è accolta anche da Trib. Milano, 18 settembre 2013 e 13 febbraio 2014.
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7. Una prima conclusione: i derivati speculativi sono incompatibili con lo statuto della pubblica amministrazione. Ci si può chiedere, a questo punto, se le distinzioni ora prospettate possono essere utili per risolvere il problema dei limiti ad un possibile utilizzo dei derivati da parte della pubblica amministrazione. A ben vedere, la prima non offre alcun appiglio valido perché l’idea che sia possibile isolare un “tipo” di derivato di copertura è inesatta. La conferma della sua inesattezza è data dalla circostanza che lo stesso identico tipo di derivato può avere o no funzione di copertura. Per dimostrare questa affermazione, si utilizza di seguito un esempio di derivato, relativamente semplice. L’esempio è il primo tra quelli riportati in un testo, che si propone come una sorta guida per la comprensione di questi rapporti25. Dietro il pagamento di un premio, Tizio acquista l’opzione di comprare una certa quantità di oro (che oggi è quotato 90) al prezzo di 100 in ogni momento, nel corso dei successivi tre mesi. Se il prezzo dell’oro aumenta a 150, l’opzione assume un valore positivo, perché dà la possibilità di comprare ad un prezzo inferiore. Il contrario avviene se il prezzo dell’oro scende. Questo stesso contratto assume una finalità di copertura se è stipulato dall’orafo che ha bisogno dell’oro per creare i suoi gioielli e si vuole saggiamente premunire contro il pericolo dell’aumento del prezzo. Assume invece una finalità speculativa e di mero azzardo se chi lo ha concluso non ha nessun interesse per il bene sottostante. Ad ulteriore dimostrazione della impossibilità di isolare un tipo di derivato sicuro, possiamo addurre due circostanze. Molti degli strumenti derivati che riempiono le casse delle amministrazioni locali sono proprio quelli del “tipo” più semplice i c.d. plain vanilla, ovvero swap su tassi di interesse conclusi con l’idea di mettere gli enti al sicuro da un rialzo eccessivo dei tassi. Eppure anche questi derivati hanno dato luogo spesso a perdite molto consistenti dovute, come rilevato ex post dalla Corte dei
25 Chisholm, Derivatives demystified. A Step-by-Step Guide to Forwards, Futures, Swaps and Options, New York, 2004, avverte fin dalla prefazione: «derivatives are everywhere in the modern world, but sometimes are not easily detected except by those in the know. If you have the option to extend a loan or redeem a mortgage early, then you have a derivative product. If a company has the opportunity to increase its production facilities or exploit some new technology , the nit has what is known in the world of derivatives a real option. This has a value, and given certain assumptions its value can be measured».
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Conti26, alla assenza di una adeguata valutazione dei rischi, connessi alle possibili evoluzioni dell’andamento dei tassi, all’assenza di equilibrio nelle posizioni corrispettive, allo spostamento di oneri su esercizi futuri. La seconda circostanza, che conferma l’insostenibilità dell’assunto, risiede nel fallimento del programma del legislatore del 2008. Il regolamento, che avrebbe dovuto indicare le tipologie di derivati consentiti agli enti (in quanto di copertura di rischi) non ha mai visto la luce. L’art. 1, co. 572, della l. finanziaria 2014, ne sancisce il definitivo tramonto. La seconda tesi che, correttamente, rinviene la distinzione tra derivati di copertura e derivati speculativi nella estraneità o meno delle parti rispetto al rapporto sottostante, che di per sé certifica l’assenza della causa di copertura, individua invece un limite effettivo all’utilizzo dei derivati da parte degli enti pubblici. Infatti, quale che sia in generale la posizione dell’ordinamento rispetto ai derivati contraddistinti dalla estraneità del rischio rispetto alla sfera di entrambi i contraenti, e perciò puramente speculativi, (sia cioè se reputiamo che essi siano autorizzati27 oppure vietati28 dall’ordinamento) strumenti di questo tipo sono sicuramente incompatibili con lo statuto della pubblica amministrazione. Nemmeno questa impostazione offre però una risposta soddisfacente al problema di circoscrivere la legittimazione degli enti pubblici ad entrare in questo tipo di rapporti. Il limite al possibile utilizzo dei derivati, che la tesi consente di tracciare, appare infatti ovvio. È lo stesso modello di azione legale-razionale, cui l’amministrazione è costituzionalmente vincolata, ad escludere di per sé la praticabilità di operazioni di questo tipo, speculative in quanto sganciate da ogni esigenza di protezione da un rischio. Per convincersene basta riflettere sulla ragione per la quale i derivati sono strumenti tanto ambiti, per un impiego di tipo speculativo. Il fatto è che il derivato consente un effetto moltiplicatore o un effetto di leva. Tramite la sottoscrizione del derivato, l’investimento richiede solo una frazione del capitale che sarebbe necessario per conseguire lo stesso guadagno tramite l’acquisto del sottostante29. Un esempio può illustrare
26 Cfr. Relazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria del Comune di Roma per gli esercizi 2004-2007, con proiezioni sull’esercizio 2008, pubblicata nel giugno 2010. 27 Vedi nt. 22. 28 Vedi nt. 20. 29 Vedi, anche su questo punto, la limpida spiegazione offerta da Chisholm, Derivatives, cit., p. 3, «It is much less expensive to create a speculative position using derivatives than by actually trading the underlying commodity or asset. As a result the potential
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meglio l’effetto: Tizio ha a disposizione un capitale di cento euro. Se lo utilizza per acquistare azioni (al prezzo di 1 euro l’una), nel caso in cui le azioni crescano del 10%, avrà un guadagno di 10. Ma se impiega il capitale per acquistare un future, con il quale si impegna ad acquistare 1.000 azioni a una scadenza, l’aumento del 10% del valore delle azioni gli darà un guadagno di 100. È chiaro che l’effetto leva si produce anche nel caso in cui il valore delle azioni crolli. È chiaro anche che l’operazione può essere conclusa pure se Tizio non dispone effettivamente del capitale, perché il regolamento del contratto avviene sulla base dei differenziali maturati. Per questo i derivati speculativi offrono ad un ampio pubblico l’opportunità di grandi guadagni, così come espongono al rischio di grandi perdite. Equivalgono a scommesse sul futuro andamento del sottostante (con l’effetto di amplificazione che abbiamo visto). Un’ulteriore ragione per la quale i derivati speculativi sono inadatti agli enti pubblici è la loro opacità. L’esigenza di copertura può essere presente nel derivato originariamente stipulato dall’intermediario. Ma può poi accadere che l’intermediario cartolarizzi il contratto e lo rivenda a terzi, del tutto estranei e del tutto ignari del contenuto del rapporto sottostante. Con tale trasferimento, il rapporto tra il derivato e attività sottostante o parametro di riferimento (in origine esistente e concreto) tende a rarefarsi fino al punto in cui il derivato acquista una autonoma consistenza e si configura esso stesso come bene giuridico30. Qui il derivato perde addirittura la sua caratteristica di contratto e diventa uno strumento finanziario: la rarefazione del rapporto con il sottostante rende del tutto indecifrabile l’effettiva rischiosità del prodotto. Chiariti i termini della questione, non occorrono altre parole per dimostrare che, per gli enti pubblici, il problema della legittimazione a concludere contratti di questo genere è circoscritto comunque ai derivati di copertura, ovvero ai contratti nei quali è presente la funzione di precauzione rispetto ad un rischio che fa capo effettivamente all’amministrazione che stipula il contratto.
returns are much greater. A classi application is the trader who believes that increasing demand or reduced production is likely to boost the market price of a commodity. As it would be too expensive to buy and store the physical commodity, the trader buys an exchange-traded futures contract, agreeing to take delivery on a future date at a fixed price. If the commodity price increases, the value of the contract will also rise and can be sold back into the market at a profit». 30 Vedi Carriero, Scritti di diritto dell’economia, La crisi dei mercati finanziari. Disorganici appunti di un giurista, Milano, 2010, pp. 329 ss.
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8. Derivati speculativi e limiti di ordine pubblico. La conclusione, sopra raggiunta, non esclude che la categoria dei derivati speculativi possa, per altro verso, interessare il cultore del diritto pubblico. Anzi, quanti auspicano un divieto generale dei derivati speculativi, perché fini a sé stessi e dunque socialmente inutili, se non dannosi, possono forse trovare nel diritto pubblico appigli più preziosi rispetto a quelli offerti dalla categoria privatistica della causa. Infatti la causa consistente nella mera possibilità di un guadagno, legata all’andamento di un sottostante, non è una non-causa o addirittura una causa illecita. I derivati sono del resto strumenti regolati e dunque autorizzati. L’autorizzazione normativa esclude la illiceità della causa. In questi termini si è espressa pure la giurisprudenza più recente. Questa qualifica i derivati come scommesse legalmente autorizzate, dunque contratti assistiti da una causa che è ritenuta meritevole dal legislatore della intermediazione finanziaria in quanto, e nella misura in cui, consiste nella consapevole e razionale creazione di alee reciproche e bilaterali31. Nel diritto pubblico potrebbe invece trovare sostegno la sanzione della illiceità rispetto a prodotti, il cui esito si fonda su di una valutazione di probabilità ad incognite non determinabili, per la contrarietà dei prodotti stessi rispetto al principio di certezza del diritto nei rapporti concorrenziali32. Limiti o addirittura un divieto all’utilizzo dei derivati speculativi, potrebbero poi essere argomentati dai principi di ordine pubblico economico, che informano il nostro ordinamento33. Tutela del risparmio e stabilità del mercato sono messe in pericolo dall’utilizzo di strumenti, svincolati rispetto ad ogni esigenza effettiva di protezione, che si prestano ad un effetto moltiplicatore suscettibile di ampliare a dismisura il rischio ed il cui esito dipende da incognite spesso ignote e comunque non determinabili.
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Vedi Trib. Milano, 18 settembre 2013. La tesi è prospettata da Merusi, Il sogno, cit., Torino, 2013, p. 47 a proposito della cartolarizzazione del rischio di credito. 33 Vedi Di Raimo, Dopo la crisi, cit., p. 54, il quale si pone l’interrogativo se la esternalizzazione del rischio e la sua circolazione autonoma, per il loro possibile effetto sull’equilibrio complessivo del sistema economico, siano compatibili con un sistema al cui epicentro si colloca la tutela costituzionale del risparmio, secondo la interpretazione offerta dalla dottrina, in particolare Merusi, Art. 47, in Comm. Cost., a cura di Scialoja e Branca, Roma-Bologna, 1980, pp. 153 ss. 32
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9. L’illusione del derivato di copertura e perciò sicuro. I derivati si muovono sempre in scenari probabilistici. Tirando le fila del discorso, si possono iniziare a tracciare alcuni punti fermi. Il derivato non rischioso non esiste. Il derivato ha sempre ad oggetto la negoziazione di un rischio, reciproco e bilaterale. Il rischio investe inevitabilmente anche la parte che nel contratto assume la posizione di hedger34. Di fronte alla prospettiva di un forte rialzo dei tassi di interesse e per cautelarsi contro questo rischio, un ente pubblico potrebbe stipulare un contratto per allungare la vita di una obbligazione in scadenza, pattuendo già oggi un tasso di un solo mezzo punto percentuale maggiore rispetto a quello vigente. Il contratto, stipulato dunque per una finalità di copertura, presenta comunque un certo margine di rischio. Infatti nessuno può dare la certezza che il rialzo si verifichi35. Tuttavia, la probabilità che l’evento si avveri può essere valutata razionalmente, sulla base delle informazioni disponibili. In un dato contesto economico, l’innalzamento del tasso di interesse potrebbe essere scarsamente plausibile. In altro, altamente probabile. Se la probabilità è elevata vi è una convenienza forte a concludere il contratto. Dunque i derivati sono strumenti rischiosi nel senso che si muovono in scenari probabilistici perché riferiti ad eventi futuri. Il verificarsi di un evento futuro non è certo, alla stregua delle informazioni normalmente disponibili. Ma, come risulta anche dall’esempio ora formulato, occorre precisare subito che la probabilità non equivale a caso, ovvero al mero rapporto tra il numero dei casi favorevoli, ed il numero dei casi possibili, supposti tutti come egualmente possibili. Non equivale neppure a mera frequenza statistica36. Una probabilità meramente statistica, secondo gli assio-
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Chisholm, Derivatives, cit., p. 2, fornisce questa definizione di hedgers: «corporations, investing institutions, banks and governments all use derivative products to hedge or reduce their exposures to market variables such as interest rates, share values, bond prices, currency exchange rates and commodity prices». 35 In qualche modo, il rischio che fa capo a colui che abbia acquistato un derivato di copertura è quello del mancato avverarsi dell’evento, contro il quale costui si è assicurato, sopportando un costo. Ma il costo è giustificato se la probabilità dell’avverarsi dell’evento avverso era comunque elevata. 36 La teoria frequentista ( Jacques Bernoulli e John Venn, massimi esponenti), che si
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mi offerti dalla teoria c.d. frequentista, ancorché misurabile in termini numerici37, non è in grado di orientare una decisione razionale, al pari della probabilità meramente casuale. In un contesto di probabilità, o di oggettiva incertezza, è tuttavia possibile pervenire ad una decisione razionale, secondo la teoria logica della probabilità38 e anche secondo la teoria soggettiva39. La possibilità del verificarsi dell’evento è infatti valutabile sulla base informazioni oggettive, verificabili e condivise, tali da dar luogo a stime attendibili e dunque a decisioni razionali. Perciò il derivato pericoloso, e da evitare, è quello che si fonda su valutazioni probabilistiche che (già ex ante) appaiono sbagliate, irrazionali e squilibrate40.
riallaccia alla stessa teoria classica (Aristotele), definisce la probabilità come il valore dato al rapporto tra gli effettivi possibili tipi di eventi, in una sequenza sufficientemente ben definita, in cui ogni caso si assume a priori ugualmente possibile. (es. se tiro una moneta cento volte, al cinquanta per cento esce testa ed al cinquanta per cento croce). Osserva McCann jr., Probability Foundations of Economic Theory, London, 1994, p. 31: «single events viewed in isolation from any series from which they may have arisen take on a random character and may be viewed as having arisen by chance. A series of such events over a period of time, on the other hand, possesses a statistical regularity or periodicity which gives the illusion at least of an order arising out of the chaos». 37 La probabilità statistica di un evento aleatorio è il numero che esprime la frequenza relativa dell’evento in un gran numero di prove precedenti tutte fatte alle stesse condizioni. 38 La teoria logica della probabilità è strettamente legata al nome di John Maynard Keynes, che la formulò nel Treatise on probability del 1921, su cui ancora McCann jr., Probability, cit. p. 36. Per Keynes, il limite della teoria dominante, c.d. frequentista, sta nel fatto che essa si fonda unicamente sull’esperienza. Una teoria della probabilità, proprio perché essa rappresenta il metodo per pervenire a una conclusione muovendo da conoscenze incomplete, non può fondarsi su di un calcolo formulato con riferimento ad una serie che è anch’essa imperfetta. Gli argomenti, che possono essere invece impiegati per arrivare ad una soluzione, sono argomenti logici. Sulla base di argomenti logici è possibile pervenire ad un rational belief che può essere formulato intorno ad una proposizione la cui verità o falsità è sconosciuta. 39 Secondo la teoria soggettiva, che ha tra i suoi massimi esponenti De Finetti, la probabilità è la misura del grado di fiducia che un individuo razionale assegna al verificarsi di un evento in base alle sue conoscenze. Sulla teoria soggettiva, o personalistic theory, vedi ancora McCann jr., Probability, cit., p. 44, che l’ascrive principalmente a Emile Borel, Frank Ramsey e Leonard Savage. 40 Ci si potrebbe interrogare, a questo punto, sulla possibile sorte di contratti conclusi in base a valutazioni sbagliate, irrazionali, squilibrate. E’ noto che, sul presupposto della “erroneità” delle delibere che avevano autorizzato al stipula dei derivati, molte amministrazioni locali hanno fatto ricorso all’esercizio della autotutela ed hanno adottato provvedimenti di annullamento d’ufficio. Di qui i numerosi interventi dei giudici am-
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10. Reazioni dell’autonomia privata al carattere probabilistico delle valutazioni che assistono la stipula di un derivato: il rafforzamento degli obblighi di protezione a carico degli intermediari. La reazione della oramai accertata aleatorietà – nel senso sopra precisato – dei derivati con lo statuto della autonomia privata non si traduce in un giudizio di illiceità e nemmeno di irrilevanza. L’ordinamento non vieta i derivati. L’art. 1, co. 2, t.u.f., contiene un elenco molto ampio di derivati che possono essere negoziati sui mercati regolati. Anche i derivati non standardizzati, quelli OTC, sono legalmente autorizzati, in quanto ora disciplinati nel regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio EMIR del 4 luglio 2012. L’ordinamento neppure si limita a tollerare questi prodotti, allo stesso modo in cui tollera fenomeni quali il gioco e la scommessa. Contratti, per il codice civile41, i quali però danno luogo solo ad obbligazioni
ministrativi. Questi hanno riguardato vari aspetti del problema: se i poteri di autotutela possano essere esercitati rispetto a un contratto già stipulato ed in corso di esecuzione; se l’atto di autotutela sciolga di per sé il contratto; se lo scioglimento (sia si tratti di dichiarazione di inefficacia o di nullità ovvero di annullamento) spetti invece al giudice; se la giurisdizione appartenga al giudice amministrativo o al giudice ordinario. Su questa giurisprudenza, Scognamiglio, Autotutela ed attività contrattuale della pubblica amministrazione: a proposito di contratti di swap stipulati da enti locali, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, 4, p. 284 ss.; Id. Autotutela pubblicistica e contratti in corso, in Dir. amm., 2013, 1-2, pp. 305 ss. Il problema della giurisdizione è risolto in favore della giurisdizione ordinaria da Cons. St., Ad. plen., 5 maggio 2014, n. 13. La sentenza sottolinea come, nel caso di specie, il provvedimento di annullamento in autotutela avesse investito proprio i contratti nei quali la Regione aveva successivamente riscontrato varie cause di illegittimità (o meglio ragioni di invalidità). Perciò l’annullamento del contratto doveva essere perseguito tenendo conto della natura privatistica dell’atto e della posizione paritaria dell’ente pubblico che si era vincolato contrattualmente con un soggetto privato. Dunque non già in autotutela, bensì mediante azione da promuovere dinanzi al giudice ordinario. In dottrina, di recente, Merusi, Debito, cit., pag. 19, il quale imposta il problema in termini del tutto nuovi, ravvisando nell’art. 133 c.p.a., ovvero nella norma che sancisce la giurisdizione ammnistrativa esclusiva per le controversie in materia di debito pubblico, il possibile fondamento della giurisdizione amministrativa sulle controversie in tema di derivati, in quanto si tratta di strumenti connessi con contratti di debito pubblico. 41 Gioco e scommessa trovano la loro disciplina nel libro IV, titolo III, che è dedicato ai contratti tipici. Tale circostanza sembrerebbe avvalorare l’idea che si tratta di veri e propri contratti tipici, al pari delle altre figure disciplinate nel medesimo titolo III. Osserva però Barcellona, Contratti, p. 93 ss., che tale conclusione è immediatamente smentita dalla lettura dell’art. 1933 c.c.. La norma nel negare l’azione per il pagamento di un debito di gioco e scommessa, anche quando si tratta di gioco e scommessa non
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naturali (non ripetibili, se eseguite, ma non assistite da azione, in caso di inadempimento). Il peculiare regime del gioco e della scommessa è inapplicabile ai derivati, secondo l’espressa previsione dell’art. 23, co. 5, del t.u.f.42 e l’ordinamento si preoccupa di garantirne l’esecuzione. Così come il Regolamento del 2012 si preoccupa di garantire l’esecuzione dei derivati OTC, sottoposti anche essi a obblighi di compensazione mediante controparte centrale43. La reazione specifica dello statuto dell’autonomia privata alla circostanza per la quale i derivati si muovono in scenari di probabilità e non di certezza, si indirizza piuttosto nel senso di un rafforzamento degli obblighi di protezione che gravano sugli intermediari finanziari. Il dovere di diligenza, correttezza e trasparenza, in funzione dell’interesse del cliente e dell’integrità dei mercati, di cui all’art. 21 t.u.f., è declinato in un obbligo specifico a carico dell’intermediario44 di portare l’altra parte
proibiti, esclude “l’effetto princeps di qualsivoglia contratto”, che consiste nel potere le parti contare sullo “apparato coercitivo pubblico-giudiziario per ottenere l’esecuzione dei diritti che il contratto stesso fa nascere”. La logica del regime normativo sarebbe quella di scoraggiare l’impiego di “contratti” la cui caratteristica essenziale consiste nella creazione artificiale di un rischio. 42 La norma che esclude l’opponibilità della eccezione di gioco e scommessa nei contratti derivati ha valore dichiarativo e non costitutivo, secondo l’Autore citato alla nota precedente. L’inopponibilità della eccezione si spiega già di per sé per la differenza che sussiste tra gioco e scommessa, da un lato, e “derivati”, dall’altro. In particolare, i derivati di copertura non coincidono con gioco e scommessa proprio per la funzione di copertura che nei secondi è assente. I derivati speculativi si distinguono invece dall’altro fenomeno per il fatto che il prezzo del derivato è oggetto di una negoziazione di mercato, ma – trattandosi di una negoziazione sganciata da ogni bisogno effettivo di protezione – il prezzo si forma in base, ed è soggetto a, umori puramente speculativi. Per la diversità che sussiste tra gioco e scommessa e derivati, l’art. 23, comma, non legittima il fenomeno e non esonera l’interprete dal verificare se i derivati speculativi siano sorretti da una causa meritevole di tutela ovvero se la causa è assente, con al conseguente nullità radicale del contratto. 43 Per una descrizione della disciplina del Regolamento UE n. 648/2012, vedi De Bellis, La riforma della regolamentazione della vigilanza finanziaria, in Uscire dalla crisi. Politiche pubbliche e trasformazioni istituzionali, a cura di Napolitano, Bologna, 2012, pp. 98 ss. e, più di recente, Pulcher, Regolamento EMIR: dal 2 febbraio 2014 in vigore l’obbligo di segnalazione degli strumenti finanziari derivati, in Il Sole 24 Ore, 11 febbraio 2014. 44 Il complesso dei doveri che gravano sull’intermediario farebbe di costui il titolare di un vero e proprio ufficio privato, secondo Maffeis, La natura e la struttura dei contratti di investimento, in Riv. dir. priv., 2009, 1, p. 90. La tesi è accolta dalla già citata sentenza Trib. Milano, 18 settembre 2013. L’idea della titolarità di un vero e proprio munus è giustificata in considerazione del fatto che «accanto a concorrenti interessi privati vi è
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a conoscenza di tutte le caratteristiche del contratto45 nonché del margine di probabilità del verificarsi o meno degli eventi aleatori riportati in contratto e delle conseguenze del verificarsi o meno di questi46. La mancata rappresentazione, in termini corretti, degli scenari probabilistici comporta la responsabilità dell’intermediario o, secondo gli orientamenti più spinti, la nullità del contratto47. In buona sostanza, l’assenza dei
sempre un interesse superiore e costante dello Stato alla realizzazione di quegli interessi privati (…) che la comunità non può trascurare». La sentenza ribadisce pure che l’immanenza dell’interesse pubblico trova conferma nella sottoposizione dell’intermediario a controlli amministrativi, i quali sono funzionali alla salvaguardia della «fiducia nel sistema finanziario» e alla «stabilità ed al buon funzionamento del sistema finanziario», prima che all’interesse degli investitori. L’impostazione, che sembra dunque prevalere nella giurisprudenza civile, è in parte ridimensionata da App. Milano, 3 giugno 2014, cit. sui derivati del Comune di Milano, che sottolinea in più punti come l’ente locale non possa pretendere di addossare all’intermediario obblighi eccessivi, quale quello di effettuare valutazioni oggettive di convenienza economica. La sentenza afferma in più punti che l’ente deve invece effettuare tali valutazioni in proprio e con l’aiuto di advisor indipendenti, in modo da prevenire ogni asimmetria informativa con la controparte bancaria. 45 Ivi compreso il valore del mark to market, la cui mancata indicazione consente all’intermediario di occultare il suo compenso, rappresentato dai c.d. costi impliciti, all’interno delle condizioni economiche dell’atto gestorio. Il che rappresenta però una causa ulteriore di nullità del contratto derivato anche in ragione del difetto di accordo sul requisito essenziale del compenso ex art. 1709 c.c., secondo la tesi già ricordata. 46 Vedi Trib. Milano, 13 febbraio 2014. La sentenza così articola i doveri dell’intermediario e gli obblighi informativi relativi alla specifica operazione raccomandata: «i) scomporre il prodotto complesso nelle componenti elementari che giustifichino l’esborso finanziario sostenuto dal cliente per l’assunzione della posizione, con la quantificazione del fair value di ciascuna delle componenti derivative e dello strumento nel suo complesso; ii) in presenza di strutture complesse, produrre le risultanze di analisi di scenario di rendimenti da condurre mediante simulazioni effettuate secondo metodologie oggettive, iii) porre a confronto il prodotto con altri prodotti semplici, noti, liquidi, basso rischio ed analoga durata e, ove esistenti, con prodotti succedanei di larga diffusione e di adeguata liquidità; iv) esplicitare nel contratto il valore del derivato, gli eventuali costi impliciti, i criteri con cui determinare i costi di recesso o di sostituzione. In assenza di informazioni specifiche sul profilo di rischio del prodotto, ricostruito attraverso il ricorso a scenari probabilistici, e senza informazioni sul valore del contratto alla data della stipulazione, l’investitore non è in grado di formulare un giudizio di convenienza economica del derivato». 47 L’orientamento tradizionale della giurisprudenza civile risale a Cass. S.U., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725 ed è invece nel senso che la violazione degli obblighi di condotta da parte dell’intermediario può comportare la responsabilità precontrattuale o contrattuale di questo, con conseguenze risarcitorie ed eventualmente condanna alla risoluzione del contratto. Per contro, in mancanza di una esplicita previsione normativa, sarebbe da escludere che la violazione dei doveri di comportamento degli intermediari possa determinare la nullità del contratto a norma dell’art. 1418, co. 1, c.c. In termini critici su questa giurisprudenza, vedi Tucci, La negoziazione degli strumenti finanziari
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requisiti del contenuto negoziale sopra ricordati, farebbe venir meno la stessa causa di contratti, il cui riconoscimento legislativo risiede nella “razionalità” e dunque nella “misurabilità” dell’alea. L’assunto è quello della non meritevolezza, alla stregua dell’ordinamento giuridico, di negozi caratterizzati dalla creazione di alee reciproche e bilaterali, la cui qualità e quantità sono ignote ad uno dei contraenti e dunque estranee all’oggetto dell’accordo.
11. Reazioni dello statuto della pubblica amministrazione: procedimentalizzazione, regole sul corretto esercizio della discrezionalità, trasparenza. Veniamo allora alla domanda finale: l’aleatorietà – nel senso chiarito – dei derivati è compatibile con lo statuto della pubblica amministrazione? E se si, lo statuto della pubblica amministrazione è in grado di fornire qualche antidoto specifico, che possa limitare il più possibile i profili di rischio? La tesi drastica della incompatibilità ha l’avallo autorevole della Corte costituzionale. Nella sentenza n. 52 del 201048, la Corte respinge la questione di costituzionalità dell’art. 62 co. 6, della l. 133 del 2008, che aveva sancito il divieto temporaneo per gli enti locali e le regioni di sottoscrivere derivati. Osserva la Corte che il divieto è ragionevole perché i derivati sono strumenti intrinsecamente e spiccatamente aleatori e perciò inutilizzabili per gli enti a causa della loro oggettiva pericolosità per le finanze pubbliche49.
derivati e il problema della causa del contratto, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, 1 I, pp. 75 ss. 48 Cit. supra nt. 12. 49 In senso adesivo rispetto alla soluzione accolta dalla Corte costituzionale, Della Cananea, Derivati ed enti pubblici. periculum in re ipsa?, relazione al Convegno La disciplina dei prodotti finanziari derivati, Bologna, 18 febbraio 2013, il quale – anzi – amplia il discorso fino a mettere in discussione l’idea che gli enti pubblici godano di autonomia privata, ovvero siano legittimati a concludere contratti, in mancanza di una norma di autorizzazione espressa per concludere che «l’autorizzazione legislativa costituisce elemento indefettibile ai fini della legittimazione dell’ente pubblico». In senso contrario si potrebbe però osservare che l’art. 11 c.c. ammette gli enti pubblici a godere dei «diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico». La norma del codice civile individua nella legge e negli usi il limite di una posizione di autonomia privata, che in linea generale riconosce agli enti, mentre in nessun modo prevede che tale autonomia non
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È però da considerare che questa presa di posizione della Corte a) sembra allineare aleatorietà con casualità (secondo la prospettiva che sopra si è criticata); b) si riferisce comunque ad un divieto temporaneo; c) nel quadro di quel preciso momento storico, con l’avventatezza dimostrata da molte amministrazioni locali nello stipulare contratti senza nemmeno comprenderne il contenuto, ben difficilmente si sarebbe potuta tacciare di irragionevolezza la scelta del legislatore di vietarne l’utilizzo. D’altra parte il divieto, sia pure diventato definitivo con la finanziaria 2014, riguarda solo regioni ed enti locali. Se si trattasse di strumenti oggettivamente pericolosi perché intrinsecamente aleatori (nel senso che l’esito dell’operazione è legato al caso) l’esigenza di porre un riparo drastico a tutela della solidità delle finanze pubbliche dovrebbe investire anche lo Stato. Per queste ragioni, un tentativo di dar risposta al problema della compatibilità tra derivati e statuto della pubblica amministrazione, può forse prescindere dalle conclusioni cui la Corte costituzionale è pervenuta nel 2010. Premesso – ancora una volta – che alea qui non coincide con caso, ma con probabilità valutabile razionalmente, la risposta positiva al quesito se i derivati siano compatibili con lo statuto della pubblica amministrazione sembra preferibile. Se, su di un piano generale, la scienza ammette che la conoscenza, per essere tale, non deve necessariamente essere “certa” e che i margini
possa esplicarsi in mancanza di una norma espressa di autorizzazione. Sul problema, di recente, e con particolare riferimento alla possibilità per gli enti pubblici di costituire società commerciali, vedi: Cons. St, Ad. plen. 3 giugno 2011, n. 10, con nota critica di Spuntarelli, Questioni interpretative in ordine alla costituzione di società commerciali da parte di università, in Urb. e appalti, 2011, 12, p. 1456. Per il massimo organo della giustizia amministrativa, il divieto per gli enti pubblici (nella specie università) di costituire società commerciali, aventi lo scopo di erogare servizi contendibili sul mercato, è desumibile dall’art. 27, co. 3, l. 24 dicembre 2007, n. 244, e modificazioni successive, gli stessi enti potrebbero invece dar vita a società per il perseguimento delle finalità istituzionali di insegnamento e ricerca. In termini più generali, sulla legislazione in materia di limiti alla costituzione di società, Bottino, Le amministrazioni pubbliche e la costituzione o la partecipazione a società a capitale pubblico. La legittimità costituzionale dei limiti previsti dalla odierna legislazione statale, in Giur. cost., 2009, p. 1606 e Fracchia, I servizi pubblici e la retorica della concorrenza, in Foro. it., 2011, V, p. 106. Si potrebbe poi osservare, sulla scorta di Oppo, Patrimonio dello Stato e società per azioni, in Riv. dir. civ., 2002, 4, p. 495 che sono semmai le società del secondo tipo – quelle costituite per il diretto perseguimento delle finalità istituzionali – a porre problemi più gravi nell’utilizzo di un modello pur sempre caratterizzato causalmente dall’interesse lucrativo.
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delle conoscenze certe sono molto ridotti50, è poi di palmare evidenza che l’amministrazione si muove sempre in scenari probabilistici. L’agire discrezionale della pubblica amministrazione non esprime altro se non la scelta della soluzione probabilmente migliore. Si potrebbe obiettare che la probabilità della bontà e della adeguatezza della scelta discrezionale non è certo affidata al caso, si fonda su un’istruttoria attenta e sulla acquisizione del maggior numero possibile di informazioni e di conoscenze. Ma abbiamo visto che anche le decisioni in materia di derivati, per essere corrette, devono essere razionali, devono fondarsi su conoscenze oggettive, attendibili e, per quanto possibile, verificabili. Peraltro una decisione discrezionale, ad esempio se costruire o no un’opera pubblica o dove costruirla, ha ricadute sulle finanze pubbliche certamente non minori di quelle che può avere la sottoscrizione di un contratto che modifichi i parametri di un contratto di debito già in essere o assicuri contro un rialzo del tasso di interesse. Dunque gli scenari probabilistici, nei quali le operazioni in materia di derivati si muovono, non sono di per sé incompatibili con lo statuto della pubblica amministrazione. Passiamo allora al secondo quesito e cioè a verificare se è possibile trarre proprio dallo statuto speciale della pubblica amministrazione qualche antidoto specifico in grado di limitare al massimo la possibilità dell’errore insita nel carattere probabilistico delle valutazioni che assistono la stipulazione di un derivato. Anche in questo caso, la risposta positiva sembra preferibile. Proprio perché l’amministrazione è avvezza a muoversi in scenari di probabilità, le regole classiche del suo statuto, ovvero le regole del corretto esercizio della discrezionalità51 (trasparenza, procedimentalizza-
50 Avverte McCann jr., Probability, cit., p. 24 che le sole proposizioni che possono essere affermate in termini di certezza sono quelle cui è possibile pervenire tramite un ragionamento deduttivo, di tipo sillogistico. Ma il sillogismo presenta vari limiti: non accresce le conoscenze perché in realtà si limita a trarre una conseguenza da ciò che è già implicito nella premessa; in tanto la conclusione può essere predicata in termini di certezza in quanto muove da premesse certe; inoltre la nostra fallibilità ci può comunque indurre in errore. Riprendendo espressamente la critica di Hume, per il quale «all knowledge degenerates into probability, and this probability is greater or less, according to our experience of the veracity or deceitfulness of our understanding and according to the simplicity or intricacy of the question», l’Autore conclude «we can no longer assume that certain knowledge is even possible, and so we must be content with probable knowledge». Nella scienza, il ragionamento di tipo induttivo rimpiazza il ragionamento deduttivo per formulare conclusioni razionali, ancorché basate su conoscenze incomplete ed incerte. 51 Si tratta del complesso delle regole sull’esercizio della funzione amministrativa
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zione, responsabilità) rappresentano un antidoto sperimentato contro le possibilità di errore insite in valutazioni di tipo probabilistico. In questo senso si muove anche il decreto già citato del 13 dicembre scorso. Qui, accanto alla esplicita ammissione dell’utilizzabilità dei derivati nelle operazioni di ristrutturazione consensuale del debito pubblico, troviamo l’individuazione dei soggetti responsabili nel Direttore generale del Tesoro o, per sua delega, nel Direttore della Direzione II del Dipartimento del Tesoro e l’obbligo di comunicazione di tutte le operazioni finanziarie effettuate all’Ufficio del Gabinetto del Ministro, o allo stesso Ministro per le operazioni più rilevanti. Forse ancora qualcosa si può fare sul terreno della trasparenza. A proposito dei derivati, la letteratura, anche giuridica, evoca spesso immagini di mostri o fantasmi52. Tutte creature che svaporano alla luce del sole.
12. Importabilità delle garanzie di diritto privato e possibile ulteriore rafforzamento degli obblighi di protezione quando l’intermediario tratta con una unsophisticated sovereign conuterparty. Infine le amministrazioni si possono giovare anche dei correttivi, o degli antidoti, sviluppati dai principi che presidiano i rapporti privati, dove – lo abbiamo già visto – il generale dovere di correttezza, passando per la lente dell’art. 21 t.u.f., si traduce nel dovere di agire nell’interesse del cliente. Quando banche e intermediari trattano con una controparte pubblica, si potrebbe addirittura ipotizzare un rafforzamento degli obblighi di protezione che gravano su di essi. Anche l’ordinamento internazionale si va orientando in questo senso. La conferma è rinvenibile nei Principles on
enucleate dalla giurisprudenza del giudice amministrativo con il fondamentale apporto della dottrina. Sulla nozione di discrezionalità e sulla individuazione delle regole del suo corretto esercizio, non può non rinviarsi ai classici studi di Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939; Guarino, Potere giuridico e diritto soggettivo, in Rass. dir. pubbl., 1949, 2, pp. 264 ss; Benvenuti, Eccesso di potere per vizio della funzione, in Rass. dir. pubbl., 1950, 1, pp. 29 ss; Piras, Interesse legittimo e giudizio amministrativo, Milano, 1962, pp. 353 ss. e 417 ss.; Id., Discrezionalità amministrativa, in Enc. dir., 1964, vol. XIII, pp. 80 ss. 52 Fa riferimento alla letteratura che ricorre a immagini fantastiche, evocando in tal modo la capacità distruttiva dei derivati o anche la loro natura mostruosamente artificiale, Di Raimo, Dopo la crisi, come prima e più di prima. Il derivato finanziario come oggetto e come operazione economica, in Swap tra banche e clienti, cit. p. 41.
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promoting responsible sovereign lending and borrowing, sottoscritti il 10 gennaio 201253 nella autorevole sede della United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD). I Principles sanciscono a carico di chi contratta con una parte pubblica un vero e proprio obbligo di fornire una assistenza tale da mettere la parte pubblica in condizione di assumere una decisione informata. E avvertono pure che il livello di financial sophistication degli enti pubblici non è sempre il medesimo, con la conseguenza che gli obblighi di informazione sono più intensi quando si ha a che fare con una unsophisticated sovereign counterparty. Quella del rafforzamento degli obblighi di informazione, ed in genere di protezione, è, ad esempio, la strada seguita in Francia. Il Ministero delle Finanze francese ha messo a punto una Charte de bonne conduit entre les etablissements bancaires e les collectivités locales 54, che impegna le banche a valutare esse stesse il grado di rischio dei contratti offerti agli enti pubblici, a fornire agli enti una analisi esatta del funzionamento e dei rischi della strategia proposta, ad elaborare una proiezione degli interessi che l’ente si troverebbe a pagare a seconda della evoluzione delle condizioni del mercato. Gli esiti pare siano positivi55. Dopo la sottoscrizione della Carta, il livello di informazione sul grado di rischio è migliorato e gli enti si sono tenuti alla larga da contratti avventati56.
53 Recita l’art. 2 dei Principles: «Lenders have a responsibility to provide information to their sovereign customers to assist borrowers in making informed credit decisions». 54 A seguito della crisi del 2008-2009, che ha contribuito a rivelare i rischi finanziari nei quali erano incorse numerose collettività locali con l’acquisto di prodotti derivati, il Ministero delle finanze francese ha svolto un’ampia indagine. Stabilita l’ampiezza dei danni causati dai derivati, il Ministero ha messo a punto una Charte de bonne conduit entre les établissements bancaires e le collectivité locales, che è stata firmata il 7 dicembre 2009. 55 Ne dà atto l’Assemblée Nationale, treziéme legislature, 25 maggio 2011, Rapport, n. 3464, che ha deliberato la costituzione di una Commissione di inchiesta incaricata di studiare i prodotti strutturati, gli swaps e gli altri prodotti finanziari a rischio sottoscritti dalle collettività territoriali, le imprese pubbliche locali e gli altri enti pubblici locali nell’ambito della loro attività di gestione attiva del debito. 56 Ci si potrebbe interrogare a questo punto sulle ragioni per le quali l’agire degli enti pubblici, in materia di derivati, debba essere assistito da una rete di obblighi di protezione ancora più fitta di quella che garantisce la posizione degli investitori retail. Una risposta plausibile è fornita proprio dalla sentenza della Corte costituzionale, n. 52 del 2010. Gli enti pubblici muovono capitali di dimensioni notevoli, maggiori di quelle che può impiegare un investitore retail. Il cattivo esito di un’operazione può mettere a rischio la stabilità del mercato. Inoltre le finanze degli enti pubblici devono essere tutelate in quanto destinate a sopperire ai bisogni primari della collettività.
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13. Conclusioni. In conclusione: illusorio pensare di individuare tipi di derivati sicuri per limitare a questi la legittimazione degli enti; per contro, sicuramente inibiti agli enti pubblici i derivati speculativi, cioè stipulati senza finalità di copertura effettiva di un rischio o che eccedono tale finalità; i derivati sono strumenti rischiosi nel senso che si muovono sempre in scenari probabilistici, dove il grado di probabilità dell’avverarsi di un evento è valutabile razionalmente; le scelte, improntate a criteri probabilistici, non sono incompatibili con lo statuto proprio della pubblica amministrazione; l’osservanza delle regole sul corretto esercizio della discrezionalità e l’obbligo per gli intermediari di agire in buona fede e nell’interesse della controparte possono rappresentare correttivi adeguati a condurre in modo razionale le valutazioni di tipo probabilistico.
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Prime riflessioni sulla legittimità delle OMT e sul ruolo della BCE alla luce di una recente sentenza della Corte costituzionale tedesca Sommario: 1. Note introduttive. – 2. Le misure di stabilizzazione dei debiti sovrani e il piano OMT. – 3. Il cammino tracciato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale tedesca. – 4. Le questioni sollevate dal BVG sul programma OMT. – 5. Le contrapposte posizioni della Bundesbank e della BCE: la dialettica degli opposti. – 6. Lo scollamento tra quadro normativo e realtà fattuale. – 7. La questione della presunta lesione del principio democratico. – 8. Le condizioni poste dalla Corte tedesca nel rinvio pregiudiziale alla CGUE: il nuovo ordine di Karlsruhe. – 8.1. Gli scenari ipotizzabili e il pericolo di un cortocircuito politico-istituzionale. – 9. Ruolo e funzione della BCE ai tempi della crisi dell’euro. De jure condendo. – 10. Conclusioni.
1. Note introduttive. Nell’arco della crisi, la ripresa di reciproche diffidenze e il risveglio di sentimenti nazionalistici hanno determinato un vuoto politico che è stato giocoforza colmato dalla tecnica secondo parametri propri, diversi da quelli di uno stato sociale. Uno dei temi cruciali sul quale le istituzioni europee sono intervenute a più riprese, nel tentativo di individuare un accordo che componesse le posizioni contrastanti dei singoli Paesi, è quello relativo al potenziamento dei meccanismi di gestione della crisi istituiti nel biennio 2010-20111. Sono state così realizzate una serie di
1 Sui difetti originari dell’Unione economica e monetaria cfr. Bini Smaghi, Il paradosso dell’euro. Luci ed ombre dieci anni dopo, Milano, 2008, pp. 114 ss.; Chiti, Le risposte alla crisi della finanza pubblica e il riequilibrio dei poteri nell’Unione, in Giorn. dir. amm., 2011, 3, pp. 311 ss.; Fabbrini, Le implicazioni istituzionali della crisi dell’euro, in Il Mulino, 2012, 1, pp. 96 ss.; Capriglione e Semeraro, Financial crisis and sovereign debt. The European Union between risks and to Mend It, CEPS Policy Brief No. opportunities, in Law and Economics Yearly Review, vol. 1, I, 2012; Micossi, Unholy Compromise in
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iniziative che hanno contribuito in larga misura a chiarire il contesto istituzionale della governance europea e a dotare la UE di nuovi strumenti e procedure per gestire situazioni di emergenza finanziaria2. In una prima fase, lo spettro di una profonda recessione globale, in un contesto con caratteristiche di eccezionalità anche sotto il profilo storico, ha giustificato il ricorso – oltre che allo stanziamento di ingenti risorse pubbliche e ad aggressivi interventi monetari – a operazioni di sostanziale nazionalizzazione di primarie società finanziarie, essendosi ritenuto che rispetto a tali iniziative, in altri tempi impensabili, ogni alternativa avrebbe comunque rappresentato una prospettiva peggiore3.
the Eurozone and How 277, 16 luglio 2012, disponibile nel sito http://www.ceps.eu.; Lamy, Setting Up and Governing the Euro, in Notre Europe, Tribune, 2012, reperibile all’indirizzo http://www.Notre-Europe.eu/uploads/tx.publication/SettingUp. 2 Cfr. Tosato, Il sì all’ESM della Corte costituzionale tedesca, in www.affarinternazionali. it, 12 settembre 2012, p. 1. In effetti, come si dirà anche più avanti, la caratteristica dell’Unione è stata finora quella di una “Comunità di benefici”, assai diversa da una piena “Comunità dei benefici e dei rischi” in cui i soggetti partecipanti condividono non solo i benefici e le opportunità, ma anche i rischi connessi allo stare insieme nel medesimo sistema. Tanto meno esisteva, sino al Trattato di Lisbona, un principio di solidarietà verso gli Stati membri in situazioni di crisi; ora introdotto in modo timido e per particolari ipotesi, come quelle previste all’art. 122 t.f.u.e. di cui si dirà più avanti. 3 Per una puntuale ricostruzione delle misure in discorso e del contesto in cui sono state adottate vedi Nelli Feroci, La riforma dell’assetto di governance economica dell’Unione Europea, lectio magistralis tenuta al Collegio europeo di Parma il 21 maggio 2012, disponibile nel sito http://www.italiaeu.it; Messori, La governance economica europea, La finanza pubblica italiana. Rapporto 2012, a cura di Zanardi, Bologna, 2012, pp. 49 ss.; De Gregorio Merino, Legal Developements in the Economic and Monetary Union During the Debt Crisis: The Mechanism of Financial Assistance, in Common Market Law Review, 2012, (49), pp. 1616 ss. La risposta alla crisi da parte delle Istituzioni si sviluppa in due fasi. Nella prima viene perseguito un approccio “caso per caso”: i governi adottano anch’essi strumenti straordinari (sostegno degli attivi problematici e del funding degli intermediari, estensione di garanzie pubbliche, creazione di strutture di bad banking, agevolazioni per operazioni di salvataggio, aumenti di capitale mirati e sottoscritti in parte dal mercato ma soprattutto dai fondi governativi – in prevalenza medio orientali e asiatici –, interventi diretti di ricapitalizzazione degli stessi e, in casi estremi, nazionalizzazione di banche). Successivamente, in concomitanza con l’escalation della crisi, i governi e le Banche Centrali sono intervenuti direttamente con provvedimenti di carattere sistemico. Al fine di ridurre la pressione sui tassi interbancari, le Banche Centrali hanno immesso nei rispettivi sistemi bancari quantità enormi di liquidità anche con strumenti straordinari e non tradizionali in cambio di asset oramai senza mercato (ampliamento dei requisiti di stanziabilità per le operazioni di repurchase agreement e interventi di quantitative easing). Al contempo, la BCE ha rafforzato misure già prese in precedenza, ampliando la gamma di titoli accettati in garanzia per le operazioni di rifinanziamento e allungando fino a 12
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In seguito, la ricerca di soluzioni praticabili è stata confinata alla riorganizzazione della governance economica europea caratterizzata, da un lato, da una eccessiva focalizzazione sul pareggio di bilancio, imposto dal Fiscal compact, dall’altro dalla ricerca di una adeguata condizionalità che con diversa intensità accompagna il sostegno finanziario da parte del Meccanismo europeo di stabilità (European Stability Mechanism, d’ora in avanti anche “ESM”) e della BCE. Il ruolo della BCE nella gestione della crisi ha richiesto interventi molteplici, assimilabili a quelli di un prestatore di ultima istanza che entra in gioco al fine di scongiurare il fallimento degli Stati ed il conseguente sfilacciamento dell’Unione4. Indirizzi, atti e procedure della Banca Centrale Europea, l’istituzione funzionalmente più prossima alle problematiche economiche e finanziarie, sono stati progressivamente adeguati all’intensificarsi dell’emergenza, con il passaggio dall’ambito degli strumenti tradizionali di politica monetaria all’inedito ricorso ad operazioni non convenzionali di intervento sui mercati finanziari. Fino alla metà del 2012 la motivazione ufficiale per l’acquisto di titoli di debito pubblico è stata la necessità di mantenere o ripristinare il funzionamento efficiente del mercato dei titoli sovrani5. L’intervento a vantaggio del settore bancario veniva invece motivato con l’esigenza di
mesi le operazioni di rifinanziamento a lungo termine (LTRO - Longer-Term Refinancing Operation). Infine, cambiando ancor più il proprio modus operandi, la BCE ha iniziato a emettere denaro direttamente sul mercato, inaugurando il programma di acquisto di obbligazioni garantite (CBPP - Covered Bond Purchase Programme). 4 Cfr. De Grauwe, The European Central Bank as a Lender of Last Resort, in Vox Eu, 18 agosto 2011, definisce questo fenomeno una self fulfilling debt crisis. Per vero, – come rileva Scipione, Il prestatore di ultima istanza nella crisi del debito sovrano. In particolare: ruolo e funzioni della BCE, in La crisi dei mercati finanziari: analisi e prospettive, a cura di Santoro, Milano, 2012, vol. I, p. 67 – «la funzione di “prestatore d’ultima istanza” non solamente non è espressamente prevista nel Trattato di Maastricht ma, secondo le interpretazioni più rigorose, addirittura vietata (…). In questa frastagliata cornice si è soliti distinguere il credito straordinario microeconomico, erogato a favore del singolo intermediario in crisi di liquidità, al di fuori di regole e procedure standard di rifinanziamento del sistema bancario, a tutela della stabilità finanziaria complessiva; e il credito straordinario macroeconomico, come nel caso della liquidità concessa dalla Banca Centrale Europea, a fronte della crisi dei debiti degli Stati membri dell’Unione europea». 5 Per maggiori dettagli si rimanda alle analisi contenute nel rapporto del FMI, Quantifying Spillovers from High-Spread Euro Area Sovereigns to the European Union Banking Sector, Global Financial Stability Report, settembre 2011.
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rimediare alla crisi di liquidità che lo colpiva. L’una e l’altra attività, dunque, venivano in rilievo in quanto canali di trasmissione dei meccanismi di politica monetaria attraverso i tassi di interesse. Si può a ragione ritenere che la BCE si sia di fatto riconosciuta un ampio ruolo nella gestione delle crisi, attraverso strumenti di politica monetaria. Ne è derivato un’estensione del suo agere oltre i compiti connessi alla stabilità dei prezzi, fino alla salvaguardia della stessa moneta europea6. Questa è legata alla soluzione di problemi annidati nel difficile percorso verso l’unione politica, ancor prima che nell’unione fiscale e bancaria7. Accanto ad un’evoluzione nel metodo e negli strumenti – con una decisiva virata dal c.d. “metodo comunitario” a dinamiche intergovernative e dal diritto derivato alla conclusione di Trattati – questa progressiva maturazione dell’esercizio dei poteri dell’autorità monetaria europea è stata possibile nonostante la mancanza di previsioni normative specifiche. Sotto questi profili, le critiche agli interventi non convenzionali della BCE non appaiono in via di principio infondate. Tuttavia, esse trascurano che tali interventi si collocano nel quadro di una situazione di emergenza, in cui è lo stesso “sistema euro” a essere in pericolo. In virtù del fondamento in quelle disposizioni del Trattato che sanciscono l’indipendenza dell’Istituto di emissione (art. 130 t.f.u.e.) – rivelatasi un indubitabile punto di forza anche per il complessivo “sistema” di governo della crisi –, oltre che nelle norme che individuano l’obiettivo “residuale” della politica monetaria, il sostegno alle politiche generali
6
Cfr. Antoniazzi, La Banca Centrale Europea tra politica monetaria e vigilanza bancaria, Torino, 2013, passim; Cafaro, L’azione della BCE nella crisi dell’area dell’euro alla luce del diritto dell’Unione europea, in La crisi del debito sovrano degli stati dell’area euro: Profili giuridici, a cura di Adinolfi e Vellano, Torino, 2013, pp. 49 ss.; Napolitano, Il ruolo delle banche centrali nella gestione della crisi dell’eurozona: osservazioni su alcuni aspetti istituzionali, in La crisi del debito sovrano, cit., pp. 69 ss. 7 Vengono in considerazione le manovre di riduzione dei tassi di interesse, i piani di sostegno al credito bancario, nonché le misure disciplinari contenute nel Securities Markets Programme (programma di acquisto nei mercati obbligazionari); quest’ultime, in particolare, si sono estrinsecate in azioni di sostegno sul mercato secondario offerte dalla Banca Centrale a Paesi in condizioni di emergenza finanziaria (Grecia, Irlanda e Portogallo). Per maggiori dettagli si veda Banca Centrale Europea, La risposta, cit., pp. 75 s.; Id., Un patto di bilancio per un’unione economica e monetaria rafforzata, in Bollettino mensile, maggio 2012, pp. 85 s. In particolare, per un’analisi delle misure adottate dalla BCE sul mercato secondario cfr. Van Riet, Euro area fiscal policies and the crisis, European Central Bank, Occasional Paper Series n. 109, aprile 2010, p. 10; Ruffert, The European Debt Crisis and European Union Law, in Common Market Law Review, 2011, 48, no. 6, pp. 1778 ss.
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dell’Unione è perseguibile solo qualora venga “fatto salvo” l’obiettivo della stabilità dei prezzi (art. 127 t.f.u.e.). Questo fine “supremo” consentirebbe, in ultima analisi, alla BCE di estendere legittimamente la sua azione a modalità “non standard”, rimaste sino ad ora sostanzialmente non utilizzate benché ricomprese nell’ambito del suo mandato.
2. Le misure di stabilizzazione dei debiti sovrani: il piano OMT. L’ultimo strumento deliberato dalla BCE sembra muoversi ancor più dei precedenti sul filo dei divieti, proprio per questo la sua analisi si rivela particolarmente interessante8. Nell’agosto 2012, in sostituzione del “Programma per i mercati finanziari” (SMP), la BCE ha modificato radicalmente l’impostazione della propria politica monetaria predisponendo un piano di acquisti sul mercato secondario dei titoli di stato di Paesi dell’eurozona in difficoltà, al fine di calmierare la crescita irrazionale dei relativi rendimenti e di confermare ancora una volta che la moneta unica e il disegno politico dell’euro non sono in discussione. L’efficacia delle OMT (acronimo che sta per “Outright Monetary Transactions”) starebbe nell’avere la BCE comunicato con grande successo il suo impegno ecumenico «a fare tutto il possibile per difendere l’euro» 9.
8
Secondo l’opinione di Peroni, The Crisis of the Euro and the New Role of the European Central Bank, in De Witte, Hèritier e Trechsel, a cura di, The Euro Crisis and the State of Europe Democracy, Contributions from the 2012 Eudo Dissemination Conference, Florence, 2013, p. 191, le OMT «are consistent with the aims expressed in the Article 3, par. 3, TEU (‘The Union shall establish an internal market. It shall work for the sustainable development of Europe based on balanced economic growth and price stability’) and the objectives set out in the article 136 TFEU. This rule allows for the Members of the Euro zone to adopt measures ‘to strengthen the coordination and surveillance of their budgetary discipline’ and to ‘set out economic policy guidelines for them’ both ‘in order to ensure the proper functioning of economic and monetary union’ (art. 136, par. 1, TFEU). In this view, it is possible, for me, to affirm that a slight rise of inflation, as a possible effect of ECB purchasing PIGS bond on the secondary market can be considered acceptable if it is useful in preserving the stability of the EMU and the future of the European Union and its integration process». 9 Si veda Press release della BCE del 6 settembre 2012: Technical features of Outright Monetary Transactions. Precisa la BCE che questa modalità di intervento è definibile come «a necessary, proportional and effective monetary policy instrument», finalizzato in ultima istanza a ripristinare il meccanismo di trasmissione della politica monetaria all’economia reale. Come precisato da Constancio, vicepresidente della
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Le “Operazioni definitive monetarie” sono tecnicamente operazioni di acquisto, potenzialmente illimitato, da parte delle Banche Centrali di titoli sovrani di Paesi dell’area euro in difficoltà10. Tale strumento è specificamente finalizzato a correggere distorsioni sul mercato dei titoli di debito pubblico generate dal timore irrazionale di una reversibilità dell’Unione monetaria, come evidenziato dall’incremento dello spread11.
BCE, in occasione del China-Europe Economists Symposium, Beijing, (www.ecb.int/ press/key/speaker/vicepres/html/index.en.html): «[a]s you know, our primaryobjective is to maintain price stability in the euro area. Neither our mandate nor our resolve todeliver on it has changed in the face of the crisis (...) The OMTs are designed totackle unfounded fears of the reversibility of the euro that distorted the sovereign bond markets». Per giunta, sebbene gli obiettivi dell’OMT siano gli stessi del precedente Securities Market Programme, le modalità di perseguimento sono differenti. Nel citato bollettino mensile della BCE si legge: «OMTs will enable the Eurosystem to address severe distortions in government bond markets which originate, in particular, from unfounded fears on the part of investors of the reversibility of the euro, as reflected, inter alia, in widening differences in the pricing of short-term sovereign debt up to July 2012 (…). In such an environment, OMTs will provide a fully effective backstop to avoid destructive scenarios with potentially severe challenges for price stability in the euro area». 10 In merito alle caratteristiche generali degli strumenti e delle procedure di politica monetaria dell’Eurosistema si rinvia a BCE, L’attuazione della politica monetaria nell’area dell’euro, in GUUE, L 331/1, 14 dicembre 2011, p. 17. Le “Operazioni definitive di mercato aperto” sono operazioni con le quali l’Eurosistema acquista o vende a titolo definitivo sul mercato attività stanziabili. Tali interventi sono eseguiti solo per finalità strutturali. Riguardo, in particolare, alla loro natura giuridica, un’operazione definitiva implica il totale trasferimento della proprietà dal venditore all’acquirente senza che sia previsto un successivo trasferimento della proprietà al venditore. Le operazioni sono effettuate in conformità alle convenzioni di mercato relative allo strumento di debito oggetto della transazione. Nella determinazione dei prezzi, l’Eurosistema si basa sulla convenzione di mercato maggiormente utilizzata per lo strumento di debito oggetto della transazione. Le altre caratteristiche operative delle operazioni definitive dell’Eurosistema possono essere riassunte come segue: a) possono assumere la forma di operazioni di immissione di liquidità (acquisto definitivo) o di assorbimento di liquidità (vendita definitiva); b) hanno frequenza non standardizzata; c) sono effettuate mediante procedure bilaterali (come specificato nella sezione 5.2); d) sono normalmente effettuate a livello decentrato dalle singole BCN (il Consiglio direttivo della BCE può decidere che, in circostanze eccezionali, operazioni definitive potranno essere effettuate direttamente dalla BCE); e) non sono stabilite a priori restrizioni alla gamma delle controparti ammesse a partecipare alle operazioni definitive; f) nelle operazioni definitive sono utilizzate come attività sottostanti soltanto le attività negoziabili. 11 Il meccanismo è, sotto molti aspetti, identico all’assicurazione sui depositi bancari.
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La motivazione di fondo che giustifica il ricorso alle OMT è, in buona sostanza, quella di rimuovere il c.d. tail risk, cioè il rischio catastrofico legato alla mancanza di fiducia nella moneta unica12. La possibilità per i Paesi membri di richiedere aiuti da parte dello ESM per l’acquisto dei loro titoli di stato sul mercato primario, combinata con l’intervento sul mercato secondario della BCE per mezzo del programma OMT, offre la garanzia che gli spread di rendimento tra i titoli di Stato vengano liberati dalla componente di “sentimento di mercato” e riflettano i fondamentali dei Paesi interessati. Le condizioni del piano OMT sono chiare da tempo: 1) è ex-ante illimitato nella sua portata; 2) gli acquisti di titoli saranno pienamente sterilizzati: nel senso che la base monetaria (l’aggregato sotto stretto controllo della BCE) rimarrà invariata; 3) è limitato all’acquisto di titoli con scadenza uno-tre anni13; 4) la sua attuazione impone al Paese membro che vi accede di partecipare a un piano di “stabilizzazione macroeconomica” deciso con lo ESM e per il quale è ben gradito – asserisce la stessa BCE – anche il
Come è noto, l’assicurazione sui depositi elimina la possibilità di una corsa agli sportelli, quando cioè una banca solvente si ritrova a corto di liquidità e fallisce semplicemente perché i risparmiatori hanno paura che, nel caso di una corsa agli sportelli, la banca si ritrovi insolvente. Per eliminare del tutto la corsa agli sportelli, l’assicurazione dei depositi deve essere illimitata: chiunque voglia riscuotere i suoi depositi a breve termine dovrà poterlo fare, che la riscossione sia motivata da un’effettiva esigenza di liquidità o semplicemente dal panico. 12 Come ben illustrato da Visco, L’uscita dalla crisi del debito sovrano: politiche nazionali, riforme europee, politica monetaria, Lectio magistralis del Governatore della Banca d’Italia, Pavia, 25 marzo 2014, p. 9, l’obiettivo delle OMT «non è quello di neutralizzare gli spread sui titoli di Stato di specifici Stati membri dell’area così da ridurne le difficoltà finanziarie, interferendo impropriamente con la formazione dei prezzi sul mercato». Il fine ultimo è invece quello di diminuire «la componente dei differenziali legata a fattori indipendenti dalla sostenibilità finanziaria dei singoli Paesi». In altri termini, l’intervento «non mira a sostenere l’acquisto di titoli rischiosi ma a correggere l’errata percezione di tale rischio. I differenziali di rendimento tra i titoli sovrani osservati nelle fasi di maggiore tensione riflettono infatti solo parzialmente lo scetticismo dei partecipanti al mercato sulla capacità dei singoli Stati membri di garantire la sostenibilità delle loro finanze pubbliche ed evitare un peggioramento del rischio di credito. Essi sono in larga parte riconducibili ai timori degli investitori di una reversibilità dell’euro». 13 Questo punto è molto controverso ed è il risultato di un chiaro compromesso con la Bundesbank, dato che un intervento così selettivo sulla curva dei rendimenti e in quantità così massicce rischia di essere, ancora, altamente distorsivo.
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monitoraggio del Fondo Monetario Internazionale. Si tratta di un memorandum d’intesa (MOU - Memorandum of Understanding) fra il Paese richiedente e i partner europei basato sulle Enhanced conditions credit line (Eccl), le linee guida varate per la prima occasione a partire dal lancio del Fondo salva-Stati temporaneo European financial stability facility (EFSF). A loro volta, le Eccl utilizzano lo schema dettato dal FMI per questo genere di interventi, ovvero il Precautionary conditioned credit line (Pccl)14. In questo modo, la BCE si tutela dal possibile mancato rispetto delle condizioni contenute nel Memorandum: verifica trimestrale degli obiettivi e possibile cambiamento in corsa degli stessi. La BCE si riserva altresì il diritto di sospendere il programma OMT per quel Paese che una volta ottenuto l’accesso al meccanismo antispread eluda le condizionalità sottoscritte o per quella zona economica che, dopo l’intervento attuato con le OMT, abbia raggiunto quegli obiettivi fissati al momento dell’adesione. In virtù di questo insieme di caratteristiche, alcuni hanno visto nelle OMT «un importante passo avanti verso il consolidamento di strumenti certi ed efficienti di intervento a disposizione della BCE»15. In effetti, le OMT avvicinano il modus operandi della BCE a quello di altre banche
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Il Precautionary conditioned credit line (Pccl) riguarda Stati che pur avendo politiche di bilancio coerenti con gli impegni assunti in sede europea, presentano problemi di liquidità e risentono negativamente degli alti rendimenti derivanti dalla distorsione dei mercati sui propri titoli. In questo caso le condizioni si concretizzano nell’impegno dello Stato a mantenere, sotto la vigilanza della Commissione, i requisiti che hanno consentito l’accesso al fondo. Lo Enhanced conditions credit line (Eccl) si distingue dal Pccl per una duplice condizionalità che si esplica ex ante ed ex post. L’accesso a questo secondo tipo di programma si configura per quegli Stati membri dell’area dell’euro le cui condizioni economiche generali e la situazione finanziaria, pur essendo sane, non rispondono ai prerequisiti per l’accesso al programma di tipo precauzionale. Pertanto, lo Stato membro interessato, previa consultazione della Commissione e della stessa BCE, concorderà, ex ante, misure correttive volte a colmare le carenze sul piano della disciplina di bilancio e delle riforme strutturali necessarie per l’accesso al programma di assistenza finanziaria e per garantirsi in futuro l’accesso al finanziamento sul mercato. Una volta accordato il sostegno finanziario, il rispetto delle misure concordate diventa, ex post, non solo condizione necessaria per l’avvio delle OMT da parte della BCE, ma anche vincolante affinché la BCE continui ad attuare il suo programma di sostegno. 15 Così Napolitano e Perassi, La Banca Centrale Europea e gli interventi per la stabilizzazione finanziaria: una nuova frontiera della politica monetaria?, in Amato e Gualtieri, a cura di, Le istituzioni europee alla prova della crisi, Firenze, 2013, p. 42.
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centrali, e segnatamente della FED, la quale opera prevalentemente attraverso operazioni sul mercato aperto di questo tipo. Ciò ha senza dubbio il merito di togliere all’Europa quella specie di handicap con cui ha dovuto competere sinora nella lotta alla crisi. Grazie alle OMT, anche l’Europa ha qualcosa che assomiglia a un prestatore di ultima istanza che le consente, all’occorrenza, di rifinanziare debitori in difficoltà semplicemente stampando moneta.
3. Il cammino tracciato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale tedesca. Sempre più di frequente, nel descritto scenario di crisi, gli organi di giustizia – e in particolare le Corti costituzionali – sono state sollecitate a pronunciarsi sulla legittimità di interventi legislativi, prevalentemente a carattere economico, che rischiano di mettere a repentaglio i principi dello Stato di diritto16. In questa complessa arena, un vero e proprio filone di studi si è sviluppato a seguito di alcune pronunce del Tribunale costituzionale te-
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Cfr. i rilievi della Corte di giustizia, Seduta plenaria, 27 novembre 2012, Causa C-370/12, Pringle v. Ireland and others, in Racc., 2013, par. 136. Questa modifica del Trattato è stata sottoposta al vaglio della High Court irlandese, in quanto tacciata di illegittimità, dato che una sua ratifica e/o approvazione avrebbe portato l’Irlanda – al pari degli altri Stati UE – ad assumere obblighi incompatibili con i Trattati sui quali è fondata l’Unione europea. Vi sono poi da segnalare le pronunce emesse dalle Corti costituzionali della Francia, dell’Estonia in sede di giudizio preventivo sull’adesione ai trattati prima citati, cui possono aggiungersi quelle in sede di sindacato successivo su leggi nazionali attuative del diritto dell’Unione (Portogallo), o, più indirettamente, che modificano propri consolidati indirizzi in vista di revisioni costituzionali reputate conformi al diritto dell’Unione (Italia). Più in generale, le implicazioni che da una simile impostazione discendono, per quanto concerne il legame tra moneta e bilanci, sono svariate e rilevanti. Esse si sono manifestate, in un primo periodo, a seconda dei casi, nella riluttanza a riconoscere rilievo costituzionale ai mutamenti indotti dall’istituzione dell’Unione economica e monetaria (sul presupposto che tale rilievo sia proprio ed esclusivo degli atti e fatti “interni” all’ordinamento giuridico nazionale) o nella preoccupazione per lo snaturamento dei caratteri propri di ogni ordinamento. Un vero e proprio filone di studi si è sviluppato, in particolare, a seguito di alcune pronunce del Tribunale costituzionale tedesco che, pur avallando gli ulteriori trasferimenti di sovranità a favore dell’Unione europea, ribadivano la persistente validità degli standard costituzionali nazionali, unitamente all’impossibilità che la nuova entità assorba, per dir così, lo Stato.
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desco (Bundesverfassungsgericht - BVG) che, pur avallando gli ulteriori trasferimenti di sovranità a favore dell’Unione europea, hanno ribadito la persistente validità degli standard costituzionali nazionali, unitamente all’impossibilità che la nuova entità assorba, per dir così, lo Stato. Mai, in effetti, le pronunce di una corte nazionale avevano condizionato tanto esplicitamente il varo effettivo di atti dell’Unione europea, o di accordi a essa riconducibili, quanto quelle del BVG sulle misure volte a fronteggiare la crisi finanziaria. Tra i primi commentatori vi è stata un’ampia convergenza nel ritenere che «gli strumenti giuridico-finanziari elaborati per fronteggiare la crisi siano stati disegnati avendo ben chiari i parametri di valutazione che il BVG avrebbe adoperato nell’aspettativa più che mai probabile – poi effettivamente realizzatasi – di una loro impugnazione»17. Siffatta tesi, che dà valore all’idea di una «consapevole centralità assunta dal tribunale di Karlsruhe nella costruzione del processo di integrazione europeo»18, vorrebbe «però ridiscutere l’atteggiamento di sospetto con cui sono state accolte le argomentazioni fornite proprio nella Lissabon Urteil»19. D’altro canto, il BVG è ben consapevole che la portata dei suoi dicta in materia trascende la singola controversia. Per certi versi, la giurisprudenza precedente del BVG viene giudicata apprezzabile proprio per il “salvataggio” delle misure anti-crisi20, pur
17 Così Muzi, La tutela della democrazia tedesca di fronte al procedimento di integrazione Ue: una rassegna sulla giurisprudenza del tribunale costituzionale federale tedesco, in Nomos, 2013, n. 3, p. 5. Per un interessante confronto Dyevre, The German Federal Constitutional Court and European Judicial Politics, in West European Politics, 34, no. 2, 2011, pp. 350 ss.; Pinelli, Forzature e silenzi del Tribunale costituzionale tedesco sul Trattato di Lisbona, in Giur. cost., 2009, pp. 5153 ss. 18 Come sottolinea Bifulco, Il custode della democrazia parlamentare, in Rivista AIC, 2011, 3, p. 3. 19 In questi termini si esprime Bonini, Delle prerogative parlamentari nell’Europa dei fallimenti di Stato (commento alla sentenza del Tribunale costituzionale tedesco del 19 giugno 2012), in Quad. cost., 2012, 4, p. 891; per ulteriori spunti di analisi cfr., pure, Luciani, Il Bundesverfassgericht e le prospettive dell’integrazione europea, in www.astridonline.it. 20 Cfr. Tomkin, Contradiction, Circumvention and Conceptual Gymnastics: the Impact of the Adoption of the ESM Treaty on the State of European Democracy, in The Euro Crisis and the State of European Democracy, cit., p. 78. Si veda, pure Corte di Giustizia, Causa C-370/12, Pringle v. Ireland and others, cit., par. 111, in cui si specifica espressamente che la condizionalità prevista per l’erogazione del finanziamento non costituisce uno strumento di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, non interferendo così con le norme dei trattati UE in materia, in particolare, l’art. 2, par. 3,
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apparendo oltremodo discutibile per non essersi limitata alle verifiche di costituzionalità degli atti nazionali necessari per assicurare l’operatività dei nuovi strumenti, tracimando su questioni di puro diritto europeo – tanto sul Meccanismo europeo di stabilità (che il BVG ha considerato uno strumento di politica economica, quindi di competenza degli Stati membri e non delle Istituzioni europee) che sulla BCE – che sono riservate alla Corte di giustizia. In particolare, risulta ultra vires il giudizio di compatibilità del Trattato istitutivo dello ESM con l’art. 123 t.f.u.e.21. In questo articolato scenario, la Corte costituzionale tedesca, con decisione del 7 febbraio 2014, n. 2728/13, ha rinviato alla Corte europea di giustizia il verdetto di legittimità sul piano OMT22, lanciato nell’estate del 2012 dalla Banca Centrale Europea e concepito per assicurare che le modifiche del tasso di interesse di riferimento, introdotte dalla BCE, si trasmettano all’economia reale attraverso il sistema finanziario23.
t.f.u.e., e gli artt. 119-121 e 126 t.f.u.e. 21 Cfr. Bonini, Dai “Signori dei Trattati” al “Dominus del bilancio”: principio democratico, Meccanismo europeo di stabilità e forma di governo parlamentare nella recente giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht tedesco, cit., p. 12; Id., Status dei parlamentari e EFSF: controllo democratico e indebitamento pubblico nella giurisprudenza del BVerG, in Rivista AIC, 2012, 1, pp. 11 ss. 22 La decisione in oggetto segue immediatamente il giudizio “ESM/Fiscal Compact” dal quale è stato “scorporato” a causa dell’enorme pressione esercitata sulla Corte per una decisione sui due nuovi Trattati, rispetto ai quali il BVG ha deciso di pronunciarsi con un giudizio intermedio nel settembre del 2012. 23 Cfr., tra gli altri, Napolitano, L’incerto futuro della nuova governance europea, in Quad. cost., 2012, n. 1, pp. 141 ss.; Pitruzzella, Austerità finanziaria versus crescita economica nel dibattito sull’Eurosistema, in Quad. cost., 2012, 2, pp. 427 ss.; Faraguna, Da Lisbona alla Grecia, passando per Karlsruhe, in Quad. cost., 2011, n. 4, pp. 935 ss.; Bonini, Il “Bverfg”, giudice costituzionale o “signore dei trattati”? Fondo “salva-stati”, democrazia parlamentare e rinvio pregiudiziale nella sentenza del 12 settembre 2012, in Rivista AIC, 2012, n. 4, pp. 2 s. Del resto, la precedente giurisprudenza, sopra richiamata, incentrata su questioni di legittimità riguardanti misure “anti-crisi”, lasciava presagire che i giudici di Karlsruhe, pur non ostacolando il ricorso a strumenti “non standard” resi necessari dalla persistente condizione d’instabilità nell’eurozona, non si sarebbero sottratti dall’indirizzare nuovi moniti sia al legislatore nazionale, che alle istituzioni sovranazionali interessate. La stessa cura dei tempi di emissione delle pronunce dimostra questa autocomprensione. Aveva, tuttavia, destato interesse la scelta del BVG di non pronunciarsi nell’autunno del 2013, quando una sentenza pareva imminente. Mette conto sottolineare che siffatta decisione di rinvio sarebbe stata assunta dai giudici costituzionali per la complessità del caso, ma anche perché si stavano svolgendo in Germania le difficili trattative per la formazione del nuovo governo, che sarebbero state ulteriormente complicate da un verdetto così atteso. La pronuncia della Corte costituzionale tedesca è stata accolta da pareri molto contrastanti. Per i primi commenti si rimanda ai contributi
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La decisione del Tribunale costituzionale tedesco interviene a distanza di un anno e mezzo dal deposito del ricorso promosso da un gruppo di deputati e professori tedeschi euroscettici. La questione consisteva nell’accertare se le OMT invadessero le competenze in materia di politica economica degli Stati membri e violassero il divieto di finanziamento monetario degli Stati, in contrasto con lo statuto della BCE e con l’art. 123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (t.f.u.e.), che vieta alla Banca Centrale il finanziamento sul mercato primario24. Come si è già preannunciato, per molti versi la decisione in oggetto rappresenta una naturale prosecuzione della giurisprudenza della Corte di Karlsruhe il cui momento iniziale può essere ravvisato nella sentenza Maastricht del 1993. Nelle pieghe della sentenza traspare, infatti, la netta convinzione dell’illegittimità del programma OMT25. La quale – se si basa sulla tesi che esso sia ultra vires rispetto al mandato della BCE – riflette l’indirizzo giurisprudenziale avviato dalla sentenza Lissabon Urteil e fortemente consolidatosi con le sentenze emesse fra il 2011 e il 2012 sugli aiuti alla Grecia, sul Meccanismo europeo di stabilità e sul Fiscal Compact26.
di Baglioni e Esposito, Sentenza di Karlsruhe: bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, in lavoce.info, 14.02.14; Perrissich, Quando i giudici danno lezioni di economia, in lavoce. info, 14.02.14; Manzini, Karlsruhe: doppia sfida all’Europa, in lavoce.info, 18.02.2014. 24 Su questi aspetti si vedano Viterbo e Cisotta, La crisi della Grecia, l’attacco speculativo all’euro e le risposte dell’Unione europea, in Dir. un. eur., 2010, 4, pp. 961 ss. Per un’analisi in senso critico dell’efficacia della no bail-out provision si rinvia a Louis, The No-Bailout Clause and Rescue Packages, in Common Market Law Review, vol. 47, n. 4/2010, pp. 971 ss., specie pp. 981-983; Lastra, Legal Foundations of International Monetary Stability, Oxford, 2006, p. 252. 25 Sul punto si veda Press release n. 67/2012 della Corte costituzionale tedesca, ove si precisa: «To what extent the decision taken by the Governing Council of the European Central Bank on 6 September 2012 on a programme concerning the purchase of government bonds of financially weak Member States whose currency is the euro complies with these legal requirements was not a matter for decision in the present proceedings for the issue of temporary injunctions, proceedings which exclusively relate to the Acts of assent to the ESM Treaty and the Fiscal Compact and to the respective accompanying laws». 26 Con la sentenza del 28 febbraio 2012 il Tribunale costituzionale tedesco si è pronunciato sul ricorso presentato da due deputati della camera federale (Bundestag) avente a oggetto alcune modifiche apportate nell’ottobre 2011 alla Legge sul meccanismo di stabilità o StabMechG, ossia il Gesetz zur Uebernahme von Gewaehrleistungen im Rahmen eines europaeischen Stabilisierungsmechanismus. La sentenza è commentata, tra gli altri, da Chiti, Il Meccanismo europeo di stabilità al vaglio della Corte di giustizia, in Giorn. dir. amm., 2013, 2, pp. 148 ss.; Di Martino, La sentenza del Bundesverfassungsgericht sul Meccanismo Europeo di Stabilità e sul Fiscal Compact. Guida alla lettura, in www. federalismi.it, n. 18/2012; Tosato, Il sì allo ESM della Corte costituzionale tedesca, cit.;
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Nelle sentenze testé richiamate le censure di incostituzionalità sono state rigettate, ma la Corte ha posto condizioni rigorose e limiti puntuali in relazione ad ulteriori interventi. In definitiva, la Corte costituzionale tedesca, dando il via libera agli aiuti alla Grecia e all’istituzione della EFSF, come avvenuto in precedenza con i Trattati di Maastricht e Lisbona, ha rinnovato un atteggiamento, tutto sommato, favorevole all’Europa (Europafreundlich). Di questo chiaro orientamento, nella pronuncia in esame, rimane infatti l’individuazione dell’Unione monetaria come “comunità di stabilità”, ritenuta “base essenziale” della partecipazione ad essa della Repubblica Federale Tedesca (par. 203)27.
Nugnes, Il Fiscal Compact. Prime riflessioni su un accordo ricognitivo, in Forum di quaderni costituzionali, disponibile all’indirizzo www.forumcostituzionale.it, 6 marzo 2012. Edificando un ponte logico fra le due pronunce, il BVG ha più volte richiamato le considerazioni in diritto svolte nella decisione del 7 settembre 2011 (BVG, Urteil des Zweiten Senats vom 7. September 2011, a.a.O.), ribadendo così quanto già affermato in tema di legami fra caratteri fondamentali della manovra di bilancio, indebitamento pubblico (finalizzato alla soluzione sovranazionale e internazionale della crisi economicofinanziaria) e forma di governo parlamentare. Lo StabMechG era stato preceduto dal Gesetz zur Uebernahme von Gewaehrleistungen zum Erhalt der fuer die Finanzstabilitaet in der Waehrungsunion erforderlichen Zahlungsfaehigkeit der Hellenischen Republik, in breve WaehrungsunionFinanzstabilitaetsgesetz o WFStG, del 7 maggio 2010, in BGBl, I, p. 537 - Legge per l’adozione di garanzie per la solvibilità della Repubblica ellenica finalizzate al mantenimento della stabilità finanziaria nell’ambito dell’Unione monetaria, in breve Legge sulla stabilità finanziaria e sull’Unione monetaria o WFStG. Sulle questioni sollevate, invece, dalla modifica del GG precedente gli atti ricordati, che, nel rispetto del diritto primario e secondario dell’UE, ha introdotto nel 2009 l’obbligo di pareggio per il Bund e i Laender, cfr. Perez, La nuova disciplina del bilancio in Germania, in Giorn. dir. amm., 2011, 1, pp. 95 ss.; Cassese, L’Unione europea e il guinzaglio tedesco, in Giorn. dir. amm., 2009, 9, pp. 1003 ss. Come sottolinea Bonino, Status dei parlamentari e European Financial Stability Facility: controllo democratico e indebitamento pubblico nella giurisprudenza del BVerfFG, in Rivista AIC, 2011, 4, p. 11, «Il BVerfG inserisce l’esperienza dell’attuale crisi nella storia costituzionale tedesca, e lo fa richiamando il rispetto di principi risalenti. Non sembra azzardato affermare che lo sforzo e il risultato della pronuncia commentata sembrino essere quelli – fra molti altri – di ricondurre alle radici costituzionali della repubblica la ricaduta della crisi sulla forma di governo parlamentare, e l’impatto delle scelte dell’EFSF e dell’EFSM sulle opzioni dell’esecutivo federale». 27 In effetti, la BCE ha fortemente aumentato i propri poteri sia in via di fatto, con una “supplenza istituzionale” legittimata dallo stato di necessità, sia in via formale; tanto da sollevare le obbiezioni della Corte costituzionale tedesca nella già citata sentenza del 12 settembre 2012. La stessa sentenza ha trattato anche la questione collaterale, formalmente diversa dalle questioni sull’istituzione dello ESM, della legittimità di talune iniziative
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Ma ha lasciato, anche in questa occasione, aperte una serie di questioni, sulle quali – è facile prevedere – sarà chiamata nuovamente a pronunciarsi. È opportuno constatare, peraltro, che un punto trova tutti d’accordo, parti in causa e BVG: esorcizzare la prospettiva di una Transfer Union e di una comunitarizzazione dei debiti degli Stati membri (Vergemeinschaftung von Staatsschulden).
4. Le questioni sollevate dal BVG sulla legittimità delle OMT. La sentenza della Corte tedesca è il classico bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, e ciascuno può interpretarla un po’ come vuole. Sebbene si presti a un classico commento in chiaroscuro, la decisione dei giudici di Karlsruhe può essere letta sia valorizzandone gli indubbi elementi di novità sia tenendo conto del vasto corpus giurisprudenziale concernente i rapporti fra ordinamento tedesco e ordinamento dell’Unione europea, rispetto al quale essa non dà certo luogo a una soluzione di continuità. Una volta sollevata la questione della legittimità degli interventi della BCE, interprete unica e qualificata a fornire un’esegesi inconfutabile delle norme e dello spirito dei Trattati è la Corte di giustizia28. Quanto al merito della pronuncia, non rileva per il BVG la finalità dell’azione (ripristinare la catena trasmissiva della moneta) ma il suo effetto diretto primario (la riduzione degli spread di alcuni Stati i cui titoli siano oggetto di attacchi speculativi). Per questa ragione, il rinvio pregiudiziale (for a preliminary ruling) alla Corte di giustizia si artico-
assunte dalla Banca centrale europea in difesa dell’euro, nel contesto del Securities Market Programme. Era in particolare contestata l’iniziativa della BCE di acquistare sul mercato secondario titoli di debito pubblico degli Stati in crisi, in quanto priva di base giuridica e non giustificabile con il mero richiamo della straordinarietà della situazione quale fonte del diritto. Al riguardo, il BVG, pur rinviando una completa motivazione alla sentenza di merito, è stato particolarmente rigido ed ha negato “licenza bancaria” alla Banca Centrale perché il finanziamento al di fuori dei mercati primari aggirerebbe il divieto di finanziamento monetario dei bilanci degli Stati in crisi (art. 123 t.f.u.e.). 28 Né sono mancati in passato casi in cui l’interpretazione del servizio giuridico della BCE è stata sconfessata dalla Corte di giustizia. Il riferimento fin troppo ovvio è al celebre caso Olaf (Corte di giustizia, causa C-11/00 Commissione delle Comunità europee v Banca centrale europea, 10 luglio 2003, in cui la Commissione contestava la validità della Decisione della Banca Centrale Europea 1999/726/CE, del 7 ottobre 1999, relativa alla prevenzione delle frodi (BCE/1999/5). Si vedano, tra gli altri, i parr. 65, 89, 91 ss., in cui la CGCE palesemente evita di utilizzare il termine “istituzione” in relazione alla BCE.
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la in due quesiti. Le questioni sollevate riguardano, in primo luogo, la compatibilità della delibera sulle OMT col diritto primario dell’UE e col “mandato” della BCE, definito dagli artt. 119, 123 e 127 t.f.u.e. e dal protocollo sullo statuto del Sistema europeo delle banche centrali (SEBC). In secondo luogo, qualunque sia la risposta che si ritenga di poter dare alle tematiche affrontate dai giudici tedeschi, ci si deve peraltro chiedere quali implicazioni discendono dalle scelte effettuate dalla BCE in rapporto all’ordinamento giuridico dell’Unione. Ed è in relazione a questo ulteriore interrogativo che, nelle considerazioni che seguono, si cercherà di allineare alcuni elementi di giudizio. Una più compiuta risposta richiederà analisi infatti meditate, anche in relazione alle decisioni che verranno assunte dalla Corte di giustizia europea per effetto del rinvio pregiudiziale sulle suddette questioni operato dal BVG. Si ritiene, pertanto, necessario dedicare un approfondimento specifico a ciascuna delle questioni che emergono dalla sentenza in discussione. 1) Secondo l’impianto accusatorio edificato dal BVG, le OMT vanno oltre il mandato della BCE perché la loro realizzazione si risolve in un atto indipendente di politica economica come dimostrato dal suo obiettivo immediato: neutralizzare gli spread dei bond di alcuni Paesi sotto attacco. In tal modo le OMT possono essere considerate una forma di finanziamento degli Stati senza la legittimazione parlamentare né lo stretto monitoraggio previsto per i programmi di assistenza (la stretta condizionalità)29. Poiché l’Unione monetaria ha come ratio principale il mantenimento della stabilità dei prezzi (artt. 127, par. 1, e 130 t.f.u.e.), secondo i giudici di Karlsruhe la partecipazione della Germania all’Unione deve ritenersi subordinata al raggiungimento di tale obiettivo. Il trasferimento, da parte tedesca, della sovranità monetaria all’UE è costituzionalmente legittimo soltanto laddove la BCE si attenga rigidamente al ruolo e ai compiti a essa riconosciuti dal Trattato e dal proprio Statuto e si astenga dal c.d. monetary financing. La stabilità monetaria costituisce sì un interesse primario, ma va altresì contemperata con l’esigenza, ugualmente fondamentale, di non sottrarre alle loro responsabilità gli Stati che non
29 Il richiamo, nella precedente sentenza “ESM/Fiscal Compact”, al divieto di acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario da parte della BCE diretto a finanziare i bilanci statali «indipendentemente dall’andamento del mercato dei capitali», lasciava prefigurare l’esito del presente giudizio nel senso di una dichiarazione di illegittimità delle OMT. In realtà, secondo la difensiva della BCE, uno degli elementi chiave delle operazioni di acquisto consiste proprio nell’evitare di alterare o “sospendere” i meccanismi di mercato.
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rispettano la disciplina di bilancio30. Quel che è certo è che, così ragionando, i giudici tedeschi rigettano ogni interpretazione estensiva delle norme contenute nella parte terza, titolo VIII (Politica economica e monetaria) del t.f.u.e.31. L’effetto che più di ogni altro va evitato – si legge – è che l’intervento di “salvataggio” comporti una traslazione dei debiti e privi le istituzioni rappresentative (rectius, parlamenti nazionali) della concreta possibilità di far fronte agli impegni assunti nei confronti delle rispettive comunità (v. infra paragrafo 7). Un’analisi puntuale rileva che le acquisizioni di debito sovrano presentano due facce, tra di loro inscindibili: l’aiuto agli Stati in difficoltà da una parte, la stabilità del sistema dell’euro dall’altra. Che la BCE abbia titolo per intervenire a “difesa del sistema euro” non è dubitabile. È assodato, per un verso, che questa competenza non le è espressamente conferita e che nel diritto dell’Unione Europea vale il principio di attribuzione (art. 5 t.u.e.). Ma è pur vero, per altro verso, che la stessa Corte costituzionale tedesca ammette il ricorso ai criteri dell’effetto utile e dei poteri impliciti per l’interpretazione delle norme europee32 (sentenza Lis-
30 In questo senso vedi Visco, L’uscita dalla crisi del debito sovrano: politiche nazionali, riforme europee, politica monetaria, cit., p. 9, secondo cui le OMT «non consentono alla BCE di acquistare titoli di Stato ogni volta che il meccanismo di trasmissione della politica monetaria è interrotto, ma solo quando tale interruzione non riflette le condizioni di sostenibilità di uno Stato membro. Le OMT non sarebbero mai attuabili per acquistare titoli di un paese con una situazione di finanza pubblica insostenibile». 31 Si legge nella pronuncia del BVG sulle OMT che «Il mandato della Banca centrale europea è limitato dai trattati al campo della politica monetaria (artt. 119 e 127 ss. del t.f.u.e., art. 17 ss. statuto del SEBC)». Pertanto, la BCE non è autorizzata a perseguire la propria politica economica, ma può supportare solo le politiche economiche generali nell’Unione (art. 119, par. 2, art. 127, par. 1, per. 2, del t.f.u.e., (…) art. 2, co. 2, dello Statuto del SEBC). Se si assume – fatta salva l’interpretazione da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea – «che la decisione OMT deve essere qualificata come un atto indipendente di politica economica, essa viola chiaramente la distribuzione dei poteri. Tale spostamento di poteri sarebbe anche strutturalmente significativo, in quanto la decisione OMT verrebbe affiancata a misure di assistenza che fanno parte della ‘politica di salvataggio dell’euro’ e che appartengono agli aspetti fondamentali delle responsabilità politiche ed economiche degli Stati membri (cfr. art. 136, par. 3, t.f.u.e.)». Inoltre, «le OMT possono portare a una notevole ridistribuzione dei rischi tra gli Stati membri, e possono quindi ottenere gli effetti di un sistema di ridistribuzione fiscale, che non è contemplato dai Trattati europei». 32 Così Tosato, L’integrazione europea ai tempi della crisi dell’euro, in Riv. dir. int., 2012, p. 689. Più in generale – prosegue l’Autore – «la suprema salus dell’euro costituisce l’indispensabile premessa della stessa esistenza della BCE. Non mi pare quindi
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bona del 30 giugno 2009, parr. 237 e 242)33. Ora è inconfutabile che la stabilità dei prezzi, missione principale della BCE, presuppone necessariamente la stabilità monetaria. Ergo, la sopravvivenza del sistema-euro costituisce l’indispensabile premessa di qualsiasi azione della BCE, per cui non sembra esistere al riguardo un problema di competenza. 2) Sull’altro versante, quello dell’aiuto agli Stati in crisi, risulterebbe violata anche la norma dell’art. 123 t.f.u.e., che vieta alla BCE l’acquisto diretto di titoli di debito degli Stati membri; né a ciò si può obiettare che il programma OMT riguarda acquisti effettuati sul mercato secondario34. Sulla base di un’interpretazione teleologica del diritto primario, la Corte sostiene che la delibera della BCE semplicemente darebbe luogo ad un aggiramento del divieto di finanziamento monetario35. Sembra evidente che tale divieto non può essere eluso da misure funzionalmente equivalenti. Gli aspetti di cui sopra, cioè la neutralizzazione degli spread dei tassi di interesse, la selettività degli acquisti e il parallelismo con i programmi di assistenza dei Fondi salva-Stati (EFSF e ESM), indicano che la decisione OMT mira ad un’elusione dell’art. 123, par. 1, del t.f.u.e. Altri aspetti del piano della BCE concorrono, secondo il BVG, a supportare questa valutazione: i) la volontà di partecipare ad un taglio del debito per quanto riguarda i titoli da acquistare; ii) l’aumento del rischio legato alla possibilità di mantenere i titoli di Stato acquistati fino alla scadenza; iii) l’interferenza con la formazione dei prezzi sul mercato;
che quest’ultima ecceda dal suo mandato se eccezionalmente si fa carico di una funzione suppletiva, che di regola non le compete». 33 Si veda BVG, 30 giugno 2009 (Lissabon Urteuil), parr. 237 e 242. Secondo la Corte, «Germany may only partecipate if it ensured on the national level that constitutional requirements are complied with». 34 Secondo Tavassi, Le risposte dell’Unione Europea alla crisi del debito sovrano, in Innovazione e diritto, 2011, 2, p. 102, «il compromesso raggiunto, e cioè la creazione del meccanismo di stabilizzazione, così come la costituzione della società veicolo nonché i recenti interventi della BCE di acquisto di titoli di debito pubblico, seppure attuati sul mercato secondario, desta più di una perplessità in termini di legittimità rispetto alla clausola di no bail-out». 35 Secondo la Corte, la violazione del divieto di finanziamento monetario del bilancio (art. 123 t.f.u.e.) dovrebbe essere considerata una trasgressione manifesta e strutturalmente significativa dei poteri. «La violazione sarebbe palese perché il diritto primario prevede un esplicito divieto di finanziamento monetario del bilancio e, quindi, inequivocabilmente esclude l’intervento della Banca Centrale Europea per tali finalità. La violazione sarebbe anche strutturalmente significativa, perché il divieto di finanziamento monetario del bilancio è una delle regole fondamentali per la progettazione dell’Unione Monetaria come una ‘comunità di stabilità’».
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iv) l’esortazione, proveniente dal Consiglio direttivo della BCE, rivolto ai partecipanti al mercato per l’acquisto delle obbligazioni in questione sul mercato primario. Per giunta, difficilmente gli acquisti di titoli di Stato di alcuni Paesi dell’Unione Europea, effettuati allo scopo di abbassarne gli spread, potrebbero correttamente rientrare nel quadro operativo della politica monetaria della BCE, specie se, come avvenuto in passato, vengano realizzati mediante operazioni bilaterali che rendono possibili condizioni di favore per particolari titoli o per particolari controparti36. In ogni caso, affinché tali acquisti possano essere considerati una estensione dell’attuale politica monetaria espansionistica della BCE, occorrerebbe garantirne rigorosamente l’efficienza, la trasparenza e l’imparzialità, procedendo mediante aste ordinarie alle quali possano partecipare tutte le controparti ammesse alle ordinarie operazioni di mercato aperto37. I titoli dovrebbero essere acquistati iniziando da quelli offerti al prezzo più basso e dell’esito di tali operazioni si dovrebbe dare pubblico rendiconto, specificando il tipo dei titoli acquistati e il prezzo di acquisto. A “salvare” le OMT, sempre ad avviso della Corte tedesca, non potrebbe valere neppure l’invocazione del ricorrere di “circostanze eccezionali”, la cui rimozione con mezzi non ortodossi si giustificherebbe in nome di un effettivo perseguimento degli obiettivi di politica monetaria del Sistema europeo delle banche centrali. Del resto – si argomenta – «se si ritenesse ammissibile l’acquisto di titoli di Stato in occasione di qualsiasi perturbazione del meccanismo di trasmissione della politica monetaria, ciò equivarrebbe ad autorizzare la BCE a superare qualsiasi peggioramento della solvibilità di uno Stato membro dell’Eurozona acquistando titoli di debito di questo Stato» (par. 97). Gli acquisti di debito sovrano, se considerati isolatamente, non rientrano fra i compiti della BCE. Spetta ad altre istituzioni dell’Unione inter-
36 Sul punto cfr. Duffie, Replumbing Our Financial System: Uneven Progress, in International Journal of Central Banking, gennaio 2013, vol. 9 S1, pp. 252 s. A differenza della Federal Reserve, infatti, non rientra tra gli scopi della BCE l’obiettivo di mantenere a un livello moderato i tassi di interesse a lungo termine. 37 Secondo la Bundesbank, acquistando sul mercato secondario i titoli di Stato dei Paesi in difficoltà, la BCE incentiverebbe anche l’acquisto, da parte degli investitori, di bond sovrani sul mercato primario. Contra Tosato, BCE: Cosa può fare e cosa no, in lavoce.info, 5 dicembre 2011. Quanto al trasferimento di debiti da taluni ad altri Stati membri, a causa di perdite della BCE, l’A. ritiene che si tratti di «un pericolo eventuale e remoto, non tale da giustificare un giudizio di illegalità».
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venire, pur nei limiti stabiliti dal Trattato. Questo non vuol dire, tuttavia, che le misure in discorso siano illegittime. Sarebbe paradossale che la difesa dell’euro fosse ammessa se rivolta al sistema bancario, del che non si discute, e risultasse viceversa preclusa se ne fossero beneficiari gli Stati. Come si è appena rimarcato, la salvaguardia dell’euro costituisce, in ogni caso, un’esigenza prioritaria che giustifica la BCE a sconfinare dalle sue normali attribuzioni e intervenire in qualità di prestatore di ultima istanza. 3) Il fronte più ampio si apre, tuttavia, sul tipo di condizioni di bilancio e strutturali che dovranno essere associate al piano OMT. Una volta impegnatasi nell’assistenza a un Paese in difficoltà, difficilmente la BCE potrebbe ritrarsi e sospenderla. In tali condizioni la politica monetaria può essere “dominata” da obiettivi fiscali. Detto effetto si rivela non privo di conseguenze se l’assistenza viene protratta a favore di Paesi che non rispettano gli accordi prestabiliti. Per evitare che succeda è necessario stabilire ex ante parametri oggettivi affinché la BCE sia in dovere di sospendere gli aiuti. La precisazione di tali criteri sarebbe d’aiuto per l’indipendenza della Banca Centrale Europea e rafforzerebbe la delega di sovranità dei Paesi in crisi a favore degli altri partner. Ciò sarebbe, peraltro, confermato dalla peculiare natura delle OMT: esse si prefiggono finalità direttamente correlate alla politica economica dell’UE, hanno carattere selettivo e, in conseguenza dell’interdipendenza tra i timori sulla reversibilità dell’euro e quelli sulla sostenibilità dei debiti pubblici dei singoli Paesi, si muovono parallelamente ai programmi di aiuto del Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria e del Meccanismo Europeo di Stabilità. A differenza di questi ultimi, però, le misure adottate dalla BCE sono prive di legittimazione (e sfuggono al controllo) delle assemblee parlamentari38. Nei termini usati dalla Corte di Karlsruhe si avverte uno schematismo abbastanza improprio in materia cui si associa la richiesta di parametri restrittivi che rischiano di mettere nel nulla la stessa, pesante, regola della “condizionalità”39. Quello sulla condizionalità (ex art. 13, par. 3, trattato
38 Di fatto – come osserva ancora Tosato, L’integrazione, cit., p. 689 – «si delinea una sorta di modus vivendi o tacito compromesso tra BCE e governi: la prima agisce talora come prestatore di ultima istanza, ma ribadisce la straordinarietà e non ripetitività di certe sue misure; i secondi professano ossequio all’indipendenza della BCE, astenendosi dall’interferire con le sue decisioni anche quando non le condividono». 39 Cfr. Delledonne, La “prima volta” di karlsruhe: il rinvio pregiudiziale relativo alle outright monetary transactions, in www.csfederalismo.it, 25, 13 febbraio 2014.
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ESM)40 rappresenta indubbiamente il profilo intrinsecamente più importante e delicato del “piano OMT”. L’elemento strutturale che più di ogni altro rivela apertamente che la politica monetaria nell’area euro, cioè un’area valutaria con diversi Paesi membri priva di integrazione fiscale, è un vero e proprio unicum. Mai, infatti, si era vista, nella storia, una Banca Centrale vincolare i propri interventi all’azione di un’autorità fiscale41. L’uso del metodo della condizionalità è inoltre confermato dai recenti Trattati sul Meccanismo di Stabilità e sul Fiscal Compact. Nel nuovo quadro giuridico disegnato da tali Trattati (accordi internazionali esterni al sistema UE e caratterizzati al loro interno dal metodo intergovernativo) la BCE svolge un ruolo fondamentale: la concessione di aiuti finanziari agli Stati in difficoltà strettamente condizionata a impegni precisi di finanza pubblica e di riforme strutturali nell’ambito di programmi di assistenza dello ESM 42. Tale decisione viene assunta in collaborazione con la Commissione europea, mentre il Parlamento europeo viene relegato a svolgere un ruolo minimo43. Posta in questi termini, l’intera ques-
40 Il collegamento con gli strumenti di vigilanza dell’Unione è proposto all’art. 13, par. 3, ult. co., del Trattato ESM, il quale sancisce la necessità che l’accennato protocollo di intesa sia conforme alle «misure di coordinamento delle politiche economiche previste dal t.f.u.e.» e a «qualsiasi atto legislativo (…), compresi pareri, avvertimenti, raccomandazioni o decisioni indirizzate al membro dello ESM interessato»: si è così voluto introdurre un parallelismo tra le condizioni cui è subordinato l’intervento del Meccanismo e le misure stabilite dal Consiglio UE ai sensi degli artt. 126 e 136 T.F.U.E., escludendo la possibilità che lo Stato in causa debba soddisfare condizioni tra di loro in contrasto per poter accedere al sostegno finanziario e, al contempo, ottemperare agli obblighi derivanti dal divieto di disavanzo eccessivo. L’interazione tra lo ESM e le istituzioni dell’Unione è posto poi anche nella disposizione per la quale la Commissione è investita del compito di monitorare il rispetto delle condizioni di politica economica, in linea coi poteri di sorveglianza che le attribuisce il t.f.u.e. (art. 13, par. 7). 41 Il requisito della “condizionalità” – ha spiegato Mario Draghi – «è necessario a preservare la stabilità dei prezzi e ad assicurare che il piano OMT non sia un semplice palliativo per una struttura fiscale carente». 42 Si vedano, in proposito, l’art. 4, par. 4, e l’art. 5, par. 5, lett. g), del Trattato ESM. 43 La politica di condizionalità applicata nel quadro di ciascuno degli strumenti previsti è specificata dalle guidelines adottate dal Consiglio di amministrazione dello ESM (pubblicate alla pagina www.esmeuropa.eu/about/legal-documents/index.htm). Sinteticamente, la condizionalità è particolarmente forte per le operazioni di prestito, adottate sino ad oggi a vantaggio di Cipro – v. il contributo di Vellano, Il caso Cipro come epilogo, ovvero prologo, dell’ultima fase della crisi dell’area euro, in La crisi del debito sovrano, cit., p. 232 – e in presenza delle quali lo Stato beneficiario può accedere anche all’assistenza ex artt. 17 e 18 del Trattato ESM; essa assume invece natura ex ante per gli interventi precauzionali (ai quali può essere accompagnato l’acquisto diretto
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tione della legittimità democratica delle decisioni di assistenza ai Paesi membri, adottate da ESM, BCE e altri organismi tecnocratici europei per far fronte a situazioni di emergenza finanziaria, si è imposta da subito all’attenzione degli osservatori44. In realtà, questa “condizionalità”, che ben si adatta alla situazione dei Paesi colpiti dalla speculazione finanziaria, agisce come deterrente per gli Stati membri, poiché tempra le loro politiche di austerità45, nella speranza di non dover ricorrere all’assistenza dello ESM46.
di strumenti di debito sovrano); condizioni circoscritte alla ristrutturazione del settore finanziario sono invece contemplate per interventi ex art. 15 del Trattato ESM, senza che siano però escluse ampie riforme macroeconomiche (come per la Spagna, che ha avuto accesso alle risorse dello ESM nel dicembre 2012). 44 Come si ricorderà, le modalità con cui sono maturate le misure di sostegno del luglio-agosto 2011 a favore, in particolare, di Spagna e Italia, sono state inedite e in qualche misura extra ordinem. L’intervento sul mercato, infatti, veniva preceduto dall’invio di due lettere riservate ai governi italiano e spagnolo, in cui il Presidente della BCE, con la controfirma del Governatore della Banca Centrale Nazionale, indicava un elenco di misure macroeconomiche e di scelte legislative da adottare al fine di ripristinare condizioni di sostenibilità fiscale e di accrescere la competitività. Tali indicazioni risultavano, nella tempistica e nel grado di dettaglio, più stringenti rispetto a quanto convenuto fino a quel momento tra i Capi di Stato e di governo, con il supporto della Commissione. Veniva così di fatto introdotta una nuova forma di «condizionalità» parallela e ulteriore rispetto a quella prevista e regolata nell’ambito dei programmi di assistenza finanziaria. Nel tentativo di rafforzare la base di legittimazione della procedura seguita, la BCE richiamava la necessità di dare immediato seguito a quanto concordato dai Capi di Stato e di governo nel precedente Consiglio del 21 luglio 2011. Inoltre, in modo singolare, la BCE dichiarava di accogliere con favore gli intendimenti in tal senso espressi da Francia e Germania in un vertice bilaterale svoltosi lo stesso giorno. Sulla base di tali elementi, la BCE annunciava il passaggio alla fase attuativa del programma di interventi volto a «ripristinare una migliore trasmissione delle decisioni di politica monetaria, tenendo conto delle disfunzioni in singoli segmenti di mercato, al fine di assicurare la stabilità dei prezzi nell’area dell’euro» (v. Dichiarazione del Presidente della BCE, 7 agosto 2011). 45 Cfr. Messina, La nuova governance economica e finanziaria dell’Unione: aspetti giuridici e possibili scenari per la sua integrazione nell’ordinamento giuridico UE, in www.federalismi.it, 13 novembre 2013, p. 5. Sia ben chiaro, «non si tratterebbe di assolvere lo Stato inadempiente dalle sue responsabilità, sostituendosi negli impegni da esso assunti, ma di far si che eventuali misure di sostegno siano attuate in modo appropriato, in particolare mediante il ricorso alla condizionalità degli aiuti, subordinando gli stessi a dei programmi concordati di risanamento dei bilanci, come in effetti accade per tutte le forme di sostegno adottate». 46 Cfr. Pinto, The Memorandum of Understanding (Mou) of Specific Economic Policy Conditionality Celebrated between Portugal and the Troika, in European Public Private Partnership Law Review, vol. 6, 2, 2011, pp. 220 ss. Gli Stati membri dell’euro e, in
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Anche se non si tratta di un “aiuto”, ovvero di un salvataggio dal default in stile Grecia, ma di interventi UE sui mercati per abbattere gli spread, le ambiguità delle regole che li fanno scattare non pongono i governi al riparo da condizioni capestro sul modello di quelle imposte allo Stato ellenico47. Se poi si tiene conto del fatto che competente a decidere sui dettagli del Memorandum è l’Eurogruppo (costituito dai ministri delle Finanze dell’Unione), tutto lascia presupporre che i vincoli destinati a controbilanciare l’attivazione dello scudo anti-spread saranno stringenti48. Come si è già avuto modo di precisare, l’avvio delle OMT da parte della BCE può essere realizzato sia nel caso in cui l’assistenza finanziaria da parte dello ESM allo Stato interessato sia stata accordata mediante un programma di tipo precauzionale (Pccl), sia nel caso in cui l’assistenza richiesta preveda un programma di assistenza a pieno titolo (Eccl). Peraltro, la condizionalità che caratterizza il funzionamento dello ESM rimane sostanzialmente incentrata sul rispetto di parametri di bilancio, quasi senza considerare che il pareggio di bilancio si basa sull’ipotesi, dimostratasi errata, che i mercati funzionino in modo perfetto e che siano capaci di valutare il rischio derivante da un elevato debito49.
particolare, i PIGS sono stati in grado di dimostrare un alto senso di responsabilità e di intraprendere le politiche necessarie per non minare la stabilità della moneta comune. Il caso della Grecia è, probabilmente, l’esempio più significativo, come dimostrato nel contributo di Manolopoulos, Greece’s “odious” debt: the looting of the Hellenic Republic by the Euro, the Greeks, the political elite and the investment community, London, 2011. 47 Per maggiori dettagli si rinvia a Lo Bue, Il ‘guinzaglio di Karlsruhe’ e la sentenza del Bundesverfassungsgericht sul piano di aiuti alla Grecia, in Nuove autonomie, 2012, 1, pp. 123 ss. 48 Si noti che anche il Trattato che istituisce lo ESM è piuttosto ambiguo al riguardo, poiché prevede tra le condizioni per l’aiuto (art. 12) da una parte «il rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite», ma dall’altra giustappone «un programma di correzioni macroeconomiche», cioè qualcosa potenzialmente simile a quanto imposto a Grecia, Irlanda e Portogallo. In tal caso gli Stati aiutati non sfuggono a una ferrea vigilanza da parte di Commissione Europea, BCE e FMI. Un menù insomma che è tutto all’infuori dell’autocertificazione soft degli impegni già presi. 49 Tuttavia, il ricco strumentario elaborato dalla BCE non è scattato di fronte all’emergenza della crisi cipriota. Più di qualcuno vi ha visto un’applicazione anticipata del meccanismo di salvataggio degli istituti di credito previsto nella proposta di direttiva della Commissione del 6 giugno 2012, caratterizzato proprio dal bail-in anziché dal bail-out, ovvero dal ricorso a risorse interne agli istituti stessi (azioni, obbligazioni e depositi non garantiti). Il dato interessante si rinviene proprio nella volontà di non attivare gli strumenti in questione, scelta che lascia comprendere come non vi sia alcun automatismo nell’intervento della BCE.
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Sotto il profilo giuridico, l’enfasi che viene posta sulla condizionalità per l’accesso agli aiuti rinsalda la conformità degli interventi della BCE e dello ESM alle disposizioni dell’art. 122, par. 2 e dell’art. 125 t.f.u.e.: la richiesta di aiuto sarà valutata singolarmente e potrà concretizzarsi in un salvataggio che contribuirà, sulla base delle condizioni concordate, a salvaguardare la stabilità del sistema. In tale contesto viene ad innescarsi una corresponsabilità tra le istituzioni europee e i governi nazionali le cui le politiche, presentate per accedere ai finanziamenti, avranno un ruolo determinante non solo per l’attivazione dello ESM, ma anche per il complementare intervento della BCE. Si viene, dunque, a configurare un sistema in cui la condizionalità rappresenta la catena di trasmissione non solo per un tandem BCE-ESM, ma anche per l’interazione tra istituzioni europee e nazionali, nel cui ambito l’indipendenza della Banca Centrale nella decisione di intervenire sarà influenzata non tanto dai rappresentanti dei Paesi all’interno del Board, quanto dall’efficacia delle politiche poste in essere dai governi che chiedono sostegno allo ESM. Ne deriva un rimbalzo del nodo risolutivo della crisi dal piano economico finanziario a quello politico: sarà responsabilità di ciascun governo adottare misure coerenti con un’integrazione economico finanziaria ancora una volta propedeutica all’auspicata integrazione politica.
5. Le contrapposte posizioni della Bundesbank e della BCE: la dialettica degli opposti. La controversia innanzi ai giudici costituzionali tedeschi può essere esaminata anche come il “risvolto” di una diversità di orientamenti concernenti il metodo e le modalità del processo d’integrazione nell’UE complessivamente considerato così come emerge dai due pareri della Bundesbank e della BCE inviati al BVG50. Come si può facilmente intuire, infatti, la Corte di Karlsruhe si è assunta l’arduo compito di ricondurre la contrapposizione tra due visioni
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Rispettivamente il 21 dicembre 2012 e il 17 gennaio 2013, la Bundesbank e la BCE hanno inviato pareri ai giudici costituzionali e nei giorni 11 e 12 giugno 2013 si sono tenute due distinte audizioni, del Presidente della Bundesbank Jens Weidmann e di Joerg Asmussen, membro del Comitato esecutivo della Banca Centrale, che in sostanza rispecchiano il contenuto dei due pareri.
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molto contrastanti della strategia monetaria: quella della Bundesbank che si ispira all’ortodossia del rigore finanziario, e l’altra della BCE che, dentro gli stretti ambiti del suo mandato, cerca al contrario di evitare che l’Unione vada incontro ad un temutissimo processo di “disintegrazione”, ben consapevole dell’insufficienza di interventi che, sia pure legittimi, non sono corredati da una adeguato assetto istituzionale. I due pareri incarnano la dialettica degli opposti, per forma e contenuto. In una dettagliata deposizione inviata alla Corte, la Bundesbank giunge alla conclusione che le differenze nel livello dei tassi di interesse nei vari Paesi dell’Eurozona riflettono i fondamentali economici, anziché il mancato funzionamento del meccanismo di trasmissione: pertanto il piano OMT è da considerarsi al di fuori del mandato della BCE. Per vero, quella della Banca Centrale Tedesca appare più che altro come una dichiarazione costituente travestita da sentenza. Il principale argomento con il quale la Bundesbank ha dichiarato la sua contrarietà alle OMT riguarda essenzialmente i rischi che gli acquisti di titoli pubblici da parte della BCE arrecherebbero alla stabilità monetaria, poiché si tratterebbe di vere e proprie forme di finanziamento dei bilanci statali, che potrebbero indurre gli Stati meno virtuosi verso comportamenti “lassisti”51. Inoltre, a parere della Bundesbank, sarebbe a rischio la stessa indipendenza della BCE, che si troverebbe nella posizione di essere il principale creditore dello Stato interessato. Nelle sue argomentazioni, la BCE ha, invece, sostenuto la necessità del ricorso alle OMT al fine di salvaguardare la trasmissione monetaria e l’univocità delle politiche monetarie, in considerazione della crescente “stretta creditizia” e del generale declino delle attività economiche soprattutto in alcuni Paesi dell’eurozona, aspetti che dimostrerebbero l’indebolimento evidente della funzione fondamentale del tasso di riferimento stabilito dalla stessa Banca centrale. La posizione difensiva assunta dalla BCE risponde alle necessità di questa di mantenersi indipendente, di sottolineare come la politica monetaria messa in atto con le OMT sia diretta esclusivamente a fugare la paura per la possibilità di un’eventuale rottura della moneta unica, senza
51 Le limitazioni principali volute dalla Bundesbank – più controlli e un tetto massimo alle transazioni – riflettono le paure che parte dell’opinione pubblica tedesca nutre. Non si vuole che tramite le OMT si generino limitazioni al consolidamento fiscale all’interno della zona euro. In altri termini, si vuole evitare che ci siano trasferimenti di denaro dal cuore alla periferia dell’area euro senza che quest’ultima continui nel processo di ribilanciamento della spesa pubblica e nelle riforme promesse.
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per questo interferire con le questioni di rischio creditizio che devono essere lasciate ai mercati. L’accento posto sul carattere monetario della misura è d’altronde manifesto sin dalla denominazione. Nell’illustrare i tratti salienti delle operazioni in esame, la BCE evidenzia altresì come le caratteristiche dello strumento siano state concepite nell’ottica del rispetto dell’art. 123 t.f.u.e. L’argomento sostanziale impiegato dalla Banca Centrale Europea a difesa del proprio operato è la non contraddizione con lo spirito della norma stessa52. Una serie di limitazioni sono state, infatti, appositamente introdotte per evitare che, attraverso siffatti interventi, la BCE possa contravvenire al divieto di finanziare i deficit dei Paesi membri dell’Unione monetaria53. La BCE sembra, tuttavia, mantenere un certo grado di “ambiguità costruttiva” attorno alle questioni che riguardano la misura degli interventi sul mercato secondario. Secondo altri, invece, la Banca Centrale Europea non può essere in grado di indicare fino a che punto possa intervenire e che le stesse OMT siano ancora in discussione. Nello specifico, la BCE ha sostenuto che il rischio d’inflazione derivante dalle OMT sarebbe immediatamente “sterilizzato” e la “stringente condizionalità” delle procedure di acquisto costituirebbe la garanzia degli adempimenti da parte degli Stati interessati. Nel primo caso, la possibilità di intervenire sul mercato secondario configura, di fatto, uno spiraglio per realizzare una sorta di monetizzazione indiretta del debito54. Quando, infatti, la Banca Centrale Europea interviene acquistando titoli del debito pubblico in una fase di espansione del deficit, essa elimina il costo del finanziamento con debito a carico dello Stato calmierando i rendimenti sui titoli già emessi.
52 Tale divieto è oggetto di importanti puntualizzazioni nel regolamento (CE) n. 3603/93 del Consiglio del 13 dicembre 1993, che precisa le definizioni necessarie alla sua applicazione, in GUL 332 del 31 dicembre 1993, in particolare il 7° considerando. 53 Per i dettagli tecnici del piano OMT v. supra par. 2. 54 Invero, l’acquisto dei titoli sul mercato secondario può sembrare una modalità fin troppo semplice per aggirare il divieto di cui all’art. 123 t.u.e.f., un punto su cui conviene la Corte costituzionale tedesca. Una posizione già espressa anche nel punto 277 della precedente sentenza del BVG del 12 settembre 2012 sullo ESM. Il Fondo permanente salva-Stati «impiega i mezzi posti a sua disposizione – vietati alla Banca centrale europea ai sensi dell’art. 123, par. 1 – per la stabilizzazione finanziaria diretta degli Stati membri». Nel punto successivo si precisa che «(…) anche un acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario da parte della Banca centrale europea, il quale sia finalizzato al finanziamento (…) dei bilanci degli Stati membri, (…) è in ogni caso vietato come aggiramento del divieto di finanziamento monetario dei bilanci».
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Tuttavia, questi interventi sono regolarmente sterilizzati, in modo da evitare allentamenti indesiderati della politica monetaria (rectius, aumento della “massa monetaria in circolazione”); né implicano alcuna concessione diretta di credito ai debitori sovrani in crisi, dato che gli acquisti dei titoli avvengono nel mercato secondario55. Mentre, infatti, l’acquisto di titoli in asta è strettamente legato alla monetizzazione del debito pubblico, l’intervento sul mercato secondario ha generalmente una motivazione di politica monetaria – ossia la necessità di effettuare operazioni di mercato aperto. In un certo senso l’esistenza di un mercato liquido e “spesso” di titoli del debito pubblico – e quindi di un livello non insignificante di debito pubblico – è una pre-condizione per l’implementazione di una politica monetaria efficiente. Se dunque l’appiglio giuridico che priverebbe la BCE della facoltà di sottoscrivere titoli del debito statale e di sostenere i loro corsi, è rappresentato in extrema ratio dall’art. 123 del Trattato di Lisbona, detto divieto non impedirebbe alla BCE di intervenire indirettamente per il tramite delle banche ordinarie56. Si aggiunga che il sostegno sul mercato secondario offerto dalla BCE ad alcuni Stati membri se limitato a brevi e circoscritti interventi di stabilizzazione rientra a pieno titolo nei limiti di azione previsti dal Trattato, essendo interpretabile come mera preservazione dei meccanismi di trasmissione della politica monetaria57. Diversamente, quando tali interventi si protraggono, assumono de facto il carattere di un trasferimento fiscale dagli Stati virtuosi a quelli oggetto di attacco speculativo. Nel secondo caso, il ricorso alle OMT è limitato ai titoli dei Paesi che abbiano espressamente richiesto l’assistenza dello ESM. Per questo l’attivazione delle OMT e il loro proseguimento sono condizionati a impegni precisi in termini di finanza pubblica e di riforme strutturali nell’ambito di programmi di assistenza58. La prosecuzione delle operazio-
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Sul punto cfr. Tosato, BCE, cit. In tal senso v. Napolitano e Perassi, La Banca Centrale, cit., p. 44. 57 Il presidente della BCE, Mario Draghi, in occasione della sua relazione dinnanzi ai rappresentanti degli Stati membri (v. European Parliament Bulletin Session 10-13 September 2012), ha ribadito che l’acquisto di obbligazioni governative per un periodo massimo di tre anni non configura un aiuto monetario agli Stati membri perché costituisce un prestito troppo breve per classificare tali operazioni come “creazione di moneta”. 58 Cfr. Cour-Thimann e Winkler, The ECB’s non-standard monetary policy measures the role of institutional factors and financial structure, Working Paper SerieS, No 1528/ april 2013, pp. 5 s. 56
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ni – come si è già illustrato – è, poi, subordinata al pieno rispetto da parte del Paese beneficiario degli impegni presi nel quadro di un’apposita dichiarazione d’intenti (Memorandum of Understanding) concordata con lo ESM, in cui sono dettagliati i vincoli e gli impegni relativi alla disciplina di bilancio e alle riforme strutturali da realizzare. Si tenga in debito conto, altresì, che alla definizione delle condizioni e al monitoraggio del programma concorre anche il Fondo Monetario Internazionale. Anche la questione dell’indipendenza della stessa BCE, finalizzata ad evitare la dominanza politica e, quindi, fiscale, sarebbe salvaguardata, poiché la Banca deciderebbe di intervenire caso per caso, sulla base di valutazioni proprie e per finalità di politica monetaria. La BCE chiarisce, quindi, che l’obiettivo delle OMT non sarebbe quello di eliminare i fisiologici meccanismi di mercato, bensì di ridurre i “picchi” ingiustificati tra i tassi di interesse, rimanendo nell’ambito del suo mandato e del rispetto del diritto UE.
6. Lo scollamento tra quadro normativo e realtà fattuale. La questione della legittimità degli interventi della BCE passa attraverso un’interpretazione sistematica e teleologica dei Trattati. Non traggano in inganno gli esoterismi sia giuridici che economici: ambedue le questioni sollevate dai giudici costituzionali esprimono una netta visione politica e dalle risposte che verranno loro date dipenderanno gli assetti costituzionali dell’Unione Europea del futuro59. Questo vuoto legale, che i padri dell’euro credevano di poter semplicemente ignorare, adesso si presenta come lo scoglio su cui rischia di naufragare l’Unione Europea, di per sé tra gli esperimenti di ingegneria istituzionale più ambiziosi e per ciò stesso più carichi di rischi in caso di difetto di “progettazione”. A fronte dell’evidente scollamento tra il quadro normativo che emerge dal Trattato e la realtà fattuale, è dunque il caso di capire se l’intervento della BCE sia ciononostante da apprezzarsi come opportuno o addirittura necessario; c’è infine da chiedersi se sia o meno da considerare in palese violazione delle norme.
59 Cfr. Rusconi, La sovranità tedesca e le istituzioni europee, in Il Mulino, 2012, 5, pp. 767 ss.; Sarrazin, Europa braucht den Euro nicht. Wie uns politisches Wunschdenken in die Krise geführt hat, München, 2012; Steinbrück, Unpolitisch aufs Scheitern fixiert, in Frankfurter Allgemeine Zeitung, 23 maggio 2012.
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Non è chiaramente questa la sede per addentrarsi nei dettagli di questi aspetti, né tantomeno di avventurarsi in un tentativo di valutazione delle loro conseguenze sul piano empirico, ma molte autorevoli analisi, incentrate sugli errori commessi nel processo di costruzione dell’euro, pongono l’accento sull’unificazione della politica monetaria disgiunta dall’unione delle politiche fiscali, da cui sono derivate tutta una serie di rilevanti conseguenze in termini di azzardo morale60 e redistribuzione occulta di ricchezza da uno Stato all’altro. Occorre infatti riconoscere – come opportunamente sottolineato dal BVG – che, nel caso dell’Unione monetaria europea, lo svolgimento da parte della BCE del ruolo di prestatore di ultima istanza nei confronti dei debitori sovrani, se esplicitamente dichiarato, costituirebbe un serio problema di azzardo morale, perché gli Stati potrebbero essere incoraggiati a scaricare sulla Banca Centrale gli effetti dei loro comportamenti finanziariamente poco rigorosi61. Per evitare tale rischio è indispensabile che la BCE segua una strategia deliberata, che rispetti i presupposti indicati ex ante e una serie di condizioni, tra le quali ha rilievo primario il vincolo dei bilanci pubblici all’equilibrio della finanza, onde assicurarne la sostenibilità. Per conseguire quell’obiettivo, vi è una varietà di soluzioni e percorsi, inclusa la formalizzazione del vincolo all’equilibrio nella costituzione nazionale62.
60 Secondo Mankiw, Principles of Economics, Thompson South Western, 2007, p. 484, la locuzione “moral hazard” può essere sinteticamente spiegata come «the tendency of a person or entity that is imperfectly monitored to engage in undesirable behavior». Sull’argomento si rimanda, in particolare, alla nota della Banca Centrale Europea, Reinforcing Economic Governance in the Euro Area, 10 giugno 2010, p. 11 ss., ove si sottolinea l’esigenza di introdurre un sistema in grado di minimizzare il rischio di «azzardo morale». Come precisato da Panico e Purificato, The Role of Istitutional and Political Factors in the European Debt Crisis, datt., Napoli, 2012, p. 20, «the moral hazard problems as to the behaviour of the involved actors emerge when the central bank plays the role of lender of last resort in favour of both the banking and the Government sector. Yet, they have only been mentioned to curtail the BCE’s intervention in favour of the Government sector, in spite of the fact that, during the last two decades, the moral hazard problems posed by the behaviour of the Government sector have proved easier to solve than those posed by the behavior of the banking sector». 61 Questo non dovrebbe essere un problema della BCE, bensì delle altre istituzioni europee (Commissione e Consiglio) che dovranno imporre e far rispettare le nuove regole di governance della politica fiscale contenute nel c.d. Six-pack o pacchetto di sei punti, approvato dall’Ecofin del 4 ottobre 2011. 62 Si osservi, a tal riguardo, che la complementarità del ruolo svolto dalla Banca Centrale rispetto al rafforzamento della governance economica dell’UE è testimoniata
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Una soluzione di questo tipo presenta una serie di vantaggi e inconvenienti, che in buona parte esulano dall’ambito di un’indagine giuridica. Le norme di tipo proibitivo (artt. 123, 124 e 125 t.f.u.e.) costituiscono le clausole di salvaguardia di un ordine giuridico63 nel quale assume uno specifico rilievo la necessità di prevenire l’attivazione del meccanismo perverso del moral hazard. Queste regole si basano su principi economici chiari e solidi e costituiscono nel loro insieme l’architrave del “codice di bilancio” dell’Unione. Il primo vieta forme di finanziamento diretto agli Stati membri, il secondo qualsiasi misura che offra all’Unione o ai singoli Stati forme di accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie e il terzo il subentro nelle passività contratte dai Paesi dell’UE (c.d. no bail-out clause). Il combinato disposto delle suddette disposizioni comporta, nei fatti, la piena separazione tra il potere monetario, esercitato a livello dell’Unione, e quello fiscale dei Paesi denominato in valuta estera, fuori pertanto dal controllo del Paese stesso e senza possibilità di essere monetizzato. Questi “paletti” sono stati inseriti nel Trattato proprio al fine di esercitare un effetto disciplinante sui governi nazionali e scoraggiare un ricorso eccessivo all’indebitamento (attraverso politiche di deficit spending). In particolare, il “divieto” di bail-out provision di cui all’art. 125 t.f.u.e. è finalizzato, stante l’impossibilità di ricorrere a svalutazioni del cambio, all’implementazione di politiche fiscali responsabili, da adottare nella consapevolezza che manovre di bilancio poco coerenti con finanze pubbliche sane indurrebbero gli Stati, nel lungo periodo, a pagare un prezzo molto alto per finanziarsi sui mercati.
anche dal fatto che, ai sensi dell’art. 13, par. 3, co. 2, Trattato ESM, il protocollo d’intesa, recante le condizioni per l’assistenza finanziaria, cui è strettamente legata l’attivazione dello “scudo anti-spread”, deve essere pienamente conforme alle misure di coordinamento delle politiche economiche previste dal t.f.u.e., le quali comprendono non solo gli artt. 119 – 121 e 126 t.f.u.e., ma anche le norme contenute nei c.d. “Six-Pack” e “Two-Pack” e, infine, nel Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria. A questo riguardo, infatti, è opportuno ricordare che dall’1 marzo 2013 l’assistenza finanziaria ai sensi del Meccanismo europeo di stabilità è condizionata alla previa ratifica del Fiscal Compact. 63 In particolare, nel par. 2 dell’art. 122 t.u.e.f. si precisa che: «qualora uno Stato membro si trovi in difficoltà o sia seriamente minacciato da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo, il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere a determinate condizioni un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato. Il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo in merito alla decisione presa».
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In tale ottica anche l’art. 126 t.f.u.e., relativo al divieto di disavanzi eccessivi appare complementare al divieto di salvare uno Stato con bilanci in deficit64. Tutte le norme or ora richiamate esplicitano un assunto coerente con la sovranità di bilancio di competenza singoli Stati: i debiti contratti da uno Stato rimangono dello Stato contraente e non sono posti a carico dell’Unione o di altri Stati. La ratio, dunque, risiede nella garanzia di stabilità del sistema. Parte della dottrina, sulla base di un’interpretazione letterale, sostiene che l’art. 125 t.f.u.e. mira esclusivamente a vietare quegli aiuti che per loro natura implicano un accollo definitivo e a titolo gratuito del debito, e non si spinge sino ad escludere qualsiasi tipo di sostegno finanziario, caratterizzato in particolare dal requisito della condizionalità. È proprio nel requisito della condizionalità (prima alla Grecia, poi all’Irlanda e infine a Spagna e Cipro65 sono state richieste precise e stringenti misure di risanamento finanziario) che si ravvisa la sinallagmaticità richiesta per evitare che i fondi messi a disposizione si caratterizzino per l’elemento della gratuità. In buona sostanza, quindi, l’art. 125 t.f.u.e. non vieterebbe l’assistenza finanziaria ad uno Stato membro, che rimarrebbe responsabile dinnanzi ai propri creditori, purché le condizioni dell’assistenza stimolino una politica di bilancio virtuosa. Non è tutto: a fronte di una assenza di previsioni normative per un intervento a sostegno dei bilanci nazionali da parte della BCE in caso di crisi, vi è nel t.f.u.e. una chiara opzione di principio a favore della competenza delle istituzioni politiche – Consiglio in primis – tanto nella gestione delle crisi (artt. 122, 136, ult. par. aggiunto), quanto nella sorveglianza sui
64 Cfr. Peroni, Il Trattato di Lisbona e la crisi dell’Euro: considerazioni critiche, in Il diritto dell’Unione europea, 2011, 4, pp. 971 ss. e p. 977; Fabbrini, The Outcomes of Intergovernmentalism: the Euro Crisis and the Transformation of the European Union, in The Euro Crisis and the State of European Democracy, cit., p. 102 s. Alla suindicata separazione si aggiunge il problema dell’effettività del coordinamento delle politiche economiche, compromessa dalla scarsa incisività delle procedure di sorveglianza multilaterale, ex art. 121 t.f.u.e., e di constatazione di disavanzi eccessivi, ex art. 126 t.u.e.f., ma soprattutto del regime sanzionatorio previsto in caso di inottemperanza. 65 Sui termini dell’accordo raggiunto il 27-28 giugno 2012 per il salvataggio del sistema bancario spagnolo, frutto di una “generosa” concessione della Germania a una richiesta pressante della Spagna, si rimanda al lavoro di Giannetti, La crisi internazionale del 2008 in Spagna e la risposta europea, in Innovazione e diritto, 2013, 5, pp. 95 ss. Sulle peculiarità del caso Cipro si veda, invece, Vellano, Il caso Cipro come epilogo, ovvero prologo, dell’ultima fase della crisi dell’area euro, cit., pp. 228 ss.
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bilanci nazionali (artt. 121 e 126)66, più tutti i regolamenti che nel tempo si sono succeduti a completamento del Patto di stabilità e di crescita, da ultimo i cc.dd. Six Pack (o “pacchetto di sei punti”) e Two Pack67. Tuttavia, a bilanciare la rigorosità del sistema si pone l’art. 122 t.f.u.e. che prevede la possibilità di concedere finanziamenti ad uno Stato membro quando «sia seriamente minacciato da gravi difficoltà» oppure in caso «di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo», in «uno spirito di solidarietà tra Stati membri». L’applicazione dell’art. 122 t.f.u.e. presuppone una valutazione dei singoli casi oggetto di intervento, tale da giustificare il sostegno finanziario ad uno Stato che versa in difficoltà gravi non imputabili al suo governo della finanza pubblica68. A tal riguardo vanno considerati almeno due punti: in primo luogo, nell’eccezionale crisi in atto non è sempre decifrabile la quota di responsabilità da attribuire alle politiche condotte dai singoli Stati poiché la situazione debitoria è determinata anche dagli andamenti del mercato; in secondo luogo, la valutazione del singolo caso non può essere distinta dal
66 Il primo dei due articoli è il cardine del coordinamento delle politiche economiche nell’Unione e nell’eurozona, prevede l’adozione annuale degli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e dell’Unione e la possibilità di indirizzare raccomandazioni a quegli Stati che se ne discostano; il secondo prevede il divieto di deficit e debiti eccessivi e tutti i passaggi essenziali che consentono di sanzionare quegli Stati che vengono meno a tale previsioni. Protagonista assoluto delle due disposizioni di carattere fortemente intergovernativo è il Consiglio, che delibera senza la partecipazione del Parlamento su documenti predisposti dalla Commissione. I paragrafi finali di entrambi contengono le basi giuridiche su cui si è edificato il Patto di stabilità. 67 Cfr. Dickmann, Governance economica europea e misure nazionali per l’equilibrio dei bilanci pubblici, Napoli, 2013, passim; Peroni, La crisi dell’Euro: limiti e rimedi dell’Unione economica e monetaria, Milano, 2012, passim; Overbeek, Sovereign Debt Crisis in Euroland: Root Causes and Implications for European Integration, in The International Spectator, 2012, vol. 47, pp. 30 ss. e pp. 38 ss.; Ruffert, The European Debt Crisis and European Union Law, cit., pp. 1777 ss.; Chiti, Le istituzioni europee, la crisi e la trasformazione costituzionale dell’Unione, in Giorn. dir. amm., 2012, 7, pp. 783 ss.; Chaltiel, Le Traité sur la Stabilité, la Coordination et la Gouvernance: du Fédéralisme Monétaire au Fédéralisme Budgétaire?, in Revue de l’Union Européenne, 2012, 558, pp. 293 s.; Athanassiou, Of Past Measures and Future Plans for Europe’s Exit from the Sovereign Debt Crisis: What is Legally Possible (and What is Not), in ELRev., 2011, vol. 36, pp. 558 ss. 68 L’art. 122 t.f.u.e. costituirebbe così una sorta di norma speciale in deroga all’art. 125 t.f.u.e.; di conseguenza, misure di salvataggio in principio vietate si reputano ammesse in presenza di circostanze eccezionali. Sul punto cfr. Tosato, L’integrazione, cit., p. 687; Luciani, Il Bundesverfassungsgericht e le prospettive dell’integrazione europea, in http://www.astridonline.it/Riforma-de/Documenti/Corte-cost/Luciani_Relaz_Convegno-21_09_09.pdf
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contesto di integrazione economica nel quale si è sviluppata e sul quale ricadranno comunque gli effetti; richiede pertanto una visione d’insieme, coerentemente con la ratio di stabilità dello stesso art. 125 t.f.u.e. Volendo trarre alcune prime conclusioni, se il divieto di bail-out è strumentale all’obiettivo della stabilità dell’Unione economica, ne consegue che l’interpretazione dell’art. 125 t.f.u.e. non può che focalizzarsi sul perseguimento della stabilità prima che sul rispetto del divieto. Se dunque si vuole accogliere questa linea interpretativa, è altresì plausibile sostenere che il sostegno finanziario concesso agli Stati maggiormente coinvolti dalla crisi, non configura di per sé una violazione del divieto di bail-out; non rilevando in tal senso neanche una situazione di bilancio in deficit, poiché lo schock asimmetrico che attanaglia l’Europa può considerarsi una situazione “fuori controllo” di cui all’art. 122 t.f.u.e.69.
7. La questione della presunta lesione del principio democratico. Oltre all’interesse suscitato dallo scontro tra differenti orientamenti sull’adozione delle OMT in particolare, e sugli indirizzi di politica monetaria in generale, l’ulteriore fattore degno di nota riguarda gli effetti della pronuncia del Tribunale di Karlsruhe destinati ad espandersi ben al di là dell’ambito della specifica questione per la quale la Corte viene adita e ad incidere sul più ampio quadro delle dinamiche dell’integrazione europea, che la gestione della crisi economico-finanziaria ha contribuito a rendere inevitabilmente più complesse. Altra, generale questione, che però non può essere qui compiutamente ripresa, investe i canali usuali della partecipazione politica che, di fronte all’accettazione obtorto collo di decisioni altrove interamente confezionate, risultano essere ostruiti ovvero deformati, al più forte-
69 Come è noto, non è stata questa l’interpretazione prevalsa nell’ambito del Consiglio Ecofin del dicembre 2010 in cui è stata preferita un’esegesi restrittiva dell’art. 122 t.f.u.e., tale da escluderne un’applicazione analoga a quella utilizzata nel sostegno alla Grecia e determinare così la costituzione di nuovi strumenti. La definizione dell’art. 122 t.f.u.e. come “counterweight” della no bail-out clause è di Louis, The No-Bailout Clause and Rescue Packages, cit., p. 983; in una diversa prospettiva Ruffert, The European Debt Crisis and European Union Law, in Common Market Law Review, cit., pp. 1778 ss., specie p. 1786, osserva che si viene così a configurare un’evoluzione da un sistema basato sul “no bail-out” ad uno fondato sul mutuo soccorso, evoluzione che non potrà consolidarsi attraverso una mera reinterpretazione del Trattato o attraverso una sua tacita modifica.
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mente ristretti, nel mentre le assemblee parlamentari appaiono essere l’ombra di se stesse70, svilite a meri terminali di un potere che ha altrove la sua fonte e le sue più salienti espressioni e che imperiosamente obbliga alla stretta osservanza dei precetti che di volta in volta indirizza a quelle che un tempo erano considerate le sedi istituzionali per antonomasia “sovrane”71. L’azione svolta dalla BCE appare, invero, la più evidente manifestazione della carenza progettuale, che si traduce in debolezza concettuale, del substrato fornito dal diritto primario dell’Unione europea72. Qui subentra tuttavia un profilo formale e politico ad un tempo. Nell’ambito di un giudizio teso ad accertare che le OMT non violano la costituzione economica dei Trattati, il BVG si occupa anche di valutare che esse non rappresentino un pregiudizio per il legittimo esercizio delle funzioni del Parlamento tedesco sulle decisioni di bilancio73. Il te-
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Come rileva Ridola, “Karlsruhe” locuta causa finita? Il Bundesverfassungsgericht, il fondo salva-stati e gli incerti destini della democrazia federalista in Europa, in www. federalismi.it, 26 settembre 2012, p. 1, «Al Bundesverfassungsgericht va riconosciuto pertanto di essersi mosso con molto equilibrio in un tornante decisivo, giacché la soluzione più radicale avrebbe esposto la governance finanziaria dell’UE al rischio di un ricatto permanente dello stato economicamente più forte dell’Unione e comportato verosimilmente il fallimento complessivo dei meccanismi di aiuto agli stati in difficoltà». 71 Indubbiamente le norme dei Trattati UE generano, sul piano delle regole, delle procedure e delle istituzioni, una fitta rete di connessioni tra il livello europeo e quello nazionale Sul punto Tosato, La riforma costituzionale del 2012 alla luce della normativa dell’Unione: l’interazione fra i livelli europeo e interno, relazione al Seminario “Il principio dell’equilibrio di bilancio secondo la riforma costituzionale del 2012”, Roma, 22 novembre 2013, pp. 1 s., sottolinea come «da questo intreccio normativo e istituzionale emerge una interazione tra i due livelli nelle due direzioni: non solo – anche se principalmente – nella direzione già segnalata, ma anche in quella opposta, per le reazioni che il diritto interno può produrre su quello dell’Unione». La rete di interferenze reciproche che ne derivano tra i livelli europeo e interno, presentano «ricadute più generali sulla ricostruzione dei rapporti tra il diritto dell’Unione e quello degli Stati membri». 72 «In ambito sovranazionale, si affermano nuove forme di cooperazione e mutano gli equilibri tra Unione europea e Stati membri. In sede nazionale, sono ridefiniti i rapporti tra governi e Parlamenti e quelli tra organi elettivi e apparati tecnici. I confini tra settore pubblico e settore privato registrano continui avanzamenti e arretramenti», così Napolitano, Espansione o riduzione dello stato? I poteri pubblici di fronte alla crisi, in “Uscire dalla crisi” ma con meno o più Stato, a cura di Napolitano, Bologna, 2012, p. 472. Per De Witte, EU Law, Politics, and the Social Question, in German Law Review, 2013, p. 589, l’effetto della normativa europea (in particolare del Fiscal Compact) è stato di «constitutionalize austerity». 73 La sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Trattato di Lisbona si oppone a qualsiasi salvataggio, quanto meno in forme che possono implicare l’esercizio di nuove
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rreno sul quale la Corte tedesca può spingersi, rispondendo ai ricorrenti, è quello della verifica della conformità degli atti della BCE al diritto UE così come ratificato dal Parlamento nazionale, poiché l’eventuale incompetenza – o attività ultra vires – dell’Istituto di emissione si tradurrebbe in una mancanza di copertura parlamentare al trasferimento di poteri sovrani alle istituzioni dell’Unione74. Nelle recenti decisioni sul Trattato di Lisbona, sugli aiuti alla Grecia e sullo ESM75, la ricorrente affermazione della centralità del princi-
competenze per l’Unione. Muovendo da un’intransigente difesa della sovranità del popolo tedesco, questo indirizzo giurisprudenziale ha imposto una previa delibera del Bundestag su qualsiasi decisione dell’UME o dello ESM relativa al salvataggio finanziario di Paesi dell’eurozona. L’entrata in vigore del Trattato ESM è stata soggetta al rischio che, a causa dei dubbi di legittimità sollevati con riferimento alla compatibilità delle regole del Meccanismo europeo di stabilità con la Carta fondamentale della Repubblica federale tedesca, non si raggiungesse la condizione (ex art. 48 Trattato ESM) della ratifica, approvazione o accettazione da parte dei suoi firmatari le cui sottoscrizioni iniziali rappresentino non meno del 90% delle sottoscrizioni totali, nel caso in cui la Corte costituzionale federale (Bundesverfassungsgericht) avesse accolto la richiesta di inibizione temporanea della ratifica del Trattato medesimo da parte della Germania, che – da sola – rappresenta più di un quarto delle sottoscrizioni. I timori sono stati fugati dalla decisione (BVG, 12 settembre 2012 – 2 BvR 1390/12, cit.), con cui la Corte tedesca ha rigettato la richiesta di emissione di un provvedimento inibitorio concedendo via libera alla ratifica del Trattato ESM, alla duplice condizione, però, che sia validamente garantito per diritto internazionale che, da un lato, nessuna disposizione del Trattato possa essere interpretata in modo tale da stabilire per la Repubblica federale tedesca obblighi di pagamento più elevati di quelli complessivamente stabiliti all’allegato II del Trattato, se non vi consenta il rappresentante tedesco, e, dall’altro, che le disposizioni di cui all’art. 32, par. 5, all’art. 34 e all’art. 35 del Trattato non siano in conflitto con la piena informazione del Bundestag e del Bundesrat. 74 Della ricostruzione dell’Unione monetaria come “Comunità della stabilità” fanno parte, fra l’altro, l’indipendenza della BCE e il divieto di finanziamento degli Stati da parte della medesima (sentenza del BVG 12 settembre 2012, cit., par. 115). 75 Respingono queste tesi il Bundestag e il Bundesregierung, per i quali i principi fondativi dell’UME restano ben saldi e non vi è stata violazione degli artt. 122 e 125 t.f.u.e. La Corte tedesca si è peraltro espressa anche sul piano della visione generale dell’Unione, concepita come un’organizzazione internazionale in vista della riaffermazione della tradizionale sovranità dello Stato e della perdurante ascrizione alla giurisdizione costituzionale dei giudizi sulla Kompetenz-kompetenz. Nella lunga evoluzione della giurisprudenza germanica sul diritto europeo, la sentenza segna su questo piano un ritorno alla pronuncia su Maastricht del 1993 dopo le aperture all’integrazione europea (o le sconfessioni di quella pronuncia?) che si erano avute nel periodo intermedio, e prepara l’indirizzo degli anni più recenti riaffermando (dopo la pronuncia sul Trattato di Lisbona) il principio secondo cui qualunque estensione delle attribuzioni dell’Unione venga approvata in via preliminare con legge o dal Bundestag, richiesta assai più
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pio democratico ha, infatti, generato il duplice effetto di promuovere e contestualmente limitare o, almeno, fortemente connotare il processo d’integrazione, anche attraverso il ricorso ad un modus decisionale di natura monitoria, largamente riproposto per la controversia in oggetto76. La vera grande questione sostanziale sembra dunque potersi ricondurre a quella della presunta lesione di diritti individuali, intesi come protetti costituzionalmente, che potrebbe scaturire dalla decisione della BCE in materia di OMT. Per la Corte, a fronte della supposta tendenza della Banca Centrale Europea a superare i suoi poteri e le stesse Istituzioni Europee, «l’articolo 38, paragrafo 1, comma 1 della Legge fondamentale, [introduce] una componente procedurale: l’elettore deve tutelare la sua possibilità democratica di influenzare il processo di integrazione europea». Pertanto, afferma la Corte di Karlsruhe, «se il diritto di voto è in pericolo di essere reso inefficace in un’area che è essenziale per l’auto-determinazione politica del popolo» i cittadini hanno individualmente diritto di farsi valere in Corte Costituzionale. E ancora, il BVG sostiene che: «in ordine alla salvaguardia della loro influenza democratica nel processo di integrazione europea, i cittadini che hanno diritto al voto generale hanno il diritto di avere un trasferimento di poteri sovrani che si realizzi soltanto nei modi previsti, modi che sono minati quando c’è una usurpazione unilaterale di poteri». In conclusione, «un cittadino può di conseguenza chiedere che il Bundestag e il Governo federale affrontino attivamente la questione di come può essere restaurata la distribuzione dei poteri e che essi decidano quali opzioni vogliono usare per perseguire l’obbiettivo». La preoccupazione più evidente è che anche nel caso delle OMT agiscano meccanismi automatici tali da mettere fuori gioco un controllo
esigente di quanto prescritto dall’art. 23 della Legge Fondamentale a proposito della partecipazione delle due Camere al procedimento di formazione degli atti dell’Unione. Del resto, la portata dei suoi dicta in materia trascende la singola controversia, ed anche il rapporto fra un singolo Stato membro e l’Unione, riflettendo piuttosto una posizione di guardiano dell’ortodossia costituzionale dell’intero continente. In dottrina si rinvia ai contributi di Dyevre, The German Federal Constitutional Court and European Judicial Politics, in West European Politics, 2011, vol. 34, n. 2, p. 350 ss.; Tomuschat, The Ruling of the German Constitutional Court on the Treaty of Lisbon, in German Law Journal, 2009, vol. 10, n. 8, p. 1259. Nella stessa direzione v. pure Wendel, Lisbon Before the Courts: Comparative Perspectives, in EuConst, 2011, 41, p. 114, il quale si chiede se spetti a un giudice creare una procedura non prevista dalla Costituzione. 76 Cfr. De Witte, International Treaty on the Euro and the EU Legal Order, paper delivered at the international conference on The Euro Crisis and the State of European Democracy, Florence, 22-23 November 2012, pp. 2 s.
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parlamentare sulle risorse messe in comune. Dalla motivazione della sentenza sembra infatti lecito desumere che un’interpretazione di questo tipo potrebbe scongiurare il rischio, che rimane provvisoriamente sullo sfondo, di una lesione dell’identità costituzionale tedesca attraverso uno svuotamento del “diritto al bilancio” del Bundestag, con conseguente pregiudizio del principio democratico77. Secondo il reasoning della Corte, il verificarsi di una simile ipotesi dipende in ultima istanza dal «rispetto del mandato attribuito alla Banca Centrale Europea e dal contenuto e dall’estensione della delibera sulle OMT, interpretata in conformità al diritto primario nel rispetto di tale mandato» (par. 102). Nulla di nuovo sotto il sole, dato che si riprende un punto centrale del ragionamento svolto dalla sentenza sul Trattato di Maastricht. Del resto, il tema del «diritto costituzionale della crisi» può essere considerato un fil rouge nella recente giurisprudenza delle Corti europee78. Qui si riafferma la volontà del Bundesverfassungsgericht di concepire l’Unione europea come uno Staatenverbund: un’associazione o unione di Stati, secondo il neologismo introdotto da Paul Kirchhof) e accolto dal Maastricht-Urteil. Tale concetto indica «un collegamento stretto e durevole tra Stati sovrani, che esercita potere pubblico su fondamento pattizio. In questa ricostruzione, l’ordinamento fondamentale di tale unione è soggetto tuttavia all’esclusiva disposizione degli Stati membri. All’interno della Unione i popoli degli Stati membri – cioè i cittadini degli Stati membri – rimangono i soggetti della legittimazione democratica»79. Troppo spesso le voci euroscettiche hanno cercato di spingere la giu-
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In tal senso v. Bonini, Il “Bverfg”, cit., p. 8, secondo cui «le decisioni contingenti sulla più ampia manovra «Salva-Stati», dunque, sono ben lontane dal poter essere circoscritte alla “sola” materia finanziaria. Difatti, nonostante provengano (anche) e caratterizzino (con immediatezza) le modalità di funzionamento e decisione della forma intergovernativa dell’Unione e di altre istituzioni non nazionali, prima fra tutte il Fondo monetario internazionale, investono i tratti coessenziali allo Stato sociale e democratico, affidati, nel loro svolgimento quotidiano e concreto, agli istituti caratterizzanti la forma di governo parlamentare». 78 Cfr. Cassese, I tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Roma, 2009, pp. 104 s. 79 Così Caponi, Democrazia, integrazione europea, circuito delle corti costituzionali (dopo il Lissabon-Urteil), in www.astrid.eu/Dossier, p. 9. Particolarmente accese sono in Germania le polemiche sulla insufficiente partecipazione del Parlamento nazionale alla codeterminazione delle decisioni politiche comunitarie e sui ristretti margini di discrezionalità che gli atti normativi comunitari lasciano agli organi legislativi nazionali.
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risprudenza della Corte tedesca al di là di quello che essa ha inteso affettivamente affermare. La sentenza sulle OMT, come le altre, non preclude ulteriori sviluppi dell’integrazione europea, né si oppone all’assunzione di nuovi compiti dell’Europa in materia di governance economica. Essa si limita a richiedere la preventiva approvazione del Parlamento. Ciò che si è puntualmente verificato in Germania, come in Italia, a proposito del “pacchetto Grecia”; sebbene le misure adottate trovino base sicura nell’art. 122 t.f.u.e. e più in generale nel principio di solidarietà e, dunque, non implicano l’esercizio di nuove competenze80.
8. Le condizioni poste dalla Corte tedesca nel rinvio pregiudiziale alla CGUE: il nuovo ordine di Karlsruhe. La vicenda che qui si commenta è a dir poco anomala, poiché vede una Corte costituzionale nazionale giudicare la legittimità, rispetto alla propria Costituzione nazionale, di un programma di intervento di: a) una banca centrale, che è istituzione indipendente per definizione della stessa Legge fondamentale tedesca; b) una banca europea, che è dunque fuori dalla giurisdizione della Corte nazionale (a norma dei Trattati, il solo sindacato ammissibile sulla BCE è quello della Corte di giustizia europea)81.
80 Critico sul punto Chiti, La crisi del debito sovrano e le sue influenze per la governance europea, i rapporti tra stati membri, le pubbliche amministrazioni, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2013, 2, p. 3, che ribadisce l’inconsistenza della tesi dell’art. 122 t.f.u.e. quale legittima base giuridica di siffatti interventi e quale norma di deroga all’art. 125 t.f.u.e.: «l’art. 122 t.f.u.e. non si è dimostrato appropriato, malgrado l’esplicito riferimento – per la prima volta nel Trattato – allo ‘spirito di solidarietà tra Stati membri’» atteso che la norma in questione consente – come già accennato – «di accordare sostegno a Stati membri in condizioni speciali per circostanze eccezionali che sfuggono al loro controllo; condizione che certo non poteva configurarsi per gli Stati interessati (al tempo, Grecia, Portogallo, Irlanda)». 81 Secondo Pinelli, Karlsruhe dichiara vincitore il diritto Ue, in www. affarinternazionali.it, 11 febbraio 2014, la decisione di rinviare la questione alla Corte del Lussemburgo «costituisce indubbiamente una svolta a favore della concezione sovranazionale dell’Unione europea, se solo si tiene conto che, fra le corti costituzionali degli Stati membri, il Tribunale tedesco era rimasto il solo a rifiutare ancora di esperire il rimedio del rinvio pregiudiziale». A giudizio dell’A. le ragioni di questa scelta sono state di ordine sia giuridico che politico. Sul primo piano, «la questione coinvolgeva solo in via subordinata il diritto costituzionale nazionale, al punto che lo stesso ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble aveva messo in dubbio la competenza del Tribunale di Karlsruhe a esprimersi su una materia quasi esclusivamente di diritto europeo». Su
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Nella sentenza, come si è già avuto modo di commentare, la Corte tedesca afferma che vi sono «importanti ragioni per ritenere che il piano OMT eccede il mandato di politica monetaria della BCE e quindi vìola i poteri degli Stati membri e il principio che proibisce il finanziamento monetario dei bilanci nazionali». Tuttavia, affermano ancora i giudici di Karlsruhe, è possibile che «un’interpretazione restrittiva del piano OMT» possa essere ritenuta conforme alla legge e comunque spetterà alla Corte di giustizia europea esprimersi in via definitiva82. Il Tribunale tedesco si muove in rigorosa continuità con la sentenza Mangold Honeywell del luglio 201083: un’interpretazione europarechtsfreundlich, che tiene conto degli orientamenti giurisprudenziali della Corte di giustizia, e prende in considerazione soltanto violazioni manifeste del principio di attribuzione di competenze, e l’obbligo, in linea di principio, di sollevare il rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia (BVG, parr. 126, 286, 304). Se fosse riconosciuta la natura ultra vires del programma OMT, si configurerebbe inoltre una responsabilità per omissione del Governo tedesco e della Bundesbank. Questa constatazione riflette, ancora una volta, l’atteggiamento diffidente del Bundesverfassungsgericht nei confronti del Governo, del Parlamento – e, nel caso di specie, anche della Banca centrale tedesca. È opportuno sottolineare, però, che la Corte di Karlsruhe ha assolto a questo suo dovere di rinvio pregiudiziale in maniera assai discutibile e irrituale. Le questioni sottoposte alla CGUE sono formulate in modo piuttosto provocatorio. Nella sua decisione il BVG non si limita a spiegare in modo dettagliato perché considera illegale il progetto della BCE, ma detta alla Corte europea le condizioni limitative che
un piano, invece, di mera opportunità politica, è prevalso il timore che «l’accoglimento del ricorso avrebbe creato scompiglio sui mercati finanziari e, conseguentemente, nella stessa Unione, in una fase di grande precarietà e alla vigilia di elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo dall’esito quanto mai incerto per il suo stesso futuro». 82 Come rilevano Baglioni e Esposito, Sentenza di Karlsruhe: bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, cit., «La prassi delle sentenze del BVG cosiddette ‘si-però’, che sinora avevano subordinato la legittimità delle azioni delle istituzioni europee al rispetto di condizioni precise, necessarie per garantirne la conformità alla costituzione tedesca e ai Trattati, è superata ora da questa prima pronuncia ‘no-però’». 83 Ai sensi della decisione della Corte costituzionale federale Honeywell (BVG, parr. 126, 286), un atto ultra vires necessita di una violazione sufficientemente qualificata. Ciò significa che l’atto di autorità dell’Unione europea deve essere palesemente in violazione dei poteri, e che l’atto impugnato comporta un cambiamento strutturale significativo nella ripartizione delle competenze a scapito degli Stati membri.
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potrebbero sanarne l’illegalità rendendolo compatibile con i Trattati UE (parr. 99-100). A detta del BVG, infatti, la contrarietà delle OMT al Trattato e al diritto costituzionale germanico non discendono necessariamente dalla decisione politica della Banca Centrale d’intervenire, quanto piuttosto dalle modalità e dall’ampiezza dell’intervento. Il discorso si sposta, così, dal “se” al “come”. A ben intendere, i giudici tedeschi non solo chiedono “se” le misure contenute nel programma OMT siano contrarie alle disposizioni del diritto europeo primario, ma indicano anche “come” devono essere interpretate in modo tale da non violare i Trattati. E vanno addirittura oltre dettando di fatto una loro risposta. In particolare, la Corte tedesca sarebbe disposta ad accettare le misure predisposte dalla BCE se il piano OMT non fosse assoggettato al vincolo di condizionalità degli analoghi meccanismi di politica economica (EFSF e ESM); se assumesse carattere meramente strumentale rispetto alla politica economica dell’UE; se venissero introdotti limiti – temporali e quantitativi – degli interventi e, ancora, se alla BCE fosse riconosciuto lo status di creditore privilegiato, escludendone ogni possibile perdita derivante da una eventuale ristrutturazione (haircut) del debito pubblico. Va osservato, al riguardo, che proprio il carattere potenzialmente illimitato dell’intervento della BCE, finanziato dagli Stati dell’area euro, costituisce al contempo il fondamento della misura e, secondo il BVG, il suo principale vizio di legittimità. Senza dimenticare, sotto altro profilo, che attraverso le normali operazioni di politica monetaria la Banca Centrale Europea si fa carico di un notevole rischio di credito: allorquando la crisi di liquidità finisse per tramutarsi in una crisi di solvibilità, il ruolo di prestatore di ultima istanza esporrebbe la BCE al rischio di perdite per il deteriorarsi del collateral ricevuto84. 8.1. Gli scenari ipotizzabili e il pericolo di un cortocircuito politico-istituzionale. Quali esiti aspettarsi da questa vicenda, in cui giurisdizione nazionale e giurisdizione europea entrano in un vero e proprio cortocircuito? Vicenda in cui l’aspetto politico sembra sormontare quello giuridico; basti pensare a come politica sia stata l’ispirazione che ha portato al ricorso; e
84 Anche se controlla gli aggregati monetari sterilizzando diligentemente la liquidità che mette in circolo attraverso gli acquisti di titoli di stato, la BCE non è in grado di controllare l’aspetto creditizio delle operazioni.
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a come sia connotato politicamente il modo in cui la Corte abbia portato avanti le diverse fasi del giudizio. A detta di chi scrive, è difficile che ci siano degli sviluppi indigesti per l’intero programma di acquisto titoli della BCE. Come è stato autorevolmente argomentato, se le condizioni poste dai giudici tedeschi fossero accettate l’iniziativa di Mario Draghi perderebbe ogni efficacia negli elementi, politicamente essenziali, che hanno finora permesso di calmare la tempesta sui mercati: “a qualunque costo” (whatever it takes) e “credetemi, sarà sufficiente” (believe me, it will be enough). Accertato che si tratta di parti discutibili e discusse della sentenza, di una cosa si può essere sicuri: in termini contenutistici e strategici – se l’intento ispiratore era di ostacolare la BCE pur partendo dalla posizione, relativamente debole, di una Corte dotata di una competenza soltanto nazionale – il BVG sembra essere riuscito nel suo disegno. Si aprono in effetti due scenari: a) accogliere, parzialmente o totalmente, le indicazioni del BVG nel porre limiti all’operato della Banca Centrale; oppure b) confermare la legalità del comportamento della BCE. Nella prima ipotesi, almeno tre sono le conseguenze che meritano di essere segnalate: 1) lo strumento non convenzionale delle OMT sarebbe fortemente ridimensionato e il suo effetto deterrente depotenziato; 2) le eventuali future misure non convenzionali non potrebbero essere semplicemente “annunciate” dalla BCE, che si vedrebbe pertanto “costretta” a descriverne in dettaglio i contenuti, le condizioni e i limiti; 3) una “spada di Damocle” penderebbe sugli strumenti anti-crisi adottati dalle istituzioni UE, a causa dell’ampia discrezionalità che verrebbe implicitamente riconosciuta alle Corti nazionali in subjecta materia. Nel secondo caso, invece, la Corte di Giustizia approvando le OMT aprirebbe un conflitto costituzionale di prima grandezza con la Corte tedesca (e in casi estremi provocando l’uscita della Germania dalle UE, o almeno dall’euro)85. In tale ipotesi, è plausibile ritenere che i giudici tedeschi metteranno effettivamente in atto la loro “minaccia” e porranno le autorità tedesche sull’avviso di non attenersi al programma OMT in quanto ultra vires e contrario alle norme contenute nel Grundgesetz
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Propende per questa soluzione Sartori, Europa e sovranità fiscale: la Consulta tedesca chiama Lussemburgo, in www.altalex.it, 14 marzo 2014, che ritiene «più probabile che la CGUE seguirà l’opinione espressa dalla BCE, dato che tradizionalmente essa si è quasi sempre schierata dalla parte delle istituzioni europee nell’interpretare i Trattati e che non accetterà il ‘compromesso’ suggerito dalla Corte costituzionale tedesca».
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tedesco. Per le stesse ragioni è infatti immaginabile che la Banca centrale tedesca dovrà astenersi dalla partecipazione al programma OMT, costringendo la BCE ad operare in pratica senza la Bundesbank o entro i suoi limiti86. A questo punto è lecito attendersi la nascita di un secondo fronte: il contenzioso fra il BVG, da un lato, e il governo e il parlamento tedesco, dall’altro. Non è del resto un caso che i due giudici dissenzienti abbiano opportunamente notato che la Corte con la sua decisone espropria l’autorità politica delle sue prerogative. Anche in questo scenario la reazione dei mercati non sarebbe tranquillizzante. Il BVG potrebbe addirittura, anche se è improbabile, dichiarare che sono venute meno le condizioni che hanno permesso alla Germania di aderire all’euro. Come si è già avuto modo di riscontrare nella decisione sul Trattato di Lisbona87, il BVG ha una concezione della democrazia che configura un vero e proprio “eccezionalismo tedesco” e rende molto difficili il dialogo e il compromesso88. Con il suo assolutismo giuridico restringe i già ridotti
86 Nel frattempo, in un procedimento separato da quello sull’OMT, la Corte tedesca ha anche emesso, il 18 marzo 2014, una nuova sentenza sullo ESM. È evidente, però, come i due percorsi giudiziari si intreccino e mettano sotto pressione la struttura istituzionale europea. Il Tribunale ha confermato la legalità del meccanismo, su cui si era già espresso positivamente nel settembre 2012 [BVG, 2 BvR 1390/12 del 12.9.2012, Absatz-Nr. (1-319), cit.], riaffermando che «l’autonomia di bilancio del Bundestag era sufficientemente salvaguardata». Nell’occasione la Corte di Karlsruhe aveva giudicato legale lo ESM esprimendo, però, un via libera condizionato: il contributo tedesco allo ESM deve essere limitato a 190 miliardi di euro e qualsiasi aumento deve essere sottoposto al via libera parlamentare. I giudici hanno stabilito che i versamenti effettuati al Fondo salva-Stati dovranno essere inseriti nelle previsioni delle leggi di bilancio, escludendo così che possano essere fatti passare tramite procedure di urgenza senza voti assembleari. «Il Bundestag resta l’istituzione dove si decidono entrate e uscite, anche per quanto attiene agli impegni internazionali ed europei», ha affermato il presidente della Consulta, Andreas Vosskulhe. I giudici della Corte di Karlsruhe hanno consigliato, inoltre, al Governo di Berlino di coinvolgere più direttamente il Parlamento – che si era espresso a favore dello ESM – in decisioni di questo tipo. La stessa osservazione era stata fatta in passato in materia di salvataggio dell’euro. 87 Cfr. Violini, Tra il vecchio e il nuovo. La Sentenza Lisbona alla luce dei più significativi precedenti: Solange, Maastricht, Bananen, relazione al Seminario di studi di Astrid su La Sentenza del Bundesverfassungsgericht sulla costituzionalità del Trattato di Lisbona e i suoi effetti sulla costruzione dell’Unione europea, Roma, 21 settembre 2009, reperibile sul sito www.astrid.it. 88 Cfr., ex multis, Cassese, L’Unione europea e il guinzaglio tedesco, in Giorn. dir. amm., 2009, pp. 1003 ss.; Chiti, Trattato di Lisbona: la Germania frena. Am deutschen Volke, in Giorn. dir. amm., 2009, 9, pp. 1008 ss.; Napolitano, Sul futuro delle scienze del diritto pubblico:
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margini per progressi graduali nell’ambito dei Trattati esistenti e sembra spingere l’Europa verso un radicale salto istituzionale che, come affermato nella richiamata sentenza di Lisbona, dovrebbe essere sottoposto per referendum al popolo tedesco. Prospettiva che alcuni federalisti potrebbero addirittura trovare allettante, se non fosse che l’Europa non è pronta a questo tipo di negoziato e che per affrontarlo deve aspettare almeno di essere uscita dalla crisi. Per il momento, il gradualismo resta l’unica strada percorribile. La parte più ostile del rinvio risiede però nel fatto che i giudici tedeschi confermano ancora una volta la dottrina Solange (sottolineata nelle decisioni precedenti riguardanti l’integrazione europea e il rapporto con le norme costituzionali tedesche)89: nel senso che spetta sempre alla Corte costituzionale tedesca l’ultima parola nel decidere in modo definitivo se l’UE rispetta le proprie competenze. Un approccio che d’altronde non è mai stato accettato dalla CGUE. Apertis verbis, tutto questo significa che i giudici tedeschi non escludono di cassare la decisione dei colleghi di Lussemburgo se essi non dovessero seguire i “consigli interpretativi” offerti dal BVG. Le conseguenze sono significative, sia per il monito sulle azioni future delle istituzioni dell’Unione – BCE in primis – sia per il possibile effetto imitativo delle altre Corti nazionali: il BVG infatti ha elencato in dettaglio le costituzioni dei Paesi UE che prevedono una tutela analoga a quella accolta nella fattispecie. Il rischio di un ‘effetto referendum’ sulle future misure non convenzionali della BCE o di altre Istituzioni europee è concreto. Affinché il programma OMT possa agire efficacemente, occorre che la sua capacità di azione sia illimitata. Una decisione della Corte di Giustizia che limitasse le OMT, o imponesse che qualunque utilizzo specifico di questo schema debba essere approvato preventivamente dal parlamento tedesco, non farebbe altro che distruggere la credibilità dello “scudo anti-spread”. In questa ipotesi, come è stato da più parti evocato, data l’assenza di una rete di protezione fiscale su larga scala, le speculazioni su una possibile rottura dell’Eurozona potrebbero autorealizzarsi. Sia ben chiaro, non spetta alla Corte costituzionale tedesca discutere i
variazioni su una lezione tedesca in terra americana, in Riv. trim. dir. pubbl., 2010, 1, p. 10; Pojares Maduro e Grasso, Quale Europa dopo la sentenza della Corte costituzionale tedesca sul Trattato di Lisbona?, in Dir. un. eu., 2009, 31, pp. 503 ss. 89 Sottolinea bene questo aspetto Ziller, Solange III, ovvero la Europarechtsfreundlichkeit del Bundesverfassungericht. A proposito della sentenza della Corte costituzionale federale tedesca (BVerfG) sulla ratifica del Trattato di Lisbona, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2009, 5, pp. 973 ss.
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modelli macroeconomici che studiano il meccanismo di trasmissione della politica monetaria, né il ruolo di fattori fondamentali e delle aspettative nel formulare i premi di rischio o produrre equilibri multipli in situazioni di panico dei creditori. Questi argomenti sono già di ardua valutazione da parte degli economisti e certamente non possono essere decisi da una Corte. Inoltre, un giudizio legale imposto a tali questioni metterebbe seriamente in pericolo l’indipendenza della BCE, requisito imprescindibile particolarmente apprezzato proprio in Germania. Sarebbe alquanto paradossale se proprio la massima Corte tedesca volesse scalzarla. Preservare l’integrità dell’Eurozona è il compito principale della BCE, perché una rottura sarebbe estremamente distruttiva e dispendiosa, sia per i Paesi creditori sia per i debitori, compresi i contribuenti tedeschi. Così come questa inevitabile polarizzazione dell’attenzione su ciò che appare più contestabile e quasi provocatorio rispetto a ciò che appare normale e quasi scontato, non deve indurre nella distorsione prospettica di considerare le dichiarazioni di intenti (ad es., controllo ultra vires, controllo di identità) ricollegate ad eventi futuri e incerti, più importanti della solida realtà dei fatti che si sono realizzati: il Bundesverfassungsgericht non solo chiede alla Corte di giustizia europea di assumersi una maggiore responsabilità nell’integrazione europea90, ma impone di negoziare modifiche al piano OMT! Le riforme strutturali, che oggi la nuova governance dell’euro impone ai suoi Paesi meno competitivi e più vulnerabili, mirano ad abbatterne rigidità di sistema, mercato, cultura, privilegi acquisiti. Sono varie le sclerosi di cui si può morire e far morire un progetto comune e vitale co-
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Vale la pena segnalare che nell’ambito delle misure recentemente assunte “extra Unione” non sono sinora risultate specifiche disposizioni in contrasto con il diritto dell’UE; anzi, sono molte le previsioni che intendono assicurare la compatibilità o la permeabilità tra i due sistemi (c.d. “norme passerella”). Merita citare il caso esemplare della Corte di giustizia, che varie disposizioni dei recenti accordi – come l’art. 8 del Fiscal Compact, l’art. 37 dello ESM e l’art. 16 dello EFSM – richiamano per fondarne la competenza sull’eventuale futuro contenzioso tra gli Stati dell’Eurozona, sulla base dell’art. 273 t.f.u.e. che autorizza la CGUE a conoscere di qualsiasi controversia tra Stati membri quando tale controversia le venga sottoposta in virtù di un compromesso. Non si tratta – come ricorda Chiti, Le trasformazioni delle agenzie europee, in Riv. trim. dir. pub. eco., 2010, 1, p. 13, del resto di una novità, «considerato che già accordi risalenti hanno ampliato pattiziamente le competenze della Corte di giustizia, come per la ben nota Convenzione di Bruxelles sulla giurisdizione ed il riconoscimento delle sentenze straniere, tematica in buona parte poi comunitarizzata con il Regolamento n. 44/2001, ora sostituito dal Regolamento n. 1215/2012».
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me la moneta unica. Anche le rigidità costituzional-giuridico-dottrinarie della Germania, il peso del passato nel suo sistema, rappresentano un handicap da rimuovere, come tanti altri, per rendere più efficiente e flessibile la macchina dell’euro a vantaggio di tutti i Paesi membri. Da qui a immaginare che la grande ombra di Karlsruhe possa presto cominciare a dissolversi dalla scena europea, sarebbe decisamente prematuro. Prima bisognerà costruire una solida e credibile convergenza Nord-Sud superando la devastante crisi di fiducia che ha allontanato tra loro gli Stati dell’Europa.
9. Ruolo e funzione della BCE ai tempi della crisi dell’euro. De jure condendo. All’evoluzione del ruolo della BCE occasionata dalla crisi non si può ancora mettere la parola fine. In primo luogo perché la crisi non è purtroppo conclusa, in secondo luogo e a maggior ragione, perché il processo di ripensamento dell’unione economica monetaria è in pieno divenire. Il giudizio innanzi al Tribunale federale tedesco è solo uno degli episodi più recenti della storia, relativamente breve ma intensa, della gestione della crisi del debito e del sistema finanziario in Europa, di cui la BCE è indubbiamente uno dei principali protagonisti nel giocare un ruolo che rivela tutte le carenze generate dall’ibrida architettura istituzionale dell’UE. Si tenga in debito conto che l’Autorità monetaria europea è l’unica istituzione dell’Unione ad essere dotata di competenze non ripartite con gli Stati membri e ad essere caratterizzata da una struttura organizzativa di tipo federale che, in via eccezionale per una banca centrale e in ragione di scelte ben precise adottate all’epoca della sua istituzione, si trova ad operare a fronte di una controparte governativa composita, nonché di complesse modalità di coordinamento delle politiche nazionali (art. 13 t.u.e., artt. 127-133 t.f.u.e.). La ricostruzione delle norme e degli eventi prospettati nella sentenza del BVG suscitano non pochi dubbi sul piano dell’interpretazione delle norme fondamentali dell’Unione europea, nonché sul mandato della BCE. Il centro della questione va dunque ricondotto all’interpretazione del ruolo dell’Istituto di emissione nel contesto della governance europea. La riforma della governance europea ha comportato rinunce di sovranità, sia pure limitate, da parte di tutti gli Stati membri, sia in materia di bilancio pubblico, sia con riferimento alla definizione delle politiche strutturali. La politica monetaria, per fronteggiare la crisi, ha fatto ricorso a strumenti non convenzionali. Risulta, dunque, legittima l’esigenza di vagliare la conformità
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delle soluzioni adottate alle leggi costituzionali nazionali. La Corte tedesca ha sostenuto che le OMT non perseguono un obiettivo di politica monetaria in senso stretto, ma essendo state utilizzate a salvaguardia dell’euro si fanno carico di una responsabilità che spetta ai governi nazionali; le OMT eccederebbero il mandato della BCE, violando il divieto di finanziamento monetario dei bilanci pubblici; esse potrebbero, inoltre, portare a una redistribuzione di risorse tra i Paesi dell’area, ottenendo così gli stessi effetti di un sistema di trasferimenti non previsto dai Trattati europei. Le iniziali debolezze nel disegno istituzionale europeo hanno sollevato timori circa l’integrità dell’Unione monetaria, in particolare in relazione alla scelta di scindere la politica monetaria da quella economica contestualmente all’istituzione di una moneta unica. Il governo della politica monetaria è stato separato da quello dell’economia, assegnando il primo esclusivamente all’Unione, ai sensi dell’art. 3, par. 1, lett. c), del t.f.u.e.; mentre il secondo è essenzialmente attribuito agli Stati membri, con una competenza piuttosto minimale dell’Unione, ai sensi dell’art. 5 t.f.u.e., cui residua solo un ruolo di facilitazione del coordinamento delle diverse scelte nazionali. Questo sistema “asimmetrico”, che rimette la politica monetaria all’esclusiva competenza dell’Unione e conserva la sovranità degli Stati membri nella politica economica e di bilancio, non è riuscito a impedire che in alcuni Stati si producessero quelle situazioni di disavanzo che hanno minacciato la tenuta della moneta unica. Non stupisce, dunque, che le tendenze in atto siano tra di loro disomogenee, esprimendo una fase di grande incertezza istituzionale, segnata sinora più da risposte specifiche e provvisorie che da un disegno complessivo coerente. Il coordinamento delle politiche fiscali si è ripetutamente infranto sugli scogli dei veti nazionali. Le regole del patto di stabilità sono state disattese e sospese quando del peccato di deficit eccessivo si sono “macchiate” le “virtuosissime” Francia e Germania. L’auspicata convergenza delle economie si è capovolta in un allargamento del gap di competitività tra gli stati dell’Eurozona. Alla suindicata separazione si è aggiunto il problema dell’effettività del coordinamento delle politiche economiche, compromessa dalla scarsa incisività delle procedure di sorveglianza multilaterale, ex art. 121 t.f.u.e., e di constatazione di disavanzi eccessivi, ex art. 126 t.f.u.e., ma soprattutto del regime sanzionatorio previsto in caso di inottemperanza91.
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Su questi aspetti v. supra par. 6.
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Le suddette considerazioni potrebbero far ritenere che la concezione originaria dell’UME fosse profondamente sbagliata, in quanto basata su un’architettura istituzionale priva di solide fondamenta. In realtà, un giudizio così negativo pare non del tutto corretto e richiede ulteriori riflessioni. Come si cercherà di argomentare più avanti, in una federazione democratica è perfettamente possibile, ed è anzi del tutto funzionale all’equilibrio federale, imporre vincoli sui debiti dei singoli Stati (che peraltro sono presenti e più rigorosi anche negli stati Uniti). Ma in cambio vi deve essere una politica fiscale e monetaria federale che abbia “capacità di fuoco” per interventi anti-ciclici e sia in grado di compensare gli shock asimmetrici. Ne è dimostrazione tangibile il fatto che i timori sulla reversibilità dell’euro sono legati in primo luogo a quelli sulla sostenibilità dei debiti pubblici e sulla competitività dei Paesi membri. La politica monetaria è in grado di garantire la stabilità solo se i fondamentali economici e l’architettura istituzionale dell’area sono con essa coerenti. Diversamente da quanto temuto dall’opinione pubblica tedesca e dalla Corte di Karlsruhe, con le OMT la BCE rafforza la propria indipendenza. Proprio perché dimostra di prendere decisioni nell’interesse collettivo, sostenendo il costo del contrasto pubblico con la Bundesbank. In più, la stessa BCE suggerisce che il programma di aggiustamento, vincolato dallo ESM, possa essere monitorato dal Fondo Monetario Internazionale, aumentandone di fatto i costi reputazionali. Un siffatto modus procedendi si presta, tuttavia, a diverse letture. Si può osservare che esso risponde alla logica comportamentale di qualsiasi banca, pubblica o privata, in quanto operatore commerciale, di subordinare l’intervento di sostegno richiesto – sia esso un prestito o, come nel caso in esame, l’acquisto di titoli per difenderne il valore di mercato – all’adozione di misure che garantiscano la solvibilità del debitore. Si può poi ritenere che la BCE abbia giustamente approfittato dell’occasione per operare quale agente comunitario ormai di fatto dotato di poteri di enforcement più efficaci di quelli delle altre istituzioni europee, a cominciare dalla Commissione. Ci si può tuttavia chiedere se quella immunità da regole e controlli, tradizionalmente accordata alle scelte di politica monetaria, anche se sempre più contestata in altri ambienti giuridici, possa valere anche per le attività di «agenzia fiscale», ora ausiliaria, ora autonoma, che la BCE ha nel frattempo assunto di fatto. Non si può trascurare, infatti, il ruolo che questi interventi della BCE giocano nel determinare il benessere di uno Stato membro e nel condizionare in modo decisivo le sue scelte di politica economica e sociale.
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Può la scelta di acquistare o non i titoli del debito sovrano di uno Stato membro essere rimessa alla decisione caso per caso della BCE, senza alcuna predeterminazione di presupposti e criteri? E può essere la stessa Banca Centrale Europea a indicare, peraltro in via riservata, quale pacchetto di riforme economiche e sociali deve essere varato da uno Stato membro per godere del sostegno dell’istituto di emissione? Nel caso del Security Market Programme l’assenza di previsione di un meccanismo trasparente che legasse la concessione di aiuti alla verifica dei risultati, se per un verso pareva ampiamente giustificata dall’eccezionalità della situazione e dall’esigenza di tempestività degli interventi, per altro verso limitava sensibilmente le possibilità di accettazione consensuale su un orizzonte temporale più ampio. Tale considerazione concorre a qualificare come strettamente temporanea l’attuale modalità di sostegno adottata dalla BCE, in assenza della previsione esplicita di meccanismi di verifica strutturati. Se, quindi, attraverso un processo graduale, ancorché non necessariamente lineare, la Banca Centrale Europea è giunta a ritenere che sia suo compito intervenire a sostegno di questo o quel debito sovrano, non si può etichettare questa scelta come extra legem o addirittura contra legem. La politica monetaria dell’Istituto di emissione si sarebbe, così, in via incrementale, consolidata in una sorta di stadio “superiore”, pur se non irreversibile. Non sempre, a dire il vero, questa argomentazione viene prospettata in modo così compiuto. Tuttavia, essa costituisce l’antecedente logico, prima ancora che giuridico, dell’altra argomentazione, relativa alle modalità con cui la Banca Centrale Europea esercita le sue potestà, ponendo in essere interventi di sostegno del debito sovrano d’uno o più Stati membri dell’area dell’euro. Una volta ammesso che essa possa svolgere quegli interventi, è inevitabile che debbano essere determinate le condizioni al cui realizzarsi è subordinato l’acquisto di titoli del debito pubblico. Quest’ultima – si osserva – è una evenienza del tutto normale, comune tanto ai prestatori privati, come una qualsiasi istituzione creditizia, quanto alle istituzioni globali, come il FMI. La prassi dei conditional loans erogati dal FMI offre svariati esempi, illuminanti per comprendere come nulla impedisca che uno Stato sovrano, nel momento in cui non riesce a mantenere un adeguato equilibrio tra le proprie spese ed entrate e chiede perciò il sostegno del Fondo, accetti (rectius, “debba accettare”) le condizioni poste dall’ente esterno, del quale si chiede l’intervento. Pur in presenza d’importanti tratti distintivi, anche la BCE ha ritenuto di dover stabilire una serie di condizioni per intraprendere o proseguire i
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propri interventi sul mercato dei titoli del debito pubblico92. Accomuna queste linee di ragionamento un assunto di fondo, che è bene esplicitare, vale a dire il convincimento che, malgrado i tratti peculiari della Banca Centrale Europea, la “natura delle cose” sia inevitabilmente destinata a imporsi; a conformare lo svolgimento dei suoi interventi di sostegno dei debiti sovrani; a determinare, se non l’applicazione del calcolo dei costi e dei benefici in un’ottica di tornaconto, la razionale configurazione di ogni momento del suo agire, in quanto istituzione finanziaria. Naturalmente, si può sostenere che, dato il carattere temporaneo ed eccezionale di tali misure, non valga la pena costruire un’elaborata infrastruttura giuridico-istituzionale. E che, anzi, essa risulti più dannosa che utile, finendo per imbrigliare un’azione che, proprio in considerazione della sua natura emergenziale, deve svolgersi nel modo più libero possibile. L’indeterminatezza dei presupposti e dei criteri di azione può poi essere funzionale alla ricerca del consenso su decisioni così controverse all’interno della stessa BCE. Eppure – si è anche detto – proprio questa potrebbe essere un’occasione preziosa per ripensare regole e procedure di azione della BCE, al fine di aumentarne il tasso di prevedibilità e i criteri di trasparenza. Un siffatto processo contribuirebbe, innanzitutto, a migliorare la credibilità e l’accountability di un’istituzione chiave dell’ordinamento europeo, soprattutto quando le sue decisioni giochino un ruolo così rilevante rispetto alle scelte delle istituzioni democratico-rappresentative a livello nazionale. Ma un diverso modo di operare sarebbe utile anche per instaurare un circolo virtuoso con il funzionamento dei mercati finanziari e l’andamento dell’economia reale, che potrebbero trarre beneficio dal sapere ex ante se e quando la BCE interverrà per evitare l’aggravarsi della crisi del debito sovrano. Per esempio la Corte di giustizia, accogliendo parzialmente le istanze del BVG, potrebbe richiedere maggiore trasparenza nell’erogazione degli aiuti ai Paesi in difficoltà. In particolare, un criterio che determini quando la BCE deve cessare di acquistare i titoli di un Paese che non rispetta gli accordi, oltre a rafforzare l’indipendenza dell’Istituto centrale, si rivelerebbe efficace per rendere più chiari i vincoli imposti ai Paesi
92 Si veda la lettera inviata il 7 agosto 2011 dal Presidente della BCE e dal Governatore della Banca d’Italia al Presidente del Consiglio dei ministri. La lettera e la sua traduzione in italiano sono reperibili all’indirizzo http://www.corriere.it/economia/11_settembre_29/ sensini_documento_BCE_e68f29d6-ea58-11e0-ae06 4da866778017.shtml.
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sotto assistenza. In tal modo, sarebbero più accettabili le crescenti e reciproche responsabilità fiscali – e politiche – tra i Paesi nell’euro. Infine, sarebbe forse il passo giusto per ampliare – anziché limitare – gli strumenti della Banca Centrale Europea indispensabili a risolvere la crisi creditizia dei Paesi in difficoltà. Proprio in virtù della stretta connessione al regime di condizionalità dello ESM, le OMT sono configurate in modo da evitare il finanziamento monetario e l’assunzione da parte della BCE di un ruolo di «prestatore di ultima istanza», entrambi esclusi (o comunque fortemente limitati) dai Trattati. Si è dell’idea che, in assenza di una forma di comune garanzia del debito e di un quadro complessivo di governance economica, la supplenza della BCE non possa dunque offrire una risposta strutturale alla crisi e alla necessità di dar vita a quella autentica Unione economica e monetaria la cui costruzione è stata faticosamente avviata dalle Istituzioni dell’Unione93. Per contro il finanziamento dei programmi con le risorse comuni dello ESM rappresenterebbe un serio incentivo a proseguire nel rafforzamento della governance dell’Unione, indispensabile a ridurre in maniera stabile la componente “europea” dei differenziali. Non bisogna dimenticare infatti che, ai sensi dell’art. 282, t.f.u.e., «il mantenimento della stabilità dei prezzi» è «l’obiettivo principale» del Sistema europeo delle banche centrali, ma non l’unico94. E che, fatto salvo tale obiettivo, il SEBC «sostiene le politiche economiche generali nell’Unione per contribuire alla realizzazione degli obiettivi di quest’ultima». A ciò si aggiunga che l’inclusione della BCE tra le Istituzioni europee operata dal Trattato di Lisbona la rende soggetta al dovere di leale cooperazione gravante su di esse. Si tratta, allora, di codificare modalità e
93 Secondo alcuni studiosi i problemi legati al ruolo assunto dalla BCE nel corso della crisi potrebbero essere risolti se lo ESM avesse la facoltà di acquisire titoli di Stato e offrire in cambio alla BCE Union-bonds, sostenuti dalla garanzia collettiva degli Stati membri. I titoli dei Paesi in difficoltà sarebbero acquisiti dallo ESM nell’ambito del programma di assistenza finanziaria (con conseguente delimitazione dell’ambito di intervento della BCE in subjecta materia), e potrebbero essere loro restituiti con dei meccanismi di buyback. In tal modo, lo ESM non si farebbe carico di alcun rischio aggiuntivo su tali titoli, oltre a quello già implicito nei prestiti dell’assistenza finanziaria. Sul ruolo della BCE e del “Fondo salva-Stati” v. Micossi, E ora completiamo il sistema di gestione delle crisi, in lavoce.info, 5 settembre 2011. 94 L’obiettivo della stabilità dei prezzi è citato negli artt. 119, par. 2 e 3, t.f.u.e.; art. 127, par. 1, t.f.u.e. e richiamato all’art. 2, par. 1, dello Statuto del SEBC e della BCE. La stabilità dei prezzi è anche uno dei criteri di convergenza per l’adozione dell’euro (cfr. art. 140, par. 1, t.f.u.e.).
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strumenti di azione che consentano di conciliare la piena salvaguardia dell’indipendenza della politica monetaria con l’armonico perseguimento degli obiettivi generali dell’Unione.
10. Conclusioni. Per effetto della crisi la Banca Centrale Europea è diventata il controllore dei governi nazionali nella gestione della loro politica economia, soprattutto quando questi hanno dimostrato di non essere in grado di gestire gli effetti della crisi in atto. Da questo punto di vista, la BCE ha parzialmente modificato la sua natura: non è più solo un ente tecnocratico, ma è divenuto il fulcro della politica economica europea. È ormai assodato che la crisi dell’euro non è da imputarsi esclusivamente alla mancanza di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, ma è soprattutto la conseguenza della mancanza di un centro decisionale dal quale possa originarsi una politica fiscale unitaria a livello europeo, che trovi uniforme applicazione all’interno di ciascun Stato membro95. Per ovvie ragioni, questa funzione non può essere assolta dal Meccanismo di stabilità permanente, che è la risposta dell’UE alla decisione della BCE di rifiutare il ruolo di prestatore di ultima istanza nel mercato delle obbligazioni sovrane a sostegno della stabilità dell’euro. Al riguardo, non si può mancare di sottolineare che detta linea di condotta della BCE – per quanto indirizzata ad un ripristino della politica monetaria e, pertanto, ad una stabilizzazione del mercato dei titoli del debito pubblico – non può ritenersi sostitutiva di una reale politica di risanamento dei bilanci nazionali. Ne consegue l’opportunità di edificare un’architettura di governance che consenta – attraverso una nuova formula di governo dell’economia e della moneta a livello regionale europeo – di conciliare gli interventi a sostegno delle indicate finalità
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Cfr. Capriglione, Eurosclerosi e globalizzazione (Contro un possibile ritorno dell’euroscetticismo), in Riv. trim. dir. eco., I, 2010, 1, p. 17. Se, infatti, la scelta di dotarsi della moneta unica è risultata innovativa rispetto al Mercato unico ed al Sistema monetario europeo, al contempo essa è stata depauperata di appropriata incisività per carenza di adeguate misure di sostegno. Principalmente per la mancanza di un vero sistema di governo centralizzato dell’economia separato dal governo della moneta unica e per la formale carenza nella BCE di prerogative capaci di assicurare la gestione della politica monetaria.
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(fronteggiare le turbolenze speculative avverso i titoli del debito sovrano e perseguire, nel contempo, rigorose politiche di bilancio). Il verdetto di Karlsruhe evidenzia proprio questo punto, e illumina lo stato post-democratico della UE. Si tratta di un grave difetto progettazione: la politica economica e la compensazione finanziaria comuni non sono presenti. Per funzionare ci sarebbe bisogno, invece, di un unico habitat economico e monetario. Colmare tale divario è quanto la BCE ha cercato di realizzare attraverso l’annuncio delle OMT. Siamo al cuore del bivio teorico e pratico della costruzione Europea. Nella lettura della Corte, si tratterebbe di un cuore vuoto. In altre parole, non è solo la politica economica a trovarsi senza cuore, ma la stessa politica monetaria (che o è illimitata, in via di principio, o non è). Secondo la Corte, la BCE, con la sua ambizione di diventare il sovrano al posto dei governi e dei parlamenti eletti, opera un’usurpazione96. La più forte delle ragioni a sostegno dell’intervento della BCE si coglie proprio nella sua coerenza riguardo ad altri ed ulteriori obiettivi rispetto a quelli di politica monetaria in senso stretto, vale a dire, gli obiettivi fondanti dell’Unione – la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri (art. 3 t.u.e.) – di cui è espressione la previsione di interventi di sostegno in caso di crisi (artt. 122 e 143 t.f.u.e.). Ciononostante, qualche dubbio resta. Valgono queste considerazioni a garantire che l’intervento della BCE si situi nell’alveo della legittimità comunitaria? Almeno dal punto di vista dell’equilibrio istituzionale, non si può negare che un’alterazione o un’evoluzione vi sia stata de facto. La BCE si è innegabilmente qualificata come un decisore (all’occorrenza) politico e non meramente tecnocratico quale il Trattato la descrive. L’esperienza empirica dimostra come la Banca Centrale abbia sfruttato questo potere spingendosi fino ai limiti del suo mandato, interpretando in senso estensivo le norme che ne precisano la portata. Tra queste, vi è anzitutto l’art. 12 dello statuto del SEBC, che al par. 1 attribuisce al Consiglio direttivo la competenza ad “adottare gli indirizzi e prendere le decisioni necessarie” ad assicurare l’assolvimento dei compiti affidati
96 Di segno contrario le considerazioni formulate da Fratzscher, Scapegoating Germany is easy but wrong, in Financial Times, 10 aprile 2013, ove viene sottolineato che «Germany is the perfect scapegoat: it is the big European brother who is doing well, is often diplomatically clumsy and has a stained history that makes it tempting to revive old prejudices». Per analoghe considerazioni si veda, inoltre, Rachman, The making of a German Europe, in Financial Times, 25 marzo 2013; Joffe, Berlin is right to say no gain without pain, in Financial Times, 21 marzo 2013.
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al Sistema, come anche a formulare la politica monetaria dell’Unione, adottando “a seconda dei casi, le decisioni relative agli obiettivi monetari intermedi”. Come giustamente si rileva in dottrina, vi è nei Trattati la chiara attribuzione di un potere discrezionale alla BCE nel tradurre operativamente l’obiettivo della stabilità dei prezzi, tanto più degno di nota in quanto l’indipendenza della Banca è costituzionalmente garantita97. Per permettere alla BCE di condurre la politica monetaria con tempestività, indipendenza ed efficacia, occorre arrivare ad un’architettura dell’euro in cui sia chiara a ciascuno la propria parte: Governi, Banca Centrale, Istituzioni europee98. Va da sé che a maggiori e più chiare attribuzioni di competenze per la BCE dovrebbe corrispondere una cornice di legittimità democratica rinforzata. È, inoltre, indispensabile – come si è tenuto a sottolineare in altra parte del presente lavoro – che non vengano impartiti segnali che possano alimentare il moral hazard di prestatori e debitori (Stati e privati). Non a caso, riconosciuta la necessità di superare l’asimmetria tra l’unicità della politica monetaria e la molteplicità delle politiche di bilancio e strutturali nazionali, è stato definito e avviato un ulteriore percorso di graduale rafforzamento dell’Unione economica e monetaria che passa attraverso la realizzazione dell’unione bancaria, la creazione di un’autonoma capacità di raccogliere risorse (fiscal capacity) per il complesso dell’area dell’euro, l’introduzione di un bilancio pubblico comune, in prospettiva, all’unione politica. In assenza di un’unione politica, la governance economica dell’area dell’euro è stata fondata su un fragile connubio tra forze di mercato e regole di condotta. Alle prime si è fatto affidamento per la convergenza economica tra i Paesi membri, per la definizione e l’attuazione a livello nazionale delle necessarie riforme strutturali. Alle seconde si è fatto
97
Cfr. M artucci , Objectifs et compétences enunion économique et monétaire: réflexions sur l’objectif de la stabilité des prix, in Objectifs et compétences dans l’Union européenne, Bruxelles, 2013, p. 96, e autori ivi citati alla nota 39. Sulla base di alcuni principi propri del modello ordo-liberale tedesco, l’indipendenza della Banca centrale si pone come uno dei pilastri dell’UEM che va al di là del metodo comunitario. L’indipendenza della BCE trova, difatti, la sua giustificazione nel modello ordo-liberale, per il fatto che «le pouvoir politique ne peut être souverain en matière monétaire et demandeur de crédit» (Dehay, La justification ordolibérale de l’indépendance des banques centrales, in Revue française d’économie, 1995, vol. 10, 1, p. 37 ss.). 98 Cfr. Tosato, Le implicazioni della crisi sulle istituzioni dell’Unione, rapporto presentato al workshop del Gruppo di riflessione CSF-IAI sul Fiscal Compact, settembre 2012, pp. 16 ss.
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ricorso per assicurare la conduzione di politiche di bilancio prudenti99. Solo il trasferimento della politica fiscale dal singolo Stato all’Unione europea probabilmente risolverà la crisi dell’euro. Prevale, dunque, la tesi secondo cui l’azione della BCE sui mercati finanziari attraverso il suo ampio armamentario di strumenti monetari può servire solo per limitare gli effetti negativi della crisi, ma non sarà mai in grado di risolvere questo drammatico fenomeno definitivamente, in assenza di una adeguata risposta politica sul futuro dell’euro100. Una prima evoluzione a breve è attesa dalla costruzione dell’unione bancaria, che assegnerà alla BCE un ruolo centrale nella vigilanza sul sistema bancario e nella risoluzione delle situazioni di sofferenza degli intermediari del credito. Resta in chiusura un’amara constatazione: nella stagnazione della politica europea, toccherà di nuovo ai giudici esprimersi. Siamo forse giunti all’ultimo capitolo di una storia nella quale proprio “l’intransigenza tedesca” ha forgiato i caratteri giuridico-costituzionali del processo di costruzione della nuova governance economica e monetaria dell’Europa.
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Per il quadro riassuntivo di tutte le novità in materia di governance europea della crisi cfr. Perez, L’azione finanziaria europea nel tempo della crisi, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2011, 5, pp. 1043 ss. 100 Cfr. Di Ciommo, La pericolosa anomalia della BCE alla sbarra tedesca, in www.astrid. it, p. 5: «ciò che Karlsruhe dovrebbe, nel rinviare alla Corte di giustizia, far risuonare della sua precedente giurisprudenza, sono proprio gli scricchiolii della sovranità nazionale – e delle istituzioni chiamate a tutelarla – che, dinanzi ad un’integrazione economica europea andata ben oltre le capacità delle sue istituzioni, attende riforme che adeguino finalmente la governance europea alle nuove realtà della storia».
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L’Unione bancaria: una nuova architettura nella governance del credito in Europa* Sommario: 1. Premessa. – 2. La crisi economica come spinta propulsiva verso l’Unione bancaria. – 3. Il meccanismo unico di vigilanza. – 4. Gli altri pilastri per costruire un’efficace Unione bancaria: cenni. – 5. Considerazioni conclusive.
1. Premessa. Per cercare di descrivere più compiutamente la nuova architettura nella governance del credito in Europa, non si può prescindere dal considerare le ragioni economiche che, soprattutto negli ultimi anni, hanno determinato un ripensamento della struttura della supervisione bancaria all’interno del mercato unico. A tal fine, la prima delle tre parti in cui è strutturato il presente lavoro sarà rivolta ad inquadrare il fenomeno recessivo che attualmente investe l’intera compagine europea, i limiti dei rimedi adottati e la spinta propulsiva che da ciò è nata per giungere ad una Unione Bancaria, accennando al contesto nel quale ha messo piede la recente riforma della vigilanza prudenziale sulle banche, con particolare riguardo alla realizzazione del Sistema Europeo di Vigilanza Finanziaria (il SEVIF) ed al processo di razionalizzazione e di riavvicinamento della normativa di derivazione europea. La seconda parte investirà la tematica del Meccanismo Unico di Vigilanza, che rappresenta uno dei pilastri fondamentali dell’Unione Bancaria, e la conseguente attribuzione dei poteri di vigilanza alla Banca Centrale Europea, di cui ai recenti regolamenti dell’ottobre 2013. Nel
*
Il presente scritto trae spunto da una relazione tenuta al Seminario di studi L’Unione bancaria europea, Roma, Università degli Studi Guglielmo Marconi, 15 gennaio 2014.
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richiamare lo strumento normativo utilizzato, mi soffermerò in particolare su taluni profili attinenti il funzionamento del Single Supervisory Mechanism, nonché i rapporti tra la BCE e le Autorità nazionali. Nella terza e ultima parte, dopo aver richiamato taluni aspetti riguardanti il periodo di transizione fino al novembre 2014 (quando andrà a regime il nuovo sistema di vigilanza), si passerà ad introdurre le proposte europee relative ad altri due pilastri integranti l’Unione Bancaria, ossia il Meccanismo Unico di Risoluzione delle crisi ed il Fondo Unico di garanzia dei depositi, per giungere, infine, ad alcune brevi considerazioni conclusive. Preliminarmente alla trattazione della prima delle suddette tre parti, mi corre l’obbligo di precisare come il presente lavoro, proprio per la particolare complessità della materia che risente molto delle tendenze politiche degli Stati membri dell’Unione e che risulta essere quotidianamente in progress, non ha alcuna pretesa né di completezza né di sistematicità. Le pagine che seguiranno si propongono di dare un semplice contributo, con l’obiettivo di inserirsi sommessamente in un dibattito molto più ampio ed articolato che travalica i confini del nostro Paese e si colloca, come da taluni affermato, in quella “auspicabile evoluzione in chiave politica del processo di integrazione europea”1.
2. La crisi economica come spinta propulsiva verso l’Unione bancaria. L’architettura dei controlli sulle banche che si sta delineando in Europa è stata in larga parte determinata dalla lunga depressione economica e finanziaria che, innescata negli Stati Uniti nella seconda metà del 2007 dalla vicenda dei mutui subprime, è esplosa con il successivo default della Lehman Brothers, verificatosi nel settembre 2008, e ha rapidamente assunto dimensioni e durata comparabili alla Grande Crisi degli anni Trenta del XX Secolo2.
1
Cfr. Capriglione, L’Unione Bancaria Europea, Torino, 2013, p. 118. Sulle origini della crisi finanziaria, cfr. Posner, A failure of capitalism: the crisis of ’08 and the descent into depression, Harvard, 2009; Barucci e Messori, Oltre lo shok: quale stabilità per i mercati finanziari?, Milano, 2009; Onado, I nodi al pettine. La crisi finanziaria e le regole non scritte, Bari, 2009; Fortis, La crisi mondiale e l’Italia, Bologna, 2
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La difficoltà dei debiti sovrani – cui ha fatto seguito la sfiducia dei mercati finanziari nei confronti di alcuni Paesi – ha prodotto, soprattutto nella fase iniziale, un incremento dello spread sui titoli di Stato, con l’ovvio aggravio del costo del rifinanziamento a carico dei medesimi. Non sono mancate le misure di rigore le quali, adottate per superare tali difficoltà, non sono state, tuttavia, in grado di far seguire all’effetto positivo del riequilibrio dello spread un progressivo ripristino di ottimali condizioni di mercato3. Con la crisi sono emerse tutte le criticità insite nel processo di unificazione europea: con particolare riguardo al settore bancario e finanziario, è di fatto risultato inadeguato quel modello della vigilanza armonizzata, introdotto, insieme al principio dell’home country control, dalle direttive europee, a partire dalla fine degli anni Settanta del secolo scorso. La sempre maggiore globalizzazione dei mercati e la nascita di imprese bancarie con dimensioni sovranazionali hanno reso, infatti, più complesse ed articolate le forme di vigilanza da parte delle Autorità nazionali e dei Comitati europei, rivelatisi alla prova dei fatti non particolarmente adeguati ai loro compiti4.
2009; Savona, Il governo dell’economia globale, Venezia, 2009; Trotta, I sistemi finanziari fra innovazione e instabilità. Lezioni dalla crisi dei mutui subprime e riflessioni sulle prospettive per banche e mercati, Torino, 2009; Carriero, La crisi dei mercati finanziari: disorganici appunti di un giurista, in Diritto bancario, 2009, p. 197; Rispoli Farina e Rotondo, La crisi dei mercati finanziari, Milano, 2009; Napolitano e Zoppini, Le autorità al tempo della crisi, Bologna, 2009; Capriglione, Crisi a confronto (1929 e 2008). Il caso italiano, Padova, 2009; Venturi, Globalizzazione, interconnessione dei mercati e crisi finanziaria. Identificazione di possibili interventi correttivi, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, II, p. 80; Siclari, Crisi dei mercati finanziari, vigilanza, regolamentazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 2009, I, p. 45; Principe, Impresa bancaria e crisi dei mercati finanziari, Napoli, 2010; Stiglitz, Griffith-Jones e Ocampo, Time for a visible hand: lessons from the 2008 world financial crisis, Oxford, 2010; Cera, Crisi finanziaria, interventi legislativi e ordinamento bancario, in Studi in onore di Francesco Capriglione, II, Padova, 2010, p. 1195; Colombini e Calabrò, Crisi finanziarie. Banche e Stati, Torino, 2011; Napolitano, a cura di, Uscire dalla crisi. Politiche pubbliche e trasformazioni istituzionali, Bologna, 2012; Santoro, I limiti del mercato e il fallimento della regolamentazione, in Dir. banc., 2012, I, p. 11. Per approfondimenti sulla crisi economica nell’ottica del diritto pubblico, cfr. Angelini e Benvenuti, a cura di, Il diritto costituzionale alla prova della crisi economica, Napoli, 2012. 3 Cfr. Capriglione e Semeraro, Financial crisis and sovereign debt: the european union between risks and opportunities, in Law and economics yearly review, 2012, I, p. 50. 4 Per una disamina approfondita, cfr. Mancini, Dalla vigilanza nazionale armonizzata alla Banking Union, in Banca d’Italia, Quaderni di ricerca giuridica della consulenza legale, 2013, n. 73.
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Prescindendo da ogni e qualsivoglia valutazione di ordine squisitamente politico, occorre notare come sia emersa progressivamente l’indifferibile esigenza di un superamento del modello della vigilanza nazionale armonizzata, accompagnata dalla necessità di promuovere un modello europeo di vigilanza pienamente integrato. Beninteso, gli stessi Padri fondatori della moneta unica tenevano ben presenti le problematiche insite nel processo di integrazione finanziaria: già nel corso dei lavori che portarono alla stesura del Trattato di Maastricht, infatti, il Gruppo dei Governatori delle banche centrali europee aveva espressamente richiesto che alla BCE fossero affidati anche compiti di vigilanza bancaria; ma, all’epoca, le resistenze politiche degli Stati nazionali, timorosi di perdere sovranità circa il controllo dei rispettivi sistemi creditizi, non consentirono di superare il modello della vigilanza armonizzata ripartita su base nazionale5. Tuttavia, sono state le ricerche commissionate successivamente all’esplosione della crisi dagli Stati nazionali e dalle Istituzioni europee nonché gli approfondimenti condotti dal mondo accademico a far acquisire la consapevolezza dell’esigenza di un progressivo superamento di tale modello. Le analisi condotte nel 2009 dal Gruppo de Larosière hanno evidenziato, infatti, come, ad oltre trenta anni dall’entrata in vigore della prima direttiva europea banche, i) permanessero rilevanti differenze fra le normative di recepimento adottate dai legislatori nazionali, ii) le azioni di vigilanza fossero ancora disomogenee da Stato a Stato e iii) il grado di convergenza fra le prassi di vigilanza seguite dalle varie Autorità nazionali fosse ancora insufficiente6.
5 Interessanti spunti di riflessione si hanno, a tal riguardo, in Giani, Il ruolo della politica e del diritto nel processo di riforma della struttura europea di supervisione finanziaria, in Dir. banc., 2011, 1, p. 101. 6 Cfr. Report of The High-Level Group on Financial Supervision in the EU, c.d. “Rapporto de Larosière” dal nome del suo presidente, Bruxelles, 25 febbraio 2009. Per approfondimenti al riguardo, cfr. Ferrarini e Chiodini, Regulating Cross-border Banks in Europe: A Comment on the De Larosière Report and a Modest Proposal, in Capital Markets Law Journal, 2009, 4, p. 123; Masera, La crisi globale: finanza, regolazione vigilanza alla luce del rapporto De Larosiere, in Riv. trim dir. econ., 2009, 1, p. 147; Onado, La supervisione finanziaria europea dopo il Rapporto De Larosière: siamo sulla strada giusta?, in Banc., 2009, 10, p. 16; Godano, Sviluppi della vigilanza finanziaria europea: il rapporto De Larosiére, in Queste Istituzioni, 2010, n. 156-157, p. 17; Mollers, Sources of Law in European Securities Regulation – Effective Regulation, Soft Law and Legal Taxonomy from Lamfalussy to de Larosière, in European Business Organization Law Review, 2010, n. 11,
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Il protrarsi e l’aggravarsi della crisi hanno, poi, come già sopra accennato, fatto il resto, causando un’ulteriore riduzione del già insufficiente livello di cooperazione fra le Autorità nazionali. Così i problemi sul tappeto si sono delineati in modo ancora più chiaro: 1) il legame negativo tra Stati sovrani ed enti creditizi; 2) il processo di frammentazione del mercato unico europeo nel settore finanziario; 3) l’assenza di un meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie per i nuovi gruppi di dimensione europea, e di un sistema di burden-sharing. Di fronte ad un tale scenario sempre più netto, sono sembrate due le principali strade teoricamente percorribili per ovviare alle deficienze del modello della vigilanza nazionale armonizzata. La prima, propugnata dalla Gran Bretagna7, Paese caratterizzato da un tradizionale attaccamento alla sovranità nazionale, muoveva verso un deciso potenziamento delle funzioni e dei poteri spettanti alle Autorità nazionali dei paesi ospitanti nei confronti degli intermediari bancari insediati o operanti negli stessi e comportava un forte ridimensionamento del principio dell’home country control. La seconda, delineata dal Rapporto redatto dagli esperti del Gruppo presieduto da Jacques de Larosière ed in linea con la teoria del c.d. “trilemma finanziario”8, proponeva, sempre in un contesto di regole armonizzate, un rafforzamento della scelta federalista, individuando – da un lato – la necessità di assicurare maggiore uniformità alle norme regolamentari e – dall’altro – l’esigenza di accentrare a livello europeo alcuni compiti e poteri di vigilanza, mediante la creazione di nuove Autorità. Fra le due prospettive, sostanzialmente antitetiche, la grande maggioranza degli Stati membri e le Istituzioni europee hanno ormai optato, nel corso degli ultimi anni, per quella auspicata dal Rapporto de Larosière, reputando anzi necessaria un’ulteriore spinta federalista che conduca alla realizzazione di una vera e propria Banking Union, caratterizzata da una vigilanza pienamente integrata. Tale percorso, lungi dall’essere scevro di intoppi e di rallentamenti dovuti sovente alle resistenze politiche dei singoli Stati nazionali, pro-
p. 379; Giovanoli e Devos, International monetary and financial law, the global crisis, Oxford, 2010; Merlin, Le nouveau système européenne de supervision financière, in Revue du droit de l’Union européenne, 2011, 1, p. 17; D’Ambrosio, Le autorità di vigilanza finanziaria dell’Unione, in Dir banc., 2011, II, p. 109. 7 Cfr. FSA, The Turner Review. A regulatory response to the global banking crisis, London, 2009, § 2.10. 8 Cfr. Schoenmaker, Il trilemma finanziario, in Economic Letters, 2011, n. 111, p. 57.
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segue da quel 26 giugno 2012, data in cui il Presidente del Consiglio Europeo, in stretta cooperazione con i Presidenti della Commissione, dell’Eurogruppo e con la BCE, ha indirizzato ai membri del Consiglio Europeo un Rapporto intitolato “Verso un’autentica Unione economica e monetaria”9. Questo Rapporto ha esposto quattro elementi considerati essenziali per il futuro dell’Unione Economica e Monetaria10: 1) un quadro finanziario integrato per garantire la stabilità finanziaria soprattutto nella zona euro e ridurre al minimo il costo dei fallimenti delle banche per i cittadini europei; 2) un quadro di bilancio integrato per garantire una politica di bilancio sana a livello nazionale ed europeo, che includa coordinamento, processo decisionale comune, attuazione più incisiva e passi commisurati verso un’emissione comune del debito, comprensivo anche di varie forme di solidarietà di bilancio; 3) un quadro integrato di politica economica con meccanismi sufficienti a garantire che siano in atto politiche nazionali ed europee volte a promuovere crescita sostenibile, occupazione e competitività, compatibili con il corretto funzionamento dell’UEM; 4) assicurare la necessaria legittimità e responsabilità democratica del processo decisionale, in base all’esercizio congiunto di sovranità in ordine alle politiche comuni e alla solidarietà. In particolare, il quadro finanziario integrato, proposto in risposta alla gravità delle circostanze, comprende tre fondamentali aspetti, ossia: a) una vigilanza unica; b) un sistema unico di garanzia dei depositi; e c) un sistema unico di risoluzione delle crisi bancarie11, tutti aspetti volti ad
9 Cfr. Consiglio Europeo, Verso un’autentica Unione economica e monetaria. Relazione del Presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, EUCO 120/12, 26 giugno 2012. 10 Secondo il Rapporto, questi quattro elementi costitutivi offrono un’architettura coerente e completa che dovrà essere realizzata nel corso del prossimo decennio. Tutti e quattro gli elementi sono necessari per la stabilità e prosperità a lungo termine nell’UEM e richiederanno molto altro lavoro, comprese, a un dato momento, eventuali modifiche ai trattati UE. 11 Per completezza, si riporta testualmente, di seguito, quanto afferma il Rapporto del 26 giugno 2012: «La crisi finanziaria ha rivelato carenze strutturali nel quadro istituzionale per la stabilità finanziaria. Affrontarle è particolarmente importante per la zona euro in considerazione delle interdipendenze profonde generate dalla valuta unica. Tuttavia, occorre procedervi preservando nel contempo l’unità e l’integrità del mercato unico nel settore dei servizi finanziari. Pertanto, un quadro finanziario integrato dovrebbe
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integrare gli estremi di un’efficace Unione Bancaria, la cui struttura, pur risentendo dei timori di taluni Stati membri ancorati alla loro sovranità, appare essere ormai sempre più delineata. Come suggerito da taluno con una immagine geometrica che rende l’idea12, la nuova architettura della vigilanza europea in formazione potrebbe essere raffigurata con due cerchi concentrici, sul più esterno dei quali trovano posto le novità normative, che saranno applicabili a
estendersi a tutti gli Stati membri dell’UE pur consentendo specifiche differenziazioni tra gli Stati membri che appartengono alla zona euro e quelli che non vi appartengono con riguardo a talune parti del nuovo quadro prevalentemente collegate al funzionamento dell’unione monetaria e alla stabilità della zona euro anziché al mercato unico. Muovendo dal corpus unico di norme, un quadro finanziario integrato dovrebbe avere due elementi centrali: un sistema unico europeo di vigilanza bancaria e un quadro comune di garanzia dei depositi e di risoluzione. Una vigilanza integrata è indispensabile per garantire l’efficace applicazione delle norme prudenziali, del controllo dei rischi e della prevenzione delle crisi in tutta l’UE. Occorre che l’attuale architettura si evolva il prima possibile in direzione di un sistema unico europeo di vigilanza bancaria, dotato di un livello europeo e di un livello nazionale. La responsabilità finale spetterebbe al livello europeo. Tale sistema garantirebbe l’efficacia della vigilanza bancaria in tutti gli Stati membri dell’UE tanto nel ridurre la probabilità di fallimenti delle banche quanto nel prevenire la necessità di interventi da parte di garanzie di deposito o fondi di risoluzione congiunti. A tal fine, al livello europeo sarebbero conferiti autorità di vigilanza e poteri di intervento preventivo applicabili a tutte le banche. Il coinvolgimento diretto di tale livello varierebbe a seconda delle dimensioni e della natura delle banche. Sarebbero valutate a fondo le possibilità previste dall’articolo 127, paragrafo 6, del TFUE concernente l’attribuzione alla Banca centrale europea di competenze di vigilanza sulle banche della zona euro. Sulla scorta delle proposte attuali e future della Commissione occorre portare avanti i lavori sulla garanzia dei depositi e la risoluzione: Un sistema europeo di garanzia dei depositi potrebbe introdurre una dimensione europea nei sistemi nazionali di garanzia dei depositi per le banche oggetto di vigilanza europea. Ciò rafforzerebbe la credibilità delle disposizioni in vigore e fornirebbe un’importante garanzia che i depositi ammissibili di tutti gli istituti di credito siano sufficientemente assicurati. Un sistema di risoluzione europeo finanziato principalmente da contributi delle banche potrebbe fornire assistenza nell’applicazione delle misure di risoluzione alle banche oggetto di vigilanza europea, al fine di permettere una liquidazione ordinata degli istituti irrecuperabili e in tal modo proteggere i fondi dei contribuenti. Il sistema di garanzia dei depositi e il fondo di risoluzione potrebbero essere posti sotto il controllo di un’autorità comune di risoluzione. Un quadro di questo tipo ridurrebbe notevolmente l’esigenza di ricorrere effettivamente al sistema di garanzia. Nondimeno, perché un sistema di garanzia dei depositi sia credibile, è necessario l’accesso a un sostegno finanziario solido. Pertanto, per quanto riguarda la zona euro, il meccanismo europeo di stabilità potrebbe fungere da sostegno di bilancio per l’autorità preposta alla risoluzione e alla garanzia dei depositi». 12 Cfr. Mancini, Dalla vigilanza, cit., p. 10.
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tutti e 28 gli Stati dell’Unione Europea13, mentre il più interno è destinato ad ospitare la disciplina “speciale”, che sarà applicabile solo agli Stati dell’Eurozona e agli altri Paesi che vi si vogliano spontaneamente assoggettare. Del cerchio più esterno fanno parte, quindi, la riforma che ha creato il SEVIF ed il c.d. pacchetto CRD IV, mentre il livello più interno sarà costituito dai c.d. tre pilastri della Banking Union, che rappresenteranno lo stadio più avanzato del complessivo progetto teso a realizzare una vigilanza integrata europea e che saranno applicabili soltanto negli Stati che – o per aver adottato la moneta unica o per libera scelta – ne faranno parte. Prima di concludere questa prima parte, ci si limita a riportare solo qualche rapido cenno sul SEVIF e sul c.d. pacchetto CRD IV, che torna utile per meglio inquadrare la complessiva riforma dell’Unione Bancaria. L’istituzione del SEVIF, avvenuta con cinque regolamenti del novembre 2010 sulla scorta delle indicazioni fornite dal Rapporto de Larosière14, ha avuto l’obiettivo – da un lato – di introdurre una vigilanza macroprudenziale, incaricata di scorgere preventivamente i fattori di rischio sistemico e di fornire tempestivamente i relativi elementi di valutazione alle autorità politiche nazionali ed europee e a quelle incaricate della vigilanza microprudenziale e – dall’altro – di ovviare al riscontrato deficit di uniformità delle regole e delle prassi nazionali di vigilanza. Tali finalità sono state perseguite con la creazione ex novo di un organismo di vigilanza macroprudenziale, che fa perno sulla BCE e coinvolge nella propria attività il Sistema Europeo di Banche Centrali
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Dal 1 luglio 2013 anche la Croazia è entrata a far parte dell’Unione Europea, facendo così salire a 28 l’attuale numero degli Stati aderenti. 14 Si tratta dei seguenti cinque atti di diritto derivato dell’Unione, tutti pubblicati nella G.U.U.E. n. L331 del 15 dicembre 2010: 1) regolamento (UE) n. 1092/2010 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativo alla vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario dell’Unione europea e che istituisce il Comitato europeo per il rischio sistemico; 2) regolamento (UE) n. 1093/2010 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che istituisce l’Autorità bancaria europea; 3) regolamento (UE) n. 1094/2010 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che istituisce l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali; 4) regolamento (UE) n. 1095/2010 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che istituisce l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati; 5) regolamento (UE) n. 1096/2010 del Consiglio, del 17 novembre 2010, che conferisce alla Banca centrale europea compiti specifici riguardanti il funzionamento del Comitato europeo per il rischio sistemico.
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(SEBC), nonché con l’istituzione – sul fondamento giuridico dell’art. 114 t.f.u.e. – di tre distinte agenzie europee15, operative dal gennaio 2011, incaricate del coordinamento della vigilanza microprudenziale nei tre settori chiave (creditizio, finanziario ed assicurativo) e che sono andate a sostituire, garantendo una maggiore stabilità, i tre preesistenti comitati formati dalle Autorità di vigilanza nazionali. Il SEVIF si compone, pertanto, del Comitato Europeo per il rischio sistemico (ESRB), delle tre agenzie europee, ossia l’Autorità bancaria europea (EBA) per gli enti creditizi, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) per il settore finanziario in senso stretto e l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA), nonché del Comitato congiunto fra le stesse agenzie e delle Autorità nazionali degli Stati membri, e poggia fondamentalmente sulla leale cooperazione di tutte le sue componenti, che devono esercitare i poteri conferiti in conformità agli atti adottati nelle rispettive materie dalle istituzioni europee. Per quanto maggiormente di interesse nella presente sede e non potendosi soffermare oltre nella trattazione, all’EBA sono stati attribuiti i seguenti poteri: a) di elaborare progetti di norme tecniche di regolamentazione e
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Per approfondimenti sulle agenzie dell’Unione Europea, cfr. sentenza C.G.U.E. n. 6 del 13 giugno 1958, C-9/1956, Impresa Meroni et co. Industrie Metallurgiche spa c/ Alta Autorità della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. In letteratura, cfr. Chiti, The Emergence of a Community Administration: The Case of European Agencies, in Common Market Law Review, 2000, n. 37, p. 309; L’Unione Europea. Istituzioni, ordinamento e politiche, Bologna, 2001, p. 200; Thatcher, Analysing regulatory reform in Europe, in Journal of European Public Policy, 2002, 9, p. 859; Id., Regulation after delegation: independent regulatory agencies in Europe, in Journal of European Public Policy, 2002, 9, p. 859; Geradin, Munoz e Petit, Regulation through agencies in the EU: a new paradigm of European governance, Cheltenham, 2005; Cossalter, Les délégations d’activités publiques dans l’Union européèenne, Paris, 2007; Busuioc, Accountability, Control and Independence: The Case of European Agencies, in European Law Journal, 2009, n. 15, p. 599; Groenleer, The Autonomy of European Union Agencies. A Comparative Study of Institutional Development, The Hague, 2009; Chiti, An Important Part of the EU’s Institutional Machinery: Features, Problems and Perspectives of European Agencies, in Common Market Law Review, 2009, n. 46, p. 1395; Chamon, EU Agencies: Does the Meroni Doctrine Make Sense?, in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 2010, 17, p. 281; Griller e Orator, Everything under Control? The “Way Forward” for European Agencies in the Footsteps of the Meroni Doctrine, in European Law Review, 2010, n. 35, p. 3; Wonka e Rittberger, Credibility, Complexity and Uncertainty: Explaining the Institutional Independence of 29 EU Agencies, in West European Politics, 2010, p. 730.
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progetti di norme tecniche di attuazione, da sottoporre all’approvazione della Commissione europea; b) di adottare orientamenti e formulare raccomandazioni indirizzati alle Autorità nazionali o alle istituzioni finanziarie, finalizzati ad istituire prassi di vigilanza uniformi, efficienti ed efficaci e per assicurare l’applicazione comune, uniforme e coerente del diritto dell’Unione; c) di adottare atti in sostituzione delle Autorità nazionali in caso di violazione del diritto dell’Unione, in situazioni di emergenza e per risolvere controversie fra Autorità competenti in situazioni transfrontaliere. Ad eccezione dell’ESMA, cui sono stati affidati anche compiti di controllo diretto su organismi transnazionali come le agenzie di rating16 e
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Le agenzie di rating vengono definite dagli studiosi come soggetti di diritto privato specializzati nel valutare il merito creditizio di determinati strumenti finanziari e/o dei rispettivi emittenti. Esistono due tipologie di rating: issue rating o rating dello strumento di debito e issuer rating o rating dell’emittente. Nel primo caso, il compito dell’agenzia di rating consiste nella valutazione del livello di rischiosità di un investimento obbligazionario in relazione al grado di probabilità che, alla scadenza del rapporto, l’emittente adempia esattamente alle proprie obbligazioni; nel secondo caso, l’attività riguarda la generale capacità di un dato emittente di adempiere regolarmente tutte le obbligazioni. Inoltre, si può distinguere tra unsolicited rating e solicited rating, a seconda che il rating sia emesso spontaneamente dall’agenzia oppure in virtù di un contratto a titolo oneroso concluso con il soggetto-oggetto di valutazione. In tema di agenzie di rating va segnalato il regolamento (CE) n. 1060/2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, pubblicato in G.U.C.E. n. l. 302 del 17 novembre 2009, con il quale si è inteso sottoporre ad una regolazione più stringente la categoria delle suddette agenzie di rating. Per approfondimenti, cfr. Hunt, Credit Rating Agencies And the “Worldwide Credit Crisis”: The Limits Of Reputation, The Insufficiency Of Reform and A Proposal For Improvement, in Columbia Business Law Review, 2009, 1, p. 109; Presti, Le agenzie di rating: dalla protezione alla regolazione, in Jus, 2009, 1, p. 65; Ferri e Lacitignola, Le agenzie di rating, Bologna, 2009; De Bellis, La nuova disciplina europea delle agenzie di rating, in Giorn. dir. amm., 2010, n. 5, p. 453; Olivieri, I servizi di rating tra concorrenza e regolazione, in AGE, 2012, II, p. 283; Perassi, Verso una vigilanza europea. La supervisione sulle agenzie di rating, in AGE, 2012, II, p. 407; Beccio, Le agenzie di rating, in Iudica, a cura di, Manuale del mercato mobiliare, Torino, 2012, p. 205; Scalcione, Regolamentazione dei rating e delle credit rating agencies: una voce fuori dal coro, in Dir. banc., 2013, I, p. 275. Per un recente e puntuale approfondimento, cfr. Grasso, Il costituzionalismo della crisi. Uno studio sui limiti del potere e sulla sua legittimazione al tempo della globalizzazione, Napoli, 2012, secondo cui le agenzie di rating sono soggetti ancora troppo sfuggevoli nonostante gli sforzi del legislatore comunitario affinché il sistema degli outlook sui debiti pubblici non si presti a facili strumentalizzazioni dettate dai noti problemi di trasparenza, tempestività e governance. Agenzie incapaci di garantire la salvaguardia di un binomio quanto mai essenziale come quello che lega responsabilità e potere. Per unire questi due elementi, l’Autore suggerisce la suggestiva ipotesi di una o più agenzie
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sui gestori delle strutture post trading, e a parte i limitati poteri conferiti all’EBA in peculiari ed eccezionali casi, il legislatore europeo si è limitato ad attribuire alle tre agenzie componenti il SEVIF compiti di regulation e di coordinamento delle Autorità nazionali, lasciando, invece, a queste ultime l’esercizio della vigilanza diretta sugli intermediari. Con l’introduzione del SEVIF era previsto, altresì, l’avvio di un processo rivolto all’individuazione delle principali divergenze nelle legislazioni nazionali di recepimento ed alla successiva eliminazione delle norme nazionali suscettibili di indurre distorsioni della concorrenza o di favorire arbitraggi regolamentari, in quanto meno rigorose rispetto alle disposizioni europee di base. Lo strumento che ha contribuito ad assicurare il perseguimento di tali obiettivi è il c.d. “pacchetto CRD IV”, composto di due importanti atti di diritto derivato del giugno 2013: 1) il corposo regolamento n. 57517, che ha introdotto regole uniformi concernenti i requisiti prudenziali delle banche e delle imprese di investimento, e 2) la direttiva n. 3618, che ha disciplinato con norme di massima armonizzazione l’accesso all’attività bancaria e la vigilanza prudenziale sulle banche e sulle imprese di investimento. In tal modo, è stato compiuto un notevole passo avanti verso la tendenziale uniformità delle regole tecniche, dei criteri applicativi, delle prassi di vigilanza e delle modalità di esercizio dei relativi poteri, la cui portata dovrà essere, tuttavia, rivalutata alla luce delle recenti accelerazioni che hanno ulteriormente modificato gli scenari della Banking Union.
di rating, dotate di una spiccata connotazione pubblicistica del tutto simile a quella delle Agenzie amministrative europee; tributarie di una responsabilità lato sensu politica utile a ridurre la distanza tra i due elementi del binomio. 17 Si tratta del regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012, pubblicato in G.U.U.E. n. L176 del 27 giugno 2013. 18 Si tratta della direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE, pubblicata in G.U.U.E. n. L176 del 27 giugno 2013.
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3. Il meccanismo unico di vigilanza. Passando alla trattazione della seconda parte del presente lavoro, si segnala che con due regolamenti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione lo scorso 29 ottobre si sono delineati i contorni di quel Meccanismo Unico di Vigilanza che costituisce uno dei pilastri fondamentali dell’Unione Bancaria: il primo è il regolamento n. 1024 del Consiglio, del 15 ottobre 2013, che ha attribuito alla BCE19 compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi20; il secondo è il regolamento n. 1022 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, che ha modificato il regolamento istitutivo dell’EBA per quanto riguarda l’attribuzione dei suddetti compiti specifici della BCE21. A fronte della frammentazione delle forme di vigilanza esistente in ambito europeo, la configurazione di un Meccanismo Unico, preordinato alla realizzazione di un’Unione Bancaria di dimensioni significative, è apparsa fondamentale al fine di “rompere il loop fra banche e paesi sovrani e l’azzardo morale connesso al salvataggio, da parte dei tax payer, delle grandi banche”22.
19 Il riferimento alla BCE in vista della possibilità di riconoscerle competenze di vigilanza microprudenziale (in aggiunta a quelle di controllo macroprudenziale assegnate al suo presidente in quanto capo dell’ESRB) – pur se giustificato in ragione delle alte capacità tecniche e dell’elevato livello reputazionale di cui gode detta istituzione – è stato considerato, in un primo tempo, con perplessità, attesa la possibile incidenza di detta funzione sullo svolgimento del compito fondamentale (esercitato dalla medesima) in materia di stabilità monetaria. Per una legittimazione vera e propria della BCE ad acquisire i poteri di cui al regolamento n. 1024/2013, anche alla luce dei recenti sviluppi della crisi e delle operazioni non convenzionali messe in atto dalla medesima istituzione finanziaria europea, cfr. Capriglione e Semeraro, Il Security Market Programme e la crisi dei debiti sovrani. Evoluzione del ruolo della BCE, in Riv. trim. dir. econ., 2011, 3, p. 257; Onno Ruding, The Contents and Timing of a European Banking Union: Reflections on the different views, in CEPS Essay, 30.11.2012, 2012, reperibile online; Capriglione, L’Unione, cit., p. 70. 20 Si tratta del regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio, del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi, pubblicato in G.U.U.E. n. L 287 del 29 ottobre 2013. 21 Si tratta del regolamento (UE) n. 1022/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, recante modifica del regolamento (UE) n. 1093/2010, che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), per quanto riguarda l’attribuzione di compiti specifici alla Banca centrale europea ai sensi del regolamento del Consiglio (UE) n. 1024/2013, pubblicato in G.U.U.E. n. l. 287 del 29 ottobre 2013. 22 Cfr. Masera, Moneta europea credito nazionale, in La Repubblica, 17 giugno 2013.
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Per la realizzazione di ciò il legislatore europeo ha deciso di avvalersi della procedura prevista dal sesto paragrafo dell’art 127 t.f.u.e.23. Detto art. 127 ha fornito una solida base legale perché l’intervento, non contemplando il conferimento di compiti di vigilanza sulle imprese assicurative, è sembrato rispettoso dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, limitandosi ad affidare alla BCE funzioni da esercitare a livello europeo per assicurare un’effettiva ed uniforme applicazione di regole prudenziali, controllo dei rischi e prevenzione delle crisi che non potrebbero essere adeguatamente svolte dalle singole Autorità nazionali. Sotto la responsabilità di queste ultime rimangono, d’altronde, le attività non toccate dal regolamento, quali la vigilanza sui soggetti non rientranti nel concetto europeo di “ente creditizio”24 e sulle banche di Paesi non appartenenti all’UE, la tutela del consumatore, i controlli sui servizi di pagamento e l’antiriciclaggio. Sorvolando sulle possibili problematiche connesse all’utilizzo del predetto strumento normativo e volgendo lo sguardo all’ambito della vigilanza assegnata al Meccanismo Unico, si può affermare che la ripartizione dei compiti all’interno del medesimo non è del tutto semplice e lineare. Ciò nonostante, non può tacersi come, alla luce degli atti normativi sopra citati e pur in presenza dell’opinione isolata di chi configurerebbe un riparto elastico di competenze25, risulta inequivoco il ruolo di primazia della BCE, la quale è responsabile del funzionamento efficace del Meccanismo di Vigilanza Unico, potendo, peraltro, decidere in qualsiasi momento di esercitare direttamente tutti i pertinenti poteri per uno o più enti creditizi, allorché ciò si renda necessario per garantire
Tale analisi economica aveva segnalato un totale dell’attivo dell’ordine di 40 trilioni di euro con riferimento all’Unione bancaria in Europa, laddove il dato corrispondente per gli USA era stimato in 8 trilioni. 23 L’art. 127, co. 6, t.f.u.e. reca testualmente che «il Consiglio, deliberando all’unanimità mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, previa consultazione del Parlamento europeo e della Banca centrale europea, può affidare alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese di assicurazione». 24 Ai sensi dell’art. 4, par. 4, n. 1), del regolamento n. 575/2013, per ente creditizio si intende un’impresa la cui attività consiste nel raccogliere depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico e nel concedere crediti per proprio conto. 25 Cfr. Clarich, La vigilanza bancaria, tra ordinamento nazionale e ordinamento europeo, relazione al convegno Verso la vigilanza unica in Europa, organizzato dalla Banca d’Italia, Roma 17 giugno 2013.
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un’applicazione coerente di standard di vigilanza elevati26. Beninteso, se da un canto la vigilanza unica trova compendio in un quadro disciplinare caratterizzato dall’orientamento del regolatore di non disperdere bensì di ottimizzare il patrimonio conoscitivo delle autorità interne di controllo, dall’altro la traslazione dei compiti relativi alla BCE avviene in modalità che innovano profondamente il quadro della supervisione bancaria, le cui frontiere hanno di certo dismesso la loro originaria dimensione nazionale. Ed infatti, pur nella consapevolezza che sia la BCE che le autorità nazionali competenti sono soggette al dovere di cooperare in buona fede tra loro ed all’obbligo di scambiarsi le informazioni, i regolamenti recentemente pubblicati attribuiscono all’istituzione europea i seguenti compiti: a) autorizzare gli enti creditizi27 e valutare le acquisizioni di partecipazioni qualificate28;
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In tal senso Capriglione, L’Unione, cit., p. 47 e pp. 76-79. Secondo tale Autore, si è in presenza di un criterio ordinatorio in linea con il processo evolutivo che, nell’ultimo biennio, ha caratterizzato il ruolo della BCE, i cui compiti si sono progressivamente ampliati con l’adozione di variegate misure (dal Security Market Programme sino al piano di LongTerm Refinancing Operations e, successivamente, alle OMT) per far fronte agli eventi eccezionali determinatisi nei mercati finanziari. Peraltro, si afferma, inoltre, come l’azione della BCE – ove raccordata con l’efficiente allocazione delle risorse – sia facoltizzata a spaziare in ambiti che, sia pure indirettamente, interagiscono con la sfera di interessi in parola, traendo da ciò una piena legittimazione per un agere esteso a ricomprendere anche interventi di supervisione bancaria. Per converso, una più approfondita analisi consente di raccordare la nuova funzione di supervisione bancaria alla più generale finalità di un’efficiente allocazione delle risorse, in vista di adeguate forme di equilibrio e stabilità dei sistemi europei. 27 Circa i nuovi poteri di vigilanza attribuiti alla BCE dall’art. 13 del regolamento (UE) n. 1024 del 2013, occorre in primo luogo considerare quelli relativi all’autorizzazione all’accesso all’attività di un ente creditizio. La relativa domanda viene presentata alle autorità nazionali competenti dello Stato membro partecipante in cui ha sede l’ente creditizio, nel rispetto dei requisiti previsti dal pertinente diritto nazionale. Se il richiedente soddisfa tutte le condizioni di autorizzazione previste dal pertinente diritto nazionale di detto Stato membro, l’autorità nazionale competente adotta, entro il termine previsto dall’ordinamento interno, un progetto di decisione con cui propone alla BCE il rilascio dell’autorizzazione: tale progetto deve essere notificato alla BCE e al richiedente l’autorizzazione. Il progetto di decisione si ritiene adottato dalla BCE a meno che quest’ultima non sollevi obiezioni entro un termine massimo di dieci giorni lavorativi, prorogabile una sola volta per lo stesso periodo in casi debitamente giustificati. La BCE deve verificare se le condizioni di autorizzazione stabilite nel pertinente diritto dell’Unione sono soddisfatte o meno, esponendo i motivi dell’eventuale rigetto per iscritto. 28 La notifica di acquisizione di una partecipazione qualificata in un ente creditizio stabilito in uno Stato membro partecipante ovvero ogni informazione connessa è pre-
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b) accertare il soddisfacimento dei requisiti patrimoniali minimi; c) accertare l’adeguatezza del capitale interno rispetto al profilo di rischio dell’ente creditizio; d) esercitare la vigilanza su base consolidata e svolgere compiti di vigilanza sui conglomerati finanziari; e) assicurare il rispetto delle disposizioni in materia di leva finanziaria e di liquidità; f) imporre alle banche l’obbligo di adottare le necessarie misure correttive e applicare misure di intervento precoce quando una banca viola o è in procinto di violare i requisiti patrimoniali fissati dalla normativa29. Pur rimanendo la vigilanza non prudenziale a livello nazionale, per
sentata alle autorità nazionali competenti dello Stato membro nel quale è stabilito l’ente creditizio conformemente ai requisiti di cui al pertinente diritto nazionale. L’autorità nazionale competente valuta l’acquisizione proposta e trasmette alla BCE la notifica e una proposta di decisione di vietare o di non vietare l’acquisizione, almeno dieci giorni lavorativi prima della scadenza del termine per la valutazione stabilito dal pertinente diritto dell’Unione. Alla BCE è attribuito il potere finale di decidere se vietare o meno l’acquisizione sulla base dei criteri di valutazione stabiliti dal pertinente diritto dell’Unione e conformemente alla procedura ed entro i termini per la valutazione ivi stabiliti. 29 La BCE ha, inoltre ed in particolare, i seguenti poteri: a) esigere che gli enti detengano fondi propri superiori ai requisiti patrimoniali stabiliti nel pertinente diritto dell’Unione, riguardo a elementi di rischio e a rischi che non rientrano nell’ambito di applicazione dei pertinenti atti dell’Unione; b) chiedere il rafforzamento dei dispositivi, dei processi, dei meccanismi e delle strategie; c) esigere che gli enti presentino un piano mirante a ripristinare la conformità ai requisiti in materia di vigilanza a norma del pertinente diritto dell’Unione e fissino un termine per la sua attuazione, compresi i miglioramenti di tale piano per quanto riguarda l’ambito di applicazione e il termine; d) esigere che gli enti applichino una politica di accantonamenti specifica o che riservino alle voci dell’attivo un trattamento specifico con riferimento ai requisiti in materia di fondi propri; e) restringere o limitare le attività, le operazioni o la rete degli enti o esigere la cessione di attività che presentano rischi eccessivi per la solidità dell’ente; f) esigere la riduzione del rischio connesso alle attività, ai prodotti e ai sistemi degli enti; g) esigere che gli enti limitino la componente variabile della remunerazione in percentuale dei ricavi netti quando è incompatibile con il mantenimento di una solida base patrimoniale; h) esigere che gli enti utilizzino l’utile netto per rafforzare i fondi propri; i) limitare o vietare le distribuzioni da parte dell’ente agli azionisti, ai soci o ai detentori di strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 se il divieto non costituisce un caso di default da parte dell’ente; l) imporre obblighi di segnalazione supplementari o più frequenti, anche sul capitale e sulle posizioni di liquidità; m) imporre requisiti specifici in materia di liquidità, comprese restrizioni ai disallineamenti di durata tra le attività e le passività; n) richiedere informazioni aggiuntive; o) rimuovere in qualsiasi momento membri dell’organo di amministrazione degli enti creditizi che non soddisfano i requisiti previsti dagli atti di cui al pertinente diritto dell’Unione.
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svolgere i compiti sopra elencati, alla BCE sono riconosciuti anche importanti poteri di indagine: essa, infatti, può esigere la comunicazione di tutte le informazioni di cui necessita, nonché svolgere indagini ed ispezioni in loco presso i locali commerciali delle persone giuridiche sotto il suo controllo. Secondo l’impostazione normativa in esame con riguardo ai destinatari dell’azione della BCE, quest’ultima esercita la propria vigilanza prudenziale direttamente sulle banche ricapitalizzate dall’European Stability Mechanism (ESM) nonché su quegli enti creditizi che abbiano il carattere della significatività. Tale requisito della significatività30 è valutato sulla base dei seguenti criteri: i) dimensioni; ii) importanza per l’economia dell’Unione o di qualsiasi Stato membro partecipante; iii) attività transfrontaliere. Più in particolare, alla luce del regolamento n. 1024 e con l’eccezione di particolari e specificate circostanze, una banca è considerata significativa qualora soddisfi una qualsiasi delle seguenti condizioni: i) il valore totale delle attività supera i trenta miliardi di euro; ii) il rapporto tra le attività totali e il PIL dello Stato membro partecipante in cui è stabilita supera il venti per cento, a meno che il valore totale delle attività sia inferiore a cinque miliardi di euro; iii) vi è una decisione della BCE che conferma quanto notificato dall’autorità nazionale competente secondo cui l’ente riveste un’importanza significativa con riguardo all’economia nazionale31. La BCE – che ha comunque vigilanza diretta sui tre enti creditizi maggiori di ciascuno Stato membro partecipante, salvo circostanze particolari – può, inoltre, di propria iniziativa, considerare un ente di importanza significativa quando questo ha stabilito filiazioni in più di uno Stato e le
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Sulla base del considerando 40 del regolamento n. 1024/2013, qualora un ente creditizio sia stato considerato significativo o meno significativo, la valutazione non dovrebbe generalmente essere modificata più di una volta ogni dodici mesi, tranne in caso di cambiamenti strutturali nei gruppi bancari, quali fusioni o dismissioni. 31 In tal caso, nel decidere, in seguito alla notifica di un’autorità nazionale competente, se un ente riveste importanza significativa con riguardo all’economia nazionale e deve quindi essere soggetto alla vigilanza della BCE, quest’ultima dovrebbe tenere conto di tutte le circostanze pertinenti, incluse le considerazioni legate alla parità di condizioni (cfr. considerando 41 del regolamento n. 1024/2013).
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sue attività o passività cross-border rappresentano una parte rilevante. Fermo restando il principio fondamentale secondo cui la BCE è responsabile per il funzionamento di tutto il sistema, le autorità nazionali mantengono la vigilanza diretta sulle banche meno significative, pur avendo l’obbligo di informare ex ante delle loro decisioni l’istituzione finanziaria europea, la quale ha il potere di esprimere pareri. La ricostruzione finora effettuata conferma come si sia in presenza di una sostanziale centralizzazione della vigilanza prudenziale in capo alla BCE che assume una competenza esclusiva per l’assolvimento di una serie di compiti32. Il regolatore europeo – nel delineare il nuovo quadro della supervisione bancaria comunitaria, pur facendo pieno affidamento sulla capacità ed efficienza degli apparati di controllo domestici (del cui apporto si tiene conto nello svolgimento dell’attività di vigilanza) – ha assegnato all’ente posto al vertice del sistema finanziario dell’Unione compiti e responsabilità di indiscussa centralità, nettamente sovraordinati a quelli delle autorità nazionali, i cui margini di discrezionalità andranno sempre più riducendosi, seppur con gradualità. Questa attribuzione ha determinato l’esigenza per la BCE di pianificare l’esercizio dei compiti di controllo, adottando opportune precauzioni per assicurare un’adeguata separazione tra le funzioni di politica monetaria e di supervisione bancaria33.
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Cfr. Guarracino, Dal meccanismo di vigilanza unico (ssm) ai sistemi centralizzati di risoluzione delle crisi e di garanzia dei depositi: la progressiva europeizzazione del settore bancario, in Riv. trim. dir. econ., 2012, 3, p. 199; Salerno, Il sistema di regolamentazione finanziaria globale: potenziali scenari dopo la crisi finanziaria internazionale, in Dir. banc., 2013, I, p. 123. 33 All’interno del SEBC la BCE assume un ruolo primario, esercitando in via esclusiva compiti di politica monetaria ed essendo l’unico soggetto avente personalità giuridica: è, infatti, proprio la BCE ad avere il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione dell’euro, ai sensi e per gli effetti dell’art. 283, par. 3, t.f.u.e., nonché ad essere titolare del potere di adottare atti normativi ed amministrative vincolanti e non vincolanti e di decidere sanzioni amministrative, la cui esecuzione è attribuita alle banche centrali nazionali, le quali hanno conservato una indipendenza più che altro formale, atteso che svolgono alcuni compiti limitati e non sono i titolari della funzione. Come affermato sempre dall’art. 282, par. 2, t.f.u.e., l’obiettivo del SEBC e della BCE è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Per approfondimenti sulla BCE e il SEBC in generale, cfr. Strozzi, Le istituzioni dell’Unione Europea, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da Chiti e Greco, Milano, 2007, p. 271; Morselli, Nascita ed evoluzione della Banca centrale europea, Enna, 2009, p. 50. Riguardo alla posizione istituzionale della banca centrale, cfr. Predieri, La regolazione del mercato creditizio nella prospettiva dell’Unione Europea, in Le banche.
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Non avendo il tempo per ripercorrere in questa sede l’ampio dibattito dottrinale sull’opportunità di una conduzione unitaria in seno alla banca centrale della politica volta a perseguire la stabilità dei prezzi e della vigilanza prudenziale sulle banche34, segnalo come essa (la conduzione
Regole e mercato, a cura di Amorosino, Milano, 1995, p. 15, secondo cui «nell’Unione Europea, quando saremo arrivati a regime, l’istituzionalizzazione delle banche centrali si fonderà su due pilastri. Il primo compito fondamentale della banca centrale è garantire la stabilità. Questa funzione, che ha caratterizzato la posizione della Bundesbank nella “costituzione materiale” tedesca e che si ritrova nella Costituzione spagnola è destinata ad entrare nell’ordinamento italiano attraverso il Trattato dell’Unione. Secondo pilastro: la Banca centrale di ogni stato dell’Unione risponderà alla banca europea, perché a regime il governatore di ogni banca centrale verrà nominato dal suo Paese ma risponderà esclusivamente nei confronti del sistema bancario europeo». 34 Per ulteriori approfondimenti, cfr. Parejo Gàmir e Algarra Paredes, Polìtica monetaria del Banco Central Europeo y competitividad: anàlisis de sus principales riesgos, in Revista del Instituto de Estudios Econòmicos, 2003, n. 2-3, p. 73; Orriols, Sallès, El Banco Central Europeo y el Sistema Europeo de Bancos Centrales: regime jurìdico de la autoridad monetaria de la Comunidad Europea, Granada, 2004; Scheller, The European Central Bank. History, role and functions, Frankfurt am Main, 2006, p. 134; Basso, Gli aspetti istituzionali, in Tosato e Basso, L’Unione economica e monetaria, Torino, 2007, p. 45; Dziechciarz, Rechtliche Integration der nationalen Zentralbanken in das Europäische System der Zentralbanken und in das Eurosystem, Baden Baden, 2009; Fabian, Die Europäische Zentralbank als Einrichtung unter Europäischer Verwaltung, München, 2011, p. 6. Più in generale, sulla strategia di politica monetaria dell’Eurosistema, cfr. Arcelli, L’economia monetaria e la politica monetaria dell’Unione Europea, Padova, 2007, p. 51. Più in particolare, per un approfondito studio sulle forme di azione, di diritto pubblico e di diritto privato, delle banche centrali nazionali nel quadro del SEBC, cfr. Tschekuschina, Rechtliche Aspekte der geldpolitischen Instrumente des Europäischen Systems der Zentralbanken, Baden Baden, 2008. Occorre, inoltre, notare come si sia dibattuto in dottrina sul presupposto dell’istituzione BCE: secondo Monaci, Banca centrale europea e sistema europeo delle banche centrali: attori della governance comunitaria, in Governance dell’economia e integrazione europea. Vol. II Governance multilivello regolazione reti, a cura di Ammannati e Bilancia, Milano, 2008, p. 222, si è avuta una delegazione della sovranità per la politica monetaria dagli Stati membri al livello comunitario, mentre secondo altri Autori gli ordinamenti hanno assistito ad un vero e proprio trasferimento della sovranità dal livello nazionale al livello europeo. Per approfondimenti circa il trasferimento effettivo alla BCE della sovranità monetaria con tutte le relative conseguenze in termini di servizi di pagamento transfrontalieri, cfr. Santoro, L’euro quale moneta scritturale, in Banca, borsa, tit. cred., 2001, 4, p. 439; Olivieri, Appunti sulla moneta elettronica, in Banca, borsa, tit. cred., 6, 2001, p. 809; Merusi, Profili giuridici dell’equipollenza monetaria dei sistemi di pagamento, in Il diritto dei sistemi di pagamento, a cura di Santoro, Milano, 2007, p. 1. Per approfondimenti riguardo alla residua sovranità degli Stati membri, cfr. Mezzacapo, Potere monetario, impresa e mercato nell’acquis dell’UE, Padova, 2012, p. 66. Come notato da Antoniazzi, La Banca Centrale Europea tra politica monetaria e vigilanza bancaria, Torino, 2013, p. 1, nel concetto di sovranità monetaria
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unitaria) sia stata nei fatti avvalorata dalla necessità di porre rimedio alle carenze strutturali dell’ordinamento finanziario europeo, emerse in relazione alla situazione di crisi ed alle relative implicazioni negative sui debiti sovrani, cui nella prima parte si è fatto cenno. L’esigenza della politica, insomma, di far ricorso alla competenza tecnica della BCE per conseguire l’obiettivo di sconfiggere la crisi, se da un lato ha fatto emergere talune perplessità circa il reale superamento del rischio di potenziale conflitto di interessi, che potrebbe derivare dall’eccessiva contiguità tra le attività di politica monetaria e quelle di vigilanza prudenziale, dall’altro ha dato fiducia alla neutralità della BCE medesima, anche sulla base di considerazioni per cui non c’è molto contrasto tra due funzioni che, nell’esperienza pluriennale di molti stati nazionali, hanno interessato la stessa autorità35. Il regolatore europeo, tuttavia, proprio al fine di dare maggiore energia ed efficacia all’azione della BCE, ha previsto una serie di regole a tutela dell’indipendenza dell’istituzione europea e per garantire una maggiore legittimazione democratica del suo operato36.
sono inclusi il potere di emissione della moneta ed il governo della liquidità che consiste nella definizione dei tassi di interesse, nella fissazione dei tassi di cambio e nell’adozione di misure di svalutazione monetaria in funzione di crescita economica; i Governi degli Stati membri partecipanti all’Eurosistema possono, comunque, detenere e gestire in modo autonomo “saldi operativi in valuta estera”, in conformità all’art. 127, par. 3, t.f.u.e., all’art. 31, par. 2, Statuto SEBC e BCE e all’indirizzo della BCE del 23 ottobre 2003 (BCE/2003/12, reperibile online). 35 Per ulteriori approfondimenti, senza alcuna pretesa di completezza, cfr. Debelle e Fischer, How independent should a central bank be?, in Goals, guidelines and constraints facing monetary policymakers, a cura di Fuhrer, Boston, 1994, p. 291; Calomiris, The regulatory record of the Greenpan era, in American Economic Review, 2006, 96 (2), p. 170; Barth, Caprio e Levine, Rethinking bank regulation: till angels govern, Cambridge, 2006; Monaci, La struttura della vigilanza sul mercato finanziario, Milano, 2007; BasilienGainche, La régulation des stratégies politiques des acteurs économiques, in Revue des affaires européennes, 2010, 3, p. 535. In particolare, secondo Pittaluga e Seghezza, Central banks as Political Players: Against the Mainstream, in Banc., special issue, 2010, p. 35, l’utilizzo della vigilanza e della regolamentazione come veicolo per rafforzare il sostegno di determinati gruppi di interesse alla banca centrale può determinare un’allocazione inefficiente delle risorse nel settore finanziario; l’esercizio da parte di una banca centrale delle funzioni di vigilanza e regolamentazione oltre che di quelle monetarie, sembra configurare un trade-off tra l’aumento della credibilità anti-inflazionistica della politica monetaria e l’efficienza nell’allocazione delle risorse nel settore finanziario. 36 Al riguardo, secondo Grasso, Il costituzionalismo, cit., solo rinvigorendo i diritti e con essi le forme di partecipazione democratica ai processi politici di governo della crisi economica, che risultano, invece, del tutto emarginate, è possibile uscire dal guado;
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Oltre all’istituzione di un apposito organo, il Supervisory Board37, la cui compagine riflette (a livello di nomine) la variegata composizione dei diversi Stati aderenti al Meccanismo di Vigilanza Unico, vanno segnalate specifiche disposizioni in merito alla separazione delle due funzioni e con riguardo al finanziamento tramite contributi delle banche, pur senza dimenticare le riflessioni, recentemente promosse all’interno della stessa BCE, concernenti l’introduzione di elementi di rinnovamento nel modello organizzativo e funzionale di quest’ultima. Si fa riferimento, in particolare, alla ravvisata esigenza di rendere più trasparente la comunicazione e, dunque, alla proposta – avanzata da taluno38 – di pubblicare le minute delle riunioni del Consiglio direttivo, come avviene già alla Fed e alla Banca centrale giapponese, al fine di rafforzare la percezione dell’affidabilità della BCE, seppur con un dovuto attento dosaggio, stante l’ipotizzabile lesione dell’indipendenza della stessa derivante dalla pubblicizzazione delle posizioni assunte dai Governatori, cui potrebbero far seguito eventuali pressioni politiche da parte degli Stati nazionali39.
e solo a queste condizioni si potrà accettare, come possibile contropartita finale, un eventuale indebolimento del potere statuale, nel rispetto sostanziale della cornice costituzionale, magari a favore di un potenziamento delle istituzioni sovranazionali (come l’Unione europea). Soltanto dando una sempre più completa garanzia dell’effettività dei diritti fondamentali e offrendo una più robusta legittimazione democratica alle forme di esercizio del potere, si potrà vincere, davvero, la sfida che la crisi economica e i mercati globali hanno lanciato agli Stati sovrani. Solo a queste condivisibili condizioni ci si potrà anche incamminare lungo il sentiero che porterà a fare dell’Europa unita una compiuta opera, con tutte le rinunce della sovranità statale che, a quel punto, nei confronti del nuovo soggetto politico, sarà ragionevole accettare. 37 Esso è composto da quattro membri designati dal Comitato esecutivo della BCE, da due membri eletti dal Consiglio direttivo della BCE tra i propri componenti – ai quali andranno la presidenza e la vice presidenza dell’organo – nonché da un componente per ciascuno Stato aderente al Single Supervisory Mechanism designato dalle autorità di vigilanza nazionali. 38 Cfr. Mastrobuoni, Bce, parte il dibattito sulla trasparenza, in La Stampa.it, 2 agosto 2013. 39 Secondo Capriglione, L’Unione, cit., p. 67, una maggiore trasparenza dell’agere della BCE non solo segna il passaggio verso modalità operative e comportamentali consone al nuovo ruolo oggi riconosciuto alla più importante istituzione finanziaria europea, ma denota peculiare utilità nel contesto complessivo del cambiamento in atto; ciò in quanto il progetto in parola, rendendo palese l’iter formativo dei provvedimenti adottati (e, quindi, esplicitando le ragioni sottostanti), rafforza la percezione dell’affidabilità della BCE. Per converso, un’innovazione di tal genere – oltre ad avvicinare di più la realtà della BCE a quelle delle più grandi similari istituzioni del pianeta – rivela specifica valenza nel
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4. Gli altri pilastri per costruire un’efficace Unione bancaria: cenni. Come sopra già accennato, il Meccanismo di Vigilanza Unico sarà a regime dal novembre 2014. Durante il già iniziato periodo di transizione, la BCE deve condurre una valutazione approfondita delle banche sistemiche, con le finalità intermedie di migliorare la qualità delle informazioni disponibili sulla situazione degli enti creditizi nonché di individuare ed intraprendere le azioni correttive eventualmente necessarie e con l’obiettivo ultimo di rafforzare la fiducia nel sistema bancario dell’area Euro. Secondo quanto previsto dalle comunicazioni pubblicate, la valutazione comprende tre principali elementi: 1) un’analisi in termini quantitativi e qualitativi dei fattori di rischio fondamentali; 2) un esame della qualità degli assets delle banche, ivi compresa l’adeguatezza sia della valutazione di attività e garanzia, sia dei relativi accantonamenti; 3) una prova di stress per verificare la tenuta dei bilanci bancari in scenari di particolare tensione, che la BCE condurrà unitamente con l’EBA, la quale, se da un punto di vista più squisitamente formale potrebbe sembrare uscire indenne dall’introduzione del Meccanismo di Vigilanza Unica – che ne salvaguardia le prerogative –, dall’altro potrebbe vedere sostanzialmente ridimensionato il suo ruolo anche alla luce del potere regolamentare esercitato da BCE40. Indubbiamente, i mesi a venire saranno molto importanti per meglio
rendere possibili adeguate forme di “controllo democratico” sulle forme di supervisione bancaria, supplendo quindi alle carenze (al presente riscontrabili) della funzione affidata al Parlamento europeo. 40 Per approfondimenti, cfr. Wymeersch, The European Banking Union, a First Analysis, in Financial Law Institute Working Paper Series, 2012, 7, p. 20; Guarracino, Dal meccanismo, cit., p. 207, secondo cui il progetto di riforma della vigilanza bancaria nell’eurozona prevede di intervenire anche sulla governance dell’EBA al fine, tra l’altro, di garantirne la funzionalità decisionale ed impedire la formazione di minoranze di blocco da parte di Stati membri aventi l’euro come moneta. Secondo Capriglione, L’Unione, cit., p. 52, appare esservi un ridimensionamento del ruolo dell’EBA e, in chiave prospettica, l’odierna conferma del potere regolamentare della BCE può essere riguardato alla stregua di un indice del possibile superamento della trilogia potestativa realizzata dal legislatore europeo con la creazione del complesso autoritativo posto al vertice del SEVIF. Per ulteriori approfondimenti, cfr. Troiano, The new institutional structure of EBA, in Law and Economics Yearly Review, 2013, 2, p. 163.
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comprendere ed eventualmente calibrare gli strumenti a disposizione, al fine di evitare paventate sovrapposizioni di funzioni ovvero inutili attriti tra autorità e di scongiurare il rischio di minare la coerenza sistemica ricercata dal regolatore. Pari rilevanza avrà il prossimo futuro per portare avanti il dibattito molto acceso – come di recente dimostrato nel Consiglio europeo del 19-20 dicembre 2013 – relativamente alla definizione di altri pilastri fondamentali dell’Unione Bancaria, ossia il Single Resolution Mechanism (SRM) ed il Fondo Unico di garanzia dei depositi. L’esperienza degli anni della crisi ha insegnato come né l’assoggettamento delle banche alle regole uniformi o alle prassi di vigilanza convergenti, che dovrebbero essere assicurate dal SEVIF e dal pacchetto CRD IV, né lo stesso accentramento della vigilanza cui mira il Single Supervisory Mechanism, sarebbero di per sé sufficienti a superare tale criticità, ove la risoluzione delle eventuali future crisi, i salvataggi bancari e la tutela dei depositanti continuassero a competere alle singole istituzioni nazionali, facendo ricadere la copertura dei costi sulle finanze dei relativi Stati e innescando così nuovamente il circolo vizioso sopra descritto. E ciò a maggior ragione se si tiene presente, tra l’altro, che, a partire dal 1° agosto 2013 sono entrate in vigore le nuove regole in tema di aiuti di Stato per il settore bancario41, con tutte le considerazioni, anche problematiche, circa l’applicazione del bail-in. In tale direzione si collocano la proposta di direttiva della Commissione, del giugno 2012, sul risanamento e sulla risoluzione delle banche, finalizzata ad armonizzare gli strumenti di intervento in dotazione ai vari Stati e tendente a porre il costo del salvataggio dell’istituzione bancaria a carico degli azionisti e dei creditori della stessa anziché dei contribuenti, nonché altri due interventi, ossia la proposta di direttiva della Commissione relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (risalente al luglio 2010) e la recente proposta di regolamento del 10 luglio 2013 per l’introduzione di un meccanismo unico di risoluzione delle crisi. Anche se molto è stato finora fatto, da questi interventi dipenderà il futuro dell’Unione Bancaria.
41 Cfr. Commissione Europea, Comunicazione della Commissione relativa all’applicazione, dal 1 agosto 2013, delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria, in G.U.U.E. del 30 luglio 2013, secondo cui, prima di poter beneficiare di un aiuto di Stato attraverso una ricapitalizzazione o misure di protezione degli asset, una banca dovrà elaborare un “piano solido” di ristrutturazione o di una ‘risoluzione’ ordinata.
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5. Considerazioni conclusive. Volendo svolgere alcune considerazioni conclusive, come illustrato in precedenza, non vi è dubbio che la volontà di realizzare l’Unione Bancaria europea sia nata con il precipuo obiettivo di superare le divergenze normative e procedurali messe in risalto dalla crisi attraverso l’esercizio di una vigilanza unica sugli enti creditizi. Le istituzioni europee, nel delineare il quadro degli interventi rimessi al Meccanismo Unico di Vigilanza, hanno tenuto conto della cattiva prova data nella crisi dall’originaria struttura dell’UEM, basata su un criterio ordinatorio “ancorato al mercato (divieto di salvataggio, possibile insolvenza sovrana, proibizione della monetizzazione dei debiti)”42. Da qui l’esigenza di dare – nella costruzione della nuova architettura nella governance del credito in Europa – maggiore risalto a un “metodo gerarchico incentivante”, come è stato definito, con la conseguenza di giungere ad organizzare un sistema di sorveglianza che, essendo riconducibile nell’ambito di un processo federativo, evidenzia l’abbandono di una parte rilevante della sovranità nazionale. Ciò beninteso, come da taluno acutamente sottolineato43, non appare fuor di luogo interrogarsi sulla eventualità che la costituzione dell’Unione Bancaria europea sottenda una prospettiva ulteriore rispetto a quella della semplice revisione delle regole disciplinanti gli intermediari ed il mercato finanziario, costituendo un significativo primo passo nel più articolato percorso verso l’unione politica europea. Una tale ipotesi concettuale – in linea con la riflessione da tempo formulata dalla dottrina in tema di rapporti tra diritto dell’Unione e definizione del ruolo di vigilanza nonché con i diversi profili attinenti alla legittimazione democratica ed al corrispondente ruolo del Parlamento
42
Cfr. Sarcinelli, L’unione bancaria europea e la stabilizzazione dell’Eurozona, in Moneta e credito, 2013, pp. 7 ss. . 43 Cfr. Capriglione, L’Unione, cit., p. 85. Secondo l’Autore, l’attivazione di un innovativo meccanismo di controllo unitario in ambito europeo potrebbe essere ritenuto finalizzato al perseguimento di obiettivi che trascendono la contingente riferibilità al miglioramento delle forme gestionali degli intermediari finanziari. È evidente come divenga possibile ascrivere una dimensione teleologica al progetto in parola ben più ampia di quella desumibile dalla semplice configurazione di un compendio unitario di strumenti di controllo volti a migliorare le prassi operative e, dunque, a prevenire eventuali, futuri squilibri nei mercati finanziari. Secondo l’Autore, non vi è dubbio che un’ipotesi concettuale siffatta appare coerente con il presumibile intento del regolatore europeo di correlare tale intervento disciplinare al divenire della realtà economico finanziaria.
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europeo – sembrerebbe coerente con il presumibile intento del regolatore europeo di collegare la riforma della vigilanza in Europa alla realizzazione di un processo di integrazione di intensità e consistenza ben maggiore rispetto a quello sin qui perseguito. Le difficoltà non mancano, anche in ragione del divario esistente tra i tanti Paesi dell’Unione, ma tutto dipenderà, oltre che dagli interventi istituzionali, anche dalla volontà e dall’ottimismo di ciascuno!
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La vigilanza sulle remunerazioni dei banchieri* Sommario – 1. Corporate governance e funzionalità dei sistemi di remunerazione. – 2. Sulla correlazione tra crisi finanziaria e sistemi incentivanti dei manager. – 3. Profili di rischio dei modelli retributivi. – 4. La proliferazione regolamentare a riduzione dell’autonomia privata. – 5. Spunti di riflessione per un difficile compromesso tra auto- e etero- regolamentazione.
1. Corporate governance e funzionalità dei sistemi di remunerazione. Nell’ambito degli studi di corporate governance il tema della remunerazione dei manager (definizione nella quale rientrano gli amministratori, con particolare evidenza “esecutivi”, nonché i direttori generali ed i dirigenti c.d. “apicali”) viene in rilievo con l’obiettivo di individuare il punto di allineamento ottimale tra interessi dei manager ed interessi degli azionisti1.
*
Il presente scritto rappresenta una rielaborazione dell’intervento al Convegno in Ricordo di Franco Belli, Sistema creditizio e finanziario: problemi e prospettive, Siena, 9 e 10 maggio 2013, i cui Atti sono in corso di pubblicazione con Pacini Editore. 1 Per M. Campobasso, I compensi degli amministratori di società quotate: l’esperienza italiana, in Riv. soc., 2011, p. 706, «il nodo centrale della questione è (…) che forma, struttura e livello di remunerazione degli amministratori (in una parola: il sistema retributivo) devono essere idonei ad allineare gli interessi di costoro con quelli di lungo periodo della società, nonché mantenere nella parte variabile un rapporto di ragionevole proporzionalità con i risultati conseguiti». Per Santosuosso (Il princípio di ragionevolezza nella disciplina della remunerazione degli amministratori, in Nuovo diritto delle società, diretto da Abbadessa e Portale, Torino, 2006, p. 362) «la remunerazione viene vista come il frutto di una negoziazione, volta ad evitare abusi nell’autodeterminazione dei compensi e quindi compensi eccessivi rispetto all’entità ed ai risultati delle prestazioni». In questo senso anche Ferrarini e Moloney, Remunerazione degli amministratori esecutivi e riforma del governo societario in Europa, in Riv. soc., 2005, pp. 590 ss.
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Gli interessi dei manager sono tradizionalmente ricondotti al desiderio di retribuzioni più alte ed alla conservazione del posto. Gli azionisti hanno invece interesse al miglioramento della performance della società, a retribuire i manager in misura adeguata alle effettive performance e a fidelizzare i manager migliori2. L’opinione tradizionale è che i manager siano naturalmente avversi al rischio e abbiano quindi bisogno di incentivi per impegnarsi su business rischiosi ma profittevoli per la società3. Per allineare gli interessi delle parti
2 Sottolinea l’incidenza dei criteri di remunerazione dei managers sullo shareholder value Jaeger, L’interesse sociale rivisitato (quarant’anni dopo), in Giur. comm., 2000, n°6, pp. 795 ss. Altra dottrina (Santosuosso, Il princípio, cit., p. 363) ritiene che la trattativa e l’accordo tra azionisti e manager abbia l’obiettivo di dare agli azionisti «un maggiore peso in funzione della riduzione o dell’azzeramento delle rendite extraprofitto, spesso camuffate – sproporzionate rispetto alle performance – che i manager otterrebbero senza queste procedure di negoziazione» e di riconoscere ai manager «una remunerazione sufficiente ad attrarre e fidelizzare i migliori, con un sistema di incentivi non soltanto reputazionali che funzioni con ricadute positive per la stessa società». È stato altresì osservato (Conti, Sistemi di remunerazione, incentivi e corporate governance: alcune riflessioni sulla recente crisi, in Banc., 2009, 12, p. 15) che le scelte delle azionisti in merito al trade-off tra alte retribuzioni dei manager e rafforzamento della governance aziendale sono condizionate dalle caratteristiche del mercato su cui si fonda la domanda dei manager, per cui la presenza di sistemi di governo deboli crea su tale mercato i presupposti per retribuzioni più alte che tendono inevitabilmente a trasmettersi alle altre imprese. Nel tentativo di arginare il deflusso dei manager migliori, attratti da retribuzioni più alte, le imprese con governance più forte vedono così modificato il trade-off costi benefici che le aveva portate a investire maggiormente nella governance. Si crea quindi un disincentivo ad investire in governance tanto maggiore quanto più alta è la competizione per i manager. Sul tema v. anche Fahlenbrach, Sharehoder Rights, Boards and CEO Competition, in Fisher College of Business Working Paper, marzo 2008. Secondo altra parte della dottrina (Bebchuk e Fried, Pay Without Performance: Overview of the Issues in Journal of Corporation Law, 2005, 30, n. 4, pp. 647 ss.), presupporre un mercato efficiente dei manager di talento è errato, in quanto l’influenza esercitata su di su di esso dai manager stessi può portare ad accordi non efficienti, cui si associano incentivi controproducenti. 3 I sostenitori della shareholder theory ritengono necessario che la remunerazione sia costantemente allineata ai risultati della società, in quanto altrimenti gli amministratori preferirebbero adottare comportamenti avversi al rischio, cautelandosi così, pur a scapito degli utili societari, da possibili azioni di responsabilità nei loro confronti per eventuali danni gestionali. Sul tema v. Cappiello, La remunerazione degli amministratori. “Incentivi azionari e creazione di valore”, Milano, 2005, pp. 31 ss.; Tonello, Corporate Governance e tutela del risparmio, in Trattato dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, XXXV, Padova, 2006, pp. 305 ss. Sui piani di stock option, in particolare, v. Santoro, Sub articolo 3 d.lgs. n. 303 del 2006, in Nigro e Santoro, a cura di, La tutela del risparmio, Torino, 2007, p. 296; Santosuosso, Il princípio, cit., pp. 361 ss.; Zanardo, I piani di stock option dall’esperienza anglosassone alla disciplina e diffusione nell’ordinamento italiano, in Giur. comm., 2006, I, pp. 738 ss.
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e ridurre i costi di agenzia4, nella struttura retributiva dei manager sono da tempo inclusi bonus, opzioni ed altre forme variabili di remunerazione5.
4 In accordo alla agency theory, in una società commerciale sono rinvenibili due categorie di portatori di interessi (stakeholder): i “portatori del rischio residuo” (residual claimant), identificabili nei soci (siano essi di minoranza o di maggioranza) e nei creditori sociali; i “padroni del processo decisionale” (decision maker), ossia i soci di maggioranza e i manager. La mancata coincidenza tra le due categorie rende necessaria l’instaurazione di un rapporto principal-agent, in ordine al quale l’agent è incaricato dal principal di gestire il suo interesse con una certa discrezionalità. Ciò avviene tra residual claimant e decision maker, per un verso, e, nell’ambito di tale categoria, tra soci di maggioranza e manager. I rapporti principal-agent generano dei costi (agency cost), rappresentati dal rischio opportunismo dell’agente nei confronti della società, ossia dal rischio che l’agente adotti una condotta diversa da quella attesa dalla società a danno degli interessi di quest’ultima. 5 Secondo la visione dominante, che possiamo definire “tesi della contrattazione ottimale” (tra questi v. Murphy, Executive Compensation in Handbook of Labor Economics, a cura di Ashenfelter e Card, New York, 1999, pp. 2485 ss.; Core, Guay e Larcker, Executive Equity Compensation and Incentives: A Survey, in Working Paper, Wharton School, 2001), i meccanismi incentivanti dei manager rappresentano una, pur parziale, soluzione ai problemi di agenzia, in quanto efficienti incentivi sono finalizzati a massimizzare il valore per l’azionista. Altri, invece, affermano (Jensen e Meckling, Theory of the Firm: Managerial Behavior, Agency Cost, and Ownership Structure, in Journal of Financial Economics, 1976, 3, pp. 305 ss.) che la struttura dei meccanismi incentivanti è essa stessa, in parte, un prodotto del medesimo problema di agenzia. Già negli anni Trenta, a dire il vero, si era osservato (Berle e Means, The Modern Corporation and Private Property, New York, 1932, p. 139) che «directors, while in office, have almost complete discretion in management». Questa posizione, che si suole nominare “tesi del potere manageriale”, si fonda sull’idea che i manager abbiano un’importante influenza sull’elaborazione dei propri piani retributivi, grazie alla quale agli azionisti sono imposti costi che, al di là dei compensi in eccesso che i manager si riserverebbero, sono rappresentati da incentivi distorti e contrari agli interessi degli azionisti stessi (Bebchuk e Fried, Executive Compensation as an Agency Problem, in Harvard Law and Economics Discussion Paper, 2003, n. 421, p. 2, disponibile in SSRN: http://ssrn. com/abstract=364220). La dottrina che aderisce a tale tesi ha anche studiato l’andamento dei diritti di opzione assegnati ai CEO e agli amministratori indipendenti, notando che i prezzi particolarmente bassi (quindi “fortunati”) dei diritti, grazie ai quali il numero dei diritti assegnati risultava alto in modo anomalo, erano associati a compensi già particolarmente alti dei CEO e positivamente correlati con l’assenza di una maggioranza di membri indipendenti del consiglio di amministrazione e di un comitato remunerazioni formato da membri esterni, o con la presenza di un CEO avente molti anni di servizio (Bebchuk, Grinstein e Peyer, Lucky CEOs and Lucky Directors, in Harvard Law and Economics Discussion Paper, 2010, n. 573, disponibile in SSRN: http://ssrn.com/abstract=952239). Sul tema si vedano anche, tra gli altri, Yablon e Hill, Timing Corporate Disclosures to Maximize Performance-Based Remuneration: A Case of Misaligned Incentives?, in Wake Forest L. Rev., 2000, n. 35, pp. 83 ss.; Santore e Robison, Managerial Incentives, Fraud, and Monitoring, in Financial Review (The), 2011, n. 2, pp. 281 ss.
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Se l’impatto di tali meccanismi è eccessivo, il manager può però adottare un comportamento opportunistico, tralasciando l’interesse della società per privilegiare ingenti guadagni immediati6. Nell’ordinamento italiano si prevede, all’art. 2389 c.c. e per le società a governance tradizionale, che la remunerazione degli amministratori (e dei componenti dell’eventuale comitato esecutivo) sia fissata dagli azionisti, all’atto della nomina o successivamente in assemblea. Per gli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto la remunerazione è fissata dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Lo statuto della società, peraltro, può prevedere che l’assemblea abbia la facoltà di determinare l’importo complessivo delle retribuzioni degli amministratori, compresi quelli investiti di particolari cariche (come amministratori delegati e presidente del consiglio)7. La retribuzione degli amministratori può essere costituita, anche totalmente, da partecipazioni agli utili o dall’attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione (stock option)8. I compensi dei manager apicali diversi dagli amministratori (quale,
6
La shareholder theory è stata oggetto di forte critica, soprattutto negli Stati Uniti, essendosi dimostrato che gli amministratori ed i dirigenti apicali influenzano pesantemente la determinazione dei compensi, che spesso risultano in contrasto con l’interesse dei soci ed incentivano comportamenti scorretti se non addirittura fraudolenti (Becker, Crime and Punishment: an Economic Approach, in The Journal of Political Economy, 1968, 76, pp. 169 ss.). In questo senso v. anche Bebchuk, Fried e Walker, Managerial Power and Rent Extraction in the Design of Executive Compensation, in U. Chi. L. Rev. 69, 2002, p. 751 ss.; Bebchuk e Fried, Pay without Performance: the Unfulfilled Promise of Executive Compensation, Cambridge, 2004 e, nella traduzione italiana, con prefazione, di Santosuosso, Pagare senza risultati, Torino, 2010; esprime perplessità sulle conclusioni di Bebchuk e Fried, Ferrarini, Grandi paghe, piccoli risultati: “rendite” dei managers e possibili rimedi (a proposito di un libro recente), in Riv. soc., 2005, pp. 879 ss.; Fried, Share Repurchases, Equity Issuances, and the Optimal Design of Executive Pay, in Texas L. Rev., 2011, n. 89, pp. 1113 ss. In senso contrario v. fra gli altri, Sepe, Give ‘Em Enough Rope: Optimal Design of Executive Pay and Rent Extraction, in Texas L. Rev. See Also, 2011, n. 89:1, pp. 143 ss. 7 Sulla determinazione del compenso degli amministratori si vedano, tra gli altri, Caselli, Vicende del rapporto di amministrazione, in Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Amministratori, Direttore Generale, 4, Torino, 1991, pp. 49 ss. e Minervini, Cronache della grande impresa, in Giur. comm., 2004, p. 889 ss. 8 L’origine e lo sviluppo delle stock option nel nostro Paese sono stati ripercorsi, tra gli altri, da Acerbi, Osservazioni sulle stock option e sull’azionariato dei dipendenti, in Riv. soc., 1998, n°5, pp. 1193 ss. e Zanardo, I piani di stock option dall’esperienza anglosassone alla disciplina e diffusione nell’ordinamento italiano, in Giur. comm., 2006, I, pp. 738 ss.
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ad esempio, il direttore generale) sono invece di regola determinati dal consiglio di amministrazione. Si è sottolineato che la scelta di attribuire all’assemblea dei soci la competenza sui compensi degli amministratori parrebbe contrastare il principio per cui la gestione aziendale (nell’ambito della quale non possono non rientrare i compensi delle risorse umane) spetta al consiglio di amministrazione. D’altro canto, tale scelta riduce il rischio di conflitto di interesse e di retribuzioni sproporzionate a danno degli utili e del bene della società9. Clausole incentivanti correlate ai dividendi distribuiti o alla quotazione delle azioni, laddove limitate nel tempo (come avviene fisiologicamente per le stock option), possono indurre gli amministratori a privilegiare obiettivi di crescita dell’utile o dei corsi di borsa nel breve termine, a scapito dello sviluppo e della stabilità della società nel mediolungo termine10. Proprio in ragione dell’esistenza di un simile trade-off, la scelta del nostro Paese non è ovunque condivisa11. Altri ordinamenti, come quello francese, sposano la soluzione italia-
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M. Campobasso, I compensi, cit., p. 708. Minervini, Gli interessi degli amministratori di s.p.a., in Giur. comm., 2006, I, p. 155. Nello stesso senso v. anche Montalenti, Il conflitto di interessi nella riforma del diritto societario, in Riv. dir. civ., 2004, II, p. 244 e, da ultimo, Lemme, Le disposizioni di vigilanza sulla governance delle banche: riflessioni a tre anni dall’intervento, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, I, p. 725. 11 Sul piano comparativistico si vedano, tra gli altri, Kahan, The Limited Significance of Norms for Corporate Governance, in U. Pa. L. Rev., 2001, n. 149, pp. 1869 ss.; Cheffins, Tendenze attuali di corporate governance: da Londra a Milano, via Toronto, in Giur. comm., 2001, I, pp. 161 ss. nonché i numerosi studi di Ferrarini, tra i quali ricordiamo: Ferrarini, Valore per gli azionisti e governo societario, in Riv. soc., 2002, pp. 462 ss.; Ferrarini, Moloney e Vespro, Executive Remuneration in the EU: Comparative Law and Practice, in ECGI - Law Working Paper, n. 9, 2003, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/ abstract=419120; Id., Governance Matters: Convergence in Law and Practice Across the EU Executive Pay Faultline, in Journal of Corporate Law Studies, 2004, 2, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=498362; Ferrarini e Moloney, Executive Remuneration in the EU: The Context for Reform, in ECGI - Law Working Paper, n. 32, 2005, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=715862; Id., Executive Remuneration and Corporate Governance in the EU: Convergence, Divergence, and Reform Perspectives, in European Company and Financial Law Review, 2004, 1, n. 3, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/ abstract=1036161; Ferrarini, Moloney e Ungureanu, Understanding Directors’ Pay in Europe: A Comparative and Empirical Analysis, in ECGI - Law Working Paper, n. 126, 2009, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=1418463; Id., Executive Remuneration in Crisis: A Critical Assessment of Reforms in Europe, in Journal of Corporate Law Studies, 2010, 10, n. 1, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=1707334. 10
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na. All’opposto si collocano gli Stati Uniti, ove gli amministratori sono sovrani (fatti salvi i limiti statutari o legislativi), mentre in posizione intermedia (con attribuzione di ampio spazio di manovra agli statuti) si trovano il Regno Unito e la Spagna. Nei Paesi a modello di governance dualistico, come Germania e Olanda – ma anche Francia ed Italia, laddove la società abbia optato in tal senso – i compensi degli amministratori sono fissati, di regola, dal consiglio di sorveglianza12. In Italia, per le società quotate e, in una certa misura, per gli emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante vi sono poi regole più stringenti in tema di trasparenza13 nonché di approvazione14
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L’art. 2409-terdecies, primo comma, lettera a), c.c. stabilisce, per le società italiane, che lo statuto può prevedere la competenza dell’assemblea dei soci. 13 Sul piano della trasparenza, l’art. 123-ter, t.u.f., introdotto dal d.lgs. 259/2010, dispone che le società quotate redigano e diffondano al pubblico una relazione sulla remunerazione che, oltre ad illustrare la politica futura della società in materia di remunerazione dei componenti degli organi di amministrazione, dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche e le procedure utilizzate per l’adozione e l’attuazione di tale politica, riporti i dati sui compensi corrisposti, dettagliando le varie voci degli stessi, in forma nominativa per i componenti degli organi di amministrazione e di controllo nonché per i direttori generali e in forma aggregata per i dirigenti con responsabilità strategiche. Alla relazione sono allegati i piani di compensi previsti dall’art. 114bis del t.u.f. ovvero è indicata nella relazione la sezione del sito internet della società dove tali documenti sono reperibili. L’art. 114-bis del t.u.f. impone poi alla società di mettere a disposizione del pubblico una serie di informazioni su tali piani, anche tenendo conto delle prescrizioni dettate dalla Consob. Occorre ricordare che, in attesa di una definizione più sistematica della disciplina di trasparenza delle remunerazioni, avvenuta poi con l’attuazione dell’art. 123-ter del t.u.f., la Consob, con propria comunicazione n. DEM/11012984 del 24 febbraio 2011, ha disciplinato le informazioni da rendere ai sensi dell’art. 114, co. 5, del t.u.f., in merito alle indennità per scioglimento anticipato del rapporto, ai piani di successione ed all’informativa sui compensi prevista dall’art. 78 del regolamento n. 11971 del 14 maggio 199 e successive modificazioni (su cui si vedano le considerazioni critiche di Minervini, Cronache, cit.). 14 Per quanto concerne i piani di compensi basati su strumenti finanziari, l’art. 114-bis del t.u.f. prevede, in primo luogo, che detti piani, quando proposti a favore di amministratori, ma anche di dipendenti o di collaboratori non legati alla società da rapporti di lavoro subordinato, propri o di altre società controllanti o controllate, siano approvati dall’assemblea ordinaria dei soci. L’art. 123-ter prevede poi che l’assemblea ordinaria deliberi, con decisione non vincolante ma resa pubblica, sulla politica della società in materia di remunerazione dei componenti degli organi di amministrazione, dei direttori generali e dei dirigenti con responsabilità strategiche con riferimento almeno all’esercizio successivo e sulle procedure utilizzate per l’adozione e l’attuazione di tale politica. Sugli artt. 114-bis e 123-ter del t.u.f., in dottrina v. Calandra Buonaura, Crisi finanziaria,
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dei piani di compenso basati su strumenti finanziari e delle retribuzioni ai soggetti apicali in generale. In dottrina si è osservato però che il perfezionamento dell’informativa agli stakeholder e il rafforzamento del voto sulle politiche retributive non sono sempre sufficienti a ridurre l’influenza del forte potere dei manager nelle società, in particolare quelle a capitale diffuso. È stato quindi proposto, rivalutando le clausole generali e gli orientamenti della giurisprudenza15, di intervenire sulla misura della compensi, che deve essere adeguata (nel senso di soddisfare le esigenze dei manager), ma anche ragionevole16, ossia non eccessiva rispetto alle performance della
governo delle banche e sistemi di amministrazione e controllo, in Il diritto delle società oggi. Studi in onore di Giuseppe Zanarone, a cura di Benazzo, Cera e Patriarca, Torino, 2011, pp. 652 ss.; Santosuosso, La remunerazione degli amministratori: nuove norme per sanare cattive prassi, in RDS, 2010, 2, pp. 341 ss.; Balzarini, Remunerazione degli amministratori delle società quotate: approvato il decreto legislativo, in Riv. soc., 2011, pp. 188 ss.; Beghetto, La remunerazione degli amministratori nelle società quotate, in Nuove leggi civ., 2012, pp. 69 ss.; Bentivegna, La relazione sulle remunerazioni degli amministratori di società quotate ed il nuovo art. 123-ter t.u.f., in Riv. dir. impr., 2011, pp. 277 ss.; Pollio, La remunerazione degli amministratori di società quotate: aspetti societari e profili di trasparenza informativa nel nuovo art. 114-bis t.u.f., in Giur. comm., 2009, I, pp. 128 ss.; Ungureanu, Politica di remunerazione degli amministratori di società quotate, in Le società, 2011, pp. 553 ss.; Rabitti e Spatola, Commento all’art. 123-ter, in Il testo unico della finanza, a cura di Fratini e Gasparri, Torino, 2012, pp. 1704 ss.; Del Linz, Commento all’art. 123-ter, in Vella, a cura di, Commentario al decreto legislativo del 24 febbraio 198, n. 58 (T.U.F.) e successive modificazioni, Torino, 2012, pp. 1307 ss.; Annunziata, Commento all’art. 114-bis, in Il testo unico della finanza, a cura di Fratini e Gasparri, cit., pp. 1520 ss.; Prestipino, Commento all’art. 114-bis, in Vella, a cura di, Commentario al decreto legislativo del 24 febbraio 198, n. 58, cit., pp. 1168 ss. 15 Ci si riferisce, in particolare, agli orientamenti sull’adeguatezza del compenso in caso di mancata o discussa determinazione ad opera delle parti, che vedono frequentemente il giudice ricorrere al princípio di equità, con la conseguente commisurazione del compenso all’entità ed alla qualità delle prestazioni (fra le altre, Cass., 19 marzo 1991, n. 2895), nonché agli orientamenti in materia di conflitti di interesse, laddove si ritiene l’inesistenza di un danno alla società qualora gli amministratori abbiano negoziato una remunerazione adeguata, ossia non irragionevolmente elevata rispetto alla natura ed all’andamento degli affari (tra le altre, Trib. Milano, 1° febbraio 2005, in Giur. it., 2005, 2110 ss.). 16 Sulle varie questioni interpretative e applicative del princípio di ragionevolezza nel diritto commerciale e, in particolare, nel diritto delle società v. A. Nigro, Princípio di ragionevolezza e regime degli obblighi e delle responsabilità degli amministratori di S.p.A., in Giur. comm., 2013, I, p. 457 ss., che sottolinea come il ruolo di tale princípio sia cruciale, potendo assicurare la compatibilità tra l’obbligo di diligenza e la c.d. business judgement rule.
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società, così da tutelare l’interesse degli stakeholder e, in particolare, degli azionisti alla tutela ed alla creazione di valore della partecipazione17. Concentrando la nostra attenzione sulle banche (per quanto, in una certa misura, la chiave di lettura che ora veniamo proponendo può riguardare anche le società quotate e con strumenti finanziari diffusi, in ragione della loro propensione a finanziarsi tra il pubblico), occorre rilevare la presenza di un ulteriore stakeholder, annoverabile tra i residual claimant e rappresentato dalla collettività. Nella banca, infatti, emerge ed assume specifica rilevanza la presenza di interessi pubblici o collettivi, quali la tutela degli investitori, la stabilità, la concorrenza, la trasparenza e correttezza e, in definitiva, la sana e prudente gestione della banca. Su mandato di tale residual claimant agiscono le autorità di vigilanza, le quali, grazie alla propria indipendenza istituzionale, possono svolgere una funzione di watch-dog per contenere gli agency cost. Poiché i decision maker della banca sono tenuti a gestire anche interessi della collettività tutelati dalle autorità di vigilanza, è possibile sostenere che nella banca esista un’ulteriore manifestazione del rapporto principale-agente, ove l’agency cost può essere individuato nel possibile opportunismo della banca (e dei suoi decision maker) nei confronti della fiducia accordata dalla collettività, ossia nella reputazione riconosciuta all’intermediario. Infine, non possiamo non osservare che anche tra collettività e autorità di vigilanza si instaura un altro rapporto principal-agent, che può dar luogo ad esternalità negative in caso di inefficienza dell’agent o, addirittura, di fenomeni di cattura del regolatore18.
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Santosuosso, Il princípio, cit., p. 363 e p. 377. In senso analogo, con specifico riferimento alle banche, anche Cappiello e Morera, Del merito e delle ricompense dei vertici dell’impresa bancaria, in AGE, 2007, II, pp. 414 ss. e Lemme, Le disposizioni, cit., p. 725, a giudizio del quale «l’impresa è chiamata a ricercare un equilibrio tra compensi adeguati a reclutare manager di prestigio ed esperienza, e meccanismi di incentivazione che non siano atti a provocare situazioni di potenziale squilibrio». In Germania, nel 2009, è stata approvata la legge sull’adeguatezza del compenso del consiglio di gestione (Gesetz zur Angemessenheit der Vorstandsvergütung), avente lo scopo di migliorare la trasparenza verso gli azionisti e il pubblico dei compensi dei membri del consiglio, di indirizzare tali compensi verso obiettivi di lungo termine e, infine, di responsabilizzare maggiormente il consiglio di sorveglianza in merito alla loro strutturazione. Su tale riforma si veda Portale, Un nuovo capitolo del governo societario tedesco: l’adeguatezza del compenso dei Vorstandsmitglieder, in Riv. soc., 2010, pp. 1 ss. e Milic, La remunerazione degli amministratori in Europa: l’intervento del legislatore tedesco, in Riv. banc., 2012, n. 4/5, pp. 7 ss. 18 Nella dottrina statunitense numerosi sono gli studi (tra gli antesignani v. Stigler, Public
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2. Sulla correlazione tra crisi finanziaria e sistemi incentivanti dei manager. Vari studi sulle cause della crisi finanziaria sviluppatasi a livello globale alla fine del decennio scorso hanno evidenziato la presenza di meccanismi perversi di remunerazione dei manager bancari, in modo particolare tra gli intermediari che hanno subito i peggiori tracolli19. Se comunemente si ritiene che la crisi sia prima di tutto da imputare all’incapacità degli intermediari – e, per certi aspetti, anche dei legislatori e dei regolatori – di valutare e controllare i rischi di credito e di mercato20 che accompagnavano i nuovi sviluppi economici e finanziari21, non
Regulation of the Securities Markets, in Journal of Business, 1964, 37, pp. 117 ss.; Stigler, The Theory of Economic Regulation, in Bell Journal of Economics and Management Science, 1971, n. 2, pp. 3 ss.; Peltzman, Toward a More General Theory of Regulation in Journal of law and Economics, 1976, n. 19, pp. 211 ss.) che individuano una tendenza alla cattura, da parte dell’industria regolata e dei gruppi di interesse, del processo politico attraverso il quale viene creata e monitorata la regolamentazione finanziaria, che in tal modo viene dirottata rispetto al perseguimento dell’interesse generale. Sul tema v. di recente, anche Ball, Market and Political/Regulatory Perspectives on the Recent Accounting Scandals, in Journal of Accounting Research, 2009, 47, n. 2, pp. 277 ss. e soprattutto Coffee, The Political Economy of Dodd-Frank: Why Financial Reform Tends to be Frustrated and Systemic Risk Perpetuated, in Columbia Law and Economics Working Paper, 2012, n. 414, pp. 65 ss, disponibile in SSRN: http://ssrn. com/abstract=1982128, fortemente contrastati da Romano, Does the Sarbanes-Oxley Act Have a Future?, in Yale Law & Economics Research Paper, n. 385, 2009, disponibile in SSRN: http:// ssrn.com/abstract=1404967, e Id., Regulating in the Dark, in Yale Law & Economics Research Paper, n. 442, 2012, disponibile in SSRN: http://ssrn.com/abstract=1974148, nonché Bainbridge, Sarbanes-Oxley: Legislating in Haste, Repenting in Leisure, in Corp. Governance L. Rev., 2006, n. 69; Ribstein, Sarbox: The Road to Nirvana, in Mich. St. L. Rev., 2004, n. 279; Id., Bubble Laws, in Hous. L. Rev., 2003-2004, n. 77; Id., International Implications of Sarbanes-Oxley: Raising the Rent on U.S. Law, in J. Corp. L. Stud., 2003 n. 299; Id., Markets vs. Regulatory Responses to Corporate Fraud: A Critique of the Sarbanes-Oxley Act of 2002, in J. Corp. L., 2002-2003, vol. 28, n°1; Id., Sarbanes-Oxley After Three Years, in N.Z.L. Rev., 2005, n. 365. 19 Sul punto sia consentito rinviare, anche per ampi richiami bibliografici, a Greco, I compensi dei top manager delle banche in tempo di crisi, in La crisi dei mercati finanziari: analisi e prospettive, a cura di Santoro e Tonelli, II, 2013, pp. 203 ss. 20 Le banche hanno assunto rischi eccessivi nella concessione di credito, grazie a politiche espansive del rapporto impegni/patrimonio in un contesto di sistematica sottostima dei rischi, agevolata anche dall’inefficacia dell’azione delle società di rating. L’investimento in prodotti finanziari sintetici aventi come sottostante, alla fin dei conti, relazioni creditizie a lungo termine quali i mutui immobiliari, ha indirettamente condotto gli intermediari ad un’eccessiva trasformazione delle scadenze e all’assunzione di significativi rischi di liquidità. L’azione regolamentare è apparsa debole ed in ritardo rispetto ai cambiamenti strutturali, consentendo agli operatori finanziari di mantenere inefficaci sistemi di governo societario e di controllo interno. 21 Nel periodo pre-crisi vi sono stati alcuni cambiamenti strutturali nel settore finan269
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mancano coloro che, soprattutto tra gli studiosi statunitensi, attribuiscono un ruolo di assoluta rilevanza agli assetti retributivi di coloro che avevano il compito di guidare le società finanziarie. Negli Stati Uniti è stato calcolato che durante il periodo di deregulation degli anni novanta, allorquando le banche hanno iniziato ad abbandonare la tradizionale attività creditizia muovendosi verso servizi remunerati a commissione, i compensi medi degli amministratori delegati delle banche statunitensi sono cresciuti ben più velocemente del Pil nominale22. L’aumento, per essere precisi, si concentra sulle componenti variabili ed incentivanti, mentre la parte fissa non conosce variazioni significative23. Alcuni ritengono che ciò sia dovuto al tentativo del legislatore, non riuscito, di contenere la remunerazione dei top manager24. Altri hanno sostenuto che le regole contabili abbiano giocato un ruolo importante, poiché fino al 2006 l’emissione di stock option ai dipendenti con prezzo di esercizio equivalente al prezzo di mercato era fiscalmente neutra25.
ziario che hanno rappresentato terreno fertile per i successivi sviluppi: tassi di interesse costantemente bassi hanno consentito un’espansione eccessiva del credito, in modo particolare nel settore immobiliare; la maggiore propensione all’investimento in attività finanziarie, con riferimento soprattutto a fondi pensione ed assicurazioni, ha comportato una crescita considerevole dei volumi finanziari, che è stata soddisfatta anche con la creazione, mediante meccanismi di securitisation estremi, di prodotti finanziari dal rapporto rischio/rendimento sempre più opaco; grazie al rafforzamento, soprattutto negli USA, dei legami di business tra banche di investimento e banche commerciali, si è assistito al passaggio dall’intermediazione diretta al modello originate to distribute, per cui le banche commerciali erogavano credito, mentre le banche di investimento procedevano alla successiva cartolarizzazione in prodotti finanziari, spesso dotati di un rating molto elevato, poi acquistati, direttamente o indirettamente, da grandi investitori istituzionali, altri intermediari, fondi pensione, risparmiatori. 22 In argomento v. Brewer III, Hunter e Jackson III, Deregulation and the Relationship between Bank CEO Compensation and Risk Taking, in Federal Reserve Bank of Chicago Working Paper, n. 32, 2003; Brewer, Hunter e Jackson III, Investment Opportunity Set, Product Mix, and the Relationship between Bank CEO Compensation and Risk Taking, in Federal Reserve Bank of Atlanta Working Paper, n. 36, 2004; Philippon Reshef, Wages and Human Capital in the U.S. Financial Industry: 1909-2006, in NBER Working Paper, n. 14644, 2009. 23 John e Qian, Incentive Features in CEO Compensation in the Banking Industry, in FRBNY Economic Policy Review, 2003, 9, n. 1, pp. 109 ss. 24 Jensen e Murphy, Remuneration: Where We’ve Been, How We Got to Here, What Are the Problems and How to Fix Them, in ECGI Working Paper Series in Finance, 2004, n. 44/2004. 25 Panetta e Angelini, a cura di, Financial sector pro-cyclicality: lessons from the crisis,
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Vi è infine chi, osservando la crescita relativa delle retribuzioni nel settore finanziario rispetto a quelle degli altri settori economici26, ha notato che negli anni che vanno dal 1909 al 2006 i momenti nei quali il distacco si è fatto maggiore si collocano proprio alla vigilia delle crisi finanziarie e che i livelli retributivi dei primi anni duemila sono addirittura maggiori di quelli visti durante la Grande Depressione degli anni trenta27. Altrettanto significativa è la decorrelazione tra compensi dei top manager bancari e performance degli intermediari28: nel 2007 i bonus di Wall Street sono stati limati di un risicato 2 per cento, per un totale di 33 miliardi di dollari, mentre la crisi già aveva abbattuto pesantemente i profitti29. Nel 2008 la discesa dei bonus è stata più decisa, toccando il 44 per cento, ma nelle tasche dei top manager arrivavano comunque oltre 18 miliardi di dollari, mentre lo Stato era costretto a pompare aiuti alle banche per evitare il collasso del sistema finanziario30. Dunque, i livelli retributivi nel settore finanziario degli ultimi anni sono maggiori di quelli visti durante la Grande Crisi. La distanza tra le remunerazioni nel settore finanziario e quelle correnti negli altri settori economici è particolarmente alta nel periodo immediatamente precedente e durante le due grandi crisi finanziarie degli ultimi 100 anni. Peraltro, almeno nell’industria bancaria l’ultima crisi vede una bassa correlazione tra performance aziendali e retribuzione dei manager. Paradossalmente – ma non troppo, se si aderisce alla tesi secondo la quale i sistemi incentivanti rappresentano uno dei più importanti cataliz-
Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, Roma, aprile 2009, n. 44, p. 65. 26 The Financial Crisis Inquiry Commission, Final Report Of The National Commission On The Causes Of The Financial And Economic Crisis In The United States, 2011, reperibile al sito http://fcic.law.stanford.edu/report. 27 Panetta e Angelini, a cura di, Financial sector, cit., p. 66. Per marcare il distacco tra le logiche retributive di imprese finanziarie e non, alcuni studi empirici (Lipson, Martin, Matsumura e Unlu, Banks v. Industrials: Executive Compensation, Securitization, and the Financial Crisis, in Temple University Legal Studies Research Paper, No. 2013-11, 2013, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=2220810) hanno verificato che le banche che hanno proceduto alla cartolarizzazione dei propri asset hanno pagato significativamente di più i propri manager rispetto a quelle che non vi hanno proceduto, mentre tale differenza non sussiste nel settore industriale. 28 John e Qian, Incentive Features, cit. 29 New York State Comptroller’s Office news releases, Wall Street Bonuses Slip from 2006 Record, 17 gennaio 2008. 30 New York State Comptroller’s Office news releases, Wall Street Bonuses fell 44% in 2008, 28 gennaio 2009. Sul tema si veda anche, tra gli altri, lo studio di Coffee, The Political Economy, cit.
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zatori della crisi finanziaria – i più pagati risultano essere i top manager delle banche che hanno subito o sfiorato il default e quindi maggiormente hanno dovuto ricevere aiuti pubblici. L’amministratore delegato di Lehman Brothers ha ottenuto, dal 2000 al 2007, ben 350 milioni di dollari di retribuzione, e la banca, come è noto, ha dichiarato bancarotta nell’autunno del 2008. Gli amministratori e gli alti dirigenti delle banche sembrano vivere i loro momenti d’oro, in termini di compensi, proprio a ridosso delle grandi crisi finanziarie. Si badi bene, anche questa non è una caratteristica della sola crisi degli anni duemila. Nel 1935 Alberto Beneduce indirizzò al Ministro delle Finanze una proposta di provvedimento finalizzato a ridurre le retribuzioni dell’alto personale delle tre banche IRI – Comit, Credit e Banco di Roma – che, come tutti sanno, erano state pochi anni prima oggetto di salvataggio da parte dello Stato. Nel suggerire soglie massime per gli emolumenti, di qualsiasi genere, per le varie categorie di personale, a partire dagli amministratori delegati per arrivare ai direttori di filiale, con l’obbligo di riversare eventuali eccedenze alla banca datrice di lavoro, Beneduce fece notare «a titolo di notizia» che l’amministratore delegato della Comit Toeplitz aveva goduto di emolumenti per 2.413.000 lire per l’anno 1929 ed ancora per 1.484.000 lire nel 1931, oltre a ricoprire cariche largamente retribuite in ben circa 40 società. Per la cronaca, la proposta di Beneduce fissava a 529.000 lire i compensi più alti, previsti per l’amministratore delegato di Comit, Facconi31. La correlazione tra compensi stratosferici, modeste performance reali e crisi bancarie mondiali pare dunque evidenziare un rischio peculiare delle società finanziarie, fino a pochi anni or sono colpevolmente ignorato dai moderni regolatori dei mercati. Come vedremo fra breve, i meccanismi incentivanti che hanno portato una pioggia di denaro nelle tasche dei manager ed un diluvio di perdite nei bilanci delle banche e degli Stati sono spesso stati predisposti secondo logiche malsane, che massimizzano risultati aziendali di breve periodo, restano indifferenti alle perdite ed alla crescita dei rischi aziendali e sono pagati anche se il manager viene cacciato32.
31 Cfr. Acerbi, Un capitolo della corporate governance di Alberto Beneduce: la riduzione dei compensi ad amministratori e dirigenti delle banche, in Riv. soc., 2009, n. 4, pp. 773 ss. 32 La dottrina statunitense (Bebchuk, Cohen e Spamann, The Wages of Failure: Executive
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La diffusione di modelli retributivi siffatti in imprese che operano in un contesto concorrenziale ma fortemente regolato quale quello finanziario può spingere i manager a trasferire le attività verso le aree esenti da controlli (esempi emblematici sono rappresentati dagli hedge fund e dai derivati over the counter), tentando di eludere le norme – e i costi ad esse connessi – in una continua rincorsa tra autorità di vigilanza e soggetti regolati. Questo comportamento, battezzato dalla dottrina con l’espressione circumventive innovation33, è talvolta confuso (o spacciato) come creatività dell’imprenditore, spinto dagli “spiriti animali” del capitalista, ma, laddove diffusamente alimentato da stimoli economici esagerati quali quelli concessi ai manager delle banche alla vigilia della crisi, depotenzia drammaticamente gli sforzi del legislatore e del regolatore e mette in pericolo la stabilità delle imprese e, soprattutto, del sistema finanziario nel suo complesso, senza produrre effetti benefici in termini di efficienza, se non apparenti e temporanei34.
3. Profili di rischio dei modelli retributivi. Lo scoppio della recente crisi finanziaria ha spinto autorità, studiosi ed opinione pubblica ad approfondire le caratteristiche degli incentivi variabili nella struttura remunerativa dei manager bancari alla vigilia della crisi.
Compensation at Bear Stearns and Lehman 2000-2008 (November 24, 2009), in Yale Journal on Regulation, 2010, 27, pp. 257 ss.) ha studiato, in particolare, i meccanismi incentivanti dei 5 top manager di Bear Stearns e Lehman Brothers nel periodo 2000-2008, scoprendo che essi ottennero bonus stratosferici di cui non fu chiesta la restituzione a seguito del collasso degli intermediari, così come somme notevoli dalla vendita di azioni. È stato stimato, in particolare, che i manager di Bear Stearns e Lehman Brothers incassarono a tale titolo, nel periodo suddetto, rispettivamente 1,4 e 1 miliardo di dollari. 33 Kane, Accelerating inflation, technological innovation and the decreasing effectiveness of banking regulation, in The Journal of Finance, maggio 1981, n. 36, pp. 355 ss. 34 Sul tema così si esprime M. Campobasso, I compensi, cit., p. 704: «La recente crisi finanziaria (…) non ha fatto scoprire il problema della retribuzione degli amministratori; ma certamente ne ha drammaticamente mostrato la gravità, fino allora non completamente percepita dal pubblico, e la sua centralità nelle tematiche di corporate governance. E ha mostrato, inoltre, l’esistenza di una specifica questione riguardante il compenso degli amministratori nel settore finanziario». In argomento v. anche Amatucci, I riflessi delle stock option sulle cause determinanti della crisi finanziaria, in Riv. dir. civ., 2009, I, pp. 547 ss.
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In primo luogo si è osservato che molto sovente gli incentivi sono basati su risultati di breve termine e che la loro struttura è asimmetrica e discontinua, per cui sono pagati se la performance è positiva, ma il manager nulla deve alla società se la performance è negativa. In secondo luogo, incentivi pagati su importanti profitti immediati stimolano l’assunzione di altrettanto importanti rischi: tenuto conto dell’orizzonte temporale particolarmente breve per l’erogazione del compenso e dell’elevata leva finanziaria che contraddistingue la gestione manageriale, non sempre nell’ambito della performance si riesce però a distinguere l’effetto dell’abilità superiore del manager dalla semplice e normale remunerazione di un alto premio al rischio. In altre parole, la struttura degli incentivi può essere configurata in modo tale da non consentire una correzione per il rischio e da non subire gli effetti negativi che possono conseguire dagli atti gestionali. Inoltre, gli incentivi basati su opzioni non replicano la mera proprietà azionaria: in particolare, il valore delle opzioni cresce al crescere della volatilità del prezzo dell’azione. Ciò può indurre il manager a politiche di breve respiro o che, comunque, esaltano il valore dell’azione in prossimità del o dei periodi di esercizio delle proprie opzioni, rinviando o, addirittura, nascondendo le perdite della società. Infine, la presenza di “paracadute d’oro” (ossia di compensi comunque corrisposti al momento dell’uscita del manager della società) tranquillizza il manager circa gli effetti sulla sua posizione di eventuali cambi di proprietà, ma può addirittura spingerlo ad affossare nel breve la società stessa per tentarne la scalata. Così configurati, i meccanismi incentivanti possono avere effetti perversi e, nella sostanza, contrari agli interessi degli stakeholder, disincentivando l’avversione al rischio e, addirittura, incentivando la sottovalutazione dei rischi, in ossequio alla relazione per cui maggiori rischi comportano maggiori profitti, e, di conseguenza, maggiori compensi ai manager35. Quando l’attenzione viene spostata sui risultati “di breve”, peraltro non corretti sul rischio36, può essere incentivata la creazione di stru-
35 In argomento v. Core, Holthausen e Larcker, Corporate Governance, Chief Executive Officer Compensation, and Firm Performance, in Journal of Financial Economics, 1999, 51, pp. 371 ss. 36 Sul fenomeno dello short-termism cfr., tra gli altri, Woolley, Why are financial markets so inefficient and exploitative – and a suggested remedy, in The Future of Finance: The LES Report, 2010, pp. 121 ss., e Dallas, Short-Termism, the Financial Crisis and Corporate Governance (March 21, 2011), 28, in San Diego Legal Studies Paper No. 11-052,
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menti speculativi complessi, dal rendimento immediato (upfront) particolarmente alto, al quale necessariamente si accompagna un altrettanto elevato rischio, che risulta però difficilmente percepibile e pesabile in ragione della (voluta) opacità degli strumenti stessi37. In situazioni quali quella ora rappresentata, è possibile che il manager deliberatamente diffonda report finanziari distorti, se non addirittura falsi38. Sistemi incentivanti siffatti, in sostanza, non possono che incrementare il conflitto di interesse (e, dunque, gli agency cost) tra i manager e gli altri stakeholder.
4. La proliferazione regolamentare e l’effetto di riduzione dell’autonomia privata. Sul fronte regolamentare il tema delle retribuzioni dei manager bancari è venuto alla ribalta proprio a ridosso della crisi finanziaria, ed ha trovato ampio spazio anche nelle sedi internazionali. A tal proposito si devono innanzi tutto ricordare gli interventi del Financial Stability Forum, prima, e del Financial Stability Board, poi, che a cavallo tra il 2009 ed il 2010 hanno predisposto linee guida tese a disciplinare le prassi retributive e, sul piano generale, la governance delle banche39. Nello stesso periodo indicazioni analoghe sono giunte anche da altre
disponibile in SSRN: http://ssrn.com/abstract=1794190. 37 Sulla relazione tra meccanismi incentivanti e modello gestionale originate-to-distribute cfr. Bruno e Falduto, Retribuzioni manageriali, incentivi e rischio: un’analisi sulla diffusione del modello Otd negli Stati Uniti, in Banc., 2011, n. 9, pp. 30 ss. 38 In questo senso: Benmelech, Kandel e Veronesi, Stock–Based Compensation and CEO (Dis)Incentives, in NBER Working Paper, No. 13732, 2008; Burns e Kedia, The Impact of Performance–based Compensation on Misreporting, in Journal of Financial Economics, 2006, vol. 79, pp. 35 ss.; Efendi, Srivastava e Swanson, Why do Corporate Managers Misstate Financial Statements? The Role of Option Compensation and Other Factors, in Journal of Financial Economics, 2007, 85, pp. 667 ss. 39 Financial Stability Forum, FSF Principles for Sound Compensation Practices, aprile 2009; Financial Stability Board, FSB Principles for Sound Compensation Practices Implementation Standards, settembre 2009; Financial Stability Board, Thematic Review on Compensation, Peer Review Report, marzo 2010; Financial Stability Board, 2011 Thematic Review on Compensation. Peer Review Report, ottobre 2011; Financial Stability Board, Implementing the FSB Principles for Sound Compensation Practices and their Implementation Standards Progress Report, giugno 2012, disponibili su www.financialstabilityboard.org/.
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istituzioni internazionali, quali il Committee of European Banking Supervisors (CEBS)40 e il Basel Committee on Banking Supervision41, alle quali ha fatto infine seguito l’Unione Europea, con l’emanazione della direttiva 2010/76/CE del 24 novembre 201042. Per quanto concerne la disciplina nazionale, già nel marzo 2008 – quindi ben prima che si ponesse la necessità di recepire la direttiva 2010/76/CE – la Banca d’Italia aveva emanato disposizioni in materia di governance delle banche e dei gruppi bancari43, nell’ambito delle quali era stato toccato anche il tema delle retribuzioni e dei meccanismi incentivanti. Enunciate le finalità dell’intervento44 e i princípi base45, vengono identificate le figure aziendali destinatarie delle disposizioni (prevedendo regole specifiche per le figure più importanti coinvolte nel controllo dei rischi aziendali46 e per gli amministratori non esecu-
40 Committee of European Banking Supervisors, High-level Principles for Remuneration Policies, aprile 2009; Committee of European Banking Supervisors, Guidelines on Remuneration Policies and Practices, 10 dicembre 2010, disponibili su in www.eba.europa.eu. 41 Basel Committee on Banking Supervision, Compensation Principles and Standards Assessment Methodology, gennaio 2010; Basel Committee on Banking Supervision, Range of Methodologies for Risk and Performance Alignment of Remuneration, Ottobre 2010, documento di consultazione, disponibili su in www.bis.org. 42 Direttiva 2010/76/CE del 24 novembre 2010, che modifica le direttive 2006/48/ CE e 2006/49/CE per quanto riguarda i requisiti patrimoniali per il portafoglio di negoziazione e le ricartolarizzazioni e il riesame delle politiche remunerative da parte delle autorità di vigilanza. 43 Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche, 4 marzo 2008, in www.bancaditalia.it. 44 In sintesi, si sostiene che adeguati meccanismi di remunerazione e di incentivazione degli amministratori e del management della banca possono favorire la competitività e il governo delle imprese bancarie. 45 In linea generale, Banca d’Italia indica che i sistemi retributivi non devono essere in contrasto con le politiche di prudente gestione del rischio della banca e con le sue strategie di lungo periodo. L’Autorità si sofferma in modo particolare sulle forme di retribuzione incentivante basate su strumenti finanziari (es. stock option) o collegate alla performance aziendale, che sono ammissibili solo se parametrate al rischio assunto dalla banca e strutturate in modo da evitare il prodursi di incentivi in conflitto con l’interesse della società in un’ottica di lungo periodo. Inoltre, le norme del 2008 costringono le banche a determinare preventivamente, in termini oggettivi e di immediata valutazione, gli aspetti qualitativi e quantitativi delle retribuzioni, ossia i parametri cui rapportarne l’ammontare. Specifica attenzione, inoltre, deve essere posta al rapporto tra la retribuzione complessiva e la componente variabile, che deve essere puntualmente determinato e attentamente valutato. 46 In particolare, i compensi basati su strumenti finanziari e i bonus collegati ai risultati economici sono preclusi ai componenti degli organi di controllo (collegio sindacale,
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tivi47) nonché le procedure deliberative da seguirsi per l’approvazione delle politiche remunerative ed i piani incentivanti48.
nel modello tradizionale; consiglio di sorveglianza, in quello dualistico; comitato per il controllo sulla gestione, in quello monistico). Si è sottolineato (Portale, Compensi dei componenti del consiglio di sorveglianza: dal «nobile officium» ai sistemi di retribuzione variabile, in Riv. dir. civ., 2011, I, pp. 305 ss.) che la disciplina, non differenziando tra consiglio di sorveglianza e collegio sindacale, tende a dimenticare che quest’ultimo non è solo un organo di controllo ma ha compiti di indirizzo ed alta amministrazione. È stato altresì osservato (Cappiello e Morera, Del merito, cit., p. 418), al proposito, che tale divieto sussisterebbe comunque in ragione del disposto dell’art. 114-bis del t.u.f. e dell’art. 2399, co. 1, lett. c) del c.c., in quanto stock option e bonus costituirebbero rapporti di natura patrimoniale che possono compromettere l’indipendenza del membro dell’organo di controllo e quindi causa di ineleggibilità o decadenza dello stesso. Con riferimento ai responsabili delle funzioni di controllo interno e al dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, fermo restando che i compensi devono essere di livello adeguato alle significative responsabilità e all’impegno connessi al ruolo, eventuali meccanismi di incentivazione devono essere coerenti con i compiti assegnati, evitando, salvo valide e comprovate ragioni, bonus collegati ai risultati economici e osservando con particolare rigore le cautele sopra indicate per i compensi basati su strumenti finanziari. La disciplina dettata sul punto appare però discutibile, in quanto l’autorità di vigilanza si preoccupa di entrare nel merito delle scelte aziendali circa la quantificazione delle retribuzioni ma, nel contempo, non afferma in pieno la centralità di tali figure nel sistema di controlli dei rischi aziendali (in senso analogo anche Lemme, Le disposizioni, cit., p. 726), preferendo non escludere in toto meccanismi incentivanti legati ai risultati economici della banca laddove esistano «valide e comprovate ragioni», difficilmente ipotizzabili ed ammissibili, in realtà, vista la necessità di una certa “distanza di braccio” tra tali figure e l’andamento dei risultati economici dell’impresa. Nella prassi le retribuzioni dei responsabili delle funzioni di controllo interno non sempre sono risultate adeguate al ruolo, indebolendone così l’autorevolezza e l’indipendenza. Il tema, pur in termini meno precisi, era già stato sollevato dalle disposizioni in tema di funzione di conformità (compliance), emanate da Banca d’Italia nel luglio 2007. In argomento v., tra gli altri, Alberici, La compliance nell’attuazione della direttiva Mifid, in Frediani e Santoro, a cura di, L’attuazione della direttiva Mifid, Milano, 2009, pp. 181 ss.; Boccuzzi, La funzione di compliance: il presidio dei rischi aziendali e l’evoluzione della normativa Basilea 2 e Mifid, in Banc., 2008, n. 2, pp. 34 ss.; Falcone, La “compliance” nell’attività bancaria e nei servizi di investimento, in Dir. banc., I, 2008, pp. 227 ss.; Greco, La compliance nelle attività e nei servizi bancari: i problemi aperti, in Dir. banc., 2009, I, pp. 633 ss. 47 Per i consiglieri non esecutivi vanno di norma evitati meccanismi di incentivazione, che dovranno comunque rappresentare una parte non significativa della remunerazione ed essere definiti nel rigoroso rispetto delle cautele sopra indicate. 48 Lo statuto della banca deve prevedere che l’assemblea ordinaria, oltre a stabilire i compensi spettanti agli organi dalla stessa nominati, approvi sia le politiche di remunerazione a favore dei consiglieri di amministrazione e di gestione, di dipendenti o di collaboratori non legati alla società da rapporti di lavoro subordinato, che i piani basati su strumenti finanziari (es. stock option). Dall’approvazione delle politiche e dei piani deve
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Le disposizioni di Banca d’Italia ora ricordate consentivano a banche e gruppi bancari un adeguamento progressivo, che avrebbe comunque dovuto concludersi entro il 30 giugno 2009. A tale tempistica faceva però eccezione proprio la disciplina in materia di sistemi di remunerazione ed incentivazione, alla quale gli intermediari avrebbero dovuto attenersi fin dalla data di emanazione della normativa ora commentata. Il tema apparve però particolarmente sensibile fin dai primi mesi, anche in ragione del divampare della crisi finanziaria in tutta la sua forza. Nel febbraio 2009 Banca d’Italia ha emanato una nota di chiarimenti49, nella quale fornisce anche indicazioni circa l’informativa da rendere all’assemblea dei soci in ordine ai meccanismi di incentivazione e remunerazione50.
risultare la coerenza degli stessi rispetto alla prudente gestione del rischio e alle strategie di lungo periodo, anche prevedendo un corretto bilanciamento tra le componenti fisse e quelle variabili della remunerazione e, con riguardo alle seconde, sistemi di ponderazione per il rischio e meccanismi volti ad assicurare il collegamento del compenso con risultati effettivi e duraturi. Tenuto conto del fatto che all’assemblea deve essere inoltre assicurata adeguata informativa sull’attuazione delle politiche di remunerazione, ne risulta un coinvolgimento più sistematico ed ampio rispetto a quanto previsto in via generale dal codice civile, e ciò a prescindere dal fatto che la banca sia quotata o meno. La dottrina (Lemme, Le disposizioni, cit., p. 726) osserva, al proposito, che «viene previsto per le banche ordinarie un meccanismo analogo a quello previsto per le società (e quindi le banche) quotate dall’art. 114-bis del t.u.f.». Demandando all’approvazione assembleare i piani basati su strumenti finanziari, «non viene dunque risolto il problema (…) dell’incoerenza della estensione del meccanismo di approvazione assembleare ai soli piani di stock option, e non agli altri meccanismi di incentivazione che pure, potenzialmente, sono altrettanto rischiosi». In questo senso v. anche Cappiello, La remunerazione, cit., pp. 41 ss. Per quel che concerne la competenza sulla definizione dei sistemi di incentivazione e retribuzione di coloro che rivestono posizioni apicali nell’assetto organizzativo e operativo della banca, le disposizioni di Banca d’Italia prevedono che debba essere coinvolto anche l’organo con funzione di supervisione strategica, il quale deve assicurarsi che detti sistemi tengano nella dovuta considerazione le politiche di contenimento del rischio e siano coerenti con gli obiettivi di lungo periodo della banca, la cultura aziendale e il complessivo assetto di governo societario e dei controlli interni. 49 Banca d’Italia, Nota di chiarimenti, 19 febbraio 2009, in www.bancaditalia.it. 50 In particolare, l’autorità di vigilanza ricorda che «l’approvazione delle politiche di retribuzione da parte dell’assemblea è essenzialmente volta ad accrescere il grado di consapevolezza e il monitoraggio degli azionisti in merito ai costi complessivi, ai benefici e ai rischi del sistema di remunerazione e incentivazione prescelto», ragione per cui occorre fornire un’informativa preventiva, dai contenuti non solo qualitativi, sulle politiche di remunerazione portate in delibera nonché un’informativa successiva, di carattere essenzialmente quantitativo, che riporta i risultati di tali politiche. L’informativa ai soci – da fornire in modo disaggregato per ruoli e funzioni (ad esempio: organi delegati, amministratori con particolari incarichi,
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Nell’ottobre del 2009 la Banca d’Italia ha ritenuto necessario richiamare le banche e i gruppi bancari in merito all’evoluzione degli standard internazionali, dettando linee applicative delle proprie disposizioni di vigilanza del marzo 2008 con riferimento ai criteri di quantificazione della componente variabile della remunerazione, all’impatto del complesso dei premi sul livello di patrimonializzazione della banca e, infine, al collegamento tra risultati conseguiti e clausole pattuite in caso di conclusione anticipata dei rapporti di lavoro (i c.d. “paracadute d’oro”)51. Specifiche indicazioni sono state fornite, in tale occasione, ad alcuni tra i maggiori gruppi bancari, affinché fossero adottati gli ulteriori standard applicativi fissati dal Financial Stability Board52, con particolare attenzione al novero dei soggetti (esponenti e dipendenti) ai quali applicare i suddetti criteri. La disciplina sui compensi dei manager bancari ha compiuto un deciso passo in avanti con l’approvazione, nel novembre 2010, della direttiva 2010/76/CE (di seguito anche la “Direttiva 2010/76”), che, integrando le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE – dedicate, rispettivamente, all’accesso e all’esercizio dell’attività creditizia ed all’adeguatezza patrimoniale di banche ed imprese di investimento –, obbliga gli Stati membri ad adeguare la propria legislazione nazionale con specifiche disposizioni sui regimi remunerativi di tali intermediari. La Direttiva 2010/76 rappresenta una delle risposte del legislatore comunitario alla crisi finanziaria, alla quale si ritiene abbia senza dubbio contribui-
altri amministratori, top management, organi con funzioni di controllo, responsabili delle funzioni di controllo interno e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, dipendenti, collaboratori non legati alla società o al gruppo da rapporti di lavoro subordinato, se del caso fornendo informazioni distinte per area di business) – deve indicare distintamente la rilevanza della componente fissa e di quella variabile, la ripartizione tra compensi basati su strumenti finanziari e premi monetari collegati alle performance, il trattamento previsto in caso di scioglimento del rapporto. Inoltre l’informativa deve essere idonea a fornire all’organo assembleare una chiara ed efficace rappresentazione delle ragioni e finalità che la banca persegue con la politica retributiva, dei criteri prescelti nella definizione delle politiche remunerative (con particolare riguardo all’equilibrio tra componente fissa e variabile nonché al collegamento del compenso con il livello di rischio e l’effettività e stabilità dei risultati), dei parametri utilizzati per il calcolo delle componenti variabili, dell’iter seguito nell’elaborazione delle politiche di remunerazione e, infine, della tipologia e dell’impatto delle eventuali modificazioni rispetto alle politiche già approvate. 51 Banca d’Italia, Sistemi di remunerazione e incentivazione, Comunicazione n. 0321560/09 del 28 ottobre 2009, in www.bancaditalia.it. 52 Financial Stability Board, FSB Principles for Sound Compensation Practices Implementation Standards, Settembre 2009.
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to anche l’inadeguatezza dei regimi remunerativi di alcuni istituti finanziari53. Quando mal concepiti, tali regimi possono avere effetti potenzialmente negativi sulla gestione sana dei rischi cui sono esposti gli intermediari e sul controllo dell’assunzione di essi da parte di singole persone, la cui attività professionale ha appunto un impatto significativo sui rischi aziendali54. Il filo conduttore delle disposizioni comunitarie non si discosta dalle linee guida elaborate dagli organismi internazionali (in particolare dal Financial Stability Board)55 e dalle indicazioni della dottrina tradizionale, che vede nei meccanismi remunerativi incentivanti un “correttivo” indispensabile per risolvere i problemi di agency, del quale occorrerebbe solo governare meglio strutturazione e funzionamento56. Definito l’ambito di applicazione soggettivo57, la Direttiva 2010/76 prescrive le caratteristiche generali delle politiche remunerative58, fissando i
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Come si afferma nel primo considerando della direttiva 2010/76, «un’assunzione di rischi eccessiva e imprudente nel settore bancario ha portato al fallimento di singoli istituti finanziari e causato problemi sistemici negli Stati membri e nel mondo. Le cause di tale assunzione di rischi sono molte e complesse, ma vi è accordo tra le autorità di vigilanza e gli organismi regolatori, tra cui il G20 e il comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria (CEBS), nel ritenere che l’inadeguatezza dei regimi remunerativi di alcuni istituti finanziari vi abbia contributo». 54 Nel personale più rilevante ai fini del controllo del regime retributivo occorrerebbe includere almeno, ai sensi del secondo considerando della direttiva 2010/76, «gli alti dirigenti, i soggetti che assumono il rischio (“risk taker”), il personale che svolge funzioni di controllo e qualsiasi dipendente la cui remunerazione totale, inclusi i benefici pensionistici discrezionali, lo collochi nella medesima fascia remunerativa degli alti dirigenti e dei “risk taker”». 55 Nel settimo considerando della direttiva 2010/76 si afferma, infatti, che «occorre che la politica remunerativa miri ad allineare gli obiettivi personali dei membri del personale agli interessi a lungo termine dell’ente creditizio o dell’impresa di investimento interessati» e che «la valutazione delle componenti della remunerazione legate ai risultati sia basata sui risultati a lungo termine e tenga conto dei rischi associati ai risultati». 56 In questi termini A. Nigro, La remunerazione degli amministratori e degli alti dirigenti delle banche, in Dir. banc., 2013, I, p. 17, che però avanza dubbi sull’opportunità della soluzione adottata, vista la tendenza di tali “correttivi” a costituire a loro volta problemi non trascurabili. Sulla stessa linea di pensiero si vedano gli studi di Bebchuk e Fried citati in precedenza. 57 La direttiva 2010/76, dal punto di vista soggettivo, si estende alle politiche remunerative complessive (che comprendono sia gli stipendi che i benefici pensionistici discrezionali) riferite a varie categorie di personale, tra cui gli alti dirigenti, i membri delle funzioni di controllo e, in generale, i risk taker, ossia il personale, dipendente e non, la cui attività può avere un impatto rilevante sul profilo di rischio dell’impresa, nonché tutti coloro che ricevono compensi che li collochino nella stessa fascia retributiva prevista per le categorie in precedenza ricordate. 58 La direttiva prevede, innanzi tutto, che siano in linea con la strategia aziendale, gli
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princípi cui devono sottostare i compensi legati ai risultati (comprese le metodologie di misurazione)59 e, in generale, la loro composizione. In particolare, fermo restando che la componente variabile non deve limitare la capacità dell’ente creditizio di rafforzare la propria base di capitale, si dispone altresì che: a) la remunerazione variabile sia differita in più anni ed articolata in strumenti legati ai risultati ed alle attività di rischio della banca60; b) la parte garantita sia eccezionale61; c) le componenti fisse e va-
obiettivi, i valori e gli interessi a lungo termine dell’ente creditizio, anche grazie a misure atte ad evitare i conflitti d’interesse. Per tale motivo, le politiche remunerative riflettono e promuovono una gestione sana ed efficace del rischio, che deve essere contenuto entro i limiti tollerati dalla banca. Perché ne sia assicurata la necessaria indipendenza e autonomia, i membri del personale impegnati in funzioni di controllo sono retribuiti conformemente al conseguimento degli obiettivi legati alle loro funzioni, indipendentemente dai risultati conseguiti dai settori dell’impresa soggetti alla loro vigilanza. 59 Quando la remunerazione è legata ai risultati, l’importo totale della remunerazione è basato su una combinazione di valutazioni dei risultati del singolo (ove vengono peraltro considerati criteri finanziari e non finanziari), dell’unità aziendale interessata e dei risultati generali della banca. Inoltre, la valutazione dei risultati è effettuata in un quadro pluriennale, in modo tale da assicurare che il processo di valutazione sia basato sui risultati a lungo termine e che il pagamento effettivo delle componenti della remunerazione basate sui risultati sia ripartito su un periodo che tenga conto del ciclo di attività dell’ente creditizio e dei suoi rischi d’impresa. A tal fine si prevede che la misurazione dei risultati, utilizzata come base per il calcolo delle componenti variabili delle remunerazioni individuali o collettive, sia sottoposta a rettifica per tutti i tipi di rischi presenti e futuri e tenga conto del costo del capitale e della liquidità richiesti. Anche l’attribuzione delle componenti variabili della remunerazione all’interno della banca deve tener conto di tutti i tipi di rischi presenti e futuri. Onde evitare fenomeni elusivi, i membri del personale sono tenuti a impegnarsi a non utilizzare strategie di copertura personale o assicurazioni sulla remunerazione e sulla responsabilità volte ad inficiare gli effetti di allineamento al rischio insiti nei loro meccanismi remunerativi. 60 In particolare si prevede che: a) almeno la metà di qualsiasi remunerazione variabile sia composta da un bilanciamento adeguato tra azioni o partecipazioni al capitale equivalenti, e se del caso, altri strumenti che riflettano adeguatamente la qualità del credito della banca in modo continuativo; b) almeno il 40 per cento (60 per cento se trattasi di un importo particolarmente elevato) della componente variabile della remunerazione sia differita su un periodo non inferiore a tre-cinque anni, sia correttamente allineata al tipo d’impresa, ai suoi rischi e alle attività del membro del personale in questione e corrisposta non più velocemente che pro rata. La remunerazione variabile, compresa la parte differita, è corrisposta o attribuita solo se è sostenibile rispetto alla situazione finanziaria della banca nel suo insieme e giustificata alla luce dei risultati dell’ente creditizio, dell’unità aziendale e della persona interessati: essa deve essere ridotta in misura considerevole qualora i risultati della banca siano inferiori alle attese o negativi, tenendo conto sia delle remunerazioni correnti sia delle riduzioni nei versamenti di importi precedentemente acquisiti, anche attraverso dispositivi di malus o di restituzione (claw-back). 61 La parte garantita può essere accordata solo in caso di assunzione di nuovo personale e limitatamente al primo anno d’impiego.
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riabili della remunerazione complessiva siano adeguatamente bilanciate62; d) la componente fissa rappresenti una parte sufficientemente alta della remunerazione complessiva da consentire di non pagare la componente variabile. Attenzione specifica è prestata a forme particolari di retribuzione, quali i “paracadute d’oro” e le forme pensionistiche63. Presidi aggiuntivi – quale l’istituzione del comitato per le remunerazioni – sono infine indicati per le banche di maggior dimensione e complessità64. Per quanto la direttiva 2010/76 rimetta la costruzione, la valutazione e l’approvazione dei sistemi retributivi ed incentivanti all’autonomia delle banche65, non mancano, poi, strumenti di intervento amministrativo,
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Le banche sono tenute a prevedere rapporti adeguati tra le componenti fissa e variabile della remunerazione complessiva. 63 La direttiva 2010/76 prevede che i pagamenti relativi alla risoluzione anticipata del contratto debbano riflettere i risultati forniti nel tempo ed essere concepiti in modo da non ricompensare gli insuccessi. Le politiche pensionistiche, infine, devono essere in linea con la strategia aziendale, gli obiettivi, i valori e gli interessi a lungo termine dell’ente creditizio, nonché prevedere meccanismi di lock-up e di composizione analoghi a quelli previsti per le remunerazioni variabili. Se il dipendente lascia l’ente creditizio prima della pensione, i benefici pensionistici discrezionali sono trattenuti dalla banca per un periodo di cinque anni sotto forma di azioni o partecipazioni al capitale equivalenti, e se del caso, altri strumenti che riflettano adeguatamente la qualità del credito dell’ente creditizio in modo continuativo. Nel caso in cui un dipendente vada in pensione, i benefici pensionistici discrezionali sono versati al dipendente sotto forma di strumenti analoghi a quelli sopra ricordati, con riserva di un periodo di mantenimento di cinque anni. 64 Il comitato per le remunerazioni è costituito in modo da poter esprimere un giudizio competente e indipendente sulle politiche e prassi remunerative e sugli incentivi previsti per la gestione del rischio, del capitale e della liquidità. Per quel che riguarda le competenze, il comitato per le remunerazioni è responsabile per la preparazione delle decisioni in materia di remunerazioni, comprese quelle aventi implicazioni per il rischio e la gestione del rischio degli istituti di credito interessati, che devono essere adottate dall’organo di amministrazione nella sua funzione di supervisione. Il presidente e i membri del comitato per le remunerazioni sono membri dell’organo di direzione che non svolgono alcuna funzione esecutiva presso l’ente creditizio in questione. Nell’elaborazione di tali decisioni, il comitato per le remunerazioni tiene conto degli interessi a lungo termine degli azionisti, degli investitori e di altre parti interessate dell’ente creditizio. 65 È stato osservato (A. Nigro, La remunerazione, cit., p. 17), in termini generali, che il legislatore comunitario della direttiva 2010/76/CE si muove sul solco dell’esperienza delle società quotate e inquadra il proprio provvedimento in un’ottica di corporate governance, dettando standard di comportamento e di controllo piuttosto che regole prescrittive specifiche, senza considerare che nel sistema finanziario, ed in particolare bancario, entrano in gioco interessi pubblici connessi all’attività esercitata, fra cui assume preminenza quello della stabilità degli intermediari.
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laddove siano riscontrate carenze patrimoniali o sussistano aiuti di Stato66. Il legislatore della direttiva 2010/76 propende dunque per un compromesso tra autonomia e etero-regolamentazione funzionale alla gestione sana e prudente dell’ente, prevedendo misure di vigilanza solo laddove la stabilità patrimoniale sia stata compromessa (è il caso dell’aiuto governativo straordinario) o sia in procinto di esserlo67. Vista la delicatezza e l’importanza del tema trattato, la direttiva 2010/76 prevedeva il recepimento entro il termine assai breve del 1° gennaio 2011. La Banca d’Italia ha adottato disposizioni di attuazione della direttiva 2010/76 nel marzo 2011 (di seguito anche “Disposizioni”)68, sulla base degli artt. 53 e 67, t.u.b. e del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, in qualità di Presidente del CICR, del 5 agosto 2004 in materia di organizzazione e governo societario69. Gli artt. 53 e 67 sono stati pochi mesi più tardi oggetto di modifica, ad opera dell’art. 22, co. 2, del d.lgs. 15 dicembre 2011, n. 217 (“legge
66 In primo luogo, l’art. 1, n. 10, della direttiva 2010/76, integrando l’art. 136 della direttiva 2006/48/CE, dispone che quando un ente creditizio non è in grado di soddisfare i requisiti della Direttiva, le autorità competenti debbano disporre misure correttive, tra cui quella di «esigere che gli enti creditizi limitino la componente variabile della remunerazione in percentuale dei ricavi netti complessivi quando è incompatibile con il mantenimento di una solida base di capitale». In secondo luogo, per le banche che hanno beneficiato dell’intervento governativo straordinario è previsto che la remunerazione variabile complessiva sia limitata ad una percentuale dei ricavi netti, quando necessario per la stabilità patrimoniale e l’uscita dal sostegno pubblico, e che la remunerazione delle persone che determinano effettivamente l’orientamento dell’attività della banca (cfr. art. 11, par. 1, della direttiva 2006/48/CE) sia limitata e, salvo specifiche ragioni, priva di componenti variabili (cfr. All. 1, 1), lett. k) della direttiva). 67 Sia consentito rinviare a Greco, I compensi, cit., p. 230 s. 68 Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza in materia di politiche e prassi di remunerazione e incentivazione nelle banche e nei gruppi bancari, 30 marzo 2011, disponibile su www.bancaditalia.it. 69 In realtà, dubbi potevano nutrirsi circa l’ampiezza della delega contenuta nelle norme sopra citate con riferimento al tema della remunerazione dei manager, tanto che anche la Banca d’Italia, in sede di consultazione delle Disposizioni (Banca d’Italia, Sistemi di remunerazione nelle banche. Documento di consultazione pubblica sulle disposizioni di vigilanza di recepimento della CRD III. Relazione Illustrativa, dicembre 2010, disponibile su www.bancaditalia.it), auspicava un aggiornamento della disciplina nazionale: «un aggiornamento della disciplina nazionale è tuttavia necessario per tener conto di alcune novità e del maggior grado di dettaglio delle disposizioni europee (…) in attesa di una modifica del quadro normativo primario si procede a recepire le norme della direttiva relative alle banche, per quanto possibile, attraverso una modifica delle disposizioni di vigilanza».
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comunitaria 2010”), che ha introdotto, nello specifico, la possibilità per Banca d’Italia di adottare provvedimenti di carattere generale e particolare, in quest’ultimo caso fissando limiti all’importo totale della parte variabile delle remunerazioni, quando sia necessario per il mantenimento di una solida base patrimoniale, e alla remunerazione complessiva degli esponenti aziendali, con riferimento alle banche che beneficiano di eccezionali interventi di sostegno pubblico70. In considerazione della necessità di adeguare anche la disciplina delle imprese di investimento, il legislatore è intervenuto nella medesima occasione anche sul t.u.f.: l’art. 22, co. 3, del d.lgs. 217/2011 riforma infatti gli artt. 6 e 7 del t.u.f., delegando Banca d’Italia e Consob all’emanazione di provvedimenti di carattere generale in materia di sistemi di remunerazione e di incentivazione e di carattere particolare in relazione alla parte variabile delle remunerazioni per esigenze legate alla solidità patrimoniale degli intermediari71. Le autorità, nel luglio 2012,
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Il co. 2 dell’art. 22 del d.lgs. 217/2011, dispone che: «al fine di dare diretta attuazione alla direttiva 2010/76/CE, al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 53: 1) al comma 1, la lettera d) è sostituita dalla seguente: «d) il governo societario, l’organizzazione amministrativa e contabile, nonché i controlli interni e i sistemi di remunerazione e di incentivazione»; 2) al comma 3, la lettera d) è sostituita dalla seguente: «d) adottare per le materie indicate nel comma 1, ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici nei confronti di singole banche, riguardanti anche: la restrizione delle attività o della struttura territoriale; il divieto di effettuare determinate operazioni, anche di natura societaria, e di distribuire utili o altri elementi del patrimonio, nonché, con riferimento a strumenti finanziari computabili nel patrimonio a fini di vigilanza, il divieto di pagare interessi; la fissazione di limiti all’importo totale della parte variabile delle remunerazioni nella banca, quando sia necessario per il mantenimento di una solida base patrimoniale. Per le banche che beneficiano di eccezionali interventi di sostegno pubblico, la Banca d’Italia può inoltre fissare limiti alla remunerazione complessiva degli esponenti aziendali»; b) all’articolo 67: 1) al comma 1, la lettera d) è sostituita dalla seguente: «d) il governo societario, l’organizzazione amministrativa e contabile, nonché i controlli interni e i sistemi di remunerazione e di incentivazione»; 2) il comma 2-ter è sostituito dal seguente: «2-ter. I provvedimenti particolari adottati ai sensi del comma 1 possono riguardare anche: la restrizione delle attività o della struttura territoriale del gruppo; il divieto di effettuare determinate operazioni e di distribuire utili o altri elementi del patrimonio, nonché, con riferimento a strumenti finanziari computabili nel patrimonio a fini di vigilanza, il divieto di pagare interessi; la fissazione di limiti all’importo totale della parte variabile delle remunerazioni nella banca, quando sia necessario per il mantenimento di una solida base patrimoniale. Per le capogruppo che beneficiano di eccezionali interventi di sostegno pubblico, la Banca d’Italia può inoltre fissare limiti alla remunerazione complessiva degli esponenti aziendali». 71 I provvedimenti di carattere particolare possono essere assunti dalla Banca d’Italia,
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hanno emanato un atto di modifica72 al regolamento congiunto del 29 ottobre 2007, prevedendo che gli intermediari sono tenuti ad applicare le disposizioni adottate in attuazione del t.u.b.73, ossia quelle emanate da Banca d’Italia nel marzo 2011. Le modifiche al t.u.b. ed al t.u.f., in via primaria, unitamente alle Disposizioni, che rappresentano la disciplina di dettaglio in materia tanto per le banche quanto per le sim, riprendono sostanzialmente i princípi della Direttiva 2010/76, superando ed abrogando, in parte qua, le disposizioni del marzo 2008, delle quali peraltro sono rispettate le linee guida. Rispetto a queste ultime sono da rimarcare le novità in merito alla gradazione della disciplina sulla base della dimensione delle banche74, al concetto di remunerazione75 e all’informativa da rendere al pubbli-
vista la competenza di quest’ultima, ex art. 5, co. 2, del t.u.f., «per quanto riguarda il contenimento del rischio, la stabilità patrimoniale e la sana e prudente gestione degli intermediari». A differenza di quanto accade per le banche e i gruppi bancari nell’ambito del t.u.b., non è previsto il potere dell’autorità di vigilanza di emanare specifici provvedimenti per stabilire soglie alla remunerazione complessiva degli esponenti aziendali. 72 Banca d’Italia, Consob, Modifiche al regolamento congiunto della Banca d’Italia e della Consob del 29 ottobre 2007 (…) per il recepimento della direttiva 2010/76/CE (CRD 3) in materia di politiche e prassi di remunerazione e incentivazione, 25 luglio 2012, disponibile su www.bancaditalia.it. 73 Cfr. art. 14-bis del regolamento congiunto, ove si precisano altresì i limiti dimensionali delle imprese che legittimano un’applicazione proporzionale della disciplina secondaria e le tipologie di attività e servizi di investimento il cui esercizio in esclusiva consente l’esonero dalla stessa. 74 Le banche (e, di conseguenza, la sim) vengono distinte in tre gruppi: a) gruppi bancari maggiori (attivo consolidato non inferiore a 40 miliardi di euro); b) intermediari minori (attivo consolidato non inferiore a 3,5 miliardi di euro); c) “altre banche”. In ossequio al criterio di proporzionalità, solo per le prime si applica l’intera disciplina, mentre per le altre vi è la possibilità di non applicare talune disposizioni. Il princípio di proporzionalità si applica anche al processo di identificazione del “personale più rilevante”, che nelle Disposizioni è peraltro identificato con maggiore grado di dettaglio. 75 Alla “remunerazione” deve essere ricondotta «ogni forma di pagamento o beneficio corrisposto, direttamente o indirettamente, in contanti, strumenti finanziari o beni in natura (fringe benefits), in cambio delle prestazioni di lavoro o dei servizi professionali resi dal personale alla banca o al gruppo». Altrettanto dicasi per la “remunerazione variabile”, rappresentata da «ogni pagamento o beneficio che dipende dalla performance, comunque misurata (obiettivi di reddito, volumi, etc.), o da altri parametri (es. periodo di permanenza)». È evidente quanto la definizione di remunerazione sia fondamentale per assicurare l’effettività della disciplina: per tale motivo le Disposizioni prescrivono che sono vietate forme alternative indirette di remunerazione con finalità elusive, come, ad esempio, quelle che vedono la corresponsione di compensi attraverso veicoli o succursali e filiali estere. Si precisa, a proposito (nt. 10, p. 4 delle Disposizioni), che «a titolo esemplificativo
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co76, ma soprattutto la facoltà da parte della Banca d’Italia, di emanare provvedimenti di carattere generale (come le disposizioni e le comunicazioni del 2 marzo 201277 e del 13 marzo 201378 sulle retribuzioni varia-
particolare attenzione deve essere rivolta a: outsourcing di attività a soggetti esterni al gruppo; utilizzo di personale non dipendente; operazioni con parti correlate alla banca o al gruppo; corresponsione di bonus sotto forma di attribuzione di significativi benefici in natura; remunerazione per servizi professionali accordata sotto forma di dividendi o altri proventi solo formalmente a titolo di partecipazione al capitale; compensi percepiti dal personale per incarichi assunti per conto della banca presso società o enti esterni alla banca o al gruppo cui essa eventualmente appartiene; etc.». 76 Oltre a fornire ulteriori precisazioni sulle competenze del comitato remunerazioni e sull’informativa da rendere in assemblea dei soci per l’approvazione delle politiche remunerative, le Disposizioni prevedono che le banche pubblichino informazioni sui sistemi e sulle prassi di remunerazione e incentivazione nell’ambito delle previsioni in materia di “Informativa al pubblico” di cui al titolo IV della circolare n. 263 del 27 dicembre 2006 (c.d. “terzo pilastro”). Al proposito occorre ricordare che con il decreto 27 luglio 2011, n. 676 del Ministro dell’Economia e delle Finanze, assunto in via d’urgenza quale Presidente del CICR, è stato inserito l’art. 5-bis e modificato l’art. 7 del d.m. 27 dicembre 2006, in materia di adeguatezza patrimoniale, contenimento del rischio e informativa al pubblico delle banche e dei gruppi bancari. Il titolo IV della circolare n. 263 del 27 dicembre 2006 è stato modificato con provvedimento della Banca d’Italia del 18 novembre 2011, che ha inserito la tavola 15, dedicata ai sistemi e prassi di remunerazione, ove sono riportate le informazioni di carattere qualitativo e quantitativo che gli intermediari sono tenuti a fornire al pubblico. 77 Banca d’Italia, Bilanci 2011: distribuzione di utili e corresponsione di remunerazioni, Comunicazione del 2 marzo 2012, con la quale Banca d’Italia, visto il difficile contesto di mercato, ha rimarcato che «la corretta applicazione delle suddette disposizioni (del 31 marzo 2011) debba comportare – nell’attuale fase congiunturale e, in particolare, nelle banche e nei gruppi bancari che presentano esigenze di rafforzamento o mantenimento del livello patrimoniale – un complessivo contenimento dei costi della remunerazione variabile, a vantaggio del profilo patrimoniale dell’intermediario», per cui «le condizioni ostative all’erogazione dei bonus (c.d. gates) e i meccanismi di collegamento con la performance corretta per i rischi, con il patrimonio e la liquidità dovrebbero determinare – con particolare riferimento al personale qualificato come “più rilevante” (risk takers) – una riduzione/azzeramento nella parte variabile della remunerazione da pagare nel 2012 (parte up-front relativa all’esercizio 2011 nonché parti differite relative ad anni precedenti che giungono a scadenza nel 2012) o soggetta a meccanismi di differimento (e quindi da pagare negli anni successivi)». 78 Banca d’Italia, Bilanci 2012: valutazione dei crediti, remunerazioni, distribuzione dei dividendi, Comunicazione del 13 marzo 2013. L’Autorità di vigilanza, vista la fragile redditività dell’esercizio 2012, ha stigmatizzato le banche circa l’opportunità di una significativa riduzione della remunerazione variabile. In particolare, per le banche che hanno adottato piani di incentivazione basati su un periodo annuale di valutazione della performance e che chiudono l’esercizio 2012 in perdita oppure con un risultato di gestione – rettificato per tenere conto dei rischi – negativo, ciò dovrebbe impedire,
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bili a valere, rispettivamente sui bilanci 2011 e 2012) nonché di carattere specifico nei confronti di singole banche, ma solo – come la direttiva 2010/76 prevede – con riferimento alla parte variabile della remunerazione ed in presenza di necessità legate alla solidità patrimoniale. Poteri più estesi sono poi previsti nei confronti delle banche che beneficiano di eccezionali interventi di sostegno pubblico, dato che, in tali situazioni, possono essere fissati limiti alla remunerazione complessiva (quindi non solo variabile) degli esponenti aziendali. Il contesto normativo non sembra però essersi ancora consolidato. Dopo alcune azioni, in ambito europeo e internazionale, volte a verificare lo stato di implementazione delle regole vigenti79, il tema delle politiche di remunerazione di banche e imprese di investimento torna decisamente alla ribalta con l’emanazione della direttiva 2013/36/UE del 26 giugno 2013 (di seguito anche “direttiva 2013/36”)80, che, aggiornando la complessiva normativa prudenziale, apporta, tra l’altro, alcuni importanti cambiamenti in ordine al rapporto tra la componente variabile e quella fissa della remunerazione81, ai poteri dell’assemblea dei soci82, ai meccanismi di aggiustamento per i rischi ex post (malus
per quanto riguarda i componenti degli organi con funzione di supervisione strategica e di gestione, il direttore generale, nonché l’altro “personale più rilevante” la cui remunerazione variabile sia esclusivamente o prevalentemente collegata ad obiettivi riferiti all’intera azienda, di riconoscere o pagare bonus a valere sui risultati dell’esercizio 2012, mentre per il restante personale dovrebbe comportare almeno una significativa riduzione del bonus anche nel caso in cui siano stati raggiunti gli obiettivi di performance individuali e della business unit di appartenenza. 79 Tra tali interventi si ricordano: European Banking Authority (di seguito anche “EBA”), Survey on the implementation of the CEBS Guidelines on Remuneration Policies and Practices, aprile 2012; FSB, Implementing the FSB Principles for Sound Compensation Practices and their Implementation Standards. Progress report, giugno 2012 e agosto 2013. 80 Direttiva 2013/36/UE del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE. 81 Al fine di evitare compensi variabili estremamente elevati e sbilanciati rispetto a quelli fissi, che potrebbero favorire l’assunzione eccessiva dei rischi e non essere coerenti con politiche e prassi di remunerazione e incentivazione sane e prudenti, l’art. 94, par. 1, lett. g), della direttiva 2013/36, introduce un limite massimo di 1:1 al rapporto tra la componente variabile e quella fissa della remunerazione, innalzabile al 200% solo in presenza di una procedura deliberativa ed informativa molto rigorosa. 82 Ai sensi dell’art. 94, par. 1, lett. g), della direttiva 2013/36, ciascuno Stato membro può attribuire all’assemblea dei soci il potere di approvare un limite più elevato al rapporto di 1:1 tra componente variabile e fissa della remunerazione.
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e claw-back)83, ai limiti alle remunerazioni variabili nel caso in cui le banche beneficino dell’intervento governativo84 o non rispettino specifici requisiti di capitale85, ai poteri dell’EBA di definire regulatory technical standards86. La direttiva 2013/36 prevede inoltre atti delegati della Commissione per garantire un approccio armonizzato in tutta l’Unione e abbracciare i rischi più pertinenti87.
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L’art. 94, par. 1, lett. n), della direttiva 2013/36 prevede che la remunerazione variabile complessiva sia interamente soggetta a dispositivi di malus o di restituzione. Gli intermediari devono stabilire criteri specifici per l’applicazione del malus o della restituzione che, in particolare, riguardano le situazioni in cui il membro del personale è stato partecipe di condotte che hanno causato perdite significative o ne è stato responsabile ovvero non ha soddisfatto livelli adeguati di competenza e onorabilità. 84 In tali casi, ai sensi dell’art. 93 della direttiva 2013/36, le limitazioni ordinarie poste dalla normativa alle politiche remunerative sono rafforzate, prevedendosi che: a) la remunerazione variabile sia rigorosamente limitata a una percentuale dei ricavi netti quando incompatibile con il mantenimento di una solida base di capitale e con l’uscita tempestiva dal sostegno pubblico; b) gli intermediari ristrutturino le remunerazioni in modo da allinearle a una sana gestione dei rischi e alla crescita a lungo termine, anche, ove appropriato, stabilendo limiti alla remunerazione dei membri dell’organo di gestione; c) nessuna componente variabile della remunerazione e sia erogata ai membri dell’organo di gestione dell’ente, salvo non sia giustificato. 85 L’art. 94 della direttiva 2013/36 declina in modo puntuale un princípio generale delle regole sui compensi, che ravvede nella solidità patrimoniale una condizione indispensabile per la corresponsione degli incentivi. Si afferma, in particolare (par. 1, lett. n) che la remunerazione variabile, compresa la parte differita, è corrisposta o attribuita solo se è sostenibile rispetto alla situazione finanziaria dell’intermediario nel suo insieme e giustificata sulla base dei risultati dell’ente, dell’unità aziendale e della persona interessati e che, fatti salvi i princípi generali di diritto nazionale dei contratti e del lavoro, essa è generalmente ridotta in misura considerevole qualora i risultati della banca siano inferiori alle attese o negativi, tenendo conto sia delle remunerazioni correnti sia delle riduzioni nei versamenti di importi precedentemente acquisiti, anche attraverso dispositivi di malus o di restituzione. 86 Ai sensi dell’art. 75 della direttiva 2013/36, l’EBA può definire regulatory technical standards (RTS) sui criteri qualitativi e quantitativi per l’identificazione del personale più rilevante e sulle caratteristiche degli strumenti finanziari da utilizzare per il riconoscimento delle remunerazioni variabili. Una volta approvati dalla Commissione europea sulla base della proposta formulata dall’EBA, gli RTS hanno carattere vincolante e sono direttamente applicabili senza necessità di recepimento. 87 Il 4 marzo 2014 la Commissione Europea ha adottato, ai sensi dell’art. 94, par. 2 della direttiva 2013/36, il regolamento delegato (attualmente in attesa di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea) che fissa le norme tecniche di regolamentazione relative ai criteri qualitativi e quantitativi adeguati per identificare le categorie di personale le cui attività professionali hanno un impatto sostanziale sul profilo di rischio degli intermediari.
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In contemporanea con l’emanazione della direttiva 2013/36, le autorità europee sono altresì intervenute, con il regolamento (UE) 575/2013, sugli obblighi di trasparenza verso il mercato dei regimi remunerativi e dei rischi ad essi associati di banche e imprese di investimento, imponendo la pubblicazione di una serie di informazioni qualitative e quantitative sulle politiche di remunerazione e sul personale con le retribuzioni più alte88. Sul fronte della prestazione dei servizi di investimento ed accessori, l’ESMA ha recentemente diffuso orientamenti concernenti le politiche e le prassi retributive, al fine di promuovere una maggiore convergenza nell’interpretazione e negli approcci di vigilanza degli obblighi riguardanti i conflitti di interesse e il comportamento previsti dalla direttiva MiFID in materia di retribuzione89. Le Autorità di vigilanza italiane hanno reagito agli impulsi provenienti dal legislatore europeo sottoponendo a consultazione pubblica, nel dicembre 2013, alcune modifiche alle Disposizioni volte, in larga misura, a recepire le innovazioni introdotte dalla Direttiva 2013/3690. Nel gennaio 2014 è stato poi dato seguito agli orientamenti ESMA sopra citati, imponendo agli intermediari attivi nella prestazione dei servizi
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L’art. 450 del regolamento (UE) 575/2013 del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012, obbliga banche e imprese di investimento a fornire informazioni sui processi decisionali seguiti per definire le politiche di remunerazione, sul collegamento tra compensi e performance, sul rapporto tra componenti variabili e fisse, sui criteri di valutazione della performance e, in generale, sui principali parametri in base ai quali sono attribuite le componenti variabili nonché, su base aggregata, in merito alle remunerazioni, ripartite per linee di attività e per qualifica del personale (con particolare riferimento all’alta dirigenza e ai membri del personale le cui azioni hanno un impatto significativo sul profilo di rischio dell’ente). Sono richieste, infine, informazioni sul numero di persone remunerate con 1 milione di euro o più per esercizio, per remunerazioni tra 1 e 5 milioni di euro ripartite in fasce di pagamento di 500.000 euro e per remunerazioni pari o superiori a 5 milioni di euro ripartite in fasce di pagamento di 1 milione di euro. 89 ESMA, Final report. Guidelines on remuneration policies and practices, n. 2013/606, 11 giugno 2013. Gli orientamenti dell’ESMA vertono sulla governance ed elaborazione di politiche e prassi retributive, sul controllo dei rischi creati dalle stesse e sulla vigilanza delle autorità competenti. Vengono inoltre forniti esempi illustrativi di politiche e prassi retributive che creano conflitti di difficile gestione. 90 Nonostante il termine per il recepimento della direttiva 2013/36 fosse fissato al 31 dicembre 2013, al momento in cui si scrive la Banca d’Italia non ha ancora emanato le nuove Disposizioni.
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di investimento di apportare le modifiche alle politiche di remunerazione eventualmente necessarie per conformarvisi91.
5. Spunti di riflessione per un difficile compromesso tra auto- e etero- regolamentazione. Non vi è dubbio che il tema della corporate governance nelle imprese finanziarie assume connotati specifici, che non è dato modo riscontrare parimenti nei soggetti operanti in altri settori produttivi92. Le banche svolgono un ruolo cruciale nell’economia assicurando, con la funzione di intermediazione, che i flussi di risparmio siano indirizzati verso le attività produttive93. In generale, la fiducia nella solidità e nella correttezza dei comportamenti degli intermediari, che rappresenta un presupposto indispensabile per il corretto funzionamento dei mercati finanziari, può essere compromessa da sistemi di governance non adeguati e poco trasparenti. D’altro canto, gli intermediari finanziari, e, in particolare, le banche, hanno caratteristiche peculiari che impongono un diverso approccio nelle questioni di corporate governance. La funzione tipica di intermediazione esalta le esigenze di raccolta del risparmio, ed accresce la leva finanziaria; gli impieghi creditizi sono scarsamente negoziabili, difficilmente valutabili dal mercato (a causa delle asimmetrie informative) e contraddistinti da scadenze più lunghe
91 Come hanno precisato Banca d’Italia e Consob nella comunicazione congiunta del 29 gennaio 2014, gli orientamenti ESMA «forniscono indicazioni e chiarimenti in tema di definizione delle politiche e delle prassi di remunerazione nel contesto delle regole di condotta e degli obblighi in materia di conflitto di interessi previsti dalla MiFID, richiamando, in particolare, l’attenzione degli intermediari sulla necessità di orientare le stesse secondo criteri in grado di assicurare il perseguimento del miglior interesse dei clienti» e «costituiscono indirizzi e criteri interpretativi utili per il rispetto da parte degli intermediari delle disposizioni in materia di conflitto di interessi contenute nella Parte III del Regolamento congiunto Banca d’Italia-Consob del 29 ottobre 2007 emanato ai sensi dell’art. 6, comma 2-bis, del Testo Unico della Finanza, nonché delle regole di condotta contenute nel Libro III del Regolamento Consob n. 16190/2007». 92 Tra i numerosi studi sul tema v., da ultimo, la rassegna di de Haan e Vlahu, Corporate Governance of Banks: A Survey, in De Nederlandsche Bank Working Paper, No. 386, 2013, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=2297770. 93 Questa affermazione trova maggior riscontro in sistemi finanziari banco-centrici e caratterizzati da un elevato ricorso all’indebitamento bancario, come l’Italia.
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rispetto alle passività, soprattutto laddove (è il caso delle banche) esse hanno natura monetaria. La trasformazione delle scadenze che scaturisce dalla composizione delle voci di bilancio rende più pressante il problema della liquidità. Crisi di fiducia nella capacità della singola banca di far fronte ai propri impegni verso i depositanti espongono strutturalmente il sistema al rischio di corsa agli sportelli, coinvolgendo anche le imprese sane nella fuga delle fonti di finanziamento e, quindi, nella necessità di liquidare tempestivamente l’attivo. Gli strumenti posti dagli ordinamenti a prevenzione delle crisi sistemiche di fiducia, quali fondi di garanzia dei depositi e prestiti di ultima istanza, possono stimolare azzardi morali da parte dei manager, che sono spinti ad impegnarsi in attività più rischiose per conseguire rendimenti più elevati. Ciò è tanto più vero in relazione alle banche di maggiori dimensioni, il cui fallimento sarebbe insostenibile dal sistema finanziario94. Per tali motivi i princípi tradizionali della “buona” corporate governance – per cui si deve mirare all’allineamento degli interessi dei manager con quelli degli azionisti – non necessariamente assicurano la stabilità della banca95, perché possono comunque indurre i manager ad una gestione imprudente ma potenzialmente più redditizia, grazie al fatto che tutti i guadagni sono spartiti tra il management e gli azionisti, mentre la gran parte delle eventuali perdite è sopportata dalla collettività96.
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Sulle peculiarità della corporate governance nelle banche v., tra gli altri, Laeven e LeBank Governance, Regulation and Risk Taking, in Journal of Financial Economics, 2009, 2, pp. 259 ss.; Levine, The Corporate Governance of Banks: A Concise Discussion of Concepts and Evidence, World Bank Policy Research Working Paper, 3404, 2004, disponibile in http://www.wds.worldbank.org; Macey e O’Hara, The Corporate Governance of Banks, in Economic Policy Review, 2003, 1, pp. 91 ss. Sui profili generali della regolamentazione degli intermediari finanziari, anche per ampi richiami bibliografici, sia consentito il rinvio a Greco, Gli intermediari finanziari nel testo unico bancario, Pisa, 2006. 95 Uno studio sulle remunerazioni negli anni 1999-2009 dei manager in 53 banche europee di importanza sistemica ha mostrato (Ayadi, Arbak e De Groen, Executive Compensation and Risk Taking in European Banking, in Barth, Lin e Wihlborg, a cura di, Reasearch Handbook on International Banking and Governance, Cheltenham, 2012, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=2017527) che la presenza di piani incentivanti a lungo termine ha aumentato l’assunzione di rischi aziendali, mentre altrettanto non è avvenuto con piani di opzioni. 96 In questo senso Laeven e Levine, Bank Governance, cit., e Ferrarini, Bankers’ Compensation and Prudential Supervision, 2011, disponibile in SSRN: http://ssrn.com/abstract=1809789. Studi empirici statunitensi hanno confermato che, durante l’ultima crisi finanziaria, banche dotate di strutture di corporate governance ove gli interessi dei manager erano meglio allineati a quelli degli azionisti non hanno conseguito risultati vine,
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Quanto appena affermato non deve far ritenere, però, che gli assetti dei piani retributivi ed incentivanti non abbiano alcuna influenza sulla performance degli intermediari, soprattutto in tempo di crisi: è stato verificato, al contrario, che banche dotate di una struttura dei compensi basata su ingenti guadagni di breve termine degli amministratori esecutivi hanno assunto rischi eccessivi, che in alcuni casi le hanno condotte addirittura al default97. In altre parole, “buone” pratiche di governance, sul fronte delle remunerazioni, non hanno garantito performance ottimali degli intermediari, mentre “cattive” pratiche non sempre hanno portato a situazioni di crisi aziendale, per quanto ricorrano in banche che hanno subito default clamorosi. La questione appare dunque più complessa, e deve essere affrontata secondo un approccio che consenta di perseguire la finalità della stabilità del sistema finanziario, senza sacrificare l’efficienza degli intermediari e alterare il gioco della concorrenza sul mercato. L’obiettivo deve essere quello di eliminare le distorsioni e le anomalie legate a fenomeni patologici, introducendo regole di condotta che assicurino la concorrenza tra intermediari nel e per il mercato. Il settore bancario, in particolare, ha conosciuto un profondo mutamento della disciplina legislativa e regolamentare volto a spostarne il baricentro da un sistema oligopolistico ad un sistema concorrenziale, ove occorre evitare che la tutela della stabilità delle imprese possa contrastare l’obiettivo della maggiore efficienza, la quale, nell’ottica concorrenziale, costituisce il parametro selettivo della loro permanenza sul mercato98. L’evoluzione, per così dire interna, dell’ordinamento creditizio e l’evoluzione, invece, esterna, delle altre attività finanziarie, hanno reso
migliori in assoluto (Fahlenbrach e Stulz, Bank CEO Incentives and the Credit Crisis, ECGI - Finance Working Paper No. 256/2009, 2009, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/ abstract=1439859) e, in generale, hanno avuto risultati peggiori rispetto a quelle dotate di patrimonio e depositi più significativi (Beltratti e Stulz, Why Did Some Banks Perform Better during the Credit Crisis? A Cross-Country Study of the Impact of Governance and Regulation, Fisher College of Business Working Paper no. 2009-03-012, 2009, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=1433502). 97 Si vedano al riguardo gli studi sui meccanismi incentivanti di Lehman Brothers e Bearn Sterns condotti da Bebchuk, Cohen e Spamann, The Wages, cit. 98 In questi termini Salanitro, La concorrenza nel settore bancario, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, I, pp. 757 ss.
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necessaria la nuova configurazione e reciproca rilevanza delle diverse finalità e, in particolare, la distinzione tra gli ambiti di operatività di ciascuna: la stabilità del sistema non può più estendersi sino a sovrapporsi alle altre finalità, a volte di segno opposto, come, ad esempio, la garanzia della concorrenza fra i diversi intermediari99. Il punto critico di questo processo di evoluzione sta nella configurazione sempre più chiara e consapevole di misure e strumenti non più diretti a tutelare diritti ed a soddisfare interessi, ma, piuttosto, a garantire contro i rischi connaturati a tutte le attività finanziarie: alle misure volte ad eliminare il rischio si sostituiscono misure volte a renderlo ragionevole (sul piano sistemico), controllabile (per quanto riguarda gli intermediari), e conoscibile (per quanto riguarda gli investitori)100. In Europa, le esigenze dell’armonizzazione massima conseguenti al recepimento degli indirizzi del Comitato Lamfalussy hanno prodotto un complesso processo atto a garantire una maggiore uniformità nella regolamentazione degli ordinamenti europei101. Le direttive di secondo livello e i regolamenti introducono una serie di regole dettagliate e puntuali che non devono che essere trasposte, in maniera pressoché automatica, nei singoli ordinamenti. In considerazione del divieto di stabilire obblighi aggiuntivi non proporzionati e non obiettivamente giustificati rispetto alla normativa comunitaria102, ne è conseguito un drastico calo del margine di discrezionalità delle autorità nazionali per
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Così Torchia, Il controllo pubblico della finanza privata, Padova, 1992, p. 346. Ibidem. In argomento v. anche Greco, Gli intermediari, cit., pp. 45 ss. 101 Il procedimento o metodo Lamfalussy si prefigge di realizzare gli obiettivi dell’armonizzazione piena, della regolamentazione partecipata e dell’accelerazione del recepimento della legislazione comunitaria a livello nazionale. Esso si articola su quattro livelli. Il livello 1 corrisponde alla direttiva, ove sono stabiliti i princípi quadro di carattere generale; il livello 2 vede l’emanazione delle misure di esecuzione, adottate dalla Commissione Europea con l’ausilio del CESR e dell’ESC; il livello 3 ricomprende gli orientamenti interpretativi non vincolanti della Commissione, del CESR e delle autorità nazionali di vigilanza; il livello 4 prevede il c.d. enforcement, ossia la verifica del rispetto della disciplina. Per ulteriori approfondimenti v. The final report of the committee of wise man on the regulation of european Securities markets del 15 febbraio 2010, disponibile su http://ec.europa.eu/internal_market/securities/docs/lamfalussy/wisemen/final-report-wise-men_en.pdf. In dottrina v. Comporti, La direttiva europea “MiFID”: le principali innovazioni, in Dir. banc., 2007, II, p. 57; Carozzi, Il metodo Lamfalussy, regole e vigilanza nel mercato finanziario europeo (opportunità, limiti, nuove soluzioni),Roma, 2007; Pichler, Profili teorici e di regolamentazione dei sistemi finanziari, Milano, 2005; De Mari, La consulenza,in materia d’investimenti: prove valutazioni e problemi applicativi, in Dir. banc., 2008, n°3, pp. 396-397. 102 Cfr., ad esempio, l’art. 4 della direttiva 2006/73/CE. 100
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discostarsene, anche in senso più rigoroso103. D’altro canto, secondo una tendenza solo apparentemente antitetica, si è assistito ad un sensibile spostamento da una disciplina basata sulla formulazione di regole di carattere specifico (rules-based regulation o “per precetti”), di matrice statunitense ma anche propria dell’Europa continentale, ad una disciplina basata prevalentemente sull’indicazione di princípi di carattere generale (principles-based regulation o “per princípi”), tradizionalmente praticata dalle autorità britanniche. Se è vero che la disciplina comunitaria appare più puntuale, d’altro canto ciò appare per così dire compensato dalla presenza di norme che lasciano agli intermediari ampia libertà – pur “controllata”, come vedremo – di autorganizzazione104. Potremmo quindi sostenere, da questo secondo punto di vista, che l’etero-regolamentazione tende a lasciare il passo alla auto-regolamentazione, per quanto entrambe le strategie normative spesso coesistano. In conseguenza di questo nuovo approccio (che nel prosieguo definiamo come “principles-based regulation” o “normazione per princípi”), agli intermediari è consentito scegliere le soluzioni organizzative più opportune nel rispetto dei “paletti” eretti (per meglio dire: delle finalità poste) dalla legge e dai regolamenti attuativi, ed alle autorità di settore è attribuito il compito di valutare la conformità di modelli alternativi adottati dagli operatori, con evidenti riflessi sulla competitività e stabilità del sistema bancario, finanziario ed assicurativo105.
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Si è parlato, al proposito (Brescia Morra, Adeguatezza, appropriatezza e mera esecuzione di ordini, in L’attuazione della MiFID in Italia, a cura di d’Apice, Bologna, 2010, pp. 521 s.), di un passaggio da una normativa di princípi (standards) a una di regole puntuali (rules). 104 La stessa dottrina che rileva il passaggio da standards a rules osserva anche che (Brescia Morra, Adeguatezza, cit., p. 520) «le nuove disposizioni intervengono in maniera più incisiva rispetto al passato sulla determinazione dei criteri di diligenza degli operatori. Si tratta sempre di norme di comportamento, ma ai fini della verifica del loro rispetto assume un rilievo centrale l’organizzazione dell’impresa». E ancora (Ibidem, p. 521): «la rilevanza degli assetti organizzativi ai fini del rispetto delle disposizioni a tutela degli investitori è dimostrata in maniera ancora più accentuata nelle regole sul conflitto di interessi. La normativa comunitaria riduce gli obblighi informativi su questo aspetto, puntando su una tutela affidata, in misura maggiore rispetto al passato, sull’organizzazione dell’intermediario per individuare ogni situazione di conflitto ed evitare che tale situazione comporti una operatività non indipendente in danno dei clienti». 105 In sede internazionale il dibattito tra rules-based regulation e principles-based regulation mette sovente a confronto rispettivamente la posizione delle autorità statunitensi, per un verso, e inglesi, per l’altro, anche con riferimento alle conseguenze
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Gli interventi normativi si ispirano dunque ai princípi ed alle logiche della better regulation, essendo preceduti: da una fase di consultazione e confronto con gli intermediari; da un’analisi di impatto, volta a misurarne costi e benefici; da un’indicazione della motivazione alla base delle scelte effettuate106. È opinione comune tra gli esponenti delle Autorità che il passaggio alla principles-based regulation ed alla logica della proporzionalità minimizzi i costi di adeguamento degli operatori alle novità normative e favorisca l’azione della vigilanza107. In un contesto di mercato molto dinamico e globalizzato, caratterizzato da forte innovazione e competitività, il modello di regolamentazione principles-based appare premiante, in linea di massima, sia per il regulator, che evita la rincorsa affannosa delle regole di dettaglio sul fenomeno economico, che per l’intermediario, che può ritagliare la norma di comportamento sulle proprie caratteristiche, evitando vincoli eccessivi quando le scelte in termini di attività e prodotto non li rendono necessari. In realtà, per quanto molto declamati, i vantaggi della principlesbased regulation e della proporzionalità non sono di immediata percezione e, soprattutto, di facile ottenimento: come è stato notato, un approccio rules-based pone i soggetti vigilati di fronte ad obblighi relativamente chiari, rispetto ai quali essi sono nella gran parte dei casi capaci di valutare il grado di compliance108. Anche il ruolo delle
dei diversi approcci di regolamentazione sul grado di competitività di mercati finanziari concorrenti. Sul punto v. Saccomanni, Il ruolo delle autorità nella regolazione della finanza, in Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa, Quaderno n. 236, 2007, p. 35; Onado, in ibidem, pp. 11-12. 106 Tarantola, La funzione di compliance nei sistemi di governo e controllo delle imprese bancarie e finanziarie, intervento al workshop Il ruolo del sistema dei controlli nella gestione del rischio di conformità negli istituti finanziari, Cetif – Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 4 ottobre 2007, p. 6; Saccomanni, Il ruolo, cit., pp. 38 ss. 107 Boccuzzi, La funzione di compliance: il presidio dei rischi aziendali e l’evoluzione della normativa Basilea 2 e MiFID, in Banc., 2008, n. 2, p. 40; Saccomanni, Il ruolo, cit., p. 37. 108 La dottrina (Perrone, Obblighi di informazione, Suitability e conflitti di interesse: un’analisi critica degli orientamenti giurisprudenziali e un confronto con la nuova disciplina MiFID, in I soldi degli altri. Servizi di investimento e regole di comportamento degli intermediari, a cura di Perrone, Milano, 2008, p. 3) ha osservato che la strategia normativa può difettare nella calibrazione, consentendo così condotte indesiderabili (underinclusion) o ostacolare comportamenti desiderabili (overinclusion). Sul tema si veda, tra gli altri, anche Kaplow, Rules Versus Standard: An Economic Analysis, in Duke Law Review, 1999, 42, pp. 579 ss. e Sullivan, The Justice of Rules and Standards, in Harvard Law Review, 1992, 106, pp. 63 ss..
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Autorità appare più lineare e definibile, trattandosi di verificare il rispetto delle regole – stabilite ex ante e rese pubbliche – da parte dei soggetti vigilati109. Al contrario, nella regolamentazione principles-based i soggetti vigilati sono tenuti, appunto, a rispettare il “princípio”, senza chiare regole da seguire ma usufruendo di “libertà controllata” di organizzazione con il vincolo del raggiungimento dell’obiettivo stabilito dalla regolamentazione: va da sé che la percezione del grado di compliance raggiunto con la soluzione adottata è connotata da soggettività ed incertezza, tanto più forte quanto più generici sono i princípi stabiliti e difficili gli obiettivi da raggiungere110. Parallelamente, il compito dell’Autorità è caratterizzato da una maggiore discrezionalità di giudizio, poiché si tratta di valutare se la soluzione in concreto adottata dal singolo intermediario, in termini di assetto organizzativo e controlli interni, sia effettivamente tale da configurare il sostanziale rispetto del princípio stabilito dalle norme111.
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Saccomanni, Il ruolo, cit., p. 36. Si è sottolineato (Perrone, Obblighi, cit., p. 4), al proposito, che «all’evidenza capaci di tener conto di elementi troppo variabili per essere incorporati in una rule, gli standards non consentono, di contro, una conoscenza del regime giuridico applicabile dotata di sufficiente precisione ex ante, fermi peraltro i temperamenti che possono derivare dalla presenza di un significativo corpus di precedenti giurisprudenziali». Nello stesso senso anche Capriglione, I «prodotti» di un sistema finanziario evoluto. Quali regole per le banche? (Riflessioni a margine della crisi causata dai mutui sub-prime), in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, pp. 20 ss. e Siclari, Crisi dei mercati finanziari, vigilanza, regolamentazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 2009, I, pp. 45 ss.. 111 V. ancora Saccomanni, Il ruolo, cit., pp. 36-37 e Falcone, La “compliance” nell’attività bancaria e nei servizi di investimento, in Dir. banc., 2008, I, p. 228, che osserva: «La rinuncia, da parte del regulator, alla specificazione dei processi interni comporta di certo da un lato, una maggiore autonomia organizzativa in capo all’intermediario: ma lo lascia, al contempo, sostanzialmente privo di “replica” rispetto alla valutazione di adeguatezza successivamente operata dall’autorità di vigilanza, il che si traduce, in ultima analisi, in un sostanziale aumento dell’area di discrezionalità facente capo a quest’ultima». Nello stesso senso anche Galmarini e Lamandini, Il valore aziendale della compliance alle regole e la funzione di controllo di conformità alle norme, in Strumenti finanziari e regole MiFID, a cura di Del Bene, Milano, 2009, p. 508, che affermano che «questo più flessibile approccio – nel mentre diminuisce la certezza del diritto e aumenta i rischi di “involontaria” inosservanza della banca, dovuta ad una attuazione nello specifico caso del princípio generale che ex post possa risultare non conforme a quanto atteso dall’Autorità di vigilanza o prescelto dal giudice (in sede di eventuale valutazione contenziosa) – favorisce l’affermarsi di regole di protezione dell’investitore e del cliente bancario ispirate alla prevalenza della sostanza (l’effettivo conseguimento dell’obiettivo di protezione perseguito) sulla forma (il formale ossequio a regole procedurali date)». 110
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Per contemperare l’aumento di discrezionalità dell’Autorità con le esigenze di certezza del diritto auspicate dagli operatori il modello principle based regulation prevede, nella fase di produzione normativa, la ricerca della chiarezza e della semplicità delle regole, nonché un allineamento delle stesse sulle best practices degli intermediari, mediante fasi di consultazione, analisi di costi e impatti delle norme, trasparenza nelle motivazioni delle scelte. Nella successiva fase di verifica degli adeguamenti e di enforcement il modello non può prescindere, anche al fine di limitare fenomeni di moral hazard da parte dei soggetti vigilati, da un’elevata trasparenza delle valutazioni dell’Autorità sul rispetto dei princípi da parte degli intermediari nei singoli casi concreti sottoposti a verifica. Non vi è dubbio quindi che l’aver improntato la nuova regolamentazione a criteri di principles-based regulation e proporzionalità costituisce una sfida non facile per le autorità di vigilanza112, che sono chiamate a reimpostare le proprie relazioni con il sistema finanziario, spostandosi sempre più dalla verifica del rispetto formale della norma alla codificazione di best practices113. Esaurita questa digressione non brevissima, ma necessaria, sull’evoluzione dello stile della regolamentazione nei mercati finanziari, non possiamo non notare la presenza di elementi fortemente distonici nella disciplina di recente emanazione in materia di piani retributivi ed incentivanti. Se è vero che i tradizionali princípi di corporate governance non sembrano sufficienti a assicurare la sana e prudente gestione degli intermediari e la stabilità del sistema finanziario nel suo complesso, con la direttiva 2013/36/UE le Autorità europee sembrano aver accantonato, seppur in parte, il modello della principle based regulation, intervenendo con regole vincolanti di carattere specifico su aspetti pregnanti del paradigma imprenditoriale, peraltro di particolare rilievo sul piano concorrenziale.
112 «Diminuire il costo e la pervasività della regolamentazione, aumentandone nel contempo l’efficacia, è la sfida che le Autorità devono a loro volta affrontare e vincere. Anche per meglio raggiungere tale obiettivo, la Banca d’Italia ha avviato un profondo riassetto delle strutture organizzative dell’Area della vigilanza, prevedendo anche una specifica unità preposta ai rapporti tra intermediari e clientela» (Tarantola, La funzione, cit., p. 16). 113 Saccomanni, Il ruolo, cit., p. 38. Sul punto v. ampiamente Alberici, Le condizioni di efficienza per l’attività di compliance nelle banche: l’importanza dell’autonomia e dell’indipendenza, in Banc., 2008, n. 2, pp. 24-25, che ha sostenuto la necessità della Banca d’Italia di porsi come «certificatore di prassi e di modelli di comportamento condivisi con gli intermediari sulla scorta di princípi universalmente accettati».
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Abbiamo già detto che il tema delle retribuzioni dei manager delle banche vede la presenza di interessi significativi dello stakeholder rappresentato dalla “collettività” e che le autorità di vigilanza, quali agent della collettività, devono introdurre misure idonee al fine di tutelarne gli interessi. Poiché la disciplina deve essere proporzionata all’interesse pubblico oggetto di tutela, gli obblighi di trasparenza e le regole di approvazione dei compensi degli amministratori e dei piani di stock option, già previsti per le società quotate, sono stati estesi ad altre figure aziendali e ad altre forme di remunerazione, nonché accompagnati da misure prudenziali. Mentre gli obblighi di trasparenza nei confronti del mercato e il rafforzamento delle procedure decisionali mirano a rendere noti i più significativi meccanismi retributivi (e i relativi profili quantitativi complessivi) ed a coinvolgere maggiormente gli azionisti, le regole prudenziali recentemente introdotte operano sugli aspetti qualitativi e, per certo aspetti, quantitativi delle politiche di remunerazione, con l’obiettivo di allineare gli interessi di manager e stakeholder, ma anche di contribuire alla stabilità dell’intermediario e del sistema finanziario nel suo complesso. Dal punto di vista sistematico le misure sulle politiche remunerative si articolano in regole strutturali, di governance, di trasparenza, di supervisione. Con riferimento agli aspetti strutturali, un primo problema concerne la possibile innovazione dei meccanismi retributivi (sì da aggirare l’ambito di applicazione della normativa) ed il conseguente diffondersi, tra i soggetti vigilati, di fenomeni di elusione o, addirittura, di inottemperanza, grazie alla sostanziale autonomia, sia sul piano quantitativo che qualitativo, concessa alle banche che non si trovano di fronte a situazioni conclamate di instabilità patrimoniale. Per quel che concerne l’ambito applicativo, le nozioni di “remunerazione” e di “personale più rilevante” hanno l’obiettivo, rispettivamente, di evitare l’erogazione di compensi “travestiti” e di proporzionare le misure sui soggetti la cui attività maggiormente impatta sul profilo di rischio dell’intermediario. In linea con quanto affermato dal Financial Stability Board, la direttiva 2010/76 è intervenuta sulla configurazione dei sistemi di remunerazione e incentivazione, fissando alcuni criteri generali in merito alla remunerazione variabile, quali: l’aggiustamento sulle varie tipologie di rischi aziendali; la coerenza con la performance complessiva e individuale; la presenza di clausole di malus o clawback; l’allungamento delle scadenze di pagamento in linea con l’orizzonte temporale dei rischi; l’eccezionalità dei bonus garantiti. Ai suddetti criteri generali si aggiun-
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gono, per quanto tarate su criteri di proporzionalità, regole di dettaglio con effetti quantitativi, quale l’obbligo di differire una quota sostanziale (40 per cento e, per le figure apicali, 60 per cento) della remunerazione variabile per un periodo di tempo non inferiore a 3-5 anni e quello di bilanciarne una quota di almeno il 50% tra azioni ed altri strumenti equivalenti emessi dall’intermediario. L’introduzione di misure regolamentari sulla struttura dei compensi ha suscitato critiche da parte dei fautori della shareholder theory, che ritengono che in tal modo venga, da un lato, frenata l’azione innovativa delle imprese e, d’altro canto, stimolata l’avversione al rischio e depotenziata la spinta dei manager verso risultati d’eccellenza114. Argomenti in questo senso possono desumersi indirettamente anche dalla ricchezza di opinioni sulla configurazione ottimale della remunerazione dei banchieri115, che fa sorgere qualche dubbio sull’efficienza teorica di scelte eteronome vincolate. La tendenza del regulator verso un modello rules-based è ancora più evidente con la direttiva 2013/36, ove addirittura si dettano limiti massimi (da 1:1 a 2:1, in casi rigidamente disciplinati) al rapporto tra componente fissa e componente variabile della remunerazione individuale.
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In dottrina v., tra gli altri, Ferrarini, Bankers, cit.; Lund, Pay as Risk Regulation in Florida State University Law Review, Forthcoming, 2014, disponibile su SSRN: http://ssrn. com/abstract=2375762; Prager, The Financial Crisis of 2007/2008: Misaligned Incentives, Bank Mismanagement, and Troubling Policy Implications, 2012, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=2094662. 115 Numerose sono le “ricette” per i piani ottimali di compensi variabili per i banchieri: azioni e opzioni emesse dalla banca negoziabili o esercitabili solo qualche anno dopo l’uscita dalla banca (Bhagat, Bolton e Romano, Getting Incentives Right: Is Deferred Bank Executive Compensation Sufficient? in European Corporate Governance Institute (ECGI) - Law Working Paper, no. 241, 2014, disponibile su SSRN: http://ssrn. com/abstract=2395982); call spread su azioni della banca (Broeders e Chen, Incentive Compatible Compensation and Regulation, 2013, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/ abstract=2217368); debiti subordinati della banca (Tung, Pay for Banker Performance: Structuring Executive Compensation for Risk Regulation, in Emory Public Law Research Paper, no. 10-93, 2010, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=1546229); compensi convertibili in debiti subordinati al ricorrere di eventi negativi sulla banca (Gordon, Executive Compensation and Corporate Governance in Financial Firms: The Case for Convertible Equity-Based Pay, in Columbia Law and Economics Working Paper, no. 373, 2010, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=1633906); debiti della banca dal valore inversamente proporzionale al credit default swap sull’intermediario stesso (Bolton, Mehran e Shapiro, Executive Compensation and Risk Taking in FRB of New York Staff Report, no. 456, 2011, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=1635349).
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La sfiducia sulla capacità di auto-regolazione da parte degli intermediari – pur in presenza di misure di corporate governance finalizzate a rafforzare i processi di approvazione dei piani incentivanti – pare aver animato le iniziative più recenti delle autorità europee, e, di conseguenza, di quelle degli Stati membri. Pur condividendo la tesi di coloro che ritengono eccessivamente rischioso lasciare al mercato dei manager la definizione delle politiche remunerative116, si è dell’avviso che l’approccio basato sulla principle based regulation sia però più adatto a conciliare gli interessi pubblici con le esigenze della banca come impresa, chiamata a misurarsi in un contesto concorrenziale nel quale la qualità delle risorse umane è una delle variabili fondamentali per il successo117. In quest’ottica, gli interventi autoritativi sulla quantificazione dei compensi variabili, vuoi in valore assoluto118, vuoi in proporzione con la parte fissa della remunerazione, dovrebbero essere, in linea generale, evitati, lasciando a misure di supervisione flessibili il compito di disciplinare nel dettaglio le politiche remunerative degli intermediari con problemi di stabilità119. Per mitigare il rischio di moral hazard da parte delle altre imprese, che potrebbe esporre a sgradite sorprese in fase di controllo ex post da
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Ci limitiamo, in questa sede, a richiamare gli studi di Bebchuk, Becker e Fried citati supra nonché, da ultimo, Brown, Financial Institutions, the Market, and the Continuing Problem of Executive Compensation in University of Denver Legal Studies Research Paper, no. 14-06, 2013, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=2354069. 117 In dottrina non manca chi, discostandosi dall’opinione comune secondo la quale il tema delle retribuzioni è particolarmente sensibile per i manager aventi deleghe gestionali, ritiene che, al contrario, debba porsi maggiore attenzione ai soggetti non esecutivi, in quanto essi avrebbero un incentivo a profitti di breve termini (legati ad attività di maggior rischio) per guadagnare nell’immediato e spostarsi in un altro intermediario prima che le perdite si materializzino. In questo senso Whitehead e Sepe, Paying for Risk: Bankers, Compensation, and Competition, in Cornell Legal Studies Research Paper, no. 13-87, 2014, disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=2307216. 118 Secondo A. Nigro, La remunerazione, cit., p. 18, per le banche si pone una questione di vigilanza prudenziale che supera l’idea, condivisibile invece per le società quotate, che la determinazione dell’entità, in assoluto, dei compensi di amministratori e manager debba essere lasciata all’autonomia delle parti. D’altra parte, l’Autore, auspicando l’introduzione di un tetto massimo complessivo alle retribuzioni dei manager, sottolinea che «quando si parla di limiti quantitativi non si intende far riferimento necessariamente a termini in cifre assolute: si può pensare a parametri riferiti, per esempio, al patrimonio di vigilanza della banca o, in un’ottica diversa, alle retribuzioni minime del personale». 119 Così anche Ferrarini, Bankers, cit.
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parte delle Autorità, potrebbe essere opportuno prevedere anche obblighi di comunicazione preventiva o, almeno per le banche maggiori, di autorizzazione amministrativa dei meccanismi retributivi e dei piani incentivanti120. Per quanto riguarda le misure di governance, la disciplina più recente mostra un rafforzamento delle funzioni dell’assemblea dei soci e del comitato per le remunerazioni. La direttiva 2013/36 valorizza il ruolo dell’assemblea nel deliberare sull’eventuale incremento al 200% del rapporto tra parte fissa e parte variabile della remunerazione, mentre Banca d’Italia, nel documento di consultazione diffuso per il recepimento della direttiva suddetta, le assegna altresì, giustamente, la competenza nell’approvazione dei paracadute d’oro, che, pur essendo componenti variabili, sfuggono al limite suddetto per il loro carattere straordinario e per l’imprevedibilità della loro effettiva erogazione. Il comitato per le remunerazioni diventa organo centrale per la preparazione delle decisioni in materia di remunerazioni, occupandosi anche delle valutazioni di rischio e delle misure per la gestione dello stesso121. Assumono di conseguenza grande rilievo gli aspetti relativi alla composizione del comitato e alla influenza che gli amministratori esecutivi ed il top management possono esercitare sulle loro decisioni. Secondo la normativa vigente, nell’ambito di tale comitato vi deve essere almeno un amministratore indipendente122. Le nuove disposizioni, non ancora in vigore, prevedono che tutti i membri non siano esecutivi e che la maggior parte di essi (tra cui il presidente) sia indipendente123.
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Venendo al nostro ordinamento, si potrebbero riformare le disposizioni di carattere generale ex art. 53, co. 1, lett. d) e art. 67, co. 1, lett. d) del t.u.b. (oggi rappresentate dalle disposizioni del marzo 2011), prevedendo una comunicazione preventiva a Banca d’Italia o, addirittura, il rilascio di autorizzazione (sulla scorta del co. 2 delle norme anzi citate), in linea con quanto già previsto, ad esempio, per l’investimento in immobili o per l’utilizzo di sistemi avanzati di rating del credito. 121 Cfr. direttiva 2013/36, art. 95. 122 Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche, 4 marzo 2008, p. 13. Sul ruolo degli amministratori indipendenti v. fra gli altri, Reboa, Il monitoring board e gli amministratori indipendenti, in Giur comm., 2010, I, pp. 657 ss.; Salanitro, Nozione e disciplina degli amministratori indipendenti, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, pp. 1 ss.; Tombari, Amministratori indipendenti, “sistema dei controlli” e corporate governance: quale futuro?, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, I, pp. 506 ss. 123 Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza per le banche, Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013, titolo IV, cap. 1, Governo societario, p. 19.
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Per garantire che il peso degli amministratori indipendenti nelle decisioni più importanti (come, ad esempio, la nomina degli advisor esperti in materie retributive) sia decisivo, sarebbe opportuno che le banche ponessero come condizione che dette decisioni siano deliberate conformemente al parere vincolante degli amministratori indipendenti124. È naturale che la corporate governance sia materia nella quale l’autoregolamentazione gioca un ruolo determinante: per tale motivo le Autorità dovrebbero vigilare con attenzione sulle modalità concrete con le quali le società danno attuazione a princípi fissati dalle norme, valutando tra l’altro, in ottica di proporzionalità, la conformità alle best practices declinate nei codici di autodisciplina125. Le misure di trasparenza, infine, vedono un ampliamento degli obblighi di informativa verso il pubblico (principalmente a mezzo del sito internet aziendale)126 e, soprattutto, l’assegnazione alle Autorità competenti nazionali del compito di raccogliere, con cadenza almeno annuale, i dati in materia di remunerazione previsti dalle guidelines dell’EBA, che ne curerà la pubblicazione su base aggregata per Stato membro d’origine127. Se queste sono le tendenze della disciplina sulle politiche di remunerazione in Europa, occorre introdurre nel dibattito anche la questione della possibile “concorrenza tra ordinamenti” che, se mal gestita, potrebbe depotenziare gli sforzi dei regulator dell’Unione per migliorare le regole. In un sistema finanziario sempre più interconnesso e globalizzato (secondo un termine del quale si è fin troppo abusato) vi è il rischio, infatti, di una fuga dei manager verso gli ordinamenti a regime meno stringente, per cui l’introduzione di una disciplina maggiormente rigorosa può compromettere la qualità manageriale del paese più virtuoso ma non proteggerlo dagli effetti negativi importati da intermediari operanti laddove le regole sono volutamente meno rigide (secondo una politica che per certi aspetti ricorderebbe quella nota in macroeconomia come beggar thy neighbour). L’esperienza dell’ultima crisi finanziaria è paradigmatica in questo senso.
124 In questo senso già Assogestioni, Princípi sui rapporti tra gli investitori istituzionali e gli amministratori indipendenti e sindaci delle società quotate, novembre 2008, p. 8. 125 Sul punto v., da ultimo, Marchetti, Il nuovo codice di autodisciplina delle società quotate, in Riv. soc., 2012, pp. 37 ss.; Alvaro, Ciccaglioni e Siciliano, L’autodisciplina in materia di corporate governance, in Quaderni Giuridici Consob, febbraio 2013, n. 2. 126 Cfr. direttiva 2013/36, art. 96. 127 Cfr. direttiva 2013/36, art. 75.
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La nuova vigilanza europea, affidata nell’Eurozona al Single Supervisory Mechanism, assegna alla Banca Centrale Europea la responsabilità diretta per la vigilanza delle banche più “significative”, mentre le autorità nazionali continueranno a vigilare sulle altre banche, secondo linee guida stabilite dalla BCE stessa128. L’emanazione del Single Rulebook europeo da parte dell’EBA, in vista dell’armonizzazione massima della regolamentazione del settore finanziario, dovrebbe poi condurre ad una disciplina uniforme anche in materia di remunerazioni, azzerando l’arbitraggio normativo tra gli Stati membri. Gli sviluppi nel mercato finanziario dell’Unione non risolveranno però la concorrenza con gli ordinamenti extraeuropei. La via per limitare il rischio della fuga dei manager nei paesi d’oltreoceano è stata intravista da taluni in un rafforzamento della selfregulation o, meglio, nel passaggio ad una diversa self-regulation a carattere transnazionale, grazie alla quale possano superarsi i limiti territoriali posti dalla normativa di ogni singolo Stato129. In realtà, come è stato osservato, anche i sostenitori di tale modello sono scettici circa la sostenibilità di una forma di auto-regolamentazione pura130 – scevra cioè dalla presenza di regole poste dalle autorità pubbliche – ma, soprattutto, non chiariscono come per tale via si impedisca il dilagare del rischio di cattura del regolatore131. Se quindi non sembrano esserci spazi realistici per sottrarsi a misure di stampo pubblicistico, si ritiene che i rischi della concorrenza tra ordi-
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Sull’evoluzione del Single Supervisor Mechanism v., da ultimo, Teixeira, The Single Supervisory Mechanism: Legal and Institutional Foundations, in Dal Testo unico bancario all’Unione bancaria: tecniche normative e allocazione di poteri, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Banca d’Italia, marzo 2014, pp. 75 ss. 129 Si veda, al proposito, per tutti, il contributo di Omarova, Wall Street as Community of Fate: Toward Financial Industry Self-Regulation, in University of Pennsylvania Law Review, 2011, vol. 159, pp. 411 ss., disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=1747853. 130 Omarova, Wall Street, cit., pp. 445 ss. 131 Santoro, I limiti del mercato e il fallimento della regolamentazione, in La crisi dei mercati finanziari: analisi e prospettive, a cura di Santoro, 2012, p. 11. In dottrina vi è chi ha messo in relazione le politiche retributive con il rischio di cattura del regolatore, sostenendo (Tung e Henderson, Pay for Regulator Performance, in University of Chicago Law & Economics, Olin Working Paper, no. 574; 2011, disponibile su SSRN: http://ssrn. com/abstract=1916310) che per limitare tale rischio e, di conseguenza, i fallimenti della regolazione, occorrerebbe compensare il regolatore stesso con una componente variabile legata all’andamento di un basket di debiti e azioni delle banche vigilate e con un bonus dipendente dalla tempestività con la quale è stata assunta la decisione di liquidare un intermediario.
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namenti debbano essere affrontati elaborando best practices internazionali largamente condivise – ma, nel contempo, non troppo generiche e fumose, onde evitare che possano essere facilmente eluse – e introducendo, in sede di cooperazione, meccanismi discriminanti e penalizzanti nei confronti dei paesi che non dovessero aderirvi. Un esempio di tale approccio in campo finanziario è rappresentato dal nuovo modello della white list dei paesi a obblighi equivalenti sul fronte antiriciclaggio introdotto dal Financial Action Task Force (FATF) nell’ambito delle 40 Recommendations dell’ottobre 2004, e, a livello europeo, dalla direttiva 2005/60/CE, grazie al quale si sono resi particolarmente difficili i rapporti delle istituzioni finanziarie e dei relativi clienti con i soggetti stabiliti in Paesi non collaborativi e, di conseguenza, si costringono questi ultimi a “rincorrere” la disciplina dei paesi più virtuosi per ottenere il libero accesso alla comunità finanziaria internazionale132. In analogia con quanto già avviene in ambito antiriciclaggio133 e con quanto è previsto avvenga nell’ambito della riforma della disciplina sulla prestazione dei servizi di investimento134, le misure poste da
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Esempi che ci sono vicini sono quelli della Repubblica di San Marino e dello Stato del Vaticano, che a tutt’oggi riscontrano serie difficoltà nell’intrattenere rapporti finanziari con l’Italia a causa di una legislazione antiriciclaggio non ritenuta del tutto conforme con gli standard internazionali ed europei. 133 Il FATF, istituito dal G-7 nel 1989, ha il compito di fissare standard e di promuovere l’effettiva implementazione di misure legali, regolamentari ed operativi per combattere il riciclaggio del denaro, il finanziamento del terrorismo e altri temi collegati all’integrità del sistema finanziario internazionale. Il FATF ha poi il compito di monitorare il processo di adeguamento degli Stati (compresi i propri membri) alle raccomandazioni da esso emanate e rivedere periodicamente le tecniche e contromisure previste per la lotta al riciclaggio ed al finanziamento del terrorismo. Del FATF sono attualmente membri 34 Stati e due organizzazioni regionali, quale la Commissione Europea e ed il Consiglio di Cooperazione del Golfo, rappresentanti i maggiori centri finanziari del mondo. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha istituito, nel settembre 1997, un organismo denominato Moneyval, al quale partecipano esperti nominati da una serie di paesi non appartenenti al FATF (fanno eccezione la Federazione Russa, che è membro di entrambi gli organismi, e due paesi designati a turno dal FATF). Anche il Moneyval procede a verifiche di conformità della legislazione dei paesi, membri e non, alle raccomandazioni del FATF, rafforzando la cooperazione internazionale e promuovendo il ravvicinamento delle legislazioni. 134 La direttiva europea (c.d. MiFID II) che riformerà la direttiva 2004/39/CE (MiFID), nel testo già approvato dal Parlamento Europeo, introduce un regime armonizzato basato sull’equivalenza del Paese terzo per l’accesso delle imprese di investimento stabilite nel suddetto Paese quando forniscono servizi a clienti professionali di diritto e controparti qualificate. L’accesso deve essere preceduto da una decisione di equivalenza
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ciascun Paese per disciplinare le politiche remunerative potrebbero essere oggetto di valutazione da parte di organismi istituiti a livello internazionale, secondo procedure di self-assessment che consentono un recupero dei vantaggi dell’auto-regolamentazione pur spostando le decisioni a livello governativo. Nel valutare il trade-off tra regole pubbliche e autonomia privata, occorre infine sottolineare che gli strumenti di etero-regolamentazione perdono molta della loro efficacia se non sono assistiti da adeguati strumenti di enforcement. Prevedere sanzioni non effettivamente dissuasive può costituire un vulnus decisivo in una materia quale quella delle remunerazioni, che mette a dura prova la fedeltà e l’onestà del manager laddove “il gioco può valere la candela”. Non dimentichiamo, al proposito, che il recente passato ha mostrato, in taluni casi, remunerazioni variabili e incentivi individuali ammontanti a svariate decine, se non centinaia, di milioni di dollari. Per questo motivo, in modo particolare laddove l’ordinamento lasci ampio spazio all’autonomia dell’intermediario, non dovrebbe confidarsi troppo sulle clausole di claw back inserite nei meccanismi retributivi, perché tardive e poco dissuasive. A nostro avviso occorrerebbe invece introdurre specifiche sanzioni amministrative proporzionali135, nonché sanzioni interdittive permanenti dalla professione finanziaria a carico del manager136. Ovviamente, eventuali condotte rilevanti sul piano penale dovrebbero essere altrettanto duramente colpite, sia sotto il profilo personale che alla luce della responsabilità amministrativa dell’ente. Le fattispecie
assunta dalla Commissione. Le imprese dei Paesi terzi riconosciuti a regime equivalente potranno accedere nell’Unione Europea in libera prestazione dei servizi, senza stabilirvi una succursale. In argomento v. da ultimo, European Commission, More transparent and safer financial markets: European Commission welcomes European Parliament vote on updated rules for Markets in Financial Instruments (MiFID II), Statement, 15 aprile 2014 e Id., Markets in Financial Instruments Directive (MiFID II): Frequently Asked Questions, Memo, 15 aprile 2014, in http://ec.europa.eu/internal_market/securities/isd/mifid/ index_en.htm. 135 E non limitate nel loro massimo ammontare, al pari di quanto previsto in ambito antiriciclaggio, ad esempio, per l’inosservanza dell’obbligo di segnalazione delle operazioni sospette, punita con una sanzione dall’uno al quaranta per cento delle operazioni non segnalate (art. 57, co. 4, d.lgs. 231/2007). 136 La Direttiva 2013/36 prevede che gli ordinamenti nazionali introducano il c.d. temporary ban, ossia l’interdizione temporanea dall’esercizio di funzioni di amministrazione in altri intermediari. Sul punto v. Donato, Gli strumenti della nuova vigilanza bancaria europea. Dalla Legge Bancaria al Single Supervisory Mechanism, in Dal Testo unico bancario, cit., p. 106.
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più gravi dovrebbero, infine, essere valutate dalla Banca d’Italia quali presupposto di un provvedimento di commissariamento dell’intermediario, cui consegue, come è noto, lo scioglimento degli organi amministrativi e di controllo e la sospensione delle funzioni delle assemblee137.
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137 Sull’utilità del removal del singolo amministratore in chiave preventiva delle crisi, v. Donato e Cossa, Giocare d’anticipo. Crisi bancarie e interventi preventivi dell’Autorità di vigilanza, in Banca, impresa, soc., 2011, p. 339 ss. nonché, da ultimo, Donato, Gli strumenti, cit., p. 111.
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COMMENTI
Sanzioni della Banca d’Italia e giurisdizione CORTE COSTITUZIONALE, sentenza 15 aprile 2014, n. 94; Pres. Silvestri, Rel. Cartabia; Banca d’Italia (avv. Perassi) ; interv. Presidenza del Consiglio dei Ministri (Avv. dello Stato) Ordinanza TAR Lazio, sez. III, 27 luglio 2012 (due) Sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia – Opposizione – Art. 133, co. 1, lett. l), 134, co. 1, lett. c) e 135, co. 1, lett. c) d.lgs. n. 104 del 2010 che attribuiscono la giurisdizione in materia al giudice amministrativo – Art. 4, co. 1, n. 17 e 19, allegato n. 4 al d.lgs. n. 104 del 2010 – Illegittimità costituzionale (Cost., art. 76; d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, codice del processo amministrativo, artt. 133, 134, 135; All. n. 4 al d.lgs. n. 104 del 2010, art. 4)
Sono costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 76 Cost., gli artt. 133, co. 1, lett. l), 134, co. 1, lett. c) e 135, co. 1, lett. c) del d.lgs. n. 104 del 2010, nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con cognizione estesa al merito ed alla competenza funzionale del Tar del Lazio le controversie in materia di sanzioni pecuniarie irrogate dalla Banca d’Italia; nonché l’art. 4, co. 1, n. 17 e 19 dell’Allegato n. 4 al medesimo d.lgs., nella parte in cui abrogano le disposizioni del d.lgs. n. 385 del 1993 e del d.lgs. n. 58 del 1998, che attribuiscono rispettivamente alla Corte d’appello di Roma ed alle Corti d’appello territoriali la competenza funzionale nella suddetta materia. (1)
(Omissis) Ritenuto in fatto 1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, ha sollevato, con due ordinanze di analogo contenuto depositate in data 27 luglio 2012 (r.o.
nn. 299 e 306 del 2012), questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 76 Cost., in riferimento all’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione,
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la competitività nonché in materia di processo civile), degli artt. 133, comma 1, lettera l), 134, comma 1, lettera c), e 135, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo). L’ordinanza di cui al r.o. n. 299 del 2012 impugna altresì l’art. 4, comma 1, numero 17), dell’Allegato 4 al medesimo decreto legislativo; mentre l’ordinanza di cui al r.o. n. 306 del 2012 impugna altresì il successivo numero 19). Tali disposizioni sono state censurate nella parte in cui hanno trasferito alla giurisdizione esclusiva, con cognizione estesa al merito, del giudice amministrativo le controversie relative a provvedimenti sanzionatori di natura pecuniaria adottati dalla Banca d’Italia. 2. – Le questioni sono state sollevate nei giudizi promossi da una serie di soggetti privati contro la Banca d’Italia, per l’annullamento di tre provvedimenti con cui la Banca d’Italia ha emesso sanzioni amministrative nei loro confronti. In un caso (r.o. n. 299 del 2012), si trattava di sanzioni adottate in base agli artt. 144 e 145 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), nei confronti di un ex componente del disciolto consiglio di amministrazione di Mantovabanca 1896 Credito cooperativo s.c., in amministrazione straordinaria. Nell’altro caso (r.o. n. 306 del 2012), di sanzioni irrogate ai sensi dell’art. 190 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996,
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n. 52), nei confronti degli ex componenti del consiglio di amministrazione di Quantica SGR s.p.a. L’illegittimità costituzionale è stata eccepita, in entrambi i giudizi, dalla Banca d’Italia e ritenuta rilevante e non manifestamente infondata dal TAR Lazio. In punto di rilevanza, il TAR Lazio ha osservato che la sua giurisdizione in ordine alle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Banca d’Italia ex artt. 144 e 145 del d.lgs. n. 385 del 1993, così come quella in ordine alle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla medesima Banca d’Italia ex art. 195 del d.lgs. n. 58 del 1998, si fonda esclusivamente su quanto disposto dalle norme sopra richiamate, ritenute applicabili alle fattispecie oggetto dei giudizi. Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice rimettente, riprendendo la posizione della Banca d’Italia, ha richiamato i contenuti della sentenza n. 162 del 2012 della Corte costituzionale, che ha dichiarato costituzionalmente illegittime, per violazione dell’art. 76 Cost., le medesime disposizioni del d.lgs. n. 104 del 2010 (ossia gli artt. 133, comma 1, lettera l), 134, comma 1, lettera c), e 135, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 104 del 2010, nonché dell’art. 4, comma 1, numero 19), dell’Allegato 4 al medesimo decreto legislativo), «nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con cognizione estesa al merito e alla competenza funzionale del TAR Lazio – sede di Roma, le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB)». La giurisdizione del giudice am-
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ministrativo sui provvedimenti sanzionatori della Banca d’Italia si fonda, infatti, sulle medesime disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime con la citata sentenza n. 162 del 2012, in relazione ai provvedimenti sanzionatori della CONSOB. Tali disposizioni sarebbero affette dal medesimo vizio di eccesso di delega anche in relazione alle sanzioni della Banca d’Italia. Ad avviso del giudice rimettente, infatti, le argomentazioni di cui alla motivazione della sentenza n. 162 del 2012 – ampiamente riportate nelle due ordinanze – ben si conformerebbero alla fattispecie in esame, specie laddove evidenziano che il legislatore delegato, nel momento in cui interveniva in modo innovativo sul riparto di giurisdizione, avrebbe dovuto tenere conto della «giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori», nell’assicurare la concentrazione delle tutele, secondo quanto prescritto dalla legge di delega, nell’art. 44 della legge n. 69 del 2009. Infatti, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del 2010 la Corte di cassazione, a sezioni unite, aveva statuito che rientravano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative all’opposizione contro i provvedimenti con cui il Ministero dell’economia e delle finanze, su richiesta della CONSOB o della Banca d’Italia, applica sanzioni amministrative di carattere pecuniario per la violazione delle norme in tema di intermediazione finanziaria (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 2980 del 2005). 3. – In data 28 gennaio 2013 si è costituita, in entrambi i giudizi, depositando deduzioni di contenuto in larga parte corrispondente, la Banca d’I-
talia, la quale ha evidenziato una serie di argomenti a sostegno dell’illegittimità costituzionale delle disposizioni normative impugnate, per contrasto con l’art. 76 Cost., con riferimento all’art. 44 della legge n. 69 del 2009. In particolare, la Banca d’Italia ha ricordato che, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del 2010, la giurisdizione sulle opposizioni avverso i provvedimenti sanzionatori adottati dalla Banca d’Italia ai sensi del d.lgs. n. 385 del 1993 era devoluta al giudice ordinario e alla competenza, in particolare, della Corte d’appello di Roma. Tale assetto della giurisdizione, sancito dall’art. 145, commi da 4 a 8, del d.lgs. n. 385 del 1993, trovava origine nell’art. 90 del regio decreto legge 12 marzo 1936, n. 375 (Disposizioni per la difesa del risparmio e per la disciplina della funzione creditizia), che radicava nella Corte d’appello di Roma la competenza a conoscere dei reclami avverso i provvedimenti irrogativi di sanzioni pecuniarie adottati dal Ministro delle finanze per violazione della legge bancaria. Sempre al giudice ordinario era devoluta la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti sanzionatori adottati dalla Banca d’Italia e dalla CONSOB ai sensi dell’art. 195, commi da 4 a 8, del d.lgs. n. 58 del 1998. Tanto l’art. 145, commi da 4 a 8, del d.lgs. n. 385 del 1993, quanto l’art. 195, commi da 4 a 8, del d.lgs. n. 58 del 1998 sono stati espressamente abrogati dall’art. 4, comma 1, dell’Allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010 (rispettivamente, numeri 17 e 19). Secondo la Banca d’Italia, le ragioni che hanno condotto la Corte costituzionale, nella sentenza n. 162 del 2012, a dichiarare l’illegittimità costi-
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tuzionale degli artt. 133, comma 1, lettera l), 134, comma 1, lettera c), e 135, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 104 del 2010, nonché dell’art. 4, comma 1, numero 19), dell’Allegato 4 al medesimo decreto legislativo n. 104 del 2010, nella parte in cui hanno devoluto al giudice amministrativo le controversie concernenti i provvedimenti sanzionatori adottati dalla CONSOB ai sensi dell’art. 195 del d.lgs. n. 58 del 1998, si attaglierebbero pienamente alle medesime norme con riferimento alle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti sanzionatori adottati dalla Banca d’Italia. La Banca d’Italia ha infatti sottolineato che, in base alla giurisprudenza della Corte di cassazione, la potestà sanzionatoria ad essa attribuita, ai sensi dell’art. 145 del d.lgs. n. 385 del 1993 – al pari di quella conferita, alla stessa Banca d’Italia e alla CONSOB, dall’art. 195 del d.lgs. n. 58 del 1998 – avrebbe natura vincolata e sarebbe retta dai principi generali dettati in materia dalla legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella quale non troverebbe spazio l’esercizio di discrezionalità amministrativa. Ciò determinerebbe una differenza sostanziale tra la potestà sanzionatoria e l’esercizio dell’attività di vigilanza in senso stretto, la quale – ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 385 del 1993 – concerne, tra l’altro, la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, oltre alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario, e si basa perciò su valutazioni di carattere discrezionale. A supporto di queste argomentazioni, nell’atto di costituzione relativo all’ordinanza di cui al r.o. n. 299 del 2012, la Banca d’Italia ha richiamato
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quattro pronunce della Corte di cassazione a sezioni unite, le quali, anche una volta attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito» ex art. 33 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), come modificato dalla legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), hanno ripetutamente affermato la giurisdizione del giudice ordinario rispetto ai provvedimenti sanzionatori adottati dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 145 del d.lgs. n. 385 del 1993. Il riferimento è alle sentenze della Corte di cassazione, sezioni unite civili, n. 13709 del 2004 e n. 16577 del 2010 e alle ordinanze n. 9600 e n. 9602 del 2006, le quali hanno ribadito, sulla base di un orientamento ritenuto «costante e univoco», la giurisdizione del giudice ordinario per le opposizioni avverso i provvedimenti sanzionatori adottati ai sensi dell’art. 145 del d.lgs. n. 385 del 1993, richiamando il carattere vincolato e non discrezionale dell’attività sanzionatoria. Nell’atto di costituzione relativo all’ordinanza di cui al r.o. n. 306 del 2012, la Banca d’Italia ha altresì richiamato la giurisprudenza della Corte di cassazione formatasi in relazione alle sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia per la violazione di norme in tema di intermediazione finanziaria ex art. 195 del d.lgs. n. 58 del 1998. In
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particolare, è menzionata la sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, n. 9730 del 2004, nella quale l’attività sanzionatoria è qualificata come attività vincolata che, proprio per questo, non può essere assimilata a quella di vigilanza, pur essendo ad essa strettamente collegata. In entrambi gli atti di costituzione, la Banca d’Italia ha infine segnalato, a conforto delle sue argomentazioni, i lavori parlamentari relativi al secondo decreto legislativo «correttivo» del codice del processo amministrativo, ossia il decreto legislativo 14 settembre 2012, n. 160 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo, a norma dell’articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69). In particolare, la Banca d’Italia ha evidenziato che, nel parere reso il 12 settembre 2012 dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati sullo schema di tale decreto legislativo, era presente una condizione nella quale, in considerazione della sentenza n. 162 del 2012 della Corte costituzionale, si chiedeva che l’art. 133, comma 1, lettera l), del d.lgs. n. 104 del 2010 fosse riformulato in modo da escludere dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «i provvedimenti sanzionatori adottati dalla Banca d’Italia e dalla Commissione nazionale per le società e la borsa ai sensi dell’articolo 145 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 e dell’articolo 195 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58», con conseguente soppressione dei numeri 17) e 19) dell’art. 4, comma 1, dell’Allegato 4 al medesimo decreto legislativo. Tuttavia, il legislatore delegato non ha accolto le indicazioni contenute nel
parere parlamentare, sulla base della motivazione – presente nella relazione finale al decreto legislativo «correttivo», allegata alle deduzioni della Banca d’Italia – secondo cui si tratterebbe di un’operazione che, seppur condivisibile nel merito, non rientrerebbe nello spettro della delega conferita al Governo, il quale sarebbe «sprovvisto quindi del potere di reintrodurre la disciplina previgente». 4. – Con atti depositati in data 5 febbraio 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto nei due giudizi, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata. Ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, l’inammissibilità deriverebbe dal totale difetto di motivazione riscontrabile nelle ordinanze di rimessione, le quali postulerebbero l’automatica trasposizione al contenzioso riguardante le sanzioni previste dal testo unico bancario del vizio di eccesso di delega riscontrato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 162 del 2012, a proposito del contenzioso riguardante le sanzioni previste dal t.u. della finanza, mentre mancherebbe del tutto la motivazione sulle ragioni della integrale sovrapponibilità degli argomenti usati a proposito delle sanzioni ex t.u. della finanza anche alle sanzioni ex t.u. bancario. Nel merito, l’Avvocatura dello Stato ha chiesto che sia dichiarata l’infondatezza della questione, sostenendo che, poiché, anteriormente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, non vi sarebbe stata una giurisprudenza «delle giurisdizioni superiori» attestante la spettanza al giudice ordinario della giurisdizione sulle controversie originate dal t.u. banca-
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rio, il legislatore delegato avrebbe posseduto una più ampia legittimazione ad introdurre norme innovative. L’Avvocatura dello Stato ha infatti evidenziato come, tra i criteri indicati nella norma di delega di cui all’art. 44, commi 1 e 2, della legge n. 69 del 2009, compaia, oltre al criterio della conformazione alla giurisprudenza delle giurisdizioni superiori – che sarebbe in questo caso inapplicabile –, anche quello della tendenziale concentrazione delle tutele. La scelta di devolvere al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva in materia di sanzioni pecuniarie inflitte agli esponenti bancari sarebbe coerente con quest’ultimo criterio, visto che l’applicazione di tali sanzioni normalmente, anche se non necessariamente, scaturisce dagli accertamenti operati dalla Banca d’Italia nell’esercizio della vigilanza. In definitiva, a parere del Presidente del Consiglio dei ministri, la scelta legislativa in esame sarebbe coerente con un criterio di delega, quello della concentrazione delle tutele, in sé ragionevole e in linea con i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale nella sentenza n. 204 del 2004, perché volto a prevenire il pericolo di soluzioni contrastanti adottate in procedimenti giurisdizionali che possono avere ad oggetto i medesimi fatti e, in ambedue i casi, situazioni soggettive qualificabili come diritti soggettivi. Tale opzione assicurerebbe altresì l’uniformità delle garanzie procedurali, con due gradi di merito a cognizione piena, mentre la «reviviscenza» dell’art. 145, commi da 4 a 8, del d.lgs. n. 385 del 1993 ripristinerebbe, per le controversie aventi ad oggetto le sanzioni pecuniarie «bancarie», la giurisdizione in unico grado della Corte d’appello di Roma.
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Considerato in diritto 1. – Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza, dubita della legittimità costituzionale degli artt. 133, comma 1, lettera l), 134, comma 1, lettera c), e 135, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), nonché dell’art. 4, comma 1, numeri 17) e 19), dell’Allegato 4 al medesimo decreto legislativo, nella parte in cui hanno trasferito alla giurisdizione esclusiva, estesa al merito, del giudice amministrativo, e in particolare alla competenza del TAR Lazio, le controversie relative ai provvedimenti sanzionatori di natura pecuniaria adottati dalla Banca d’Italia, per contrasto con l’art. 76 Cost., in quanto eccedenti la delega legislativa di cui all’art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), limitata al riordino delle norme vigenti sulla giurisdizione del giudice amministrativo, anche rispetto alle altre giurisdizioni, e all’adeguamento delle norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori. Il giudice a quo ritiene che anche in relazione alle sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia debbano applicarsi i principi che hanno condotto la Corte costituzionale, nella sentenza n. 162 del 2012, a dichiarare costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 76 Cost., in riferimento all’art. 44 della legge di delega n. 69 del 2009, gli artt. 133, comma 1, lettera l), 134, comma 1, lettera c), e 135, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 104
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del 2010, nonché dell’art. 4, comma 1, numero 19), dell’Allegato 4 al medesimo decreto legislativo, «nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con cognizione estesa al merito e alla competenza funzionale del TAR Lazio – sede di Roma, le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB)». 2. – Le due ordinanze sollevano questioni strettamente connesse, che hanno a oggetto disposizioni in larga misura coincidenti e che sono censurate in riferimento allo stesso profilo di illegittimità costituzionale. Pertanto, i relativi giudizi devono essere riuniti ai fini di un’unica trattazione e di un’unica decisione. 3. – Deve anzitutto essere esaminata l’eccezione di inammissibilità prospettata dall’Avvocatura dello Stato, che deriverebbe dal totale difetto di motivazione riscontrabile nelle ordinanze di rimessione del TAR Lazio, le quali postulerebbero l’automatica trasposizione al contenzioso riguardante le sanzioni previste dal decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) del vizio di eccesso di delega riscontrato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 162 del 2012, a proposito del contenzioso riguardante le sanzioni previste dal decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52). In particolare, questo profilo sussisterebbe nell’ordinanza di cui al r.o. n. 299 del 2012, originata dall’applicazione del t.u. bancario.
L’eccezione non è fondata. Vero è che entrambe le ordinanze di rimessione contengono numerosi riferimenti alla sentenza di questa Corte n. 162 del 2012, di cui vengono riportati ampi brani. Tuttavia il TAR Lazio non si limita a questo richiamo, ma illustra le ragioni per cui detta pronuncia, riferita alle controversie sulle sanzioni CONSOB, conterrebbe principi rilevanti anche per la definizione della questione concernente la giurisdizione sulle controversie che hanno ad oggetto le sanzioni della Banca d’Italia. Inoltre, il medesimo TAR non omette di motivare, sia pure succintamente, la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione con riferimento ai casi sottoposti al suo esame, richiamando altresì la giurisprudenza della Corte di cassazione, a sezioni unite, alla quale il legislatore delegato avrebbe dovuto attenersi nell’esercizio della delega. Tanto è sufficiente perché questa Corte possa esaminare nel merito la prospettata questione di legittimità costituzionale. 4. – Nel merito la questione è fondata. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire, con la sentenza n. 162 del 2012, che l’art. 44 della legge n. 69 del 2009 contiene una delega per il riordino normativo del processo amministrativo e del riparto di giurisdizione tra giudici ordinari e giudici amministrativi. In quanto delega per il riordino, essa concede al legislatore delegato un limitato margine di discrezionalità per l’introduzione di soluzioni innovative, le quali devono comunque attenersi strettamente ai principi e ai criteri direttivi enunciati dal legislatore delegante (ex multis, sentenze n. 73 e n. 5 del 2014, n. 80
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del 2012, n. 293 e n. 230 del 2010). Pertanto, come già affermato in relazione al caso delle sanzioni applicate dalla CONSOB, anche con riferimento alle sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia il legislatore delegato, nel momento in cui interveniva in modo innovativo sul riparto di giurisdizione, doveva tenere in debita considerazione i principi e criteri enunciati dalla delega, i quali richiedevano di «adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori» (art. 44 della legge n. 69 del 2009). Invece, il legislatore delegato non ha tenuto conto della giurisprudenza delle sezioni unite civili della Corte di cassazione, formatasi specificamente sul punto, con riguardo tanto alle sanzioni previste dall’art. 195 del d.lgs. n. 58 del 1998 (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 2980 del 2005), quanto a quelle previste dall’art. 145 del d.lgs. n. 385 del 1993 (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze n. 13709 del 2004 e n. 16577 del 2010; pur essendo originate da sanzioni di questo secondo tipo, si riferiscono ad entrambe le sanzioni le ordinanze della Corte di cassazione, sezioni unite civili, n. 9600 e n. 9602 del 2006). L’intervento del legislatore delegato, incidendo profondamente sul precedente assetto, si è illegittimamente discostato dalla consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione, in violazione della delega. Pertanto, deve ritenersi che, nel trasferire alla giurisdizione esclusiva, estesa al merito, del giudice amministrativo e alla competenza funzionale inderogabile del TAR Lazio, sede di Roma, le controversie relative ai provvedimenti sanzionatori adottati dalla
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Banca d’Italia, gli artt. 133, comma 1, lettera l), 134, comma 1, lettera c), e 135, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 104 del 2012 abbiano ecceduto i limiti della delega conferita, con conseguente violazione dell’art. 76 Cost. 5. – Per le medesime ragioni sopra illustrate devono ritenersi affette da illegittimità costituzionale anche le norme abrogative, direttamente conseguenti alla disciplina ora dichiarata costituzionalmente illegittima, contenute nell’art. 4, comma 1, numeri 17) e 19), dell’Allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010. Occorre precisare che l’art. 4, comma 1, numero 19), dell’Allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 162 del 2012, nella parte in cui si riferiva alle sanzioni CONSOB; esso è stato poi integralmente soppresso, dal legislatore delegato, con il decreto legislativo “correttivo” 14 settembre 2012, n. 160 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo, a norma dell’articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69), con effetti però solo pro futuro. Si tratta ora, perciò, di rimuovere il vizio di illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, numero 19), dell’Allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010, nella parte in cui abroga gli artt. 187-septies, commi da 4 a 8, e 195, commi da 4 a 8, del d.lgs. n. 58 del 1998, là dove attribuiscono alla Corte d’appello la competenza funzionale in materia di sanzioni inflitte dalla Banca d’Italia. Analogamente deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, numero 17),
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dell’Allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010 – nel testo anteriore all’aggiunta di cui all’art. 1, comma 3, lettera b), numero 6), del decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 195 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo a norma dell’articolo 44, comma 4, della legge 18 giugno 2009, n. 69), non rilevante nel giudizio a quo –, nella parte in cui abroga l’art. 145, commi da 4 a 8, del d.lgs. n. 385 del 1993, là dove attribuiscono alla Corte d’appello di Roma la competenza funzionale in materia di sanzioni inflitte dalla Banca d’Italia. Ne consegue che tornano ad avere applicazione le disposizioni illegittimamente abrogate dall’art. 4, comma 1, numeri 17) e 19), dell’Allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010. per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 133, comma 1, lettera l), 134, comma 1, lettera c), e 135, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante dele-
ga al governo per il riordino del processo amministrativo), nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, con cognizione estesa al merito, e alla competenza funzionale del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – sede di Roma le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia; 2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, numero 17), dell’Allegato 4 al medesimo d.lgs. n. 104 del 2010, nella parte in cui abroga l’art. 145, commi da 4 a 8, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia); 3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, numero 19), dell’Allegato 4 al medesimo d.lgs. n. 104 del 2010, nella parte in cui abroga gli artt. 187-septies, commi da 4 a 8, e 195, commi da 4 a 8, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52). Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 aprile 2014.
A. Con la sentenza qui pubblicata si conclude, almeno per ora, quello che è stato giustamente definito il «balletto» delle giurisdizioni (cfr. Clarich e Pisaneschi, Le sanzioni amministrative della Consob nel «balletto» delle giurisdizioni, in Giur. comm., 2012, II, p. 1166) in materia di sanzioni amministrative pecuniarie della Consob e della Banca d’Italia. Delle diverse tappe della vicenda si è dato conto in Dir. banc., momento per momento. Non è inopportuno, però, tornare a riassumerle. B. Il codice del processo amministrativo aveva cercato di riordinare, secondo un disegno omogeneo, la competenza giurisdizionale in mate-
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ria di sanzioni amministrative. Così: - all’art. 133, lett. l) aveva incluso fra le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le «controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori, ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di lavoro privatizzati», adottati dalle c.d. Autorità indipendenti, nominativamente indicate nella stessa disposizione, fra le quali la Consob e la Banca d’Italia; - all’art. 134, lett. c) aveva incluso fra le materie di giurisdizione estesa al merito «le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta al giudice amministrativo, comprese quelle applicate dalle Autorità indipendenti»; - all’art. 135, lett. c) aveva devoluto alla competenza funzionale inderogabile del TAR del Lazio, fra le altre, «le controversie di cui all’art. 133, co. 1, lett. l», comprendenti appunto le controversie concernenti i provvedimenti sanzionatori adottati dalle Autorità indipendenti; - all’art. 4, co. 1, dell’Allegato 4, aveva proceduto alla conseguente abrogazione delle norme previgenti che prevedevano competenze giurisdizionali diverse e specificamente, per quel che qui interessa, all’abrogazione (lett. 17) dell’art. 145, co. da 4 a 8, del t.u. bancario (d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385), che attribuivano alla Corte d’appello di Roma la cognizione sulle opposizioni alle sanzioni amministrative irrogate dalla Banca d’Italia e (lett. 19) degli art. 187-septies, co. da 4 a 8, e 195, co. da 4 a 8, del t.u. finanza (d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), che attribuivano alle Corti d’appello territoriali la cognizione sulle opposizioni alle sanzioni amministrative irrogate dalla Consob, per abuso di informazioni privilegiate, per manipolazione del mercato, ecc. e, rispettivamente, sulle opposizioni alle sanzioni amministrative irrogate dalla Consob o dalla Banca d’Italia in materia di intermediazione finanziaria. Tale normativa – nella parte relativa appunto alle sanzioni Consob e Banca d’Italia – ha da subito sollevato dubbi di incostituzionalità sotto il profilo, da un lato, dell’eccesso di delega e, dall’altro, del contrasto con gli artt. 3, 103, 111, 113 Cost. Tali dubbi sono stati condivisi dalla Corte d’appello di Torino, che nell’ordinanza 25 marzo 2011 (in Dir. banc, 2012, I, p. 113), pronunciandosi su di un’eccezione sollevata dalla stessa Consob, ha appunto ritenuto non manifestamente infondata la questione di costituzionalità delle disposizioni in oggetto sotto i profili prima indicati. Con la sentenza 27 giugno 2012, n. 162 (in Dir. banc, 2012, I, p. 729), la Corte costituzionale ha ritenuto fondata la censura di eccesso di delega (le altre censure non sono state affrontate perché assorbite). Ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni in questione nella parte concernente le sanzioni Consob.
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Corte Costituzionale
A seguito di tale sentenza, il d.lgs. 14 settembre 2012, n. 160: - ha soppresso il riferimento alla Consob, contenuto nell’art. 133, co. 1, lett. l) del codice del processo amministrativo; - ha soppresso la lett. 19 dell’art. 4 dell’Allegato 4. Era agevole prevedere che sorte analoga sarebbe toccata alla normativa concernente le sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia. In effetti, la Banca d’Italia ha iniziato ad eccepire, nei giudizi di opposizione proposti avanti il TAR del Lazio, l’illegittimità costituzionale di tali disposizioni in relazione all’art. 76 Cost., richiamandosi espressamente alle argomentazioni di cui alla ricordata sentenza della Corte costituzionale. Puntualmente il TAR del Lazio – che peraltro si era in precedenza espresso in senso contrario (v. sentenza 9 maggio 2011, n. 3934, in Dir. banc, 2012, I, p. 113) – ha ritenuto non manifestamente infondata la questione sia con riferimento alle sanzioni della Banca d’Italia previste dal t.u.b. (così con le ordinanze 16 luglio 2012, n. 6469, in Foro it., 2013, III, p. 385, con nota di Travi; e 27 luglio 2012, n. 6991, in Dir. banc, 2013, I, p. 495), sia con riferimento alle sanzioni della Banca d’Italia previste dal t.u.f. (così con l’ordinanza 27 luglio 2012, n. 6989): questione che è stata dunque rimessa alla Corte costituzionale. C. Con la sentenza in rassegna, la Corte costituzionale ha ritenuto fondata l’eccezione di costituzionalità per eccesso di delega sollevata dal TAR Lazio nelle due ordinanze del 27 luglio 2012 (l’ordinanza 16 luglio 2012, presa in esame successivamente, è stata dichiarata inammissibile per carenza di oggetto: ord. 9 maggio 2014, n. 122), richiamando le ragioni già esposte nella sentenza n. 162 del 2012. Ancora una volta, dunque, la Corte: - ha precisato che la delega abilitava il governo ad intervenire, oltre che sul processo amministrativo, sulle azioni e le funzioni del giudice amministrativo anche rispetto alle altre giurisdizioni, ma sempre entro i limiti del riordino della normativa vigente; - ha sottolineato che il legislatore delegato, nel momento in cui interveniva in modo innovativo sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, doveva, secondo quanto prescritto dalla delega, tenere conto della giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori; - ha rilevato che, attribuendo le controversie relative alle sanzioni della Banca d’Italia alla competenza giurisdizionale del giudice amministrativo, il legislatore non aveva invece tenuto conto della giurisprudenza delle sezioni unite della Cassazione formatasi sul punto e saldamente orientata nel ritenere che la competenza giurisdizionale in materia spetti al giudice ordinario.
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Di qui l’illegittimità costituzionale delle disposizioni in questione nella parte concernente le sanzioni della Banca d’Italia. D. La vicenda, come si è detto all’inizio, è da ritenere per ora chiusa. Resta però, da un lato, la anomalia data dalla ripartizione (o, meglio, frammentazione) della giurisdizione in materia di sanzioni nel settore finanziario lato sensu inteso secondo una logica difficile da ricostruire: non si comprende, infatti, perché la giurisdizione in ordine alle sanzioni nel sub settore bancario ed in quello finanziario in senso stretto debba spettare al giudice ordinario, mentre per le sanzioni in campo assicurativo debba spettare al giudice amministrativo (così come, del resto, non si comprende, quanto alle prime, perché la competenza spetti, nel caso delle sanzioni ex t.u.b., alla Corte d’appello di Roma e invece spetti, per le sanzioni ex t.u.f., alle Corti d’appello territoriali). E resta, d’altra parte, che i «balletti» in punto di giurisdizione sono quanto di più contrario si possa immaginare ai più elementari principi di civiltà giuridica. [Nota redazionale]
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Rifiuto del credito e obbligo di informazione ARBITRO BANCARIO FINANZIARIO, COLLEGIO DI COORDINAMENTO, decisione 29 novembre 2013, n. 6182; Pres. Marziale, Rel. Quadri. Finanziamento – Mancata erogazione – Valutazione del merito creditizio – Diritto alla motivazione del diniego – Sussistenza (Cod. civ. art. 1337; t.u.b. art. 124, co. 5, comunicazione dell’Autorità di Vigilanza n. 10 del 22 ottobre 2007)
Non può considerarsi esistente, alla luce dell’attuale disciplina generale della materia, un diritto del cliente alla concessione del credito, data l’indubbia autonomia decisionale da riconoscersi all’intermediario in ordine alla relativa erogazione sulla base di proprie valutazioni; tuttavia anche nell’esercizio dell’attività creditizia la discrezionalità tecnica di cui indiscutibilmente gli intermediari dispongono non può che svolgersi all’interno del perimetro segnato dai limiti di correttezza, buona fede e specifico grado di professionalità che l’ordinamento loro richiede, il che rende certamente sindacabile, limitatamente a tali profili, la condotta degli stessi nello svolgimento di tale attività. (1) Conseguentemente, è da ritenere indiscutibile l’attuale sussistenza di un diritto del cliente a ricevere indicazioni, anche se di carattere generale, ma pur sempre adeguatamente rapportate alle concrete circostanze individuali, circa le ragioni dell’eventuale diniego di credito. (2)
(Omissis). Fatto. – Alla presente decisione il Collegio di coordinamento è chiamato in base alla Ordinanza del Collegio di Roma, n. 248/13 del 14.01.2013, emessa in ordine al ricorso n. 110626/12. Nella predetta Ordinanza, il caso,
alla luce di quanto rappresentato dal ricorrente e dall’intermediario convenuto, risulta così riassunto: “1. Il ricorrente, titolare di una carta di credito collegata all’utilizzo di un fido, con ricorso proposto nei confronti sia dell’intermediario “A”, con il quale
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aveva stipulato un contratto di conto corrente bancario che prevedeva il rilascio di una carta di credito collegata all’utilizzo di una linea di credito, sia dell’intermediario “B”, al quale aveva rivolto il 14 giugno 2011, per il tramite dell’altro intermediario, la richiesta del fido e della carta ad esso collegata, espone che solo il 25 ottobre 2011, e dopo reiterati solleciti, aveva ricevuto una lettera con la quale gli veniva comunicato: • che la richiesta non era stata accolta perché non rispondente ai “criteri di valutazione del merito creditizio” adottati, ispirati “a principi di prudenza nell’erogazione dei finanziamenti; • che detta valutazione era stata elaborata, come per prassi, con il supporto di “strumenti statistico/informatici” che ne rilasciano “automaticamente” l’esito in forma sintetica, espresso mediante la dicitura “pratica approvata/non approvata”, senza fornire alcuna indicazione ulteriore. Tanto premesso, il ricorrente contesta la legittimità del rifiuto, così come formulato, assumendo di essere stato vittima di una discriminazione ingiustificata, essendo “il suo profilo patrimoniale e comportamentale di assoluta e storica solvibilità”. E chiede, quindi, che gli sia rilasciata la carta richiesta, “con il massimo credito associato”; e che, comunque, gli siano fornite indicazioni circa: • i motivi per i quali il mancato accoglimento della richiesta era stato comunicato con tanto ritardo; • i “criteri minimi” previsti per la concessione della carta di credito. 2. Gli intermediari si oppongono all’accoglimento del ricorso. L’inter-
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mediario “A” eccepisce, in via preliminare, il proprio difetto di legittimazione passiva, deducendo che la predisposizione dei requisiti stabiliti per il rilascio della Carta era riservata all’insindacabile valutazione dell’intermediario “B”. Quest’ultimo deduce, a sua volta, di aver valutato in piena autonomia la “meritevolezza” della richiesta formulata dal ricorrente avvalendosi di un sistema “statistico-informatico” che non consente di fornire alcuna indicazione “specifica” in ordine alla valutazione effettuata. Nella Ordinanza, in diritto, si rileva che: “1. La domanda, formulata dal ricorrente, di conoscere quali fossero i “criteri minimi” per la concessione della carta e del fido ad essa collegato è chiaramente diretta al fine di ottenere una più precisa informazione circa le ragioni che avevano indotto gli intermediari a non accogliere la sua richiesta. Essa, come si è esposto in narrativa, è stata respinta sul rilievo che il sistema di valutazione adottato, basato sull’utilizzo di “metodi statistico-informatici” non consentirebbe di fornire“alcuna indicazione specifica” in merito alle ragioni del diniego. Si tratta di questione non nuova, sulla quale l’ABF ha già avuto occasione di pronunciarsi. 2. Il Collegio di Roma, in relazione ad una controversia analoga a quella oggetto di esame in questa sede, che vedeva coinvolto l’intermediario “B”, ha ritenuto non conforme ai principi di trasparenza, e quindi illegittimo, il diniego opposto ad una richiesta di credito, sulla base di una valutazione del merito creditizio “elaborata da un programma informatico” che ne aveva fornito l’esito, come nel caso di specie, “in forma sintetica”, senza fornire
Arbitro bancario e finanziario
alcuna indicazione specifica (dec. n. 2109/10). In tale decisione si osserva che “la discrezionalità tecnica di cui indiscutibilmente gli intermediari dispongono nell’esercizio dell’attività creditizia non può che svolgersi all’interno del perimetro segnato dai limiti di correttezza, buona fede e specifico grado di professionalità che l’ordinamento loro richiede, il che rende certamente sindacabile, limitatamente a tali profili, la condotta degli stessi nello svolgimento di tale attività (v. in tal senso: dec. n. 2851/11) e ciò anche per quanto concerne la fase precontrattuale, posto che, come noto, per costante insegnamento giurisprudenziale del Supremo Collegio: “La regola posta dall’art. 1337 c.c. (…) ha valore di clausola generale” che impone “l’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative”. E si sottolinea che la rilevanza dell’aspetto motivazionale nei rapporti con la clientela trova infatti esplicito riscontro nel disposto dell’art. 127, I° co., t.u.b., come introdotto dal d.lgs. 13/08/10 n. 141, che dispone: “Le Autorità creditizie esercitano i poteri previsti dal presente titolo avendo riguardo, oltre che alle finalità indicate nell’art. 5, alla trasparenza delle condizioni contrattuali e alla correttezza dei rapporti con la clientela. A questi fini possono essere dettate anche disposizioni in materia di organizzazione e controlli interni”, così sancendo il punto di congiunzione e mediazione tra le esigenze di efficienza e stabilità del sistema, di cui al richiamato art. 5 t.u.b., e quelle di tutela della clientela”. 3. I Collegi di Milano e di Napoli – posti davanti alla stessa questione, e sempre nei confronti del medesimo
intermediario – pur affermando che “la posizione dell’intermediario, che denota l’impiego di un sistema pregiudizialmente incompatibile con la stessa “possibilità” di fornire, caso per caso, “indicazioni generali sulle valutazioni che hanno indotto a non accogliere la richiesta di credito”, è “suscettibile di negativo apprezzamento sotto il profilo della sua attuale adeguatezza alle istruzioni di vigilanza, le quali non paiono consentire un’ulteriore gestione dei rapporti con la clientela sull’assunto della normalità di una sostanzialmente solo formale motivazione delle ragioni del rifiuto opposto all’altrui istanza di accesso al credito” – hanno tuttavia negato la configurabilità di “un vero e proprio diritto del richiedente ad ottenere una precisa motivazione del diniego del credito da parte dell’intermediario”. E, muovendo da tali premesse, sono pervenuti a decisioni di “non accoglimento”, sia pure temperate dal monito, rivolto all’intermediario, di assumere “determinazioni operative effettivamente conformi alla verifica, necessariamente individuale, della “possibilità di fornire indicazioni generali sulle valutazioni che hanno indotto a non accogliere la richiesta di credito” (dec. nn. 1934 e 2683/11; dec. nn. 1069/10; 290 e 645/11). Una decisione del Collegio di Milano, sembrerebbe aprire peraltro un qualche spiraglio ad un sindacato, da parte dell’ABF, della legittimità del rifiuto dell’intermediario di dare le informazioni richieste. In essa si afferma, infatti che la “possibilità di fornire”, così come previsto dalla Comunicazione dall’Autorità di Vigilanza del 22 ottobre 2007 (in Boll. Vig., 2007, 10), “indicazioni generali sulle valutazioni che hanno indotto a
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non accogliere la richiesta di credito” andrebbe comunque verificata, di volta in volta, alla stregua del principio di buona fede precontrattuale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, quali “il volume del finanziamento, la sua obbiettiva importanza rispetto alle esigenze del destinatario e la facilità di accesso per quest’ultimo a fonti alternative di mercato” (dec. 2109/11). 4. Sia quest’ultima decisione che le altre brevemente passate in rassegna nel precedente paragrafo hanno riferimento – a differenza di quella esaminata nel § 2 e di quella oggetto del presente ricorso – a vicende anteriori all’entrata in vigore del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141 che ha così significativamente innovato la disciplina della trasparenza. Come si ricava dal nuovo testo dell’art. 127, co. 1, t.u.b., la tutela del cliente rappresenta ora un obbiettivo diretto delle norme che regolano i suoi rapporti con gli intermediari e non più soltanto un mezzo per promuovere la stabilità, l’efficienza e la competitività del sistema finanziario (art. 127, co. 1, t.u.b.). E in tale quadro, come non si è mancato di rilevare, l’obbligo che incombe su chi fa credito di valutare il merito creditizio del consumatore (art. 124 bis t.u.b.) deve essere riguardato in un’ottica non solo prudenziale, ma anche di tutela di colui che ha formulato la richiesta di credito. C’è allora da chiedersi se in tale mutato contesto normativo, così diverso da quello in cui si iscrive la citata Comunicazione del 14 ottobre 2007, non sia possibile riconoscere un più significativo rilievo alle esigenze informative del cliente e ad affermare, conseguentemente, l’illegittimità di sistemi di valutazione del
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merito creditizio che, come quello in esame, “pregiudizialmente incompatibile” con la stessa “possibilità” di fornire “indicazioni” in ordine alle ragioni che hanno indotto a non accogliere la richiesta di credito. In ogni caso, è opportuno che l’attuale divergenza di orientamenti sia al più presto composta, anche in considerazione del fatto che essa concerne decisioni pronunciate nei confronti di uno stesso intermediario. Si dispone pertanto che il ricorso sia rimesso all’esame del Collegio di coordinamento”. Diritto. In via preliminare è da esaminare l’eccezione di irricevibilità del ricorso nei propri confronti sollevata dall’intermediario “A”, in dipendenza dello svolto “ruolo di puro intermediario del Credito ai Consumatori”, spettando “la valutazione circa i requisiti occorrenti per il rilascio della carta… direttamente alla Società Emittente” (intermediario “B”). Tale eccezione deve essere disattesa sulla base dell’orientamento seguito dai Collegi ABF – anche nell’ottica di effettività della tutela del cliente che è da ritenere posta a fondamento del sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie – nel senso della legittimazione passiva dell’intermediario “collocatore” dello strumento di pagamento. In proposito, si è rilevato che “il rapporto tra i tre soggetti coinvolti nella vicenda ben può essere qualificato come unitario in un contesto nel quale la separata gestione delle due funzioni (di credito e di debito) rappresenta solo una modalità esecutiva dell’accordo” (così, ad es., con gli opportuni riferimenti, v. Collegio ABF di Napoli, n. 2758/2011, nonché, anche di recente,
Arbitro bancario e finanziario
n. 4524/2013; v. pure Collegio ABF di Milano, n. 2142/2012). Indubbio rilievo, in proposito, sembra assumere la circostanza dell’essere l’intermediario “collocatore” percepito come immediato e naturale interlocutore del cliente nella gestione del rapporto (cfr., ad es., Collegio ABF di Napoli, n. 2914/2013). Nel caso di specie, una simile prospettiva risulta ampiamente e ragionevolmente rafforzata non solo dalla chiara denominazione dello strumento, ma anche dal venire presentato e qualificato (nel c.d. “modulo di richiesta”, in cui compare esclusivamente la denominazione dell’intermediario) il “servizio” come espressamente “connesso al conto corrente di corrispondenza”, concorrendo, quindi, a conformare la economia complessiva del relativo rapporto, tanto per il cliente (in termini di valutazione di convenienza economica, come risulta avvenuto proprio nel caso in discussione), quanto – pure in considerazione del tenore dei messaggi pubblicitari sapientemente elaborati in un’ottica di interdipendenza dei vantaggi per il cliente – per l’intermediario (in termini di promozione del prodotto). Le stesse “Condizioni contrattuali”, del resto, all’art. 24, individuano l’intermediario medesimo – che risulta assumere in alcuni documenti contrattuali l’equivoco ruolo di “intermediario del credito”, in un poco trasparente rapporto col ruolo di “finanziatore” dell’altro intermediario, in quella che finisce con l’apparire al cliente-consumatore una operazione economica unitaria con i due soggetti in questione – quale possibile destinatario dei reclami “per mancata, ritardata o errata prestazione relativa i servizi/prodotti”. Tutte circostanze, queste,
che inducono ad escludere, nella fattispecie in esame, ogni possibilità di ritenere l’intermediario estraneo al rapporto creditizio controverso (come pure è stato eventualmente ipotizzato, invece, secondo una prospettiva articolata del fenomeno nel mercato, con riferimento alla diversa situazione in cui l’intermediario assuma la veste di mero rappresentante – a fini distributivi del prodotto finanziario – di altro intermediario, in sede di formazione del contratto del tutto univocamente individuato quale unica controparte contrattuale di colui che richiede il finanziamento: Collegio ABF di Milano, n. 1278/2013). Né, sotto un diverso profilo, si può fare a meno di sottolineare come una simile pratica contrattuale induca a dubitare della sua perfetta aderenza a quanto disposto dal d.P.R. 144/2001, dato che con essa si tende scopertamente – attraverso la denominazione del prodotto, la rappresentazione che si offre del servizio (anche in connessione con altri servizi) e la stessa relativa modulistica contrattuale – a suscitare nel pubblico un ragionevole affidamento orientato in senso difforme rispetto alla ivi disposta esclusione dell’esercizio, da parte dell’intermediario, di “attività di concessione di finanziamenti nei confronti del pubblico”, nonché della conseguente limitazione del suo ruolo a quello di “promozione e collocamento presso il pubblico di finanziamenti concessi a banche ed intermediari finanziari abilitati”. Come si evidenzia nella Ordinanza di remissione, la domanda formulata dal ricorrente di conoscere “quali sono i criteri minimi” di concessione della carta e del fido ad essa collegato risulta chiaramente diretta ad ottene-
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re una più precisa informazione circa le ragioni che hanno indotto gli intermediari convenuti a non accogliere la sua richiesta, limitandosi costoro ad evocare sistemi di elaborazione delle richieste fondati su procedure tali – come conclude l’intermediario “B” – da rendere impossibile “fornire alcuna indicazione specifica in merito alla richiesta, non accolta, di una linea di credito intestata al ricorrente”. Per vagliare la legittimità di tale posizione, sembra preliminarmente opportuno evidenziare che, in coerenza con quanto costantemente affermato da questo Arbitro (cfr., ad es., Collegio ABF di Milano, nn. 1934, 2109 e 2683/2011), non può considerarsi esistente, alla luce dell’attuale disciplina generale della materia, un diritto del cliente alla concessione del credito, data l’indubbia autonomia decisionale da riconoscersi all’intermediario in ordine alla relativa erogazione sulla base di proprie valutazioni. Non può, quindi, l’Arbitro sostituirsi all’intermediario nella valutazione della convenienza di un’operazione creditizia, in quanto demandata alla discrezionalità di quest’ultimo. Con ciò risultando, allora, sicuramente da escludere che possa essere, in questa sede, non solo ordinato agli intermediari convenuti il pure richiesto “rilascio immediato… con il massimo credito associato” dello strumento in discussione, trattandosi di misura di tipo costitutivo sicuramente esulante dai poteri di questo Collegio (cfr., ad es., di recente, Collegio ABF di Napoli, n. 2626/2013), ma anche accolta la domanda stessa, pur interpretata (ed esaminata) come volta al mero accertamento del corrispondente diritto nei confronti dell’intermediario.
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D’altro canto, del pari indubitabile è che anche nell’esercizio dell’attività creditizia “la discrezionalità tecnica di cui indiscutibilmente gli intermediari dispongono… non può che svolgersi all’interno del perimetro segnato dai limiti di correttezza, buona fede e specifico grado di professionalità che l’ordinamento loro richiede, il che rende certamente sindacabile, limitatamente a tali profili, la condotta degli stessi nello svolgimento di tale attività” (Collegio ABF di Roma, n. 2625/2012). E, al riguardo, non può non considerarsi altamente significativo come proprio il richiamo alla “correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” sia stato attualmente assunto a sottotitolo delle disposizioni della Banca d’Italia sulla “trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari”, così, evidentemente, instaurandosi – in un’ottica ormai espressamente emergente dallo stesso dettato legislativo, con la più recente formulazione del co. 1 dell’art. 127 del d.lgs. n. 385/1993 (nella logica del quale, come si sottolinea nell’Ordinanza di rimessione, “la tutela del cliente rappresenta ora un obiettivo diretto delle norme che regolano i suoi rapporti con l’intermediario e non più soltanto un mezzo per promuovere la stabilità, l’efficienza e la competitività del sistema finanziario”) – una stretta correlazione tra il perseguimento dell’obiettivo della “trasparenza” e la necessaria “correttezza” nello svolgimento del rapporto creditizio. Prospettiva, questa, del resto, chiaramente insita in quella stessa nuova intitolazione (“Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti”) del titolo VI del t.u.b., a seguito della novellazione operata col d.lgs. n. 141/2010,
Arbitro bancario e finanziario
sulla cui base si è senz’altro ritenuto di potere riassumere la conseguente promozione di uno spirito di collaborazione attiva dell’intermediario nei confronti del cliente – quale risultante sancita proprio in tema di “obblighi precontrattuali” dell’intermediario alla luce dell’art. 124 e, in particolare, del relativo comma 5, con la sua allusione al dovere di fornire sempre al consumatore “chiarimenti adeguati” – nel concetto di una sua doverosa “assistenza al consumatore” (par. 4.2.2.2 delle dianzi richiamate disposizioni della Banca d’Italia). È in un simile quadro – non si dimentichi da ultimo arricchito dal meccanismo di controllo sulle determinazioni degli intermediari in ordine alla erogazione del credito, almeno sotto il profilo della necessità, su richiesta dell’interessato, di “fornire una risposta argomentata sulla meritevolezza del credito” (e v. la procedura, eventualmente coinvolgente l’intervento dell’ABF, di cui all’art. 27-bis, co. 1-quinquies, d.l. 1/2012, conv. dalla l. 27/2012, come modificato dal d.l. 29/2012, conv. con modificazioni dalla l. 62/2012) – che deve essere risolta la divergenza di vedute (invero, tutto sommato, non sostanziale) venutasi a determinare tra i Collegi ABF sulla questione dianzi delineata, circa la cui soluzione sono state concordemente valorizzate, in particolare, le prescrizioni impartite dall’Autorità di Vigilanza con la Comunicazione del 22 ottobre 2007 (in Bollettino di Vigilanza, n. 10 dell’ottobre 2007), secondo le quali, qualora, nell’ambito della propria autonomia gestionale, “decida di non accettare una richiesta di finanziamento, è necessario che l’intermediario fornisca riscontro con sollecitudine al cliente;
nell’occasione, anche al fine di salvaguardare la relazione col cliente, andrà verificata la possibilità di fornire indicazioni generali sulle valutazioni che hanno indotto a non accogliere la richiesta di credito”. I Collegi ABF di Napoli e di Milano, pur escludendo “che nel vigente quadro normativo sia configurabile un vero e proprio diritto del richiedente ad ottenere una precisa motivazione del diniego del credito da parte dell’intermediario” (col conseguente rigetto di domande a ciò finalizzate), hanno comunque riconosciuto, in vertenze sostanzialmente analoghe alla presente, la sussistenza di profili di criticità nella posizione dell’intermediario, in quanto denotante “l’impiego di un sistema pregiudizialmente incompatibile con la stessa ‘possibilità’ di fornire, caso per caso, ‘indicazioni generali sulle valutazioni che hanno indotto a non accogliere la richiesta di credito’”: ritenendo il sistema stesso “suscettibile di negativo apprezzamento sotto il profilo della sua attuale adeguatezza alle istruzioni di vigilanza”, hanno, di conseguenza, rivolto un monito all’intermediario “perché assuma determinazioni operative effettivamente conformi alla verifica, necessariamente individuale, della ‘possibilità di fornire indicazioni generali sulle valutazioni che hanno indotto a non accogliere la richiesta di credito’” (cfr. Collegio ABF di Napoli, nn. 1069/2010 e 645/2011, nonché Collegio ABF di Milano, nn. 1934 e 2683/2011). Il Collegio ABF di Roma, invece, sostanzialmente sulla base di considerazioni non dissimili – e pure alla luce degli sviluppi ordinamentali in materia – è giunto alla conclusione di accogliere la richiesta del cliente, “atteso che la
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risposta data alle legittime richieste di chiarimento circa le ragioni di detto diniego si è risolta nella mera affermazione del diniego stesso, senza alcuna indicazione, neppure di ordine generale, quanto a relativa motivazione, non apparendo conforme all’obbligo di trasparenza, come sopra imposto agli intermediari nei rapporti con la clientela, la mera indicazione delle ragioni tecniche che precluderebbero la conoscenza sia pure di massima di tali motivazioni” (cfr., in particolare, n. 2625/2012). Ma pare chiaro come l’utilizzazione di un meccanismo come quello del “monito” all’intermediario – consentito dalle vigenti disposizioni sull’ABF (sez. VI.3), laddove si prevede che la decisione possa “contenere indicazioni volte a favorire le relazioni tra intermediario e clienti” – sia per sua natura finalizzato, secondo una prospettiva diffusa nella prassi della giurisprudenza (anche costituzionale), ad evidenziare criticità tali da determinare, se non corrette nel tempo in applicazione delle indicazioni all’uopo offerte, il conclusivo sconfessamento di comportamenti considerati di dubbia legittimità. Ora, è da ritenere che la prassi operativa seguita dagli intermediari convenuti si ponga indiscutibilmente in contrasto con le richiamate indicazioni dell’Autorità di Vigilanza: contrasto, invero, reso indubbiamente ancora più palese dai dianzi accennati recenti sviluppi dell’ordinamento del credito. In particolare, pare che la prassi in questione si indirizzi in senso decisamente contrario all’obbligo di collaborazione attiva nei confronti del cliente, al dovere cioè di “assistenza” nei suoi riguardi. Ciò in un contesto nel quale la necessaria “verifica del merito cre-
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ditizio” (di cui all’art. 124 bis t.u.b.), nel risultare sicuramente e immediatamente finalizzata ad evitare, da parte dell’intermediario, una concessione del credito, per misura e condizioni, contrastante con le capacità solutorie del cliente-consumatore, non può non ritenersi, al contempo, dover essere apprezzata anche nella più generale ottica di quell’adeguato chiarimento al cliente stesso di quale possa essere, al momento, la soluzione più adatta alle sue esigenze ed alla sua concreta situazione personale e finanziaria (cui si allude nell’art. 124, co. 5 t.u.b.). La specificità dell’indicazione delle motivazioni di esclusione del cliente dal credito si presenta, allora, come profilo imprescindibile della doverosa funzione che le risposte dell’intermediario sono destinate ad assumere ai fini dell’orientamento del cliente stesso nei suoi rapporti di credito presenti e futuri. Conseguentemente, è da ritenere indiscutibile l’attuale sussistenza di un diritto del cliente a ricevere indicazioni, anche se di carattere generale (in quanto applicazione di criteri elaborati per la generalità della clientela), ma pur sempre adeguatamente rapportate alle concrete circostanze individuali, circa le ragioni dell’eventuale diniego di credito. Peraltro, pare opportuno precisare come la conclusione nel senso della doverosità di una simile indicazione personalizzata e significativa delle motivazioni della decisione negativa non implichi una incisione dell’autonomia decisionale dell’intermediario, in quanto tale conclusione deve essere comunque intesa nel rispetto del principio della sua discrezionalità imprenditoriale nella concessione del credito. I chiarimenti da fornire al cliente, in-
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somma, lasciano ferma la insindacabilità degli orientamenti dell’intermediario in ordine alla concessione del credito, la sua facoltà, cioè, di valutare ogni richiesta di credito – come puntualizza uno degli intermediari convenuti – “sulla base di criteri suoi propri”, le caratteristiche personali del richiedente (anche con riguardo alla sua storia creditizia) risultando, allora, da valutare con riferimento, in particolare, a “le politiche di rischio adottate da ciascun ente, la sua credit policy, i propri livelli patrimoniali”. L’assolvimento, da parte dell’intermediario, del suo dovere di “assistenza”, sotto il profilo qui in discussione, nei confronti del cliente, inoltre, sembra da valutare senza tra-
scurare, in relazione ai singoli casi, il grado di complessità dei processi decisionali di volta in volta implicati nella erogazione del credito. Sul giudizio di adeguatezza in ordine alla necessaria specificità delle indicazioni personalizzate da fornire, allora, è da ritenere che sia destinata inevitabilmente a influire anche la considerazione della tipologia del finanziamento concretamente in discussione. P.Q.M. Il Collegio accoglie parzialmente il ricorso e riconosce il diritto del ricorrente a ricevere indicazioni, anche di carattere generale, circa le ragioni del diniego di credito. (Omissis).
(1-2) Rifiuto del credito e obbligo di informazione in capo all’intermediario: il Collegio di coordinamento ABF fa chiarezza. Sommario. 1. Il problema. – 2. Obbligo di informazione e buona fede. – 3. Riflessioni conclusive.
1. Il problema. La decisione dell’ABF in commento si riferisce ad una tematica già più volte oggetto di discussione, anche in seno allo stesso Arbitro: se sia o meno giustificato un diniego non motivato opposto da un intermediario ad un cliente alla richiesta di quest’ultimo di concessione di una carta di credito e del fido ad essa collegato 1. Il caso di specie ha visto l’adito
Cfr. in tema ABF Milano, 12 aprile 2012, n. 1095; 23 settembre 2011, n. 1934; 12 dicembre 2011, n. 2683; ABF Roma, 2 febbraio 2012, n. 300; 30 luglio 2012, n. 2625; ABF Napoli, 29 aprile 2011, n. 889, tutte decisioni riportate al sito dell’ABF www.arbitrobancariofinanziario.it. 1.
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Collegio di Roma rimettere la decisione in capo al Collegio di coordinamento, con apposita ordinanza, “in considerazione della delicatezza della questione e della presenza di orientamenti non univoci dei Collegi ABF”. La problematica in questione si differenzia da quella classica che attiene al rifiuto del finanziamento da parte della banca 2, e si concentra esclusivamente sulla necessità di ragioni adeguatamente motivate del diniego medesimo 3. Mentre il dibattito in corso non riguarda tanto la prima delle due, sulla quale v’è sostanziale unanimità nel riconoscere un’inesistenza dell’obbligo di far credito in capo alla banca 4, è sulla seconda che permangono incertezze.
2. Su quest’ultimo tema esistono diverse decisioni dell’Arbitro, che giudicano concretamente illegittimo il comportamento della banca di rifiutare il credito: v. ABF Roma, 13 gennaio 2012, n. 71; 17 febbraio 2012, n. 479; 27 aprile 2012, n. 1377; 12 novembre 2012, n. 3782; ABF Milano, 18 gennaio 2012, n. 144; 17 febbraio 2012, n. 530; 21 marzo 2012, n. 834; 22 dicembre 2010, n. 1589; ABF Napoli, 30 aprile 2012, n. 1386, sempre riportate sul sito dell’ABF citato alla nota precedente. 3. Sul punto cfr. Dolmetta, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, p. 93 ss. 4. V. già Abbadessa, Obbligo di far credito, in Enc. dir., XXIX, 1979, p. 530 ss.; principio ribadito dalla decisione del Collegio di coordinamento che si annota, il quale esclude l’esistenza di un “diritto del cliente alla concessione del credito”; per una “attualizzazione” del dibattito, con spunti e richiami al fatto che la formula dell’«inesistenza generale» si manifesta oggi “del tutto vuota di significato”, cfr. ora Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 94 nt. 30, con l’osservazione che in Italia, quantomeno come fattispecie tipica e prescindendo da formule generiche, un obbligo legale di far credito c’è, ed è quello di cui all’art. 1845, co. 3, c.c. L’articolo 27-bis, co. 1-quinquies, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, come modificato dal d. l. 24 marzo 2012, n. 29, convertito con modificazioni dalla l. 18 maggio 2012, n. 62 (cui fa peraltro riferimento lo stesso Collegio di coordinamento nella decisione in epigrafe) ha poi introdotto la seguente previsione: “Ove lo ritenga necessario e motivato il prefetto segnala all’Arbitro Bancario Finanziario, istituito ai sensi dell’art. 128-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993 n. 385 specifiche problematiche relative ad operazioni e servizi bancari e finanziari. La segnalazione avviene a seguito di istanza del cliente in forma riservata e dopo che il prefetto ha invitato la banca in questione, previa informativa sul merito dell’istanza, a fornire una risposta argomentata sulla meritevolezza del credito. L’arbitro si pronuncia non oltre 30 giorni dalla segnalazione”. Questa norma, se non mette comunque in discussione la consolidata opinione che nega un generale obbligo di far credito in capo alle banche, introduce tuttavia una procedura nuova che si differenzia da quella ordinaria di accesso all’ABF, anzitutto per la particolare legittimazione in capo al prefetto di effettuare una segnalazione di quelle operazioni dalle quali emergano “specifiche problematiche relative ad operazioni e servizi bancari e finanziari”, limitatamente alle controversie tra banca e cliente in cui venga in rilievo la valutazione del merito creditizio di quest’ultimo. Su questo tipo di controversie cfr. anche Banca d’Italia, Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in
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La direttiva comunitaria n. 2006/48 stabilisce infatti all’art. 145 che gli “enti creditizi, se richiesti, dovrebbero illustrare le loro decisioni di rating alle PMI e alle altre società che chiedano prestiti, fornendo, su richiesta, una spiegazione scritta. Se un impegno volontario del settore in tale contesto risulta inadeguato, vengono adottate misure nazionali” 5. La norma attuativa di tale disposizione avrebbe dovuto essere l’art. 116bis del t.u.b. (sul quale si tornerà tra poco), mediante il quale si demandava alla Banca d’Italia il potere di regolare la materia informativa delle “decisioni di rating”. Dando seguito a questa potestà regolamentare, la Vigilanza ha stabilito che, nel caso di rifiuto del credito, la banca debba fornire “riscontro con sollecitudine al cliente” 6, con l’ulteriore chiosa “nell’occasione andrà verificata la possibilità di fornire indicazioni generali sulle valutazioni che hanno indotto a non accogliere la richiesta di credito”. Il già menzionato art. 116-bis t.u.b. è stato successivamente abrogato, e non sono peraltro mancate critiche da parte della più attenta dottrina sul già richiamato intervento della Banca d’Italia 7, alla cui Comunicazione del 2007 peraltro si rifanno diverse decisioni dell’ABF 8.
materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, 13 novembre 2012, che si riferisce (22) ai “casi in cui la contestazione alla banca tragga origine dalla mancata erogazione, dal mancato incremento o dalla revoca di un finanziamento, dall’inasprimento delle condizioni applicate a un rapporto di finanziamento o da altri comportamenti della banca conseguenti alla valutazione del merito di credito del cliente”; da ultimo cfr. ABF Milano, 12 luglio 2013, n. 3774 che, in un caso di segnalazione del prefetto sulla valutazione circa la meritevolezza di credito del debitore rimessa alla banca, ha stabilito che “l’iniziativa di intraprendere trattative volte al riscadenziamento delle rate connesse al mutuo fondiario equivale alla richiesta di ulteriore credito. Tale iniziativa è quindi soggetta alla valutazione dell’intermediario intorno alla meritevolezza di credito del debitore”. 5. La dottrina che ha commentato tale norma è dell’opinione che essa non sancisca un diritto al credito dell’impresa, ma imponga alla banca un comportamento “leale” nel momento in cui debba valutare il merito di credito dell’impresa: così Costi, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012, p. 711; cfr. anche Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 95. 6. Cfr. Comunicazione del 22 ottobre 2007, di cui al Bollettino di Vigilanza n. 10 del 2007, nonché la più recente Comunicazione n. 993215 del 26 novembre 2012. 7. V. infatti Dolmetta, Trasparenza, cit., p. 96, il quale parla di “stravolgimento” della norma comunitaria da parte della Banca d’Italia, “che ha ridotto il dovere di motivare il rifiuto in quello di comunicarlo in fretta”. 8. Così ABF Roma, 2 febbraio 2012, n. 300; 30 luglio 2012, n. 2625; 18 dicembre 2012, n. 4339; ABF Milano, 12 aprile 2012, n. 1095; 23 settembre 2011, n. 1934; 12 dicembre 2011, n. 2683; ABF Napoli, 29 aprile 2011, n. 889, sempre consultabili tutte al sito indicato alla nota 2. L’ultima decisione citata del collegio napoletano ha comunque avuto modo di specificare che la Comunicazione della Vigilanza non è “sufficiente per la creazione di un diritto soggettivo cui corrisponde un obbligo”.
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2. Obbligo di informazione e buona fede. Il problema dell’esistenza di un obbligo di informazione circa le motivazioni del rifiuto del credito era già stato affrontato recentemente dal Collegio di Roma dell’Arbitro, il quale in relazione ad una controversia analoga a quella oggetto di esame, ha ritenuto non conforme ai principi di trasparenza, e quindi illegittimo, il diniego opposto ad una richiesta di credito, sulla base di una valutazione del merito creditizio “elaborata da un programma informatico” che ne aveva fornito l’esito, come nel caso di specie, “in forma sintetica”, senza fornire alcuna indicazione specifica 9. Il Collegio di coordinamento, richiamando la giurisprudenza della Cassazione in materia di responsabilità precontrattuale e di obbligo di buona fede nello svolgimento delle trattative, si sofferma anche sulla norma di cui all’art. 127, co. 1, t.u.b., così come introdotto dal d. lgs. 13 agosto 2010, n. 141, che sancisce un punto di congiunzione tra esigenze di efficienza e stabilità del sistema, e tutela della clientela 10. Il richiamo al principio di buona fede appare senz’altro pertinente. Le decisioni che hanno negato la configurabilità di un vero e proprio diritto del richiedente ad ottenere una precisa motivazione del diniego del credito da parte dell’intermediario 11, hanno tuttavia rivolto a quest’ultimo il monito di assumere “determinazioni operative effettivamente conformi alla verifica, necessariamente individuale, della possibilità di fornire indicazioni generali sulle valutazioni che hanno indotto a non accogliere la richiesta di credito”, ravvisando più che altro il profilo critico dell’atteggiamento della banca nel contrasto con le disposizioni della Vigilanza. Proprio il richiamo a quest’ultima disciplina (la già citata Comunicazione del 22 ottobre 2007) consente invero di ricondurre l’esortazione all’intermediario a “salvaguardare la relazione con il clien-
9. Decisione n. 2109 del 2010: non vidi (il sistema di ricerca delle decisioni online non dà alcun risultato all’inserimento di questi dati, contenuti nella decisione che qui si annota). 10. La norma dispone: “Le Autorità creditizie esercitano i poteri previsti dal presente titolo avendo riguardo, oltre che alle finalità indicate nell’art. 5, alla trasparenza delle condizioni contrattuali e alla correttezza dei rapporti con la clientela. A questi fini possono essere dettate anche disposizioni in materia di organizzazione e controlli interni”. 11. ABF Milano, 23 settembre 2011, n. 1934, e 12 dicembre 2011, n. 2683; ABF Napoli, 12 ottobre 2010, n. 1069, 10 febbraio 2011, n. 290 e 31 marzo 2011, n. 645.
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te” 12 nell’alveo di quel comportamento improntato a buona fede nell’esecuzione del contratto di cui all’art. 1375 c.c. Altre decisioni invece aprono alla possibilità da parte dell’Arbitro di verificare la legittimità del rifiuto dell’intermediario di dare le informazioni richieste 13, possibilità che andrebbe verificata di volta in volta alla stregua del principio di buona fede precontrattuale 14. La decisione in epigrafe si colloca nel solco tracciato da quella appena citata, e fa un passo in avanti, là dove si domanda “se in tale mutato contesto normativo, così diverso da quello in cui si iscrive la citata Comunicazione del 14 ottobre 2007, non sia possibile riconoscere un più significativo rilievo alle esigenze informative del cliente”, e se quindi non valga la pena affermare, conseguentemente, l’illegittimità di sistemi di valutazione del merito creditizio che, come quello in esame, appaiono, sempre ad avviso dell’Arbitro, “pregiudizialmente incompatibili con la stessa possibilità di fornire indicazioni in ordine alle ragioni che hanno indotto a non accogliere la richiesta di credito”. Dopo avere correttamente qualificato il rapporto in questione (società emittente la carta, c.d. intermediario del credito ai consumatori e cliente) come unitario, in un contesto nel quale “la separata gestione delle due funzioni (di credito e di debito) rappresenta solo una modalità esecutiva dell’accordo” (e non senza aver contraddistinto come “poco trasparente” il rapporto tra “intermediario del credito” e intermediario “normale”), l’Arbitro ribadisce, citando una precedente decisione, che la discrezionalità tecnica di cui gli intermediari godono non può che svolgersi “all’interno del perimetro segnato dai limiti di correttezza, buona fede e specifico grado di professionalità che l’ordinamento loro richiede” 15. Il principio della buona fede rappresenta dunque un nuovo angolo visuale nel quale inquadrare la disciplina del rapporto tra intermediari e clienti, letto non più solo in ottica strumentale alla promozione di stabilità, efficienza e competitività del sistema finanziario 16. Ed è quindi
Bollettino di Vigilanza, ottobre 2007, n. 10, p. 6, così come richiamato dal Collegio ABF Milano, 23 settembre 2011, cit. 13 ABF Milano, 11 ottobre 2011, n. 2109. 14. La decisione del Collegio afferma peraltro non doversi sopravvalutare la portata dell’affermazione della Vigilanza nella sua dimensione precettiva. 15 ABF Roma, 30 luglio 2012, n. 2625. 16. Come sottolinea la stessa Ordinanza di rimessione al Collegio di coordinamento, n. 248 del 14 gennaio 2013, ad opera del Collegio di Roma. Peraltro, lo stesso Collegio di 12.
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in quest’ottica che va letto l’obbligo dell’intermediario (non certo di far credito, bensì) di specificare le motivazioni di esclusione del cliente dal credito, di tal che si può ben affermare che di contro esista un diritto del cliente a ricevere indicazioni, “anche se di carattere generale (…) ma pur sempre adeguatamente rapportate alle concrete circostanze individuali, circa le ragioni del diniego del credito” 17. Se, come afferma correttamente il Collegio di coordinamento nella decisione in epigrafe, la mera indicazione delle ragioni tecniche che precluderebbero la conoscenza sia pure di massima di tali motivazioni (come avvenuto nel caso di specie) non appare conforme all’obbligo di trasparenza, si può, alla luce delle considerazioni sopra svolte, ragionevolmente sostenere che tale comportamento costituirebbe da parte dell’intermediario una violazione dell’obbligo di buona fede. Non è più possibile all’intermediario negare l’informazione del mancato credito al cliente, con la motivazione dell’inesistenza nell’ordinamento dell’obbligo di far credito 18. Può, certamente, negare l’erogazione del credito, ma dovrà adeguatamente motivare le ragioni di tale decisione, incorrendo altrimenti in violazione della buona fede. L’immanente principio di buona fede e correttezza permea anche l’esercizio dell’attività bancaria, che deve appunto svolgersi all’interno dei confini contrassegnati da quel principio 19. Buona fede che, com’è noto, presiede tutte le fasi del rapporto contrattuale e si estrinseca (anche) nel dovere di trattare
coordinamento menziona la circostanza per cui il richiamo alla “correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” è stato assunto a sottotitolo delle disposizioni della Banca d’Italia sulla “trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari”, nonché la nuova intitolazione del titolo VI del t.u.b. “Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti”: per commenti si rinvia a Mirone, artt. 115 ss., nel Comm. al Testo unico in materia bancaria e creditizia, a cura di Costa, Torino, 2013, pp. 1287 ss., Vigo, ivi, art. 124-bis, p. 1438, e Portolano, ivi, art. 127, p. 1497 s.; Antonucci, Diritto delle banche5, Milano, 2012, 310 s.; Spena, Trasparenza delle condizioni contrattuali, nel Commento al Testo Unico Bancario, a cura di Porzio, Milano, 2010, p. 948 ss.; cfr. pure, per cenni alla particolare fattispecie analoga a quella affrontata dal Collegio di coordinamento, Macario, ivi, artt. 121-126, p. 1027, sulla questione dell’applicabilità delle disposizioni in materia di trasparenza bancaria e finanziaria alla disciplina del credito al consumo (la fattispecie all’attenzione del Collegio di Roma e poi a quello di Coordinamento si riferiva infatti alla convenzione con un intermediario per il rilascio di una carta di credito e correlativa accensione del fido, per il tramite dell’intermediario “finanziatore”). 17 Così il Collegio di coordinamento che si annota. 18. È quanto ha ad esempio sostenuto l’intermediario nel caso deciso da ABF Roma, 30 luglio 2012, cit. 19 V. già, in tal senso, ABF Roma, 27 dicembre 2011, n. 2851.
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in modo leale 20. In questi termini, la mancata motivazione del diniego può aver ingenerato un ragionevole affidamento sull’esito positivo della trattativa. Il Collegio di coordinamento ritiene che la prassi operativa seguita dagli intermediari convenuti nel giudizio in epigrafe, si ponga “indiscutibilmente in contrasto” con le indicazioni dell’Autorità di Vigilanza già menzionate in precedenza, sottolineando anche che detta prassi si indirizza in senso decisamente contrario all’obbligo di collaborazione attiva nei confronti del cliente, al dovere cioè di “assistenza” nei suoi riguardi. La necessaria verifica del merito creditizio di cui all’art. 124-bis t.u.b. va, sempre secondo il Collegio di coordinamento, “apprezzata anche nella più generale ottica di quell’adeguato chiarimento al cliente stesso di quale possa essere, al momento, la soluzione più adatta alle sue esigenze ed alla sua concreta situazione personale e finanziaria (cui si allude nell’art. 124, co. 5, t.u.b.)” 21. Appare chiaro quindi, che il motivare il diniego dell’erogazione del credito non è più, in quest’ottica, una mera facoltà dell’intermediario, il quale al contrario non può limitarsi a chiarire al cliente la soluzione più adatta alle sue esigenze solamente ove il credito gli venga concesso (e magari gli venga concesso in modalità diverse da quelle auspicate dal cliente stesso). La motivazione del rifiuto del credito deve infatti servire ad orientare il cliente stesso nei suoi rapporti di credito presenti e futuri. Ecco perché quello del cliente a ricevere indicazioni, anche se di carattere generale – ma pur sempre adeguatamente rapportate alle concrete circostanze individuali –, è da ritenere, secondo quanto correttamente affermato dal Collegio di coordinamento, un diritto vero e proprio, la cui sussistenza è indiscutibile 22.
3. Riflessioni conclusive. Con questa decisione, il Collegio di coordinamento mostra di seguire quella giurisprudenza più attenta di legittimità che, molto recentemente, aveva avuto modo di pronunziarsi affermando l’importante principio in base al quale un soggetto al quale venga impedito di accedere ai dati che lo riguardano con riferimento ad una richiesta di finanziamento poi
Cass., 8 ottobre 2008, n. 24795. Così il Collegio di coordinamento nella decisione in commento (corsivo aggiunto). 22 Collegio di coordinamento, 29 novembre 2013, n. 6182. 20 21.
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negata, ha diritto di accesso entro quindici giorni dalla richiesta, in base agli artt. 7 e 8 del d.lgs. 196 del 2003 sulla conservazione e accesso dei dati personali 23. In definitiva, se anche le vicende legislative relative alla conversione in legge del decreto legge n. 29 del 24 marzo 2013 hanno in una certa misura modificato l’impianto originario che appariva più snello e forniva un criterio più chiaro per la formazione di un vero e proprio obbligo in capo alla banca di motivare il diniego del credito 24, si può affermare che importanti passi avanti sono stati fatti, e la pronuncia in epigrafe del Collegio di coordinamento dell’ABF va certamente nella direzione di una maggiore tutela del cliente che si veda rifiutare la propria richiesta di credito senza motivo.
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Cfr. Cass., 9 gennaio 2013, n. 349. Il testo originario del decreto legge citato nel testo prevedeva, al comma 1-ter, lett. b), art. 1, che l’Osservatorio per il credito costituito presso le prefetture, “che si attiva d’ufficio o su segnalazione delle imprese che lamentano l’ingiustificata mancata concessione di un credito o la sua ingiustificata revoca, può chiedere alla Banca d’Italia, all’Associazione bancaria italiana e a singole banche le informazioni necessarie a valutare eventuali criticità nel procedimento di concessione dei finanziamenti. Le banche interessate sono tenute a fornire tutti gli elementi utili e a motivare le ragioni per cui il credito non è stato concesso o è stato revocato”. Come si è visto supra, nel testo, la norma ora dispone un possibile intervento del prefetto, che ha facoltà di attivare a sua volta l’Arbitro. 23
24.
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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni
LEGISLAZIONE
Un nuovo passo verso l’Unione bancaria europea: la Direttiva 2014/49/UE relativa ai sistemi di garanzia dei depositi Nel quadro del progetto europeo di integrazione bancaria, di cui il Regolamento UE n. 1024/2013 ha posto le basi (sul punto cfr. Vattermoli, Il primo passo verso l’Unione bancaria europea: il Regolamento UE n. 1024/2013, in questa Rivista, 2013, II, pp. 93 ss.), sono state recentemente approvate la Direttiva n. 2014/49/UE, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (d’ora in poi, SGD; in GU L 173, 12 giugno 2014, pp. 149 ss.) e la Direttiva n. 2014/59/UE, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione (della crisi) degli enti creditizi e delle imprese di investimento (in GU L 173, 12 giugno 2014, pp. 190 ss.). Con la prima Direttiva, che appresso si pubblica, è stato introdotto un SGD integrato con lo scopo di eliminare le distorsioni competitive che potrebbero sorgere a causa dei diversi livelli di protezione offerti per i differenti strumenti di raccolta o delle diverse modalità di intervento dei fondi di garanzia istituiti negli Stati membri dell’Unione. Attraverso questo provvedimento, pertanto, è stata data attuazione, seppur in maniera attenuata, al terzo pilastro dell’Unione bancaria europea, rinviando al futuro (non è ben chiaro quanto prossimo) la discussione su un sistema veramente unificato di assicurazione dei depositi. È ben noto, invero, come in principio il legislatore europeo avesse l’intenzione di istituire uno schema comune di garanzia per i depositi, salvo poi ripiegare, come anticipato, su di una scelta intermedia, caratterizzata da un’armonizzazione massima del funzionamento dei sistemi nazionali. In breve, coerentemente con l’obiettivo perseguito dai provvedimenti che l’hanno preceduta (sul punto cfr. Maccarone, I fondi di garanzia dei depositanti come strumento di gestione della crisi, in questa Rivista, 2013, I, pp. 610 ss.), la Direttiva mira alla realizzazione del mercato interno – sotto il duplice profilo della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi nel settore degli enti creditizi (cfr. 3° Considerando) – mediante il rafforzamento della stabilità del sistema bancario e della tutela dei depositanti. *** La Direttiva contiene le norme e delinea le procedure che debbono governare
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l’istituzione ed il funzionamento dei sistemi nazionali di garanzia dei depositi (art. 1.1). L’ambito di operatività della stessa è delimitato, peraltro non sempre in modo cristallino, sia in positivo sia in negativo: in positivo, attraverso l’inclusione degli SGD istituiti per legge, di quelli istituiti per contratto e ufficialmente riconosciuti quali SGD ex art. 4.2 della Direttiva, dei sistemi di tutela istituzionale ufficialmente riconosciuti quali SGD ai sensi del medesimo articolo, nonché degli enti creditizi affiliati ai sistemi precedentemente elencati (art. 1.2); in negativo, con l’esclusione sia dei sistemi istituiti per contratto non ufficialmente riconosciuti quali SGD, anche qualora garantiscano una tutela aggiuntiva rispetto al livello di copertura di € 100.000, sia dei sistemi di tutela istituzionale non ufficialmente riconosciuti quali SGD (art. 1.3). Le nozioni di SGD e di sistema di tutela istituzionale, fondamentali al fine di capire la portata del provvedimento in commento, vengono fornite attraverso due rinvii (art. 2.1): il primo, viziato da evidente circolarità, allo stesso art. 1.2; il secondo, invece, ad una disposizione esterna, ovvero l’art. 113.7 del Regolamento UE n. 575/2013, il quale dispone che un sistema di tutela istituzionale consiste «in un accordo sulla responsabilità previsto in via contrattuale o dalla legge che tutela tali enti e, in particolare, assicura la loro liquidità e la loro solvibilità per evitare il fallimento ove necessario». La Direttiva, poi, prevede, ai fini dell’applicazione delle norme relative agli interventi dei fondi, la cooperazione tra quattro (diverse) autorità (art. 3): l’autorità competente (come definita all’art. 2.1, n. 17), le autorità designate (di cui all’articolo precedente), le autorità di risoluzione e le autorità amministrative competenti. Inoltre, è sancito espressamente sia il divieto, in capo agli enti creditizi non appartenenti ad uno o più SGD, di accettare depositi (art. 4.3), sia l’obbligo, in capo all’SGD, di rimborsare i depositi detenuti alla data in cui un ente creditizio è escluso da tale SGD (art. 4.6). Quanto alla categoria dei depositi rimborsabili (art. 5), il provvedimento in commento li distingue a contrario, elencando le fattispecie escluse da qualsiasi rimborso da parte degli SGD (art. 5.1) e ammettendo, in deroga alla predetta statuizione, la possibilità per gli Stati membri di disporre l’inclusione, fino alla corrispondenza di € 100.000, dei depositi detenuti da regimi pensionistici personali e professionali delle piccole e medie imprese e/o dei depositi detenuti dalle autorità locali con un bilancio annuo fino a € 500.000. Con riferimento al livello di copertura (art. 6), il limite massimo, determinato per depositante (e non, si badi, per deposito), è di € 100.000 (art. 6.1). Per quanto attiene alla determinazione dell’importo massimo rimborsabile, come già accennato, è necessario prendere in considerazione il cumulo dei depositi presso lo stesso ente creditizio, di ciascun depositante, qualunque sia il numero, la valuta o l’ubicazione nell’UE dei depositi (art. 7.1); in caso di conto congiunto, la quota spettante a ciascun depositante dovrà essere computata ai fini della quantificazione del limite dell’importo da rimborsare (art. 7.2). Inoltre, se in via di principio è stabilito che non debbano essere conteggiate le passività del depositante nei confronti dell’ente creditizio, ai fini della deter-
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Un nuovo passo verso l’Unione bancaria europea: la Direttiva 2014/49/UE
minazione dell’importo da rimborsare, eccezionalmente potranno essere compensate le attività e le passività del depositante nei confronti dell’ente creditizio, nella misura in cui ciò sia possibile a norma delle disposizioni di legge o di contratto che disciplinano il rapporto di deposito tra l’ente e il depositante (art. 7.5). Ai fini del calcolo dell’importo rimborsabile, la data di riferimento è quella in cui l’autorità amministrativa competente abbia accertato che l’ente creditizio interessato non è in grado di rimborsare il deposito e che, a breve, non ha la prospettiva di poterlo fare, per motivi direttamente connessi con la propria situazione finanziaria oppure la data in cui l’autorità giudiziaria abbia deciso di sospendere l’esercizio dei diritti dei depositanti nei confronti dell’ente creditizio, per motivi direttamente connessi con la situazione finanziaria di quest’ultimo (art. 7.4). In aggiunta, dalla stessa data andranno quantificati gli interessi maturati sui depositi e non accreditati, i quali saranno oggetto di rimborso da parte dell’SGD, senza che il limite di € 100.000 possa essere superato (art. 7.7). Quanto al termine di rimborso, è di sette giorni lavorativi decorrenti dalla data di cui all’art. 7.4 della Direttiva (art. 8.1). Ciò nonostante, durante il periodo di transizione, sarà possibile prevedere termini di rimborso più lunghi (art. 8.2). Infine, l’SGD che abbia effettuato pagamenti a titolo di garanzia in un contesto nazionale, avrà il diritto di subentrare nella posizione dei depositanti, per un importo pari alle somme ad essi pagate, nell’ambito dei procedimenti di liquidazione o di riorganizzazione dell’ente creditizio (art. 9.2). La disposizione, peraltro, fa salvo «qualsiasi altro diritto che esso (l’SGD) possa avere ai sensi della legislazione nazionale»: sul punto, va sottolineato che l’art. 96-bis, co. 8 t.u.b. riconosce ai sistemi di garanzia domestici non soltanto il diritto di surroga nelle ragioni dei depositanti rimborsati nei confronti della l.c.a., ma anche un diritto di antergazione rispetto all’eventuale credito da questi ultimi ancora vantato nei confronti della procedura collettiva (ossia, per i depositi che eccedono i 100 mila euro). Quanto ai mezzi finanziari degli SGD ed al loro utilizzo, va subito detto che, sotto il primo aspetto, essi provengono principalmente dai contributi versati dai loro membri annualmente, pur essendo possibili finanziamenti aggiuntivi da altre fonti (art. 10.1); inoltre, tali mezzi finanziari non dovranno essere inferiori, al 3 luglio 2024, al c.d. livello-obiettivo, pari allo 0,8% dell’importo dei depositi coperti dei membri dell’SGD (art. 10.2). Sotto il secondo aspetto, invece, l’uso primario dei mezzi finanziari sarà rivolto al rimborso dei depositanti (art. 11.1), essendo poi possibile il loro impiego al fine della risoluzione (della crisi) degli enti creditizi ai sensi dell’art. 109 della Direttiva UE n. 59/2014 (art. 11.2), nonché, subordinatamente alla sussistenza di determinate condizioni, anche la loro destinazione per misure alternative volte ad evitare il fallimento di un ente creditizio (art. 11.3). C’è da dire, inoltre, che risulta confermato in capo agli enti creditizi l’obbligo di fornire ai depositanti, sia attuali sia potenziali, le informazioni necessarie all’individuazione dell’SGD di appartenenza dell’ente e delle eventuali succursali all’interno dell’UE, nonché le informazioni sulle esclusioni dalla protezione
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degli SGD, prima della conclusione del contratto di apertura del deposito. In tal senso, saranno gli Stati membri a provvedere affinché gli enti creditizi rispettino detto obbligo (art. 16.1). Nei casi di fusioni, conversioni di filiali in succursali o operazioni analoghe, l’ente creditizio avrà i medesimi obblighi di cui sopra; in tali ipotesi, i depositanti, entro il termine di tre mesi dalla notifica dell’operazione, potranno ritirare i propri depositi oppure trasferirli in un altro ente creditizio senza che ciò comporti l’applicazione di alcuna penalità o la perdita del diritto agli interessi e ai benefici maturati (art. 16.6). Qualora, invece, un ente creditizio si ritiri o sia escluso da un SGD, saranno gli Stati membri a dover provvedere affinché l’ente creditizio informi i suoi depositanti entro un mese dalla data dell’evento (art. 16.7). *** Infine, la Direttiva, entrata in vigore il 2 luglio 2014, prevede due termini differenziati per il suo recepimento, il primo, valevole per la maggior parte delle disposizioni contenute nella Direttiva, fissato al 3 luglio 2015; il secondo, relativo invece alle sole prescrizioni di cui all’art. 8.4, che scade il 31 maggio 2016 (art. 20.1). Quanto alla precedente Direttiva sui fondi di garanzia (Direttiva 1994/19/ CE), la stessa è da ritenersi abrogata a partire dal 4 luglio 2016. *** Molto probabilmente, stante l’interconnessione a livello globale delle economie nazionali e alla luce della ristretta area economica in cui è destinato a trovare applicazione – ossia, i 17 Paesi aderenti all’Eur –, gli obiettivi che il provvedimento in commento si pone (primo fra tutti, la stabilità del sistema bancario) paiono forse troppo ambiziosi. Sicuramente, invece, come da autorevole dottrina sostenuto (cfr. Maccarone, I fondi di garanzia dei depositanti, cit.), per il sistema bancario italiano il recepimento della Direttiva segnerà un sostanziale cambiamento di rotta, soprattutto per quel che concerne il finanziamento dei due fondi di garanzia esistenti (si passerà, infatti, da un sistema a contribuzione ex post, ad uno a contribuzione ex ante): ciò che comporterà, per le banche domestiche, un notevole sforzo economico, tenuto altresì conto della carenza di liquidità che affligge il mercato del credito. [Clarisa L. Ganigian]
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Direttiva 2014/49/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 Aprile 2014
Direttiva 16 aprile 2014, n 49 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi. Il Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione europea, visto il trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in particolare l’articolo 53, paragrafo 1, vista la proposta della Commissione europea, previa trasmissione del progetto di atto legislativo ai parlamenti nazionali, visto il parere della Banca centrale europea1, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria2, considerando quanto segue: (1) La direttiva 94/19/CE del Parlamento europeo e del Consiglio3 è stata modificata in maniera sostanziale4. Poiché si rendono necessarie nuove modifiche, a fini di chiarezza è opportuno procedere alla sua rifusione. (2) Al fine di facilitare l’accesso all’attività degli enti creditizi e il suo esercizio, è necessario eliminare talune differenze tra le legislazioni degli Stati membri per quanto riguarda il regime in materia di sistemi di garanzia dei depositi (SGD) al quale detti enti creditizi sono sottoposti. (3) La presente direttiva costituisce uno strumento essenziale per realizzare il mercato interno, sotto il duplice profilo della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi nel settore degli enti creditizi, rafforzando nel contempo la stabilità del sistema bancario e la tutela dei depositanti. Alla luce dei costi economici complessivi del fallimento di un ente creditizio e degli effetti negativi sulla stabilità finanziaria e sulla fiducia dei depositanti, è auspicabile prevedere non solo la funzione di rimborso dei depositanti, ma anche la sufficiente flessibilità affinché gli Stati membri possano consentire agli SGD di attuare misure volte a ridurre la probabilità di future richieste di rimborso nei confronti di detti sistemi. Tali misure dovrebbero sempre rispettare le norme sugli aiuti di Stato. (4) Per tenere conto della progressiva integrazione nel mercato interno, è opportuno avere la possibilità di fondere gli SGD di differenti Stati membri o di creare sistemi transfrontalieri distinti su base volontaria. Gli Stati membri dovrebbero assicurare una sufficiente stabilità e a una composizione equilibrata degli SGD nuovi ed esistenti. Dovrebbero essere evitati effetti negativi sulla stabilità finanzia-
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GU C 99 del 31.3.2011, p. 1. Posizione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2012 (GU C 249 E del 30.8.2013, p. 81) e decisione del Consiglio in prima lettura del 3 marzo 2014 (non ancora pubblicata nella Gazzetta ufficiale). Posizione del Parlamento europeo del 16 aprile 2014 (non ancora pubblicata nella Gazzetta ufficiale). 3 Direttiva 94/19/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 1994, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (GU L 135 del 31.5.1994, p. 5). 4 Cfr. Allegato III. 2
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ria, ad esempio qualora siano trasferiti a un SGD transfrontaliero solo enti creditizi con rischio elevato. (5) A norma della direttiva 94/19/CE, la Commissione è tenuta a presentare, se del caso, proposte di modifica di detta direttiva. La presente direttiva contempla l’armonizzazione dei meccanismi di finanziamento degli SGD, l’introduzione di contributi basati sui rischi e l’armonizzazione dell’ambito dei prodotti e dei depositanti coperti. (6) La direttiva 94/19/CE si basa sul principio dell’armonizzazione minima. Di conseguenza, esiste attualmente nell’Unione una varietà di SGD con caratteristiche molto diverse. In conseguenza dei requisiti comuni previsti dalla presente direttiva, è opportuno garantire ai depositanti un livello di protezione uniforme in tutta l’Unione, al contempo assicurando lo stesso livello di stabilità degli SGD. Allo stesso tempo, tali requisiti comuni sono di estrema importanza al fine di eliminare le distorsioni di mercato. La presente direttiva contribuisce pertanto al completamento del mercato interno. (7) Con la presente direttiva, i depositanti beneficeranno dell’accesso agli SGD notevolmente migliorato, grazie a un ambito di copertura più ampio e chiaro, termini di rimborso più rapidi, migliori informazioni e solidi requisiti di finanziamento. Ciò aumenterà la fiducia dei consumatori nella stabilità finanziaria in tutto il mercato interno. (8) È opportuno che gli Stati membri assicurino che i loro SGD abbiano sane pratiche di governance e che presentino una relazione annuale d’attività. (9) In caso di chiusura di un ente creditizio insolvente i depositanti delle succursali situate in uno Stato membro diverso da quello della sede principale dell’ente creditizio dovrebbero essere tutelati con lo stesso SGD di cui beneficiano gli altri depositanti dell’ente creditizio medesimo. (10) La presente direttiva non dovrebbe impedire agli Stati membri di includere nel suo ambito di applicazione gli enti creditizi come definiti all’articolo 4, paragrafo 1, punto 1, del regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio5, i quali non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio6 ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, di tale direttiva. È opportuno che gli Stati membri possano decidere che, ai sensi della presente direttiva, l’organismo centrale e tutti gli enti creditizi affiliati a detto organismo centrale siano considerati un unico ente creditizio. (11) La presente direttiva esige in linea di principio che tutti gli enti creditizi partecipino a un SDG. Uno Stato membro che ammette succursali di enti creditizi
5 Regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 (GU L 176 del 27.6.2013, p. 1). 6 Direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE (GU L 176 del 27.6.2013, p. 338).
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aventi la loro sede principale in un paese terzo dovrebbe decidere come applicare la presente direttiva a tali succursali e tenere conto della necessità di tutelare i depositanti e di mantenere l’integrità del sistema finanziario. È opportuno che i depositanti di tali succursali siano pienamente consapevoli delle disposizioni di garanzia che li riguardano. (12) È opportuno riconoscere che vi sono sistemi di tutela istituzionale che proteggono l’ente creditizio stesso e che, in particolare, ne garantiscono la liquidità e la solvibilità. Se tale sistema è separato da un SDG, è opportuno tenere conto del suo ruolo aggiuntivo di salvaguardia quando si stabiliscono i contributi dei suoi membri al SDG. Il livello armonizzato di copertura previsto nella presente direttiva non dovrebbe avere effetti sui sistemi che tutelano l’ente creditizio stesso a meno che essi rimborsino i depositanti. (13) Ogni ente creditizio dovrebbe far parte di un SDG riconosciuto ai sensi della presente direttiva, onde assicurare un livello elevato di tutela dei consumatori e condizioni eque di concorrenza tra gli enti creditizi ed evitare l’arbitraggio regolamentare. Un SDG dovrebbe poter fornire detta tutela in ogni momento. (14) Il compito principale di un SDG è tutelare i depositanti dalle conseguenze dell’insolvenza di un ente creditizio. Gli SDG dovrebbero poter fornire detta tutela con modalità diversificate. Gli SDG dovrebbero essere usati principalmente per il rimborso dei depositanti ai sensi della presente direttiva (funzione di rimborso «paybox»). (15) Gli SDG dovrebbero inoltre sostenere il finanziamento della risoluzione degli enti creditizi conformemente alla direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio7. (16) Un SGD, ove consentito dal diritto nazionale, dovrebbe poter anche andare oltre la mera funzione di rimborso e utilizzare i mezzi finanziari disponibili per evitare il fallimento di un ente creditizio, onde evitare i costi di un rimborso dei depositanti e altri effetti negativi. Tali misure dovrebbero tuttavia essere realizzate nell’ambito di un quadro chiaramente definito e dovrebbero in ogni caso rispettare le norme sugli aiuti di Stato. Tra l’altro, gli SGD dovrebbero essere dotati di sistemi e procedure appropriati per la scelta e l’esecuzione di tali misure, nonché il monitoraggio dei rischi affiliati. L’esecuzione di dette misure dovrebbe essere soggetta all’imposizione di condizioni all’ente creditizio comprendenti almeno una vigilanza più rigorosa del rischio e più ampi diritti di controllo per gli SGD. I costi delle misure adottate per evitare il fallimento di un ente creditizio non dovrebbero superare i costi di adempimento dei mandati statutari o contrattuali del rispettivo
7 Direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/ CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/ UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio (cfr. pagina 190 della presente Gazzetta ufficiale).
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SGD per quanto riguarda la protezione dei depositi coperti presso l’ente creditizio o l’ente stesso. (17) Gli SGD dovrebbero inoltre poter assumere la forma di un sistema di tutela istituzionale. Le autorità competenti dovrebbero poter riconoscere un sistema di tutela istituzionale come SGD se soddisfano tutti i criteri previsti nella presente direttiva. (18) La presente direttiva non dovrebbe applicarsi ai sistemi di tutela contrattuale o ai sistemi di tutela istituzionale non ufficialmente riconosciuti come SGD, eccetto per quanto riguarda i requisiti sulla limitazione della pubblicità e l’informazione dei depositanti nel caso dell’esclusione o del ritiro di un ente creditizio. I sistemi di tutela contrattuale e i sistemi di tutela istituzionale sono comunque soggetti alle norme sugli aiuti di Stato. (19) Nella recente crisi finanziaria gli aumenti non coordinati della copertura nell’Unione hanno fatto sì che in alcuni casi i depositanti trasferissero il denaro in enti creditizi di paesi con più elevate garanzie dei depositi. Tali aumenti non coordinati hanno drenato la liquidità dagli enti creditizi. In fasi di stabilità è possibile che livelli diversi di copertura portino i depositanti a scegliere la massima protezione dei depositi anziché il prodotto a loro più adatto. È possibile che tali livelli diversi di copertura producano distorsioni della concorrenza nel mercato interno. È pertanto necessario assicurare un livello armonizzato di protezione dei depositi per tutti gli SDG riconosciuti, indipendentemente da dove si trovino i depositi all’interno dell’Unione. Tuttavia, per un periodo di tempo limitato determinati depositi, a causa della situazione personale particolare del depositante, dovrebbero poter essere coperti fino a un livello più elevato. (20) Lo stesso livello di copertura dovrebbe applicarsi a tutti i depositanti indipendentemente dal fatto che la moneta dello Stato membro sia l’euro. È opportuno che gli Stati membri la cui moneta non è l’euro abbiano la possibilità di arrotondare gli importi risultanti dalle conversioni senza inficiare il principio della tutela equivalente dei depositanti. (21) Da un lato, il livello di copertura di cui alla presente direttiva non dovrebbe lasciare una proporzione eccessiva di depositi priva di tutela allo scopo di garantire sia la protezione dei consumatori sia la stabilità del sistema finanziario. Dall’altro, è opportuno tener conto del costo del finanziamento degli SGD. È pertanto ragionevole fondarsi su un importo di 100.000 EUR quale il livello di copertura armonizzato. (22) La presente direttiva accoglie il criterio di un limite armonizzato per depositante e non per deposito. Di conseguenza, è opportuno prendere in considerazione i depositi eseguiti dai depositanti non menzionati come titolari del conto o che non sono gli unici titolari di un conto. Il limite dovrebbe essere applicato a ogni depositante identificabile. Il principio dell’applicazione del limite a ogni depositante identificabile non dovrebbe trovare applicazione relativamente agli organismi di investimento collettivo, soggetti a norme di tutela speciali non sussistenti per i depositi predetti.
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(23) La direttiva 2009/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio8 ha introdotto un livello di copertura fisso di 100.000 EUR che ha posto taluni Stati membri nella situazione di dover diminuire il loro livello di copertura, con il rischio di minare la fiducia dei depositanti. Nonostante l’armonizzazione sia essenziale al fine di garantire parità di condizioni e stabilità finanziaria nel mercato interno, si dovrebbe tener conto anche del rischio di minare la fiducia dei depositanti. Gli Stati membri dovrebbero pertanto avere la facoltà di applicare un livello di copertura che sia più elevato di quello armonizzato prima dell’applicazione della direttiva 2009/14/CE. Tale livello di copertura più elevato dovrebbe essere limitato nel tempo e nella portata e gli Stati membri interessati dovrebbero adeguare il livelloobiettivo e i contributi versati ai loro SGD proporzionalmente. Poiché non è possibile adeguare il livello-obiettivo se il livello di copertura è illimitato, è appropriato limitare tale facoltà agli Stati membri che, al 1° gennaio 2008, applicavano un livello di copertura rientrante in una gamma compresa tra 100.000 EUR e 300.000 EUR. Onde limitare l’impatto di livelli di copertura divergenti e tenendo conto del fatto che la Commissione riesaminerà l’attuazione della presente direttiva entro il 31 dicembre 2018, è opportuno consentire tale facoltà fino a tale data. (24) Gli SGD dovrebbero essere autorizzati a compensare le passività di un depositante nei confronti di detti diritti al rimborso del depositante soltanto se tali passività sono esigibili alla data di indisponibilità o prima della stessa. Tale compensazione non dovrebbe ostacolare la capacità degli SGD di restituire i depositi entro la scadenza fissata dalla presente direttiva. Non si dovrebbe impedire agli Stati membri di adottare le misure appropriate concernenti i diritti degli SGD in un procedimento di liquidazione o riorganizzazione di un ente creditizio. (25) Dovrebbe essere possibile escludere dal rimborso i depositi in cui, conformemente al diritto nazionale, i fondi depositati non sono a disposizione del depositante in quanto quest’ultimo e l’ente creditizio hanno convenuto contrattualmente che il deposito avrà il solo scopo di pagare un prestito contratto per l’acquisto di un bene immobile privato. Tali depositi dovrebbero essere detratti dall’importo residuo del prestito. (26) Gli Stati membri dovrebbero provvedere a che la protezione dei depositi derivanti da determinate transazioni, ovvero finalizzati a scopi sociali o di altro tipo, sia superiore a 100.000 EUR per un periodo di tempo prestabilito. Gli Stati membri dovrebbero decidere un livello di copertura massima temporanea per tali depositi e, nel far ciò, dovrebbero tenere conto dell’importanza della tutela per i depositanti e delle condizioni di vita degli Stati membri. In ogni caso è opportuno rispettare le norme sugli aiuti di Stato. (27) È necessario armonizzare i metodi di finanziamento degli SGD. Da un lato, è opportuno che il costo di finanziamento degli SGD sia, in linea di prin-
8 Direttiva 2009/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2009, recante modifica della direttiva 94/19/CE relativa ai sistemi di garanzia dei depositi per quanto riguarda il livello di copertura e il termine di rimborso (GU L 68 del 13.3.2009, p. 3).
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cipio, sostenuto dagli stessi enti creditizi e, dall’altro, che la capacità finanziaria di detti sistemi sia proporzionata al loro grado di responsabilità. Per garantire che i depositanti in tutti gli Stati membri beneficino di un livello di protezione uniformemente elevato, è opportuno armonizzare a un livello elevato il finanziamento degli SGD e prevedere che tutti detti sistemi abbiano un livello-obiettivo prestabilito uniforme in termini di dotazione finanziaria. (28) Tuttavia, in talune circostanze, gli enti creditizi possono operare in un mercato altamente concentrato in cui la maggior parte degli enti creditizi hanno una dimensione e un livello di interconnessione tali da rendere improbabile una loro eventuale liquidazione secondo la normale procedura di insolvenza senza mettere in pericolo la stabilità finanziaria, essendo pertanto più probabile che sarebbero soggetti a una procedura di risoluzione ordinata. In tali circostanze, i sistemi potrebbero essere soggetti a un livello-obiettivo inferiore. (29) La moneta elettronica e i fondi ricevuti in cambio della moneta elettronica non dovrebbero, a norma della direttiva 2009/110/CE del Parlamento europeo e del Consiglio9, essere trattati come un deposito e non dovrebbero, pertanto, rientrare nell’ambito di applicazione della presente direttiva. (30) Per limitare la protezione dei depositi a quanto necessario per garantire la certezza del diritto e la trasparenza per i depositanti ed evitare di trasferire i rischi di investimento agli SGD, è opportuno escludere dall’ambito di copertura i prodotti finanziari, eccetto per i prodotti di risparmio esistenti rappresentati da un certificato di deposito facente riferimento a un nominativo. (31) È opportuno che taluni depositanti, in particolare le autorità pubbliche o altri istituti finanziari, non siano ammissibili alla protezione dei depositi. Il loro numero limitato rispetto a tutti gli altri depositanti ne minimizza l’impatto sulla stabilità finanziaria in caso di fallimento di un ente creditizio. Le autorità hanno inoltre un accesso molto più agevole al credito rispetto ai cittadini. Tuttavia, gli Stati membri dovrebbero poter decidere che siano coperti i depositi delle autorità locali con un bilancio annuo fino a 500.000 EUR. È opportuno che le imprese non finanziarie siano in linea di massima coperte, indipendentemente dalle loro dimensioni. (32) I depositanti che esercitano attività di riciclaggio ai sensi dell’articolo 1, paragrafi 2 o 3, della direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio10, dovrebbero essere esclusi dal rimborso da parte di un SDG. (33) Per gli enti creditizi il costo della partecipazione a un SDG non è paragonabile a quello derivante da un massiccio ritiro dei depositi non solo da un ente
9 Direttiva 2009/110/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, concernente l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, che modifica le direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la direttiva 2000/46/CE (GU L 267 del 10.10.2009, p. 7). 10 Direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo (GU L 309 del 25.11.2005, p. 15).
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creditizio in difficoltà, ma anche da istituti sani, per effetto del venir meno della fiducia dei depositanti nella stabilità del sistema bancario. (34) È necessario che i mezzi finanziari a disposizione degli SDG ammontino a un certo livello-obiettivo e che possano essere raccolti contributi straordinari. In ogni caso, gli SGD dovrebbero disporre di adeguati sistemi di finanziamento alternativi che consentano loro di ottenere finanziamenti a breve termine per soddisfare i diritti fatti valere nei loro confronti. I mezzi finanziari a disposizione degli SDG dovrebbero poter includere contante, depositi, impegni di pagamento e attività a basso rischio, liquidabili entro un breve termine. L’importo dei contributi al SDG dovrebbero tenere debito conto del ciclo economico, della stabilità del settore della raccolta dei depositi e delle passività degli SDG esistenti. (35) Gli SGD dovrebbero investire in attività a basso rischio. (36) I contributi agli SDG dovrebbero essere basati sull’importo dei depositi coperti e sul grado di rischio sostenuto dai rispettivi membri. Ciò consentirebbe una riflessione sui profili di rischio dei singoli enti creditizi, compresi i loro diversi modelli economici. Dovrebbe inoltre portare a un calcolo equo dei contributi, incentivando a operare in base a un modello economico meno rischioso. Al fine di calibrare i contributi all’evoluzione dei mercati e ai profili di rischio, gli SGD dovrebbero poter utilizzare i propri metodi basati sul rischio. Per tenere conto dei settori esposti a rischi particolarmente limitati, che sono disciplinati dal diritto nazionale, gli Stati membri dovrebbero essere autorizzati a prevedere riduzioni corrispondenti dei contributi, pur rispettando il livello-obiettivo per ciascun SGD. In ogni caso, i metodi di calcolo dovrebbero essere approvati dalle autorità competenti. L’autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea) («ABE»), istituita dal regolamento (UE) n. 1093/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio11, dovrebbe emanare orientamenti per specificare i metodi di calcolo dei contributi. (37) La protezione dei depositi è un elemento essenziale per il completamento del mercato interno e un complemento indispensabile del sistema di vigilanza degli enti creditizi, a motivo del vincolo di solidarietà che crea tra tutti gli enti operanti su una medesima piazza finanziaria, in caso di inadempimento di uno di essi. Pertanto, gli Stati membri dovrebbero poter consentire agli SGD di prestarsi reciprocamente denaro su base volontaria. (38) L’attuale periodo di rimborso è in contrasto con la necessità di preservare la fiducia dei depositanti e non risponde alle loro esigenze. Pertanto, è opportuno ridurre il periodo di rimborso a sette giorni lavorativi. (39) In molti casi, tuttavia, le procedure necessarie ad assicurare i rimborsi in breve termine non esistono ancora. Gli Stati membri dovrebbero pertanto avere la possibilità, durante un periodo transitorio, di ridurre gradualmente il periodo di rim-
11 Regolamento (UE) n. 1093/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), modifica la decisione n. 716/2009/CE e abroga la decisione 2009/78/CE della Commissione (GU L 331 del 15.12.2010, p. 12).
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borso a sette giorni lavorativi. Il termine massimo di rimborso fissato dalla presente direttiva non dovrebbe impedire agli SGD di rimborsare i depositanti in termini più brevi. Tuttavia, per garantire che, durante il periodo transitorio, i depositanti non vadano incontro a difficoltà finanziarie in caso di fallimento del loro ente creditizio, essi dovrebbero poter accedere, su richiesta, a un importo appropriato dei loro depositi coperti per tenere conto del loro costo della vita. Tale accesso ai fondi dovrebbe essere fatto esclusivamente in base ai dati forniti dall’ente creditizio. Considerato il diverso costo della vita negli Stati membri, dovrebbero essere questi ultimi a determinare tale importo. (40) Il periodo necessario per il rimborso dei depositi dovrebbe tener conto dei casi in cui i sistemi incontrano difficoltà nella determinazione dell’importo del rimborso e dei diritti del depositante, in particolare se i depositi traggono origine da operazioni di edilizia residenziale o taluni eventi della vita, se un depositante non ha pieno diritto sulle somme detenute su un conto, se il deposito forma oggetto di una controversia giuridica o diritti concorrenti sulle somme detenute sul conto o se il deposito forma oggetto di sanzioni economiche imposte da governi nazionali o da organismi internazionali. (41) Per garantire il rimborso, gli SGD dovrebbero essere autorizzati a subentrare nei diritti vantati dai depositanti rimborsati nei confronti di un ente creditizio fallito. Gli Stati membri dovrebbero poter limitare il periodo in cui i depositanti i cui depositi non sono stati rimborsati, o non sono stati riconosciuti entro il termine per il rimborso, possono chiedere il rimborso dei loro depositi, al fine di consentire agli SGD di esercitare i diritti nei quali sono subentrati entro la data in cui i suddetti diritti devono essere registrati nella procedura di insolvenza. (42) È opportuno che un SGD in uno Stato membro in cui un ente creditizio ha stabilito succursali informi e rimborsi i depositanti per conto dell’SGD dello Stato membro in cui l’ente creditizio è stato autorizzato. Sono necessarie salvaguardie per assicurare che un SGD che rimborsa i depositanti riceva dall’SGD dello Stato membro di origine i mezzi finanziari e le informazioni necessari prima di tale rimborso. È opportuno che gli SGD che potrebbero essere interessati concludano accordi in anticipo per agevolare lo svolgimento di questi compiti. (43) L’informazione dei depositanti è un elemento essenziale della loro tutela. È pertanto opportuno che i depositanti siano informati in merito alla loro copertura e all’SGD responsabile nei loro estratti conto. A coloro che intendono aprire un deposito dovrebbero essere fornite le stesse informazioni mediante un foglio di informazione standardizzato, di cui dovrebbero accusare ricevuta. È indispensabile che il contenuto di tali informazioni sia identico per tutti i depositanti. L’uso non regolamentato, a fini pubblicitari, di riferimenti al livello di copertura e all’ambito di copertura di un SGD potrebbe pregiudicare la stabilità del sistema bancario o la fiducia dei depositanti. È opportuno pertanto che il riferimento agli SGD nelle pubblicità sia limitato alla semplice menzione.
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(44) La direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio12 si applica al trattamento dei dati personali effettuato in applicazione della presente direttiva. Gli SGD e le autorità competenti dovrebbero trattare con estrema cautela i dati concernenti i depositi individuali e mantenere un elevato livello di protezione dei dati a norma di tale direttiva. (45) La presente direttiva non dovrebbe comportare la responsabilità degli Stati membri o delle loro autorità pertinenti nei confronti dei depositanti, nella misura in cui essi hanno vigilato affinché fossero istituiti e ufficialmente riconosciuti uno o più sistemi di garanzia dei depositi o degli stessi enti creditizi, capaci di assicurare l’indennizzo o la tutela dei depositanti alle condizioni definite dalla presente direttiva. (46) Il regolamento (UE) n. 1093/2010 ha attribuito una serie di compiti concernenti la direttiva 94/19/CE all’ABE. (47) Pur rispettando la vigilanza degli SGD da parte degli Stati membri, è opportuno che l’ABE contribuisca a raggiungere l’obiettivo di agevolare agli enti creditizi l’accesso e l’esercizio delle loro attività garantendo nel contempo un’efficace tutela dei depositanti e riducendo al minimo i rischi per i contribuenti. Gli Stati membri dovrebbero tenere informate la Commissione e l’ABE circa l’identità della loro autorità designata ai fini dell’obbligo di cooperazione tra l’ABE e le autorità designate previsto dalla presente direttiva. (48) È necessario introdurre orientamenti in materia di servizi finanziari, in modo da assicurare condizioni di parità e tutela adeguata dei depositanti in tutta l’Unione. Tali orientamenti dovrebbero essere emanati per specificare il metodo di calcolo dei contributi basati sui rischi. (49) Per assicurare il funzionamento efficiente ed effettivo degli SGD e un’equilibrata presa in considerazione delle loro posizioni in diversi Stati membri, l’ABE dovrebbe essere in grado di comporre le dispute tra di loro con effetto vincolante. (50) Date le divergenze delle pratiche amministrative relative agli SGD nei diversi Stati membri, questi ultimi dovrebbero essere liberi di decidere l’autorità che determina l’indisponibilità dei depositi. (51) Le autorità competenti, le autorità designate, le autorità di risoluzione, le pertinenti autorità amministrative e gli SGD dovrebbero cooperare tra loro ed esercitare i propri poteri conformemente alla presente direttiva. Essi dovrebbero cooperare in una fase precoce nel preparare e attuare le misure di risoluzione al fine di stabilire l’importo del quale è responsabile l’SGD quando i mezzi finanziari vengono utilizzati per finanziare la risoluzione degli enti creditizi. (52) Al fine di adeguare il livello di copertura per l’intero volume di depositi dello stesso depositante, quale stabilito nella presente direttiva, in funzione del tasso di inflazione nell’Unione, sulla base delle variazioni dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo, dovrebbe essere delegato alla Commissione il potere
12 Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU L 281 del 23.11.1995, p. 31).
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di adottare atti conformemente all’articolo 290 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. È di particolare importanza che durante i lavori preparatori la Commissione svolga adeguate consultazioni, anche a livello di esperti. Nella preparazione e nell’elaborazione degli atti delegati la Commissione dovrebbe provvedere alla contestuale, tempestiva e appropriata trasmissione dei documenti pertinenti al Parlamento europeo e al Consiglio. (53) Conformemente alla dichiarazione politica comune degli Stati membri e della Commissione sui documenti esplicativi13, gli Stati membri si sono impegnati a corredare, in casi giustificati, la notifica delle loro misure di recepimento di uno o più documenti che chiariscano il rapporto tra gli elementi costitutivi di una direttiva e le parti corrispondenti degli strumenti nazionali di recepimento. Per quanto riguarda la presente direttiva, il legislatore ritiene che la trasmissione di tali documenti sia giustificata. (54) Poiché l’obiettivo della presente direttiva, vale a dire l’armonizzazione delle regole relative al funzionamento degli SGD, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri, ma può essere conseguito meglio a livello dell’Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo. (55) L’obbligo di recepire la presente direttiva nel diritto nazionale dovrebbe essere limitato alle disposizioni che rappresentano modificazioni sostanziali della direttiva precedente. L’obbligo di recepimento delle disposizioni rimaste immutate deriva dalle direttive precedenti. (56) La presente direttiva dovrebbe far salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di recepimento nel diritto nazionale delle direttive di cui all’allegato II. Hanno adottato la presente direttiva: Articolo 1 Oggetto e ambito di applicazione 1. La presente direttiva fissa norme e procedure relative all’istituzione e al funzionamento dei sistemi di garanzia dei depositi (SGD). 2. La presente direttiva si applica: a) agli SGD istituiti per legge; b) agli SGD istituiti per contratto che sono ufficialmente riconosciuti quali SGD ai sensi dell’articolo 4, paragrafo2; c) ai sistemi di tutela istituzionale che sono ufficialmente riconosciuti quali SGD ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2;
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Dichiarazione politica comune, del 28 settembre 2011, degli Stati membri e della Commissione sui documenti esplicativi (GU C 369 del 17.12.2011, p. 14).
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d) agli enti creditizi affiliati ai sistemi di cui alle lettere a), b) o c) del presente paragrafo. 3. Fatto salvo l’articolo 16, paragrafi 5 e 7, i seguenti sistemi non sono soggetti alla presente direttiva: a) i sistemi istituiti per contratto che non sono ufficialmente riconosciuti quali SGD, compresi i sistemi che offrono una tutela aggiuntiva al livello di copertura di cui all’articolo 6, paragrafo 1; b) i sistemi di tutela istituzionale che non sono ufficialmente riconosciuti quali SGD. Gli Stati membri assicurano che i sistemi di cui al primo comma, lettere a) e b), dispongano di adeguati mezzi finanziari o dei meccanismi di finanziamento necessari per adempiere ai loro obblighi. Articolo 2 Definizioni 1. Ai fini della presente direttiva, si applicano le seguenti definizioni: 1) «sistemi di garanzia dei depositi» o «SGD»: i sistemi di cui alla lettere a), b) o c) dell’articolo 1, paragrafo 2; 2) «sistema di tutela istituzionale»: i sistemi di tutela istituzionale di cui all’articolo 113, paragrafo 7, del regolamento (UE) n. 575/2013; 3) «deposito»: un saldo creditore, risultante da fondi depositati in un conto o da situazioni transitorie derivanti da operazioni bancarie normali, che l’ente creditizio deve restituire secondo le condizioni legali e contrattuali applicabili, compresi un deposito a termine fisso e un deposito di risparmio, ma escluso un saldo creditori quando: a) la sua esistenza può essere dimostrata solo tramite uno strumento finanziario ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 17, della direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio14, a meno che si tratti di un prodotto di risparmio rappresentato da un certificato di deposito facente riferimento a un nominativo e che esiste in uno Stato membro il 2 luglio 2014; b) il suo capitale non è rimborsabile alla pari; c) il suo capitale è rimborsabile alla pari solo in base a una determinata garanzia o a un determinato accordo fornito dall’ente creditizio o da un terzo; 4) «depositi ammissibili»: depositi che non sono esclusi dalla protezione conformemente all’articolo 5; 5) «depositi coperti»: la parte di depositi ammissibili che non supera il livello di copertura di cui all’articolo 6;
14 Direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, che modifica le direttive 85/611/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 93/22/CEE del Consiglio (GU L 145 del 30.4.2004, p. 1).
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6) «depositante»: il titolare o, in caso di conto congiunto, ciascuno dei titolari del deposito; 7) «conto congiunto»: un conto intestato a due o più persone, o sul quale due o più persone hanno diritti, esercitati mediante la firma di una o più di tali persone; 8) «deposito indisponibile»: un deposito in scadenza ed esigibile che non è stato rimborsato da un ente creditizio secondo le condizioni legali e contrattuali a esso applicabili, laddove: a) le autorità competenti abbiano concluso che a loro avviso l’ente creditizio interessato, per motivi direttamente connessi con la sua situazione finanziaria, non è per il momento in grado di rimborsare il deposito e l’ente non ha, a breve, la prospettiva di poterlo fare; ovvero b) un’autorità giudiziaria abbia adottato una decisione per motivi direttamente connessi con la situazione finanziaria dell’ente creditizio, con effetto di sospendere l’esercizio dei diritti dei depositanti nei confronti dello stesso; 9) «ente creditizio»: un ente creditizio ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 1, del regolamento (UE) n. 575/2013; 10) «succursale»: una sede di attività in uno Stato membro che costituisce parte, sprovvista di personalità giuridica, di un ente creditizio e che effettua direttamente, in tutto o in parte, le operazioni inerenti all’attività di ente creditizio; 11) «livello-obiettivo»: l’importo dei mezzi finanziari disponibili che l’SGD è tenuto a raggiungere ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, espresso come percentuale dei depositi coperti dei suoi membri; 12) «mezzi finanziari disponibili»: contante, depositi e attività a basso rischio, liquidabili entro un periodo non superiore a quello fissato dall’articolo 8, paragrafo 1, e impegni di pagamento fino al limite stabilito all’articolo 10, paragrafo 3; 13) «impegni di pagamento»: impegni di pagamento di un ente creditizio nei confronti di un SGD, che sono pienamente garantiti, a condizione che la garanzia: a) consista in attività a basso rischio; b) non sia gravata da diritti di terzi e sia a disposizione dell’SGD; 14) «attività a basso rischio»: voci che rientrano nella prima o nella seconda categoria di cui alla tabella 1 dell’articolo 336 del regolamento (UE) n. 575/2013 o attività considerate sicure e liquide in maniera analoga dall’autorità competente o designata; 15) «Stato membro d’origine»: uno Stato membro d’origine di cui all’articolo 4, paragrafo 1, punto 43, del regolamento (UE) n. 575/2013; 16) «Stato membro ospitante»: uno Stato membro ospitante di cui all’articolo 4, paragrafo 1, punto 44, del regolamento (UE) n. 575/2013; 17) «autorità competente»: un’autorità nazionale competente di cui all’articolo 4, paragrafo 1, punto 40, del regolamento (UE) 575/2013; 18) «autorità designata»: un organismo incaricato della gestione degli SGD ai sensi della presente direttiva o, qualora il funzionamento dell’SGD sia gestito da una società privata, un’autorità pubblica designata dallo Stato membro interessato che vigila su tale sistema ai sensi della presente direttiva.
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2. Quando la presente direttiva fa riferimento al regolamento (UE) n. 1093/2010, un organismo incaricato della gestione di un SGD o, qualora il funzionamento dell’SGD sia gestito da una società privata, l’autorità pubblica che vigila su tale sistema è considerata, ai fini di tale regolamento, un’autorità competente conformemente all’articolo 4, punto 2, di tale regolamento. 3. Sono trattate come depositi le azioni in società di finanziamento immobiliare («building societies») dell’Irlanda o del Regno Unito, a eccezione di quelle aventi natura di capitale di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettera b). Articolo 3 Autorità amministrative competenti 1. Gli Stati membri individuano l’autorità amministrativa competente nel loro territorio ai fini dell’articolo 2, paragrafo 1, punto 8, lettera a). 2. Le autorità competenti, le autorità designate, le autorità di risoluzione e le autorità amministrative competenti cooperano tra loro ed esercitano i propri poteri conformemente alla presente direttiva. L’autorità amministrativa competente trae la conclusione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, punto 8, lettera a), non appena possibile e in ogni caso non oltre cinque giorni lavorativi dall’aver stabilito per la prima volta che un ente creditizio non ha restituito i depositi venuti a scadenza ed esigibili.
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Articolo 4 Riconoscimento ufficiale, appartenenza a un sistema e vigilanza Ogni Stato membro provvede affinché sul suo territorio siano istituiti e ufficialmente riconosciuti uno o più SGD. Ciò non preclude la fusione di SGD di Stati membri diversi né l’istituzione di SGD transfrontalieri. L’approvazione di tali SGD transfrontalieri, ovvero risultato di una fusione, si ottiene presso gli Stati membri in cui sono istituiti gli SGD in questione. Un sistema istituito per contratto di cui all’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), della presente direttiva può essere ufficialmente riconosciuto come un SGD se è conforme alla presente direttiva. Un sistema di tutela istituzionale può essere ufficialmente riconosciuto come un SGD se soddisfa i criteri di cui all’articolo 113, paragrafo 7, del regolamento (UE) n. 575/2013 e se è conforme alla presente direttiva. Un ente creditizio autorizzato in uno Stato membro ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 2013/36/UE non accetta depositi a meno che non sia membro di un sistema ufficialmente riconosciuto nel suo Stato membro d’origine ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo. Se un ente creditizio non adempie agli obblighi derivanti dall’appartenenza a un SGD, l’inottemperanza è notificata immediatamente alle autorità competenti le quali, in cooperazione con l’SGD, adottano prontamente le misure appropriate, comprese eventuali sanzioni, al fine di garantire che l’ente creditizio adempia ai suddetti obblighi. Qualora le misure adottate ai sensi del paragrafo 4 non siano tali da garantire il
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rispetto degli obblighi da parte dell’ente creditizio, l’SGD può, fatto salvo il diritto nazionale e l’espresso consenso delle autorità competenti, notificare con almeno un mese di anticipo la propria intenzione di escludere l’ente creditizio dall’SGD. I depositi effettuati prima dello scadere di tale periodo di notifica restano interamente coperti dall’SGD. Qualora, alla scadenza del periodo di notifica, l’ente creditizio non abbia adempiuto agli obblighi a esso incombenti, l’SGD esclude l’ente creditizio. 6. I depositi detenuti alla data in cui un ente creditizio è escluso dall’SGD restano coperti da tale SGD. 7. Le autorità designate vigilano continuativamente sugli SGD di cui all’articolo 1 per accertarsi che rispettino la presente direttiva. Gli SGD transfrontalieri sono vigilati da rappresentanti delle autorità designate degli Stati membri in cui sono autorizzati gli enti creditizi affiliati. 8. Gli Stati membri assicurano che un SGD, in qualunque momento e su richiesta di quest’ultimo, riceva dai loro membri tutte le informazioni necessarie per preparare il rimborso dei depositanti, compresi i contrassegni di cui all’articolo 5, paragrafo 4. 9. Gli SGD assicurano la riservatezza e la protezione dei dati concernenti i conti dei depositanti. Il trattamento di tali dati è effettuato ai sensi della direttiva 95/46/CE. 10. Gli Stati membri assicurano che gli SGD effettuino regolarmente prove di stress dei loro meccanismi e che gli SGD siano informati al più presto qualora le autorità competenti rilevino in un ente creditizio problemi che potrebbero determinare l’attivazione di un SGD. Tali prove hanno luogo almeno ogni tre anni o più frequentemente, ove appropriato. La prima è effettuata entro il 3 luglio 2017. In base ai risultati delle prove di stress, almeno ogni cinque anni l’ABE svolge esami tra pari conformemente all’articolo 30 del regolamento (UE) n. 1093/2010 al fine di esaminare la resilienza degli SGD. Quando scambiano informazioni con l’ABE, gli SGD sono soggetti all’obbligo del segreto professionale di cui all’articolo 70 di detto regolamento. 11. Gli SGD utilizzano le informazioni necessarie per eseguire le prove di stress dei loro meccanismi solo per l’esecuzione di tali prove e non sono tenute più a lungo di quanto sia necessario a tal fine. 12. Gli Stati membri assicurano che i loro SGD abbiano istituito pratiche di governance sane e trasparenti. Gli SGD presentano una relazione annuale d’attività. Articolo 5 Ammissibilità dei depositi 1. Sono esclusi da qualsiasi rimborso da parte degli SGD: a) ferme restando le disposizioni dell’articolo 7, paragrafo 3, della presente direttiva, i depositi effettuati da altri enti creditizi a nome proprio e per proprio conto; b) i fondi propri quali definiti all’articolo 4, paragrafo 1, punto 118, del regolamento (UE) n. 575/2013; c) i depositi derivanti da transazioni in relazione alle quali ci sia stata una con-
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danna per un reato di riciclaggio dei proventi di attività illecite di cui all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2005/60/CE; d) i depositi degli enti finanziari ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 26, del regolamento (UE) n. 575/2013; e) i depositi delle imprese di investimento ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 1, della direttiva 2004/39/CE; f) i depositi i cui titolari non sono mai stati identificati a norma dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2005/60/CE, quando sono diventati indisponibili; g) i depositi delle imprese di assicurazione e delle imprese di riassicurazione di cui all’articolo 13, punti da 1 a 6, della direttiva 2009/138/CE del Parlamento europeo e del Consiglio15; h) i depositi degli organismi d’investimento collettivo; i) i depositi dei fondi pensioni; j) i depositi delle autorità pubbliche; k) i titoli di debito emessi da un ente creditizio e le passività derivanti da accettazioni e pagherò cambiari dell’ente medesimo. 2. In deroga al paragrafo 1 del presente articolo, gli Stati membri hanno facoltà di disporre che i seguenti depositi siano inclusi fino al livello di copertura di cui all’articolo 6, paragrafo 1: a) i depositi detenuti da regimi pensionistici personali e professionali delle piccole e medie imprese; b) i depositi detenuti dalle autorità locali con un bilancio annuo fino a 500 000 EUR. 3. Gli Stati membri possono disporre che i depositi che possono essere liberati conformemente al diritto nazionale solo per pagare un prestito su un bene immobile privato se contratto dall’ente creditizio o da un altro ente che detiene il deposito sono esclusi dal rimborso da parte di un SDG. 4. Gli Stati membri assicurano che gli enti creditizi contrassegnino i depositi ammissibili in modo da consentirne l’immediata identificazione. Articolo 6 Livello di copertura 1. Gli Stati membri assicurano che il livello di copertura del totale dei depositi di ciascun depositante sia di 100.000 EUR in caso di indisponibilità. 2. In aggiunta al paragrafo 1, gli Stati membri assicurano che i seguenti depositi siano protetti oltre 100.000 EUR per almeno tre mesi e per un massimo di 12 mesi dopo l’accredito dell’importo o a decorrere dal momento in cui tali depositi diventano legalmente trasferibili:
15 Direttiva 2009/138/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009 in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (solvibilità II) (GU L 335 del 17.12.2009, p. 1).
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a) i depositi derivanti da operazioni su beni immobili relative a proprietà residenziali private; b) i depositi che soddisfano talune esigenze di carattere sociale fissate nel diritto nazionale e che sono collegati a particolari eventi della vita di un depositante quali il matrimonio, il divorzio, il pensionamento, il licenziamento, l’esubero, l’invalidità o il decesso; c) i depositi che soddisfano talune esigenze di cui al diritto nazionale e che sono basati sul pagamento di prestazioni assicurative o indennizzi per lesioni personali dolose o ingiusta condanna. I paragrafi 1 e 2 non impediscono agli Stati membri di mantenere o introdurre sistemi che proteggono prodotti inerenti a prestazioni di vecchiaia e pensioni, purché tali sistemi non coprano solo i depositi ma offrano una copertura globale per tutti i prodotti e le situazioni rilevanti sotto questo profilo. Gli Stati membri assicurano che i rimborsi vengano effettuati in una delle seguenti valute: a) la valuta dello Stato membro in cui è ubicato l’SGD; b) la valuta dello Stato membro in cui risiede il titolare del conto; c) l’euro; d) la valuta del conto; e) la valuta dello Stato membro in cui è ubicato il conto. I depositanti sono informati della valuta del rimborso. Se i conti sono tenuti in una valuta diversa da quella del rimborso, il tasso di cambio utilizzato è quello della data in cui l’autorità amministrativa pertinente giunge alla conclusione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, punto 8, lettera a), o quando un’autorità giudiziaria adotta la decisione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, punto 8, lettera b). Gli Stati membri che convertono in valuta nazionale gli importi di cui al paragrafo 1 utilizzano inizialmente il tasso di cambio in vigore il 3 luglio 2015. Gli Stati membri possono arrotondare gli importi risultanti dalla conversione, a condizione che l’arrotondamento non superi i 5.000 EUR. Fermo restando il secondo comma, gli Stati membri aggiustano i livelli di copertura convertiti in un’altra valuta all’importo di cui al paragrafo 1 del presente articolo ogni cinque anni. Gli Stati membri effettuano un aggiustamento anticipato, dopo aver consultato la Commissione, qualora si verifichino eventi imprevisti quali oscillazioni dei tassi di cambio. L’importo indicato nel paragrafo 1 è oggetto di un riesame periodico, almeno ogni cinque anni, da parte della Commissione. Questa presenta eventualmente una proposta di direttiva al Parlamento europeo e al Consiglio per adattare l’importo indicato al paragrafo 1, tenendo conto in particolare dell’evoluzione del settore bancario e della situazione economica e monetaria dell’Unione. Il primo riesame non ha luogo prima del 3 luglio 2020 a meno che eventi imprevisti impongano di anticiparlo. Alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati a norma dell’articolo 18 riguardo alla revisione dell’importo di cui al paragrafo 6, almeno ogni cinque anni, in funzione del tasso di inflazione nell’Unione europea, sulla base delle varia-
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zioni dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo sin dall’ultimo adeguamento pubblicato dalla Commissione. Articolo 7 Determinazione dell’importo rimborsabile 1. Il limite di cui all’articolo 6, paragrafo 1, si applica al cumulo dei depositi presso lo stesso ente creditizio, qualunque sia il numero dei depositi, la valuta e l’ubicazione nell’Unione. 2. La quota spettante a ciascun depositante su un conto congiunto è computata nel calcolo del limite previsto dall’articolo 6, paragrafo 1. Salvo specifiche disposizioni, tale conto è ripartito in proporzioni eguali tra i depositanti. Gli Stati membri possono prevedere che i depositi su un conto di cui due o più persone sono titolari come membri di una società di persone, o di altra associazione o gruppo di natura analoga senza personalità giuridica, possano essere cumulati e trattati come se fossero effettuati da un unico depositante ai fini del calcolo del limite previsto dall’articolo 6, paragrafo 1. 3. Quando il depositante non ha pieno diritto sulle somme depositate su un conto, la persona che ne ha pieno diritto beneficia della garanzia, purché essa sia stata identificata prima della data in cui un’autorità amministrativa pertinente giunge alla conclusione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, punto 8, lettera a), o un’autorità giudiziaria adotta una decisione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, punto 8, lettera b). Qualora una pluralità di persone ne abbiano pieno diritto, la quota spettante a ciascuna di esse in virtù delle disposizioni in materia di gestione delle somme è presa in considerazione nel calcolo del limite previsto dall’articolo 6, paragrafo 1. 4. La data di riferimento per il calcolo dell’importo rimborsabile è la data in cui un’autorità amministrativa pertinente giunge alla conclusione di cui all’articolo 2, paragrafo 1,punto 8, lettera a), o quando un’autorità giudiziaria adotta una decisione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, punto 8, lettera b). Le passività del depositante nei confronti dell’ente creditizio non sono prese in considerazione nel calcolo dell’importo rimborsabile. 5. Gli Stati membri possono decidere che le passività del depositante nei confronti dell’ente creditizio sono prese in considerazione nel calcolo dell’importo rimborsabile, se sono esigibili alla data in cui un’autorità amministrativa pertinente giunge alla conclusione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, punto 8, lettera a), o quando un’autorità giudiziaria adotta una decisione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, punto 8, lettera b), nella misura in cui la compensazione è possibile a norma delle disposizioni di legge o contrattuali che disciplinano il contratto tra l’ente creditizio e il depositante. Prima della conclusione del contratto l’ente creditizio informa i depositanti se le loro passività nei confronti dell’ente creditizio sono prese in considerazione nel calcolo dell’importo rimborsabile. 6. Gli Stati membri assicurano che gli SGD possano chiedere in qualunque momento agli enti creditizi di informarli circa l’importo totale dei depositi ammissibili di
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ciascun depositante. 7. Gli interessi maturati sui depositi ma non accreditati alla data in cui un’autorità amministrativa pertinente giunge alla conclusione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, punto 8, lettera a), o un’autorità giudiziaria adotta una decisione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, punto 8, lettera b), sono rimborsati dall’SGD. Il limite di cui all’articolo 6, paragrafo 1, non è superato. 8. Gli Stati membri possono decidere che talune categorie di depositi che soddisfano esigenze di carattere sociale definite dal diritto nazionale, per i quali un terzo ha fornito una garanzia nel rispetto delle norme sugli aiuti di Stato, non vengano prese in considerazione nel cumulo dei depositi detenuti dallo stesso depositante presso lo stesso ente creditizio come indicato al paragrafo 1 del presente articolo. In tali casi la garanzia del terzo è limitata al livello di copertura di cui all’articolo 6, paragrafo 1. 9. Quando gli enti creditizi sono autorizzati ai sensi del diritto nazionale a operare sotto diversi marchi di impresa di cui all’articolo 2 della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio16, gli Stati membri assicurano che i depositanti vengano informati chiaramente che l’ente creditizio opera sotto diversi marchi e che il livello di copertura di cui all’articolo 6, paragrafi 1, 2 e 3, della presente direttiva si applica al cumulo dei depositi detenuti dal depositante presso l’ente creditizio. Le informazioni da fornire ai depositanti, di cui all’articolo 16 della presente direttiva e al suo allegato I, contengono le suddette informazioni. Articolo 8 Rimborso 1. Gli SGD assicurano che l’importo rimborsabile sia disponibile entro sette giorni lavorativi a decorrere dalla data in cui un’autorità amministrativa pertinente giunge alla conclusione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, punto 8, lettera a), o un’autorità giudiziaria adotta la decisione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, punto 8, lettera b). 2. Tuttavia, per un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2023, gli Stati membri possono stabilire i seguenti periodi di rimborso fino a: a) 20 giorni lavorativi fino al 31 dicembre 2018; b) 15 giorni lavorativi dal 1° gennaio 2019 fino al 31 dicembre 2020; c) 10 giorni lavorativi dal 1° gennaio 2021 fino al 31 dicembre 2023; 3. Gli Stati membri possono decidere che i depositi di cui all’articolo 7, paragrafo 3, sono soggetti a un periodo di rimborso più lungo, che non supera i tre mesi a decorrere dalla data in cui un’autorità amministrativa pertinente trae la conclusione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, punto 8, lettera a), o in cui un’autorità giudiziaria adotta la decisione di cui all’articolo 2, paragrafo 1, punto 8, lettera b).
16 Direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU L 299 dell’8.11.2008, p. 25).
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4. Durante il periodo transitorio fino al 31 dicembre 2023, qualora gli SGD non possano rendere disponibile l’importo rimborsabile entro sette giorni lavorativi, gli stessi assicurano che i depositanti abbiano accesso a un importo appropriato dei loro depositi coperti per tenere conto del costo della vita entro cinque giorni lavorativi da una richiesta. Gli SGD rendono disponibili solo gli opportuni importi di cui al primo comma sulla base di dati forniti dall’SGD o dall’ente creditizio. Gli opportuni importi di cui al primo comma sono dedotti dall’importo rimborsabile di cui all’articolo 7. 5. Il rimborso di cui ai paragrafi 1 e 4 può essere differito se: a) vi è incertezza in merito al diritto di una persona a ricevere il rimborso o se il deposito è oggetto di una controversia legale; b) il deposito è soggetto a misure restrittive imposte da governi nazionali o da organismi internazionali; c) in deroga al paragrafo 9 del presente articolo, se non sono state effettuate operazioni relative al deposito negli ultimi 24 mesi (il conto è dormiente); d) se l’importo da rimborsare è considerato parte di un saldo temporaneamente elevato quale definito all’articolo 6, paragrafo 2; o e) se l’importo da rimborsare deve essere pagato dal sistema di garanzia dei depositi dello Stato membro ospitante conformemente all’articolo 14, paragrafo 2. 6. L’importo rimborsabile è messo a disposizione senza che sia necessario presentare una richiesta a un SGD. A tal fine l’ente creditizio trasmette le informazioni necessarie sui depositi e sui depositanti non appena richiesto dall’SGD. 7. Qualsiasi corrispondenza tra l’SGD e il depositante è redatta: a) nella lingua ufficiale delle istituzioni dell’Unione che l’ente creditizio presso cui si trova il deposito coperto utilizza per le comunicazioni con il depositante; o b) nella o nelle lingue ufficiali dello Stato membro in cui si trova il deposito coperto. Se un ente creditizio opera direttamente in un altro Stato membro senza aver stabilito succursali, le informazioni sono fornite nella lingua scelta dal depositante al momento dell’apertura del conto. 8. In deroga al termine di cui al paragrafo 1 del presente articolo, qualora un depositante, o altra persona avente diritti o un interesse sulle somme depositate su un conto, sia stato accusato di un reato risultante o connesso con il riciclaggio dei proventi di attività illecite ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2005/60/ CE, l’SGD può sospendere i pagamenti relativi al depositante in questione in attesa della sentenza del tribunale. 9. Non è previsto alcun rimborso qualora non vi sia stata alcuna operazione relativa al deposito negli ultimi venti quattro mesi e il valore del deposito sia inferiore ai costi amministrativi che deriverebbero all’SGD da tale rimborso. Articolo 9 Diritti nei confronti degli SGD 1. Gli Stati membri provvedono affinché il diritto all’indennizzo del depositante possa formare oggetto di un ricorso avverso l’SGD.
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2. Fatto salvo qualsiasi altro diritto che esso possa avere ai sensi della legislazione nazionale, l’SGD che effettua pagamenti a titolo di garanzia in un contesto nazionale ha il diritto di subentrare nei diritti ai depositanti nell’ambito dei procedimenti di liquidazione o riorganizzazione per un importo pari alle somme pagate ai depositanti. Quando un SGD effettua pagamenti nel contesto di procedure di risoluzione, compresa l’applicazione degli strumenti di risoluzione delle crisi o l’esercizio dei poteri di risoluzione delle crisi ai sensi dell’articolo 11, l’SGD vanta un diritto nei confronti dell’ente creditizio pertinente per un importo pari ai suoi pagamenti. Tale diritto è considerato allo stesso livello dei depositi coperti ai sensi del diritto nazionale che disciplina le normali procedure di insolvenza di cui alla direttiva 2014/59/UE. 3. Gli Stati membri possono limitare il periodo entro il quale i depositanti i cui depositi non sono stati rimborsati o riconosciuti dall’SGD entro i termini di cui all’articolo 8, paragrafi 1 e 3, possono reclamare il rimborso dei loro depositi. Articolo 10 Finanziamento degli SGD 1. Gli Stati membri assicurano che gli SGD dispongano di sistemi adeguati per determinare le loro passività potenziali. I mezzi finanziari disponibili degli SGD sono proporzionati a tali passività. I mezzi finanziari disponibili degli SGD derivano dai contributi che devono essere versati dai loro membri almeno annualmente. Ciò non impedisce finanziamenti aggiuntivi provenienti da altre fonti. 2. Gli Stati membri assicurano che, entro il 3 luglio 2024, i mezzi finanziari disponibili di un SGD raggiungano quantomeno un livello-obiettivo dello 0,8 % dell’importo dei depositi coperti dei suoi membri. Quando la capacità di finanziamento è inferiore al livello-obiettivo, il pagamento dei contributi riprende almeno fino al raggiungimento del livello-obiettivo. Se, dopo che il livello-obiettivo è stato raggiunto per la prima volta, i mezzi finanziari disponibili sono stati ridotti a meno di due terzi del livello-obiettivo, il contributo regolare è fissato a un livello che consenta di raggiungere il livello-obiettivo entro sei anni. Il contributo regolare tiene debito conto della fase del ciclo economico e dell’impatto che possono avere i contributi prociclici quando si stabiliscono i contributi annuali nel contesto del presente articolo. Gli Stati membri possono prorogare il periodo iniziale di cui al primo comma per un massimo di quattro anni se l’SGD ha effettuato esborsi cumulati per una percentuale superiore allo 0,8 % dei depositi coperti. 3. I mezzi finanziari disponibili da prendere in considerazione per il raggiungimento del livello-obiettivo possono includere gli impegni di pagamento. La quota totale di impegni di pagamento non supera il 30 % dell’importo totale dei mezzi finanziari disponibili raccolti ai sensi del presente articolo. Al fine di garantire l’applicazione uniforme della presente direttiva, l’ABE emana orientamenti sugli impegni di paga mento.
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4. Nonostante il paragrafo 1 del presente articolo, per adempiere agli obblighi ivi previsti, uno Stato membro può raccogliere i mezzi finanziari disponibili mediante contributi obbligatori pagati da enti creditizi a sistemi di contributi obbligatori esistenti stabiliti da uno Stato membro nel suo territorio al fine di coprire le spese relative al rischio sistemico, al fallimento e alla risoluzione degli enti. Gli SGD hanno diritto a un importo pari all’importo di tali contributi fino al livelloobiettivo di cui al paragrafo 2 del presente articolo, che lo Stato membro renderà immediatamente disponibile, su richiesta, a tali SGD, e da utilizzare esclusivamente ai fini previsti nell’articolo 11. Gli SGD hanno diritto a detto importo solo se l’autorità competente ritiene che essi non siano in grado di raccogliere contributi straordinari dai loro membri. Gli SGD devono restituire tale importo mediante i contributi dei loro membri ai sensi dell’articolo 10, paragrafi 1 e 2. 5. I contributi ai meccanismi di finanziamento della risoluzione delle crisi di cui al titolo VII della direttiva 2014/59/UE, compresi i mezzi finanziari disponibili da prendere in considerazione per il raggiungimento del livello-obiettivo dei meccanismi di finanziamento della risoluzione delle crisi ai sensi dell’articolo 102, paragrafo 1, della direttiva 2014/59/UE, non contano ai fini del livello-obiettivo. 6. In deroga al paragrafo 2, gli Stati membri possono, se giustificato e previa approvazione da parte della Commissione, autorizzare un livello-obiettivo minimo inferiore al livello-obiettivo specificato nel paragrafo 2, purché siano soddisfatte le seguenti condizioni: a) la riduzione si basa sull’ipotesi che è improbabile che una quota rilevante dei mezzi finanziari disponibili sia utilizzata per misure volte a proteggere depositanti coperti diversi da quelli di cui all’articolo 11, paragrafi 2 e 6, e b) il settore bancario in cui operano gli enti creditizi affiliati all’SGD è altamente concentrato e una grande quantità di attività è detenuta da un piccolo numero di enti creditizi o di gruppi bancari, soggetti a vigilanza su base consolidata i quali, data la loro dimensione, in caso di fallimento sarebbero probabilmente soggetti a procedure di risoluzione. Tale livello-obiettivo ridotto non è inferiore allo 0,5 % dei depositi coperti. 7. I mezzi finanziari disponibili degli SGD sono investiti con modalità a basso rischio e con sufficiente diversificazione. 8. Se i mezzi finanziari disponibili di un SGD sono insufficienti a rimborsare i depositanti quando i depositi diventano indisponibili, i suoi membri versano contributi straordinari non superiori allo 0,5 % dei depositi coperti per anno di calendario. In casi eccezionali e con il consenso dell’autorità competente gli SGD possono esigere contributi più elevati. L’autorità competente può differire, in tutto o in parte, il pagamento da parte di un ente creditizio dei contributi straordinari ex post agli SGD laddove i contributi metterebbero a repentaglio la liquidità o la solvibilità dell’ente creditizio. Tale differimento non è concesso per un periodo superiore a sei mesi ma può essere rinnovato su richiesta dell’ente creditizio. I contributi differiti a norma del presente paragrafo sono versati quando tale pagamento non mette più a repentaglio la liquidità o la solvibilità dell’ente creditizio.
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9. Gli Stati membri assicurano che gli SGD dispongano di adeguati sistemi di finanziamento alternativo che consentano loro di ottenere finanziamenti a breve termine per soddisfare i diritti fatti valere nei loro confronti. 10. Entro il 31 marzo di ciascun anno gli Stati membri informano l’ABE dell’importo dei depositi coperti nel loro Stato membro e dell’importo dei mezzi finanziari disponibili dei loro SGD al 31 dicembre del precedente anno. 11. Articolo 11 Uso dei fondi 1. I mezzi finanziari di cui all’articolo 10 sono usati principalmente per il rimborso dei depositanti ai sensi della presente direttiva. 2. I mezzi finanziari di un SGD sono utilizzati per finanziare la risoluzione degli enti creditizi conformemente all’articolo 109 della direttiva 2014/59/UE. L’autorità di risoluzione determina, sentito l’SGD, l’importo di cui quest’ultimo è responsabile. 3. Gli Stati membri possono autorizzare un SGD a utilizzare i mezzi finanziari disponibili per misure alternative volte a evitare il fallimento di un ente creditizio, purché siano soddisfatte le seguenti condizioni: a) l’autorità di risoluzione non ha adottato alcuna azione di risoluzione ai sensi dell’articolo 32 della direttiva 2014/59/UE; b) gli SGD sono dotati di sistemi e procedure appropriati per la scelta e l’esecuzione delle misure alternative nonché il monitoraggio dei rischi affiliati; c) i costi delle misure non superano i costi necessari ad adempiere il mandato statutario o contrattuale degli SGD; d) l’utilizzo di misure alternative da parte dell’SGD è subordinato a obblighi a carico dell’ente creditizio che ha bisogno del sostegno, che comprendono almeno una vigilanza più rigorosa del rischio e ampi diritti di controllo da parte dell’SGD; e) l’utilizzo di misure alternative da parte dell’SGD è subordinato a impegni da parte dell’ente creditizio che ha bisogno del sostegno nel senso di assicurare l’accesso ai depositi coperti; f) l’autorità competente conferma nella sua valutazione la capacità dell’ente creditizio affiliato di pagare i contributi straordinari ai sensi del paragrafo 5 del presente articolo. L’SGD consulta l’autorità di risoluzione e l’autorità competente in merito alle misure e alle condizioni imposte all’ente creditizio. 4. Le misure alternative di cui al paragrafo 3 del presente articolo non sono applicate qualora l’autorità competente, sentita l’autorità di risoluzione, ritenga che sussistano le condizioni per un’azione di risoluzione ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2014/59/UE. 5. Se i mezzi finanziari disponibili sono utilizzati ai sensi del paragrafo 3 del presente articolo, gli enti creditizi affiliati trasferiscono immediatamente all’SGD i mezzi utilizzati per le misure alternative, se necessario sotto forma di contributi straordinari, qualora: a) si presenti la necessità di rimborsare i depositanti e i mezzi finanziari disponibili dell’SGD siano inferiori a due terzi del livello-obiettivo;
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b) i mezzi finanziari disponibili risultino inferiori al 25 % del livello-obiettivo. 6. Gli Stati membri possono decidere che i mezzi finanziari disponibili possono essere utilizzati anche per finanziare misure volte a preservare l’accesso dei depositanti ai depositi coperti, compreso il trasferimento delle attività e delle passività e il trasferimento dei libretti di deposito, nel contesto in procedure di insolvenza nazionali, purché i costi sopportati dall’SGD non superino l’importo netto dell’indennizzo dei depositanti coperti presso l’ente creditizio interessato. Articolo 12 Concessione di prestiti tra SGD 1. Gli Stati membri possono autorizzare gli SGD a concedere prestiti ad altri SGD all’interno dell’Unione, su base volontaria, purché siano soddisfatte le condizioni seguenti: a) l’SGD mutuatario non sia in grado di adempiere ai propri obblighi ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, a causa della mancanza dei mezzi finanziari disponibili di cui all’articolo 10; b) l’SGD mutuatario abbia fatto ricorso ai contributi straordinari di cui all’articolo 10, paragrafo 8; c) l’SGD mutuatario abbia assunto l’impegno giuridico di utilizzare i fondi presi a prestito per regolare i diritti a norma dell’articolo 9, paragrafo 1; d) l’SGD mutuatario non sia attualmente soggetto all’obbligo di rimborsare un prestito ad altri SGD a norma del presente articolo; e) l’SGD mutuatario indichi l’importo di denaro richiesto; f) l’importo totale preso a prestito non superi lo 0,5 % dei depositi coperti dell’SGD mutuatario; g) l’SGD mutuatario informi immediatamente l’ABE e indichi le ragioni per cui le condizioni di cui al presente punto sono soddisfatte e l’importo di denaro richiesto. 2. Il prestito è soggetto alle seguenti condizioni: a) l’SGD mutuatario deve rimborsare il prestito entro cinque anni. Può rimborsarlo in quote annuali. Gli interessi sono dovuti solo al momento del rimborso; b) il tasso di interesse fissato deve essere almeno equivalente al tasso per operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea durante il periodo del credito; c) l’SGD mutuante deve informare l’ABE del tasso di interesse iniziale e della durata del prestito. 3. Gli Stati membri assicurano che i contributi percepiti dall’SGD mutuatario siano sufficienti per rimborsare l’importo preso a prestito e ristabilire il livello-obiettivo quanto prima. Articolo 13 Calcolo dei contributi agli SGD 1. I contributi agli SDG di cui all’articolo 10 sono basati sull’importo dei depositi coperti e sul grado di rischio sostenuto dai rispettivi membri.
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Gli Stati membri possono prevedere contributi inferiori per settori a basso rischio che sono disciplinati dal diritto interno. Gli Stati membri possono decidere che i membri di un sistema di protezione istituzionale versino contributi più bassi agli SGD. Gli Stati membri possono acconsentire a che l’organismo centrale e tutti gli enti creditizi permanentemente affiliati all’organismo centrale di cui all’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 575/2013 siano soggetti nel loro complesso alla ponderazione del rischio determinata per l’organismo centrale e gli enti a esso affiliati su una base consolidata. Gli Stati membri possono decidere che gli enti creditizi versino un contributo minimo, a prescindere dall’importo dei loro depositi coperti. 2. Gli SGD possono utilizzare i propri metodi basati sul rischio per determinare e calcolare i contributi basati sul rischio dei loro membri. Il calcolo dei contributi è proporzionale al rischio dei membri e tiene in debito conto i profili di rischio dei diversi modelli economici. Tali metodi alternativi possono altresì prendere in considerazione l’attivo dello stato patrimoniale e indicatori del rischio, quali l’adeguatezza patrimoniale, la qualità dell’attivo e la liquidità. Ciascun metodo è approvato dall’autorità competente in cooperazione con l’autorità designata. L’ABE è informata circa i metodi approvati. 3. Al fine di garantire l’applicazione uniforme della presente direttiva, entro il 3 luglio 2015, l’ABE emana orientamenti ai sensi dell’articolo 16 del regolamento (UE) n. 1093/2010 per specificare i metodi di calcolo dei contributi agli SGD conformemente ai paragrafi 1 e 2 del presente articolo. In particolare, include una formula di calcolo, indicatori specifici, classi di rischio per i membri, soglie per i coefficienti di ponderazione del rischio assegnati alle specifiche classi di rischio e altri elementi necessari. Entro il 3 luglio 2017, e successivamente almeno ogni cinque anni, l’ABE procede a una verifica degli orientamenti sui metodi basati sul rischio o sui metodi propri alternativi basati sul rischio applicati dagli SGD. Articolo 14 Cooperazione all’interno dell’Unione 1. Gli SGD si applicano ai depositanti delle succursali costituite dai loro enti creditizi membri in altri Stati membri. 2. I depositanti delle succursali istituite da enti creditizi in un altro Stato membro sono rimborsati da un SGD nello Stato membro ospitante per conto dell’SGD dello Stato membro di origine. L’SGD dello Stato membro ospitante effettua i rimborsi conformemente alle istruzioni dell’SGD dello Stato membro di origine. L’SGD dello Stato membro ospitante non è responsabile degli atti compiuti conformemente alle istruzioni dell’SGD dello Stato membro di origine. L’SGD dello Stato membro di origine fornisce i fondi necessari prima del rimborso e risarcisce l’SGD dello Stato membro ospitante di tutti i costi sostenuti. L’SGD dello Stato membro ospitante informa inoltre i depositanti interessati per conto dell’SGD dello Stato membro di origine ed è abilitato a ricevere la corri-
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spondenza proveniente da tali depositanti per conto dell’SGD dello Stato membro di origine. 3. Se un ente creditizio cessa di essere membro di un SGD e diventa membro di un altro SGD, i contributi versati durante i 12 mesi precedenti l’uscita dal primo SGD, a eccezione dei contributi straordinari conformemente all’articolo 10, paragrafo 8, sono trasferiti all’altro SGD. Tale disposizione non si applica se un ente creditizio è stato escluso da un SGD a norma dell’articolo 4, paragrafo 5. Se alcune delle attività di un ente creditizio sono trasferite a un altro Stato membro, divenendo in tal modo soggette a un altro SGD, i contributi di tale ente creditizio, a eccezione dei contributi straordinari conformemente all’articolo 10, paragrafo 8, versati durante i 12 mesi precedenti il trasferimento sono trasferiti all’altro SGD in proporzione all’importo dei depositi coperti trasferiti. 4. Gli Stati membri assicurano che gli SGD dello Stato membro di origine scambino le informazioni di cui all’articolo 4, paragrafo 7, o all’articolo 4, paragrafi 8 e 10, con quelli degli Stati membri ospitanti. Si applicano le restrizioni previste da tale articolo. Se un ente creditizio intende trasferirsi da un SGD a un altro, conformemente alla presente direttiva, notifica la propria intenzione con almeno sei mesi di anticipo. Durante tale periodo l’ente creditizio è ancora tenuto a contribuire al proprio SGD originario, ai sensi dell’articolo 10, in termini di finanziamenti ex ante ed ex post. 5. Al fine di facilitare l’efficace collaborazione tra gli SGD, in particolare in ordine al presente articolo e all’articolo 12, gli SGD o, laddove appropriato, le autorità designate dispongono di accordi scritti di cooperazione. Tali accordi tengono conto dei requisiti fissati nell’articolo 4, paragrafo 9. L’autorità designata informa l’ABE dell’esistenza e del tenore di tali accordi e l’ABE può emanare pareri conformemente all’articolo 34 del regolamento (UE) n. 1093/2010. Se le autorità designate o gli SGD non riescono a raggiungere un accordo o vi è una disputa circa l’interpretazione di un accordo, entrambe le parti, conformemente all’articolo 19 del regolamento (UE) n. 1093/2010, possono deferire la questione all’ABE, la quale agisce conformemente a tale articolo. L’assenza di tali accordi non influisce sui diritti dei depositanti di cui all’articolo 9, paragrafo 1, o degli enti creditizi di cui al paragrafo 3 del presente articolo. 6. Gli Stati membri provvedono a istituire le procedure necessarie per consentire agli SGD di condividere le informazioni e comunicare in modo efficace con altri SGD, con gli enti creditizi loro affiliati e con le autorità competenti e designate sia all’interno della loro giurisdizione sia con altre agenzie su base transfrontaliera, laddove appropriato. 7. L’ABE e le autorità competenti e designate cooperano tra di loro ed esercitano i propri poteri conformemente alla presente direttiva e al regolamento (UE) n. 1093/2010. Gli Stati membri informano la Commissione e l’ABE circa l’identità della loro autorità designata entro il 3 luglio 2015. 8. L’ABE coopera con il comitato europeo per il rischio sistemico (CERS), istituito
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dal regolamento (UE) n. 1092/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio17 sull’analisi del rischio sistemico relativamente agli SGD. Articolo 15 Succursali di enti creditizi di paesi terzi 1. Gli Stati membri verificano che le succursali di enti creditizi stabilite nel loro territorio aventi la sede principale al di fuori dell’Unione usufruiscano di una protezione equivalente a quella prescritta dalla presente direttiva. Se la protezione non è equivalente, gli Stati membri possono prevedere, salvo il disposto dell’articolo 47, paragrafo 1, della direttiva 2013/36/UE, che le succursali di enti creditizi aventi la sede principale al di fuori dell’Unione diventino membri di un SGD esistente sul loro territorio. Nell’eseguire la verifica di cui al primo comma del presente paragrafo, gli Stati membri controllano perlomeno che i depositanti beneficino dello stesso livello di copertura e ambito di tutela previsti nella presente direttiva. 2. Ogni succursale di enti creditizi aventi la sede principale al di fuori dell’Unione e che non sono membri di un SGD operante in uno Stato membro fornisce tutte le pertinenti informazioni concernenti le disposizioni di garanzia per i depositi dei depositanti effettivi o potenziali di detta succursale. 3. Le informazioni di cui al paragrafo 2 sono rese disponibili nella lingua concordata dal depositante e dall’ente creditizio al momento dell’apertura del conto o nella lingua ufficiale o nelle lingue ufficiali dello Stato membro in cui è stabilita la succursale, secondo le modalità prescritte dalla legislazione nazionale, e sono chiare e comprensibili. Articolo 16 Informazioni da fornire ai depositanti 1. Gli Stati membri provvedono affinché gli enti creditizi mettano a disposizione dei depositanti effettivi e potenziali le informazioni necessarie per individuare l’SGD al quale appartengono l’ente e le sue succursali all’interno dell’Unione. Gli Stati membri assicurano che gli enti creditizi informino i depositanti effettivi e potenziali delle esclusioni applicabili dalla protezione degli SGD. 2. Prima della conclusione di un contratto di apertura del deposito, i depositanti ricevono le informazioni di cui al paragrafo 1 e ne accusano ricevuta. A tal fine si utilizza il modulo standard di cui all’allegato I. 3. Nel loro estratto conto i depositanti ricevono conferma che i loro depositi sono depositi ammissibili, compreso un riferimento al foglio informativo di cui all’allegato
17 Regolamento (UE) n. 1092/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativo alla vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario nell’Unione europea e che istituisce il Comitato europeo per il rischio sistemico (GU L 331 del 15.12.2010, p. 1).
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Direttiva 2014/49/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 Aprile 2014
4.
5.
6.
7. 8.
I. È altresì indicato il sito Internet dell’SGD pertinente. Il foglio informativo di cui all’allegato I è fornito al depositante almeno una volta l’anno. Il sito Internet dell’SGD contiene le necessarie informazioni per i depositanti, in particolare quelle relative alle disposizioni concernenti la procedura e le condizioni delle garanzie di deposito quali previste dalla presente direttiva. Le informazioni di cui al paragrafo 1 sono rese disponibili, secondo le modalità prescritte dalla legislazione nazionale, nella lingua concordata dal depositante e dall’ente creditizio al momento dell’apertura del conto o nella lingua ufficiale o nelle lingue ufficiali dello Stato membro in cui è stabilita la succursale. Gli Stati membri limitano l’utilizzo, a scopo di pubblicità, delle informazioni di cui ai paragrafi 1, 2 e 3, alla semplice menzione dell’SGD che garantisce il prodotto al quale si riferisce la pubblicità e alle informazioni supplementari eventualmente prescritte dalla legislazione nazionale. Tali informazioni possono contemplare una discrezione fattuale del funzionamento dell’SGD, ma non possono contenere un riferimento alla copertura illimitata dei depositi. Nel caso di una fusione, di una conversione di filiazioni in succursali od operazioni analoghe, i depositanti ne sono informati almeno un mese prima che l’operazione acquisti efficacia giuridica, a meno che l’autorità competente autorizzi un termine più breve per motivi di segreto commerciale o stabilità finanziaria. Ai depositanti è concesso un termine di tre mesi dalla notifica della fusione o della conversione od operazioni analoghe per ritirare o trasferire i depositi in un altro ente creditizio, senza incorrere in alcuna penalità e serbando il diritto a tutti gli interessi e ai benefici maturati, nella misura in cui i depositi superano il livello di copertura di cui all’articolo 6, al momento dell’operazione. Gli Stati membri provvedono affinché se un ente creditizio si ritira o è escluso da un SGD, l’ente informi i suoi depositanti entro un mese da tale ritiro o esclusione. Se un depositante utilizza i servizi bancari via Internet, le informazioni che debbono essere comunicate a norma della presente direttiva possono essere trasmesse tramite mezzi elettronici. Su richiesta del depositante, le informazioni sono comunicate in formato cartaceo. Articolo 17 Elenco degli enti creditizi autorizzati
1. Gli Stati membri provvedono affinché, nel comunicare all’ABE le autorizzazioni ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, della direttiva 2013/36/UE, le autorità competenti indichino a quale SGD appartiene ciascun ente creditizio. 2. Quando pubblica e aggiorna l’elenco degli enti creditizi autorizzati ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, della direttiva 2013/36/UE, l’ABE indica a quale SGD appartiene ciascun ente creditizio. Articolo 18 Esercizio della delega 1. Il potere di adottare atti delegati è conferito alla Commissione alle condizioni
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Legislazione
stabilite nel presente articolo. 2. Il potere di adottare atti delegati di cui all’articolo 6, paragrafo 7, è conferito alla Commissione per un periodo indeterminato. 3. La delega di potere di cui all’articolo 6, paragrafo 7, può essere revocata in qualsiasi momento dal Parlamento europeo o dal Consiglio. La decisione di revoca pone fine alla delega di potere ivi specificata. Gli effetti della decisione decorrono dal giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea o da una data successiva ivi precisata. Essa non pregiudica la validità degli atti delegati già in vigore. 4. Non appena adotta un atto delegato, la Commissione ne dà contestualmente notifica al Parlamento europeo e al Consiglio. 5. L’atto delegato adottato ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 7, entra in vigore solo se né il Parlamento europeo né il Consiglio hanno sollevato obiezioni entro il termine di tre mesi dalla data in cui esso è stato loro notificato o se, prima della scadenza di tale termine, sia il Parlamento europeo che il Consiglio hanno informato la Commissione che non intendono sollevare obiezioni. Tale termine è prorogato di tre mesi su iniziativa del Parlamento europeo o del Consiglio. Articolo 19 Disposizioni transitorie 1. Quando taluni depositi o categorie di depositi o altri strumenti cessano di essere coperti integralmente o parzialmente dagli SGD dopo il recepimento della presente direttiva o della direttiva 2009/14/CE nel diritto nazionale, gli Stati membri possono consentire che tali depositi e altri strumenti che hanno una data di scadenza iniziale siano coperti fino alla data di scadenza iniziale se sono stati aperti o emessi anteriormente al 2 luglio 2014. 2. Gli Stati membri assicurano che i depositanti siano informati circa i depositi o le categorie di depositi o altri strumenti che non saranno più coperti da un SGD dopo il 3 luglio 2015. 3. Fino al primo raggiungimento del livello-obiettivo, gli Stati membri possono applicare le soglie di cui all’articolo 11, paragrafo 5, relativamente ai mezzi finanziari disponibili. 4. In deroga all’articolo 6, paragrafo 1, gli Stati membri che, al 1° gennaio 2008, prevedevano un livello di copertura compreso tra 100.000 EUR e 300.000 EUR, possono riapplicare tale livello di copertura più elevato fino al 31 dicembre 2018. In tal caso, il livello-obiettivo e i contributi degli enti creditizi sono adeguati di conseguenza. 5. Entro il 3 luglio 2019, la Commissione presenta una relazione e, se del caso, una proposta legislativa al Parlamento europeo e al Consiglio che illustri come gli SGD operanti nell’Unione possano cooperare attraverso un sistema europeo per prevenire i rischi derivanti da attività transfrontaliere e proteggere i depositi da tali rischi. 6. Entro il 3 luglio 2019, la Commissione, con l’assistenza dell’ABE, presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sui progressi compiuti in materia di attuazione della presente direttiva. Tale relazione dovrebbe esaminare in particolare:
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Direttiva 2014/49/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 Aprile 2014
a) il livello-obiettivo sulla base dei depositi coperti, valutando la pertinenza della percentuale stabilita, tenendo conto del fallimento degli enti creditizi nell’Unione nel passato; b) l’impatto delle misure alternative utilizzate ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 3, sulla tutela dei depositanti e la coerenza con la corretta procedura di liquidazione nel settore bancario; c) l’impatto sulla diversità dei modelli bancari; d) l’adeguatezza dell’attuale livello di copertura per i depositanti; e e) se le questioni di cui al presente comma siano state affrontate in maniera tale da mantenere comunque elevata la tutela dei depositanti. Entro il 3 luglio 2019, l’ABE riferisce alla Commissione circa i modelli di calcolo e la loro pertinenza per il rischio operativo dei membri. Nella relazione l’ABE tiene in debito conto i profili di rischio dei diversi modelli economici. Articolo 20 Recepimento
1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi agli articoli da 1 a 4, all’articolo 5, paragrafo 1, lettere da d) a k), all’articolo 5, paragrafi 2, 3 e 4 all’articolo 6, paragrafi da 2 a 7, all’articolo 7, paragrafi da 4 a 9, all’articolo 8, paragrafi 1, 2, 3, 5, 6, 7 e 9, all’articolo 9, paragrafi 2 e 3, agli articoli da 10 a 16, agli articoli 18 e 19 e all’allegato I entro il 3 luglio 2015. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi all’articolo 8, paragrafo 4, entro il 31 maggio 2016. Qualora, dopo un attento esame, le autorità appropriate stabiliscano che un SGD non è ancora in grado di conformarsi all’articolo 13 entro il 3 luglio 2015, le pertinenti disposizioni legislative, regolamentari e amministrative sono messe in vigore entro il 31 maggio 2016. Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Esse recano altresì l’indicazione che nelle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative in vigore e i riferimenti alle direttive abrogate dalla presente direttiva s’intendono fatti a quest’ultima. Le modalità del riferimento e la formulazione dell’indicazione sono stabilite dagli Stati membri. 2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle principali disposizioni legislative nazionali che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva. Articolo 21 Abrogazione La direttiva 94/19/CE, modificata dalle direttive elencate nell’allegato II, è abrogata con effetto dal 4 luglio 2016 fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi
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ai termini di recepimento nel diritto nazionale e alle date di applicazione delle direttive di cui all’allegato II. I riferimenti alle direttive abrogate si intendono fatti alla presente direttiva e si leggono secondo la tavola di concordanza di cui all’allegato III. Articolo 22 Entrata in vigore La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. L’articolo 5, paragrafo 1, lettere a), b) e c), l’articolo 6, paragrafo 1, l’articolo 7, paragrafi 1, 2 e 3, l’articolo 8, paragrafo 8, l’articolo 9, paragrafo 1, e l’articolo 17 si applicano dal 4 luglio 2015. Articolo 23 Destinatari Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva. Fatto a Strasburgo, il 16 aprile 2014 Per il Parlamento europeo Per il Consiglio Il Presidente Il Presidente M. Schulz D. Kourkoulas
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Allegati
ALLEGATO I
Modulo standard per le informazioni da fornire ai depositanti Informazioni di base sulla protezione dei depositi I depositi presso [inserire [inserire il nome dell’SGD pertinente] (1) il nome dell’ente creditizio] sono protetti da: 100.000 EUR per depositante e per ente creditizio (2) Limite della protezione: [sostituire con l’importo appropriato se la valuta non è l’EUR] [se del caso:] I seguenti marchi di impresa fanno parte del Suo ente creditizio [inserire tutti i marchi operanti in base alla stessa autorizzazione] Se possiede più depositi Tutti i Suoi depositi presso lo stesso ente creditipresso lo stesso ente cre- zio sono «cumulati» e il totale è soggetto al limite di ditizio: 100.000 EUR [sostituire con l’importo appropriato se la valuta non è l’EUR] (2) Se possiede un conto Il limite di 100.000 EUR [sostituire con l’importo apcongiunto con un’altra per- propriato se la valuta non è l’EUR] si applica a ciascun sona/altre persone: depositante separatamente (3) Periodo di rimborso in 7 giorni lavorativi (4) caso di fallimento dell’ente [se del caso, sostituire con un’altra scadenza] creditizio: Valuta del rimborso: EUR [se del caso, sostituire con un’altra valuta] Contatto: [inserire i dati di contatto dell’SGD pertinente (indirizzo, telefono, e-mail ecc.)] Per maggiori informazioni: [inserire il sito Internet dell’SGD pertinente] Conferma di ricezione del depositante: (1) Sistema responsabile della protezione del suo deposito [Solo se applicabile:] Il Suo deposito è coperto da un sistema istituito per contratto, ufficialmente riconosciuto come sistema di garanzia dei depositi. In caso di insolvenza del Suo ente creditizio, i Suoi depositi sarebbero rimborsati fino a 100.000 EUR [sostituire con l’importo appropriato se la valuta non è l’EUR]. [Solo se applicabile:] Il Suo ente creditizio fa parte di un sistema di tutela istituzionale ufficialmente riconosciuto come sistema di garanzia dei depositi. Ciò significa che tutti gli enti appartenenti a questo sistema si sostengono vicendevolmente per evitare un’insolvenza. In caso di insolvenza, i Suoi depositi sarebbero rimborsati fino a 100.000 EUR [sostituire con l’importo appropriato se la valuta non è l’EUR]. [Solo se applicabile:] Il Suo deposito è coperto da un sistema di garanzia dei depositi istituito per legge e da un sistema di garanzia dei depositi istituito per contratto. In caso di insolvenza del Suo ente creditizio, i Suoi depositi sarebbero comunque rimborsati fino a 100.000 EUR [sostituire con l’importo appropriato se la valuta non è l’EUR].
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[Solo se applicabile:] Il Suo deposito è coperto da un sistema di garanzia dei depositi istituito per legge. Inoltre, il Suo ente creditizio fa parte di un sistema di tutela istituzionale in cui tutti i membri si sostengono vicendevolmente per evitare un’insolvenza. In caso di insolvenza, i Suoi depositi sarebbero rimborsati fino a 100.000 EUR [sostituire con l’importo appropriato se la valuta non è l’EUR] dall’SGD. (2) Limite generale della protezione Se un deposito è indisponibile perché un ente creditizio non è in grado di assolvere i suoi obblighi finanziari, i depositanti sono rimborsati da un sistema di garanzia dei depositi. Il rimborso è limitato a 100.000 EUR [sostituire con l’importo appropriato se la valuta non è EUR] per ente creditizio. Ciò significa che tutti i depositi presso lo stesso ente creditizio sono sommati per determinare il livello di copertura. Se, ad esempio, un depositante detiene un conto di risparmio di 90.000 EUR e un conto corrente di 20.000 EUR, gli saranno rimborsati solo 100.000 EUR. [Solo se applicabile:] Questo metodo sarà applicato anche se un ente creditizio opera sotto diversi marchi di impresa. Il [inserire il nome dell’ente creditizio che detiene il conto] opera anche sotto [inserire tutti gli altri marchi di impresa dello stesso ente creditizio]. Ciò significa che tutti i depositi presso una o più di questi marchi di impresa sono complessivamente coperti fino a 100.000 EUR. (3) Limite di protezione per i conti congiunti In caso di conti congiunti, si applica a ciascun depositante il limite di 100.000 EUR. [Solo se applicabile:] Tuttavia i depositi su un conto di cui due o più persone sono titolari come membri di una società di persone o di altra associazione o gruppo di natura analoga senza personalità giuridica sono cumulati e trattati come se fossero effettuati da un unico depositante ai fini del calcolo del limite di 100.000 EUR [sostituire con l’importo appropriato se la valuta non è l’EUR]. In taluni casi [inserire i casi stabiliti dal diritto nazionale] i depositi sono protetti oltre 100.000 EUR [sostituire con l’importo appropriato se la valuta non è l’EUR]. Ulteriori informazioni possono essere ottenute al seguente indirizzo Internet [inserire il sito Internet dell’SGD pertinente]. (4) Rimborso Il sistema di garanzia dei depositi responsabile è [inserire il nominativo e l’indirizzo, il telefono, l’e-mail e il sito Internet]. Rimborserà i Suoi depositi (fino a 100.000 EUR [sostituire con l’importo appropriato se la valuta non è l’EUR]) entro [inserire il periodo di rimborso previsto dal diritto nazionale], a decorrere dal [31 dicembre 2023] entro [7 giorni lavorativi]. [Aggiungere informazioni sui rimborsi di emergenza/provvisori qualora gli importi rimborsabili non siano disponibili entro 7 giorni lavorativi.] In caso di mancato rimborso entro questi termini, prenda contatto con il sistema di garanzia dei depositi in quanto potrebbe esistere un termine per reclamare il rimborso. Ulteriori informazioni possono essere ottenute al seguente indirizzo Internet [inserire il sito Internet dell’SGD pertinente]. Altre informazioni importanti In generale, tutti i depositanti al dettaglio e le imprese sono coperti dai sistemi di garanzia dei depositi. Le eccezioni vigenti per taluni sistemi di garanzia dei depositi sono indicate nel sito Internet del sistema di garanzia dei depositi pertinente. Il Suo ente creditizio Le comunicherà inoltre su richiesta se taluni prodotti sono o meno coperti. La copertura dei depositi deve essere confermata dall’ente creditizio anche nell’estratto conto.
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Allegati
ALLEGATO II PARTE A Direttive abrogate e relative modifiche (di cui all’articolo 21) Direttiva 94/19/CE del Parlamento europeo e del Consiglio Direttiva 2009/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio PARTE B Termini di recepimento nel diritto interno (di cui all’articolo 21) Direttiva Termine di recepimento 94/19/CE 1.7.1995 2009/14/CE 30.6.2009 2009/14/CE (articolo 1, punto 3 i), secondo 31.12.2010 comma, articolo 7, paragrafi 1 bis e 3 e articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 94/19/ CE come modificata dalla direttiva 2009/14/ CE)
ALLEGATO III Tavola di concordanza Direttiva 94/19/CE
Direttiva 2009/14/CE
Articolo 1, paragrafo 1 Articolo Articolo Articolo Articolo
1, paragrafo 1, paragrafo 1, paragrafo 1, paragrafo
2 3 4 5
Articolo 1, paragrafo 1 Articolo 3, paragrafo 1 Articolo 3, paragrafo 1 Articolo 3, paragrafo 2 Articolo 3, paragrafo 3
Presente direttiva Articolo 1 Articolo 2, paragrafo 1, punto 1 Articolo 2, paragrafo 1, punto 3 Articolo 2, paragrafo 1, punto 4 Articolo 2, paragrafo 1, punto 7 Articolo 1, paragrafo 1 Articolo 2, paragrafo 1, punto 8 Articolo 2, paragrafo 1, punto 9 Articolo 2, paragrafo 1, punto 10 Articolo 2 paragrafo 1, punti da 11 a 18 Articolo 2, paragrafo 2 Articolo 1, paragrafo 3 Articolo 3 Articolo 4, paragrafo 1 Articolo 4, paragrafo 2 Articolo 4, paragrafo 3 Articolo 4, paragrafo 4 Articolo 4, paragrafi 5 e 6 Articolo 4, paragrafo 9 Articolo 4, paragrafi 10 e 11
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Legislazione
Articolo 2
Articolo 5, paragrafo 1, lettere a), b) e c) Articolo 5, paragrafo 1, lettera d)
Articolo 7, paragrafo 2, allegato I, punto 1 Articolo 7, paragrafo 2, allegato I, punto 10 Articolo 7, paragrafo 2, allegato I, punto 2 Articolo 7, paragrafo 2, allegato I, punto 5 Articolo 7, paragrafo 2, allegato I, punto 6 Articolo 7, paragrafo 2, allegato I, punti 3 e 4 Articolo 7, paragrafo 2, allegato I, punto 12 Articolo 7, paragrafo 1 Articolo 1, paragrafo 3, lettera a)
Articolo 7, paragrafo 5
Articolo 8 Articolo 10, paragrafo 1
Articolo 10, paragrafo 4 Articolo 10, paragrafo 5 Articolo 7, paragrafo 6 Articolo 11
Articolo 4, paragrafo 1 Articolo 6 Articolo 9, paragrafo 1 Articolo 9, paragrafo 2 Articolo 13
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Articolo 5, paragrafo 1, lettera e) Articolo 5, paragrafo 1, lettera f) Articolo 5, paragrafo 1, lettera g) Articolo 5, paragrafo 1, lettera h) Articolo 5, paragrafo 1, lettera i) Articolo 5, paragrafo 1, lettera j) Articolo 5, paragrafo 1, lettera k) Articolo 6, paragrafo 1
Articolo 6, paragrafi 2 e 3 Articolo 6 paragrafo 4 Articolo 1, paragrafo 3, Articolo 6 paragrafo 5 lettera a) Articolo 6, paragrafo 6 Articolo 1, paragrafo 3, Articolo 6, paragrafo 7 lettera d) Articolo 7, paragrafi 1, 2 e 3 Articolo 7, paragrafi da 4 a 9 Articolo 1, paragrafo 6, Articolo 8, paragrafo 1 lettera a) Articolo 8 paragrafi da 2 a 6 Articolo 8, paragrafo 7 Articolo 8, paragrafo 8 Articolo 8, paragrafo 9 Articolo 9, paragrafo 1 Articolo 9, paragrafo 2 Articolo 9, paragrafo 3 Articolo da 10 a 13 Articolo 14, paragrafo 1 Articolo 14, paragrafi da 2 a 8 Articolo 15 Articolo 1, paragrafo 5 Articolo 16, paragrafi 1, 2 e 3 Articolo 16, paragrafo 4 Articolo 16, paragrafo 5 Articolo 17 Articolo 1, paragrafo 4 Articolo 18
NORME REDAZIONALI
I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)
II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. … 4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. …
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Norme redazionali
6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).
III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile c.c. codice di commercio c.comm. Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall. legge cambiaria l.camb. testo unico t.u. testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) t.u.b. testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58) t.u.f.
2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale Corte di Cassazione Sezioni unite Consiglio di Stato Corte d’Appello
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C. Cost. Cass. S. U. Cons. St. App.
Norme redazionali
Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR
3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Dig. disc. priv., sez. comm. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur. Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ.
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Norme redazionali
Rassegna di diritto pubblico Rivista bancaria Rivista critica di diritto privato Rivista dei dottori commercialisti Rivista della cooperazione Rivista delle società Rivista del diritto commerciale Rivista del notariato Rivista di diritto civile Rivista di diritto internazionale Rivista di diritto privato Rivista di diritto processuale Rivista di diritto pubblico Rivista di diritto societario Rivista giuridica sarda Rivista italiana del leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Vita notarile
Rass. dir. pubbl. Riv. banc. Riv. crit. dir. priv. Riv. dott. comm. Riv. coop. Riv. soc. Riv. dir. comm. Riv. not. Riv. dir. civ. Riv. dir. internaz. Riv. dir. priv. Riv. dir. proc. Riv. dir. pubbl. RDS Riv. giur. sarda Riv. it. leasing Riv. trim. dir. proc. civ. Vita not.
4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cura di Bricola, Galgano, Santini, BolognaRoma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, Torino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume
IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze.
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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria Cedola di sottoscrizione - Abbonamento 2014 (4 fascicoli): € 110,00 Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 35,00 Modalità di Pagamento ☐ assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA ☐ versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 G 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) ☐ carta di credito ☐ MasterCard ☐ VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma.................................................................
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