ISSN 1722-8360
di particolare interesse in questo fascicolo Periodico Trimestrale - POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 Conv. il L. 27/02/2004 - n. 46 art.1, comma 1, DCB PISA - Aut. Trib. di Pisa n. 9/2009 del 8/5/2009
Diritto della banca e del mercato finanziario
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Saggi
• La protezione dei depositi nelle crisi bancarie • Banca d’Italia e governance delle banche • Il prestito online tra privati • La riforma delle banche popolari
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Avvertenza A partire dal gennaio 2011, la pubblicazione di scritti sulla Rivista è subordinata alla valutazione di blind referees. Il sistema dei referees è coordinato dal prof. Vittorio Santoro. Nell’anno 2014, hanno fornito le loro valutazioni ai fini della pubblicazione i prof. Laura Ammannati, Concetta Brescia Morra, Oreste Cagnasso, Marcello Clarich, Antonia Irace, Marco Miletti, Stefano Pagliantini, Antonio Piras, Andrea Pisaneschi, Vincent Ribas, Marilena Rispoli, Antonella Sciarrone Alibrandi, Maurizio Sciuto, Andrea Tina, Francesco Vella.
Diritto della banca e del mercato finanziario Rivista trimestrale del Ce.Di.B. Centro studi di diritto e legislazione bancaria
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SOMMARIO 2/2015
PARTE PRIMA Saggi Il ruolo e l’ambito di intervento dei DGS e dei fondi di risoluzione nelle crisi bancarie, di Salvatore Maccarone Il ceditore-banca nelle soluzioni negoziate della crisi, di Daniele Vattermoli La conformazione regolatoria della governance delle società bancarie da parte della Banca d’Italia, di Sandro Amorosino Peer to peer lending ed informazione: la tutela dell’utente online tra innovazione finanziaria, disintermediazione e limiti cognitivi, di Eugenia Macchiavello Il contratto di assicurazione sulla vita finalizzato all’erogazione di un mutuo immobiliare tra misure legislative urgenti, regolamentazione dell’Autorità di vertice del settore assicurativo e prospettive de jure condendo, di Giuliana Martina
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Commenti Le obbligazioni degli esponenti bancari – Trib. Forlì, 9 gennaio 2014, con osservazioni di Vincenzo Caridi
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PARTE SECONDA Legislazione La riforma delle banche popolari – D.l. 24 gennaio 2015, n. 3, convertito con modificazioni nella l. 24 marzo 2015, n. 33 – Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti, con osservazioni di Francesco Mazzini
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Norme
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redazionali
PARTE PRIMA Saggi, commenti, fatti e problemi della pratica, dibattiti, rassegne, miti e realtĂ
SAGGI
Il ruolo e l’ambito di intervento dei DGS e dei fondi di risoluzione nelle crisi bancarie* 1. Nel nostro Paese i modelli di gestione delle crisi bancarie da decenni sono sostanzialmente immutati. Le crisi sono state molte e alcune anche molto gravi, ma sono state sempre gestite con successo; i depositanti, tutti, hanno sempre visto salvaguardati i loro diritti, coltivando e sviluppando la convinzione che il deposito bancario fosse una relazione contrattuale priva di rischio. Un ruolo essenziale nella gestione delle crisi è stato svolto dai fondi di garanzia dei depositanti1, prima il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositanti (FIDT), costituito in forma di consorzio volontario nel 1987 fra tutte le banche italiane ad eccezione delle banche di credito cooperativo, quando si profilava un dissesto importante ed era maturata la convinzione che lo strumento dell’intervento pubblico (il bail-out) non potesse più essere impiegato. Nel 1997, quando l’adesione delle banche ad un sistema
* Relazione presentata al Convegno su “Crisi bancarie: il nuovo quadro giuridico e istituzionale”, tenutosi a Milano il giorno 8 maggio 2015, presso la Facoltà di Scienze Bancarie e Assicurative dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. 1 L’Italia è uno dei pochi Paesi dell’Unione, oltre l’Austria e la Germania, nel quale operano più Fondi di Garanzia; in Germania i fondi sono addirittura sei: due obbligatori, di cui uno per le banche private e uno per le banche pubbliche, alimentato da contribuzioni delle banche partecipanti e vigilato dall’Autorità di Vigilanza del sistema finanziario. Vi sono poi due IPS (Institutional Protection Schemes), volontari, uno per le casse di risparmio e l’altro per le banche cooperative, il cui scopo è quello di assicurare la “viability” delle banche aderenti, ma senza la previsione di rimborso dei depositanti. Infine due sistemi, anch’essi volontari, di protezione dei depositanti, uno per le banche pubbliche, senza limiti alla protezione, e uno per le banche private che offre protezione ai depositanti fino ad un importo pari al 30% del capitale della banca. Questo limite è peraltro destinato a ridursi progressivamente fino all’8,75% nel 2025. La distinzione fra fondi obbligatori e fondi volontari è rilevante, come vedremo, soprattutto con riferimento alla materia degli aiuti di Stato, essendo possibili a questi ultimi interventi invece non consentiti ai primi.
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di garanzia dei depositi era diventato un obbligo in conseguenza del recepimento della Direttiva 94/19/EC, venne costituito il Fondo di Garanzia dei Depositi (FGD) delle banche di credito cooperativo. I due Fondi hanno operato con successo ed intensamente; gli interventi sono stati molte decine e solo in tre casi, complessivamente, sono consistiti nel rimborso dei depositanti; nei casi di interventi in procedure di liquidazione coatta amministrativa, sono stati effettuati interventi alternativi al rimborso, consistenti nel pagamento dello sbilancio in operazioni di cessione di attività e passività ad altre banche2, nel rispetto del principio del minor onere, rispetto all’eventuale rimborso dei depositanti. Altri interventi, nel rispetto dello stesso principio ed in presenza di prospettive di risanamento, sono stati effettuati a favore di banche in amministrazione straordinaria3. Altri interventi del FGD4 sono stati effettuati a sostegno di banche in difficoltà, in assenza di procedure5. In tutti questi anni, il sistema ha funzionato in modo più che soddisfacente; liquidazioni concorsuali con realizzo dell’attivo e distribuzione del ricavato ai creditori praticamente non se ne sono mai avute. L’amministrazione straordinaria ha svolto un ruolo essenziale, molto spesso preparatorio della soluzione definitiva, poi adottata contestualmente all’avvio della liquidazione; i Fondi hanno svolto in modo egregio il loro ruolo, realizzando interventi in forme differenziate, spesso innovative, consentite dai loro statuti, quando vi fossero prospettive di risanamento e l’impegno economico fosse prognosticamente inferiore al costo del rimborso dei depositi (minor onere), ancorché con il passare del tempo la disponibilità delle banche ad intervenire nel salvataggio di altre si sia progressivamente ridotta.
2 La cessione di attività e passività consente la tutela completa di tutti i creditori della banca in dissesto, trasferiti ad un’altra banca solvibile, salvo la permanenza, per ragioni diverse, in capo alla banca in liquidazione di specifiche passività o attività. 3 L’entità delle risorse assorbite è stata pari a 1,5 miliardi di euro, corrispondenti a poco più dello 0,30 del totale dei depositi garantiti a fine 2013. 4 Il FGD (art. 35 dello Statuto) ha la possibilità di intervenire a favore di banche anche in assenza di procedura. Gli interventi di questo tipo si sono avuti in 13 casi, anche se in molti di essi le banche sono poi state assoggettate ad amministrazione straordinaria, dimostrando la scarsa efficacia di questi interventi, soprattutto per la mancanza di reali poteri di controllo e di indirizzo da parte del Fondo. In questo, come vedremo, le previsioni contenute nella nuova norma comunitaria colgono nel segno. 5 L’entità delle risorse assorbite è stata pari a circa 200 milioni di euro, corrispondenti a circa lo 0,28 % dei depositi garantiti dal FGD a fine 2013.
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Le cose tuttavia sono destinate a cambiare e profondamente; in realtà, già sarebbero dovute cambiare, se il nostro legislatore avesse rispettato i tempi del recepimento delle Direttive approvate nel maggio dello scorso anno6 e, per la verità, anche di quella, non meno importante sul piano della vigilanza prudenziale e che costituisce anch’essa uno dei pilastri del nuovo assetto, rappresentata dalla CRD IV7. 2. La grande crisi iniziata nel 2008 ha mutato completamente il quadro. Senza indagare sulle sue cause, se sia stato il settore bancario e finanziario ad innescarla o se invece essa sia derivata dal deterioramento dell’economia reale e ad esso si sia poi propagata, sta di fatto che l’industria bancaria a livello mondiale ne è stata colpita in modo improvviso e pesantissimo, coinvolgendo in maniera altrettanto pesante il sistema pubblico e determinando o accelerando l’introduzione di regole e principi, essenzialmente diretti ad evitare – se non in via del tutto residuale – l’utilizzo di “danaro del contribuente” nel salvataggio delle banche insolventi8.
6 Il disegno della legge di delegazione europea 2014, in due articoli, il 5 e il 6, contiene i principi ai quali il governo deve attenersi per l’attuazione, rispettivamente, della Direttiva 2014/49/UE relativa ai sistemi di garanzia dei depositi, e della Direttiva 2014/59 UE sul risanamento e la risoluzione degli enti creditizi. Ma, appunto, la legge delega non è stata ancora approvata dal Parlamento, il quale sembra avere un atteggiamento di sostanziale ostilità o quanto meno di noncuranza nei confronti delle Direttive, facendo del nostro Paese un inadempiente cronico nel recepimento. Inutile dire che in altri, quali ad esempio la Francia e la Germania, il processo, comunque non facile, di adeguamento della normativa interna è proceduto speditamente e con un ampio coinvolgimento dei vari stakeholder e della dottrina, cosa che certamente non sarà possibile nel nostro caso, anche per l’incombenza ormai dei termini di entrata in vigore dei nuovi sistemi. Non si tratta, tra l’altro, soltanto di un inadempimento istituzionale, in quanto il ritardo nel recepimento produce incertezze gravi, sia rispetto al processo di adeguamento dei meccanismi interni, che comunque va completato nei termini previsti dalle Direttive, sia in ordine al trattamento da riservare alle crisi bancarie in atto, tenuto conto della sostanziale diversità del sistema nuovo rispetto a quello ancora formalmente in vigore. È davvero una situazione deplorevole. 7 La Direttiva contiene norme sulle regole di assorbimento delle perdite, sulla gestione della liquidità e sul governo delle banche, attribuendo all’Autorità di Vigilanza poteri molto incisivi, tra cui quello, da tempo auspicato, di removal degli esponenti ritenuti inadeguati. Essa doveva essere recepita entro il 31 dicembre dello scorso anno, ed è stata recepita soltanto nei giorni scorsi con il d.Lgs. 12 maggio 2015, n. 72, che ha introdotto modifiche rilevanti al t.u.b. 8 La dimensione dell’intervento pubblico a livello dell’Unione è impressionante. Secondo i dati forniti dalla Commissione, gli aiuti di stato nella forma della ricapitalizzazione e dell’acquisto di assets dalle banche in crisi tra l’ottobre del 2008 e il dicembre 2012
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In futuro – si afferma enfaticamente e più volte (e con evidente ipocrisia, alla luce di quello che è accaduto negli anni passati) – salvo che in casi eccezionali, l’intervento pubblico non sarà più possibile; il danaro dei contribuenti deve essere salvaguardato e l’onere del salvataggio dovrà far capo in linea di principio ai privati, azionisti, portatori di strumenti di credito subordinati, altri creditori e gli stessi depositanti, fino alla soglia di salvaguardia dei 100.000 euro. In sostanza, il bail-in, in contrapposizione con il bail-out, che è stato lo strumento utilizzato per la gestione delle tante crisi che negli ultimi anni hanno colpito le banche europee. La nostra Autorità di Vigilanza, in persona dei suoi massimi esponenti9,
ammontano € 591,9 miliardi, pari al 4,6% del PIL dell’Unione. Se poi si aggiunge a questo importo quello delle garanzie, esso raggiunge la cifra stratosferica di € 1,6 trilioni, pari al 13% del PIL dell’Unione. Cfr. peraltro Longo, Salvare le banche? Un affare per gli Stati, in 24 ore, 14 giugno 2015. Va anche detto però che alcuni Paesi, destinatari di interventi importanti da parte della strutture internazionali, come ad esempio l’Irlanda, motivati dalla drastica riduzione dei tassi, hanno richiesto ed ottenuto di poter estinguere anticipatamente il loro debito. Le banche italiane sono tra le poche nell’Unione che non sono state destinatarie di interventi pubblici, pur avendo il nostro Paese sostenuto l’onere dell’intervento a favore di banche di altri Paesi; secondo uno studio dell’ABI, il solo intervento a favore delle banche spagnole è costato al nostro Paese € 7 miliardi. Le ragioni per le quali le nostre banche sono riuscite a restare immuni dalla crisi sono diverse, ma le principali vengono rinvenute nel fatto che esse sono prevalentemente orientate verso il modello della banca commerciale, con un ruolo assai più modesto che altrove dell’attività nel settore finanziario. Rilevante è anche il fatto che l’aggregato complessivo dei volumi sviluppati dal sistema bancario italiano, rispetto al PIL nazionale, è di solo 1,7 volte superiore, a differenza di altri Paesi, colpiti invece pesantemente, in cui il rapporto raggiunge livelli assai più elevati, rendendo impossibile la gestione solo nazionale della crisi del sistema. Per una interessante analisi dei costi e dei benefici della banca universale, nel confronto con le banche specializzate, cfr. Ralph, Lex in-depth universal bank, in Financial Times, 30 marzo 2015. 9 Cfr. intervento del dott. Rossi, D.G. della Banca d’Italia ad un Convegno dell’ABI sull’Unione (cfr. Ninfole, Banche alla prova del bail-in, in Italia Oggi, 10 marzo 2015); dott. Barbagallo, Capo della vigilanza della Banca d’Italia, il 23 marzo scorso, Banche e Banca d’Italia: nuovi rapporti alla luce del sistema di Vigilanza europeo, all’Associazione Amici dell’Università degli Studi di Torino e l’Audizione del Governatore della Banca d’Italia, Visco, il 22 aprile scorso avanti al Senato, Indagine conoscitiva sul sistema bancario italiano nella prospettiva della vigilanza europea. Entrambi gli interventi sono stati ripresi enfaticamente dagli organi di informazione (Bertone, Cambia tutto. Se la banca fa crac paghiamo noi. Visco dà l’allarme: avvertite i clienti, in Libero, 23 aprile 2015; Arriva il bail-in, ma non si possono fare le cose a metà, in Milano Finanza, 24 aprile 2015; Longoni, Attenzione ai vostri risparmi, in Italia Oggi, Sette, 4 maggio 2015; Grigolon, IL bail-in congela i conti correnti, ivi, 4 maggio 2015; Dell’Olio, Crac Bancario, sui salvataggi lo Stato si chiama fuori gioco, ivi, 4 maggio
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ha cominciato ad avvertire che le cose cambieranno, avviando la “campagna” di public awareness, che rappresenta, tra l’altro, uno degli obblighi delle banche nei confronti della clientela, disposti dalle nuove norme europee, al fine di sviluppare la consapevolezza che sul piano del rischio le cose si stanno modificando. E cambieranno anche il ruolo e la funzione dei fondi di garanzia dei depositanti (Deposit Protection Schemes, DGS), anche se la dimensione e l’ambito di questo cambiamento ancora non sono chiari, dipendendo molto dalle norme primarie e regolamentari che il nostro Paese adotterà e dalle quali dipenderà in larga misura la fisionomia del nuovo sistema. Gli spazi esistono e occorre coglierli, altrimenti l’impatto della nuova disciplina sarà davvero pesante per il nostro sistema bancario e la stessa società civile, confortata da decenni di tranquillità sulla sorte del suo risparmio. La crisi finanziaria ha dimostrato che i DGS non sono in grado (e neppure era in verità previsto che lo fossero) di intervenire efficacemente in una crisi sistemica; occorreva un sistema più completo (e complesso) e maggiormente integrato, e questo è stato fatto a livello europeo con una riforma, per molti versi affrettata, sotto la spinta di un repentino mutamento del quadro rispetto al disegno iniziale, ma anche della scadenza della legislatura. I DGS sono così destinati ad entrare, unitamente ad altri presidi, nell’ambito della più generale e rafforzata rete di protezione (safety net), il cui effetto dovrebbe tra l’altro essere anche quello di ridurre le probabilità di un intervento degli stessi fondi nella gestione delle crisi. I DGS rappresentano, in particolare, uno dei tre pilastri della nuova disciplina (Single Deposit Guarantee Scheme), accanto al SSM (Single Supervisory Mechanism), entrato in vigore, come noto, il 4 novembre dello scorso anno – e nell’ambito del quale si collocano anche l’ESM (European Stability Mechanism), destinato a fungere da rimedio pubblico di ultima istanza (Backstop) per la ricapitalizzazione (indiretta) delle banche in crisi e la European Banking Authority (EBA) – e al SRM (Single Resolution Mechanism, previsto dalla Bank recovery and Resolution Directive - BRRD), nell’ambito di un Single Rulebook, vale a dire un libro unico delle regole10. Va peraltro notato che mentre la vigilanza unica e il risanamento e la ri-
2015). Cfr. anche l’intervista del d.g. dell’ABI, Sabatini, ne Il Mattino, 25 aprile 2015 e in 24Ore 17 aprile 2015 e Oldani, in Italia Oggi, 18 aprile 2015. 10 Per una completa ed efficace rappresentazione del sistema delle norme europee, corredata da una ricca appendice bibliografica e da un glossario, assolutamente opportuno nel profluvio di sigle e acronimi che la riforma ha prodotto, cfr. Boccuzzi, L’Unione Bancaria europea: nuove istituzioni e regole di vigilanza e di gestione delle crisi bancarie, Roma, 2015, passim.
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soluzione delle banche sono affidati ad una disciplina unica – applicabile, la prima, ai Paesi dell’eurozona e a quelli che optassero per l’aderirvi e, la seconda, trattandosi di una direttiva, a tutti i Paesi dell’Unione – la disciplina dei DGS, almeno per ora è soltanto armonizzata, ma non unificata11. I punti principali dell’armonizzazione riguardano: a) il livello e l’oggetto della garanzia, sostanzialmente non dissimili da quelli attuali, e i termini per il rimborso, che passano dai 20 giorni di oggi a non più di 15 dal gennaio 2019 e a 7 giorni, dal gennaio 2024; b) il funding che, da ex-post, come è ora in Italia e in pochi altri Paesi, passa ad ex-ante e commisurato al rischio della banca partecipante (risk based contribution); c) le modalità dell’intervento; d) l’informativa ai depositanti (public awareness) e e) la cooperazione cross-border tra DGS. L’inserimento dei DGS in un sistema composito con altri protagonisti incide sensibilmente, come abbiamo detto, sul loro ruolo e funzione, riducendo quest’ultima essenzialmente all’assicurazione dei depositi dei consumatori. In particolare, la messa in opera di regole più stringenti, di strumenti dedicati e di fondi specifici per la risoluzione delle crisi bancarie, produce due effetti per i DGS; anzitutto, alleggerisce la pressione su di essi, apprestando meccanismi addizionali e più efficaci per la gestione di crisi bancarie su larga scala, e aiuta poi a circoscrivere più chiaramente i compiti dei DGS nell’ambito della safety net, attraverso gli strumenti previsti dalla GDSD e la BRRD, con un’enfasi sulla funzione di rimborso dei depositi e di paybox dei DGS. Altri tipi di intervento, come vedremo, sono possibili, ma con forti limitazioni e comunque subordinatamente al ricorrere di specifiche condizioni. La valutazione va quindi compiuta sulla base di un esame complessivo e comparativo della DGSD e della BRRD e del ruolo che i fondi da esse previsti sono chiamati ad assolvere. 3. La BRRD è un testo normativo molto complesso, come era logico
11 Non mancano peraltro coloro che, assumendo ormai come inevitabile il default della Grecia, ritengono che la tenuta dell’Euro dipenda anche da una disciplina unica, e non solo armonizzata, dei DGS dell’area. In ogni caso, sul piano concettuale la presenza di DGS nazionali appare difficilmente compatibile con la creazione di un fondo unico di risoluzione (cfr. C. Hadjiemmanuil¸ Bank Resolution Financing in the Banking Union, in Law Society Economy, Working Paper, p. 27, in www.lse.ac.uk/collections/law/wps/wps.htm). Il tema è affrontato anche in uno dei punti toccati dal Five Presidents’ Report del 22 giugno 2015, che fissa i vari passi da compiersi per giugere nel 2025 a una Unione perfetta. I fatti accorsi nella prima metà di questo anno e la gestione della crisi della Grecia rendono oggettivamente poco credibile questo scenario.
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aspettarsi – ma (anche) con qualche accentuazione in più, che poteva essere evitata – dalla complicatezza del sistema disciplinato12. Limitandoci comunque alle caratteristiche del fondo unico di risoluzione (SRF), esso è destinato ad operare essenzialmente (in linea di principio, ma non necessariamente) nell’ambito del SSM e riguarderà pertanto le 120 banche vigilate direttamente dalla BCE (significant banks), che rappresentano circa l’85% degli assets totali dell’eurozona13. Il SRF, come è noto, è destinato ad essere costituito nell’arco di 8 anni, fino a raggiungere l’ammontare previsto (target level) dell’1% dei depositi garantiti di tutte le banche degli Stati membri della Banking Union (non necessariamente coincidenti con quelli dell’eurozona) e sarà da esse finanziato14. Vale la pena di ricordare su questo punto – che ha mostrato uno dei limiti più forti dell’Unione – che il SRF, in realtà, diventerà tale solo al termine degli 8 anni previsti, partendo costituito da singoli comparti nazionali, destinati a confluire nel SRF gradualmente, con un processo di lenta mutualizzazione, che si completerà appunto all’ottavo anno15. Nel frattempo gli
12 Sugli obiettivi e le caratteristiche del sistema di resolution, cfr. FSB, Key attributes of effective Resolution Regimes for financial Institutions, 16 ottobre 2014. 13 Una banca è considerata significant, se è una delle tre banche più grandi del Paese di origine, se il volume del suo attivo è superiore del 20% al PIL del Paese di origine, oppure maggiore di € 30 miliardi. Le less significant banks restano, come è noto, sotto il controllo delle autorità nazionali, ma la BCE è competente, anche per queste, per il rilascio delle autorizzazioni, l’accertamento dei requisiti degli azionisti di riferimento e conserva comunque un potere di intervento anche nei loro confronti, potendo assumerne se ritenuto necessario, la supervisione diretta. 14 L’entità dei depositi garantiti è incerta. L’analisi di impatto della Commissione che accompagna la proposta di BRRD (SWD/2012 – 166/3, p. 132) stima che in una banca media i depositi garantiti rappresentino il 21% del totale del passivo. In termini di ammontare, secondo Gros - Schoemaker, European Deposit Insurance and Resolution in the Banking Union, in 52, Journal of Common Market Studies, 2014, p. 529, l’importo complessivo si aggirerebbe intorno ai € 6.000 miliardi. 15 I fondi nazionali confluiranno nel SRF per il 40% il primo anno, il 20% il secondo e il restante 40% in misura uguale nei 6 anni successivi. Va peraltro anche notato che questa disciplina di compromesso (che rinnega i principi stessi sui quali l’Unione è fondata) trova origine in un trattato fra gli Stati (Intergovernamental Agrreement - IGA on the SRF), esterno al trattato dell’Unione, destinato ad essere ratificato dagli Stati che lo hanno concluso e che rappresentino almeno il 90% dei voti ponderati del Paesi partecipanti all’Unione Bancaria entro il 1° gennaio 2016, data di entrata in vigore del SRF; ad oggi, soltanto la Lettonia ha completato il processo di ratifica. Questa situazione accredita un commento di Sir Mervyn King, ex Governatore della Banca d’Inghilterra, secondo il quale “global banks are global in life but national in death” (cfr. C. Hadjiemmanuil¸ Bank Resolution, cit., p. 10).
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oneri degli interventi graveranno prevalentemente sui comparti nazionali. Fu, in realtà, il Fondo Monetario Internazionale, in persona del suo Direttore Generale, Christine Lagarde, alla quale si deve (aprile 2012) l’intuizione, o comunque la proposta, della creazione di un framework giuridico ed istituzionale centralizzato per il sistema bancario dell’eurozona, caratterizzato da una vigilanza unificata, da un’autorità di risoluzione unica, con un backstop comune e da un sistema di garanzia dei depositi unico, come complemento necessario dell’unione monetaria, al fine di spezzare il circolo vizioso del contagio reciproco fra banche e debito sovrano16. Nonostante l’apparente consenso, la resistenza di alcuni Paesi17 alla mutualizzazione dei costi del bail-out delle banche, comportò il rallentamento e una realizzazione parziale del programma inizialmente delineato, destinato ad entrare in vigore, sempre che se ne realizzino le condizioni, il 1° gennaio 2016; quando questo accadrà, il Single Resolution Board, competente per le banche direttamente vigilate dalla BCE, sarà assistito nei suoi compiti dalle autorità nazionali, che cureranno la concreta esecuzione dei programmi di resolution decisi dal SRB e saranno anche competenti e responsabili per la risoluzione delle banche nazionali più piccole, salva sempre la possibilità per la BCE di intervenire direttamente18 19.
16 Opening remarks alla IMF/CFP Policy Roundtable on the Future of Financial Regulation, Washington, DC, 17 aprile 2012, consultabile su https://www.imf.org/external/np/ speeches/2012/041712.htm. 17 Essenzialmente Germania, Paesi Bassi e Finlandia. 18 Si tratta di un risultato ben diverso da quello inizialmente ipotizzato e che era alla base dello stesso SSM, allora giustificato dal fatto che l’intervento diretto dell’ESM nella ricapitalizzazione delle banche nazionali in crisi avrebbe potuto essere la fonte di un moral hazard, consistente in un approccio più tollerante delle autorità nazionali – fondato sulla consapevolezza che l’ESM sarebbe comunque intervenuto – se la vigilanza fosse rimasta, appunto, nazionale. Le possibilità di intervento dell’ESM, attraverso il Direct Recapitalisation Istrument (DRI), sono sostanzialmente eccezionali (e richiedono comunque il consenso unanime dei Paesi membri, in base alle previsioni del Trattato istitutivo dell’ESM); esso infatti è possibile soltanto quando la ricapitalizzazione di banche con fondi pubblici è considerata indispensabile, in quanto le banche interessate siano: a) rilevanti a livello sistemico o quando il loro dissesto potrebbe compromettere la stabilità finanziaria dell’eurozona o di una o più paesi dell’area; b) incapaci di soddisfare le esigenze di capitale indicate dalla BCE, quale autorità di vigilanza; e) non in grado altresì di attrarre capitali privati sufficienti e, infine, d) non in grado di fronteggiare la carenza di capitale attraverso il bail-in (cfr. ESM, Guidelines on Financial Assistance for Direct Recapitalisation of Institutions - 8 dicembre 2014). La conseguenza di questo regime è che la partecipazione al capitale di una banca, nella forma dell’assistenza pubblica, quando essa sia ancora in bonis, compete ai singoli Stati membri, ancorché la vigilanza sia in capo alla BCE. 19 In aggiunta alle limitazioni derivanti dalle regole del procedimento, va anche detto che
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Il ruolo delle autorità nazionali rispetto alle banche nazionali less significant e le modalità del loro intervento, nel quadro del processo di lenta mutualizzazione dei fondi nazionali di resolution, è uno dei tanti interrogativi che attendono soluzione. 4. Nel quadro generale di riferimento, occorre verificare quali siano il ruolo e le possibilità dei DGS, alla luce delle disposizioni contenute nella GDSD e nella BRRD e cercare di capire cosa in concreto cambierà rispetto a quello che finora i due Fondi italiani hanno (efficacemente) fatto. Anche qui occorre qualche precisazione di carattere concettuale, che aiuta ad orientare l’indagine: 1. Se una banca è insolvente, l’alternativa da considerare in via normale è la sua liquidazione, secondo le ordinarie procedure nazionali (normal insolvency proceedings). La risoluzione deve ritenersi, in via di principio, una eventualità di carattere eccezionale (preambolo 46 BRRD). 2. Il compito dei DGS è il rimborso dei depositi; eventuali interventi diversi devono ritenersi eccezionali e subordinati al ricorrere delle condizioni espressamente indicate nelle diverse sedi normative. 3. Soltanto il rimborso dei depositanti da parte dei DGS si sottrae alla disciplina degli aiuti di Stato. Nell’ambito di questi presupposti, sembra ragionevole la conclusione (o quanto meno il timore) che il numero delle banche che saranno liquidate con il modello concorsuale aumenterà notevolmente, anche in conseguenza del fatto che i modelli operativi dei fondi di garanzia cambieranno drasticamente, data la (verosimile) impossibilità di porre in essere interventi preventivi e la maggiore difficoltà, per le ragioni che vedremo, anche quelli, pur nell’ambito della liquidazione, diversi dal rimborso dei depositanti. L’uso dei fondi dei DGS, come dicevamo, è disciplinato sia dalla DGSD che dalla BRRD. La prima, all’art. 11, nei paragrafi 1 e 2, indica le funzioni tipiche ed
le risorse dell’ESM per interventi di DRI sono limitate all’importo massimo di € 60 miliardi – a fronte di una capacità di credito complessiva di € 500 miliardi – che è sostanzialmente ben poca cosa, se si considera che la dimensione complessiva degli assets delle banche dell’eurozona ammonta a circa tre volte il PIL della regione. Del tutto giustificato appare allora il rilievo che “The DRI is … relegated almost to footnote in the Banking Union’s overall design” e che “as long as the fiscal backstop remains primarily national, there can be no true Banking Union” (C. Hadjiemmanuil, Bank Resolution, cit., pp. 34 e 39).
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essenziali, vale a dire il rimborso dei depositi e il finanziamento della risoluzione, in conformità all’art. 109 della seconda. Sempre l’art. 11 prevede tuttavia che gli Stati membri possano autorizzare i DGS a porre in essere misure alternative a quelle appena indicate al fine di prevenire il dissesto di una banca; sembrerebbero, in sostanza, possibili gli stessi interventi che i nostri Fondi hanno fatto in passato a favore di banche in amministrazione straordinaria. In realtà, anche se tipologicamente sono gli stessi, la loro concreta realizzabilità è soggetta a condizioni stringenti, che ne limitano l’ambito in modo pressoché totale. Anzitutto, non deve essere in atto una procedura di risoluzione o l’autorità competente ritenere che ricorrano le condizioni per avviarla (par. 3, lett. a e par. 4); in secondo luogo, il GDS deve essere dotato di sistemi che consentano la scelta, la realizzazione e il controllo dei rischi connessi alla misura di cui si tratta, il che, con gli opportuni interventi statutari e regolamentari, potrebbe essere possibile; in terzo luogo, il costo dell’intervento non deve superare quello della funzione primaria del DGS, vale a dire il rimborso dei depositanti; in quarto luogo, il DGS deve essere in grado di imporre alla banca destinataria dell’intervento, e poi verificarne l’attuazione, misure stringenti di controllo dei rischi; in quinto luogo, l’accesso dei depositanti ai depositi garantiti deve essere assicurato; in sesto ed ultimo luogo, le banche partecipanti al DGS devono essere in grado di pagare le contribuzioni aggiuntive necessarie per questi interventi, quando emerga l’esigenza di rimborso dei depositanti e le risorse disponibili del fondo ammontino a meno di due terzi del livello previsto (target level) e comunque quando le risorse disponibili siano inferiori del 25% al target level. Queste condizioni – se fossero solo queste – potrebbero essere soddisfatte, ma non sono solo queste; quelle davvero ardue da superare sono altrove e mi riferisco, in particolare, alle norme in materia di aiuti di Stato, non richiamate in modo espresso dall’art. 11 della DGSD, ma menzionate nei preamboli, proprio con riferimento agli interventi preventivi; così, al preambolo 3 e al preambolo 16. Altri riferimenti alla disciplina degli aiuti di Stato vi sono nei preamboli, ma riguardano altre operazioni20. Questi riferimenti sono peraltro solo un “memento” per il legislatore nazionale, dato che la disciplina sugli aiuti di Stato comunque troverebbe
20 La letteratura sugli aiuti di Stato è assai vasta e di diverso taglio disciplinare. Mi limito a ricordare per tutti, fra i contributi più recenti, Fortunato, Gli aiuti di Stato e le banche in crisi, in Dir. Banc., 2013, I, p. 622.
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applicazione, non solo perché è disciplina di carattere generale (art. 107 e 108 del Trattato), ma anche perché la Commissione, interpretandola, ha enunciato precetti che riguardano espressamente i DGS e i loro interventi. Mi riferisco naturalmente alla Comunicazione della Commissione 2013/C 216/01 del 30 luglio 2013, in vigore dal 1° agosto 2013 e adottata sulla base dell’art. 107, par. 3, lett. b) del Trattato UE (dopo che enormi risorse pubbliche erano state immesse dagli Stati, e in primo luogo dalla Germania, per ricapitalizzare le loro banche nazionali21) e relativa, appunto, all’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato alle misure di sostegno alle banche nel contesto della crisi finanziaria. Uno dei principi cardine della Comunicazione è che, prima di concedere aiuti per la ristrutturazione a favore di una banca, gli Stati membri dovranno garantire che gli azionisti e i detentori di capitale subordinato provvedano a fornire il necessario contributo (il cd. burden sharing), oppure allestire il quadro giuridico necessario per ottenere tale contributo (par. 19). Le modalità di questo “contributo”, nel caso di carenza di capitale, sono specificate ai parr. 41 e sgg. ed in particolare al par. 44. La parte che interessa gli interventi dei DGS è contenuta nei paragrafi dal 63 all’86 e poggia sull’assunto che prima ho ricordato, e cioè che soltanto gli interventi dei DGS destinati al rimborso dei depositanti non costituiscono aiuti di Stato, mentre gli interventi diretti a favorire la ristrutturazione delle banche possono costituire aiuti di Stato, anche se i fondi provengono dal settore privato, se essi sono soggetti al controllo dello Stato e la decisione relativa al loro utilizzo è imputabile allo Stato (par. 63)22.
21 La dimensione dell’intervento pubblico a livello dell’Unione è, lo abbiamo detto, impressionante. A livello dei singoli Paesi il record è detenuto dal Regno Unito, che stanziò € 873 miliardi, erogandone poi 300, seguito dalla Germania con uno stanziamento di 646 e l’utilizzo di 259. Sono dati ben noti ed ampiamente pubblicizzati per enfatizzare la modestia comparativa del contributo del nostro Paese ai salvataggi delle banche italiane, costati infinitamente meno di quanto l’Italia abbia versato all’Unione per i contributi dati alle banche degli altri Paesi. 22 È questa sicuramente la condizione dei DGS obbligatori tedeschi e, sia pure in altro contesto, quello del DIF (Deposit Insurance Fund) statunitense, alimentato da contributi privati, ma di cui dispone la FDIC (Federal Deposit Insurance Corporation), che è struttura del sistema federale e quindi sicuramente pubblica, attiva dal 1933. È interessante notare che il target level del DIF è 1,35% dei depositi protetti, con una garanzia massima per ciascun depositante di USD 250.000. Oltre alle proprie risorse, la garanzia che il DIF appresta trova fondamento nella “full faith and credit of the United States Government”. In situazione analoga si trova, come vedremo, anche il SRF. Sugli interventi normativi in USA come reazione alla crisi e sul Dodd-Frank Act in particolare, v. la recentissima, lucida e critica opera di Fukuyama, Political Order and Political Decay: From the Industrial Revolution to the Globalization of
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La Commissione, sulla base di questa Comunicazione e della disciplina del Trattato UE (art. 107 e sgg.), ha avviato un procedimento nei confronti dell’Italia, in relazione all’intervento effettuato dal FITD a favore di Banca Tercas, contestando che esso sia stato fatto in violazione della Comunicazione e in difetto di notifica e argomentando la natura dell’aiuto di Stato dal fatto che: si è trattato di un intervento non obbligatorio (tale essendo solo il rimborso dei depositanti), diretto a prevenire il “fallimento” della Banca; la partecipazione al FITD è obbligatoria per le banche; lo statuto del FITD è approvato dalla Banca d’Italia; essa partecipa con un proprio delegato alle riunioni degli organi decisionali del Fondo; essa ancora promuove, coordina e autorizza gli interventi del Fondo, in funzione di orientamenti di politica generale fondati sull’interesse pubblico. Senza entrare nel merito di queste argomentazioni, legate ad una non chiara comprensione o conoscenza del sistema italiano23, la possibile applicabilità della normativa in materia di aiuti di Stato riduce sensibilmente il campo di azione degli interventi dei DGS, quanto meno nei modi in cui essi sono stati finora realizzati. Sul piano generale, queste disposizioni non si applicano quando i fondi che intervengono sono volontari e quindi non tenuti alla prestazione “obbligatoria” del rimborso dei depositi; più complesso è il discorso relativo agli IPS – il cui scopo sia il sostegno delle banche in difficoltà, senza la previsione del rimborso dei depositanti, come nel caso dagli IPS tedeschi – tenuto conto che il preambolo 18 della DGSD richiama espressamente anche per gli ISP l’applicabilità delle norme sugli aiuti di Stato. Su un piano ancora più generale, va anche rammentato che la rigida disciplina degli aiuti di Stato con specifico riferimento alle banche trova il suo fondamento nel principio espresso dal par. 65 della Comunicazione24, secondo il quale le imprese inefficienti devono uscire dal mercato con un processo di liquidazione ordinata, che tuteli la stabilità finanziaria. Solo quando questo non sia possibile, l’ “aiuto di Stato” può essere considerato compatibile, a condizione comunque che sia rispettato il
Democracy, Profile Book, London, 2015, pp. 4, 480-481 e 500. 23 Va peraltro detto che anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia accoglie una interpretazione ampia della nozione del legame pubblico, suscettibile di produrre l’aiuto di Stato e l’applicabilità della relativa disciplina. 24 “Member States should encourage the exit of non-viable players, while allowing
for the exit process to take place in an orderly manner so as to preserve financial stability. The orderly liquidation of a credit institution in difficulty should always be considered where the institution cannot credibly return to long-term viability”.
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principio del burden sharing, derogabile, a sua volta, soltanto quanto il suo rispetto metterebbe in pericolo la stabilità finanziaria o determinerebbe risultati sproporzionati (par. 45). Queste disposizioni si saldano con quelle contenute nella DGDD (preambolo 16), che, come abbiamo visto, consentono agli Stati membri di prevedere la possibilità per i DGS di intervenire con misure alternative rispetto al rimborso dei depositi, per prevenire il fallimento di una banca (art. 11, par. 3), ovvero, nel corso di una procedura di liquidazione, di consentire la cessione di attività e passività ad altro ente, sempre che sia soddisfatta la condizione del minor onere rispetto al rimborso dei depositi (art. 11, par. 6). È verosimile che il nostro Paese si avvarrà di queste facoltà, che, quanto meno sul piano teorico, consentirebbero ai Fondi italiani in futuro interventi analoghi a quelli che fin qui hanno fatto. Sul piano pratico, tuttavia, assumendo l’applicabilità delle norme sugli aiuti di Stato, le cose, come abbiamo avvertito, sono molto più complicate. Gli interventi del primo tipo, quelli cioè di sostegno a banche in amministrazione straordinaria, presuppongono anzitutto una situazione di difficoltà patrimoniale non facile da definire rispetto alla condizione che determina l’assoggettamento alla procedura di risoluzione25; in secondo luogo, l’intervento del fondo dovrebbe avvenire con il rispetto del principio del burden sharing, il che vuol dire, in concreto, che i portatori di titoli subordinati devono concorrere all’intervento, con la conversione in capitale del loro credito o l’annullamento (write-off) anche parziale. Ora, a parte che questo concorso, allo stato attuale della legislazione interna, non è (ancora) possibile26, sul piano pratico la conversione o l’annullamento parziale dei diritti dei creditori subordinati sarebbe davvero problematico, soprattutto perché i portatori di titoli subordinati non hanno la minima percezione del rischio potenziale al quale posso-
25 Si tratta di una sorta di “terra di mezzo”, tra l’ipotesi in cui la banca sia in difficoltà patrimoniale, ma non ancora likely to fail o failed. La concettualizzazione di questa condizione è tutt’altro che agevole, anche perché l’insolvenza nelle banche si atteggia in modo diverso da quella delle imprese ordinarie, non sfociando praticamente mai nell’incapacità manifesta di adempiere le proprie obbligazioni (art. 5 della l. fallimentare) L’ipotesi, probabilmente, potrebbe essere quella dell’insolvenza cd. regolamentare, rappresentata dalla diminuzione del patrimonio di vigilanza al di sotto della soglia minima, pur in assenza di segni visibili di insolvenza.. 26 Il par. 19 della Comunicazione prevede peraltro, come già detto, che gli Stati membri debbano costituire il quadro giuridico necessario per ottenere il contributo alle operazioni di ristrutturazione degli azionisti e dei detentori di capitale subordinato.
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no essere soggetti27, anche perché la clausola di subordinazione, quanto meno dei prestiti già collocati, è riferita esclusivamente all’ipotesi di liquidazione della banca28. Vi è poi un’altra ragione, anch’essa derivante dalle norme della BRRD, che di fatto renderà comunque difficile la soddisfazione del requisito del least cost, vale a dire che l’intervento preventivo comporti un onere inferiore a quello che deriverebbe dal rimborso dei depositi (art. 11, par. 3, lett. c, DGSD). Questa condizione esiste anche nell’assetto attuale ed è normalmente soddisfatta, in quanto le aspettative di recupero dalla liquidazione, in pari grado con gli altri creditori chirografari e solo in posizione potiore rispetto ai depositanti per la quota eccedente quella garantita (se si rimborsassero i depositi), ragguagliate all’esborso, solitamente produrrebbero per il Fondo una perdita superiore a quella connessa all’intervento preventivo. Le cose però cambieranno, in quanto l’art. 108 della BRRD prevede che gli Stati membri debbano introdurre nelle norme che disciplinano la gerarchia dei creditori nelle procedure concorsuali la cd. depositor preference, che assegna ai depositi garantiti e al credito dei DGS, derivante dalla surroga nei diritti dei depositanti rimborsati, un rango uguale e privilegiato rispetto a quello degli altri creditori chirografari. Le aspettative di recupero in caso di liquidazione con rimborso dei depositanti aumentano allora sensibilmente e squilibrano il calcolo del least cost o “minor onere”, facendo venir meno una delle condizioni di ammissibilità degli interventi preventivi. Questo quadro regolamentare e concreto induce dunque alla conclusione che gli interventi dei nostri Fondi, destinati a favorire la ristrutturazione di banche in amministrazione straordinaria, saranno in futuro molto difficili, se non del tutto impraticabili. Ma anche gli interventi nelle operazioni di cessione di attività e passività di banche in liquidazione saranno più complicati; e infatti, da un lato, azionisti e creditori subordinati non possono essere trasferiti con l’azienda (par. 77 della Comunicazione), dall’altro lato, la vendita deve avvenire con un procedimento di gara aperta e concorrenziale (par. 79).
27 Va anche detto che in non poche occasioni i titoli di questo genere sono stati collocati presso la clientela, senza il rispetto dei principi della Mifid e in modo non coerente con il profilo di rischio dell’investitore, attratto esclusivamente dalla prospettiva di un rendimento un po’ più elevato rispetto alle obbligazioni ordinarie. 28 L’entità di questi prestiti nel sistema bancario italiano è notevole, ragguagliandosi a € 61 miliardi a settembre 2013: cfr. Boccuzzi, L’Unione, cit., p. 193, nt. 7.
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Come sappiamo, oggi la cessione di attività e passività ad altra banca, al fine di consentire la continuità dei rapporti e la tutela dei depositanti, è il primo atto della procedura di liquidazione e comporta il subentro immediato della banca cessionaria in tutti i rapporti facenti capo alla banca cedente e quindi un disturbo pressoché irrilevante all’attività bancaria ordinaria, consentito dall’intervento del Fondo, che si assume l’onere di pareggiare i conti, accollandosi lo sbilancio di cessione. È evidente che la cessione di attività e passività così configurata, a parte il problema del burden sharing, non potrebbe mai avvenire nell’ambito di una gara pubblica, ordinata e concorrenziale e sarebbe quindi difficilmente compatibile con le norme sugli aiuti di Stato; e questo comporterà inevitabilmente – ma questo sembra essere appunto lo scopo della disciplina europea – che la liquidazione concorsuale dissolutoria, e quindi il rimborso dei depositanti, sarà in futuro non più, come è stata finora, l’eccezione, ma piuttosto la regola. I DGS possono infine essere chiamati a contribuire nell’ambito della procedura di risoluzione, come vedremo esaminando questo procedimento e, in particolare, il ruolo del SRF. 5. Il SRF, ancorché sia finanziato dal settore bancario ricade anch’esso nell’ambito della disciplina degli aiuti di Stato; i suoi interventi richiedono l’approvazione dalla Commissione – esattamente come nel caso di tutti gli altri aiuti di Stato – sulla base di una valutazione di compatibilità con il Mercato interno29, valutazione che, nel quadro generale della disciplina della BRRD, non dovrebbe, a mio avviso, riprodurre il public interest test che è alla base dell’avvio dello stesso procedimenti di resolution, tenuto anche conto che la condizione del burden sharing è soddisfatta attraverso il bail-in, che è condizione necessaria per l’intervento del SRF30. Gli interventi del SRF sono espressamente indicati all’art. 101, par. 1, BRRD e possono consistere nel: a. Garantire le attività o le passività della banca in risoluzione, delle sue succursali, di un “ente ponte” (bridge institution) o di un veicolo di gestione patrimoniale
29
Preamboli 47, 55, 57, 69, art. 2, n. 28, etc. della BRRD. È vero peraltro che la Commissione potrebbe subordinare l’autorizzazione – come sempre, quando si tratta di temi attinenti al mercato – a condizioni specifiche, che potrebbero riguardare anche la banca interveniente, relativi all’organizzazione, alla gestione e al governo della banca stessa. 30
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b. Erogare finanziamenti a questi stessi soggetti c. Acquistare attività della banca in risoluzione d. Erogare contributi all’ente ponte o al veicolo di gestione e. Pagare indennizzi ad azionisti e creditori, compresi i DGS intervenuti nel procedimento, qualora questi abbiano subito una perdita superiore a quella che avrebbero sofferto in caso di liquidazione della banca (principio del “no creditor worse off than in liquidation”) f. Erogare contributi alla banca in risoluzione, in luogo della svalutazione o della conversione di passività di determinati creditori, esclusi dal bail-in su decisione dell’Autorità di Risoluzione g. Concedere prestiti su base volontaria ad altri meccanismi di finanziamento h. Avviare una qualsiasi combinazione delle attività precedenti. È poi espressamente escluso (par. 2) che il SRF possa essere utilizzato per la copertura diretta di perdite o per la ricapitalizzazione di una banca; il suo intervento non può inoltre, nell’insieme, superare il 5% delle passività totali della banca di cui si tratta e può aver luogo soltanto dopo un bail-in per almeno l’8% delle passività totali, fondi propri compresi. Soltanto nel caso in cui i crediti esentati dal bail-in siano di importo tale da non consentire al contributo del SFR di coprire il gap finanziario che ne deriva, il ricorso a fondi pubblici è consentito31. Questi essendo gli interventi ai quali il SRF può essere chiamato, si è discusso sulla sua adeguatezza, stimata come si è detto nel target level di € 55 miliardi al termine degli 8 anni previsti per la sua formazione; a parere di molti, il suo ammontare sarebbe largamente insufficiente32.
31
SRM Regulation (EU) No 806/2014, preambolo (79) «In extraordinary circumstances, where liabilities have been excluded and the Fund has been used to contribute to bail-in in lieu of those liabilities up to the permissible cap, the Board should be able to seek funding from alternative funding means». In concreto dunque, tenuto conto che I fondi che alimentano il SPF sono privati e tenuto conto del bail-in, il contributo dei privati, prima dell’intervento pubblico, deve essere di almeno il 13% delle passività totali. 32 Secondo Persson - Ruparel, The Eurozone banking Union a game of two halfes, in Open Europe working paper, December 2012, p. 10-11; «in a ‘business as usual ‘scenario, a resolution fund to be at least € 500 bn to be convincing. Most of this would need to be prefunded, i.e. real cash as opposed to loan guarantees.The funds could be built up using a levy and/or tax on financial institutions or provided by governments». In aggiunta a questo, occorrerebbe un DGS comune con una contribuzione di altri € 96 miliardi. Anche a chi scrive, sia pure in termini ben diversi, il SRF era apparso inadeguato. Ulteriori riflessioni, alla luce anche degli sviluppi della situazione complessiva, conducono però ora alle conclusioni indicate nel testo.
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In realtà, queste critiche non sembrano tener conto del sistema complessivo nel quale il SRF si inserisce. Anzitutto, le banche sono oggi molto più capitalizzate di quanto fossero soltanto un paio di anni fa: il Comprehensive Assessment condotto dalla BCE su 130 banche ha identificato carenze di capitale in 25 banche soltanto, per un ammontare complessivo di € 24,5 miliardi33 in buona parte, nel frattempo, eliminate. In secondo luogo, va tenuto conto della particolare incisività della vigilanza della BCE, che consentirà verosimilmente una percezione tempestiva dei problemi e conseguentemente l’avvio della resolution nella fase inziale della crisi, riducendo l’impatto delle perdite. Rilevanza significativa, almeno sul piano teorico, rivestono, in questo contesto, sia i recovery plans34, che tutte le banche sono tenute annualmente a predisporre ed inviare alle autorità di vigilanza, sia le early intervention dell’autorità di vigilanza, che possono scongiurare il precipitare della crisi35. In terzo luogo, non va dimenticato l’effetto del bail-in; se la procedura si avvia tempestivamente, è probabile che il SFR neppure sia chiamato ad intervenire o debba comunque farlo per una quota relativamente modesta36.
33
ECB, Aggregate Report on the Comprehensive Assessment, October 2014, p. 6. Va detto peraltro che altre indagini, utilizzando metodi diversi, pervengono a risultati molto più pesanti. Cfr. C. Hadjiemmanuil, Bank Resolution, cit., p. 36 e nota 152. 34 Si tratta di una sorta di stress test, molto impegnativi anche nella redazione, che prefigurano scenari avversi ed indicano le iniziative e i rimedi che la banca ritiene di poter porre in essere nell’ipotesi del loro verificarsi. 35 L’EBA ha appena rese pubbliche, al termine di un periodo di consultazione, le Guidelines on triggers for use of early intervention measures pursuant to Article 27 (4) of Directive 2014/59/EU (EBA/GL/2015/03 - 8 May 2015), destinate alle autorità di vigilanza, indicando le situazioni nelle quali esse dovrebbero considerare l’avvio di early interventions. Tra queste misure va segnalata la possibile nomina di un temporary administrator, molto simile al commissario straordinario della nostra amministrazione straordinaria (art. 29, BRRD). 36 Un bail-in delle passività non privilegiate, con il limite minimo dell’8% perché il SRF possa intervenire, è estremamente significativo, anche se dipende dalla composizione del passivo e dalla presenza di passività bail-inable, che le banche sono chiamate a detenere proprio in previsione dell’applicazione di questo strumento; un esercizio di simulazione, applicato alla situazione di Banca Tercas, banca relativamente piccola, nella quale il FITD è intervenuto con un contributo di ripianamento delle perdite di 265 milioni – assumendo come positivo l’esito del public interest test – mostra che né il DGS, né tanto meno il SRF, sarebbero stati chiamati ad intervenire, per la eliminazione delle perdite, residuate all’azzeramento del capitale e delle riserve, e la ricostituzione del capitale nella misura necessaria per la prosecuzione dell’attività. Il sacrificio complessivo dei creditori (portatori di prestiti subordinati, banche creditrici e obbligazionisti) nella gerarchia della loro “responsabilità” nel processo di ricapitalizzazione interna (appunto il bail-in), sarebbe stato di € 230 milioni, oltre
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Non va, infine, dimenticato il contributo al quale i DGS – che sono in fondo alla scala delle passività bail – inable, alposto dei depositanti garantiti – possono essere chiamati prima dell’intervento del SRF, che, dal canto proprio, è in grado di incrementare le proprie risorse attraverso finanziamenti e contribuzioni ex post delle banche partecipanti. Insomma, se a questo si aggiunge la possibilità di ricapitalizzazione diretta del DRI, sia pure con i grossi limiti che presenta, e la possibilità di una ricapitalizzazione indiretta, di ultima istanza, attraverso l’ESM, si ha la sensazione di una safety net nel complesso adeguata per un sistema bancario in larga parte “ripulito” per effetto della crisi e degli interventi che essa ha richiesto o imposto. 6. Queste considerazioni ci riconducono ai DGS e al ruolo, prima accennato, che essi possono avere nell’ambito della procedura di resolution ai sensi dell’art. 109 della BRRD, in attuazione della loro funzione di garanti dei depositi. L’intervento di DGS nell’ambito della procedura di resolution ha anch’esso come termine di riferimento gli effetti che si sarebbero prodotti sui depositanti garantiti se la banca fosse stata liquidata nell’ambito della ordinaria procedura concorsuale nazionale, in rapporto alle conseguenze del bail-in o degli altri strumenti di resolution concretamente utilizzati. In altri termini, i depositanti garantiti non sono mai direttamente e concretamente sacrificati nel procedimento e la loro posizione di creditori nella gerarchia concorsuale costituisce il termine di riferimento per l’intervento del DGS, che così assolve la sua funzione; coerentemente con questo, il DGS non può mai essere richiesto di contribuire alla procedura per un importo superiore a quello che avrebbe dovuto corrispondere se la banca fosse stata liquidata secondo la normale procedura concorsuale nazionale. Può tuttavia accadere che la valutazione fatta, fondata su un apprezzamento presuntivo delle capacità di recupero, si riveli in concreto non
a € 265 milioni per la copertura delle perdite, nella misura dell’8%. In conclusione, dunque, il 27 % circa delle passività totali, al netto dei crediti privilegiati e dei depositi garantiti, pari, questi ultimi, a € 1.368 milioni. Della pervasività (e anche brutalità) del bail-in ha dato prova la sua applicazione ante litteram nel dissesto della Laiki Bank di Cipro, raggiungendo un livello di write-off e di conversione in azioni superiore al 45% delle passività totali. Lo sdegno allora non fu però particolarmente sentito, in quanto si trattava prevalentemente di depositi di “nuovi ricchi” russi.
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corretta e allora l’art. 74 della BRRD prevede che, dopo l’avvio degli strumenti di resolution, un esperto indipendente valuti la correttezza del trattamento concretamente riservato ai depositanti e al DGS che li ha garantiti, rispetto a quello che avrebbero ricevuto nell’ambito di una ordinaria procedura di liquidazione nella classe creditoria di appartenenza. Se questa valutazione indipendente accerta che il DGS ha contribuito alla resolution con un importo superiore a quello che sarebbe stato dovuto nell’ambito della liquidazione ordinaria, l’eccedenza deve ad esso essere rimborsata dal SRF (artt. 109 par. 1, ult. co. e 101, par. 1, lett. e). In ogni caso, ancorché la presunzione di perdita sia corretta, il DGS non può essere richiesto di corrispondere un importo superiore al 50% del suo target level (art. 109, par. 5 co. 2)37. 7. Come abbiamo ricordato il nostro legislatore ancora deve intervenire con la trasposizione nel nostro ordinamento della DGSD e della BRRD ed è necessario che lo faccia senza ulteriori ritardi, non solo per adempiere gli obblighi derivanti dal Trattato, ma anche perché, a partire dal primo gennaio 2016, con l’applicabilità del bail-in entrambe le direttive saranno entrate pienamente in vigore e gli Stati membri devono avviare, tra le altre cose, la costituzione e la riorganizzazione dei due fondi, rispettando il target level ed il tempo del loro completamento. Già questa non è cosa da poco, non solo per la dimensione dell’onere che graverà complessivamente sul sistema bancario italiano, stimabile in circa € 1 miliardo l’anno38, ma soprattutto per l’incertezza che si determinerà in relazione agli interventi che comunque dovranno essere fatti ed alle modalità di provvista delle risorse necessarie da parte delle banche partecipanti39.
37 Questa disposizione prevede che gli Stati membri, in relazione alla struttura del sistema bancario nazionale, possano elevare questa percentuale. Come è noto, la composizione e la struttura del sistema bancario influiscono anche sull’entità del target level, sulla percentuale rispetto alla raccolta garantita e sulla corrisponde contribuzione delle banche partecipanti (preambolo 28 e art. 10, par. 6, DGSD). 38 Entrambe le contribuzioni saranno per le banche un costo ed incideranno quindi sul loro conto economico, senza alcun corrispettivo “partecipativo” ai fondi e senza alcuna aspettativa, come è invece oggi, di ricevere gli eventuali recuperi operati dai Fondi. 39 In realtà, anche se il nuovo meccanismo di costituzione del Fondo si avviasse tempestivamente, si porrebbe comunque il problema della sua verosimile insufficienza iniziale, tenuto conto dell’entità della contribuzione e degli anni a disposizione per il raggiungimento del target level. I DGS nella prima fase del nuovo corso dovranno pressoché inevitabilmente ricorrere a meccanismi di finanziamento.
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A parte questo tema di carattere più generale, il legislatore nazionale dovrà farsi carico della disciplina delle misure alternative previste dall’art. 11 della DGSD, consentendo ai fondi nazionali di adempiere le condizioni organizzative e funzionali previste dalla Direttiva; resta, certamente, il tema degli aiuti di Stato, ma anch’esso deve essere affrontato a livello più generale con la Commissione, sotto la specie, a mio avviso, della compatibilità, più che di singoli interventi, di un regime di carattere più generale, che soprattutto con riferimento alle tante piccole banche che operano nel nostro Paese, sarebbe del tutto giustificato, anche sotto il profilo della proporzionalità. Questa considerazione conduce ad una valutazione finale e polimorfa, quella cioè del pubblico interesse e della sua definizione e riconoscibilità nelle diverse situazioni in cui esso assume rilevanza. IL pubblico interesse, lo sappiamo, è condizione per l’avvio della procedura di resolution (art. 32, BBRD, par. 1, lett. c) ed esso è definito (par. 5), in modo sostanzialmente tautologico, con riferimento alla necessità di assicurare il raggiungimento degli stessi obiettivi della resolution, che ne allora rappresentano finalità e condizione. La resolution, sappiamo anche questo, può riguardare banche significant – allora la competenza ad avviarla sarà della BCE, nell’ambito del SRM – e banche less significant, e la competenza in questo caso sarà delle autorità nazionali; ma in entrambi i casi, la ricorrenza del public interest sarà una condizione necessaria. Sembra evidente che gli obiettivi fissati dall’art. 31 – e dunque la nozione di interesse pubblico – abbiano intensità e qualificazione diverse in relazione all’ambito nel quale la valutazione è compiuta, come sembra insito nella stessa previsione generale contenuta nel par. 3 dell’art. 31 della BRRD, sempre che non sia interessato il SRF, nel qual caso, per omologazione normativa, l’ “interesse pubblico nazionale”, si indentifica con quello valutabile a livello del SRM. Si tratta di uno dei problemi maggiori che il nuovo sistema prospetta40, anche perché, guardando il nostro Paese (ed escludendo la possibilità del ricorso al SRF, a partire dal 1° gennaio 2016, anche nel periodo in cui esso sia ancora composto di comparti nazionali) nel caso, in particolare, delle banche di credito cooperativo che non sono in grado di esser ricapitalizzate in modo diretto, la possibilità di assicurare
40 E che riguarda anche la possibile diversa qualificazione nei Paesi dell’eurozona rispetto a quelli al di fuori di essa, ma ugualmente soggetti all’applicazione della BRRD.
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la prosecuzione dell’attività sarebbe sostanzialmente esclusa ed affidata soltanto alla sopravvivenza dell’azienda, attraverso la cessione di attività e passività nell’ambito della procedura di liquidazione, fermo restando comunque il burden sharing. La resolution offre possibilità maggiori di conservazione della banca come going concern, anche attraverso l‘intervento del DGS di categoria e dunque di salvaguardia dell’interesse pubblico, che opportunamente qualificato, esiste anche nelle piccole realtà bancarie, in relazione al territorio nel quale esse operano41. L’interesse pubblico, sotto la specie della tutela della stabilità finanziaria, è anche alla base della possibilità di deroga al regime degli aiuti di Stato (par. 50 della Comunicazione della Commissione 2013/C 216/01) e, come prima accennavo, ritengo che esso coincida, sia pure con ulteriori qualificazioni, con quello la cui valutazione spetta, nel rispettivo ambito, alle autorità nazionali e alla SRB, per quanto riguarda l’uso del SRF. Resta ferma la possibilità per la Commissione di richiedere interventi diretti ad attenuare i possibili effetti di moral hazard. Il nostro sistema bancario, nonostante la consistente ricapitalizzazione compiuta anche sotto la spinta delle verifica della BCE, presenta ancora – come del resto tutti i sistemi nazionali – numerose situazioni di debolezza, che non possono essere semplicemente risolte con la liquidazione o con il semplice sacrificio brutale di larga parte dei creditori. Gli effetti potrebbe essere devastanti, anche sul piano del contagio; di questo le nostre Autorità sono consapevoli e questo induce a ritenere che il nostro legislatore, quando si deciderà a farlo, sarà in grado di ricevere da esse un contributo adeguato e costruttivo.
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41 La spinta che si sta esercitando sulle banche di credito cooperativo per la loro autoriforma mira soprattutto ad assicurare una rete di protezione di sistema, proprio in previsione dell’applicazione delle nuove regole.
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Il creditore-banca nelle soluzioni negoziate della crisi * 1. Sono stato invitato a svolgere una relazione sul creditore-banca nell’ambito delle soluzioni negoziate della crisi. In particolare, mi occuperò della banca quale possibile finanziatrice nelle procedure di composizione concordata della crisi e me ne occuperò tentando di delineare i contorni entro i quali il comportamento dalla banca tenuto possa considerarsi corretto e le conseguenze, per la banca, dell’eventuale sconfinamento dal perimetro di correttezza. Riprendo il discorso fatto a Cartagena sui crediti prededucibili (o deudas de la masa). In quella occasione avevo evidenziato come in Italia il legislatore della riforma del diritto concorsuale avesse scommesso sulle soluzioni negoziate della crisi (concordato preventivo ed accordi di ristrutturazione dei debiti), considerate – a torto o a ragione – lo strumento migliore (o, comunque, sicuramente meglio del fallimento) per soddisfare gli interessi coinvolti dal dissesto: quello dei creditori e, eventualmente – qualora, cioè, la soluzione negoziata consenta il salvataggio della parte c.d. viable dell’impresa –, quello dei lavoratori dipendenti e quello dell’economia in generale. Avevo altresì evidenziato come uno degli istituti impiegati dal legislatore per invogliare gli operatori a rivolgersi a tali procedure fosse, appunto, la prededuzione per i crediti scaturenti dalla c.d. nuova finanza (o fresh money), impiegata sia per accedere alla procedura (i c.d. finanziamenti-ponte: art. 182-quater, co. 2 e 3), sia durante la procedura (i c.d. finanziamenti interinali: art. 182-quinquies, co. 1 l.fall.) e sia, infine, in esecuzione del concordato o dell’accordo omologato (art. 182-quater, co. 1 e 3).
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Testo della relazione, integrata e con l’aggiunta di note, svolta al convegno internazionale “Giudici e professionisti. Gli attori delle procedure per la crisi dell’impresa negli ordinamenti europei e latinoamericani a confronto”, tenutosi a Benevento dal 13 al 15 novembre 2014.
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Orbene, non sembra dubbio che tali norme – come quelle, per altro versante, che esonerano da revocatoria nel successivo, eventuale, fallimento gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse sui beni del debitore posti in essere in esecuzione di un concordato o di un accordo o di un piano attestato di risanamento [art. 67, co. 3, lett. d) ed e)] – erano (e sono) sostanzialmente rivolte alle banche1. Non v’è dubbio, invero, che nella quasi totalità dei casi l’intervento di una o più banche sia indispensabile per il buon fine della soluzione negoziata: senza il supporto finanziario degli enti creditizi, l’intera impalcatura della riforma crollerebbe miseramente2. Da questo punto di vista, ben possono le banche essere annoverate, come suggerisce il titolo di questo segmento del congresso, tra gli attori protagonisti (e non tra i comprimari) dello scenario in questione. 2. Ciò premesso, come si valuta, in termini di correttezza, il comportamento della banca che con il proprio apporto finanziario mantiene in vita l’impresa défaillante, evitando che la stessa sia assoggettata a fallimento? In tale rinnovato sistema, v’è ancora spazio per configurare una responsabilità della banca per concessione abusiva di credito, oppure il sostegno dell’istituto di credito deve considerarsi sempre e comunque lecito, in quanto funzionale al raggiungimento dell’obiettivo che il legislatore della crisi di impresa mostra di ritenere prioritario? Come evidenziato da attenta dottrina, il tema – tutt’altro che inesplorato – ricopre un ruolo centrale nel rinnovato assetto delle soluzioni negoziate della crisi3.
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Non è un caso, infatti, che nella versione originaria dell’art. 182-quater, co. 1 soltanto i crediti derivanti dai finanziamenti erogati dalle banche (e dagli intermediari finanziari ex art. 106 t.u.b.) fossero assistiti dalla prededuzione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 111 l.fall. Sulla (senz’altro opportuna) “correzione di tiro” operata con il d.l. n. 83/2012 cfr., per tutti, A. Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali3, Bologna, 2014, p. 404. 2 A. Nigro, La responsabilità delle banche nell’erogazione del credito alle imprese “in crisi”, in Giur. comm., 2011, I, p. 306: «Le soluzioni concordate delle crisi trovano nel mantenimento del credito bancario, per un verso, e nella c.d. nuova finanza, per altro verso, momenti imprescindibili: ed allora il regime fatto alle banche si spiega proprio con la volontà del legislatore di incentivare le banche affinché si impegnino nell’assistenza finanziaria alle imprese in difficoltà, sia consentendo la prosecuzione dell’attività sia contribuendo a ristrutturazioni e risanamenti». 3 Miola, Profili del finanziamento dell’impresa in crisi tra finalità di risanamento
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Ricordo a me stesso che la figura della concessione abusiva di credito è stata “introdotta” nel dibattito giuridico del nostro ordinamento, sulla scia di quello francese4, dal prof. Nigro5 ed è stata poi impiegata dalla giurispruden-
e doveri gestori, in Riv. dir. civ., 2014, p. 1079: «L’ampia tematica delle operazioni di finanziamento in specie di matrice bancaria alle imprese in stato di crisi, nella loro veste antitetica di strumento di sostegno economico rivolto a favorire il superamento della crisi o, viceversa, di misura in grado di provocare o comunque di incentivare l’artificiosa conservazione in vita di un’impresa il cui dissesto sia irreversibile ritardandone la dichiarazione di fallimento ed arrecando pertanto un ulteriore depauperamento del suo patrimonio in pregiudizio dei creditori, non può dirsi certamente sconosciuta nel nostro ordinamento, tanto dal versante del diritto della crisi di impresa, quanto da quello della disciplina penalistica dei reati fallimentari». Tra i contributi sul tema cfr., almeno, A. Nigro, La responsabilità, cit., p. 305; Id., “Privatizzazione” delle procedure concorsuali e ruolo delle banche, in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, p. 1; Borgioli, Responsabilità della banca per concessione «abusiva» di credito?, in Funzione bancaria, rischio e responsabilità, a cura di Maccarone e A. Nigro, Milano, 1981, p. 197; Pratis, Responsabilità extracontrattuale della banca per concessione abusiva di credito?, in Giur. comm., 1982, I, p. 841; Terranova, La responsabilità delle banche nei confronti dei creditori dell’impresa finanziata, in Id., Profili dell’attività bancaria, Milano, 1989, p. 210; Bonelli, “Concessione abusiva” e “interruzione abusiva” di credito, in Id., a cura di, Crisi di imprese.: casi e materiali, Milano, 2011, p. 249; Fortunato, La concessione abusiva di credito dopo la riforma delle procedure concorsuali, in Fallimento, 2009, p. 65; Inzitari, La responsabilità della banca nell’esercizio del credito: abuso nella concessione e rottura del credito, in Banca, borsa, tit. cred., 2001, I, p. 265; Id., Concessione abusiva del credito: irregolarità del fido, false informazioni e danni conseguenti alla lesione dell’autonomia contrattuale, in Dir. banc., 1993, I, p. 412; Roppo, Responsabilità delle banche nell’insolvenza dell’impresa, in Il fallimento, 1997, p. 869; Di Marzio, Concessione abusiva di credito, in Enc. dir., Annali, VI, Milano, 2013, p. 178; Id., Ancora sulla fattispecie “concessione abusiva di credito”, in Banca, borsa, tit. cred., 2012, II, p. 692; Id., Sulla fattispecie “concessione abusiva di credito”, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, II, p. 395; Piscitello, Concessione abusiva del credito e patrimonio dell’imprenditore, in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 655; Stanghellini, Il credito “irresponsabile” alle imprese e ai privati: profili generali e tecniche di tutela, in Società, 2007, p. 401; Pinto, La responsabilità da concessione abusiva di credito fra unità e pluralità, in Giur. comm., 2011, II, p. 1161; Castiello d’Antonio, Il rischio per le banche nel finanziamento delle imprese in difficoltà: la concessione abusiva di credito, in Dir. fall., 1995, I, p. 253; Id., La responsabilità della banca per «concessione abusiva del credito», ivi, 2002, I, p. 1077; Id., Crisi d’impresa e responsabilità della banca: revoca “brutale del fido”, concessione abusiva del credito, ivi, 2009, I, p. 290. Per le opere a carattere monografico v. Di Marzio, Abuso nella concessione di credito, Napoli, 2004 e Viscusi, Profili di responsabilità della banca nella concessione abusiva del credito, Milano, 2004. 4 Sull’evoluzione, in Francia, della responsabilità “du banquier dispensateur de crédit” cfr., da ultimo, Piscitello, Concessione, cit., p. 657 ss. 5 A. Nigro, La responsabilità della banca per concessione “abusiva” di credito, in Giur. comm., 1978, I, p. 219 ss.
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za6, anche penale7, proprio al fine di colpire i comportamenti delle banche che, attraverso il sostegno finanziario alle imprese ormai decotte, contribuiscono a ritardare l’apertura della procedura concorsuale, con conseguente (potenziale) danno sia per i creditori anteriori al finanziamento, che per effetto del ritardo vedono diminuire la garanzia patrimoniale del proprio debitore (sub specie di diminuzione della massa attiva e/o di aumento della massa passiva) e, dunque, le possibilità di essere soddisfatti; sia per i creditori posteriori, indotti a concedere credito all’impresa in crisi confidando sulla apparente solvibilità delle medesime (apparenza ingenerata, proprio, da quel sostegno finanziario)8. Ora, sul punto io direi – volutamente tralasciando la questione, che in questa sede non può essere affrontata, concernente la legittimazione attiva ad esercitare l’azione per concessione abusiva di credito in caso di fallimento della impresa finanziata (organo della procedura o singoli creditori)9 – che nessun dubbio può porsi con riferimento a quei finan-
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Per gli opportuni riferimenti cfr., Piscitello, Concessione, cit., p. 656; Fortunato, La concessione, cit., p. 265, nt. 3. 7 Sul punto v., per tutti, Insolera, La responsabilità della banca per concessione abusiva di credito alla impresa in crisi, in Giur. comm., 2008, I, p. 841. 8 Per una definizione della fattispecie “concessione abusiva di credito” – in un’ottica, peraltro, limitata alla posizione dei creditori successivi al finanziamento – cfr., per tutti, Fortunato, La concessione, cit., p. 266: «la concessione di credito consiste (…) nel comportamento del soggetto finanziatore che mantiene “artificiosamente” in vita un’impresa insolvente suscitando nel mercato (id est: negli altri operatori del mercato) una errata percezione della realtà finanziaria ed economica dell’impresa sovvenuta e così inducendo i terzi operatori “a contrattare o a continuare a contrattare” con tale impresa in una situazione di sostanziale aggravamento del dissesto, conoscendo la quale si sarebbero presumibilmente astenuti dal contrarre o si sarebbero attivati a tutela delle proprie ragioni di credito già maturate». Molto meno esplorato è stato invece il tema della responsabilità degli amministratori della società insolvente per avere colpevolmente ritardato l’apertura della procedura richiedendo ulteriori finanziamenti: ciò si deve, secondo autorevole dottrina (Miola, Profili, cit., p. 1081), al fatto che nella prassi i curatori preferiscano di gran lunga aggredire il patrimonio dei finanziatori “forti”, piuttosto che quello personale dell’organo amministrativo. 9 In argomento, com’è noto, con una serie di sentenze a Sezioni Unite (le nn. 7029, 7030 e 7031 del 2006) la Corte di Cassazione ha escluso che tale azione fosse inquadrabile tra quelle “di massa” e, dunque, esperibile dall’organo della procedura, restando la legittimazione in capo ai singoli creditori danneggiati dal comportamento della banca (le pronunzie possono leggersi in Riv. dir. comm., 2006, II, p. 323). In epoca successiva, peraltro, lo stesso giudice di legittimità, con sentenza 1 giugno 2010, n. 13413, in Giur. it., 2011, I, 109, con nota di Spiotta, ha affermato che il curatore è legittimato ad agire nei confronti della banca a titolo di concorso nella responsabilità ai sensi dell’art. 2392
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ziamenti che generano crediti dalla legge oggi qualificati come prededucibili. A me sembra infatti evidente che, anche qualora al tentativo di soluzione negoziata della crisi seguisse il fallimento, con riferimento a tali finanziamenti parlare di responsabilità della banca per concessione abusiva di credito sarebbe semplicemente assurdo, in quanto assurdo sarebbe quel sistema nel quale uno stesso comportamento venisse, per un verso, riconosciuto assolutamente legittimo, anzi meritevole di una disciplina di particolare favore (in punto, come si diceva, di prededuzione, ma anche di esonero da revocatoria) e, per altro verso, ritenuto connotato da antigiuridicità10, tanto da esporre l’autore ad una azione di risarcimento per i danni eventualmente patiti dagli altri creditori per effetto di quel comportamento. D’altra parte, l’attribuzione della condizione di prededucibile al credito per il finanziamento erogato nell’ambito dei meccanismi di composizione della crisi testimonia la chiara volontà del legislatore di sacrificare l’interesse dei creditori “anteriori” a non subire il fenomeno conosciuto con l’espressione “asset substitution” – e che si realizza ogni qual volta varia, rispetto al momento della concessione del credito, la consistenza quantitativa e/o qualitativa del patrimonio del debitore –, a favore del tentativo di risanamento dell’impresa debitrice (recte: del tentativo di soluzione negoziata della crisi)11. Per dirla in altri termini, è lo stesso
c.c., per il pregiudizio arrecato al patrimonio sociale dal finanziamento abusivo. Per una critica a tale orientamento cfr, da ultimo, Miola, Profili, cit., nt. 14. In dottrina, l’orientamento assolutamente maggioritario ritiene non legittimato il curatore (e cfr., per tutti, A. Nigro, La responsabilità delle banche, cit., p. 311). In senso contrario, tuttavia, Inzitari, La responsabilità della banca, cit., p. 294; Ragusa Maggiore, La concessione abusiva del credito e la dichiarazione di fallimento, in Dir. fall., 2002, II, p. 510 ss. 10 Più in particolare, secondo la dottrina maggioritaria, l’antigiuridicità dell’abusiva concessione del credito deriverebbe dalla violazione del principio generale del neminem laedere, la banca finanziatrice rispondendo per responsabilità extracontrattuale (sub specie di lesione del diritto di credito), ex art. 2043 c.c. Sul punto cfr., tra gli altri, A. Nigro, Note minime in tema di responsabilità per concessione «abusiva» di credito e di legittimazione del curatore fallimentare, in Dir. banc., 2002, II, p. 294. 11 Il fenomeno conosciuto con l’espressione “asset substitution” è particolarmente studiato negli Stati Uniti e specialmente dagli economisti: per tutti cfr. Green e Talmor, Asset substitution and the agency costs of debt financing, in Journal of Banking & Finance, 1986, p. 391 ss.; Gavish e Kalay, On the asset substitution problem, in Journal of Financial and Quantitative Analysis, 1983, p. 21 ss. Nella letteratura giuridica cfr., per tutti, Schwartz, Security Interests and Bankruptcy Priorities: A Review of Current Theories, in 10 J. Legal Stud., 1981, p. 1 ss. (in part., p. 11) e LoPucki, The Unsecured Creditor’s
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sistema che, per come è congegnato, necessariamente si alimenta di “spostamenti di valore” – seppure soltanto potenziali – a danno dei creditori concorsuali. Ma se il finanziamento di un’impresa in crisi, e finanche in stato di insolvenza, non è di per sé abusivo12, è evidente che non è più il merito creditizio del debitore al momento dell’erogazione del credito il faro alla luce del quale valutare se il comportamento della banca risponde ai canoni di correttezza propri del bonus argentarius13. L’oggetto della valutazione diventa, allora, lo strumento utilizzato per comporre la situazione di crisi e la funzionalità del finanziamento rispetto a detto strumento14. In alcuni casi tale duplice valutazione è sostituita da una previsione normativa: è quanto avviene, ad esempio, per i finanziamenti erogati in esecuzione di un concordato o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato. In altri, la legge rimette la seconda delle due valutazioni, ossia quella relativa alla strumentalità, all’apprezzamento dell’autorità giudiziaria, come avviene per i c.d. finanziamenti-ponte e per quelli “interinali”. Fuori dagli strumenti “tipici” di soluzione concordata della crisi, lo spazio per la figura della responsabilità per concessione abusiva di credito rimane intatto ed anzi, rispetto al passato, sembrerebbe ampliarsi15, proprio in considerazione del favor mostrato dal legislatore per i meccanismi trasparenti di composizione della crisi. Quel che si vuol dire è che la segretezza in ordine alla situazione
Bargain, in 80 Va. L. Rev., 1994, p. 1887 ss. (in part., p. 1894). 12 Nello stesso senso, tra gli altri, Piscitello, Concessione, cit., p. 661. 13 Come invece sostenuto nell’ambito dell’impostazione classica del problema della concessione abusiva di credito: sul punto cfr., per tutti, Fortunato, La concessione, cit., p. 266. 14 Chiarissimo, sul punto, A. Nigro, La responsabilità delle banche, cit., p. 310: «Nelle ipotesi che stiamo considerando, le quali vedono la presenza di piani o di accordi volti al superamento della crisi, la valutazione di ragionevolezza dell’ausilio creditizio avrà come necessario punto di riferimento l’attendibilità del piano o dell’accordo e la sua effettiva idoneità al superamento della crisi. E non potrà non darsi peso, in tale valutazione, all’attestazione dell’esperto, per un verso, ed all’eventuale intervento del tribunale, per altro verso: nel senso che l’una e l’altro dovrebbero escludere, in principio, l’irragionevolezza della concessione del credito o, comunque, far presumere, almeno, la ragionevolezza di tale concessione». 15 In particolare, con riferimento alla valutazione dell’elemento soggettivo della fattispecie, la colpa della banca potendo essere apprezzata in maniera più rigorosa, rispetto al passato, in virtù della presenza, nell’ordinamento, dei nuovi strumenti di composizione concordata della crisi.
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economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa défaillante, assicurata dai c.d. “concordati stragiudiziali”, ha dei costi, alcuni dei quali certi e diretti, come ad esempio la non attivazione delle norme in tema di esenzione dall’azione revocatoria (art. 67, co. 3) e dai reati fallimentari (art. 217-bis), nonché delle norme, di cui si è già detto, in tema di prededuzione; ed altri, invece, potenziali e indiretti, tra i quali rileva, in questa sede, il possibile coinvolgimento dell’istituto di credito nell’azione di responsabilità per concessione abusiva di credito. Più in particolare, sembra possibile sostenere – prendendo spunto dal regime penale del fallimento (art. 218) – che il comportamento della banca sia scorretto, sub specie di concessione abusiva di credito (e dunque idoneo, in presenza degli altri presupposti stabiliti dalla legge, a cagionare un danno risarcibile) qualora abbia contribuito a dissimulare il dissesto o lo stato di insolvenza del debitore16. In tale prospettiva, allora, qualche dubbio si potrebbe porre con riferimento ai finanziamenti erogati in esecuzione di un piano attestato di risanamento, specialmente qualora il debitore, non esercitando la facoltà riconosciutagli dall’art. 67, co. 3, lett. d), decidesse di non pubblicarlo nel registro delle imprese. Certo, la mancata pubblicazione del piano non necessariamente determina, in caso di insuccesso del tentativo di risanamento, la natura “abusiva” del finanziamento erogato dalla banca. Anche qui, invero, riterrei che la soluzione debba essere coerente con il sistema: se non v’è abuso dell’istituto – in quanto palesemente inidoneo al raggiungimento del fine ad esso astrattamente assegnato dall’ordinamento 17 – e, dunque, gli atti ed i pagamenti posti in esecuzione del piano godono, nonostante la mancata iscrizione del piano nel registro delle imprese, dell’esonero dall’azione revocatoria e non espongono l’autore all’incriminazione per reati di bancarotta (art. 217-bis), non dovrebbe esservi spazio per una condanna della banca per concessione abusiva di credito. È tuttavia indubbio – o almeno così a me pare –, che la pubblicazione nel registro delle imprese, rendendo manifesta la situazione di crisi del debitore, “disinneschi” la responsabilità dell’istituto finanzia-
16 In questo senso già A. Nigro, La responsabilità della banca, cit., p. 238 e, più di recente, Viscusi, Profili di responsabilità, cit., p. 132. 17 Deve senz’altro ritenersi abusivo il piano attestato – e, dunque, il finanziamento erogato in esecuzione dello stesso – qualora il suo uso sia strumentale «a ritardare l’apertura della procedura concorsuale ed ottenere in questo modo il definitivo consolidamento delle garanzie reali e dei pagamenti effettuati per rientrare dalla pregressa esposizione debitoria»: così Piscitello, Concessione, cit., p. 662.
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tore, almeno rispetto ai creditori successivi, anche qualora il piano si riveli, ex post, sin dall’origine manifestamente irrealizzabile18. In dottrina si è poi affacciata l’idea che nel nuovo assetto dell’ordinamento concorsuale la responsabilità per concessione abusiva di credito assuma le vesti di responsabilità contrattuale, che la banca assume(rebbe) direttamente nei confronti degli altri creditori che partecipano all’accordo o che votano positivamente la proposta di concordato ed indirettamente, sub specie di “obbligo di protezione”, nei confronti dei creditori estranei all’accordo di ristrutturazione o che votano negativamente la proposta concordataria19. A me sembra, però, che addossare alla banca l’obbligo di vigilare l’esatta esecuzione del piano – la fattibilità del quale è attestata, giova precisarlo, da un professionista – che è alla base dell’accordo o del concordato omologati dall’autorità giudiziaria, non soltanto ai fini della protezione della sua posizione creditizia, ma anche di quella degli altri creditori comunque coinvolti dalla crisi del debitore comune, sia, per un verso, concettualmente eccessivo e, per altro verso, non supportato da alcun addentellato normativo. 3. Esiste, ovviamente, anche l’altra faccia della medaglia. Si può, partendo dal sistema così congegnato dal legislatore della riforma, individuare un obbligo di collaborazione in capo alla banca creditrice, di continuare a finanziare l’impresa in difficoltà economica che intenda avvalersi di una procedura negoziata di composizione della crisi? Può, in altri termini, la presentazione di una domanda di concordato o di preconcordato, oppure una proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti, abilitare la banca a “chiudere i rubinetti”, avvalendosi, ad esempio, di una clausola risolutiva espressa o di una clausola di acceleration (ossia di scadenza anticipata), oppure della tutela assicura dall’art. 1186 c.c., sulla decadenza dal termine? O tale comportamento sarebbe da collocare fuori da quell’immaginario perimetro di correttezza di cui parlavamo all’inizio, integrando gli estremi della figura, a tutti noi conosciuta ma dai contorni tutt’altro che certi, dell’interruzione brutale di credito? Si tratta di un tema particolarmente importante, che visto il tempo a
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Spunti analoghi anche in Fortunato, La concessione, cit., p. 267. Ancora Fortunato, La concessione abusiva, cit., p. 267 che richiama C. Scognamiglio, Ancora sulla responsabilità della banca per violazione degli obblighi discendenti dal proprio status, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, II, p. 657 ss. 19
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mia disposizione posso soltanto segnalare, che ha portato il legislatore francese, con l’ultima riforma apportata con l’ordonnance n. 2014-326, ad introdurre un nuovo art. L611-16 cod. comm., inserito nel titolo dedicato alle procedure di prevenzione (mandat ad hoc e conciliation), ai sensi del quale si considerano come non scritte le clausole (come, appunto, quella comportante la scadenza anticipata del credito della controparte in bonis), inserite in un contratto pendente, che, per il solo fatto della nomina di un mandatario ad hoc o dell’apertura di una procedura di conciliazione, rendono più gravosa la posizione del debitore20. Soluzione, peraltro, già adottata dall’ordinamento colombiano, e proprio al fine di evitare comportamenti opportunistici degli istituti di credito21. Certo è difficile, in mancanza di un riferimento normativo, fissare una regola generale, valevole sempre e comunque: credo che, nella specie, sia necessario procedere ad un’analisi caso per caso, tenendo però a mente il mutato scenario normativo e la protezione che in tale scenario gode il finanziatore, l’attività del quale andrà dunque valutata – sempre ai fini di stabilire se compiuta nel rispetto, o meno, del canone della correttezza – con maggiore rigore rispetto a quanto poteva dirsi accadere nel vigore del precedente regime22.
20 Sul punto sia consentito il rinvio a Vattermoli, La riforma (ulteriore) del diritto della crisi delle imprese in Francia: tra semplificazione, modernizzazione e riequilibrio degli interessi coinvolti, in RdS, 2014, p. 452 ss. (in part., p. 454). 21 Cfr. art. 16 (“Ineficacia de estipulaciones contractuales”), ley n. 1116/2006 (Régimen de Insolvencia Empresarial), ai sensi del quale: «Son ineficaces, sin necesidad de declaración judicial, las estipulaciones contractuales que tengan por objeto o finalidad impedir u obstaculizar directa o indirectamente el inicio de un proceso de reorganización, mediante la terminación anticipada de contratos, la aceleración de obligaciones, la imposición de restricciones y, en general, a través de cualquier clase de prohibiciones, solicitud de autorizaciones o imposición de efectos desfavorables para el deudor que sea admitido al proceso de reorganización previsto en esta ley. Así mismo, toda estipulación que impida o dificulte la participación del deudor en licitaciones públicas o privadas, en igualdad de circunstancias». 22 E v., infatti, le osservazioni di A. Nigro, “Privatizzazione” delle procedure, cit., p. 371: «Probabilmente, va ripensata anche la problematica – che è in qualche modo complementare rispetto a quella della concessione abusiva di credito – della c.d. interruzione “brutale” del credito. Anche qui entra in giuoco il parametro della correttezza, la cui concretizzazione ancora una volta non potrebbe non risentire del nuovo modo in cui, per effetto della riforma di cui stiamo parlando, sembrerebbero doversi atteggiare i rapporti fra banca e impresa in crisi. Nel senso che si potrebbe arrivare a ritenere non conforme al dovere di correttezza il comportamento della banca che non continui a prestare i necessari aiuti finanziari ad un’impresa in difficoltà, nonostante il sistema ormai incentivi questi ausili e comunque assicuri al finanziatore un elevato grado di protezione».
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4. Un ultimo percorso di analisi – che anche in questo caso non posso che abbozzare – porta a considerare il comportamento della banca creditrice nel momento in cui è chiamata a votare la proposta concordataria. Qual è l’interesse che deve muovere, nella specie, l’ente creditizio? È possibile enucleare un interesse concorsuale diverso e, in ipotesi, superiore rispetto a quello individuale di ciascun creditore ad essere soddisfatto nei modi e nelle forme che ritiene più convenienti? E in caso di risposta affermativa, può il comportamento della banca essere valutato alla luce di tale interesse superiore? A mio modo di vedere, tale interesse superiore non esiste, né, conseguentemente, può porsi un problema – che pure parte autorevole della dottrina ha sollevato23 – di potenziale conflitto di interessi di alcuni creditori al momento della votazione. Ben potrebbe dunque la banca, sia appoggiare una proposta per essa non conveniente economicamente, rispetto all’alternativa offerta dalla liquidazione endofallimentare; sia votare contro una proposta che in teoria potrebbe offrire più di quanto ottenibile nel fallimento. Il dato normativo, invero, non sembra lasciare dubbi al riguardo: nel nostro ordinamento, il principio del divieto di ostruzionismo (Obstruktionsverbot) – ben presente al legislatore statunitense, che infatti consente l’omologazione di un piano di riorganizzazione anche in presenza del voto positivo di una sola classe di creditori impaired (ossia, pagati in percentuale e/o con dilazione) – viene sacrificato sull’altare della regola di maggioranza.
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23 Sacchi, Il conflitto di interessi dei creditori nel concordato, in Aa.Vv., Società, banche e crisi di impresa. Studi in onore di Pietro Abbadessa, Torino, 2014, p. 3150; D’Attorre, Il voto nei concordati ed il conflitto d’interessi fra creditori, in Il fallimento, 2012, p. 757 ss.
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La conformazione regolatoria della governance delle società bancarie da parte della Banca d’Italia* 1. È noto, e risalente, che regolamentazioni pubbliche di vario livello, e natura, concorrono a conformare la corporate governance e, più ampiamente, la struttura organizzativa delle società bancarie. Ciò avviene nell’ambito della più complessiva disciplina dello statuto delle società bancarie, ch’è connotato, sotto il profilo formale, dalla specialità (rispetto a quello delle società operanti in campi “non finanziari”) e, sotto quello sostanziale, da una rilevante compressione dell’autonomia privata, statutaria ed organizzativa, da parte di precetti di fonte pubblicistica. È altrettanto noto che un ruolo egemone in materia è stato costantemente svolto da Banca d’Italia – con le sue istruzioni, circolari, comunicazioni – la quale, talvolta, ha con tali atti dato diretta attuazione a disposizioni di fonte comunitaria1. Sotto questo profilo – della fonte (in senso soggettivo) delle regole – sono da segnalare due novità, eterogenee ma convergenti nel ridurre, in certa misura, lo spatium regulandi, sinora egemonico, della Banca d’Italia: - il progressivo espandersi della regolazione europea (v. infra); - il rientro in campo del legislatore nazionale, sia con norme specifiche per subsettori (come quello delle banche popolari2, oggetto del d.l. 24 gennaio 2015, n. 3, convertito con legge 24 gennaio 2015, n. 33), sia con diffuse modifiche del t.u.b. – una sorta di “manutenzione straordina-
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Testo aggiornato della relazione tenuta al Convegno “Nuove norme di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche”, organizzato dall’Università di Salerno, a conclusione del corso di perfezionamento in Diritto bancario e dei mercati finanziari, il 27 giugno 2014. 1 Sia consentito il rinvio a Amorosino, La fine della storica separazione tra banche ed imprese, in Id., Diritto & Economia. Intersezioni e modelli, Napoli, 2009, p. 12 ss. 2 AA.VV., La riforma delle banche popolari, a cura di Capriglione, Padova, 2015.
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ria” – a mezzo del d.lgs., 12 maggio 2015 n. 72, attuativo di più direttive europee. Un altro dato di fondo è la centralità progressivamente assunta dalla tematica della corporate governance nel peculiare statuto giuridico delle società, di vario tipo, gerenti le imprese bancarie. Sotto questo profilo è di comune constatazione che il modello di riferimento è quello della società per azioni (come conferma la imposta trasformazione in s.p.a. delle banche popolari “maggiori”). 2. Da quest’ultima constatazione si deve partire per chiedersi “perché e come” la c.g. delle società bancarie abbia assunto crescente rilevanza nella sfera regolatoria. Una risposta convincente è stata data da un’attenta studiosa3 che ha ricordato l’individuazione, da parte di Bankitalia, della qualità del governo societario quale terzo pilastro – assieme all’adeguatezza del patrimonio4 e dell’organizzazione – della stabilità degli intermediari bancari (rispetto ai molteplici rischi che la insidiano). E la qualità della c.g. – si soggiunge – dipende, da un lato, dalla chiara distinzione dei ruoli e delle responsabilità, dall’appropriato bilanciamento dei poteri e dall’equilibrata composizione degli organi e, dall’altro, dalle politiche di remunerazione. Sotto il profilo normativo la pervasiva incidenza della “determinante europea” trova conferma, anche in questo campo, con la Direttiva 2013/36 CE ed il Regolamento n. 575/2013, i quali, in applicazione di “Basilea 3”, hanno accentuato “l’imputazione agli organismi societari della responsabilità per la gestione dei rischi”. Ad esso vanno aggiunte le “Linee Guida” dell’EBA5. Anche in questo caso la Banca d’Italia ha dato diretta attuazione agli indirizzi ed alle regole europei con la circolare n. 285 del 17 dicembre 2013, che ha inserito un nuovo Titolo IV – Capitolo 1, “Governo societario”, nelle “Disposizioni di vigilanza” (I° aggiornamento del 6 maggio 2014). Anche solo dai riferimenti formali alle fonti europee emerge un dato
3 Antonucci, Rilevanza ed incidenza del potere regolatorio sulle scelte di corporate governance delle banche, relazione al Convegno “Corporate governance bancaria alla luce dei recenti interventi normativi e di vigilanza”, organizzato, a Verona, dal Banco Popolare, il 17 ottobre 2014. 4 Frigeni, Le s.p.a. bancarie dopo Basilea III. Struttura patrimoniale e finanziaria, Milano, 2013 p. 67 ss. 5 “Orientamenti ABE sull’organizzazione interna”, 27 settembre 2011.
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sostanziale d’apice: la stretta interdipendenza, ai fini della vigilanza (o supervisione), tra la sfera della governance e quella dell’organizzazione complessiva della società bancaria. La rilevata concentrazione di responsabilità in capo agli organi che compongono la corporate governance finisce, infatti, per addossare ad essi anche le responsabilità relative sia alla idoneità/funzionalità dell’architettura organizzativa della società bancaria – la cui definizione spetta al Consiglio (o, in rari casi ormai6, ai due Consigli: di sorveglianza e di gestione) – sia – soprattutto – al controllo continuo, da parte di tutti gli organi statutari e di direzione, del corretto ed efficiente funzionamento della struttura organizzativa, ai fini della prevenzione dei rischi e della tempestiva ed efficace adozione delle misure correttive. La responsabilità degli organi di c.g. riguarda in particolare la supervisione dei molteplici sistemi, e funzioni, di controllo interno. Con il risvolto – nell’ambito dei frequenti procedimenti sanzionatori aperti da Banca d’Italia – dell’accollamento ai vari organi di c.g. di amplissime responsabilità, a titolo di culpa in eligendo (dell’architettura organizzativa) e soprattutto di culpa in vigilando, per tutte le disfunzioni riscontrate dall’autorità di vigilanza nell’operatività della struttura. Addossamento reso tanto più agevole quanto più sono generici i precetti regolatori in materia (v. appresso). 3. Il “nocciolo duro” della regolamentazione della c.g. delle società bancarie è – come s’è detto – costituito dalla circolare n. 285/2013, ora incastonata nelle “Disposizioni di vigilanza per le banche”. La novità rispetto alla precedente, articolata, disciplina7 sono numerose. Innanzitutto il superamento del meccanismo “a due stadi” che caratterizzava il previgente plesso normativo, costituito dalle “Disposizioni di vigilanza” del 4 marzo 2008, integrate da una “Nota di chiarimento” del
6 Brogi e Langone, I modelli di corporate governance delle società quotate in Diritto del mercato finanziario, a cura di Amorosino, Milano, 2014, p. 375 ss. Dal lavoro ora citato risulta che, tra le società bancarie quotate, al 31 dicembre 2013 risultavano aver adottato il sistema dualistico soltanto Banca Popolare di Milano s.c.r.l., Banca Intesa S. Paolo s.p.a. (il cui statuto è, peraltro, in revisione) e UBI Banca s.c.p.a. 7 Sulla quale v. ampi riferimenti in Abbadessa, L’amministrazione delle società bancarie secondo il sistema tradizionale; Portale, Amministrazione e controllo nel sistema dualistico delle società bancarie; Libertini, Il sistema dei controlli nelle banche, tutti in AA.VV. La governance delle società bancarie. Convegno in memoria di Niccolò Salanitro, a cura di Di Cataldo, Milano, 2014.
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19 febbraio 2009 e poi da “Disposizioni applicative” dell’11 gennaio 2012. Si configurava, così, un sistema di regole poste da Banca d’Italia, composto da una regolamentazione secondaria e da una terziaria8. Le vigenti disposizioni hanno formalmente superato il precedente modello riunendo un unico testo, i “Principi generali” e le “Linee applicative”. Il diverso “format” non ha, tuttavia, superato taluni problemi sostanziali che si ponevano, e si pongono, in generale, sulla legittimità della regolamentazione di vigilanza e, in particolare, su quella avente ad oggetto la c.g. Facendo ricorso, per brevità, ad una sintesi verbale si può dire che tale regolamentazione pecca, al contempo, per eccesso e per difetto. Sul primo versante è stato da tempo rilevato che a proposito del governo societario la potestà regolamentare della Banca d’Italia trova il suo fondamento in una disposizione del t.u.b. – l’art. 53 – il quale si limita ad indicare «il governo societario, l’organizzazione amministrativa e contabile, nonché i controlli interni ed i sistemi di remunerazione ed incentivazione» quali macro oggetti della regolamentazione. L’attribuzione del potere regolamentare è, dunque, “per verba plus quam generalia”, mediante la mera citazione di “teste di capitolo”, senza alcuna indicazione di merito, se non quella indirettamente ricavabile dall’elencazione – altrettanto generica – delle finalità della vigilanza, contenuta nell’art. 5, co. 1, del t.u.b.9. La problematicità di questa attribuzione di poteri regolamentari “in bianco” non viene sempre rilevata dai commentatori10 i quali, forse implicitamente, ritengono che l’attività regolamentare sia “coperta” dalla legittimazione “costituzionale” generale derivante dall’appartenenza della Banca d’Italia al SEBC, sancita dai Trattati europei. Sta di fatto che alcuni degli oggetti principali dell’autonomia statutaria ed organizzatoria delle società bancarie sono soggetti a precetti conformativi – fortemente limitativi dell’autonomia privata – adottati dall’Autorità di vigilanza in assenza di un qualsiasi, pur vago, indirizzo
8 Per riprendere una locuzione già usata in Amorosino, Principi costituzionali, poteri pubblici e fonti normative in materia di mercati finanziari, in Diritto del mercato finanziario, cit. 9 Capriglione, Commento all’art. 5, in AA.VV., Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Capriglione, Padova, 2012, vol. I, p. 49 ss. 10 Clemente, Commento all’art. 53 in Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Capriglione, cit., vol. II, p. 632 ss.
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legislativo (tanto più che si tratta già di un legislatore delegato). Sul versante opposto è stato rilevato11 un deficit di specificazione delle disposizioni di vigilanza di Banca d’Italia in materia di c.g., in quanto: - i “Principi Generali” indicano gli obiettivi da perseguire, il cui raggiungimento è responsabilità degli amministratori e dei dirigenti apicali delle società bancarie, ai quali spetta l’individuazione dei modelli organizzativi più idonei; - le “Linee applicative” indicano essenzialmente i “percorsi preferenziali”, cioè le procedure interne e taluni criteri generali, da seguirsi per assicurare l’adeguatezza del sistema di governance e, più latamente, di organizzazione. Ne consegue che la sommatoria delle due parti delle “Disposizioni di vigilanza” non stabilisce “nel merito”, in modo esaustivo, quali comportamenti gli esponenti bancari debbono tenere per potersi ritenere esonerati da responsabilità. In altre parole: l’aver adottato, come regole di organizzazione e di azione, i modelli e le procedure indicati da Banca d’Italia ed averne, nel tempo, verificato il buon funzionamento, non esonera gli esponenti bancari da responsabilità per quelle che – nella sua amplissima discrezionalità tecnica12 – l’Autorità di vigilanza può qualificare – in ciascun caso concreto – come disfunzioni, organizzative o operative, rispetto al parametro quasi indefinito costituito dall’adeguatezza del modello e della sua operatività non solo agli specifici precetti, ma anche alle finalità generali perseguite dalle Disposizioni di vigilanza. Si tratta – peraltro – di una situazione ricorrente nelle discipline amministrative di settore relative a materie connotate da un alto tasso di tecnicità. Per fare solo qualche esempio, meccanismi analoghi si rinvengono nel diritto dell’ambiente (nel quale l’adozione delle “migliori tecnologie disponibili”, per la sicurezza degli impianti e per la prevenzione degli inquinamenti, non esonera automaticamente l’impresa da responsabilità), in quello dei beni culturali (a proposito delle tecniche di restauro di beni artistici o architettonici), in quello del paesaggio (a proposito della dimostrazione, che viene pretesa dal privato, della compatibilità dell’opera proposta con il contesto paesaggistico) e – ovviamente – nei settori – affini a quello bancario – della regolazione dei mercati finanziari e delle assicurazioni.
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Antonucci, Rilevanza, cit. V. da ultimo Cons. St., Sez. VI, sent. n. 01595/2015.
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Il minimo comun denominatore, in tutti questi casi, è che l’osservanza delle regole tecniche di settore è condizione necessaria, ma non (sempre) sufficiente, ai fini dello scrutinio di adeguatezza, e poi di diligenza, dei comportamenti degli operatori, da parte delle strutture amministrative di controllo (nel nostro caso: la Banca d’Italia), le quali possono sempre ritenere, quasi insindacabilmente, nei casi sopraelencati, che la tecnologia antinquinamento non fosse la migliore in assoluto: che si dovessero adottare tecniche di restauro diverse; che il progetto presentato non sia compatibile con la tutela del paesaggio; che il modello organizzativo della banca sia inadeguato. E – a cascata – nelle prassi sanzionatorie di Banca d’Italia l’aver adottato ed implementato modelli organizzativi e procedure “conformi” è solitamente considerata un’attenuante, ma non un’esimente della responsabilità degli esponenti bancari, in caso di constatate irregolarità, anche “remote” (ad esempio: da parte di operatori di sportello in una delle filiali). Ne consegue che viene ad essere una sorta di probatio diabolica la dimostrazione di assenza di responsabilità degli esponenti bancari per la violazione di norme di comportamento che fanno riferimento a concetti indeterminati, soprattutto in caso di irregolarità anche “periferiche”, o di ritenuto mancato soddisfacimento delle finalità della regolamentazione secondaria; l’ambito della culpa in vigilando è così esteso sino ad una soglia mobile praticamente irraggiungibile. E, come nelle altre situazioni nelle quali vi è indeterminazione dei parametri, il “diritto amministrativo dell’amministrazione”13 (ch’è quello effettivo, della prassi, sovente diverso da quello del legislatore) si risolve, in concreto, in una amplissima discrezionalità “tecnica” dell’autorità di controllo. A questa constatazione è da aggiungere un dato che emerge da quanto s’è detto. Ci si riferisce all’utilizzazione – in materia di regolamentazione della governance e del modello organizzativo delle società bancarie, tradizionalmente oggetto del diritto societario – di categorie tipiche del diritto amministrativo: il potere conformativo dell’Autorità di vigilanza; la minuziosa suddivisione, tra gli organi statutari e l’alta dirigenza, delle varie funzioni che compongono la governance, anche ai fini della loro accountability e dell’imputazione di responsabilità; la rilevanza, ai fini regolatori di vigilanza, dell’organizzazione e delle procedure, interne o esternalizzate; il sistema dei controlli.
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Cassese e Torchia, Diritto amministrativo. Una conversazione, Bologna, 2014, p. 26.
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Si può ritenere che l’impiego di concetti tipici del diritto amministrativo sia una conseguenza – nel caso in esame – della più generale tendenza alla “amministrativizzazione” del diritto delle imprese14. In una diversa, ma complementare, ottica si può anche opinare – sulla scia di illustri studiosi del diritto commerciale15 – che la rilevanza assunta, nel diritto dell’impresa, da concetti come organizzazione, funzioni, procedure (di svolgimento dell’attività), controlli (intesi, classicamente, come verificazioni della regolarità di svolgimento di una funzione16) e valutazione dei risultati sia consustanziale alla centralità assegnata all’impresa come fenomeno autonomo (sotto il profilo giuridico e, prima, dell’economia aziendale) e distinto dalle forme – individuale, societaria, per azioni o cooperativa etc. – che può assumere la sua gestione (sulle quali si è in passato concentrata la dottrina). E nel considerare l’impresa nella sua oggettività vengono in forte rilievo l’organizzazione, le funzioni (decisione strategica, gestione, controllo sulla gestione, valutazione dei risultati), le correlate procedure ed il sistema dei controlli. 4. Non è dato sapere se gli estensori delle “Disposizioni” di vigilanza sulla c.g. abbiano avuto presente l’orizzonte teorico da ultimo rapidamente richiamato. Viceversa, una conferma di quanto s’è accennato a proposito dell’“amministrativizzazione delle imprese” viene dal fatto che, in ordine alla struttura della governance delle società bancarie, il concetto chiave utilizzato da Banca d’Italia è proprio quello di funzioni (di supervisione strategica, di autoregolamentazione, di gestione e di controllo). Ciò presuppone l’organizzazione delle funzioni stesse, intesa come processo di definizione del modello organizzatorio, il quale si sviluppa “a cascata”, dall’adozione dello statuto agli atti di autoregolamentazione che, in forza delle “Disposizioni”, gli amministratori e dirigenti di vertice delle società bancarie devono deliberare per disciplinare l’intera attività bancaria. Sono regolamenti, ma anche atti interni (ad esempio: organigrammi o ordini di servizio) che disciplinano il funzionamento degli organi collegia-
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Sia consentito il rinvio a Amorosino, L’“amministrativizzazione” del diritto delle imprese in Id., Diritto dell’economia pubblico e privato, Roma, 2012, p. 30 ss. 15 P. Ferro-Luzzi, L’impresa, in AA.VV., Giuseppe Ferri e il legislatore, a cura di Libonati, Napoli 2009, p. 9 ss. 16 M.S. Giannini, Diritto amministrativo, III Ed., Milano, 1993, vol. I.
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li, le politiche di remunerazione, il processo del credito, l’antiriciclaggio, le complesse articolazioni del sistema dei controlli dei rischi. I profili d’apice delle vigenti disposizioni di vigilanza sono stati indicati dalla stessa Banca d’Italia nel comunicato stampa, in data 7 maggio 2014, che ha dato notizia della loro adozione. Viene innanzitutto ricordato che le nuove disposizioni confermano i previgenti principi, relativi: alla chiara distinzione di compiti e poteri tra gli organi societari; all’adeguata dialettica interna; all’efficacia dei controlli e ad una composizione degli organi societari coerente con le dimensioni e la complessità delle aziende bancarie. Le novità che vengono evidenziate riguardano: - la composizione diversificata del Consiglio, per professionalità e per genere, e la sua focalizzazione sulle decisioni strategiche; - la presenza di almeno un quarto di amministratori indipendenti, per alimentare la dialettica interna; - la trasparenza del processo di nomina dei componenti, basato su un’analisi ex ante e una verifica ex post della loro qualificazione; - il contenimento del numero dei consiglieri, per aumentare la funzionalità del consiglio e ridurre i costi per le banche; - la valorizzazione del ruolo super partes del presidente, anche attraverso il divieto di essere componente del comitato esecutivo; - l’istituzione di comitati composti da amministratori non esecutivi, in maggioranza indipendenti, in tema di rischi, remunerazioni e nomine. Si tratta di criteri quasi tutti pienamente condivisibili (salvo l’irragionevole estromissione del presidente del C. di A. dal comitato esecutivo, che lo pone in una condizione analoga a quella di qualsiasi consigliere non esecutivo e gli impedisce di svolgere la prescritta funzione di raccordo e coordinamento sia nell’organo consiliare, che tra gli organi della banca e con l’alta dirigenza). La questione, tuttavia, è un’altra. Il meccanismo logico-giuridico sotteso a tutte le “Disposizioni” è quello di porre agli organi di vertice della società bancaria una molteplicità di obiettivi/criteri organizzativi, ai quali devono conformarsi mediante le loro deliberazioni, formalmente autonome, ma sostanzialmente predefinite nei principali aspetti quanto alla formula organizzatoria. Con la conseguenza che qualsiasi discostamento, non solo dal modello ottimale delineato nella Circolare n. 285, ma anche dall’interpretazione di tale modello data caso per caso dalla Banca d’Italia, comporta automaticamente un giudizio critico di inadeguatezza. L’ulteriore conseguenza di tale impostazione è che – essendo le scelte dello specifico modello organizzativo rimesse formalmente all’autono-
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mia degli organi della banca – qualsiasi discostamento che sia ritenuto disfunzionale configura una responsabilità, in linea di principio, di tutti i componenti gli organi collegiali e dell’alta dirigenza. A ciò è da aggiungere, per quanto riguarda la sfera dell’operatività bancaria, un’interpretazione molto estesa del dovere di supervisione sulla gestione, posto in capo a tutti i componenti degli organi collegiali, ivi compresi gli amministratori non esecutivi, indipendenti e non, e riferito sia al Consiglio che ai vari comitati interni (nomine, remunerazioni, rischi), con particolare riguardo alla stretta supervisione su tutte le strutture di controllo: dalla compliance, all’antiriciclaggio, all’audit interno, al risk management17. L’unico elemento di flessibilità – e quindi di autonomia di scelta – previsto dalle Disposizioni – in ossequio al principio di proporzionalità – è la possibilità di differenziare i modelli di governance in relazione alle dimensioni della singola banca. Nella prassi della Vigilanza, tuttavia, è da registrare una tendenziale uniformazione regolatoria verso l’alto, che determina la ritrosia delle piccole banche a discostarsi dal modello “ottimale”, per il timore di apparire meno “rigorose”. Ciò anche perché l’intero complesso delle Disposizioni – Principi generali e Linee applicative – presenta il medesimo grado di precettività/vincolatività18. L’imposizione di una iper-regolamentazione interna si traduce, a parte i costi, in una esasperata procedimentalizzazione di tutti i processi decisionali ed operativi della banca; vengono, infatti, ad essere dettagliati minuziosamente tutti i “passaggi”, specificando gli obblighi di comportamento e le attribuzioni di competenze e responsabilità. Una procedimentalizzazione, volta condivisibilmente a rendere trasparenti e controllabili tutti i processi – dalla nomina degli amministratori sino alla gestione dei rapporti a rischio – che ha però per effetto una fortissima burocratizzazione di tutti i rapporti e processi interni, decisionali ed operativi. Tutto ciò se pure assicura la tracciabilità delle operazioni è in aperto contrasto con la necessaria agilità e rapidità dell’attività d’impresa, in particolare di quella bancaria. Si attribuisce, infatti, maggiore rilevanza alla regolarità formale dei
17 A. Nigro, Relazione di sintesi: il punto di vista del giurista in AA.VV., L’attuazione della direttiva MiFID, a cura di Frediani e Santoro, Milano, 2009, p. 273 ss. 18 Capolino, Relazione al Convegno, Nuove norme di vigilanza, cit.
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processi, che all’attuazione del “piano industriale”, di sviluppo dell’attività nel mercato, e, soprattutto, ai risultati economico/finanziari, ma anche strategici, della gestione. In tal modo, però, si importano nell’organizzazione e gestione delle banche talune notorie caratteristiche negative delle amministrazioni pubbliche italiane: formalismo, deresponsabilizzazione, dequotazione del merito delle scelte e – si ripete – dei risultati (ciò che è paradossale proprio mentre anche per le p.a. si tenta di radicare il concetto di amministrazione di risultato). Soprattutto si ingessa la discrezionalità operativa, che deve essere ordinata al conseguimento del miglior risultato possibile in ciascuna contingenza. Campi elettivi della necessaria, pur prudente e ponderata, discrezionalità nell’operare sono – com’è noto – gli affidamenti e la gestione di incagli e sofferenze, nei quali la presenza di un fitto reticolo di regole frena l’assunzione di pure ben calcolati rischi e può addirittura costituire il presupposto, in caso di discostamento, anche per la configurazione di responsabilità penali, come ben sanno gli studiosi delle procedure concorsuali. 5. Ai rilievi critici sin qui formulati è da aggiungere qualche rapida riflessione prospettica, che riguarda: - da un lato ulteriori profili da mettere a fuoco nella regolamentazione della c.g.; - dall’altro l’incidenza anche sul tema della c.g. della regolazione europea, a seguito dell’attribuzione alla BCE della supervisione sulle maggiori banche europee. Sul primo versante appare – innanzitutto – di rilevante utilità ed attualità l’interrogativo sistemico di Abbadessa19 sulla incidenza effettiva del modello di c.g. delineato dalla Banca d’Italia sulla “costituzione sostanziale”, cioè sul sistema di governo effettivo delle società bancarie; sistema che appare sempre più incentrato sul CEO e presenta situazioni assai diseguali del meccanismo dei contrappesi disegnato dall’Autorità di vigilanza nazionale. Anche in campo bancario appare inevitabile una verticalizzazione del potere per affrontare contingenze sistemiche e di mercato molto complesse. Ancora: pur nella già copiosa regolamentazione sembrano meritevoli di ulteriore messa a fuoco – vale a dire di specifiche, equilibrate soluzioni – problematiche quali: i presupposti specifici del potere di rimozione
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Abbadessa, L’amministrazione, cit.
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di amministratori e sindaci, anche a prescindere dall’amministrazione straordinaria; le procedure di risoluzione delle crisi delle banche non soggette a supervisione europea; la materia dei conflitti d’interesse; il potere di intervento correttivo in materia di remunerazioni e, infine e soprattutto, una ragionevole ridefinizione e delimitazione del regime delle responsabilità individuali in caso di constatate disfunzioni. Sul secondo versante l’immanenza del Meccanismo di Vigilanza Unico20 delinea una prospettiva di progressiva riduzione degli spazi regolamentari della Banca d’Italia anche nella specifica materia. Ciò per l’effetto concorrente di più fattori: - non solo l’attribuzione alla BCE della supervisione sugli intermediari bancari significativi (il cui insieme costituisce l’80% del mercato dell’area euro); - ma anche – più specificamente – la (peraltro imperfetta) separazione tra la regolamentazione di vigilanza, affidata all’EBA, e l’esercizio della supervisione, attribuita alla BCE; - ed infine – in termini sistemici – la ricomposizione, in capo alla BCE, della politica monetaria e della vigilanza, sia macroprudenziale sia singolare, e la costituzione del Single Resolution Mechanism. Probabilmente le Disposizioni di vigilanza del 2013 sulla c.g. non saranno il “canto del cigno” del potere regolatorio della Banca d’Italia in materia21, ma sicuramente in futuro il reticolo di indirizzi e regole di fonte europea comprimerà consistentemente lo spazio per la regolamentazione nazionale anche in tema di corporate governance.
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20 Sul quale v., per tutti, Mancini, Dalla vigilanza nazionale armonizzata alla Banking Union, in Quaderni di Ricerca giuridica della Banca d’Italia, Roma, 2013; AA.VV. Dal Testo Unico bancario all’Unione Bancaria: tecniche normative e allocazione di poteri, in Quaderni di Ricerca Giuridica della Banca d’Italia, Roma 2014 (e ivi le relazioni di Cassese, Capolino, Donato); Capriglione, L’Unione Bancaria Europea, Torino 2013, p. 59 ss. 21 Antonucci, Rilevanza, cit.
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Peer-to-peer lending ed informazione: la tutela dell’utente online tra innovazione finanziaria, disintermediazione e limiti cognitivi* Sommario: 1. Introduzione. Crisi finanziaria, shadow banking, innovazione finanziaria e mutato ruolo dell’informazione: molteplici sfide per il P2P lending. – 2. Caratteristiche delle piattaforme di P2P lending ed esempi. – 3. Benefici e rischi delle piattaforme di P2P lending: una sfida per il regolatore. – 4. Alternative regolatorie, scelta di prospettiva e tendenze registrate in EU e US. – 5. Breve parentesi sull’investment-based crowdfunding. – 6. Riflessioni in materia di scelte di regolazione del P2P lending. Discipline alternative, distinti strumenti disponibili e la centralità dello strumento informativo e di trasparenza. – 7. Il mutato ruolo dell’informazione ed il labile confine all’interno del diritto finanziario. La scomoda posizione del crowdfunding – 8. Conclusioni ed un “abbozzo” di proposta.
1. Introduzione. Crisi finanziaria, shadow banking, innovazione finanziaria e mutato ruolo dell’informazione: molteplici sfide per il P2P lending. a. Cos’è il crowdfunding e alcuni dati sulla sua diffusione. La sfiducia nel sistema bancario collegata agli effetti negativi della crisi finanziaria, insieme ai costi della regolazione e alla sempre connessa riduzione di credito da parte delle banche a favore di piccole e medie
* Il presente lavoro costituisce una versione rivista e aggiornata dell’articolo presentato al VI Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Professori Universitari di diritto commerciale “Orizzonti del diritto commerciale” sul tema “Il diritto commerciale e l’informazione”, Roma, 20-21 febbraio 2015. Ringrazio il professor Renzo Costi coordinatore della mia sessione per i suoi utili commenti e il professor Andrea Perrone (discussant) per i suoi preziosi consigli e brillanti notazioni critiche. Sono molto grata anche al referee anonimo della Rivista per aver esaminato il mio lavoro e fornito utilissime indicazioni. La responsabilità per eventuali errori o imprecisioni è ovviamente da attribuire esclusivamente a chi scrive.
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imprese e famiglie, ha favorito una nuova ondata di disintermediazione1. Tra i nuovi attori sulla scena, alternativi rispetto agli intermediari tradizionali e facilitati anche dallo sviluppo di tecnologie recenti quali il web 2.0 e i social network (che permettono agli utenti di internet di apportare modifiche ai siti web ed interagire attivamente con gli altri utenti)2, troviamo le piattaforme di crowdfunding e la sua declinazione di prestiti, il peer-to-peer lending3. Il crowdfunding consiste nell’utilizzo di internet per il finanziamento di progetti attraverso piccole somme di denaro messe a disposizione da utenti privati, sia nella forma di investimenti azionari (equity) che di credito o donazioni e reward (ad esempio, un’anteprima dell’album o film finanziati)4. Nello specifico, il peer-to-peer lending permette agli utenti di internet di appoggiarsi ad una piattaforma web per prestare anche piccole somme di denaro (ad esempio, € 25 ma in Italia il minimo è in linea di massima € 100, poi ad ogni modo tendenzialmente ripartito tra più richieste) ad altri privati cittadini (P2P) o imprese (più propriamen-
1 Cfr. Moloney, The legacy effects of the financial crisis on regulatory design in the EU, in The Regulatory Aftermath of the Global Financial Crisis, a cura di Ferran, Moloney, Hill e Coffee Jr., Cambridge, 2012, p. 130; Whitehead, Reframing Financial Regulation, in Boston University Law Review, 2010, 90, 1, p. 1. 2 Chaffee e Rapp, Regulating Online Peer-To-Peer Lending in the Aftermath of DoddFrank: in Search of an Evolving Regulatory Regime for an Evolving Industry, in Wash. & Lee L. Rev. 2012, 69, p. 485, in particolare pp. 496 ss.; Kirby e Worner, Crowdfunding: An Infant Industry Growing Fast, OICV-IOSCO Staff Working Paper 3/2014, p. 12, http:// www.iosco.org/research/pdf/swp/Crowd-funding-An-Infant-Industry-Growing-Fast.pdf. 3 Per un’analisi più dettagliata del P2P lending e delle questioni giuridiche più rilevanti, mi permetto di rimandare a: Macchiavello, Peer-to-peer lending and the “democratization” of credit markets: another financial innovation puzzling regulators, di prossima pubblicazione su Columbia Journal of European Law e Id., Una nuova frontiera del settore finanziario solidale: Microfinanza e Peer-to-peer lending, in Banca, impresa, soc., 2, 2013, p. 277. 4 Sul crowdfunding in generale, cfr. Ministero dello Sviluppo Economico, Restart, Italia!, (13 settembre 2012), pp.78-83, http://www.governo.it/governoinforma/dossier/ restart_italia/Restart-italia_versione_completa_ITA.pdf; Bradford, Crowdfunding and the Federal Securities Laws, in Columbia Business Law Review, 2012, 1, p. 1; Fink, Protecting the Crowd and Raising Capital Through the JOBS Act, (25 April 2012), http://ssrn.com/abstract=2046051; Castrataro e Pais, Analisi delle Piattaforme di Crowdfunding Italiane, (novembre 2012), in http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/ SoleOnLine5/_Oggetti_Correlati/Documenti/Finanza%20e%20Mercati/2013/01/ Crowdfunding.pdf?uuid=960dd8be-5c1b-11e2-a7a6-aaf9d7ba057a; Giudici ed altri, Crowdfunding: The New Frontier for Financing Entrepreneurship?, 2012, in http://ssrn. com/abstract=2157429.
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te, peer-to-business – P2B). I costi sono contenuti per l’assenza di un intermediario specializzato (banca, impresa finanziaria, di investimento, ecc.) ma proprio questo fatto sembrerebbe aumentare pericolosamente l’asimmetria informativa con riferimento ai soggetti richiedenti il finanziamento. Tuttavia, l’idea sottostante è che la folla (crowd) sia in grado, anche seguendo il trend degli altri utenti, attraverso i sistemi di discussione e condivisione online5 o per mezzo di deduzioni dalle informazioni personali pubblicate dal richiedente6, di prendere scelte ottimali (cfr. infra §6.b). In ogni caso, il discorso non è sempre così semplice dal momento che esistono numerosi modelli di P2P lending (v. infra §2) ed il fenomeno è in continua espansione, raggiungendo in alcuni paesi livelli sorprendenti di sviluppo. Infatti, il crowdfunding in generale si aggira in ambito mondiale intorno ai $ 2,7 miliardi raccolti nel 2012, registrando un tasso di crescita del 400% in tre anni ed un rendimento stimato attuale di $ 6,4 miliardi7. Il paese trainante per il settore è senza dubbio lo statunitense (60% del denaro raccolto, 105% tasso di crescita negli USA) mentre l’Europa ospita solo il 36% del denaro complessivo (e presenta un tasso di crescita del 65%)8. Con riferimento specifico al P2P lending, questo rappresenta solo il 22% dei progetti di crowdfunding ma ben il 44% del denaro coinvolto (1,2 miliardi nel 2012, + 111% rispetto al 2011)9. È quindi un settore caratterizzato da una rimarcabile ed
5 Sulle capacità di scelta della “folla”, cfr. Surowiecki, The Wisdoms of Crowds: Why the Many are Smarter than the Few and How Collective Wisdom Shapes Business, Economies, Societies, and Nations, New York, 2004, pp. 16-17; Bradford, Crowdfunding, cit., p. 114. 6 In base ad alcuni studi, i prestatori delle piattaforme P2P deducono correttamente il livello di rischiosità del richiedente all’interno di una certa categoria di rischio di credito basandosi sia su informazioni standard (quali numero di inadempimenti, numero di richieste, coefficiente debt-to-income, etc.) sia su informazioni personali rientranti nel concetto di “soft” information (ad esempio, tasso di interesse che si è disposti a pagare): cfr. Rajkamal Iyer ed altri, Screening in New Credit Markets. Can Individual Lenders Infer Borrower Creditworthiness in Peer-to-Peer Lending?, 2009, http://www.hks.harvard.edu/ fs/akhwaja/papers/PeerLending_09.pdf. 7 Cfr. Kirby e Worner, Crowdfunding, cit., p. 4. 8 Cfr. Massolution, 2013 Crowdfunding Industry Report - Excerpt, www.crowdsourcing. org; Feldman ed altri (PME Finance), Financement participatif des entreprises: la mise en place d’un cadre réglementaire propice - Un rapport de l’Observatoire des entrepreneurs, (14 Febr. 2014), p. 10, http://www.pmefinance.org/726-observatoire-des-entrepreneurs. htmlPME. 9 Massolution, 2013 Crowdfunding, cit.; Feldman ed altri (PME Finance), Financement participative, cit., p. 15.
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esponenziale crescita, anche se corrispondente ancora a solo lo 0,01% del totale dei prestiti erogati dalle banche a livello globale10. All’interno dell’Europa, il Regno Unito è il mercato maggiore con € 609 milioni nel 2012, surclassando facilmente sia Francia (€ 24,5 milioni o € 40 milioni a seconda della fonte)11 che, senza dubbio, Italia (solo € 13 milioni)12. Nel 2013 il tasso di crescita del P2P puro nel Regno Unito rispetto all’anno precedente è stato del 211% mentre del 126% per il P2B13. In Italia siamo invece ben lontani da tali cifre: il denaro raccolto attraverso il crowdfunding a gennaio 2013 ammontava a € 23 milioni (metà dei quali solo nel 2012) e il P2P lending rappresenta la componente più rilevante14. Risultano infatti 4.300 progetti di P2P lending in Italia, corrispondenti a circa € 18,4 milioni e con una percentuale di successo del 54%15. b. Inquadramento della problematica. Tali nuove piattaforme possono rappresentare uno strumento particolarmente utile per privati e le piccole e medie imprese, specialmente nell’attuale situazione di credit crunch post-crisi, oltre che un buon investimento per gli altri utenti (v. §3). Le piccole e medie imprese, in particolare, hanno da sempre difficoltà a diversificare le forme di finanziamento e a reperire facile accesso al credito bancario o al mercato16. Le
Feldman ed altri (PME Finance), Financement participative, cit., p. 24. In Francia risultano € 78,3 milioni raccolti nel 2013 attraverso il crowdfunding (circa il triplo rispetto all’anno precedente) dei quali € 48 milioni per mezzo di piattaforme di P2P lending (€ 15 milioni nel 2012) presso quasi 14.000 soggetti: Baromètre 2013 du Crowdfunding en France, http://financeparticipative.org/wp-content/uploads/2014/02/ Barometre2013-24fev.pdf. 12 Feldman ed altri (PME Finance), Financement participative, cit., p. 21. 13 Collins et al., The Rise of Future Finance. The UK Alternative Finance Benchmarking Report, (Dec. 2013), pp. 4 e 10-11, http://www.nesta.org.uk/sites/default/files/the_rise_ of_future_finance.pdf; Feldman ed altri (PME Finance), Financement participative, cit., pp. 20-21. 14 Castrataro e Pais, Analysis of Italian crowdfunding platforms, presentazione per “Crowdfuture 2013” e Id., Analisi delle piattaforme italiane di crowdfunding, (ottobre 2013), p. 15, entrambe disponibile al link: http://www.crowdfundingitalia. com/2013_10_01_archive.html. 15 Castrataro e Pais, Analysis, cit. 16 Sulle difficoltà delle grandi banche nel valutare le PMI ed i soggetti a basso reddito, cfr. Nieri, Access to Credit: the Difficulties of Households, in New frontiers in banking services emerging needs and tailored products for untapped markets, a cura di Anderloni, Berlino, 2006, p. 121; Angelini, Italian Banks’ Credit Approach Towards Low-Income Consumers and Microenterprises: Is There a Bias Against Some Segments of Customers?, 10 11
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banche infatti tendono a finanziare le imprese grandi e mature mentre gli investitori hanno difficoltà a valutare, ad esempio, una start-up per la scarsità di informazioni pubbliche. Le piattaforme digitali (di lending, equity, mercati privati di minibond17, ecc.), a causa dei minori costi connessi all’utilizzo dello strumento internet e all’eliminazione degli intermediari tradizionali, sono viste ora come una soluzione ai problemi economico-finanziari delle piccole e medie imprese e, in prospettiva, un sistema per contenere i costi del finanziamento anche di imprese di rilevanti dimensioni18. Tuttavia, il P2P lending è uno strumento non scevro da pericoli (v. §3). Ad esempio, il prestatore può perdere tutto il denaro prestato sia per fallimento della piattaforma che per inadempimento dei prestatari ma anche per frodi perpetrate dietro al paravento di internet o per attacchi informatici al sistema. Inoltre, in alcuni paesi il successo del settore ha spinto investitori istituzionali e banche tradizionali ad investire o comunque stringere accordi con tali piattaforme, incrementando l’interconnessione tra settore P2P e quello finanziario tradizionale. Come tutte le innovazioni finanziarie dopo la crisi finanziaria, perciò, non può che tenere in stato di allerta i regolatori. Peraltro, una tendenza attuale delle riforme post-crisi a livello internazionale consiste proprio nel sottoporre a regolazione soggetti prima esclusi e svolgenti attività vicina a quella bancario-finanziaria: l’Unione Europea, il Comitato di Basilea e il FSB si sono mossi per attrarre lo shadow banking sotto la luce della regolazione19 (si vedano il Regolamento EMIR, la Direttiva AIFM,
in New Frontiers in Banking Services, a cura di Anderloni, cit.; Freytag, Credit Scoring: Why Sceptisism is Justified, in New Partnerships for Innovation in Microfinance, a cura di Matthèaus-Maier e Pischke, Berlino, 2009, pp. 233 ss. 17 Ad esempio, Epic (www.epic.it) è la prima piattaforma in Italia che permette a investitori qualificati di finanziare piccole e medie imprese attraverso mini-bond o azioni. 18 G. Ferrarini e Ottolia, Corporate Disclosure as a Transaction Cost: The Case of SMEs, in European Review of Contract Law, 2013, 9, 4, p. 1; G. Ferrarini, I costi dell’informazione societaria per le PMI: mercati alternativi, “crowdfunding” e mercati privati, in Analisi Giuridica dell’Economia, 1/2013, pp. 203-222. 19 Lo shadow banking viene definito come «a system of intermediaries, instruments, entities or financial contracts generating a combination of bank-like functions but outside the regulatory perimeter or under a regulatory regime which is either light or addresses issues other than systemic risks, and without guaranteed access to central bank liquidity facility or public sector credit guarantees» (cfr. European Parliament, European Parliament resolution of 20 November 2012 on Shadow Banking (2012/2115(INI)), http:// www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//NONSGML+TA+P7-TA-20120427+0+DOC+PDF+V0//EN e Financial Stability Board, Shadow Banking: Strengthening
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la direttiva sulle credit rating agencies, il regolamento sui Money Market Mutual Funds, ecc.)20 e scoraggiare i prodotti complessi e la finanziarizzazione eccessiva21. D’altra parte, una regolazione eccessivamente onerosa, priverebbe le piattaforme di P2P della loro ragione di esistere, per cui la sopravvivenza del settore potrebbe essere messo seriamente in discussione. Di qui si rende necessaria una valutazione approfondita sulle opportunità di regolazione di questo nuovo fenomeno in modo da bilanciare l’esigenza di vedere realizzare i benefici del P2P lending ma anche evitare di esporre a rischi non proporzionati il sistema. I paesi hanno adottato soluzioni diverse, spesso in sintonia con la tradizione del relativo ordinamento finanziario. Nel corso della mia analisi in merito alle risposte regolatorie in Europa e Stati Uniti, ho identificato fondamentalmente tre tendenze di regolazione del P2P lending: la prima riflette la tradizione banco-centrica italo-francese in cui anche il P2P lending viene (almeno inizialmente per quanto riguarda la Francia) esaminato attraverso le lenti della disciplina bancaria. La seconda è riconducibile alla tradizione liberale e mercato-centrica statunitense, in base alla quale i prodotti delle piattaforme in questione vengono inquadrati come securities e disciplinati di conseguenza. Infine, il recente approccio pratico del Regno Unito (e in parte della riforma francese) evita una classificazione in base alle tradizionali categorie giuridiche e alla disciplina preesistente ma cerca soluzioni ad hoc in considerazione dei rischi specifici evidenziati, con particolare attenzione alla tutela dell’in-
Oversight and Regulation, Recommendations of the Financial Stability Board, (27 ottobre 2011), http://www.financialstabilityboard.org). Sull’argomento si vedano: Commissione Europea, Shadow Banking – Addressing New Sources of Risk in the Financial Sector, Communication from the Commission to the Council and the European Parliament, COM(2013) 614, (4 settembre 2013), http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do ?uri=COM:2013:0614:FIN:EN:PDF; Id., Green paper shadow banking, COM(2012) 102, 2012, http://ec.europa.eu/internal_market/bank/docs/shadow/green-paper_en.pdf; ECB, Shadow Banking in the Euro Area. An Overview, Occasional Paper series, No. 133, 2012, http://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/scpops/ecbocp133.pdf; Claessens e Ratnovski, What Is Shadow Banking?, IMF Working Paper 14/25, 2014, http://www.imf.org/external/pubs/ft/ wp/2014/wp1425.pdf; FSB, Strengthening Oversight and Regulation of Shadow Banking Policy Framework for Strengthening Oversight and Regulation of Shadow Banking Entities, 2013, http://www.financialstabilityboard.org/wp-content/uploads/r_130829c. pdf?page_moved=1. 20 Cfr. Andenas e Chiu, The Foundations and Future of Financial Regulation, London, 2013, p. 278; Moloney, The legacy, cit., pp. 126 e 171. 21 Moloney, The legacy, cit., pp. 186-202.
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vestitore/prestatore ma anche del prestatario/richiedente. Le conseguenze derivanti dal privilegiare un approccio in termini di diritto bancario piuttosto che di mercati o di tutela del consumatore sono nette e ruotano attorno al ruolo che ricopre proprio l’informazione nei diversi settori. L’attenzione della legislazione bancaria, infatti, è tradizionalmente concentrata sulla stabilità delle banche e del sistema e usa strumenti invasivi quali requisiti prudenziali di capitale e organizzazione, mentre la disciplina dei mercati e di tutela del consumatore è incentrata prevalentemente sulla trasparenza a tutela dell’efficienza del mercato e tutela degli investitori22, anche se recentemente, sempre a causa della crisi finanziaria, la tendenza è andata verso l’introduzione di requisiti prudenziali anche nel settore dei mercati e, d’altra parte, il peso dell’informazione è stato incrementato anche nel settore bancario (cfr. §6.b)23. Il presente lavoro ha l’obiettivo, in primo luogo, dopo una breve descrizione dei prevalenti modelli di P2P lending in Europa, Stati Uniti d’America e, in particolare, Italia, di individuare i principali rischi posti dal P2P lending e le possibili risposte normative, anche alla luce delle tendenze registrate in alcuni paesi esaminati. In secondo luogo, alla luce di una sintetica analisi del mutato ruolo dell’informazione come strumento regolatorio nel dopo-crisi, di identificare il miglior approccio alla tematica della regolazione del P2P lending.
2. Caratteristiche delle piattaforme di P2P lending ed esempi. Le piattaforme di P2P lending presentano modelli molto vari24, con rilevanti differenze specialmente nei diversi paesi, anche a causa del distinto approccio normativo e livello di sviluppo del settore.
22 Cfr. Hu, Disclosure Universes and Modes of Information: Banks, Innovation, and Divergent Regulatory Quests, in Yale J. on Reg. 565, 2014, p. 574; Frankel, The Failure of Investor Protection by Disclosure, in U. Cin. L. Rev. 2013, 81, 2, p. 421, in particolare p. 431, http://scholarship.law.uc.edu/uclr/vol81/iss2/2; The Joint Forum, Review of the Differentiated Nature and Scope of Financial Regulation. Key Issues and Recommendations, ( January 2010), http://www.bis.org/publ/joint24.pdf. 23 Cfr. Hu, Disclosure, cit., pp. 605 ss. 24 Cfr. Kirby e Worner, Crowdfunding, cit., pp. 16 ss.; Powers ed altri, Person-toPerson Lending. Is Financial Democracy a Click Away?, USAID microREPORT No. 130, 2008, www.usaid.gov.
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Un primo modello di P2P lending concepisce la piattaforma come un mero luogo di incontro per chi è interessato a ricevere un finanziamento e chi intende finanziare un progetto (ad esempio, Funding Circle nel Regno Unito). La piattaforma ha un ruolo limitato consistente nella verifica dei dati immessi dagli utenti, nel trasferimento del denaro tra utenti su mandato degli stessi e nell’apertura di procedure di recupero crediti per conto dei prestatori25. Il contratto di credito viene quindi sottoscritto solo tra il prestatore ed il prestatario26 e per l’ammontare deciso dal primo (v. Smartika in Italia e Zopa in UK). In conseguenza il prestatore potrà agire solo nei confronti del debitore in caso di inadempimento di questo: peraltro viene di solito attribuito alla piattaforma incarico ad agire nell’interesse dei prestatori che avrebbero scarso interesse ad agire in giudizio per ottenere il pagamento di somme molto limitate. Tuttavia, il descritto modello può trovarsi complicato da numerose varianti che rendono più difficile l’inquadramento della fattispecie. Nel modello più lineare infatti, i prestatori scelgono uno o più progetti da finanziare (anche parzialmente) sulla base delle descrizioni dei progetti e delle informazioni presenti sul sito (v. MicroWorld e Babyloan in Francia o Funding Circle in UK). In altri casi, invece, domanda e offerta sono incrociati dalla piattaforma in base a preferenze per durata, ammontare e tasso di interesse senza possibilità di scelta da parte del prestatore (v. Ratesetter). In una variante meno lineare, ancora, il prestatore decide quanto prestare, eventualmente anche a quali categorie di rischio creditizio ma poi è la piattaforma a suddividere la stessa in piccole quote da destinare a numerosi progetti di cui sono pubblicate solo le informazioni essenziali, mirando alla diversificazione (v. Smartika in Italia e Zopa UK) così che ogni progetto viene sempre finanziato da un numero elevatissimo di utenti. Alcune piattaforme permettono comunque di effettuare
25 In base ai risultati del sondaggio condotto dalla Commissione Europea nell’ambito della consultazione pubblica sul crowdfunding (European Commission, Summary – Responses to the public consultation on crowdfunding in the EU, marzo 2014, p. 4, http:// ec.europa.eu/internal_market/consultations/2013/crowdfunding/docs/summary-ofresponses_en.pdf), tra l’80% ed il 90% delle piattaforme partecipanti al sondaggio ha i seguenti compiti: verifica preliminare dei progetti (in quanto a legalità e rispetto delle condizioni fissate dalla piattaforma), comunicazione agli utenti delle spese e commissioni applicabili, verifica dell’identità dei richiedenti, facilitazione delle comunicazioni tra richiedenti e prestatori, comunicazione dei rischi. 26 Cfr. Kirby e Worner, Crowdfunding, cit., p. 17.
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qualche piccola scelta specifica27. Ma la struttura può essere ancora più complessa: ad erogare il prestito, infatti, può essere un trust/comunione alla quale partecipano tutti i prestatori di un dato progetto per cui ogni prestatore avrà quote di partecipazione in numerosi diversi trust corrispondenti ai vari progetti finanziati e i riceventi saranno debitori solo dei trust/comunioni (v. Prestiamoci28). In base ad un secondo modello, invece, la piattaforma mette sì in contatto richiedenti e prestatori (eventualmente anche permettendo la scelta dei singoli progetti da finanziare: v. LendingClub e Prosper) ma il finanziamento viene poi erogato nel complesso da una banca autorizzata che rivenderà il prestito alla piattaforma la quale emetterà un titolo di debito (note) a favore del prestatore per il valore corrispondente alla parte del prestito effettivamente finanziata da questi il quale riceverà a sua volta un rendimento in base all’andamento della restituzione del prestito (v. Prosper e LendingClub negli USA)29. In tal caso, quindi, il prestatore potrà agire per far valere i suoi diritti solo nei confronti della piattaforma e dipenderà comunque dagli sforzi di quest’ultima nel recupero crediti per ottenere la restituzione delle somme corrisposte30.
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Fino a poco tempo l’italiana Prestiamoci prevedeva il sistema di cherry picking che permetteva al prestatore di assegnare una parte delle quote – 40% – in numero limitato – massimo due – a specifici progetti: cfr. Agata s.p.a., Regolamento della piattaforma di prestito tra persone “Prestiamoci.it”, n. 3.c, https://www.prestiamoci.it/regolamento. pdf e Agata s.p.a., Manuale operativo Marketplace, pp. 2 e 4; FAQ sui prestatori: https:// www.prestiamoci.it/faq/prestatori (versione del sito del 2012). Attualmente Prestiamoci prevede come default per i prestatori la modalità di investimento automatico secondo un profilo di investimento di medio rischio ma il prestatore può cambiare l’obiettivo di investimento e/o scegliere la modalità manuale, sempre però potendo investire più di una quota (e massimo due) nello stesso progetto solo eccezionalmente, secondo limiti ben definiti: cfr. il nuovo Regolamento del Marketplace, punto 2, in particolare lettera d (http://www.prestiamoci.it/files/Regolamento-del-Marketplace-20150330.pdf, ultimo accesso aprile 2015). 28 Spiegazioni fornite all’autrice via e-mail nel 2013 dal dott. Mariano Carozzi, fondatore di Prestiamoci. Prestiamoci è stata comunque oggetto di un’operazione di fusione con la svedese TrustBuddy, dalla quale è derivato un ampio lavoro di riorganizzazione: cfr. http://finanza.lastampa.it/Notizie/0,662679/Oltre_5_3_milioni_di_euro_per_l_exit_ di.aspx?refresh_ce, e http://blog.prestiamoci.it/il-nuovo-marketplace-di-prestiamoci/ e http://blog.prestiamoci.it/il-2014-di-prestiamoci/. 29 Cfr. Kirby e Worner, Crowdfunding, cit., p. 18. 30 Cfr. G.A.O., Person-to-Person Lending. New Regulatory Challenges Could Emerge as the Industry Grows, 2011, p. 21, http://www.gao.gov/new.items/d11613.pdf; Verstein, The Misregulation of Person-to-Person Lending, in UC Davis Law Review, 2011, 45, 2, p. 445, in particolare pp. 477 e 488-91; Kirby e Worner, Crowdfunding, cit., p. 18;
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Tuttavia, la maturazione del mercato e l’esponenziale sviluppo del settore in alcuni paesi (quali UK) ha permesso alle piattaforme di aggiungere tutele per il prestatore/investitore, garantendo talvolta non solo la restituzione delle somme date in prestito (v. Ratesetter)31 ma anche un certo rendimento promesso. Ad esempio, Zopa UK ha recentemente creato un fondo – Zopa Safeguard – che copre le perdite di capitale ed interessi in caso di inadempimento del prestatario32 e garantisce un rendimento fisso del 5% o 4,1%33. LendingWorks invece ha un fondo che protegge anche da attacchi informatici e frode ed un’assicurazione per coprire anche eventi straordinari come una crisi economica significativa34. Ancora, alcune piattaforme non si limitano a mettere in contatto le parti ma partecipano al prestito per dimostrare di avere skin in the game (v. Prestiamoci che contribuisce dall’1% al 10% del prestito) e/o forniscono ai richiedenti il supporto di esperti. Ad esempio, Prestiamoci (cioè la società manager, Agata s.p.a.), almeno fino a poco tempo fa, analizzava e valutava la qualità dei progetti dei richiedenti, avvalendosi anche di esperti che fornivano a questi ultimi suggerimenti e raccomandazioni35. Ancora, ThinCats, una piattaforma del Regno Unito specializzata nel finanziamento di piccole e medie imprese, mette a disposizione dei richiedenti professionisti di servizi finanziari (sponsor) i quali valutano il progetto imprenditoriale, sponsorizzano la domanda di finanziamento, aiutano il richiedente a fornire le informazioni necessarie per il prestito e monitorano l’andamento del prestito36. Infine, vi sono anche casi di piattaforme esplicitamente basate su un
Slattery, Square pegs in a round hole: SEC regulation of online peer-to-peer lending and the CFPB alternative, 30 Yale Journal on Regulation 233, 2013, p. 248 (che attesta l’interesse di Prosper e LendingClub nell’ottenere pagamenti in ritardo in virtù delle relative commissioni invece che pretendere pagamenti puntuali). 31 http://www.ratesetter.com/lending/provision_fund.aspx. 32 http://www.zopa.com/lending/lend-money-safely. 33 Sewraz, Peer-to-peer: what return will you get on your money?, (8 aprile 2014), http://www.lovemoney.com/news/27691/the-best-peer-to-peer-platforms-for-lenders. 34 Sewraz, Peer-to-peer, cit.; AltFinance News, The Daring Dozen, London, 2014, http:// www.crossflowpayments.co.uk/wp-content/uploads/2014/06/PwC_The_Daring_Dozen. pdf. 35 https://www.prestiamoci.it/focus sub I e III e Agata s.p.a., Responsabilità sociale, p. 2 (vecchio sito). In base ai documenti ora disponibili, i servizi erogati da Agata si ritrovano qui al punto 2: http://www.prestiamoci.it/files/Foglio-Informativo-PrestatorePrestiamoci.pdf. 36 Cfr. https://www.thincats.com/Apps/WebObjects/thincats-pfp.woa/ra/Website/14624/ 14633/about-sponsors.html.
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modello di investimento: gli utenti (in alcuni casi, come Prêt d’Union37, solo investitori professionali) spostano il denaro affidato alla piattaforma (impresa di investimento) tra diversi conti investendo in fondi con maturità, rischi e rendimenti distinti corrispondenti a diverse classi di sottostanti prestiti (v. anche MicroPlace38). Alcune piattaforme sono senza scopo di profitto nel senso che, pur applicando interessi passivi ai prestiti erogati, non remunerano i prestatori i quali decidono di usare la piattaforma solo per ottenere utilità non economiche (“far del bene” in modo produttivo o simili: v. infra § 3). Ad esempio, Kiva negli USA permette agli utenti di prestare denaro alle istituzioni di microfinanza dislocate nei paesi di sviluppo per finanziare specifici progetti di microimprenditori presentati su internet. Un modello simile è seguito in Francia da MicroWorld e Babyloan. Un caso particolare e recente, invece, è rappresentato da TrustBuddy che funziona normalmente come una piattaforma a scopo di profitto ma se i prestatari restituiscono il credito entro quattordici giorni non pagano alcun interesse e i prestatori non ricevono alcun rendimento39. Il tasso di interesse applicato al prestito e gravante sui richiedenti può essere fissato sulla base di un’asta al ribasso (v. Funding Circle e ThinCats) o deciso dalla piattaforma stessa in dipendenza della classe di rischio assegnata a ciascun richiedente (v. LendingClub e Prosper40; Prestiamoci e Smartika), eventualmente aggiustata sulla base del feedback degli utenti41. La durata dei prestiti varia molto da piattaforma a piattaforma, parten-
Lejoux, Le casse-tête de la réglementation du crowdfunding, (12 Dec. 2013), http:// www.latribune.fr/entreprises-finance/20131212trib000800712/le-casse-tete-de-lareglementation-du-crowdfunding.html. 38 Cfr. Galloway, Peer-to-Peer Lending and Community Development Finance, (agosto 2009), Federal Reserve Bank of San Francisco Working Paper no. 6, p. 4; Powers ed altri, Person-to-Person, cit., p. 16. 39 TrustBuddy Terms and Conditions, in particolare sezioni 5, 8, 9 e 10, http://www. lendingworks.co.uk/lend-money?source=RPD-DFT&promo=L1&clickid=I1Ja5jQH3Uq1JY XuNVe8-g; Altfinance News, The Daring Dozen, cit.; Sewraz, Peer-to-peer, cit. 40 G.A.O., Person-to-Person, cit., p. 7; Chaffee e Rapp, Regulating, cit., pp. 493-494. 41 Bohme e Potzsch, Privacy in Online Social Lending, 2010, http://www.aaai.org/ocs/ index.php/SSS/SSS10/paper/viewFile/1048/1472; S. Freedman e Jin, Do Social Networks Solve Information Problems for Peer-to-Peer Lending? Evidence from Prosper.Com, in NET Institute Working Paper no. 08-43, 2008, pp.http://ssrn.com/abstract=1304138. 37
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do addirittura da un mese (Ratesetter42 o Trustbuddy43) fino ad arrivare a uno o quattro anni (Smartika) o da tre a cinque anni (Zopa UK). Pochi richiedono ai prestatari una garanzia personale o, per i prestiti maggiori, addirittura reale (Funding Circle in UK). Le piattaforme spesso fissano dei limiti massimi alle somme che ogni prestatore può dare in prestito in un certo arco temporale (di solito dodici mesi): in alcuni casi la soglia corrisponde a una somma fissa (v. Smartika € 50.000 e Prestiamoci € 25.000; Zopa UK £ 1 milione) mentre in altri l’ammontare è fissato in dipendenza dal patrimonio netto del soggetto (v. LendingClub che pone un limite massimo del 10% del patrimonio netto del prestatore)44. Ad ogni modo, Ratesetter e ThinCats, ad esempio, non fissano alcun limite massimo. Quasi tutte le piattaforme prevedono a carico del richiedente (v. ThinCats) o del prestatore o di entrambi (v. Zopa UK, Funding Circle) una commissione (nella forma di origination e administration/servicing fees e in una somma variabile dallo 0,5% al 2,5% dell’ammontare del prestito a seconda della piattaforma)45.
3. Benefici e rischi delle piattaforme di P2P lending: una sfida per il regolatore. Il successo di tali piattaforme è riconducibile oltre che alla particolare congiuntura economica ed avversione per il sistema tradizionale del
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http://www.ratesetter.com/lending/why_ratesetter.aspx. I prestatori possono ritirare in ogni momento fino al 90% del denaro investito mentre il restante 10% verrà restituito solo quando il prestito sia stato completamente ripagato: cfr. TrustBuddy Terms and Conditions, in particolare sezioni 5, 8, 9 e 10 disponibili al link http://www.lendingworks.co.uk/lend-money?source=RPD-DFT&pro mo=L1&clickid=I1Ja5jQH3Uq1JYXuNVe8-g; Altfinance News, The Daring Dozen, cit.; Sewraz, Peer-to-peer, cit. 44 Prosper fissa invece un limite di $5 milioni ($50 milioni in caso di “institutional lenders”): cfr. G.A.O., Person-to-Person, cit., p. 11. 45 Cfr. Ashtaa & Assadia, An Analysis of European Online micro-lending Websites, in Cahiers du CEREN 29 147, 2009, p. 155. Galloway, Peer-to-Peer, cit., pp. 2 ss. Tuttavia, da dati recenti risulta invece, ad esempio, che Funding Circle applichi una commissione variabile tra il 2% e 4% e origination fee del 1%; Kiva trattiene invece ben il 10%. Cfr. anche i dati su Prosper e LendingClub in Morse, Peer-to-Peer Crowdfunding: Information and the Potential for Disruption in Consumer Lending, NBER Working Paper 20899, 2015, p. 5, http://www.nber.org/papers/w20899. 43
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dopo-crisi, ad indubbi vantaggi sia per i prestatari che per i prestatori. Dal punto di vista dei primi, è possibile ricevere un finanziamento in situazioni in cui le banche rifiuterebbero il prestito (per mancanza di garanzie o profilo ottimale)46, con tempistiche brevi47 e a tassi di interesse tendenzialmente inferiori a quelli delle banche48. Inoltre, come si è anticipato, tale strumento può essere particolarmente utile alle piccole e medie imprese anche per diversificare le fonti di finanziamento, rendendosi meno dipendenti dai prestiti bancari49. Ancora, recenti studi attestano che le piattaforme di P2P, attraverso il finanziamento da parte di estranei e finanziatori non professionali permette ai richiedenti, da un lato, di risparmiarsi in parte l’imbarazzo e stress di essere giudicati ed esaminati nel dettaglio e di persona dagli impiegati di una banca50 e, dall’altro, di non fare ricorso ai prestiti di amici e familiari lasciandosi così un cuscinetto aggiuntivo per i tempi difficili ed evitare le tensioni interne alla famiglia o cerchie di amici in caso di rischi eccessivi, problemi o inadempimento. Il crowdfunding, infatti, appare in grado di sfruttare i legami sociali per ridurre le asimmetrie informative e l’azzardo morale nel mercato del credito51 ma evitando allo stesso
Da un recente studio del settore in UK (Baeck, L. Collins e Zhang, Understanding Alternative Finance. The UK Alternative Finance Industry Report 2014, 2014, p. 31, http://www.nesta.org.uk/sites/default/files/understanding-alternative-finance-2014.pdf) risulta che il 79% dei richiedenti un prestito tramite piattaforma avevano già cercato di ottenere da una banca e il 33% pensa che non riuscirebbe ad ottenere altrove un finanziamento. Per dubbi invece sulle reali capacità di inclusione finanziaria del P2P, cfr. Komarova Loureiro e Gonzalez, Competition against Common Sense: Insights on Peerto-Peer Lending as a Tool to Allay Financial Exclusion, International Journal of Bank Marketing (Special Issue on Financial Exclusion), forthcoming 2015, http://ssrn.com/ abstract=2533520. 47 Cfr. Roussin, Les prêts d’argent entre particuliers via des plateformes Internet: un service financier d’avenir ?, Rapport final du projet présenté au Bureau de la consommation d’Industrie Canada, 2010, p. 16, http://uniondesconsommateurs.ca/docu/rapports20092010/05-R32-P2P-Lending-f(rev).pdf; European Commission, Summary – Responses to the public consultation on crowdfunding in the EU, 2014, p. 5, http://ec.europa.eu/internal_ market/consultations/2013/crowdfunding/docs/summary-of-responses_en.pdf. 48 G.A.O., Person-to-Person, cit., pp. 8-9; Kirby e Worner, Crowdfunding, cit., pp. 4 and 21 ss. 49 European Commission, Summary, cit., p. 5. 50 Chaffee e Rapp, Regulating, cit., p. 496; Martin, 1000% Interest – Good While Supplies Last: A Study of Payday Loan Practices and Solutions, in Ariz. L. Rev., 2010, 52, p. 563, in particolare p. 596. 51 Cfr. sull’influenza dei social network nell’ottenimento di un prestito P2P e sul suo successo, Lin, Prabhala e Viswanathan, Judging Borrowers by the Company They 46
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tempo le tensioni collegate a prestiti tra conoscenti attraverso la formalizzazione dei termini e il potere di enforcement di una parte terza52. Infine, specialmente gli imprenditori, possono beneficiare dei consigli di esperti messi talvolta a disposizione dalle piattaforme o dei consigli o feedback degli utenti53 (anche come market test) e dell’eventuale esposizione mediatica54. Per i secondi (prestatori), invece, il P2P lending può comportare rendimenti interessanti55, superiori agli interessi pagati sui depositi bancari
Keep: Friendship Networks and Information Asymmetry in Online Peer-to-Peer Lending, Western Finance Association 2009 Annual Meeting Paper, 2011. http://ssrn.com/ abstract=1355679; S. Freedman e Jin, Do Social, cit. Per uno studio più approfondito anche con riferimento al tasso di inadempimento, cfr. S. Freedman e Jin, The Signaling Value of Online Social Networks: Lessons from Peer-to-Peer Lending, NBER Working Paper 19820, http://www.nber.org/papers/w19820. Cfr. anche Morse, Peer-to-Peer, cit., pp. 9 ss. e 22 ss. 52 Cfr. Lee e Persson, Financing from Family and Friends, NYU Stern Working Paper FIN-12-007 and ECGI - Finance Working Paper no. 358, http://ssrn.com/abstract=2086625; Guérin ed altri, Understanding the Diversity and Complexity of Demand for Microfinance Services: Lessons from Informal Finance, in The Handbook of Microfinance, a cura di Labie & Armendariz, Singapore, 2011; D. Collins ed altri, Portfolios of the Poor: How the World’s Poor Live on $2 a Day, Princeton, 2009. 53 Cfr. Schwienbacher e Larralde, Crowdfunding of small entrepreneurial ventures, (28 sett. 2010), in Handbook of Entrepreneurial Finance, Oxford, in corso di pubblicazione, p. 17, http://ssrn.com/abstract=1699183. 54 Cfr. European Commission, Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions - Unleashing the potential of Crowdfunding in the European Union, COM(2014) 172 (27 marzo 2014), p. 4, http://ec.europa.eu/internal_market/ finances/docs/crowdfunding/140327-communication_en.pdf; European Commission, Consultation document - Crowdfunding in the EU - Exploring the added value of potential EU action, (3 Ott. 2013), p. 7, http://ec.europa.eu/internal_market/consultations/2013/ crowdfunding/index_en.htm; European Commission, Summary, cit., p. 6. 55 Ad esempio, US Prosper e LendingClub riportavano a marzo 2011 un rendimento annuale medio, rispettivamente, dell’11% e 9% mentre il corrispondente dato per i depositi bancari e conti presso i money market funds e i certificati di deposito a 3 anni risultavano oscillare su bankrate.com, rispettivamente, tra 0,1% e 1,2% e da 1,3% a 2,2% (G.A.O., Person-to-Person, cit., pp. 8-9, 18; Verstein, The Misregulation, cit., p. 460. Con riferimento al Regno Unito, ad aprile 2014, Zopa offriva un rendimento (già tenendo in conto spese e debiti insoluti del 5% o 4,1% (a seconda della maturità), Funding Circle del 6.10%, RateSetter tra 2,1% to 5,7% (sempre a seconda della maturità) mentre (ma senza contare i debiti insoluti) Thin Cats del 11,44% e Funding Knight del 10% (Sewraz, Peerto-peer, cit.). Le italiane Smartika e Prestiamoci offrivano nel 2012 un rendimento medio del 2,5-3%, solo qualche punto sopra la remunerazione dei depositi bancari (Vergine, Addio banca, c’è il web, in L’Espresso, 19 luglio 2012, p. 127; Mari Pada, Il prestito? Lo
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(ma anche corrispondenti ad un rischio maggiore)56, diversificazione e protezione dall’andamento dell’economia locale investendo in prestatari “lontani”57. Tuttavia, un interessante dato riguarda le motivazioni non solo economiche che spingono gli utenti ad avvalersi di piattaforme P2P58: l’utente in questione, infatti, sembra ricevere un “ritorno spirituale” dalla consapevolezza di aiutare qualcuno, di poter scegliere direttamente e liberamente i destinatari del prestito, anche sulla base di criteri generalmente esclusi (provenienza geografica, etnia, ecc.)59. Il P2P lending, più in generale, anche con riferimento al sistema nel suo complesso, può incrementate la concorrenza nel settore del credito ed incentivare anche gli operatori tradizionali a servire nuove fasce di popolazione e a prezzi contenuti60. Passando ora ai punti problematici delle medesime piattaforme, è abbastanza chiaro che i rischi per i prestatari sono contenuti ma significativi: in molti casi essi sono tenuti a fornire e a pubblicare su internet dettagli sui propri progetti e situazione personale, con possibili effetti negativi in termini di privacy61 ma anche di proprietà intellettuale con
chiedo al vicino, ItaliaOggi, 29 Ottobre 2013, p. 22; ma cfr. rendimenti su http://www. aduc.it/articolo/conti+deposito+novita+maggio+2012_20352.php. 56 Kirby e Worner, Crowdfunding, cit., pp. 9 e 13 ss. 57 Cfr. Morse, Peer-to-Peer, cit., pp. 7 ss. 58 In ambito di P2P lending, sembra comunque che il fattore economico sia quello più importante per i lenders: cfr. i risultati del sondaggio condotto presso gli utenti di Funding Circle (UK): Pierrakis & L. Collins, Banking on each other. Peer-to-per lending to business: evidence from Funding Circle, 2013, p. 22, http://www.nesta.org.uk/sites/ default/files/banking_on_each_other.pdf. 59 Davis e Gelpern, Peer-to-Peer Lending for Development: Regulating the Intermediaries, in NYU Journal of International Law and Politics, 2010, 42, p. 1209; Roussin, Les prêts, cit., pp. 20-21; Kirby e Worner, Crowdfunding, cit., p. 44; European Commission, Communication from the Commission - Unleashing, cit., p. 5; European Commission, Consultation document - Crowdfunding, cit., p. 7; European Commission, Summary – Responses, cit., p. 3 (85% dei partecipanti al sondaggio hanno citato come il più grande vantaggio del crowdfunding la selezione diretta dei progetti e quasi la metà il fare del bene o aiutare la comunità); cfr. anche Schwienbacher e Larralde, Crowdfunding, cit., p. 12 (gli investitori rispondenti al sondaggio sono attirati dall’idea di partecipare ad un progetto, derivarne esperienza e allargare il proprio network). 60 European Commission, Consultation document - Crowdfunding, cit., p. 7; Kirby e Worner, Crowdfunding, cit., p. 22. 61 La maggior parte delle piattaforme assicura l’anonimato dei richiedenti e limita le informazioni da pubblicare ma i richiedenti possono di solito scegliere di rivelare informazioni sensibili quali il titolo di lavoro, il nome del datore di lavoro, la città di residenza, il sito internet dell’impresa, ecc. cioè dati che permettono comunque la facile
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vantaggi indebiti per i concorrenti dell’impresa (che possono approfittare della pubblicazione dei processi e sistemi interni dell’impresa)62. Infine, c’è il rischio che le piattaforme adottino clausole abusive e procedure di recupero crediti aggressive63. I rischi sussistenti per i prestatori/investitori sono ancora più cospicui e vari e non sempre adeguatamente presentati agli utenti. Infatti, le strutture giuridiche, la regolazione applicabile, i costi, i possibili rimedi, i diritti e obblighi, i controlli effettuati dalle piattaforme e molti altri aspetti fondamentali non sono sempre evidenti mentre vengono sottolineati i rendimenti elevati, anche in raffronto a strumenti sicuri come i depositi bancari. Ad esempio, Kiva ha subito numerose critiche in quanto non era stati chiariti alcuni punti tra cui il fatto che i prestatori fornivano un prestito senza interessi mentre le MFIs riceventi applicavano interessi agli imprenditori prescelti e la circostanza che gli utenti di Kiva sceglievano progetti specifici anche in base alle caratteristiche dei richiedenti e delle loro idee ma spesso il denaro veniva destinato altrove perché il progetto non raggiungeva il minimo necessario o il progetto era già stato finanziato dalla MFI mesi prima e quindi le somme corrisposte dall’utente servivano solo a rimborsare la MFI64. A molte delle informazioni, poi, l’utente ha accesso solo dopo aver effettuato la registrazione ed immediatamente prima di effettuare la scelta sulla destinazione del denaro65. Benché, quindi, i modelli siano molto vari, nella maggior parte dei casi i prestatori/investitori, cui sono stati presentati possibili futuri ren-
identificazione della persona: cfr. G.A.O., Person-to-Person, cit.; Davis e Gelpern, Peerto-Peer, cit., pp. 1232 e 1264;. Verstein, The Misregulation, cit., pp. 474-75 (che riporta le difficoltà riscontrate da LendingClub nel contenere le molestie perpetuate dai prestatori a danno dei debitori specialmente via e-mail). 62 European Commission, Communication from the Commission - Unleashing, cit, p. 6; European Commission, Consultation document - Crowdfunding, cit., p. 8; G. Ferrarini & Ottolia, Corporate, cit. 63 G.A.O., Person-to-Person, cit, p. 31. 64 Pare infatti che solo il 4,3% dei prestiti di Kiva sia stato finora effettivamente concesso dopo il completo raggiungimento della somma del finanziamento sul portale mentre la maggior parte degli stessi venisse già erogata in un momento antecedente: cfr. Roodman, Kiva Is Not Quite What It Seems, (2 ottobre 2009), http://blogs.cgdev.org; Strom, Confusion On Where Money Lent via Kiva Goes, in The New York Times, 9 novembre 2009, www.nytimes.com; Powers ed altri, Person-to-Person, cit., p. 29; Davis e Gelpern, Peer-to-Peer, cit. 65 Kirby e Worner, Crowdfunding, cit., pp. 5 e 41.
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dimenti elevati, possono perdere tutto il denaro affidato alla piattaforma per abusi o fallimento di questa o inadempimento dei debitori (in assenza di fondi di garanzia e per mancanza di incentivi ad agire in giudizio a causa delle basse somme coinvolte o di legittimazione formale). Il tasso di default dei debitori nel settore ha raggiunto un picco del 30% nel 2009 ma, a seguito delle opportune misure correttive, si aggira ora intorno allo 0,2% e 7%66. Il fallimento della piattaforma comporta tendenzialmente la perdita dei crediti per impossibilità per gli utenti di risalire ai propri debitori e agire nei loro confronti mentre sarebbe opportuna la previsione, anche a livello contrattuale, di piani di risoluzione e/o l’intervento di un altro operatore in veste di back-up service (cfr. infra §§ 4 e 7). Inoltre, per scegliere come destinare il proprio denaro all’interno della piattaforma, l’utente si basa sulle informazioni fornite dai richiedenti e dalla piattaforma stessa. Si crea quindi un naturale affidamento sulla veridicità dei dati pubblicati e sulla verifica degli stessi da parte della piattaforma. Tuttavia, i controlli effettuati dalle piattaforme, benché variabili da caso a caso, sono piuttosto di forma e, d’altra parte, la piattaforma presenta pochi incentivi ad effettuare un’accurata due diligence in quanto viene generalmente esclusa la responsabilità o garanzia della piattaforma in caso di inadempimento del debitore o di informazioni false. Ad esempio, è risultato che Prosper e LendingClub verificassero solo, rispettivamente, il 40% e 60% dei dati67. Attualmente Prosper controlla i dati riguardanti la residenza, conto bancario, numero di sicurezza sociale, documento di identità, FICO credit score (un indicatore ufficiale di affidabilità creditizia basato su precedenti debiti nel sistema creditizio ufficiale) del debitore e richiede un rapporto sullo stesso ad una banca dati sul merito creditizio. Kiva è stata costretta a migliorare il suo procedimento di due diligence dopo numerose critiche sollevate68 ed assegna ora un rating alle MFIs-partner a seguito di un complesso procedimento mentre i rating dei singoli debitori sono assegnati dalle MFIs69. Zopa UK
66 Kirby e Worner, Crowdfunding, cit., pp. 5 e 23. Nel Regno Unito, ad ogni modo, le default rates del settore sono più basse di quelle nel settore bancario tradizionale: Collins et al., The Rise, cit., p. 10. Per gli Stati Uniti, Morse (Peer-to-Peer, cit.,.p. 6) riporta un tasso di default medio annuale di Prosper e LendingClub del 5%. 67 Verstein, The Misregulation, cit., pp. 467-70; Slattery, Square, cit., p. 248. 68 See G.A.O., Person-to-Person, cit., p. 15; Flannery, Kiva at Four, in Innovations (special edition for Skoll World Forum 2009), pp. 35 ss., http://media.kiva.org/INNOVSKOLL-2009_flannery.pdf. 69 Kiva basa la valutazione sul rating delle MFIs-partner su diversi fattori tra cui
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e Ratesetter verificano non solo la storia creditizia del richiedente (attraverso banche dati private specializzate) ma anche svolgono una procedura interna di rating e valutano la sostenibilità del prestito70. Inoltre, nonostante l’ipotesi summenzionata che la folla sia in grado di cogliere i livelli di rischio dei richiedenti attraverso l’analisi dei dati resi pubblici, vi è anche evidenza che i singoli utenti-investitori siano influenzati nella scelta dei soggetti da finanziare dalla presentazione del progetto, dalla foto prescelta, dall’etnia o gli hobby indicati e che per questo giungano a scelte non ottimali. Ad esempio, gli utenti di Prosper si aspettano, contrariamente ai risultati effettivi, che soggetti obesi o ispanici o asiatici non ripaghino e quindi chiedono un rendimento superiore a quello razionalmente ottimale per finanziarli (cfr. infra § 6b)71. Altri fattori negativi possono attenere alla liquidità: solo alcune piattaforme, infatti, permettono al prestatore di trasferire e liquidare la propria posizione creditoria72, spesso solo all’interno del sito e a certe condizioni inclusa una commissione (cfr. Funding Circle73, Prosper e LendingClub74,
recenti bilanci certificati, portfolio reports, curriculum vitae del cda e degli altri esponenti, manuali organizzativi, proiezioni e rating, due diligence sul posto in merito a governance, management, capitale, liquidità, trasparenza, management information system e controlli interni. Le MFIs invece assegnano un rating ai singoli microimprenditori in base a storia creditizia, reputazione nel villaggio, scopo del prestito, ecc.): cfr. http://www.kiva.org/ about/risk e sezione del sito “Risk and due diligence – Kiva’s role”; G.A.O., Person-toPerson Lending, cit., p. 15. 70 Simon, Peer-to-peer lenders: Zopa’s rivals compared, The Telegraph, (9 marzo 2011), http://www.telegraph.co.uk/finance/personalfinance/savings/8369316/Peer-to-peerlenders-Zopas-rivals-compared.html. 71 Cfr. Duarte, Siegel e Young, Do Individual Investors Form Rational Expectations? Evidence from Peer-to-Peer Lending, 2014, http://ssrn.com/abstract=2473240. In merito all’incidenza di fattori irrazionali sulle scelte dei prestatori: Ravina, Love & Loans: The Effect of Beauty and Personal Characteristics in Credit Markets, 2008, http://ssrn.com/ abstract=1107307; per risultati parzialmente diversi, Pope e Sydnor, What’s in a Picture? Evidence of Discrimination from Prosper.com, 2009, http://www.ftc.gov/be/workshops/ microeconomics/2009/docs/sydnor.pdf. Per un’analisi dell’influenza di caratteristiche personali sia del prestatario che del prestatore, cfr. Gonzalez & Komarova Loureiro, When Can a Photo Increase Credit?: The Impact of Lender and Borrower Profiles on Online P2P Loans, 2014, in corso di pubblicazione su Journal of Experimental and Behavioral Finance, Fordham University Schools of Business Research Paper no. 2442416, http://ssrn.com/abstract=2442416 e Komarova Loureiro & Gonzalez, Competition, cit. 72 Chaffee e Rapp, Regulating, cit., p. 505; Kirby e Worner, Crowdfunding, cit, pp. 5 e 26. 73 Pierrakis & L. Collins, Banking, cit., pp. 9 ss. 74 Slattery, Square, cit., pp. 240-241.
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ThinCats75; Smartika in Italia76). Infine, consistendo in un’operazione online, non sono da sottovalutare i rischi di frode, riciclaggio e furto d’identità77. In generale, con l’affidamento del denaro alla piattaforma, vi è un pericolo di abuso e conflitto di interesse da parte di questa, specialmente in caso di mancata separazione giuridica dei fondi dei clienti da quelli della piattaforma (per cui sarebbero attaccabili da parte dei creditori di questa). Guardando al sistema in generale, invece, poco rilievo assume ancora il rischio sistemico con riferimento al settore del P2P: si è già visto, infatti, che la dimensione del mercato corrisponde solo allo 0,01% del credito originato dalle banche78. Ad ogni modo, il settore sta crescendo molto velocemente (il crowdfunding con un tasso di crescita del 145% dal 2012)79 e sta divenendo più complesso e variegato: in primo luogo, accanto alle persone comuni, si sono affacciati all’universo delle piattaforme P2P anche colossi globali come Google80, hedge funds ed investitori professionali81. In aggiunta, alcune piattaforme hanno sottoscritto accordi con intermediari tradizionali aventi ad oggetto la cartolarizzazione dei loro portafogli e vendita dei prestiti della piattaforma a piccole banche (referral arrangements)82. Di conseguenza, l’interconnessione tra
75 Pierrakis & L. Collins, Banking, cit.; R. Jones, The major peer-to-peer lenders, The Guardian, (15 febbraio 2014), http://www.theguardian.com/money/2014/feb/15/ major-peer-to-peer-lenders-profiled; https://www.thincats.com/Apps/WebObjects/thincatspfp.woa/ra/Website/14624/14631/about-lending.html; https://www.thincats.com/Apps/ WebObjects/thincats-pfp.woa/ra/Website/14624/14632/about-borrowing.html. 76 Cfr. causola 8 dei “Principi di Smartika”. 77 Kirby e Worner, Crowdfunding, cit., pp. 5 e 27; EUROPEAN COMMISSION, Consultation document - Crowdfunding, cit., pp. 6 e 8. 78 Kirby e Worner, Crowdfunding, cit., p. 33. 79 Kirby e Worner, Crowdfunding, cit., p. 6. 80 Nella primavera del 2013 Google ha investito €125 milioni in LendingClub (cfr. Chapman, Google Buys LendingClub Stakes at $155 Billion Valuation, Wall Street Journal, 2 maggio 2013, http://online.wsj.com/news/articles/SB100014241278873236280045784 58892382014094. 81 Cfr. Hedge Funds and Institutional Investors Tiptoe into P2P lending, 8 aprile 2013, http://www.finalternatives.com/node/23318 (last accessed Oct. 13, 2014); Kirby e Worner, Crowdfunding, cit., p. 43; Alloway, Big banks muscle in on peer-to-peer lending, Financial Times, 28 ottobre 2013, http://www.ft.com/intl/cms/s/0/b06964143f3f-11e3-9657-00144feabdc0.html. 82 See Aspan, LendingClub Courts Small Banks as Personal-Loan Partners, in American Banker, 11 dicembre 2013, http://www.americanbanker.com/issues/178_237/ lending-club-courts-small-banks-as-personal-loan-partners-1064201-1.html; After Breakout Year, Peer-To-Peer Lending Still Evolving, 2014, http://www.finalternatives.com/
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tale settore e quello delle banche tradizionali ne risulta incrementata e così il possibile rischio sistemico.
4. Alternative regolatorie, scelta di prospettiva e tendenze registrate in EU e US. Dalla veloce descrizione fatta delle più comuni piattaforme di P2P lending è abbastanza evidente che il fenomeno ha difficoltà ad essere inquadrato nelle tradizionali categorie giuridiche. In conseguenza, da un lato, sembrano applicabili di per sé numerose discipline contemporaneamente (ad esempio, commercializzazione a distanza di servizi finanziari, contratti a distanza, credito al consumo – se chi presta è finanziatore professionale –, servizi di pagamento, disciplina anti-riciclaggio ed antiterrorismo, ecc.); dall’altro, il P2P lending è suscettibile di essere inquadrato, a seconda dei modelli e delle tendenze regolatorie, all’interno di molto diverse cornici regolatorie ed essere di conseguenza qualificato come attività bancaria, offerta di prodotti finanziari, servizi di investimento, fondi comuni, fondi alternativi o servizi di pagamento. La scelta presenta ovviamente conseguenze non irrilevanti: gli strumenti messi a disposizione dalle varie discipline sono spesso distinti, gli obiettivi delle stesse anche e così i costi per conformarsi alla stessa o di vigilanza. La risposta ai rischi posti dal P2P lending sopra evidenziati varia ovviamente corrispondentemente. Ad esempio, applicare la disciplina bancaria alle piattaforme P2P vuol dire concentrare l’attenzione sui profili di instabilità delle stesse e rischio sistemico con una risposta in termini di requisiti prudenziali e stringenti controlli, mentre rimarrebbero in secondo piano gli aspetti collegati alla scarsa trasparenza delle piattaforme (pur essendo ora ampi gli obblighi di trasparenza delle banche) invece obiettivo principe della disciplina dei mercati e servizi di investimento che vedono come strumento fondamentale l’informazione. D’altra parte, questa seconda prospettiva potrebbe mettere in secondo piano le problematiche di privacy e più in generale di tutela del richiedente (anche se molti ordinamenti riservano ormai ampio spazio alla tutela del cliente bancario; v. infra § 6). Analizzando perciò le scelte compiute dai regolatori in alcuni Stati
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Europei e negli Stati Uniti è possibile identificare alcune tendenze, ricollegabili alle particolarità del settore, alle strutture economico-finanziarie ed alla tradizione giuridico-economica dei diversi paesi. a. L’inquadramento nel diritto bancario: i casi un tempo simili e ora divergenti di Francia e Italia. Il nostro ordinamento bancario, in linea con le Direttive bancarie EU, riserva lo svolgimento dell’attività di raccolta del risparmio in congiunzione con l’erogazione del credito83 (attività bancaria) alle banche (art. 10 t.u.b.)84 le quali vengono assoggettate ad una disciplina severa, finalizzata al mantenimento della stabilità ed incentrate su requisiti prudenziali (adeguatezza patrimoniale, contenimento dei rischi e, a breve, anche requisiti di liquidità e leva finanziaria, ecc.) e vigilanza regolamentare, informativa e ispettiva. La riserva bancaria, ad ogni modo, copre anche la raccolta del risparmio effettuata con obbligo di rimborso e presso il pubblico, specialmente se a vista o collegata all’emissione di mezzi di pagamento a spendibilità generalizzata (art. 11 t.u.b.)85. L’interpretazione del concetto di “pubblico”, frutto delle specificazioni delle
83 Sulla nozione di concessione di finanziamenti, cfr. Vella, L’esercizio del credito, Milano, 1990, pp. 56 ss.; Desiderio, L’attività bancaria, in L’ordinamento finanziario italiano, a cura di Capriglione, Padova, 2010, pp. 377 ss.; Troiano, I soggetti operanti nel settore finanziario, ibidem, pp. 593-594. 84 Sulla definizione di attività bancaria e i criteri per l’identificazione dell’obbligo di rimborso, cfr. Costi, L’ordinamento bancario5, Bologna, 2012, pp. 201 ss.; Brescia Morra, Il diritto delle banche, Bologna, 2012, pp. 35 ss. e 55 ss.; Id., Commento all’art. 10 t.u.b., in Testo Unico Bancario. Commentario, a cura di M. Porzio, Belli, Losappio, Farina e Santoro, Milano, 2010, pp. 89 ss.; M. Porzio, Commento all’art. 11, in, Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, I, a cura di Belli, Contento, Patroni Griffi, M. Porzio e Santoro Bologna, 2003, pp. 197 ss.; Parrella, Commento all’art. 11 t.u.b., in Testo Unico Bancario. Commentario, a cura di M. Porzio, Belli, Losappio, Farina e Santoro, cit., p. 117 ss.; Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare6, Torino, 2012, pp. 327 ss.; Desiderio, L’attività bancaria, cit., pp. 369 ss.; Id., L’attività bancaria. Fattispecie ed evoluzione, Milano, 2004, p. 384; Urbani, Attività bancaria, finanziaria e d’investimento: caratteri, contenuti e tecniche di prevenzione degli abusi, in Diritto delle banche, degli intermediari finanziari e dei mercati, a cura di Capriglione, Bari, 2003, p. 135; Volpe, L’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività finanziaria, in Banca, borsa, tit. cred., 2000, 5, p. 643. 85 Cfr. Banca d’Italia, Istruzioni di vigilanza per le banche, tit. IX, cap. 2, sez. I, par. 3; Brescia Morra, Commento, cit., pp. 92 ss.; Costi, L’ordinamento, cit., p. 231; Belli, Legislazione bancaria italiana (1861–2003), Torino, 2004, p. 269; Urbani, Attività, cit., p. 146; Desiderio, L’attività, 2010, cit., p. 400; Id., L’attività, 2004, cit., pp. 396 ss.
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autorità bancarie (Banca d’Italia e CICR)86 e della giurisprudenza, è molto ampia e finisce col ricomprendere ogni raccolta senza emissione di strumenti finanziari con obbligo di rimborso, con offerta rivolta ad un numero indefinito di soggetti, anche limitato ma ampio e suscettibile di espansione87, e per mezzo di strumenti standardizzati o simil-bancari88 o diretti a soggetti bisognosi di protezione89. L’obbligo di rimborso può risultare dalla disponibilità effettiva del denaro nell’operatività concreta dell’accordo90, anche se da quest’ultimo formalmente escluso91. È perciò intuitivo che la raccolta del denaro presso il pubblico di
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Cfr. Delibere CICR del 3 marzo 1994, 19 luglio 2005 n. 1058 e 22 febbraio 2006; Banca d’Italia, Istruzioni di vigilanza per le banche. Tali provvedimenti, per delineare i termini del divieto, distinguono tra raccolta del risparmio con emissione di strumenti finanziari (ponendo limiti massimi all’importo complessivo dell’emissione e minimi di taglio unitario) o no (possibile solo presso soci, dipendenti e gruppo di appartenenza con limiti diversi a seconda del tipo di società e comunque mai nella forma di raccolta di fondi a vista e collegata all’emissione di strumenti di pagamento a spendibilità generalizzata. Di fatto, la riserva bancaria copre tutte le forme di raccolta senza emissione di strumenti finanziari). Particolari limiti sussistono in caso di società finanziarie, cioè di società impegnate nell’erogazione di finanziamenti (che si trasformano in divieto assoluto per le sole cooperative finanziarie). Cfr. Costi, L’ordinamento bancario5, cit., pp. 214 ss.; Parrella, Commento, cit., pp. 124 ss.; M. Porzio, Le imprese bancarie, in Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, I, Torino, 2007; Id., Commento all’art. 11, cit., pp. 217-218. 87 Cass., S.U., 25 marzo 1988 n. 2579, in Banca, borsa, tit. cred., 1989, II, 7; Cass. Pen., 12 febbraio 1999, n. 5118, in Riv. Pen. 1999, II, 556; Trib. Lecce, 30 novembre 1993, in Foro it., 1995, II, 653. 88 Banca d’Italia, Istruzioni di vigilanza per le banche, tit. IX, cap. 2, p. 3; CICR, Delibera del 19 luglio 2005 No. 1058, art. 2.2 e art. 3. 89 M. Porzio, Sub art. 11, in Commento al d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, a cura di Belli ed altri, Milano, 2003, p. 204; P. Ferro-Luzzi, Lezioni di diritto bancario, Torino, 2004, p. 130; Parrella, Commento, cit., p. 120. 90 Costi, L’ordinamento, cit., pp. 201 ss.; Brescia Morra, Il diritto, cit., pp. 58 ss.; Allegri, La banca tra diritto comune e legge speciale, in AA.VV., Diritto della banca e del mercato finanziario, 2003, I, 31; Antonucci, Diritto delle banche5, Bologna, 2012, pp. 73-74; Parrella, Commento, cit., pp. 116 ss.; Artale ed altri, Le attività, i soggetti, i collaboratori esterni, in Diritto delle banche e degli intermediari finanziari, a cura di Galanti, in Tratt. dir. dell’economia diretto da Picozza e Gabrielli, V, Padova, 2008, pp. 305 ss.; M. Porzio, Banca e attività bancaria, in Enc. Dir., Aggiornamento IV, Milano, 2000, p. 162; Id., Le imprese bancarie, cit., p. 168; F. Ferro-Luzzi, Lezioni di diritto bancario, 2004, p. 104; Id., Attività bancaria e attività delle banche, in Banca, impresa, soc., 1996, p. 13; Desiderio, L’attività, 2010, pp. 382 ss. 91 CICR, Delibera del 19 luglio 2005 n. 1058, art. 1.3 e Banca d’Italia, Istruzioni di vigilanza per le banche, titolo IX, cap. 2; cfr. Desiderio, L’attività, cit., p. 386; M. Porzio, Banca, cit.
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internet effettuata dai portali di P2P potesse apparire agli occhi della Banca d’Italia come raccolta del risparmio riservata alle banche. In particolare, in uno specifico caso riferito alla piattaforma Zopa (spin-off di Zopa UK), la Banca d’Italia ha ritenuto che la piattaforma, autorizzata ad offrire in Italia servizi di pagamento operando come società finanziaria ex art. 106 t.u.b. a certe condizioni (cfr. Nota della Banca d’Italia del 25 luglio 2007), avesse violato la riserva bancaria svolgendo raccolta del risparmio presso il pubblico in mancanza della dovuta autorizzazione. Infatti, la piattaforma custodiva ingenti somme da trasferire tra i diversi conti dei clienti su un unico conto (infruttifero) chiamato “prestatori” ma intestato a Zopa presso la Banca Intesa San Paolo, con conseguente acquisizione della disponibilità di tali fondi da parte della società (senza che la banca depositaria potesse eccepire nulla in merito all’uso delle somme in questione da parte di Zopa e potendo il conto essere aggredito dai creditori della stessa), nonostante il conto fosse registrato in bilancio da Zopa come conto d’ordine ed i contratti con i prestatori escludessero tale disponibilità. Inoltre, i prestatori avevano a disposizione una grande varietà di attività con riferimento alle somme, quali reimpiego e rimborso (in ogni momento, anche dopo la conclusione dell’accordo con il richiedente il prestito e quindi indipendentemente dal mandato di pagamento), così da assimilare il rapporto con la società ad un conto deposito a vista (secondo il TAR Lazio si sarebbe instaurato un deposito irregolare). Infine, le modalità di offerta risultavano standardizzate ed impersonali. In conseguenza, la piattaforma ha optato, oltre che per un cambio di nome (ora Smartika), per una modifica della propria struttura giuridica e quindi regime giuridico92. In particolare, Smartika è ora un istituto di pagamento (cfr. Direttiva n. 2007/64/CE recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11 e art. 114-sexies ss. t.u.b., Disposizioni di vigilanza per gli istituti di pagamento e per gli istituti di moneta elettronica del 20 giugno 2012). Essa è autorizzata ad effettuare servizi di pagamento senza che la ricezione dei fondi costituisca raccolta del risparmio con obbligo di rimborso presso il pubblico nel rispetto di alcune condizioni
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R. amato, Dopo lo stop di Bankitalia a Zopa, il prestito social riparte con Smartika, 3 aprile 2012, in http://www.repubblica.it/tecnologia/2012/04/03/news/dopo_lo_stop_di_ bankitalia_a_zopa_il_social_lending_ci_riprova_con_smartika-32487286/; Catania, Zopa è tornata ora si chiama Smartika, 26 marzo 2012, in http://economia.panorama.it/ tech-e-social-2-0/Zopa-e-tornata-ora-si-chiama-Smartika.
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quali: la separazione dei fondi ricevuti dai clienti da quelli dell’istituto (per cui i fondi non risultino attaccabili dai creditori di quest’ultimo), registrazione contabile separata e tempestiva delle operazioni di ciascun cliente e di come sono investite le relative somme, deposito delle somme presso una banca o investimento in strumenti qualificati o fondi che investano in strumenti qualificati (come somme di terzi). Invece, in quanto istituto di pagamento, non può concedere finanziamenti se non nei ristretti limiti individuati dalla Banca d’Italia e comunque senza utilizzare i fondi ricevuti nell’ambito dei servizi di pagamento93. Gli istituti di pagamento sono sottoposti a requisiti per l’inizio dell’attività94 e vigilanza prudenziale assimilabile a quella bancaria anche se più leggera95 e con semplificazioni per gli operatori di dimensioni minori. Prestiamoci ha invece optato – per la sua società manager (Agata s.p.a.) – per la forma di intermediario finanziario non bancario ex art. 106 t.u.b., dal 2010 sottoposta tuttavia a disciplina prudenziale simile per molti aspetti a quella bancaria (mentre prima del 2010 a disciplina leggera e nessuna vigilanza prudenziale). In quanto tale può partecipare, come si è detto, al finanziamento, offrire servizi di pagamento e alcuni servizi di investimento. Si appoggia ad una banca per il deposito
93 Cfr. Capitolo IV, sezione I, punto 3 delle Disposizioni di vigilanza per gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica (20 giugno 2012) della Banca d’Italia: «Gli istituti possono concedere finanziamenti relativi ai servizi di pagamento indicati ai punti 4, 5 e 7 dell’articolo 1, co. 1, lett. b) del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, nel rispetto delle seguenti condizioni: a) il finanziamento è accessorio e concesso esclusivamente in relazione all’esecuzione di un’operazione di pagamento; b) il finanziamento è di breve durata, non superiore a dodici mesi. Può essere di durata superiore a 12 mesi il finanziamento concesso in relazione ai pagamenti effettuati con carta di credito; c) il finanziamento non è concesso utilizzando fondi ricevuti o detenuti ai fini dell’esecuzione di un’operazione di pagamento; d) a fronte del rischio di credito derivante da tali finanziamenti, gli istituiti sono tenuti a mantenere la dotazione patrimoniale minima stabilita nel Capitolo V». 94 Gli istituti di pagamento devono essere società di capitali o cooperative, avere un determinato capitale minimo (da € 20.000 a € 125.000 a seconda tipo servizio offerto), un programma d’attività, rispettare i requisiti di onorabilità per i detentori di partecipazioni rilevanti bancarie e quelli di onorabilità, indipendenza e professionalità degli esponenti aziendali bancari, garantire una sana e prudente gestione, mantenere un patrimonio destinato se autorizzati anche ad attività diverse dai servizi di pagamento. 95 Essi sono quindi tenuti a segnalazioni periodiche, a rispettare disposizioni di carattere generale (in materia di adeguatezza patrimoniale, contenimento del rischio, organizzazione amministrativo-contabile, controlli interni, sistemi di remunerazione ed incentivazione), ai poteri di convocazione degli organi sociali, ispezioni e all’amministrazione coatta e liquidazione amministrativa (art. 114-quaterdecies t.u.b.).
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e gestione delle somme dei clienti, i quali sono tenuti ad aprire presso la stessa un conto bancario. In Francia, invece, la riserva bancaria posta dagli artt. L511-5 e L311-1 del code monétaire et financier copriva sia la raccolta di denaro presso il pubblico che operazioni di credito e servizi di pagamento, per cui i privati che fornissero ad altri privati anche solo prestiti - o chi facilitasse questo “servizio” - violavano la riserva bancaria. Tuttavia, le piattaforme francesi hanno potuto operare comunque attraverso due scappatoie: in primo luogo, la concessione di somme senza interessi non rientrerebbe nel concetto di attività di credito in quanto “anticipi rimborsabili”96 e Babyloan e MicroWorld hanno potuto quindi anche facilitare queste operazioni (necessitando comunque di una licenza come istituto di pagamento o IOBSP - “Intermédiaire en opérations de banque et en services de payment”, artt. L519-2 and 519-4) per ricevere denaro dal pubblico e trasferirlo97. In secondo luogo, i prestiti concessi da parenti o amici non avrebbero violato la riserva bancaria mancando il carattere pubblico dell’attività 98: FriendsClair aveva perciò cercato di agire come piattaforma per la facilitazione di prestiti tra amici e parenti ma la Banque de France ne ha bloccato le operazioni verificando che la maggior parte degli utenti della piattaforma non appartenevano realmente ad una cerchia di amici e parenti e ritenendo che l’organizzazione come attività economica dell’incontro tra privati per la concessione di finanziamenti, peraltro ripetuta o abituale, costituisse attività bancaria. FriendsClair ha quindi dovuto, da un lato, trasformarsi in IOBSP, dall’altro, coinvolgere come partner una banca autorizzata, che ricevesse il denaro degli utenti, erogasse il prestito con assoluta discrezionalità e garantisse la restituzione99. Tale modifica
96
Cfr. Art. 313-1 code monétaire et financier: «Constitue une opération de crédit tout acte par lequel une personne agissant à titre onéreux met ou promet de mettre des fonds à la disposition d’une autre personne ou prend, dans l’intérêt de celle-ci, un engagement par signature tel qu’un aval, un cautionnement, ou une garantie. Sont assimilés à des opérations de crédit le crédit-bail, et, de manière générale, toute opération de location assortie d’une option d’achat». 97 Cfr. AMF e ACP, Crowdfunding: a guide for funding platforms and project owners, 14 maggio 2013, in http://acpr.banque-france.fr/fileadmin/user_upload/acp/ Communication/Communiques%20de%20presse/20130514-guide-professionnelcrowdfunding.pdf, p. 4. 98 Cfr. i consigli del Ministero delle Finanze Pubbliche francese: http://www.impots. gouv.fr/portal/dgi/public/popup?espId=1&typePage=cpr02&docOid=documentstanda rd_2943. 99 La piattaforma ha poi dovuto introdurre un modello di diversificazione per cui
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ha snaturato il modello stesso di P2P, dovendo i richiedenti rispettare non solo i criteri selettivi della piattaforma/prestatori ma anche quelli più restrittivi della banca, con allungamento di tempi ed aumento di costi, e spinto FriendsClear ad annunciare la chiusura della piattaforma nel giugno 2013100. Prêt d’Union, invece, ha cambiato la licenza da impresa di investimento rivolta a soli investitori professionali a banca101. Tuttavia, mentre in Italia si è scelto di creare una disciplina ad hoc solo per l’equity crowdfunding ed esclusivamente con riferimento agli emittenti che siano start-up innovative (cfr. infra § 5), in Francia una recente riforma ha aperto nuove prospettive per il settore del P2P lending (e potendosi collocare nel trend che abbiamo definito “pragmatico” e di tutela onnicomprensiva del consumatore che vedremo essere incarnato dal Regno Unito: cfr. infra § 4.c)102. Questa, pur modificando numerose discipline (su imprese di investimento, offerta di prodotti finanziari e prospetto), ha prima di tutto eliminato il monopolio bancario con riferimento ai prestiti tra privati (ma, nel caso di prestito oneroso, solo per fini educativi o imprenditoriali, non di consumo) o tra privati ed imprese
i prestatori non hanno più avuto la possibilità di scegliere progetti specifici, essendo vincolati invece ad investire in un paniere di prestiti: cfr. Roussin, Les prêts, cit., pp. 49 ss.; FinPart, Livre Blanc Finance Participative. Plaidoyer et propositions pour un nouveau cadre réglementaire, 2012, pp. 8 e 18-19, http://finpart.org/download/plaidoyer-juin/ Livre-Blanc-Finance-Participative-Plaidoyer-et-Propositions-pour-un-Nouveau-CadreReglementaire.pdf; Jourdan, Pourquoi la finance collaborative peine à se developer en France, 22 marzo 2012, http://consocollaborative.com/2379-finance-collaborative-peinea-se-developper-en-france.html. 100 Guillaume, FriendsClear c’est fini!, 15 giugno 2013, http://nicolasguillaume.fr/ friendsclear-cest-fini/. 101 Cfr. http://www.pret-dunion.fr/comment-ca-marche/fonctionnement e http:// consocollaborative.com/2379-finance-collaborative-peine-a-se-developper-en-france. html. 102 Cfr. Financement participatif: les trois freins à lever pour que le “crowdfunding” décolle, 30 settembre 2013, http://www.latribune.fr/entreprises-finance/banquesfinance/20130930trib000788000/financement-participatif-les-trois-freins-a-leverpour-que-le-crowdfunding-decolle.html; Ministère de l’Economie, Faire de la France le pays pionner du financement participatif – Communiqué de presse, 14 febbraio 2014, http://proxy-pubminefi.diffusion.finances.gouv.fr/pub/document/18/16977.pdf, http:// proxy-pubminefi.diffusion.finances.gouv.fr/pub/document/18/16978.pdf, http://www. economie.gouv.fr/france-pionnier-financement-participatif e http://proxy-pubminefi. diffusion.finances.gouv.fr/pub/document/18/16978.pdf; ACPR e AMF, S’informer sur le nouveau cadre applicable au financement participatif (crowdfunding), 30 settembre 2014, http://www.amf-france.org/Publications/Guides/Professionnels.html?docId=worksp ace%3A%2F%2FSpacesStore%2Fa784a82d-295c-4371-8d04-f9b51895d370.
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nell’ambito dei quali, però, ogni prestatore fornisca somme non superiori a €1.000 per progetto (ma parrebbe senza limiti per quanto riguarda il numero di progetti per prestatore) e ogni prestatario non riceva più di €1 milione (cfr. i nuovi artt. L511-6.7, L548-1 ss. e Décret No 2014-1053 del 16 settembre 2014 che ha modificato la parte regolamentare del codice monetario e finanziario, artt. R. 547-1 ss.). Inoltre, è stata creata una nuova figura di operatore (Intermédiaire en Financement Participatif - IFP)103 per le piattaforme di P2P lending (anche se no profit) che permettano l’incrocio di domanda e offerta tra richiedenti e prestatori o comunque facilitanti i prestiti in questione. La disciplina per gli IFP non prevede requisiti di adeguatezza patrimoniale o altri requisiti prudenziali ma un obbligo di registrazione (soggetto a controlli di sana e prudente gestione quali requisiti di onorabilità e professionalità degli esponenti e la sottoscrizione di un’assicurazione da responsabilità civile professionale), obbligo di predisporre l’intervento di un operatore sostitutivo per la continuazione dei contratti in caso di fallimento della piattaforma (art. R. 548-9), obblighi di trasparenza e informativi e regole di condotta (cfr. art. L. 548-6). In particolare, gli IFP devono informare gli utenti dei dati relativi al loro status e registrazione, condizioni generali di utilizzazione della piattaforma, costi e spese inclusa la remunerazione degli stessi, condizioni principali del prestito, rischi per il prestatore e tasso di default negli ultimi trentasei mesi, rischi di indebitamento eccessivo per il richiedente, conseguenze per ogni soggetto in caso di fallimento della piattaforma, strumenti che permettano ai prestatori di identificare la somma di denaro che gli stessi possono ragionevolmente prestare in considerazione del loro reddito e patrimonio, i criteri di eleggibilità e selezione dei richiedenti e le informazioni raccolte, la parte di capitale ancora dovuta dopo due mesi dalla scadenza in rapporto alla somma complessiva di capitale per tutti i progetti e al numero totale di progetti, le somme che restano dovute ogni mese in rapporto al numero totale di progetti in corso (cfr. L. 548-6 e R. 548-5). La piattaforma deve anche fornire al prestatore attraverso il proprio sito informazioni relative al richiedente, al progetto (presentato alla luce dei criteri di selezione), al piano di finanziamento (inclusi l’ammontare totale, l’eventuale presenza di altri prestiti, di auto-finanziamento, di sovvenzio-
Cfr. la proposta avanzata dal settore: Financement Participatif France, Propositions réglementaires pour favoriser le développement de la Finance Participative, http:// nicolasguillaume.fr/wp-content/uploads/2013/07/Propositions-r%C3%A9glementairespour-favoriser-le-financement-participatif_FPF-DRAFT.pdf. 103
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ni, di garanzie o assicurazione) (cfr. R. 548-5, co. 4). La pubblicità deve essere in ogni caso chiara, precisa e visibile. Ancora, è previsto l’obbligo di redigere il contratto in forma scritta (L. 548-6 e R. 548-8) e sulla base di un contratto tipo pubblicato sul sito dell’IFP che contenga oltre ai dati relativi alle parti (intermediario, prestatore e richiedente), le caratteristiche e costo dell’operazione (somma totale del prestito, durata, tassi, rateizzazione, remunerazione dell’IFP, costo totale), eventuale diritto di recesso e rimborso anticipato, reclami, conseguenze in caso di fallimento del richiedente (R. 548-6). Sempre prima della conclusione del contratto, l’IFP deve fornire le informazioni essenziali in merito al finanziamento (durata, ammontare, tasso, piano di rimborso, eventuale recesso e rimborso anticipato, condizioni di effettiva erogazione), la remunerazione dell’intermediario, – per il prestatore – rischi specifici del finanziamento partecipativo e nei casi di assenza di garanzia, – per il richiedente – i rischi specifici del sovra-indebitamento e conseguenze dell’inadempimento, responsabilità e rischi dei vari partecipanti in caso di inadempimento del richiedente (R. 548-7). Infine, ogni anno le piattaforme devono pubblicare sul sito un rapporto di attività contenente informazioni relative ai dispositivi di governance, al numero di richieste di finanziamento ricevute, quelle accettate, quelle effettivamente finanziate, alle somme complessive erogate come prestiti, prestiti senza interesse e dono, al numero di prestatori, al numero medio di prestatori per progetto, all’ammontare medio dei crediti, prestiti senza interessi, doni per prestatore e agli indicatori di default (cfr. art. R. 548-4, II). La vigilanza è attribuita ad un’associazione privata di categoria ma l’ACPR (autorità prudenziale francese) può sanzionare gli operatori ed avocare il controllo sugli stessi in ogni momento. In secondo luogo, poiché la ricezione di fondi a favore di un terzo costituisce servizio di pagamento (anche nel caso di piattaforme donation-based), è stato introdotto un regime prudenziale “leggero” per gli istituti di pagamento con volume di pagamenti al di sotto dei €3 milioni al mese (cfr. art. 26 Direttiva n. 2007/64/CE, ma così esclusi dal passaporto europeo) e che prevede un capitale minimo inferiore (€ 40.000 invece di € 730.000), esenzione dai requisiti di adeguatezza patrimoniale e dai controlli interni ma invece soggetti alle discipline anti-riciclaggio e anti-terrorismo e di esternalizzazione (cfr. nuovi artt. L522-11-1 e D522-4)104.
104 AMF e ACPR, L’Autorité des marchés financiers (AMF) et l’Autorité de contrôle prudentiel et de résolution (ACPR) lancent une consultation publique concernant le financement participatif (« crowdfunding »), 30 settembre 2013, http://www.amf-france.
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L’ordinamento francese, quindi, con il nuovo cambio di rotta, da un lato, non ha ritenuto sufficiente assoggettare le piattaforme solo alla disciplina in materia di IP (peraltro il regime esente semplificato) e, dall’altro, ha però focalizzato il regime specifico dei P2P sulla trasparenza ed informazione invece che su regole di tipo prudenziale a tutela sia dell’investitore/prestatore che del richiedente. b. Ordinamento statunitense: P2P lending e securities regulation. Gli Stati Uniti vantano il settore di P2P lending di più rilevanti dimensioni. Tuttavia, la disciplina giuridica applicabile non è particolarmente favorevole. Nonostante le piattaforme presentassero inizialmente modelli operativi distinti, esse sono state qualificate dalla SEC come offrenti securities105: in
org/Actualites/Communiques-de-presse/AMF/annee_2013.html?docId=workspace%3A% 2F%2FSpacesStore%2Fb8576b9f-d316-4dab-a915-a635342bd47a; ACPR, Ministère De L’economie Et Des Finances & AMF, Un nouveau cadre pour faciliter le développement du financement participatif, 30 settembre 2013, http://acpr.banque-france.fr/fileadmin/ user_upload/acp/Communication/Communiques%20de%20presse/20130930-cadrefinancement-participatif.pdf; Dupont-Calbo, De l’oxygène pour le financement participatif, Le Monde, 30 settembre 2013, http://www.lemonde.fr/economie/article/2013/09/30/ du-soutien-pour-le-financement-participatif_3487378_3234.html; per critiche sulla proposta iniziale, Guillaume, Appel à action : Réponse à la consultation crowdfunding du regulateur, 12 novembre 2013, http://nicolasguillaume.fr/appel-a-action-reponsea-la-consultation-crowdfunding-du-regulateur/; sulle più recenti modifiche al testo del decreto, cfr. Lejoux, Crowdfunding: le projet de réglementation assoupli en faveur des acteurs, La Tribune, 14 febbraio 2014, http://www.latribune.fr/entreprisesfinance/20140214trib000815504/crowdfunding-le-projet-de-reglementation-assouplien-faveur-des-acteurs.html; Guinot, La France mise sur la finance participative, Le Figaro, 14 febbraio 2014, http://www.lefigaro.fr/secteur/high-tech/2014/02/14/0100720140214ARTFIG00157-la-france-mise-sur-la-finance-participative.php; Guillaume, Nouveau cadre juridique du financement participatif (crowdfunding) en France, 21 aprile 2014, http://nicolasguillaume.fr/nouveau-cadre-juridique-du-financement-participatifcrowdfunding-en-france/; Risterucci, La France s’ouvre au crowdfunding, les prémices d’un phenomène grand public, Le Cercle les Echos, 25 febbraio 2014, http://lecercle.lesechos. fr/entrepreneur/developpement/221191523/france-ouvre-crowdfunding-premicesphenomene-grand-public (last accessed 13 Oct. 2014); De Vauplane, Financement Participatif: le projet d’ordonnance dévoilé, Le Cercle des Echos, 30 aprile 2014, http:// lecercle.lesechos.fr/entrepreneur/developpement/221196465/financement-participatifprojet-dordonnance-devoile e http://www.pmefinance.org/9587-crowdfunding-analysedu-projet-d-ordonnance.html; ACPR e AMF, S’informer, cit., p. 6. 105 Cfr. sezione 2(a)(1) del Securities Act 1933: «The term “security” means any note, stock, treasury stock, security future, security-based swap, bond, debenture, evidence
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conseguenza, alcune piattaforme hanno cambiato il loro modello operativo, da un lato, per adeguarsi alla prescrizioni dell’autorità e, dall’altro per sfruttare al meglio le possibilità d’altra parte offerte dal sistema. La SEC, in un caso riguardante la no profit Kiva, ha infatti per la prima volta affermato la possibile natura di securities – ed in particolare di investment contracts e notes – dei prodotti offerti dalle piattaforme di P2P lending per la presenza delle caratteristiche tipiche di questi identificate nei leading cases SEC v. W.J. Howey Co.106 (sui contratti di investimento) e Reves v. Ernst & Young107 (per le notes): vi sarebbe infatti un contratto di investimento quando il denaro proveniente dai diversi soggetti del pubblico viene riunito e gestito insieme ed il suo risultato è collegato all’andamento dell’operazione complessiva (common enterprise), il rendimento economico dipende prevalentemente dagli sforzi profusi da un soggetto diverso da chi fornisce il denaro (nel nostro caso la piattaforma o il richiedente; profits predominantly from efforts of others) e, infine, vi è un’ aspettativa di profitto (expectation of profits). Con particolare riferimento alle notes, queste si presumono security salvo che non assomiglino ad una delle categorie escluse dalla giurisprudenza (resemblence test)108. Inoltre, tra i fattori utili a distinguere le securities da altre forme di debito si annoverano i seguenti fattori: motivazione delle parti (ad esempio, se l’investitore/prestatore non è un finanziatore professionale ma un investitore interessato ad un rendimento economico è facile che sia una note), il piano di distribuzione (ad esempio, l’offerta del prestito a numerosi investitori non collegati, con modalità tipiche dei prodotti finanziari fa propendere per una note), le ragionevoli aspettative degli
of indebtedness, certificate of interest or participation in any profit-sharing agreement, collateral-trust certificate, preorganization certificate or subscription, transferable share, investment contract, voting-trust certificate, certificate of deposit for a security, fractional undivided interest in oil, gas, or other mineral rights, any put, call, straddle, option, or privilege on any security, certificate of deposit, or group or index of securities (including any interest therein or based on the value thereof), or any put, call, straddle, option, or privilege entered into on a national securities exchange relating to foreign currency, or, in general, any interest or instrument commonly known as a “security”, or any certificate of interest or participation in, temporary or interim certificate for, receipt for, guarantee of, or warrant or right to subscribe to or purchase, any of the foregoing». 106 SEC v. W. J. Howey Co., 328 U.S. 293 (1946). 107 Reves v. Ernst & Young, 494 U.S. 56 (1990). 108 Cfr. Bradford, Crowdfunding, cit., pp. 30 ss.; MacLeod Heminway e Hoffman, Proceed at Your Peril: Crowdfunding and the Securities Act of 1933, in Tenn. L. Rev., 2011, 78, p. 879, in particolare pp. 892-906; Chaffee e Rapp, Regulating, cit.
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investitori e le discipline alternative applicabili tali da rendere non necessaria per la protezione degli investitori l’applicazione della securities regulation (ad esempio, l’applicabilità della normativa bancaria o di credito al consumo può militare a favore dell’esclusione della securities regulation)109. Ad ogni modo, mentre nel caso specifico di Kiva la SEC aveva escluso la qualificazione di securities per la mancata ricorrenza dell’aspettativa di profitto (essendo il modello no profit e quindi escludendo la remunerazione del capitale degli utenti-prestatori), la medesima autorità ha invece concluso in senso opposto con riferimento alla piattaforma Prosper (In re Prosper Marketplace, Inc.110) ed affermato la propria competenza, spingendo Prosper e LendingClub a strutturare il loro modello intorno all’emissione di notes proprio per adeguarsi alle prescrizioni dell’autorità, da un lato, e sfruttare la qualificazione come securities, dall’altro. In ogni caso, anche altre piattaforme, strutturate in base a modelli diversi e non concepite in principio come coinvolgenti securities potrebbero essere sottoposte a tale disciplina se fossero ritenute sussistenti le summenzionate caratteristiche al di là qualificazione e denominazione formale. In conseguenza, le piattaforme di P2P aperte al pubblico111 possono
109 Manbeck e Hu, The Regulation of Peer-To-Peer Lending: A Summary of the Principal Issues (Update 2014), (April 2014), p. 4, http://www.chapman.com/media/ publication/146_Chapman_Regulation_of_Peer-to-Peer_Lending_0414.pdf; per un esame critico e analitico di questi fattori nel contesto del crowdfunding, cfr. Macleod Heminway e Hoffman, Proceed, cit.. 110 In re Prosper Marketplace, Inc., Securities Act Release No. 8984, 2008 SEC LEXIS 279124 Nov. 2008, http://www.sec.gov/litigation/admin/2008/33-8984.pdf; Prosper Marketplace, Inc., Exchange Act Release No. 8984, 2008 WL 4978684, 1, Nov. 24, 2008, http://www.sec.gov/litigation/admin/2008/33- 8984.pdf; cfr. anche Brill, Peer-To-Peer Lending: Innovative Access To Credit And The Consequences of Dodd-Frank, Legal Backgrounder, 2010, Washington Legal Foundation, www.wlf.org; Schmidt e Westbrook, An Online Lender Takes on the SEC. Peer-to-peer lender Prosper Marketplace says it shouldn’t be treated like an investment firm, 10 giugno 2010, http://www.businessweek. com/stories/2010-06-09/an-online-lender-takes-on-the-sec; C.E. Smith, If It’s Not Broken, Don’t Fix It: the SEC’s Regulation of Peer-to-Peer Lending, American University Washington College of Law Business Law Brief, 2010, http://www.wcl.american.edu/blr/ documents/AU_BLBFall09_Smith.pdf; Rice, Peer to peer lending confounds the SEC, 11 giugno 2010, http://personalmoneystore.com/moneyblog/peer-to-peer-lending-p2p-sec/; Verstein, The Misregulation, cit.; G.A.O., Person-to-Person, cit., p. 7; Chaffee e Rapp, Regulating, cit., pp. 493-494 e 512-516; Slattery, Square, cit., p. 252. 111 Altrimenti, esiste un’esclusione per le offerte via internet limitate ad investitori qualificati (inclusi tra questi anche le persone fisiche con un patrimonio netto superiore ad €1 milione o un reddito di €200.000 negli ultimi due anni: rule 501 Regulation D):
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essere qualificate, a seconda del modello operativo, come emittenti112, offerenti o underwriters113 o brokers114, in ogni caso soggetti a onerosi, lunghi e complessi obblighi di registrazione delle securities, di prospetto (con informazioni sulle condizioni finanziarie dell’emittente, i suoi managers, rischi significativi, transazioni rilevanti di mercato, ecc.) in base al Securities Act del 1933 e trasparenza periodica (Securities Exchange Act del 1934)115. Inoltre, gli ordinamenti dei singoli Stati impongono spesso la registrazione anche negli stessi, assoggettandoli a requisiti molto diversi da Stato a Stato. Una recente riforma (Jumpstart Our Business Startups Act - “JOBS Act”)116 ha però creato un’esenzione dalla disciplina in questione – federale e statali (cfr. section 4(a)(6) del Securities Act del 1933) per le offerte di securities (primariamente equity ma per interpretazione della SEC parrebbe anche debito117) di emerging companies (quindi solo società
rule 506 della Regulation D come modificata dalla SEC a settembre 2013. Cfr. Manbeck e Hu, The Regulation, cit., p. 7. 112 15 U.S.C. § 77b(a)(4): «The term “issuer” means every person who issues or proposes to issue any security; except that with respect to certificates of deposit, votingtrust certificates, or collateral-trust certificates, or with respect to certificates of interest or shares in an unincorporated investment trust not having a board of directors (or persons performing similar functions) or of the fixed, restricted management, or unit type, the term “issuer” means the person or persons performing the acts and assuming the duties of depositor or manager pursuant to the provisions of the trust or other agreement or instrument under which such securities are issued […]». 113 15 U.S.C. § 77b(a)(11): «The term ‘underwriter’ means any person who has purchased from an issuer with a view to, or offers or sells for an issuer in connection with, the distribution of any security, or participates or has a direct or indirect participation in any such undertaking, or participates or has a participation in the direct or indirect underwriting of any such undertaking [...]». 114 15 U.S.C. § 78c(a)(4)(A): «The term ‘broker’ means any person engaged in the business of effecting transactions in securities for the account of others». Cfr. l’analisi di Bradford, Crowdfunding, cit., pp. 31 ss. 115 Per una lettura del P2P nell’ottica della securities regulation statunitense e di possibili esenzioni, cfr. Slattery, Square, cit., pp. 252 ss. e, in particolare, 255 (con un calcolo dei costi e mesi per la registrazione); Hanks, Regulating small online offerings in Europe and the US after the JOBS Act, in Capital Markets Law Journal, 2013, 8, 3, p. 261. 116 H.R. 3606, of May 4th 2012, http://thomas.loc.gov/cgi-bin/query/z?c112:H.R.3606. Cfr. anche i commenti di Hazen, Crowdfunding or Fraudfunding? Social Networks and the Securities Laws. Why the Specially Tailored Exemption Must Be Conditioned on Meaningful Disclosure, in N.C. L. Rev., 2012, 90, p. 1735 ; Fink, Protecting, cit.; Martin, The JOBS Act of 2012: Balancing Fundamental Securities Law Principles With the Demands of the Crowd, 2012, http://ssrn.com/abstract=2040953. 117 https://www.sec.gov/rules/proposed/2013/33-9470.pdf (consultato il 13 ottobre
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– non persone fisiche – e solo “emergenti”) fino a $ 1 milione (o $ 2 milioni in caso di bilanci certificati) nell’arco di dodici mesi, in presenza di certe condizioni quali l’uso di broker/dealer o, per l’appunto, portali internet autorizzati, oltre a obblighi di trasparenza e comunicazione (in merito all’emittente – la sua attività, struttura proprietaria, capitale, esponenti aziendali, business plan, situazione finanziaria, fattori di rischio – e all’offerta – obiettivo dell’offerta, somma target, scadenza, prezzo, rischi rilevanti per gli investitori – e eventuali informazioni aggiuntive richieste dalla SEC), due diligence ed educazione finanziaria dell’investitore118. Il vantaggio per i portali è la velocità e leggerezza della procedura di registrazione presso la SEC pur dovendo d’altra parte subire una restrizione delle attività possibili (ad esempio, divieto di sollecitare investimenti, offrire consulenza, pagare remunerazioni ai dipendenti basate sulle operazioni, detenere o gestire i fondi dei clienti o securities)119. La riforma ha comunque fissato dei tetti massimi annuali agli investimenti degli utenti basati sul reddito annuale e patrimonio degli stessi120. Ad ogni modo, essendo la riforma del JOBS Act limitata alle offerte (forse solo di equity) da parte di società emergenti, la maggior parte dei portali di P2P lending sono ancora sottoposti ad una disciplina gravosa121, finalizzata alla protezione dell’investitore e concentrata sugli strumenti della trasparenza e dell’informazione. Altri profili, quali quelli di stabilità o di protezione del consumatore-debitore122, passano perciò in secondo pia-
2014). 118
Il broker o portale deve verificare il rispetto della normative anche da parte della società che riceve il finanziamento, i suoi esponenti aziendali ed azionisti. Infine, devono verificare l’effettivo finanziamento una volta che la somma target sia stata raggiunta e proteggere le informazioni personali degli investitori. 119 Proprio a causa di tali restrizioni (in quanto a servizi offerti e prodotti finanziari oltre che a remunerazioni) Darke (Darke, To Be or Not To Be a Crowdfunding Portal: Why Funding Portals Will Become Broker-Dealers, in Hastings Bus. L.J. 2014, 10, p. 183) ritiene che i portali opteranno per lo status di broker/dealer. 120 Si stabilisce che quando il reddito annuo o patrimonio sia inferiore a $ 100.000, gli investitori non possano investire più della somma maggiore tra $2,000 e 5% del loro reddito annuale. Altrimenti, non possono investire più della somma maggiore tra $100.000 e il 10% del loro reddito annuale. 121 Si calcola che i costi per la piattaforma e per compliance per $ 100.000 varino tra 12,9% e 39% di quanto raccolto: Neiss, It might cost you $39K to crowdfund $100K under the SEC’s new rules, 2 gennaio 2014, http://venturebeat.com/2014/01/02/it-mightcost-you-39k-to-crowdfund-100k-under-the-secs-new-rules/. 122 In linea di principio, sarebbero applicabili alle piattaforme, come servicer delle banche che emettono le notes, svariate normative a protezione del richiedente il prestito
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no, nonostante la presenza di alcune proposte che vorrebbero riconoscere la competenza del Consumer Fiancial Protection Bureau con un conseguente risparmio di costi per il settore, di maggior flessibilità e quindi di miglior risposta ai cambiamenti e innovazione, oltre che di maggior considerazione degli interessi anche dei consumatori richiedenti il prestito123. c. UK: dalla liberalizzazione alla protezione del consumatore in senso pieno. Il Regno Unito è stato caratterizzato per anni da una grande liberalizzazione nel settore del credito, permettendo alle piattaforme di P2P lending di crescere esponenzialmente ai livelli sopra menzionati e conquistarsi il titolo di World’s Crowdfunding capital124. La facilitazione di prestiti tra privati o tra privati e imprese non richiedeva infatti alcun tipo di autorizzazione di per sé né l’applicazione di alcuna disciplina (nemmeno quella di protezione del consumatore), per cui le piattaforme ricorrevano eventualmente alla licenza come debt-administrator e debtcollector per offrire agli utenti il servizio ausiliario di gestione dei prestiti contratti e di recupero crediti125. Invece, le piattaforme investment-based erano già regolate e sottoposte alla normative in materia di servizi di investimento in quanto “arranging deals in specified investments” (art. 25(1) RAO) o “agreeing to carry on a regulated activity” (art. 64 RAO) o “establishing, operating or winding up an unregulated collective investment scheme” (art. 51(1)(a) RAO). Tuttavia, il regolatore britannico ha recentemente deciso di cambiare rotta, forse spinto dalla crescita esponenziale del settore nel paese. L’obiettivo è di proteggere il consumatore che venga in contatto con piattaforme o altri soggetti “operating an electronic system in relation to lending” (cioè che usino sistemi elettronici, anche diversi da internet)
(da discriminazione, pratiche di recupero credito o promozionali scorrette): Truth in Lending Act, Equal Credit Opportunity Act, Fair Credit Reporting Act, Electronic Fund Transfer Act, Bank Secrecy Act, Fair Debt Collection Practices Act). Cfr. G.A.O. Person-toPerson, cit., pp. 32 ss.; Chaffee e Rapp, Regulating, cit., pp. 508 ss. 123 Cfr. Slattery, Square, cit., pp. 253 e 262 ss. Il recente rapporto G.A.O. non ha preso posizione al riguardo: G.A.O., Person-to-Person, cit. 124 Hesse, London is now the World’s Crowdfunding Capital, 15 agosto 2014, http:// www.forbes.com/sites/jasonhesse/2014/08/15/forget-nyc-or-san-francisco-london-is-theworlds-crowdfunding-capital/ (last accessed 13 Oct. 2014). 125 Reid e Black, The future for peer-to-peer (P2P) lending: the proposed regulatory framework for lending platforms, in Journal of International Banking and Financial Law 2014, 29, 1, p. 37.
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per facilitare il prestito da parte di persone fisiche e fornenti vari servizi che permettano ai privati di prestare denaro (ad esempio, trovare i richiedenti, verificare il merito creditizio di questi, gestire le procedure di restituzione e provvedere al recupero crediti)126. Il primo passo proposto dalla neo-creata Financial Conduct Authority (FCA) è consistito nel proteggere i consumatori-richiedenti (eventualmente bisognosi di denaro ed inesperti), estendendo gli obblighi contenuti nella disciplina sul credito ai consumatori alle piattaforme: in conseguenza, le piattaforme devono ora (in alcuni casi da aprile 2014, in altri da luglio o ottobre 2014) fornire in fase precontrattuale spiegazioni adeguate sulle caratteristiche principali del contratto di mutuo, verificare il merito creditizio dei richiedenti, rispettare la normativa in materia di offerte finanziarie, prevedere il diritto di recesso di pentimento entro quattordici giorni, informare i richiedenti in caso di ritardo o inadempimento, indirizzare questi a fonti di consulenza libera e imparziale e fornire particolari avvertimenti in caso di ipoteca sulla casa o simili. Questa disciplina invece non si applica in caso di richiedenti diversi da persone fisiche o piccole imprese127. In secondo luogo, la FCA ha mirato a proteggere i consumatori-investitori (cioè quelli che prestano denaro)128, creando una nuova classe di regulated activity, caratterizzata sempre dal gestire un sistema elettronico in relazione all’erogazione di prestiti, e soggetta ad una serie di norme miranti a contenere molti dei rischi sopra esposti. Conseguentemente, gli strumenti impiegati sono vari: prima di tutto troviamo misure incentrate sulla trasparenza ma senza imporre informazioni specifiche da rendere pubbliche o forme particolari a tal fine, in considerazioni
Cfr. Reid e Patient, Crowdfunding: regulating peer-to-peer and peer-to-business lending, 27 marzo 2014, http://uk.practicallaw.com/9-561-9327. 127 Cfr. FCA, Detailed proposals for the FCA regime for consumer credit Including feedback to FSA CP13/7 and the policy statement on high-level rules that we consulted on in FSA CP13/7, Consultation Paper CP13/10, ottobre 2013, http://fca.org.uk/static/ documents/consultation-papers/cp13-10.pdf; FCA, Detailed rules for the FCA regime for consumer credit. Including feedback on FCA QCP 13/18 and ‘made rules’, Policy statement PS14/3, febbraio 2014, http://www.fca.org.uk/static/documents/policystatements/ps14-03.pdf. 128 FCA, The FCA’s Regulatory Approach to Crowdfunding (and similar activities), Consultation Paper CP13/13, 2013, http://www.fca.org.uk/static/documents/consultationpapers/cp13-13.pdf; FCA, The FCA’s regulatory approach to crowdfunding over the internet and the sale of non-readily realisable securities by other media – Feedback to CP13/13 and final rules, Policy Statement PS14/14, 2014, http://www.fca.org.uk/yourfca/documents/policy-statements/ps14-04. 126
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dei diversi modelli operanti. Si richiede infatti alle piattaforme di fornire ai clienti, tenendo conto dei rischi e del tipo di investimento oltre che delle esigenze degli investitori, informazioni appropriate, rilevanti e utili ad una scelta informata, in maniera chiara, corretta e non ingannevole, senza sommergere gli investitori con eccessivi dettagli. Tuttavia, la FCA ha affermato di aspettarsi tra queste, informazioni attinenti alla piattaforma e all’investimento simili a quanto richiesto dalle norme sulle imprese di investimento – Conduct of Business Sourcebook o COBS applicabile alle imprese di investimento – (ad esempio, la spiegazione del proprio modello, la performance storica e attuale con avvertimento che la performance storica potrebbe non concretizzarsi nel futuro, i criteri per individuare quando un prestito è in default o ritardo, spese e costi, due diligence, politica dei conflitti di interesse, garanzie, procedure in caso di default, exit strategies, ecc.). Inoltre, tali comunicazioni e pubblicità devono avvenire secondo correttezza, ad esempio, con spiegazione dei rischi dove vengono presentati i benefici e confronti con i rendimenti dei depositi che evidenzino anche i rischi aggiuntivi. Tuttavia, sono previste anche altre misure più pervasive, sempre mutuate dal settore della protezione dei consumatori, quali il diritto dei clienti di cancellare la registrazione del portale entro quattordici giorni quando non sia disponibile un mercato secondario e quindi vi sia scarsa liquidità (cfr. Distance Marketing Directive129), il diritto di presentare reclamo e rivolgersi ad un ombudsman. Inoltre, le piattaforme hanno l’obbligo di predisporre piani di risoluzione e back-up plans che specifichino la sorte dei prestiti e del recupero crediti in caso di fallimento della piattaforma. Infine, sono previsti anche requisiti prudenziali minimi (capitale nell’ammontare maggiore tra una certa percentuale dei prestiti in dipendenza della dimensione degli affari e la somma fissa di £ 20.000 – per un periodo transitorio – o £50.000 – a regime –), misure a protezione del denaro dei clienti mutuate dal Client Assets Sourcebook (conti clienti separati, contabilità separata, denaro depositato presso una banca a nome dei clienti, ecc.) e comunicazioni periodiche alla FCA (su situazione finanziaria, requisiti prudenziali, cambiamenti significativi nel valore dei prestiti in portafoglio, denaro dei clienti, reclami, prestiti nell’ultimo trimestre).
129
Cfr. art. 6.2 della direttiva n. 2002/65 concerning the distance marketing of consumer financial services: «the right of withdrawal shall not apply to: (a) financial services whose price depends on fluctuations in the financial market outside the suppliers control, which may occur during the withdrawal period […]».
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Le piattaforme investment-based, identificate come svolgenti promozione e vendita di “non-readily realisable equity and debt securities” e caratterizzate da tassi di default più elevati, rischi maggiori dovuti al finanziamenti di start-up e maturità più lunghe, ricevono una disciplina più severa essendo l’accesso alle stesse limitato (come per gli investimenti collettivi non regolati - UCIS) agli investitori professionali, High Net Worth Individuals, investitori sofisticati ma anche investitori retail che ricevano una consulenza in materia di investimenti da un soggetto regolamentato o passino un test di “appropriatezza” e certifichino di non investire più del 10% del loro net investible portfolio in azioni o titoli di debito non quotati (cfr. anche § 5). In ogni caso, le piattaforme potranno essere soggette ad ulteriori discipline, a seconda del modello prescelto e concreta operatività (ad esempio, normativa UCIS in caso di schemi di investimento collettivo)130. In conclusione, non sono stati ritenuti sufficienti i soli strumenti di trasparenza, ma sono stati introdotti anche obblighi ulteriori di business conduct, conformazione del contratto (recesso di pentimento) e, benché limitatamente, requisiti prudenziali. La recente riforma ha quindi avvicinato la disciplina delle piattaforme di P2P lending, da un lato, alla normativa sul credito al consumo e, dall’altro, a quello delle imprese di investimento, pur riservando norme più restrittive per le piattaforme investment-based. Tali scelte potrebbero riflettere, da un lato, una certa preoccupazione per la crescita esplosiva di questo settore, in concorrenza con il settore tradizionale e, dall’altro, la volontà di non soffocarne l’ulteriore sviluppo.
5. Breve parentesi sull’investment-based crowdfunding. Si è visto che la molteplicità di modelli di piattaforme ha fatto sì che si siano diffusi anche business models in cui gli utenti investono esplicitamente in azioni o obbligazioni o altri titoli (strumenti finanziari) di società attraverso un portale internet. In questi casi è indubbia l’applicazione della disciplina in materia di offerta al pubblico di prodotti finanziari e di servizi di investimento, essendo certa la qualificazione di strumenti finanziari dei prodotti offerti ed essendo sussumibile l’attività dei portali in uno dei servizi di investimento (collocamento, consulenza,
130
Cfr. Reid e Black, The future, cit.
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ricezione e trasmissione ordini, ecc.). Tuttavia, Italia, Francia e Regno Unito (oltre, si è già visto, USA) hanno semplificato recentemente la disciplina in questione per non frenare eccessivamente lo sviluppo del settore ma con modalità ed intensità diverse. In particolare, in Italia, la riforma sull’equity crowdfunding (cfr. artt. 50-quinquies e 100-ter t.u.f. e art. 34 Regolamento emittenti e Delibera Consob n. 18592/2013), da un lato, esenta dalla disciplina sulle offerte di prodotti finanziari e prospetto (limitandosi per la verità a ribadire l’esenzione della Direttiva Prospetti per offerte entro i € 5 milioni) e dell’offerta a distanza (art. 32 t.u.f.) e, dall’altro, consente giuridicamente investimenti in capitale di rischio in start-up innovative non quotate (e solo queste) di ammontare inferiore a € 5 milioni (altrimenti costituenti offerta al pubblico di prodotti finanziari ai sensi delle Direttiva Prospetti) effettuati dai privati attraverso siti web e per mezzo non solo di banche e SIM (gestori “di diritto”) ma anche di nuovi soggetti specificamente autorizzati (“portale per la raccolta di capitali per le start-up innovative”131) dalla Consob (attraverso una procedura semplice ed agile) (altrimenti tale attività sarebbe rimasta riservata a banche e SIM)132. Ad ogni modo, i portali in questione, pur essendo
131
Cfr. il nuovo co. 5-novies dell’art. 1 t.u.f. come modificato dal “decreto crescita” nel quale «si intende una piattaforma on line che abbia come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitale di rischio da parte delle start-up innovative, comprese le startup a vocazione sociale». 132 Sulla disciplina dell’equity crowdfunding in Italia, cfr. AA.VV., Aspetti giuridici del crowdfunding, Atti del convegno Crowdfuture 2013, disponibile su slideshare; G. Ferrarini, I costi, 2013, cit.; Id., I costi dell’informazione societaria per le PMI: mercati alternativi, crowdfunding e mercati privati, in Società, banche e crisi d’impresa, a cura di M. Campobasso, Cariello, Di Cataldo, Guerrera e Sciarrone Alibrandi, 2014, parte III, sez. I, cap. 2, pp. 2089 ss.; Vitali, Equity crowdfunding: la nuova frontiera della raccolta di capitali di rischio, in Riv. soc., 2-3, 371, 2014; Manzi, Il fenomeno del crowdfunding e del social lending: caratteristiche operative e profili contrattuali, in I contratti dei risparmiatori, a cura di Capriglione, Milano, 2013; Troisi, “Crowdfunding” e mercato creditizio: profili regolamentari, in Contr. e impr., 2014, 2, p. 519; Pinto, L’”equity based crowdfunding” in Italia al di fuori delle fattispecie regolate dal “Decreto Crescita, in Le società, 2013, 7, p. 818; Bollettinari, Il “crowdfunding”: la raccolta del capitale tramite piattaforme on-line nella prassi e nella recente legislazione - Crowdfunding: An Examination of the Raising of Capital through Online Platforms both in Practice and Recent Legislation, in Il nuovo dir. soc., 2013, 2, p. 9; Fregonara, Il crowdfunding: un nuovo strumento di finanziamento per le start up innovative, V Convegno annuale dell’Associazione “Orizzonti del diritto commerciale”, Roma, 21-22 febbraio 2014, http:// www.rivistaodc.eu/media/34155/fregonara_crowdfunding_def.pdf; Laudonio, La folla e l’impresa: prime riflessioni sul crowfunding, V Convegno annuale dell’Associazione “Orizzonti del diritto commerciale”, Roma, 21-22 febbraio 2014, http://www.rivistaodc.
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esentati dalla disciplina MiFID (cfr. la possibilità di esenzione ex art. 3 Direttiva MiFID) e di promozione e collocamento a distanza, sono limitati in quanto ad attività e poteri: una banca depositaria dovrà detenere il denaro raccolto (art. 50-quinquies133) ed è loro preclusa l’attività di con-
eu/media/34208/laudonio_-_la_folla_e_l_impresa_rivista_odc.pdf. 133 Art. 50-quinquies t.u.f.: «Gestione di portali per la raccolta di capitali per start-up innovative - 1. È gestore di portali il soggetto che esercita professionalmente il servizio di gestione di portali per la raccolta di capitali per le start-up innovative ed è iscritto nel registro di cui al comma 2. - 2. L’attività di gestione di portali per la raccolta di capitali per le start-up innovative è riservata alle imprese di investimento e alle banche autorizzate ai relativi servizi di investimento nonché ai soggetti iscritti in un apposito registro tenuto dalla Consob, a condizione che questi ultimi trasmettano gli ordini riguardanti la sottoscrizione e la compravendita di strumenti finanziari rappresentativi di capitale esclusivamente a banche e imprese di investimento. Ai soggetti iscritti in tale registro non si applicano le disposizioni della parte II, titolo II, capo II e dell’articolo 32. - 3. L’iscrizione nel registro di cui al comma 2 è subordinata al ricorrere dei seguenti requisiti: a) forma di società per azioni, di società in accomandita per azioni, di società a responsabilità limitata o di società cooperativa; b) sede legale e amministrativa o, per i soggetti comunitari, stabile organizzazione nel territorio della Repubblica; c) oggetto sociale conforme con quanto previsto dal comma 1; d) possesso da parte di coloro che detengono il controllo e dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo dei requisiti di onorabilità stabiliti dalla Consob; e) possesso da parte dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo, di requisiti di professionalità stabiliti dalla Consob. - 4. I soggetti iscritti nel registro di cui al comma 2 non possono detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza di terzi. - 5. La Consob determina, con regolamento, i principi e i criteri relativi: a) alla formazione del registro e alle relative forme di pubblicità; b) alle eventuali ulteriori condizioni per l’iscrizione nel registro, alle cause di sospensione, radiazione e riammissione e alle misure applicabili nei confronti degli iscritti nel registro; c) alle eventuali ulteriori cause di incompatibilità; d) alle regole di condotta che i gestori di portali devono rispettare nel rapporto con gli investitori, prevedendo un regime semplificato per i clienti professionali. - 6. La Consob esercita la vigilanza sui gestori di portali per verificare l’osservanza delle disposizioni di cui al presente articolo e della relativa disciplina di attuazione. A questo fine la Consob può chiedere la comunicazione di dati e di notizie e la trasmissione di atti e di documenti, fissando i relativi termini, nonché effettuare ispezioni. - 7. I gestori di portali che violano le norme del presente articolo o le disposizioni emanate dalla Consob in forza di esso, sono puniti, in base alla gravità della violazione e tenuto conto dell’eventuale recidiva, con una sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquecento a euro venticinquemila. Per i soggetti iscritti nel registro di cui al comma 2, può altresì essere disposta la sospensione da uno a quattro mesi o la radiazione dal registro. Si applicano i commi 2 e 3 dell’articolo 196. Resta fermo quanto previsto dalle disposizioni della parte II, titolo IV, capo I, applicabili alle imprese di investimento, alle banche, alle SGR e alle società di gestione armonizzate». È stato inoltre aggiunto l’art. 100-ter t.u.f. «Offerte attraverso portali per la raccolta di capitali. - 1. Le offerte al pubblico condotte esclusivamente attraverso uno o più portali
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sulenza; inoltre, i portali dovranno comunque trasmettere a banche ed imprese di investimento gli ordini di sottoscrizione e compravendita di strumenti finanziari (cfr. condizioni per esenzioni da disciplina MiFID ex art. 3 Direttiva MiFID previgente134) le quali entreranno in rapporto contrattuale con gli investitori ed effettueranno la profilatura dei clienti e test di appropriatezza (salvo che gli ordini complessivi non superino annualmente € 1.000 per le persone fisiche e € 10.000 per le persone giuridiche e, per singolo investimento, € 500 per le persone fisiche e € 5.000 per le persone giuridiche:). Infine i portali dovranno garantire una parziale
per la raccolta di capitali possono avere ad oggetto soltanto la sottoscrizione di strumenti finanziari emessi dalle start-up innovative e devono avere un corrispettivo totale inferiore a quello determinato dalla Consob ai sensi dell’articolo 100, comma 1, lettera c). - 2. La Consob determina la disciplina applicabile alle offerte di cui al comma precedente, al fine di assicurare la sottoscrizione da parte di investitori professionali o particolari categorie di investitori dalla stessa individuate di una quota degli strumenti finanziari offerti, quando l’offerta non sia riservata esclusivamente a clienti professionali, e di tutelare gli investitori diversi dai clienti professionali nel caso in cui i soci di controllo della start-up innovativa cedano le proprie partecipazioni a terzi successivamente all’offerta». 134 Articolo 3 Direttiva MiFID 1: «Esenzioni facoltative: 1. Gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare la presente direttiva alle persone rispetto alle quali essi sono lo Stato membro d’origine che: a) non sono autorizzate a detenere fondi o titoli appartenenti ai clienti e che per questo motivo non possono mai trovarsi in situazione di debito con i loro clienti, e b) non sono autorizzate a prestare servizi di investimento, tranne la ricezione e la trasmissione di ordini in valori mobiliari e quote di organismi d’investimento collettivo e l’attività di consulenza in materia di investimenti relativa a tali strumenti finanziari, e c) nell’ambito della prestazione di tali servizi sono autorizzate a trasmettere ordini soltanto a: i) imprese di investimento autorizzate ai sensi della presente direttiva, ii) enti creditizi autorizzati ai sensi della direttiva 2000/12/CE, iii) succursali di imprese di investimento o di enti creditizi che sono autorizzati in un paese terzo e che sono tenuti ad ottemperare e ottemperano a norme prudenziali considerate dalle autorità competenti almeno altrettanto rigorose quanto quelle stabilite nella presente direttiva, nella direttiva 2000/12/ CE o nella direttiva 93/6/CEE, iv) organismi d’investimento collettivo autorizzati in virtù della legislazione di uno Stato membro a vendere quote al pubblico, nonché ai dirigenti di siffatti organismi, v) società di investimento a capitale fisso, quali definite all’articolo 15, paragrafo 4 della seconda direttiva 77/91/CEE del Consiglio, del 13 dicembre 1976, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società di cui all’articolo 58, secondo comma, del Trattato, per tutelare gli interessi dei soci e dei terzi per quanto riguarda la costituzione della società per azioni, nonché la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa, i cui titoli sono quotati o negoziati in un mercato regolamentato in uno Stato membro, a condizione che le attività di tali persone siano regolamentate a livello nazionale. 2. Le persone escluse dall’ambito d’applicazione della presente direttiva a norma del paragrafo 1 non godono delle libertà di prestare servizi e/o di effettuare attività di investimento o di stabilire succursali previste, rispettivamente, dalle disposizioni dell’articolo 31 e dell’articolo 32».
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sottoscrizione (5%) anche da parte di investitori professionali, fondazioni o incubatori (per “rassicurare” i retail sulla validità dell’offerta, ma ora condizione solo di perfezionamento della stessa). Il regolamento di attuazione della Consob (delibera n. 18592 del 26 giugno 2013) introduce quindi regole ad hoc di registrazione, trasparenza (con relativi obblighi organizzativi: cfr. art. 18 regol. Consob) e condotta per i portali simili a quelli esistenti per le imprese di investimento ma semplificate (v. in materia di conflitti di interesse), specialmente con riferimento ai casi di clientela professionale (v. infra in fatto di obblighi informativi). Concentrando la nostra attenzione sugli obblighi informativi, l’art. 13 del Regolamento Consob impone alle piattaforme di rendere disponibili agli investitori in maniera dettagliata, chiara, corretta, non fuorviante e senza omissioni le informazioni trasmesse dall’emittente (il quale è l’unico responsabile della veridicità e completezza delle informazioni fornite: cfr. allegato 3 regol. Consob), quelle sull’offerta, sugli strumenti finanziari e sui rischi per scelte consapevoli e di mantenerle aggiornate, sottolineando l’assenza di approvazione da parte della Consob: cfr. allegato 3). In aggiunta, il gestore deve pubblicare in forma sintetica e comprensibile informazioni sul gestore stesso e sulla sua attività (anche le modalità di selezione delle offerte, costi, misure per ridurre rischi di frodi, gestire i conflitti di interesse e reclami, dati su offerte e esiti, la normativa applicabile e il sito di investor education della Consob, eventuali sanzioni, ecc.: art. 14 regol. Consob), sull’investimento in equity di start-up innovative (rischi di perdita anche totale di capitale, illiquidità, divieto di distribuzione utili, trattamento fiscale, deroghe al diritto societario, diritto di recesso/tag along in caso di investitore retail e cambio di controllo e altri diritti di exit: art. 15 e all. 3 regol. Consob) e sulle singole offerte (le informazioni fornite dall’emittente, dati su banche o SIM che curano il perfezionamento, diritto di revoca e modalità del relativo rimborso, sottoscrizione di investitori professionali, costi, modalità di comunicazione sull’andamento dell’offerta, eventuali conflitti di interesse e normativa applicabile, eventuali servizi del portale in connessione all’offerta: art. 16 e all. 3 regol. Consob). Cautele aggiuntive sono predisposte per gli investitori retail (non professionali) in quanto il gestore deve richiamare l’attenzione degli stessi sulla necessità di proporzionare gli investimenti alle proprie disponibilità economiche, fornire informazioni sempre coerenti con quanto pubblicato sul portale, astenersi dal formulare consigli su offerte specifiche (art. 13, co. 3, regol. Consob), riconoscere il diritto di recesso di pentimento di questi entro sette giorni (art. 13, co. 5, regol. Consob) e di revoca in caso di sopravvenienza di un fatto nuovo o errore materiale tra i momenti di adesione e di chiu-
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sura offerta (art. 25, co. 2, regol. Consob) e permettere l’accesso alla sezione del portale di adesione alle singole offerte solo agli investitori che abbiamo preso visione del materiale di investor education, risposto adeguatamente ad un questionario per verificare la comprensione delle caratteristiche e rischi di tali investimenti e dichiarato di essere in grado di sostenere economicamente l’eventuale perdita: art. 15, co. 2). È poi prevista una comunicazione periodica alla Consob avente ad oggetto la relazione annuale su, tra le altre cose, attività, strutture, operatività del portale e reclami (art. 21 regol. Consob). In conseguenza, la riforma introdotta nell’ordinamento italiano si limita di fatto a riconoscere la possibilità per i portali di effettuare i servizi di raccolta ordini e collocamento a distanza (altrimenti attività riservate a banche e SIM) senza poi riconoscere grandi facilitazioni o riduzione di costi, prevedendo obblighi di registrazione e condotta simili a quelli delle imprese di investimento (come sembra ora richiedere MiFID II135), oltre alla necessaria conclusione di un contratto degli utenti con banche e SIM136. In Francia, invece, le piattaforme possono optare per una nuova figura di consulenti finanziari (conseillers en investments partecipatifs - CIP) sottoposti a requisiti molto più leggeri (nel rispetto dell’esenzione riconosciuta dall’art. 3 della Direttiva MiFID previgente ma perciò esclusi
135 Cfr. art. 3, co. 2 Direttiva MiFID 2: «I regimi degli Stati membri prevedono per le persone di cui al paragrafo 1 requisiti almeno analoghi a quelli stabiliti dalla presente direttiva per quanto riguarda: a) le condizioni e procedure di autorizzazione e di vigilanza continua quali stabilite all’articolo 5, paragrafi 1 e 3, e agli articoli da 7 a 10, 21, 22 e 23 e i corrispondenti atti delegati adottati dalla Commissione conformemente all’articolo 89; b) norme di comportamento quali stabilite all’articolo 24, paragrafi 1, 3, 4, 5, 7 e 10, e all’articolo 25, paragrafi 2, 5 e 6, e, qualora il regime nazionale consenta a tali persone di nominare agenti collegati, all’articolo 29, e le relative misure di esecuzione, c) i requisiti organizzativi stabiliti dall’articolo 16, paragrafo 3, primo, sesto e settimo comma, dall’articolo 16, paragrafo 6 e dall’articolo 16, paragrafo 7 e i corrispondenti atti delegati adottati dalla Commissione conformemente all’articolo 89. Gli Stati membri stabiliscono che le persone escluse dall’ applicazione della presente direttiva ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo devono essere coperte da un sistema di indennizzo degli investitori riconosciuto in conformità della direttiva 97/9/CE. Gli Stati membri possono autorizzare le imprese di investimento a non essere coperte da tale sistema se hanno un’assicurazione di responsabilità professionale che, considerate le dimensioni, il profilo di rischio e la formagiuridica delle persone escluse a norma del paragrafo 1 del presente articolo, garantisca una protezione equivalente alla clientela […]». 136 Cfr. Enriques, La disciplina italiana uccide il crowdfunding nella culla?, in Aspetti giuridici del crowdfunding, cit.
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dal passaporto unico) in termini prudenziali (mancando un requisito di adeguatezza patrimoniale ma essendo richieste solo risorse adeguate), di trasparenza, di due diligence (e.g. obbligo di verificare e rendere pubbliche le richieste di prestito e sottoporre a test di adeguatezza gli investitori per valutare la propensione al rischio, l’adeguatezza dell’investimento e saggiare la comprensione dei rischi: cfr. art. L547-9), in materia di conflitti di interesse (se gli emittenti pagano una commissione) e reclami ma con forti limitazioni in quanto ad attività (operazioni contenute sotto il limite di €1 milione, accesso alla descrizione dettagliata dei progetti limitato agli utenti registrati e che abbiamo passato il test di adeguatezza, offerta solo di servizio di consulenza su azioni o strumenti di debito individuati dalle autorità e negoziazione per conto proprio ed esclusivamente per mezzo di internet: cfr. art. L.547-1 ss. e artt. 325-32 ss. del regolamento generale dell’AMF) e a poteri (non possono ricevere o detenere il denaro dei clienti). Con particolare riguardo agli obblighi informativi, i CIP dovranno pubblicare sul sito dati riferiti al proprio nome, statuto, associazione professionale di appartenenza e rischi degli investimenti (art. 325-35 regol. gen. AMF) mentre rendere disponibile al solo cliente registrato137, con un linguaggio non tecnico e prima della sottoscrizione, oltre alle informazioni provenienti dall’emittente ex art. 217-1 regol. gen. AMF138 (ad esempio, descrizione dell’attività e del progetto dell’emittente con bilanci e organigrammi, descrizione esaustiva dei diritti collegati ai titoli, eventuali disposizioni attinenti alla
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Le istruzioni dell’AMF n. 2014-12 (Informations à fournir aux investisseurs par l’émetteur et le conseiller en investissements participatifs ou le prestataire de services d’investissement dans le cadre du financement participatif, http://www.amf-france.org/ Reglementation/Doctrine/Doctrine-list/Doctrine.html?category=III+-+Prestataires&doc Id=workspace%3A%2F%2FSpacesStore%2F1f33fd9a-ddb5-4a22-9ffc-d13c656f5142) indicano come modalità di comunicazione l’invio per posta elettronica di un documento informativo sintetico, anche accessibile sul sito internet in una sezione particolare ed anche in una versione esaustiva/analitica. 138 L’art. 217-1 regol. AMF impone all’emittente (che ne è responsabile per la completezza, veridicità e equilibrio), in assenza di un prospetto, di fornire attraverso la piattaforma le seguenti informazioni, in maniera accessibile solo agli utenti registrati e preliminarmente ad ogni sottoscrizione: descrizione dell’attività e progetto dell’emittente (accompagnati dagli ultimi bilanci, elementi provvisori e organigramma di esponenti e capitale), livello di partecipazione al progetto dei dirigenti, descrizione esaustiva dei diritti collegati ai titoli, eventuali disposizioni dello statuto o patti parasociali attinenti alla liquidità del titolo, le condizioni di consegna delle copie di iscrizione degli investitori nel libro dei soci dell’emittente, descrizione specifica dell’attività e progetto dell’emittente, copia dei rapporti degli organi sociali dell’ultimo esercizio e di quello in corso.
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liquidità del titolo, rapporti degli organi sociali), notizia delle spese a carico, i rischi di perdita totale o parziale di capitale, di illiquidità e di assenza di un valore di mercato, verificando la coerenza, chiarezza e proporzione delle informazioni (art. 325-38139 regol. gen. AMF). Tutte le comunicazioni, comprese quelle pubblicitarie, devono sempre essere precise, chiare, non ingannevoli ed equilibrate (con rinvio ai pertinenti obblighi di condotta delle imprese di investimento: artt. da 314-10 a 314-17 regol. gen. AMF e contenere non solo dati identificativi del CIP ma anche riferimenti chiari ai rischi, specialmente di perdita del capitale e di illiquidità (art. 325-36 regol. gen. AMF). Come per il corrispondente lending-based, la vigilanza spetta ad un’associazione privata (che monitora le associazioni professionali di appartenenza le quali fissano un codice di condotta approvato dall’AMF) ma l’AMF potrà sanzionare direttamente le piattaforme140. Le piattaforme potranno ad ogni modo optare altrimenti per lo status di imprese di investimento (con dotazione patrimoniale € 125.000 se ricevono fondi o titoli dalla clientela e soggetti a regole prudenziali) e così, pur vedendo la propria attività limitata alla consulenza, avere a che fare con ogni tipo di strumenti finanziari, detenere denaro dei clienti e beneficiare del passaporto unico. Nel Regno Unito, la disciplina delle piattaforme investment-based, in considerazione del già menzionato e percepito maggior rischio di queste rispetto a quelle di lending, limita l’accesso alle stesse (v. supra) di modo che solo esperti, abbienti o retail consigliati da professionisti o per somme limitate e proporzionate al reddito e di cui si sia verificata l’appropriatezza dell’investimento possano investirvi, per poi sottoporle comunque a norme, soprattutto con riguardo alla trasparenza (ma anche separazione dei fondi, dotazione patrimoniale, recesso di pentimento, ombudsman), molto simili a quelle lending-based in quanto entrambe ispirate alla disciplina sui servizi di investimento e credito al consumo.
139 L’articolo in questione invece impone al CIP di comunicare al cliente, con un linguaggio non tecnico e prima della sottoscrizione, oltre alle informazioni provenienti dall’emittente ex art. 217-1, notizia delle spese a carico, i rischi di perdita totale o parziale di capitale, di illiquidità e di assenza di un valore di mercato, verificando la coerenza, chiarezza e proporzione delle informazioni. 140 Cfr. AMF e ACPR, L’Autorité, cit.; Lejoux, Crowdfunding, cit.; ordinance no. 2014559 of 30 May 2014; ACPR e AMF, S’informer, cit.
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6. Riflessioni in materia di scelte di regolazione del P2P lending. Discipline alternative, distinti strumenti disponibili e la centralità dello strumento informativo e di trasparenza. Come sopra anticipato (in apertura al § 4), le discipline alternativamente applicabili alle piattaforme di P2P possono avere conseguenze anche molto diverse fra loro sul settore. Ad esempio, l’applicazione della disciplina bancaria alle piattaforme in questione comporterebbe di per sé la sparizione del settore in quanto, da un lato, i pesanti requisiti prudenziali, organizzativi, di governance, ecc. renderebbero economicamente svantaggiosa tale attività e, dall’altro, si re-introdurrebbe un intermediario ufficiale dove lo si voleva escludere, snaturando il P2P e cancellandone i vantaggi e benefici per parti e sistema. Inoltre, la normativa bancaria è tradizionalmente mirata a garantire la sana e prudente gestione di banche e del sistema in generale per assicurare la stabilità e conseguente fiducia. Dal momento che il settore del P2P, si è detto, non ha ancora raggiunto dimensioni tali da assumere rilevanza sistemica, si presenta espressamente come alternativo e distinto dal settore bancario quindi non corre il pericolo di essere confuso, ai fini della fiducia e agli occhi dei depositanti, con le banche, si può ritenere che gli strumenti del diritto bancario non siano ottimali ai nostri fini. La conseguenza per le piattaforme, nei paesi in questo senso “restrittivi” (ad esempio, Italia) è stata quella di rifugiarsi sotto una forma giuridica alternativa pensata per servizi comunque diversi. In Italia, ad esempio, le piattaforme hanno optato per il regime di società finanziaria ex art. 106 t.u.b. (ora in parte assimilabile a quello delle banche) o di istituto di pagamento (soggetti alla vigilanza della Banca d’Italia141 ma con una disciplina molto più leggera142, specialmente con riferimento ai
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Essi sono quindi tenuti a segnalazioni periodiche, a rispettare disposizioni di carattere generale (in materia di adeguatezza patrimoniale, contenimento del rischio, organizzazione amministrativo-contabile, controlli interni, sistemi di remunerazione ed incentivazione), ai poteri di convocazione degli organi sociali, ispezioni e all’amministrazione coatta e liquidazione amministrativa (art. 114-quaterdecies t.u.b.). 142 Gli istituti di pagamento devono essere società di capitali o cooperative, avere un determinato capitale minimo (da €. 20.000 a €. 125.000 a seconda tipo servizio offerto), un programma d’attività, rispettare i requisiti di onorabilità per i detentori di partecipazioni rilevanti bancarie e quelli di onorabilità, indipendenza e professionalità degli esponenti aziendali bancari, garantire una sana e prudente gestione, mantenere un patrimonio destinato se autorizzati anche ad attività diverse dai servizi di pagamento.
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requisiti di adeguatezza patrimoniale e l’assenza di garanzia dei depositi143). Con particolare riferimento a quest’ultima qualificazione, è evidente la forzatura: le piattaforme offrono anche un servizio di pagamento se non si appoggiano ad un altro operatore per i trasferimenti di denaro144 ma questo passa in secondo piano rispetto ai servizi di selezione dei progetti e recupero crediti. Inoltre, la disciplina sugli istituti di pagamento e servizi di pagamento mira sì a proteggere il denaro dei clienti e la continuità dei sistemi di pagamento ma, essendo stata pensata per soggetti che si limitano a spostare denaro da un conto ad un altro su ordine dei clienti, si concentra su obblighi di segregazione dei fondi e
In materia di istituti di pagamento: Santoro, Commento all’art. 114-duodecies TUB, in AA.VV., Testo Unico Bancario. Commentario, Torino, 2003, pp. 931-932; Id., I conti di pagamento degli Istituti di pagamento, in Giur. comm., 2008, 5, p. 855; Id., Gli istituti di pagamento, in Dir. banc., 2009, I, 4, p. 521l; Id., sub art. 114-duodecies, in, La nuova disciplina dei servizi di pagamento, a cura di Mancini, Rispoli Farina, Santoro, Sciarrone Alibrandi e Troiano, Torino, 2011, p. 471. Clarich, L’armonizzazione europea dei servizi di pagamento. L’attuazione della direttiva 2007/64/CE, in AA.VV., Scritti in onore di Francesco Capriglione, Padova, 2010, pp. 459 ss.; Gimigliano e Pironti, L’attuazione della direttiva 2007/64/ce, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno: prime osservazioni sul d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, in Contr. e impr. Eur., 2010, 2, p. 700; M. Porzio, sub art. 114-novies, commi 1 e 2, in La nuova disciplina dei servizi di pagamento, a cura di Mancini, Rispoli Farina, Santoro, Sciarrone Alibrandi e Troiano, cit., pp. 437 ss. 144 Il cui concetto è molto ampio: cfr. elenco all’art. 1, co. 1, lett. b) del d.lgs. n. 11/2010: «1) servizi che permettono di depositare il contante su un conto di pagamento nonché tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento; 2) servizi che permettono prelievi in contante da un conto di pagamento nonché tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento; 3) esecuzione di ordini di pagamento, incluso il trasferimento di fondi, su un conto di pagamento presso il prestatore di servizi di pagamento dell’utilizzatore o presso un altro prestatore di servizi di pagamento: 3.1. esecuzione di addebiti diretti, inclusi addebiti diretti una tantum; 3.2. esecuzione di operazioni di pagamento mediante carte di pagamento o dispositivi analoghi; 3.3. esecuzione di bonifici, inclusi ordini permanenti; 4) Esecuzione di operazioni di pagamento quando i fondi rientrano in una linea di credito accordata ad un utilizzatore di servizi di pagamento: 4.1.esecuzione di addebiti diretti, inclusi addebiti diretti una tantum; 4.2.esecuzione di operazioni di pagamento mediante carte di pagamento o dispositivi analoghi; 4.3.esecuzione di bonifici, inclusi ordini permanenti; 5) emissione e/o acquisizione di strumenti di pagamento; 6) rimessa di denaro; 7) esecuzione di operazioni di pagamento ove il consenso del pagatore ad eseguire l’operazione di pagamento sia dato mediante un dispositivo di telecomunicazione, digitale o informatico e il pagamento sia effettuato all’operatore del sistema o della rete di telecomunicazioni o digitale o informatica che agisce esclusivamente come intermediario tra l’utilizzatore di servizi di pagamento e il fornitore di beni e servizi». Cfr. anche Santoro, I servizi di pagamento, in Ianus, 2012, 6, pp. 7ss. 143
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contabilità, di deposito presso una banca (artt. 114-sexies ss. t.u.b.) e di puntuale esecuzione degli ordini oltre a misure contro operazioni indebite, opportunistici calcoli della valuta (artt. 8 ss. d.lgs. 11/2010) mentre è carente dal punto di vista della trasparenza ed informazione e comunque pensata per servizi di pagamento “classici” in cui il principale interesse dell’utente è la corretta esecuzione di un ordine: in conseguenza la disclosure riguarda l’intermediario, costi, servizio (in particolare, potere di revoca e condizioni per l’esecuzione) e le misure di protezione dall’uso indebito del servizio (artt. 126-bis ss. t.u.b. e sez. VI delle “Disposizioni di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari”) ma nulla ovviamente su funzionamento, controlli, rischi e destinatari del denaro. Peraltro tale struttura non permette il co-finanziamento da parte della piattaforma (per le restrizioni regolamentari alle attività degli IP) che invece potrebbe risultare utile ad alcune piattaforme per trasmettere fiducia collegata alla situazione skin in the game. Invece, risultano opportuni gli obblighi di protezione della sicurezza informatica (contro cyber attacks o sottrazione di credenziali: cfr. artt. 8 ss. d.lgs. 11/2010), tra l’altro potenziati nella proposta di riforma della direttiva sui pagamenti145 (benché questi rappresentino i rischi meno centrali). Peraltro, la normativa italiana riserva i servizi di pagamento ad alcuni soggetti autorizzati ma la direttiva europea n. 2007/64 sembra doversi applicare solo «in relazione alla prestazione di servizi di pagamento a titolo di occupazione principale o di attività commerciale regolare» per cui si potrebbe ritenere che il legislatore italiano sia libero di escludere la normativa sui pagamenti nel caso in cui i servizi di pagamento non costituiscano l’occupazione principale del soggetto ma la questione potrebbe essere controversa perché si rischierebbe di lasciare i portali non regolati146.
145 Cfr. Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on payment services in the Internal Market and amending Directives 2002/65/EC, 2013/36/ EU and 2009/110/EC and repealing Directive 2007/64/EC. 146 In base all’art. 1 co. 2 della direttiva n. 2007/64, la disciplina della direttiva si applica «in relazione alla prestazione di servizi di pagamento a titolo di occupazione principale o di attività commerciale regolare», per cui l’ESMA (ESMA, Opinion on Investment-based crowdfunding, 18 dic. 2014, p. 18, (http://www.esma.europa.eu/system/ files/2014-1378_opinion_on_investment-based_crowdfunding.pdf), a proposito del crowfunding d’investimento, ha interpretato tale articolo come escludente l’applicazione della direttiva alla piattaforme che abbiano come attività principale lo svolgimento di servizi di investimento o in altri casi in cui i servizi di pagamento non costituiscano l’attività principale. Tuttavia, la Direttiva sembrerebbe applicabile anche nel caso in cui i servizi di pagamento costituiscano semplicemente “attività commerciale regolare”
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Un approccio alternativo, invece, consiste, si è visto, nell’inquadrare il fenomeno del P2P lending nell’ambito dei prodotti o strumenti finanziari. La disciplina statunitense in materia di offerta di securities permette un’ampia trasparenza soprattutto con riguardo ai richiedenti e ai rischi (più scarsa invece l’attenzione sulle procedure e rischi delle piattaforme in quanto brokers o underwriters) ma essendo la procedura di disclosure concepita per offerte di grosse società, da un lato, è una procedura piuttosto onerosa e complessa (benché possano trovarsi esenzioni e semplificazioni) e, dall’altro, il prestatore si ritrova a dover identificare nell’ambito di mastodontici prospetti informativi le poche informazioni realmente rilevanti147. Inoltre, risultano quasi completamente ignorati i profili di tutela del consumatore-richiedente (anzi gravato di significativi obblighi di compliance e responsabilità). In ambito europeo, il prodotto sottoscritto dal prestatore ben potrebbe essere qualificato come prodotto finanziario ai sensi della Direttiva Prospetti (n. 2003/71/EC) e la sua offerta (per mezzo di internet e quindi rivolta al pubblico148) dover sottostare alla conseguentemente onerosa
e comunque l’ESMA potrebbe pronunciarsi diversamente in caso di piattaforme non sottoposte alla MiFID e quindi non regolate altrimenti. 147 Cfr. critiche al sistema di disclosure-based regulation negli Stati Uniti in Solaiman, Revisiting Securities Regulation in the Aftermath of the Global Financial Crisis: DisclosurePanacea or Pandora’s Box?, in Journal of World Investment & Trade, 2013, 14, 4, p. 646; S.L. Schwarcz, DisclosurÈs Failure in the Subprime Mortgage Crisis, in Utah Law Review, 2008, 3, p. 1109, in particolare pp. 1115-1117. 148 Anche in presenza di destinatari specificamente individuati a priori (ad esempio, gli utenti registrati di un sito), il numero elevato dei destinatari ed il carattere standardizzato e di massa dell’offerta possono escludere la natura privata dell’offerta: cfr. Trib. Milano, 20 marzo 2006 n. 3575, in Giur. Merito, 2006, 1385 (nota di Sangiovanni). Il numero di iscritti alle piattaforme P2P è del resto particolarmente elevato e comunque superiore al limite indicato dalla Consob di 150: a novembre 2012 i prestatori attivi di Prestiamoci erano 332 (https://www.prestiamoci.it/blog/i-numeri-novembre) mentre i prestatori di Smartika iscritti ed attivi al 28 gennaio 2013 erano 4.666 (http://www.smartika.it/ Web/). Cfr. sul concetto di “pubblico”, Comunicazione Consob n. DIN/1055860 del 19 luglio 2001 e n. DAL/97007063 del 13 agosto 1997 ma anche Comunicazione Consob n. DEM/5017297 del 18 marzo 2005. Cfr. De Poli, L’offerta al pubblico di sottoscrizione e di vendita di prodotti finanziari, in Capriglione, L’ordinamento finanziario italiano, Padova, 2010, pp. 889-890; Fioruzzi, De Nardis e Puppieni, Commento all’art. 94 TUF, in Fratini e Gasparri, a cura di, Il Testo Unico della Finanza, artt. 91-165 septies - tomo II, Torino, 2012, pp. 1060-1061; Nuzzo, Commento all’art. 100 TUF, in Fratini e Gasparri, a cura di, Il Testo Unico della Finanza, artt. 91-165 septies, cit.; Bruno e Rozzi, Dalla sollecitazione all’investimento all’offerta al pubblico di prodotti finanziari, in Giur. Comm., 2008, 2, 276.
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disciplina149. D’altra parte sono spesso le stesse piattaforme a presentare i propri prodotti come “investimento” e a parlare di “rendimento” e di “diversificazione del portafoglio” (cfr. homepage di Prestiamoci). Per prodotto finanziario s’intende infatti qualunque investimento di natura finanziaria, cioè comportante l’impiego di capitali con attesa di rendimento correlata al rischio sottostante150. La Consob ha avuto modo di qualificare come offerta di prodotti finanziari un programma di P2P lending italiano (PrestoBene di Banca Prossima)151. Ad ogni modo, la Direttiva Prospetti ed il t.u.f. permettono tra l’altro di esentare offerte di dimensioni limitate, ad esempio contenute nei limiti dei € 5 milioni nei dodici mesi per prodotto finanziario e per offerente (un’esenzione obbligatoria per la Direttiva riguarda invece le offerte entro i € 100.000) o corrispettivo totale non superiore a € 100.000 (art. 34-ter Regolamento emittenti Consob n. 11971 del 14 maggio 1999) o che si svolgono su mercati regolamentati (205 t.u.f.). Il suddetto limite sicuramente non viene superato (anche per i tetti massimi fissati dalla singole piattaforme) se per offerente intendiamo il richiedente, mentre così potrebbe non essere qualora qualificassimo come offerente la piattaforma, anche se lo
Sulla disciplina in materia di offerta al pubblico di prodotti finanziari, cfr. Miola, Commento all’art. 33, in G.F. Campobasso, diretto da, Testo Unico della Finanza. Commentario, Torino 2002, III, I, pp. 287 ss.; Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, cit., pp. 327 ss.; Costi, Il mercato mobiliare7, Torino, 2010, pp. 49 ss.; Fioruzzi, De Nardis e Puppieni, Commento all’art. 94 TUF, cit., pp. 1058 ss. 150 Cfr. Art. 1, co. 1, lett. u) t.u.f. secondo cui sono prodotti finanziari «gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria»; Comunicazione Consob n. DEM/1027182 del 12 aprile 2001: «si considerano investimenti di natura finanziaria, le proposte di investimento che comportano un impiego di capitale, un’aspettativa di rendimento e un rischio»; Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, cit., pp. 333 ss.; Costi, Il mercato mobiliare, cit., pp. 8 ss.; Fratini, Commento all’art. 1, commi 1 e 2 TUF, in Il Testo Unico della Finanza, a cura di Fratini e Gasparri, Torino, 2012, pp. 20 ss. 151 Cfr. Comunicazione Consob del 10 dicembre 2010 n. 10101143: «Nel caso in esame è evidente che la promozione tramite la piattaforma internet secondo le modalità descritte nel quesito […] ha le richiamate caratteristiche dell’offerta al pubblico. Quanto poi al presupposto che l’offerta al pubblico abbia ad oggetto un prodotto finanziario, non sembra potersi escludere che il contratto di mutuo sottoscritto tra il sostenitore e la ONP sia riconducibile ad un investimento di natura finanziaria. A parte le caratteristiche di standardizzazione del contratto di mutuo - che non vengono meno per la mera possibilità attribuita al sostenitore di scegliere il tasso di rendimento nell’ambito di un range prefissato - nella fattispecie in esame possono agevolmente riscontrarsi sia l’impiego di capitale che l’aspettativa di rendimento e il rischio correlato al progetto alla cui realizzazione si intende contribuire». 149
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sviluppo finora contenuto del settore in Italia mantiene di fatto i livelli di offerta comunque entro i tetti massimi152. La qualifica di offerente della piattaforma potrebbe derivare dallo svolgere un ruolo attivo nel procedimento di selezione, di finanziamento, di promozione, di allocazione del denaro tra progetti e di aggiornamento/relazione periodica ai prestatori. In ogni caso, si ripete, l’applicazione tout court della disciplina in materia di prospetto, non solo comporterebbe per gli operatori e per il settore un aumento considerevole dei costi ma possiamo presumere che risulti anche poco efficace nel proteggere gli investitori/prestatori i quali si troverebbero sommersi da paginate di dati tecnici, abituati invece a dedurre la meritevolezza di un richiedente da varie tipologie di soft information (v. supra § 1 e infra § 6.b) o feed-back di altri utenti. Conseguenze ancora più severe per i P2P deriverebbero dalla qualificazione dei relativi prodotti come strumenti finanziari che, con riferimento ai valori mobiliari (tra cui si annoverano i titoli di debito), si basa sul carattere della negoziabilità153 (oltre che dell’investimento e valore monetario154 che già abbiamo accertato con riferimento ai pro-
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Fino ad ora le cifre complessivamente erogate dai P2P si mantengono agevolmente al di sotto dei €5 milioni: ad esempio, i prestatori di Prestiamoci hanno investito nel 2012 in 138 progetti per un totale di €674.475 (https://www.prestiamoci.it/blog/uno-sguardoal-2012-una-spinta-nel-2013), quelli di Smartika in 399 progetti per un totale di € 2.119.330 (http://blog.smartika.it/2013/01/statistiche-smartika-2012/). 153 In base all’ art. 1, co. 2, t.u.f. per strumenti finanziari s’intendono «a) valori mobiliari; b) strumenti del mercato monetario; c) quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio […]», oltre ai contratti derivati come specificamente indicati nel medesimo articolo. Tale elenco è tassativo ma aggiornabile con regolamento del Ministero dell’economia e delle finanze. Il medesimo articolo, al comma 1-bis, chiarisce poi: «Per “valori mobiliari” si intendono categorie di valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali, quali ad esempio: a) le azioni di società e altri titoli equivalenti ad azioni di società, di partnership o di altri soggetti e certificati di deposito azionario; b) obbligazioni e altri titoli di debito, compresi i certificati di deposito relativi a tali titoli; c) qualsiasi altro titolo normalmente negoziato che permette di acquisire o di vendere i valori mobiliari indicati alle precedenti lettere; d) qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori mobiliari indicati alle precedenti lettere, a valute, a tassi di interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a misure». Sulla nozione di strumento finanziario ed in particolare sulla negoziabilità come aspetto caratterizzante, cfr. Annunziata, La disciplina, cit., pp. 81 ss., in particolare pp. 84-86; Gaffuri, I servizi e le attività di investimento. Disciplina e aspetti operativi, Milano, 2010, pp. 9 ss.; Comunicazioni Consob del 28 gennaio 1999 n. 99006197 e del 16 marzo 1999 n. 99018236. Cfr. anche allegato 1, sezione C e art. 4.1(18) della Direttiva MiFID. 154 Cfr. Castellano, Towards a General Framework for a Common Definition of “Securities”: Financial Markets Regulation in Multilingual Contexts, in Uniform Law
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dotti finanziari) e che comporterebbe l’applicazione della disciplina sui servizi di investimento con riferimento a soggetti autorizzati, requisiti di accesso e prudenziali, regole di comportamento (specialmente obblighi informativi – sia di raccolta di informazioni sul cliente che di comunicazione a questi – ma anche di correttezza, diligenza e professionalità, di adeguatezza o appropriatezza e in materia di conflitti di interesse) ed organizzative (Direttiva MiFID e artt. 18 ss. t.u.f. e Regolamento Consob Intermediari n. 16190 del 29 ottobre 2007). La negoziabilità sussiste in presenza di trasferibilità nel mercato dei capitali e questo non è limitato ai mercati regolamentati155 (la cui sfera sarà comunque ampliata dalla MiFID II - Direttiva n. 2014/173/EU e Regolamento n. 600/2014 - fino a comprendere non solo le borse156, sistemi multilaterali di negoziazione ed internalizzatori sistematici157 ma anche le “organized trading facilities” – OTFS –158, un nuovo mercato per strumenti non-equity da essere negoziati su piattaforme multilaterali159) ma fa riferimento più in generale alla normale o effettiva trasferibilità o idoneità ad essere oggetto di
Review, 2012, 17, 3, p. 449; sul concetto di negoziabilità, cfr. Moloney, How to Protect Investors: Lessons from the EC and the UK, Cambridge, 2010, p. 202; Id., The legacy, cit., p. 156; European Securities Market Expert Group, Financial Instruments – Impact of definitions on the perimeter of FSAP Directives, 4 (2008), http://ec.europa.eu/internal_ market/securities/docs/esme/fin-instruments-050308_en.pdf. 155 Annunziata, La disciplina, cit., p. 85. 156 Art. 4.2 N. 14 Direttiva MiFID: «‘Regulated market’ means a multilateral system operated and/or managed by a market operator, which brings together or facilitates the bringing together of multiple third-party buying and selling interests in financial instruments – in the system and in accordance with its non-discretionary rules – in a way that results in a contract, in respect of the financial instruments admitted to trading under its rules and/or systems, and which is authorised and functions regularly and in accordance with the provisions of Title III». 157 Art. 4.2 N. 9 MiFID: «‘Systematic internaliser’ means an investment firm which, on an organised, frequent and systematic basis, deals on own account by executing client orders outside a regulated market or an MTF». 158 Art. 4.23 Dir. 2014/65/EU (MiFID II): «‘organised trading facility’ or ‘OTF’ means a multilateral system which is not a regulated market or an MTF and in which multiple third-party buying and selling interests in bonds, structured finance products, emission allowances or derivatives are able to interact in the system in a way that results in a contract in accordance with Title II of this Directive». 159 Cfr. Moloney, The legacy, cit., p. 163; European Commission, Markets in Financial Instruments (MiFID): Commissioner Michel Barnier welcomes agreement in trilogue on revised European rules, MEMO 14/15 (14 Jan. 2014); European Commission, Markets in Financial Instruments Directive (MiFID II): Frequently Asked Questions, memo 14/305, (15 aprile 2014).
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transazioni. Per cui, dal momento che, come si è visto, molte piattaforme europee ammettono il trasferimento (anche se limitato all’interno della piattaforma) dei prestiti o quota di questi tra privati, i relativi prodotti potrebbero essere sussunti nella categoria di strumenti finanziari e i servizi offerti dalle piattaforme, di conseguenza, nella classe di servizi di investimento. Infatti, in alcuni casi e a seconda del modello seguito, si potrebbe ritenere che le piattaforme europee offrano ai prestatori/investitori i servizi di collocamento160 (in caso di ruolo più marcato della piattaforma nella promozione dei progetti) o (altrimenti) di sistema multilaterale di negoziazione – SMN161 (ma sembra che riguardi solo il mercato seconda-
160 L’art. 1, co. 5 elenca come servizi di investimento anche «c) sottoscrizione e/o collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente; c-bis) collocamento senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti dell’emittente». In base alle linee guida Assoreti, «Il servizio consiste nell’espletamento da parte dell’intermediario dell’incarico di promuovere e di collocare presso il pubblico strumenti finanziari, prodotti finanziari e servizi di investimento, di norma per conto del soggetto emittente. Esso presuppone, quindi, generalmente, la stipulazione a monte di un contratto di distribuzione di strumenti finanziari o di prodotti finanziari o di servizi di investimento con la società emittente o fornitrice (c.d. società prodotto)» (ricomprendendovi peraltro anche il collocamento di prodotti finanziari diversi dagli strumenti finanziari). La Comunicazione Consob n. DAL/97006042 del 9 luglio 1997, con riferimento al regime previgente, ritiene che il servizio si caratterizzi «per essere un accordo tra l’emittente (o l’offerente) e l’intermediario collocatore, finalizzato all’offerta al pubblico, da parte di quest’ultimo, degli strumenti finanziari emessi, a condizioni di prezzo e (frequentemente) di tempo predeterminate» (per cui la possibilità per il prestatore di scegliere il tasso di interessi potrebbe escludere la configurabilità di tale servizio). In materia di servizio di collocamento, cfr. Comunicazioni Consob n. 97006042 del 9 luglio 1997 e n. 1079230 del 19 ottobre 2001; De Mari e Spada, Orientamenti in tema di intermediari e promotori finanziari, in Foro it., 2002, I, 568; per ulteriori riferimenti bibliografici sulle strutture di collocamento, cfr. Macchiavello, La responsabilità da prospetto degli intermediari finanziari”, in Trattato della Responsabilità contrattuale, a cura di Visintini, Padova, 2009. 161 Cfr. Art. 1, co. 5-octies t.u.f.: «Per “gestione di sistemi multilaterali di negoziazione” si intende la gestione di sistemi multilaterali che consentono l’incontro, al loro interno ed in base a regole non discrezionali, di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti». Tale attività è riservata a banche, imprese di investimento e società di gestione di mercati regolamentati (art. 18, co. 1 e co. 3-bis, t.u.f.). Essi, si è visto, sono esentati dalla disciplina dell’offerta al pubblico di prodotti finanziari ex art. 205 t.u.f. e, appunto, possono essere gestiti anche da società di gestione dei mercati e soggetti (SMN e società di gestione) a discipline più leggere rispetto a quelle di imprese di investimento e banche (fondamentalmente atte a
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rio per la necessità che si incontrino più venditori e più compratosi dello stesso strumento finanziario162) o ricezione e trasmissione di ordini (che però si ritiene generalmente avvenga solo sul mercato secondario)163. In Francia, l’AMF e ACPR hanno ritenuto configurabile non solo i servizi di service de placement non garanti (collocamento senza garanzia: art. D. 321-1 codice monetario e finanziario), di ricezione e trasmissione di ordini164 ma anche il servizio di consulenza (quando selezionano e assegnano un rating ai richiedenti presentando i progetti come “il me-
garantire trasparenza e ordinato svolgimento delle negoziazioni) ma hanno restrizioni in quanto ai possibili utenti abilitati alla negoziazione sul mercato (in quanto a competenza e risorse). Cfr. anche artt. 25 e 61 ss. t.u.f. e artt. 19-20 Regolamento Mercati Consob n. 16191 del 29 ottobre 2007. Sulla disciplina in materia di SMN, cfr. M. Sepe, I mercati regolamentati, L’ordinamento finanziario italiano, a cura di Capriglione, Padova, 2010, pp. 997 ss. e Id., Sistemi multilaterali di negoziazione e internalizzatori sistematici, ibidem, pp. 1046 ss.; Motti, Mercati regolamentati, sistemi multilaterali di negoziazione e internalizzatori sistematici, in L’attuazione della direttiva MiFID in Italia, a cura di D’Apice, Bologna, 2009, pp. 699 ss.; Lupi, Commento all’art. 18 TUF, in Il Testo Unico della Finanza, a cura di Fratini e Gasparri, Torino, 2012, pp. 17-18. 162 Cfr. ESMA, Opinion on Investment-based crowdfunding, cit., p. 18: «A characteristic of MTFs is that they bring together multiple buyers and sellers of a financial instrument. ESMA therefore concludes that in general crowdfunding platforms are not operating MTFs». 163 Il servizio in questione, ai sensi dell’art. 1, co. 5-sexies t.u.f., «comprende la ricezione e la trasmissione di ordini nonché l’attività consistente nel mettere in contatto due o più investitori, rendendo così possibile la conclusione di un’operazione fra loro (mediazione)». In teoria tale servizio può sussistere solo qualora l’intermediario trasmetta gli ordini ad altro intermediario o metta in contatto due investitori (non direttamente emittente e investitore, a differenza del collocatore): cfr. Gaffuri, I servizi e le attività di investimento, cit., p. 22; Maggiolo, Servizi ed attività d’investimento. Prestatori e prestazione, Milano, 2012, p. 250; Annunziata, La disciplina, cit., p. 93. Tuttavia, le linee guida Assoreti precisano solo: «A differenza del servizio di collocamento, il servizio di ricezione e trasmissione di ordini presuppone che l’intermediario non abbia a monte un incarico distributivo; esso, pertanto, prescinde dall’attività promozionale dell’intermediario». Cfr. anche Comunicazione Consob n. BOR/RM/94009777 del 26 ottobre 1994: «l’attività di collocamento e distribuzione di valori mobiliari di cui alla lettera b) del menzionato art. 1, co. 1, t.u.f. consiste […] nell’offrire in sottoscrizione o in vendita valori mobiliari in base ad un impegno assunto nei confronti dell’emittente e del venditore, […] [mentre in] quella di raccolta di ordini (contemplata alla lettera d)), […] l’intermediario autorizzato si limita a ricevere e trasmettere gli ordini della clientela, senza svolgere alcuna attività di promozione o di offerta dei relativi valori mobiliari e senza essere incaricato dall’emittente del collocamento degli stessi». 164 Cfr. AMF e ACP, Crowdfunding: a guide for funding platforms and project owners, cit., pp. 8 ss.
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glio per te”)165. In alcuni casi (ad esempio, di investimento in un trust/ fondo che finanzia progetti) potrebbe invece trovare applicazione la disciplina in materia di gestione collettiva del risparmio (per molti aspetti assimilabile a quella sui servizi di investimento: cfr. Direttiva UCITS – Undertakings for the Collective Investment in Transferable Securities – n. 2009/65/CE166) o dei fondi alternativi (cfr. Direttiva AIFM – Alternative Investment Fund Managers Directive n. 2011/61/EU167) e Regolamento EuVECA – European Venture Capital Funds Regulation n. 345/2013 e European Social Entrepreneurship Funds Regulation n. 346/2013168. Le sopra citate riforme in materia di investment-based crowdfunding (cfr. supra § 5), ad ogni modo, attestano la frequentemente sentita esigenza di alleggerire o comunque adeguare la normativa in materia di offerta al pubblico e servizi di investimento in caso di piattaforme di crowdfunding, anche se con modalità ed in misura diverse. Infine, è possibile un approccio più pragmatico e misto, consistente nell’assoggettare le piattaforme ad una disciplina ad hoc, rispondente alle diverse esigenze di tutela emerse e facente ricorso di conseguenza a vari strumenti. Ad esempio, le recenti riforme in materia di lendingbased crowdfunding nel Regno Unito e Francia, mirano a tutelare i consumatori in generale, specialmente gli investitori/prestatori ma anche i
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Cfr. chiarimento AMF n. 2012/08 e ACP n. 2012-P-02. In Italia sarebbe non scontata la qualifica di consulenza in quanto questa deve essere personalizzata (nel senso di tenere in conto le esigenze del singolo cliente e sono normalmente escluse quelle diffuse con canali di distribuzione di massa) e determinata (riferita ad uno specifico strumento finanziario): cfr. Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare6, cit., pp. 99-100. 166 Art. 1, co. 1, lett. n, t.u.f.: «”gestione collettiva del risparmio”: il servizio che si realizza attraverso: 1) la promozione, istituzione e organizzazione di fondi comuni d’investimento e l’amministrazione dei rapporti con i partecipanti; 2) la gestione del patrimonio di Oicr, di propria o altrui istituzione, mediante l’investimento avente ad oggetto strumenti finanziari, crediti, o altri beni mobili o immobili; 2-bis) la commercializzazione di quote o azioni di Oicr propri». Ai sensi invece dell’art. 1, co. 1, lett. j, t.u.f. un fondo comune di investimento è un «patrimonio autonomo raccolto, mediante una o più emissione di quote, tra una pluralità di investitori con la finalità di investire lo stesso sulla base di una predeterminata politica di investimento; suddiviso in quote di pertinenza di una pluralità di partecipanti; gestito in monte, nell’interesse dei partecipanti e in autonomia dai medesimi». 167 Sulla possibile assimilazione delle piattaforme di investment-based crowdfunding cfr. ESMA, Opinion, cit., pp. 20 ss. 168 Questi particolari fondi alternativi ricevono una disciplina molto favorevole e possono essere accessibili anche da chi non sia investitore professionale ma attesti di essere consapevole dei rischi: cfr. ESMA, Opinion, cit., p. 25.
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richiedenti, e attraverso primariamente misure di trasparenza ma anche, a seconda dei casi, di separazione patrimoniale e/o obbligo di depositare il denaro dei clienti presso un soggetto autorizzato, limiti alle attività svolgibili da parte delle piattaforme o all’ammontare degli investimenti/ prestiti e obblighi di prevedere sistemi per assicurare la continuità dei contratti in caso di fallimento della piattaforma. Sotto altri aspetti, invece, le riforme nei due paesi esaminati hanno una pervasività di strumenti diversa: ad esempio, l’ordinamento francese, da un lato, impone alle piattaforme l’obbligo di sottoscrivere un’assicurazione professionale e un modello di contratto tipo ma, dall’altro, sottopone le piattaforme ad una vigilanza solo privata pur potendosi ricorrere a sanzioni dell’autorità pubblica; il Regno Unito, invece, da un lato, impone un requisito prudenziale di capitale minimo e sottopone le piattaforme alla vigilanza della FCA, alla quale devono anche essere trasmesse comunicazioni periodiche (relative alle somme di denaro dei clienti, cambiamenti del valore dei prestiti e reclami; mentre in Francia è prevista solo una pubblicazione sul sito in merito a richieste e prestiti effettivi, governance e default), obbliga le stesse a riconoscere ai clienti un diritto di recesso di pentimento in caso di mancanza di liquidità e di rivolgersi ad un ombudsman ma, d’altro lato, appare meno stringente in quanto a regime di trasparenza per la mancata imposizione di prescrizioni specifiche in fatto di informazioni da comunicare al cliente (richiedendosi solo di fornire tutte le informazioni necessarie per una scelta consapevole). In merito poi specificatamente agli obblighi di trasparenza, che appaiono centrali, sono identificabili alcuni dati comuni tra le discipline sul P2P lending nei due paesi: oltre ad imporre alle piattaforme obblighi di correttezza, chiarezza, visibilità e non ingannevolezza nelle comunicazioni ai clienti, si richiede (in Francia attraverso obblighi informativi specifici mentre in UK solo su suggerimento dell’autorità da adattarsi in base ai diversi modelli operativi): spese e costi totali e remunerazione delle piattaforme, tasso di default e/o dati su performance, criteri di selezione delle richieste e due diligence, conseguenze in caso di fallimento della piattaforma, rischi, in particolare quelli specifici delle tipologie investimento in questione, informazioni su richiedente e finanziamento ed eventuali garanzie, eventuale diritto di recesso e di rimborso anticipato, reclami. Ad ogni modo, queste sono le evidenziate tendenze in materia di regolazione del P2P lending. Tuttavia, si è visto, molti paesi hanno adottato anche o solo discipline sull’investment-based crowdfunding, ritenendolo talvolta più promettente (nel senso di aiutare le piccole e medie imprese ad incrementare le fonti di finanziamento e promuovere lo sviluppo del paese: v. USA e Italia), talaltra più pericoloso per gli investitori (v. UK). Tali
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riforme hanno ricalcato sotto alcuni aspetti le indicazioni già evidenziate per il lending-based (ad esempio, centralità dell’informazione) ma sembrano emergere con ancora più forza le esigenze di limitare l’accesso a questi portali (o perlomeno alle informazioni complete e all’investimento su questi) solamente ad utenti sofisticati o in grado di sostenere l’investimento sulla base di una valutazione di appropriatezza/adeguatezza o di un test o di autocertificazione (UK, Italia e US), di fissare tetti massimi di investimento (per gli investitori retail in UK; in Italia, il rispetto di certi limiti permette a banche e SIM che ricevono gli ordini di non svolgere la profilatura dell’investitore) e di limitare la tipologia di servizi offribili da parte delle piattaforme (Francia, Italia, UK) o addirittura richiedere l’intervento obbligatorio per il perfezionamento dell’offerta di banche/SIM (Italia). Dal punto di vista informativo in particolare, si impongono infine più specifici avvertimenti sui rischi di illiquidità e di perdita del capitale (v. in Italia, Francia e UK), obblighi di verifica attraverso test o questionari della consapevolezza dei rischi (Italia) o adeguatezza dell’investimento (Francia), indicazioni specifiche sullo status giuridico della piattaforma e normativa applicabile (Francia e Italia) o l’avvertimento della mancanza di controllo dell’autorità (Italia) oltre che sui diritti sociali connessi al titolo (Francia e Italia), sulle modalità di exit e sui conflitti di interesse. Insomma, nonostante il dichiarato distinto contesto e diversità di disciplina (prestiti vs investimenti e disciplina del credito vs disciplina del mercato e servizi di investimento), le norme elaborate con riferimento al P2P lending e quelle per l’investment-based sono per molti versi simili e rispondono ad esigenze e rischi affini pur emergendo alcune differenze significative (v. verifica adeguatezza, avvertimento su illiquidità, diritti partecipativi, exit, ecc.). Inoltre, non sempre è chiaro come distinguere le due tipologie, dal momento che, si è visto, anche il P2P lending potrebbe farsi rientrare nell’ambito degli strumenti finanziari e servizi di investimento e, dall’altro, l’ordinamento britannico individua l’applicabilità della disciplina lending-based piuttosto che di quella per l’investmentbased sulla base della facile realizzabilità/liquidità o meno del prodotto. Perciò, stante la difficoltà di far rientrare il P2P lending in una delle categorie giuridiche e discipline già esistenti, appare più opportuno creare una disciplina ad hoc ma anche in tal caso risulta scriminante la scelta di indirizzo prescelta: è sufficiente incentrare la nuova disciplina su obblighi informativi o è necessario apprestare tutele aggiuntive, anche di tipo prudenziale? Insieme alla menzionata centralità della trasparenza nell’ambito delle riforme in questione, questo ci porta ad interrogarci sul ruolo attuale dell’informazione come strumento regolatorio.
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7. Il mutato ruolo dell’informazione ed il labile confine all’interno del diritto finanziario. La scomoda posizione del crowdfunding. a. La diversità di strumenti regolatori tra diritto bancario, dei mercati e di tutela del consumatore. Gli effetti della crisi. La trasparenza ha tradizionalmente rappresentato lo strumento principe delle discipline del mercato e di tutela dei risparmiatori, rispondendo agli obiettivi di rendere il mercato efficiente e permettere agli investitori e consumatori scelte informate e consapevoli (stante l’esistenza di market failures quali asimmetrie informative169 che gli obblighi informativi servono a colmare)170. Dal lato opposto dello spettro regolatorio e chiaramente distinto dai summenzionati settori disciplinari, si è sempre posto invece il diritto bancario, finalizzato al mantenimento della stabilità e dotato di strumenti intrusivi quali i requisiti prudenziali (adeguatezza patrimoniale, separazione strutturale, ecc.)171. Similmente, mentre la concorrenza e l’ex-post enforcement ricoprono un ruolo rilevante nel settore dei mercati e di protezione del consumatore, in ambito bancario tali due strumenti lasciano di solito il posto a misure finalizzate al mantenimento della stabilità (anche a scapito del principio di eguaglianza) e di early-intervention172.
169 Sulla necessità di una disciplina a tutela dell’investitore solo in presenza di market failures, Moloney, How to Protect, cit., pp. 46-48. 170 Secondo gli IOSCO Objectives and Principles of Securities Regulation (2003, https://www.iosco.org/library/pubdocs/pdf/IOSCOPD154.pdf), i tre obiettivi della regolamentazione dei mercati finanziari sono: protezione degli investitori, assicurare la correttezza, efficienza e trasparenza dei mercati e la riduzione del rischio sistemico. Si afferma poi (Principle 4.2.1) che «Full disclosure of information material to investors’ decisions is the most important means for ensuring investor protection. Investors are, thereby, better able to assess the potential risks and rewards of their investments and, thus, to protect their own interests». Il decimo considerando della Direttiva Prospetti ed il primo della Direttiva MiFID riconoscono come obiettivi della trasparenza l’efficienza del mercato e la protezione dell’investitore. Sul ruolo centrale dell’informazione nel campo della securities regulation, cfr. Solaiman, Revisiting, cit.; Andenas e Chiu, The Foundations, cit., pp. 22-23; Annunziata, La disciplina, cit., p. 336; Perrone, Sistema dei controlli e mercato dei capitali, in Riv. soc., 2011, 5, p. 841. 171 Cfr. Moloney, The legacy, cit., p. 117 e pp. 120-124; IOSCO, Mitigating Systemic Risk. A Role for Securities Regulation, Discussion Paper, 2011 p. 3, http://www.iosco.org/ library/pubdocs/pdf/ioscopd347.pdf; Hu, Disclosure, cit., p. 574; The Joint Forum, Review, cit., pp. 88 ss. 172 Cfr. Moloney, The legacy, cit., pp. 120-121; Langevoort, Global Securities Regulation
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Tuttavia, la complessità raggiunta dal mercato finanziario largamente inteso comportante, da un lato, lo svolgimento di attività non tipicamente bancarie (di investimento, cartolarizzazione, ecc.) da parte di banche e, dall’altro, lo sviluppo di nuovi intermediari impegnati in forme di trasformazione delle scadenze assimilabili alle banche (money market mutual funds, fondi monetari, SPV, ecc.), hanno reso più interconnessi i settori dei mercati e bancario e meno chiaro il confine tra diritto bancario e diritto dei mercati173. Tali fenomeni si sono inevitabilmente ripercossi anche dal punto di vista regolatorio. In conseguenza, le discipline applicabili a banche ed altri intermediari finanziari e mercati si sono avvicinate: da un lato, la finalità di stabilità e mantenimento della fiducia è diventato fondamentale anche per il settore dei mercati, imprese di investimento e prodotti finanziari174, con conseguente introduzione di requisiti prudenziali e organizzativi anche per le imprese di investimento e un generale avvicinamento delle disposizioni (in merito alle finalità - ora in entrambi i casi di stabilità, competitività, fiducia e trasparenza -, requisiti di accesso all’attività, sottoposizione a regole prudenziali e di condotta, vigilanza e poteri dell’autorità)175. Allo stesso tempo, in ambito bancario si è attribuito maggior peso alla trasparenza, concorrenza e private monitoring (v. il peso attribuito al III pilastro di Basilea dalla riforma dell’accordo nel 2004 e, specialmente dopo la crisi finanziaria, i nuovi obblighi di informazione tra cui quelli stato per stato introdotti con la direttiva CRD IV). Inoltre, si è anticipato, la crisi finanziaria ha spinto i regolatori ad estendere lo spettro di applicazione della regolazione anche a soggetti prima esclusi, costituenti il c.d. shadow banking, per lo svolgere attività vicina a quella delle banche e con possibili ripercussioni sistemiche sulle stesse.
After the Financial Crisis, in J Int Economic Law 2010, 13, 3, p. 799; Hu, Disclosure, cit., pp. 574, 602, 610, 660. 173 Cfr. Adrian e Shin, The Changing Nature of Financial Intermediation and the Financial Crisis of 2007-09, Federal Reserve Bank of New York Staff Report No. 439, 2010. 174 Tra i compiti inizialmente assegnati alla britannica Financial Services Authority non figurava la stabilità finanziaria (cfr. sez. 2 Financial Services and Markets Act 2000) mentre quest’ultima è stata inserita nella riforma del 2010, a seguito della crisi finanziaria: cfr. anche Andenas e Chiu, The Foundations, cit., pp. 18 ss. Sull’introduzione in campo finanziario di un nuovo sistema informativo ma finalizzato al mantenimento della stabilità e sull’insufficienza della disclosure del sistema SEC dinnanzi alla recente complessità del mercato e innovazione, cfr. Hu, Disclosure, cit., pp. 569 e 573. 175 Annunziata, La disciplina, cit., p. 52; Andenas e Chiu, The Foundations and Future of Financial Regulation, cit., pp. 277 ss.
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b. In particolare, crisi finanziaria, behavioural science, informazione e nuovi strumenti di tutela. Sempre a seguito della crisi finanziaria, si è verificato un ulteriore ripensamento degli obiettivi e strumenti della regolazione finanziaria. In primo luogo, si è assegnato al regolatore dei mercati un nuovo ruolo nel mantenimento della stabilità e contenimento del rischio sistemico176. In secondo luogo, si è riconosciuta l’insufficienza della trasparenza come strumento di regolazione a conseguire gli obiettivi di efficienza dei mercati, anche a causa della complessità dei prodotti e degli evidenziati limiti cognitivi dei clienti177. Infatti, l’assunto delle teoria di efficienza del mercato e della correzione delle market failures è che l’investitore sia un rational actor. Tuttavia, numerose ricerche attestano che l’investitore medio tende a non leggere i prospetti o documenti informativi e che nel migliore dei casi si rivolge ad un intermediario finanziario178. Inoltre, la behavioural science ha dimostrato l’esistenza in capo agli investitori (talvolta anche se professionali)179 di importanti difetti cognitivi che portano a scelte di investimento non razionali. Tra questi difetti si annoverano l’ottimismo (l’essere irrazionalmente ottimisti sull’esito dell’investimento), l’avversione per le perdite (si assegna più peso alle perdite che ai guadagni), over-confidence (eccessiva fiducia nelle proprie capacità predittive), disposition effect (tendenza ad aspettare troppo
Cfr. Moloney, The legacy, cit., pp. 122-123; IOSCO 2011, p. 6 ss. Cfr. Lord Turner (FSA), The Turner Review. A regulatory response to the global banking crisis, 1999, pp. 40-44; Avgouleas, What Future for Disclosure as a Regulatory Technique? Lessons from the Global Financial Crisis and Beyond, 2009. http://ssrn. com/abstract=1369004; Moloney, Regulating the Retail Markets: Law, Policy, and the Financial Crisis, in Current Legal Problems, 2010, 63, p. 375; Id., How to protect, cit., capitolo 2; Solaiman, Revisiting, cit.; Schwarcz, DisclosurÈs, cit., p. 1115-1117; Andenas e Chiu, The Foundations, cit., pp. 242-243; Perrone, Servizi di investimento e regole di comportamento. Dalla trasparenza alla fiducia, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, 1, p. 31. 178 Schaeken Willemaers, The EU Issuer-Disclosure Regime. Objectives and Proposals for Reform, Alphen aan den Rijn (Netherlands), 2011, pp. 36 ss.; Frankel, The Failure, cit., p. 432; Shiller, Democratizing and Humanizing Finance, in Reforming U.S. Financial Markets. Reflections Before and Beyond Dodd-Frank, a cura di Kroszner e Shiller, Cambridge, 2011, p. 38; Shiller e Pound, Survey Evidence on the Diffusion of Interest and Information among Investors, in Journal of Economic Behavior & Organization, 1989, 12, p. 47. 179 Sull’opportunità di protezione anche degli investitori sofisticati in caso di prodotti complessi, cfr. Perrone, Mercato all’ingrosso e regole di comportamento, in Riv. soc., 2010, p. 522. 176 177
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a vendere titoli con performance negativa e invece a vendere troppo presto titoli con performance positiva), confirmation bias (attenzione concentrata solo sui dati che confermano un’impressione già formata), status quo bias (ci si aspetta che il futuro sia identico al presente), herding (si seguono pedissequamente le scelte degli altri), snake bite effect (le scelte vengono prese sulla base del ricordo vivido delle esperienze negative al contrario delle positive), framing effect (influenza nella scelta della mera modalità di presentazione), difficoltà a processare informazioni complesse e mantenere l’attenzione in presenza di un numero elevato di informazioni, miopia (tendenza ad ignorare le conseguenze di lungo termine), familiarità (tendenza a ritenere più frequenti eventi più conosciuti, familiari o pubblicizzati)180. In conseguenza a questi difetti cognitivi, l’investitore, subissato di informazioni come spesso è richiesto dalla legge, finisce per ignorare gli elementi veramente utili per compiere scelte razionalmente ottimali (cogliendo solo i dati evidenti o messi in risalto), non imparare dagli errori e assumere rischi eccessivi. Perciò, gli obblighi di trasparenza, già in precedenza arricchiti con nuovi strumenti di protezione dell’investitore (quali cooling off periods, regole sulla promozione di prodotti finanziari, test di adeguatezza e di appropriatezza dei prodotti rispetto ai profili dei clienti), prevedono tendenzialmente ora, in seguito al ripensamento messo in moto dalla crisi, la pubblicazione di informazioni sempre più specifiche (mentre in alcuni pa-
180 In materia di behavioural science e mercati finanziari: Brodi e Motterlini, Choice Architecture Matters: The Case of Investor Protection within the Italian Crowdfunding Market, in European Company Law, 2014, 11, 5, p. 253; Erta, Hunt, Iscenko e Brambley, Applying behavioural economics at the Financial Conduct Authority, FCA Occasional Paper 1, 2013; Splinder, Behavioural Finance and Investor Protection Regulations, in Journal of Consumer Policy, 2011, 34, 3, p. 315; Morera e Marchisio, Investitori a razionalità limitata. Conseguenze precettive e indicazioni di politica del diritto, Conferenza dell’Associazione Orizzonti del diritto commerciale 2012 (Roma, 10-11 febbraio 2012), http://www.orizzontideldirittocommerciale.it/media/12532/morera_umberto_-_ marchisio_emiliano.pdf; Id., Finanza, mercati, clienti e regole... ma soprattutto persone, in Analisi giuridica dell’economia, 1, 2012, pp. 19 ss.; Morera, Legislatore razionale versus investitore irrazionale: quando chi tutela non conosce il tutelato, in Analisi Giuridica dell’Economia, 2009, p. 77; Linciano, Finanza comportamentale e celte di investimento. Implicazioni per la vigilanza, in AA.VV., La finanza comportamentale e le scelte di investimento dei risparmiatori. Le implicazioni per gli intermediari e le Autorità, Quaderni di Finanza Consob n. 68 (maggio 2011), pp. 81 ss.; Barr, Mullainathan e Shafir, Behaviorally Informed Financial Services Regulation, Asset Building Program Policy Paper - New America Foundation, 2008; Barberis e Thaler, A Survey of Behavioral Finance, NBER Working Paper n. 9222, 2002, http://www.nber.org/papers/w9222.
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esi come gli USA la mandatory disclosure richiedeva agli operatori solo di comunicare “tutte le informazioni rilevanti” a loro discrezione), l’impiego di un format obbligatorio per la disseminazione delle informazioni (così da non lasciare agli operatori la libertà nella presentazione delle stesse), test di investor education per verificare la consapevolezza dell’investitore, un linguaggio semplice e non tecnico, leggibilità (e quindi evitare l’overload informativo), obblighi stringenti in caso di consulenza (peraltro interpretata in senso ampio: cfr. subito infra), fino ad arrivare, nei casi più paternalistici, al potere di vietare certi prodotti o attività. In generale, si sono progressivamente estesi gli obblighi degli intermediari di verificare la comprensione dei rischi da parte del cliente retail ed in alcuni casi l’adeguatezza/sostenibilità economica dell’operazione, fondandosi la protezione sugli obblighi di comportamento di questi più che sulla mera trasparenza181. Inoltre, la MiFID II ha precisato che nei confronti di tutti i clienti (quindi anche le controparti qualificate) gli intermediari devono agire in modo onesto, equo e professionale e hanno l’obbligo di essere corretti, chiari e non fuorvianti (considerando 89 e art. 30, co. 1). In ambito europeo si è registrata un’espansione del concetto di consulenza e quindi della sfera di applicazione degli obblighi di appropriatezza soprattutto con riferimento ai prodotti complessi182. In Italia la Consob ha avvertito gli intermediari della possibilità di interpretare ampiamente il concetto di consulenza in caso di prodotti illiquidi per imporre sugli stessi obblighi di condotta in termini di appropriatezza a tutela dei clienti183. Si è peraltro assistito nel campo dei mercati e di tutela dell’investitore, al passaggio dallo strumento principe della mera trasparenza per riparare a market failures alla c.d. product intervention mirante tra l’altro alla semplificazione dei prodotti finanziari, anche per avversione verso l’estrema finanziarizzazione e per il raggiungimento degli obiettivi di contenimento rischio sistemico, con uno scrutinio dell’utilità sociale della finanza e innovazioni184. Ad esempio, il regola-
Cfr. Perrone, Sistema, cit. C’è anche chi propone di semplificare la trasparenza sul mercato primario parametrandola a investitori professionali ed incentivare così i retail a rivolgersi a intermediari autorizzati: cfr. Schaeken Willemaers, The EU, cit., pp. 168-169. 183 Comunicazione Consob n. DIN/9019104 del 2 marzo 2009. Cfr. anche Perrone, Servizi, cit. 184 Cfr. Moloney, The legacy, cit., pp. 186-202; Andenas e Chiu, The Foundations, cit., p. 244-245 e 272-273; Scognamiglio, La tutela delle ragioni del cliente: dagli obblighi di comportamento agli “interventi sui prodotti”?, in L’ordinamento italiano del 181 182
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mento adottato nell’ambito della riforma MIFID II (MIFIR) attribuisce a ESMA, EBA ed alle autorità competenti nazionali il potere di vietare o restringere l’offerta, distribuzione o vendita di certi prodotti in caso di pregiudizio significativo alla protezione degli investitori o minaccia al funzionamento e integrità del mercato o alla stabilità185. Il processo di “consumerizzazione” della securities regulation europea già in atto da anni sembra poter portare addirittura ad un’espansione delle aree di protezione oltre il settore retail, giustificata in questo caso non dalla behavioural science ma dagli obiettivi di contenimento del rischio sistemico186. c. L’instabile posizione del crowdfunding tra la paura dello shadow banking e la consumerization del diritto finanziario. La crowd come soggetto da proteggere? Il crowdfunding si pone in posizione scomoda nell’ambito del contesto appena esposto: le piattaforme di crowdfunding possono essere assunte nella controversa categoria dello shadow banking, ponendosi come alternativa agli intermediari tradizionali e cercando vuoti normativi per svolgere la propria attività senza sottoporsi ad eccessivi costi. Inoltre, i prodotti delle piattaforme sono innovazioni finanziarie difficilmente catalogabili e potenzialmente illiquidi e complessi (in misura minore ma come lo sono stati i derivati). In quest’ottica il legislatore italiano ha deciso di imporre la necessaria presenza di intermediari tradizionali autorizzati (banche e SIM) anche in veste di controparti contrattuali degli utenti nelle operazioni di equity crowdfunding, sottoponendoli, peraltro, nell’ambito dei rapporti con l’investitore/utente, non solo alle specifiche regole di condotta disposte per i gestori di portali di equity crowdfunding contenute nel regolamento Consob di
mercato finanziario tra continuità e innovazioni, Calandra Buonaura, Bartolacelli e Rossi, Quaderni di Giurisprudenza Commerciale n. 379, Milano, 2014, pp. 183-192, in particolare, pp. 186 ss. 185 Cfr. anche Moloney, The legacy, cit.; Andenas e Chiu, The Foundations, cit., p. 256; G. Ferrarini e Saguato, Reforming Securities and Derivatives Trading in the EU: from EMIR to MIFIR, in Journal of Corporate Law Studies, 2013, 13, 2, p. 319. 186 Cfr. Moloney, The legacy, cit.; Schaeken Willemaers, The EU, cit., pp. 47 e 168; Andenas e Chiu, The Foundations, cit., pp. 136 e 160, 239; Libertini, La tutela della libertà di scelta del consumatore e i prodotti finanziari, 2010, http://www.agcm.it/traspstatistiche/doc_download/2436-ven-0129intervento-libertini.html.
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attuazione della riforma ma anche a quelle ordinarie per la prestazione di servizi di investimento (artt. 21 ss. t.u.f.)187. A vantaggio del settore, invece, milita la circostanza che le riforme a livello sovranazionale e nazionale post-crisi hanno introdotto requisiti aggiuntivi e reso più severe le regole soprattutto per le Systematically Important Financial Institutions (SIFIs), ritenute opache, difficili da vigilare e soggette a moral hazard a causa dei frequenti salvataggi pubblici, mentre il settore del P2P, per quanto in espansione, è ancora di scarsa rilevanza sistemica. In linea con l’attuale tendenza a ritenere insufficiente la trasparenza per proteggere l’investitore ed il sistema, si è perciò visto che le descritte riforme sul crowdfunding in alcuni paesi hanno non solo introdotto obblighi informativi a carico di emittenti e piattaforme, peraltro specificando la necessità di un linguaggio non tecnico, chiaro e conciso (anche per evitare l’information over-load) ma anche diritti degli utenti di ripensamento, limiti massimi di investimento e obblighi di educazione finanziaria e verifica della comprensione a carico degli operatori. Peraltro, la riforma sull’equity crowdfunding negli USA che prevede l’espletamento di un test per verificare la comprensione degli investitori e limiti massimi di investimento, è stata ritenuta eccessivamente paternalista, non in linea con la tradizione statunitense e contraria all’obiettivo di democratizzazione dei mercati188. Nella regolazione del crowdfunding, infatti, bisogna tenere in considerazione il particolare mezzo utilizzato, internet, che da un lato permette di raggiungere un numero molto vasto di persone, senza discriminazioni e senza necessariamente intermediari ufficiali (conseguendo quell’obiettivo di democratizzazione ed abbattimento di costi) ma, dall’altro, porta con sé, per gli stessi motivi, un grosso potenziale negativo, potendo coinvolgere molti utenti diffusi su larga scala e permettendo un maggior anonimato e quindi più facili abusi e frodi. In generale poi, internet, con la facilità nel reperire informazioni, può essere molto utile così come un pericolo per gli investitori, i quali potrebbero non essere in grado di
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Comunicazione Consob n. 0066128 del 1 agosto 2013. Hanks, Romano e Tonelli, Madness of Crowds or Regulatory Preconception? The Weak Foundations of Financial Crowdfunding Regulation in the US and in Italy, in European Company Law, 2014, 11, 5, p. 237, in particolare pp. 240 ss.; Groshoff, Kickstarter My Heart: Extraordinary Popular Delusions and the Madness of Crowdfunding Constraints and Bitcoin Bubbles, in Wm & Mary Bus. L. Rev., 2014, 5, 2, p. 489, http://scholarship. law.wm.edu/wmblr/vol5/iss2/4. 188
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selezionare correttamente le fonti e quindi illudersi di basarsi su consigli esperti o dati veritieri quando così non è189. Infatti, una questione centrale, anche nel settore finanziario tradizionale, è la seguente: l’investitore ha bisogno di protezione? Come si è visto, nel settore finanziario “ufficiale” si è giunti ad apprestare protezioni ancora più forti per gli investitori retail contrapposti a quelli professionali, sul presupposto che il retail non sia in grado da solo di avventurarsi nella selva degli investimenti (anche se la MIFID II ribadisce obblighi di correttezza, onestà e professionalità nei confronti di tutti i clienti). Com’è quindi composta la crowd e necessita la stessa di protezione? Essa è tendenzialmente un gruppo eterogeneo di persone per geografia, appartenenza sociale, lavoro e competenze, etnia ma accomunate dal fatto di essere utenti internet e spesso collegate da social networks e blog e quindi raggruppabili per gruppi di interesse (affinity groups) tra loro eterogenei ma omogenei al loro interno per preferenze e motivazioni190. Come si è accennato sopra (note 5 e 6), gli studi non sono univoci nell’identificare le capacità di investimento e selezione della folla: alcuni studi dipingono la stessa come wise (e in particolare, diverse, independent e decentralized), riportando in particolare la capacità di questa di superare le tipiche asimmetrie informative, ad esempio, attraverso l’analisi di soft information fornite dal richiedente191. Altre ricerche, invece, bollano la folla come mad, in quanto caratterizzata da over-confidence e dall’influenza di altri fattori irrazionali (cfr. supra §3, nota 71 e relativo testo). In particolare, la folla non prenderebbe scelte razionali ma viziate dall’“herding behaviour”, in quanto gli ultimi investitori tendono a seguire pedissequamente i primi192. Tuttavia, c’è chi riconduce tale atteggiamento (di seguire gli altri) nell’ambito di un “rational herding”:
189 In base ad alcuni studi l’investitore online sarebbe ancora più irrazionale in quanto affetto da presunzione di sapere meglio degli investitori professionali e dando peso su internet solo alle informazioni che confermano la propria intuizione: cfr. Barber e Odean, The Internet and the Investor, in The Journal of Economic Perspectives, 2001, 15, 1, p. 41; Id., Online Investors: Do the Slow Die First?, in Review of Financial Studies, 2002, 15, 2, p. 455; Id., Does Online Trading Change Investor Behavior?, in European Business Organization Law Review, 2002, 3, p. 83. 190 Macleod Heminway, Investor and Market Protection in the Crowdfunding Era: Disclosing to and for the ‘Crowd’ (giugno 2014), in Vt. L. Rev., 2014, 38, p. 827. 191 Cfr. anche Zhang, The Wisdom of Crowdfunding, in Communities & Banking, 2013, www.bos.frb.org/commdev/c&b/index.htm, che riprende Surowiecki, The Wisdoms, cit. 192 Cfr. Mackay, Extraordinary Popular Decisions and Madness of Crowds, New York, 1980. Cfr. anche Hanks, Romano e Tonelli, Madness, cit.
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l’investitore sceglie di investire nello stesso senso dei primi prestatori/investitori presumendo che questi abbiano avuto informazioni privilegiate o dirette (e per questo si siano mossi subito) ma eventualmente correggendo l’osservazione in base alle informazioni pubbliche a disposizione vertenti sulle caratteristiche dei richiedenti. Ad esempio, se il richiedente ha un credit score basso ma ha già ricevuto numerosi investimenti in pochi giorni, il crowdfunder deduce che i primi investitori conoscevano come valido e meritevole il richiedente e per questo hanno investito subito; se invece il prestito è coperto da garanzia, si può dedurre che la fretta nell’investire sia riconducibile a questo fattore. Una deduzione negativa per il richiedente viene invece attribuita all’elevata dimensione del prestito o ad un alto debt-to-income ratio combinato a pochi endorsements o un tasso interesse alto. Lo studio ha verificato che nella pratica tali deduzioni portano effettivamente a scelte poi ottimali dal punto di vista del successo dell’investimento193. In ogni caso, il nostro diritto degli investimenti ragiona non per gruppi ma per individui e possiamo presumere che alle piattaforme di crowdfunding si rivolgano sia crowdfunders inesperti che si limitano a seguire la folla che crowdfunders esperti (cioè forniti di esperienza in questa nuovo fenomeno) in grado di passare “a setaccio” le informazioni e dedurne conclusioni corrette. Un recente sondaggio condotto nel Regno Unito presso gli utenti di Funding Circle dipinge il lender medio come un uomo, di mezza età, benestante e istruito, con esperienze di lavoro con grandi società o piccole e medie imprese, già investitore in azioni o obbligazioni194, che presta somme contenute rispetto alla propria situazione finanziaria (più del 60% investe meno del 2% del proprio patrimonio), diversificando195 e che si rivolge al P2P per il ritorno eco-
193 Zhang e Liu, Rational Herding in Microloan Market, in Management Science, 2012, 58, 5, p. 892. 194 In base al sondaggio svolto da Pierrakis & L. Collins (Banking, cit., pp. 3 e 15 ss.) nel 2013, infatti, l’83% dei lenders di Funding Circle è uomo e il lender medio ha circa 50 anni, è benestante (£80.000 in risparmi/investimenti e appartenente alla fascia di ricchezza del 20%), istruito (il 59% ha un titolo di studi post-laurea o una qualifica professionale; in particolare, il 6% dei lenders ha un PhD, il 5% un MBA, 25% un altro titolo post-laurea e il 23% un titolo professionale. Inoltre, i campi di expertise risultano essere, nell’ordine, ingegneria, contabilità, business e IT), con più di dieci anni di esperienza di lavoro con grandi società (48%) o PMI (38%), già investitore in azioni o obbligazioni (90%). 195 In media si presta £8.000 distribuite su 67 imprese ma vi sono rilevanti differenze (il 42% presta meno di £1.000 e il 41% più di £3.000) per cui il valore mediano è £2.000
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nomico, la diversificazione e la possibilità di scegliere la destinazione del denaro196. Ad ogni modo, appare frequente il ricorso alla funzione di auto-bid (sistema automatico per incrociare domanda e offerta) e vengono in media dedicati solo quindici minuti alla ricerca precedente alla decisione di investimento197. Inoltre, i lenders ritengono molto importante ai fini della decisione, il tasso di interesse (95%), la presenza di garanzie (88%), il risk rating assegnato dalla piattaforma (80%) mentre fattori riferiti ai singoli progetti quali management, business model e prodotto/servizio offerto sono solo importanti e solo per la metà degli intervistati198. In conseguenza, scarso peso assumono spesso le eventuali conoscenze specifiche degli investitori e la scelta individuale, facendo i lenders affidamento sulla piattaforma. La soluzione al dilemma regolatorio non può non tenere in conto di questi aspetti e ritengo che il legislatore debba considerare i crowdfunders come un gruppo eterogeneo di persone, sia retail che professionali, con una tendenza ad accogliere anche numerosi “investitori improvvisati” (soprattutto nella prospettiva di progressiva espansione del settore), in quanto la facile accessibilità del mezzo internet permette a soggetti che mai si sarebbero avventurati nella selva degli investimenti ufficiali di “giocare” a finanziatore/investitore, senza quindi le cautele opportune. D’altra parte, si dovrà soppesare anche il particolare contesto in cui si trova l’investitore in questione e quindi l’influenza positiva o no che può avere la “folla”, il ruolo della piattaforma (che seleziona i richiedenti, assegna un rating ed eventualmente fornisce un servizio di selezione automatica) e gli elementi su cui il crowdfunder basa generalmente il giudizio (tasso di interesse e rating eventualmente assegnato dalla piattaforma ma anche soft information)199. Tutto ciò considerato, l’informazione può giocare ancora un ruolo
prestate a 35 imprese: cfr. Pierrakis & L. Collins, Banking, cit., pp. 18-19. 196 Baeck, L. Collins e Zhang, Understanding, cit., p. 30. 197 In media il 35% dei prestiti avviene usando la funzione di “auto-bid” ed il 23,6% dei lenders lo usa per investire tutto il denaro: cfr. Pierrakis & L. Collins, Banking, cit., pp. 19-20. 198 Cfr. Pierrakis & L. Collins, Banking, cit., pp. 22-24. 199 Benché numerosi studi sopra citati attestano l’uso di svariate forme di soft information come base per le scelte dei P2P lenders, il sondaggio sulla piattaforma Funding Circle (Pierrakis & L. Collins, Banking, cit., pp. 3 e 22 ss.) riporta che gli elementi cui gli utenti assegnano maggior peso nella decisione sono il tasso di interesse, il risk rating e financial track.
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rilevante, anche nel settore del crowdfunding, ma deve essere adattata sulla base dei risultati della behavioural science (e quindi anche affiancata da altre misure di protezione) e delle peculiarità del crowdfunding.
8. Conclusioni ed un “abbozzo” di proposta. La problematica attinente la regolazione del P2P lending (e dell’investment-based crowdfunding), quindi, non appare certo di facile soluzione. La recente crisi finanziaria ha contribuito a creare un panorama spesso ostile a forme di attività para-bancaria o di simil-investimento mentre le tendenze di regolazione hanno sia rinvigorito l’importanza dell’informazione che ridimensionato l’effettività delle misure di trasparenza, puntando spesso, in aggiunta, su strumenti prudenziali e interventi paternalistici sui mercati per la stabilità e tutela dei consumatori. D’altra parte, però, l’essenza del crowdfunding sta proprio nell’operare fuori dai canali tradizionali (responsabili della crisi e con numerosi difetti) e nel tentativo di democratizzare il settore finanziario. Le riforme a livello europeo e statunitense in materia di crowdfunding (che si sono sintetizzate supra) hanno cercato di trovare un difficile equilibrio tra istanze di tutela del risparmio e quelle di innovazione, non sempre però giungendo a soluzioni ottimali. In molti casi esse hanno ignorato il sotto-settore del prestito e comunque finito per essere troppo paternaliste e per imporre costi eccessivi sul settore, minandone quindi la sopravvivenza stessa. Ad esempio, in Italia si è scelto non solo di prevedere la partecipazione obbligatoria di banche o SIM nelle procedure di equity crowdfunding ma addirittura di imporre la conclusione di un contratto tra gli utenti delle piattaforme e tali intermediari professionali e sottoporre questi ultimi, in linea generale e salvo ristrette eccezioni, agli obblighi di condotta in materia di servizi di investimento insieme a quelli previsti specificatamente per il settore e per le piattaforme. Così facendo sembra snaturarsi il crowdfunding (non essendoci né democratizzazione né disintermediazione)200 ed eliminarne
Cfr. le critiche in Enriques, La disciplina, cit. e C.A. Nigro e Santoro, The Quest for Innovative Entrepreneurship and the Italian Regime for Equity Crowdfunding, in European Company Law, 2014, 11, 5, p. 229; Santoro e Tonelli, Equity Crowdfunding ed imprenditorialità innovative, in Riv. dir. banc., 24, 2014, p. 10. 200
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la ragione d’essere dal momento che si reintroducono dalla finestra parte dei costi che impediscono l’accesso delle piccole e medie imprese al mercato dei capitali ufficiale e hanno determinato la nascita delle piattaforme di crowdfunding201. Inoltre, limiti eccessivi all’investimento diretto finirebbero per violare il principio di libertà di investimento e di scelta responsabile nell’impiego del proprio patrimonio202. Altrove (Francia e Regno Unito), invece, si è recentemente tentato di trovare un miglior equilibrio tra diverse esigenze, imponendo poche o nessuna misura prudenziale, l’intervento di banche solo per il deposito delle somme dei clienti (o, in caso di investimenti, per la trasmissione di ordini) e puntando su una trasparenza (in parallelo con alcune tutele aggiuntive) parametrata alle caratteristiche del fenomeno (invece che mutuare quella in materia di investimenti senza adattamenti). Constatata l’insufficienza dei regimi alternativi attuali (de iure condito) (cfr. §§ 4 e 6), si tenterà di seguito di delineare alcune preliminari linee guida per una proposta di riforma in materia di P2P lending, anche alla luce del panorama europeo sopra esposto e prendendo spunto dalla tendenza regolatoria sopra inquadrata come “pragmatica”. In linea generale, appare in primo luogo ragionevole la distinzione
Cfr. G. Ferrarini, I costi, cit. Cfr. Morera e Marchisio, Investitori, cit., p. 10. Sul rapporto tra concorrenza, libertà di scelta del consumatore e mercati finanziari, cfr. Libertini, La tutela, cit.: «la libertà di scelta del consumatore/investitore assume un ruolo ben più limitato di quello che, sistemicamente, ha nel determinare la selezione di beni e servizi nei mercati dei prodotti finali […] l’innovazione finanziaria può interessare direttamente il risparmiatore/consumatore solo in quanto sia in grado di offrirgli prodotti che diano una combinazione ragionevole di alto rendimento e di alta sicurezza. Ma un tale risultato è probabilmente impossibile: è proprio sotto questo profilo che, anche a prescindere dalla correttezza professionale dei venditori di prodotti finanziari, il prodotto finanziario avrà in sé sempre una componente “tossica” di rischio e non sarà mai immune dai fenomeni di instabilità complessiva, che potranno colpire i mercati nel loro insieme. Ne consegue che – come già detto – la tutela della libertà di scelta del consumatore non potrà mai avere, nei mercati finanziari, lo stesso ruolo sistemico che ha nei mercati dei beni di consumo, ripetuto o durevole. I servizi finanziari, in quanto tali, danno al consumatore un beneficio prevalentemente indiretto, in termini di soddisfazione di bisogni: o in quanto gli consentano una ottimale conservazione di un certo potere d’acquisto (consumatore/risparmiatore), o in quanto gli consentano il godimento anticipato di certi beni (mediante i servizi finanziari di credito al consumo) […] L’aumento e la diversificazione dei prodotti finanziari in circolazione sono socialmente positivi solo se contribuiscono all’accrescimento dei beni finali messi a disposizione del consumatore e se questo accrescimento presenta caratteri di sufficiente stabilità». 201 202
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tra il crowdfunding basato sul prestito e quello di investimento (specialmente se equity). Tuttavia, nei casi in cui i prestatori delle piattaforme di P2P lending non possono scegliere singoli progetti ma le somme di ognuno vengono ripartite secondo un algoritmo o linea di investimento generale fissato dalle piattaforme (attualmente il modello prevalente in Italia), il ruolo della piattaforma nella selezione dei progetti e nella definizione della linea di diversificazione appare più rilevante, in quanto si limita la capacità decisionale dell’investitore, pur nel suo interesse (alla diversificazione). Sarebbe quindi opportuno introdurre qualche aspetto differenziante nella disciplina rispetto alle piattaforme che operano come meri luoghi di incontro tra prestatori e richiedenti prestiti e forniscono ai prestatori le informazioni sui richiedenti perché possano scegliere liberamente. Con riferimento ad entrambi i modelli di piattaforma, si propone poi all’ipotetico legislatore di escludere esplicitamente l’applicazione di alcune normative concorrenti: in primo luogo, della normativa MiFID (specialmente in presenza di clausole che escludano o limitino fortemente lo scambio delle quote di prestiti all’interno della piattaforma stessa) al fine di eliminare incertezza giuridica e comunque stante la difficile sussunzione dei modelli nei servizi tradizionali. In secondo luogo, delle normative sugli istituti di pagamento e servizi di pagamento, nel caso in cui i servizi di pagamento non vengano direttamente offerti dalla piattaforma (appoggiandosi ad una banca o altro operatore) o si ritenga interpretabile la direttiva europea come escludente i casi in cui i servizi di pagamento non siano l’attività principale o utilizzando l’esenzione ex art. 26 direttiva Pagamenti per volume d’affari sotti i € 3 milioni al mese, così potendo più liberamente fissare i requisiti per lo svolgimento dell’attività. Le offerte dovrebbero contenersi (per tutti i tipi di piattaforme) entro i € 5 milioni nei dodici mesi (cfr. esenzione facoltativa della Direttiva Prospetti; soglia da riferirsi, nel caso di portali più vicini a modelli di investimento e con un ruolo più attivo della piattaforma, all’offerta complessiva sul portale). Tra i citati requisiti minimi per giustificare le esclusioni delle suddette discipline ed in considerazione dei principali rischi evidenziati nei paragrafi che precedono, potrebbero prevedersi, in primo luogo, un capitale minimo per la serietà dell’operazione (ad esempio, € 20.000), requisiti di onorabilità e professionalità degli esponenti e di onorabilità dei principali azionisti. In secondo luogo, a tutela del denaro dei clienti affidato alla piattaforma, si dovrebbero imporre obblighi di segregazione delle somme di pertinenza degli utenti dal patrimonio della piattaforma con
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deposito presso una banca autorizzata. Ancora, sarebbero opportuni a carico dei portali di P2P lending obblighi di protezione dei clienti dai pericoli informatici (furto di identità, sottrazione di denaro dal portafoglio elettronico, ecc.). Infine, per far fronte alle conseguenze negative per gli utenti derivanti dall’eventuale fallimento delle piattaforme, queste potrebbero scegliere se sottoscrivere un’assicurazione privata o sottoscrivere un accordo di back-up service con una parte terza affidabile e coperto da garanzie o, ancora in alternativa, rispettare dotazioni patrimoniali (prudenziali) parametrate al volume dei prestiti in corso. Alla luce di quanto sopra evidenziato sui limiti cognitivi degli investitori e sul ridimensionato ruolo della trasparenza nel settore finanziario, si dovrebbe cercare di bilanciare l’esigenza di lasciare una certa libertà nelle scelte patrimoniali dei soggetti, da un lato, e di protezione degli investitori suscettibili di incorrere in errori cognitivi. In conseguenza, obblighi di trasparenza dovrebbero essere affiancati da obblighi generali di correttezza e di predisposizione di un test per verificare la comprensione dei rischi. Anche al fine di contenere le possibili conseguenze negative complessive derivanti dall’esclusione di altre discipline più stringenti, pare opportuno introdurre soglie massime di investimento per persona (quantum investibile nell’arco di un anno da ciascun prestatore) e per progetto/investimento (limite massimo di “investimento” che ogni persona può effettuare con riferimento a singoli progetti/prestiti in modo da assicurare una certa diversificazione) parametrate al reddito e al patrimonio, superabili solo in caso di investitori professionali, investimento consigliato dai primi o di superamento di un vero e proprio test di adeguatezza (ex MiFID). Con particolare riferimento alle piattaforme che svolgono un ruolo più significativo nella selezione e nell’individuazione delle linea di investimento/prestito con limitazione del potere di scelta dell’utente, mutuerei in aggiunta alcuni obblighi di comportamento dalla disciplina delle imprese di investimento con opportune semplificazioni (alleggerendo ad esempio la disciplina sui conflitti di interesse e remunerazioni dei dipendenti). Tuttavia, se si volesse incentivare (o comunque non penalizzare) tale modello di P2P basato su diversificazione ed intermediazione (anche sulla scia delle attuali tendenze verso un’espansione degli obblighi degli intermediari e del servizio di consulenza), si potrebbero estendere i suddetti obblighi anche al modello di P2P “market place” (che comunque sono nella prassi rari nella forma pura, prevedendo spesso meccanismi di investimento diversificato “automatico”). Il sistema di disclosure, ad ogni modo, dovrebbe essere per tutti i modelli esteso ma anche semplice e tenere in conto i recenti studi sull’in-
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vestimento online e sui limiti cognitivi. Per facilitare la comparabilità ed evitare casi di framing incidenti sulle scelte degli utenti, sembra preferibile prescrivere l’adozione di un modello standard e con informazioni minime (eventualmente da incrementare, se non strettamente connesse, in un documento separato per evitare l’information over-load). Gli elementi perciò da comunicare in vista della registrazione e in maniera chiara, corretta e non fuorviante (compresi i confronti con depositi o altri prodotti) dovrebbero essere quelli più rilevanti per un crowd-lender: ad esempio, struttura, status giuridico e funzionamento della piattaforma, costi, tipologia di prodotti, due diligence svolta sulle richieste (con avvertimenti specifici su cosa non viene controllato), rischi specifici, conseguenze in caso di fallimento della piattaforma ed eventuali tutele apprestate (accordi di back-up garantiti o assicurazioni), tasso di default, numero di progetti con ritardi oltre i due mesi rispetto al numero totale di progetti, trasferibilità, rimborso anticipato o altre forme di liquidità e avvertimento del mancato controllo da parte dell’autorità e del regime semplificato. La necessità di indicare informazioni specifiche sui singoli progetti invece dipende dal modello di piattaforma (rilevando solo nei casi in cui il prestatore scelga singoli progetti invece che vedere il suo denaro diversificato in automatico). Informazioni su obblighi derivanti dal prestito, tempistiche, tassi, costi e conseguenze in caso di inadempimento dovrebbero essere fornite anche ai richiedenti, verificando la sostenibilità. Il contratto tipo e le condizioni generali devono essere facilmente accessibili sul sito in qualunque momento e rapporti pubblici annuali sull’attività sono consigliabili, così come la creazione di uno spazio sulla piattaforma per commenti e feed-back in modo da favorire il rational herding203. Solo accennando al tema, non essendo qui la sede, per le piattaforme invece di equity crowdfunding o strutturate come fondi di investimento si dovrebbe procedere ad una semplificazione delle relative discipline, limitando le offerte entro i € 5 milioni e a prodotti semplici204, nel
Cfr. Hanks, Romano e Tonelli, Madness, cit., pp. 246 ss. Sull’attuale tendenza alla semplificazione dei prodotti finanziari, cfr. Consob, Raccolta bancaria a mezzo di obbligazioni, prospetto e regole di condotta, Documento di consultazione, 13 luglio 2011, http://www.consob.it/main/documenti/Regolamentazione/ lavori_preparatori/consultazione_intermediari_20110713.htm?hkeywords=&doc id=20&page=0&hits=21; Id., Documento di consultazione 8 agosto 2011, http://www. consob.it/main/documenti/Regolamentazione/lavori_preparatori/consultazione_ 203 204
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rispetto delle condizioni minime fissate dalla MiFID II per le esenzioni sopra menzionate. Inoltre, si potrebbe cercare di parametrare i requisiti di adeguatezza patrimoniale ai volumi della piattaforma e alla varietà e complessità delle operazioni e prodotti. Senza imporre una sottoscrizione minima da parte di investitori professionali, si potrebbe richiedere la pubblicazione degli investimenti di questi qualora si verificassero (anche al di fuori dal portale). Infine, si potrebbe richiedere, per investire, il superamento di un test per valutare la conoscenza e comprensione dei rischi oltre ad obbligare la piattaforma a fornire raccomandazioni specifiche, al momento dell’iscrizione e dell’investimento, sul massimo investibile in base al patrimonio e reddito dichiarati. Avvertimenti specifici (oltre alle informazioni raccomandate supra per il lending) dovrebbero essere forniti in particolare sui tipici rischi di illiquidità, perdita di capitale, conflitto interessi (con predisposizioni di misure particolari in caso di percezione di una commissione dagli emittenti) e strategie di exit. Infine, si dovrebbe cercare di incentivare un mercato secondario specifico. Se invece si optasse per l’applicazione della disciplina MiFID (secondo l’ESMA opzione meno “costosa” per il sistema e quindi meno rischiosa), in assenza di riforma a livello europeo205, sono poche le scappatoie a disposizione delle piattaforme: si potrebbe infatti qualificare il servizio come ricezione e trasmissione di ordini (appoggiandosi ad un intermediario autorizzato per gli ordini) per beneficiare perlomeno del più contenuto requisito di capitale minimo (€ 50.000 ma solo nel caso non si detenga il denaro dei clienti, altrimenti il requisito si alzerebbe a € 125.000) oppure di collocamento senza garanzia (per cui il capitale minimo sarebbe € 125.000 salvo che non si detenga il denaro dei clienti o l’Italia non eserciti l’opzione relativa che permetterebbe di abbassarlo a € 50.000). Se la piattaforma limitasse gli strumenti alle obbligazioni o titoli di debito semplici, poi, sarebbe soggetta solo al regime di execution only invece del test di appropriatezza (per servizi diversi da consulenza o gestione di portafogli)206. Qualora invece la piattaforma volesse offrire servizi più completi (diversi strumenti finanziari, anche gestione di por-
emittenti_20110808.htm?hkeywords=&docid=18&page=0&hits=21; Delibera n. 18079/2012 del 20 gennaio 2012, http://www.consob.it/main/documenti/bollettino2012/ d18079.htm. Sul restringimento dell’operatività dell’execution only da parte della MIFID II, cfr. Moloney, The legacy, cit., p. 192. 205 Per una proposta di riforma a livello europeo, pur in ambito di solo P2P lending, cfr. Macchiavello, Peer-to-peer, cit.; cfr. anche ESMA, Opinion, cit. 206 Cfr. ESMA, Opinion, cit., p. 15.
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tafogli, ecc.) sarebbe difficile cercare di contenere i costi conseguenti (tra cui il test di appropriatezza/adeguatezza). In conclusione, il P2P lending è una recente innovazione finanziaria molto promettente sotto molti aspetti e che sta cercando, a livello mondiale, il proprio spazio vitale tra le strette maglie del diritto finanziario attuale post-crisi: è ancora presto per dire se riuscirà a sopravvivere ma i legislatori italiano, europei ed extracomunitari hanno un ruolo fondamentale nel decretarne il successo o la sconfitta per cui vi è l’esigenza che siano anch’essi “innovativi”. Ulteriore ricerca in materia si rende comunque indispensabile.
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Il contratto di assicurazione sulla vita finalizzato all’erogazione di un mutuo immobiliare tra misure legislative urgenti, regolamentazione dell’Autorità di vertice del settore assicurativo e prospettive de jure condendo Sommario: 1. Rilievi introduttivi: la genesi della fattispecie e prospettive de jure condendo. – 2. Il Regolamento dell’Isvap del 3 maggio 2012, n. 40 e i contenuti minimi del contratto di assicurazione sulla vita stipulato ai fini dell’erogazione di un mutuo immobiliare: profili di carattere generale; la forma del contratto e le prestazioni assicurative. – 3. Segue: le limitazioni della prestazione, la durata del contratto, la periodicità del pagamento del premio ed i costi su di esso gravanti. – 4. Segue: modalità di verifica dello stato di salute del cliente e periodo di “carenza”. – 5. Segue: i soggetti beneficiari o vincolatari. – 6. Segue: il diritto di recesso. – 7. Segue: l’estinzione anticipata e il trasferimento del mutuo immobiliare.
1. Rilievi introduttivi: genesi della fattispecie e prospettive de jure condendo. I recenti interventi del legislatore, e quelli ad essi conseguenti del regolatore assicurativo, in materia di contratti di assicurazione sulla vita abbinati ai mutui immobiliari hanno alimentato un dibattito non ancora sopito, e che riguarda l’individuazione del giusto punto di equilibrio tra i differenti interessi di cui sono portatori per un verso la banca mutuante, per altro verso il soggetto che riveste il duplice ruolo di mutuatario e di assicurato. A contribuire al bilanciamento delle contrapposte esigenze è arrivato da ultimo (ma soltanto in ordine cronologico) l’art. 28, co. 1, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito con l. 24 marzo 2012, n. 27. Pur facendo salvo quanto previsto dall’art. 183 del codice delle assicurazioni private (d’ora in poi: c.a.p.), contenente le regole di comportamento, e dalle relative disposizioni e delibere dell’Isvap di attuazione in materia di conflitto di
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interesse degli intermediari assicurativi, la norma ha previsto che, nel caso in cui condizionino l’erogazione di un mutuo immobiliare o di un credito al consumo alla stipulazione di un contratto di assicurazione sulla vita, le banche e gli altri intermediari finanziari sottopongono al cliente almeno due preventivi di due differenti gruppi assicurativi non riconducibili alle banche ed agli intermediari finanziari stessi. Il menzionato art. 28 aggiunge che il cliente è in ogni caso libero di scegliere sul mercato la polizza sulla vita più conveniente, che deve essere accettata dalla banca o dall’intermediario finanziario senza variare le condizioni per l’erogazione del mutuo immobiliare o del credito al consumo. Per completare il quadro normativo restituitoci dal citato art. 28, va detto che al co. 2 esso ha demandato all’Isvap la definizione dei contenuti minimi del contratto di assicurazione sulla vita richiamato dal co. 1. Come si avrà modo di precisare nel successivo paragrafo, l’Istituto di vigilanza è stato chiamato ad esercitare un potere che invero si inserisce nell’ambito più generale dei poteri di conformazione del contratto talvolta assegnati dalla legge alle Autorità di vigilanza di peculiari settori e che, nello specifico contesto assicurativo, trova un precedente negli artt.109, co. 4, d.lgs. 17 marzo 1995, n. 174, e 123, co. 4, d.lgs. 17 marzo 1995, n. 175, poi trasfusi più dettagliatamente nell’art. 185, co. 3, c.a.p. A mente di questa norma, l’Autorità di vertice assicurativa disciplina con regolamento1 il contenuto e lo schema della nota informativa che l’impresa di assicurazione consegna al contraente prima della conclusione del contratto, ed unitamente alle condizioni di assicurazione, in modo tale che siano tra l’altro previste le informazioni relative alle garanzie e alle obbligazioni assunte dall’impresa, alle esclusioni e alle limitazioni della garanzia, ai diritti e agli obblighi in corso di contratto e in caso di sinistro. Si tratta di un precetto normativo che ha indotto a ritenere la nota informativa, oltre che “un particolare momento dell’informazione precontrattuale”2, anche un “elemento essenziale di ogni singolo contratto per il fatto di costituire criterio di determinabilità, e […] di intelligibilità, dell’oggetto per l’assicurato”3. Il che, a ben
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Cfr. Regolamento Isvap 26 maggio 2010, n. 35. De Poli, Commento sub artt. 185-187, in Il codice delle assicurazioni private, a cura di Capriglione, Padova, 2007, II, 2, p. 228. 3 Gitti, Autorità indipendenti, contrattazione collettiva, singoli contratti, in L’autonomia privata e le autorità indipendenti. La metamorfosi del contratto, a cura di Gitti, Bologna, 2006, p. 95. 2
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riflettere, porta direttamente al tema più recente del contenuto minimo di quel particolare contratto di assicurazione che è la polizza abbinata ad un mutuo, come individuato dal Regolamento n. 40 che l’Isvap ha emanato il 3 maggio 2012, interamente incentrato sui contenuti minimi di tale contratto assicurativo. I rilievi che seguono sono dedicati precisamente a questi contenuti, sia per i profili di più stretta riconduzione al codice civile, sia per i risvolti che trovano una più compiuta disciplina nel codice delle assicurazioni private. A comporre la disciplina del contratto di assicurazione, infatti, è l’insieme delle regole recate dal codice civile e di quelle settoriali, circostanza questa che ha richiesto un’apposita disposizione di raccordo, rappresentata dall’art. 165 c.a.p. Peraltro, mentre la disciplina del codice civile contiene vistose deroghe alle regole che governano il contratto in generale, segnatamente ai principi propri del sinallagma contrattuale4, la disciplina del contratto recata dal codice delle assicurazioni private si muove spesso in linea con le opzioni esercitate dal legislatore, europeo prima e nazionale poi, in materia di contratti con i consumatori in generale, e di consumatori di servizi finanziari in particolare. A ciò si aggiunga che si tratta di un insieme di regole dal carattere talvolta dispositivo e che, nell’esercitare il potere di definizione del contenuto minimo del contratto attribuitole dal legislatore, l’Autorità di vertice del settore assicurativo ha in più di una circostanza sfruttato quei margini di manovra sul contenuto negoziale i quali – in assenza dell’attribuzione del potere ex art. 28 l. n. 27/2012 – risulterebbero invece assegnati alle parti del contratto. Come si avrà modo di segnalare nel corso dell’indagine, così è, in particolare, per alcune prestazioni assicurative, e per le relative limitazioni, per il diritto di recesso – profili che hanno costituito il terreno più fertile in cui l’Isvap ha potuto coltivare il contemperamento delle contrapposte esigenze dei soggetti coinvolti nella vicenda dell’abbinamento di una polizza assicurativa al mutuo – ma altresì per la stessa forma assicurativa, per i beneficiari o vincolatari della polizza, per l’estinzione anticipata e per il trasferimento del mutuo immobiliare. Mediante l’esame di questi profili – precisamente delle prestazioni cui
4 Così Farenga, Commento sub art. 179, in Il codice delle assicurazioni private, cit., p. 42. Sul sinallagma nel contratto di assicurazione, v. Corrias, Alea e corrispettività nel contratto di assicurazione, in La riforma societaria alla prova dei suoi primi dieci anni. Con riflessioni sul diritto cartolare e delle assicurazioni, Atti del Convegno di Venezia dei giorni 9 e 10 maggio 2014 in ricordo di Giulio Partesotti, a cura di de Angelis, Martina e Urbano, in corso di pubblicazione.
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è chiamata l’impresa di assicurazione – si tenterà peraltro di dimostrare che i peculiari bisogni dell’assicurato/mutuatario ne orientano le scelte in termini di allineamento al contenuto minimo fissato dall’Isvap ovvero di preferenza accordata ad una maggiore articolazione della polizza assicurativa che, come pure si vedrà, risulta possibile. Nel lavoro si proverà inoltre a segnalare come l’Isvap non abbia mancato l’occasione di provvedere ad una sorta di “ortopedia legislativa” con riguardo alle polizze collettive, inserendo nel loro contenuto minimo clausole che il codice delle assicurazioni private, senza che ve ne sia una reale ratio, prescrive vengano introdotte soltanto nei contratti individuali di assicurazione. Prima di proseguire nella disanima del contenuto minimo del contratto, va anche detto che, a poco più di due anni dalla sua emanazione, l’art. 28 l. n. 27/2012 è destinato ad andare incontro ad un processo di profonda rivisitazione, com’è provato dal testo del disegno di legge sulla concorrenza approvato dal Consiglio dei Ministri il 21 febbraio 2015: l’art. 255 del disegno di legge introduce infatti sensibili modifiche allo scopo di potenziare la trasparenza nella vendita di polizze assicurative accessorie a contratti di finanziamento e mutui. L’indagine che segue
5 Questo il testo della norma, rubricata “potenziamento della trasparenza nella vendita di polizze assicurative accessorie a contratti di finanziamento e mutui”: «All’articolo 28 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, sono apportate le seguenti modifiche: a) al comma 1, primo periodo, le parole «sulla vita» sono sostituite dalle seguenti: «, ovvero qualora l’offerta di un contratto di assicurazione sia contestuale all’erogazione del mutuo o del credito»; al secondo periodo, le parole «sulla vita», sono soppresse; b) dopo il comma 1 è aggiunto il seguente: «1-bis Nei casi di cui al comma 1, la mancata presentazione dei due preventivi comporta l’irrogazione da parte dell’IVASS, a carico delle medesime banche, degli istituti di credito e degli intermediari finanziari, di una sanzione in misura pari a quanto stabilito dall’articolo 324 del Codice delle assicurazioni private, di cui al, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni.». c) dopo il comma 3, sono aggiunti i seguenti: «3-bis. In ogni caso, le banche, gli istituti di credito e gli intermediari finanziari di cui al comma 1, sono tenuti ad informare il richiedente il finanziamento della possibilità prevista dal comma 1 di reperire sul mercato la polizza richiesta. In caso di offerta di polizza assicurativa emessa da società appartenente al medesimo gruppo, fatto salvo il comma 1, le banche, gli istituti di credito e gli intermediari finanziari sono tenuti ad informare il richiedente il finanziamento della provvigione percepita e dell’ammontare della provvigione pagata dalla compagnia assicurativa all’intermediario, sia in termini assoluti che percentuali sull’ammontare complessivo, in caso di polizza non abbinata a prodotto finanziario».
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non potrà dunque prescindere dai possibili futuri scenari – che tra l’altro rappresentano talora un tentativo di raddrizzare storture insite nell’attuale versione della disciplina – ma sarà fondamentalmente condotta alla luce degli assetti normativi vigenti, i quali costituiscono allo stato l’unico criterio di valutazione delle dinamiche interne ai rapporti che intercorrono tra i diversi attori che si muovono oggi sulla scena. Al riguardo, merita segnalare preliminarmente alcune questioni emerse già nel corso della pubblica consultazione anteriore all’emanazione del Regolamento Isvap n. 40/2012, una delle quali attiene alla portata da assegnare al contenuto minimo del contratto di cui all’art. 28, co. 2, l. 27/2012. In particolare, l’Ania aveva precisato di ritenere che i “contenuti minimi” di cui all’emanando Regolamento fossero strumentali al solo confronto tra i diversi preventivi sottoposti al cliente e che, una volta terminata la fase di confronto, dovesse poi essere riconosciuta una libera autonomia contrattuale nella definizione del contratto definitivo. L’associazione di categoria, inoltre, aveva chiesto che venisse chiarito se i contenuti minimi del contratto di assicurazione fossero da riferire esclusivamente alle polizze vita liberamente acquistabili sul mercato da parte del cliente (polizze che la banca sarebbe comunque obbligata ad accettare senza modificare le condizioni del finanziamento), e se la banca avesse invece la possibilità di proporre coperture differenti. All’interrogativo, già in sede di pubblica consultazione, l’Isvap aveva risposto chiarendo che i contenuti minimi individuati nella norma rappresentassero l’offerta base e fossero strumentali al confronto tra i diversi preventivi sottoposti al cliente, sia dalla banca che dagli altri intermediari assicurativi, e che, tuttavia, andava riconosciuta una libera autonomia contrattuale nella definizione del contratto definitivo qualora le condizioni proposte al cliente fossero migliorative rispetto ai contenuti minimi6. A tal proposito, nella relazione al Regolamento n. 40 si legge ora che “il Regolamento individua i contenuti minimi di tale contratto di assicurazione sulla vita con l’obiettivo di agevolare il consumatore nel confronto tra le offerte e nella ricerca della polizza più conveniente. I contenuti minimi rappresentano l’offerta contrattuale di base e sono strumentali al confronto tra i diversi preventivi sottoposti al cliente, che potrà scegliere di stipulare una polizza con condizioni di assicurazione di maggiore favore e più rispondenti alle proprie esigenze”. Partendo
6 Cfr. Isvap, Esiti per la pubblica consultazione, Roma, 3 maggio 2012, par. 2, in www. ivass.it.
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da questa puntualizzazione offerta dall’Autorità di vigilanza è possibile trarre argomento per concludere che le polizze sulla vita ben possono risultare più articolate, e quindi più costose rispetto a quelle del contenuto minimo; ed allora il contenuto minimo medesimo dovrà essere inteso come un limite inferiore al di sotto del quale non si dovrà scendere. Questo primo e sommario tour d’horizon non può chiudersi senza segnalare che dall’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 28 menzionato esulano allo stato le polizze assicurative contro i danni sottoscritte di frequente in abbinamento ad un mutuo immobiliare, quindi anche le polizze alla cui conclusione è talvolta condizionata l’erogazione del mutuo. La loro sottrazione all’obbligo del doppio preventivo, a cui invece sono soggette le polizze vita, risulta perciò stesso di non facile comprensione7, soprattutto alla luce di quel bilanciamento di contrapposti interessi ai quali si è già fatto un rapido cenno. D’altronde, la complessa vicenda rispetto alla quale l’art. 28 l. n. 27/2012 costituisce l’epilogo ha avuto inizio con precedenti interventi sia del legislatore sia del regolatore assicurativo i quali – in particolare allo scopo di evitare alla banca e all’intermediario finanziario il doppio ruolo di beneficiario ed intermediario della polizza – hanno comportato l’introduzione, pressoché coeva, nell’art. 21 c. cons., del co. 3-bis, a mente del quale “è considerata scorretta la pratica commerciale di una banca, di un istituto di credito o di un intermediario finanziario che, ai fini della stipula di un contratto di mutuo, obbliga il cliente alla sottoscrizione di una polizza assicurativa erogata dalla medesima banca, istituto o intermediario ovvero all’apertura di un conto corrente presso la medesima banca, istituto o intermediario”8; e nell’art. 48 del Regolamento emanato dall’Isvap il 16 ottobre 2006, n. 5 (concernente la disciplina dell’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa), del co. 1-bis, ad opera del Provvedimento n. 2946 del 6 dicembre 2011, norma con la quale si prevede che “gli intermediari comunque si astengono dall’assumere, direttamente o indirettamente, anche attraverso uno dei rapporti di cui al comma 1, primo periodo [rapporti di gruppo o rapporti di affari propri
7 In tal senso, ed in modo critico, Riva, Polizze connesse a mutui tra regolazione Isvap e “legislazione Monti”, in Assicurazioni, 2012, I, p. 277, ivi p. 289. 8 Il comma è stato inserito dall’art. 36-bis d.l. 6 dicembre 20111, n. 201 (c.d. Decreto “Salva Italia”), convertito nella l. 22 dicembre 2011, n. 214 (recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”), e successivamente emendato con l’introduzione della parte finale, relativa all’apertura di un conto corrente, dall’art. 28, co. 3, l. n. 27/2012.
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o di società del gruppo], la contemporanea qualifica di beneficiario o di vincolatario delle prestazioni assicurative e quella di intermediario del relativo contratto in forma individuale o collettiva”9. Come si evince dalla lettera della norma che si è preferito riportare, le disposizioni da ultime indicate abbracciano dunque un numero di polizze abbinate a mutui (cosiddette Credit Protection Insurance) ben più ampio rispetto a quello cui è destinato oggi l’art. 28 l. n. 27/2012, e sono volte a contrastare il fenomeno dei costi particolarmente elevati negli ultimi tempi sostenuti dai mutuatari che avevano stipulato una polizza di cui risultava intermediaria la banca mutuante che al contempo ne era anche beneficiaria. Tali costi talora si traducevano in provvigioni pari al 79% del premio pagato dal contraente per polizze abbinate a qualsiasi forma di finanziamento, come ha rivelato un’indagine condotta dall’Isvap10. Il disagio derivante dall’inafferrabilità della ratio alla base della scelta del legislatore di circoscrivere alle polizze vita l’ambito di applicazione della disciplina della presentazione del doppio preventivo viene comunque superato nel disegno di legge sulla concorrenza del febbraio 2015, mediante il quale si riscrive il co. 1 dell’art. 28 eliminando il riferimento esclusivo alle polizze sulla vita, che diventa riferimento alle polizze tout court. Peraltro, l’assetto complessivo della norma quale risulta a seguito degli emendamenti inseriti dal disegno di legge lascerebbe intendere de futuro (ma il condizionale è d’obbligo) un intervento dell’Autorità di vigilanza anche sul contenuto minimo dei contratti di assicurazione diversi da quelli sulla vita. Verrebbe invece inequivocabilmente esplicitata la sanzione amministrativa irrogata dall’Ivass nella misura fissata dall’art. 324 c.a.p. per il caso di mancata presentazione del doppio preventivo, colmandosi così un’attuale lacuna. Analogamente, dovrebbero essere superate le incertezze legate alla possibilità per la banca, una volta che abbia presentato i due preventivi richiesti dalla legge, di includerne altri provenienti da imprese di assicurazione appartenenti al suo stesso gruppo. Alla soluzione più restrittiva fondata sull’inopportunità di aprire “un varco a facili elusioni dello spirito della norma” 11, il disegno
9 La modifica è entrata in vigore il 2 aprile 2012. Per vero, l’Isvap era già intervenuto sul punto prevedendo l’introduzione di analoga norma interdittiva, tuttavia annullata dal TAR per carenza di un’adeguata pubblica consultazione: Riva, Polizze connesse a mutui, cit., p. 280. 10 In argomento v. Nitti, Commento sub art. 183, in Codice delle assicurazioni private, a cura di Al. Candian e Carriero, Napoli, 2014, p. 805. 11 Riva, Polizze connesse a mutui, cit., 291, secondo cui sarebbe altrimenti «chiaro il vantaggio persuasivo che potrebbe avere l’offerta (ancorché non “imposta”) rispetto a
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di legge preferisce la porta meno stretta (per le banche) della trasparenza, prevedendo che «in caso di offerta di polizza assicurativa emessa da società appartenente al medesimo gruppo, fatto salvo il comma 1, le banche, gli istituti di credito e gli intermediari finanziari sono tenuti ad informare il richiedente il finanziamento della provvigione percepita e dell’ammontare della provvigione pagata dalla compagnia assicurativa all’intermediario, sia in termini assoluti che percentuali sull’ammontare complessivo, in caso di polizza non abbinata a prodotto finanziario».
2. Il Regolamento dell’Isvap del 3 maggio 2012, n. 40 e i contenuti minimi del contratto di assicurazione sulla vita stipulato ai fini dell’erogazione di un mutuo immobiliare: profili di carattere generale; la forma del contratto e le prestazioni assicurative. Si è detto nel precedente paragrafo che il contenuto minimo del contratto fissato dall’Isvap va inteso come un limite inferiore al di sotto del quale non si potrà scendere. Viene allora preliminarmente da chiedersi quali sarebbero le conseguenze di un eventuale contenuto della polizza in esame che sia al di sotto di quello minimo individuato dall’Isvap. La risposta deve essere necessariamente articolata a seconda che il contenuto in questione sia quello della polizza liberamente scelta sul mercato dal cliente, ovvero quello del preventivo che la banca mutuante è obbligata a sottoporre al cliente stesso. Nel primo caso (polizza liberamente scelta dal cliente), il rimedio è previsto dallo stesso art. 28, co. 1, l. n. 27/2012 il quale – nel momento in cui obbliga il soggetto finanziatore ad accettare la polizza, senza variare le condizioni offerte per l’erogazione del mutuo, a condizione che la polizza rispetti i contenuti minimi – lascia intendere che il soggetto finanziatore può rifiutare invece la polizza quando essa non rispetti i contenuti minimi. Nel silenzio del legislatore, di più difficile soluzione è il problema che si pone per l’ipotesi in cui ad essere inferiore al minimo richiesto sia il contenuto della polizza oggetto del preventivo. Deve intanto escludersi che un qualche indizio – anche soltanto de futuro – possa essere ricercato nella sanzione amministrativa pecuniaria contemplata dal testo del menzionato art. 28, come modificato dal disegno di legge sulla concorrenza, che in re-
quelle di eventuali concorrenti, scelti discrezionalmente dallo stesso offerente».
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altà irroga quella sanzione nel caso di mancata presentazione del doppio preventivo. Pare invece più opportuno ricondurre la questione al tema più generale a cui si è accennato nel precedente paragrafo: quello delle conseguenze derivanti da una deviazione del contratto dal contenuto fissato nel provvedimento emanato da un’Autorità di regolazione nell’esercizio del potere conformativo attribuitole dalla legge12. Ed allora in questa sede non possono che richiamarsi – seppure in estrema sintesi e senza pretesa di esaustività – i risultati, invero non univoci, già raggiunti in dottrina. Così, fuori dalle ipotesi di specifiche previsioni legislative – che ricorrono in taluni settori, segnatamente in quelle bancario, dove la difformità dei contratti al contenuto tipico determinato dalla Banca d’Italia ne comporta la nullità, ex art. 117, co. 8., t.u.b.13 – si oscilla tra soluzioni differenti. In
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In argomento Macario, Autorità indipendenti, regolazione del mercato e controllo di vessatorietà delle condizioni contrattuali, in L’autonomia privata e le autorità indipendenti, cit., p. 206 ss.; Amadio, Autorità indipendenti e invalidità del contratto, in L’autonomia privata e le autorità indipendenti, cit., p. 217 ss. 13 Sin dall’emanazione del testo unico bancario, la norma ha suscitato dubbi di incostituzionalità, posto che essa lascia all’Autorità di vigilanza una discrezionalità così ampia circa la determinazione del contenuto tipico di atti negoziali da rischiare di collidere con il principio della riserva di legge di cui all’art. 41, co. 1 e 2, Cost.: così A. Nigro, La nuova normativa sulla trasparenza bancaria, in Dir. banc., 1993, p. 579 s. Si rammenta, inoltre, la difficoltà di inquadrare la natura del potere attribuito alla Banca d’Italia, com’è provato dall’adesione di alcuni autori alla teoria della «tipizzazione» (Buonocore, Riflessioni in margine al nuovo testo unico in materia bancaria e creditizia, in Banca, impr., soc., 1994, 182; Tidu, Trasparenza delle condizioni nei contratti bancari e finanziari, in Enc. giur. Treccani, XXI, Roma, 1994, 6; Nervi, Autorità amministrative e potere autoregolamentare nella predisposizione dei contratti. Riflessioni sull’art. 117, 8° comma, T.U. banc., in Banca e finanza tra imprese e consumatori, a cura di Guaccero e Urbani, Bologna, 1999, p. 254 ss.; Capobianco, I contratti delle banche: trasparenza ed equilibrio nei rapporti con la clientela, in Dir. banc., 2002, p. 212 ss.) e di altri a quella della meno pervasiva teroria della «connotazione» (De Nova, Trasparenza e connotazione, in Riv. trim dir proc. civ., 1994, p. 937; Lener, Il controllo amministrativo sulla correttezza dei comportamenti degli intermediari nei rapporti contrattuali con la clientela, in Fondamento, implicazioni e limiti dell’intervento regolamentare nei rapporti tra intermediari finanziari e clientela, nei Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza legale della Banca d’Italia, n. 49, Roma, 1999, p. 83; Morera, Contratti bancari (disciplina generale), in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, p. 168; Porzio, La disciplina generale dei contratti bancari, in I contratti delle banche, a cura di Angelici, Belli, Greco, Porzio e Rispoli Farina, Torino, 2006, p. 64, il quale parla di funzione essenzialmente «semantica»; Costi, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012, p. 725, a parere del quale il bene che si intende proteggere è l’uniformità dei linguaggi informativi). Altri ancora riconosce in subiecta materia alla Banca d’Italia poteri sia di tipizzazione, sia di connotazione, sia ancora di controllo
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particolare, vi è chi ha sostenuto la nullità del contratto, sub specie di nullità virtuale, mediante l’applicazione dell’art. 1418, co. 1, c.c. anche al caso di violazione di norme imperative di rango secondario14; chi ha ammesso la nullità del contratto per indeterminatezza del suo oggetto, seppure esclusivamente nell’interesse e a domanda del contraente “debole”15; e chi invece ha affermato l’inidoneità di simili norme ad entrare nell’autonomia negoziale, e quindi a provocare l’invalidità del contratto ove esse non siano rispettate16. Ed in quest’ultimo caso, al fine di tutelare il cliente in presenza di un contratto comunque valido anche se difforme dal contenuto fissato dall’Autorità di vigilanza, è stata prospettata altra soluzione, quella dei meccanismi rimediali quali la rinegoziazione delle condizioni contrattuali difformi, ed il riconoscimento al cliente del diritto potestativo ad un’integrazione successiva del contratto per l’ipotesi di omissione di alcune clausole invece contemplate dal provvedimento dell’Autorità di vigilanza 17. Venendo ora alle questioni specifiche connesse al contratto di assicurazione sulla vita avente il contenuto minimo fissato dal regolatore assicurativo, e rimanendo aderenti ad una prospettiva squisitamente de jure condito – nonostante i possibili futuri scenari che si sono segnalati – occorre intendersi sul significato stesso dell’espressione “contratto di assicurazione sulla vita”. Infatti, come noto, nell’ordinamento giuridico nazionale la nozione di contratto di assicurazione sulla vita (nonché di assicurazioni contro i danni) non si presta a riduzione ad unità: sulla definizione contenuta nell’art. 1882 c.c., nel quale centrale è l’assunzione di un rischio legato alla durata della vita umana – c.d. rischio demografico – si è innestato l’art. 2, co. 1, c.a.p., norma che elenca i rami delle assicurazioni sulla vita, i quali talora si presentano estranei al paradigma assicurativo descritto dal codice civile18.
successivo: Gitti, Autorità, cit., p. 99. 14 Sul punto v. Amadio, Autorità, cit., p. 224; contro questa impostazione si è espresso Ricciuto, Regolazione del mercato e «funzionalizzazione» del contratto, in Studi in onore di Giuseppe Benedetti, Napoli, 2008, III, p. 1627, il quale tende ad escludere l’imperatività della norme introdotte da un provvedimento dell’Autorità amministrativa chiamata a guidare il mercato verso interessi generali rilevanti. 15 In questa direzione, nel caso di nota informativa difforme o lacunosa rispetto al modello prescritto dall’Isvap ex art. 185, co. 3., c.a.p., propende Gitti, Autorità, cit., p. 95. 16 Orlandi, Autonomia privata e autorità indipendenti, in L’autonomia privata e le autorità indipendenti, cit., p. 87 17 Amadio, Autorità, cit., p. 231. 18 In tema si veda Corrias, La causa del contratto di assicurazione: tipo assicurativo
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Con particolare riguardo alle polizze collegate ai mutui immobiliari, va a tal proposito detto che, allo stato degli attuali dati di diritto positivo, e quindi alla luce sia dell’art. 1882 c.c. sia dell’art. 2 c.a.p., appare incontrovertibile l’estraneità all’ambito applicativo del testo vigente dell’art. 28 l. n. 27/2012 – o almeno a quello risultante dalla sua traduzione da parte dell’Isvap – delle polizze che, pure rientranti nei rami danni – sono lato sensu intese come assicurazioni della persona, benché non siano assicurazioni sulla durata della vita umana. Ci si riferisce alle polizze contro gli infortuni e le malattie, e alle polizze relative alle spese mediche, di cui all’art. 2, co. 3, c.a.p., la cui esatta collocazione sistematica, soprattutto in tema di infortuni e malattia, forma tuttora oggetto di un dibattito ancora in corso19. Non altrettanto può dirsi per le polizze del ramo vita IV dell’art. 2, co. 1, c.a.p., in altri termini, dell’assicurazione malattia e dell’assicurazione contro il rischio di non autosufficienza che siano garantite mediante contratti di lunga durata non rescindibili, per il rischio di invalidità grave dovuta a malattia o a infortunio o a longevità (Permanent Health Insurance). Mentre è indiscutibile che si tratti di un’assicurazione dei rami vita – in quanto inclusa nel relativo elenco – è da escludersi che sia un’assicurazione sulla durata della vita: il suo unico apprezzabile momento di convergenza con gli altri rami delle assicurazioni sulla vita – che d’altronde coincide con il suo momento di maggiore divergenza dalle analoghe assicurazioni dei rami danni – si coglie in particolare
o tipi assicurativi? in Riv. dir. civ., 2013, p. 41 ss., in part. p. 53 ss. Sostiene la neutralità della finalità perseguita dal contraente del contratto di assicurazione sulla vita di cui all’art. 1882 c.c. Volpe Putzolu, Le polizze linked tra norme comunitarie, Tuf e codice civile, in Assicurazioni, 2012, I, p. 399, spec. p. 407 s., secondo la quale «il postulato che il contratto di assicurazione sulla vita debba avere necessariamente una funzione “previdenziale” non trova alcun riscontro nella disciplina del codice civile […]. Può trattarsi di una finalità previdenziale, intesa come finalità di provvedere ai bisogni propri in caso di sopravvivenza ad una certa età o di provvedere ai bisogni dei beneficiari in caso di morte, ma da nessuna disposizione del codice civile è dato desumere che questa e soltanto questa sia la funzione del contratto […]. L’assicurazione sulla vita, in altre parole, si presta a soddisfare bisogni di natura diversa». 19 Così Frignani e Paschetta, Le polizze vita abbinate ai mutui immobiliari ed al credito al consumo, in Dir. e prat. fisc., 2012, p. 425, nt. 14. A proposito delle polizze contro gli infortuni e le malattie si è osservato che il loro inquadramento «nella categoria delle assicurazioni contro i danni deriva dal sistema del codice civile, che ignora la categoria delle assicurazioni di persone, e contrappone alle assicurazioni sulla vita tutte le assicurazioni nelle quali l’evento non attiene alla durata della vita»: Volpe Putzolu, Le assicurazioni. Produzione e distribuzione, Bologna, 1992, p. 152.
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con riferimento alla durata del rapporto, con conseguente applicabilità dell’art. 1924 c.c. sul mancato pagamento dei premi. Non trova invece applicazione l’art. 1925 c.c. dedicato al riscatto e alla riduzione della polizza, giacché il mancato pagamento del premio comporta sempre la risoluzione del contratto; d’altra parte, a giudizio di alcuni autori, anche rispetto ad altri profili opererebbe la disciplina dei contratti di assicurazione contro gli infortuni e la malattia, non già l’insieme delle regole che governano le assicurazioni sulla vita20. Ebbene, pur nell’incertezza classificatoria poco prima segnalata, una parte della dottrina intervenuta sul punto ha preferito propendere per l’operatività dell’art. 28 l. n. 27/2012 nei confronti delle PHI21. Nondimeno, indicazioni di segno differente paiono ricavarsi dal Regolamento n. 40: nel punto dedicato alla forma assicurativa (art. 1, co. 1, lett. a), l’Isvap ha precisato che dovrà trattarsi di un’assicurazione “temporanea per il caso di morte”, aggiungendo che la prestazione assicurativa si sostanza nel “pagamento, al verificarsi del decesso dell’assicurato prima della scadenza del contratto, di un capitale pari o in linea rispetto al debito residuo del mutuo immobiliare” (art. 1, co. 1, lett. b). Il Regolamento offre sul punto molteplici spunti di riflessione, ma innanzi tutto suggerisce di circoscrivere i contratti di assicurazione sulla vita genericamente menzionati nell’art. 28 più volte citato a quelli in cui rileva la durata della vita, segnatamente ai contratti di assicurazione sulla vita per il caso di morte che intervenga prima della scadenza del contratto di assicurazione, la durata del quale coincide con la durata del mutuo immobiliare (art. 1, co. 1, lett. d). Si è dunque in presenza di un contratto in cui, oltre alla durata della vita dell’assicurato, rileva il suo decesso prima che il mutuo sia estinto. Rimarrebbero quindi fuori dallo ratio sottesa alle polizze abbinate
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I rilievi riportati nel testo sono di Volpe Putzolu, Le assicurazioni, cit., 190 s. In argomento si veda inoltre Spolidoro, Commento sub art. 2, in La nuova disciplina dell’impresa di assicurazione sulla vita in attuazione della terza direttiva, a cura di Partesotti e Ricolfi, Padova, 2000, p. 62 ss., a parere del quale «l’inclusione delle polizze PHI nei rami «vita» […] può essere considerato un episodio della contaminazione fra gestioni vita e gestioni danni che, paradossalmente, l’ordinamento introduce proprio nel momento in cui vieta l’esercizio cumulativo delle assicurazioni sulla vita e delle assicurazioni contro i danni». A parere di altra parte della dottrina, tale contaminazione ha generato un disorientamento, soprattutto in mercati come quello italiano: Volpe Putzolu, L’evoluzione delle assicurazioni sulla vita: problemi giuridici, in Assicurazioni, 1997, I, p. 30. 21 Frignani e Paschetta, Le polizze, cit., p. 25, nt. 14.
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alla concessione di mutui – almeno al contenuto minimo delle polizze che formano oggetto dei due preventivi dei due differenti gruppi che la banca è obbligata a sottoporre al cliente – le assicurazioni per il caso morte a vita intera, giacché tutto quanto accadrà dopo l’estinzione del mutuo è in linea di principio alieno agli interessi del soggetto finanziatore. Naturalmente, la circostanza che si è appena segnalata non esclude a priori che il mutuatario “rilanci” con una polizza assicurativa alternativa ai preventivi, liberamente scelta sul mercato e di più ampia portata, atteso che – come si è già avuto modo di osservare – la diversa polizza in ipotesi prescelta dal cliente, se per un verso non deve offrire garanzie minori rispetto alla soglia minima che è stata fissata dall’Isvap, per altro verso ben può prevederne di maggiori: potrà così immaginarsi una polizza per il caso morte a vita intera, e più in generale una polizza avente una durata diversa da quella del mutuo, qualora richiesta dall’ente finanziatore e più rispondente alle esigenze del cliente22. Parimenti, non è da escludere l’estensione del rischio assicurato – e quindi la previsione di obblighi contrattuali anche al verificarsi di eventi ulteriori rispetto al decesso dell’assicurato – altresì da parte dell’impresa di assicurazione che rediga il contratto di assicurazione sulla vita sottoposto come preventivo al cliente. Vero è che, aumentando la durata del periodo di assicurazione, aumentano anche i rischi demografici assunti dall’impresa di assicurazione e corrispondentemente i premi da pagare: per conseguenza, viene da pensare che la più costosa scelta del mutuatario risponda a bisogni ulteriori rispetto all’esigenza di contrarre un mutuo, ad esempio alla volontà di offrire comunque ai beneficiari un capitale, anche se non più funzionale all’estinzione del debito residuo. Similmente, l’opzione del mutuante di sottoporre al cliente il preventivo di una polizza che copra un numero di rischi più ampio rispetto al caso morte potrebbe giustificarsi con la necessità di fronteggiare il pericolo dell’inadempimento dovuto a circostanze diverse dal decesso dell’assicurato. Ad ogni modo, in nessun caso i rischi diversi dal caso morte intervenuta prima dell’estinzione del mutuo potrebbero a questo sostituirsi, potendosi al più ad esso aggiungere. Continuando a scorrere l’elenco dei rami dell’assicurazione sulla vita di cui all’art. 2, co. 1, c.a.p., è possibile segnalare l’estraneità al contenuto minimo delle polizze oggetto dei due preventivi obbligatori delle assi-
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È quanto si legge nella relazione al Regolamento n. 40.
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curazioni per il caso sopravvivenza oltre una certa data, per l’assorbente ragione che la sopravvivenza dell’assicurato è evento di per sé inidoneo ad incidere sulla sua esposizione debitoria nei confronti del finanziatore, almeno inidoneo ad incidere al pari del suo decesso. Parimenti estranee alla logica sottesa all’art. 28 l. n. 27/2012 appaiono le assicurazioni di natalità e di nuzialità e le operazioni di gestione di fondi pensione, per motivi talmente evidenti da non richiedere peculiari rilievi; ed altresì le operazioni di capitalizzazione, perché difettano della convenzione relativa alla durata della vita (art. 179 c.a.p.)23, e che anzi sono ora qualificate come prodotti finanziari emessi dalle imprese di assicurazione, in ragione della loro natura di forme di investimento di natura finanziaria (art. 1, co. 1, lett. w-bis, t.u.f.)24.
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Per il contratto di capitalizzazione v. Antonucci, Capitalizzazione (contratto di) (voce), in Enc. giur., V, Roma, 1998, p. 1 ss.; A.D. Candian, I contratti di capitalizzazione, in Aa.Vv., I contratti del commercio dell’industria e del mercato finanziario a cura di Galgano, III, Torino, 1995, p. 2601 ss.; Gandini, Commento sub art. 40, in La nuova disciplina dell’impresa di assicurazione, cit., p. 381 ss.; Corrias, I contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, in Il nuovo codice delle assicurazioni, a cura di Amorosino e L. Desiderio, Milano, 2006, p. 145 ss.; Id., Commento sub art. 179, in Il codice delle assicurazioni private, cit., p. 145 ss.; Id., I contratti di assicurazione dei rami vita nel nuovo codice delle assicurazioni private, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, p. 238 ss.; Id., Previdenza, risparmio ed investimento nei contratti di assicurazione sulla vita, in Riv. dir. civ., 2009, p. 100 ss.: Id., Contratto di capitalizzazione e attività assicurativa, Milano, 2011, passim. 24 Sui prodotti finanziari emessi dalle imprese di assicurazione v. Corrias, Contratto, cit., p. 123 ss.; Costi, I prodotti finanziari emessi dalle banche e dalle imprese di assicurazione, in I prodotti finanziari bancari ed assicurativi (in ricordo di Gaetano Castellano), Milano, 2008, p. 11 ss.; Di Brina, La disciplina dei prodotti finanziari emessi da banche e da imprese di assicurazione, in Aa.Vv., La tutela del risparmio nella riforma dell’ordinamento finanziario, a cura di De Angelis e Rondinone, Torino, 2008, p. 363 ss.; Gobbo, Commento sub art. 25-bis, in Commentario T.U.F. Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni a cura di Vella, Torino, 2012, I, p. 302 ss.; Longo, La distribuzione di prodotti assicurativi: una regolamentazione ancora in itinere, in La distribuzione di prodotti finanziari bancari e assicurativi, a cura di Antonucci e Paracampo, 2008, p. 153 ss.; Miola, L’offerta fuori sede di prodotti finanziari assicurativi alla luce delle riforme del mercato finanziario: verso l’epilogo di una lunga contesa?, in Studi per Franco Di Sabato, Napoli, 2009, I, p. 467 ss.; Perrone, Distribuzione di prodotti finanziari emessi da banche e da imprese di assicurazione, in Disciplina dei mercati finanziari e tutela del risparmio, a cura di F.S. Martorano e De Luca, Milano, 2008, p. 257 ss.; Portolano, Commento sub art. 25-bis, in Il Testo unico della finanza, a cura di Fratini e Gasparri, Torino, 2012, I, p. 447 ss.; G. Romagnoli, Controllo e regole di collocamento dei prodotti assicurativi a carattere finanziario, in Nuova giur. civ. comm., 2007, II, p. 90 ss.; Salamone, Disposizioni regolamentari
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Tuttavia, per ragioni analoghe a quelle già viste, anche i rischi implicati dai rami dell’assicurazione sulla vita precedentemente indicati potrebbero essere coperti dalle polizze vita abbinate a mutui, senza però mai sostituire il rischio derivante dal caso morte, giacché rientrante nei contenuti minimi fissati dall’Isvap nel Regolamento n. 40. Segnatamente, la copertura assicurativa potrebbe riguardare la natalità e la nuzialità, ipotesi che, almeno in linea teorica, possono incidere sulla capacità di spesa dell’assicurato e dunque anche sulla sua capacità di pagare le rate del mutuo. Ritornando al punto di partenza del ragionamento, analoga estraneità – sempre da intendersi nel significato di non alternatività al caso morte – caratterizza a fortiori le PHI: gli eventi con esse assicurati non sono stati evidentemente percepiti dall’Autorità di vigilanza come rientranti tra quelli delle assicurazioni sulla vita in senso stretto, a conferma di quanto è emerso precedentemente, e cioè che – nel fissare il contenuto minimo della forma assicurativa – vi è stato un allineamento più allo schema assicurativo dell’art. 1882 c.c. che al paradigma disegnato dell’art. 2, co. 1, c.a.p. Per completare il novero delle assicurazioni dei rami vita di cui, appunto, all’art. 2, co. 1, c.a.p. ai fini della loro sussunzione nella fattispecie contemplata dall’art. 28, co. 1, l. n. 27/2012, viene ora da chiedersi se possano farsi rientrare nel contenuto minimo dei contratti cui si riferisce il legislatore del 2012 le polizze di ramo III, e cioè le assicurazioni le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni (c.d. Unit), ovvero a indici o altri valori di riferimento (c.d. Index), ovviamente quando si tratti di forme assicurative temporanee per il caso morte, con esclusione delle assicurazioni per i casi di sopravvivenza, di natalità e di nuzialità, come già detto aliene alla logica dell’art. 28 l. n. 27/2012, o almeno aliene se alternative alla polizza “temporanea per il caso morte”.
in materia di offerta al pubblico di sottoscrizione e di vendita di prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione, in Disciplina dei mercati finanziari e tutela del risparmio, cit., p. 167 ss.; Sampognaro e Siri, I prospetti di offerta dei prodotti finanziariassicurativi, in La regolazione assicurativa, a cura di Marano e Siri, Torino, 2009, p. 89 ss.; Siri, I prodotti finanziari assicurativi, Roma, 2013, passim. F. Bruno e Franza, Prodotti finanziari emessi dalle imprese di assicurazione e poteri della Consob in tema di vigilanza e trasparenza, in Assicurazioni, 2014, I, p. 3 ss. Sulla regola dell’adeguatezza si veda Carlevale, Il giudizio di adeguatezza nel collocamento di prodotti finanziari assicurativi, in Assicurazioni, 2011, I, p. 89 ss.
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La ratio sottesa all’abbinamento delle polizze vita ai mutui ipotecari suggerisce in linea di principio di rispondere alla domanda in termini negativi, in particolare perché la prestazione dell’impresa di assicurazione non può essere una variabile dipendente dal valore delle quote o dagli indici, come invece nelle Unit e nelle Index25: come in precedenza
25 Com’è stato osservato in dottrina, l’assicurato non può contare su una prestazione certa e determinata nell’ammontare, giacché partecipa al rischio di investimento, a meno che il contratto non preveda una garanzia minima, che tuttavia è solo eventuale: Volpe Putzolu, Le assicurazioni, cit., p. 47. La medesima dottrina ha tuttavia pure sostenuto il permanere del rischio demografico, cioè del «rischio dello scostamento dell’andamento demografico della popolazione assicurata dalla ipotesi demografica posta a base del calcolo del premio e delle somme assicurate»: ibidem, p. 172. Sotto altro profilo, va notato che, al verificarsi dell’evento attinente alla vita umana, l’assicuratore potrebbe non essere obbligato nei confronti dell’assicurato nel caso in cui il fondo (Unit) o l’indice (Index) non abbiano raggiunto nel corso del rapporto contrattuale un risultato positivo. Si possono spiegare così le ragioni per le quali altra parte della dottrina ritiene le Index e le Unit “sostanzialmente carenti di copertura del rischio demografico”: A. Gambino, La responsabilità e le azioni privatistiche nella distribuzione dei prodotti finanziari di matrice assicurativa e bancaria, in Assicurazioni, 2007, I, p. 195. Parimenti condivisibili sono i motivi che hanno indotto la stessa dottrina a ritenere i contratti del ramo vita III fuori dalla logica dell’assicurazione sulla vita in senso stretto, logica ricavabile dall’art. 1882 c.c. e che si connota per una ben diversa esigenza, dare sicurezza in relazione a “bisogni essenziali legati alla durata della vita umana”: A. Gambino, Note critiche sulla bozza del codice delle assicurazioni private, in Giur. comm., 2004, I, p. 1039. In argomento cfr. Stella Richter jr., L’attività di gestione del risparmio di banche e assicurazioni, in I contratti del mercato finanziario a cura di Gabrielli e Lener, II, 2004, Torino, p. 668, spec. nt. 11, il quale evidenzia l’estraneità alla tipica funzione assicurativa delle polizze Unit ed Index anche quando l’assicuratore assuma l’obbligo di restituzione del capitale o di un rendimento minimo; Miola, Il risparmio assicurativo, Napoli, 1988, p. 42 ss.; Volpe Putzolu, Le polizze Unit linked e Index linked, in Assicurazioni, 2000, I, p. 233 ss.; Spolidoro, Commento sub art. 2, cit., p. 56 ss. La natura finanziaria di tali operazioni era già stata sostenuta da A. Gambino, Mercato finanziario, attività assicurativa e risparmio previdenziale, in Giur. comm., 1989, I, p. 22 s.; Id., La prevenzione nelle assicurazioni sulla vita e nuovi prodotti assicurativo-finanziari, in Assicurazioni, 1990, I, p. 39; Id., Linee di frontiera tra operazioni di assicurazione e bancarie e nuove forme tecniche dell’assicurazione mista sulla vita a premio unico, in Assicurazioni, 1993, p. 160. Cfr. inoltre: Lemma, Commento sub art. 41, in Il codice delle assicurazioni private, cit., I, 1, p. 349 ss., spec. p. 351 ss.; Corrias, Previdenza, cit., p. 95 ss.: Piras, Le polizze variabili nell’ordinamento italiano, Milano, 2011, passim. Una particolare rilevanza assume inoltre la posizione su cui si è attestata una parte della giurisprudenza, incline ad escludere la pignorabilità e la sequestrabilità di cui all’art. 1923 c.c. delle polizze vita Index linked, in quanto la loro causa giuridica non è assicurativa: Trib. Parma, 10 agosto 2010, n. 1107, in Assicurazioni, 2010, II, 781 ss., in Dir. econ. ass., 2011, 710 ss., con nota Schettino, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 189 ss., con nota Palmentola, in Società, 2011, 55 ss.,
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affermato, essa deve essere invece pari o in linea rispetto al debito residuo del mutuo ipotecario. Detto in altri termini, nel caso specifico non può darsi la traslazione del rischio di investimento sul beneficiario, che invece – e come meglio si preciserà infra (par. 3) – necessita di una prestazione certa al verificarsi dell’evento dedotto in contratto. Tuttavia, non deve essere trascurato che le polizze del ramo vita III possono comprendere una garanzia di risultato dell’investimento o qualsiasi altra prestazione garantita (art. 41, co. 4, c.a.p.). Dunque, ove la polizza prevedesse che la prestazione garantita coincide con un capitale assicurato pari o in linea rispetto al debito residuo del mutuo immobiliare, sarebbe possibile concludere per la riconducibilità delle polizze Unit ed Index “garantite”, nei modi appena descritti, alla fattispecie inquadrata dall’art. 28 l. n. 27/2012. Verosimilmente una simile polizza sarà quella, alternativa alle polizze che formano oggetto dei preventivi, prescelta dal mutuatario, il quale potrebbe trovare più rispondente al suo profilo previdenziale stipulare un contratto di assicurazione che impegni l’impresa di assicurazione a corrispondere al beneficiario comunque – ed indipendentemente dal rendimento del fondo o dall’andamento dell’indice – un capitale pari o in linea rispetto al debito residuo del mutuo ipotecario alla sua morte, e al tempo stesso l’eventuale differenza derivante da una performance particolarmente positiva della quota o dell’indice di riferimento. Ancora una volta, a suggerire al mutuatario la scelta di una simile polizza sarebbero esigenze che travalicano i bisogni legati alla concessione del mutuo, e che dunque giustificano la preferenza accordata ad un prodotto assicurativo verosimilmente più costoso. Deve però anche ammettersi che una polizza di ramo vita III per il caso morte con una garanzia di risultato non inferiore al debito residuo dell’assicurato sia frutto della discrezionalità dell’impresa di assicura-
con nota Guffanti, in Resp. civ. prev., 2011, 868 ss., con nota Bugiolacchi, in Giur. it., 2011, 1560 ss., con nota Gobio Casali. Per una più ampia rassegna giurisprudenziale in tema di Index linked v. Bet, Le linked life policies, in Società, 2012, p. 318 ss.; Siclari, Bancassurance e contrattualistica di settore, in I contratti dei risparmiatori, a cura di Capriglione, Milano, 2013, p. 433 ss. Si segnalano due più recenti sentenze che affermano la natura finanziaria delle polizze Unit ed Index linked: Trib. Roma, 21 giugno 2013 e Trib. Siracusa, 17 ottobre 2013, in Assicurazioni, 2013, II, p. 733, con nota di Riva. Sui profili concorsuali dei contratti di assicurazione sulla vita, soprattutto in tema di applicabilità dell’art. 1923 c.c., si veda Siri, Rischio finanziario, assicurazione sulla vita ed esclusione del patrimonio fallimentare, in Giur. comm., 2014, I, p. 613 ss.
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zione che predispone il preventivo da sottoporre poi al mutuatario. Ciò che invece va comunque escluso è la possibilità che, in ipotesi di performance negativa del fondo o dell’indice, questa si riverberi sul debito residuo del mutuo.
3. Segue: le limitazioni della prestazione, la durata del contratto, la periodicità del pagamento del premio ed i costi su di esso gravanti. Sono stati esaminati supra (par. 2) taluni profili relativi alla forma e alle prestazioni assicurative, innanzi tutto al fine di intendere correttamente il significato da assegnare all’espressione “contratto di assicurazione sulla vita” di cui all’art. 28 l. n. 27/2012. Un’analisi a tutto tondo anche di altri profili si presenta tuttavia funzionale ad una piena comprensione della portata della Regolamento dell’Isvap n. 40. Si è già detto che l’art. 1 del Regolamento individua la forma assicurativa della temporanea per il caso di morte a capitale decrescente in presenza di un piano di ammortamento, oppure a capitale costante per il credito al consumo che non prevede un piano di ammortamento predefinito (si pensi alle carte di credito revolving). Come si è già avuto modo di vedere (par. 2), è possibile in ogni caso per il cliente stipulare una polizza che preveda condizioni diverse e maggiormente rispondenti ai propri bisogni, e a tal proposito la relazione al Regolamento reca l’esempio di un capitale costante che offra agli eredi un surplus rispetto a quanto dovuto per l’estinzione del debito residuo. Si è inoltre in precedenza ricordato che la prestazione assicurativa base dovuta in caso di decesso dell’assicurato deve essere pari o in linea con il debito residuo del mutuo immobiliare o del credito al consumo (art. 1, co 1, lett. b), Regolamento). Come è dato leggere nella citata Relazione, la previsione di un capitale assicurato “in linea” con il – non già equivalente al – debito residuo del finanziamento è stata introdotta per tener conto di forme di ammortamento del debito residuo non perfettamente coincidenti con il piano di ammortamento del capitale offerto dalla polizza di assicurazioni sulla vita, definito al momento dell’emissione del contratto. L’art. 1, co. 1, lett. b), Regolamento prevede poi che, oltre all’erogazione del capitale per il caso della morte dell’assicurato, la polizza possa offrire – qualora nel periodo intercorrente tra la data di comunicazione del decesso e la liquidazione del capitale (periodo necessario alla gestio-
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ne amministrativa), vengano a scadenza delle rate del mutuo o del credito al consumo – l’immediata liquidazione di tali rate, salvo successivo conguaglio in sede di liquidazione definitiva. In tal modo, si consente di offrire ai beneficiari una risposta alle più immediate esigenze che seguono il decesso dell’assicurato/debitore26. Ulteriori rilievi si impongono alla luce delle previsioni contenute nel Regolamento n. 40 dedicate alle limitazioni della prestazione, alla durata del contratto, nonché alla periodicità del pagamento del premio e ai costi su di esso gravanti. a. Le limitazioni della prestazione. Le limitazioni della prestazione costituiscono un terreno a cui le imprese di assicurazione sono estremamente sensibili, posto che quanto più numerose sono le ipotesi al verificarsi delle quali la prestazione assicurativa è dovuta tanto maggiori risultano i costi assicurativi – tra cui spiccano i costi di riassicurazione – e conseguentemente i premi, con inevitabili ricadute di ordine economico sul contraente della polizza individuale ovvero sull’assicurato che aderisca ad una polizza collettiva. Per questa ragione, in fase di pubblica consultazione, talune imprese di assicurazione, ma altresì l’Associazione nazionale di categoria (Ania), hanno avanzato la richiesta di poter continuare a prevedere le limitazioni generalmente presenti sul mercato assicurativo delle polizze temporanee caso morte, ed inoltre le limitazioni legate alla professione e all’attività sportiva dell’assicurato. Se confrontata con la versione oggetto di pubblica consultazione, quella definitiva del Regolamento rappresenta dunque il punto di equilibrio tra le istanze del mondo assicurativo, volte a circoscrivere le garanzie minime da prevedere nei preventivi, e la necessità di evitare eccessive limitazioni della prestazione assicurativa, che avrebbero potuto finire con lo snaturarne la funzione “ancillare” rispetto al mutuo. Così, nella definizione delle limitazioni della prestazione, il Regolamento n. 40 riprende in taluni passaggi le disposizioni generali dettate dal codice civile in materia di contratto di assicurazione, per poi però, almeno in parte, discostarsene. In particolare, nel momento in cui si precisa che il rischio di morte viene coperto qualunque ne sia la causa, senza limiti territoriali, e che nondimeno la garanzia è esclusa nell’ipotesi di
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Così ancora la Relazione al Regolamento Isvap n. 40.
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decesso causato da dolo del contraente, dell’assicurato o dei beneficiari, il Regolamento a tutta prima altro non fa che applicare il principio sancito dall’art. 1900, co. 1, c.c. E tuttavia, a ben guardare, al tempo stesso ne riscrive la portata applicativa, nella parte di carattere dispositivo. Mentre infatti la norma codicistica rimette all’autonomia contrattuale (“salvo patto contrario”) la facoltà di prevedere l’obbligo dell’assicuratore anche in caso di sinistri cagionati da colpa grave del contraente, dell’assicurato, o del beneficiario, il Regolamento chiarisce che la garanzia assicurativa è esclusa soltanto nell’ipotesi di decesso causato da dolo, id est nel caso in cui l’art. 1900 c.c. è inderogabile, rendendo così contrattualmente indefettibile quanto per converso nella disciplina di diritto comune è frutto dell’autonomia contrattuale. Pare in tal modo doversi imporre alle parti del contratto di assicurazione di prevedere l’obbligo per l’impresa di assicurazione di adempiere la prestazione anche in caso di decesso dell’assicurato, verificatosi prima della scadenza del contratto di mutuo nonostante sia causato da colpa grave del contraente, dell’assicurato stesso e dei beneficiari. Il rovesciamento della prospettiva in cui si muove il codice covile è manifesto: in altri termini, l’Isvap si è sostituito ai contraenti nella valutazione dell’opportunità del patto contrario – che rientra così nel contenuto minimo della polizza – secondo la tecnica di etero-determinazione del contenuto del contratto – alla quale sono stati dedicati alcuni rilievi nel par. 2 – già ampiamente sperimentata in altri ambiti disciplinari caratterizzati dal ruolo preponderante dell’Autorità di vertice del settore27. Fissando il contenuto minimo della polizza, l’Isvap ha però ritenuto di conservare in capo all’autonomia dei contraenti l’opzione relativa all’inserimento della clausola che obbliga l’impresa di assicurazione sin dalla data della stipulazione del contratto all’adempimento della prestazione
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Soltanto a titolo esemplificativo, si vedano – in aggiunta a quanto rilevato nel par. 2 – le Istruzioni della Banca d’Italia in materia di statuti delle banche, dove le “ragioni” della vigilanza incidono sull’autonomia statutaria: in argomento, Costi, Governo delle banche e potere normativo della Banca d’Italia, in Giur. comm., 2008, I, p. 1270 ss.: Vella, Il nuovo governo societario delle banche nelle disposizioni di vigilanza: spunti di riflessione, ivi, p. 1276 ss. Sul tema specifico del contratto di assicurazione come strumento di regolazione giuridica del mercato, v. Caleo, Polizze assicurative connesse ai mutui e garanzia del credito, in Obbl. e contr, 2012, p. 767 ss.; sul tema più generale del sindacato sugli atti di autonomia privata, v. M. Barcellona, I nuovi controlli sul contenuto del contratto e le forme della sua eterointegrazione: Stato e mercato nell’orizzonte europeo, in Europa e dir. priv., 2008, p. 33 ss.
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quando il decesso sia provocato dal suicidio dell’assicurato. Come noto, l’art. 1927 c.c. limita temporalmente la regola fissata dall’art. 1900 c.c. stabilendo che, in caso di suicidio dell’assicurato, l’impresa di assicurazione non è tenuta al pagamento delle somme assicurate soltanto se il suicidio si verifichi nei primi due anni dalla conclusione del contratto, ma fa salvo il patto contrario, mediante il quale disporre appunto che l’assicuratore assuma il rischio da suicidio dell’assicurato anche quando non siano ancora decorsi i due anni. Nel caso specifico, l’Isvap ha quindi evitato di obbligare le imprese di assicurazione che commercializzino i prodotti vita di cui al Regolamento n. 40 all’esecuzione della prestazione assicurativa anche quando l’assicurato si dia la morte prima che siano decorsi i due anni dalla stipulazione del contratto di assicurazione individuale o dall’adesione alla polizza collettiva, rimettendo invece, in chiave concorrenziale, la scelta alla libera (o negoziata con la controparte) determinazione delle compagnie assicurative. Se per un verso – e per i motivi poc’anzi precisati – appare incontrovertibile che i preventivi da sottoporre al cliente contemplino il patto contrario ex art. 1927, co. 1, c.c., per altro verso viene da chiedersi se possano nel caso in esame le parti estendere temporalmente il patto contrario sino a prevedere l’esclusione radicale del rischio da suicidio, dunque anche ove successivo al decorso dei due anni, come è stato pure sostenuto da quanti dimostrano di propendere per una lettura estensiva dell’art. 1927 c.c.28. Stando alla lettera del Regolamento – il tenore del quale sembra sul punto categorico – parrebbe doversi negare che quest’ultima clausola trovi spazio nell’ambito delle polizze abbinate ai mutui, sia in termini di contenuto dei due preventivi obbligatori, che – come visto – può risultare soltanto più articolato (e quindi più costoso) rispetto a quello minimo, sia in termini di contenuto delle diverse polizze liberamente scelte dal cliente sul mercato, che possono sì contenere condizioni di assicurazione di maggior favore per il cliente e diverse rispetto ai contenuti minimi del Regolamento – i quali rappresentano l’offerta contrattuale di base e sono funzionali al confronto tra i diversi preventivi sottoposti al cliente – non invece prevedere condizioni di polizza che non rispettino i contenuti minimi contrattuali di cui al Re-
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Salandra, Dell’assicurazione, in Comm. cod. civ,. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1960, p. 393; conf. Barison e Gagliardi, Dell’assicurazione sulla vita. Commento sub art. 1927, in Il Codice Civile. Commentario fondato e già diretto da Schlesinger, continuato da Busnelli, Milano, 2013, p. 162.
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golamento dell’Isvap. Se quanto affermato ha un fondamento, dovrebbe riconoscersi che, ancora una volta, l’intervento dell’Autorità di vigilanza ha determinato una compressione dell’autonomia contrattuale dei privati: d’altronde, limitare la prestazione dell’impresa di assicurazione sino ad escludere sempre il suicidio dalla copertura assicurativa, se per un verso renderebbe la polizza più economica, per altro verso potrebbe privare il soggetto finanziatore di una delle garanzie su cui ha verosimilmente fondato l’opportunità del finanziamento. Riaffiora così la logica del bilanciamento di antitetici interessi, dalla quale l’intero Regolamento n. 40 è attraversato. Un’ulteriore ipotesi in cui è ammessa l’esclusione dalla garanzia è il decesso dovuto a rischi catastrofali che – com’è dato leggere negli esiti della pubblica consultazione – è stata introdotta allo scopo di tenere conto delle esigenze rappresentate dalle imprese di assicurazione in tema di riassicurazione. In altri termini, sull’interesse del mutuante a fare affidamento comunque sulla prestazione dell’impresa di assicurazione in caso di decesso del mutuatario, quale che ne sia la causa, ha fatto premio la possibilità per assicuratore di offrire polizze che non comportino gli ingenti costi riassicurativi derivanti dalla copertura di rischi – peraltro destinati ad aumentare rispetto a quelli contemplati dall’art. 1912 c.c.29 – che la singola impresa di assicurazione è difficilmente in grado di sopportare30. Naturalmente, l’esclusione della garanzia per il caso di rischi catastrofali prevista dal Regolamento n. 40 non ne impedisce l’inclusione
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Com’è stato osservato in dottrina, con una clausola divenuta di stile nei vari rami di assicurazione di beni o di persone, le polizze sono solite ormai escludere i rischi connessi anche ai fenomeni nucleari: Bottiglieri, Dell’assicurazione contro i danni. Commento sub art. 1912, in Il Codice Civile. Commentario fondato e già diretto da Schlesinger, continuato da Busnelli, cit., p. 204. Sulla sempre maggiore frequenza dei rischi catastrofali v. Coviello, Le coperture assicurative contro il rischio di calamità naturali, in Assicurazioni, 2014, I, p. 221 ss. Per una classificazione dei rischi catastrofali risalente agli anni cinquanta del secolo scorso si veda Donati, Trattato del diritto delle assicurazioni private, Milano, 1956, III, p. 261 ss. 30 Merita ricordare in proposito che l’esigenza di assicurare rischi per i quali la copertura che le singole imprese di assicurazione sarebbero in grado di offrire risulterebbe insufficiente può giustificare le esenzioni di cui all’art. 101, par. 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea in relazione a talune categorie di accordi, decisioni e pratiche concordate nel settore delle assicurazioni: v. Regolamento UE n. 26/2010 della Commissione del 24 marzo 2010. Sulla nozione di “intesa” tra imprese di assicurazione ex art. 101 TFUE si veda Frigessi di Rattalma, Lo scambio di informazioni nel settore assicurativo, in Aa.Vv., La disciplina della concorrenza in ambito assicurativo, a cura del medesimo, Torino, 2014, p. 1 ss.
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da parte dell’impresa di assicurazione che predisponga il preventivo o di altra impresa cui il cliente si rivolga: ancora una volta, la facoltà rimessa alle parti di superamento del contenuto minimo fissato dall’Isvap è idonea ad innescare un meccanismo concorrenziale tra compagnie di assicurazione, che è d’altra parte l’ulteriore obiettivo perseguito dal legislatore e conseguentemente dall’Autorità di vigilanza. b. La durata del contratto Come si è già detto in più occasioni, il Regolamento n. 40 dell’Isvap prevede che la durata della polizza sia pari alla durata del mutuo immobiliare o del credito al consumo. A questo proposito, dal documento contenente gli esiti della pubblica consultazione affiora l’interrogativo circa la possibilità che vengano accettate polizze di assicurazione sulla vita con una durata inferiore – potendosi la banca accontentare di tutelare il credito nella fase iniziale, quando il debito residuo è più elevato (così l’Ania) – ma anche polizze di durata superiore. La soluzione accolta si muove more solito all’insegna dell’opportunità di individuare il punto di equilibrio tra contrapposti interessi, come sottolineato nella relazione al Regolamento, segnatamente nel passaggio, in parte già riportato, in cui si legge che: «per quanto riguarda la durata si prevede che il contratto assicurativo debba avere di base una durata pari a quella del mutuo o del credito al consumo. Al fine di consentire la più ampia scelta per il consumatore, si prevede che la durata del contratto assicurativo possa essere anche inferiore o superiore a quella del mutuo o del credito al consumo. Nel preventivo andrà indicata, a fini di confrontabilità, una durata del contratto assicurativo pari alla durata del finanziamento. Il cliente potrà in ogni caso scegliere, qualora richiesta dall’ente finanziatore e più rispondente alle proprie esigenze, una durata diversa». Non è invece stata accolta l’istanza, avanzata sempre dall’Ania, di contemplare anche una polizza stipulata in un secondo momento: a parere dell’Isvap, si tratta infatti di fattispecie che esula dal raggio di azione dell’art. 28 l. n. 27/2012, il quale riguarda i casi nei quali gli enti finanziatori condizionano l’erogazione del finanziamento alla sottoscrizione di una polizza di assicurazione sulla vita. L’argomento offerto dall’Autorità di vigilanza poggia sul presupposto che il condizionamento – da non confondersi con l’obbligo31 – implichi la contemporaneità della conclu-
31 Si veda sul punto Caleo, Polizze, cit., 774 s., il quale rileva come «non possa sfuggire al giurista la sostanziale differenza tra la previsione dell’obbligatorietà
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sione del contratto di mutuo e della polizza, mediante la quale – come già notato – rispondere all’esigenza del finanziatore di tutelare il credito nella fase iniziale, contraddistinta da un debito residuo più elevato in ragione di un piano di ammortamento a capitale decrescente. Così, quanto consentito a condizione che vi sia simultaneità – durata della polizza inferiore a quella del mutuo – è escluso ove la polizza sia successiva, anche se di durata non inferiore a quella residua del mutuo. Tuttavia, la questione che si è appena toccata è destinata ad essere incisa dal testo dell’art. 28 l. n. 27/2012 contenuto nel disegno di legge sulla concorrenza del febbraio 2015, il quale pare porre ora sullo stesso piano sia il condizionamento dell’erogazione del mutuo alla stipula di una qualsivoglia polizza (quindi, come già visto, anche di una polizza contro i danni) sia l’offerta di un contratto di assicurazione (anche qui genericamente inteso) contestuale all’erogazione del mutuo. Sul punto, sembra dunque potersi affermare che in futuro la mera contestualità tra erogazione del mutuo o del credito e offerta della polizza assicurativa obbligherebbe le banche al doppio preventivo, indipendentemente dal ricorrere della situazione di condizionamento. L’innovazione mirerebbe a colpire soprattutto la prassi emersa a seguito di un’indagine condotta dall’Ivass, ed invalsa presso le banche, di proporre “pacchetti” che contengono – oltre al contratto bancario – garanzie assicurative aggiuntive, perlopiù dei rami danni ma talvolta anche vita, e che nella gran parte dei casi vengono sottoscritte automaticamente dal consumatore insieme con il servizio bancario32.
di una pattuizione negoziale ovvero il semplice condizionamento di fatto che non sia calato in una prescrizione vincolante nel contenuto contrattuale» e come, tuttavia, in un settore quale quello creditizio, fondamentale per la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, il comportamento consistente nella subordinazione di fatto della concessione del credito alla stipula di altro contratto appare potenzialmente in grado di ostacolare l’effettività dell’accesso al credito quale strumento per la crescita e il funzionamento del sistema economico. Si giustifica, così, un’esigenza di regolazione per evitare che semplici prassi, che riflettono situazioni di mercato, possano inficiare il corretto funzionamento dei meccanismi di erogazione del credito e mettere a repentaglio la soglia di liquidità minima da garantire all’economia reale. Lo stesso autore ricorda almeno un caso di obbligatorietà, quello delle polizze previste dall’art. 54 d.p.r. n. 190/1950 collegate ai contratti di cessione del quinto dello stipendio: Caleo, Polizze, cit., 771. 32 Si veda Ivass, Indagine conoscitiva sulle polizze abbinate a prodotti e servizi di natura non assicurativa. Sei assicurato e forse non lo sai, in www.ivass.it. L’indagine è stata avviata il 31 ottobre 2013 e si è conclusa il 1° marzo 2014.
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c. La periodicità del pagamento del premio ed i costi su di esso gravanti. Nella parte dedicata alla periodicità del premio, il Regolamento n. 40 rivela la rinuncia dell’Isvap a limitare l’autonomia contrattuale delle parti, che dunque sul punto sembra potersi riappropriare degli spazi previsti dalla disciplina di diritto comune, come visto di contro compressa rispetto ad altri profili del rapporto assicurativo. Si legge infatti nel documento relativo agli esiti della pubblica consultazione che “sulla base dei commenti ricevuti e tenuto conto dei vantaggi e degli svantaggi delle due forme di pagamento, si rimette all’autonomia delle parti la relativa scelta”. L’opzione si è tradotta nella facoltà di pagare sia un premio unico anticipato sia un premio annuo, con possibilità di rateazione ed indicazione dei relativi costi (art. 1, lett. f). Gli svantaggi più evidenti delle due modalità di pagamento cui allude l’Autorità di vigilanza si sostanziano, per l’ipotesi del pagamento di un premio annuo, nel rischio – paventato dall’Abi – che qualora il cliente scelga il pagamento rateizzato e non paghi il premio, la banca o l’intermediario finanziario, che inizialmente avevano condizionato l’erogazione del finanziamento alla stipulazione della polizza, assistano al venir meno del requisito sul quale hanno fondato l’erogazione del credito. Nel caso del premio unico, il rischio – assai frequente nella prassi – è che il suo importo vada ad aggiungersi alla somma erogata aumentando i costi complessivi dell’operazione per effetto della sua incidenza sull’entità degli interessi. Quanto ai costi gravanti sul premio, prevedendo l’indicazione dell’ammontare di quelli che nel corso della durata contrattuale sono sostenuti dal cliente, con evidenza dell’importo percepito dall’intermediario, l’art. 1, lett. f) del Regolamento n. 40 rinvia invero implicitamente a quanto già disciplinato da altro Regolamento, il n. 35/2010, segnatamente dal suo art. 50 in tema di trasparenza dei costi. Il co. 2 dell’ultima norma menzionata dispone infatti che «nella polizza dei contratti individuali connessi a mutui e ad altri finanziamenti ovvero nel modulo di adesione dei medesimi contratti in forma collettiva, l’impresa indica l’ammontare dei costi effettivamente sostenuti dal contraente ovvero dal debitore/assicurato con l’evidenza dell’importo percepito dall’intermediario. Restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 4 comma 8 e all’articolo 30 comma 8». A quanto può agevolmente ricavarsi dalla lettura della previsione, conviene aggiungere soltanto che nel Regolamento n. 40 si è preferito il sostantivo “cliente”, che dunque sta per “contraente” nel caso di polizza individuale, ovvero di “debitore/assicurato” nell’ipotesi di adesione ad una polizza collettiva rispetto alla quale il soggetto finanziatore sarà verosimilmente contraente.
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4. Segue: modalità di verifica dello stato di salute del cliente e periodo di “carenza”. Muovendo dalla premessa che i costi della visita medica possono essere un elemento competitivo, da esplicitare con chiarezza, l’Isvap richiede che i preventivi da sottoporre al cliente indichino i casi in cui è richiesta la visita medica, con i relativi costi a carico dell’impresa di assicurazione e/o del cliente, e precisino inoltre le ipotesi in cui l’accertamento dello stato di salute può avvenire mediante la compilazione di un questionario anamnestico (art. 1, lett. g), Regolamento n. 40). Non è stata dunque accolta la proposta che talune associazioni di categoria (in particolare, Adiconsum) avevano avanzato durante la fase della pubblica consultazione, e volta a porre comunque a carico dell’impresa che ravvisi l’opportunità di ulteriori accertamenti medici i relativi costi, in quanto derivanti dall’esigenza di autotutela dell’impresa stessa. Come accennato, si è optato per una diversa impostazione: quella dell’evidenza da dare, nei due preventivi obbligatori, dei fattori concorrenziali che possono rendere più conveniente la polizza offerta: tra questi fattori è possibile includere, appunto, l’assenza di visita medica, o in caso di visita medica33, l’assenza di costi per il cliente. Un ulteriore fattore idoneo ad innescare un processo concorrenziale tra imprese di assicurazione, con evidenti benefici effetti per il cliente, è il periodo di carenza che, in termini tecnici, è il tempo che intercorre fra la data di stipulazione del contratto e l’effettiva validità delle garan-
33 È appena il caso di ricordare che nel caso specifico – ove la polizza abbinata al mutuo sia individuale – non trova applicazione l’art. 1887 c.c., secondo cui la proposta scritta diretta all’assicuratore rimane ferma per il termine di trenta giorni. Trova invece applicazione l’art. 176 c. a.p., che ne prevede la revocabilità, riaffermando così il principio generale di cui è espressione l’art. 1328 c.c. Come osservato in dottrina, la deroga alla regola di cui all’art. 1887 c.c. si spiega alla luce della possibilità accordata dall’art. 177 c.a.p. al contraente di un contratto di assicurazione sulla vita di recedere entro trenta giorni dal momento in cui ha ricevuto comunicazione che il contratto è concluso: Frigessi di Rattalma, Commento sub art. 16, in L’attuazione della liberà di prestazione di servizi nell’assicurazione sulla vita. Commentario a cura di Partesotti, in Nuove leggi civ. comm., 1994, p. 1334; De Poli Commento sub artt. 109-112, in La nuova disciplina dell’impresa di assicurazione sulla vita, cit., p. 878; Corrias, I contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione (artt. 176-181), in Il nuovo codice delle assicurazioni. Commento sistematico, cit., p. 347 ss.; Corrias, Commento sub art. 176, in Commentario breve al diritto delle assicurazioni diretto da Volpe Putzolu, Padova, 2013, p. 679.
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zie relative ad alcuni eventi. A tal proposito, va detto che, ove sia prevista la visita medica, secondo il Regolamento n. 40 deve essere escluso qualunque periodo di carenza, ammesso invece negli altri casi, e comunque per una durata mai superiore a novanta giorni dalla decorrenza della copertura assicurativa. Ancora una volta l’Isvap ha individuato una soluzione di compromesso tra la posizione su cui si attestavano le associazioni dei consumatori – che nel corso della pubblica consultazione chiedevano di porre un freno alla prassi contrattuale del periodo di carenza34 – e quella espressa dalle imprese di assicurazione, le quali di contro premevano nel senso di un allineamento alle prassi del mercato assicurativo35. A maggiore tutela del cliente, l’Isvap ha comunque previsto il pagamento integrale della prestazione assicurativa in caso di decesso durante il periodo di eventuale carenza dovuto ad eventi particolari, quali l’infortunio, la malattia infettiva acuta o lo shock anafilattico36. Viene dunque da pensare che si tratti di ipotesi al di sotto delle quali né le polizze confezionate dalle imprese di assicurazione come preventivi da sottoporre al cliente né le eventuali ed alternative polizze presentate dal cliente possano scendere, e che pertanto su questo terreno la concorrenza delle imprese di assicurazione si giochi
34 Altroconsumo e Adiconsum chiedevano di eliminare o limitare a non più di sessanta giorni il periodo di carenza. 35 ANIA riteneva che fissare in novanta giorni il periodo di carenza fosse eccessivamente ristretto, specialmente per patologie che potrebbero essere state già contratte prima della decorrenza ma che si manifestano dopo un periodo anche significativamente superiore. Pertanto, l’Associazione nazionale delle imprese di assicurazione chiedeva di lasciare alle imprese la facoltà di stabilire, limitatamente a patologie particolari, periodi di carenza maggiori e di estendere il periodo di carenza minimo da novanta a centottanta giorni, eventualmente derogabile in senso favorevole al cliente al momento della stipulazione del contratto, con impegno da parte della compagnia, qualora il decesso fosse avvenuto nel periodo di carenza, alla restituzione dei premi versati. Anche Intesa Sanpaolo Vita chiedeva di prolungare il periodo di carenza di ulteriori novanta giorni tenuto conto che la prassi di mercato si attesta sui centottanta giorni. 36 La fattispecie non deve essere confusa con la diversa ipotesi delle assicurazioni complementari di cui all’art. 2, co. 2, c.a.p. che, pur individuando casi analoghi (si pensi alla morte a seguito di infortunio), si riferisce in realtà all’obbligo assunto dall’impresa di assicurazione di effettuare una prestazione accessoria rispetto a quella principale, quale il pagamento di un capitale aggiuntivo per l’ipotesi in cui la morte si verifichi a seguito di uno degli eventi a cui è condizionata la garanzia complementare. Sul punto, sia consentito il rinvio a Martina, Commento sub art. 8, in La nuova disciplina dell’impresa di assicurazione sulla vita, cit., p. 94 ss.
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sul filo della previsione di casi di esclusione della carenza diversi dalle circostanze al ricorrere delle quali la prestazione è comunque dovuta.
5. Segue: i soggetti beneficiari o vincolatari. La designazione del soggetto beneficiario o vincolatario del contratto di assicurazione sulla vita è materia estremamente delicata. Come rammentato nel par. 1, l’Isvap era già intervenuto sul punto con il Provvedimento n. 2946 del 2011 prevedendo che la banca o l’intermediario finanziario potessero essere designati come beneficiari solo qualora il contratto di assicurazione non fosse intermediato dalla banca o dall’intermediario finanziario stesso o da soggetti ad essi legati da rapporti di gruppo o da rapporti di affari propri o di società del gruppo. Il Regolamento n. 40 riafferma dunque un principio più generale già introdotto allo scopo di evitare che il soggetto nei confronti del quale l’impresa di assicurazione è tenuta ad adempiere lucri anche le commissioni derivanti dal ruolo di intermediario assicurativo, a discapito del soggetto finanziato che – a seguito dei possibili interessi confliggenti di cui il finanziatore è portatore – si potrebbe trovare nella condizione di dover sostenere un costo ben superiore a quello strettamente necessario a ottenere la copertura assicurativa. Mentre inequivocabile è la ratio sottesa al divieto per lo stesso soggetto di giocare il doppio ruolo di intermediario della polizza assicurativa e di beneficiario o vincolatario della prestazione assicurativa, tutta da chiarire è la convenienza per il soggetto erogante il finanziamento a fungere da intermediario assicurativo, non potendo egli poi ricevere il pagamento del debito residuo da parte dell’impresa di assicurazione in ipotesi di decesso dell’assicurato. Ed inoltre viene da chiedersi se versi nello stato di intermediario assicurativo il finanziatore che sia obbligato a presentare al soggetto finanziato almeno i due preventivi, avendo condizionato il finanziamento alla stipula della polizza assicurativa. Conviene dunque provare ad impostare il ragionamento muovendo dai possibili vantaggi derivanti ad un finanziatore che intermedi la polizza assicurativa senza tuttavia potere essere beneficiario o vincolatario della prestazione dovuta dall’impresa di assicurazione al verificarsi dell’evento dedotto in contratto. In proposito, va detto che il beneficio diretto sarebbe in questo caso rappresentato dalla corresponsione della commissione, mentre la garanzia per il credito poggerebbe sull’aspettativa che, nel caso di decesso dell’assicurato (nonché soggetto
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finanziato), i beneficiari utilizzino il capitale loro corrisposto a favore della banca37. Sarà compito della banca valutare se l’entità delle commissioni sia sufficientemente ampia da compensare un’aspettativa riposta nei beneficiari che potrebbe però rivelarsi infondata. Manifestamente maggiori, e diretti, sono i vantaggi che derivano al mutuante dallo status di beneficiario o vincolatario, che però è incompatibile con quello di intermediario. E si giunge così al secondo interrogativo, relativo alla possibilità di riconoscere alla banca la veste di intermediario assicurativo per il semplice fatto di aver sottoposto al cliente i due preventivi. Alla domanda sono state date risposte differenti, e verrebbe anzi da dire antitetiche. La prima, affermativa, poggia sul presupposto che la sottoposizione al cliente di almeno due preventivi è attività che già di per sé richiede l’acquisizione di una serie di informazioni specifiche sull’assicurato e che dunque non si può limitare ad «attività di sola informazione fornite a titolo accessorio nel contesto di un’altra attività professionale», come invece richiesto dall’art. 3, co. 5, Regolamento n. 5/2006 perché un’attività possa essere sottratta dall’ambito dell’intermediazione assicurativa: conseguentemente, alla banca sarebbe fatto divieto di assumere la veste di beneficiario o vincolatario della polizza38. Diametralmente opposta è la soluzione offerta da chi muove dall’art. 28 l. 27/2012, per segnalarne – ove si ritenesse la mera presentazione al cliente dei due preventivi attività di intermediazione – l’ipotetica incompatibilità con il Regolamento Isvap n. 40, “giacché proprio l’ipotesi qui regolata (la mera presentazione dei preventivi) sarebbe intermediazione, come tale vietata ove la banca sia beneficiaria della polizza”; conseguentemente, si è affermato che quando “si limiti a presentare il prodotto senza alcun tipo di compenso, diretto o indiretto”, la banca non funge da intermediario assicurativo e, dunque, può continuare a risultare beneficiaria di polizze collegate a mutui39. Ragioni di coerenza interna al sistema lascerebbero preferire questa soluzione meno restrittiva.
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Si veda sul punto O. Caleo, Polizze, cit., p. 771. Frignani e Paschetta, Le polizze, cit., p. 429 s. 39 Riva, Polizze, cit., p. 284, la quale – anche sulla scorta di taluni chiarimenti forniti dall’Isvap stesso – intende la nozione di compenso in senso ampio, includendovi anche «un costo imposto al cliente, maliziosamente presentato sotto le mentite vesti di una spesa di gestione della pratica, ma in realtà strettamente connesso all’intermediazione di quella polizza». 38
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6. Segue: il diritto di recesso. Tra i contenuti minimi dei due preventivi obbligatori è prevista l’indicazione della facoltà per il cliente di recedere dal contratto di assicurazione entro un termine non inferiore a trenta giorni dalla data in cui il contratto è concluso, con diritto alla restituzione del premio corrisposto al netto della parte relativa al periodo per il quale il contratto ha avuto effetto e delle spese sostenute per l’emissione del contratto (art. 1, lett. n), Regolamento n. 40). L’Isvap ha invero sul punto riprodotto l’art. 177 c.a.p. Come noto, la norma tutela il contraente riconoscendogli il diritto di “pentirsi” della conclusione del contratto di assicurazione sulla vita, verosimilmente stipulato senza averne a sufficienza ponderato le caratteristiche40. Da questo angolo visuale, il diritto recesso di cui all’art. 177 c.a.p. è fattispecie radicalmente diversa da quella peculiare causa di recesso che è il riscatto della polizza di cui all’art. 1925 c.c., e il solo punto di contatto tra le due ipotesi di recesso è il fatto di poter essere esercitato dall’assicurato ad nutum41. L’art. 1925 c.c. è infatti strumento mediante il quale consentire all’assicurato di conseguire immediatamente la prestazione dell’assicuratore, seppure in misura ridotta42, e per ciò stesso non discende dall’esigenza di evitare la perpetuità dei vincoli obbligatori, di contro avvertita nei rapporti di durata a tempo indeterminato43. Come si è anticipato nella parte introduttiva del lavoro, mediante il riconoscimento al contraente del diritto di “ripensamento”, l’art. 177 c.a.p. allinea invece la disciplina del contratto di assicurazione sulla vita ad altre normative che, sulla spinta di istanze provenienti da un contesto europeo, sono state introdotte a maggiore tutela del consumatore44. Così,
40 Sul punto v. A.D. Candian, De Nova, Roppo, Volpe Putzolu e Zeno-Zencovich, Il diritto di «ripensamento» nella disciplina del contratto di assicurazione sulla vita, una nuova forma di tutela dell’assicurato, in Dir. ec. dell’ass., 1996, p. 95 ss. 41 Così Castellano, Vicende del rapporto d’assicurazione sulla vita, Padova, 1963, p. 108. 42 Castellano, Vicende, cit., p. 107. 43 A svolgere i rilievi riportati nel testo è, ancora una volta, Castellano, Vicende, cit., p. 103 s. 44 De Poli, Commento sub artt. 109-122, in La nuova disciplina dell’impresa di assicurazione sulla vita, cit., p. 870 ss.; Cappai, Commento sub art. 177, in Il codice delle assicurazioni private, cit., p. 127 ss.; Corrias, I contratti di assicurazione dei rami vita nel nuovo codice delle assicurazioni private, in Banca, borsa, tit. cred., 2008, I, p. 226 ss. A dire il vero, l’art. 177 c.a.p. trova applicazione anche quando l’assicurato sia un
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alla peculiare funzione assegnata al diritto di recesso dell’assicurato da un contratto di assicurazione sulla vita ex art. 1925 c.c. – e quindi in un milieu disciplinare in cui l’istituto del diritto di recesso presenta una varietà di funzioni45 – si giustappone ora la piena riconducibilità del recesso esercitato a norma dell’art. 177 c.a.p. ad un sistema normativo in cui analogo diritto, riferibile ad una molteplicità di contratti conclusi con il consumatore, assolve comunque alla funzione di garantire al cliente la possibilità di ritornare sulle proprie decisioni. Essendo l’art. 177 c.a.p. norma inequivocabilmente imperativa, verrebbe prima facie da pensare che sul punto l’Isvap nulla abbia aggiunto a quanto non potesse già ricavarsi dall’attuale contesto normativo, che invero affonda le sue radici nell’art. 16 d.lgs. 23 dicembre 1992, n. 515, attuativo delle direttiva 90/619 sulla libertà di prestazione di servizi nell’assicurazione sulla vita46, passando attraverso l’art. 111 d.lgs. 17 marzo 1995, n. 174. E tuttavia, il citato art. 177 – come d’altronde i precedenti normativi – trova applicazione ai contratti individuali di assicurazione sulla vita, e non menziona invece le polizze collettive, alle quali non parrebbe dunque applicarsi47. Va però detto che negli ultimi tempi il regolatore assicurativo ha inteso estendere anche all’assicurato di una polizza collettiva che sostenga l’onere economico connesso al pagamento del premio – o che comunque sia portatore di un interesse alla prestazione assicurativa – forme di tutela analoghe a quelle previste per il contraente di una polizza individuale. È andato in questa direzione in primo luogo l’art. 56 Regolamento Isvap n. 5/2006, come modificato – per quel che qui interessa – dal Provvedimento ISVAP n. 2720 del 2 luglio 2009 e dal Regolamento Ivass n. 8 del 3 marzo 2015, a mente del quale nelle ipotesi poco prima menzionate trova applicazione anche nei confronti dell’assicurato la disciplina del
professionista, oltre che un consumatore, circostanza questa da inquadrare nell’ambito delle più generali esigenze di tutela del contraente debole: così Roppo, Il contratto del duemila, Torino, 2014, p. 86 s. Per ragioni analoghe si è auspicata l’estensione del diritto di recesso ex art. 177 c.a.p. anche ai rami delle assicurazioni contro i danni: Volpe Putzolu, Il diritto di «ripensamento», cit., p. 111. 45 In argomento v. Gabrielli, Recesso (dir. priv.), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, p. 27 ss. 46 In argomento v. Frigessi di Rattalma, Commento sub art. 16, cit., p. 1332 ss. 47 Corrias, Commento sub art. 177, in Commentario breve al diritto delle assicurazioni, cit., p. 682.
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conflitto di interessi, dell’informativa precontrattuale e dell’adeguatezza dei contratti offerti, con la precisazione che la relativa documentazione è consegnata all’assicurato dal contraente. Prevedendo l’indicazione nei due preventivi della facoltà per il cliente (genericamente inteso) di recedere dal contratto di assicurazione entro un termine non inferiore a trenta giorni dalla data in cui il contratto è concluso, nel Regolamento n. 40 l’Isvap ha in realtà riconosciuto il diritto di recesso disciplinato dall’art. 177 c.a.p. anche all’assicurato di una polizza collettiva (oltre che al contraente di una polizza individuale), stipulata dalla banca per conto dei propri mutuatari a copertura del rischio derivante dal decesso dell’obbligato. L’Istituto di vigilanza – invero sul punto sollecitato dall’Ania48 – ha in tal modo proseguito un percorso iniziato qualche anno prima, sempre sul presupposto che sull’assicurato incomba l’onere economico relativo al pagamento del premio, come avviene anche nell’ipotesi di adesione a polizza collettiva da parte di soggetto finanziato da una banca, il quale infatti – recedendo – maturerà il diritto al rimborso del premio corrisposto, sia pure nei termini fissati dall’art. 177, co. 2, c.a.p. Va detto anche in proposito che la disciplina del diritto di recesso, la quale nell’art. 177 c.a.p. risulta costruita intorno alla figura del contraente, richiede necessariamente degli adattamenti nel caso in cui a recedere sia l’assicurato che abbia aderito ad una polizza collettiva. In particolare, sarebbe privo di significato far decorrere il diritto di recesso dell’assicurato dal momento in cui il contraente ha ricevuto comunicazione che la polizza di assicurazione collettiva è conclusa: tale termine, verosimilmente anche di molto anteriore all’adesione alla polizza collettiva, potrebbe infatti essere già abbondantemente spirato al tempo dell’adesione stessa. Appare invece più corretto e funzionale all’obiettivo che si è inteso perseguire – e cioè la parificazione del contraente
48 Come si legge nel documento contenente gli esiti della pubblica consultazione, «ANIA osserva che nel contratto assicurativo vita il contraente può essere soggetto diverso dall’assicurato, ossia dal mero portatore del rischio assicurato e che l’art. 177 del Codice delle Assicurazioni consente al solo contraente il diritto di recesso – e non all’assicurato – prevedendo altresì l’obbligo di evidenziarne espressamente termini e modalità sia in proposta, sia nelle condizioni contrattuali. ANIA pertanto propone di riformulare la lettera n) in coerenza con la norma primaria, anche mediante specifico rinvio alla stessa. A tale riguardo ANIA evidenzia altresì che il diritto di recesso contemplato dall’art. 177 del Codice delle Assicurazioni non è previsto per le assicurazioni collettive, ma per i soli contratti individuali, aventi peraltro durata superiore a sei mesi».
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di polizza individuale e di assicurato che abbia aderito ad una polizza collettiva – ritenere che i trenta (o più) giorni decorrano dalla data di adesione dell’assicurato alla polizza collettiva.
7. Segue: l’estinzione anticipata e trasferimento del mutuo immobiliare. Nella parte dedicata all’estinzione anticipata e al trasferimento del mutuo, il Regolamento n. 40 riprende soluzioni cui l’Istituto era già pervenuto dettando la disciplina degli obblighi informativi e della pubblicità dei prodotti assicurativi. L’art. 1, lett. l) e m), prevede infatti, nel caso di pagamento di un premio unico, l’indicazione dell’obbligo per l’impresa di restituzione al cliente della parte di premio pagato relativo al periodo residuo rispetto alla scadenza originaria della polizza, secondo le modalità previste dal Regolamento ISVAP n. 35/2010, e comunque entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione rispettivamente di avvenuta estinzione anticipata del mutuo immobiliare o del credito al consumo, o di trasferimento del mutuo immobiliare. Su richiesta del cliente, la polizza può proseguire fino alla scadenza contrattuale anche a favore di un nuovo beneficiario eventualmente designato. Più precisamente, del Regolamento n. 35/2010 deve intendersi richiamato l’art. 49, dedicato appunto all’estinzione anticipata e al trasferimento di polizze connesse a mutui o ad altri contratti di finanziamento, e quindi all’obbligo di restituzione del premio unico il cui onere sia stato sostenuto dal debitore-assicurato. Allo scopo di facilitare la mobilità del mercato dei mutui e dei finanziamenti, la norma regolamentare ha definito i principi di rimborso del premio unico in caso di estinzione anticipata e di trasferimento, e ha disciplinato la richiesta di prosecuzione del contratto a favore di un nuovo beneficiario. Con riferimento all’estinzione anticipata e alla portabilità del mutuo, va peraltro detto che sia l’art. 49 del Regolamento n. 35/2010 sia l’art. 1 Regolamento n. 40/2012 disciplinano, nella peculiare prospettiva del diritto delle assicurazioni, due profili che avevano già occupato qualche tempo prima il legislatore, sì da indurlo a disciplinare ex professo le fattispecie mediante l’introduzione nel testo unico in materia bancaria e creditizia degli artt. rispettivamente 120-ter e 120-quater. Le norme – l’una dedicata all’estinzione anticipata dei mutui ipotecari, l’altra alla surrogazione nei contratti di finanziamento e alla loro portabilità, e a più riprese modificate – risultano infatti strumenti attraverso cui contrastare la prassi invalsa presso le banche di introdurre nei contratti di finanziamento clausole volte ad ostacolare o a rendere gravoso ora l’estinzione
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anticipata del finanziamento ora il subingresso di altra banca, prassi che di fatto hanno impedito la concorrenza tra banche e quindi il miglioramento delle condizioni del prestito49. Tuttavia questo primo risultato alla prova dei fatti non si è rivelato sufficiente in chiave di tutela del soggetto finanziato. Ad impedire un più compiuto conseguimento dell’obiettivo era in particolare l’eventuale stipula di polizze assicurative il cui premio fosse stato versato in un’unica soluzione anticipatamente al tempo della conclusione del contratto di finanziamento e che – se non accompagnate dalla possibilità per l’assicurato di ottenere la restituzione del premio per la parte di rischio non corso, per l’ipotesi di estinzione anticipata, ovvero di avvalersi della medesima polizza, per il caso di trasferimento del contratto di finanziamento, con la conseguente prospettiva della stipula di una diversa polizza – avrebbero rischiato di vanificare gli effetti benefici prodotti dalle innovazioni legislative sul fronte bancario. Per accelerare la spinta verso la concorrenza tra i vari protagonisti che occupavano la scena dei finanziamenti immobiliari si rendeva così necessario azionare la leva assicurativa. È quanto avvenuto, in un primo momento, mediante un’iniziativa promossa dall’Abi e dall’Ania nel 200850 che, in quanto proveniente dagli stessi operatori, rappresentava però soltanto l’indicazione di buone prassi di settore51, e che faceva comunque salva la libertà di adottare soluzioni diverse da quelle descritte per venire incontro alle esigenze della clientela in relazione alle operazioni stesse. All’iniziativa congiunta di Abi e Ania sono seguiti gli interventi del regolatore assicurativo poco prima segnalati. Invero, l’Autorità di vigilanza ha soltanto anticipato opzioni legislative di più ampia portata, com’è provato dall’art. 22, co. 15-quater, 15-sexies e 15-septies, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con la l. 17 dicembre 2012, n. 221, a mente dei quali nei contratti di assicurazione connessi a mutui e ad altri contratti di finanziamento (quindi, anche nei contratti di assicurazione contro i
49 In argomento si vedano i contributi di Lemma, Commento sub artt. 120-ter e 120-quater, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, diretto da Capriglione, Padova, 2012, tomo III, pp. 1769 ss. e 1779 ss.; Falcone, Commento sub artt. 120-ter e 120-quater, in Commento al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. D.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 e successive modificazioni, a cura di Costa, Torino, 2013, tomo II, pp. 1384 ss., e 1397 ss. 50 Si vedano le linee Linee guida per le polizze assicurative connesse a mutui e altri contratti di finanziamento. 51 Si veda l’analisi svolta sul punto da O. Caleo, Le polizze assicurative connesse ai mutui tra regolazione e mercato, in Obbl. e contr., 2012, p. 906 ss.
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danni), e per i quali sia stato corrisposto un premio unico il cui onere è sostenuto dal debitore /assicurato, le imprese di assicurazione – nel caso di estinzione anticipata o di trasferimento del mutuo o del finanziamento – sono obbligate a restituire la parte di premio pagato relativo al periodo residuo rispetto alla scadenza originaria o, in alternativa, e su richiesta del debitore/assicurato, forniscono la copertura assicurativa fino alla scadenza contrattuale a favore del nuovo beneficiario designato52. Merita peraltro segnalare che, sulla scorta del contenuto dell’accordo raggiunto nel 2008 da Abi e Ania – nel quale si legge che, in ipotesi di estinzione anticipata del mutuo, l’obbligo di restituire il premio assicurativo residuo al debitore/assicurato è a carico del soggetto mutuante – l’Arbitro Bancario e Finanziario ha dimostrato ripetutamente di ritenere soggetto legittimato passivo il mutuante, ricorrendo talvolta alla categoria della natura restitutoria53, talaltra a quella della natura risarcitoria dell’obbligo54. E, a tal proposito, si è peraltro affacciato il dubbio che questa soluzione debba ritenersi superata alla luce degli interventi del regolatore assicurativo del 2010, ma soprattutto di quelli successivi del legislatore del 2012, i quali individuano invece nell’impresa di assicurazione il soggetto obbligato alla restituzione del premio residuo: dal che si è opinato pure che, ove così fosse, verrebbe meno la stessa competenza dell’Abf55. Ed in questa stessa prospettiva dimostra di porsi chi solleva – ma sempre sul presupposto della legittimazione passiva dell’impresa di assicurazione – la questione di ordine procedurale-operativo relativa al tempo in cui sorge l’obbligo di restituire il premio residuo che, in mancanza di indicazioni da parte del legislatore, potrebbe farsi coincidere con il momento dell’estinzione o del trasferimento del mutuo, oppure con la manifestazione della volontà di ottenere il rimborso da parte dell’assicurato. La soluzione più aderente agli obblighi informativi, di trasparenza e di buona fede previsti dalla legge è apparsa un’apposita comunicazione all’assicurato da parte dell’impresa di assicurazione in merito alle due possibili alternative (rimborso del premio, continuazione del rapporto), con l’indicazione di un termine entro il quale l’assicurato potrà manifestare la propria volontà, decorso il quale si provvederà alla liquidazione del premio56. Vi è però da
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Su punto v. Nitti, Commento sub art. 183, cit., p. 808 s. Coll. Milano, 19 aprile 2013, n. 2084; Coll. Napoli, 16 luglio 2012, n. 2441. 54 Coll. Roma, 14 ottobre 2011, n. 2142. 55 Siri, Le polizze connesse a mutui e finanziamenti nelle decisioni dell’Arbitro Bancario e Finanziario, in Diritto e fisc. ass., 2013, p. 321. 56 Nitti, Commento sub art. 183, cit., p. 809 s. 53
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dire che anche in tempi più recenti l’Abf ha continuato a sostenere la legittimazione passiva del mutuante, fondandola sull’evidente e incontestabile legame da cui sono avvinti il contratto di mutuo e la polizza assicurativa: «quello di sincronicamente e contemporaneamente concorrere e cooperare al medesimo risultato economico–sociale consistente nell’assicurare al sovvenuto il finanziamento richiesto»57. Sicché, il riferimento all’impresa [di assicurazione] di cui all’art. 22, co. 15-quater, l. n. 221/2012, rileverebbe ai fini di un’eventuale azione di regresso, e non eliminerebbe invece la responsabilità concorrente del mutuante58. In aggiunta a ciò e da ultimo, si può osservare che l’intervento del legislatore in materia di estinzione anticipata e di trasferimento del mutuo – nel momento in cui incide sui contratti di assicurazione in generale connessi a mutui e ad altre forme di finanziamento – imbocca la strada di uniformare la tutela del debitore/assicurato, indipendentemente dalla natura previdenziale ovvero indennitaria del contratto di assicurazione connesso al mutuo: in quest’ottica, il disegno di legge del febbraio 2015 potrebbe contribuire a percorrerne un altro significativo pezzo.
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57 V. da ultimo Coll. Napoli, 6 ottobre 2014, n. 6567. Coerentemente con questa impostazione, lo stesso Collegio arbitrale pochi mesi prima ha negato il diritto alla restituzione del premio residuo in difetto di ogni collegamento o connessione, anche in termini di accessorietà, tra il mutuo estinto anticipatamente e la polizza assicurativa stipulata dal mutuatario: Coll. Napoli, 22 luglio 2014, n. 4762. Sul collegamento negoziale tra contratto di mutuo e polizza assicurativa, si vedano inoltre le seguenti decisioni arbitrali: Coll. Napoli, 3 giugno 2014, n. 3538, 14 febbraio 2013, n. 873, 11 febbraio 2013, n. 796, 14 gennaio 2013, n. 298, 10 gennaio 2013, n. 140, 4 gennaio 2013, n. 46, 27 luglio 2012, n. 2613, 27 luglio 2012, n. 2612, 27 luglio 2012, n. 2610, 16 luglio 2012, n. 2439, 3 luglio 2012, n. 2280, 28 maggio 2012, n. 1720, 12 marzo 2012, n. 746; del Coll. Roma, 28 febbraio 2013, 13 aprile 2012, n. 1138; 8 giugno 2012, n. 1979, 17 febbraio 2012, n. 491; del Coll. Milano, 19 febbraio 2013, n. 980, 23 febbraio 2013, n. 480, 21 gennaio 2013, n. 432; 2 agosto 2012, n. 2730, 15 giugno 2012, n. 2055, 16 marzo 2012, n. 776, 20 gennaio 2012, n. 195. Sul tema è altresì intervenuta in più occasioni la Suprema Corte: Cass., 20 maggio 2009, n. 11706, in Assicurazioni, 2009, II, 318 ss., Cass., 26 ottobre 2004, n. 20743, in Foro it., Mass. 2004, 95, Cass., 21 giugno 1995, n. 7021, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, II, 376, con nota di Lener, «Appendice di vincolo» nei contratti assicurativi e collegamento negoziale: uno pseudo-problema. In dottrina v. inoltre Al. Candian, Assicurazione e garanzie del credito, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, I, p. 632 ss. 58 Così, in particolare, Coll. Napoli, 4 aprile 2013, n. 1805. In argomento v. inoltre Quarta, Estinzione anticipata dei finanziamenti a tempo determinato e modulazioni del costo del credito, in Rivista di diritto banc., 2013, n. 10, p. 17.
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COMMENTI
Le obbligazioni degli esponenti bancari TRIBUNALE PENALE DI FORLÌ, sentenza 9 gennaio-14 marzo 2015; Pres. Di Giorgio, Rel. Poillucci e Dioguardi
Banche – Esponenti bancari – Obbligazioni – Fattispecie della stipulazione “indiretta” – Interposizione reale o fittizia – Nozione (Testo unico bancario, art. 136) Banche – Esponenti bancari – Obbligazioni – Amministratore “interessato” – Obblighi di cui all’art. 2391 cod. civ. – Mancato rispetto – Violazione dell’art. 136 t.u.b. – Esclusione (Cod. civ. art. 2391; testo unico bancario, art. 136)
La fattispecie della stipulazione “indiretta” da parte di esponenti bancari, prevista dall’art. 136 t.u.b., si realizza esclusivamente nei casi in cui vi sia interposizione reale o fittizia di persona, per tale dovendo intendersi ogni ipotesi in cui il centro di imputazione sostanziale dell’operazione sia comunque, ed indipendentemente dall’evidenza formale, un esponente aziendale. (1) Il mancato rispetto da parte degli amministratori di banche “interessati” in operazioni con le medesime degli obblighi imposti dall’art. 2391 cod. civ. non integra violazione sanzionabile ai sensi dell’art. 136 t.u.b. (2) (Omissis) Le obbligazioni
contratte dagli
esponenti bancari ex art. 136 t.u.b.:
C e da sub E a E 15.1 Le contestazioni mosse agli imputati sub capi C ed E vengono tratcapi sub
tate congiuntamente, muovendo dalla medesima premessa, costituita dalla assunta violazione, da parte degli esponenti della Banca Z della procedura prevista dall’art. 136 del d.lgs. 385/1993 (d’ora in avanti
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Commenti
t.u.b.) come integrata dalle previsioni dell’art. 2931 c.c. Nelle predette imputazioni, infatti, si contesta agli esponenti della Banca Z aventi funzioni di amministrazione, direzione e controllo rispetto al predetto istituto, di avere contratto obbligazioni con l’istituto stesso sia “direttamente” sia “indirettamente”, ossia tramite familiari e coniugi, nonché tramite società rispetto alle quali risultavano titolari di preminenti interessi personali e che controllavano in termini economici (attraverso una qualificata partecipazione sociale) o in termini giuridici, attraverso le forme di controllo e collegamento di cui agli artt. 2359 c.c. e di cui all’art. 23 t.u.b. Più in particolare, il capo C dell’imputazione ha ad oggetto il mancato rispetto della predetta procedura ex art. 136 t.u.b. all’atto della deliberazione delle convenzioni interbancarie stipulate tra la Banca Z e la Banca A, funzionali alla concessione dei finanziamenti in pool già sopra meglio descritti, essendo state deliberate con la partecipazione di XX, nella veste di amministratore delegato della Banca Z, il quale poi assumeva obbligazioni nei confronti della Banca A, nel quale pure svolgeva funzioni di amministrazione, direzione e controllo nelle vesti di Presidente del Consiglio di amministrazione, accettando il citato mandato senza rappresentanza per il compimento di ogni adempimento relativo alle operazioni di finanziamento in pool.
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Il capo E dell’imputazione, invece, ha ad oggetto 117 delibere assunte dalla Banca Z direttamente con esponenti bancari o tramite le società controllate o collegate ex artt. 2359 commi 1 e 2 e 23 t.u.b. o tramite parenti e in relazioni alle quali si imputa, in taluni casi, di non avere in alcun modo attivato la procedura ex art. 136 t.u.b. ed in altre circostanze, di averlo fatto con modalità non idonee ad integrare i requisiti di cui all’art. 2931 c.c., ossia, previa deliberazione dell’organo di amministrazione presa all’unanimità e col voto favorevole di tutti i componenti dell’organo di controllo, fornendo preventiva informazione della natura, dell’origine, dei termini e della portata degli interessi gestiti dai rispettivi esponenti bancari e dando adeguata motivazione delle loro ragioni e della convenienza per l’ente bancario delle singole operazioni in rapporto all’interesse del singolo esponente bancario e così individuando i seguenti difetti procedurali: difetto dell’informazione, difetto della motivazione, difetto dell’approvazione e della sottoscrizione del sindaco assente, difetto della sottoscrizione contestuale del sindaco presente, difetto della sottoscrizione successiva del sindaco assente. L’art. 136 t.u.b., peraltro, è stato oggetto di un significativo intervento del legislatore che, con la l. 17.12.2012, n. 221, in sede di conversione dell’art. 24 ter del. d.l.
Trib. Forlì
18.10.2012, n. 179, ha abrogato i commi 2 e 2 bis, inducendo alcuni interpreti a ritenere che oggi, nella predetta procedura, siano contemplate solo le ipotesi di obbligazioni direttamente contratte o contratte tramite parenti e soggetti fittiziamente interposti. Preliminarmente, dunque, si deve chiarire quali siano i limiti ed i confini della predetta disposizione normativa. È bene subito precisare che l’art. 136 t.u.b. è una norma agevolativa, avendo la funzione di consentire il compimento di operazioni che altrimenti, in quanto pericolose, potrebbero assumere rilievo sotto diversi punti di vista: quello di vigilanza, quello della validità civilistica delle delibere e degli atti di loro attuazione ed, infine, come nella specie, quello penale (configurando il 136 t.u.b. un reato proprio, che mira ad impedire la realizzazione di illeciti rapporti patrimoniali con la banca suscettibili di pregiudicarne il patrimonio). L’attuale formulazione dell’art. 136 t.u.b. prevede che “Chi svolge funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso una banca non può contrarre obbligazioni di qualsiasi natura o compiere atti di compravendita, direttamente od indirettamente, con la banca che amministra, dirige o controlla, se non previa deliberazione dell’organo di amministrazione presa all’unanimità e col voto favorevole di tutti i componenti
dell’organo di controllo, fermi restando gli obblighi previsti dal codice civile in materia di interessi degli amministratori e di operazioni con parti correlate. È facoltà del consiglio di amministrazione delegare l’approvazione delle operazioni di cui ai periodi precedenti nel rispetto delle modalità ivi previste. 2. Abrogato. 2-bis. Abrogato. 3. L’inosservanza delle disposizioni dei commi 1, [2 e 2-bis] è punita con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 206 a 2.066 euro”. Nella versione antecedente alle modifiche normative di cui si è detto, l’art. 136 t.u.b. prevedeva, al comma 2: “le medesime disposizioni si applicano anche a chi svolge funzioni di amministrazione, direzione e controllo, presso una banca o società facenti parte di un gruppo bancario, per le obbligazioni e per gli atti indicati nel comma 1 posti in essere con la società medesima o per le operazioni di finanziamento poste in essere con altra società o con altra banca del gruppo. In tali casi l’obbligazione o l’atto sono deliberati, con le modalità previste dal comma 1, dagli organi della società o banca contraente e con l’assenso della capogruppo”. Con la successiva introduzione del comma 2 bis (intervenuta con l’art. 8 l. 262/2005), poi, era stato previsto che “per l’applicazione dei commi 1 e 2 rilevano anche le ob-
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bligazioni intercorrenti con società controllate dai soggetti di cui ai medesimi commi e presso la quale gli stessi soggetti svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo, nonché con le società da queste controllate o che le controllano o sono ad esse collegate”. Con l’introduzione dei predetti commi 2 e 2 bis, dunque, il legislatore aveva ritenuto di estendere la procedura ex art. 136 t.u.b., sopra descritta, alle obbligazioni intercorrenti con: 1) società controllate dagli esponenti della banca o di altra società del gruppo bancario; 2) società presso le quali gli stessi soggetti svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo; 3) società controllate, che controllano o sono collegate alle predette società. Interveniva quindi la “controriforma” abrogatrice ad opera della l. 221/2012 di cui si è detto, con la quale, invece, veniva nuovamente a restringersi l’ambito di applicazione delle procedure di approvazione cosiddetta “rafforzata” previste dall’art. 136 t.u.b., attraverso appunto la formale abrogazione dei commi 2 e 2 bis sopra riportati. Per meglio comprendere il contenuto della predetta disposizione, poi, appare anche necessario un cenno alle nozioni di controllo e collegamento societario alle quali rinvia il testo dell’art. 136 t.u.b. nelle sue diverse formulazioni.
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L’art. 2359 c.c. infatti così dispone: “Sono considerate società controllate: 1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi. Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentari”. L’art. 2359 c.c. dunque, nell’interpretazione comunemente data, prevede due forme generali di controllo: quello azionario (o interno) e quello contrattuale (o esterno). Il controllo azionario, a sua volta, può manifestarsi quale controllo “di diritto”, allorquando la holding detenga la maggioranza delle azioni con diritto di voto o “di fatto”, allorquando la società capogruppo, pur non avendo la maggioranza
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assembleare, sia in grado di esercitare una influenza dominante nell’assemblea ordinaria delle società controllate, sicché, schematicamente, si ritiene che l’art. 2359, comma 1 n. 1 c.c. configuri una ipotesi di controllo interno di diritto, l’art. 2359, comma 1, n. 2 c.c., integri una ipotesi di controllo interno di fatto; l’art. 2359 comma 2 c.c., configuri ipotesi di controllo interno, indiretto sia di diritto che di fatto ed infine l’art. 2359 comma 1 , n. 3 c.c. configuri una ipotesi di controllo di carattere negoziale, esterno e di fatto. L’art. 23 t.u.b., poi, configura una peculiare ipotesi di controllo prevedendo: “Ai fini del presente capo il controllo sussiste, anche con riferimento a soggetti diversi dalle società, nei casi previsti dall’articolo 2359, commi primo e secondo del codice civile e in presenza di contratti o di clausole statutarie che abbiano per oggetto o per effetto il potere di esercitare l’attività di direzione e coordinamento. Il controllo si considera esistente nella forma dell’influenza dominante, salvo prova contraria, allorché ricorra una delle seguenti situazioni: 1) esistenza di un soggetto che, sulla base di accordi, ha il diritto di nominare o revocare la maggioranza degli amministratori o del consiglio di sorveglianza ovvero dispone da solo della maggioranza dei voti ai fini delle deliberazioni relative alle materie
di cui agli articoli 2364 e 2364bis del codice civile; 2) possesso di partecipazioni idonee a consentire la nomina o la revoca della maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza; 3) sussistenza di rapporti, anche tra soci, di carattere finanziario ed organizzativo idonei a conseguire uno dei seguenti effetti: a) la trasmissione degli utili o delle perdite; b) il coordinamento della gestione dell’impresa con quella di altre imprese ai fini del perseguimento di uno scopo comune; c) l’attribuzione di poteri maggiori rispetto a quelli derivanti dalle partecipazioni possedute; d) l’attribuzione a soggetti diversi da quelli legittimati in base alla titolarità delle partecipazioni, di poteri nella scelta degli amministratori o dei componenti del consiglio di sorveglianza o dei dirigenti delle imprese; 4) assoggettamento a direzione comune, in base alla composizione degli organi amministrativi o per altri concordanti elementi”. In questo complesso quadro normativo derivante da una articolata successione di interventi del legislatore sull’art. 136 t.u.b. e dall’espresso rinvio fatto dall’art. 136 t.u.b. alla nozione di controllo, il PM ha ritenuto dunque ancora sussistente l’obbligo del rispetto della procedura ivi disciplinata, quantomeno per le ipotesi riconducibili alle categorie delle obbligazioni contratte da
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parenti dell’esponente aziendale e di quelle contratte da società soggette al controllo dell’esponente aziendale per influenza dominante ai sensi dell’art. 2359 commi 1 e 2 c.c. e controllo per influenza dominante ai sensi dell’art. 23 commi 1 e 2 n. 1 e 2 t.u.b., ossia forme di “controllo interno”, connesso essenzialmente al possesso di partecipazioni azionarie, dirette o indirette e ciò in forza della mancata abrogazione al comma l dell’art. 136 t.u.b. dell’avverbio “indirettamente”, sotto il quale ha ritenuto di poter ricondurre le predette ipotesi di controllo interno. Lo stesso PM, invece, ha ritenuto che non possano più ritenersi riconducibili alla procedura ex art. 136 t.u.b. le obbligazioni contratte da società soggette al controllo dell’esponente aziendale per influenza dominante ai sensi dell’art. 23, comma 2, n. 3 e 4 t.u.b., dallo stesso definite quali forme di controllo “esterno” che prescindono dal possesso di partecipazioni, trovando causa, origine e contenuto in particolari vincoli contrattuali, nonché quelle contratte da società collegate all’esponente aziendale per influenza notevole ai sensi dell’art. 2359 comma 3 c.c. ed ha conseguentemente chiesto l’assoluzione degli imputati in relazione a tutte le delibere sussumibili sotto tali tipologie di controllo/collegamento “debole” perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
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Simile impostazione del PM non appare interamente condivisibile. Premesso in linea generale che il reato di cui all’art. 136 t.u.b. è da considerarsi di tipo formale, di pericolo, necessariamente doloso, e che lo stesso si perfeziona con la concreta esecuzione della deliberazione assunta in violazione dei principi legali, non appare possibile sostenere che – pur a seguito dell’intervenuta abrogazione dei commi 2 e 2 bis dell’art. 136 t.u.b. – le ipotesi di controllo ex art 2359 commi 1 e 2 c.c. e 23 commi 1 e 2 n. 1 e n. 2 t.u.b. siano ancora soggette alla procedura sopra descritta. In primo luogo, depongono a favore dell’intervenuta abrogazione delle ipotesi in precedenza espressamente ricondotte sub commi 2 e 2 bis dell’art. 136 t.u.b. i principi generali in tema di interpretazione della legge in generale e della legge penale in particolare, dettati dall’art. 12 preleggi e dagli art. 25 Cost. e 1 e 199 c.p. a fronte di interventi legislativi espressi che dapprima hanno ricondotto sotto la procedura dell’art. 136 t.u.b. le ipotesi di controllo e di collegamento societario e che poi, all’opposto, le hanno volutamente espulse dal quadro sanzionatorio nell’ottica di una più generale semplificazione delle procedure. Apparirebbe, dunque, contrario alla volontà espressa dal legislatore recuperare ipotesi espressamente abrogate, peraltro, attraver-
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so un’attività di interpretazione estensiva che non pare giustificabile nemmeno alla luce del contrasto giurisprudenziale che aveva preceduto la riforma legislativa del 2005 e che aveva poi portato all’introduzione del comma 2 bis. Infatti, come osservato nella circolare ABI, serie legale n. 11 8 agosto 2013 versata in atti “se il legislatore avesse voluto ricondurre all’ambito di applicazione della norma anche le obbligazioni contratte dall’esponente per il tramite della propria controllata, consapevole dell’ambiguità del termine “indirettamente” e delle molteplici interpretazioni che anche dalla giurisprudenza erano state offerte, avrebbe dovuto conservare il comma 2 bis dell’art. 136 t.u.b., che ha invece espressamente abrogato”. Depone poi a favore di una interpretazione restrittiva la circostanza che l’interpretazione estensiva dell’avverbio “indirettamente” ha trovato invero applicazione nella giurisprudenza solo in epoca anteriore alla novella legislativa del 2005 del comma 2 bis dell’art. 136 t.u.b. (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, sentenza n. 10647 del 20/05/1980, “La fattispecie della stipulazione indiretta, prevista dall’art 38 della legge bancaria, che vieta agli amministratori, liquidatori, direttori e membri degli organi di sorveglianza delle aziende di credito di contrarre obbligazioni di qualsiasi natura e di compiere Atti di compravendita, direttamente o indi-
rettamente, se non a determinate condizioni, ivi previste, si realizza anche quando l’esponente bancario abbia preminenti interessi personali nella società stipulante, perseguiti attraverso il controllo economico della società attuato mediante la utilizzazione della partecipazione al capitale sociale, diretta o per il tramite di altro soggetto”, mentre dopo la predetta novella, volta appunto a restringere l’ambito di applicazione del precetto penale, essa dovrebbe ritrovare il proprio significato “ristretto”, riferendosi cosi alle sole ipotesi di interposizione reale o fittizia di persona. Per quanto sin qui esposto, dunque, si deve ritenere che per le ipotesi riconducibili ai commi 2 e 2 bis dell’art. 136 t.u.b. e, tra queste l’ipotesi contestata sub capo C) dell’imputazione, è intervenuta abrogazione normativa e che rispetto alle fattispecie di reato contestate agli esponenti bancari della Banca Z deve essere pronunciata sentenza di assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Residua, tuttavia, il problema legato all’interposizione reale o fittizia di persona, sul quale il legislatore primario non ha espressamente previsto alcunché anche a seguito della novella del 2012 riproponendosi ancora, in questi termini, la questione dell’interpretazione dell’avverbio “indirettamente”.
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È sostanzialmente pacifico che l’espressione “indirettamente” si riferisca ad ogni caso di interposizione di persona e conseguentemente attribuisca rilievo tanto alle ipotesi in cui gli effetti del negozio vietato siano destinati a ricadere immediatamente nella sfera giuridica del contraente “dissimulato” (ossia l’esponente aziendale) quanto alle ipotesi in cui, vertendosi in fattispecie di atti stipulati per conto altrui (mandato senza rappresentanza) o con vincolo fiduciario, si renda necessario procedere ad un successivo negozio di trasferimento. A tale conclusione si è giunti facendo leva sull’interesse sostanziale sotteso all’operazione, così riconducendo il significato del predetto avverbio al fenomeno dell’interposizione reale o fittizia di persona, considerando indirettamente conclusa dall’esponente bancario ogni operazione della quale sia normalmente parte un’altra persona, ma i cui effetti ricadono nella sfera giuridica dell’esponente. In linea con tale orientamento, e con specifico riferimento alle persone fisiche, deve dunque attribuirsi rilevanza alle operazioni compiute da soggetti affettivamente “contigui” all’esponente aziendale, quali genitori, coniugi, conviventi more uxorio, figli, fratelli, sorelle, nonni, nipoti (ex filio) e affini fino al II grado. Nel vigore della pregressa novella con la quale era stato intro-
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dotto il comma 2-bis dell’art. 136 del t.u.b., come si è detto, è stata prospettata la necessità di un’interpretazione “rigorosa” delle c.d. obbligazioni indirette, imperniata, da un lato, sulla natura penale della norma in commento e, dall’altro, sul presupposto per cui, quando la legge ha ritenuto di regolare i casi di interposizione, si è invero limitata alla sola interposizione di persone giuridiche. Conseguentemente, ove l’obbligazione sia formalmente riferibile a persona fisica diversa dall’esponente, occorre comunque essere certi dell’interesse di quest’ultimo per applicare i meccanismi operativi del comma I dell’art. 136 e darne prova per applicare, in caso di inosservanza di questi ultimi, le sanzioni del comma 3. In tale contesto, quindi, la circostanza che l’obbligazione sia contratta con un congiunto più o meno stretto dell’esponente deve rilevare all’interno di un complessivo quadro probatorio che corrobori o confermi detto interesse. Le predette conclusioni, alle quali la giurisprudenza era giunta nel periodo di vigenza della novella 2005, conservano la loro attualità anche nel vigente impianto normativo, quale risultante dalle modifiche da ultimo apportate all’art. 136 del t.u.b., senza porsi in contrasto con gli intenti di semplificazione palesati dal legislatore. Se da un lato, infatti, l’abrogazione dei commi 2 e 2-bis pare
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perseguire l’obiettivo di una drastica riduzione della rilevanza dei fenomeni di gruppo e, più in generale, di connessione societaria, dall’altro lato, l’invariato richiamo – operato dal comma I – alle obbligazioni “indirette” induce a confermare la perdurante applicabilità della norma a tutti i casi in cui il centro di imputazione sostanziale dell’operazione sia comunque ed indipendentemente dall’evidenza formale, un esponente aziendale della banca. Facendo applicazione dei predetti principi alle ipotesi di deliberazione indirettamente contratte di cui all’imputazione e riferibili a parenti di esponenti bancari, non può ritenersi che l’istruttoria svolta abbia restituito un quadro indiziario tale da poter affermare che ci si trovi in effetti in presenza di un’interposizione quale sopra intesa. Si tratta, in particolare, delle delibere sub E 1.16, E 1.26, E 1.27, E 5.3, E 6.3, E 8.12, con le quali sono stati concessi e confermati affidamenti alle figlie ed alla moglie di XA (…), nonché al fratello di XB, ai figli di XC (…) ed alla moglie di XX (…), nelle quali la procedura ex art. 136 t.u.b. non è nemmeno stata attivata. In proposito, tuttavia, deve evidenziarsi come - a parte la relazione parentale - che può costituire indizio o sospetto di interposizione, non è stata fornita dall’accusa alcuna prova della condizione di una “dipendenza o sudditanza
economica” dei suddetti soggetti dall’esponente bancario tale da concretare un interesse personale di quest’ultimo all’operazione. Ed anzi, laddove la difesa ha insistito per offrire la prova contraria, come nel caso dell’esame dibattimentale di XD, è emerso come in effetti la stessa fosse economicamente indipendente e come l’affidamento sia stato concesso per soddisfare interessi e bisogni direttamente riferibili a quest’ultima e non al padre. Né, nelle residue ipotesi, la relazione parentale può costituire presunzione di interposizione fittizia, dovendosi dapprima fornire rigorosa prova dell’assenza di capacità reddituale. In relazioni a tali delibere, dunque, deve essere pronunciata assoluzione per insussistenza del fatto, potendosi ritenere che la procedura ex 136 t.u.b. non sia stata legittimamente attivata, in ragione dell’assenza di interposizione. Restano da esaminare le residue 11 ipotesi di obbligazioni contratte direttamente da alcuni esponenti bancari ed in specie quelle di cui ai capi E 1.3, E 1.22, E 1.29 relative a XA, quelle di cui ai capi E 3.2, E 3.8, E 3.13 relative a XE, quelle di cui ai capi E 4.1, E 4.6, E 4.11 relative a XF, nonché la E 9.3 relativa a XG e la E 11.1 relativa a XH. Preliminarmente si tratta, quindi, di definire i rapporti tra le previsioni dell’art. 136 t.u.b.e quelle contenute nell’art. 2391 c.c.
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Infatti, con riferimento alle predette delibere, il Pubblico Ministero ha contestato il difetto di motivazione ed il difetto di informazione sul presupposto dell’applicabilità alle delibere assunte ex art. 136 t.u.b.anche dell’art. 2391 c.c. L’art. 2391 c.c. disciplina la materia degli interessi degli amministratori prescrivendo al comma I che “l’amministratore deve dare notizia gli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine, e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale, se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile”. In generale, si osserva che la disciplina degli “interessi degli amministratori” ex. 2391 c.c. vale per tutte le tipologie di società, mentre, al contrario, la norma sulle obbligazioni degli esponenti aziendali ex. 136 t.u.b. ha carattere speciale, essendo riferita ai soli intermediari finanziari. La materia degli “interessi degli amministratori” ricomprende inoltre tutte le operazioni nelle quali esiste o potrebbe essere ravvisato un interesse dell’amministratore, mentre in ambito bancario ex 136 t.u.b. vengono a rilevare le sole operazioni riferibili a contratti di
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compravendita ovvero ad assunzione di obbligazioni, di carattere finanziario e non. In altri termini, l’articolo 136 t.u.b. disciplina quelle fattispecie nelle quali l’esponente aziendale si pone (direttamente o indirettamente) quale controparte della Banca dove svolge funzioni di amministrazione, direzione o controllo. L’articolo 2391 del codice civile contempla, invece, fattispecie nelle quali l’amministratore non si pone quale controparte della banca che amministra, ma ha un interesse proprio o per conto di terzi, anche coincidente con quello della società, nell’operazione che la società si appresta a compiere. L’art. 136 t.u.b., dunque, si pone in rapporto di specialità rispetto alla disciplina generale dettata dall’art. 2931 c.c., disposizione che peraltro viene di fotto richiamata dall’art. 136 t.u.b. laddove prevede “fermi restando gli obblighi previsti dal c.c. in materia di interessi degli amministratori e di operazioni con parti correlate”. Alla luce di quanto sopra, appare innegabile che i criteri di valutazione della procedura debbano essere quelli di cui all’art. 2391 c.c., ma ciò nell’ipotesi in cui si versi nell’area specifica degli interessi degli amministratori, circostanza che non ricorre ad esempio nel capo sub E) 11.I relativo ad obbligazione direttamente contratta da XH, quale sindaco e non amministratore della Banca Z.
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Appaiono dunque condivisibili le conclusioni formulate dai CT di parte, i quali hanno escluso che il mancato rispetto degli obblighi di cui all’art. 2931 c.c. sia sanzionato dall’art. 136 t.u.b., atteso che l’art. 2931 c.c. risulta già sanzionato in via autonoma sia civilmente (con la previsione dell’impugnazione della delibera), che penalmente, ex art. 2629 bis c.c. (parere prof. B e N p. 13-15). Ma anche a voler ritenere applicabile l’art. 2391 c.c. a tutti i casi in contestazione, si tratta di verificare se in effetti risultino integrati i vizi di motivazione e informazione dedotti dal Pubblico Ministero. Il Pubblico Ministero ed il CT dott. F hanno evidenziato come la motivazione delle delibere si sia caratterizzata per essere, di fatto, una motivazione “di stile” e come anche l’informazione fornita in merito alla natura, all’origine, ai termini ed alla portata degli interessi gestiti sia stata in verità carente. Al contrario, il CT della difesa dott. P ha valorizzato il contenuto informativo delle schede tecniche allegate alle delibere, estremamente dettagliate e sostanzialmente non valutate dal CT F. Non appare in effetti dubitabile che l’informazione debba avere massima completezza. Più di ogni analisi sui singoli termini vale la considerazione di sintesi che si trae dall’articolata espressione legislativa, articolazione che porta ad affermare che,
in quel modo, il legislatore abbia voluto mettere in debita luce l’esigenza che l’informazione ambisca alla maggior completezza in funzione del fine cui è destinata, ossia quello di consentire al consiglio di amministrazione di motivare adeguatamente sulle ragioni e sulla convenienza dell’operazione, sussistenti pur in presenza di un interesse personale (anche per conto di terzi) di un esponente bancario. L’analisi delle singole fattispecie portate all’attenzione del collegio impone tuttavia anche di evidenziare come, nella specie, si sia trattato di delibere meramente confermative di altre assunte in precedenza. Si tratta, infatti, sempre di delibere confermative di “plafond di carta di credito” o di “conferma fido per carta di credito” e dunque di delibere che trovano il loro presupposto nelle precedenti già assunte e nelle informative fomite. in quella sede, dovendosi concludere per l’esaustività sia dell’informazione che della motivazione. Ciò, peraltro, tanto più se si consideri la natura dell’operazione autorizzata, ossia una operazione di erogazione di credito che, per sua definizione, è sempre standardizzata sia in relazione all’interesse dell’esponente, che in relazione all’interesse della banca, dovendosi recisamente escludere che l’interesse sotteso alla delibera di autorizzazione ad un fido per
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carta di credito imponga di valutare ex ante quali tipologie di spesa dovranno trovare copertura, come invece sostenuto dal CT del Pubblico Ministero.
Anche per tali imputazioni, dunque, deve essere pronunciata sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste. (Omissis)
(1-2) A. Il nostro ordinamento creditizio prevede uno “statuto penale” speciale per i c.d. esponenti bancari (cioè per chi svolga, presso una banca, funzioni di amministrazione e di direzione, e talvolta anche chi svolga funzioni di controllo), che si sovrappone allo “statuto penale” di diritto comune disegnato, per gli amministratori, i direttori generali ed i sindaci di società per azioni, dal codice civile1. Di tale statuto speciale costituisce importante componente l’art. 136 t.u.b., il quale consente ai suddetti esponenti di contrarre obbligazioni con la banca che rispettivamente amministrano, dirigono o controllano solo sulla base di un certo procedimento (è il meccanismo c.d. di “permesso condizionato”), l’osservanza del quale è presidiata da sanzione penale. Si tratta di una disposizione che ha origini risalenti (è stata infatti introdotta nel nostro ordinamento con l’art. 6 r.d.l. n. 1459 del 1930); che ha subito negli ultimi tempi ripetute modifiche: con la legge 28 dicembre 2005, n. 262; con il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221 ed infine con il d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72 (su questi interventi – tranne ovviamente l’ultimo - v. ampiamente Nigro, Note minime sulla nuova disciplina delle obbligazioni degli esponenti bancari, in Dir. banc., 2014, p. 12 ss., ove tutti gli opportuni riferimenti); che infine, sia per la delicatezza della materia (rispetto alla quale tipicamente si contrappongono due esigenze: quella di evitare, con rigorosi meccanismi di divieto delle operazioni creditizie con i propri esponenti, di deprimere la normale operatività della banca e quella di tutelare l’integrità patrimoniale della medesima banca rispetto al rischio di abusi), sia anche per la “instabilità” di cui si è appena detto, ha prospettato e continua a prospettare molti nodi problematici intorno ai quali si è sviluppato un ampio dibattito, soprattutto in
Una precisa funzione di raccordo fra i due “statuti” svolge l’art. 135 t.u.b. per il quale le disposizioni contenute nel titolo XI del libro V del codice civile (in materia di “reati societari”) si applicano a chi svolge funzioni di amministrazione direzione e controllo presso banche, anche se non costituite in forma societaria. 1
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sede dottrinale (per la letteratura più recente su questa disposizione, nelle diverse sue versioni, v. in particolare Zambusi, L’infedeltà patrimoniale interna degli operatori bancari, Padova, 2005; Bianchi e Lucenti, Una «chirurgia» legislativa invasiva: la riforma dell’art. 136 testo unico bancario, in AGE, 2006, p. 77 ss.; P. Ferro-Luzzi, Le «obbligazioni degli esponenti aziendali»; l’art. 136, 2° comma bis t.u.b.; il doppio esercizio delle «funzioni rilevanti», in Banca, borsa, tit. cred., 2006, I, p. 469 ss.; Lembo, L’art. 136 t.u.b. nella versione integrata dalla cosiddetta legge sul risparmio – Prime e brevi riflessioni, in Dir. banc., 2006, I, p. 455 ss.; De Pra, Le obbligazioni degli esponenti bancari, in Giur. comm., 2008, I, p. 1140 ss.; Costi, L’ordinamento del credito5, Bologna, 2012, p. 675 ss., oltre naturalmente a Nigro, Note, cit., p. 11 ss.). La sentenza che qui pubblichiamo – la prima, a quanto consta, che si è occupata dell’art. 136 nella versione risultante dal d.l. n. 179/2012: il che ne accresce ovviamente l’interesse – si inserisce in questo dibattito, fornendo un contributo alla delimitazione dell’ambito di applicazione della disposizione in questione destinato ad assumere, è da ritenere, notevole rilievo. B. Conviene cominciare con il ricordare che l’art. 136 t.u.b., nella versione risultante dopo l’integrazione operata con la legge del 2005, così disponeva: 1. Chi svolge funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso una banca non può contrarre obbligazioni di qualsiasi natura o compiere atti di compravendita, direttamente od indirettamente, con la banca che amministra, dirige o controlla, se non previa deliberazione dell’organo di amministrazione presa all’unanimità e col voto favorevole di tutti i componenti dell’organo di controllo, fermi restando gli obblighi previsti dal codice civile in materia di interessi degli amministratori e di operazioni con parti correlate. 2. Le medesime disposizioni si applicano anche a chi svolge funzione di amministrazione, direzione e controllo, presso una banca o società facenti parte di un gruppo bancario, per le obbligazioni e per gli atti indicati nel comma 1 posti in essere con la società medesima o per le operazioni di finanziamento poste in essere con altra società o con altra banca del gruppo. In tali casi l’obbligazione o l’atto sono deliberati, con le modalità previste dal comma 1, dagli organi della società o banca contraente e con l’assenso della capogruppo. 2-bis. Per l’applicazione dei commi 1 e 2 rilevano anche le obbligazioni intercorrenti con società controllate dai soggetti di cui ai medesimi commi o presso le quali gli stessi soggetti svolgono funzioni di amministrazione, direzione o controllo, nonché con le società da queste controllate o che le controllano. Il presente comma non si applica alle obbliga-
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zioni contratte tra società appartenenti al medesimo gruppo bancario ovvero tra banche per le operazioni sul mercato interbancario. 3. L’inosservanza delle disposizioni dei commi 1, 2 e 2-bis è punita con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 206 a 2.066 euro». Il d. l. n. 179/2012, da un lato, ha inserito nel co. 1, alla fine, questo periodo: «E’ facoltà del consiglio di amministrazione delegare l’approvazione delle operazioni di cui ai periodi precedenti nel rispetto delle modalità ivi previste»; e, dall’altro, ha puramente e semplicemente abrogato i co. 2 e 2-bis, di cui è rimasta peraltro l’indicazione nel co. 3 (modifiche ulteriori sono venute dal d.lgs. n. 72/2015: ma esse sono irrilevanti ai fini che qui interessano; se ne tratterà infra, sub C). Ciò precisato, si può venire alla sentenza del Tribunale di Forlì, che si è occupata di due diverse questioni: la prima, largamente dibattuta anche in passato, è la questione del significato e della portata da attribuire all’avverbio «indirettamente» usato nel primo comma dell’art. 136; la seconda, invece nuova, è quella della portata da riconoscere all’inciso, contenuto nella parte finale dello stesso primo comma, «fermi restando gli obblighi previsti dal codice civile in materia di interessi degli amministratori e di operazioni con parti correlate». a. Come si è appena accennato, la portata da attribuire all’avverbio «indirettamente» ha da sempre costituito materia di discussione, essendosi nel tempo contrapposte tesi restrittive, in particolare quella secondo cui il termine avrebbe dovuto riferirsi unicamente alle ipotesi di interposizione, fittizia o reale, di persona e tesi estensive, in particolare quelle che includevano nell’area del divieto anche, specificamente, le ipotesi in cui le obbligazioni fossero da assumere da una società di cui l’esponente avesse il controllo o in cui l’esponente svolgesse funzioni di amministrazione, direzione o controllo (per un quadro delle diverse opinioni v., per tutti, Costi, L’ordinamento, cit., p. 677 ss.; Nigro, Note, cit., p. 17 ss.). Va sottolineato che il legislatore del 2005 era intervenuto sull’art. 136 proprio con riferimento alle ipotesi da ultimo individuate, espressamente estendendo anche ad esse con un apposito comma (il co. 2-bis) la regola del c. d. permesso condizionato; e che la soppressione di tale comma da parte del d.l. n. 179/2012 porta inevitabilmente a riproporre appunto la questione se l’avverbio «indirettamente» possa (di nuovo) ricomprendere anche quelle ipotesi. Tale questione la sentenza in rassegna ha risolto in senso negativo, all’esito di un percorso ricostruttivo ampiamente argomentato e pienamente condivisibile. Un percorso – per il quale v. anche Nigro, Note, cit., p. 19 ss. – che muove dalla necessità di rispettare i principi generali in
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materia di interpretazione della legge, in particolare della legge penale, si snoda attraverso la constatazione di «interventi legislativi espressi che dapprima hanno ricondotto sotto la procedura dell’art. 136 T.U.B. le ipotesi di controllo e di collegamento societario e che poi, all’opposto, le hanno volutamente espulse dal quadro sanzionatorio nell’ottica di una più generale semplificazione delle procedure», l’affermazione per la quale sarebbe «contrario alla volontà espressa dal legislatore recuperare ipotesi espressamente abrogate, peraltro, attraverso un’attività di interpretazione estensiva che non pare giustificabile nemmeno alla luce del contrasto giurisprudenziale che aveva preceduto la riforma legislativa del 2005 e che aveva poi portato all’introduzione del comma 2 bis», il rilievo secondo cui «depone… a favore di una interpretazione restrittiva la circostanza che l’interpretazione estensiva dell’avverbio “indirettamente” ha trovato invero applicazione nella giurisprudenza solo in epoca anteriore alla novella legislativa del 2005 del comma 2 bis dell’art. 136 TUB», per arrivare alla conclusione che l’avverbio in questione va riferito soltanto alle situazioni di interposizione reale o fittizia. Situazioni che il Tribunale – richiamandosi alla giurisprudenza anteriore alla legge del 2005 – ha ritenuto doversi in generale intendere come «tutti i casi in cui il centro di imputazione sostanziale dell’operazione sia comunque, ed indipendentemente dall’evidenza formale, un esponente aziendale della banca». Con il che però – sembrerebbe di poter osservare – si rischia di andare oltre l’interposizione di persona in senso tecnico. b. L’art. 2391 c.c., recante la rubrica «Interessi degli amministratori» stabilisce che «L’amministratore deve dare notizia gli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale, se si tratta di amministratore unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile». La seconda questione affrontata dal Tribunale di Forlì attiene appunto alla definizione del rapporto fra l’art. 136 t.u.b. e l’art. 2391 esplicitamente richiamato dallo stesso art. 136: nel senso di stabilire se, per effetto proprio del richiamo, il mancato rispetto degli obblighi di cui alla disposizione civilistica debba ritenersi concretare, oppure no, violazione sanzionata dall’art. 136. Anche qui il tribunale perviene ad una risposta negativa; anche qui sulla base di un percorso ricostruttivo argomentato e pienamente condivisibile. Un percorso che muove dal diverso ambito applicativo delle due norme, si snoda attraverso il rilievo dell’esistenza di un rapporto di spe-
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cialità dell’art. 136 rispetto alla disposizione generale dell’art. 2391 e la constatazione della applicabilità di entrambe le norme ove ne sussistano i presupposti, per arrivare alla conclusione secondo cui deve escludersi che il mancato rispetto degli obblighi di cui all’art. 2391 sia sanzionato dall’art. 136. Conclusione confortata da ciò che – e sul punto v. anche Nigro, Note, cit., p. 23 – la violazione dell’art. 2391 è già, come tale, sanzionata (oltre che sul piano civile) sul piano penale dall’art. 2629-bis. C. Si è detto prima che l’art. 136 t.u.b. è stato, ancora una volta, modificato dal d. lgs. n. 72/2015. L’art. 1, co. 48 di tale decreto ha infatti disposto che al co. 1 dell’art. 136, dopo le parole «presa all’unanimità», siano inserite le parole «con l’esclusione del voto dell’esponente interessato» e che il co. 3 sia sostituito dal seguente «L’inosservanza delle disposizioni del comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 206 a 2.066 euro». Si tratta di modifiche abbastanza marginali: la prima, comunque, elimina i dubbi in ordine al comportamento da tenere dall’amministratore “interessato”, non più vincolato ad esprimere un voto favorevole; con la seconda si sopprime l’incongruo riferimento, rimasto nel co. 3, ai co. 2 e 2-bis abrogati dal d. l. n. 179/2012. [Vincenzo Caridi]
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PARTE SECONDA Legislazione, documenti e informazioni
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La riforma delle banche popolari Al di là delle polemiche suscitate dall’art. 1 del d.l. 24 gennaio 2015, n. 3 (Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti, c.d. investment compact), convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, si può ritenere che le basi razionali della riforma delle banche popolari (se di riforma si può effettivamente parlare) risiedano nelle criticità mostrate dagli assetti di governance quando le dimensioni delle banche a struttura cooperativa (quali sono anche le banche popolari) superano una certa soglia. Recenti analisi empiriche svolte sui principali paesi europei evidenziano, infatti, che i punti di forza delle banche cooperative – la maggiore stabilità rispetto a quelle lucrative. in particolare per la minor rischiosità del loro attivo, che compensa una minore redditività – si affievoliscono nel caso delle banche cooperative quotate, il cui modello operativo è più simile a quello di una società per azioni. Nel caso delle banche cooperative di ampie dimensioni, quotate in borsa, alcune disposizioni normative previgenti sono state considerate la causa di forti criticità: si pensi, ad esempio, agli stringenti limiti al possesso azionario, all’inderogabilità del voto capitario, alla facoltà di ricorrere a clausole di gradimento e vincoli alla rappresentanza in assemblea. Ai sensi dell’art. 30, co. 2, del t.u.b., infatti, nelle banche popolari nessuno, direttamente o indirettamente, può detenere azioni in misura eccedente l’1 per cento del capitale sociale, salva la facoltà statutaria di prevedere limiti più contenuti, comunque non inferiori allo 0,5 per cento. Inoltre; secondo lo schema cooperativistico tipico, «ogni socio ha un voto, qualunque sia il numero delle azioni possedute» (art. 30, co. 1, t.u.b.). Si tratta, appunto, del cosiddetto “voto capitario”, per cui nell’assemblea degli azionisti ogni socio può esprimere un singolo voto (“una testa un voto”) indipendentemente dal numero delle azioni che detiene o rappresenta. Queste caratteristiche rendono le popolari “incontendibili”, rendono, cioè, impossibile la loro scalata per acquisirne il controllo. E’ noto, infine, che gli statuti delle banche popolari hanno da sempre sottoposto al “gradimento” del consiglio di amministrazione l’ingresso di nuovi soci, seppure, in qualche modo, le prescrizioni dell’art. 30, co. 5, del t.u.b. sembrano voler limitare il potere dell’organo amministrativo, obbligandolo a motivare le delibere di rigetto delle domande di ammissione a socio con riguardo all’interesse della società, alle prescrizioni statutarie e allo spirito della forma cooperativa e
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a riesaminare la domanda di ammissione su richiesta del collegio dei probiviri, costituito ai sensi dello statuto e integrato con un rappresentante dell’aspirante socio. D’altra parte, ai sensi del co. 6 dello stesso art. 30, coloro ai quali il consiglio di amministrazione abbia rifiutato l’ammissione a socio possono esercitare i diritti aventi contenuto patrimoniale relativi alle azioni possedute, fermo restando quanto disposto dal comma, sui limiti alla partecipazione azionaria. Nelle disposizioni sopra ricordate si è ravvisato un forte disincentivo alla partecipazione dei soci alla vita aziendale con la conseguente riduzione della capacità di controllo sulle condotte manageriali e la cristallizzazione di situazioni di autoreferenzialità dei vertici societari. Questi problemi risulterebbero attenuati laddove la base sociale e l’operatività della banca a struttura cooperativa fossero circoscritte, mentre, al contrario, si accentuerebbero notevolmente nel caso di banche con dimensioni rilevanti ed aperte al mercato. Basi sociali frazionate e disperse, senza un’adeguata capacità di aggregazione e rappresentanza, favorirebbero la concentrazione di potere in capo a singole categorie che, pur costituendo una frazione minoritaria dell’intera compagine sociale, sarebbero in grado di influenzare significativamente le vicende societarie. D’altra parte, i limiti alla partecipazione azionaria e al voto in assemblea renderebbero più difficoltosa la raccolta del capitale, sia fra i vecchi soci sia presso nuovi investitori, costituendo in tal modo anche un vincolo nelle operazioni di rafforzamento patrimoniale. Tale effetto, peraltro, si presenterebbe in modo più accentuato nei momenti di difficoltà della categoria, che difficilmente possono essere risolti (ad esempio attraverso fusioni o cessioni) senza sacrificare lo scopo mutualistico. I vari disegni di legge di riforma delle banche popolari presentati negli ultimi anni, seppur con soluzioni specifiche diverse, si sono tutti occupati dei problemi cui sopra si è accennato, prevedendo: a) l’ampliamento dei limiti partecipativi individuali al capitale e un ruolo più incisivo degli investitori istituzionali, a cui dovrebbero consentirsi livelli partecipativi più elevati e diritti speciali di nomina di propri rappresentanti negli organi di amministrazione e controllo; b) l’estensione delle possibilità di delega del voto da parte dei soci; c) la revisione della disciplina delle trasformazioni; d) l’attenuazione dei vincoli alla cessione delle azioni e all’ammissione a socio. Nel senso sopra indicato si è mosso il d.l. n. 179 del 2012, il cui art. 23-quater ha modificato le disposizioni concernenti la governance e la struttura delle banche popolari e delle società cooperative quotate, al fine di affidare all’autonomia statutaria la determinazione delle quote di capitale rilevanti, ai fini dell’esercizio di specifici diritti azionari (relativi all’ordine del giorno in assemblea e all’elezione con voto di lista del consiglio di amministrazione). Il d.l. n. 179/2012 ha modificato in più punti il testo unico bancario, elevando in primo luogo il limite del possesso azionario, diretto o indiretto, nelle banche popolari dallo 0,5 all’1 per cento del capitale sociale, fatta salva la facoltà di prevedere nello statuto limiti più contenuti, comunque non inferiori allo 0,5 per cento.
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In deroga ai limiti così previsti, gli statuti possono fissare al 3 per cento la partecipazione delle fondazioni di origine bancaria, a condizione che il superamento del limite sia dovuto ad operazioni di aggregazione. È stato anche consentito allo statuto della banca popolare di subordinare l’ammissione a socio, oltre che a requisiti soggettivi, al possesso di un numero minimo di azioni, il cui venir meno comporta la decadenza dalle qualità assunte, ciò al fine di favorire la patrimonializzazione della società. Lo statuto può anche determinare il numero massimo di deleghe che possono essere conferite ad un socio, fermo restando il limite di 10 deleghe previsto dal codice civile. *** L’art. 1 del d.l. n. 3/2015 introduce, al co. 1, una serie di modifiche al t.u.b. La prima modifica è costituita dall’aggiunta all’art. 28 del t.u.b., dopo il co. 2-bis, del co. 2-ter, secondo cui, evidentemente al fine di salvaguardare la solidità patrimoniale delle popolari sotto il profilo dell’applicazione delle disposizioni di vigilanza prudenziale, «Nelle banche popolari il diritto al rimborso delle azioni nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione, morte o esclusione del socio, è limitato secondo quanto previsto dalla Banca d’Italia, anche in deroga a norme di legge, laddove ciò è necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca. Agli stessi fini, la Banca d’Italia può limitare il diritto al rimborso degli altri strumenti di capitale emessi». All’art. 29 del t.u.b., inoltre, sono aggiunti i co. 2-bis, ter e quater, secondo cui l’attivo di una banca popolare non può superare 8 miliardi di euro. Se la banca è capogruppo di un gruppo bancario, il limite è determinato a livello consolidato (co. 2-bis). In caso di superamento del predetto limite, si prevede che l’organo di amministrazione convochi l’assemblea per le determinazioni del caso. Se entro un anno dal superamento del limite l’attivo non è stato ridotto al di sotto della soglia né è stata deliberata la trasformazione in società per azioni ai sensi dell’art. 31 del t.u.b. (che regola le ipotesi di trasformazione e di fusione delle popolari da cui risultino società per azioni: anche il testo di tale norma è stato novellato dal decreto in commento) o la liquidazione, la Banca d’Italia, tenuto conto delle circostanze e dell’entità del superamento, può adottare il divieto di intraprendere nuove operazioni o proporre al Ministro dell’economia e delle finanze di decretare l’amministrazione straordinaria della banca, o proporre alla Banca centrale europea la revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria e al Ministro dell’economia e delle finanze la liquidazione coatta amministrativa. In sede di prima applicazione, le banche popolari dovranno adeguarsi a queste nuove norme entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di attuazione emanate dalla Banca d’Italia. Restano fermi i poteri di intervento e sanzionatori attribuiti a quest’ultima, la quale (co. 2-ter), inoltre, detta disposizioni di attuazione dell’articolo 29 del t.u.b., come novellato nei termini anzidetti in (co. 2-quater). Il comma 3 dell’art. 29 del t.u.b., che prevedeva che la nomina dei membri degli organi di amministrazione e controllo spettasse esclusivamente ai competenti organi sociali, è abrogato.
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Anche la disciplina della trasformazione e fusione delle popolari, come si è detto, ha subito modificazioni: il testo dell’art. 31 del t.u.b., infatti, viene integralmente sostituito. Mentre, secondo il testo previgente della norma, le trasformazioni di banche popolari in società per azioni ovvero le fusioni alle quali prendessero parte banche popolari e da cui fossero risultate società per azioni potevano essere autorizzate dalla Banca d’Italia soltanto nell’interesse dei creditori ovvero per esigenze di rafforzamento patrimoniale ovvero a fini di razionalizzazione del sistema, adesso questi limiti sono soppressi; le relative deliberazioni assembleari e le connesse modificazioni statutarie sono assunte: a) in prima convocazione, con la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, purché all’assemblea sia rappresentato almeno un decimo dei soci della banca; b) in seconda convocazione, con la maggioranza di due terzi dei voti espressi, qualunque sia il numero dei soci intervenuti all’assemblea. Anche l’art. 150-bis del t.u.b. viene ampiamente modificato. L’art. 150-bis – introdotto dal d.lgs. n. 310 del 2004, dopo la riforma del diritto societario del 2003 – precisava quali norme del codice civile riformato non trovassero applicazione nei confronti delle banche cooperative (banche popolari e banche di credito cooperativo). Con la novella apportata dal decreto in commento, il co. 1 dell’art. 150-bis le disposizioni civilistiche che prima non si applicavano sia alle banche popolari che alle banche di credito cooperativo, adesso non si applicano esclusivamente a queste ultime, mentre, per le prime, la nuova versione del co. 2, elenca un diverso set di disposizioni del codice civile che non si applicano. Vengono così a crearsi due diversi regimi civilistici indipendenti, l’uno che trova applicazione per le banche di credito cooperativo e l’altro destinato ad applicarsi alle banche popolari. Ad esse, tra l’altro, sarà consentito di emettere strumenti finanziari che prevedano l’attribuzione di diritti amministrativi, ai sensi dell’art. 2346 c.c., e di attribuire ai soci persone giuridiche più voti, ma non oltre cinque, in relazione all’ammontare della quota oppure al numero dei loro membri, a norma dell’art. 2538, co. 2, c.c. Inoltre, mentre l’originaria versione del co. 2-bis dell’art. 150-bis del t.u.b. prevedeva che gli statuti delle banche popolari determinassero il numero massimo di deleghe che possono essere conferite ad un socio, fermo restando il limite di dieci, previsto dall’art. 2539, co. 1, del codice civile, ora, invece, il testo novellato della norma stabilisce che, in deroga a quanto previsto dall’art. 2539, co. 1, c.c., gli statuti delle banche popolari determinano il numero massimo di deleghe che possono essere conferite ad un socio; in ogni caso, questo numero non può essere inferiore a 10 nè superiore a 20. In sede di conversione del d.l. n. 3/2015, nell’art. 1 è stato aggiunto il co. 2-bis che dispone che gli statuti delle società per azioni risultanti dalla trasformazione delle banche popolari o da una fusione cui partecipino una o più banche popolari possono prevedere che fino al termine indicato nello statuto, in ogni caso non successivo a 24 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, nessun soggetto avente diritto al voto possa esercitarlo, ad alcun titolo, per un quantitativo di azioni superiore al 5 per cento del capitale sociale avente diritto al voto, salva la facoltà di prevedere limiti più elevati. A tal
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fine, si considerano i voti espressi in relazione ad azioni possedute direttamente e indirettamente, tramite società controllate, società fiduciarie o interposta persona e quelli espressi in ogni altro caso in cui il diritto di voto sia attribuito, a qualsiasi titolo, a soggetto diverso dal titolare delle azioni; le partecipazioni detenute da organismi di investimento collettivo del risparmio, italiani o esteri, non sono mai computate ai fini del limite. Il controllo ricorre nei casi previsti dall’art. 23 del t.u.b. In caso di violazione di dette disposizioni, la deliberazione assembleare eventualmente assunta è impugnabile ai sensi dell’art. 2377 c.c., se la maggioranza richiesta non sarebbe stata raggiunta senza tale violazione. Le azioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto non sono computate ai fini della regolare costituzione dell’assemblea. [Francesco Mazzini] D.l. 24 gennaio 2015, n. 3 (convertito con modificazioni nella l. 24 marzo 2015, n. 33) – Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti. (Omissis) Art. 1 Banche popolari 1. Al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 28, dopo il comma 2-bis, è aggiunto il seguente: «2-ter. Nelle banche popolari il diritto al rimborso delle azioni nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione o di esclusione del socio, è limitato secondo quanto previsto dalla Banca d’Italia, anche in deroga a norme di legge, laddove ciò è necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca. Agli stessi fini, la Banca d’Italia può limitare il diritto al rimborso degli altri strumenti di capitale emessi.»; b) all’articolo 29: 1) dopo il comma 2, sono inseriti i seguenti: «2-bis. L’attivo della banca popolare non può superare 8 miliardi di euro. Se la banca è capogruppo di un gruppo bancario, il limite è determinato a livello consolidato. 2-ter. In caso di superamento del limite di cui al comma 2-bis, l’organo di amministrazione convoca l’assemblea per le determinazioni del caso. Se entro un anno dal superamento del limite l’attivo non è stato ridotto al di sotto della soglia né è stata deliberata la trasformazione in società per azioni ai sensi dell’articolo 31 o la liquidazione, la Banca d’Italia, tenuto conto delle circostanze e dell’entità del superamento, può adottare il divieto di intraprendere nuove operazioni ai sensi dell’articolo 78, o i provvedimenti previsti nel Titolo IV, Capo I, Sezione I, o proporre alla Banca centrale europea la revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria e al Ministro dell’economia e delle finanze la liquidazione coatta amministrativa. Restano fermi i poteri di intervento e sanzionatori attribuiti alla Banca d’Italia dal presente decreto legislativo. 2-quater. La Banca d’Italia detta disposizioni di attuazione del presente articolo.»; 2) il comma 3 è abrogato;
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c) l’articolo 31 è sostituito dal seguente: «Articolo 31 (Trasformazioni e fusioni). - 1. Le trasformazioni di banche popolari in società per azioni o le fusioni a cui prendano parte banche popolari e da cui risultino società per azioni, le relative modifiche statutarie nonché le diverse determinazioni di cui all’articolo 29, comma 2-ter, sono deliberate: a) in prima convocazione, con la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, purché all’assemblea sia rappresentato almeno un decimo dei soci della banca; b) in seconda convocazione, con la maggioranza di due terzi dei voti espressi, qualunque sia il numero dei soci intervenuti all’assemblea. 2. In caso di recesso resta fermo quanto previsto dall’articolo 28, comma 2-ter. 3. Si applicano gli articoli 56 e 57.»; d) all’articolo 150-bis: 1) al comma 1, le parole: «banche popolari e alle» sono soppresse; 2) il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. Alle banche popolari non si applicano le seguenti disposizioni del codice civile: 2349, secondo comma, 2512, 2513, 2514, 2519, secondo comma, 2522, 2525, primo, secondo, terzo e quarto comma, 2527, secondo e terzo comma, 2528, terzo e quarto comma, 2530, primo, secondo, terzo, quarto e quinto comma, 2538, secondo comma, secondo periodo, e quarto comma, 2540, secondo comma, 2542, secondo e quarto comma, 2543, primo e secondo comma, 2545bis, 2545-quater, 2545-quinquies, 2545-octies, 2545-decies, 2545-undecies, terzo comma, 2545-terdecies, 2545-quinquiesdecies, 2545-sexiesdecies, 2545-septiesdecies e 2545-octiesdecies.»; 3) il comma 2-bis è sostituito dal seguente: «2-bis. In deroga a quanto previsto dall’articolo 2539, primo comma, del codice civile, gli statuti delle banche popolari determinano il numero massimo di deleghe che possono essere conferite ad un socio; in ogni caso, questo numero non è inferiore a 10 e non è superiore a 20.»; 2. In sede di prima applicazione del presente decreto, le banche popolari autorizzate al momento dell’entrata in vigore del presente decreto si adeguano a quanto stabilito ai sensi dell’articolo 29, commi 2-bis e 2-ter, del decreto legislativo 1º settembre 1993, n.385, introdotti dal presente articolo, entro 18 mesi dalla data dientrata in vigore delle disposizioni di attuazione emanate dalla Banca d’Italia ai sensi del medesimo articolo 29. 2-bis. Gli statuti delle società per azioni risultanti dalla trasformazione delle banche popolari di cui al comma 2 o da una fusione cui partecipino una o più banche popolari di cui al medesimo comma 2 possono prevedere che fino al termine indicato nello statuto, in ogni caso non successivo a ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nessun soggetto avente diritto al voto può esercitarlo, ad alcun titolo, per un quantitativo di azioni superiore al 5 per cento del capitale sociale avente diritto al voto, salva la facoltà di prevedere limiti più elevati. A tal fine, si considerano i voti espressi in relazione ad azioni possedute direttamente e indirettamente, tramite società controllate, società fiduciarie o interposta persona e quelli espressi in ogni altro caso in cui il diritto di voto sia attribuito, a qualsiasi titolo, a sog-
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getto diverso dal titolare delle azioni; le partecipazioni detenute da organismi di investimento collettivo del risparmio, italiani o esteri, non sono mai computate ai fini del limite. Il controllo ricorre nei casi previsti dall’articolo 23 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni. In caso di violazione delle disposizioni del presente comma, la deliberazione assembleare eventualmente assunta è impugnabile ai sensi dell’articolo 2377 del codice civile, se la maggioranza richiesta non sarebbe stata raggiunta senza tale violazione. Le azioni per le quali non può essere esercitato il di-ritto di voto non sono computate ai fini della regolare costituzione dell’assemblea. (Omissis)
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NORME REDAZIONALI
I. Note 1. Le note debbono essere collocate a pie’ di pagina con numerazione continua e progressiva. 2. La numerazione delle note non deve mai iniziare dal titolo (se necessario, può apporsi un asterisco al titolo, per qualche specificazione particolare; per esempio: “testo della relazione presentata…”)
II. Criteri di citazione 1. Gli articoli di legge vanno citati come segue: - art. 2221 c.c. - art. 2332, co. 1, c.c. 2. I libri vanno citati nel seguente modo: Belli, Legislazione bancaria italiana (1861-2003), Torino, 2004, p. … - Nel caso di più autori, vanno adottati i seguenti modelli: Maimeri, A. Nigro e Santoro, Contratti bancari. 1. Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991, p. …; Allegri ed altri, Diritto commerciale4 , Bologna, 2004, p. … - Nel caso di opere con uno o più curatori, va adottato il seguente modello: Belli e Santoro, a cura di, La banca centrale europea, Milano, 2003, p. … - L’iniziale del nome di battesimo va inserita solo in caso di omonimia. Per esempio: M. Sandulli, Le attività di investimento delle Fondazioni bancarie, in Dir. banc., 2004, I, p. … - Nel caso di pluralità di edizioni, il numero dell’edizione va sempre indicato come segue: Costi, L’ordinamento bancario3, Bologna, 2001. 3. Le voci di enciclopedie vanno citate nel seguente modo: Angelici, Società per azioni e in accomandita per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. …
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4. Gli articoli vanno citati nel seguente modo: Santoro, Garanzia della solvenza della società a responsabilità limitata in caso di circolazione dei titoli di debito, in Dir. banc., 2004, I, p. … 5. I saggi o commenti inseriti in opere collettanee vanno citati nel seguente modo: A. Nigro, Imprese commerciali e imprese soggette a registrazione2, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, 15**, Torino, 2001, p. … 6. Le citazioni successive alla prima vanno fatte nel seguente modo: Belli, Legislazione, cit., p. …; Costi, L’ordinamento, cit., p. … 7. Le sentenze vanno citate nel seguente modo: - Cass., 8 aprile 2004, n. 6943, in Foro it., 2004, I, 1713 - App. Milano, 6 aprile 2004, in Il fallimento, 2005, 768 - Trib. Mantova, 24 marzo 2004, in Il fallimento, 2004, 1161. N.B.: occorre attenersi scrupolosamente alle abbreviazioni di cui all’elenco che segue e va omessa l’indicazione p. (pagina) o c. (colonna).
III. Abbreviazioni 1. Fonti normative codice civile c.c. codice di commercio c.comm. Costituzione Cost. codice di procedura civile c.p.c. codice penale c.p. codice di procedura penale c.p.p. decreto d. decreto legislativo d.lgs. decreto legge d.l. decreto legge luogotenenziale d.l. luog. decreto ministeriale d.m. decreto del Presidente della Repubblica d.P.R. disposizioni sulla legge in generale d.prel. disposizioni di attuazione disp.att. disposizioni transitorie disp.trans. legge fallimentare l.fall.
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legge cambiaria testo unico testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1-9-1993, n. 583) testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24-2-1998. n. 58)
l.camb. t.u. t.u.b. t.u.f.
2. Autorità giudiziarie Corte Costituzionale C. Cost. Corte di Cassazione Cass. Sezioni unite S. U. Consiglio di Stato Cons. St. Corte d’Appello App. Tribunale Trib. Tribunale amministrativo regionale TAR 3. Riviste; enciclopedie. Archivio civile Arch. civ. Banca, borsa e titoli di credito Banca, borsa, tit. cred. Banca, impresa e società Banca, impresa, soc. Bancaria Banc. Banche e banchieri Banche e banc. Contratto e impresa Contr. e impr. Contratti Contr. Corriere giuridico Corr. giur. Digesto IV ed. Dig. disc. priv., sez. comm. Dig. disc. priv., sez. civ. Dig. disc. pen. Dig. disc. pubbl. Diritto amministrativo Dir. amm. Diritto della banca e dei mercati finanziari Dir. banc. Diritto del commercio internazionale Dir. comm. int. Diritto dell’economia Dir. econ. Diritto e pratica nell’assicurazione Dir. e prat. assic. Diritto fallimentare (e delle società commerciali) Dir. fall. Diritto e giurisprudenza Dir. e giur.
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Diritto industriale Dir. ind. Diritto dell’informazione e dell’informatica Dir. inform. Economia e credito Econ. e cred. Enciclopedia del diritto Enc. dir. Enciclopedia giuridica Treccani Enc. giur. Europa e diritto privato Europa e dir. priv. Foro italiano (il) Foro it. Foro napoletano (il) Foro nap. Foro padano (il) Foro pad. Giurisprudenza commerciale Giur. comm. Giurisprudenza costituzionale Giur. cost. Giurisprudenza italiana Giur. it. Giurisprudenza di merito Giur. merito Giustizia civile Giust. civ. Il fallimento Il fallimento Jus Jus Le società Le società Notariato (11) Notariato Novissimo Digesto italiano Noviss. Dig. it. Nuova giurisprudenza civile commentata Nuova giur. civ. comm. Nuove leggi civili commentate (le) Nuove leggi civ. Quadrimestre Quadr. Rassegna di diritto civile Rass. dir. civ. Rassegna di diritto pubblico Rass. dir. pubbl. Rivista bancaria Riv. banc. Rivista critica di diritto privato Riv. crit. dir. priv. Rivista dei dottori commercialisti Riv. dott. comm. Rivista della cooperazione Riv. coop. Rivista delle società Riv. soc. Rivista del diritto commerciale Riv. dir. comm. Rivista del notariato Riv. not. Rivista di diritto civile Riv. dir. civ. Rivista di diritto internazionale Riv. dir. internaz. Rivista di diritto privato Riv. dir. priv. Rivista di diritto processuale Riv. dir. proc. Rivista di diritto pubblico Riv. dir. pubbl. Rivista di diritto societario RDS Rivista giuridica sarda Riv. giur. sarda Rivista italiana del leasing Riv. it. leasing Rivista trimestrale di diritto e procedura civile Riv. trim. dir. proc. civ. Vita notarile Vita not.
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4. Commentari, trattati Il codice civile. Comm., diretto da Schlesinger, e diretto da Busnelli, Milano, Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, Comm. Scialoja-Branca. Legge fall. a cura di Bricola, Galgano, Santini, Bologna-Roma, Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, Torino, Tratt. dir. civ., fondato da Vassalli, Torino, Tratt. dir. civ. comm., già diretto da Cicu, Messineo, Mengoni e continuato da Schlesinger, Milano, Tratt. dir. comm., diretto da Buonocore, Torino, Tratt. dir. comm., diretto da Cottino, Padova, Tratt. dir. comm. dir. pubbl. econ., diretto da Galgano, Padova, Tratt. dir. priv., diretto da M. Bessone, Torino, Tratt. dir. priv., a cura di ludica e Zatti, Milano, Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, Tratt. soc. per az., diretto da Colombo e Portale, Torino, Va sempre indicato l’anno di pubblicazione del volume
IV. Gli scritti, su dischetto e su carta, vanno inviati alla Direzione della rivista (prof. Alessandro Nigro, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma). È indispensabile l’indicazione nella prima pagina dello scritto (in alto a destra, prima del titolo) dell’indirizzo al quale andranno inviate le bozze.
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Rivista trimestrale del Ce.Di.B. - Centro studi di Diritto e legislazione Bancaria Cedola di sottoscrizione - Abbonamento 2014 (4 fascicoli): € 110,00 Il prezzo dei singoli fascicoli è di € 35,00 Modalità di Pagamento ☐ assegno bancario (non trasferibile) intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA ☐ versamento su conto corrente postale n. 10370567 intestato a PACINI EDITORE Spa - PISA (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ bonifico bancario sul c.c. n. IBAN IT 67 G 01030 14010 000000561171 Banca Monte dei Paschi di Siena (per accelerare le pratiche si prega di inviare via fax la ricevuta dell’avvenuto pagamento al numero 050 3130301) ☐ a ricevimento fattura (secondo modalità indicate in fattura) (opzione valida solo per librerie, commissionarie librarie, case editrici e istituti/enti) ☐ carta di credito ☐ MasterCard ☐ VISA Carta n. ...................... Data di scadenza ....................... Nome, Cognome o Ragione Sociale: ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... P. Iva (se in possesso) e C. Fiscale (obbligatorio per tutti): ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Indirizzo ........................................................................................................................................................................... ........................................................................................................................................................................... Firma.................................................................
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